Azzurro.

di Red_head
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Occhi di ghiaccio; ***
Capitolo 2: *** Le bistrot de Paris; ***
Capitolo 3: *** Atmosphère bohémienne; ***
Capitolo 4: *** Der geraubte Schleier; ***
Capitolo 5: *** La Corte dei Miracoli; ***
Capitolo 6: *** Tango a Parigi; ***
Capitolo 7: *** Chérie; ***
Capitolo 8: *** Acqua e fuoco; ***
Capitolo 9: *** Furia rossa; ***
Capitolo 10: *** Non nasconderti ; ***
Capitolo 11: *** Cesare; ***
Capitolo 12: *** Run; ***
Capitolo 13: *** Passage d'Enfer; ***
Capitolo 14: *** Your dreamcatcher; ***
Capitolo 15: *** Oui; ***
Capitolo 16: *** Je t'aime; ***
Capitolo 17: *** Our London; ***
Capitolo 18: *** Mine; ***
Capitolo 19: *** I won't let you go; ***
Capitolo 20: *** les femmes terribles; ***
Capitolo 21: *** Do or Die; ***
Capitolo 22: *** Le fantôme du passé; ***
Capitolo 23: *** Joyeux anniversaire; ***
Capitolo 24: *** Sad; ***
Capitolo 25: *** Azure; ***
Capitolo 26: *** Épilogue; ***



Capitolo 1
*** Occhi di ghiaccio; ***




Blu. Rosso. Bianco.
Le bandiere sventolavano imperiose intorno a Buckingham Palace e lui si perse per un attimo a pensare a quali colori avrebbe dovuto mescolare insieme per poter ottenere l'intensità di quei toni. Socchiuse appena le palpebre, lì, in piedi davanti all'imponente cancello del palazzo reale e non si curò di sembrare strano in mezzo alla massa di turisti accorsi per le foto di rito, o per vedere il cambio della guardia: le lenti a specchio blu elettrico dei Ray Ban aviator che indossava, rendevano impossibile scorgere i suoi occhi e lui poteva perdersi tranquillamente nel suo mondo.
Ciano, un pizzico di magenta e una quantità ben calcolata di nero.
Magenta, giallo e sempre una punta di nero. E anche di blu.
Bianco, ma lo avrebbe sporcato con una punta di ciano.
Aprì gli occhi e sorrise al nulla incamminandosi verso St James park, godendosi i raggi caldi di un sole di fine estate che non scottava affatto. Amava passare i week end a Londra, gli piaceva girovagare per la città con gli auricolari affondate nelle orecchie, senza una meta precisa. Portava sempre con sé una vecchia cartella di cuoio a tracolla, al momento utile a stropicciargli la t-shirt color porpora, vagamente sbiadita, e a trasportare per lui un blocco da disegno, un astuccio e la sua macchina fotografica digitale compatta.
Comprò a un baracchino una lattina di coca-cola ghiacciata e decise di sedersi su una panchina di legno rivolta verso il lago centrale, proprio davanti a una fontana che regalava agli astanti la vista di diversi giochi d'acqua.
Aprì la lattina e con calma si armò del blocco rilegato in pelle e di una matita a carboncino in grado di lasciare un tratto nerissimo sui fogli color crema.
Non amava il bianco, splendeva troppo e gli dava fastidio agli occhi: era nato con le iridi chiare, color nocciola e le luci troppo intense gli procuravano un enorme fastidio. Il bianco era tremendamente intenso.
Prese a scribacchiare qualche parola casuale, a schizzare delle sagome indistinte, ma senza una precisa visione nella mente; oggi era così, non riusciva a disegnare o scrivere nulla di concreto, di reale, solo mostriciattoli abbozzati insieme a parole senza senso. Cigni dalle ali di foglie attaccate a rami che diventavano lettere, erre con becchi da pellicano e ombreggiature che diventavano cerchi d'acqua.
Alzò lo sguardo verso il lago dove gli animali nuotavano indisturbati, circondati dal verde di una natura rigogliosa che ti faceva dimenticare di trovarti in una rumorosa metropoli, stracolma di persone, auto, moto, taxi. Sorrise appena nell'osservare un grosso scoiattolo intento a fare amicizia con un cucciolo di cane: un husky completamente bianco, dal pelo lungo, che portava una pettorina azzurra attaccata alla quale splendeva una medaglietta argentata. Distolse lo sguardo un paio di volte per via del riflesso del sole sul metallo della placchetta che doveva essere a forma di osso; ridacchiò quando il cucciolo si accucciò sul prato, le orecchie tese in avanti e gli occhietti azzurri fissi sull'animaletto selvatico che lo fissava come se fosse un completo idiota. L'husky scodinzolava, felice, con la linguetta rosea a penzoloni che ogni tanto muoveva a bagnarsi il naso. Di quanto in quando uggiolava, lo capiva dai movimenti della mandibola, non perché lo sentisse: non si era sfilato gli auricolari e non aveva intenzione di farlo. Quando il cagnolino cercò di avvicinarsi allo scoiattolo, questo balzò all'indietro e scappò via, correndo fra le sterpaglie per nascondersi alla sua vista; nemmeno a dirlo, il cucciolo rimase sconvolto. Ritirò la lingua nella bocca e sedette all'improvviso sulle chiappette pelose, smettendo di scodinzolare. Fissava il punto dove prima si trovava lo scoiattolo, come se questo dovesse riapparire da un momento all'altro e si scostò solo dopo una manciata di secondi, quando qualcuno richiamò la sua attenzione.
E riprese a scodinzolare.
Seguì la sua corsa buffa, un po' goffa e sicuramente tenera, come è quella di tutti i cuccioli e lo vide balzare sulle zampe posteriori per fare le feste a dei jeans neri, sui quali ora erano stampate le piccole zampate di quell'husky delizioso.
Rise appena e quasi non si accorse della mano destra che muoveva il carboncino a disegnare quel cucciolo peloso: disegnò la sagoma irta sulle zampette, intento a tatuare la propria firma terrosa sopra al denim di quello che poteva essere un passante qualunque, o il suo padrone.
Era semplice dare volume a un ammasso di pelo, perse qualche attimo in più a disegnare l'espressione felice del muso cucciolo, delle gambe fasciate da quei pantaloni scuri che gli davano appoggio e delle mani che, ora, erano intente a perdersi fra il pelo bianco e soffice dell'husky.
Aggrottò leggermente le sopracciglia scure e socchiuse appena le palpebre nel constatare che i capelli del giovane accovacciato di fronte al cagnolino erano tanto biondi da poter concorrere con la candidezza del pelo dell'animale. Distolse lo sguardo, infastidito, e concluse lo schizzo aggiungendo un abbozzo di corpo alle gambe che aveva tracciato. Una t-shirt a maniche lunghe, delle dita piuttosto affusolate e capelli accecantemente chiari riversati in avanti, a nascondere completamente il viso. Scurì le braghe dello sconosciuto e sfumò un po' di carboncino con le dita intorno a lui e al cagnolino, lasciando il corpo dell'husky e i capelli del suo padrone senza il minimo accenno di ombre.
Quando tornò ad alzare il viso il ragazzo si era allontanato, ma l'husky era in piedi sulle quattro zampe e lo stava fissando: i suoi occhi azzurri, color del ghiaccio più puro, lo colpirono più dell'ululato che gli rivolse. Sorrise appena e si alzò in piedi, incamminandosi nuovamente verso Buckingham Palace dalla parte opposta rispetto a quella del cucciolo. In fondo alla pagina, prima di andarsene, aveva scritto quattro parole: « Yeux couleur de glace (1)





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Copertina: Occhi di ghiaccio;
(1) Occhi color del ghiaccio.



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Capitolo 2
*** Le bistrot de Paris; ***




Parigi quest'oggi era più piovosa di Londra e il nervoso procurato dal fastidio di dover continuamente affondare i piedi nelle pozzanghere che macchiavano il lastricato di Place de la Sorbonne gli fece venire un lieve mal di testa.
Si stava lasciando l'università alle spalle e camminava a testa bassa, guardando i sanpietrini sotto i piedi e stando ben attento a non farsi un bagno fuori programma. Le lezioni del mattino erano volate: sociologia e antropologia erano le sue materie preferite, per questo amava il lunedì, forse una delle poche persone al mondo ad alzarsi dopo il week end senza l'espressione di un condannato a morte.
Decise di lenire il mal di testa con un pranzetto fuori casa e mentre sedette al tavolino di un piccolo bistrot, attaccato a una vetrina, guardò il vetro imperlato di gocce di pioggia e sperò ardentemente che la smettesse di piovere.
Non gli piaceva la pioggia: non gradiva l'odore, il doversi zavorrare con un ombrello, avere i vestiti e soprattutto i piedi un po' bagnati che, sì, le scarpe sono anti pioggia, ma alla fine l'umidità si infiltra ovunque. Le ossa gli facevano male quando pioveva e detestava non riuscire a rimaner concentrato per uno sciocco fenomeno atmosferico. Meteoropatico.
Sorrise, però, all'anziana signora che gli servì la crepe ai funghi champignon e formaggio che aveva ordinato, si era concesso anche un bicchiere di vino rosé.
___ « Merci, madame.»
Parlava bene il francese, ormai: erano due anni che abitava a Parigi e aveva perfezionato la pronuncia, aveva imparato i modi di dire e a sostenere una conversazione decente dopo pochi mesi, passati due anni poteva vantare persino un accento parigino.
Era portato per le lingue, d'altronde.
Era portato per lo studio in generale, in realtà: non gli costava fatica, capiva e memorizzava tutto alla perfezione, anche argomenti di cui gli importava poco e niente e riusciva a dare gli esami con grandiosa facilità. Si faceva un po' schifo da solo per questo.
Affondò i rebbi della forchetta nella crepe fumante e osservò il formaggio caldo fuoriuscire cremoso e invitante; assaggiò il boccone e socchiuse gli occhi beandosi del sapore pungente del roquefort che si sposava alla perfezione con la delicatezza dei funghi champignon.
___ « Ti piace, caro?»
Sorrise all'anziana signora e annuì gentilmente, regalandole una sensazione di calore che sfociò in un'espressione dolce sul volto rugoso della proprietaria del bistrot. Erano due anni, ormai, che mangiava lì almeno una volta a settimana: sempre da solo, ordinava sempre e solo crepe e la sua preferita era proprio quella che aveva nel piatto.
___ « E' deliziosa come al solito, Madame Blanchard. Ma … posso azzardarmi a chiederle se sia cambiato qualcosa nella ricetta? Non so, forse è diverso il formaggio, ma magari sbaglio: è un po' che non la ordino.»
___ « Oh! Il tuo palato è eccellente, Dean. Hai ragione, usiamo dei nuovi formaggi! Mio nipote ha insistito per farmi provare un delizioso caseificio poco fuori Parigi: è biologico, sono prodotti a chilometri zero e in più favoriamo le piccole attività parigine! Ti piace?»
___ « Sì, Madame, suo nipote le ha dato proprio un'ottima dritta.»
___ « Glielo riferirò! Ne sarà felice.»
Le rivolse un altro sorriso e si apprestò a finire il suo pranzo prima di afferrare lo stelo del renano e perdersi nell'osservare il viottolo parigino appena fuori il bistrot. Pioveva con meno intensità, ma il cielo era sempre plumbeo, monocromatico, tetro. Sospirò pesantemente e bevve quello che rimaneva del rosé prima di alzarsi e dirigersi alla cassa sistemata su un antico bancone da cucina, che fungeva anche da bar.
___ « Quanto le devo, Madame?»
___ « Sono sempre otto euro, Dean caro.»
___ « Grazie.»
La signora gli faceva ormai pagare il vino come l'acqua, sempre, e lui si sentiva un po' in colpa.
___ « La prossima volta mi prenderò anche una crepe dolce.»
___ « Oh! So che lo farai!» L'anziana gli scoccò un occhiolino e lui si voltò, rivolgendo uno sguardo distratto verso la porta lignea della cucina che era socchiusa. Vide una lunga treccia bionda e una vita stretta, fianchi femminili sormontati da un grembiule bianco da chef.
___ « Arrivederci Madame Blanchard.»
___ « A presto, Dean.»
Dean. Gli piaceva il modo in cui i francesi pronunciavano il suo nome: era meno squillante, più morbido, riuscivano a imprimervi un che di romantico.
Recuperò l'ombrello blu elettrico dalla struttura in ferro battuto accanto all'ingresso del bistrot, l'aprì e vi si rifugiò sotto prima di incamminarsi velocemente verso il quartiere latino.
Non s'avvide delle zampette sormontate da morbido pelo bianco che affondarono in una pozzanghera sul marciapiede, così come delle polacchine verde muschio zuppe che, invece, la saltarono subito dopo.



___ « Nonna!»
Il campanello attaccato alla porta del bistrot tintinnò squillante e il piccolo husky ululò felice, saltellando sulle zampe posteriori e fissandolo allegro, intenzionato forse a farsi crescere le ali per poterlo afferrare e giocarci.
___ « Olivier! Tesoro ...» La nonna, Madame Blanchard per il mondo, lo accolse fra le braccia e gli stampò un bacio sulle labbra, leggero, come era solita fare, lasciandogli un leggero sapore di pesca dovuto al suo burro cacao.
___ « Ciao nonna. Come va?»
___ « Oh, molto bene! Ehi, piccolino! Ciao anche a te! Com'è che lo hai chiamato, caro? Non me lo ricordo più … sai, la memoria di una vecchia carampana ...»
Rise appena, divertito e tolse il trench anti pioggia per poterlo sistemare su un appendiabiti in legno tutto arzigogolato, vintage, che dominava l'ingresso del localino.
___ « Non sei una vecchia carampana, nonna. Te lo dico sempre!»
___ « Lo so, per questo continuo a insinuarlo: così tu lo smentisci.»
___ « Si chiama Ciel.» Le posò un altro bacio sulla guancia destra, divertito, prima di inoltrarsi nel locale dove alcuni astanti si godevano un tipico pranzo parigino, genuino e confezionato con prodotti locali e sani.
___ « Thalie?»
___ « E' in cucina.»
Mentre la nonna si occupava del cucciolo, mettendogli a terra, dietro il bancone, una ciotolina di acqua fresca, lui spinse il battente della cucina e si inoltrò al suo interno sorridendo alla vista della ragazza che dimenava i fianchi a ritmo di una canzone dei 30 Seconds to Mars, canticchiava e spadellava contemporaneamente come se non avesse mai fatto altro nella vita.
___ « Ehi, racchia.»
___ « Ah!» Lei si voltò facendo saltare contemporaneamente delle carote al burro e gli rivolse una smorfia buffa, storpia, divertita con tanto di linguaccia. « Ehi, blondie!»
Si avvicinò alla ragazza e le tirò un pizzicotto sulle chiappe facendola saltare in aria come una mina prima di afferrare una baguette per poterne mangiare un tozzo.
___ « Non dovresti mangiare carboidrati, blondie. Poi come fai se metti su un grammo di ciccia?» Lei rise appena e la sua risata sguainata, per niente femminile, lo fece sbuffare divertito.
___ « Guarda che io mi alleno. E ho un metabolismo da fare invidia a Baryšnikov, non divento una botte come te al primo piatto di pasta!»
___ « Ma che coraggio, santa banana ...»
Lei fece la finta offesa e lui approfittò per poter pucciare il pezzo di baguette dentro una pentola nella quale cuoceva a fuoco basso una salsa al formaggio. L'assaggiò e si deliziò del forte sapore che gli si insinuò in bocca, leggermente pungente e reso più docile dalla cremosità della consistenza.
___ « Mhh ...» Sapeva che lei poteva sentirlo e sapeva anche che stava sorridendo dandogli le spalle. Osservò il fisico asciutto della giovane cuoca, la lunga treccia bionda che le teneva fermi i capelli e la cuffietta viola che le sormontava il capo: aveva sempre qualcosa di viola addosso lei, volente o nolente.
___ « Ehi Thalie …» la richiamò quando era ormai alle sue spalle e lei doveva aver sentito il suo respiro contro il collo perché reclinò semplicemente il capo all'indietro per poterlo appoggiare contro la sua spalla.
___ « Che c'è baby?»
___ « Me la fai una crepe?»
___ « Sei perfettamente capace, Olivier.»
___ « Sì, ma come le fai tu, non le fa nessuno in tutta Parigi.»
___ « In tutta la Francia!»
___ « Sì dai, ora vola basso.» Le posò le labbra sul collo e lei ridacchiò, divertita: Thalie soffriva il solletico ovunque.
___ « Vabbhè, mi sono avanzati un po' di funghi dell'ultima crepe che hanno ordinato. Ti metto il formaggio leggero e niente burro!»
___ « Grazie.» Incrinò un sopracciglio incamminandosi verso l'uscita della cucina. « Thalie … è venuto il tipo delle crepe, per caso?»
___ « Mhn? Il figone che ordina quasi sempre champignon e roquefort? Sì, mi sa di sì, ma chiedi alla nonna, magari era qualcun'altro.»
Annuì e le sorrise appena prima di tornare nel bistrot.
La differenza di atmosfera lo frastornò appena: in sala la nonna metteva sempre le canzoni di Edith Piàf, o musica classica francese, per rendere l'ambiente rilassante e caldo, in pieno stile vecchia Parigi. Thalie, invece, amava la musica rock americana e inglese, l'elettronica, la techno e persino il rap: una vera buzzurra in un corpo da fatina. Rivolse gli occhi chiari verso il tavolo al centro della vetrina e notò che non era ancora stato sparecchiato: fece cenno alla nonna di restare pure dietro il bancone e si mosse verso il tavolino, così da poter togliere piatto, posate e bicchiere. Ciel lo seguì, allegro, facendo ridacchiare i clienti rimasti nel locale e lui soffermò la sua attenzione sul tovagliolo bordeaux col quale il ragazzo doveva essersi pulito la bocca.
Rivolse lo sguardo all'esterno e notò che aveva finalmente smesso di piovere, anzi, un raggio di sole aveva squarciato le nuvole plumbee regalando al cielo di Parigi un'aria nostalgica e romantica. Sorrise flebilmente, dando le spalle alla vetrina e scoppiò a ridere quando Thalie uscì dalla cucina con le labbra sporte in fuori, in piena “duck face”, la sua crepe in mano e muovendo velocemente il bacino avanti e indietro, a ritmo della sua musica.
___ « Thalie! Razza di scellerata!»
La nonna rise facendogli cenno di accomodarsi su uno sgabello del bancone, ma lui seguì il trottare del cagnolino che si avvicinò alla vetrina per poter osservare il mondo all'esterno: l'insegna in legno, attaccata all'anima di ferro battuto fissata al muro esterno del palazzo, oscillava a ritmo del vento di fine estate che si era alzato dopo la pioggia e il cucciolo seguiva quel moto come ipnotizzato.
___ « Tutto bene, caro?»
___ « Mhn?» Si scosse dal leggero stato di trance in cui era caduto e annuì, sorridendo alla donna.
___ « Ah! Olivier, tesoro, devo ringraziarti da parte di un cliente, quel giovanotto che viene qui almeno una volta a settimana, Dean: ha sentito subito la differenza di gusto dei formaggi e si è complimentato con noi!»
Appoggiò le stoviglie nel lavello e strinse maggiormente il tovagliolo di carta bordeaux prima di buttarlo nel cestino.
___ « Dean?»
___ « Dean, sì.»
___ « Bene, ne sono felice nonna!» Le rivolse un sorriso affettuoso prima di affondare la forchetta nella crepe con gli stessi ingredienti che aveva assaggiato anche Dean. Sì, aveva ragione, quel formaggio era proprio buono.





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Capitolo 1: le bistrot de Paris



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Capitolo 3
*** Atmosphère bohémienne; ***






Taylor ~: Ehi straniero, quando torni in patria?
D.C.H.: Sabato mattina.
Taylor ~: Non puoi tornare venerdì sera, scusa? C'è una festicciola allo Sticks!
D.C.H.: No, no. Proprio questo venerdì no.
Taylor ~: Perché? Dove te ne vai di bello? Sempre a bighellonare per i localacci del postaccio dove vivi?
D.C.H.: Ehy, Camden Town! Non parlare!
Taylor ~: Ahah … no dai, cheffai di bello?
D.C.H.: Un'amica mi ha invitato all'Operà.
Taylor ~: Wo – woa! Che meraviglia! A vedere che?
D.C.H.: Si tratta di uno spettacolo minore, in realtà, ballano i ragazzi dell'Accademia annessa all'Operà, alle 19:30.
Taylor ~: Bhé! Sti cazzi. E' bello lo stesso, no? Anche solo per il fatto di essere all'Operà! Fammi qualche foto.
D.C.H.: Non mancherò.
Taylor ~: Dai, ci vediamo sabato allora, se passi da Camden.
D.C.H.: Sai che lo farò.
Taylor ~: Cheers!




Correre gli distendeva i nervi, lo aiutava a non pensare a nulla se non al proprio respiro. Con Ciel, poi, adorava fare jogging: quella palla di pelo era instancabile, riusciva a tenere il suo ritmo per più d'un ora e lo accompagnava sempre in giro per la città. Quando lo vedeva indossare le sneakers verdi e il cappellino con la visiera, l'husky si agitava come un matto e cercava di afferrare il guinzaglio coi dentini aguzzi e, quando ci riusciva, glielo portava, ma il più delle volte inciampava nella corda azzurra ruzzolando in terra e lui rideva a crepapelle. Era un cucciolo intelligente e buffo e adorava la nonna per averglielo regalato: aveva sempre desiderato avere un cane. Con l'husky andava ovunque, meno che agli allenamenti in palestra e alle prove: lì Ciel non poteva entrare, ma il cagnolino adorava passare il tempo con Thalie e la nonna al bistrot e lui si sentiva meno in colpa. L'husky si stava abituando bene alle persone, faceva amicizia con i cani dei clienti e ogni tanto rincorreva dei gatti su per il marciapiede: loro scappavano terrorizzati, non per il fatto che fosse un cane, ma per la sua giocosa irruenza.
Lo liberò quando raggiunsero la salita posteriore di Montmartre, quella che i turisti non bazzicavano, dove c'erano poche persone e di solito ci finivano per sbaglio. Lui l'adorava: in primavera, poi, il viale di archi del giardinetto che saliva verso la basilica du Sacré-Cœur si colorava di rose stupende, al momento sostituite dal fogliame verde e da qualche fiore solitario. Sorrise quando Ciel si lanciò sul prato e non si fece problemi a superarlo per affrontare la salita: sapeva che il cucciolo l'avrebbe seguito.
Una volta in cima alla collina si fermò, riagganciò il guinzaglio del cane per non perderlo nel marasma dei turisti e prese nuovamente a correre, senza fermarsi a osservare il Sacro Cuore, semplicemente si lanciò giù per la scalinata che li avrebbe condotti al quartiere di Pigalle. Faceva sempre lo stesso percorso e sì, era impegnativo, pieno di sali/scendi, scalinate, ma a lui piaceva; la disciplina che doveva mettere nel compiere quella piccola maratona due giorni a settimana, quando non doveva andare ad allenarsi in Accademia il pomeriggio, lo rendeva soddisfatto di se stesso e si sentiva sempre un po' più grande.
Guardò l'orologio al polso destro e sorrise affrettandosi su Boulevard de Rochechouart; per quella breve corsa un po' più rapida, prese Ciel in braccio e l'husky, seppur stanco e un po' frastornato, ogni tanto gli leccava il viso prima di tornare a guardare il mondo intorno a loro attento, con le orecchie bianche ben tese, curioso. Si sedette alla solita panchina di ogni martedì e con Ciel per terra ebbe tutto l'agio di recuperare una bottiglietta d'acqua e una ciotola da campeggio appiattibile dallo zainetto slim che portava in spalla. Versò da bere al cucciolo e glielo appoggiò sulla pavimentazione di pietra, concedendogli anche un paio di croccantini, quindi si rinfrescò a sua volta beandosi della sensazione che l'acqua fresca gli dava nella bocca e giù per la gola. Allungò le gambe per fare un po' di stretching e quando vide quei Dr. Martenes un po' sfondati, neri, entrare nella sua visuale, sorrise appena: puntuale come un orologio svizzero.
Ogni martedì alle cinque, quegli anfibi di fattura inglese solcavano il lastricato della piazza in direzione di una piccola viuzza pedonale e lui se n'era accorto nel corso dei mesi, quasi per caso, incrociandolo per strada ogni settimana. L'aveva notato perché portava sempre con sé una borsa di cuoio, che sembrava molto pesante, un tubo rigido di quelli che proteggevano i fogli da disegno, oppure una tela sotto al braccio, sempre nuova, pulita. Un pomeriggio gli era andato a sbattere addosso per sbaglio, mentre cercava di lasciarsi alle spalle un branco di turisti giapponesi e quella fu la prima volta che si accorse veramente dell'esistenza di quel ragazzo: da quel giorno, tutti i martedì si ricordò di lui e lo cercava con lo sguardo, speranzoso di nulla che non fosse semplicemente una certezza dettata da una straordinaria e casuale coincidenza. Gli era dispiaciuto non aver potuto sentire la sua voce per colpa delle auricolari: lui non gli aveva sorriso, si era semplicemente limitato a uno sguardo perplesso e a fargli cenno che non importava, poi aveva proseguito per la sua strada borbottando qualcosa. Probabilmente lo aveva insultato, a giusta ragione. E Dean era rimasto a Parigi quell'estate, si erano scontrati ai primi di giugno e l'aveva visto tutti i martedì alle cinque durante i mesi più caldi dell'anno. Aveva provato per il ragazzo un'istintiva simpatia: nemmeno lui era potuto partire per le vacanze, era rimasto in città per aiutare la nonna e Thalie con il bistrot e se all'inizio la cosa gli era un po' pesata, la presenza in quell'enorme metropoli di qualcun altro che sembrava impossibilitato ad abbandonarla, lo confortò.
Aveva raccontato a Thalie di quel giovane misterioso e lei gli aveva risposto che era un cretino a non avergli mai rivolto la parola, che non poteva essere un caso che quello fosse un cliente del locale e che lo incontrasse ogni martedì in giro per Parigi, che sicuramente erano legati dal filo rosso del destino e altre baggianate simili. Gli aveva detto che, probabilmente, Buddah, Dio e tutti gli angeli e i demoni volevano che loro due si incontrassero, che sarebbero dovuti diventare amici e lui le era scoppiato a ridere in faccia, divertito, guadagnandosi uno spintone.
Non aveva mai creduto in entità superiori, ma quella casualità gli piaceva, lo faceva sorridere anche il fatto che, quando lui faceva da cameriere al bistrot, Dean non si presentava mai come cliente, nemmeno lo facesse apposta. Non gli importava, comunque: qualunque cosa accadesse, il martedì alle cinque del pomeriggio quel ragazzo attraversava la piazza tutto serio, proteggendo il suo materiale da pittura e senza degnare nessuno di uno sguardo e lui sorrideva sempre.



Fissava il corpo nudo della donna con calma, accarezzando le morbide curve dei fianchi con lo sguardo mentre la mano destra si muoveva facendo si che le setole morbide del pennello accarezzassero la tela e lasciassero scie di colore.
Adorava l'appartamento di Azalea perché lì poteva trovare la luce della vecchia Parigi, l'atmosfera bohémienne che aveva ispirato i più grandi artisti di sempre. Almeno, secondo il suo modesto parere. E Azalea era la sua musa: gli occhi verde/azzurri, chiari e brillanti, così affascinanti, profondi. A volte erano velati di una dolcezza patinata, mansueta e amorevole, ma più spesso riflettevano l'animo aggressivo e combattivo della giovane parigina, come in quel momento.
Non si muoveva mai, era un'ottima modella: riusciva a stare immobile per ore e durante quel lasso di tempo lo fissava sempre negli occhi, senza distogliere mai lo sguardo dal suo viso. Non era intimorito da lei, ma solo leggermente dal suo desiderio.
Quando abbassò il pennello verso la tavolozza di legno sporca di colori a olio, lei capì di potersi muovere e lo fece flessuosamente, come una splendida gatta, sdraiandosi prona sulla chaise longue e stiracchiando le braccia in avanti, le dita sottili intrecciate fra loro a far sfiorare le unghie smaltate di azzurro.
___ « Come sta venendo?»
___ « Molto bene. Mi piace ritrarti sdraiata, hai un corpo favoloso.»
___ « Non è vero. Se avessi un corpo favoloso ne avresti già approfittato dato che te lo offro su un piatto d'argento almeno una volta a settimana.»
Sorrise divertito e scosse il capo pulendo il pennello con l'acquaragia.
___ « Azalea ...» La rimproverò, in un tono gentile e divertito.
___ « Cosa?» Lei sorrideva maliziosa, compiaciuta, ma lui sapeva che nel suo intimo era leggermente offesa e non poteva certo biasimarla.
___ « Non si è mai vista bella donna che non facesse smorfie davanti a uno specchio.» Citò a memoria, alzandosi per poter afferrare la vestaglia di seta blu che le tenne aperta, servizievole.
___ « Smettila di citare Shakespeare. E' morboso.»
___ « E' geniale.»
Lei scosse le spalle arresa, si alzò in piedi e gli rivolse la schiena per poter infilare le braccia magre nelle maniche a pipistrello della vestaglia. Ne approfittò per poter osservare la curva della sua schiena, i fianchi femminili e il sedere sodo e rotondo, perfetto. Adorava le efelidi che adornavano la sua pelle, desiderava dipingerle come una distesa di stelle splendenti in un cielo senza luna.
___ « Voglio dipingerti come Selene, la Dea della luna.»
___ « Perverso...» Commentò lei mentre si chiudeva la cintura di seta in visa e il suo tono civettuolo gli solleticò l'anima.
___ « Solo nel tuo mondo è perverso.» Ribatté lui, sbuffandole una risata contro i suoi splendidi capelli rossi.
___ « Io credo sia piuttosto perverso che due ragazzi, nel pieno della loro gioventù, si incontrino una volta a settimana e che lui veda sempre lei nuda, la dipinga e poi non le metta mai le mani addosso.» La voce della ragazza era morbida, caricava apposta la erre moscia, sapendo bene quanto a lui facesse impazzire l'accento francese; si voltò per potergli appoggiare le mani sul petto e, da maestra di seduzione quale era, riuscì in un fluido movimento della spalla sinistra a far cadere la seta blu della vestaglia, mettendogli così sotto gli occhi la sua pelle lentigginosa. « Anche se lei non desidera altro da tempo ...» Aggiunse a un soffio dalle sue labbra ed era così vicina che a lui sarebbe bastato abbandonarsi a un cenno millimetrico del viso per potersi appropriare di quella bocca color lampone.
Rimase immobile.
___ « Tu sei una donna, non sei una ragazza.» Puntualizzò in un filo di voce roca. « E sei mia amica.» Abbassò solo lo sguardo, serio, sapeva di avere un'espressione piuttosto truce, ma non gli piaceva quando Azalea lo accarezzava in quel modo lascivo perché sapeva che l'avrebbe rifiutata e, a volte, offesa. Lei scoppiò a ridere.
___ « Come sei tutto serioso, Dean! Dai, tranquillo. Vuoi farti una doccia fredda?» Gli domandò divertita e senza sistemarsi la vestaglia, camminò a piedi nudi sul parquet di legno un po' scricchiolante del suo bilocale e afferrò il collo di una bottiglia di bordeaux appoggiata sul ripiano della cucina a vista.
___ « No, sciocca.» Rispose lui sbuffando un sorriso un po' infastidito, ma comunque consapevole: lei era così, era una tentatrice, una gatta, una cagna, una rosa con le spine, era la musa ideale.
___ « Bene. Ci vediamo venerdì, allora: alle diciannove davanti all'Operà, non voglio che tu pensi che sia un appuntamento.»
___ « Non l'ho mai pensato.»
___ « Ottimo. E vestiti elegante: voglio un accompagnatore che faccia girare tutte le vagina munite verso di me, invidiose.»
Non le diede la soddisfazione di una risposta, si limitò a sistemare i tubetti di colore a olio dentro una scatola di legno che portava con sé nella tracolla di cuoio, insieme ai pennelli ben ripuliti e alle bottiglie di olio e acquaragia.
___ « Lo lasci qui?»
___ « Sì, sì. Così si asciuga bene. La prossima volta lo finirò.»
___ « Perfetto. Buona serata, occhi d'oro.»
___ « Buona serata, chiappe di marmo.»
Lasciò l'appartamento accompagnato dalla risata divertita e femminile di Azalea, musica per le orecchie di un artista.





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Capitolo 2: Atmosphère bohémienne *
* Questo è Dean!
Ci ho messo un po' a trovare un presta volto che mi soddisfacesse e finalmente eccolo qui!
Spero vi garbi y_y/



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Capitolo 4
*** Der geraubte Schleier; ***


Era nervoso, tremendamente agitato e soprattutto eccitato. Superare le porte dell'Operà di Parigi come artista e non più come spettatore o maschera, fu una delle emozioni più grandi della sua vita.
Si era trovato di fronte all'imponente facciata dell'edificio alle tre meno un quarto, il call per gli artisti era alle tre e lui non voleva rischiare alcun ritardo. Thalie lo aveva accompagnato e l'aveva tenuto per mano durante tutto il tragitto in metropolitana, chiacchierando del più e del meno, del sole che splendeva nel cielo, della temperatura ideale per sfoggiare lo splendido abito che si era comprata per il suo grande debutto sulle scene di Parigi. Olivier le aveva stretto la mano per tutto il tempo, le dita intrecciate con quelle di lei in una morsa nervosa e apprensiva, forse un po' brutale, ma Thalie non si era mai lamentata.
___ « Bene. Sono le tre meno due, my love. E' ora che muovi quelle belle chiappe muscolose ed entri là dentro.»
Le rivolse lo sguardo e lei gli sorrise largamente, tranquilla e fiduciosa. Poteva specchiarsi nelle lenti nere dei suoi occhiali da sole e vide un ragazzo piegato dall'ansia.
___ « Su, levati quell'espressione di culo e cammina a testa alta! Non ho speso una barcata di soldi per venire tutta in tiro qua dentro, solo per vederti mogio, mogio a zompettare per il palco come una paperella zoppa. Sei un cigno sta sera, Ollie, quindi spalle dritte, petto e pacco in fuori e vai, verso l'infinito e oltre!» Lei alzò le loro mani al cielo e lui non poté proprio fare a meno di scoppiare a ridere di gusto.
___ « Pacco in fuori?! Sei proprio cretina, Thalie!»
___ « Sì, sì, lo so. Ora vai!» Gli schiaffeggiò i glutei, ridendo e lui le appoggiò le labbra su una tempia, in un bacio leggero.
___ « A sta sera.»
___ « A sta sera, sweety!»
Si era abbassata gli occhiali sulla punta del naso e gli aveva scoccato un occhiolino bene augurante; con il viso di Thalie ben stampato nella memoria aveva varcato la soglia del teatro mostrando il tesserino d'artista all'ingresso. L'avrebbe incorniciato quel tesserino, se lo sarebbe appeso in camera come un allocco e, da vecchio, l'avrebbe guardato ricordando quel giorno. Il momento in cui tutta la compagnia si era riunita sul palco per ascoltare la maestra e il coreografo, intenti a dare le ultime dritte prima dei riscaldamenti; l'attimo in cui aveva fatto scivolare lo sguardo sulla platea, i balconcini, l'enormità sfarzosa di quel teatro dove si erano esibiti i migliori ballerini del mondo e che non l'aveva sopraffatto, ma fatto sentire a casa. Poi trucco e parrucco e accarezzare i costumi di scena che erano ridicoli, sì, ma lui non doveva camminarci per le strade di Parigi, doveva semplicemente danzarci.
“Semplicemente”, poi. Doveva dare il massimo, voleva volare su quel palco, voleva brillare. Era il suo momento e l'avrebbe sfruttato fino in fondo.
Alzò lo sguardo verso lo specchio circondato da luci al neon color crema e sorrise vedendosi truccato in quel modo: un sorriso affilato, malizioso, che solitamente non gli apparteneva, ma che in quel momento gli venne spontaneo quanto lo sguardo glaciale che rivolse al proprio riflesso. Odette e Odile, il bianco e il nero, la dicotomia e l'antitesi eterna fra luce e tenebra, sacro e profano, eros e tanatos, Bene e Male. Era questo che amava de “Il lago dei Cigni”: non era semplicemente la storia di un uomo che deve riuscire a conquistare l'amata, ma l'angustiata vicenda di una crescita interiore, confusa da inquietudini e turbamenti, dalla lusinga e dalla seduzione del Male sopraffatto, in fine, dalla morbida carezza del Bene.
___ «I ballerini si preparino! Presto!»
Sentì quella voce lontana ed erano altrettanto distanti le mani che lo aiutavano a indossare la casacca nera di velluto, impreziosita da migliaia di piccoli cristalli in grado di catturare e riflettere una luce tenue, avvolgente. Abbassò lo sguardo sulle punte bianche e diede un paio di colpi sul parquet, distribuendo dapprima il peso sul piede destro e poi sul sinistro. Quando il costume di scena fu sistemato alla perfezione, alzò le braccia stirando i muscoli, ruotò il busto un paio di volte, prese un profondo respiro ed espirò con intensità, un'energia volta a scacciare ogni traccia di nervosismo dal suo corpo, dalla sua mente.
Una mano bianca e sottile, in un tocco delicato e appena accennato, gli si appoggiò sull'avambraccio sinistro. Girò appena il viso per incontrare quello sorridente e nervoso di Svetlana, il suo cigno bianco.
___ « Sei pronta, Odette?» Le domandò appoggiando dolcemente la mano sulla sua. Lei annuì, lenta e rivolse lo sguardo dritto davanti a sé.
___ « Sì, Siegfried
Gli applausi del pubblico risuonarono nella sua testa come tuoni impazziti, ma il silenzio che ne seguì fu più rumoroso di uno schiaffo ben assestato sul viso e altrettanto doloroso. Poi l'orchestra del Conservatorio introdusse il movimento iniziale, una breve sintesi musicale ed emotiva del dramma. La melodia era il primo del cigno ; sentiva le scale discendenti impossessarsi del suo animo e del suo corpo e, lasciando dolcemente la mano della sua Odette, si mosse per calcare il palco dell'Operà national de Paris.
Non era più Oliver Blanchard, era il Principe Siegfried, l'uomo terrorizzato dalla paura di crescere e dai sentimenti eterni.



___ « Wow.»
La voce di Azalea gli arrivò alle orecchie lontana, mescolata al brusio del salone in cui si trovavano. Era ancora interdetto dai primi due atti dello spettacolo, non riusciva a pensare ad altro se non ai corpi leggiadri di quei ballerini stupendi, alla musica magistralmente eseguita dagli allievi del Conservatoire de Paris che si mescolava sublimemente al rumore delle punte da danza che impattavano sul palco di legno.
___ « Dean?» La voce morbida della rossa si fece più insistente e lo scosse dai suoi pensieri; mise a fuoco la mano destra dell'amica, le unghie corte e smaltate di azzurro, le dita corte e sottili che gli porgevano una flûté di champagne.
___ « Scusa.» Le sorrise e accettò l'aperitivo.
___ « Sei distratto, più pensieroso del solito. Ti annoi?» Azalea sembrava non annoiarsi affatto, anzi, pareva perfetta in quell'ambiente sfarzoso: l'abito nero di seta scivolava a sirena sul suo corpo flessuoso, il colletto alla coreana le cingeva dolcemente il collo e le braccia, libere da qualunque costrizione, erano deliziosamente impreziosite da almeno una ventina di braccialetti rigidi a cerchio, di cui uno tempestato di diamanti. Era splendida: minuta, ma slanciata dai tacchi alti dei sandali gioiello, sofisticata grazie ai capelli rossi acconciati in onde sinuose che scivolavano lungo il lato destro del viso, accarezzandole la medesima clavicola. Divina, la guardavano tutti.
___ « No, figurati, come potrei?» Domandò retorico, bevendo un sorso di champagne. « E' che finalmente capisco Degas.»
___ « Ah! Le ballerine!» Squittì lei, contenta.
___ « Sì. Insomma, lui ne era estasiato, secondo Degas “illuminavano la scena”. E aveva ragione: non riuscivo a staccare lo sguardo da quei corpi muscolosi e sinuosi. Mi hanno ispirato, vorrei dipingerli anch'io, muovermi liberamente dietro le quinte, fotografarli mentre si preparano allo spettacolo, fisicamente ed emotivamente. Sono esseri … celestiali.»
___ « Oh, Dean... sei così poetico.»
___ « No, sono realista. E ti ringrazio, Azalea, di avermi portato qui. Ti adoro, davvero.» Le si avvicinò per posarle un bacio sullo zigomo e lei ridacchio allegra, ringalluzzita da quel contatto che le aveva concesso, più intimo del solito.
___ « Vado a ritoccarmi il trucco prima del prossimo atto. Dicono che le toilette dell'Operà sono, oltre che splendide, una fonte prelibata di ricchissimi pettegolezzi! A fra poco, ci vediamo in sala.»
Lui annuì e le posò una carezza sul braccio prima di voltarsi e incamminarsi verso il bar. Poggiò la flûté vuota sul ripiano in radica lucida e ne chiese un'altra, attendendo tranquillo e beandosi della semplice tranquillità di quel luogo che pullulava di astanti. Era incredibile come, pur essendo in mezzo a centinaia di persone, pur trovandosi appoggiato a un open bar, nessuno risultasse sgradevole o inopportuno, erano tutti calati nella parte del cittadino modello, facoltoso ed elegante, irti in uno status sociale che probabilmente non gli apparteneva, ma che per una sera potevano concedersi.
Sorrise al barman e si voltò dandogli le spalle, rimanendo così attaccato al banco a osservare quella fiumea umana di abiti lunghi e completi eleganti.
___ « Sono un po' scuri, non trovi?» Incrinò un sopracciglio e si voltò quel tanto che bastasse da poter osservare una figura quasi eterea, appoggiata al bar come lui, che gli si rivolgeva a voce, ma lasciava lo sguardo a vagare per la sala.
___ « Sì.» Le rispose semplicemente, sorbendo poi un sorso dalla flûté di cristallo. Notò che lei reggeva, con le dita affusolate tutte ornate da sottili anelli a fascia d'oro giallo, un bicchiere tozzo e squadrato, con dentro ghiaccio e un liquido violaceo.
___ « Non approfitti dello champagne?» Le domandò mellifluo, cordiale.
___ « No, io non bevo. Mi piace il succo di mirtilli, però. Certo, dopo dovrò mangiare un chewing gum o quando sorriderò sembrerò un lottatore di wrestling sdentato, ma sono inconvenienti che posso affrontare.»
La osservò per un attimo, con la coda dell'occhio e si sconvolse appena nel notare quanto fosse alta: portava i tacchi e con quelle deliziose décolleté era alta quanto lui, quindi sottraendo quei dieci centimetri doveva sfiorare il metro e ottanta. Portava una lunga gonna bianca, ampia e leggera, stretta in vita da una fascia lucida color perla. Il top chiaro era scollatissimo su un seno appena accennato, una striscia di pelle del busto era ben visibile e sfiorata dal giacchino taglio frac, azzurro pastello, che portava con eleganza.
___ « Hai motivo di sorridere, è già qualcosa.» Lei rise e lo shockò: quella bionda dai capelli lisci e lunghissimi, aveva una risata a dir poco sguainata, che stonava moltissimo con quel viso d'angelo e il trucco acqua e sapone.
Quando si voltò verso di lui, il sorriso che le increspava le labbra aveva un che di sinistro, non era maliziosa, semplicemente diabolica. Altra stonatura.
Era affascinante.
___ « Ti sta piacendo la rappresentazione?» Gli domandò smettendo di ridere di colpo.
___ « E' una bellissima illusione.» Rispose tranquillo, senza più donarle alcuno sguardo.
___ « In che senso?»
___ « Un insieme di musicisti capaci e ballerini straordinari, bellissimi, rinchiusi in una cornice da sogno.» Teatrale, fece un cenno alla sala, a mostrare lo spazio ricco di velluto, foglia d'oro, cherubini e ninfe, tipico della sontuosità barocca. « La musica ti penetra nell'anima, solo uno sciocco non si farebbe catturare da Tchaikovsky e solo un ignorante non apprezzerebbe l'intensità del ballo di quei giovani artisti. Sono splendidi, fasciati nelle calzamaglie cangianti, in tutù e casacche luccicanti, truccati e pettinati di tutto punto mentre danzano sorridenti, intrecciati da coreografie e movimenti che fendono l'aria come volessero inglobarvisi.» Bevve un altro sorso, tranquillo. « Tuttavia, si tratta di un'illusione. Sono studenti, la maggior parte di loro non diventerà professionista e, tolte le vesti dei cigni, dei principi e delle regine, torneranno ad essere persone qualunque, mescolate nella calca di una metropoli che appare romantica e misteriosa, ma alla fine è solo il nido di tanti brutti anatroccoli.» Solo ora le rivolse nuovamente lo sguardo. « Sì, mi piace molto. Me ne sento ispirato.»
Temeva di aver esagerato, di essersi guadagnato un sonoro “vaffanculo” e ne avrebbe riso, divertito, perché qualunque persona ordinaria l'avrebbe insultato o ignorato, forse offesa dalle sue parole boriose.
Ma lei non era una persona ordinaria.
___ « Conosci il convento delle Figlie di Dio?» Gli domandò seria, guardandolo dritto negli occhi.
___ « … No.»
___ « Trovalo. E ricordati queste parole: “le roi est fou et je danse avec les fous. (1)»
___ « Quando?» Le chiese scostandosi dal bancone di radica, come aveva fatto lei.
___ « Questa sera, Dean.» Di nuovo quel sorriso sinistro, conturbante e che lo sconvolgeva più del fatto che quell'estranea conoscevail suo nome.
La osservò dirigersi verso la sala e gli occhi color nocciola percorsero la sua figura, confusi: le spalle strette, la vita sottile, i lunghi capelli biondi intrecciati solo a livello delle natiche. Una treccia che sfiorava fianchi femminili, vestiti di bianco. Gli girò leggermente la testa, colto da un'improvvisa sensazione di déja vu, solo che non riusciva proprio a capirne il motivo.





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Capitolo 3: Der geraubte Schleier *
* questo è il mio Olivier <3
(1) Il re è pazzo e io danzo coi folli.
Ndt: il titolo del capitolo“Der geraubte Schleier”, il velo rubato in lingua tedesca, è tratto dal nome dell'antica fiaba tedesca che ispirò il libretto de Il lago dei Cigni a Vladimir Petrovic Begičev.



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Capitolo 5
*** La Corte dei Miracoli; ***


Aveva accompagnato Azalea a casa, poi grazie a google e al navigatore dell'iphone era riuscito a individuare una zona dove poteva essere esistito, in un tempo molto lontano, il convento delle Figlie di Dio. Non si aspettava di certo di dover giocare a Sherlock Holmes per trovare quel luogo, ma in effetti non esisteva nella Parigi attuale un convento con quel nome, quindi aveva dovuto scavare un po' più a fondo. Si trattava una specie di edificio “fantasma”, si diceva che fosse qui, si mormorava fosse là, che vi risiedevano suore, ma anche clochard provenienti da tutta Europa. La notizia che aveva trovato più succosa era quella relativa all'epoca medievale: un sito citava infatti il convento delle Figlie di Dio come sede di ristoro e stazionamento di miserabili e farabutti e lo collocava fra le porte Sainct-Denis e Montmartre. Non una passeggiata: quelli erano quartieri piuttosto ampi, sicuramente godibili in una bella passeggiata, ma cercare un posto che non era mai esistito, o forse sì, e senza alcuna indicazione specifica era un delirio.
Stava quasi per rinunciarvi quando trovò il nome di una Piazza, Place Lino Ventura e anche se il contorno dell'informazione non sembrava particolarmente attinente al convento, era pur sempre qualcosa.
Osservava quegli edifici così tipicamente parigini, affacciati su una piazza illuminata da altrettanto tipici lampioni in ferro battuto e dove, di giorno, erano aperti negozi, ristonatini, bar, ma ora le saracinesche erano tutte abbassate, le luci dei locali spente tranne quelle soffuse di un vecchio guinness pub poco frequentato.
Si guardò un po' intorno e scocciato si accese il drum che si era tirato su camminando in quella direzione. Portava ancora le scarpe bordeaux lucide che aveva indossato per lo spettacolo all'Operà, il completo grigio chiaro con camicia bianca solcata da una cravatta rossa e si sentiva un po' un pesce fuor d'acqua dato che gli unici ragazzi che aveva incrociato vestivano di jeans e magliette sgualcite. Sedette su una panchina lignea, fredda e prese a guardarsi intorno piuttosto infastidito: era riuscito a rovinarsi una splendida serata per correre dietro alle ammalianti gonne di una ragazza che l'aveva semplicemente incuriosito.
Eppure lei conosceva il suo nome e doveva assolutamente comprenderne il motivo. Non l'aveva più vista né in platea, né sui palchetti che era riuscito a perlustrare col cannocchiale di Azalea, né all'uscita dell'Operà, quando il balletto era ormai concluso. Aveva cercato una treccia bionda e una gonna bianca senza risultato: erano tutti scuri tranne lei e il completo grigio perla che lui indossava.
Guardò la punta rovente del tabacco arrotolato e scosse il capo in un diniego rassegnato: era uno stupido.
Si alzò in piedi, gettò quel che rimaneva del drum in un tombino e si avviò verso Rue de Martyrs; si era già lasciato la piazza alle spalle quando una risata lo fece bloccare all'improvviso. Si voltò di scatto e vide un uomo e una donna a braccetto correre allegri verso la parte opposta della piazza. Lei portava una lunga gonna di velluto bordeaux e lui una giacca dello stesso materiale e colore, ma non erano quelli gli elementi più interessanti, no: entrambi erano mascherati.
Li aveva visti di sfuggita, dapprima di profilo e poi di spalle, ma avrebbe giurato sui suoi preziosi colori a olio che quelle fossero maschere del carnevale veneziano, non maschere qualunque. Si incamminò frettoloso verso la direzione intrapresa dai due sconosciuti e, una volta svoltato l'angolo di Avenue Trudaine, quello che vide lo lasciò senza fiato: sulle isole pedonali che dividevano le carreggiate destinate al traffico automobilistico, almeno un centinaio di persone stavano ballando, scatenati in una melodia che probabilmente udivano solo nella loro testa dato che non c'era il minimo accenno di musica nell'aria.
Strinse le palpebre più volte e molto forte, incredulo di fronte a quel delirio di corpi infuriati da chissà quale canzone e, senza quasi rendersene conto, si incamminò verso l'isola della follia, attratto come gli orsi dal miele.
Le luci dei lampioni erano basse e accarezzavano gli alberi e i profili dei presenti con fioca intensità, sul selciato era ben visibile una quantità smodata di coriandoli multi colore. Camminava in mezzo a loro senza quasi essere notato, o meglio, quella era la sua sensazione: tutti indossavano delle maschere e in quella penombra non riusciva assolutamente a cogliere lo sguardo di nessuno.
Ma lei spiccava in mezzo a tutti: vestita di bianco e azzurro chiaro, con la chioma bionda libera dalla treccia sfoggiata all'Operà, gli dava le spalle e con le lunghe braccia rivolte al cielo dimenava i fianchi in una danza ipnotica.
Le si avvicinò silenzioso, i suoi passi si mescolarono al rumore di quelli di tante altre persone e riuscì a coglierla di sorpresa quando le spuntò alle spalle, con il viso quasi premuto al suo orecchio sinistro.
___ « Il convento delle Figlie di Dio?» Domandò in un sussurro e, quando lei scattò voltandosi, con un'espressione completamente allibita dipinta in volto, lui le sorrise sprezzante.
___ « Oddio. Ci hai trovati veramente?» Sussurrò confusa.
___ « Ho trovato, chi?» Si adeguò al suo tono basso istintivamente, anche se non riusciva a capire il motivo di tanto silenzio.
___ « Lo sapevo! Era il destino!»
Conosceva quella ragazza da poco meno di due ore e già riusciva a fargli saltare i nervi.
___ « Destino, cosa? Chi sei tu, dama bianca? Come conosci il mio nome?» E lei in tutta risposta gli sorrise, un'espressione affilata e sinistra che lo inquietò, ma cercò di non darlo a vedere per non concederle anche questa soddisfazione. Aveva un vantaggio su di lui, era evidente, ma non le avrebbe concesso anche di cibarsi della sua agitazione.
___ « Dama bianca mi piace. Seguimi.» Gli fece un cenno e si incamminò su per l'isola pedonale, scansando i ballerini con movimenti sguiscianti, nemmeno fosse una vipera.
___ « Cosa fate? Siete tutti impazziti?» Le domandò affiancandola di nuovo e lei rise, indicandosi l'orecchio destro nel quale, ora poteva notare, c'era infilata un auricolare bluetooth.
___ « Si chiama silent disco.» Gli spiegò picchiettando sulla cuffia. « Lo facciamo per non avere rotture con la gendarmerie. Così non possono romperci le palle anche se invadiamo suolo pubblico: non facciamo niente di male. Balliamo, non ci sbronziamo per strada, non ci sono bottiglie di alcolici in vista e non lasciamo sporcizia, bhé … » La vide smuovere un po' di coriandoli in terra, grazie a un leggero struscio di una scarpa. « A parte questi. Ma sono un po' la nostra firma e ci assicuriamo sempre che vengano raccolti dalla nettezza urbana il giorno dopo.»
Un gruppo ben organizzato, dunque. Annuì senza risponderle e, mentre la teneva sotto tiro con la coda dell'occhio, timoroso che potesse sparire da un momento all'altro, osservò le piccole aiuole che delimitavano l'isola pedonale: qui vi erano piantate delle lampade a energia solare che sembravano quasi delineare un percorso, come una pista d'atterraggio. Si interrompevano davanti a un passaggio pedonale e riprendevano davanti all'entrata di un palazzo, infilzate dentro dei vasi di fiori. La dama bianca si diresse proprio verso quel palazzo.
___ « Dove stai andando?»
___ « Ti è piaciuto il balletto?»
___ « Sei disarmante.»
___ « E' un eufemismo?»
___ « E' un dato di fatto.»
Lei ridacchiò e lui sbuffò, irritato e intimamente divertito.
Stavano entrano in un palazzo signorile, con ingresso in marmo pregiato e un'ascensore antica, con l'anima in radica e il vano a vista. La guardò aprire le porte con le manopole d'ottone, entrare e appoggiarsi contro una parete e lui la seguì, richiudendo le ante alle proprie spalle.
___ « Schiaccia l'ultimo piano.»
Obbedì senza dire nemmeno una parola, quindi si appoggiò dalla parte opposta dell'ascensore, di fronte alla bionda e cercò i suoi occhi coi propri.
___ « Perché non porti una maschera?»
___ « La mia maschera è di sopra. Sono arrivata da poco e mi hanno bloccata di sotto. Oh, bhé, mi sono fatta bloccare.»
Risero appena e non dissero più nulla perché erano arrivati: piano attico, una sola porta d'ingresso per quel pianerottolo elegante e raffinato.
___ « … Non stai per farmi commettere un crimine, vero?»
___ « Perché, ti fermeresti a questo punto?»
Di nuovo quel sorriso e lui non poté fare a meno di socchiudere le palpebre e digrignare i denti; quando la dama bianca suonò alla porta, si sentì scattare la serratura, ma il battente si aprì appena per via di una catena di sicurezza all'interno della casa.
___ « Parola d'ordine.» Proferì una voce maschile, profonda.
___ « Vuoi dirla tu, Dean?» Lei gli fece cenno di avvicinarsi e lui, finalmente, capì. Si avvicinò con passo sicuro e, una volta accostate le labbra alla fessura, se le umettò con la punta della lingua e socchiuse gli occhi prima di pronunciare quella frase.
___ « Le rou est fou et je danse avec les fous.» (1)
Quando la porta si spalancò davanti a loro, lei lo precedette all'interno dell'attico, ma senza dargli le spalle; aprì le braccia e gli sorrise divertita.
___ « Benvenuto alla Corte dei Miracoli.»



Quando aveva dovuto salvare la sua Odette, il Principe Siegfried aveva seguito la sua amata fra le acque in tempesta del lago, cercando di difenderla, ma ne era stato inghiottito insieme a lei prima di rinascere insieme come cigni. Felici avevano volato sulle acque del lago accarezzando l'alba di un nuovo giorno.
Lui e Svetlana avevano riso, dietro le quinte: lei lo aspettava accanto ai materassi sistemati sotto le scenografie, pronti ad accoglierli dopo il “salto nelle acque” e gli aveva preso le mani stringendole forte, commossa. Non aveva mai visto quella ragazza piangere: la fredda russa, più gelida del ghiaccio, aveva le lacrime agli occhi. E lui le sorrise, l'abbracciò e uniti in quella stretta aspettarono insieme la fine del quarto atto, ascoltando il rumore che le punte del corpo di ballo producevano sul parquet del palco.
Quando uscirono per prendersi i loro applausi, il primo ballerino, Olivier Blanchard e la prima ballerina, Svetlana Nikolaevna Smirnova, furono accolti con calore e tutti in sala si alzarono in piedi, in una standing ovation che gli bloccò il respiro.
Si inchinarono deferenti, professionali, senza però nascondere i sorrisi che sfociavano spontanei sui loro volti; anche il corpo di ballo li aveva applauditi e lui si era sentito in paradiso.
Aveva cercato il volto di sua nonna in platea e lei era lì, oltre l'orchestra, in prima fila accanto a Thalie ed entrambe applaudivano entusiaste, con un sorriso da un'orecchio all'altro e la nonna piangeva, commossa. Era stato vedendo quelle lacrime che non era riuscito a trattenersi: una stilla salata era riuscita a sfuggire al suo controllo rigandogli la guancia destra.
Si era inchinato di nuovo, per dissimulare e, quando avevano finalmente calato il sipario, si era potuto concedere un profondo respiro seguito da una risata sguainata, carica di tutto il nervosismo che non si era potuto permettere di provare durante lo spettacolo.
Si era guardato a lungo di fronte allo specchio del trucco e finalmente si era sentito realmente parte di qualcosa di grande, di giusto: lui doveva essere lì. Doveva danzare all'Operà di Parigi, alla Scala di Milano, al Metropolitan di New York City e avrebbe interpretato lo Schiaccianoci, Romeo e Giulietta, Gisele … era stato svezzato, era stato apprezzato e ora tutto gli sembrava finalmente concreto oltre che possibile.
Osservava il mazzo di rose bianche che gli avevano regalato sul palco e quello di orchidee viola mandatogli dalla nonna e Thalie in camerino: aveva pianto di nuovo, come un allocco e ora, a vedere quei fiori riposti in un vaso costoso di quell'attico pretenzioso, si sentiva di nuovo sopraffatto dall'emozione. La Corte si era riunita per festeggiare lui, Svetlana e gli altri ragazzi che oltre a far parte del corpo di ballo dell'Accademia, erano anche membri di quella spericolata e pazza famiglia. Le musiche di Tchaikovsky erano state sostituite da assordante musica techno, elettronica, R&B, zarra al punto giusto e lui ballava, dimentico della disciplina della danza classica, circondato da quelle stesse ragazze che fino a un paio d'ore prima erano fasciate da tutù di raso bianco e portavano i capelli raccolti in crocchie eleganti, ora sferzati all'aria nemmeno fossero metallari a un concerto di Ozzie Osbourne. Rise quando Svetlana lo incitò a salire su un cubo di legno scuro e l'accontentò, dimenando i fianchi, le spalle, le natiche, abbassandosi ed alzandosi mentre piroettava sul posto; era sovreccitato e accaldato da quella pioggia di feromoni e testosterone e dall'alcool che gli scorreva copioso in corpo: credeva di non capire più nulla e probabilmente era così.
Infatti lo vide. Lo vide esattamente quando si stava atteggiando come una zoccola, mentre si raschiava il labbro inferiore con gli incisivi e sospirava languido accarezzandosi le cosce fino alle ginocchia, risalendo poi verso il ventre. Continuò a ballare ma non schiodò gli occhi chiari da quella visione perché doveva capire se era effettivamente reale: sguardo curioso e attento che sembrava poter cogliere il benché minimo movimento intorno a lui, portamento da damerino, capelli castani, un abito che gli calzava come un guanto su quelle spalle larghe che avrebbe voluto accarezzare in tutta la loro superficie.
Scarpe lucide, un abito grigio perla, camicia bianca, cravatta rossa, nessun accenno di barba e quelle splendide labbra carnose schiuse in una smorfia sorpresa. Il naso proporzionato, le sopracciglia folte e gli occhi che brillavano di una luce dorata, riflessa dalle centinaia di candele che avevano sistemato sui ripiani più alti dell'attico. E lo stavano fissando, quegli occhi.
Sentì un tuffo al cuore, ma non riusciva a non ricambiare quello sguardo e non poteva smettere di ballare perché sapeva che se fosse sceso da quel cubo, avrebbe fatto un'enorme cazzata.
Sorrise invece, spinto dalla disperazione e dal tasso alcolico e portò le mani alla nuca, scompigliandosi sensualmente i capelli biondi e distogliendo finalmente l'attenzione da lui si accosciò sui talloni e afferrò Svetlana per poterla portare sul cubo con sé.
Cercare di non ammazzarsi insieme alla prima ballerina della loro compagnia era sicuramente una distrazione perfetta per evitare di perdersi ancora in quegli occhi e per cessare di farsi mille e una domande, tutte più o meno incoerenti e poco chiare persino alla sua mente, tranne una: cosa ci faceva Dean a una festa della Corte?





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Capitolo 4: La Corte dei Miracoli *
* lei è Thalie <3
Questa è la canzone che andava quando Olivier balla vedendo Dean: CliQ!
(1) Il re è pazzo e io danzo coi folli.
U.U concedetemi il beneficio del dubbio! Conosco molto bene Parigi e mi sono documentata parecchio prima di scrivere - sono una precisina, lo so - ma per quanto riguarda lo spettacolo all'Operà, mi rendo perfettamente conto che, 99 su 100, non succedono queste cose! Ma è una storia scritta di mio pugno, mi va così e spero vi piaccia! Commentate, please y_y/



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Capitolo 6
*** Tango a Parigi; ***


La Dama bianca si era allontanata lasciandolo da solo in quell'attico dove regnava la penombra. Era enorme, ben arredato con un gusto chic, dove moderno e retrò si mescolavano alla perfezione dando vita a un'ambiente confortevole: si poteva respirare il passato e il presente, romanticismo e innovazione.
Osservò le candele, centinaia, forse migliaia appoggiate sulle mensole più alte, in cima ai mobili, infilate nelle applique e nelle abat-jour al posto delle lampadine e poi guardò quella calca di persone, dovevano essercene almeno un'ottantina a colpo d'occhio, e tutti ballavano, ridevano e si divertivano a ritmo di una dubbia canzone che era certo facesse parte della colonna sonora dell'ultimo film di Sofia Coppola. Si immerse nel salone principale dove dovevano essere stati spostati i mobili per creare una sorta di pista da ballo: il pavimento era parquet a spina di pesce scuro e divani e poltrone poggiavano alle pareti donando ristoro a chi volesse riposarsi, o una superficie orizzontale morbida a chi volesse flirtare, anche se i veri amanti erano quelli intrecciati in evoluzioni di pura passionalità danzante.
Al centro della pista, poi, c'era un cubo: un cubo nero, sistemato lì in mezzo come un podio e i piedi che vi erano appoggiati calzavano mocassini scamosciati azzurro carta da zucchero, di buona fattura. Sollevò lo sguardo ed ebbe un sussulto: uno sguardo cristallino lo aveva freddato, delle iridi così azzurre non le aveva mai viste. Deglutì a fatica e assottigliò le palpebre nell'osservare quel ragazzo: era snello, alto, flessuoso, indossava jeans chiari e una camicia bianca aperta su un petto glabro e muscoloso. Aveva i capelli biondi e portava una mezza maschera che gli nascondeva la parte sinistra del viso: era la luna veneziana. Una maschera azzurra, blu e argento, riccamente decorata da alamari e lustrini che sembrava essere stata confezionata sul suo viso.
E lo fissava, non gli schiodava gli occhi di dosso: ballava e lo guardava. Il suo corpo seguiva il ritmo in un modo seducente e inebriante, dominava il cubo come se non avesse fatto altro in vita sua e, magari, davvero era un animale da discoteca. Quello che sicuramente sapeva era che quel raggio di Luna era bellissimo, sensuale e avrebbe voluto fotografare ogni centimetro del suo corpo per imprimerlo per sempre in una pellicola, in una memoria digitale, nella sua di memoria.
Si scosse quando il ballerino distolse lo sguardo e, in una serie di movenze che non potevano essere definite altro che lussuriose, issò con sé sul palchetto una bionda magra come un chiodo, sorridente e sicuramente un po' alticcia; finalmente riconobbe in loro la coppia di primi ballerini che aveva deliziato il pubblico dell'Operà di Paris e non poté proprio fare a meno di sbarrare gli occhi, sconvolto.
___ « Ehi, muoviti!»
La mano della Dama bianca gli aveva cinto il polso e lo aveva obbligato a seguirla vicino al camino che troneggiava nel salone: era acceso, lì intorno faceva caldo, forse per questo erano tutti mezzi svestiti. Lei lo teneva in una presa gentile, ma solida e la guardò fare cenno a qualcuno di abbassare la musica, cosa che avvenne e che lo fece sudare freddo per un attimo.
___ « Mendicanti ed emarginati! Relitti della società, artistoidi, ballerini, attori e cantanti, ultimo scorcio della cultura bohemien di questa nuova Parigi, prestatemi ascolto!» Tutti smisero di fare quello che stavano facendo e si voltarono verso di lei, ammaliati e curiosi quanto lo era lui. « Benvenuti alla nostra serata danzante, Corte dei Miracoli!»
Lei si inchinò in un movimento sinuoso e la sala esplose in un applauso esagerato: chi era quella ragazza? Chi era la Dama bianca alla Corte dei Miracoli?
___ « Questa serata è stata organizzata per festeggiare i nostri amici andati in scena all'Operà di Parigi.» Rivolse un cenno morbido della mano destra al cubo dove ancora erano in piedi, abbracciati, i primi ballerini della compagnia di danza che sorridevano forse un po' imbarazzati e stavano guardando l'oratrice del momento. No, Raggio di luna guardava lui.
« E quale modo migliore di celebrare il loro successo se non quello di inaugurare questa festa con una prova?» Aveva calcato col tono l'ultima parola addotta e gli aveva rivolto uno sguardo in tralice, affilato. « Ho invitato un nuovo amico, qui, fra di noi.» Lo indicò e per la prima volta in vita sua sarebbe voluto profondare: tutte quelle maschere, attente, gli rivolsero i loro sguardi in penombra e quasi si sentì violato.
___ « … Prova?» Mormorò in un filo di voce che solo la Dama bianca poté udire e gli sorrise, divertita, iniziando a girargli intorno come uno squalo attorno alla sua preda.
___ « Una prova d'artista. Puoi decidere tu se recitare, ballare o cantare e qualora la folla t'acclami, sarai membro ufficiale della Corte: diventerai nostro fratello, sarai invitato alle nostre serate, potrai entrare a far parte dell'elité di Parigi!» Lo stava un po' prendendo in giro, era chiaro: tutti erano scoppiati a ridere, divertiti dalle parole della bionda e dal suo savoir-faire così teatrale. « Il tutto ovviamente se sei interessato! Mhn ...» Gli rivolse un cenno e capì che si sarebbe dovuto presentare da solo, che lei non avrebbe rivelato il suo nome davanti a tutti.
___ « Caesar.»
___ « Caesar.» Ripeté lei in un accento parigino delizioso. « Non sei obbligato, ovviamente, ma - »
___ « Tango.» L'aveva interrotta bruscamente e si stava sfilando la giacca grigio perla per poterla abbandonare su una poltrona accanto al camino.
___ « Tango?»
___ « Hai sentito bene, Dama bianca
Non amava ripetersi e non l'avrebbe fatto nemmeno per lei. Un mormorio si sollevò nella sala mentre si arrotolava le maniche della camicia bianca a tre quarti; mollò leggermente il nodo windsor della cravatta di seta rossa e quando le rivolse lo sguardo sembrò essere lei quella basita, per la prima volta da quando le loro strade si erano incrociate.
Poi, in un'espressione morbida, gli aveva sorriso.
___ « Tango.»
La musica cambiò di colpo: dall'assordante rumore di quelle canzoni da discoteca, passarono a una sinfonia composta da fisarmoniche, armoniche, violini e altri strumenti ad arco che in quel momento non aveva il tempo di studiare. La pista si era sgombrata e, dall'altro lato della sala, la Dama bianca si stava liberando del giacchino azzurro pastello e lo guardava dritto negli occhi, seria.
Lui mosse il piede destro sul parquet, strisciando volutamente la suola e la punta della scarpa prima di adagiarne la suola sul pavimento e lei fece altrettanto, ma dal lato opposto rispetto a quello intrapreso da lui così da poter girare in cerchio. Si studiarono così, distanti per cinque passi e quando la musica aumentò di volume in un crescendo di strumenti accoppiati a strani suoni elettronici che rendevano la melodia più moderna ed emozionante, entrambi si mossero verso il centro della sala e prima che potesse rendersene conto aveva la gamba destra della ragazza attorcigliata al lato opposto del suo corpo; due delle loro mani si erano fuse in una stretta ferrea, il suo braccio sinistro le cingeva la vita, piegato col gomito in fuori tenuto alto per poter ospitare il tocco delicato della man dritta di lei.
Non si guardavano più: il volto della Dama bianca era rivolto verso il basso in un'espressione austera, lui fissava gli astanti intorno a loro oltre la spalla candida di quella compagna di ballo conturbante. E si mossero in una simbiosi perfetta: lei si lasciava guidare come la più perfetta delle compagne di danza e lui la condusse elegante, passionale, improvvisando una coreografia ispirata dalla musica e dall'atmosfera che respirava in quell'attico. Percorrevano la pista in senso antiorario, spostandosi per tutta la sua superficie e non lesinando su figure tipiche del ballo argentino: giri, parade, molinete, lui la guidò intorno a sé facendola ruotare come un mulino attorno a un asse.
Il ritmo aumentò e quando raggiunsero nuovamente il centro della pista, Dean si accorse che altre coppie di ballerini si erano messi a danzare insieme a loro: erano in ritardo di pochi secondi perché imitavano i loro movimenti. Erano sicuramente tutti professionisti: in molti erano rimasti a bordo pista, ma le coppie che ballavano adesso erano fenomenali. Fece ruotare la Dama bianca su un piede, in un avvitamento che dapprima l'avvicinò a sé e poi l'allontanò: si guardavano dritti negli occhi, le braccia tese e le mani strette in una presa che, lentamente, lei allentò. Gli sorrise in quel modo che lo faceva impazzire, che gli faceva venir voglia di prenderla per le spalle e scuoterla, urlarle addosso, chiederle il perché di quell'espressione diabolica, ma lei era già stata catturata da un altro partner e lui si trovò fra le braccia una mora burrosa. Increspò le labbra e la condusse come aveva fatto con la Dama bianca: non voleva farla sentire speciale, era uguale a quella ragazza vestita di verde che prese per un attimo il comando della coppia invitandolo a seguirla verso il basso quando lei compì una spaccata ai suoi piedi. Sbarrò gli occhi, estasiato sia dalla figura che dal fatto che tutte le donne danzanti l'avevano eseguita: in quel momento una decina di ballerini fissavano le dame ai loro piedi, chi ammaliato, chi divertito, chi eccitato.
Quando la compagna si tirò su, nuovamente eseguirono una nuova rotazione e mentre la mano che si saldava attorno alla sua cambiava, lui si guardò intorno: accanto a sé c'era Svetlana Nikolaevna Smirnova, stretta nell'abbraccio di un'altra ragazza, più alta di lei e vestita con uno smoking blu elettrico. Sorrise di quella anomalia piacevole e, quando si trovò a posare la mano sinistra sulla schiena dell'altra metà della coppia di cui era parte, aggrottò appena le sopracciglia e girò di scatto il viso, trovandosi per la seconda volta nel giro di poche decine di minuti a provare un brivido freddo lungo la spina dorsale.
Quei due occhi azzurri lo stavano fissando dritto nei propri color nocciola, il sinistro celato dalla penombra creata dalla maschera a spicchio di luna che indossava. E gli sorrideva, sorridevano quelle labbra sensuali e sembrava un elfo, o una ninfa, una creatura mitologica accarezzata dalle luci calde delle candele che risaltavano la sua mascella squadrata, il mento affilato e gli zigomi un po' sporgenti. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, chiedergli il suo nome anche se sapeva benissimo chi fosse, ma gli archi crebbero d'intensità ed entrambi vibrarono insieme alle corde di quegli strumenti invisibili: spinse a retrocedere quel Raggio di luna e lui lo seguì senza batter ciglio. Gli occhi azzurri del ballerino lo catturarono completamente e per un attimo dimenticò dove fosse: la sua concentrazione era completamente rivolta al partner e alla musica che insieme stavano interpretando.
C'era complicità fra loro, una profonda intesa di coppia che sperimentò per la prima volta sulla sua pelle: erano spinti a intrecciarsi in prese strette e ad allontanarsi in figure più aperte, poi di nuovo ad avvicinarsi in una serie di variazione che nemmeno ricordava di aver mai sperimentato. Invase il suo spazio e l'altro fece altrettanto, si fermarono e spostarono i piedi infilandosi repentinamente l'uno fra le gambe dell'altro, crearono incastri che si sciolsero nel giro di una battuta, nei cambi di tensione fra morbide carezze e prepotenti intrusioni in un continuo attrarsi e respingersi pur senza sciogliersi mai dall'abbraccio che avevano creato.



___ « Caesar.»
Si chiese perché mai Dean avesse scelto di chiamarsi in quel modo, forse era un egocentrico con manie di grandezza, o magari era un appassionato di storia antica, più probabilmente era il primo nome che gli era venuto in mente.
Svetlana gli diede una leggera gomitata quando sentirono la parola “tango” e lui sorrise, rivolgendole uno sguardo rapido prima di tornare a guardare il protagonista dello show. Thalie lo stava marcando stretto, ma lui sembrava perfettamente in grado di tenerle testa. Li guardò sfidarsi con lo sguardo e poi col corpo, intrecciati in un ballo appassionato che li vedeva complici, ma contemporaneamente antagonisti: lei voleva prevalere quanto lui, si lanciavano sguardi di fuoco col risultato di rendere ancor più convincente la loro danza.
Non aveva potuto resistere: porse la mano a Svetlana e lei l'accettò con entusiasmo, precedendolo in pista e voltandosi in una mezza piroetta fra le sue braccia. Gli altri membri della compagnia li imitarono, i ballerini della Corte dei Miracoli li seguirono in pista e quella che doveva essere la prova di ammissione di un nuovo membro, si era in fretta trasformata in un tango di gruppo piuttosto stupefacente. Gli uomini delle coppie guardavano tutti Dean, lo imitavano e seppur fossero in leggero ritardo rispetto a lui, il seguito non stonava intorno alle punte di diamante: sembravano un insieme di rispettosi sudditi intenti a rendere omaggio ai loro sovrani.
Non aveva potuto esimersi nemmeno dal prendere la mano libera di Dean quando, al secondo cambio, la mora Sophie l'aveva lasciato libero di cambiare partner: si era stretto a lui, adattandosi al ruolo solitamente femminile della coppia e quando aveva colto sorpresa e delizia nei suoi occhi, gli aveva sorriso.
Ballare con quel ragazzo, poi, gli era sembrata la cosa più semplice del mondo e fra le sue braccia si sentiva … al sicuro. E stupido, molto stupido anche solo a pensarla una cosa del genere, nemmeno fosse un adolescente alle prese con la sua prima cotta. Perché Dean era una cotta e lui non era più in possesso della razionalità necessaria per negarlo: lo cercava con lo sguardo il martedì, su quella panchina ai piedi di Montmartre e chiedeva di lui alla nonna, voleva sapere cosa mangiava, cosa beveva, se aveva letto un libro mentre consumava il suo pranzo solitario al bistrot o se semplicemente era rimasto seduto al tavolo vicino alla vetrina, il suo preferito, ad osservare la gente che passava. Se lo immaginava lì, con lo sguardo perso nel vuoto a dipingere il mondo coi colori a olio e non ne conosceva il motivo, ma sentiva che Dean dipingeva coi colori a olio.
Che toni avrebbe miscelato per dipingere i suoi occhi? Qual era il color del miele? Glielo avrebbe voluto chiedere, avrebbe voluto domandargli tante cose, ma non riusciva a far altro che schiudere le labbra, espirare e richiuderle, completamente rapito dai movimenti del partner, dal suo modo ipnotico di danzare.
Gli trasmetteva una gamma infinita di emozioni, riuscivano a comunicare coi loro corpi e non si sentiva svilito, perché Dean non cercava di prevalere, ma si intrecciaa a lui invitandolo a compiere alcuni movimenti, senza imporgli nulla, salvo quando intorno a loro gli altri ballerini cambiarono di nuovo i partner e il pittore lo strinse a sé impedendogli di abbandonarlo.
I loro cuori mancarono un battito esattamente nello stesso istante: lo sentì quando i petti si scontrarono, il suo vergognosamente nudo contro la camicia di cotone bianca di Dean; alzò il viso e si perse nello sguardo seducente di quel ragazzo, un giovane uomo dagli occhi capaci di interdirlo, confonderlo e accaldarlo.
Poi quelle battute finali in cui lui lo condusse in una perfetta chiusura: lo invitò, in una giravolta, a chiudersi nel suo abbraccio, la propria schiena contro quella di Dean che scivolò verso il basso, il ginocchio sinistro a terra e la gamba destra a formare una perfetta seduta per lui che, accomodatosi sulla coscia dell'altro, appoggiò la mancina sul suo viso, le dita spalancate a ventaglio e la gamba opposta allungata e tesa verso l'esterno, in una perfetta sentada.
Ed esistettero solo loro, per un attimo: entrambi respiravano affannosamente, un po' per lo sforzo appena compiuto, ma soprattutto per le emozioni che avevano provato durante il ballo. Sentiva di potersi cibare di quegli occhi e dell'anima che riflettevano, quei due laghi di miele in cui avrebbe voluto intingere le dita, sporcandosi il corpo con la sua consistenza appiccicosa e il suo sapore dolce.
___ « … Posso … offrirti da bere?»
Sentiva la sua voce lontana, stentava a riconoscere quel tono sconvolto, un sussurro arrochito che sembrava il miagolio di un gattino infreddolito.
E lui gli sorrise, con quella bocca carnosa, deliziosamente circondata da un sottile strato di barba incolta ad arte che si contrasse in un'espressione di pura sorpresa quando intorno a loro sentirono grida e applausi, un clamore impazzito che altri non era se non il suggello dell'accettazione di Dean nella Corte.
Si alzò dal rifugio del suo corpo, lasciando scivolare la mancina dal suo viso accarezzandoglielo e quando il calore del ragazzo lo abbandonò, improvvisamente si sentì imbarazzato dei suoi gesti arditi.
Lo guardò in tralice, circondato da tutti i ballerini che si complimentavano con lui e ne approfittò per scappare verso l'enorme cucina dell'attico, arredata con mobili lucidi bianchi e neri, in contrapposizione perfetta con le pentole di rame che si vedevano far capolino oltre i vetri trasparenti di alcune vetrinette. Si arrampicò sopra uno degli sgabelli intorno all'isola centrale che l'ospite aveva adibito a bar self service e si versò un bicchiere di vino rosé frizzante, tenuto in fresco insieme a qualche altra bottiglia dentro un'enorme ciotola di rame dove galleggiavano cubetti di ghiaccio in via di scioglimento.
Sentì la musica farsi di nuovo più ritmata e qualcuno urlò come un indiano nel selvaggio west, cosa che lo fece sorridere, rilassandolo. Avvicinò le labbra al bordo del bicchiere e bevve un lungo sorso, notando con la coda dell'occhio qualcuno che andava a sedersi proprio accanto a lui, arrampicato su un altro alto sgabello. Ruotò appena il busto per poter inquadrare chi fosse e quando incrociò quegli occhi color del miele, gli andò di traverso il vino.
___ « Ehi! Non morirmi ora!» Le mani calde di Dean lo soccorsero aiutandolo con decide pacche sulla schiena e lui tossì, arrossendo come un pomodoro maturo, vergognandosi da morire della figuraccia appena fatta.
___ « … S – scusa …»
Lui gli sorrise e versò dell'acqua fresca dentro un bicchiere che fece scivolare sul bancone, verso di lui.
___ « Bevi lentamente. Tranquillo.»
Annuì e cambiò drink, ristorandosi con la freschezza dell'acqua. Socchiuse per un attimo gli occhi e quando li riaprì, lui lo stava ancora fissando.
___ « Sei stato magnifico questa sera.» La sua voce era calda, il tono basso e suadente lo avvolgeva come una coperta morbida.
___ « Oh … il tango non è la mia specialità. Sei stato bravo tu a condurre: dove hai imparato?»
___ « A Buenos Aires. Ho passato lì un'estate. Ad ogni modo mi riferivo al balletto all'Operà.» Lo vide inclinare appena il viso e osservarlo meglio, quasi stesse cercando di togliergli la mezza maschera della luna veneziana con lo sguardo.
E si sentì nudo, davanti a lui.
___ « … Eri all'Operà.» Non era una domanda, cercava semplicemente di capacitarsi della cosa.
___ « Sì. Lì la Dama bianca mi ha intercettato, nella pausa fra il secondo e il terzo atto e mi ha attirato qui. In un modo un po' contorto, ci ho messo parecchio a trovare questo posto, ma ci sono arrivato.»
___ « Thalie ti ha portato qui.» Di nuovo, non era una domanda.
___ « La Dama bianca si chiama Thalie?» Gli domandò lui in un sorriso tranquillo, perfettamente a suo agio.
___ « … Sì … » Mormorò in risposta, confuso.
___ « Non sei molto … comunicativo, a parole, vero Olivier? Posso chiamarti Olivier o anche tu hai un nome in codice strano?»
___ « No, no, chiamami Olivier.»
___ « Io mi chiamo Dean.»
___ « Non Caesar?»
___ « No, per te sono Dean.»
Per lui era Dean. Avrebbe potuto prenderlo in giro, appellandosi a un nome fittizio, giocando con un'identità falsa che si era inventato per tutti gli altri, ma non per lui. Gli venne la pelle d'oca e si chiuse la camicia sul petto, in un gesto pudico per nulla repentino, forse ai suoi occhi appariva come un completo idiota: algido Principe sul palco del più famoso teatro parigino, passionale tànghero fra le sue braccia e fragile biondino facile all'imbarazzo appena smetteva i panni del ballerino.
Ma lui era così e non riusciva a simulare, soprattutto con lui, accanto al quale era già difficile ricordarsi di respirare.
___ « Si è fatto un po' tardi …» Mormorò Dean, guardando un orologio d'acciaio che portava al polso destro. « Domani devo alzarmi molto presto, questa tappa era proprio fuori programma, devo andare.»
___ « Mhn ...» Gli rivolse un mezzo sorriso, convinto che volesse semplicemente sganciarsi da lui con la più banale delle scuse.
___ « Come posso mettermi in contatto con te?» Gli chiese invece, gentile.
___ « … Perché?» Si sarebbe voluto fucilare da solo per la sua risposta idiota, ma Dean gli rivolse un sorriso morbido e si accostò a lui, ormai in piedi.
___ « Mi vuoi offrire da bere, no? E poi devi spiegarmi come funziona questa cosa della Corte dei Miracoli. Se è tipo il “fight club”, come devo comportarmi, la Dama bianca, … mhn, Thalie, mi mette un po' d'ansia.»
E rise, rise di una risata spontanea grazie alle sue parole altrettanto genuine grazie alle quali si rilassò e trovò il coraggio di guardarlo di nuovo negli occhi, senza sentirsi sopraffatto dal loro colore, dal taglio allungato verso l'interno, dall'espressività infiammante.
___ « Ti do il mio numero di cellulare se trovo una penna.»
___ « Ho il mio iphone, segnalo.» Lo estrasse dalla tasca interna della giacca del completo grigio chiaro che indossava e glielo porse dopo averlo sbloccato. Per prenderlo gli sfiorò la punta delle dita e si deliziò di quel contatto fugace.
___ « Ecco. L'ho segnato … scrivi tu il nome, non sono bravo con questi aggeggi, ho ancora un vecchio nokia scassato.»
___ « D'accordo. Niente whatsapp.»
___ « Cosa?»
___ « Nulla, nulla!»
Abbassò lo sguardo verso lo schermo vergognosamente grande dell'iphone per evitare di imbambolarsi a guardarlo mentre rideva e notò che aveva scritto “Olivier” accanto al nome, ma stava segnando anche qualcosa vicino alla voce del cognome.
___ « Cosa scrivi?» Domandò curioso, sporgendosi appena in avanti, le mani ambedue ancorate al bordo della seduta dello sgabello.
___ « Raggio di luna.» Rispose tranquillamente l'altro, mostrandogli il nuovo contatto che si era appena creato: Olivier, Rayon de lune.
Si sforzò di non arrossire o strabuzzare gli occhi, limitandosi a un sorriso mellifluo, all'apparenza tranquillo.
___ « Ti chiamo domenica sera, va bene?»
___ « Sì, non c'è problema.»
___ « D'accordo … salutami la Dama bianca, se la incroci. Ciao, Olivier.»
Alzò una mano sorridendogli sghembo, fissandolo uscire dalla cucina con gli occhi calamitati contro la sua schiena.
L'avrebbe vista eccome Thalie e le avrebbe urlato in faccia perché per colpa sua si sarebbe fotocopiato il cellulare alla mano fino a domenica, scattando per ogni minima attività telefonica.





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Capitolo 5: Tango a Parigi;
Cliccando Qui , trovate la playlist che ho ascoltato in loop scrivendo della scena di tango!



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Capitolo 7
*** Chérie; ***


___ « Sei stato distante per tutto il week end, Dean.»
Scivolò con lo sguardo dal fianco del treno inglese fino al volto dell'amico al quale rivolse un sorriso appena accennato.
___ « Lo so Taylor, scusami. Sono in ansia per un esame.» Mentì spudoratamente e l'altro scosse il capo, in un cenno di diniego molto fomentato.
___ « Tu preoccupato per un esame? Che stronzata, Dean! But don't worry (1), mica mi offendo! Mi racconterai i tuoi drammi parigini quando ne avrai voglia.»
Si abbracciarono in fretta e lui salì sul treno, rivolgendo un ultimo sguardo e un cenno di saluto alle sue spalle prima di inoltrarsi nella carrozza, alla ricerca del suo posto. Sistemò la sacca di cuoio nello scompartimento sovrastante e si dileguò verso la carrozza cinema, dove sapeva non avrebbe trovato nessuno prima della partenza del treno. Mentre camminava sbloccò l'iphone, entrò nella rubrica e scorse lo schermo fino alla lettera “O”, dove faceva capolino un solo contatto: Olivier, Rayon de lune. Sorrise e premette la punta dell'indice sul suo numero prima di avvicinarsi il cellulare all'orecchio.



La domenica era il suo unico giorno libero.
Non aveva le prove, si rifiutava di allenarsi e la nonna teneva chiuso il bistrot perché quello era il giorno del riposo e lei aveva tutte le intenzioni di passarlo a rilassarsi dopo aver assistito alla messa delle undici su alla Basilica del Sacro Cuore.
Olivier solitamente si alzava verso le nove, concedendosi un paio d'ore in più di sonno rispetto ai giorni lavorativi; si preparava la colazione e la consumava nella sua stanza leggendo un libro, ascoltando musica, guardando un film o i telefilm di cui gli parlavano sempre le sue amiche, all'Accademia.
Quella domenica, invece, non riusciva ad alzarsi dal letto: erano quasi le dieci e mezza ed era ancora abbracciato al suo cuscino, gli occhi azzurri velati dalla voglia di dormire che non voleva abbandonarlo e il cellulare ancora acceso, con la suoneria inserita, appoggiato sul comodino accanto al letto queen size.
Sospirò flebilmente quando sentì le campane della Basilica e ne contò i rintocchi fino a dieci, più il gong della mezza, ma ancora non riusciva a trovare la voglia di uscire dal cantuccio caldo della sua trapunta sfumata, azzurra e bianca. Rotolò supino, la testa appoggiata al secondo cuscino e lo sguardo rivolto alle travi di legno sul soffitto: aveva appeso, proprio sopra il letto, un grosso acchiappasogni blu formato da un cerchio centrale e due più piccoli laterali, dai quali scendevano delle belle piume color ocra, sfumate in marrone scuro sulla punta. Da piccolo soffriva di insonnia ed era stata sua nonna a spiegargli che l'acchiappasogni, impregnato di magia bianca e del suo amore, avrebbe catturato gli incubi che gli impedivano di dormire e l'avrebbe cullato in un sonno dolce e riposante. E aveva funzionato, sempre: faceva solo sogni infantili, soffici e riusciva sempre a svegliarsi riposato e a dare il buongiorno alla nonna col sorriso sulle labbra.
Quella notte, però, tornato a casa quasi all'alba, non aveva preso sonno subito e le poche ore che era riuscito a dormicchiare le aveva passate a rigirarsi nel letto, agitato.
___ « … Toc – toc, Ollie? Posso entrare?»
Rivolse lo sguardo all'ingresso, e si rigirò abbracciando nuovamente il cuscino accanto a lui, ma non rispose: si limitò a osservare la porta di legno bianca che si apriva e Thalie che ne faceva capolino, sorridente.
___ « Ehi! Cucciolo, che c'è? Stai male?»
Scosse il capo e le fece cenno di entrare con la mano destra, che ciondolava oltre il bordo del letto.
___ « Ti ho portato lo spuntino di metà mattina, credevo di trovarti già in piedi! Bhè, lo ricicleremo come colazione.» Si sedette sul letto accanto a lui, vestita con una mini gonna a ruota rosa pallido e una canottiera bianca, lucida, sormontata da una quantità spropositata di fili di perle nere. Finte, ovviamente, ma molto fini.
___ « … Mhn … credevo dormissi all'attico.»
___ « Sì, ho dormito lì. Ma mi sono alzata presto, sono abituata così, lo sai! Devo fare il pane per il bistrot e non mi pesa. Mi piace guardare il sole che albeggia sui tetti parigini.» I lunghi capelli biondi di Thalie gli solleticarono un braccio e la sua mano calda gli accarezzò i capelli, dolcemente. « E poi ieri sei andato via senza salutarmi e volevo scusarmi con te. Sei arrabbiato?»
Non la guardava, teneva gli occhi fissi sulla porta bianca, con le palpebre a mezz'asta. Soppesò le sue parole, ci ragionò qualche attimo prima di risponderle; prese un respiro profondo per gonfiarsi il petto ed espirare dalle narici aria calda, con le labbra strette fra loro in una morsa un po' irritata.
___ « No.» Aveva ancora la voce impastata e sicuramente un alito pestilenziale, quindi decise di tirarsi a sedere e le fece cenno di fare altrettanto. « Che mi hai portato?»
___ « Il roll alla cannella che ti piace. E caffé latte con lo sciroppo d'acero.»
Teneva la bocca stretta, ma gli scappò comunque un sorriso che si estese agli occhi e lei lo percepì perché gli si avvicinò scoccandogli un bel bacio rumoroso sulla guancia. « Tieni.» Gli porse la brioche calda, quella strana rotella morbidissima con sopra la glassa e dentro la salsina di zucchero e cannella che lui amava, anche se detestava il sapore di quella spezia su qualunque altro piatto.
___ « Grazie.»
___ « Figurati, chérie.»
___ « Adesso mi spieghi cosa diamine ti è passato per l'anticamera di quel cervellino malefico ieri? Come hai … cioè, come sei riuscita a portarlo lì? Ci sono rimasto secco, stavo per cadere dal cubo e atterrare su Svetlana. L'avrei uccisa!»
___ « Non credo proprio, pesi venti chili bagnato, Ollie, semmai l'avresti ammaccata un po'.» Lei stava già spezzando il suo roll e guardava la pasta della brioche che si divideva fra le sue mani, quasi ipnotizzata. « Devo provare a cucinarli sti cosi … non sarà poi così difficile, no?»
___ « Thalie! Rispondimi una buona volta!»
___ « Ah! Sì, giusto.» Annuì e bevve un sorso dal suo bicchiere di Starbucks prima di continuare. « Ero nel salone giù, al piano terra e stavo scroccando del succo di mirtillo, quando l'ho visto appoggiato al bancone del bar, che beveva champagne. Dai! Olivier, io te lo avevo detto che era destino. Questo tizio lo incontriamo ovunque, non è che Parigi sia poi così piccolina, no?» Gli diede una gomitata divertita e proseguì. « Allora mi sono messa a giocare un po' con lui. E' intelligente, il ragazzo. Si è incuriosito e ha trovato il convento da solo, io gli avevo detto solo il nome.»
___ « Ah.» Encomiabile, senza ombra di dubbio.
___ « Eh. Il resto è storia, l'hai visto anche tu. E se posso permettermi, Ollie ...»
___ « No! Non puoi permetterti!» Sbottò interrompendola e sapeva di essere arrossito, difatti si raggomitolò le ginocchia contro il petto e vi nascose contro il viso, imbarazzato.
___ « Come se mi avesse mai fermato una tua negazione. Eravate incredibili, in pista. Lui ti guardava in quel modo strappa mutande e tu avevi la faccia degli astronauti quando vedono la terra al loro primo lancio aerospaziale!»
___ « … Che poi mi chiedo come tu possa conoscere le espressioni degli astronauti quando vedono la terra al loro primo lancio aerospaziale...»
___ « Oh checcacchio Ollie! Zitto e mosca, mi fai perdere il filo del discorso!» Gli tirò uno schiaffo dietro la nuca e morse il roll, gustandosi quel boccone prima di riprendere la conversazione. « Quindi, fratellino, non mi pento proprio di averti arpionato il tuo bello. Gli hai almeno parlato dopo quel tango infuocato?» Domandò sporgendosi in avanti, verso di lui, cercando di intercettare il suo sguardo che faceva capolino poco oltre le ginocchia raccolte al petto.
___ « … Sì.» Mormorò tirandosi su, con la schiena ben dritta, in un moto di orgoglio dettato più che altro dallo stomaco che gli ordinava di mangiare immediatamente quella prelibatezza che teneva fra le mani. « Perché … insomma, q – quando abbiamo finito di ballare, gli ho chiesto se potevo offrirgli da bere e lui diciamo che è venuto a prendersi il mio numero per riscuotere.» Affondò immediatamente i denti e parte del viso sul roll e guardò la sorella con la coda dell'occhio: lei aveva un sorriso da tempia a tempia, la bocca spalancata e lo fissava ad occhi strabuzzati, in un misto di stupore e orgoglio.
___ « Ma che bravo Ollie!»
___ « Zitta, zitta! Ho fatto una tremenda sciocchezza!» Esclamò improvvisamente furioso e lei sembrò più sconvolta di prima, improvvisamente svuotata di ogni entusiasmo.
___ « E perché cazzo, se posso?» Gli chiese in uno sbuffo esasperato.
___ « P – perché … perché lo sai che sono impedito. Io sono capace solo di ballare. E … e non sono bravo a intrattenere le persone, non sono in grado di tenere su un discorso interessante, non sono come … te.» Mormorò in fine, abbassando lo sguardo. « E se andasse male? Insomma, se non gli piacessi proprio? Lui mi ha visto ballare all'Operà, sul cubo e il tango. L'ho intrigato per quello, non con la mia personalità. Se si accorgesse che sono solo un corpo nato per danzare, vuoto di tutto il resto? Ci rimarrei malissimo, Thalié. Lo sai.»
___ « Sì Olivier, ma se i “se” e i “ma” fossero cazzi, staremmo tutti a far orge. E non mi sembra che tu abbia qualche uomo nel letto.»
Non se lo aspettava.
Arrossì di nuovo e spalancò gli occhi, guardando la sorella basito.
___ « E non fissarmi con quell'aria da verginella pudica scandalizzata! Non puoi mica fare per sempre così. Lo so che hai paura di essere rifiutato, però amore mio: bisogna rischiare, nella vita. E non puoi vivere di sola amicizia con quegli stecchini che ti porti appresso dall'Accademia. Hai bisogno di nuove esperienze, di innamorarti, di vivere un amore travolgente e intenso perché, in prima istanza te lo meriti, tu sei una persona meravigliosa, fratellino mio e, in seconda istanza, quando riuscirai a provare quella bruciante passione che scalda il cuore di un innamorato, danzerai come non hai mai fatto fin'ora.» L'ascoltò in silenzio, guardandola con aria spaurita, mangiucchiando distrattamente il suo roll. « E non dico che Dean sarà l'amore della tua vita, figuriamoci, magari non sarà nulla, no? Uscirete, lui non piacerà a te e tu non piacerai a lui, non vi vedrete più. Però, invece, potrebbe essere qualcuno di importante. Io credo nel destino, lo sai e lui … c'è troppo nella tua vita di recente per non essere qualcuno di importante. Forse vi siete incontrati in un'altra epoca e ora vi state cercando! Sarebbe così romantico … » E se lei sospirò come un'eroina idilliaca punta da una freccia di Cupido, lui scoppiò a ridere, finalmente rilassato, più tranquillo.
___ « Come sei sciocca, Thalie!»
___ « Lo so, lo so. Allora, quando lo chiami?»
___ « Mi chiama lui. Questa sera, ha detto.»
___ « Ottimo! Allora, mi raccomando non dirgli di vedervi subito, sennò sembri o disperato o in cerca di una botta e via. Organizza per i primi giorni della settimana, in maniera casual: fatti desiderare, ma non troppo.»
La guardava come si guardano i matti, ne era conscio, più che altro perché non capiva assolutamente che cosa stesse blaterando.
___ « … Q – quindi martedì sera va bene?»
___ « Sì, direi di sì. Ma se lui è il primo a proporre e dice domani sera, non mandarlo a stendere. Oh, bhè, poi capirai dal suo tono se è impaziente di vederti per un motivo nobile o solo perché ce l'ha ancora duro dopo il vostro ballo di fuoco!»
___ « THALIE! »
___ « Wahaha! » E mentre lei scoppiava a ridere in quel modo sguainato, divertente sia da sentire che da guardare, un musetto bianco fece capolino dall'ingresso e lui sorrise, allungando le mani verso il cucciolo.
___ « Ciel! Vieni qui, amorino mio! Salvami da questa bestia orrenda di tua zia!» L'husky bianco ansimò felice, scodinzolando mentre di lanciava in un balzo agile sopra il letto; immediatamente soffocò entrambi di baci e la sua stanza di riempì delle loro risate e degli uggiolii pregni di amore e venerazione del piccolo Ciel. E mentre guardavano un film, tutti e tre sdraiati sulla trapunta azzurra e bianca, lui rivolse per un attimo lo sguardo verso la finestra che faceva da cornice a un cielo azzurro dove il sole splendeva ardente e si rese conto che pensare a Dean, ora, non gli faceva più così paura.




___ « Pronto?» Il cellulare aveva suonato due volte prima che lui rispondesse.
___ « Olivier, sono Dean.» Lo aveva riconosciuto, la sua voce dolce che snocciolava con cautela, nemmeno avesse paura del semplice parlare.
___ « … » Lo sentì espirare piano, prima di rispondergli. « Ciao, Dean.»
___ « Mi senti bene? Scusami, ma sono sul treno.»
___ « Sì, ti sento bene.» Lo rassicurò sbrigativo, senza chiedergli nulla sul perché lo stesse chiamando dalla carrozza di un treno in movimento, particolare che l'inglese trovò particolarmente intrigante.
___ « Cosa vuoi offrirmi da bere?» Gli domandò accomodandosi su una delle poltrone della sala cinema, sprofondandovi contro pesantemente.
___ « … Un Pastis?» Faceva quasi fatica a sentirlo tanto era flebile il tono con cui gli rispondeva. Sorrise e immaginò il suo viso un po' imbarazzato mentre, impacciato, cercava di dissimulare quel lieve disagio ostentando un broncio fiero.
___ « Vino rosé e pastis, sei proprio un parigino a d.o.c.»
___ « Non è detto, tutti i francesi bevono vino rosé e pastis.»
___ « Touche …»
___ « Quando vogliamo incontrarci?» Era impaziente e quella leggera agitazione che percepì provenire dall'interlocutore lo investì come una ventata d'aria fresca sul viso, piacevole.
___ « Domani sera.» Non voleva essere un'imposizione, ma si rese conto troppo tardi che poteva risultare come tale. « Cioè … se sei libero, ovviamente.»
___ « Sì, sì, sono libero. Puoi passarmi a prendere all'Accademia, finisco le prove alle cinque e mezzo il lunedì. E' un'orario accettabile per un aperitivo?»
___ « Più che attendibile, direi.» Annuì al nulla, ridendo interiormente di quella domanda così tremendamente innocente.
___ « Bon … »
___ « Oui
___ « … Dean?»
___ « Dimmi.»
___ « Questo è il tuo numero privato? Che in caso mi salvo il contatto.»
Arcuò entrambe le sopracciglia a quella stramba domanda che decisamente non si aspettava, proprio no.
___ « Sì, sì è il mio numero francese.»
___ « Bene, parfait. Ci vediamo domani allora, buon viaggio.»
E chiuse la conversazione così, su due piedi, lasciandolo interdetto a fissare lo schermo dell'iphone dove la traccia di quella telefonata venne assorbita fra le chiamate effettuate, durata due minuti e quarantacinque secondi. Era ancora incredulo quando gli vibrò il cellulare fra le mani: Olivier, Rayon de lune; questa volta era il suo turno di rispondere un po' intimorito.
___ « … Sì?»
___ « Dean, conosci l'indirizzo dell'Accademia?»
Quel tono preoccupato gli fece increspare le labbra in un sorriso largo e compiaciuto.
___ « No! Ma lo troverò, non preoccuparti.»
___ « D'accordo … se non lo trovi mandami un messaggio, alle tre e mezza facciamo una pausa di un quarto d'ora.»
___ « Okey, Olivier.»
Lo sentì sospirare leggero, poi sobbalzare in un gemito lieve, come si fosse reso conto in quel momento di essere ancora al telefono.
___ « Bene, ciao!» Di nuovo gli sbatté il telefono in faccia, ma questa volta incredibilmente la cosa lo fece ridere.





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Capitolo 6: Chérie.
(1) Ma non preoccuparti;
Io amo profondamente Thalie! ( Si legge “talì” il suo nome u.u ), credo ormai sia chiaro che i personaggi in realtà parlano in francese! Ogni tanto scrivo qualche parola nella loro lingua madre, giusto per dare più enfasi, ma in realtà parlano sempre e solo francese, a parte Dean con Taylor: loro dialogano in inglese! ;)



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Capitolo 8
*** Acqua e fuoco; ***


Lo guardava seduto su quella sedia di vimini, più precisamente rannicchiato perché sembrava volervi sprofondare e lo ascoltava, dato che incredibilmente Olivier era partito in quarta e non gli aveva quasi dato modo di parlare.
Gli stava raccontando dello stage di latin dance che avevano affrontato durante quella giornata all'Accademia e di come l'energia e la velocità con cui i maestri si esibivano, l'avevano lasciato di stucco. Sorrideva estasiato, gli occhi azzurri erano sempre un po' spalancati e pregni di una luce particolare: gli sembrava di fissare fiamme liquide, la perfetta mescolanza di acqua e fuoco, che Olivier era proprio così, acqua e fuoco.
___ « Non vedo l'ora che sia la prossima settimana! Mademoiselle Eva ci farà lezione tutti i lunedì di Ottobre!» Il suo sorriso era contagioso e lo ricambiò prima di sorseggiare il Pastis.
___ « Parlando da ignorante: non è strano che dei ballerini classici affrontino un po' tutte le specialità di danza? Credevo che il vostro fosse un mondo molto chiuso ...» Azzardò quella domanda ricevendo in cambio una flebile risata.
___ « Lo credono tutti e tendenzialmente è vero. Ma Madame Papillon crede che potremo esprimere meglio le nostre potenzialità solo se conosceremo la danza a tutto tondo. In fondo si tratta solo di un giorno a settimana, i restanti quattro sono tutti relevé, plié, pirouettes e compagnia briscola.»
___ « … Madame Papillon?» Chiese sbarrando le palpebre.
___ « ...Oui … qualcosa non va?» Lo guardava con aria colpevole, timoroso di avergli inflitto chissà quale offesa, ma lui semplicemente rise.
___ « Scusami, essendo inglese mi fa ridere abbastanza che la tua insegnante di danza si chiami Madama Butterfly.» Le ultime due parole le snocciolò in un inglese londinese e Olivier dapprima sorrise, poi scoppiò a ridere di una risata cristallina, spontanea.
___ « Hai ragione! Sono talmente abituato, che ...» Scosse il capo e piegò il ginocchio destro verso lo sterno, appoggiando la suola delle sue polacchine sul bordo della seduta in vimini. « E' stata una delle più grandi ballerine di danza classica del passato. Sono orgoglioso di essere suo allievo.»
___ « Vuoi insegnare anche tu, Olivier? In futuro intendo.»
___ « N – non lo so.» Acqua. Placido, mansueto in superficie, con un'agitazione interna data dalla corrente d'imbarazzo che gli procurava parlare di se stesso. « Tu … sei inglese.» Ripeté con lo sguardo fisso sul suo bicchiere di Pastis. « Che cosa ci fai a Parigi?» Gli domandò tentando di non apparire maleducato nel non guardarlo, difatti gli rivolse un rapido sguardo e un sorrisino imbarazzato prima di trovare conforto nella visione del suo aperitivo, che ora teneva in mano.
___ « Studio scienze politiche alla Sorbonne.»
___ « Ah sì?» Sembrava sorpreso, difatti alzò il viso in uno scatto e lo fissò dritto negli occhi, confuso.
___ « Sì. Ma ho scelto di seguire i corsi a Parigi e non a Londra per poter imparare il francese.»
___ « Hai fatto così anche con lo spagnolo? Hai parlato di Argentina, l'altra … v – volta.» Doveva essergli venuto in mente il tango, citando il loro ultimo incontro e difatti balbettò appena, impacciato e tremendamente adorabile: le sue dita giocavano col bordo del bicchiere, non aveva ancora sorseggiato l'aperitivo se non per il doveroso brindisi iniziale che si erano scambiati e anche lì si era appena bagnato le labbra.
___ « Sì. Non ti piace il Pastis, quindi?»
___ « Cosa?» Lo aveva preso in contropiede, obbligandolo nuovamente a guardarlo.
___ « Non hai bevuto quasi nulla …» Constatò indicandogli in un cenno morbido il liquido torbido quasi del tutto intatto.
___ « Oh … è che di solito bevo qualcosina solo il sabato sera. Non sono abituato, non mi viene spontaneo.»
___ « Vuoi qualcos'altro?»
___ « Non volevo sembrare maleducato dopo averti invitato a bere proprio un Pastis.» Si prodigò a sottolineare, leggermente sovrappensiero. Poi scattò nuovamente, la schiena ben dritta e le spalle aperte. « No, no! Lo bevo, tranquillo. Devo solo ricordarmi che esiste.»
Quelle parole lo colpirono: aggrottò appena le sopracciglia e lo fissò come se volesse spogliarlo non solo dei vestiti, ma anche della pelle, del sangue, delle ossa e leggergli l'anima. Avrebbe voluto capire che cosa passava per quella mente passionale e riservata; Olivier era una contraddizione vivente e lo intrigava quel suo modo delicato e attento di sfiorare con la punta delle dita qualunque cosa avesse sotto mano per potervi rivolgere lo sguardo, evitando così gli occhi del suo interlocutore non per scortesia, ma per timidezza.
___ « Perché hai studiato tango in Argentina?» Gli domandò passando la punta dell'indice destro su tutto il bordo circolare del bicchiere, quasi in trance.
___ « Non l'ho studiato, l'ho appreso per osmosi.» Ammise accavallando la gamba destra sull'opposta. « E' un ballo nato in strada e a Buenos Aires lo ballano ancora lì, o nei locali. Dopo un po' era impossibile non essere coinvolti, le donne argentine non si lasciano rifiutare.»
___ « Ahn ...» Era un po' a disagio, ma si sforzò di sbuffare una specie di risata. « Capito. Mi sai dire l'ora, Dean?»
___ « … Sì. Sono le … » Un'occhiata al polso destro. « Sei e trenta. Devi andare da qualche parte?»
___ « Sì.» Quella risposta non se l'aspettava proprio. Sospirò, un po' frastornato e bevve un copioso sorso di Pastis. « Mi piacerebbe che venissi con me, però.»
Lo aveva freddato di nuovo.
___ « Certo. Dove devi andare?»
___ « Non avresti prima dovuto chiedermi dove e poi, in caso, accettare?» Fuoco. Le sue labbra erano incrinate in un sorrisetto leggermente malizioso, divertito e i suoi occhi lo fissavano con l'intensità bruciante di un rogo a cielo aperto.
___ « Io sono strano.»
Non gli rispose, si limitò a mantenere il sorriso e il contatto visivo fintanto che estraeva una banconota da dieci euro da una tasca dei jeans e la appoggiava sul tavolino, assicurandola sotto un piccolo vasetto che ospitava una pianta grassa.
___ « Devi promettermi di non spaventarti, però.» Parole che avrebbero dovuto per lo meno allarmarlo, invece lo intrigarono.
___ « Tenterò. Non ti chiedo dove andiamo, ma non posso assicurare una determinata reazione così, no?»
___ « Touché.» Gli rispose alzandosi in piedi con innata grazia, perché Olivier sembrava nato per danzare e lo faceva con ogni suo più piccolo movimento, con ogni singolo gesto o sguardo.
Il biondo lasciò il Pastis praticamente intatto sul tavolo, la banconota e si voltò dopo aver compiuto un paio di passi sul marciapiede: lo fissò in un tacito invito a seguirlo e lui si alzò in fretta, forse troppo impaziente dato che quella spianta quasi ribaltò la sedia alle sue spalle. Ma non vi badò, totalmente rapito da quel mistero che era Olivier, dalla sua risata timida e spontanea, che sicuramente aveva trovato divertente il suo scatto. E gli sorrise affiancandolo, chiedendogli nuovamente della latin dance un po' per metterlo a suo agio, ma soprattutto perché adorava come la fiamma interiore di Olivier divampava mentre parlava di danza, del suo mondo incantato dove lui era il primo ballerino indiscusso.



Dean non gli staccava mai gli occhi di dosso e incredibilmente la cosa non lo infastidiva. Il suo sguardo era curioso, studioso, uno sguardo d'artista, non era indiscreto. Sapeva che la sua timidezza lo faceva sfociare nella maleducazione a volte, ma all'inglese non sembrava importare, anzi, cercava sempre di metterlo a suo agio perché capiva quando lui stava per chiudersi a riccio. Si sentiva un deficiente completo, avrebbe voluto prendersi a sberle da solo, ma si sarebbe affrontato nell'intimità della sua stanza sottotetto, non di certo accanto a quel ragazzo stupendo che era oltretutto gentile e tremendamente coinvolgente.
Lo faceva impazzire il modo in cui Dean non rispondeva quasi mai alle sue domande e, se lo faceva, si prendeva tutto il tempo necessario, soppesava le sue parole con cura, ma senza macchinosità e poi cambiava argomento, sorridendogli tranquillo.
Lo aveva seguito senza porre domande sulla loro meta, lo ascoltava parlare di danza, dallo stage di latin dance alle lezioni di Madame Papillon e sembrava seriamente interessato, sinceramente coinvolto dalla conversazione tanto che, quando lui si bloccava, Dean gli faceva nuove domande con quella voce morbida e il suo aplomb tipically english che su qualunque altro abitante del Regno Unito sarebbe risultato rigido e macchinoso, invece a lui calzava come un guanto.
Camminavano fianco a fianco, quando possibile, passarono accanto al Moulin Rouge senza donargli nemmeno un'occhiata e quando si inoltrò per una delle pittoresche strade che portavano su a Montmartre, Dean ebbe solo un lieve sussulto e si guardò intorno un istante, prima di tornare a rivolgergli gli occhi color miele.
Gli stava raccontando dell'emozione che aveva provato a calcare il palco dell'Operà National de Paris, di quanto si era sentito a suo agio, nel posto giusto al momento giusto, di come tutto il pubblico era scomparso inglobato dalle luci di scena perché mentre danzava esistevano solo Svetlana e gli altri membri del corpo di ballo, persino l'orchestra si riduceva a diventare un unico, enorme agglomerato nero dal quale proveniva la musica di Tchaikovsky, note da interpretare danzando, facendo impattare le punte rigide sopra al parquet rovinato dai migliori ballerini di tutto il mondo. E quell'attacco di logorrea l'aveva portato persino a superare la loro meta, difatti si bloccò di colpo in mezzo alla strada, zittendosi per potersi guardare intorno, confuso.
___ « Tutto bene?» Gli chiese l'altro con voce incrinata dalla preoccupazione e lui gli rivolse lo sguardo e per un attimo si perse nella contemplazione del suo viso.
Un deficiente, era un deficiente.
___ « Sì, mi sono perso. Cioè, non nel senso reale del termine, ma abbiamo camminato troppo, ero preso dalla conversazione, vieni!» Intimò cambiando senso di marcia e, dopo essere piroettato di centottanta gradi, utilizzando come perno il tallone destro, Dean rise appena e lo seguì senza batter ciglio, almeno finché non si fermarono davanti al portone verde scuro sito accanto all'ingresso del Bistrot.
___ « … Ma … »
___ « Non preoccuparti. Vieni.»
Non si voltò verso di lui, infilò semplicemente le chiavi nella toppa d'ottone e aprì il battente rivelando un accogliente corridoio stretto, che sfociava su una breve scalinata composta da cinque gradini interrotta dalla porta d'ingresso della loro abitazione.
___ « Tu abiti qui?» Gli domandò Dean e dal tono sembrava confuso.
___ « Sì.» Una risposta semplice ad un'altrettanto semplice domanda.
Cercò la chiave giusta nel piccolo mazzo che portava sempre con sé, quindi aprì anche quella porta, che era azzurra così come lo erano le pareti e il soffitto dell'ingresso di casa Blanchard.
___ « Olivier Blanchard … oddio, ma sei il nipote di Madame Blanchard?»
E se il suo tono gli pareva stupito, quando si voltò per potersi gustare la sua espressione colse l'essenza pura della meraviglia, alla voce “sorpresa” sul vocabolario avrebbero dovuto mettere una foto del volto di Dean in quel momento. Lui lo avrebbe sicuramente comprato.
___ « Sì.» Questa volta lo fece apposta per esasperarlo a dargli una risposta sfuggente, seppur affermativa e quando si inoltrò in casa si sentì potente, per una volta tanto: era riuscito a sconvolgerlo, a intrigarlo e Thalie sarebbe stata orgogliosa di lui. Ma tutta la scenetta enigmatica in cui lui recitava la parte di un misterioso personaggio conturbante, venne irrimediabilmente rovinata dall'entrata in scena di Ciel che gli si lanciò in braccio con l'agilità di un gatto, cogliendolo completamente di sorpresa tanto che si ribaltò all'indietro, atterrando di chiappe sul pavimento in cotto del piano terra della loro casetta très français.
___ « Ciel!» Si lamentò ammonendo il cucciolo che, però, dopo avergli fatto le feste cercò di riservare la stessa calorosa accoglienza anche al loro ospite, ma Dean non si fece cogliere impreparato e si limitò ad accovacciarsi sui talloni, per farsi annusare e leccare e per poter affondare le sue mani grandi fra il pelo candido dell'husky.
___ « Pft … tutto … t – tutto bene Olivier?» Cercava di trattenersi dal ridere, un vero gentleman.
___ « Cazzo, no!» Digrignò i denti e lo guardò con gli occhi lucidi per la botta presa e che quel siparietto di spontaneità fece scoppiare a ridere l'inglese, che pareva irrefrenabile.
___ « E così siamo qui per te, vero piccolino? Devi andare a fare la passeggiata? Il tuo padroncino è in ritardo per colpa mia?»
___ « No, il padroncino ha solo il culo rotto per colpa sua.» Sibilò tirandosi in piedi, una mano a massaggiarsi la natica destra che aveva attutito il colpo. E Dean rise di più e a quella visione lui capì di essersi appena lasciato andare a sproloqui per niente educati, che lo fecero arrossire completamente.
___ « Scusami, è colpa di quella sbroccata di mia sorella: quando perdo il controllo parlo come lei ...» Afferrò il guinzaglio attaccato a un appendino nell'ingresso e rivolse uno sguardo al piano superiore prima di uscire di casa e tirarsi dietro la porta. Dean si alzò, aveva un sorriso devastante dipinto in viso e fu lieto di essere già della stessa tonalità di un pomodoro maturo, così non avrebbe notato l'effetto che gli faceva la sua espressione rilassata e divertita.
___ « Hai una sorella?» Domandò curioso, seguendolo fuori dal portone verde scuro.
___ « Thalie è mia sorella.»
___ « …. COSA!?»
E mentre l'inglese strillava basito, Ciel li aveva già preceduti in strada e lui rise appena di quella reazione, superandolo per poter seguire il cucciolo e tenerlo d'occhio. Quando gli passò accanto, in quello spazio angusto, sentì l'odore della pelle di Dean e se ne beò traendo un profondo respiro.
___ « Che c'è? Non te l'ha detto?» Sapeva che lei non l'aveva fatto, ma giocare un po' con quel ragazzo lo divertiva.
___ « N – no, no. Figuriamoci. Mi ha solo subissato con frasi senza senso, facendomi venire il nervoso. E … io ti ho anche detto che mi metteva ansia!»
___ « Non devi preoccuparti di questo, Thalie mette ansia a chiunque non la conosca bene.» Gli indicò il cielo e lui seguì la direzione del suo dito, soffermandosi solo un istante a guardargli la mano prima di adocchiare ciò che gli stava mostrando. « Guarda, questa sera il cielo si tingerà di rosa.» Conosceva bene il cielo di Parigi e quel particolare indaco di cui si era tinto poteva indicare solo che di lì a qualche attimo si sarebbe dipinto di pennellate calde e intense.
___ « Adoro Parigi al tramonto.»
___ « Davvero?»
___ « Sì. A Londra il tramonto è quasi sempre grigio: le nuvole non lasciano molto spazio alla tavolozza del sole.»
___ « Vieni con me.» Di nuovo sentì di averlo preso in contropiede; gli sfiorò il polso mentre si fiondava di nuovo verso il portone di casa e Ciel lo seguiva, allegro, scodinzolando come un ossesso. L'aprì, si voltò per sorridergli. « Fidati!» E Dean si fidò, senza farselo ripetere due volte: salirono in fretta le scale strette e ripide della loro casa sviluppata su quattro piani e quando si trovarono all'ultimo, lui spalancò la porta azzurra della sua stanza senza timore, dirigendosi senza fermarsi alla grande finestra che aprì e si arrampicò sul piccolo davanzale di pietra, voltandosi per potersi gustare la faccia curiosa e un po' eccitata del suo ospite.
___ « Ce la fai?» Si morse il labbro inferiore in un gesto spontaneo, quindi uscì all'aria aperta andando a camminare un po' acquattato sul tetto grigio. La conformazione particolare dei tetti parigini era conosciuta e ammirata in tutto il mondo e lui aveva sempre amato quella precisione ordinata, nemmeno fossero stati disegnati con righello e squadra e un'attenzione maniacale ai dettagli. Abbaini, comignoli e tubi, scale e scalette e quelle finestre che facevano da cornice alle mille e una storie tutte diverse che gli abitanti di quella città vivevano tutti i giorni. E quando Dean uscì dalla sua cornice bianca, sedendosi accanto a lui sulla superficie leggermente incrinata, gli sembrò che un nuovo capitolo della sua storia fosse appena iniziato.
Dean guardava il tramonto e lui guardava Dean. I suoi occhi riflettevano alla perfezione i colori caldi di cui si era tinto il cielo e non aveva bisogno di guardarli in altro modo. Era un filtro perfetto.
___ « Ti piace?» Si rannicchiò le ginocchia al petto e vi appoggiò la guancia destra, senza distogliere l'attenzione dalla tela perfetta che era Dean.
___ « E' … mozzafiato.»
___ « Già ...» E che non parlava del tramonto era chiaro persino a Ciel che, con le zampette anteriori appoggiate al davanzale della finestra, ululava al sole, adagio, cantando così una nenia piuttosto gradevole.
___ « Olivier … posso chiamarti di nuovo in questi giorni?»
___ « Cosa fai sabato sera?»
Dean ruotò il viso e aveva un sopracciglio increspato in un'espressione perplessa.
___ « Solitamente torno a Londra.»
___ « Vuoi venire in un posto con me?»
___ « Sì.»
E gli sorrise, tranquillo, beandosi di quella semplice sillaba che in quel momento gli era suonata come la più bella melodia del mondo.





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Capitolo 7: Acqua e Fuoco
Bene, ora basta rose e fiori <:



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Capitolo 9
*** Furia rossa; ***


Percorreva Boulevard de Rochechouart sovrappensiero, con la borsa di cuoio carica del suo materiale da pittura che gli pesava sulla spalla destra e gli auricolari infilati nelle orecchie che riproducevano una canzone a cui non stava badando.
Era stata una bella giornata: sole splendente, cielo azzurro, nessuna nuvola all'orizzonte.
Rosso di sera, bel tempo si spera”, citava il detto, e si trovò a sorridere al pensiero del tramonto che aveva guardato dal tetto della stanza di Olivier, con lui. Quel ragazzo riusciva a bloccargli i pensieri: diceva e faceva sempre qualcosa che non si aspettava, non era ordinario e nemmeno spocchioso, adorabilmente timido e tremendamente sensuale. Il suo corpo era poesia, si muoveva con un'eleganza che gl'ispirava mille disegni; voleva dipingerlo, voleva che posasse per lui per cercare la perfetta mescolanza di colori a ottenere l'azzurro infiammante dei suoi occhi. E quegli occhi lo inchiodarono improvvisamente all'asfalto, facendogli perdere il passo e un battito.
___ « Olivier!»
___ « Dean!» Aveva un sorriso ampio dipinto in volto e quegli occhi, quelle splendide iridi erano illuminate da una contentezza genuina, spontanea.
___ « Che … coincidenza.» Sfilò gli auricolari e li posò intorno alle spalle. « Fai jogging? Ehi, Ciel ...» Sì chinò in avanti per poter accarezzare il cucciolo di Husky, che gli aveva già piantato le zampette anteriori sui jeans verde scuro e ora gli leccava le mani, affettuoso.
___ « Sì, sì, passiamo sempre di qui, due giorni a settimana. Dove vai di bello?» Sembrava curioso, più a suo agio del giorno prima, come se condividere quel tramonto fosse riuscito a spianare una delle barriere che il ballerino si era costruito intorno per proteggersi dagli altri e lui ne approfittò.
___ « A dipingere. O disegnare, o fotografare. Dipende.» Rispose indicando in un cenno morbido Parigi intorno a loro. « In questo preciso punto di Parigi, la luce di fine giornata è ispirante.»
___ « Chi credi di essere stato?» Gli domandò il francese, stuzzicandosi il lato destro della bocca con la punta della lingua. « Pissarro? O magari Van Gogh! O Picasso, mhn … forse Hemigway, potresti essere stato anche uno scrittore, no?»
___ « Devo scegliere fra gli artisti di Montmartre e Montparnasse?»
___ « Oui
___ « Allora dico Toulouse-Lautrec.»
___ « Sei troppo alto per essere stato Lautrec!»
___ « Ehi, forse il brodo primordiale mi ha concesso un'altezza dignitosa dopo essermi beccato la sifilide, aver sofferto di allucinazioni, paranoia e probabilmente cirrosi epatica.»
___ « Sicuramente cirrosi epatica.» Rideva e poi si buttò in avanti con la schiena, le mani appoggiate sulle ginocchia per prendere fiato. « Uff, mi si raffredderanno i muscoli.»
___ « Lasciali raffreddare.» Suggerì speranzoso, guadagnandosi un'occhiata in tralice, dal basso all'alto. « Voglio dire … potremmo fare due passi insieme.»
___ « Puzzo.»
___ « Non mi sembra affatto.»
___ « Forse l'abuso di alcool della tua vita precedente ti ha fregato l'olfatto, Dean.»
___ « Dunque non hai scuse per rifiutare. Lo vuoi un tea? O … cosa bevete voi francesi, alle cinque? Caffè-latte in tazza grande con dentro tutte quelle porcherie sciroppate che gli Starbucks espongono come trofei?»
___ « Un tea andrà benissimo, grazie. All'inglese, magari.» Si tirò su e piegò il braccio sinistro di modo da puntare il cielo col gomito, la mano che si appoggiava sulla sua schiena mentre l'opposta spingeva sul tricipite.
___ « D'accordo, aspettami qui.» Si infilò dentro una caffetteria lì accanto, completamente dimentico dei programmi che aveva fino a quel momento. Mentre aspettava l'ordinazione rivolse lo sguardo oltre la vetrina e si perse nella contemplazione di quel ragazzo che, rannicchiato sui talloni, giocava col suo cucciolo dal manto candido e rideva spensierato, attirando gli sguardi di chiunque gli passasse accanto. Aggrottò la fronte, recuperò due bicchieri e un sacchettino che infilò nella borsa e una volta fuori dalla caffetteria si fermò davanti a lui.
___ « Ma tu lo sapevi che mangio da Madame Blanchard quasi tutte le settimane?» Solo in quel preciso istante il pensiero lo aveva sfiorato, tuttavia lo sguardo che il francese gli rivolse, dissipò ogni suo dubbio. « Lo sapevi.»
___ « Ti ho visto ogni tanto andar via … non ci siamo mai incrociati. E mia nonna parla di te, quando vieni al locale.» Ammise alzandosi in piedi e non lo guardava, l'aveva intimidito. « Quando ti ho visto all'attico, mi è preso un colpo.» Era sincero, poteva captarlo e gli dispiacque vedere come torturava il guinzaglio di Ciel con le unghie, scaricando così il nervosismo che l'aveva invaso.
___ « E' stato il destino.» Gli sorrise e porse il bicchierone take away. « Tea al latte, volevi qualcosa tipically english, no?»
___ « … Sì.» Lui l'accettò, sfiorandogli la mano con la punta delle dita in un gesto del tutto casuale, che gli causò un brivido caldo sottopelle.
___ « Cos'hai danzato, oggi?» Gli domandò incamminandosi su una traversa del Boulevard e Olivier, prima di seguirlo, gli rivolse uno sguardo colmo di gratitudine.
___ « Mi credi uno stalker, Dean?» Sembrava ormai un gioco fra loro: rispondere con una domanda a un'altra domanda.
___ « No, no. E anche quando, sono contento se mi stalkeri. Mi piace parlare con te, Olivier, sei il francese più interessante nel quale sia mai incappato.» Ammise incamminandosi nuovamente, rivolgendogli uno sguardo in un tacito invito a seguirlo. « Oh, bhé, anche Thalie è bella originale.» La sua risata lo tranquillizzò e poté concedersi un sospiro di sollievo, immediatamente seguito da un sorriso rivolto al piccolo Ciel che, curioso, si fiondava qua e là, annusando il lastricato, le case, pneumatici e uggiolando allegro ogni volta che i suoi occhi chiari incrociavano un altro essere vivente, umanoide, piccioniforme o felino che fosse.
Come il giorno prima, Olivier gli raccontò della giornata in Accademia e lui lo ascoltava con piacere. Non gli erano mai particolarmente piaciute le chiacchiere della gente, tendenzialmente non lo interessavano affatto, ma quel ragazzo riusciva a catturare la sua attenzione, la catalizzava completamente, soprattutto in quel momento. Si erano seduti sull'erbetta morbida, ai piedi di un grosso albero e mentre Ciel scorazzava felice, Olivier beveva il suo tea lamentandosi di tanto in tanto di quanto fosse caldo. E parlava: le sue labbra non si erano mai fermate, le sue corde vocali vibravano esattamente come il proprio animo. Aveva estratto dalla borsa di cuoio il suo album da disegno e si era messo a schizzare i contorni del corpo del ballerino che, senza dir nulla, l'aveva lasciato fare. Cercava di allungare il collo ogni tanto, spinto dalla curiosità e sorrideva, un'espressione condita da un pizzico di malizia.
___ « Non hai mai voluto studiare arte?» Gli chiese affondando le dita nel pelo morbido dell'Husky che si era avvicinato loro per salutarli un attimo, prima di tornare a correre per i fatti suoi.
___ « Sni.» Rispose alzando solo per un istante lo sguardo dal foglio candido. « Non credo che l'arte si possa studiare. Non fraintendermi: mi piace la storia dell'arte, ma per quella non ho bisogno di iscrivermi a qualche università, posso apprenderla individualmente.»
___ « E per quanto riguarda la tecnica?»
___ « Sei proprio un ballerino.»
___ « Che diavolo di risposta è?!» Gli domandò sbuffando, sporgendosi finalmente del tutto così da poter sbirciare il suo disegno alla rovescia. « Credi di saper fare tutto?»
___ « No, ma voglio imparare da solo per poter esprimere me stesso al cento per cento, senza essere contaminato da qualcuno che vorrebbe fare di me il suo discepolo.» Ammise sentendosi sopraffatto dalla vicinanza di Olivier; era lì, a un palmo di distanza da lui, sporto sul suo foglio, con un ciuffo biondo che gli accarezzava la fronte e l''espressione pensierosa, una leggera smorfia su quel bel viso affilato. « Ovviamente pittura e disegno sono molto diverse dalla danza.»
___ « Sono parole forti, le tue.»
___ « Lo so e non devi sentirne il peso, tu non c'entri, è un discorso che non vale per tutti.»
___ « Lo dici solo per gentilezza …»
___ « No.» Lo ammonì poggiando il blocco di lato e una folata d'aria fresca ne sventolò le pagine, producendo un fruscio che gli procurò un brivido. « Olivier, quando tu danzi, anche quando parli soltanto della danza, esprimi te stesso in maniera così genuina e pura, passionale che … » Scosse il capo e chiuse per un attimo le palpebre, confuso. « Mi confondi. Mi sconvolgi. Non riesco nemmeno a formulare un pensiero coerente, tu sei questo: sei travolgente, sei romantico, sei … ispirante.» E quegli occhi … oh, quegli occhi azzurri, ora leggermente lucidi che lo guardavano sorpresi, la bocca carnosa schiusa in un'espressione di pura sorpresa; forse era un po' spaventato, ma non si scostò quando la sua mano andò a cercare la morbidezza della pelle del suo viso, trovandola soffice e calda come aveva sempre immaginato. « Tu mi ispiri. Nessuno potrà mai sopraffarti perché sei troppo forte. Tu sei talento allo stato puro, arte in movimento, non dovrai mai temere che qualcuno possa sporcarti, la tua bellezza è incontaminabile.»
Non sentiva l'oppressione di una confessione del genere, snocciolare quei pensieri a lui era stato semplice, istintivo, non aveva potuto farne a meno.
Olivier sembrava confuso, respirava più forte di prima, ma quando inclinò il viso sulla sua mano, per potervi imprimere una carezza, Dean ebbe la conferma di non averlo impaurito, solo emozionato.
Abbassò lo sguardo sulle sue labbra, quella bocca carnosa che avrebbe voluto conoscere così bene da poterla disegnare a occhi chiusi e con la mano mancina; languido posò il pollice sul profilo delle labbra, disegnandone la pienezza in un tocco caldo e opprimente, ma Olivier non si scostò. Lo guardò socchiudere le palpebre, lasciarsi guidare dai suoi gesti e quasi non si accorse di aver afferrato il suo viso con entrambe le mani, la punta delle dita analizzava con rigorosa devozione i tratti di quel volto bellissimo, che era totalmente in balia di lui.
Un brivido acuto gli attraversò il corpo quando la bocca calda e morbida di quell'essere straordinario si appoggiò in un tocco avvolgente sul palmo della sua mano destra e la voglia di baciarlo si impossessò per la prima volta delle sue membra.
Aveva così tanta voglia di lui da star male.
Era un quadro perfetto, impressionista: l'autunno che bussava alle porte di una Parigi soleggiata, un'aria fresca che accarezzava la loro pelle bollente e l'erbetta verde che solleticava i loro corpi, sospinta dalla brezza.
Ma la perfezione era difficile da raggiungere e il tempo degli artisti ribelli alle convenzioni era finito, sopraffatto da un mondo dove l'ipocrisia e la cattiveria, mascherata da cinismo, regnavano sovrane.
___ « Dean.»
L'incantesimo era rotto. Olivier si irrigidì e spalancò le palpebre nemmeno l'avessero pugnalato alle spalle e lui ruotò di scatto il viso verso la fonte di quella voce pregna di disgusto e rabbia.
___ « … Azalea … » Non poteva credere che quella voce rotta da un desiderio insoddisfatto fosse la sua.
___ « Che … che cosa … cosa stai facendo!?» Era amareggiata, le piccole mani bianche chiuse in due pugni violenti e la bocca rossa contratta in una smorfia.
___ « Io ...» Olivier si era scostato di colpo e aveva abbracciato Ciel, in cerca di conforto; il piccolo Husky si era avvicinato a loro curioso e, come tutti i cuccioli, sarebbe volentieri andato a fare le feste alla nuova arrivata, ma evidentemente il padroncino non credeva fosse una buona idea. E trovava conforto nel suo Husky.
___ « Azalea …» Guardò velocemente l'orologio e capì di averle dato buca senza nemmeno essersene reso conto.
___ « Sei uno stronzo, Dean! Io stavo lì ad aspettarti e tu tubavi con questo qua a pochi metri da casa mia! Ma come ti permetti!? Chi ti credi di essere!?» I suoi strilli lo investivano come una pioggia estiva improvvisa e sembravano trafiggere Olivier come mille aghi.
___ « … Calmati, Azalea.» L'intimò, alzandosi in piedi lentamente.
___ « Calmati? Io dovrei calmarmi!?»
Ciel uggiolava adesso un po' spaventato e Olivier sembrava volersi amalgamare col prato che fino a quel momento aveva rappresentato la loro coperta calda e adesso si era trasformato in un campo di battaglia.
___ « Sì, calmati, spaventi tutti.»
Ciaff. Cinque dita spalancate gli si stamparono in faccia, ribaltandogliela di novanta gradi. Spalancò le palpebre, basito e l'espressione sconvolta di Olivier ebbe l'effetto di un altro schiaffo.
___ « Dean!» Sì alzò in piedi rapido, lasciando andare Ciel che si acquattò al suolo, con la coda fra le gambe e le orecchie basse.
___ « Ma sei scema?! Ma che ti ha fatto di così importante da tirargli una sberla?? Brutta … pazza!» Le mani calde sulla sua pelle, le dita sottili e forti a cingergli le braccia in una presa confortante.
___ « Cosa mi ha fatto? E scema a chi, oh! Ragazzino, ti apro in due come una scatoletta di tonno!» Una zuffa fra gatti.
___ « Che … c – cosa?» Olivier lo lasciò andare, frapponendosi fra lui e Azalea e se dapprima sembrava confuso, adesso era proprio infuriato. « Tu non apri niente e nessuno! Ma ti sembra normale andare in giro a fare queste scenate? E tirare schiaffi alla gente?»
___ « Avvicinati ancora e stampo un cinque dita anche a te, ragazzino!»
___ « Prova anche solo a pensarlo un'altra volta e mi dimenticherò che sei utero munita! E ragazzino lo dici a tua sorella!»
Surreale. Increscioso e tragicomico, perché in quel momento in cui due splendide creature si dichiaravano guerra a strilla e minacce, lui pensava solo a quanto Olivier somigliasse a Thalie quando si arrabbiava.
___ « Dean!» Urlo nuovamente Azalea, con le lacrime agli occhi. « Non hai niente da dire? Proprio nulla? Io … i – io mi sento … non sono la tua puttana!» Strillò battendo i piedi per terra, piangendo. « Non puoi trattarmi così! Usarmi quando ti pare e piace e lasciarmi ad aspettarti nuda su un divano per un intera serata! Ma che uomo sei?»
___ « Azalea ...» Non aveva le forze di reagire. Si sentiva uno schifo: non gli importava cosa gli stesse vomitando addosso la rossa, voleva solo che Olivier non avesse sentito quelle parole in quel modo. Perché lui aveva frainteso, era evidente dalla sua espressione attonita e dal fatto che si fosse tirato indietro di un paio di passi, con le braccia strette al petto, tremanti.
E la sua musa, la sua amica gli aveva dato le spalle, correndo via, in lacrime.
___ « Azalea!»
___ « … V – vai da lei.» L'intimò Olivier, in un filo di voce.
___ « … Oli - »
___ « Vai!»
Annuì e raccattò velocemente l'album e la borsa dal prato, stropicciando le pagine che erano state mosse dal vento.
___ « Olivier, ti prego, ti prego aspettami
Ma lui non gli aveva risposto a voce e Dean non aveva avuto il coraggio di guardarlo in faccia per poter vedere la sua reazione.
Si era voltato e col cuore in gola aveva rincorso Azalea, trovandola rannicchiata sulla soglia della palazzina antica che ospitava il suo appartamento, scossa dai tremiti e dai singhiozzi.



La teneva stretta a sé da oltre due ore, nessuno dei due aveva proferito nemmeno una parola. I suoi occhi vagavano inquieti per l'appartamento di Azalea, quella luce che tanto amava gli sembrava in quel momento accecante e i ritratti che le aveva fatto e che lei aveva appeso su qualche muro sembravano fissarlo.
Olivier. I suoi occhi spalancati che lo guardavano come se fosse un estraneo, la sua espressione ferita e le mani tremanti che si appoggiavano al suo petto, in un gesto di auto protezione.
Socchiuse le palpebre e sorbì un profondo respiro che gli gonfiò il petto, muovendo inevitabilmente il capo di Azalea.
___ « Sei innamorato di lui.»
___ « … Non chiedermelo.»
___ « Non era una domanda.» Sottolineò la donna scostandosi dal suo abbraccio per potersi allungare verso una scatolina d'argento dove teneva un pacchetto di sigarette e qualche drum già arrotolato. Sfilò una marlboro rossa e se l'adagiò fra le labbra, accendendola con l'ausilio di un fiammifero.
___ « Dovevi avvisarmi.»
___ « Mi dispiace di averti dato buca, Azalea.»
___ « No, dovevi avvisarmi che ti sei innamorato di un altro.»
___ « Non … conosco Olivier da quattro giorni, non sono innamorato di lui.»
___ « Dean.» L'ammonì lei, senza mai guardarlo, ma riempiendosi invece i polmoni del fumo pesante della sigaretta. « Non sto parlando di amore normale, per quello avrai tempo. Sto parlando di amore artistico, di passione, lui è la tua nuova musa.»
Abbassò lo sguardo verso le proprie mani che aveva adagiato mollemente sulle cosce; le ruotò coi palmi rivolti al soffitto e li fissò mentre muoveva lentamente le dita, tendendole per poi piegarle.
___ « Ma va bene. E' giusto così. Io sono una moderna Adriana e tu sei stato Picasso. Prima di te c'era Modigliani e dopo di te ci sarà Ernest Hemingway e chissà chi altro.» Le sorrise mentre citava Midnight in Paris, uno dei loro film preferiti e che avevano visto insieme almeno un centinaio di volte, svuotando bottiglie di vino e imbrattando fogli di carta, ridendo, parlando.
___ « Mi dispiace Azalea.»
___ « Non devi. Significa che sei pronto per un nuovo periodo della tua vita: è finito quello rosso, ora inizierà quello biondo.»
___ « Azzurro.»
___ « Verde, rosa, chissenefrega. Dean.» Richiamò la sua attenzione, il suo sguardo appoggiandogli le mani piccole e fredde sulle sue. « Promettimi solo che mi dipingerai ancora. Non abbandonarmi del tutto.»
___ « Non lo farò mai, Azalea.» Si chinò per darle un bacio sulla fronte e lei sorrise, rassegnata.
___ « Scusati con il tuo drudo da parte mia.» Era maliziosa, la sua voce speziata da una punta di gelosia e una cucchiaiata abbondante di sarcasmo; non si arrabbiò, semplicemente sbuffò sorridendole storto, alzandosi in piedi per poter recuperare le sue poche cose. « E' un tipino facilmente infiammabile …»
Non le rispose perché la sua attenzione venne catturata dall'album che aveva gettato su una poltrona, appena entrato nell'appartamento di Azalea. Aggrottò la fronte e si chinò per prenderlo fra le mani che, accarezzando i fogli, cercarono di lisciare le pieghe formatesi per colpa della sua disattenzione. Ma era uno schizzo che aveva disegnato distrattamente una decina di giorni prima ad aver attirato la sua attenzione: ruotò il blocco per raddrizzarlo e studiò delle zampette chiare adagiate su un prato, occhietti vispi che fissavano quelli scuri di uno scoiattolo panciuto. Una coda a sbuffo, ritta verso il cielo e un paio di gambe fasciate in jeans chiari, dietro quel cucciolo candido. Una t-shirt a maniche lunghe, delle dita piuttosto affusolate e capelli chiari riversati in avanti, a nascondere completamente il viso. Non poteva essere vero.
Yeux couleur de glace. (1)





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Capitolo 8: Furia rossa.
(1) Occhi color del ghiaccio.
Qualche anima pia è in grado di spiegarmi la giusta misura per poter mettere un'immagine nel Capitolo senza che questa sgrani? Ci ho provato, ma mi sfasa le misure, la risoluzione viene orrenda perché si tirano i pixel e io impazzisco y_y” qualcuno sa come si mettono senza incappare in questo problema?



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Capitolo 10
*** Non nasconderti ; ***


Le sue mani profumavano di colori a olio.
Socchiuse le palpebre gustandosi appieno quell'odore denso, lasciandosi guidare dai movimenti delle dita di Dean che gli accarezzavano il viso con delicatezza; si sentiva la pelle scottare ogni volta che lui ne abbandonava un pezzo, sembrava imprimervi un sentiero di fuoco.
Olivier detestava essere toccato da chiunque non fosse sua nonna, o Thalie, o una partner di ballo, si sentiva nauseato e voleva solo scappare, quando si trovava in mezzo a una folla gli saliva il panico, ma Dean era dolce e attento, lui non lo nauseava, non gli faceva paura.
Tu mi ispiri. Nessuno potrà mai sopraffarti perché sei troppo forte. Tu sei talento allo stato puro, arte in movimento, non dovrai mai temere che qualcuno possa sporcarti, la tua bellezza è incontaminabile” parola che rimbombavano nella sua testa stordendolo quanto le mani dell'altro, quando il suo odore, il calore della sua pelle, il suo sapore … non si era nemmeno reso conto di avergli baciato il palmo della mano, si era lasciato trasportare dalle emozioni e dall'istinto. Era felice.
Quando aprì gli occhi dovette strizzarli forte per scacciare quella patina liquida che vi si era formata e lui era lì, le sue iridi color miele a guardarlo come se lo venerasse, come se fosse essenziale per lui, per la sua stessa esistenza.
Dean lo faceva sentire importante.
Doveva baciarlo. Doveva saggiare la consistenza di quelle labbra, scoprire se erano morbide e calde come le sue mani, se l'avrebbe adorato anche coi baci.
___ « Dean.»
Quella voce femminile l'aveva sentita addosso come una frustata: si era irrigidito ed era tornato nel mondo reale, staccandosi da Dean e guardando la furia rossa che era irrotta nel loro momento rovinandolo a suon di strilli.
Poi quello schiaffo, che si gli aveva fatto male come se l'avesse ricevuto lui, l'espressione confusa di Dean che lo guardava amareggiato, che gli chiedeva perdono con lo sguardo. Ciel, spaventato, la furia rossa, sempre più arrabbiata e le mani che gli prudevano, che l'avrebbe picchiata se non fosse stato certo che in un passato remoto la nonna gli aveva insegnato che le donne non si toccano nemmeno con un fiore. Ah, ma un bel fiore di cemento armato glielo avrebbe volentieri tirato in testa a quella pazza, passionale, bellissima, alterata matta.
E quelle parole che lo avevano fulminato sul posto, no, non quelle di “Azalea”, ma quelle di Dean: “ Olivier, ti prego, ti prego aspettami.”
Ma lo aveva lasciato andare, incitandolo a seguire la furia rossa e lui aveva preso in braccio Ciel, stringendolo a sé per tranquillizzarlo e per trovare conforto in quel corpicino caldo e peloso, nella sua linguetta rosa che lo baciava sulle guance e gli asciugava un paio di lacrime sfuggite al suo controllo.
Aveva abbassato le sue difese e si era fatto del male.



Nemmeno la fondué della nonna era riuscita a tirarlo su di morale.
Quando entrava in casa e il profumo di formaggio fuso gli invadeva le narici, di solito sorrideva deliziato, raggiungeva la sala da pranzo al piano rialzato della loro abitazione dove rubava un pezzetto di pane tostato prima di superarla per raggiungere la cucina; qui abbracciava forte la nonna, che trovava sempre intenta a spadellare qualcosa, o a lavare i piatti, o a pulire un ripiano. Oggi, però, non ne aveva avuto le forze e la nonna non gli aveva chiesto nulla: si era limitata a sorridergli teneramente, a stringergli una mano mentre intingevano il pane tostato tagliato a tocchetti e speziato da chissà quali erbette. Gli raccontò dei clienti più estrosi che erano entrati durante la giornata al bistrot, di una nuova ricetta che Thalie aveva ideato e che volevano mettere in menù, perché come piatto del giorno era andato a ruba. Era grato alla nonna ed era lieto che la sorella non ci fosse altrimenti si sarebbe accorta di tutto, avrebbe subito collegato il suo malumore a Dean e sarebbe andata a cercarlo per investirlo col motorino; si sarebbe sentita in colpa, non per la tentata soppressione, ma perché era stata lei a spingerli a incontrarsi e per questo lui aveva sofferto.
Ciò che non uccide, fortifica.
Gli era sempre sembrata una frase molto stupida.
Fissava il soffitto a travi lignee con aria assente, la mano destra affondata nel pelo bianco e soffice di Ciel che sonnecchiava accanto a lui, sul letto.
L'immagine del viso di Dean non riusciva ad abbandonargli la mente; vedeva quell'espressione addolorata e confusa ogni volta che chiudeva le palpebre, riusciva a percepire l'indecisione che dilaniava l'inglese: la furia rossa o il ballerino? Ed era stato lui a spingerlo verso la pazza e non sapeva nemmeno il perché.
Rivolse lo sguardo oltre i vetri della finestra e incontrò il manto scuro del cielo notturno senza luna, puntellato da stelle più che mai lucenti. Sospirò pesantemente e sentì le lacrime affiorargli agli occhi: perché ci era rimasto così male? Come aveva fatto quel ragazzo a imprimersi così nella sua mente e nel suo cuore?
Si portò una mano al viso coprendone buona parte e rimase così, al buio, immobile ad ascoltare il respiro del cucciolo accanto a lui per chissà quanto tempo.
Il suo viso, la sua voce che risuonava nella testa: “ Olivier, ti prego, ti prego aspettami”, non riusciva a prender sonno e non aveva voglia di far nulla che non fosse chiedersi i perché: perché l'aveva mandato da lei? Perché ci teneva così tanto a lui? Perché aveva abbassato le sue difese? Perché aveva permesso a qualcuno di ferirlo ancora? Perché Ciel si agitava guardando la finestra?
Aggrottò la fronte e scostò la mano dal viso andando a puntellare ambedue i gomiti sul materasso per potersi tirare un po' su. Seguì lo sguardo del cucciolo che scodinzolava ossessivamente, battendo la coda bianca sul copriletto e quando vide un'ombra fuori dalla finestra si raggelò prima di fiondarsi verso l'angolo della stanza dove teneva una mazza da baseball.
___ « Ciel! … Ciel!» Cercava di tenere il tono basso, ma era spaventato dal fatto che cucciolo fosse saltato giù dal letto per potersi appollaiare sotto la finestra, musetto in su e coda che continuava a muoversi, felice. « Ciel! Vieni q – qui!» Digrignò i denti, maledicendosi per aver balbettato e per quello che stava per fare: si avvicinò alla finestra lentamente, con passo felpato e quando fu lì accanto prese un profondo respiro prima di spalancarla brandendo la mazza da baseball, spaventato a morte.
___ « CHI DIAV - … … Dean!?» Shock.
Spalancò le palpebre e si sentì cadere il mondo addosso: Dean era lì, appollaiato sul suo tetto, seduto su quella stessa superficie grigia dove avevano condiviso uno splendido tramonto, beandosi del disco solare che scompariva oltre i tetti parigini. Dove avevano parlato, riso, scherzato.
___ « D – Dean, Dean … oddio, oddio …» Si sentiva il cuore in gola; abbandonò il legno sul pavimento e serrò le dita sulla cornice di legno bianca, accasciato cercava di recuperare il respiro.
___ « Scusami Olivier io … non volevo spaventarti …» Mormorò l'altro, evidentemente frastornato.
___ « Spa … spa … spaventarmi? Mi è quasi venuto un infarto!» Esclamò tirandosi su di colpo, stizzito. « Ma che ti è saltato in mente!? Come … c – come sei arrivato fin qui?!» Deglutì un groppo di saliva che gli si era formato in gola e quasi si strozzò da solo, ma non si lamentò se non con un colpo di tosse.
___ « Con … le scale anti incendio dietro la palazzina e poi mi sono arrampicato su per il tetto. Scusa io … volevo parlarti.»
___ « C'è … e – esistono le porte, Dean.»
___ « Mi piace sorprenderti.»
___ « Ti piace uccidermi.» Rimbeccò traendo un profondo respiro che lo calmò quasi del tutto e lentamente sembrò riacquistare la ragione.
___ « No, non ti ucciderei mai, non vorrei mai farti del male, Olivier.»
___ « Ma lo hai fatto.» Gli erano uscite così quelle parole, senza filtro e se ne era immediatamente pentito. Alzò il viso e si sporse per poter guardare Dean appollaiato nemmeno fosse Batman, con un'espressione addolorata a storcergli i bei lineamenti del volto squadrato. Sospirò pesantemente e strinse le labbra, mordendole interiormente per zittirsi.
___ « Azalea non è la mia amante.»
___ « Non importa, Dean, non mi devi raccontare nulla.»
___ « E se volessi farlo? Se volessi raccontarti qualunque cosa di me?» Gli chiese sporgendosi appena verso di lui. « Se volessi aprirmi a te come non ho mai fatto con nessuno? Se … mi sentissi un perfetto idiota, perché ti conosco di persona da poco meno di cinque giorni e mi sono arrampicato su un tetto per poterti venire a chiedere scusa? Se … se ti dicessi che l'espressione che ho visto sul tuo viso prima di seguire Azalea non ha abbandonato la mia mente nemmeno un istante … » Dean perse enfasi man mano che parlava e a lui tremò il respiro.
___ « Vieni dentro o ti ammazzerai.»
___ « Sono già stato qui fuori con te e non sono caduto.»
___ « Ma dentro ho la cioccolata …» Mormorò alzando timidamente gli occhi verso di lui e quel mezzo sorriso che gl'increspò la bocca lo ricambiò, inoltrandosi nella sua stanza per permettere a Dean di fare altrettanto.
Ciel lo accolse con gioia, uggiolando più felice che mai e per un attimo invidiò quell'Husky bianco che si aggiudicava sempre carezze disinteressate e piene d'affetto dalle mani calde e morbide dell'inglese.
Diede loro le spalle andando a raggiungere e aprire lo scompartimento centrale di uno scrittoio antico sistemato contro la parete di fronte alla finestra, accanto alla porta azzurra. Fece scivolare sul piano ligneo una scatola rivestita di velluto blu e ne alzò il coperchio rivelando il suo piccolo tesoro segreto: dolciumi di ogni genere e tipo. Sorrise e l'afferrò voltandosi solo per poter rimanere interdetto dalla visione di Dean seduto sul suo letto a una piazza e mezzo, con la sua borsa di cuoio appoggiata accanto ai piedi, preda delle attenzioni di Ciel.
___ « Quali sono i tuoi incubi?» Entrambi alzarono lo sguardo verso l'acchiappasogni blu e Ciel, per emularli, fece altrettanto strappandogli un sorriso divertito. Scosse il capo sedendo su una poltrona di cuoio antica sistemata in un angolo vicino alla finestra e rifugiò lo sguardo fra le leccornie racchiuse nel suo scrigno. Affondò le dita della man dritta fra i dolciumi e soppesò quella domanda, cercando di decidere se valesse la pena rispondergli.
___ « Due anni e mezzo fa sono venuto a Parigi a cercare una casa.» Dean riprese a parlare e lui inclinò leggermente il viso per potergli prestare maggiormente orecchio, ma gli occhi rimasero a fissare le carte lucide e colorate di cioccolatini e caramelle. « Alloggiavo in un alberghetto di Montmartre e la prima sera l'ho passata a bere vino rosé e a guardare un vecchio film proiettato in un piccolo locale qui vicino.»
___ « Le cinéma des artistes …» Suggerì in un filo di voce.
___ « Oui.» Confermò Dean e non ne conosceva il motivo, ma sapeva che gli stava sorridendo. « C'era anche Azalea, seduta a un tavolo da sola; indossava una lunga gonna aderente rossa e un maglioncino rosso con lo scollo a V. I capelli erano raccolti in … come si chiamano quelli che si fanno anche le ballerine?»
___ « Chignon.»
___ « In uno chignon, sì, e aveva delle scarpe nere lucide e le labbra dipinte di nero e le appoggiava sul bocchino di radica con cui fumava una Marlboro rossa. E nella penombra di quel posto, Dio Olivier … era bellissima.»
___ « E' bellissima.» Confermò annuendo una sola volta, scartando un cioccolatino ripieno di crema al cocco.
___ « Ho iniziato a disegnarla, le avrò fatto venti ritratti in poco più di un'ora e l'ultima volta che ho alzato lo sguardo per controllare se i suoi lobi fossero dritti o arrotondati lei non era più seduta al suo posto, ma era in piedi di fronte a me e guardava i miei disegni, tranquilla.»
___ « Lei ti ha ispirato, ho capito.»
___ « Vorrei disegnare te, ora.» Ammise in un quel tono sincero e reverenziale che lo faceva impazzire. « Mi ispiri tu ora e lei se n'è accorta, per questo ha fatto quella scenata è …»
___ « E' una donna passionale, l'ho capito.»
___ « Lo sei anche tu.»
___ « Vuoi un cioccolatino?»
___ « Sceglilo tu.»
Scavò nella sua scatola e afferrò un dolcetto quadrato, coperto da una stagnola dorata e una carta verde e nera; glielo lanciò e lui l'afferrò al volo, giusto un attimo prima che le fauci di Ciel si serrassero intorno al cioccolatino e entrambi scoppiarono a ridere di gusto. Si sentiva meglio grazie a quella risata, una crisi ilare che sembrava non voler cessare né per lui, né per il suo pazzo ospite. Appoggiò la scatola per terra, accanto alla poltrona e dopo un ultimo tremito, che si portò via un sorriso compiaciuto, rannicchiò le ginocchia al petto e afferrò l'orlo inferiore della maglietta andando a sollevarlo insieme al resto del tessuto, lasciando alla vista di quegli splendidi occhi color miele il suo petto glabro, muscoloso e sicuramente più ampio di quanto chiunque potrebbe immaginare vedendolo coperto da strati di vestiti.
___ « Disegnami.» Gli sussurrò abbracciandosi le gambe e, gustandosi l'espressione attonita di Dean, gli sorrise dolcemente. Lui si prese tutto il tempo necessario per scartare il cioccolatino, affondare i denti nel suo corpo croccante e poi ne succhiò il ripieno andando a leccarsi le labbra senza schiodargli gli occhi di dosso; passò poi alla punta delle dita, quindi cercò a tentoni la sua borsa di cuoio per posarsela sulle ginocchia. L'aprì, ne estrasse un blocco e un piccolo astuccio rigido e con movimenti impacciati, perché non vi stava realmente badando, cercò una matita carboncino prima di ributtare il contenitore nella sacca. Il fruscio della carta si disperse nell'aria e da quel momento il rumore della punta del carbone si mescolò ai loro respiri, agli uggiolii di Ciel che sognava qualche cosa spalmato sul pavimento di legno.
Dean era bellissimo baciato dalla luce color crema dell'abat-jour, il suo sguardo concentrato sembrava assorbire il bagliore della lampada e lo restituiva tramite due occhi brillanti, di miele. Le sue mani si muovevano sul foglio chiaro con la stessa eleganza con cui i ballerini danzavano su un palco, le sue dita sembravano volare sfiorando appena la carta nemmeno volessero accarezzarla. Si sentiva come se lo stesse toccando, l'attenzione con cui lo studiava lo faceva sentire speciale.
Dean era speciale.
___ « Quando ero piccolo sognavo sempre un uomo di schiena, vestito di nero che non si voltava mai verso di me.» Sussurrò lasciando scivolare un piede sulla pelle della poltrona, facendolo impattare per terra. « Io lo chiamavo, cercavo in tutti i modi di attirare la sua attenzione, di aggirarlo e non ci riuscivo: non vedevo mai il suo viso.» Lui non aveva smesso di disegnare e gliene era grato. « E' così che mi sono dimenticato il viso di mio padre.» Abbassò le palpebre perché sentì le lacrime agli occhi, lacrime che affioravano ancora dopo dodici anni. Si morse il labbro inferiore che tremava appena, non voleva mostrarsi così fragile e quindi rannicchiò il viso contro le cosce, nuovamente entrambe raccolte al petto.
___ « Non nasconderti, Olivier.» Quella voce vellutata ebbe la capacità di tranquillizzarlo. « Non ora, non ce n'è bisogno.»
Scosse il capo ancora raggomitolato su se stesso, ma seppur il suo corpo aveva tutte le intenzioni di negarsi, il suo cuore gl'intimava di fidarsi; alzò appena il viso, lasciando intravedere solo le iridi oltre le ginocchia e quando incrociò lo sguardo sorridente di Dean non poté fare a meno di perdere un battito.
Quella notte non parlarono più: il carboncino di quell'ospite inatteso riempì più di dieci fogli riempiendoli di decine e decine di disegni; quando la luce dell'alba lo svegliò, ancora rannicchiato sulla poltrona, ma con la trapunta azzurra e bianca a proteggerlo dal fresco della notte, trovò solo Ciel lì con lui e un pezzo di carta appoggiato sul materasso coperto dal lenzuolo bianco.
Sopra c'era il ritratto del suo viso addormentato e dietro v'erano impresse delle parole scritte anche loro a carboncino: “ Fammi sapere dove e a che ora per sabato. Ben svegliato, Raggio di Luna. Dean.”
Voleva stringersi il disegno al petto, ma l'avrebbe rovinato, quindi l'appoggiò sul piano dello scrittoio ancora aperto, chiuse le persiane della finestra e si gettò sul letto sfatto con un sorriso a increspargli le labbra che non l'abbandonò finché non si fu nuovamente addormentato. O forse l'accompagnò anche nel sonno.





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Capitolo 9: Non nasconderti.
Ecco u.u lo avete perdonato?



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Capitolo 11
*** Cesare; ***




Mercoledì, notte;

Olivier: Perché Caesar? Manie di grandezza?
Dean: … Noto che hai molta fiducia in me, Blanchard.
Olivier: Chiamami Blanchard la prossima volta che mi vedi, una sola.
Dean: D'accordo.
Olivier: Qual è il tuo cognome?
Dean: Hamilton. Mi chiamo Dean Caesar Hamilton.
Olivier: … Oh.
Dean: Niente manie di grandezza, Raggio di Luna, ero semplicemente un po' frastornato e la mia immaginazione era seppellita dalle parole di tua sorella. Caesar deve essere sembrata la scelta più rapida al mio cervello.
Olivier: Sono i tuoi genitori ad avere manie di grandezza.
Dean: Tu chiamami Caesar, una volta sola. Adoro l'accento francese che imprimete ai miei nomi … qui a Parigi, tutto risulta più dolce, soffice.
Raggio di Luna: Ci vediamo sabato, quindi, mio Cesare?
Dean Caesar: Magari anche prima, mio Raggio di Luna.
Raggio di Luna: Può darsi.
Dean Caesar: Se fai il bravo.
Raggio di Luna: Mi chiedi troppo.
Dean Caesar: Buona notte, Olivier ...
Raggio di Luna: Non sei arrampicato fuori dalla mia finestra, vero?
Dean Caesar: No.
Raggio di Luna: Peccato, avrei voluto dartela di persona la buona notte.
Dean Caesar: Se mi dai mezz'ora, sono lì.
Raggio di Luna: Pft … tranquillo, non mancherà occasione. Buona notte, Dean.
Dean Caesar: Sogni d'oro.




Giovedì, primo pomeriggio;

Aveva scelto un pezzo rock per l'interpretazione libera di quel pomeriggio, una canzone piuttosto inusuale per lui, ma quel giorno si sentiva carico di una nuova energia e non sarebbe riuscito a interpretare un'aria, una sonata al pianoforte o un'esecuzione dell'orchestra sinfonica di chissà dove senza risultare esagerato. Doveva sfogare l'eccitazione che aveva dentro: passione, desiderio, emozioni nuove suscitate dal suo Cesare.
Chiuse gli occhi, era in centro alla sala da ballo sgombra, i piedi nudi: sul destro gravava completamente il peso del corpo, il sinistro era invece appoggiato solo di punta, sul dorso, a formare la splendida curva tipica dei ballerini; era in una quinta posizione rivisitata, piedi uniti senza distanza fra loro, posizione sinistra perché il piede mancino era in avanti e la parte inferiore del corpo seguiva quella curva, spezzandosi poi a livello del bacino che proseguiva piegandosi dal lato opposto. Era una “esse” vivente, con le braccia posizionate in modo asimmetrico: il destro a seguire l'arco del torace e il sinistro in seconda posizione, allargato all'esterno perpendicolare al corpo.
Quando partì l'attacco di chitarra, lui prese un respiro e aspettò il primo suono emesso dalla batteria per muoversi.
E danzò, danzò animato da una nuova forza, da una nuova voglia, da una nuova energia. Non vedeva nemmeno gli altri membri della compagnia seduti lungo un lato della sala, o Madame Papillon vestita come sempre di nero, con i suoi occhialetti a mezza luna assicurati al collo da una catenella argentata e il bastone lucido stretto in pugno, rosso, col pomello argentato: si era dimenticato di tutti loro.
Sul finale raggiunse un angolo della sala per poi muoversi lungo la diagonale: partì in un semplice jeté, saltando da una gamba all'altra, gettando la destra in avanti in un movimento secco e scattante, perfettamente in sincronia con la musica; ne seguì un grand jeté, ossia un grande salto preceduto da chassé, passi di preparazione che gli permisero un rovesciamento aereo con cambio di direzione dell'intero corpo grazie alla spinta delle braccia ed allo scambio delle gambe, cosa che avvenne esattamente al centro della diagonale: puntò le ragazze al centro del muro, fissandole come punto di fuga prima di esibirsi in una serie di pirouette sul piede destro, in punta. Compì dieci rotazioni durante gli ultimi sprazzi di musica della canzone, quando il vocalist aveva smesso di cantare ed erano rimasti solo chitarra, batteria e basso a farsi sentire; chiuse l'esercizio non nel solito modo, si gettò bensì sul parquet in ginocchio appena conclusa l'ultima piroetta, approfittando proprio dello slancio rotatorio ch'essa aveva donato al suo corpo. L'avambraccio destro abbandonato sulla medesima coscia, il palmo della mano sinistra appoggiato sul pavimento al proprio fianco e la schiena inarcata all'indietro, con gli occhi che fissavano Svetlana, seduta davanti a lui, che lo guardava come se fosse un estraneo.
Prese due profondi respiri e quando si alzò in piedi, Madame Papillon batté la punta del suo bastone sul parquet di legno per richiamare la sua attenzione: la guardò immediatamente e lei sorrideva, orgogliosa.
___ « Non so cosa ti sia accaduto, Monsieur Blanchard, ma qualunque sia la causa del tuo nuovo modo di danzare, non te la lasciar sfuggire.»
Annuì flebilmente, increspando il lato destro della bocca carnosa in un mezzo sorriso.
___ « Oui, Madame
Non aveva proprio la minima intenzione di farlo.





Venerdì, una del mattino;

Dean Caesar: Oggi una signora mi si è avvicinata mentre dipingevo ai Jardin du Luxembourg e si è complimentata per il realismo che sono riuscito a imprimere agli occhi azzurri disegnati sulla mia tela.
Raggio di Luna: Abiti da quelle parti?
Dean Caesar: Sei ancora sveglio.
Raggio di Luna: I raggi di luna non dormono, la notte.
Dean Caesar: Abito vicino a Boulevard du Montparnasse, probabilmente hai sentito parlare del Passage d'Enfer, è una stradina famosa, sono stato -
Raggio di Luna: Fortunato.
Dean Caesar: Sì. Schifosamente fortunato.
Raggio di Luna: Parliamo ancora di casa tua?
Dean Caesar: Assolutamente no.
Raggio di Luna: Bene.
Raggio di Luna: Dean?
Dean Caesar: Dimmi.
Raggio di Luna: Vorrei un tuo quadro.
Dean Caesar: Te ne darò quanti ne desideri.
Raggio di Luna: Verrò a sceglierne qualcuno dopo sabato, allora.
Dean Caesar: Non vedo l'ora che sia sabato. Domani … bhé, oggi ho un esame.
Raggio di Luna: E non dovresti riposare?
Dean Caesar: E' nel primo pomeriggio, tranquillo.
Raggio di Luna: Io ho lezione domani mattina, devo proprio cercare di addormentarmi, per quanto so che sarà difficoltoso, uff ...
Dean Caesar: Incubi?
Raggio di Luna: No, sogno troppo a occhi aperti.
Dean Caesar: Ti cullerò col pensiero, finché non ti sarai addormentato. Chiudi gli occhi, Olivier e pensa a quanto è bella la luna questa notte.




Venerdì, tardo pomeriggio;

Era seduto su quella panchina già da un bel po', ma i bicchieri termici di Starbucks non permettevano al calore di disperdersi, al tea di raffreddarsi e alle sue mani di gelare sotto le folate di quel primo vento gelido che annunciava l'arrivo dell'autunno. Aveva lo sguardo rivolto verso l'edificio al di là della strada e non vi staccava gli occhi di dosso, nemmeno gli autobus vi sfrecciavano davanti. Il rumore del traffico era intenso, ma non lo infastidiva affatto.
___ « Ehi, straniero …»
Quella voce, però, lo fece rabbrividire: ruotò appena il capo e si trovò a osservare Thalie e Ciel attraverso le lenti scure dei suoi Ray Ban. Lei era lì, in piedi che lo fissava con un sorrisetto storto a incresparle le labbra rosa cicca, indossava un abitino dal taglio strano, verde pastello su un paio di collant trasparenti sulle quali, a effetto tatuaggio, erano disegnate delle giarrettiere ad altezza cosce e caviglie in cui vi erano infilate delle pistole. Scelta azzeccata, senza dubbio.
___ « Thalie …» Era la prima volta che la chiamava col suo vero nome e lei gli sorrise ampiamente lasciando che Ciel si fiondasse verso di lui per poterlo salutare. « Ciao piccolo … sì, sono felice anche io di vederti.» Appoggiò i bicchieri di tea sulla panchina accanto a sé e prese a coccolare l'Husky, sorridendogli e guadagnandosi in cambio una bella leccata sul naso.
Thalie gli si accomodò accanto e stava ravanando con entrambe le mani dentro la grossa borsa color panna che prima le penzolava dalla spalla, ora l'aveva appoggiata in grembo. Ne estrasse un paio di lecca-lecca all'arancia e gliene porse uno.
___ « Vuoi, english man
___ « No, grazie, French girl.»
___ « Bene, risposta esatta.»
___ « E se ti avessi detto di sì, scusa?»
Lei non gli rispose a parole, si limitò a scartare il suo lecca-lecca e a ficcarselo in bocca guardandolo con quel suo sorrisetto ampiamente velenoso, divertito.
___ « Aspetti mio fratello?»
___ « Sì, certo.»
___ « Un'altra risposta che mi piace.» Ammise lei sistemandosi i lunghi capelli sciolti su una spalla sola; prese a giocarci, a pettinarli con le dita mentre succhiava la caramella su stecco. « Lo sai, vero, che se osi fargli del male io ti prendo ad accettate nelle palle, te le stacco e le appendo a un cordino che ti infilerò al collo come ciondolo mentre ti guarderò morire dissanguato sotto ai miei occhi?»
___ « Non mi aspetterei nulla di diverso, sinceramente.» Non la stava di certo prendendo in giro e, in effetti, un po' di timore verso quella protettiva, splendida donna lo provava.
___ « Bene, oggi dai tutte risposte che mi garbano, Dean.» Sì alzò in piedi, sistemandosi subito il vestito con le mani, lisciandone la stoffa e Ciel seguì il suo esempio, mettendosi sulle quattro zampine, pronto a camminare. « Dì a Olivier che passo il testimone, puoi benissimo accompagnarlo a casa tu.»
___ « Ma … io non volevo rovinarvi la serata … »
___ « Oh, macché! Io e Ollie viviamo insieme da diciotto anni, quasi diciannove in realtà, non è che se per un venerdì non torniamo insieme si ribalta il mondo e, in caso, mentre l'apocalisse sopraggiungerà, tienilo stretto e bacialo con un sacco di lingua, almeno morirete entrambi felici.»
Sbarrò appena le palpebre e non arrossì giusto perché era abituato alla rude crudezza del linguaggio sbroccato di Taylor, e a trattare con donne strane grazie ad Azalea, ma sorrise appena immaginandosi che, invece, Olivier sarebbe diventato color papavero. ___ « Lo farò …»
___ « Oh santa pace, hai la faccia da triglia lessa! Via, me ne vado o mi si caria un dente con i tuoi influssi mielosi, brr …» Gli diede le spalle e il piccolo Husky lo salutò in un flebile ululato prima di incamminarsi con lei altrove. « A domani, Dean!» Alzò indice e medio della destra, mostrandogli la “V” di vittoria e lui aggrottò la fronte, perplesso, guardandola sparire in lontananza con passo tranquillo, pacifico. Prima o poi le avrebbe fatto un ritratto, però senza posa: la voleva disegnare a memoria, perché Thalie si meritava di essere rappresentata a freddo, imprimendo nel tratto tutte le sconvolgenti emozioni che la sua presenza era in grado di farti provare.
Prese un profondo respiro e sorrise al nulla, rallegrato da quel semplice incontro che non aveva fatto altro che confermargli quanto volesse stare lì, essere parte di quella situazione, essere presente in quelle vite.
Afferrò i due bicchieri di tea e proprio in quel momento uno dei battenti del portone dell'Accademia si aprì e iniziarono a uscire i primi studenti. Ragazzi e ragazze minuti, snelli, eleganti, che ridevano fra di loro, salutandosi mentre intraprendevano strade diverse; poi lui, il più alto di tutti, che Olivier era alto, oltre che slanciato. Rideva e la prima ballerina, Svetlana, lo teneva a braccetto mentre si alzava sulle punte di un paio di stivaletti che non le donavano la stessa eleganza delle punte, ma era ugualmente raffinata; Olivier la fece girare su se stessa prima di accompagnarla in un casché e proprio in quell'istante alzò lo sguardo verso di lui, come calamitato dalla forte energia che, elettrica, scorreva fra loro. Aveva perso il sorriso per far largo a un'espressione stupita, salutò in fretta i suoi amici baciando la partner di danza sulla guancia prima di lanciarsi in mezzo alla strada, guardando prima a destra e poi a sinistra, e lui perse un battito vedendolo corrergli incontro.
Non si aspettava poi che Olivier gli saltasse al collo per abbracciarlo, caloroso, forte, ridente.
___ « E' andato bene l'esame!» Esclamò scivolando via da quella presa, con quegli occhi fissi nei suoi, che sembravano due pezzi di cielo.
___ « 30.» Gli sorrise porgendogli il bicchiere di Starbucks che Olivier accettò, entusiasta.
___ « Bene, bene.» Bevve un sorso di tea, nemmeno fosse certo che lo aspettasse da un po' e che quindi la bevanda non fosse bollente come appena uscita dalla caffetteria. « Hai visto Thalie e Ciel?» Chiese guardandosi intorno.
___ « Sì. Ha detto che, dato che vivete insieme da quasi diciannove anni, posso accompagnarti a casa io.»
___ « Ah! E che ti fa pensare che voglio che mi accompagni a casa?» Domandò arricciando le labbra in una smorfia maliziosa, quella bocca carnosa che gli faceva venir voglia solo di morderla, di succhiarla, di baciarla.
___ « Bhè, l'abbraccio potrebbe essere stato un indizio!» Esclamò divertito, prima di porgergli il braccio; gli era venuto naturale ed era lieto di constatare che, con altrettanta naturalezza, Olivier l'aveva accettato, prendendo a camminare al suo fianco.
___ « D'accordo, così ti dico a voce dove, come e quando ci troviamo domani sera, Caesar …» Lo stava guardando, con un'espressione languida e sensuale. Piccolo, dannato biondino tentatore.
___ « Perfetto, Blanchard.» Lui gli strizzò il braccio in uno spasmo appena accennato, che però Dean percepì ugualmente.





venerdì, notte;

Raggio di Luna: Ti va di cullarmi ancora col pensiero?
Dean Caesar: Lo stavo già facendo. Chiudi gli occhi, Raggio di Luna.






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Capitolo 10: Cesare;
Cliccando Qui , trovate la canzone che balla Olivier nel suo assolo!
Sinceramente pensare a lui che balla questa canzone è … splendido. La amo, lo amo.



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Capitolo 12
*** Run; ***


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Dovete cliccare Qui , leggete ascoltando questa mini playlist, altrimenti non ha senso!


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Guardava il proprio riflesso allo specchio e quasi non riusciva a riconoscersi: aveva un'espressione stralunata e, quando si soffermava a pensare a Dean, gli veniva spontaneo increspare le labbra in un sorrisetto talmente beota che si stupiva fosse lui a farlo. Sbuffò e prese il phon per sistemarsi i capelli: li voleva asciugare di modo che stessero all'indietro da soli, in un'onda morbida, senza impiastricciarli col gel o la cera che gli facevano orrore, colpa delle pomatate a modi “leccata di mucca” a cui lo obbligavano durante la maggior parte degli spettacoli dell'Accademia.
___ « Faccio io.» Thalie apparve alle sue spalle, sorridente e radiosa, come sempre quando si trovavano al “La belle époque”.
___ « Grazie.» Le sorrise e lei gli prese l'asciugacapelli dalle mani: iniziò a fargli la piega con l'ausilio di una spazzola tonda mentre fischiettava una canzone che non riconobbe come Take it Easy, degli Eagle.
___ « Posso truccarti?» Gli domandò speranzosa, sfarfallando velocemente le lunghe ciglia nere, grazie al mascara.
___ « Assolutamente no. Non questa sera: ho invitato Dean, non voglio sembrare una checca deficiente.» Borbottò incrociando le braccia al petto e incassando leggermente la testa nelle spalle.
___ « Mi piace Dean, sai? L'ho anche minacciato di evirarlo e non ha fatto una piega, anzi, mi ha detto che si aspettava una mia mossa del genere.»
___ « Non è che ti abbia chiesto se ti piace Dean. E comunque sei una bestia.»
___ « E mi amano tutti per questo.» Sentenziò lei, facendo spallucce. « Io lo avevo detto dall'inizio che eravate legati dal filo rosso del destino. Non come con quei beoti che hai frequentato in passato.»
___ « Bhé, non è che fossero poi così tanti, non mi chiamo mica Thalie.»
___ « Touché …»
Rannicchiò le gambe al petto, appoggiando la pianta dei piedi nudi sul bordo della sedia imbottita che occupava; si abbracciò le ginocchia e lasciò che la sua personal hair stylist continuasse il lavoro, acconciandogli i capelli biondi come meglio credeva.
Era nervoso, tremendamente nervoso.
Intorno a loro alcuni membri della Corte dei Miracoli si stavano preparando, i tecnici del locale facevano avanti e indietro dai camerini, tutti sembravano allegri come sempre, rilassati, pronti allo show.
___ « Ma petite …» Gli sussurrò all'orecchio Thalie, che nel frattempo aveva terminato la sua opera. « Sei bellissimo. Forza! Andiamo a vestirci per lo show e ricorda: questa sera canterò solo per te.»
Lui alzò lo sguardo e incontrò quello della sorella nel riflesso dello specchio: le sorrise appena, un po' impacciato e annuì una volta soltanto, aspettando qualche istante prima di seguirla. Approfittò di quell'attimo di solitudine per poter recuperare il vecchio Nokia dalla tasca posteriore dei pantaloni e ne guardò lo schermo dopo averlo sbloccato: le diciotto in punto.
Prese un profondo respiro prima di alzarsi in piedi e ricacciare il cellulare in tasca; batté i palmi delle mani sul piano del tavolo da trucco e si guardò dritto negli occhi, con espressione truce.
___ « Non mandare tutto a puttane Olivier, non fare il cacasotto.»



Schiacciò il drum nel posa cenere di un cestino saldato a un palo della luce, uno di quelli squisitamente retrò che illuminano alcune strade di Parigi e lì, nel quartiere latino, le vie ne erano piene. Alzò lo sguardo verso l'insegna in stile art nouveau del locale e ne lesse il nome: “La belle époque”.
L'ingresso era quello di una tipica palazzina residenziale parigina: cinque gradini di pietra chiara portavano a una bella porta di legno rosso scarlatto che svettava come un rubino, incastonata com'era in mezzo all'intonaco bianco dell'edificio. Non c'era ombra della classica pulsantiera multipla di un citofono, ma solo un solo bottone bianco posto sopra a una piccola targa di ottone riportante lo stesso nome dell'insegna nera, la quale era intagliata in una lastra di ferro battuto illuminata sul retro da una luce al neon bianca che dava risalto al nome del locale.
Strinse la bocca e si umettò le labbra con la punta della lingua prima di suonare il campanello e il battente rosso si aprì immediatamente.
___ « Benvenuto!» La donna all'ingresso era fasciata in un abito da sera elegante, blu elettrico e gli sorrise cordiale. « Posso chiederti il soprabito? Tieni, questo è il talloncino per ritirarlo in uscita.» Efficiente, senza dubbio.
___ « Oui, merci beaucoup Madame.» Ricambiò l'espressione affabile e le porse la sua giacca sportiva, verde petrolio, semplice, rimanendo in camicia grigio scuro e jeans più chiari.
___ « Merci à vous.» Con un morbido cenno della mano, la donna lo invitò a procedere e lui si trovò a fissare una scala piuttosto ripida, in legno, che portava al piano di sopra: sembrava un tunnel della lussuria con quelle pareti e il soffitto bordeaux, le applique barocche e le luci soffuse, color crema.
Sorrise fra sé e sé, divertito dal fatto che Olivier gli avesse dato appuntamento proprio in quello strano posto che sembrava l'androne di un boudoir, solo che mai prima impressione fu più sbagliata.
___ « Well, I ain't never been the Barbie doll type, no I can't swig that sweet Champagne, I'd rather drink beer all niiight!» (1)
Quella voce ebbe l'effetto di una secchiata d'acqua ghiacciata in pieno viso; si era lasciato alle spalle una porta gemella a quella d'ingresso, per trovarsi in un ampio locale dove troneggiava un bancone bar in radica, dominato da bar tender che si dilettavano nella preparazione di cocktail con la stessa impegnata spettacolarità che ci si sarebbe aspettata da un contorsionista del Cirque du Soleil.
Il salone principale era ampio e circondato da piccole nicchie più intime, le pareti erano rivestite in legno nero e il soffitto dipinto di un forte tinta blu elettrico era illuminato da fibre ottiche sapientemente disposte a modello via lattea; sotto ai piedi parquet scuro su cui ora schioccavano i tacchi degli stivali di ballerini che si prodigavano in un ballo di gruppo in pieno cow boy style.
Olivier era fra loro, ovviamente. Sul palco una scatenata Thalie lo sconvolse completamente: la sua voce era potente, aveva una cantata soul, capace di farti vibrare l'anima, perfetta per quella donna forte e caparbia.
___ « Let me get a big hell yeah from the Redneck Girls like me!» (2)
La popolazione femminile del locale esplose in un “Hell Yeah!,” mentre i ballerini continuarono la loro esibizione country in una line dance di tutto rispetto, caratterizzata da grasse risate e movimenti allegri e rapidi, ripetuti in serie, sincronizzati.
Si inoltrò nel Belle époque e, man mano che si avvicinava al bancone e studiava quell'ambiente atipico, un sorriso sempre più divertito gli incurvava le labbra: nella parte principale del locale c'erano diversi posti a sedere composti da divani bi e triposto e poltrone in pelle rossa e bordeaux, sistemati intorno a ampi tavolini da caffé in legno nero, isole dove rifugiarsi in compagnia dei propri amici, seppur ci fossero anche anime solitarie intente a bersi un cocktail e godersi lo spettacolo. Thalie si muoveva, animata da un'energia che sembrava inesauribile, sopra un piccolo palco che ospitava un pianoforte a coda nero e che troneggiava su una pista da ballo piuttosto ampia.
Sedette su uno sgabello adiacente al banco bar, dandovi le spalle e alzò una mano per salutare Olivier quando lui gli rivolse lo sguardo; il sorriso radioso che ricevette in cambio lo distrasse da quel locale delizioso, dalla voce energica della Dama bianca e persino dall'animazione dei ballerini che, ora, si apprestavano a portare in pista qualche cliente casuale: no, non esisteva nulla di tutto ciò, lui aveva occhi solo per Olivier il quale, di tanto in tanto, gli rivolgeva un'occhiata in tralice.
___ « Ehilà, c'è nessuno in casa?» Scosse il capo per uscire dall'incantesimo in cui il biondo l'aveva intrappolato e ruotò appena il corpo verso il bancone oltre il quale, tutto un sorriso, un barman vestito completamente di bianco, eccezion fatta per una cravatta rossa e delle bretelle nere, gli si stava rivolgendo.
___ « Sì, scusa.» Cercò con lo sguardo un menù, ricerca del tutto inutile. « Cosa mi consigli?»
___ « Cosa ti piace? Secco? Dolce?»
___ « Secco.»
___ « Mhn … gin?»
___ « Come inizio può andare.»
___ « Scusami Occhi d'oro, ma sei maggiorenne, vero?»
___ « Sì, e tu?» L'altro scoppiò in una risata divertita mentre lui, interdetto, continuava a fissarlo piuttosto perplesso: nessuno lo aveva mai scambiato per un ragazzino fino a quel momento.
___ « Ma magari non lo fossi. Anni d'oro, quelli! Niente lavoro, solo un po' di università, donne, divertimento …» Gesticolava molto mentre parlava e, nel farlo, afferrò un paio di bottiglie facendole volare in aria in un paio di capriole prima di afferrarle al volo per il collo. « Oh, bhé, non è cambiato molto in effetti.» Ammise versando Gin e chissà quale altro liquido dentro a uno shaker di alluminio.
Seguì i suoi movimenti che somigliavano più a un pezzo di free style ballato a colpi di bottiglie, coltelli, scorze di limone e ghiaccio.
___ « Da quanto esiste questo posto?»
___ « Un annetto circa.»
___ « … Strano, vivo qui da due anni e non l'ho mai visto.»
___ « Perché non eri pronto a trovarci, probabilmente.» Il barman gli scoccò un occhiolino divertito, ma lui fu catturato dal drastico cambio di musica: i ballerini e le luci sulla pista si erano dileguati per dar spazio a una grossa palla stroboscopica calata dal soffitto. Su una musica dance piuttosto pesante, Thalie prese a cantare un brano a tratti elettronico, che stranamente si sposava benissimo con la sua voce poderosa. Era divina: interpretava la canzone sensualmente, imprimendovi un'energia particolare che incitò gli astanti nel locale a battere le mani a ritmo. Ammiccava, i movimenti fluidi dei suoi fianchi catalizzavano l'attenzione di chiunque nel locale, uomini, donne, eterosessuali o omosessuali che fossero; era bella, spumeggiante, sexy.
___ « Touch me! I wanna feel you on my body, put your hands on me! Come on and love me ...» (3)
___ « Ecco qua!» La voce squillante del barman ruppe del tutto la poesia.
___ « Offro io.» Quella di Olivier ne instaurò una tutta nuova.
Quella voce. Si girò e lo trovò appollaiato sullo sgabello accanto al suo, sorridente e con quell'espressione forzatamente impudente, volta a nascondere la sua deliziosa timidezza.
___ « Mi guidi sempre verso posti fantastici, sai? E' decisamente il mio turno di offrire.»
___ « Tu sei Dean?» Entrambi fissarono il barista e se lui era giustamente stupito, Olivier sembrava più intenzionato a ucciderlo torturandolo con meticoloso sadismo.
___ « … Sì. E tu saresti?»
___ « Tristan!»
___ « Lui è il fidanzato di mia sorella …» Borbottò il ballerino scuotendo il capo, rassegnato. « E il padrone del locale.»
___ « Ah.»
___ « I love scandal, tell me what you, what you waiting for?» (4)
___ « Olivier e la Corte animano il locale tutti i sabato sera. Sono proprio fantastici, non trovi?»
___ « Trovo.» Afferrò lo stelo della coppa in alluminio che Tristan gli aveva appoggiato davanti e ne annusò il contenuto: non odorava di gin, né di qualunque altro liquore gli sovvenisse alla memoria ed era fredda, seppur nel liquido non galleggiasse alcun cubetto di ghiaccio, o granatina. Bevve un sorso e rimase deliziato dal sapore deciso e marcato, secco come da richiesta, miscelato sapientemente in modo da prendere un gusto personale, senza prevalenze alcoliche particolari. « E' delizioso!» Esclamò meravigliato, facendo ridere l'autore di quella meraviglia.
___ « Ottimo! E questo lo offro io, così tagliamo la testa al toro: gli amici di Ollie, sono amici miei.»
___ « Grazie, sei molto gentile Tristan.» Si scambiarono una stretta di mano sotto lo sguardo di Olivier, che per l'occasione calzava un cappello da cow boy marrone: sembrava tranquillo, lo guardava con gentile indifferenza mentre picchiettava le dita sul bancone di radica, andando a ritmo con la musica della canzone cantata dalla sorella. Ed era … radioso: perfettamente a suo agio, calmo, si trovava in un territorio a lui congeniale e poteva ostentare quella placida sicurezza che lo rendeva irresistibile ai suoi occhi. « Non bevi niente Olivier? E' sabato.»
___ « Oh … sì. Un Pastis, magari.» Quel sorrisetto malizioso glielo avrebbe fatto sparire dalla faccia a suon di morsi.



Era stato costretto a lasciare Dean in balia di Tristan: avevano attaccato con l'ultima canzone prima della pausa, Cheers, I'll drink to that, cantata in duetto da Thalie e Sophie, ballerina e cantante della Corte, e durante tutta l'esibizione si era sentito lo sguardo di Dean addosso: poteva percepirlo, sapeva quando lui lo stava guardando e ogni volta, ogni dannata volta non poteva fare a meno di cercare quegli splendidi occhi color del miele e farli suoi, catturarli e assicurarsi che restassero inchiodati su di sé.
Si sentiva confuso, ripeteva i passi della coreografia con movimenti quasi meccanici: l'espressione di Dean, seduto al bancone del Belle époque, l'aveva agitato, ma si era comportato come al solito, sorbendo qualche sorso di Pastis prima di essere catturato dagli altri animatori e portato in pista. I suoi occhi d'oro erano colmi di desiderio, non lo aveva mai guardato in quel modo, non aveva mai visto quella brama primordiale illuminargli le iridi e ne era rimasto ammaliato, l'aveva affascinato il modo in qui il suo sguardo lo spogliava e la sua bocca gli sorrideva con dolcezza, amore.
Un cretino, era un deficiente: arrossì al solo pensiero di quella parola e scosse con forza il capo per cercare di farla sparire dalla mente; afferrò la mano di una ballerina e la condusse in un passo a due fuori programma, mossa che entusiasmò il corpo di ballo quanto il pubblico, persino Thalie e Sophie scesero dal palco per unirsi alle danze.
___ « Cheers to the freakin weekend, I drink to that, yeah, yeah! Oh let the Jameson sink in, I drink to that, yeah, yeah!» (5) Ormai sulle note finali della canzone, tutti i danzatori si divisero in coppie e bastarono poche occhiate per intendersi alla perfezione: le cantanti raggiunsero il centro della pista, spalla contro spalla conclusero l'esibizione attorniate da coppie di ballerini che in sincrono, esattamente sull'ultima nota della musica, eseguirono dei perfetti casché. La sala esplose in un'ovazione e lui cercò immediatamente quel corpo, seduto su uno degli sgabelli comodi che conosceva benissimo, ma che intorno a lui sembravano nuovi. Con lui tutto sembrava nuovo.
Le sue labbra piene, incurvate in un'espressione dolce e gli occhi ... un lago di miele in cui avrebbe voluto affondare; quella camicia di jeans gli fasciava le spalle delineando perfettamente i suoi muscoli e le braccia lunghe, dalle quali si farebbe fatto abbracciare sempre e per sempre; voleva affondargli il viso contro il trapezio di pelle fra collo e clavicola, per ispirarne l'odore, scoprirne il sapore.
Voleva quel ragazzo, lo voleva veramente.
___ « Ollie, vado a cambiarmi, ci … Ollie? Sei nel mondo dei vivi?» La mano di Thalie, scossa ripetutamente di fronte al viso, lo riportò alla realtà.
___ « Ahn! Sì, sì.»
___ « Sei stato grande. Un pavoncello con la coda in bella mostra!»
___ « Fottiti, Thalie.»
___ « Maybee tomorrow! … pft, ma che dico: sicuramente più tardi.» (6)
Sconvolgente, quella donna, quell'infida femmina con la quale aveva in comune il dna, era una pazza. Raggiunse il Pastis appoggiato sul bancone in radica, accanto al gomito destro di Dean e per un attimo ebbe la tentazione di sfiorarlo con la punta delle dita, per capire che sensazione si provava nel percepire il suo calore a contatto con la propria pelle.
___ « Ci accomodiamo da qualche parte?» Gli chiese invece l'inglese, distogliendolo dai suoi intenti; scattò col viso, alzando il mento per poter inquadrare il suo viso e annuì velocemente una quantità spropositata di volte.
___ « S – sì, sì, sì. Ma … Thalie mi ha chiesto un attimo di aiutarla. Mi aspetti qui o …»
___ « Sono certo che mi troverai.» Sembrava divertito. Lui si sentiva un impedito e Dean appariva come il padrone della situazione, perfettamente a suo agio.
___ « Sì, probabile.» Si rese conto di aver utilizzato un tono duro, di avergli rivolto uno sguardo freddo e si maledì mentalmente per quel suo modo di fare saccente. Raggiunse i camerini di corsa e sua sorella era lì, in biancheria intima bianca, che armeggiava con la zip di un vestito lucido, verde pistacchio. « … Tha …» Lei si voltò di scatto, guardandolo con le palpebre spalancate, confusa.
Mollò l'abito sullo schienale di una sedia lì accanto e lo raggiunse, costringendolo in un abbraccio deciso, piuttosto opprimente.
___ « Shht … va tutto bene, Olivier. Ci sono io, qui, c'è Tristan, non devi avere paura di niente.» La strizzò e annuì, più o meno convinto; in silenzio l'aiutò a indossare l'abito da sera a sirena che valorizzava le curve sinuose del corpo snello di sua sorella e poi la guardò truccarsi con un rossetto rosso, squillante.
Era eterea: i capelli biondi tutti arricciati e acconciati in una cipolla alta, floscia, le incorniciavano il bel viso facendola assomigliare a un angelo.
Lei era il suo angelo.
___ « Bene … e ora, Olivier, devo farlo.» Gli tirò una sberla che gli ribaltò la faccia, lo schiocco di pelle contro pelle fece girare i pochi presenti nel camerino, lasciandoli basiti. Lui era basito.
___ « Metti da parte il passato, Ollie. Papà se n'è andato, mamma è una stronza egoista e tu hai incontrato solo teste di cazzo, fin'ora, ma non per questo devi chiuderti a riccio davanti a una cosa bella.» Gli afferrò il mento e lo forzò delicatamente a guardarla: gli sorrideva, dolce e pungente come una caramella al miele d'acacia. « Quel ragazzo non è scappato nemmeno quando ho minacciato di tagliargli i coglioni se ti faceva soffrire. Non ha comprato un biglietto aereo per il Nebraska neanche quando ha scoperto che eri il nipote della vecchietta allegra da cui andava a mangiare tutte le settimane e, diciamocelo Olivier, una persona normale per lo meno avrebbe pensato di denunciarti alla gendarmerie per stalkeraggio.»
___ « Ma io non lo stalkeravo …» Borbottò mordendosi l'interno della bocca.
___ « Non ho detto “a ragione”, pirla. Adesso quindi tu vai di la e ti comporti come un ragazzo della tua età con una cotta spropositata per un bel figliolo che, pensa un po', lo ricambia. E ti giuro che se le tue prossime parole saranno: “dici che mi ricambia?” , te meno. Ti rompo il naso con una testata, a costo di schizzare il mio splendido vestito di sangue.»
Esplose in una risata divertita, spontanea, che ebbe l'effetto di rilassarlo; allungo le mani per poterle appoggiare sulle spalle nude della sorella alla quale stampò un bacio su una guancia.
___ « Je t'aime soeur
___ « Je t'aime aussi, idiot.»
Lasciò il rifugio sicuro ch'era la pelle fresca di Thalie, che profumava di mandorle tostate e si avviò verso il locale, cercandolo con lo sguardo. E lui era sempre lì, seduto allo stesso gabello di prima, che reggeva con mascolina eleganza la sua coppa e aveva gli occhi calamitati nei suoi, nemmeno fosse rimasto a guardare la porta dell'ala privata per tutto il tempo.
Il cuore prese a battergli il fretta mentre gli camminava incontro, lo sentiva agitarsi come un tamburo impazzito nel petto, ma non faceva male, no, era piacevole, lo colmava dell'adrenalina necessaria a compiere quell'atto di coraggio. Cinque secondi di coraggio.
Dean non distolse lo sguardo dal suo nemmeno quando quello splendido angelo biondo salì sul palco insieme a Tristan, seduto al pianoforte, pronto a suonare per la sua bella, per lei soltanto, ma lei avrebbe cantato solo per lui, per suo fratello, glielo aveva promesso.
___ « I’ll sing it one last time for you, then we really have to go. You’ve been the only thing that’s right in all I’ve done …» (7)
Gli porse la mano e le dita di Dean l'afferrarono, stringendola in una morsa calda e un po' ruvida; indietreggiò dando le spalle al palco, conducendolo al centro della pista che ben presto si infoltì di altre coppie, inesistenti nell'angolo di paradiso che si stava ritagliando con lui, per lui. Lo abbracciò tremando appena, leggermente confuso dalle proprie azioni, ma Dean gli circondò il corpo andando ad appoggiare i palmi aperti sulla sua schiena, investendolo col suo odore, che non aveva nulla di artificiale: solo la sua pelle, la sua essenza naturale.
« Light up, light up as if you have a choice, even if you cannot hear my voice, I’ll be right beside you dear … Louder, louder and we’ll run for our lives, I can hardly speak I understand why you can’t raise your voice to say... » (8)
La voce di Thalie gli fece vibrare l'anima e sentiva che per Dean era lo stesso. Non tremò più, era protetto da quelle braccia, si sentiva sicuro mentre muoveva lentamente il viso per potergli sfiorare la base del collo con la punta del naso, ispirando a fondo lui e la sua pelle leggermente abbronzata, color del caramello, accarezzata dal colletto della camicia di jeans … avrebbe voluto baciarla, morderla.
___ « … Dean … non finirà tutto questa notte, vero?» Udì la propria voce ridotta a un fioco sussurro, gli sembrò assurdo che fosse proprio lui a produrre quell'uggiolio implorante.
___ « Non è mai notte quando vedo il tuo volto …» Le iridi di miele cercarono le sue azzurre, le braccia forti lo strinsero maggiormente annullando completamente la distanza fra i loro corpi. « Perciò ora a me non sembra che sia notte, né che il bosco sia spopolato e solitario, perché per me tu sei il mondo intero.» *



La voce di Thalie, così armoniosa, vigorosa, ammaliante.
Il corpo di Olivier, forte e bruciante, che nascondeva un animo ferito, timoroso. Lo aveva capito attraverso tutti quei discorsi lasciati a metà, dalle sensazioni che provava, ma che tentava di non esternare mai, fallendo. Perché Olivier era trasparente, puro, cercava di ostentare sicurezza, chiedendo in quel modo protezione e lui l'avrebbe voluto tenere fra le braccia per sempre, tranquillizzandolo mentre i battiti dei loro cuori si sincronizzavano divenendo un'unica, dolce melodia.
E dolce era il profumo dei suoi capelli biondi, un tocco di camomilla che gli inebriava i sensi; angelica era la cantata di Thalie, che sembrava voler esprimere nient'altro che amore con quelle parole che bruciavano più di una fiamma a contatto con la carne. Lo sentiva sotto pelle il trasporto emotivo da cui lei si faceva guidare e poteva percepire l'intensità con cui stava toccando non solo se stesso, ma anche la creatura che stringeva fra le braccia: i loro cuori battevano all'unisono.
Cielo, mare, petali d'ortensia, iris, fiordaliso, lapislazzuli, zaffiro, acquamarina: gli occhi di Olivier racchiudevano tutte queste sfumature e mille altre ancora. Gli sorrise, andando a far scivolare la mano destra lungo la sua schiena, in una lenta carezza che estese alla base del collo sottile, alla linea della mascella che sfiorò con la punta delle dita. Lui lo guardava respirando un po' affannoso, con quell'espressione che gli chiedeva di non fargli del male, di trattarlo come se fosse la cosa più preziosa che esistesse sulla faccia della terra, spaventato ed eccitato mentre le sue dita sottili si insinuarono fra i propri capelli, timidamente, accarezzandoli quasi volesse semplicemente saggiarne la consistenza.
___ « Tu sei un essere speciale e io … avrò cura di te.» **
Le mani gli tremavano, sentì il volto andare a fuoco e il respiro bloccato; la bocca non era più il tramite dei suoi pensieri, ma soffiava le proprie emozioni in lui, cercando di accarezzargli l'anima col fiato.
Baciarlo fu semplice, istintivo, vitale. Come respirare.





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(1) : Beh, io non sono mai stata il tipo da bambola Barbie, no non sorseggio dolce Champagne, preferisco bere birra tutta la notte.
(2) : Datemi un bel “Hell Yeah”, ragazze Rednek come me!
(3) : Toccami! Voglio sentirti sul mio corpo, metti le tue mani su di me! Forza, e amami …
(4) : Amo gli scandali, dimmi, cosa stai aspettando?
(5) : Cin cin, brindiamo a questo pazzo weekend! Bevo a questo, yeah, yeah! Oh, lasciamo che Jameson faccia effetto, brindo a questo! Yeah, yeah!
(6) : Magari domani!
(7) : La canterò un’ultima volta per te poi dovremo andare davvero. Sei stato l’unica cosa buona in tutto quello che ho fatto.
(8) : Accendi, accendi, come se avessi una scelta, anche se non puoi sentire la mia voce ti sarò accanto caro. Più forte, più forte e correremo per le nostre vite, riesco appena a parlare capisco perché non possa alzare la tua voce per dire.

* Cit. W. Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate.
** Cit. Franco Batiato, La cura, e no, Dean non la conosce ovviamente, ma non potevo esimermi dal farglielo dire. Proprio no.

Una considerazione personale: scrivere questo capitolo è stato faticoso. Ero e sono emozionata e non credo in realtà di aver espresso al meglio le emozioni nei personaggi, perché ero nervosa come Olivier, a modi “ansia da prestazione”. Tuttavia, forse è proprio questa la cosa carina: traspare la paura di buttarsi che prova Olivier e la devozione con cui Dean lo accoglie per proteggerlo, per gustarselo e per amarlo. Mhn … basta >.< Ditemi se vi piace!

Oh, una piccola sorpresina:
Dean Caesar Hamilton ( che si legge Dìn ): I.D. Card < CliQ!




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Capitolo 13
*** Passage d'Enfer; ***


___





Non avrebbe più smesso di baciarlo.
Era come l'ossigeno, l'aria nei polmoni o bere acqua fresca quando aveva sete: ne aveva bisogno. Non smise di nutrirsi di quelle labbra nemmeno quando le ultime note di Run si dispersero nell'aria, lasciando spazio ad applausi entusiasti; lui non riusciva a formulare un pensiero coerente, udì quelle esultanze come rumori lontani, confusi.
Dean, il suo sapore, il suo calore, le sue mani.
I suo capelli morbidi, la sua barba ispida, la sua lingua calda.
Gli sembrava che ogni emozione esistente fosse racchiusa in quel bacio: la gioia di poter finalmente stringerlo a sé, l'eccitazione nel sentire il suo corpo addosso al proprio, la leggera rabbia che lo pervadeva al sol pensiero di doversi staccare da quella bocca di fuoco, la sorpresa nel constatare quanto tutte quelle sensazioni si riflettessero anche in quegli occhi color miele.
Ansimavano ed entrambi avevano le labbra arrossate e gli occhi lucidi; le sue mani erano ancora saldamente ancorate dietro la nuca di quel fantastico baciatore, che lo teneva stretto in un abbraccio saldo, per nulla intenzionato a lasciarlo andare.
___ « Voglio stare con te …» Sussurrò appoggiando la punta delle dita della mancina sul suo labbro inferiore, gonfio.
___ « Tu stai con me.» Gli parlò in inglese e la cosa lo fece ridere: sembrava che anche a Dean si fosse resettato il cervello. Lo baciò di nuovo, rapido prima di afferrare entrambe le sue mani con le proprie.
___ « Andiamo via di qui.» Intrecciò le dita con quelle di lui che gli sorrise, annuendo una sola volta. Distolse l'attenzione dal ragazzo solo per un attimo, il tempo necessario per poter inquadrare il palco scenico: Thalie si stava esibendo nell'ultimo assolo della serata ed era talmente bella che sembrava emanare luce propria. Gli sorrise e lui ricambiò, mandandole un bacio prima di scendere le scale verso il guardaroba, mano nella mano con Dean.
Sciolsero l'intreccio delle dita solo quando la guardarobiera consegnò loro le giacche e si perse per un attimo a osservare minuziosamente quel corpo che aveva imparato a conoscere anche al tatto. Doveva sembrare un maniaco e lo dedusse dallo sguardo divertito che l'inglese gli rivolse.
___ « Tutto bene?»
___ « Oh, mai stato meglio.» Ammise con una nonchalance di cui non credeva di poter essere padrone e cercò nuovamente, con naturalezza, la sua mano.
___ « Dove vuoi andare, Olivier?»
___ « Ovunque possiamo parlare, baciarci e magari mettere qualcosa sotto i denti senza essere disturbati.»
___ « D'accordo, conosco il luogo ideale.» Gli lasciò la mano, cosa che lo disturbò, ma non ebbe il tempo di lamentarsi dato che lui si era avvicinato a una vespa verde menta, posteggiata in un apposito parcheggio a rastrelliera.
___ « Cos - … cosa fai? Cioè, vuoi rubare un motorino?»
___ « O magari è mia.» Suggerì estraendo da una tasca dei pantaloni delle chiavi scintillanti quasi quanto il sorriso sornione che gli rivolse. Rispose in un piccolo ringhio, increspando le labbra in una smorfia e si avvicinò affondando le mani nelle tasche del giubbotto leggero, color prugna.
___ « Ma ce li hai due caschi?»
___ « Certo che sì. Bernadette è una Vespa accessoriata!»
___ « La tua Vespa si chiama Bernadette.» Ripeté cercando di nascondere un sorrisetto, invano.
___ « Sì, certo. Le ho dato il nome di un personaggio di Big Bang Theory. Lo conosci?» Gli chiese porgendogli un casco dello stesso colore del motorino, probabilmente venduto proprio insieme a lui. Lei.
___ « Certo che sì! Sheldon mi fa morire dal ridere e … sì, Bernadette è in effetti adorabile. Ma Penny è più … splendida.»
___ « E' verissimo, concordo al cento per cento, tuttavia l'ho comprata qui in Francia per usarla a Parigi, quindi un nome francofilo mi sembrava più adatto.»
___ « Sei proprio un romantico, Dean.»
___ « Non immagini nemmeno quanto …» Lo afferrò per i fianchi spingendoselo addosso e gli rubò un bacio carico di passione, al quale rispose piantandogli il casco nella schiena, nell'abbracciarlo. Lui non smise quella dolce tortura, semplicemente grugnì un verso e gli morse dolcemente il labbro inferiore, ridacchiando nell'allontanarsi.
___ « …Violento.»
___ « Ops.»
___ « Sali?»
___ « Non sono mai salito su uno di questi cosi. Ho paura di cadere e rompermi qualcosa, sarebbe al quanto drammatico per la mia carriera.» Ammise girando intorno a lui e alla Vespa, che osservò con minuzia: non era un modello di quelli che sembravano tenuti insieme con lo scotch e la speranza, sembrava solida, aveva un sellino comodo e spazioso per due persone, un porta oggetti che fungeva anche da schienale per il passeggero e le pedane per i piedi.
___ « Sono un guidatore prudente, Olivier, ma se preferisci posso spingerla e ci muoviamo a piedi, non c'è problema.» Non era affatto sarcastico, anzi, suggerì quella possibilità con un morbido sorriso dipinto in volto e lui si sciolse, sospirando appena.
___ « No, mi fido di te.» Affermò sicuro, infilandosi il casco in testa. « Una volta mi fai provare a guidarla?» Chiese all'improvviso, lasciando che Dean l'aiutasse a chiudere la cinghia di sicurezza e si stupì appena nel constatare che anche il più semplice dei contatti con quell'uomo era in grado di regalargli un brivido caldo lungo la spina dorsale.
___ « Certo. Prego.»
___ « O – ora?» Spalancò le palpebre, completamente preso alla sprovvista e si agitò quando lui annuì, indicandogli il sellino e porgendogli le chiavi.
___ « Metti le chiavi nel quadro.» Gli indicò la fessura. « E accendi i fari, prima di tutto, con quel bottone.»
Lo fissava ancora un po' imbambolato e si mosse solo dopo qualche istante per afferrare il portachiavi a forma di gargoyle e compiere tutte le azioni suggeritegli; sedette sul sellino tenendo i piedi a terra, ai lati di Bernadette e infilò la chiave nel quadro. Spinse il pulsante dei fari e un fascio di luce bianca illuminò il marciapiede davanti a loro.
___ « L'ho acceso!» Esclamò in un sorriso eccitato che scemò in fretta quando si rese conto di quello che aveva detto. « Ahm … scusa, mi elettrizzo con poco.»
___ « Non preoccuparti Olivier, sei carino.» Ridacchiò in risposta e, avvicinandosi, gli afferrò le dita « Ora appoggi le mani qui.» Gliele condusse sulle manopole del manubrio, con calma, perdendosi tutto il tempo necessario per imprimere delle carezze sulla sua pelle. « Controlli che il quadro non abbia spie strane accese e poi, tenendo il freno tirato.» Gli spostò la mano destra su una manopola più sottile, cromata. « Giri la chiave e metti in moto schiacciando il pulsante “start”. E' molto semplice, tutto elettronico.»
Annuì silente e obbedì, in realtà completamente distratto dalle mani di Dean sulle sue. Prese un profondo respiro volto a calmarsi, tentando di scacciare il pensiero che vedeva quelle dita calde percorrergli la schiena, il torace, il viso e quando la Vespa si mise in moto riuscì a tornare alla realtà, sentendosi scioccamente potente.
___ « Ce l'ho fatta! Si è accesa!»
___ « Bene, bene! Ora, con dolcezza, togli il cavalletto con un piede, accompagnando Bernadette in avanti, con un movimento fluido. Scatterà appena, ma non preoccuparti: se non tocchi la manopola dell'acceleratore, non partirà.»
___ « Non mi preoccupo! Dunque …» Individuò il sostegno che manteneva il motorino in piedi e, muovendosi col peso del corpo in avanti, lo tolse: ora era lui che manteneva la Vespa in piedi. « Fatto! Adesso?»
___ « Adesso vai. Quello è l'acceleratore, devi fare così.» Gli mostrò il movimento da compiere e poi si scostò di lato, osservandolo. « Delicatamente, altrimenti ti schianti davvero contro un muro.»
___ « Sei molto rassicurante, Dean.» Impresse una leggera rotazione alla manopola, millimetrica, rilasciando contemporaneamente il freno e la Vespa si mosse in avanti: scattava un po', certo, ma viaggiava.
___ « Ah-ah! Ce l'ho fatta! Ce l'ho fatta!»
___ « Vuoi guidare tu?» Gli domandò l'altro divertito, raggiungendolo in una breve corsetta.
___ « Non esageriamo, ora. Mi farai fare un po' di pratica, con calma. Per ora va bene così. Questa è la serata delle prime volte.» Lo disse così, senza pensarci troppo e l'occhiata che l'inglese gli rivolse era la mescolanza perfetta di incredulità e contentezza. « Mhn … sali, io scivolo indietro.» Lo intimò in fretta e lui ebbe la delicatezza di prendere il suo posto rapidamente. ___ « Reggiti forte.»
___ « C'è lo schienale, non rischio di cadere …» Mormorò soffiandogli in un'orecchio.
___ « Lo so, ma voglio che ti stringa a me. E' un problema, Raggio di luna?»
___ « Sarebbe stato un problema se non me lo avessi chiesto.»
Ammise circondandogli la vita con le braccia e gli appoggiò una guancia contro la spalla destra, sorridendo al quartiere latino di Parigi che si stavano lasciando alle spalle, sfrecciando sulla Vespa lungo la Senna.



Si infilò nel parcheggio privato di cicli e motocicli destinato agli abitanti del Passage d'Enfer, dove il transito di qualunque mezzo a motore era vietato.
Amava abitare lì: si trattava di una strada poco conosciuta, “segreta” seppur pubblica, ma chiusa da un cancelletto sempre aperto e resa particolare dagli infissi color pastello, rosa, celeste, verde, che si affacciavano su un viale acciottolato.
Assicurò la Vespa al cavalletto e spense fari e motore.
___ « Ora dovresti lasciarmi andare, Olivier.» Suggerì appoggiando una mano sulle sue che, con le dieci dita intrecciate, erano addossate al proprio stomaco.
___ « Ahn … già.» Dopo che lui sciolse l'abbraccio, a turno scesero da Bernadette e si guardarono negli occhi mentre sfilavano i caschi, per niente impacciati; poté leggere in quelle pozze azzurre desiderio e passionalità, complicità che lo condusse a sfiorargli le dita della mancina, in un tocco flebile. « Dove mi hai portato?»
___ « In un posto dove possiamo stare tranquilli. Parlare …» Sussurrò intrecciando le dita con le sue. « … baciarci … » Si sporse in avanti, trovando il viso di Olivier proteso verso di lui, pronto ad accogliere il suo bacio carezzevole e delicato. « E mettere qualcosa sotto i denti: casa mia.» Lui gli strinse la mano nemmeno volesse spezzargli le ossa, le pupille ridotte improvvisamente alla grandezza di una capocchia di spillo: l'aveva preso in contro piede.
___ « Tranquillo Olivier, non voglio saltarti addosso con la scusa di un tetto sopra la testa e un ambiente intimo. Volevi un mio quadro, no?» Gli domandò avvicinando la mano libera al suo viso, per accarezzarglielo. « Mi farebbe piacere che ne scegliessi uno di persona. O che mi dicessi cosa vuoi che ti dipinga vedendo quello che sono in grado di fare … non avere paura. Non di me.»
Lo sguardo di Oliver, che fino a quel momento era rimasto inchiodato sulle punte delle sue scarpe, si alzò e sembrava più sicuro.
___ « Non ho paura.» Precisò allentando un po' la presa violenta sulla sua mano. « Andiamo, vediamo un po' dove vivi, Caesar …» Quel suo modo di dire il suo secondo nome, l'accento francese al quale non era abituato, più morbido, più sensuale rispetto alla parlata londinese … lo faceva impazzire.
___ « Aspetta.» Lo attirò a sé, catturandogli il viso con le dita libere e la bocca con le proprie labbra, mosso da un impeto carnale di bassa lega che voleva sfogare lì, in strada, dove non avrebbe potuto cedere ai suoi istinti. Olivier lo costrinse ad abbracciarlo, muovendo la mano che ancora era legata alla sua, intorno al suo corpo. Lo avvolse senza fretta, sentendo il suo calore, assaporando il suo respiro prima di soffiargli un respiro caldo sulle labbra, a occhi chiusi, con la fronte appoggiata alla sua.
___ « … Mi piace come benvenuto.» La sua voce era un sussurro fioco.
___ « Ci speravo. Vieni …» Gli fece strada verso una delle porte scure, totalmente in contrasto coi colori chiari con cui erano tinte le persiane delle finestre, si fermò ad una palazzina che le aveva azzurro pastello. Si lasciarono per un attimo, il tempo che lui aprisse il battente e si inoltrasse per le scale strette, dai gradini piuttosto alti. « E' al quarto piano … non c'è l'ascensore, ma per la vista che offre è un buon prezzo da pagare.»
« Scommetto che quando hai i pacchi della spesa, la pensi in un'altra maniera.» Rise a quelle parole e si voltò un istante per guardarlo, occhiata che gli costò un passo falso e un inciampo. « Guarda avanti, Dean, non vado da nessuna parte.» Lasciarsi scappare un'occasione così ghiotta di prenderlo in giro, non era proprio da Olivier. Davanti alla porta di casa prese un respiro profondo, affondò le chiavi nella toppa della porta blindata e la spalancò, rivelando una sala discretamente ampia sulla quale si affacciava la cucina, delimitate l'una dall'altra grazie a una parete bucata da un vasto arco. Controllò di non aver lasciato vestiti o contenitori per cibo take-away in giro, quindi accese la luce e Olivier sbarrò le palpebre sconvolto, immediatamente catturato dalla vetrata che occupava quasi un'intera parete e dava non sulla stradina acciottolata, ma verso Parigi.
___ « Wow … Dean! Ma che casa magnifica! E' piccina, ma … hai una camera da letto o questo è un divano che si apre?» Indicò il quattro posti a righe nere, grigie e bianche, ricoperto di cuscini monocromatici ma sugli stessi toni e lui scosse il capo, in un diniego appena accennato.
___ « C'è una piccola stanza di là.» Indicò una direzione precisa e Olivier vi si diresse, curioso, senza chiedere il permesso e gettando evidentemente tutte le sue preoccupazioni direttamente nel cesso. « Se trovi in giro vestiti lanciati a caso, fa finta di non vederli!»
___ « Oh bhé, se avessi trovato una casa tutta linda e pinta, coi soprammobili e i vestiti al loro posto, avrei pensato che avevi programmato di portarmi qui e me ne sarei già andato.» Tornò verso di lui, sorridente. « Mi piace, è carina. Sei in affitto?»
___ « Sì. Ho aggiunto qualcosa di mio, ma di base i mobili sono della padrona di casa.»
___ « E tutti i quadri appesi li hai dipinti tu? Anche le foto le hai scattate tu?» Domandò indicandoli e avvicinandosi alle pareti tanto che quasi li sfiorò col naso.
___ « Sì, sì. In cucina c'è un piccolo stanzino che dovrebbe essere una dispensa, ma io l'ho trasformato in sgabuzzino per i miei lavori. Ce ne saranno una cinquantina … e in cantina ce ne sono altri, impacchettati, che è un po' umida.»
___ « Quindi mi ci vorrà un po' per scegliere il mio quadro, mh, mh …» Lo osservò camminare nella sua casa, appoggiare le suole degli stivali di cuoio sopra il tappeto di rafia intrecciata e gli sembrò una scena estranea: una creatura di un altro mondo che osservava i suoi dipinti, le sue foto, che sfiorava con le sue dita lunghe e sottili le cornici in legno, o il bordo delle tele lasciato a vista. Era bellissimo.
___ « Hai fame?»
___ « Sì! Mi fai qualcosa di inglese?» Si voltò in una mezza piroetta, con un sorriso ampio stampato in faccia che lasciava in vista i denti bianchi.
___ « Certo. Vieni, vieni.» Facendogli largo verso la cucina abitabile si sfilò le scarpe, lanciandole accanto a una delle due poltrone rosse che fronteggiavano il divano e Olivier fece altrettanto, senza chiedergli nulla, ma la cosa non lo infastidì, anzi, lo allietò vederlo così a proprio agio.
La cucina aveva mobili di legno rossastro, con piano in marmo bianco come le pareti; un tavolo rotondo ospitava sei sedute, dipinto come le seggiole con una tecnica screpolata di nero su bianco. Il pavimento era in parquet nero e contro l'unica parete libera, dove non v'era né l'angolo cottura, né una di quelle finestre con le persiane azzurro pastello, c'erano appoggiate una quantità spropositata di tele, una piuttosto grossa era sistemata su un cavalletto di legno nero. Accese la luce, emanata da un'eccentrica applique a parete a forma di parola “Faith”: le lettere erano tridimensionali, in ferro scuro, con incastonate al loro interno una moltitudine di lampadine.
___ « Wow. Quella è tua.» Decretò Olivier, indicando proprio la parola luminosa.
___ « Sì, lo ammetto! L'ho trovata da un rigattiere qui a Parigi, fra l'altro, ed è stato amore a prima vista.» Arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e aprì il frigorifero, osservando un po' cosa aveva da offrire la casa. « Vuoi qualcosa da bere, intanto?»
___ « Acqua.» Si era già accomodato su una sedia e aveva affondato i piedi su cuscino a righe bianche e nere di una seduta gemella. « Facciamo un gioco?» Domandò all'improvviso, catturandogli lo sguardo con quegli occhi azzurri, proprio quanto si voltò per appoggiare il bicchiere colmo d'acqua sul tavolo.
___ « Certo.» Rispose in un mezzo sorriso, tornando poi al frigorifero.
___ « Ancora una volta accetti prima di sapere di cosa si tratta, Dean. Non è prudente.»
___ « Non ho bisogno di essere prudente con te. A cosa vuoi giocare?»
Accese il piccolo forno, impostando una temperatura di centocinquanta gradi e recuperò dal frigorifero due uova e un grosso pomodoro rosso, maturo.
___ « Da questo momento possiamo chiederci l'un l'altro quello che vogliamo e bisogna rispondere sinceramente, dicendo la verità.»
___ « Sicuro?» Chiese lanciandogli un'occhiata rapida, mentre una mano stringeva già il collo di una bottiglia di latte iniziate e l'altra la saliera.
___ « Certo. Voglio … sapere tutto, di te e voglio che tu sappia tutto, di me.»
Sorrise, dandogli le spalle. Annuì soltanto, mettendo a bollire le uova in una pentolina piena d'acqua.
___ « A te l'onore, sei l'ospite.» Gli concesse il via mentre tagliava a fette il pomodoro, eliminando la parte superiore, del picciolo e quella inferiore, rotonda.
___ « La prima volta che mi hai visto, alla festa della Corte, cos'hai pensato?»
___ « Facile: che eri sexy da morire.» Voleva gustarsi la sua espressione, quindi ruotò il viso il necessario per poter guardare il suo contorto in un'espressione perplessa, le guance arrossate che gli conferivano un'aria un po' infantile, delicata.
« E tu quand'è esattamente la prima volta che mi hai visto?»
___ « Oh … bhé, non ricordo con precisione.» Ammise grattandosi la punta del naso con l'indice destro, pensieroso. « Ma … sicuramente più d'un anno fa. Io tornavo a casa ed ero quasi arrivato, mentre tu uscivi dal Bistrot. Mi sei passato accanto, ma non mi hai notato perché avevi lo sguardo perso in qualche pensiero, rivolto ai tuoi piedi. E … sì, credo fosse quella la prima volta.»
___ « Ma - »
___ « Tocca a me!» Lo bloccò lui, sorridendo furbetto. « Perché hai accettato di uscire con me? Solo perché ero sexy?»
___ « No.» Non rispose velocemente per rassicurarlo, ma perché gli venne spontaneo. Aprì un armadietto e ne estrasse degli english muffin, che dispose su una teglia prima di infornarli. « Quando sono entrato in quell'attico … tu mi hai stregato. Ti ho notato subito e non perché ballassi sul cubo, ma per il modo in cui lo facevi: eri seducente, ma di una sensualità delicata, inconsapevole.» Si voltò per poterlo inquadrare e si appoggiò al ripiano di marmo. « Quando hai preso la mia mano e ti ho stretto fra le braccia, ho perso un battito.»
___ « L'ho sentito.»
___ « E' successo anche a te.»
___ « Lo so.»
___ « Per questo ho accettato.»
Le sue labbra si incurvarono in un sorrisetto condito da un pizzico di timidezza, mentre la punta delle dita della mano sinistra tamburellavano sul tavolo, tic a cui cedeva quando era pensieroso, o nervoso.
Si prese un po' di tempo per recuperare una confezione di mozzarella per pizza dal frigorifero: ne tagliò due grosse fette e andò poi a scolare le uova, ormai sode.
___ « Cosa provi quando danzi?» Continuò a dargli le spalle per finire di preparare gli english egg muffin alla pizzaiola: pulì le uova dal guscio e le tagliò a fettine, quindi sistemò le rondelle di pomodoro più grosse sopra ai muffin fumanti, seguite da mozzarella e uova rode, che condì con un pizzico di origano e un filo d'olio. Infornò di nuovo il tutto e si voltò verso Olivier che lo fissava, quasi interdetto. « Tutto bene?»
___ « Sì, sì! E' che … sei bello mentre cucini …» Mormorò bevendo un sorso d'acqua fresca. « Io mi sento libero, quando danzo. Ho un ottimo rapporto col mio corpo, da sempre, riesco a esprimere le emozioni che sento muovendovi a ritmo con loro. Amo le sfide, adoro cimentarmi in nuovi stili, interpretare nuove opere o ballare su pezzi musicali che nessuno si aspetterebbe da me, come il rock.» Aveva smesso di muovere le dita e lo stava guardando dritto negli occhi. « Ballare mi rende felice e sono fortunato a poter ambire a una carriera professionistica.»
___ « Sei bravo, non fortunato.»
___ « Oh, sì, è senz'altro vero, tuttavia ci vuole sempre un pizzico di fortuna.»
Lo raggiunse al tavolo e gli afferrò i piedi, prendendolo alla sprovvista: lui si irrigidì un po', ma lo lasciò accomodare per sistemarsi i suoi piedi in grembo.
___ « Tocca a te.»
___ « Che profumino …» Mormorò in primis, socchiudendo le palpebre per respirare l'aroma che proveniva dal forno. « Dean, posso confessarti una cosa invece di farti una domanda?»
___ « In fin dei conti è una domanda anche questa.» Osservò in un largo sorriso. « Certo Olivier, puoi dirmi qualunque cosa.»
___ « D'accordo … promettimi di non spaventarti, però.»
___ « Parola di boy scout.»
___ « Hai fatto il boy scout?»
___ « Ovviamente no. Parola di artista-slash-studente. Meglio?»
___ « Direi di sì.» Sorbì un nuovo sorso d'acqua prima di abbandonare il bicchiere sul tavolo e piegarsi in avanti, così da afferrargli le mani. « Prima, quando mi hai chiesto della prima volta che ti ho visto … io non ricordavo con precisione perché … p – perché le nostre strade si sono incrociate altre volte.» Ammise prendendo un profondo respiro. « Due giorni a settimana finiamo le lezioni presto, al pomeriggio, e io vado sempre a correre per un'ora. Faccio un percorso preciso, passando da Montmartre e scendendo verso Place Pigalle … e, ecco, un giorno mi sono schiantato contro questo ragazzo con una grande tela sotto braccio.» Incurvò il lato sinistro della bocca in un sorriso intimidito, quindi proseguì. « Pian piano, ho iniziato a notarti tutti i martedì, su Boulevard de Rochechouart e … non so, è diventata quasi un'abitudine quella di cercarti con lo sguardo e quando ti vedevo, mi veniva da sorridere. E … scusami, te l'ho voluto dire perché sembra la storia di uno stalker pazzo, ma - … Dean?»
Gli aveva lasciato i piedi, accompagnandogli verso il pavimento di legno nero e si era alzato, dandogli in fretta le spalle per potersi incamminare di buon passo verso la camera da letto.
___ « Dean!?»
Quasi non lo sentì, seppur poté percepire il tono vagamente spaventato, ma non tornò indietro: sapeva esattamente cosa cercare e doveva assolutamente farlo in quel momento.





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Olivier Blanchard ( che si legge Olivié ): I.D. Card
Olivier jerk it out!
Che il gruppo si chiami “Caesars”, poi, mi uccide un po' <3



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Capitolo 14
*** Your dreamcatcher; ***


___





Scattò in piedi e s'appoggiò al tavolo rotondo, facendo vacillare il bicchiere.
___ « Dean? Dean ti prego non …» Deglutì a fatica un nodo che gli si formò in gola, respirare divenne improvvisamente faticoso. « Scusami, ho parlato troppo … io non volevo che mi prendessi per un maniaco!» Si avvicinò lentamente alla piccola camera da letto e vi si affacciò, appoggiandosi allo stipite della porta di legno bianca, le braccia conserte al petto per evitare di tremare. « … Dean?»
Lo trovò in ginocchio sul tappeto a pelo medio nero, che copriva interamente il pavimento della stanzetta, mentre trafficava con una pila di blocchi da disegno, concentrato e silente.
Abbassò lo sguardo sul pavimento e odiò quella sensazione opprimente di impotenza che provava: avrebbe voluto raggiungerlo, scusarsi per non avergli detto subito tutto quanto.
___ « Ecco!» Lui si alzò all'improvviso, stringeva fra le mani un blocco da disegno aperto su una pagina precisa; coprì la distanza che li divideva in un paio di passi, quindi gli porse l'album sorridendo flebilmente. « Temo che qui, Olivier, siamo entrambi stalker l'un dell'altro.»
Non capì subito quelle parole, abbassò quindi gli occhi azzurri per poter vedere il disegno: un cucciolo di Husky bianco, irto sulle zampette posteriori che stampava le anteriori su un paio di pantaloni di chissà chi. No, non di chissà chi, quella fisionomia aveva qualcosa di estremamente familiare: le gambe lunghe e snelle, i capelli chiari sparati un po' in giro a caso. Il ragazzo dello schizzo era piegato in avanti, il viso non si vedeva, ma le mani erano le sue, ne era sicuro e quel cane era Ciel.
___ « Ma … quando l'hai fatto?» Domandò in un filo di voce, rivolgendogli il viso e Dean sorrideva in quel modo squisitamente dolce, che gli faceva venir voglia di spintonarlo sul suo letto e riempirlo di baci.
___ « Due settimane fa. A Londra.»
___ « Io ero a Londra due settimane fa! Con Ciel, Thalie e Tristan! Siamo andati a prendere da Harrod's il regalo di compleanno della nonna, lei voleva una cosa particolare e … Dean.» Gli si avvicinò di un passo, passando delicatamente una mano sul foglio e lui fece altrettanto, sfiorandogli le dita con la punta delle proprie.
___ « Mi dispiace solo di non averti notato prima. Avremmo perso molto meno tempo, sicuramente.»
___ « Mi dispiace di non aver avuto il coraggio di parlarti.»
___ « Però, in fin dei conti, è stato bello così … no?»
Annuì soltanto, schiacciando il mento fra le clavicole perché aveva stupidamente le lacrime agli occhi.
___ « … Ho fame.» Mormorò grattandosi la punta del naso per distogliere l'attenzione dal fatto che si strofinò gli occhi.
___ « Certo, andiamo, dovrebbe essere pronto. Hai mai mangiato gli english muffin?» Gli appoggiò una mano sulla spalla, in un contatto leggero e l'incitò a tornare in cucina, sorridendo. Scosse il capo in un cenno di silenzioso diniego e si strinse l'album al petto, completamente sopraffatto dalla scoperta che aveva appena fatto: Thalie aveva ragione. Quante probabilità c'erano che Dean, nel bel mezzo di St. James Park, a Londra, dove lui e Ciel erano in gita straordinaria, si soffermasse a guardare proprio loro, a ritrarre quell'attimo particolare?
Lo guardò mentre sfornava lo spuntino che aveva preparato con cura e il profumo di quella semplice leccornia gli invase le narici, disintegrando completamente le sue inibizioni: quasi non sentì le guance bagnate, solo quando Dean si voltò per inquadrarlo capì che stava piangendo.
___ « Olivier …»
___ « Scusa … scusa …» Scosse il capo e si sfregò rapidamente le guance, sicuramente rosse per la vergogna di essersi lasciato andare in quel modo infantile, vinto dalla commozione, dalla situazione, da tutto; ma Dean gli cinse delicatamente il viso, dapprima con la punta delle dita, poi aderendovi coi palmi e si avvicinò lentamente, catturò le scie umide lasciate dalle lacrime con le labbra, che infine strinse fra loro, nemmeno avesse sorbito il più pregiato dei vini.
___ « Sei tutto buono, Olivier.» Sussurrò prima di baciarlo leggero, sulla bocca, ma lui voleva di più: si alzò sulle punte dei piedi e l'abbracciò in uno slancio, tenendo il prezioso tesoro ch'era diventato quell'album stretto fra le dita della destra. Cercò il suo sapore, trovando una punta del proprio, salato e umido, su di lui. Gemette quando le braccia del ragazzo gli circondarono la vita, stringendolo forte e ricambiò quella stretta possessiva per dimostrargli quanto anche lui lo desiderasse, quanto fosse importante per lui, che conoscerlo era stata null'altro che la ciliegina glassata sulla torta a strati ch'era la loro storia, un dolce che avrebbe sicuramente visto ancora un sacco di gradini a molteplici gusti, nel corso del tempo.
___ « … ti adoro, Dean.» Sussurrò contro le sue labbra, guardandole.
___ « Mhn … anch'io …» Cercò ancora la sua bocca e ancora, e ancora; non credeva che le “farfalle nello stomaco” esistessero veramente, ma Dean gliele faceva estendere in tutto il corpo coi suoi baci e le sue carezze.
___ « I … muffin, ho sempre fame.» Mormorò in un sussurro che si infranse sul collo dell'altro, prima d'un bacio leggero.
___ « Se fai così non mi viene voglia di lasciarti mangiare …»
___ « Pft, lo so.» Questa volta gli posò un bacio a schiocco, quindi cercò il suo sguardo col proprio, sorridendo. « Ah!» Gli mollò un pugno sul petto, sconvolgendolo appena. « Non fare più una cosa come quella di prima! Mi è preso un colpo, cacchio.»
___ « Scusami, honey, è che quando mi metto in testa una cosa importante la devo fare subito.»
___ « Sono importante!» Esclamò come un beota, facendolo ridere.
___ « Penso mi verserò un bicchiere di rosé.»
___ « Oh, sì, anche per me. Il rosé mi piace.» Lo precedette in cucina, ringalluzzito, felice, con l'album stretto al petto.
___ « Posso impiattare?» Chiese aprendo uno sportello a caso, trovandovi solo un mucchio di pentole di rame.
___ « Certo, ma apri il mobiletto a fianco.» Gli suggerì mentre serviva il vino rosato in due fluté di vetro azzurro chiaro, deliziose. I piatti erano squadrati, grigio/azzurro e opachi, davvero belli; ne prese due da antipasto e li appoggiò sul piano della cucina, appoggiando l'album sul tavolo prima di appoggiare gli english muffin al centro delle stoviglie.
___ « Mi piace tutto di questa casa.» Asserì sorridendo nel guardare il loro spuntino notturno. « I colori, le forme, gli odori …» Afferrò i piatti, Dean prese le fluté e insieme, senza dirsi una parola, si avviarono verso il salotto per sprofondare sul divano a righe; il padrone di casa appoggiò i bicchieri sull'ampio tavolo da caffè rotondo, gemello nano di quello della cucina e lui gli porse il suo muffin, andando ad accavallare le gambe sulle sue, seduto al suo fianco.
___ « Odori?»
Annuì, afferrando il manicaretto.
___ « Oui. C'è un odore particolare … di colori a olio e di tele grezze, anche se è leggero. E poi, non so, forse sono solo impazzito, ma è come se ci fosse profumo di pellicola fotografica.» Affondò i denti nel muffin e sbarrò le palpebre, sconvolto sia dal sapore che dalla consistenza. « Ma è spaziale!»
Dean scoppiò a ridere, divertito e gli accarezzò un ginocchio in un gesto spontaneo, fatto sovrappensiero, ma che a lui procurò la pelle d'oca.
___ « Sono felice ti piacciano! Tu, in cambio, mi farai una vera crêpe alla francese. Ad ogni modo, sono colpito dal tuo odorato fino: ho una macchina fotografica che funziona ancora a pellicola e una vecchia polaroid, che era di mio nonno, me l'ha regalata quando sono partito per Parigi, due anni fa.»
___ « Tuo nonno è un brav'uomo?»
___ « Abbiamo ricominciato il gioco?»
___ « Sì. E tu hai appena sprecato una domanda. Quindi rispondi alla mia e poi toccherà di nuovo a me.» Sentenziò affondando nuovamente i denti nel suo nuovo piatto preferito.
___ « Bastardo!» Rideva, ed era splendido. « Mio nonno è un uomo spettacolare. Ha combattuto una guerra, sai? Mi racconta spesso di quei tempi, era un pezzo grosso, è stato nel British Army per tutta la vita, fino alla pensione.»
___ « Wow …»
___ « E incredibilmente con me è stato il membro della famiglia più dolce e affettuoso. Mi ha sempre amato moltissimo e non ha mai smesso di dimostrarmelo.»
___ « Non hai fratelli o sorelle?»
___ « No, no. Credo che mia madre si sia pentita persino di aver avuto me, figuriamoci un altro figlio. Ma mi sarebbe piaciuto avere qualcun altro oltre mio nonno.»
___ « E - »
___ « Tocca a me, ma petite
___ « Oui.» Alzò gli occhi al soffitto, divertito, perdendosi nel seguire le linee delle travi di legno grezzo che decoravano ogni angolo superiore dell'appartamento.
___ « Vuoi dormire qui?»
Ebbe un tuffo al cuore e fu lieto di non aver azzannato l'ultimo boccone del muffin, perché gli sarebbe senza dubbio andato di traverso.
Si allungò per prendere un bicchiere di vino, ne bevve un sorso e nell'espirare agitato, si trovò ad annuire velocemente, come una bambolina da cruscotto.
___ « Sì. Sì.»



Quel gioco era durato per buona parte della notte: alle quattro del mattino degli egg muffin non erano rimaste che poche briciole, abbandonate sui piatti grigi e la bottiglia di vino rosé era stata trasferita dal frigorifero al tavolino, sul quale era appoggiata ormai vuota.
Olivier sembrava a proprio agio, snocciolava domande e risposte avvalendosi di una parlantina piuttosto sciolta, brillante, sporca di un delizioso accento parigino: era affascinante.
___ « Ho capito perché sei così rigoroso, Dean! E' merito di tuo nonno.» Esclamò all'improvviso, con un sorriso che gli illuminò gli occhi.
___ « In che senso “rigoroso”?» Domandò increspando le sopracciglia scure, un po' perplesso.
___ « Non nel senso che sei noioso o rigido, però sei dotato di un aplomb molto elegante e oltre ad essere discreto ed equilibrato, ti sai anche controllare molto bene. Quando sono andato a Londra, ho ricevuto più proposte sessuali passeggiando per Piccadilly Circus che in tutta la mia vita qui a Parigi!»
___ « Non credere che io non provi il desiderio di stenderti sul divano, Olivier.» Sottolineò guardandolo dritto negli occhi e lui sostenne il suo sguardo, sfoggiando uno di quei sorrisetti maliziosi che dovevano essere intrinsechi nel dna dei Blanchard. « Ma sento che non sei pronto. Al locale hai parlato di una serata di prime volte … perché?» Si avvalse del suo turno di domanda e il ballerino scrollò le spalle, muovendo il polso destro in un leggero moto circolare, volto a mescolare il fondo di vino rosato rimasto nella fluté che reggeva fra le dita sottili.
___ « Perché non avevo mai baciato “alla francese”, nessuno.» Rise, cristallino, sembrava un angelo con quelle gote un po' arrossate, sia dal leggero imbarazzo provocato dal discorso che, probabilmente, dall'alcool. « So che sembra assurdo! Ho quasi diciannove anni e sono francese, eppure non ho mai messo in pratica fino a poco fa la più piacevole delle arti franche! Bhé … sono un po' tardo, probabilmente e comunque, comunque!» Esclamò alzando un indice, che sventolava nemmeno fosse una bandiera. « Sono felice che sia successo con te.»
___ « Wow. Non hai mai avuto un ragazzo?»
___ « Nì, un paio di sottospecie. E ci sono stati dei bacini, ma innocenti …»
___ « “Bacini”, pft … sei dolce un po' brillo, Olivier.»
___ « Non sono brillo!»
___ « Come vuoi, non sei brillo.» L'accontentò, sorbendo un sorso di vino per sopprimere una risata sul nascere. Lo guardò sbadigliare: sembrava un cucciolo, con quegli occhi azzurri lucidi e l'aria un po' assonnata. Adorabile.
___ « Vuoi dormire?»
___ « … Shi … »
Prese un profondo respiro, poi un secondo e un terzo e, dopo aver abbandonato la fluté sul tavolino, si alzò porgendogli la mano per invitarlo a fare altrettanto in un lieve strattone.
___ « Mi devi prestare tutto, non ho niente … come faccio con lo spazzolino da denti?» Mormorò aggrappandosi alla sua mano, mollemente.
___ « Non preoccuparti, puoi usare il mio se non ti fa schifo. E' piuttosto nuovo e - »
___ « Cosa dovrebbe farmi schifo? Ci siamo limonati per tutta la notte.»
___ « Ecco, appunto.»
Lo condusse al piccolo bagno, che vantava una piastrellatura grigio opaco su pavimento e muro, lasciando visibile l'intonaco bianco solo sul soffitto. Quello che gli piaceva di più era la vecchia vasca in porcellana coi piedi di leone, che usava davvero poco, ma era un piacere per gli occhi.
___ « Ecco qui, è piccolino, ma confortevole.»
___ « Tutta la casa è piccolina, ma confortevole.» Olivier gli si appoggiò addosso, abbracciandogli la vita mentre lui gli sciacquava il proprio spazzolino sia con l'acqua corrente fresca che con una bella dose di collutorio.
___ « Ecco qui, Raggio di luna …» Gli baciò la fronte e gl'indicò il dentifricio. « Vado a prenderti qualcosa per cambiarti.»
___ « Merci …»
Poco onorevole ammetterlo, ma l'espressione sonnolenta di quel visino angelico gli aveva smosso il testosterone mandandolo in ebollizione. Fece tre giri dell'appartamento di corsa, sbattendo più e più volte la testa contro il frigorifero mentre buttava giù due bei bicchieroni d'acqua ghiacciata prima di recuperare una t-shirt e un paio di pantaloncini per il suo ospite.
___ « Olivier? Ti lascio qui fuori - »
___ « Entra, entra.»
E quando mai: era lì, a petto nudo, con il bottone e la lampo dei pantaloni slacciati mentre si asciugava il viso con uno dei suoi asciugamani rossi.
___ « Ho usato questo, spero vada bene …»
___ « Ssì, figurati.» Deglutì e respirò di diaframma, tentando di ignorare le goccioline d'acqua che solcavano i lineamenti di Olivier, andando a imperlare poi la pelle sopra le clavicole. « Tieni.» Fuggì velocemente da quel bagno, rientrandoci solo quando il francese si palesò in camera da letto e, senza nemmeno guardarlo, si inoltrò sul lettone gattonando verso i cuscini appoggiati alla testata di vimini intrecciato.
Osservò il proprio riflesso allo specchio rettangolare posto sopra il lavandino e annuì rivolto a se stesso, al pensiero che poteva farcela a rimanere calmo, a non toccarlo come avrebbe voluto, a scoprire ogni angolo di quella pelle fresca che sapeva di borotalco … acqua fredda, a secchiate.
Spense la luce del bagno dopo aver chiuso le persiane azzurre della finestra e fece lo stesso con quella della camera, tirando anche le tende oscuranti per non essere infastiditi dalla luce dell'alba.
___ « Ti da fastidio il buio?»
___ « No.» Rispose in un miagolio appena accennato; lo osservò raggomitolato sul lato sinistro del lettone, abbracciato a uno dei quattro cuscini rossi e neri e gli sorrise mentre si infilava sotto le coperte ancora piuttosto leggere.
___ « Hai avvisato a casa?»
___ « … Sì, ho scritto un messaggino a Thalie.»
___ « Ha risposto?»
___ « Sicuro di voler sapere cosa mi ha scritto?»
___ « Sono sicuro di non volerlo sapere.» Affermò accomodandosi contro i suoi due cuscini, affondandovi interamente col capo e rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse realmente stanco.
___ « … Dean … »
___ « Sì?»
___ « Vuoi fare l'amore con me?» Gli domandò in un filo di voce, pregno di dolcezza talmente timida che gli si bloccò quasi il cuore.
___ « Sì, Olivier. Ti desidero tantissimo, ma tutto a suo tempo.» Quasi non credeva alle proprie parole, così come faticò a rendersi conto che quel fruscio prodotto dallo spostamento delle coperte era dovuto al corpo di Olivier, ormai completamente a ridosso del proprio.
___ « … P - posso abbracciarti?» Faticò a udirlo, ma lo sentì benissimo. Lo circondò con entrambe le braccia, stringendolo a sé finché non sentì i suoi muscoli rigidi, rilassarsi.
___ « Non dovrai mai avere paura con me, Olivier …» Gli sussurrò a un orecchio, baciandogli poi la fronte; lo guidò contro il proprio petto, dove lui si rannicchiò, già mezzo addormentato. « Good night baby, sweet dreams … I'll be your dreamcatcher, for this night.» (1)





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(1) : Buona notte piccolo, sogni d'oro … sarò io il tuo acchiappa sogni per questa notte.
Thalie Blanchard ( che si legge Talì ): I.D. Card




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Capitolo 15
*** Oui; ***


___





Si fiondò su per le scale della casa di Montmartre, con ancora il sapore delle labbra di Dean sulle proprie: l'aveva accompagnato a casa dopo cena, lunedì avevano entrambi lezione presto e lui non avrebbe fatto in tempo a passare anche da casa per prendere la borsa, prima di andare in Accademia. Era tardi ma sapeva che avrebbe trovato sua sorella sveglia: spalancò la porta della sua stanza e le lanciò il telefono addosso che tanto, si sa, i vecchi Nokia non muoiono nemmeno sotto attacco nucleare.
___ « THALIE!»
Era rosso in viso, coi denti digrignati e lei rideva a crepapelle, sbattendo i piedi nudi sulla trapunta blu puntellata di stelle che copriva il suo letto.
___ « Eddai Ollie! Non farmi del male! Pleeease
___ « E tu non scrivermi mai più cose come “Mi raccomando fratellì, ingoia solo se sei sicuro che non ti vada di traverso, che poi se ti viene un colpo di tosse … ZAK! Adieau, petit Dean … MA SEI SCEMA!?»
___ « Waha! Eddai, non fare la sposina pura. Vieni qui, piuttosto!» Diede un paio di pacche sulla coperta e lui sbuffò, lanciandosi a peso morto sul letto per farla rimbalzare come una pallina da ping-pong. « Aaallora?»
___ « Zitta, non ti racconterò nulla.»
___ « Oh! Eddai, Ollie! Non puoi fare così, però! Io ho tifato per voi fin dall'inizio e tu mi tratti così!»
___ « Questo perché sei un'animala e poi andresti a dirgli qualcosa di sicuro.»
___ « Touche …»
___ « Toc – toc … »
Tutti e due rivolsero gli occhi azzurri verso l'ingresso della stanza di Thalie e sorrisero in contemporanea vedendo la nonna in tenuta casalinga, insieme a Ciel: pantaloni di una tuta fucsia, una t-shirt del musical di “The Lion King”, che lei amava, ciabatte pelose verde pistacchio e bigodini in testa, naturalmente.
___ « E' permesso, zucchini miei?» E se lei chiese di poter entrare, il cucciolo di Husky si lanciò sul letto senza pensarci nemmeno un secondo.
___ « Certo, nonnina! Vieni Ciel, vieni.» Thalie gli si spiaccicò addosso, nel centro del letto per far spazio alla nonna che, ovviamente, era carica d'un vassoio ricolmo di biscotti e pasticcini e li appoggiò in grembo alla nipote, mentre andava ad accomodarsi accanto a lei.
___ « Allora? Di cosa stavate parlando, pulcini?» Afferrò un cannoncino ripieno di crema pasticcera e li guardò entrambi con un sorriso dolcissimo, cosa che lo preoccupò a morte.
___ « Di Dean!»
___ « Oh! Sei riuscito a fartelo, cucciolotto?» No, non era sconvolto per il modo di rivolgerglisi della nonna, era normale: al Bistrot lei recitava la parte della signora francese tutta casa e chiesa, cosa che in effetti era, solo che nonna Charlotte, detta Charlie, era molto più “moderna” di quanto ci si potesse aspettare. Quando strinse il cannoncino, facendo uscire un po' di crema pasticcera da un lato, accompagnando l'ambiguo gesto con un altrettanto poco appropriato movimento delle sopracciglia, che andavano su e giù in modo a dir poco esplicito, lui sprofondò con la faccia in un cuscino.
___ « … Nonnnaaaa!!» Si lamentò, ma sapeva che con quelle due era inutile.
___ « Bhè? Che c'è di male, Olivier? Vogliamo sapere com'è messo a chiappe!»
___ « E a mazza!» Aggiunse Thalie, divorando in un sol boccone un bigné alla crema di pistacchio.
___ « Non lo so! Non lo so! Non lo so! Ci siamo solo baciati, sciocche!»
Entrambe lo guardavano basite, ma fu la sorella la prima a sbuffare, lasciandosi esasperatamente cadere all'indietro, contro la testiera imbottita del letto.
___ « FUCKTHISHIT! Ho un fratello idiota!»
___ « Non è idiota. Non sei idiota, cucciolotto.»
___ « Grazie nonna.»
___ « Un po' lento, certo, ma non idiota se ti sei accaparrato quel manzo.»
___ « … Di nuovo grazie, nonna. Credo.» Si sdraiò su un fianco per poter far spazio a Ciel che, con l'abilità di un marine, si era avvicinato a lui acquattato e scodinzolante.
___ « Ma avete per lo meno dormito nello stesso letto, razza di citrullo?» Incalzò Thalie, che sembrava quasi più frustrata di Dean.
___ « Sì. E … lui … NO! Non parlerò di questo con voi due!!» Stava quasi per cascarci, stava per lasciarsi andare al ricordo di quel corpo caldo, del profumo della pelle del suo ragazzo. Il suo ragazzo … si sentiva fra le nuvole solo a pensarlo.
___ « Guarda che faccino da angioletto innamorato …» Mormorò la nonna, sorridendo con quell'aria zuccherosa che le si stampava in viso solo quando voleva prenderlo in giro.
___ « Nonna … non - »
___ « Se dici di non essere innamorato, ti svergino io con un calcio in culo, Ollie.»
___ « Sei sempre delicata come una schiacciasassi, ma chérie...»
___ « Quello che tua sorella intende dire, amore mio, è che non devi negare l'evidenza perché tanto non siamo due babbee, anche se io lo sembro un po', una vecchia babbea intendo …» Fece una pausa d'effetto, durante la quale un sopracciglio biondo miele, perché nonna Charlie si tingeva i capelli bianchi e anche le sopracciglia, naturalmente, si increspò e gli occhi blu si soffermarono a turno sul suo viso e su quello della sorella. « Ho due nipoti stronzi. Dovevate dire: nooo nonnina adorata! Non sei una vecchia babbea!»
___ « … » Entrambi alzarono lo sguardo al soffitto. « No nonna, non sei una vecchia babbea.»
___ « Grazie della spontaneità, ranocchietto. Dicevo: non c'è bisogno di negare l'evidenza, si vede che sei pazzo di quello splendido, altissimo, statuario pezzo d'inglese che sarò felicissima, davvero tanto, di accogliere in famiglia.»
___ « Non è questione di negazione, nonna …» Mormorò annegando il viso nel pelo bianco della testolina di Ciel. « Lo adoro, mi piace da impazzire, ma … innamorato? Non lo so, non è troppo … presto?»
___ « Perché?» Domandò Thalie attaccando un biscotto al cioccolato. « Io mi sono innamorata di Tristan nell'istante esatto in cui me lo sono trovata davanti la prima volta. Poi, insomma, che l'abbia fatto penare e trattato come uno straccio da cucina per un sacco di tempo, non fa testo.»
___ « Tristan è una bravissima persona.»
___ « Più che altro paziente.» Aggiunse la nonna, ridacchiando.
___ « Vabbhè, vabbhè, ho vinto al lotto dell'uomo etero parigino, ma Ollie ha vinto a quello dell'uomo omo londinese! Nonna, manchi solo tu.»
___ « Tesoro, non posso proprio … tutti quelli che piacciono a me sono così giovani che mi metterebbero in galera solo a guardarli.»
Scosse il capo tentando di far dimenticare al suo cervello tutto quello che stava ascoltando, ma purtroppo le parole delle femmine Blanchard riuscivano a impregnarsi nella sua corteccia cerebrale con una facilità disarmante.
___ « Olivier, a parte gli scherzi … so che io e tua sorella possiamo sembrare molto colorite e sfacciate.»
___ « Non è che lo sembrate, nonna, lo siete
___ « Non interrompermi quando parlo o ti appendo a un muro come un quadro!»
___ « Ecco, appunto.» E se Thalie rideva, lui tentava di soffocarsi nella pelliccia candida del suo cucciolo, l'unico intento a non disintegrargli il suo piccolo mondo felice.
___ « Ma ti vogliamo bene e io voglio che tu viva un grande amore, che ti lasci andare, Ollie … perché amare qualcuno con tutto se stesso è bellissimo.»
___ « Aye, soprattutto se si è ricambiati!» Si batterono il cinque e lui si mise seduto, mordicchiandosi il labbro inferiore, nervoso.
___ « Non voglio spaventarlo.»
___ « Non succederà.»
___ « Bon, diciamo che non voglio spaventarmi da solo.»
___ « Olivier, i tempi di Thèo sono finiti.» Al solo udire quel nome gli si riversò la bile nella gola.
___ « Non nominarmi quel pezzettino dimmerda, nonna. Non ho ancora capito perché non mi hai permesso di andare a menarlo a sangue, a quel falso lecca - »
___ « BASTA!» Esclamò stringendo forte a sé Ciel che, sentendolo tremare appena, gli leccò la punta del naso. Sapeva che lo stavano guardando entrambe, quindi allungò una mano verso il vassoio di paste e prese un maxi cookie ai tre cioccolati, i suoi preferiti, che la nonna non faceva mai mancare in casa, infornandoli di giorno in giorno. « Vi voglio bene, lo sapete, ma basta. Non voglio sentir parlare del passato, perché è passato e non voglio essere forzato ad ammettere nulla. Mi piace Dean, sto bene con lui, è interessante, dolce e mi tratta bene, se volete parlare di lui d'accordo, però coi miei tempi, per favore. Non sono così spigliato come voi, lo sapete … per favore, rispettatelo.» Era la prima volta che si rivolgeva così a sua sorella e alla nonna, entrambe infatti lo guardavano con un'espressione che era un connubio perfetto di stupore e orgoglio e gli sorrisero, soddisfatte e deliziate, Thalie gli stampò un bacio sulla guancia.
___ « Bravo Ollie! Caccia le palle!»
___ « Cretina …»
___ « … Quindi è messo bene a chiappe?»
Sospirò pesantemente e decise che avrebbe affrontato quell'interrogatorio estenuante riempiendosi di zuccheri. Forse sarebbe dovuto rimanere a casa di Dean anche quella notte.



Trovarsi davanti ad Azalea, vestita fra l'altro, fu più traumatico di quanto pensasse: le aveva proposto di vedersi per un tea nel pomeriggio di lunedì, dopo le lezioni e lei aveva accettato, seppur si era limitata a delle risposte monosillabiche e piuttosto atone. Ora sorseggiava il suo infuso ala vaniglia con eleganza e indifferenza, gli occhi grigi, truccati con un pesante smooky eyes verde e nero, lo guardavano ogni tanto, rifilandogli uno sguardo piuttosto tagliente.
Aveva provato a non prenderla sul personale, soprattutto a non arrabbiarsi, tuttavia la sua ennesima rispostina breve e velenosa, gli aveva fatto saltare i nervi.
___ « Azalea, perché hai accettato di vedermi se poi ti comporti da stronza?»
___ « Perché voglio fartela pagare, mi sembra chiaro.»
___ « Ah.»
Non era esattamente la risposta che si aspettava, tuttavia avrebbe dovuto perché Azalea era così: focosa e amabile un istante, per poi divenire la più fredda delle calcolatrici l'attimo dopo.
Sorbì un sorso di tea al latte, tentando di concentrarsi sulla benevola sensazione regalatagli dal liquido caldo che gli scorreva giù per la gola.
___ « Ci sei già andato a letto?»
___ « Non credo siano affatto affari che ti riguardano.»
___ « Una volta parlavamo delle nostre conquiste.»
___ « No, tu me ne parlavi, io ti ascoltavo.»
___ « Vero, sono sempre stata io la troietta della coppia.»
___ « L'hai detto tu.»
Intravide il primo mezzo sorriso della giornata, lì, proprio sull'angolo sinistro della bocca lentigginosa, pra addolcita da quel minimo movimento. Sbuffò sulla porcellana, osservandone il contenuto per qualche attimo prima di tornare a lei.
___ « Vorrei poter finire il quadro.»
___ « Lo farai a memoria, non credo sia carino spogliarmi per te, ora che sei un uomo impegnato.»
___ « Non ti ho detto di essere impegnato, comunque apprezzo il pensiero delicato nei confronti di Olivier.»
___ « Non me ne frega un cazzo di Olivier, sono io che non voglio più mostrarmi nuda a te.»
Annuì, per nulla colpito da quelle parole dato che, in un modo o nell'altro, se le aspettava.
___ « D'accordo, mi sembra giusto. Allora brucia pure la tela, fanne quello che vuoi, lanciala dalla finestra, Azalea, e chiamami quando avrai di nuovo voglia di parlare con me come una persona civile.» Si alzò in piedi, lasciando la sua tazza ricolma di ottimo tea, quasi una bestemmia per un inglese, ma non aveva intenzione di rimanere lì a farsi prendere a male parole da lei.
___ « Dean! No, aspetta …» Scosse il capo, per nulla colpito dal tono rammaricato della donna.
___ « No, Azalea, non aspetto. Non voglio farti soffrire restando qui, davanti a te, ad arrabbiarmi perché ti comporti da amante ferita.» La guardò dritta negli occhi. « Non siamo mai stati amanti e mi dispiace, mi dispiace che tu sia rimasta ferita, tuttavia ti avevo detto fin dall'inizio di non essere interessato alle donne. E sì, è vero, le tue attenzioni mi hanno sempre lusingato e forse sono stato stronzo ad approfittare della tua attrazione nei miei confronti, tuttavia non ti ho mai sfruttata oltre il tuo volere. Ti ho adorata come Picasso ha venerato Adriana, ti voglio bene, sei una mia cara amica, ma non starò qui a farmi massacrare. Volevo scusarmi per non essermi presentato da te, l'ho già fatto almeno venti volte e hai sempre rigettato le mie parole con fare velenoso. Bene, te l'ho lasciato fare per …» Si guardò l'orologio al polso destro, in un gesto secco. « Venti minuti. Ora basta, non sono il tuo pungiball. Ti auguro una buona serata.»
Si lasciò il locale alle spalle, socchiudendo le palpebre per respirare l'aria fresca del tardo pomeriggio; inspirò profondamente una, due volte, quindi recuperò l'astuccio di cuoio in cui teneva tabacco e cartine e si tirò su un drum prima di incamminarsi sul marciapiede. Era distrutto, dispiaciuto per Azalea, ma sapeva che lei non avrebbe pianto, non si sarebbe mai permessa una debolezza simile: sarebbe riapparsa quando meno se l'aspettava, con un sorriso malizioso sulle labbra e parlando di qualunque cosa meno di quella pseudo litigata.
Camminò fino al parcheggio dove aveva lasciato la Vespa, ma prima di mettersi in strada sedette sul sellino di pelle e trafficò un po' con l'iphone.
___ « Nonno? Sì, sono io.» Sorrise nel sentire la voce di suo nonno e, incredibilmente, gli piacque anche parlare un po' in inglese, la sua lingua madre. « No, figurati, va tutto alla grande. L'università è divertente.» Mentire a suo nonno era per lui impensabile, omettere qualche dettaglio più tollerabile. « Sì, dipingo e fotografo. Ho usato la tua polaroid, l'altra mattina … ahah! Sì, lo ammetto.» Quell'uomo era micidiale: in meno di venti secondi aveva perfettamente recepito il suo umore ed era subito andato a parare nella direzione giusta. « Sì, è bellissimo …» Olivier, il suo Olivier, al quale aveva rubato uno scatto mentre dormiva e come un adolescente al primo amore aveva nascosto quella foto nel cassetto del comodino, per averlo sempre accanto a sé, anche mentre riposava. « Senti … i miei?» Domandò abbassando un po' il tono di voce. « Ah sì? Oh … bene, molto bene. Sì, sì certo, ci vediamo sabato a pranzo al solito posto. Grazie nonno, buona serata a te.»
Chiuse la telefonata e in fretta si infilò il casco, accendendo Bernadette in tutta fretta; uscì dal parcheggio con la dovuta attenzione, ma guidò più spericolato del previsto, intento a raggiungere una specifica vietta del quartiere di Montmartre.
Spense la Vespa accanto al Bistrot e si affacciò al suo interno, intravedendo qualche cliente intento a consumare i deliziosi manicaretti offerti dalla casa e Madame Blanchard, che lo salutò … e gli fece cenno di entrare.
Si stampò un sorriso in faccia ed entrò col casco sotto braccio.
___ « Madame Blanchard …» E lei lo sconvolse: spalancò le braccia solide e lo abbracciò circondandogli completamente il torace, braccia incluse.
___ « Oh, Dean! Dean! Non sai come sono contenta!» Arrossì, ne era certo perché si sentiva la faccia in fiamme.
___ « … Madame … io, insomma … grazie e …» Si guardò intorno imbarazzato, fortunatamente i clienti del bistrot dettero loro solo una rapida occhiata, divertiti dalla scenetta e nulla più.
___ « No, no: grazie a te.» Gli sorrise con quella tipica espressione da nonna, dolce, cordiale, piena d'amore e per un attimo gli si sciolse il cuore. Ma durò poco. « So che Thalie ti ha minacciato di tagliarti i gingilli se farai soffrire mio nipote …» Scosse il capo e lo strinse di più, bloccandogli in parte le vie aeree e dimostrando così una forza inaudita. « Io farò di molto peggio.» Glaciale.
Era basito. Quando Madame Blanchard si scostò, lui aveva le palpebre sbarrate e la guardava sconvolto mentre lei gli sorrideva felice e beata.
___ « Se farai il bravo, Dean, ti amerò come se fossi mio nipote! E ora va da lui, è di sopra. Ah! Aspetta.» Si infilò dietro il piccolo bancone di legno e tagliò due fette di torta di mele, spolverata di cannella; le sistemò su un piattino di porcellana dipinto a piccole roselline blu e rosa e glieli porse. « Ecco qui, caro. Buon appetito!»
___ « … Thanks … » Era talmente esterrefatto che non riusciva nemmeno a parlare in francese.
___ « Passa pure da questa porta qui, tesoro.» Gli indicò una porta lignea oltre il bancone e lui annuì, l'oltrepassò velocemente lasciandosela alle spalle per trovarsi nell'androne delle scale della piccola casetta parigina. Si incamminò superando i gradini a uno a uno, con calma, attento a non rovesciare le fette di torta in giro; si lasciò alle spalle il primo piano, dove aveva capito ci fossero salotto e cucina. Al secondo piano c'erano la stanza di Madame-psyco-Blanchard con il suo bagno privato, al terzo quella di Thalie più servizi, all'ultimo, nella mansarda, l'isola felice di Olivier. Fermo davanti alla porta azzurra, chiusa, sentì provenire dall'interno la melodia di una canzone piuttosto bella e gli uggiolii di Ciel mischiati alle risate docili del suo adorabile padroncino. Sorrise fra sé e bussò con la punta dei Dr. Martenes neri, attendendo impaziente di vedere il suo viso, spettacolo che non si fece attendere.
___ « Dean!» Dallo stupore alla felicità in meno di un secondo.
___ « Ehi!» Dovette allargare le gambe per non ribaltarsi quando lui l'abbracciò di slancio. « Ciao anche a te, Ciel …» Le zampine anteriori del cucciolo erano già puntate sulla sua gamba destra e lo stava salutando, ululando appena, scodinzolante.
___ « Vieni, entra! Dammi qua.» Gli prese un piatto per aiutarlo e chiuse la porta quando furono tutti e tre nella stanza. « Che bella sorpresa, mi sei … mancato. Lo so, è stupido, non ci vediamo da nemmeno ventiquattro ore, ma mi sei mancato.»
___ « Anche tu, honey.» Gli si avvicinò per baciarlo e Olivier non si fece pregare: entrambi in precario equilibrio, per via del piatto che tenevano in mano, ma quella piccola difficoltà rendeva tutto più piccante, soprattutto grazie alla mano sinistra di Olivier che scivolò in una carezza lungo il suo fianco opposto, andando a infilarsi nella tasca posteriore dei jeans che indossava.
___ « Mhn … come siamo audaci …» Sussurrò contro la sua bocca, raschiandogli delicatamente il labbro inferiore coi denti.
___ « Te l'ho detto: mi sei mancato. E … constatavo una cosa.» Lo palpò impunemente e lui arcuò entrambe le sopracciglia verso l'alto, sorpreso, sbuffando poi una risata deliziata e divertita.
___ « Mi piace come “constati”!»
___ « E a me piace quello che ho constatato.» Gli scoccò un bacio sul trapezio di pelle fra collo e clavicola, prima di trottare verso il letto. « Vieni! Come se fossi a casa tua.» E ci si sentiva, a casa.
Ovunque c'era Olivier, era casa.
Sfilò gli anfibi e sedette a gambe conserte sul letto, iniziando a mangiare l'ottima torta del bistrot, ridendo quando Ciel cercò di saltare sul letto per averne un pezzo.
___ « No! Non si sale su letti, divani, poltrone o qualunque superficie di ristoro umana, quando gli umani stanno mangiando! Non diventerai un cane maleducato. A cuccia!» Il cucciolo obbedì, un po' stordito ed ebbe in cambio un croccantino, che Olivier teneva in una scatolina di latta sul comodino, rappresentante la città di Nizza.
___ « Olivier … lavori ogni sabato al locale di Tristan?»
___ « Mhh … bhé, dipende. Non è necessario, comunque, lo faccio più per svago che per effettivo bisogno, anche se qualche soldino extra fa sempre comodo.»
___ « Verissimo. Quindi posso invitarti a Londra?»
Fu uno spettacolo straordinario: lo vide sbarrare gli occhi, strozzarsi con un pezzo di torta e abbandonare velocemente il piatto di porcellana a roselline per schizzare verso il davanzale della finestra, dove c'era riposta una bottiglia d'acqua. L'aprì, ne bevve un paio di sorsi e tossì, battendosi un pugno sul torace.
___ « … Mon … dieu … coff!» Gli sorrideva, beato, continuando a mangiare il suo dolce che finì, tranquillo, leccandosi anche le dita prima di sporgersi per abbandonare il piatto sul comò.
___ « Quindi?» Gli occhi di Olivier, dapprima fissi sul collo della bottiglia di vetro, si calamitarono in fretta ai suoi; era serio mentre abbandonava nuovamente il contenitore vitreo al suo destino, ma iniziò a sorridere nel camminare verso il letto. Piantò un ginocchio sul materasso, fra le sue gambe e gli appoggiò le mani sulle spalle, spingendolo a sdraiarsi per potersi accomodare sopra di lui.
___ « Oui, verrò a Londra con te …»





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Azalea ( che si legge Asalì ): I.D. Card
Sì, è stata un po' stronzilla, ma io la capisco e la cuoro lo stesso y_y <3



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Capitolo 16
*** Je t'aime; ***






Martedì, h 23;

Raggio di Luna: Ma cosa diamine devo portarmi per un week end a Londra?
Dean Caesar: … partiamo venerdì, Olivier. Ed è martedì.
Raggio di Luna: Non hai risposto alla mia domanda.
Dean Caesar: Mi manchi.
Raggio di Luna: … continui a non rispondere alla mia domanda.
Dean Caesar: Perché trovo ridicolo che tu te ne preoccupi ora, preoccupati invece di farmi sentire il calore della tua pelle anche a distanza.
Raggio di Luna: Sdraiati nel lato sinistro del letto. Ho abbracciato il cuscino rosso … immagina che sia io.
Dean Caesar: C'è il tuo profumo impregnato nella stoffa.
Raggio di Luna: Non porto profumo!
Dean Caesar: E' l'odore della tua pelle … un nettare sublime, camomilla, borotalco ...
Raggio di Luna: Mi manchi.
Dean Caesar: Sdraiati sul tuo letto, immagina che sia lì con te.
Raggio di Luna: Non mi basta.
Dean Caesar: Nemmeno a me.
Raggio di Luna: Per questo facevo la valigia.
Dean Caesar: … scarpe da pioggia, comode. A Londra può splendere il sole e, da un momento all'altro, arrivare un nuvolone pregno di pioggia e coglierti impreparato.
Raggio di Luna: Allora anche un ombrellino.
Dean Caesar: No, ne ho io uno abbastanza grande per proteggerci entrambi.
Raggio di Luna: Cammineremo sotto la pioggia a braccetto?
Dean Caesar: Se pioverà.
Raggio di Luna: Spero che pioverà.
Dean Caesar: Vorrei essere lì, con te, dormire di nuovo stringendoti fra le braccia.
Raggio di Luna: Smettila, se continui così esco di casa e prendo il primo taxi che trovo.
Dean Caesar: Due cambi. Non preoccuparti di bagnoschiuma, shampoo o asciugamani, a casa c'è tutto quello di cui avrai bisogno.
Raggio di Luna: Sei abile a cambiare argomento. Stai studiando?
Dean Caesar: Sì.
Raggio di Luna: E ti piace?
Dean Caesar: Sì, mi piace leggere, non mi dispiace studiare.
Raggio di Luna: Un secchione figo, connubio incredibilmente raro. Quando hai l'esame?
Dean Caesar: Venerdì mattina, alle undici iniziano a interrogare.
Raggio di Luna: E se lo posticipano al pomeriggio?
Dean Caesar: Lo sosterrò al prossimo appello.
Raggio di Luna: Hai proprio voglia di portarmi a Londra, eh? <:
Dean Caesar: Cos'è “<:” ?
Raggio di Luna: Un'emoticon! E non cambiare argomento!
Dean Caesar: Hai detto tu che sono bravo a cambiare argomento.
Raggio di Luna: Non credo che ce la farò a non vederti fino a venerdì.
Dean Caesar: Non è necessario non vedersi fino a venerdì.
Raggio di Luna: Devi studiare, Dean. É importante.
Dean Caesar: Tu sei importante.
Raggio di Luna: … ma ti distraggo dallo studio. Dai questo esame, poi vieni a prendermi e promettimi che ci sentiremo tutti i giorni. Che mi chiamerai, anche. E … non spaventarti.
Dean Caesar: Non mi spaventi, Olivier.
Raggio di Luna: Nemmeno se ti dicessi che ho sei dita dei piedi?
Dean Caesar: Pft …
Raggio di Luna: Buona notte, Dean.
Dean Caesar: Sogni d'oro, Olivier.



Mercoledì, h 07;

Dean Caesar: Buon giorno, Raggio di Luna
Raggio di Luna: Che ci fai sveglio? Sono le sette del mattino!
Dean Caesar: Volevo darti il buongiorno.
Raggio di Luna: … Mghh … non posso aspettare venerdì!
Dean Caesar: Nemmeno io. Affacciati alla finestra.


Corse alla finestra, in pigiama com'era e le spalancò i battenti, aprendo poi il gancio di sicurezza delle persiane che si schiantarono violentemente contro l'intonaco esterno della casa. Si affacciò con le palpebre sbarrate, gli occhi azzurri inquadrarono immediatamente l'unico presente in strada: capelli castani, occhi brillanti color del miele più puro e un sorriso smagliante rivolto a lui, tutto per lui.
___ « Dean!»
___ « Scendi? Ho comprato i croissant! Fa in fretta, non vorrei che tua nonna mi vedesse e mi uccidesse molto lentamente per aver tradito il vostro forno!»
Rise divertito, annuendo una sola volta prima di fiondarsi nel piccolo bagno adiacente alla sua stanza; si lavò in fretta il viso, i denti, non si guardò nemmeno un istante allo specchio, ma raccattò dall'armadio i primi vestiti a portata di mano: pantaloni verde oliva, t-shirt color crema, maglioncino bordeaux. Infilò calzini e polacchine grigie afferrò la borsa di danza e ringraziò tutti i santi e gli angeli di cui ricordava il nome per la diligenza con cui, ogni sera, prima di andare a dormire, preparava l'attrezzatura per la lezione del giorno dopo.
Chiavi, occhiali da sole, cellulare, scale. Accarezzò la testolina di Ciel, ancora mezzo addormentato sul pianerottolo del piano che ospitava sala e cucina e si scusò mentalmente con lui: quella mattina l'avrebbe portato sua sorella a fare la passeggiata. Spalancò il portone di casa e lui era lì, appoggiato al muro di mattoni dell'edificio di fronte, le braccia conserte al petto che sciolsero quella costrizione per andare a spalancarsi appena, in un tacito invito completato dal suo sorriso spettacolare.
___ « Mi dispiace, non ce l'ho fatta. Ma ti assicuro che sto studiando.»
Scosse il capo, in un moto quasi isterico e quindi corse verso di lui, dopo aver abbandonato la borsa sui gradini d'accesso alla palazzina dei Blanchard, che saltò a pie pari per poter atterrare in un tonfo leggero sui sampietrini della via.
Gli saltò al collo, stringendolo stretto e ricevendo in cambio un abbraccio altrettanto forte, che lo fece sentire protetto, felice, amato.
___ « Je t'aime, Dean …» Mormorò in un sussurro fioco, soffocato non più dalla paura, ma dal semplice desiderio di premere le proprie labbra contro le sue.
___ « … I love you, Olivier.» L'inglese al momento gli sembrava la lingua più bella del mondo.






Venerdì, h 03.45;

Raggio di Luna: So che starai dormendo, ma io non riesco a chiudere occhio e mi detesto per questo, perché avrò le occhiaie e sarò rimbambito per la mancanza di sonno.
Non riesco a smettere di pensare a te, Dean. Non riesco a smettere di pensare al fatto che probabilmente ti ho spaventato, con le mie parole e mi odio per questo, perché quando mi hai risposto che anche tu mi ami, eri sincero e io l'ho percepito. Ma non posso non tremare al pensiero che ci potresti ripensare: non è troppo presto? Ci conosciamo da così poco tempo … e io ti amo. Amo tutto di te, so che amerò anche i tuoi difetti, quando e se li scoprirò. Amo il tuo viso, la tua voce, i tuoi occhi che riescono a leggere il mio cuore, la mia mente, con tutti i miei pensieri idioti; amo la tua Vespa, amo la tua casa, amo il tuo corpo che riesce ad accendere il mio desiderio come niente e nessuno. Bhé, forse Roberto Bolle … pft, scherzo. Il tono di questo messaggio / papiro sta diventando troppo serio, un altro punto a mio sfavore.
E' già venerdì, questa sera prenderemo insieme un treno per Londra e non vedo l'ora di essere con te, di sentire il calore della tua mano che stringe le mia, del tuo respiro caldo che si infrange contro la mia pelle, le mie labbra … sulle tue.
Scusami se non ti ho scritto ieri sera, avevo paura … di … me stesso. Io … bho. Scusami ancora e ben svegliato, occhi d'oro, vorrei essere accanto a te per vedere il primo sguardo che rivolgi alla giornata, catturarlo e farlo mio.
Ton, Olivier..

Venerdì, h 09.44;

Dean Caesar: Szeretlek, maite zaitut, te iubesc, volim te, jeg elsker dig, S'ayapo, lubim ta, ai shiteru, mikuji te, ik hou van jou, minä rakastan sinua, te amo, mahal kit, ya tybyà luyblyu, kocham cie, amo-te, seni seviyorum, jag aelskar dig, te amo, ich liebe dich, amo você, jeg elsker deg, taim i' ngra leat, te dua, ti amo, I love you, je t'aime.
La sveglia ha suonato alle nove e trenta e sei la prima persona a cui ho pensato. Ho acceso il cellulare e ho trovato il tuo dolcissimo, straziante, intenso messaggio. Ho speso quattro minuti a leggerlo, cinque ad assimilarlo e il resto del tempo, sino a ora, l'ho impiegato a cercare il maggior numero di lingue possibili per poterti dire che ti amo. Olivier, non importa quanto tempo è passato dalla nostra prima interazione faccia a faccia, occhi negli occhi, mano nella mano, io e te ci conosciamo da molto più tempo. Bada bene: non sto parlando degli incontri fugaci avvenuti qui, a Parigi, quando i nostri sguardi a volte si incrociavano, a volte no, ma ognuno andava per la sua strada senza rivolgerci parola, solo qualche vago pensiero. No: tu sei la mia anima gemella, l'ho capito nell'istante in cui hai stretto le mie dita, alla festa della Corte dei Miracoli, e contemporaneamente hai legato a te il mio cuore.
Non devi aver paura, splendido amore mio, non ho mai detto a nessuno di amarlo, in cuor mio sapevo che prima o dopo avrei incontrato quella persona straordinaria e speciale verso la quale avrei potuto riversare tutto il mio amore. Quella persona sei tu e non importa cosa pensano gli altri, né la nostra razionalità, perché anche quella parte di me ti ama e ti desidera.
Oggi darò quell'esame e poi verrò da te, sappi che ti abbraccerò e ti bacerò come non ho mai fatto, davanti a chiunque passi in quel momento, perché il mondo intero deve sapere che sei mio e che ti amo, quindi inizieremo da Parigi, per poi passare a Londra, quindi al resto dell'intero mondo.
Trascorri una splendida giornata, Olivier, la mia è iniziata benissimo grazie a te.
Yours, Dean.






Venerdì, h 13.01;

Raggio di Luna: Pausa pranzo; vorrei mangiarmi te.
Dean Caesar: La cosa potrebbe essere molto interessante. Come vorresti farlo?
Raggio di Luna: Con forchetta e coltello, ovvio! Non sono mica un animale!
Dean Caesar: Pft … non posso scoppiare a ridere in aula magna, Olivier!
Raggio di Luna: Partirei dal trapezio di pelle fra collo e spalla, proprio sopra la clavicola, appoggerei le mie labbra lì, raschiando un po' coi denti e leccando il tuo sapore, per farlo mio.
Dean Caesar: … Non posso nemmeno eccitarmi, in aula magna.
Raggio di Luna: Poi scenderei, soffermandomi sulla clavicola, avvolgendola con la bocca perché adoro il modo in cui sporge appena, formando una leggera conca.
Dean Caesar:
Raggio di Luna: E ti bacerei, esplorando il tuo palato, mentre le mie mani ti accarezzerebbero ovunque, ma alla fine si fermerebbero sulla tua nuca, catturate dalla morbidezza e dal profumo dei tuoi capelli.
Dean Caesar: … E poi?
Raggio di Luna: Mi siederei sopra di te, guardandoti dall'alto al basso e accarezzandoti il petto, tutto, senza però staccare i miei occhi dai tuoi.
Dean Caesar: D'accordo, mollo tutto e vengo da te.
Raggio di Luna: Tutto questo non accadrà se non prenderai almeno un 30, mio caro!
Dean Caesar: Ah! Questo è un ricatto.
Raggio di Luna: Certo che no, in fin dei conti lo faccio per te <:
Dean Caesar: O perché vuoi sfoggiare il tuo ragazzo, che prende solo 30 all'università?
Raggio di Luna: Dopo tutto tu puoi sfoggiare il tuo ragazzo, che balla all'Operà di Paris.
Dean Caesar: Touché
Raggio di Luna: Scrivimi quando hai finito!
Dean Caesar: Lo farò.
Raggio di Luna: Spacca il culo a tutti!
Dean Caesar: Sicuro?
Raggio di Luna: … DEAN!
Dean Caesar: Oh suvvia, sono certo che Thalie ne dice di peggio.
Raggio di Luna: Sarebbe fiera di te in questo momento.
Dean Caesar: Non ho dubbi. Spengo, mi distrai troppo, Blanchard.
Raggio di Luna: Good luck, Hamilton.






Venerdì, h 19.00;

Guardava le tracolle delle valigie penzolare dallo scompartimento sopra di loro e, di quando in quando, si voltava per poter posare un bacio leggero sulla fronte di Olivier che era crollato dopo dieci minuti di viaggio. Gli si era accoccolato su una spalla, stringendogli una mano per intrecciare le dita con le sue e gli aveva sorriso dolcemente, gli occhi lucidi dal sonno erano rimasti aperti giusto il tempo di un bacio leggero.
Quando era andato a prenderlo, dopo aver sostenuto l'esame, lo aveva aspettato di fronte all'ingresso dell'Accademia, dall'altra parte della strada come il venerdì precedente. L'alta porta di legno massiccio si era spalancata e un gruppo di giovani ballerini si era riversato sull'ampio marciapiede, alcuni sorridenti, altri evidentemente distrutti dalla settimana di allenamenti; poi lui: era uscito di corsa, gli occhi azzurri rivolti verso la panchina, dove l'aveva individuato subito. Gli aveva sorriso, non con la tenera contentezza che gli aveva rivolto la settimana prima, ma in un chiaro invito a raggiungerlo in fretta e a fare quello che gli aveva promesso. Si era alzato, aveva rapidamente guadagnato il passaggio pedonale e si era fermato per un attimo a ridosso del semaforo, a pochi metri da Olivier che lo guardava dritto negli occhi, con le labbra leggermente dischiuse e piegate in un mezzo sorriso malizioso. Aveva scansato i suoi compagni di Accademia senza degnarli di uno sguardo e proprio lì, di fronte di fronte a tutti loro, l'aveva abbracciato in vita, sollevandolo di peso per permettergli di circondargli i fianchi con le gambe e di adagiare gli avambracci sulle sue spalle. Lui era scoppiato a ridere, invadendogli la mente con una risata cristallina ammaliante che gli soffocò in un bacio.
Le labbra di Olivier erano ancora gonfie e arrossate, vederle lì, quasi appoggiate alla sua spalla, leggermente dischiuse nell'esalare leggeri respiri, lo faceva impazzire; avrebbe voluto svegliarlo e continuare a baciarlo, rinfrescare la propria memoria sensoriale che si era cibata del tuo profumo di camomilla e borotalco, del suo sapore di caramella all'arancia e del suo calore, sprigionato da ogni tratto di pelle lasciato scoperto dai vestiti. Le sue mani, che con quelle lunghe dita sottili ed eleganti gli avevano torturato i capelli, accarezzandoli e tirandoli, in gesti dettati dalla più semplice spontaneità; la sua lingua, che gli aveva inflitto un piacere spasmodico, intenso e regalato brucianti vampate sottopelle. Il suo respiro, infranto contro la propria bocca quando si era allontanato appena da lui, per poter aprire lentamente le palpebre e rivelare lo splendente azzurro dei suoi occhi, intenti a esplorargli il viso con uno sguardo che era più intenso di mille carezze; e lo aveva baciato di nuovo, regalandogli un tocco delicato e un sussurro che somigliava tanto a un “ti amo”.
Strinse maggiormente le sue dita e socchiuse le palpebre, appoggiando delicatamente la guancia sui soffici capelli biondi di Olivier per poterne ispirare il profumo di camomilla: non si accorse di essersi completamente abbandonato nella culla di quel dolce e contemporaneamente pungente aroma, che l'aveva fatto addormentare come un bambino, sciogliendogli i muscoli e rilassandolo.
Venne svegliato dall'annuncio bilingue del capotreno, che annunciava l'arrivo del convoglio di lì a dieci minuti nella stazione di Waterloo, Londra: Olivier era sveglio, ma era rimasto accoccolato al suo corpo, forse per non svegliarlo. Stava guardando fuori dal finestrino e aveva l'espressione curiosa di un cucciolo agitato: sorrideva, con le palpebre leggermente spalancate e gli stringeva forte la mano.
___ « Ehi …»
___ « Siamo quasi arrivati!»
___ « … Mhn … »
___ « Mi vengono in mente gli Abba. Dovremmo prenderci una tazza di tea e ascoltarli mentre guardiamo l'orologio della stazione! Mi porti a vederlo, Dean? Ha quattro facce, così che si possa leggere l'ora da qualunque punto!»
Si scrocchiò il collo e le spalle, beandosi di ogni parola che usciva da quelle labbra di fuoco; le catturò all'improvviso, in un bacio tutto fuorché innocente che zittì all'istante Olivier, facendolo arrossire sul dorso del naso.
___ « Abba. Orologio. Tea. Okey
___ « … Pft, sei carino rintronato dal sonno, sai?»
___ « “ Dlin dlon! Notice to passengers, we are arriving to Waterloo Station. Welcome to London! Avis aux passagers, nous arrivons à la gare de Waterloo. Mesdames et Messieurs, bienvenue à Londres!”» (1)





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(1) : Dlin – dlon! Avviso ai passeggeri: siano in arrivo alla stazione di Waterloo. Benvenuti a Londra!
Madame Blanchard ( che si legge Blansciar ): I.D. Card
su, su, dai! Commentate y_y mi farebbe piacere confrontarmi coi miei lettori! Pleeeease!



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Capitolo 17
*** Our London; ***


___



Erano arrivati a Londra la sera di venerdì e avevano deciso, dato che entrambi si erano portati bagagli non ingombranti, di andare direttamente a cena. Avevano scelto un ristorante vicino a Piccadilly Circus, dove poi avevano passeggiato per qualche ora, chiacchierando, ridendo, mentre lui scattava foto a qualunque cosa per tentare di catturare la magia di Londra notturna. Dean lo aveva portato a vedere il quartiere dei teatri e ne era rimasto incantato: The Phantom of the Opera, The Lion King, Billy Elliot, Wicked, Les Miserables … aveva scattato quasi duecento foto in una sola notte e quando erano arrivati a casa era crollato sul letto vestito, addormentandosi probabilmente in parabola discendente.
Era un maledetto idiota: non aveva badato alla casa di Londra del suo ragazzo, non aveva badato a lui perché aveva perso conoscenza completamente vinto dalla mancanza di sonno, dalla stanchezza del viaggio e delle prime ore passate nella capitale inglese, che riusciva in qualche modo a caricarti di adrenalina, ma anche a risucchiarti tutte le energie.
___ « … Dean?» Si era svegliato in un letto matrimoniale vuoto, ma aveva sentito il profumo del padrone di casa accanto a sé. Si era alzato e aveva calzato le ciabatte, stupendosi del fatto che indossava il pigiama e vergognandosi come un ladro colto sul fatto nell'esatto istante in cui aveva compreso che Dean l'aveva cambiato e messo sotto le coperte, come un bambino.
Sospirò e si passò una mano fra i capelli biondi, perdendosi per un attimo nella vista della stanza dove presumibilmente Dean era cresciuto: parquet chiaro, muri bianchi e soffitto grigio chiaro dal quale pendeva un grosso lampadario in acciaio a più bracci movibili. Era tutto molto high tech, completamente diverso dall'appartamento parigino, ma l'impronta di lui era percepibile dai dettagli: una parete era completamente ricoperta di quadri, alcuni incorniciati e altri no e di dimensioni disparate, c'erano anche delle fotografie e riconobbe alcune stampe di pittori e fotografi famosi, come Claude Monet e Terry Richardson. Sorrise nell'incontrare un cavalletto di legno bianco e socchiuse le palpebre inspirando il profumo di colori a olio che si era impregnato nelle sue fibre; lo accarezzò con la punta delle dita prima di scivolare fuori dalla stanza, rimanendo interdetto dalla vista di quella casa.
La sera prima, col buio e la vista velata dal sonno, non aveva notato il candore delle pareti e degli alti soffitti obliqui, che l'attico era stato ricavato in un ampio sottotetto, spiovente. E l'architetto aveva fatto un lavoro sublime. Si affacciò alla balaustra costituita da una lastra di vetro trasparente e osservò dall'alto il piano inferiore: lo stesso parquet della stanza di Dean era posato sui pavimenti di tutta la casa che era arredata con gusto e stile. Il bianco predominante sulle pareti, era stato utilizzato anche per un divano quattro posti e i banconi di piano cottura e componibili ospitanti lavastoviglie e scaffalature, provvisti di un piano di legno scuro, uno dei quali affacciava sul salone principale dividendolo dall'area cucina. Vide la schiena di Dean indaffarato ai fornelli e decise di solcare in silenzio i gradini di vetro verdazzurro, incastonati direttamente nella parete bianca e sprovvisti di ringhiera, per poterlo cogliere di sorpresa. Scese senza smettere di guardarsi intorno, in punta di piedi e con passo felpato, un gioco da ragazzi per un ballerino classico; superato il bel soggiorno, dove si stupì di trovare un camino moderno che si stagliava dal muro disegnando una colonna candida fino al soffitto, si inoltrò nella cucina a vista abbracciandolo improvvisamente da dietro e, sentendolo irrigidirsi, lo baciò alla base della nuca alzandosi appena in punta di piedi.
___ « Questa è casa tua, Mister Hamilton?»
___ « Yes, Monsieur Blanchard … è di tuo gradimento?» Domandò senza smettere di girare le uova strapazzate, che emanavano un profumino delizioso.
___ « E' … bella. Davvero, davvero bellissima, ma non fa per te.»
___ « Mi conosci meglio di quanto tu creda, Olivier.»
___ « Però mi piace.»
___ « Anche a me, soprattutto se ci sei tu dentro.» Rise appena, sciogliendo l'abbraccio per andare ad appoggiarsi al bancone accanto a lui, incrociando i suoi occhi per la prima volta in quella mattinata.
___ « Bon jour …» Sussurrò sorridendogli cordiale, rapito dalla sua bellezza selvaggia, resa tale dai capelli scuri completamente sconvolti dalla notte di sonno e anche dalla barba incolta.
___ « Bon jour, mon petit …» Quando Dean si sporse in avanti per rubargli un bacio, lui serrò le labbra stampandogliene uno rapido e scuotendo poi il capo velocemente fece spallucce.
___ « Non mi sono ancora lavato i denti!»
___ « Nemmeno io, chi se ne frega.»
___ « Io!» Esclamò facendogli una linguaccia puerile, accompagnata poi da una leggera risata che colse entrambi. « Posso aiutarti?»
___ « E' già tutto in tavola, se vuoi in frigorifero dovrebbe esserci una caraffa di succo di frutta, o qualcosa del genere e il latte.» Annuì e si avvicinò all'enorme frigorifero color acciaio, un modello americano con tanto di cassetto centrale; l'aprì e rimase interdetto nel trovare un sacco di scatole, caraffe e bottiglie di vetro ricolme di verdura, formaggi, acqua, succhi e anche del martini, etichettate con bella grafia, dal sapore retro.
___ « Dean …»
___ « Mia madre è pazza, detesta vedere le “marche” delle cose, quindi fa riporre la spesa nelle sue amate ed eleganti scatole di vetro, bottiglie e company, dalla governante, così che il suo strambo senso estetico possa essere appagato anche nell'aprire il frigorifero.»
___ « Ah.»
___ « Non preoccuparti, lei è negli Stati Uniti e mio padre a Dubai, entrambi per lavoro, non dovrai conoscere i coniugi Addams.» Gli rivolse uno sguardo rapido e semplicemente annuì, silenzioso; afferrò una bottiglia di vetro rossastro dove capeggiava la scritta “succo di pesca” e gliela mostrò.
___ « Ti piace?»
___ « Sì, sì, mi piace tutta la frutta.»
___ « Anche il succo di banana?»
___ « Non ho mai assaggiato il succo di banana. Forse sarebbe un po' dolce!»
___ « Dipende se aggiungono gli zuccheri … a me fa schifo. Mi piacciono un sacco quello di lamponi e di mirtilli!»
___ « La prossima volta comprerò il succo di lamponi, voglio provarlo.»
___ « Così mi vizi, Dean!»
___ « Certo, voglio viziarti, sarà uno dei miei nuovi piaceri.»
Sorrise appoggiando la bottiglia di succo e quella piccolina di latte sul tavolo che il padrone di casa aveva già apparecchiato con due tovagliette color vinaccia, tovaglioli rossi di stoffa, posate e piatti bianchi.
___ « Mi porti i piatti, darling?» Annuì e li afferrò, tornando verso di lui.
___ « Caffè?»
___ « Ora lo faccio, abbiamo la macchinetta. Come lo vuoi?»
___ « Lungo, molto lungo. Poi ci aggiungo il latte.»
Appoggiò uova e english muffin con bacon sopra le tovagliette e trottò di nuovo verso di lui, abbracciandolo come aveva fatto prima.
___ « Potrei abituarmi a te che mi prepari la colazione, sai?»
___ « Dovresti abituarti, mi piacerebbe che ti abituassi.»
Gli soffiò un respiro sul collo e lo baciò di nuovo, appoggiando poi la guancia destra contro la sua schiena e si beò del ritmo del battito del suo cuore. Socchiuse le palpebre ispirando l'odore di caffè che lentamente lambiva l'ambiente e sospirò nello staccarsi da lui.
___ « Dove mi porti questa mattina?»
___ « Io conosco benissimo Londra, honey, dimmi tu cosa vorresti vedere e ti ci accompagno volentieri.» Gli sorrise porgendogli la sua tazza di porcellana rossa colma di caffè e insieme si accomodarono al tavolo di legno della sala sala da pranzo. Si guardò intorno, un po' spaesato forse, ma comunque a proprio agio: versò un po' di latte nella tazza e l'avvicinò al viso, respirando l'odore persistente del caffè-latte prima di sorbirne un sorso.
___ « Mi piacerebbe andare a comprare i biglietti per un musical.»
___ « Oh … ma certo! Volentieri, anzi, che bella idea … seppur per questa sera potremmo trovare posti un po' pidocchiosi, ormai.»
___ « Non per questa sera, un altro sabato … mhh, magari non il prossimo, quello dopo ancora. Se … ti va, ovviamente.» Sapeva di essere un po' arrossito, dato che gli stava palesemente chiedendo di tornare insieme a Londra per condividere altri momenti come quello intimo e semplice della colazione insieme, o per godersi l'esibizione di una compagnia teatrale di professionisti a tutto tondo: ballerini, attori, cantanti, uomini e donne che costituivano una tripla minaccia nel suo mondo.
___ « Che domande, Olivier … cosa vorresti vedere?» La semplicità con cui liquidò le sue preoccupazioni gli alleggerirono il cuore: bevve un altro sorso di caffè prima di sporgersi verso di lui a catturargli le labbra. Lo prese alla sprovvista, ma Dean non si sottrasse, anzi, gli afferrò il mento e lo trattenne a sé per l'attimo necessario a studiargli meglio i contorni della bocca, percorrendoli con minuzia nel baciarli.
___ « Mhh … al sapore di caffé …»
___ « Meglio che di fiatella mattutina, no?»
___ « Decisamente. Dunque, andremo in centro a prendere i biglietti per lo spettacolo che preferiamo e poi andremo a pranzo con mio nonno. Ti va?»
___ « Wow.» Interdetto, totalmente: nonno Hamilton, il patriarca della famiglia, il punto di riferimento di Dean e lui gli stava chiedendo di conoscerlo. Lo fissò dritto negli occhi, con le palpebre un po' sbarrate e dopo il primo attimo di smarrimento, annuì freneticamente. « Sì, sì, sì! Figurati … ma … come mi presenterai?»
___ « Non ti chiami Olivier Blanchard?» Quel sorriso affilato era da capogiro, ma al momento lo avrebbe preso a schiaffi.
___ « Lo sai cosa intendo, Dean.»
___ « Ti presenterò come il mio ragazzo, se ti sta bene.»
___ « … Certo che mi sta bene.» Mugugnò abbassando lo sguardo sul piatto, infilzando l'english muffin coi rebbi della forchetta nemmeno volesse sadicamente torturarlo. « Quindi lui … sa che - »
___ « Olivier, forse è il caso che ti spieghi un paio di cose, anzi, scusami se non l'ho fatto prima.» La sua voce era morbida e gentile come sempre, tuttavia poté percepire un pizzico di fastidio. « Non mi sono mai interessato alle ragazze, ma non sono mai stato ghettizzato per questo: Londra è una città molto liberale, sono stato fortunato a poter vivere la mia sessualità liberamente.»
___ « Già …» Mormorò in un filo di voce fioco.
___ « Tuttavia, a mia madre e mio padre non è mai andata molto giù l'idea che loro figlio preferisse andare a letto con gli uomini. Loro sono snob, sono persone ricche che detestano quando il mondo non gira nel verso che loro comandano e quindi mi hanno un po' messo da parte.»
___ « Che stronzi.» Commentò spontaneo, pentendosene subito dopo. « Scusa!» Esclamò tappandosi la bocca con entrambe le mani, ma Dean scoppiò a ridere, scuotendo il capo divertito.
___ « No, figurati, hai perfettamente ragione! Lo dico spesso anche io e anche il nonno.»
___ « Lui ti ha accettato completamente, vero?»
___ « Sì.» Sorrideva un po' nostalgico mentre consumava con lentezza la sua colazione. « Te l'ho detto, è un uomo straordinario.»
___ « E' il padre di … ?»
___ « Mio padre. Si chiama Caesar Thomas Hamilton, è il patriarca di questa famiglia e, in realtà, questa casa sarebbe sua.»
___ « Oddio! Porti il nome di tuo nonno! Qualcosa di buono i tuoi genitori lo hanno fatto, allora!» Lo fece ridere di nuovo e si deliziò di quella risata, concedendosi poi di stringergli la mano mentre consumavano la loro colazione ora più tranquilli e rilassati. « Ah! Devo farmi una doccia, non voglio incontrare il tuo eroe con questi capelli pessimi!»
___ « … A me non sembran – okey. In camera mia c'è un bagno, prendi tutto quello che vuoi, dovrebbe essere ben attrezzato, io userò quello dei miei.»
___ « Parfait!» Si alzò in piedi di scatto, ammucchiando le stoviglie che aveva sporcato per poterle portare verso il lavello; rivolse uno sguardo interrogativo a Dean che lo stava guardando beato, con un sorriso a incurvargli le labbra piene.
___ « Mi piace guardarti mentre compi i piccoli gesti abituali di una giornata, vorrei poterti disegnare sempre, Olivier, fotografarti, lasciarmi ispirare da ogni tuo movimento.»
___ « Mi piacerebbe che tu lo facessi.» Ammise rubandogli l'ennesimo bacio. « E lo farai, ma ora la priorità è rendermi presentabile per Mister Hamilton.» Decretò mollandogli il piatto ricolmo di forchetta, bicchiere e tazza di porcellana in mano. « Voglio fargli buona impressione, perché lui già mi piace.»
___ « E tu piacerai un sacco a lui. Ora vai, altrimenti se temporeggi ancora troverò un altro modo di occupare il nostro tempo.» E quel sorriso era una promessa di baci ardenti e carezze di fuoco, di battito cardiaco accelerato e di gemiti incontrollati; dovette appellarsi a tutta la sua forza di volontà per distogliere gli occhi dal quel viso e allontanarsi dal suo corpo, che sembrava pregno di un magnetismo in grado di calamitarlo contro di lui, imprigionandolo senza scampo.
___ « Sono un placido fiume in piena, con acque calme e cristalline … sono un placido fiume in piena, con acque calme e cristalline …» Un mantra che recitò fino al piano superiore, dove si infilò nel box doccia, lasciandosi investire dall'acqua volutamente ghiacciata.



___ « E' un piacere conoscerti, Olivier.»
___ « Wow … vi somigliate così tanto … oddio! Mi scusi!» Vederlo arrossire e afferrare frettoloso la mano di suo nonno fu uno spettacolo bellissimo. « Il piacere è mio, Mister Hamilton! Parla-i … insomma, il francese lo - lo sa molto bene!»
Sì, perché se Olivier si era lanciato in una frase d'impatto espressa in un perfetto inglese, suo nonno gli aveva risposto in francese e con un sorriso sulle labbra.
___ « Diamoci del tu, ti prego. Mi sento vecchio, altrimenti e già lo sono.»
___ « Non mi sembri tanto vecchio.» Commentò Olivier senza pensarci due volte, con un candore espresso tanto nel tono della voce, quanto nell'espressione sorridente del bel viso.
___ « Questo ragazzo mi piace, non è un ruffiano e dice le cose che pensa.» Commentò Mr. Hamilton al quanto compiaciuto.
___ « Bene, vogliamo entrare? Così potrete approfondire la vostra conoscenza e trovare sicuramente il modo di imbarazzarmi a morte.» Appoggiò delicatamente la mancina sulla schiena del ballerino che sentì rabbrividire nel regalargli un sorriso furbetto; scosse il capo sbuffando divertito e li seguì al solito tavolo del ristorante, dove lui e suo nonno consumavano un pranzo del week end insieme da ormai una decina d'anni. Il capo sala li conosceva bene e lasciava sempre a loro disposizione il posto accanto all'enorme vetrata dove si poteva godere non solo una tranquillità dovuta all'assenza di altri tavoli intorno, ma anche di una spettacolare vista di Londra: il Tamigi, il Palazzo del Parlamento col famoso Big Ben, il London eye e, più in giù, lo spettacolare Tower Bridge. Quella era la Londra turistica, che tutti conoscevano e che anche lui, un inglese d.o.c. cresciuto nella capitale, amava.
___ « Dunque, Olivier, Dean non mi ha raccontato nulla! Cosa fai nella vita?»
___ « Sono un ballerino, Mr. Hamilton.»
___ « Caesar.» Lo corresse il nonno, in un sorriso.
___ « Caesar...» Ripeté Olivier non riuscendo a non imprimere al nome un accento francese piuttosto spiccato. ___ « Danza classica?»
___ « Oui, studio all'Accademia dell'Operà de Paris.»
___ « Olivier è il primo ballerino della compagnia, l'ho conosciuto per una strana serie di coincidenze dopo averlo visto ballare il “Lago dei Cigni”.» Intervenì sfiorando la mano di Olivier sul tavolo che, sorridendogli, gl'impresse una lieve carezza con la punta delle dita.
___ « Quindi vuoi intraprendere la carriera professionistica?» Domandò suo nonno, realmente rapito: Olivier gli piaceva, lo intrigava e incuriosiva.
___ « Sì. Mi piacerebbe, poi, quando non avrò più l'età per ballare, fare il coreografo. Ma per questo c'è ancora un bel po' di tempo, mi auguro.»
___ « Certo che sì! Quanti anni hai, Olivier?»
___ « Quasi diciannove.»
___ « Dean, ti sei trovato un bel ragazzo giovane, sono fiero di te.»
___ « … Grazie nonno.» Scosse appena il capo vedendoli ridere entrambi e sorrise quando Mr. Hamilton prese a consigliare i migliori piatti del locale al parigino che ascoltava realmente interessato e poi chiedeva delucidazioni riguardo ad alcuni accostamenti particolari. Ordinarono tutti e tre antipasto, secondo e dolce e Olivier parve deliziato particolarmente dalla pavlova, un dolce costituito da una base di meringa e un ripieno di panna e frutta.
___ « Grazie del pranzo Mr. - … Caesar, non dovevi disturbarti.» Mormorò Olivier un po' imbarazzato quando suo nonno s'apprestò a pagare il conto.
___ « Ci mancherebbe, Olivier, ci mancherebbe. Tu rendi felice mio nipote, la cosa più importante del mondo per me, quindi un pranzo mi sembra il minimo.»
___ « … Non riesco a farne a meno.» Ammise il ballerino in un sussurro un po' imbarazzato, che però gli procurò un brivido.
___ « Bene, è giunto il momento per i vecchi di tornarsene a casa, voi ragazzi che programmi avete?»
___ « Voglio mostrare a Olivier un po' di autentica Londra, quella che i turisti non vedono.» Rispose baciando il dorso della mano del ragazzo che, arrossendo appena sul dorso del naso, strinse forte le sue dita in un muto ringraziamento.
___ « Bene, questa sera portalo a quello splendido localino a Camden Town, dove ogni tanto andiamo ad ascoltare il blues: sono certo che un animo artistico come quello di Olivier, saprà apprezzare appieno l'atmosfera.»
___ « Oh, sì! Mi piacerebbe tanto!» Esclamò il biondo, con gli occhi azzurri luminosi d'entusiasmo.
___ « Ci andremo.» Accordò lui, alzandosi in piedi insieme agli altri due.
___ « Olivier … è stato un piacere immenso.»
___ « Anche per me. Vieni a Parigi, mi piacerebbe poter ricambiare la tua gentilezza, mia nonna e mia sorella dirigono uno splendido bistrot, sono certo che apprezzeresti la loro cucina.»
___ « Oh sì, devi conoscere Madame Blanchard.» Sentenziò lui, convinto e il nonno rise appena, accettando la mano di Olivier che strinse con entrambe le proprie.
___ « Sarà un vero piacere, organizzeremo per il prossimo mese, sempre che non sia un peso per mio nipote ospitarmi.»
___ « Lo sai che non lo è, nonno.» Gli sorrise, placido, abbracciandolo affettuoso.
___ « Lo so. Avvisami domani, quando partite, d'accordo?»
___ « Certo. Grazie nonno, di tutto.»
___ « E' un piacere, è un piacere.» Ripeté dando poi loro le spalle, per poter chiamare un taxi che fermò al volo, catapultandosi dentro con l'agilità di un ragazzino; abbassò il finestrino e rivolse un sorriso a entrambi. « Dean! Trattamelo bene questo ragazzo!» Esclamò prima che l'autista ingranasse la marcia, lasciandoli sul marciapiede a fissare il retro di una macchina scura.
___ « … Che … »
___ « Tuo nonno è un mito.» Decretò Olivier, saltandogli improvvisamente al collo per baciarlo.
« Andiamo, portami a vedere la tua Londra, voglio conoscere tutto di te, Dean.»
Annuì, stringendolo a sé, per bearsi ancora un po' del sapore delle sue labbra.





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Tristan ( che si legge Tristàn ): I.D. Card
Questa è casa Hamilton (< CliQ! ), a Londra. La amo da designer, però in effetti viverci deve essere snervante … alla prima impronta un mobile di vetro impazzirei e starei lì a pulirla! Comunque, al piano superiore ci sono la stanza di Dean, quella dei suoi genitori, uno studio e due bagni, qui non si vedono ma esistono!



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Capitolo 18
*** Mine; ***


___



___ « Guarda che carina questa!»
Gli mostrava con orgoglio le fotografie che aveva scattato nel pomeriggio e quella in particolare, un autoscatto mentre si baciavano con lo sfondo di un cartello di Portobello Road, gli piaceva tantissimo. Lo aveva portato prima a vedere la famosa strada di Notthing Hill, con le porte colorate, poi Portobello Road e in fine la zona limitrofa dove Dean gli fece conoscere delle stradine, dei monumenti e degli edifici che potevano essere tranquillamente descritti come “perle londinesi”.
___ « Mi piace Londra, non lo avrei mai detto.»
___ « Questo perché sei un parigino ghettizzatore di altrui realtà!»
___ « Zitto, sciocco!» Gli tirò uno schiaffo flebile su un braccio prima di circondarglielo con le proprie mani. « E mi piace anche questo locale, sai?»
___ « Oui, ti brillano gli occhi.»
Il Blues bar non era altri che un pub inglese vecchio stile che doveva il suo nome ad artisti blues che ogni sera si esibivano sul piccolo palco ad angolo, invadendo il locale con suoni puri, potenti, tipici dei blues man d'altri tempi, abituati a mettere in piazza la propria voce e la capacità delle loro dita di trovare una bella nota avvalendosi di strumenti poveri, come le percussioni o l'armonica.
___ « E' che si respira un'aria così … sincera … non so, mi sento stupido a dirlo.» Ammise scrollando le spalle, ma Dean gli afferrò una mano posandovi un bacio sul palmo.
___ « E' quello che penso anch'io.» Ammise cercando poi i suoi occhi, ammaliandolo con un sorriso morbido, sensuale, che gli fece venir voglia di mangiarselo di baci; si avvicinò a lui, ignorando la birra rossa extra frozen che aveva davanti e socchiuse gli occhi per potersi godere appieno la consistenza e il sapore della sua bocca, baciata a ritmo di una canzone blues particolarmente ritmata.
___ « Dean! Sei tu, allora! Ci avevo visto giusto!»
Si staccarono all'improvviso, rivolgendo contemporaneamente gli sguardi verso un ragazzo carino, con la classica faccia da figlio di puttana che non deve chiedere mai e che ora lo fissava impudente, sfacciato con quel suo sorriso sornione e divertito.
___ « … Taylor?» Dean non sembrava francamente lieto della sua presenza.
___ « Certo. Non mi riconosci nemmeno più, cagone? Eppoi da quando torni a casa e non mi avvisi? Sei proprio una merda.» Non gli piaceva affatto il modo in cui quel ragazzo si rivolgeva a Dean, non tanto per il linguaggio al quale era abituato per via di Thalie, anzi, confrontato a lei sembrava un vero e proprio gentleman, ma per il modo fin troppo amichevole di prenderlo in giro, come se si fosse auto eletto il gallo del pollaio.
___ « E lui chi è?»
___ « Mi chiamo Olivier, puoi parlare direttamente con me.» Gli rispose in inglese, stupendo Dean che lo guardò con le palpebre spalancati e la bocca sorridente.
___ « Oh, pardon, è che si vede lontano un miglio che sei francese e i francesi di solito non parlano altro che il francese! Égalité, liberté e banane varie.»
___ « Liberté, Égalité, Fraternité.» Recitò il motto di Francia in un sorriso mellifluo, delizioso, seppur l'avrebbe volentieri accoltellato. « E probabilmente hai avuto a che fare con dei bigotti, comunque se ti è più comodo posso seguirti anche in russo.»
___ « Wow! Parli il russo? E perché?» Domandò il pittoresto londinese, sedendosi al loro tavolo senza nemmeno chiedere il permesso.
___ « Perché la mia compagna di danza è russa, io le insegno la mia lingua e lei la sua, è molto comodo per quello che voglio andare a fare in futuro, avrò a che fare con parecchi russi.»
___ « Ehi Dean, ti sei messo con un bel tipino, sai? Perché state insieme, no? O scopate soltanto? Ehi! Ehi! Una Guinness.» Ordinò la birra senza il minimo riguardo per la cameriera, che gli lanciò un'occhiataccia seppur costretta a obbedire all'ordine di quel buzzurro.
___ « … La fille est sympa …» (1) Sussurrò all'orecchio di Dean che annuì, ridacchiando sotto i baffi, nascondendo quel gesto dietro una mano.
___ « Allora? Siete venuti per il week end? Come sta nonno Hamilton?»
Si conoscevano da tanto, era evidente e lo dedusse non solo grazie alla naturalezza con cui aveva citato Mr.Hamilton, ma soprattutto perché Dean sembrava passar sopra al suo comportamento da sbroccato a tutti i costi, che aveva fatto dell'inadeguatezza e della maleducazione uno stile di vita, irritante a dirla tutta. Si strinse al braccio di Dean, appoggiandovi il mento e lasciando che i due si scambiassero informazioni senza ascoltarli, perché la voce di Taylor gli faceva venir voglia di prenderlo a sberle.
Bevve un sorso di birra, tranquillo, perdendo lo sguardo nel liquido ambrato e si ravvide della presenza dell'irritante e non invitato astante solo quando lui gli scoccò le dita davanti al viso.
___ « Ehi! Sei fra noi, Ollie?»
___ « Olivier.» Lo corresse, in un sorriso.
___ « Non ti piace Ollie?»
___ « Mi piace, ma così mi chiamano i miei amici.» Sottolineò guadagnandosi un'occhiata astiosa, condita da un sorrisetto tremante e piuttosto stupito; era evidente che l'inglese fosse abituato ad avere tutto e tutti ai suoi piedi, forse per il suo aspetto gradevole, o per la parlantina sciolta, ma lui non gli avrebbe reso la vita facile.
___ « Hai capito, tu! Che tipetto. L'ideale per te, Deany.» Commentò scuotendo il capo, svuotando quel che rimaneva della sua birra tutto d'un fiato.
___ « In che senso?» Gli chiese, sinceramente curioso.
___ « Nel senso che capisco perché lo arrapi: sei senza filtro, un po' stronzetto e - »
___ « Basta Taylor, così esageri.» Intervenì Dean, leggermente accigliato.
___ « No, perché? Ha ragione, Deany … sono senza filtro e un po' stronzetto.» Decise di dargliela vinta, guardandolo negli occhi nell'alzarsi in piedi. « Mi sai dire dov'è la toilette, Taylor?»
___ « Eccome no, trovi il cesso da quella parte.» Gli indicò l'altra sala del locale e lui aspettò di dare le spalle a entrambi per poter storcere le labbra in una smorfia schifata; “cesso” … un completo decerebrato. Si compiacque per lo meno del bagno: era ricavato da una piccola stanza di legno, con i sanitari in porcellana color crema; era pulito e profumato, l'atmosfera resa piacevole da un diffusore che esalava un profumo di agrumi, nonché grazie all'applique a parete di vetro in stile tiffany, tutta colorata. Si lavò le mani e guardò il proprio riflesso allo specchio: forse aveva esagerato, forse era stato fin troppo “stronzetto” e non era tanto pentito per Taylor, quanto più per Dean che lo aveva trattato coi guanti di seta fin dal momento in cui si erano incontrati, e davvero lui non riusciva a tollerare la presenza di un suo amico per più di mezz'ora? Decise di comprare qualche stuzzichino da dividere con loro, in segno di pace e di ridere anche alle battute idiote di Taylor per portare armonia e pace al loro tavolo, così da godersi appieno la splendida atmosfera del Blues bar. Raggiunse con calma il banco bar, con in testa le patatine fritte, le alette di pollo e i pop corn al burro caldi segnati nel menù sotto la voce “stuzzicherie”, ma si bloccò nel riconoscere Taylor appoggiato di gomiti al bancone di legno.
___ « Spinami due Guinnes e fammi tre shot di tequila sale e limone, Devon … Dean si è portato un damerino con la scopa al culo che più cagoso non si può, magari riesco a scioglierlo con un po' di super alcolici.»
___ « Non bevo super alcolici, Taylor, i cagosi ballerini come me devono stare attenti a quello che mandano giù, non siamo tutti spiriti liberi come te.» Si godette l'espressione allibita dell'inglese e le risate del barman con un sorriso tranquillo dipinto in viso; gli avevano fatto male quelle parole, negarlo era inutile, ma non aveva la minima intenzione di darla vinta a quel buzzurro.
___ « Ah. No, io … scusa, è che - …»
___ « Non c'è bisogno di scusarsi, dici quello che pensi, solo che al contrario mio lo fai alle spalle dei diretti interessati. Un comportamento piuttosto deprecabile, ma ognuno è fatto a modo suo e sei amico di Dean, quindi passerò sopra alla tua maleducazione, tranquillo.» Si appoggiò al bancone di legno, richiamando l'attenzione del barista. « Ci fai qualche stuzzichino? Quest'atmosfera mi ha messo appetito!»
___ « Ehi … deprecabile a chi? Chi ti credi di essere, bello?»
___ « Il ragazzo del tuo amico, quindi se non vuoi avere un po' di rispetto per me, per lo meno abbilo nei confronti di Dean.» Sbottò rivolgendogli un'occhiata tagliente che lo gelò all'istante.
___ « Bah, forse dovresti davvero sfilarti la scopa dal culo!»
___ « Non posso, mi permette di danzare bene; tu invece potresti provare a infilartene una, così forse risolveresti un sacco dei problemi che hai.»
Fece ridere di nuovo il barista, che gli mise davanti i due boccali di Guinnes ordinati da Taylor e il primo range di stuzzichini.
___ « Non sono gay! Stupido zompettatore!»
___ « Stupido … zompettatore?» Domandò sbarrando le palpebre, basito.
___ « Sì, che ti credi? Di essere speciale solo perché fai su e giù sulle punte? Chiunque potrebbe farlo con un po' di allenamento!»
___ « Ah sì?» Domandò sinceramente curioso e quando l'altro annuì, lui gli sorrise, compiendo un unico balzo d'oltre un metro per potersi trovare in piedi su uno degli sgabelli, dal quale saltò compiendo una capriola all'indietro, utilizzando ovviamente il bancone ligneo come trampolino di lancio. Atterrò saldo sui piedi, paralleli fra loro, quindi cercò gli occhi scuri di Taylor col proprio sguardo, così da poterli utilizzare come punto di fuga per una serie di pirouette; ne compì quindici, senza mai fermarsi, continuando a guardare dritto in faccia quell'impudente e al sedicesimo giro si fermò sbattendo il piede destro sul pavimento di legno, davanti a lui.
___ « Quando saprai farlo anche tu, potrai darmi dello stupido, Taylor. Fino ad allora: zitto e mosca.» Quasi non riconobbe il tono sinistro col quale gli si rivolse, ma si voltò in un attimo nell'udire la flebile risata di Dean, in piedi a pochi metri da loro che aveva unito le mani per applaudire, divertito. E lo aveva imitato buona parte del locale.
___ « T – tu … tu …» Taylor era rosso di vergogna, lui d'imbarazzo; si catturò il labbro inferiore coi denti, conscio di aver sicuramente esagerato.
___ « Scusa Dean … non avrei dovuto.»
___ « Figurati, hai fatto bene a mettere le cose in chiaro con questo bulletto, ti faccio le scuse da parte sua.»
___ « Dean!»
___ « Zitto, Ty.» Non era arrabbiato, anzi, lo abbracciò rubandogli un bacio a fior di labbra. « Il mio ragazzo è proprio un tipo in gamba …» Sussurrò guardandolo negli occhi e lui sorrise appena, ancora leggermente imbarazzato, ma sicuramente più tranquillo. « Vuoi andare?»
___ « Chi? Io? No! Ho ordinato degli stuzzichini e Taylor ti ha preso un'altra birra, credo, a me no ché non volesse bersele lui entrambe.» Adesso che aveva dimostrato di che pasta era fatto, si sentiva più leggero persino nel relazionarsi con quello strano ragazzo. « Accettano euro in questo posto?»
___ « Puoi pagarmi anche col bancomat, tu.» Decretò il barista, che forse non aveva mai smesso di ridere.
___ « Wow, questo è un vero onore Olivier, sai?» Sorrise a annuì, prendendo i cestini ripieni di ali di pollo e pop corn al burro.
___ « Taylor, prendi tu le patatine?» L'invitò così a unirsi a loro, senza rivolgergli più d'uno sguardo; lui li raggiunse dopo qualche minuto, un po' imbronciato, ma per il resto della serata si comportò da squisito commensale, forse un po' forzato, certo, tuttavia sembrava averlo vagamente accettato.



Erano rimasti fino all'ora di chiusura e Taylor aveva messo da parte il suo atteggiamento da idiota, mentre Olivier si era placato, lasciandosi trasportare dall'ambiente confortevole e dalla seconda pinta di birra. Erano andati più o meno d'accordo dopo lo show del ballerino e lui se n'era compiaciuto: Ty era il suo più caro amico da quando ne aveva ricordo ed si è era sempre comportato così all'inizio, con chiunque. Da piccoli formavano una strana coppia: lui era taciturno e piuttosto timido, Taylor l'aveva sempre protetto, si era per tanto evoluto in una specie di bullo di quartiere e per questo non riusciva tutt'ora a biasimarlo.
Lo raccontò a Olivier sul taxi verso casa e lui lo guardò come se lo avesse preso a schiaffi, con aria completamente costernata.
___ « Mi dispiace! Avresti dovuto dirmelo!»
___ « Non te lo avrei detto nemmeno se avessimo premeditato un'uscita con lui; Taylor esagera il più delle volte e gli fa bene essere messo al suo posto.» Infilò le chiavi nella serratura della porta blindata e l'aprì, accendendo subito la luce d'ingresso per poter disinserire l'allarme di sicurezza.
___ « Bhè … forse hai ragione. Comunque, dopo che ha smesso di fare il coglione, mi è risultato piuttosto simpatico.»
___ « Lo so, Ty è forte ed è un bravo ragazzo, sono contento che te ne sia accorto.» Sfilò il giacchino di jeans e Olivier il maglioncino morbido verde oliva, scompigliandosi i capelli biondi, che gli regalarono un'aria … invitante.
___ « Hai sonno? O ti va di bere qualcosa? Acqua? Succo?»
___ « Vino non ne hai?» Gli domandò inclinano appena il capo verso la spalla sinistra, piegando le braccia dietro la schiena e ostentando un sorrisino morbido.
___ « Certo. Ne verso due bicchieri, poi ti mostro una cosa.»
___ « Posso prendere qualcosa da mangiare?»
___ « Come fossi a casa tua, Olivier.»
Versò due calici di vino bianco frizzante, fresco e Olivier recuperò carote, sedano e pomodorini già lavati e tagliati a tocchetti dalla domestica, nonché un vasetto trasparente contenente maionese fatta in casa.
___ « Sarà buona?» Gli domandò infilando un dito nella salsa, per poterla annusare e saggiarne la consistenza.
___ « Mhnn …» Passandogli accanto gli lambì l'indice con le labbra, assaggiando così sia la maionese che la sua pelle. « Sì, è buona.» Decretò accendendogli un rossore appena accennato sulle gote. « Vieni, voglio mostrarti una cosa.» Si incamminò verso le scale che superò senza guardarsi alle spalle, perché sentiva la presenza di Olivier dietro di sé. Si infilò nella propria camera, ma non accese la luce, guadagnò invece la portafinestra coperta da un tendaggio chiaro che scostò, così da rivelare la presenza di una terrazzina.
___ « Non l'avevo vista ieri sera!»
___ « Ieri sera sei crollato, honey
___ « Bhé, nemmeno stamane, però.»
___ « Forse perché ti sei fiondato di sotto, attirato dal profumo della colazione.»
___ « Veramente ero attratto da te, ma la colazione era buona, sì.» Rise appena nello spalancare il battente e gli fece cenno di uscire per primo. « Che gentleman … merci.» Quando gli passò accanto il profumo di borotalco e camomilla lo investì in pieno e fu lieto di poter perdere un po' di tempo prima di raggiungerlo; sorresse entrambe le fluté con una sola mano, così da poter arrancare con l'altra sul muro bianco alla ricerca di un interruttore specifico. « … Dean? Che fai?»
___ « Questo.» Quando si accesero le luci, gli occhi di Olivier si sbarrarono e la bocca si spalancò per lo stupore: la terrazza era illuminata da fili di lucine color crema che scendevano lungo i bracci della tenda orizzontale, al momento ritirata. Delle piccole lampadine effetto fiamma libera si accesero nelle lanterne in alluminio bianco e vetro ed entrambi poterono così vedere chiaramente l'arredamento composto da un piccolo divano, due poltrone e un tavolino rotondo con gambe in ferro battuto arzigogolato.
___ « … Wow … »
___ « E' carino, vero? Ho passato un periodo di folle amore per il bricolage, sono stato lì a calibrare tutte e luci, a collegare i fili, eccetera …»
___ « E' adorabile, Dean. Vieni, dai.»
___ « Sì, un secondo.» Rientrò nella camera per prendere un piccolo rotolo di tela che aveva appoggiato sul letto quella mattina, prima che uscissero di casa. Lo raggiunse e sedette accanto a lui sul divano, porgendogli il suo bicchiere di vino.
___ « E' tutto bellissimo, grazie per questo meraviglioso week end.»
___ « Grazie a te, mi piace averti qui.» Ammise avvicinando la fluté alla sua. « Prosit
___ « Prosit …» I bicchieri tintinnarono e loro si guardarono negli occhi, bevendo il primo sorso.
___ « … Dean.»
___ « Devo darti una cosa, Olivier.» Gli consegnò quel piccolo rotolo di tela e lui l'accettò con aria interrogativa, rigirandoselo fra le mani. « Potrai chiedermi tutti i quadri che vorrai, ma ci tenevo che avessi il primo che ho dipinto pensando a te.»
___ « Oh …» Si gustò il suo sorriso appena accennato, i movimenti fluidi coi quali appoggiò il bicchiere di vino sul tavolino e raccolse una gamba sotto le natiche, con naturalezza. « Lo apro.» L'avvisò sfilando il filo di spago che teneva avvolto il quadretto, che srotolò con cura quasi maniacale e man mano che lo scopriva, la sua espressione si faceva sempre più sorpresa.
___ «Mi è bastato chiudere gli occhi e ripensare a quella domenica per ricordarmi di tutto: le forme, i luoghi, i colori e persino gli odori …»
___ « E' … bellissimo.» Sentì a mala pena la sua voce, ridotta a un sussurro e vide le lunghe dita tremare appena. Bevve un sorso di vino prima di abbandonare la fluté sul tavolino e scivolò sulla seduta morbida, cercando di prendergli una mano, dolcemente.
___ « Tutto bene, Olivier?» Lui annuì una sola volta, tenendo il viso abbassato per non mostrarglisi; sfilò la mano dalle sue e arrotolò nuovamente il dipinto, vi posò un bacio prima di lasciarlo sul tavolino.
___ « E' appena diventata la seconda cosa che preferisco al mondo.» Ammise passandosi una mano fra i capelli, sorridente seppur leggermente tremante.
___ « Hai freddo?»
___ « No.»
___ « Qual è la prima cosa?»
___ « Non è una cosa, è una persona: sei tu.» Lo accolse fra le braccia e lo strinse forte a sé, affondando una mano fra i suoi capelli biondi e ispirandone forte il profumo di camomilla.
___ « … Forse un po' di freddo ce l'ho.» Ammise baciandogli il lobo sinistro in un tocco flebile e caldo.
___ « Allora rientriamo.»
___ « Oui …»
Le fluté, gli spuntini e soprattutto la tela vennero sistemati sulla sua scrivania, lo guardò mentre sfiorava il dipinto arrotolato con la punta delle dita e sorrideva docilmente, un po' sognante.
___ « Vai prima tu in bagno.»
___ « No, no, vai tu.» L'invitò cortese, in un sorriso smagliante.
___ « D'accordo.» Recuperò un cambio per la notte e ci si chiuse dentro per una decina di minuti, approfittò anche per farsi una doccia rapida che gli inumidì appena i capelli. « Ollie … preg -» Shock. « o.» Deglutì a fatica nel trovarselo di fronte completamente nudo, in piedi al centro della stanza, illuminato dalla luce di almeno una cinquantina di piccoli lumi a cera. Si sentì arrossire, fenomeno che forse non si era mai manifestato sul suo viso nell'arco di un'intera vita, ma Olivier riuscì a farlo andare a fuoco in meno di mezzo secondo. Il suo sguardo era fisso nei propri occhi, l'espressione era seria, ma condita da un pizzico di timore.
___ « Voglio essere completamente tuo, Dean.»
___ « … C – h … » Aveva perso completamente la voce e anche la capacità di sorreggere le cose visto che gli caddero di mano i vestiti. Lui gli si avvicinò lentamente, aderendo al proprio corpo in un attimo.
___ « Fa l'amore con me, non pensare a nient'altro: io sono pronto, voglio concedermi a te.» Lo baciò sulle labbra, leggero, mentre le mani scivolavano sotto il tessuto della t-shirt azzurra che indossava. « Non ho mai desiderato così ardentemente qualcuno.» Confessò lasciando impattare quelle parole appassionate contro la sua bocca. « Nessuno mi ha mai eccitato come riesci a farlo tu, Dean.» Nel pronunciare il suo nome lo guardò dritto negli occhi, quelle labbra carnose leggermente schiuse e le mani che gli sfilavano la maglia di dosso, lasciandogli il petto e la schiena nudi, a contatto col corpo caldo di Olivier. « Voglio che tu sia il primo …» La punta delle dita, le sue splendide, lunghe ed eleganti dita, che gli sfilarono l'orlo dei pantaloni di cotone provocandogli uno spasmo. « … e l'ultimo.»
Quelle parole lo fecero crollare: ogni genere di razionalità andò a farsi fottere, gli sembrò di sentire il cervello liquefarsi mentre stringeva a sé quel corpo nudo, muscoloso e bellissimo. Sentiva la spina dorsale sciogliersi e le ginocchia tremare mentre succhiava avidamente la sua bocca di fuoco, impudente e celestiale; lo sentì sorridere prima di accogliere la sua lingua e gli si arrampicò addosso, saltando agile come uno stambecco per stringersi a lui, facendolo fremere dalla testa ai piedi. Affondò un ginocchio sul letto, senza mai lasciarlo e l'appoggiò sulla trapunta leggera, staccandosi solo per potersi godere la visione della sua espressione eccitata, al colmo del desiderio.
___ « … Dean … » Ansimava con le palpebre appena aperte, la bocca gonfia socchiusa e le mani che gli accarezzarono il viso. « … you're mine.» Sussurrò appoggiandogli la punta d'un dito al centro del labbro inferiore; lui credette di impazzire, non riusciva più a formulare un pensiero coerente, poté solo succhiare quell'indice impudente in tutta la sua lunghezza prima di lasciar scivolare lo sguardo sul suo corpo, per godersene ogni centimetro, ogni sporgenza, ogni incavo.
___ « Dio … sei bellissimo …» Quasi non riconosceva la sua voce e si stupì nel constatare che invece i gemiti di Olivier gli arrivavano alla mente familiari, sotto forma di musica eccitante, da riascoltare ancora, e ancora. « Sono tuo … e tu sei mio, non ti lascerò più andar via …» Mormorò baciandolo all'altezza del cuore prima di perdersi completamente in un mondo dove i soli rumori concessi erano quelli delle loro voci rotte dal piacere, l'unica visione possibile era Olivier aggrappato a lui e l'unica fonte di calore era data dall'unione dei loro corpi in fiamme.





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(1) : mi piace la ragazza ...
Taylor ( che si legge Téilor ): I.D. Card
Oh, già: questo capitolo è dedicato a June u.u



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Capitolo 19
*** I won't let you go; ***


___



Non riusciva ad aprire gli occhi, non voleva farlo: stava bene così, con il corpo intorpidito e la mente che non metteva a fuoco nulla.
Cercò di muoversi, ma era bloccato da una morsa calda, sentiva un'arietta tiepida infrangersi regolarmente contro il collo e qualcosa di morbido solleticargli la mascella. Biascicò appena schioccando la lingua contro il palato, prese poi un profondo respiro e si sforzò di aprire gli occhi, ma si stupì nel constatare che persino quel banale movimento gli costava una certa fatica.
Iniziò vagamente a mettere a fuoco i ricordi, che gli si presentarono in testa sotto forma di flash back, nemmeno avesse una discoteca a luci stroboscopiche in testa: Londra, Waterloo, la cena a Piccadilly Circus, il quartiere dei teatri e un materasso morbido; la colazione cucinata dalle sue mani, i biglietti per Wicked e il pranzo con Mr. Hamilton, che gli era piaciuto tantissimo. Notthing Hill, Portobello Road, il mercato dell'antiquariato e la lunghissima passeggiata fino a Camden Town durante la quale aveva conosciuto piccole chicche di Londra, quelle che i turisti non si potrebbero mai nemmeno immaginare; il Blues Bar, Taylor e il suo irritante modo di porsi come il figo di turno, che sapeva tutto di tutti, ma che si smarriva quando trovava qualcuno in grado di tenergli testa, poi il suo flebile sorriso, condito sempre da un pizzico d'arroganza. Il taxi fino a casa, quell'attico bianco, arredato con cura, che nascondeva una piccola terrazza illuminata non solo da mille lucine color crema, ma soprattutto dai suoi occhi e dal suo sorriso; il rotolo di tela, che nascondeva il dipinto a olio di lui e Ciel che giocavano insieme a St. James Park e che gli aveva fatto perdere un battito. Il suo viso illuminato dai piccoli ceri bianchi che aveva acceso in fretta: li aveva portati da Parigi perché voleva fargli una sorpresa, regalargli una cenetta romantica o un bicchiere di vino bevuto a lume di candela, ma poi gli aveva donato tutto se stesso, completamente.
Sorrise e aprì le palpebre, stringendolo più forte a sé: dormiva così Dean, abbracciato a lui, entrambi sdraiati su un fianco, l'uno di fronte all'altro e aveva il suo viso appoggiato al collo, la punta del naso che gli sfiorava il pomo di Adamo mentre i capelli castani gli facevano un leggero solletico. Rise appena e gli baciò la fronte prima di iniziare a muovere sinuosamente il corpo contro il suo.
___ « Mhh … wake up, my beautiful boy …» (1) Lo sentì sbuffare e irrigidirsi tutto. « Su, sorgi e risplendi, raggio di sole!»
___ « … Come fai … a essere così … »
___ « Sveglio? Mi alleno cinque o sei giorni a settimana, non sono mica una sega come te. Ahi!» Scoppiò a ridere per il pizzicotto più che meritato che Dean gli rifilò su un fianco e continuò a riempire la stanza di risate mentre lui lo obbligava di schiena sul materasso, riempiendolo di baci sul collo che gli facevano il solletico. « Dai, dai! Smettila, smettila!»
___ « Non posso, devo svegliarmi …» Prese a solleticarlo ovunque, lungo il corpo nudo e lui si dimenò come un'anguilla, ridendo come un disperato, con gli occhi lucidi.
___ « Ma!! Così mi sveglio i – AH! Porco!» Gli afferrò il viso inchiodando il proprio sguardo al suo e Dean gli sorrise in quel modo malizioso, incredibilmente sensuale e furbo che gli bloccò il respiro.
___ « Sì, sono un porco, ma è colpa tua che mi istighi …»
___ « Mi viene tremendamente naturale, soprattutto se sei nudo.» Quasi non riusciva a credere di essere lui a dire quelle parole, che fosse il suo corpo quello aggrappato a quel bellissimo, giovane uomo che lo fissava con sguardo carico di lussuria, che lo desiderava, che lo amava.
___ « A me viene naturale altro …» Sussurrò lasciandosi cadere lentamente su di lui, facendo sì che le loro pelli aderissero completamente, ormai pregne l'una dell'odore dell'altra.
___ « Sì, lo sento.» Si morse il labbro inferiore, guadagnandosi un bacio che gli rubò letteralmente il fiato. « Dean …»
___ « … mhh?»
___ « Fermo, fermo!» Esclamò ribaltando le situazioni in una torsione del corpo, arrotolandosi inevitabilmente nelle coperte e trovandosi comunque avvinghiato a lui.
___ « Questo non è il modo migliore per fermarmi, mon amour, ma comunque se proprio vuoi che stia fermo, questa scelta di posizioni non mi dispiace.» Si sentì arrossire leggermente e sbuffò, arrendendosi alle sue mani che gli accarezzavano la schiena e le natiche.
___ « Vorrei farmi una doccia …»
___ « D'accordo, ma prima guardami un attimo.» Obbedì abbassando lo sguardo, irto sugli avambracci appoggiati al suo petto e si trovò a fissare un sorriso talmente dolce che quasi provò l'ebrezza di un'intossicazione da zuccheri.
___ « E' tutto okey?»
___ « … Sì.»
___ « Sicuro, Olivier?»
___ « Sì. E' che …»
___ « Che?» L'incalzò rubandogli un bacio leggero, che lo sciolse un po'.
___ « Che non ero venuto qui per fare …»
___ « L'avevo capito, Olivier. Tranquillo.»
___ « E sono felice che sia successo.»
___ « Avevo capito anche questo.»
___ « … E' stato bello.» Ammise accarezzandogli la fronte, con lo sguardo perso sulle dita delle proprie mani che si infilavano fra i suoi capelli sconvolti dal sesso e dal sonno. Soprattutto dal sesso: quando Dean era sopra di lui, dentro di lui, si era aggrappato a quei fili bruni e morbidi e alla sua schiena, graffiandola. Arrossì di colpo al ricordo e l'altro rise appena.
___ « Che c'è?»
___ « Ti ho … graffiato?»
___ « Oh sì, mia piccola lince … sei davvero insaziabile!» Gli tirò un pugnetto prima di accoccolarsi su di lui, il capo appoggiato sulla sua spalla; si beò della stretta delle braccia di Dean, che era più muscoloso di quanto s'aspettasse.
___ « Fai sport?»
___ « Ho giocato a rugby, ogni tanto lo faccio per divertimento, con gli amici.»
___ « Oh. La Francia è più forte!»
___ « Non credo proprio! Siete arrivati ultimi al Sei Nazioni dell'anno scorso!»
___ « Ah sì?»
___ « Ma non lo sapevi nemmeno!»
___ « Certo che no, volevo farti scaldare un po'.» Sorrise quando lui scoppiò a ridere e strinse le labbra guardando il suo viso.
___ « Perché me lo chiedi, comunque?»
___ « Perché hai un bel culo.»
___ « Ah!» Rise ancora, a crepapelle, facendolo tremare tutto. « Cosa credevi? Di essere l'unico ad avere un bel fisichino? Sei così … francese.»
Gli mollò un morso sulla spalla, che lo fece urlare più per la sorpresa che per il reale dolore.
___ « La prossima volta lo farò da un'altra parte, sai?»
___ « Non oseresti!»
___ « Mi sfidi?»
___ « Sempre. E' bellissimo sfidarti, Olivier.»
___ « Già. E' divertente.» Si alzò in uno scatto, liberandosi dalle coperte e dalla sua presa. « Mi faccio una doccia.» Decretò entrando nel bagno, lasciandolo lì da solo, senza nemmeno uno sguardo. Poteva immaginarsi la sua espressione a metà fra lo sconvolto e il divertito mentre fissava la porta di vetro bianco, ma decise di cedere alla curiosità, ai suoi istinti e di gustarla coi propri occhi facendo capolino dall'uscio. «La vuoi fare con me?»
E lo investì come un fiume in piena: all'improvviso le sue mani erano ovunque sul proprio corpo e le labbra avevano incatenato la sua bocca a lui; lo travolse come la sera precedente, rubandogli il fiato e infrangendo quel po' di inibizioni che ancora sentiva di avere, ma che adesso non poteva più permettersi.
Complementari, perfettamente compatibili, erano parte di un puzzle a due tasselli che si incastravano a meraviglia, facendolo sentire completo. E sapeva che Dean provava la stessa identica cosa.



Furtivi come due ladri salirono le brevi rampe di scale di casa Blanchard, più o meno attenti a non far rumore; avevano abbandonato le scarpe nello sgabuzzino del sotto scala e per un piano erano anche riusciti a non fare troppo casino, ma quel delizioso fondoschiena che gli ciondolava davanti al viso era davvero troppo invitante per non raggiungerlo in un morso e da lì era stato un susseguirsi di risate trattenute, soffocate da baci divertiti e abbracci che erano quasi sfociati in cadute. E avevano spalancato la porta azzurra, ignorando subdolamente il povero cucciolotto di Husky, felice di vederli e forse perplesso dal loro atteggiamento, o smanioso di unirsi al loro abbraccio. Non avevano acceso la luce, preferendo continuare a esplorarsi al buio, lanciando le giacche autunnali a casaccio, in giro per la stanza; lo facevano impazzire quelle labbra impudenti che sapevano di miele, che Olivier usava un burro di cacao particolare. Guadagnò qualche centimetro di pelle aggrappandosi al collo sformato del maglioncino a righe che lui indossava e il profumo di patchouli gl'invase le narici, riportandolo al ricordo della doccia nella casa di Londra, dove avevano trovato un flacone de I Tesori d'Oriente.
Si bloccarono ai piedi del letto queen size, a baciarsi e spogliarsi senza freni, che non erano nemmeno riusciti a passare le due ore e mezza di viaggio dall'Inghilterra alla Francia senza infrattarsi nei sedili posteriori della carrozza cinema, buia e poco frequentata grazie al film scadente che vi proiettavano, figuriamoci lì nell'intimità della stanza di Olivier. Incurvò la bocca in un sorriso quando i denti del ballerino gli cinsero il labbro inferiore e in risposta lo strinse a sé in una morsa d'acciaio, obbligandolo a cadere sulla coperta sfumata dal bianco all'azzurro. Avrebbe voluto accendere l'abat-jour sul comodino per potersi godere la visione di quel viso eccitante adagiato sul plaid, vedere i suoi occhi azzurri diventare più luminosi cibandosi della luce della lampada, i suoi capelli biondi a formare una deliziosa aureola intorno al capo.
Ma tutto andò in frantumi in un solo, vivace e schifosamente divertito urlo.
___ « AhHhAhAHahah!!!»
___ « KYAAAA!»
___ « CHE?!» Si schiantò sul pavimento di legno spinto da Olivier, che era stato il secondo ad aver urlato, ne era certo. Sbarrò le palpebre quando qualcuno accese la luce e rimase spalmato in terra, assalito da un giocoso Ciel, a sentire uno scambio di frasi che non avrebbe dovuto aver luogo.
___ « THALIE!»
___ « Ollie! Mi sei mancato!»
Udì un leggero cigolio del materasso, ma rimase immobile tentando disperatamente di imparare all'improvviso la mimetizzazione dei jeko.
___ « Chediavolocifaiincameramia!?» Lui strillava isterico e lei rideva di gusto, allegra come non mai.
___ « Ti aspettavo! Volevo sapere com'era andato il week end, se Dean ti ha trattato bene e … perché sei mezzo nudo?»
Ecco, era finito. Chiuse gli occhi lasciando che l'Husky bianco lo riempisse di baci, lietissimo di avere qualcuno da poter slappare in totale libertà, ma quando sentì di nuovo il materasso muoversi, provò un brivido lungo la colonna vertebrale e lentamente aprì gli occhi, trovando la sorella del suo ragazzo affacciata verso di lui, con un sorriso incorreggibile che sembrava partirle da una tempia e finire all'altra.
___ « Ehilà, Dean … qual buon vento?»
___ « … Thalie … che piacere.»
___ « Mhn … bei pettorali, cocco. Abbiamo anche la tartaruga! Ti alleni?»
___ « Thalie! Smettila di fare la cretina e va via!» Intervenne Olivier che era saltato giù dal letto e stava cercando la sua camicia di jeans, finita chissà dove.
___ « Vuoi questa?» Ecco, fra le mani di Mrs. Craziness, ovvio.
___ « … Grazie.» Lui gliela strappò di mano e se l'infilò frettoloso, rosso in viso.
___ « Dai, non fare quella faccia Ollie! Non sapevo sareste tornati insieme, altrimenti non mi sarei mai permessa di - … che dico, lo avrei fatto uguale.»
___ « Ecco, appunto.»
Sedette sul pavimento, a gambe conserte e con l'Husky arrampicato addosso che, evidentemente, aveva deciso di fare del suo viso il suo lecca – lecca personale per la serata.
___ « Quindi ti sei scopato mio fratello?» Quella domanda gli fece l'effetto di un'incudine da cinquemila chili lanciata direttamente sulla nuca; poi la sberla che gli rifilò Thalie cerco evidentemente di sopperire alla mancanza di un corpo contundente dato che gli fece rimbombare il cervello nel cranio.
___ « T – H – A – L – I – E ! Adesso BASTA. Fuori di qui!» Olivier era rosso come un pomodoro, con i denti digrignati e gli occhi quasi fuori dalle orbite: adorabilmente imbarazzato, l'avrebbe steso all'istante lanciando sua sorella fuori dalla finestra, ma si trattenne.
___ « Honey, tranquillo, dai.» Cercò di calmarlo ma Olivier lanciò un orso di peluche bianco contro sua sorella, la quale scoppiò naturalmente a ridere.
___ « Tranquillo un cazzo! La nostra vita sessuale non la deve riguardare!» Esclamò completamente isterico, andando a sbattere un piede sul pavimento.
« Ma io te la racconto la mia!»
« Ma non te la chiedo!!»
Scoppiò a ridere all'improvviso, trattenersi gli era ormai diventato impossibile e si era guadagnato una duplice occhiataccia da parte dei fratelli Blanchard.
___ « Scusate, scusate … è che siete divertenti!»
___ « Tu sei ridicola!»
___ « E tu una checca sfranta!»
___ « TI UCCIDO!»
Affondò il viso nel pelo morbido di Ciel per evitare di scoppiare nuovamente, probabilmente se la sarebbero presa con lui unendo le forze, meglio evitare.
___ « Ora vado in bagno qualche minuto! Non voglio che tu sia qui quando esco, chiaro!? E di anche a quella vecchiaccia che non vi racconterò nulla di quello che facciamo io e Dean sotto le lenzuola! E' inutile che continuiate a insistere!»
___ « Sotto le lenzuola? Phua, speravo anche contro i muri, sui tavoli, divani, pavimento, vasca da bagno, doccia - »
___ « BASTA!» Era diventato viola e si era chiuso in bagno, sbattendo la porta e facendo così saltare il cucciolo che gli si appallottolò addosso, spaventato.
___ « No Ciel, no … va tutto bene, ora la zia e papino la smettono di prendersi metaforicamente a unghiate.»
___ « Bhé, a te qualcuno ti ci ha preso senza metafore.» La bionda stava indicando la sua schiena e lui scrollò le spalle, regalandole un mezzo sorrisetto carico di malizia e uno sguardo divertito, ma non proferì un fiato: non avrebbe detto un parola nemmeno lui. « D'accordo, d'accordo, sparisco piccioncini! Vi lascio a tubare, basta che non strillate troppo che sta sera me ne rimango a casa.» Scese dal letto e prese il cucciolo in braccio, facendogli il solletico al pancino col naso e provocando così uggiolii assai divertiti. « Anzi, metto su la musica, fate un po' come volete. Ah, Dean! Senti …» Improvvisamente se la trovò accanto, in ginocchio per terra con gli occhi azzurro chiaro puntati nei suoi. « Non credo te l'abbia detto, ma fra qualche giorno è il compleanno di Olivier.»
___ « No, in effetti non lo sapevo. Grazie dell'informazione …»
___ « Prego, figurati. Volevo chiederti: ci vieni con me a prendergli un regalo? Io e la nonna glielo facciamo insieme tutti gli anni, da un paio a questa parte ci sta anche Tristan e magari, se ti unisci anche tu, possiamo mettere insieme qualcosa di stra iper super ultra bello! Che dici?» Le sorrise, divertito.
___ « Ma certo che sì, Thalie. E' un'idea ottima … aspetta.» Cercò la giacca, che trovò riversa sul pavimento e ravanò le tasche alla ricerca del cellulare. « Segnami il tuo numero. Domani va bene?»
___ « Sì, sì. Facciamo dopo le tre? Così il locale è tranqui e posso lasciare nonna e l'apprendista da soli.» Parlava piano ed era tutta impegnata a segnargli il contatto sull'iphone, sfoggiando un bel sorriso tenero, espressione mai vista prima sulle labbra di quella donna.
___ « Perfetto. Ti scrivo in mattinata.»
___ « Yo! Trattamelo bene. CIAO PUTTANELLA!» Strillò volando fuori dalla stanza e fece molto bene perché la porta del bagno si aprì e ne uscì una ciabatta, che si sarebbe schiantata contro di lei se fosse stata ancora lì.
___ « Sgualdrina!» Olivier era ancora deliziosamente rosso.
___ « Dai, scherza.» Tentò di rabbonirlo, ma in tutta risposta lui gli lanciò l'altra ciabatta.
___ « Non difenderla! O – ogni tanto esagera …» Era così bello il suo cucciolo biondo, inesperto e curioso, capace di lasciarlo senza fiato per il piacere ch'era in grado di procurargli e anche per l'innocenza con cui voleva tenere per loro la carnalità con cui si possedevano a vicenda, riversando l'un sull'altro l'amore che provavano. Si alzò e andò ad abbracciarlo da dietro mentre si lavava i denti; rivolse uno sguardo allo specchio e gli fece un'infinita tenerezza il riflesso un po' depresso di quel visino stanco dopo la carica dell'uragano Thalie.
___ « Scusa, non è che mi vergogno di noi, è che …»
___ « Guarda che non mi è nemmeno passato per l'anticamera del cervello.» Lo rassicurò, sincero. « Per te è tutto nuovo, è normale provare un po' di pudore.»
___ « No, è che sono geloso di te, non voglio che nessuno ti pensi nudo, soprattutto quella depravata di mia sorella: sei mio, rimarrai tale e se becco qualcuno a guardarti in modo strano gli o le spacco il naso con una testata.»
Il candore e la tenacia con cui aveva espresso tale pensiero lo lasciò ammutolito; sbatté velocemente un paio di volte le palpebre, dapprima confuso, quindi deliziato.
___ « Wow.»
___ « Quoi?» (2)
___ « Il tuo senso di possessione mi eccita da impazzire, Olivier.»
___ « La cosa ha incredibilmente un senso. Almeno credo …»
Sbuffò una risata che lasciò infrangersi sul collo del ballerino, al quale donò un bacio avvolgente, così da potersi deliziare del sapore della sua pelle.
___ « Ieri sera, mi hai detto una cosa strana.» Aveva finito di lavarsi i denti e ora lo stava fronteggiando, occhi negli occhi, mentre la mano destra era aperta sul proprio petto, a spingerlo; lui stette al gioco, ricambiando lo sguardo e cadendo seduto sul letto quando i propri polpacci impattarono contro il bordo del materasso.
___ « Se ho detto cose strane durante l'orgasmo, non me lo ricordo.»
___ « Gli orgasmi.» Sottolineò lui in un guizzo fiero e seducente.
___ « Gli.» Ripeté lui, afferrandogli un polso per invitarlo a sedere su di lui.
___ « Hai detto che non mi avresti più lasciato andare.» Gli stava già passando le mani fra i capelli, in quel modo che lo rilassava profondamente: socchiuse le palpebre e abbandonò il capo all'indietro, spronato dal suo tocco un po' ruvido.
___ « Sì.»
___ « In che senso? Cioè …»
___ « Olivier, da quando ti ho incontrato, in me è nata la strana e piacevole sensazione di sentirmi di nuovo completo, pienamente vivo.» Deglutì in quella posizione, sentendo il pomo di Adamo che gli tirava la pelle del collo nel suo naturale movimento. « Non voglio passare per un ragazzino che spara frasone più grandi di lui, ma da quando vivo quest'emozione che se ne sta infrattata nel più profondo del mio animo, mi sento felice. E so che tu eri qui per me e io sono qui per te, ci abbiamo messo diciannove anni a incontrarci e ora non sono intenzionato a lasciarti andare mai più.» Aprì gli occhi, specchiandosi in quelli azzurri di lui. « Questo intendevo.» Gli rivolse un mezzo sorriso un po' impacciato, ma lui annuì placido, accettando le sue parole con dolcezza. « Accendi la musica …» Gli suggerì scivolando via un solo istante dal perfetto intreccio delle loro lingue.
___ « Mhn?»
___ « Tua sorella ha detto che l'avrebbe accesa lei, non mi fido.»
___ « … Ti amo sempre di più, Dean Caesar Hamilton.»
Le sue risate si mescolarono alla voce di Matthew Bellamy, che li accompagnò per tutta la notte, anche quando si addormentarono abbracciati.





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(1) : sveglia, mio bellissimo ragazzo …
(2) : Cosa?
Mr. Hamilton ( che si legge Emilton ): I.D. Card
Io questi ragazzi li amo e dire che sono una cinica, un po' bastarda, romantica come un calcio nei denti, eppure credo ancora nel principe azzurro, voglio crederci: il mondo è già abbastanza schifoso, con questa storia volevo regalarmi un po' di quiete dalla vita di tutti i giorni, sorridere, ridere, sognare.
Spero di esserci riuscita anche con voi, lettori! Alla prossima ;)



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Capitolo 20
*** les femmes terribles; ***






___ « Thalie … scusa se te lo chiedo, ma mi spieghi che cosa cavolo hai in mente?» Domandò esasperato, fissando quella bionda insopportabile.
___ « Non dovevi aiutarmi coi regali di Ollie?» Ribatté lei in un sorriso delizioso e falso, da graziosa Giuda in gonnella.
___ « Sì, ma non avevo capito che intendessi usarmi come mulo da soma!»
___ « Oh, non rompere Dean, sei grande e grosso: ce la puoi fare!»
Erano due ore, centoventi interminabili minuti che quella matta lo trascinava su e giù per Boulevard Haussmann: quando si era fiondata dentro le famose Galeries Lafayette aveva capito che sarebbe morto così, sommerso dalle buste dello shopping di una donna dalle energie inesauribili.
___ « Questo? Glielo prendo? Ma sì, dai.» Stava sventolando un maglione sfumato dal nero al grigio che sembrava morbidissimo, con lo scollo rotondo largo e che sarebbe stato benissimo a Olivier.
___ « Sì, ma prendi quell'altra variante che sfuma dal nero all'azzurro: risalterà i suoi occhi.» Era in ballo, tanto valeva ballare.
___ « Oh! E' vero! Hai ragione! Vedi? Ho fatto bene a portarti con me. ODDYO QUELL'ABITO!» Partita a fionda, capì di averla persa non appena la vide abbracciare un abito verde menta dalla gonna a campana voluminosa, con tanto di sottogonna formato da un milione di strati di tulle ton sur ton.
___ « … Signore, se esisti fulminami in questo istante, ti prego …»
___ « Bon, preso.» Decise allontanando in un gesto poco cortese una commessa che le si era avvicinata per chiedere qualcosa riguardo alla taglia.
___ « Per lo meno sei rapida. Paghiamo?»
___ « C'è tutto il reparto dillà! Ti droghi?» Furono le due ore più lunghe della sua vita: aveva conosciuto anfratti che non credeva potessero esistere in un centro commerciale, perché in fin dei conti le Gallerie Lafayette erano un grande magazzino travestito da boutique, che offriva grandi firme, ma anche pezzi a buon mercato. E Thalie li aveva vagliati tutti.
___ « Che ne dici di questi? Sono un po' strani, è vero, ma secondo me a Ollie starebbero un amore! No? Ehi, Dean? Sei vivo?»
___ « No. Ti odio, odio il mondo, voglio che un'enorme accetta mi decapiti in questo preciso istante.»
___ « BHUAHAHA!» Quella risata sguainata, per niente adatta a una ragazza dal volto d'angelo, lo risvegliò con la stessa violenza di uno schiaffo. « Dai, allora glieli prendo e pace.» Lui annuì come in trance, si ridestò solo quando vide il prezzo battuto dalla commessa sulla tastiera della cassa, ma ovviamente non disse nulla finché non si furono allontanati.
___ « Thalie … ammetto di non aver problemi di soldi, ma non credi che ormai ci siamo? Insomma, gli hai preso due maglioni, un paio di pantaloni, delle scarpe, due sciarpe, t-shirt in quantità industriale, persino dei guanti e delle mutande …»
___ « Ma quelle con “this is only for you!” (1) scritto sulle chiappe, non sono splendide? Scommetto che adorerai strapparle a morsi!» Fu lieto di non essere un tipo facilmente imbarazzabile, altrimenti sarebbe diventato viola. « E comunque hai dimenticato la giacca elegante e la felpa!»
___ « Ecco … credo tu abbia speso più di mille euro. Possiamo dirci soddisfatti, no?»
___ « No.» Decretò rifilandogli un sorriso furbetto. « Questi sono i regali da parte mia, quello tutti insieme è un altro!» Sbarrò le palpebre, esterrefatto e la fissò digrignando i denti mentre lei saltava sul primo gradino di una scala mobile. « Dai, muoviti! Ti offro la merenda, così poi potrai andare a prendere il fratellino all'Accademia e portarlo a cena fuori mentre io nascondo i pacchi in casa!»
___ « Thalie, stammi ad almeno tre metri di distanza o ti uccido.» Lo aveva bassamente usato come un lacchè, era stata tremendamente furba e spietata, ma non l'avrebbe passata liscia e lui aveva imparato la lezione: mai più fidarsi della Dama bianca. Continuò a guardarla malissimo mentre lei zompettava felice come una pasqua, sia dei suoi acquisti che di averlo raggirato.
___ « Siediti, ora ti spiego tutto.»
___ « Cosa devi spiegarmi? Di come mi hai fatto girare per quattro ore per portarti i pacchi mentre tu sceglievi vestiti e cose simili?»
___ « No, no, quello lo hai capito benissimo da solo.» Si appoggiò sulle ginocchia la borsa di pelle bianca, ricoperta di borchie a forma di stella argentate, e ne estrasse un foglio che gli pose davanti, sul tavolino rotondo. « Vorremmo regalargli questo.»
Si trattava di una stampata dove capeggiava il logo della Royal Opera House di Londra, sede di una delle più prestigiose compagnie di balletto del mondo, il Royal Ballet. Riconobbe naturalmente la fotografia che ritraeva la facciata bianca del teatro sito a Covent Garden e aggrottò le sopracciglia rivolgendo poi lo sguardo alla ragazza.
___ « Spiega.» L'incitò afferrando uno dei menù di carta di riso, molto chic.
___ « Il Royal Ballet offre degli stage estivi per i migliori ballerini delle Accademie legate alle compagnie di tutto il mondo. Ovviamente non devo star qui a sottolineare che Olivier ha tutti i requisiti richiesti.»
___ « Ovviamente no.» Annuì, continuando a leggere la lista dei tea.
___ « Ho parlato con Madame Papillon e lei ha chiamato il Royal ballet, o insomma chi diavolo seguirà sto stage ed è stato accettato. Di nuovo.»
___ « Perché “di nuovo” ?» Domandò rivolgendole finalmente lo sguardo.
___ « Perché era stato accettato anche l'anno scorso, ma non vi partecipò perché sostenne che era troppo costoso.»
___ « E che cosa è cambiato da quest'anno?»
___ « Tu.»
___ « … Devo pagarlo io?»
___ « Dean, non essere stupido.»
___ « Bon Jour.» Li interruppe una cameriera piuttosto carina che, tutta un sorriso, chiese le loro ordinazioni.
___ « Io prendo la tarte tatin e una spremuta d'arancia.» Ordinò la bionda con un sorriso zuccherino dipinto in volto.
___ « Un tea ai frutti di bosco.»
___ « Gradisce anche dei biscottini in accompagnamento? Sono molto buoni!»
___ « Oui, oui.» La liquidò piuttosto in fretta tornando a guardare gli occhi azzurri di Thalie, che erano di una sfumatura molto più fredda rispetto a quelli del fratello, assomigliavano al colore del ghiaccio.
___ « Dunque … fino all'anno scorso, ero io l'apprendista del Bistrot e mi insegnavano a mandar avanti la baracca mia nonna e il suo compagno.»
___ « Tuo nonno?»
___ « No, mio nonno è morto quando Olivier era piccolissimo, Francois era il … diciamo “fidanzato” della nonna: l'ha incontrato cinque anni dopo la morte del marito e hanno deciso di non sposarsi mai in onore della sua memoria, ma si sono molto amati e Fran è stato come un secondo nonno per me, per Olivier è stato la figura paterna che non ha mai avuto.»
___ « … Thalie, posso chiederti dei vostri genitori?» Vide per la prima volta un'espressione indecisa su quel volto affilato d'angelo demoniaco e le lasciò tutto il tempo per mordicchiarsi il labbro inferiore, riflettendo così se raccontargli o meno quella storia. Sorrise alla cameriera che ripose la loro ordinazione sul tavolino, accompagnata anche da una piccola caraffa d'acqua con due bicchieri; pagò lui, consegnandole una banconota da venti euro.
___ « Vuoi corrompermi pagando la merenda? Dovevo offrire io.» Osservò lei, ridacchiando sotto voce.
___ « No, ma credo che al tuo portafogli serva un po' di respiro: per oggi lo hai aperto abbastanza.» Si beò del suo sorriso sincero, tranquillo e in quell'esatto istante colse il viso di Olivier in quello di sua sorella: si somigliavano davvero molto e si sentì un cretino per essersene accorto solo in quel momento.
___ « I nostri genitori hanno divorziato quando Ollie era un pulcino: lui è partito per gli Stati Uniti e non si è più fatto sentire, sappiamo solo grazie all'avvocato di famiglia che si è risposato e ha avuto altri marmocchi, per il resto nisba. Né biglietti di auguri, né di condoglianze quando il nonno è venuto a mancare.»
___ « E io che credevo fosse mio padre il pezzo di merda.»
___ « Non c'è mai limite al peggio, Dean, soprattutto quando si parla di esseri umani.» Commentò lei, gustandosi un boccone di torta prima di riprendere a parlare. « Mia madre non si è mai realmente ripresa. Dieci anni fa ha trovato un lavoro a Cannes e torna a Parigi un paio di volte l'anno; ci chiama, eh, è felice delle nostre vite e a modo suo cerca di interessarsi ai progressi di Olivier con la danza, a me e Tristan, eccetera, ma stare qui le fa male al cuore, pensa che quando viene alloggia sempre in un alberghetto di Montmartre, vicino a casa, sostenendo di non voler obbligare nessuno di noi a dormire sul divano per cederle il proprio letto.»
Non sapeva cosa risponderle, non perché non avesse niente da dire, ma perché sapeva che quello che avrebbe detto non le sarebbe piaciuto: avrebbe preferito avere una madre affettuosa a distanza che un pezzo di ghiaccio sempre in casa.
___ « Che cosa vuoi che faccia? Quanto costa?»
___ « Non è per il prezzo, Dean: Olivier farà quello stage, se lo merita, gli piacerà e gli servirà, mio fratello diventerà qualcuno e questa cosa gli serve per la sua carriera, del prezzo non ce n'è mai importato.»
___ « Continui a non rispondermi, Thalie: cosa posso fare, dunque?»
___ « Stai con lui.» Trovò una strana dolcezza dipinta nello sguardo di quella ragazza solitamente sbroccata, avvezza a modi buzzurri e uscite del tutto fuori luogo, volgari, ma al momento non c'era la Thalie “animale” di fronte a lui, bensì una sorella maggiore che amava profondamente quel prezioso diamante ch'era Olivier, il suo bellissimo, talentuoso Olivier. « Se lo ospitassi tu a Londra i costi dello stage sarebbero irrisori e lui non avrebbe di che obbiettare! Ovviamente la nonna insiste per passarti un assegno mensile per gli alimenti, ma a parte il fattore economico, sono certa che questa volta Ollie non avrà paura di partire perché non sarà solo, ci sarai tu con lui.»
Socchiuse la bocca per prendervi un profondo respiro: si era commosso come un allocco, tutto l'amore con cui quelle persone si prendevano cura di Olivier lo aveva profondamente scosso, gli aveva segnato l'animo e il cuore.
___ « Sì, sì. Non c'è nessun problema Thalie, anzi, questo … è un regalo quasi più per me, che per lui. Sarò felicissimo di ospitarlo, di accompagnarlo a lezione e di tornare a Parigi con lui nel week end. Potete contare su di me, davvero e voglio partecipare alla quota d'iscrizione allo stage, se non è un problema.»
___ « Figurati! Ahh!» Lei rise, abbandonandosi completamente contro lo schienale imbottito della poltroncina viola che occupava e portandosi persino le mani allo stomaco, come l'avesse liberato di un peso. « Sapevo che non ti saresti spaventato! Io me lo sentivo che eri quello giusto, qui, nella pancia.» Batté la destra sull'abito rosa shocking, sorridente. « L'ho sempre saputo. E ora festeggiamo! Ehi, amica! Mon amie! Ci porti due shot di rhum al miele?» La cameriera non parve particolarmente sconvolta, lui lo era al quanto. « Tranquillo, va giù che è una meraviglia, puoi mischiarlo anche al tea, ti darà la carica! Mai assaggiato?»
___ « No di certo, comunque non alle quattro del pomeriggio …»
___ « Sei proprio un bravo bambino, Dean! Allora: la Corte sta organizzando una festa per lui, a te andrebbe bene venerdì quattro ottobre? Non è il giorno stesso, ma non si può far troppo bordello di giovedì: i ragazzi hanno lezione il giorno dopo la mattina e quindi te lo lasciamo per la sera del compleanno. Che dici?»
___ « Non vi andrebbe di organizzare una cena in famiglia?»
___ « … Quoi? Rinunceresti a una cena romantica per passare la serata con i familiari più fuori di mela che potrebbero mai capitare?» Rise flebilmente sorbendo un sorso di tea, quindi recuperò un biscottino e lo intinse nell'infuso violaceo, facendo così ammorbidire appena la pasta frolla.
___ « Abbiamo tutta la vita per consumare cenette romantiche. Il suo compleanno sarebbe carino passarlo in famiglia: tu, Madame Blanchard, Ciel e Tristan, se può liberarsi dal locale.»
___ « Ovvio, o lo piglio a calci in culo.»
___ « Problema risolto.» Ringraziò in un cenno del capo la cameriera, che appoggiò due piccolini bicchierini di vetro colmi d'un liquido giallo paglia al centro del tavolo; ne afferrò uno, Thalie prese l'altro, quindi li unirono in un brindisi.
___ « Prosit.»
___ « Cheers.»




___ « Mi sento un po' a disagio a sapere tante cose sulla vostra famiglia.» Ammise una volta usciti dalle Gallerie.
___ « Perché? Perché te l'ho detto io e non lui?»
___ « Sì.» Storse le labbra in una smorfia e lei rise: ovvio, lui si struggeva e lei si sganasciava dalle risate, volgare come non mai.
___ « Tranqui, Dean! Guarda che Olivier lo sa che siamo usciti insieme! Ogni anno schiavizzo qualcuno: l'anno scorso Tristan, che oggi aveva un misterioso “incontro coi fornitori”.» Alzò gli occhi al cielo e lui rise sotto i baffi. « Quello prima sono andata con Francois, e quello prima ancora con quella merdaccia di Thèo.»
___ « Chi?» Domando aggrottando appena la fronte.
___ « Non sai di Thèo?» Rimbeccò lei spalancando le palpebre.
___ « No, chi è?»
___ « Dean?» Quella voce morbida, sensuale quanto le curve del suo corpo ricoperto di efelidi, lo freddò; si sentì robocop nel muovere meccanicamente il collo, ruotando il viso verso di lei e fino all'ultimo pregò di essersi sbagliato, di non aver riconosciuto sul serio quella voce, che quei capelli rossi morbidi, sciolti in una cascata di onde perfette non fossero quelli di Azalea.
___ « Azalea …» Lei gli stava sorridendo educatamente, ma le dita della mancina erano serrate in una morsa violenta alla tracolla di pelle della cartella blu.
___ « Dean … non ci vediamo da un po'. Come stai?»
___ « Bene, bene. Ti trovo in forma … posso presentarti Thalie?» Rivolse solo un cenno del mento alla bionda, in quanto aveva le mani occupate dai pacchi dello shopping. « Thalie Blanchard, Azalea Rocher … Azalea, lei è la sorella di Olivier.»
___ « Ah.» Secca nel tono, aveva improvvisamente perso il sorriso e lui sapeva di aver scioccamente firmato la sua condanna a morte.
___ « Ciao! Non posso stringerti la mano che sono un po' impegnate.» Bionda contro rossa, due demoni a confronto, due forze della natura che avrebbero fatto implodere Parigi se si fossero misurate in una conversazione di qualsiasi genere e lui doveva salvare la capitale del romanticismo, dell'arte, della bellezza.
___ « Siamo un po' carichi … è meglio andare.» Propose tentando un approcciò morbido con l'amica di vecchia data. « Ti chiamo, Azalea. Thalie … cammina.» Per la Dama bianca aveva optato per il pugno di ferro.
___ « Devi raggiungere il biondino?» Sentì un brivido freddo percorrergli la spina dorsale.
___ « Il “biondino” si chiama Olivier, cocchina. Sei sorda?» Un altro.
___ « No. E' che non voglio ripetere quel nome.» Lo stomaco gli bruciava.
___ « Perché? Analfabetismo?» Sentì un conato riversarglisi in gola.
___ « No, odio.» Avrebbe voluto vomitare. Deglutì a fatica e scivolò con lo sguardo sul viso di Thalie che lo guardava a bocca aperta, le palpebre spalancate e l'aria di chi non riusciva a concepire ciò che aveva appena udito.
___ « … Dean, questa cretina è tua amica? No perché se lo è, potrei evitare di metterle le mani addosso qui, in mezzo alla strada, altrimenti mollo i pacchi e le assesto un calcio rotante spacca mascella alla Chuck Norris che se lo ricorda finché campa!»
___ « Ehi!» Il viso di Azalea era diventato rosso come i suoi capelli di fuoco.
___ « Tu zitta, non mi sono rivolta a te.» Tagliente come non l'aveva mai sentita, Thalie lo guardava accigliata, le labbra strette fra loro.
___ « Dammi un momento, per favore.» La pregò con lo sguardo e lei, contro ogni previsione, annuì rivolgendo una sola occhiataccia alla rossa: si allontanò in silenzio, spiaccicandosi contro la vetrina di un negozio di biancheria intima che rubò provvidenzialmente la sua attenzione.
___ « Azalea … perché fai così?» Cercò i suoi occhi coi propri, le splendide iridi grige di quella creatura fuori dal comune e vi trovò un riflesso di paura. « Che cosa c'è, Lee?» Non la chiamava quasi mai così, anche se a lei piaceva.
___ « C'è che mi manchi.» Ammise lei arcuando appena le spalle in avanti. « C'è che non mi chiami da un sacco di giorni e prima ci sentivamo spesso. C'è che mi hai messa da parte e poi vai in giro a fare compere con le bionde maleducate! E … sono maleducata anche io e non mi piace esserlo: io non sono così.»
___ « Lo so, Azalea. Scusami, sono stato uno - »
___ « Stronzo.» Concluse lei la sua frase e non poté far altro che annuire.
___ « Non sentirti esclusa: sto vivendo questa cosa nuova, è vero e lo sai che all'inizio metti tutto da parte, perché non vuoi far altro che concentrare tutte le tue energie verso quest'esperienza che ti fa star bene come non sei stato mai … ma non significa che mi sono dimenticato la mia vita, non mi sono dimenticato di te, Lee.»
___ « Lo so.» Fu il suo turno di proferire quelle parole e lo fece torturandosi il labbro inferiore coi denti.
___ « Lo amo.»
___ « So anche questo.»
___ « E ti voglio bene.»
Questa volta annuì, sospirando pesantemente.
___ « D'accordo, d'accordo: da amica dico che sono felice per te, da ragazza che ti sbavava addosso sperando di convertirti all'eterosessualità, devo dire che sono gelosa e quindi è meglio che per un po' continuiamo a vederci per sbaglio.»
___ « … Ti sbavava appresso?» Trasalì trovandosi la testa bionda di Thalie accanto e rabbrividì nel vederla sorridere. « Bhé, sei un bel pezzo di manzo, non mi stupisce.»
___ « Thalie, giusto?»
___ « Sì baby, lo sai come si chiamo, non fare scene con me.»
___ « Giusto. Thalie, è stato tremendo incontrarti, spero non accada mia più.»
___ « Reciproco, bella.» La cosa più inquietante non fu la conversazione del tutto senza senso che avvenne fra quelle due bombe a orologeria, ma il tono placido, mansueto e ipocrita con cui si parlarono, rivolgendosi persino sorrisi squisiti.
Rabbrividì di nuovo, ormai ogni centimetro del suo corpo era coperto da pelle d'oca.
___ « Bene.» Fece la voce grossa, per attirare la loro attenzione. « Siamo tutti d'accordo nell'evitare di ripetere quest'agghiacciante esperienza: Azalea, quando vuoi sai dove trovarmi, Thalie, muoviti a fermare un taxi.»
___ « Au revoir!» Lee aveva ritrovato improvvisamente l'allegria, sicuramente rinvigorita da quell'acido scambio di battute avuto con Thalie la quale, da parte sua, la salutò liberandosi una mano per poterle sventolare un dito medio in faccia. Adorabile, davvero.
Prese un profondo respiro, coinvolgendo anche il diaframma per potersi rilassare e pensare a mente fredda: scaraventare la bionda e i suoi dannati pacchi in un taxi, recuperare la Vespa abbandonata in un parcheggio lì vicino e volare verso l'Accademia per abbracciare il suo angelo.





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(1) : questo è solo per te!
(2) : Cosa?
Waha! Scrivere questo capitolo è stato bellissimo: la prima parte mi ha emozionata, la seconda divertita da morire! Thalie è riuscita a riscuotere Azalea - allè! - che da ora in poi, dopo essersi sfogata e confrontata con Dean, la smetterà di fare la vittima, prometto!



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Capitolo 21
*** Do or Die; ***


___



Olivier non solo era riuscito a distrarlo, ma lo aveva anche completamente sconvolto, nel miglior senso possibile del termine: aveva scoperto in quel ragazzo un altro grandioso talento oltre a quello del ballo. I loro corpi sembravano essere stati plasmati per potersi incontrare in incastri perfetti; sapeva esattamente cosa faceva impazzire l'altro senza doverselo sentir chiedere, gli bastava guardarlo un attimo negli occhi per lasciarsi andare a carezze che lo facevano fremere, gemere e poi urlare. E per Olivier era lo stesso.
Avevano dormito di nuovo insieme, senza progettarlo, senza pensarci si erano addormentati stretti l'uno all'altro e lui si era svegliato all'alba, ma non aveva avuto cuore di muoversi e rischiare di invadere i sogni di Olivier che gli si era appoggiato al petto, con il suo respiro regolare e sereno che si infrangeva sulla pelle del proprio torace, mentre il profumo di camomilla dei capelli biondi gli solleticava le narici.
Consumata un'ottima colazione al bistrot, dove Madame Blanchard e la sua degna erede Thalie non avevano fatto altro che stuzzicare l'uomo di casa e tentare di punzecchiare lui, Olivier si era fatto accompagnare all'Accademia, dopodiché era andato dritto a casa, con l'intento di rinchiudercisi. Senza nemmeno cambiarsi, solo lanciando la giacca e le scarpe da qualche parte alla rinfusa, si era seduto davanti al cavalletto, dove aveva appoggiato una tela linda e aveva iniziato a schizzare un'idea con della grafite morbida. E sorrideva, nel farlo.
Era tanto che non si godeva l'atto del dipingere, ormai diventato un piacevole sfogo per sfuggire da un corso di studi che non lo appagava pur interessandolo abbastanza, da una Parigi deliziosa e ricca di fonti di ispirazione, ma che non gli dava quella carica di energia che, invece, ora si sentiva esplodergli nel petto. Era merito di quell'angelo biondo, del suo sorriso, della sua risata delicata, della sua voce suadente, della sua mania di dirgli poco a parole e tutto con lo sguardo, con quegli occhi azzurri di cui era innamorato pazzo, di quell'azzurro ricco di sfumature che ora voleva riprodurre nel suo dipinto. Lui lo aveva ispirato, emozionandolo, stordendolo, arricchendolo di giorno in giorno: non era mai stato così, non si era mai beato della felicità derivata dal render felice un'altro essere umano perché si era sempre limitato a sopravvivere giorno per giorno, non aveva mai realmente pensato al futuro, non aveva mai realmente vissuto e se ne rendeva conto solo in quel momento. L'amore cambiava gli uomini, un cliché, una frase fatta, sentita in una lista infinita di film, letta in migliaia di libri, udita persino casualmente per strada e sempre liquidata in un sorrisetto beffardo, ma adesso la capiva realmente. Si alzò in piedi, lasciando cadere lo sgabello da pittura per terra e dipinse freneticamente, con un sorriso a incrinargli le labbra e una canzone in testa: “in the middle of the night, when the angels scream, I don’t want to live a lie that I believe. Time to do or die. I will never forget the moment, the moment, I will never forget the moment, the moment. And the story goes on … on … on … That's how the story goes. (1) Non riusciva a smettere di sorridere, si sentiva un idiota, ma talmente carico che doveva sfogarsi: pennellate violente, spatolate di colore puro, china … non aveva mai sperimentato la comunione di diverse tipologie di colore e gli piaceva. Tempere, acrilici … oli. I colori a olio erano perfetti per dipingere i suoi occhi. “ You and I will never die. It’s a dark embrace, iIn the beginning was life, a dawning age. Time to be alive”. (2)
Le lancette dell'orologio avanzavano nel loro lento moto circolare, il sole si alzava su Parigi illuminandola con gli ultimi raggi caldi della stagione e lui non si rendeva conto di nulla: tutto fuori dal suo appartamento andava avanti, le persone andavano al lavoro e a fare la spesa, i cani passeggiavano allegri e i piccioni volavano indisturbati, seppur detestati da tutti, tutto continuava a scorrere mentre lui viveva un momento d'estasi artistica, di ispirazione mistica, d'amore profondo. E sorrideva.
Fissava quegli occhi azzurri dipinti sulla tela, dolci e nel contempo sfacciati e solo in quel momento frenò la man dritta per poter guardare l'orologio al polso destro: era macchiato di colore e la cosa lo fece ridere. Se lo pulì addosso, tanto la camicia che indossava avrebbe dovuto relegarla ad “abito da pittura”: le tre e ventidue, ancora poche ore e avrebbe potuto rivederlo, abbracciarlo, baciarlo. Si sentiva come se fosse ubriaco, un alcolizzato che agognava si poter appoggiare le sue labbra sul bordo di un bicchiere, solo che il suo calice era Olivier.
Aggrottò la fronte sentendo l'inconfondibile rumore dell'iphone vibrante su un piano rigido, appoggiò il pennello sulla tavolozza lignea e raggiunse il tavolo dove aveva abbandonato il telefono: dodici chiamate senza risposta.
Thalie. Deglutì a fatica un groppo che andò a formarglisi in gola e richiamò in fretta la ragazza, che rispose al primo squillo.
___ « Dean! Ma dove cazzo sei!?»
___ « A casa! Che cosa c'è? Tutto bene Thalie?»
___ « Io sì, ma Ollie è in ospedale. Puoi venire?» Il sorriso gli si cancellò dal viso.
___ « … C – cosa?» Di solito era Olivier che balbettava: quando era imbarazzato, arrabbiato o sconvolto era colpito da una leggerissima forma di balbuzie e ogni volta che ripeteva la prima lettera o la prima sillaba di una parola che poi si sforzava di pronunciare, lui lo amava di più.
___ « Sì, ma non è grave, non morirmi al telefono!»
___ « … Dove?» Domandò in un filo di voce.
___ « Siamo al Salpêtrière, sai dov'è?»
___ « Prendo un taxi.»
___ « Oui … respira, Dean, respira profondamente: sta bene. Porta qualche ciambella e starà meglio!»
Quasi non sentì le ultime parole di Thalie: si era già fiondato fuori di casa, con il cellulare in una mano e le chiavi nell'altra. Fu un miracolo se ricordò di chiudere la porta e una grazia trovare un taxi al volo: l'autista fu abbastanza gentile da non obiettare nulla riguardo al fatto che avesse macchie di colore fresco addosso, la sua faccia stravolta e l'indirizzo dell'ospedale furono un provvidenziale lasciapassare.



___ « Sei proprio una testa di pube!»
___ « Olivier, non puoi parlarmi così! Sono tua sorella!»
___ « Giusto, giusto … deficiente!»
Era fuori dalle divine grazie. Non aveva assistito alla chiamata che la bionda aveva fatto a Dean, ma poteva immaginare come gli avesse messo giù la cosa e la preoccupazione che era insorta nell'inglese.
___ « Dai, ti ho detto che non l'ha presa così male …»
___ « Gli hai scritto un sms?»
___ « Sì, sì: reparto ortopedia, mi ha detto che era … toh! Ecco Charming!» Non riuscì nemmeno a ridere della battutina della sorella, semplicemente seguì la sua direzione di sguardo e ne incontrò Dean, vestito come quella mattina, ma coi vestiti macchiati di colore, prevalentemente di azzurro e che teneva in mano qualche sacchettino e … un palloncino? Gli sorrise divertito, agitando una mano per farsi notare dal basso della sedia a rotelle su cui l'avevano relegato.
___ « Dean! Dean, siamo qui!» Quando incontrò il suo sguardo sconvolto rise appena e scoppiò nel vederlo quasi investire un'infermiera per raggiungerlo. « Calma, calma! Sono vivo e vegeto!»
___ « Ma cosa è successo? Tieni Thalie: ingozzati.» Le piantò sul petto un sacchetto di ciambelle, evidentemente aveva giustamente ipotizzato che fossero per lei più che per il degente. Gli accarezzò il viso quando si accovacciò sui talloni di fronte a lui, ma prima di rispondergli gli rubò un bacio.
___ « Dio, siete così mielosi …»
___ « Vai a farti un giro, Thalie.»
___ « Fottiti Ollie! Mi sono precipitata qui per te!»
___ « Cos'è successo?» L'espressione preoccupata di Dean gli diede la forza di non rispondere male alla sorella: prese un profondo respiro e afferrò il cordino del palloncino azzurro metallizzato, rotondo e con scritto sopra “Félicitations.”
___ « Era l'unico che mi piacesse …» Si giustificò Dean che aveva un'espressione talmente preoccupata da stringergli il cuore.
___ « Oh! Dottore? Dottor Munray? Può spiegare al mio ragazzo come sto? Minimo, minimo se glielo diciamo noi non ci crede e la viene a cercare!»
Thalie rise e il medico, un cinquantenne aitante coi capelli sale e pepe e gli occhiali da lettura sul naso, si fermò per sorridere a tutti loro e porse la mano a Dean che si alzò per stringerla con impeto.
___ « Non si deve preoccupare, Monsieur … ?»
___ « Hamilton.»
___ « Oh! Inglese?»
___ « Sì. Anche lei?»
___ « Yes, ma Paris ha conquistato il mio cuore.» Dean si sforzò di sorridergli appena e l'uomo capì l'antifona. « Non dovete preoccuparvi per Olivier, è stata una caduta piuttosto violenta, ma le conseguenze sono state meno gravi del previsto: ha avuto uno stiramento muscolare al polpaccio sinistro e l'unica cura è il riposo assoluto per due settimane; poi verrà qui a farsi ricontrollare e vedremo se tenerlo fermo un'altra settimana o reintegrare un piano di allenamento meno intenso dell'attuale, ma comunque volto a tornare alle solite attività dell'Accademia. D'accordo?» Dean sembrava essersi convinto: annuì e rivolse un rapido sguardo alla sua gamba sinistra prima di tornare al medico.
___ « Riposo assoluto?»
___ « Sì. Per i primi tre o quattro giorni gradirei che rimanesse sdraiato con la gamba in una posizione comoda, sorretta da cuscini sarebbe meglio.»
___ « Non sarà semplice, Doc, ma ci proveremo! Casa nostra è piena di scale, mhn … bhé, ci organizzeremo in qualche turno con la nonna e Tristan per portarti il cibo in camera, per Ciel eccetera … magari ci puoi dare una mano anche tu, Dean?»
___ « Certo.» Rispose lui al volo, senza pensarci due volte.
___ « Ottimo. Il quinto giorno potrai provare ad appoggiare un po' di peso, come ti ho già spiegato: se senti troppo male, rimettiti steso e chiamami, d'accordo Olivier?»
___ « Sissignore, conosco la prassi.»
___ « Bene. Ci sono altre domande, signori? Perché altrimenti io andrei …»
___ « No, Dottore, mi scusi se l'abbiamo trattenuta e grazie.» Dean gli strinse nuovamente la mano, guardandolo dritto negli occhi. « Grazie di essersi preso cura di lui.»
___ « E' un piacere, nonché un dovere! Oh, oh! Au revoir!»
___ « Che tipo bizzarro …» Commentò Thalie con la bocca mezza piena di ciambella glassata al cioccolato ripiena di crema pasticcera. « Dean, ci pensi tu al nostro stambecco? Io devo tornare al Bistrot: ci sarà la nonna arrampicata sul soffitto che gira la testa di trecentosessanta gradi strillando come un'ossessa!»
___ « Sì, non preoccuparti, ci penso io.»
___ « Ciao chérie, ci vediamo dopo. Ti cucino la tua pappa preferita per cena!» Sorrise quando la sorella gli baciò la guancia e scoppiò a ridere nel vederla uscire dall'ospedale scivolando sulle suole lisce delle sue Converse verde pistacchio, facendo la mossa di Tom Cruise in Risky Business.
___ « … Pft, che scema.»
___ « Vuoi bere qualcosa prima di andare?» Gli domandò Dean evidentemente ancora un po' stordito e lui annuì, porgendogli la mano destra.
___ « Certo, ma prima dammi il mio palloncino!» L'ingresso dell'ospedale Salpêtrière, che si affacciava su Place Marie Curie, era davvero stupendo: di gusto barocco, era un edificio assai pomposo, perfettamente in linea con la maggior parte delle architetture parigine, sembrava più un museo che un ospedale.

Si erano seduti sotto la statua bronzea dedicata a Philippe Pinel, entrambi armati di bicchierone di tea verde al latte e muffin ai mirtilli, portati da Dean insieme alle ciambelle che si era rubata Thalie.
___ « Quindi sei caduto per … salvare Svetlana?»
Annuì, prendendosi il tempo di gustare un boccone del dolcetto prima di rispondergli.
___ « Sì. Ha sbagliato il salto: avrei potuto scansarmi ed evitare l'infortunio, ma lei si sarebbe fatta molto più male, Lana ha il peso specifico di un pulcino bagnato.» Spiegò gesticolando per tentare di spiegargli la presa mancata. « Insomma, ha sbagliato il tempo e, poverina, era costernata: ha iniziato anche a piangere, però sarebbe potuta andare molto peggio di uno stiramento muscolare, quindi ho tentato di calmarla seppur mi abbiano chiamato l'ambulanza alla velocità della luce! Una cosa assurda, erano tutte sconvolte.»
___ « Ma ci sono solo donne nella tua compagnia?»
___ « Ahm .. no, ma Jérémy e Mathieu sono così … checche che quasi si offendono se ti rivolgi a loro dandogli degli uomini!» Risero entrambi prima di prendersi quasi contemperamente la mano, ma fu lui a parlare per primo.
___ « Puoi respirare, Dean: sto bene.» Lo rassicurò imprimendo delle flebili carezze circolari sulla sua pelle, col pollice. « Mi è già successo due volte in passato, sono infortuni che vanno messi in conto e si risolvono piuttosto velocemente, sarebbe stato peggio se mi fossi slogato qualcosa, o strappato un muscolo, o fratturato un osso!»
___ « Lo so, lo so …» Annuì lui, posandogli un bacio leggero sul palmo della mano, gesto che lo fece fremere. « Ma quando Thalie mi ha detto che eri in ospedale, mi è caduto il mondo addosso: ho creduto di impazzire.»
Lo fissò mentre teneva gli occhi chiusi, sinceramente agitato, con le labbra appoggiate contro la propria pelle, nemmeno volesse saggiarne il calore in quel modo. Appoggiò da parte il brick di tea, buttò giù l'ultimo boccone di muffin, quindi si piegò verso di lui per posargli un bacio sul naso.
___ « Ogni tanto questi sentimenti mi fanno paura.» Ammise in un filo di voce.
___ « Anche a me.» Rispose subito Dean, specchiando i suoi splendidi occhi color del miele nei propri.
___ « Sono così intensi, profondi e ci conosciamo da così poco tempo …»
___ « Eppure ti amo da impazzire, Olivier.»
___ « Anch'io baby.» Questa volta gli rubò un bacio sulle labbra, prendendosi tutto il tempo necessario per gustarsi la sua bocca calda, un po' tremante, che lo fece ridacchiare. « Sei così tenero in questo momento!»
___ « Eddai …»
___ « Dipingevi?» Gli chiese accarezzando con la punta delle dita una macchia secca di colore sulla manica della sua camicia.
___ « Sì, sì … ho dipinto tutto il giorno finché non mi ha chiamato tua sorella.»
___ « Quella vacca ha la delicatezza di un bisonte. Senti, mi presteresti il cellulare? Vorrei fare una chiamata a Lana, era così spaventata e io non ho fatto in tempo a prendere la mia borsa …»
___ « Certo honey, tieni.» Gli passò l'iphone e si alzò in piedi. « Vado a comprarmi qualcos'altro da mangiare a quel baracchino, non avevo nemmeno pranzato e sto morendo di fame.»
___ « Yep! Prendimi una ciambella please, la rinoceronta blondie mi ha fatto venir voglia!»
Inclinò leggermente la testa verso la spalla sinistra e arrossì di colpo nel rendersi conto che stava fissando spudoratamente le natiche di Dean. Si concentrò di scatto sull'iphone, mordicchiandosi il labbro inferiore per tentare di togliersi dalla mente la forma perfetta di quelle chiappe sode.
___ « Lana! Sono un porco.» Esordì così la chiamata, facendo scoppiare a piangere la compagna di ballo. « Ehi … Lana, no, dai … calmati. Sì, uno stiramento al polpaccio, niente di grave, devo solo stare a riposo per un po' e … no, lo so, tranquilla, dai! Almeno non è successo a fine anno come l'ultima volta, ricordi che dramma? Ci siamo preparati per il saggio finale in tre settimane, credevo di morire!» Risero insieme e finalmente poté rilassarsi un po' nell'udire la risata della russa. « Dopo magari passo a prendere la bor - … oh, l'hai portata al Bistrot? Che dolce che sei, grazie piccola.» Sentire quella solitamente gelida russa piena di premure gli sciolse il cuore; aveva gli occhi lucidi quando Dean gli sedette di nuovo accanto, porgendogli una ciambella dalla glassa gialla a pois rossi, ma lui optò per lasciarla nelle sue mani mentre strisciava sulla seduta così da potersi accoccolare contro di lui. « Da, ti chiamo domani sera, Lana. Salutami tutti, d'accordo? Quando finisce il riposo forzato passerò in Accademia a salutarvi. D'accordo, sì e … ma figurati, dai. Un bacio, ciao...» Chiuse la chiamata e mollò un morso al dolce, sfiorando la punta delle dita del suo ragazzo con le labbra. Lui gli sorrise e gli rubò un bacio al sapore di glassa di zucchero prima di accostarsi alle sue labbra, leggero.
___ « Devo preparare un esame, non ho lezioni: perché non vieni a stare da me? Così Thalie, Tristan e tua nonna non dovrebbero farti da balia.»
Boom, gli era esploso il cuore.
___ « What!?» Si sentì il volto in fiamme e aggrottò le sopracciglia nel vedere l'espressione beata di Dean.
___ « Che c'è? Non ti va?»
___ « S – sì … cavolo, mi va!» Esclamò con troppo entusiasmo. « Mi va eccome! Ma … non sarò molto di compagnia, insomma, dovresti farmi da balia e che due scatole dopo un po'! No?»
___ « No.» Non riuscì a trovare altro argomento contro la risoluta certezza di Dean nel negare in un semplice monosillabo le sue preoccupazioni: no, non sarebbe stato un peso. Sì, avrebbero vissuto insieme per un paio di settimane.



Ignorare le facce di Thalie e della nonna non era stato semplice, le loro frecciate, poi, erano impossibili da togliersi dalla testa.
___ « Sono due cretine!» Mormorò scuotendo il capo in un continuo segno di diniego, la cosa peggiore era che Dean rideva.
___ « Ma dai! Sono adorabili: a modo loro fanno il tifo per noi.» Si fece aiutare a scendere dal taxi, armato di stampelle e rimase a guardare l'autista e l'inglese che facevano tutto il lavoro pesante scaricando il bagagliaio.
___ « Mi dispiace non poter aiutare …»
___ « Olivier, devi stare a riposo: tu non puoi aiutare, punto.»
___ « Fammi almeno pagare il taxi!»
___ « Faremo a metà, ci mettiamo a posto di sopra. Au revoir Monsieur, merci»
___ « Au revoir!» Salutò anche lui il simpatico nonnino tassinaro, sventolando la stampella sinistra mentre Dean si metteva in spalla i suoi due borsoni e afferrava la maniglia della valigia trolley per poterla trascinare. « Forse mi sono portato troppa roba …»
___ « In effetti dodici libri sono un po' esagerati, considerando che anche io ne possiedo alcuni, ma insomma: l'esagerata minuzia nell'organizzazione fa parte del tuo fascino, Olivier.»
Storse le labbra in una smorfia e non rispose a quella presa in giro, preferendo concentrarsi nella camminata saltellante a cui lo obbligavano le stampelle.
___ « Vado avanti ad aprire il portone!»
___ « Oui...» Non riusciva a non fissare la strada e i propri piedi, ci sarebbe voluto un po' a prenderci l'abitudine. « Ci vorrà un po', qui …» e in effetti ci mise cinque minuti abbondanti a raggiungere il portone della palazzina dalle imposte azzurro pastello, Dean era già lì ad aspettarlo. « E – eccomi! Oddio, sono stanchissimo …» Mormorò persino sudato per quel breve tragitto. « Detesto le stampelle, non riesco a coordinarmi e – AH!»
___ « A che ora viene domani Tristan a portarci Ciel?» Il suo sorriso furbo lo fece tremendamente incazzare.
___ « Se credi che questa domanda mi distragga dal fatto che mi hai preso in braccio come un sacco di patate, ti sbagli di grosso Dean Caesar Hamilton!»
___ « Adoro quando pronunci il mio nome per esteso, sai? Me lo fai amare.»
Freddato, come al solito. Sbuffò, sistemando le stampelle di modo da non impalare nessuno.
___ « D'accordo, mi arrendo a te mio re. Tristan arriverà nel pomeriggio, comunque ripeto che non è necessario che ti addossi non solo me, ma anche il peso del mio cucciolo.»
___ « Ma a me piace Ciel, se dovessi scegliere chi tenermi qui lui avrebbe la priorità!»
___ « Ah sì!? Bastardo!» Rise nel tirargli un pugno sulla spalla e sospirò circondandogli le spalle col braccio libero. « Grazie, Dean.»
___ « Non dirlo neanche per scherzo.»





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(1) : Nel mezzo della notte, quando gli angeli urlano, non voglio vivere una bugia in cui credo: è tempo di far qualcosa o morire. Non dimenticherò il momento, il momento. E la storia continua, continua, continua, è così che va.
(2) : Io e te non moriremo mai, è un abbraccio oscuro. All’inizio era vita, un’età sorgente: è il momento di vivere
Versi tratti da Do or Die, 30 Seconds to Mars, dallo splendido nonché ultimo album Love, lust, faith + dreams <3



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Capitolo 22
*** Le fantôme du passé; ***


___



___ « Tutto bene?»
___ « Dean, che domanda idiota …»
Non poteva star meglio: immerso nell'acqua calda, profumata dai sali agli agrumi, ad ascoltare uno dei suoi cd preferiti mentre il suo ragazzo gli massaggiava la pelle con una spugna naturale morbidissima, pregna di schiuma bianca e profumata al patchouli. Se esisteva il paradiso, doveva avere esattamente la forma del bagno dell'appartamento del Passage d'Enfer, con le luci della plafoniera soffuse, arricchite dal calore delle fiamme di qualche candela colorata e sicuramente c'era Dean immerso con lui nella vasca con le zampe di leone, a fargli da materasso e ad assicurarsi ogni cinque minuti che la gamba non gli facesse male.
___ « In effetti il mio quoziente intellettivo va a farsi benedire quando mi ti trovo nudo fra le gambe, hai ragione.»
Scoppiò a ridere divertito e ruotò il capo per potergli rubare un bacio che di delicato aveva poco e niente: era tutto così dannatamente eccitante. Era stimolante vivere con Dean, del quale ogni giorno scopriva un nuovo aspetto: era ordinato, pignolo, meticoloso in ogni più piccolo gesto quotidiano, ma quando si metteva a dipingere dimenticava ogni genere di organizzazione e minuzia e si scatenava entrando in uno stato di trance creativa assoluta. Era bellissimo e sapeva cucinare bene, seppur i suoi piatti forti non fossero poi molti, ma per lui che non sapeva nemmeno cuocere un uovo senza dar fuoco alla cucina, l'inglese era ai livelli di Gordon Ramsey.
___ « Dean … ho voglia di fare l'amore …» Amava provocarlo in quel modo, era da cinque giorni che lo faceva e Dean aveva sempre la stessa reazione: sgranava le palpebre, prendeva un profondo respiro e chiudeva gli occhi per calmarsi, forse visualizzava un paesaggio paradisiaco rilassante, una spiaggia caraibica, un tempio indiano, o direttamente cadaveri smembrati e scene di morte raccapricciante perché cercava di non eccitarsi, di non lasciarsi andare, di non saltargli addosso. Era divertentissimo.
___ « … Sei davvero un bastardo.»
___ « Non puoi chiedermi di non arraparmi se stiamo nudi insieme nella vasca da bagno, è impossibile!»
___ « Se ti si stira di nuovo il muscolo è un casino, Olivier: stai guarendo bene, non mandiamo tutto a quel paese, dai …»
___ « Mhn … oui, d'accord (1) Non ne era felice, né particolarmente convinto, ma il giorno dopo avrebbe avuto la prima visita di controllo dal giorno dell'infortunio e magari Dean si sarebbe convinto che un po' di sana attività fisica, con le dovute precauzioni, gli avrebbe fatto solo che bene.
___ « Però potrei farti un servizietto, no?» Sorrise spensierato, stampandogli un bacio rapido sulle labbra e si gustò la visione pelle color caramello di Dean diventare sempre più rossa, la sua espressione cambiare dal frustrato al basito, fino a cadere nella rassegnazione totale.
___ « … Sì.» Sentirlo espirare un respiro trattenuto contro il proprio viso, fu una sensazione elettrizzante, così come rivoltarsi lentamente nella vasca, stando ben attento a non sforzare la gamba sinistra in alcun modo: era tutto così dannatamente erotico, i suoi occhi color miele fissi nel proprio sguardo, la sua bocca carnosa schiusa dai gemiti incontrollati che gli stava provocando lui.
Era in suo potere.



Lasciarsi alle spalle l'ospedale con un riscontro positivo riguardo alla guarigione di Olivier, fu splendido. Lo guardava saltellare allegro su un piede solo, sorretto dalle stampelle blu che ormai riusciva a padroneggiare piuttosto bene.
___ « Andiamo a festeggiare! Sto guarendo bene, il Dottore era contento, no? E quindi ci vuole un bicchiere di champagne, che offro io perché sei stato meraviglioso in questi giorni, Dean.»
___ « Sì, è vero, lo sono stato.»
___ « Nonché tremendamente modesto e sempre sexy: secondo me averti intorno mi ha reso talmente allegro che anche il mio muscolo ha subito la felicità di riflesso e si sta sistemando in fretta!»
Scoppiò a ridere e cercò di fermare un taxi, divertito dall'entusiasmo del compagno, dal suo sorriso a tutti denti, dal suo modo di fischiettare mentre roteava una stampella nemmeno fosse un ombrello e lui impersonificazione Gene Kelly. *
___ « Tieni.» Gli porse l'iphone una volta in taxi. « Chiama tua nonna, le avevo promesso che l'avessi fatto appena fuori dall'ospedale.»
___ « OuiMonsieur, à le bar a huitres, s'il vous plaît, Rue Saint-Jacques
Non osò commentare la scelta dispendiosa, si limitò a prendergli una mano e a baciarne il dorso, godendosi la vista di una Parigi che sfrecciava oltre i vetri trasparenti dei finestrini del taxi mentre Madame Blanchard, di sottofondo, faceva imbestialire suo nipote tentando di estorcergli informazioni riguardo al proprio fondoschiena.

___ « Ogni tanto mi chiedo se sono stato adottato, come è possibile che io abbia geni in comune con quelle due vipere, anzi, con quelle due scrofe bionde?»
Rise sotto i baffi, tentando di mascherarsi inutilmente, ricevendo infatti un pugno sulla mano aperta appoggiata sul tavolo.
___ « Hai in comune con loro molto più di quanto tu pensi, Olivier.»
___ « Come osi!?»
___ « Ecco, ora per esempio sei il ritratto di tua sorella.» Finse di fargli una foto, posizionando indici e pollici d'entrambe le mani davanti al suo viso a formare un rettangolo e Olivier sbuffò, richiamando il cameriere con una mano.
___ « Pardon … una bottiglia di champagne e del cianuro.»
Il veleno non arrivò, ma la bottiglia di champagne accompagnata da un plateau di crostacei freschissimi, sì. E se la gustarono, tubando come piccioncini innamorati, che tutti nel ristorante li guardavano prima o dopo e loro se ne rendevano conto, ma non potevano fare a meno di sfiorarsi le mani, baciarsi leggeri, cibarsi degli occhi l'uno dell'altro. E le ostriche già erano afrodisiache di base, addizionate allo champagne e al viso del suo angelo biondo, poi, avevano un'effetto sconvolgente.
Gli baciò la punta delle dita della mancina, una per una, prendendosi tutto il tempo necessario a godersi quell'atto, a farlo fremere di desiderio che, tanto, adesso se lo poteva permettere. Gli rivolse lo sguardo e vide in quegli occhi il desiderio più puro, l'amore più intenso riflesso in un mare d'azzurro.
___ « Il pranzo migliore della mia vita.» Ammise, strappandogli un sorriso.
___ « I signori gradiscono un dessert?» Una voce a cui non badò finché non vide lo sguardo placido di Olivier rivolgersi alla fonte di quelle parole e perdere all'improvviso la luminosa purezza che avevano assunto. Opachi, shockati, in meno di un secondo.
___ « … Théo?» Un sussurro talmente flebile che gli fu difficile udirlo.
___ « Non ci vediamo da anni, Olivier.» Un viso semplice, sorridente, tremendamente francese nel suo modo di porsi zuccheroso a tutti i costi.
___ « L'addition s'il vous plait.» (2) Interruppe brusco quell'odioso scambio di parole e strinse forte la mano del ragazzo che sentiva molle fra le sue dita.
___ « Oui, Monsieur.» Svanito così com'era arrivato, si chiese se non fosse stato un fantasma quella presenza deprecabile che aveva ridotto il suo Olivier in un'ombra ammaccata nel giro di pochi istanti.
Pagò lui, velocemente e altrettanto in fretta l'aiutò ad alzarsi, ma il ballerino si appoggiò a lui, non alle stampelle e lo lasciò fare, accompagnandolo fuori dal ristorante: abbandonato, freddo, improvvisamente svuotato.
E lui non riusciva a chiedergli che cosa avesse.
Non sai di Thèo?”, le parole di Thalie gli rimbombarono nella mente mentre cercava con lo sguardo un taxi.
___ « Olivier!» Di nuovo quella voce detestabile. Lui si voltò, ma Olivier gli si rannicchiò contro il petto, nascondendo così il proprio viso, senza dire una parola e tremando leggermente.
___ « Chi diavolo sei? Che cosa vuoi?» La propria voce ridotta a un sibilo, lo guardava come fosse la peggiore delle pestilenze mai esistite sul pianeta terra.
___ « … Olivier, non mi guardi nemmeno?» La cosa insopportabile era quell'espressione fintamente preoccupata, come se potesse sinceramente interessargli che cosa avesse il suo angelo in quel momento. « Cos'è successo? Perché hai le stampelle?»
___ « Non credo siano affari tuoi, vattene.»
___ « Non credo siano affari tuoi, se sono affari miei, amico.»
“Amico”, una parola generalmente molto bella, che al momento gli ribaltò lo stomaco facendogli provare la disgustosa sensazione dei succhi gastrici in fondo alla gola.
___ « … Ma non hai un lavoro? Perché non te ne torni den - »
___ « VAI VIA!» Freddato completamente dalle urla di Olivier, non si aspettava di vederlo risorgere dal proprio petto in lacrime, completamente devastato nell'espressione del viso e nello spirito. « Sparisci, sparisci dalla mia vista! Devi andartene Théo, vattene! Mi fai star male, mi fa venire i brividi la tua presenza! Sei un bastardo, uno schifoso bastardo! Sparisci, vattene e non parlare mai più con lui, chiaro!?»
Eccola, un'espressione vera su quel viso da francese: vittoria. Era felice di vedere Olivier annientato. Il suo Olivier, il suo angelo puro e peccaminoso … Olivier.
___ « Reggiti.» Gli porse le stampelle e lui fu talmente preso alla sprovvista che non poté far altro che obbedire, staccarsi da lui e trovare sostegno altrove.
___ « … Dean?» La sua voce spaventata, ridotta a un sussurro fioco.
Quel sorriso soddisfatto, quegli occhi scuri carichi di qualcosa che sembrava odio, un sentimento che mai, mai avrebbe dovuto intaccare le ali bianche di Olivier. La propria mano stretta a pugno, in un bisogno logorante che non aveva mai provato prima e poi quell'individuo detestabile steso sul marciapiede di Rue Saint-Jacques, colpito da un pugno violento e improvviso che aveva colto alla sprovvista lui quando se stesso.
Guardarlo per terra, a reggersi il naso da cui colava un rivolo di sangue, coi passanti esterrefatti che fissavano la scena, o scappavano in fretta per non essere coinvolti in quel piccolo dramma.
___ « Non chiamarmi più “amico” …» Sibilò avvicinandoglisi lentamente.
___ « Ehi! Ehi! Sta calmo!» Strisciava come il verme che era, avvolto in quel completo elegante da cameriere che lo faceva sembrare un essere umano comune e non il mostro che era ai suoi occhi e a quelli azzurri del suo amore.
___ « Sono calmissimo.» Sottolineò rendendosi conto solo in quel momento di quanto fossero veritiere le sue parole: stenderlo come un tappeto lo aveva svuotato di ogni emozione negativa, vedere la paura in quegli occhi marroni lo stava riempiendo di una strana e macabra positività. « Tu dimenticati dell'esistenza di Olivier: non pensarlo, non pronunciare più il suo nome, non osare nemmeno lontanamente contattarlo, se solo ci provi ti stenderò di nuovo e la prossima volta non sarò così delicato. Chiaro?»
Annuiva, frenetico, sconvolto dal suo piede che gli stava schiacciando lo sterno e lo obbligava steso sull'asfalto: non si era nemmeno accorto di averlo inchiodato.
___ « Bene. Ora vaffanculo e muori.» Acido, non aveva mai augurato a nessuno la morte, ma la sola esistenza di quell'individuo lo infastidiva: avrebbe avuto tempo di sentirsi in colpa più tardi. Tolse il piede dal suo petto, sfregò la suola sull'asfalto infastidito anche solo dal tocco indiretto della propria suola con gli abiti da lavoro di quell'essere, quindi si voltò e trovò Olivier a palpebre spalancate, con l'espressione basita ma viva.
Gli sorrise, gli circondò la vita con un braccio e gli baciò una tempia per bearsi del suo calore e sentire quel corpo appoggiarglisi addosso lo ritemprò appieno.
___ « Je t'aime …»
___ « Moi aussi. Maintenant revenons à la maison, d'accord?»
___ « Oui (3)



___ « Siamo cresciuti insieme, io e lui.» Sentirsi pronunciare queste parole gli faceva un certo senso, ma le braccia di Dean, il suo corpo che lo stringeva forte a sé e le sue mani che l'accarezzavano, gli davano la forza di raccontare.
___ « Come va la gamba?» Era preoccupatissimo per lo stiramento, non gli aveva chiesto altro nel taxi: “come sta la tua gamba?” con quegli occhi luminosi color miele che lo riempivano d'amore a ogni sguardo e si era sentito al sicuro, protetto.
___ « Sto bene Dean, davvero.»
___ « Non hai fatto movimenti strani, vero?»
___ « No, lo giuro.»
___ « Sei ancora agitato?» Chiese con una delicatezza dolcissima nel tono di voce e lui gli sorrise, accoccolandosi contro il suo petto.
___ « No. Tu e la cioccolata calda state avendo un effetto lenitivo completo.»
___ « Bene.» Sentiva il suo cuore battere forte e gli posò un bacio sul maglioncino, proprio sul lato sinistro del petto.
___ « Nessuno aveva mai preso a pugni qualcuno per me.»
___ « Quel coso era visibilmente odioso.»
___ « Non è sempre stato così, sai?»
___ « … Vuoi raccontarmi cosa è successo fra di voi?»
Glielo doveva sicuramente e non solo perché aveva steso il ragazzo che gli aveva spezzato il cuore, l'anima e la mente, ma anche perché lo sentiva dilaniato dal desiderio di sapere, che non voleva farlo star male, ma contemporaneamente di aveva il bisogno di comprendere.
___ « Come dicevo, siamo cresciuti insieme: lui abitava una strada più in là, sua nonna e mia nonna erano amiche, i nostri genitori erano amici, Thalie era sua amica, insomma: eravamo un'allegra combriccola di famigliole unite.» Bevve un sorso di cioccolata e si leccò le labbra prima di continuare. « Quando … q – quando mio padre se n'è andato e mamma è partita per Cannes, lui e la sua famiglia ci sono stati vicini: io e Thalie stavamo spesso a casa loro, ci facevano sentire il calore di una famiglia e aiutavano la nonna e nonno Fran distraendoci, così che loro potessero riorganizzare il Bistrot. Mio … mio padre è uno chef, il Bistrot era un ristorante stellato, prima.»
___ « Ah.»
___ « Ma questa è un'altra storia. Magari te la racconterò un altro giorno.»
___ « Non se ti fa male farlo.»
___ « Non mi fa male, ero talmente piccolo che non me ne ricordo affatto, posso solo ripeterti a pappagallo quando mi raccontavano i nonni e Thalie, niente di ché, comunque è una storia carina, tipo Kitchen Confidential, sai? Bradley Cooper è proprio sexy.»
___ « Ehi!» Lo pizzicò leggero e la sua espressione divertitamente gelosa, quel gesto e il successivo bacio che gli stampò sulla guancia gli alleggerirono l'animo.
___ « Lui era il mio migliore amico.» Sbottò tutto d'un fiato, espirando persino violentemente appena finì la frase. « E io gli volevo bene. Come amico, non ho mai visto niente di più in lui: era il fratello che non avevo mai avuto, faceva parte della famiglia.» Si strinse maggiormente a lui e Dean fece altrettanto, serrando maggiormente la presa delle braccia sul suo corpo. « Ho sempre avuto la danza in mente, e seppur gli ormoni mi abbiano fatto sballare probabilmente un po' in ritardo rispetto al resto dell'umanità, anche a me è capitato di prendermi una sbandata.»
___ « Fammi indovinare: Bradley Cooper!»
___ « Scemo!» Rincalzò, divertito. « No, si chiamava Davìd, era nel mio corso di danza latino americana … molto carino, molto apertamente omosessuale, quindi mi prendeva. Insomma, per lui era semplice: ciao, sono Davìd e sono gay, tu?»
___ « Un bel modo di presentarsi.»
___ « Fatto sta che mi ha rubato un bacio, una volta e ovviamente sono caduto come una pera cotta: cotta violentissima, sono corso a casa a raccontare tutto a mia sorella in primis e poi …»
___ « Al bastardo.»
___ « Sì.» Prese un profondo respiro. « Non dimenticherò mai lo sguardo schifato con cui mi squadrò; o come si allontanò da me, nemmeno gli avessi confessato di avere una malattia contagiosa: mi urlò di stargli lontano, che gli facevo schifo e mi spezzò il cuore. Da quel giorno iniziò a chiamarmi finocchio e io stavo malissimo: smise solo quando Thalie lo prese a pugni, talmente forte che gli ruppe il naso e lei si fratturò una nocca, una cosa tremenda.»
___ « Voglio sempre più bene a tua sorella.» Gli sorrise, un po' amaro.
___ « Confessai tutto ai nonni e ai suoi genitori, che dopo pochi mesi decisero di trasferirsi senza nemmeno avvisare o salutare e io non lo avevo mai più visto, fino a oggi ovviamente.»
___ « … A saperlo gliela spaccavo quella faccia di culo.»
___ « Non ce n'è bisogno, Dean, anzi scusami per la mia reazione, non credevo che trovarmelo davanti alla faccia mi avrebbe fatto così …»
___ « Olivier, per cortesia, non c'è proprio bisogno di scusarti.»
___ « Ora sono più grande, più sicuro, ci sei tu nella mia vita, non dovevo abbattermi in quel modo.»
___ « Olivier, per favore …» Gli afferrò delicatamente il mento, invitandolo a incontrare i suoi bellissimi occhi con lo sguardo. « Non c'è niente di strano in te, lui è profondamente sbagliato. Ho visto la sua espressione libidinosa nel vederti ancora amareggiato, è un bastardo deviato, probabilmente omosessuale represso, vai te a sapere: fregatene. Qui, se c'è qualcuno di fuori posto nel mondo, è Théo, non tu.» Gli baciò la punta del naso, delicato. « Tu sei una brava persona, oltre che uno splendido, giovane uomo. Lui è un coglione che non sarà mai amato da nessuno: sposerà una ragazza scema e carina, profonda come una pozzanghera e che gli sfornerà un paio di marmocchi, deformandosi tutta. Non scoperanno più, lui si renderà conto quando la sua vita mediocre da cameriere faccia ribrezzo e si renderà finalmente conto di che cosa ha bisogno, qualcosa che agognerà per tutta la sua vita.»
___ « Cosa?» Domandò lui, perplesso e rapito dal quadro così maledettamente preciso che Dean gli aveva dipinto a parole.
___ « Una puttana transessuale che glielo piazzi al culo, Olivier. E scusa l'espressione colorita.»
Sgranò le palpebre, basito: in primis non aveva mai sentito Dean parlare in quel modo, in secundis le sue parole erano … splendide, nella loro atrocità.
___ « Pft … Wahahaahahaha!!» Scoppiò a ridere divertito e si accasciò contro il suo petto, tremante per via della crisi ilare potentissima che l'aveva contagiato; lui l'abbracciò, sbuffando una risata flebile a sua volta e quando il proprio tremore diventò la conseguenza di un pianto troppo a lungo trattenuto, non smise di stringerlo forte e prese a baciargli e accarezzargli i capelli, dolcemente.
___ « Shht … è tutto a posto amore mio, non preoccuparti. Sfogati, perché quell'essere non potrà più farti del male da oggi.» E sapeva che era così: Dean lo aveva esorcizzato, le lacrime che sgorgavano salate dai suoi occhi e gli bagnavano le guance, assorbite poi dalla stoffa della maglietta del suo ragazzo, erano il suggello perfetto per poter imprimere la parola “fine” a quella sofferenza atroce che era stata l'ombra di Théo nel corso degli anni.
Tirò su col naso, poco carinamente e si nascose di più contro il suo petto, un po' vergognandosi di quello sfogo.
___ « … Scusami, penserai che sono un marmocchio … »
___ « Ma tu sei un marmocchio!»
Risero entrambi e lo pizzicò a un fianco, andando a sorridergli e a guardarlo negli occhi; lui non disse nulla, semplicemente portò le mani al suo viso e gliel'asciugò con dolcezza, baciandolo dapprima docilmente, poi imprimendo sempre più passionalità nel tocco. Si sdraiò, condotto dal corpo caldo di quell'uomo stupendo che lo schiacciò al divano col proprio peso, ma non ne era infastidito, solo rincuorato. Ed eccitato. Si dimenticò di tutto: dello shock, del dolore, della tristezza e si concentrò solo sulle sensazioni positive che Dean riusciva a regalargli giorno dopo giorno, amandolo più che mai.





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(1) : Sì, d'accordo.
(2) : Il conto, per favore.
(3) : “Ti amo” “Anche io. Ora torniamo a casa, d'accordo?” “Sì.”

Scusatemi per il ritardo! Ma per il ponte dei morti sono stata impegnatissima a non fare nulla se non divertirmi coi miei amici <: la storia sta per giungere al termine ... mancano pochi capitoli! Spero che il finale vi soddisferà come già soddisfa me solo a pensarlo <3



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Capitolo 23
*** Joyeux anniversaire; ***


___



Si vergognò molto della felicità dovuta all'essersi infortunato, ma non poteva proprio evitarla: viveva con Dean, nella sua casa, insieme a Ciel e ogni giorno era sempre migliore del precedente. Il compagno studiava, dipingeva e quando era immerso nelle faccende di casa era splendido da osservare e lui si divertiva un sacco a fargli una marea di foto con una macchinetta digitale; insieme guardavano film, leggevano libri abbracciati sul divano e ogni tanto uscivano per mangiar fuori: utilizzavano sempre la Vespa, così che potesse sforzare il meno possibile la gamba. Non provava più dolore al muscolo, ma doveva comunque rimanere a riposo totale almeno un'altra settimana prima di ricominciare gli allenamenti.
Il tre ottobre, poi, Dean sgusciò presto fuori dal letto per preparargli la colazione e portare Ciel a fare la prima passeggiata del mattino e lui se ne accorse, ma si voltò dall'altra parte e si riaddormentò per dargli il tempo necessario a preparargli la sua “sorpresa” di compleanno. Che sorpresa fu: non si aspettava croissant caldi impastati e cotti da lui, ripieni di una marmellata alla rosa canina deliziosa e particolare, il cappuccino in tazza grande con il cacao spolverato sopra a forma di stella e il ramo di orchidea bianca.
___ « Sai, Thalie dovrebbe essere gelosa dei tuoi croissant.»
___ « Dovrebbe esserne geloso il mondo: li cucinerò solo per te.» Quella risposta lo fece ridacchiare contento. « Ammetto però che la ricetta è stata proprio tua sorella a darmela e mi ha minacciato di morte violenta qualora la divulgassi a terzi.»
___ « Recentemente Thalie ti minaccia piuttosto spesso, noto.»
___ « Che vuoi, è il suo modo di dimostrarmi affetto.»
___ « Probabile.» Appoggiò il ramo di orchidea sul comodino di legno accanto al letto e il vassoio con le stoviglie sporche per terra: non aveva intenzione di farlo fuggire senza un ringraziamento adeguato a quella piacevolissima sorpresa.
___ « Aspetta, aspetta …»
___ « Mi rifiuti, Hamilton?» Lo guardò dritto negli occhi, a pochi centimetri di distanza dal suo viso e finalmente offeso: l'aveva già abbracciato e gli si era già appiccicato addosso, il petto nudo contro la maglietta morbida di lui e le braccia allacciate intorno al suo collo.
___ « Giammai, Blanchard, tuttavia vorrei darti una cosa prima di profanare il tuo splendido corpo …» Solo un paio di mesi prima quelle parole l'avrebbero fatto sbiancare, ora lo fecero ridere.
___ « Oui!» Cinguettò lasciandolo libero di muoversi e Dean si alzò per poter aprire un cassetto dell'armadio dal quale estrasse un piccolo pacchetto, incartato in carta d'argento e ornato da un bel nastro di rafia azzurra.
___ « Joyeux anniversaire, mon amour.» (1)
Sorrise estasiato, felice come un marmocchio e immediatamente scartò il dono rivelando una scatolina di cartone rigido azzurra; ne sollevò il coperchio e vi trovò un gioiello.
___ « Oh …» Era un braccialetto rigido, composto d'una semplice fascia d'argento lucidissimo alta circa un centimetro e che era inciso lungo il dorso in una frase splendida: Oltre la paura.
L'incisione, poi, rivelava una fine smaltatura azzurra interna, a risaltare maggiormente quelle splendide parole.
Lo afferrò con una delicatezza che lui stesso non stentava a descrivere come maniacale, lo avvicinò al proprio viso e ne studiò meglio la forma, il peso, il font corsivo di quella frase che riconobbe come la scrittura di Dean.
___ « E' stato difficile scegliere un azzurro particolare, perché i tuoi occhi sono una sublime mescolanza di mille toni diversi e credo di averli memorizzati tutti, nella mia mente. Alla fine ho optato per questo perché al mattino, quando apri gli occhi per la prima volta nella tua giornata, mostri al mondo un azzurro quasi grigio, intorpidito e freddo, ma quando rivolgi a me il tuo sguardo, questo si illumina di luce propria e risplende diventando più intenso e caldo.»
Socchiuse gli occhi e sorbì un profondo respiro, si ripeté almeno venti volte quelle splendide parole perché voleva memorizzarle, farle sue per sempre e quando sentì una mano calda di Dean lambirgli il viso, aprì lentamente le palpebre e lo guardò sorridendogli commosso.
___ « … Merci.» Mormorò sopraffatto dalle emozioni.
___ « Ecco, ce l'hai anche ora quel colore.»
___ « E' il tuo colore.»
___ « Sì, solo mio.» Lo baciò, leggero e caldo sulle labbra. « Non lo vedrà mai nessuno, mio per sempre, il mio principe azzurro …»
E fu suo.
Il compleanno più bello della sua vita.
Trascorsero la giornata a ridere, fare l'amore e vestirsi dei primi abiti che capitavano a tiro per poter portare Ciel a fare una passeggiata; ne approfittarono per comprare il pranzo a un ristorante giapponese: adorava il sushi e Dean voleva che avesse le cose più buone per quel giorno speciale. Lo mangiarono sul letto, immersi fra le lenzuola rosse e i cuscini morbidissimi, poi guardarono un film e di nuovo ad amarsi, felici e ridenti come bambini il giorno di Natale.
___ « Questa sera ti porto in un posto speciale …» Si lasciò accarezzare il viso, mentre gravava col proprio peso sul corpo di Dean, che gli faceva da materasso.
___ « Non hai già fatto abbastanza?» Domandò in un sorriso, posando la bocca sul palmo di quella mano un po' accaldata, così come tutto il suo corpo.
___ « Forse.» Ammise lui, increspando le labbra piene in una smorfia ilare. «Ma ti avevo avvertito che mi piace viziarti, quindi è tuo dovere lasciarti coccolare, mio caro Olivier.»
___ « Mhhn …» Mugolò, sprofondando col viso contro il collo del compagno e lo prese a baciare, languido, gustandosi ogni centimetro di pelle. Dean alzò il mento, lasciandogli spazio per far sì che le proprie labbra potessero esplorarlo con facilità. « Allora facciamoci un bagno prima di uscire.»
___ « Non avresti potuto avere idea migliore, honey



___ « Dillo che ormai ci hai preso gusto a portarmi in braccio!»
Sorrise e gli baciò le labbra, deliziandosi della sua espressione divertita e stupita: gli aveva bendato gli occhi non appena erano saliti in taxi, così da poter rendere la sorpresa di compleanno specialissima.
___ « Soprattutto ci ho fatto l'abitudine.»
Aveva avvertito Thalie del loro arrivo e lei, appena aveva avvistato i fari del taxi, si era fiondata fuori dal Bistrot e gli aveva tenuto l'ingresso aperto, intimando i presenti a zittirsi. Ciel era corso dentro, uggiolando felice e Olivier aveva increspato le sopracciglia, perplesso.
___ « Dove siamo? Ora ci prendono per scemi. Dimmi che non ci stanno guardando tutti!» Era una preoccupazione più che lecita dato che gli aveva lasciato intendere che la loro direzione era quella d'un buon ristorante e, in realtà, non è che gli avesse propriamente mentito.
___ « Sì, in effetti ci stanno guardando tutti...» Anche questa non era una bugia. Madame Blanchard, Thalie, Tristan, Svetlana e l'adorabile cucciolo di Husky bianco: tutti avevano occhi solo per loro. Lo appoggiò a terra e lui mantenne il braccio sinistro ancorato alle sue spalle, abituato ormai al sostegno delle stampelle che ora sostituiva col suo corpo. « Ora ti tolgo la benda, pronto?»
___ « … Oui.» Rispose in un filo di voce solo perché era curioso e sicuramente nervoso; gli si posizionò alle spalle e sciolse il nodo della bandana di cotone che lasciò scivolare lungo il suo viso.
___ « Tanti auguri!» Un coretto si alzò nel locale, riccamente addobbato per la festicciola privata dello straordinario ragazzo che era riuscito a riunire in quel Bistrot, chiuso al pubblico, quelle persone così diverse fra loro, ma unite da un'unica, importante somiglianza: l'amore per Olivier.
Lui era bellissimo in quel preciso istante: spalancò gli occhi, sconvolto e si portò entrambe le mani alla bocca.
___ « Mon … mon dieau …» Si voltò per cercare il proprio sguardo e lui gli sorrise, tranquillo.
___ « Happy birthday Olivier!» Esclamò prima che Thalie gli si gettasse al collo per abbracciarlo, o stritolarlo che dir si voglia.
___ « Augurissimi fratellino bello!» Esclamò tutta felice.
___ « Ma … ma …»
___ « La sorpresa è riuscitissima!» Tristan si avvicinò loro e gli porse la mano, che lui strinse.
___ « Direi di sì, benissimo anche.»
___ « Auguri cognato!» Anche lui l'abbracciò, espansivo quanto la fidanzata, ma non altrettanto distruttivo per lo meno.
___ « Ehi, ehi! Fate largo alla nonna! L'ho cresciuto io questa meraviglia! E' mio diritto baciarlo, abbracciarlo e tirargli le orecchie per prima!» Madame Blanchard si fece largo fra la piccola folla e portò le mani al viso del nipote, tirandoselo alla sua altezza per poterlo baciare sulle guance, più e più volte. « Bello, bello, bello! E diciannovenne! Come vola il tempo, cavolo!»
___ « Non iniziare a fare la straccia pelotas con la nostalgia, nonna!»
___ « Zitta, racchia!» Vedere Madame Blanchard e Thalie litigare, lo fece ridere, ma si curò piuttosto di avvicinarsi alla prima ballerina dell'Accademia di ballo di Parigi.
___ « Svetlana?»
___ « Da.» Rispose di getto, timida. « Volevo dire, oui! Oui, Svetlana. Sei tu che mi hai chiamata, vero? Dean, il fidanzato perfetto e inglese di Olivier.» Gli porse la mano, quella manina sottile e bianca che lui ebbe quasi paura di rompere mentre la stringeva con la propria.
___ « Perfetto non credo, ma sì, sono Dean, inglese e sono il suo … fidanzato.» Ripeté gustandosi appieno il suono di quella parola che gl'invase completamente il cervello. « Grazie di essere venuta, per Olivier è importante.»
___ « Grazie di avermi invitata, mi mancava tanto Olivier.»
___ « Lana!!» Il ballerino l'abbracciò e l'alzò di peso, facendola arrossire sulle gote.
___ « Olivier! Mettimi giù! Non è appropriato e poi sforzi la gamba!»
___« La mia gamba sta bene e non preoccuparti di cosa sia o meno appropriato a casa mia: sono tutti ben poco ortodossi.»
___ « Orto – che?» Domandò Thalie al fidanzato che rise, stampandole un bacio sulle labbra.
___ « Amò, sei splendida.»
___ « Lo so. Servo l'aperitivo! Bevete anche voi ballerini questa sera, vero?»
___ « Certo.» Risposero in coro le punte di diamante del balletto francese giovanile e scoppiarono a ridere entrambi, divertiti.
La serata andò avanti fra risate spensierate e ottimo cibo: le tende del Bistrot erano state tirate e nessuno a parte loro poteva godere della calda atmosfera familiare che si era creata nel locale. Madame Blanchard e Thalie avevano cucinato per un esercito, Svetlana aveva osato lamentarsi solo una volta per il troppo cibo e, dopo aver ricevuto due occhiate cariche di odio e pregne d'una minaccia espressa solo con quello sguardo tagliente, aveva ingurgitato talmente tante portate che dopo un po' era collassata sulla tavola, ubriaca di cibo e di vino.
Olivier era radioso: seduto a capo tavola, aveva avuto per tutta la sera le gote deliziosamente arrossate e dedicava una parola e un sorriso a tutti, riuscendo a destreggiarsi fra mille attenzioni con facilità e gentilezza. Al momento dei regali, poi, tutti quei pacchi lo emozionarono moltissimo: sembrava un bimbo mentre vagliava la morbidezza dei maglioni che lui e Thalie avevano scelto insieme, si deliziava dell'essenza di un profumo personalizzato e studiava la strana forma di un paio di pantaloni in tartan di Anglomania by Westwood. Aveva apprezzato ogni cosa, soprattutto il cofanetto de Il lago dei Cigni di Tchaikovsky, donatogli dalla sua partner di danza con tanto di dedica.
___ « Siete stati … troppo buoni! Mi avete rifatto il guardaroba, non so come ringraziarvi! E … Tchaikovsky, Lana, grazie.»
___ « Ho un altro piccolo pensierino …» Aggiunse la ragazza, porgendogli un portafoto che estrasse direttamente dalla borsa. « Spero ti piaccia.»
___ « Oh …» Dall'espressione di Olivier, doveva aver molto apprezzato il cadeau. « Siamo noi due sul palco!» Voltò la cornice e mostrò a tutti l'immagine di loro due abbigliati e truccati come il Principe Siegfried e Odette alla fine della rappresentazione all'Operà di Paris, sorridenti e felici, immersi da mazzi di fiori bianchi e frastornati da un mare di applausi. Stupendi.
___ « La dobbiamo appendere in negozio questa!» Intervenì Madame Blanchard, estasiata. « Tutti devono sapere che sei mio nipote!»
___ « Certo nonna, sarà un onore …» Riusciva a stento a trattenere le lacrime, era evidente e infatti si alzò per poter appoggiare la cornice momentaneamente sul bancone, bene in vista. « Domani la sistemiamo.»
___ « Olivier, piccolo, vieni qui.» Madame Blanchard aveva evidentemente deciso di consegnare al nipote il regalo più importante: si era alzata in piedi, tutta impettita nel suo tailleur verde pastello e gli stava sorridendo amorevolmente, con tanta dolcezza che mai aveva visto su quel viso rugoso e simpatico.
___ « Le sorprese non sono finite, Ollie.» Sottolineò Thalie, con un calice di vino innalzato a mezz'aria e Olivier guardò prima sua nonna, poi sua sorella e infine cercò il proprio sguardo chiedendogli in un'occhiata cosa stesse succedendo; gli sorrise, scoccandogli un occhiolino e l'intimò in un leggero cenno del mento ad afferrare la grossa busta azzurra che Madame Blanchard gli stava porgendo.
___ « Non avrete esagerato?» Domandò leggermente timoroso: le lunghe dita eleganti si appoggiarono sulla carta opaca e l'accarezzarono coi polpastrelli prima di afferrarla, nemmeno volesse prima costatare che non bruciasse.
___ « Nulla è mai troppo per te. Siediti. Tristan? Apri lo champagne!»
___ « Sissignora!» L'uomo si alzò, diretto al frigorifero che tenevano in sala e si posizionò accanto al cognato, con una bottiglia di Veuve-Clicquot ben fredda stretta fra le mani. Olivier cercò persino i suoi occhi scuri, poi osservò Lana e diede una rapida carezza alla testolina pelosa di Ciel che mai, nel corso della festicciola, aveva abbandonato il suo fianco.
___ « Ouf!» S'incoraggiò sorbendo un profondo respiro, quindi strappò la carta rivelando un'ulteriore busta, solo che questa era bianca e recava il timbro della Royal Opera House di Londra e per l'ennesima volta nell'arco della serata Olivier strabuzzò gli occhi. Piantò la busta sul tavolo e si armò di coltello per aprirla con facilità: rapido estrasse i documenti che attestavano la sua accettazione allo stage estivo del Royal Ballet, nonché la lettera di benvenuto e le date d'inizio delle lezioni con tutto il programma annesso. Si rabbuiò appena, abbassando il viso.
___ « E' troppo costoso …» Mormorò insicuro.
___ « No, lo era quando abbiamo perso Francois, che riposi in pace, e quando avremmo dovuto pagarti vitto e alloggio, tesoro: ora le cose sono cambiate.» Sua nonna gli afferrò una mano e l'intimò a guardarla negli occhi alzandogli delicatamente il mento, in un tocco placido.
___ « Lo so che gli affari vanno bene, nonnina, ma …»
___ « Starai da me.» Intervenne lui, repentino. « Starai a casa mia, Olivier, con me: per i mesi estivi torno sempre a Londra e l'idea di averti al mio fianco non mi dispiace affatto.» Sbuffò contro Thalie che, per prenderlo in giro, si era infilata due dita in bocca e aveva mimato un conato di vomito. « Sciocca.»
___ « Cretina.» Aggiunse Olivier.
___ « Ehi!»
___ « Ma …»
___ « Niente ma, Olivier.» Decretò Madame Blanchard, perentoria. « Tu ci andrai: ne hai bisogno, devi studiare con i migliori insegnanti per poter diventare il più grande ballerino del mondo e questo include la partecipazione allo stage del Royal Ballet
___ « Inoltre, ci sarò anch'io!» Esclamò Svetlana, sbattendo delicatamente le sue mani di fata.
___ « … Sì?» Era impacciato, aveva gli occhi lucidi e si stava mordendo il labbro: in una parola, adorabile.
Si alzò in piedi e lo raggiunse, inginocchiandosi al suo fianco: gli splendidi occhi azzurri, che tanto amava, cercarono subito i suoi color miele e in un moto del tutto spontaneo le proprie labbra si incurvarono in un sorriso.
___ « Oltre la paura, Olivier.» Gli sussurrò in un filo di voce che lui colse e che gli fecero sfuggire un paio di lacrime di commozione.
___ « Oltre la paura.» Ripeté annuendo una sola volta.



Lo sbatté violentemente contro la porta d'ingresso dell'appartamento del Passage d'Enfer e si appropriò della sua bocca, tutta, schiacciando il proprio corpo contro il suo. Statuario, bellissimo, possente: Dean era tutto questo e anche di più. Sentire le sue mani che vagavano sul proprio corpo, in tocchi passionali e caldi, lo faceva impazzire, tutto di lui lo faceva ammattire! I suoi occhi dorati, i suoi capelli scuri e morbidi, la sua pelle stranamente olivastra, la linea delle clavicole, i pettorali … gli strappò di dosso la camicia, facendogli saltare i bottoni.
___ « Wow! Come siamo …»
___ « Eccitati? Sì, tremendamente. Nonché un po' ubriaco, quindi zitto e baciami.» Quel sorriso malizioso e sinistro gli fece girare la testa: artigliò le dita dietro la sua nuca e spinse la propria lingua nella sua gola, senza la minima delicatezza e Dean sembrò apprezzare. Lo spogliò del maglione, passandoglielo rapidamente sopra la testa prima di gettarlo da qualche parte, a casaccio e lo strinse a sé, infilandogli le unghie nella carne dei fianchi, gesto che gli strappò un gemito.
___ « Non vedo l'ora … che sia … estate …» Ammise infilando una parola fra un bacio e l'altro; il compagno in risposta gli morse il collo, lo succhiò e sbuffò un respiro contro la sua pelle prima di spingerlo verso il divano.
___ « Aspetta … un sec – secondo!» Esclamò scoppiando in una risata quando gli afferrò con forza le natiche, palpandole libidinosamente.
___ « Aspettare? No, no!»
___ « Devi. Ho un altro regalo per te.»
___ « Dean, ti prego: basta. E' davvero troppo! Così esageri!»
___ « No, non mi è costato niente, giuro.» E si alzò, lasciandolo lì disteso, mezzo nudo, con la patta dei pantaloni slacciata e le labbra gonfie; sospirò sfiorandosi la bocca con la punta delle dita, ne leccò il sapore di Dean e sorrise vedendolo tornare armato di un plico di fogli e d'una tela, della quale gli mostrava il retro.
___ « Appena ti ho conosciuto, in me è nata un'ispirazione nuova.» Spiegò prendendo un profondo respiro. « Io associo i colori alle persone e tu sei Azzurro. Sei l'azzurro del cielo, dell'acqua, dei fiori, l'azzurro dei colori a olio, degli acquarelli, delle ninfee di monét. L'azzurro dei tuoi occhi è la cosa che amo di più al mondo e le emozioni che mi hai ispirato, ho iniziato a dipingerle e a scriverle …» Si accovacciò sul divano, accanto a sé e gli posò un bacio sulle labbra. « Con le tue parole, i tuoi gesti, la tua danza, mi hai fatto capire tante cose, Olivier: non diventerò mai un uomo d'affari, a me piace fare l'artista. Mi piace dipingere, disegnare, scrivere, immaginare, sognare … e sogno di te, sempre.»
___ « … Dean … » Non riusciva ad alzarsi: le sue parole erano pesanti e lo inchiodarono al divano.
___ « Aspetta, fammi finire.» Girò la tela e quello che vide gli bloccò il cuore: era lui, dipinto come un Dio greco. In testa aveva una corona di foglie e i fianchi erano cinti da una stola di tessuto blu mentre il corpo era interamente dipinto d'azzurro. « Prenderò questa laurea, ormai mi manca poco e sarebbe sciocco buttare via due anni della mia vita, dopo di ché mi dedicherò completamente alla scrittura, alla composizione, alla scenografia e scriverò per te uno spettacolo.» Gli prese una mano e ne baciò delicatamente il dorso, dolce come lo sguardo che gli rivolse subito dopo. « Tu sei il mio spettacolo, ti amo Olivier.»
Il proprio corpo era disegnato alla perfezione: ogni curva, ogni linea, ogni muscolo erano perfetti, si riconosceva in quel dipinto e poteva percepire l'amore con cui Dean l'aveva dipinto. Il viso era così realistico e lo sguardo sembrava voler bucare la tela: si sentì avvampare e sedette di colpo sul divano, portandosi una mano al cuore.
___ « Dean …»
___ « Ho scritto qualcosa: vorrei che la leggessi.»
___ « … Io … »
___ « Cosa c'è, honey?» Gli si ruppe il respiro, un singhiozzo lo fece rabbrividire; prese il plico di fogli e la tela e li sistemò con cura a lato del divano, passando una carezza sul telaio di legno del quadro prima di gettarsi fra le sue braccia, frastornato.
___ « … Dean … » Non riuscì a dire niente: in testa aveva tante parole, un milioni di frasi che voleva snocciolargli, centomila concetti. Voleva ringraziarlo, dirgli quanto tutto quello che aveva fatto per lui durante quella giornata l'aveva profondamente toccato; si era commosso, emozionato, si era sentito amato come mai gli era capitato in vita sua e avrebbe voluto esser capace di dirglielo a parole, ma non riusciva a trovare le energie per contrastare i tremiti che gl'invasero il corpo e che non gli permettevano di far vibrare correttamente le corde vocali.
___ « Devo spaventarmi, Olivier?» Scosse il capo, velocemente e si scostò appena per poterlo guardare dritto negli occhi; strinse le labbra, sentiva gli occhi lucidi, ma non voleva piangere e si sfogò piantandogli le unghie nei tricipiti.
___ « Ouch!» Lui rise, il suo splendido ragazzo, quell'uomo straordinario rise di gusto invece di mandarlo al diavolo e gli lambì la bocca con la sua, calmandolo in breve tempo e riportandolo altrettanto velocemente allo status di eccitazione con cui erano irrotti nell'appartamento.
Lo costrinse sdraiato sul pavimento di legno e lo strinse forte a sé, baciandolo, il proprio corpo adagiato sul suo, caldo. Si godette il suo calore, il suo sapore e quando fu all'apice dell'impazienza, prima di continuare in quell'atto stupendo ch'era il fare l'amore con Dean, gli circondò il lobo sinistro con le labbra, lo morse leggero e vi accostò poi la bocca.
___ « Sei mio. Sono tuo. Siamo una cosa sola, ora.»
Sentì il suo corpo possente tremare d'un singolo spasmo e se ne deliziò, cibandosene prima di restituirgli un po' del calore di cui l'aveva privato.





__________________________________________________________________________



(1) :
Buon compleanno, amore mio.




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Capitolo 24
*** Sad; ***


___



Partirono per Londra nel primo pomeriggio e furono alla stazione di Waterloo in un paio d'ore: i treni francesi erano sempre molto puntuali. Di comune accordo avevano deciso di prendere una stanza in un delizioso alberghetto nel quartiere dei teatri, così da poter essere vicino al luogo dello spettacolo e anche per evitare i genitori di Dean, che quel week end erano a casa.
Appena arrivati in teatro avevano comprato il programma e, preso posto a uno dei tavolini del bar vecchio stile, avevano ordinato due bicchieri di vino, ma lui si era perso nella lettura della storia del musical.
___ « Allora … Wicked è un musical nato nel 2003 e composto da Stephen Schwartz, con libretto di Winnie Holzman. Oh!» Esclamò alzando lo sguardo verso Dean. « Pensa: un giorno ci sarà un programma che porterà il tuo nome!» Alzò la mano destra, in un gesto molto teatrale. « Azzurro è uno spettacolo nato nel * coff – coff *» Finse un colpo di tosse, dato che non poteva sapere con esattezza la data. « Composto da Dean Caesar Hamilton e Bho-lo-scopriremo-solo-vivendo, musiche e testi e con libretto di Dean Caesar Hamilton!»
Lo guardò ridere, tanto divertito quanto lusingato e allungò una mano sul tavolino rotondo di radica lucida per poter prendere la sua opposta. « Succederà.»
___ « Lo so! Dammi solo tempo.» Annuì e continuò poi la sua lettura.
___ « E' basato sul romanzo Wicked: the life and times of the Wicked Witch of the West, di Gregory Maguire. Il romanzo è a sua volta una rivisitazione de Il meraviglioso Mago di Oz, di L. Frank Baum, con numerosi riferimenti all'adattamento cinematografico del 1939. Ah, bhè, facile così!» Scosse il capo, traendo un profondo respiro. « Attualmente il dodicesimo musical che più a lungo è stato rappresentato a Broadway. Wow!»
___ « Pensa quando ci saremo noi, in quella classifica.»
___ « Anf. Saremo due vecchietti che andranno a sbraitare contro i nuovi registi del nostro spettacolo!» Esclamò sorridendo estasiato. « Che bello!» Bevve un sorso di vino prima di leggere la breve introduzione alla trama. « Wicked racconta la storia di Elphaba, la futura Malvagia Strega dell'Ovest. Ehi! Lo hai visto tu il film su Oz? Quello con James Franco?»
___ « Oh, sì. Mi è piaciuta un sacco l'interpretazione di Rachel Weisz.»
___ « A me è piaciuto James Franco.»
___ « Immaginavo, francamente.»
Gli rivolse un sorrisino malizioso, divertito, quindi si schiarì la voce in un colpetto di tosse e tornò alla trama.
___ « Comunque … blabla, Elphaba blabla, e il suo rapporto con Glinda, la Strega buona del Nord. La loro amicizia deve fare i conti con le loro diverse personalità e i diversi punti di vista, la stessa rivalità in amore, le reazioni al governo del Mago di Oz e, in ultimo, la fine pubblica di Elphaba. Poverina! Io tifo per la strega cattiva.» Decretò annuendo una sola volta con convinzione e innalzando poi il calice di vino. « Alla Strega cattiverrima dell'Ovest! Fra l'altro Mila Kunis è bellissima.»
___ « Vero, ma è meglio Rachel!»
___ « Okey, a James Franco e pace.»
___ « Ci sto. Cheers!» I bicchieri tintinnarono uno contro l'altro e al primo sorso sorrise docile, andando a cercare la sua mano libera con la propria opposta. « Dean … è un po' che ti vibra la giacca, sai?»
___ « Sì, lo so. Sono i miei genitori, lascia perdere.»
___ « Sicuro?»
Lui annuì distrattamente, alzandosi in piedi dopo aver svuotato il suo calice tutto d'un fiato.
___ « Cerchiamo i posti in sala?»
___ « Sì …» Il suo bicchiere, invece, rimase quasi intatto, ma non se ne dispiacque: preferì seguire Dean, intrecciare le proprie dita con le sue e baciarlo a fior di labbra, ricevendo in cambio un sorriso dolcissimo. Raggiunsero uno dei palchetti posizionati a lato delle gallerie: era piccolo, come tutti quelli presenti in teatro, era arredato con pesanti tende di velluto tenute a lato da drappi dorati e due poltrone che sembravano comodissime, entrambe dotate di cannocchiali in ottone.
___ « Oddio! Ma quel cannocchiale ha l'astina per tenerlo su!» Ne afferrò uno e se lo posizionò sul naso, mettendo poi la bocca in duck face. « Mhh, caVo, ci siamo dimenticati lo champagne, per caso?» Ostentò una voce finta aristocratica che fece ridere Dean, il quale gli si avvicinò cingendogli poi il fianchi, in un abbraccio leggero.
___ « Sono così contento di esser qui con te …»
___ « Anch'io amore …» Gli rubò un altro bacio a fior di labbra prima di aggrottare leggermente la fronte. « … Perché continuano a chiamarti?» La giacca, in effetti, vibrava ancora.
___ « Non lo so e non mi interessa. Probabilmente hanno saputo dal nonno che sono a Londra e ho preferito dormire il albergo piuttosto che tornare a casa, quindi mia madre si sarà attaccata al telefono per potermi esprimere tutto il suo dissenso.»
___ « Sei sicuro di non voler controllare?» Domandò sfregando la punta del proprio naso contro quello di lui.
___ « Sì, tranquillo, non voglio rovinarci la serata.»
E fu davvero una splendida serata: il musical di Wicked era davvero … magico! Sciocco a dirsi, dato che le protagoniste erano streghe, ma non poteva esistere parola migliore per poter descrivere quell'immenso show: scenografie spettacolari, cantanti da mozzare il fiato e ballerini davvero in gamba, facilitati nel dimostrare le loro qualità grazie alle coreografie ottimamente studiate. E l'orchestra! L'orchestra dal vivo era sicuramente di grande impatto.
Alla fine del primo tempo erano scesi al bar per poter brindare con una fluté di champagne e Dean non smetteva di guardarlo negli occhi, interdetto, mentre lui si agitava come un matto nel rimembrare e descrivere i movimenti di alcuni ballerini.
___ « Lo so che sono in scena da mesi e i workshop pre show, nonché le prove li rendono capaci di ripetere le coreografie a occhi chiusi, ma trovo comunque che siano stati così .. così … espressivi! E non deve essere semplice ballando ogni sera per mesi e mesi sempre la stessa cosa.»
___ « Immagino di no!»
___ « Ihih!» Era eccitatissimo, saltellava sul posto e si sentiva un po' cretino, ovviamente, ma non poteva fare a meno di sorridere a tutti denti, spensierato e carico di una strana ebbrezza che non aveva nulla a che fare con l'alcool.
___ « Grazie, grazie, grazie di avermi portato!»
___ « Olivier … ti giuro che sono interdetto dalla tua radiosità.»
___ « … Che diamine c'entra?»
___ « Era per ringraziarti a mia volta, ovviamente.»
Rise di gusto nell'abbracciarlo, nel baciarlo e nuovamente fu interrotto dal continuo vibrare della tasca interna della sua giacca.
___ « Amore, almeno spegnilo … non ti da fastidio?»
___ « Sì, se non ti permette di baciarmi.» Si scostò appena. « Un secondo …» Annuì, lasciandolo fare: si guardò un po' intorno, gustandosi il sapore dello champagne e lo splendore della sala bar che vantava un arredamento tardo barocco piuttosto ricco di dettagli dorati, i quali non stonavano affatto con la struttura antica del teatro. Sorrise alla vista di un paio di bimbette con in testa un cappello da strega e nell'istante in cui si voltò per indicarle anche a Dean, gli si gelò il cuore.
___ « … Dean?» Era improvvisamente sbiancato e una goccia di sudore gli colava lungo la tempia destra; stava fissando lo schermo del cellulare evidentemente confuso e quando incrociò i suoi occhi color miele, per la prima volta li vide carichi di paura.
___ « … Mio … nonno … »
Gli sfilò rapidamente la fluté dalle dita e l'abbandonò sul primo ripiano a sua disposizione, insieme alla propria. Strinse una mano del compagno, afferrando delicatamente l'iphone con l'altra per poter leggere il contenuto del messaggio che aveva sconvolto l'inglese.




Mrs. Hamilton: Dean, tuo nonno è stato ricoverato in ospedale per un attacco di cuore. Sto cercando di chiamarti da tre ore e continuerò a farlo, ma tu degnati di rispondere al cellulare!




Si sentì male per lui, ma si concesse solo un singhiozzo strozzato prima di aggrottare le sopracciglia bionde e cercare il suo sguardo coi propri occhi.
___ « Dean... Dean? … Dean!» Richiamare la sua attenzione fu più difficile del previsto, ma quando alzò la voce, lui distolse la propria attenzione dal nulla. « Ascoltami, ora devi chiamare tua madre e chiederle in che ospedale è ricoverato, d'accordo?» Lo guardò mentre il suo respiro accelerava, entrambi ignorarono le maschere che annunciavano l'inizio del secondo tempo dello spettacolo continuarono a guardarsi dritti negli occhi.
___ « Io … non …»
___ « La chiamo io.» Decise schiacciando a casaccio il nome “Mrs. Hamilton”, nella speranza che l'iphone facesse il suo dovere e gli mostrasse il numero del contatto: così fu e riuscì ad avviare la telefonata senza troppi intoppi. La donna rispose al primo trillo.
___ « Dean! Dove diavolo sei!? Disgraziato!»
___ « … Non sono Dean, Mrs. Hamilton, ma lui è qui con me.» Le si rivolse in un inglese scolastico, privo di inflessioni e in un tono piuttosto freddo, quasi professionale. « Posso sapere il nome dell'ospedale in cui è ricoverato Caesar?»
___ « … Sì, è il Royal London hospital
___ « Bene, arriviamo il prima possibile.»
___ « D'accordo.»
___ « Miss … come sta Caesar?» Domandò leggermente più insicuro.
___ « Sta lottando, ma sbrigatevi.»
___ « Oui.» Riagganciò e afferrò la mano del compagno. « Vieni, prendiamo i cappotti e fermiamo un taxi! Non credo sia molto lontano, sta al Royal London hospital ... ehi, Dean.» Lui si lasciò afferrare e alzare il viso, nemmeno fosse una bambola di pezza rotta. « Ti amo.» Non riuscì che a vedere l'ombra d'un sorriso, ma fu già qualcosa.
Obbligò l'autista a infrangere il codice della strada, all'inizio chiedendogli gentilmente di sbrigarsi, poi minacciandolo di fargli molto, molto male se non avesse raggiunto l'ospedale velocemente.
Gli lasciò una copiosa mancia.




Nero. Era tutto nero.
Gli abiti delle persone accalcate in chiesa, la carrozzeria della macchina, il legno della bara, il suo umore: tutto era nero.
Tutto tranne Olivier: lui era luce, semplice e pura luce e nulla, nemmeno un giorno così triste avrebbe mai potuto eclissarla.
Non badò minimamente alle parole del sacerdote, continuò a fissare il profilo di quello splendido, giovane uomo che gli era seduto accanto e che gli stringeva una mano come se da quello dipendesse la sua stessa vita.
Vita. Chiuse gli occhi traendo un profondo respiro e cercò nei propri recenti ricordi l'immagine di suo nonno, quel grand'uomo di Caesar Thomas Hamilton, steso in un letto d'ospedale, attaccato a un respiratore con addosso un camice anonimo, bianco. Gli erano affiorati fiumi di lacrime agli occhi e aveva scostato in malo modo suo padre, in piedi come uno stoccafisso lì, accanto a colui che aveva cresciuto entrambi, al quale afferrò una mano, rugosa e fredda.
Era riuscito a dirgli addio, era persino riuscito a scambiarci due parole, ma lui si era spento nella notte: il cuore non aveva retto.
Si ridestò udendo la voce soave del compagno sussurrargli il proprio nome e cercò di tornare nel mondo reale.
___ « Dean … il sacerdote ha chiesto se qualcuno ha qualcosa da dire …»
Annuì, gli baciò il dorso della mano e si alzò; sorbì un profondo respiro, gonfiando lo sterno e si allacciò il primo bottone della giacca blu scuro: non aveva indossato il nero, il nonno non glielo avrebbe mai perdonato.
___ « Caesar Thomas Hamilton era mio nonno, un uomo straordinario a cui devo tutto.» Strinse le labbra e sistemò un po' il microfono, fingendo meticolosità per mascherare il nervosismo che lo dilaniava. Cercò gli occhi azzurri di Olivier in mezzo alla folla e quando li trovò riuscì a proseguire solo continuando a fissarli, senza mai distogliere lo sguardo. « Caesar Thomas Hamilton ha servito per anni il nostro paese, è stato un padre e un nonno amorevole, senza di lui non sarei diventato l'uomo che sono oggi. Qui, davanti a voi, io voglio dirgli grazie: grazie, nonno, di avermi cresciuto. Grazie, nonno, di non avermi mai abbandonato. Grazie, nonno, di avermi sempre aiutato a trovare una via d'uscita quando, davanti a me, vedevo solo un altissimo muro di mattoni invalicabile. Grazie, nonno, di non aver mai cercato di tarparmi le ali, ma di avermi sempre incoraggiato a seguire i miei sogni, le mie speranze, i miei desideri.» Sorrise flebilmente, sentendo la scia di una lacrima rigargli il viso. « Grazie, nonno, di avermi amato come la tua stessa vita: ti devo tutto.» Abbassò lo sguardo verso il ripiano obliquo del leggio di legno e ci appoggiò una mano, accarezzando la superficie fredda nemmeno fosse la guancia di Caesar. Cercò di respirare, ma i singhiozzi trattenuti gli impedivano anche quel semplice e naturale gesto.
Scese dall'altare senza degnare i suoi genitori nemmeno di uno sguardo, senza riuscire a guardare la bara, sopra la quale capeggiava la Union Jack: avrebbe avuto un funerale militare, con tutti gli onori del caso.
Fu emozionante.
Fu straziante.
Fu dannatamente difficile. Guardare la bara nera scendere dentro la buca lo nauseò, solo la presenza di Olivier gli permise di non crollare.
Le persone intorno a loro se ne andarono lentamente e lui non era riuscito a stringere la mano a nessuno di quegli estranei o di quegli amici che lo avvicinavano per porgergli le loro sentite condoglianze. Rimase a fissare il legno scuro e la terra fredda, umida, stringendo la mano calda e ferma di Olivier con la propria mancina e la bandiera britannica ripiegata a triangolo al petto.
L'avevano consegnata a lui, non a suo padre, non a sua madre: a lui.
Suo nonno aveva dato disposizione persino di quel dettaglio e la cosa gli strappò un leggero sorriso.
___ « … Possiamo andare.» Decretò rivolgendo finalmente lo sguardo verso il volto del ballerino, trovando il suo piuttosto preoccupato e triste.
___ « Sei sicuro? Non mi pesa rimanere ancora qui.»
Scosse il capo e posò un bacio sul dorso della sua mano prima di avviarsi insieme a lui verso l'uscita del cimitero.
___ « Dean?» Quella voce gli fece raggelare il sangue nelle vene.
___ « … Madre.» L'aveva sempre chiamata così, o per nome, ma al momento pronunciare il nome pomposo di quella donna odiosa sarebbe stato fin troppo difficoltoso.
___ « E' stata una bella cerimonia.»
___ « La migliore della mia vita.» Ironia e disagio, ecco di cosa era pregno il suo tono di voce. Seguì la direzione di sguardo degli occhi freddi di sua madre e quando incontrò lo splendido viso di Olivier, intensificò la stretta delle loro mani.
___ « Dobbiamo parlare.»
___ « Ah sì? Che novità.»
___ « Tuo padre e l'avvocato di famiglia hanno aperto il testamento.»
___ « Ah, certo, ecco di cosa dobbiamo parlare.»
___ « Dean, sono seria: Caesar ti ha lasciato tutto
Fu come se un'incudine da dodici tonnellate lo schiacciasse improvvisamente a terra.
___ « … C – cosa?»
___ « Sì, tutto. I suoi soldi, le sue azioni, i suoi investimenti e le sue proprietà.» La guardò mentre si accendeva una sigaretta, evidentemente a disagio: non aveva mai visto quella donna con le mani tremanti dall'agitazione.
___ « … Anche le case.»
___ « Anche le case.» Ripeté lei, in un filo di voce.
___ « Per questo mi sei venuta a parlare.»
___ « Francamente, sì.»
Un sorriso amaro gli affiorò in volto.
___ « Vedi? Almeno tu sei sincera, quello schifoso che ti sei sposata non ha nemmeno avuto le palle di venirmelo a dire in faccia che ha paura che vi sbatta fuori di casa.»
___ « … Dean … » La voce di Olivier era troppo bella, troppo pura per potersi immischiare in quella sgradevole conversazione: gli sorrise, lo baciò a fior di labbra, sconvolgendolo e zittendolo, quindi tornò a sua madre.
___ « Rimanete lì. Darò disposizione che finché vivrete, potrete restare in quella casa. Fa imballare la mia roba, tutta e lasciala al portiere della casa del nonno: starò lì, quando verrò a Londra, quindi togliti quell'aria angustiata di dosso, non ti dona affatto, sembri più vecchia e abbacchiata del solito.»
Tirò con sé Olivier mentre la superavano, lasciandola lì da sola, davanti all'ingresso di un cimitero ormai vuoto, rassicurata dalle sue parole, ma anche consapevole del fatto che la morte di Caesar le aveva portato via per sempre suo figlio. Non si accorse nemmeno del tragitto compiuto fino all'albergo, non ricordava se avessero preso un taxi, se fossero andati a piedi o in metropolitana, si ravvide del mondo solo quando gli occhi azzurri di Olivier gli catturarono lo sguardo e le sue mani gli accarezzarono il viso.
___ « Dean: guardami.»
Sapeva che il proprio sguardo doveva apparire appannato, inespressivo, morto.
___ « Dean, guardami veramente.» Lo baciò sulle labbra, con una tenerezza che gli toccò il cuore. « Guardami: vedi me, vedi me, Dean. Sono qui per te, ci sono io con te. Guardami, vedimi veramente.»
Non ci riusciva: i suoi occhi azzurri, bellissimi, teneri, che amava da impazzire, sfocavano e diventavano una bara nera, una bandiera britannica arrotolata, il viso affilato di quella donna irritante.
___ « Io … i – io …»
___ « Shtt … piangi, Dean. Piangi, sfogati, vivi il lutto, non devi preoccuparti, è normale e sano e io sono qui con te, ti terrò la mano, ti bacerò tutta la notte e ti terrò stretto a me, non ti lascerò mai solo, d'accordo?» Fu un processo lungo e doloroso, straziante, che gli ruppe il cuore in mille pezzi dentro ai quali si persero le sue lacrime salate.
Ma le dita affusolate ed eleganti di Olivier non lasciarono mai i suoi capelli, le sue labbra continuavano a sfiorargli la fronte e la sua voce gli sussurrava parole dolci, che incollarono insieme i cocci della sua anima.
La mattina, quando si svegliò steso sul letto, con ancora addosso i pantaloni del completo blu e la camicia grigio antracite, si beò del calore del corpo del compagno che lo stringeva a sé, in una morsa salda e forte. Quando poi aprì gli occhi, notò che la patina scura che gli aveva celato la vista nelle ultime ore era scomparsa e quello che vide, quel viso angelico beatamente addormentato, gli piacque moltissimo.





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E' stato straziante scrivere questo capitolo.
Ma anche bello, sicuramente emozionante.
Questo capitolo ha segnato una svolta importante per entrambi i miei amori: Dean non avrà più il sostegno e l'amore incondizionato di suo nonno, Olivier ha cacciato i cosìddetti e si è improvvisato un sostegno per colui che, fino a questo momento, gli aveva sempre dato appoggio e forza. Sono fiera di Ollie <3
Io la madre di Dean l'avrei presa a capate in faccia personalmente … coff.



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Capitolo 25
*** Azure; ***


___



Lo svegliò un profumo delizioso, dolce.
Mosse un braccio per cercare il compagno che, solitamente, era sempre accanto a lui, fra le lenzuola di cotone che sapevano di sapone di Marsiglia: erano entrambi mattinieri, ma lui si svegliava sempre un po' prima di Olivier e lo guardava dormire. Gli piaceva la sua espressione dolce, persa in chissà quale sogno; lo facevano ridere le smorfie buffe e grottesche che ogni tanto assumeva borbottando, ma quella mattina il letto era vuoto e quell'odorino nell'aria dell'appartamento gli diede gli indizi necessari a comprenderne il motivo.
Erano tornati in Francia subito dopo il funerale e Olivier si era trattenuto a casa sua anche per quell'ultima settimana di fermo ordinata dal medico. Il pomeriggio andavano sempre a camminare, così da poter allenare in maniera delicata il muscolo della gamba, e il ballerino lo rimbambiva costantemente di chiacchiere: non stava mai zitto un secondo per non permettergli di pensare, quando lo faceva gli tornava in mente il week end precedente passato a Londra e finiva inevitabilmente per incupirsi. Aprì lentamente le palpebre sentendosele pesantissime, ma si sforzò di mettere a fuoco il soffitto della piccola stanza, stropicciandosi gli occhi pigramente.
___ « Ehi, bon jour, mon amour
Puntò tutto il peso del corpo sui gomiti e guardò quella splendida creatura ferma sulla soglia della porta aperta; la stanza era buia, ma lì fuori doveva splendere il sole perché una calda luce naturale lo avvolgeva, rendendolo quasi divino ai propri occhi. Gli sorrideva, gentile, premuroso e teneva fra le mani un vassoio che non si ricordava nemmeno di avere.
___ « E' ora di colazione, poi andiamo a fare una bella passeggiata con Ciel. Ti va?» Notò solo in quel momento che il cucciolo non era irrotto in camera, probabilmente Olivier glielo aveva vietato per non disturbarlo. Annuì una sola volta alla sua domanda, e coprì uno sbadiglio con la man dritta mentre Olivier appoggiò il vassoio accanto a sé, sulle lenzuola stropicciate.
___ « Ti ho fatto la crêpe, alla fine non c'è mai stata occasione, cucinavi sempre tu e me ne sono bassamente approfittato.»
___ « Sono stato un po' oppressivo.» Commentò osservando la colazione che sì, aveva un aspetto invitante, ma non gli faceva particolarmente gola.
___ « Dean … dai, ma che dici?»
___ « Ciò che penso.»
___ « Non è quello che pensi, al momento vedi il mondo solo nero.»
Era vero, verissimo.
Gli rivolse lo sguardo e per la prima volta intravide un lampo di rabbia in quell'immensità azzurra.
___ « … Mi dispiace Olivier, sono davvero pesante. Torna a casa, ti prego, rimanere con me in questo momento ti fa solo arrabbiare e non è giusto.»
___ « Ma io non sono arrabbiato con te, Dean.» Il candore con cui si espresse lo colpì; lo guardò di nuovo, deliziandosi dei lineamenti delicati del suo viso e dalla sua espressione tranquilla capì che era sincero.
___ « Ma sei arrabbiato.» Puntualizzò, sicuro.
___ « Sì.»
___ « Perché?»
___ « Sono arrabbiato con la vita.» Ammise prendendogli una mano, così da poter intrecciare le loro dita in una morsa perfetta. « Non doveva farti questo. Mi fa male vederti così triste, abbacchiato, infelice … tu che sei la mia ancora, il mio porto sicuro, adesso sei così buio e … io vorrei solo che tornassi a essere la mia luce.»
___ « Tu sei luce, Olivier, non io.»
___ « Non dire assurdità, Dean. Tu sei un uomo stupendo: positivo, pieno di vita e talento, la tua intelligenza ti ha permesso di viaggiare, vedere il mondo e arricchirti. Hai accontentato dei genitori che detesti studiando qualcosa che non ti interessa, ma tu sei troppo leale per non tentare di renderli almeno un po' orgogliosi.» Lo guardò muovere la mano libera, prendere la forchetta dal vassoio e tagliare un angolo della crêpe, che gli porse. L'addentò, continuando a guardarlo. « E poi hai trovato me, un ragazzino che non sapeva far altro che zompettare su e giù per un palco e l'hai trasformato in qualcosa di diverso.» Gli porse un altro pezzo di dolce, sorridendogli. « Mi hai svegliato, amandomi. Mi hai preso per mano e mi hai mostrato cosa potrei diventare, cosa diventerò rimanendoti accanto, quindi non dire che non sei luce, perché è vero che ci vuole acqua per far crescere una pianta, ma senza luce puoi annacquarla quanto vuoi: quella muore.»
Questa volta non gli diede un pezzo di crêpe, ma un bacio, che gli parve persino più dolce.
___ « Olivier …» Sentiva un nodo alla gola, che non riusciva a sciogliere nemmeno sforzandosi. « … Io … grazie di starmi accanto. Ho solo te, adesso.»
___ « Hai me, Ciel, la nonna, Thalie, Tristan, saremo noi la tua famiglia, Dean, ci prenderemo noi cura di te.» La sua mano gli accarezzò dolcemente il viso, accompagnandolo ad alzarsi per poter incontrare quell'azzurro che tanto amava. « Perché se non ti prendi cura di quello che hai, non meriti di averlo.»
___ « Io avrò cura di te.»
___ « Io avrò cura di te.» Ripeté lui, baciandolo di nuovo. « E inizierò obbligandoti a mangiare, fare una doccia e uscire con me e Ciel, d'accordo? La nonna e Thalie ci vogliono al Bistrot per pranzo, penso che ti farà bene una dose intensa di Blanchard.»
___ « La mia droga preferita …» Ammise sfilandogli la forchetta di mano, così da poter consumare la propria colazione da solo. « Blanchard … grazie.»
___ « Smettila, Dean, non devi ringraziarmi.»
___ « Dimmi di sì.»
___ « Di sì a cosa?»
___ « Dimmi che vuoi trovare una casa nostra e andarci a vivere con me.»
I suoi occhi sgranati e l'espressione basita, seguita da un sorriso euforico, furono la migliore sveglia che avrebbe mai potuto avere.



___ « Dimmi che vuoi trovare una casa nostra e andarci a vivere con me.»
Sentì il cuore fermarsi per poi riprendere a battere a una velocità folle: tum-tum-tum-tum-tum, sembrava volergli sfondare il petto per potersi direttamente consegnare a Dean. Sorrise flebilmente, un po' incerto, gli occhi sbarrati e il labbro inferiore leggermente tremolante.
___ « C – cosa?» Balbettò in un filo di voce e si irrigidì appena quando il compagno si mise a sedere davanti a lui, sovrastandolo grazie alla sua corporatura decisamente più imponente della propria.
___ « Sei così dolce quando balbetti.» Gli accarezzò la linea della mascella in un tocco leggero delle dita e lui rabbrividì. « Non mi ci vedo più senza di te, Olivier.» Ammise abbassando lo sguardo verso la crêpe ormai fredda.
Lo osservò minuziosamente, come se non conoscesse le lunghe ciglia scure e i capelli morbidi e lisci, o la carnagione leggermente abbronzata e il viso spruzzato di uno strato di barba incolta, si cibò della sua bellezza, del suo odore di uomo, che Dean non utilizzava profumo, ma la sua pelle aveva un proprio aroma particolare. Allungò la mano destra sul vassoio e spezzò la crêpe infilzandone un pezzetto coi rebbi della forchetta, così da portarlo verso la bocca del compagno; lui non alzò lo sguardo, semplicemente accettò il cibo e si leccò il labbro superiore che doveva sapere di zucchero filato.
Allungò il collo e gli rubò un po' di quel sapore baciandolo dolcemente.
___ « Nemmeno io mi vedo più senza di te.» Ed era dannatamente vero.
Continuò a imboccarlo in silenzio, riflettendo sulle proprie parole, su quelle addotte dall'inglese, sugli eventi degli ultimi giorni, sulla propria vita, su quella di Dean e sul percorso che stavano affrontando insieme, fianco a fianco, senza essere capaci di lasciarsi per più di poche ore. Sentì gli occhi inumidirsi e la trachea stringersi leggermente, ma trasse un profondo respiro per non cedere alla voglia di piangere.
Afferrò il vassoio e lo spostò sul comodino, andando poi ad appoggiare i palmi delle mani sul petto del ragazzo davanti a sé; guadagnò la sua attenzione, gli occhi color miele, solitamente pieni di vita e ora velati di una patina opaca, lo fissavano interrogativi, ma lui non parlò. Gli sfilò la maglietta con cui aveva dormito e ammirò il suo petto nudo, del quale ormai conosceva ogni centimetro di pelle, ogni curva, sapeva trovare a occhi chiusi le piccole cicatrici sul lato destro del costato, causate da pustole di varicella che da piccolo Dean si era grattato.
___ « Stai qui, così.» Gl'intimò prima di alzarsi dal letto sul quale tornò subito, armato d'un pennello da pittura che aveva visto utilizzare al suo ragazzo piuttosto spesso. Gli sorrise e a Dean scappò una flebile risata quando gli appoggiò le setole morbidissime sugli addominali.
___ « Che cosa fai?» Vederlo finalmente sorridere lo rilassò completamente; non gli rispose, si limitò ad accomodarsi per bene accanto a lui, sdraiato su un fianco, col gomito sinistro puntato sulle lenzuola e la medesima mano a reggergli il capo. Scivolava con lo sguardo lungo il suo corpo, il pennello solcava la pelle color caramello e lui lo fissava curioso, come se fosse la prima volta che vedesse la strana carnagione di Dean, così mediterranea per un inglese. Risalì lungo il bacino fino al petto, sorrise nel sentirlo gemere appena e irrigidirsi quando gli carezzò i capezzoli e non poté trattenersi dal baciarglieli entrambi, circondandoli con le labbra calde.
___ « Ollie …»
___ « Voglio solo capire cosa provi quando dipingi.» Rivelò finalmente, appoggiando la guancia destra sul suo stomaco, col viso rivolto verso il suo. Cercò i suoi occhi, con le iridi luminose e seducenti e gli sorrise, dolce, appoggiando poi le setole del pennello su una clavicola. « Voglio sapere se senti quello che provo io quando danzo.» Gli posò un bacio leggero sulla pelle immediatamente davanti alla propria bocca e lui cercò il suo viso per una carezza leggera, sfumata poi in dita intrecciate ai propri capelli biondi.
___ « Ho iniziato a dipingere per sfuggire alla realtà.»
___ « Lo immaginavo, francamente.»
___ « All'inizio era così, ma più mi immergevo nel mondo della pittura, o comunque in quello dell'arte in generale, più ne venivo rapito.» Gli sorrise appena, continuando a intrecciare una ciocca dei propri capelli al suo dito indice. « L'arte ci permette di esprimere noi stessi e di poterci persino confrontare con gli altri, col mondo. Posso sfogarmi, posso rilassarmi, divertirmi e persino eccitarmi: l'arte è tutto questo e io ne sono rimasto folgorato sin dalla prima volta che ne sono entrato in contatto.»
___ « Quando è stata?»
___ « Pft … ho un ricordo stupido, di quando ero un mocciosetto.»
___ « Dimmelo! Oh, come vorrei vedere una tua foto da bambino: un piccolo Dean con gli occhioni spalancati e brillantissimi, la bocca increspata in un broncio!»
___ « Broncio?»
___ « Sì, ti immagino col broncio: non rovinare il mio piccolo mondo felice.»
___ « Comunque … mio nonno mi regalò la pittura a dita, sai, quella atossica per i bambini e io ci dipinsi l'intera parete della mia stanza!» Sorrise nell'udire la sua risata, cercò di non cambiare espressione nemmeno quando lo vide piegarsi al dolore del ricordo di suo nonno. « Mia madre si arrabbiò da morire: mi sculacciò e fece dipingere tutta la casa di bianco, poi mi vietò di usare i colori in casa e io piansi tantissimo.»
___ « … Io detesto tua madre.»
___ « Anch'io.» Sospirò, ma un brivido gli fece venire la pelle d'oca quando le setole del pennello, che mai aveva smesso di passare sulla sua pelle, raggiunsero il pomo di Adamo. « Quando mio nonno lo venne a sapere, mi portò a Parigi per il week end. Io non capivo, ma ero contento di fare una gita con lui, sai: quando sei bambino tutto ciò che è nuovo ti sembra stupendo e allora mi innamorai follemente di Parigi.»
___ « Chi non s'innamora di Parigi è un babbeo.» Decretò convinto, strappandogli un sorriso.
___ « Ma non era una semplice vita di piacere: mi portò a vedere parecchi musei, concentrandosi particolarmente sulle esposizioni impressioniste.»
___ « Oh … ma certo.»
___ « Pittura en plein air: lui mi raccontò di come gli impressionisti dipingevano all'aperto per cogliere le sottili sfumature che la luce genera su ogni particolare, la vera essenza delle cose.»
___ « Quindi hai iniziato fin da piccolino a disegnare quello che trovavi per strada? Cioè …» Si sentì arrossire appena, ma cercò di non darvi peso. « Insomma, in un certo senso mi hai trovato grazie a tuo nonno.»
___ « Sicuramente il merito per averti disegnato quel pomeriggio a St.James Park va a lui.»
___ « Gli porterò dei fiori ogni volta che andremo a Londra.»
___ « Ci conto.» Gli accarezzò nuovamente il viso prima di abbandonare la mano sul materasso. « Dipingere, fotografare, disegnare, scrivere … tutto questo mi da la possibilità di esprimere me stesso creando qualcosa. Sento il bisogno di farlo, voglio farlo, amo comunicare col mondo in questo modo … non ha molto senso quello che dico, vero?»
___ « Scherzi?» Si arrampicò su di lui, aderendo perfettamente al suo corpo per trovarsi col viso alla medesima altezza del suo. « Ho iniziato a danzare per scappare dal mondo: volevo dimenticare mio padre, che mi aveva abbandonato, mia madre, che era scappata dalla sua famiglia perché troppo debole, avevo bisogno di una valvola di sfogo che ben presto si è trasformata in qualcosa di più.» Lo baciò teneramente sulle labbra, leggero. « Ho bisogno di danzare per poter comunicare, per potermi esprimere, per poter trovare il mio posto nello … spazio?»
___ « Sì. Torna.»
___ « Amo danzare.»
___ « Amo guardarti danzare.»
___ « Amo te.»
Abbassò lo sguardo su quelle tre lentiggini che impreziosivano il labbro superiore di Dean e le baciò, dolcemente, concentrandosi proprio su d'esse prima di abbracciarlo.
___ « Ti porterò io a vedere le mostre di Monet, Manet, Cézanne, Pissarro e qualunque impressionista tu voglia. O espressionista, o scultore, mi sorbirei persino un museo di Dada art se ci fossi tu al mio fianco. Scalerei il monte Everest per te e, dato che siamo in tema, sarò io la tua roccia: appoggiati a me, saprò sostenerti, perché anche se non sembra sono forte.»
Aveva nascosto il viso nell'incavo del collo di Dean, in quella morbida e sensuale curva che partiva dalla nuca e concludeva sulla spalla: non lo guardava in viso, ma poteva immaginare la sua espressione rapita, basita e forse un po' commossa. Aveva imparato tanto di lui in un periodo di tempo così breve che gli sembrava quasi surreale essere lì, steso sul suo corpo, stretto fra le sue braccia che ora l'avevano circondato e lo tenevano saldamente premuto contro di sé.
___ « Io … la nostra casa dovrà essere colorata. Non voglio pareti bianche, non voglio nemmeno un soffitto bianco e men che meno il pavimento: non sarà kitch o in stile Arlecchino, studieremo insieme i colori e la dipingeremo noi, sarà casa nostra e sarà un tripudio di colore, di emozioni e d'amore. D'accordo?»
Non gli rispose a parole, il calore delle sue mani e il tocco delle sue labbra furono sufficienti a lasciargli intendere una risposta più che positiva. Sentì un sapore salato sulle labbra di Dean, le lacrime si erano canalizzate proprio nell'incavo della bocca e inumidivano il loro bacio; fece finta di niente: sapeva che per lui lasciarsi andare richiedeva un grande sforzo, sentiva che avrebbe preferito non farsi vedere in preda a una crisi di pianto. Mantenne le palpebre abbassate e sorrise, respirò contro di lui, lasciando che il proprio fiato s'infrangesse sulla sua pelle e gli accarezzò ogni centimetro del viso con la punta del naso e delle dita.
___ « Azzurro …» Sussurrò Dean interrompendo il bacio salato; appoggiò la fronte contro la sua e trasse un profondo respiro, quasi volesse deliziarsi del profumo della propria pelle.
___ « Cosa?»
___ « Voglio che il colore preponderante sia l'azzurro. Deve essere così.» Gli accarezzò i capelli biondi, scostandoli all'indietro e premette la bocca contro le proprie labbra, chiedendogli in una leggera pressione di chiuderle per potergli rubare calore oltre che conforto. E il respiro.
___ « Mhn … azzurro, ovunque. E vorrei i mobili di un legno chiaro, caldo, color senape …» Gli accarezzò la linea del viso con l'indice sinistro e sorrise nell'affrontare la ruvidezza della barba scura. « Ti piacciono i tappeti?»
___ « Sì.»
___ « E quadri. I tuoi quadri ovunque … quello che mi hai regalato - »
___ « Nell'ingresso. Voglio vederlo appena metto piede in casa.»
Gli sorrise, entusiasta, rubandogli un ulteriore bacio.
___ « E fotografie. Mi piacciono così tanto le fotografie in bianco e nero: potremmo creare delle bellissime composizioni, no?»
___ « Certo che sì. Potremo fare tutto quello che vogliamo.»
___ « Mi sembra di vederla già, casa nostra. Nostra … mia e tua, io e te: noi. Suona così dannatamente bene.»
___ « Sa di perfezione.»
___ « Sa di completezza.»
___ « Sa di te.»
___ « Sa di noi.»
___ « E di smileato, come direbbe Thalie.»
___ « Oh merde! Thalie! Nonna! Pranzo! Bistrot!» E mentre lui si agitava come un'anguilla, tentando di sgusciare via dall'abbraccio di Dean, quello rideva. Rideva di gusto, con tanto di occhi lucidi e bei denti chiari tutti in mostra. « Mollami Dean! Dobbiamo andarci o mia nonna mi ucciderà! Se saltiamo un pranzo che hanno cucinato quelle due per scopare e poi annunciamo che andiamo a vivere insieme così, senza il loro cibo nello stomaco, ci uccidono! Ci fanno a pezzetti piccoli, piccoli e ci servono come stufato!»
___ « Sa tanto di Sweeny Todd.»
___ « Ecco. Vorrei evitare! Johnny Depp è molto meglio in versione Chocolat.»
___ « O Pirati dei Caraibi …»
___ « Tutto meno che in versione Nonna Blanchard che mi affetta!»
Lo perse, completamente. Le sue risate gli riempiono le orecchie, la mente e il cuore e sebbene ancora piuttosto agitato per il ritardo al pranzo, non poté fare a meno di rilassarsi leggermente nel vederlo così allegro.
Gli passò una mano fra i capelli scuri, pettinandoglieli indietro a ditate.
___ « Sei bello.»
___ « Sono felice!» Ammise l'inglese accarezzandogli entrambe le guance.
___ « La felicità di dona, amore mio.»
___ « Hai detto “scopare”, poco fa?»
Si sentì la faccia andare a fuoco, sapeva di essere diventato completamente rosso.
___ « Dean!»
___ « Olivier!»
___ « Idiota!» Gli mollò un pugno prima di alzarsi di scatto per correre in bagno, così da potersi sistemare un po'. Lui lo seguì e le loro risate riempirono l'appartamento del Passage d'Enfer per un'altra mezz'ora abbondante. Quando Ciel andò a chiamarli, affacciandosi prudente dentro la stanza da bagno, erano già in ritardo di un'altra ora: avrebbe affrontato le ire delle Dames Blanchard e persino le fiamme dell'inferno se solo Dean glielo avesse chiesto, perché il mondo intorno a loro aveva finalmente preso la forma giusta, si era tinto della giusta sfumatura.
Azzurro, il loro mondo era diventato azzurro.






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« Se non ti prendi cura di quello che hai, non meriti di averlo. ( cit.Olivier )»
Non potevo non concludere la pubblicazione con questa citazione di Olivier. Ho amato molto questo capitolo, l'ultimo – ebbene sì! - che ha tracciato per bene il rapporto che si è creato fra i miei due patati, che amo profondamente come fossero figli miei, e un po' lo sono in fin dei conti.
E' stato difficile scriverlo, volevo che fosse perfetto e quindi scrivevo dieci righe al giorno rileggendo e cambiando quello che avevo buttato giù il giorno prima per ore! Sono matta, lo so, ma dovevano avere una conclusione degna: Olivier e Dean sono quella coppia su un milione che si incontra, si ama e non può più fare a meno di stare insieme. Esistono persone così, io ci credo, le ho viste e ho dovuto scrivere di loro. Per tanto dedico questa storia alle coppie che me l'hanno ispirata <3

Ah! Ovviamente ci sarà un epilogo! Ihih … non vedo l'ora di pubblicarlo!



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Capitolo 26
*** Épilogue; ***


___



Raggio di Luna: Sono arrivato.
Dean Caesar: Sarò lì fra poche ore!
Raggio di Luna: Cosa vuoi per cena?
Dean Caesar: Tu, nudo, ricoperto di crema pasticcera.
Raggio di Luna: Pft … banale. E iper glicemico!
Dean Caesar: Mi piace il banale.



Sorrise raschiandosi il labbro inferiore prima di schiacciare il tasto di stand by dell'iphone; aveva ceduto alla tecnologia anni prima e con scarso entusiasmo, ma il colore azzurro del telefonino, alias l'essere con volontà propria in grado di programmare anche la macchina del caffè, lo aveva conquistato e il resto era venuto da sé. Infilò la chiave nella serratura di sicurezza e appena spalancò il battente Ciel si fiondò all'interno dell'appartamento parigino, scodinzolante e felice di potersi riappropriare della sua cuccia francese.
Accese la luce dell'ingresso, liberò Ciel da guinzaglio e pettorina e trascinò il trolly all'interno della casa prima di chiudere la porta blindata contro la quale si appoggiò gli istanti necessari per potersi godere la vista della loro prima casa, quella che avevano affittato ormai dieci anni prima, dipinto insieme e rilevato coi soldi dei loro primi lavori.
Era bellissima: un sublime appartamentino di ottanta metri quadri totali, suddiviso in due piani collegati da una scomodossima scala a chiocciola in ferro battuto che loro amavano da morire e che li aveva spesso costretti a dormire sul divano letto, per pigrizia o per l'impossibilità di raggiungere avvinghiati il piano superiore. Amava la cucina lignea a vista sul salottino dove capeggiava il sofà blu scuro, il lampadario a più bracci che penzolava dal soffitto azzurro intenso e i quadri appesi alle pareti, tutti dipinti da Dean. Ma la cosa che amava di più era la terrazza, il pezzo forte di quel gioiello architettonico: la vista sul quartiere di Montparnasse aveva spesso rubato loro il fiato, ma era l'atmosfera calda e romantica che Dean era riuscito a ricreare ad avergli fatto perdere qualche battito. Si mosse proprio in direzione della terrazza, tirò su la tapparella e aprì la porta finestra dopo aver schiacciato il tasto d'accensione per le luci esterne: la tenda orizzontale bianca era ritirata, ma dai suoi bracci ricadevano fili di lucine color crema, capaci di creare un'atmosfera da “isola che non c'è” davvero speciale. Sistemò al centro dello spazio divanetto e tavolino coordinati in ferro bianco traforati, tipici implementi d'arredo esterno, quindi controllò le piante che erano belle rigogliose e sane, merito dell'impianto di irrigazione centralizzato; le lampadine effetto fiamma libera sistemate dentro lanterne in alluminio riflettevano una fioca luce, catturata in giornata direttamente dal sole che aveva rischiarato il cielo parigino, era tutto perfetto. Ciel lo raggiunse in terrazza e con la lingua a penzoloni richiamò la sua attenzione in un basso guaito.
___ « Non preoccuparti piccolo, Dean torna presto.» Accarezzò il testone dell'husky bianco, divenuto un cane grosso e pelosissimo, ormai persino anzianotto, ma sempre dolce e soprattutto costantemente desideroso di giocare, nonché continuamente alla ricerca di coccole da parte dei suoi padroni. Erano diventati una famiglia lui, Dean e Ciel.
Le note di una delle sue canzoni preferite si propagarono nell'appartamento e dovette correre fino all'ingresso per poter recuperare il telefonino e rispondere alla chiamata.
___ « Pronto! Ehi! Ciao amorino, come stai?» Sorrise ampiamente nell'udire quella particolare voce, annuì fra sé e sé alla domanda che lei gli porse prima di rendersi conto che non poteva vederlo. « Ah! Sì, sono arrivato proprio ora. No, Dean non è qui … vuoi venire a trovarmi?» Scoppiò a ridere alla risposta quasi maliziosa, ma in realtà assai infantile che ricevette. « Mi passi la mamma, zuccherino? Grazie! Ci vediamo domani, certo. Buona notte, fai sogni d'oro, di diamante e di polvere di stelle!»
___ « Ehi, Ollie?»
___ « Thalie! Mi fai chiamare da tua figlia?»
___ « Sai, anche se non ne comprendo il motivo, adora profondamente suo zio biondo.» Poteva immaginarsi l'espressione divertita e odiosa che si era stampata in faccia alla sorella in quel momento.
___ « Stronza. Jules?»
___ « Il marmocchio dorme, ma anche lui non vede l'ora di vederti. Quando passate? Domani per pranzo? Eh? Eh?»
___ « Sì darling, ti ho detto che veniamo per pranzo! Stai tranquilla e non rompere, soprattutto non esagerate col cibo tu e quell'arpia di tua nonna!»
___ « Punto primo, è anche nonna tua, punto secondo: fottiti! Smettila con 'sti inglesismi, ormai stai decisamente troppo in Inghilterra, chèrie
___ « Mi manchi anche tu, vacca da riproduzione!»
___ « Checca.»
___ « Zoccola.»
___ « Ballerina volante!»
___ « Bhua! Hai vinto!»
___ « Come sempre, mon amour! A domani ciccino! Ti saluta Tristan!»
___ « Di a mio cognato di sculacciarti!»
___ « Non mancherà, ahahah!»
___ « Scema. A domani!»
Concluse la telefonata e guadagnò il piano superiore, dove accese la luce beandosi così della vista della loro camera da letto: le pareti erano per metà rivestite di legno dello stesso colore del parquet un po' scricchiolante, il resto sfumava dall'azzurro chiaro al blu profondo del quale era completamente dipinto il soffitto dove brillavano alcune costellazioni che avevano scelto e dipinto insieme. Il lampadario sferico bianco dava il tocco finale: sembrava una luna piena. Amava visceralmente quel posto: quante volte si erano addormentati stretti fra quelle lenzuola? Quante volte avevano fatto l'amore su quel materasso, o sulla cassapanca intarsiata sita ai piedi del letto, contro i muri, l'armadio, la cassettiera … arrossì appena, si tolse il cappotto e lo abbandonò sulla poltrona di cuoio vintage, uno dei mobili che si erano portati dall'appartamento del Passage d'Enfer. Di quando in quando passavano per quella strada e guardavano le imposte azzurro pastello delle finestre di quella che era stata la casa di Dean per due anni e il nido del loro amore per i primi mesi della loro relazione.
Trasse un profondo respiro ed entrò nel bagno dotato di ogni comfort, mezzo ligneo come la camera da letto, con pavimento in cotto e i muri sfumati di colori che ricordavano il cielo al tramonto sul mare: rossi, rosa, aranci, viola, lilla e in fine svariati azzurri, avevano voluto ricreare un ambiente tanto rilassante, quanto stimolante e quei colori riuscivano egregiamente nell'intento. Aprì i rubinetti della vasca di porcellana con i piedi di leone, altra chicca particolarmente apprezzata ai suoi occhi e si spogliò completamente, perdendosi nella contemplazione delle centinaia di fotografie che adornavano la parete di fondo: l'avevano completamente riempita di cornici nere, tutte di diverse dimensioni, ma del medesimo colore. Ogni cornice proteggeva una fotografia che raffigurava una persona, un luogo, un oggetto e tutte avevano un significato ben preciso.
Sapevano d'amore, di felicità, di complicità, d'amicizia, d'allegria e passione: le loro mani intrecciate in una presa salda e forte, gli occhi color miele di Dean, che non erano mai cambiati nel corso degli anni se non per le leggere rughe d'espressione che avevano contribuito a renderlo sempre più affascinante. I loro nipotini, i figli di Thalie e Tristan, che entrambi adoravano e che li chiamano “zii”: Jules era il maschietto e il più piccolino e Madeleine era la femminuccia, bionda e piena di vita come sua madre, con gli stessi occhi vispi e azzurri. C'era Nonna Blanchard appesa a quella parete, insieme al suo nuovo compagno, Eduàrd, un vecchietto forte e vivace che sapeva tener testa a quella matta di sua nonna, la sosteneva e rendeva felice. C'era Svetlana, che ora abitava a New York ed era entrata a far parte del New York City Ballett come prima ballerina: si vedevano sempre quando capitavano nella stessa città, si sentivano spessissimo e gli piaceva ricordare insieme a lei gli albori, come la loro carriera di ballerini era nata e cresciuta contemporaneamente ed era sbocciata rendendoli professionisti affermati e ricercati. Le doveva molto e le sarebbe stato per sempre riconoscente.
E c'era Dean, ovunque, anche dove era raffigurato tutt'altro: quegli scatti li aveva fatti tutti lui, aveva curato lo sviluppo delle foto, poi le avevano incorniciate e appese insieme, decidendo la collocazione e baciandosi ogni volta che ne inchiodavano una alla parte. Abbassò lo sguardo sul proprio polso destro dove brillava un bracciale rigido, d'oro bianco: Oltre la paura. Lo strinse fra le dita prima di correre verso il piano inferiore dove, stupidamente nudo, schiacciò il nome “Caesar” sul touch screen dell'iphone azzurro e se l'accostò all'orecchio, nervoso, tanto che prese a mordicchiarsi il labbro inferiore.
___ « Ollie? Va tutto bene?»
___ « Sì, ma no. Nel senso: stiamo benissimo, ma non osare presentarti a casa senza una bottiglia di vino. Mi serve, okey?» Poteva immaginarsi la faccia perplessa del compagno e sorrise placidamente.
___ « … Mi stai facendo preoccupare.»
___ « Non devi! A che ora atterri?»
___ « Sto per imbarcarmi. Un'oretta e mezza di volo e mezz'ora per essere a casa.» Lo sentì sospirare, sapeva che si stava passando una mano fra i capelli scuri. « Olivier, davvero va tutto bene?»
___ « Benissimo! Mi faccio un bagno. Ti amo, fa buon viaggio!» Cercò d'imprimere la maggior allegria possibile nel proprio tono, per rilassarlo, rassicurarlo, ma anche indispettirlo maggiormente.
___ « Sciocco. A dopo.»
___ « Pft … Brrr! Che freddo!» Abbandonò l'iphone su un ripiano e corse su per la scala a chiocciola, seguito a ruota da Ciel che si accucciò ai piedi della vasca di porcellana coi piedi di leone d'ottone; lo guardò, osservò minuziosamente i suoi occhi azzurro ghiaccio e gli affondò una mano bagnata sul pelo bianco del capo. L'husky gli rivolse lo sguardo prima di leccargli docilmente il polso, quindi si accoccolò sul tappettino del bagno e socchiuse le palpebre pelose, del tutto intenzionato a non lasciarlo da solo nemmeno in quel frangente.
Gli sorrise.
___ « Sei il cane migliore del mondo.» Decretò prima di immergere totalmente il corpo nell'acqua bollente e profumata dai sali al patchouli.



Non riusciva a staccare gli occhi dallo schermo dell'i-pad: Olivier era bellissimo.
Sapeva di essere risultato al quanto sgarbato all'autista, l'avergli semplicemente dato l'indirizzo prima di infilarsi le cuffiette nelle orecchie non era stata una mossa particolarmente educata, ma doveva rivedere le prove dello spettacolo, quello per cui avevano lavorato così duramente in quegli anni: avevano passato intere notti in bianco a comporre musica, pensare coreografie, spiegare a costumisti e scenografi la loro visione di “ Azzurro” , che finalmente aveva preso vita. Adesso avevano i finanziamenti e il teatro per l'anteprima: tutto era andato come avevano previsto.
Dieci anni, erano passati dieci anni e ci erano riusciti.
Fece fermare l'auto accanto a un'enoteca e comprò una bottiglia di champagne, quindi chiuse gli occhi per il resto del tragitto gustandosi mentalmente i balletti messi in atto dalla compagnia, La Corte dei Miracoli che, capeggiata dal primo ballerino, Olivier Blanchard, danzava l'arte.
Azzurro era questo: arte che prendeva vita grazie ai corpi dei ballerini, che si esibivano sulle note di musiche originali, composte ed eseguite da musicisti che erano stati grandiosi nel far prender vita alle melodie che lui e Olivier avevano immaginato insieme. Si trattava letteralmente di arte in movimento: avevano scelto i loro quadri, statue o installazioni artistiche preferiti, iniziando dall'epoca romantica fino ad arrivare alla Pop Art; avevano creato fondali enormi nei quali si inserivano i ballerini, truccati e abbigliati come fossero un pezzo integrante dell'opera. I vari atti iniziavano così: il sipario si apriva sul capolavoro prescelto, la musica partiva e man mano i ballerini iniziavano a danzare, donando vita alla scenografia. Avevano fatto un ottimo lavoro, ne erano tutti orgogliosi, specialmente lui era fiero di Olivier. Il suo bel pulcino biondo era diventato un cigno maestoso, era cresciuto, si era evoluto sotto i suoi occhi e di giorno in giorno l'aveva amato sempre di più.
Lasciò una generosa mancia all'autista per sopperire alla sua momentanea mancanza di educazione e, armato di mini trolley leggero e bottiglia di champagne, si diresse verso il portone della piccola palazzina parigina.
Quando infilò le chiavi nella toppa della porta blindata, sentì immediatamente l'uggiolio di Ciel e sorrise ancor prima di spalancare il battente e trovarsi l'husky bianco scodinzolante ai suoi piedi.
___ « Il mio bambino peloso! Eccoci qui!» Si accovacciò sui talloni e abbracciò il cane che lo leccò, agitatissimo e felice di avere di nuovo entrambi i suoi padroni sotto lo stesso tetto. O forse era lieto di essere a Parigi. « Sono contento anche io di vederti … sì, sì, sei bellissimo. Bacio?» Si indicò il viso e Ciel lo leccò avidamente, puntandogli le grosse zampe anteriori sulle spalle. « Ecco, su, oh – issa!» Pesava molto ovviamente, ma erano abituati così: quel cane era stato davvero come un figlio per loro e gli veniva naturale abbracciarlo, coccolarlo, portarlo un po' in braccio e lui li lasciava fare, assecondandoli nel sentirsi parte di una famiglia.
___ « Dean?» Due splendidi occhi azzurri lo inchiodarono al suolo appena fecero capolino d'oltre la cornice di una porta e quel sorriso gli sciolse il cervello. Strinse un'ultima volta l'husky, quindi lo appoggiò delicatamente sul pavimento ligneo prima di essere assalito da Olivier: ruzzolarono sul pavimento, il ballerino steso su di lui, le sue labbra calde a circondare le proprie in un bacio a dir poco travolgente.
___ « Ollie!» Esclamò prima di scoppiare a ridere.
___ « Mi sei mancato amore mio, tanto, tanto, tantissimo! Vero che ci è mancato paparino, eh, Ciel? Eh?» Anche il cane si era unito alla festa e le loro risate si unirono ai bassi ululati di gioia dell'husky.
___ « Sono stato via poco più di quarantotto ore!»
___ « Stai forse dicendo che a te la nostra lontananza non è pesata?» Quel falso broncio lo invogliò a tendere gli addominali e baciarlo di nuovo, succhiandogli il labbro inferiore e strisciandolo coi denti, delicatamente.
___ « Dire che mi sia pesata è un eufemismo.»
___ « Hai comprato il vino?» Gli domandò in un sorrisetto soddisfatto, che accompagnò a dolci effusioni di tutto il suo muscoloso e splendido corpo, sul proprio.
___ « Mhn … sì. E per fortuna l'ho appoggiato nell'ingresso o a quest'ora l'unico a berlo sarebbe Ciel. Dal pavimento.»
___ « Sei sempre così previdente, Hamilton.» Lo canzonò, con quella voce squisitamente profonda e musicale, che gli si era modificata nel corso del tempo e che aveva il potere di fargli venire la pelle d'oca. Piego il capo all'indietro, lasciando la possibilità alla sua morbida bocca di torturagli il collo e si sarebbe lasciato molestare per ore, anche lì, sul pavimento dell'ingresso, ma il compagno aveva piani diversi.
Sentì la morbidezza di una stoffa fresca cingerli il viso, all'altezza degli occhi e prima che potesse rendersene conto si trovò bendato.
___ « Olivier, ha deciso di spaziare col bondage anche in giro per la casa?»
___ « Sciocco.» Rise di sottecchi pensando che, un tempo, una domanda del genere l'avrebbe fatto arrossire da un orecchio all'altro, ma ora lo baciò, forzandogli le labbra per poterlo esplorare con tutta la calma del mondo. I suoi baci lo mandavano in estasi, avevano la capacità di fargli dimenticare dove fosse, cose stesse facendo, il proprio nome … ed era sempre stato così. Olivier era la sua personale incarnazione di lussuria, i suoi gesti, le sue carezze, la personificazione della pura passione: il labbro superiore, perfettamente disegnato da curve convesse deliziose da percorrere con la punta calda della lingua, quello inferiore, leggermente più pieno e per questo perfetto da mordere. E il suo sapore, che era naturalmente speziato, come se la natura si divertisse a farlo impazzire rendendo leggermente piccante il gusto della sua pelle.
___ « Vieni con me.» Gli sussurrò contro il lobo sinistro, soffiandogli le parole contro la pelle prima di posarvi in una rapida carezza le labbra.
Si alzò e lo seguì, ma prima Olivier lo liberò dal cappotto e la sciarpa.
___ « Cos'hai combinato, Blanchard?» ___ « Una sorpresina per te, ma petite.» Il suo tono divertito e malizioso lo mise in allarme, deliziandolo, incuriosendolo più che mai. « Ecco, fermo qui.» Gli lasciò le mani abbandonandolo in piedi in mezzo al salotto, cieco per via della benda, ma non potevano che essere in quella stanza dove poteva sentire un delizioso profumo di candele aromatiche.
___ « … Posso?»
___ « Devi.»
Sfilò la benda direttamente dalla testa, senza slegarla, scompigliandosi sicuramente i capelli scuri, ma la sua espressione doveva essere molto più sconvolta della zazzera castana. La stanza brillava di un'alone di luce giallastra: c'erano candele bianche ovunque, su ogni ripiano ed erano di qualsiasi dimensione e forma, ma sempre candide. Si irrigidì e spalancò le palpebre notando il compagno in terra, davanti a lui: un sorriso sornione gl'increspava quella bocca perfetta, sulla quale avrebbe voluto avventarsi per morderla, torturarla esattamente come stava facendo lui col proprio animo.
___ « … Olivier … »
___ « Ti ricordi quand'è stata la prima volta che ho acceso così tante candele in una stanza, per te?»
Come avrebbe potuto dimenticarlo?
___ « Londra.» Rispose subito, passandosi poi una mano fra i capelli, in un gesto nervoso. « Eravamo a casa dei miei … abbiamo fatto l'amore per la prima volta.» Si sentì sciocco nel constatare che la sua voce era ridotta a un fioco sussurro, tuttavia non riusciva a esprimersi decentemente: era sopraffatto dalle emozioni, dall'atmosfera, da Olivier.
Che gli sorrise, accentuando l'aria maliziosa per lasciar spazio a uno sguardo pregno d'una dolcezza infinita.
___ « Io ti amo, Dean Caesar Hamilton. Ti amo talmente profondamente e sinceramente … » Sospirò, emozionato. « Vorrei evitare di pompare questa scena con parole inutili, perché ne bastano due: ti amo. Non c'è niente di più vero ch'io abbia mai detto, non c'è niente di più entusiasmante e splendido che il mio cuore, il mio cervello, il mio corpo e la mia anima abbiano provato. Ti amo, mio tutto.» Le sue dita affusolate, fino a quel momento strette in due morse nervose, si spalancarono lentamente lasciando alla propria vista qualcosa di rotondo, scintillante, semplice.
I suoi occhi azzurri non avevano mai lasciato i propri, il suo ginocchio sinistro, puntato per terra, non aveva vacillato un solo istante.
___ « I nostri cuori sono così vicini, che col tuo cuore e col mio cuore, si può costruire un unico cuore.» Shakespeare. « Vuoi sposarmi, Dean?»
E lo sentì il cuore, che si scioglieva; e con lui la vista, il tatto, l'olfatto, l'udito.
Per un attimo provò una sensazione di annullamento, di oblio.
Riaprì flebilmente le palpebre e trovò Olivier in piedi, davanti a sé, che non aveva perso il suo sorriso carezzevole ed emozionato.
Allungò la mano sinistra verso la sua, sfiorò l'anello con la punta delle dita e una scarica di adrenalina gli attraversò il corpo, facendolo sentire vivo.
Si era annullato per rinascere un essere nuovo: non più uno, ma due.
___ « Sì. Sì. Sì, sì e ancora sì, Olivier.» I polpastrelli si appoggiarono sulle sue guance calde, le labbra sulla sua bocca e contro essa ripeté nuovamente. « Sì, sì, sì … » Espirò un respiro caldo che impatto sul suo viso, restituendogliene una parte.
Lui non smise mai di avere un placido sorriso a incurvargli le labbra, ricambiò le sue effusioni stringendolo a sé con un braccio e recuperandogli la mano sinistra con la sua opposta. Intrecciò i loro sguardi, ormai alla stessa altezza e guidò la sua attenzione verso l'anello d'oro bianco, una fascia semplice che gli aveva piazzato davanti al viso. All'interno era inciso qualcosa.
___ « Insieme oltre la paura.» Sussurrò Olivier prima di infilargli la fedina all'anulare sinistro.
Era perfetto, tutto: l'anello, le loro dita intrecciate in una morsa forte e indivisibile, i loro occhi fusi in uno sguardo carico d'amore, sentimento riversato in un bacio che gli bloccò il battito cardiaco, prima di farlo accelerare vertiginosamente. Il suo maglioncino gettato a terra, senza alcuna cura, così che i propri polpastrelli potessero accarezzare ogni centimetro della sua pelle profumata. Gli abiti spariti chissà dove e non aveva importanza: importava solo il corpo di Olivier premuto contro il proprio, sul tappeto morbido davanti al piccolo camino del salotto.
E i suoi occhi, due gemme incastonate in un viso gentile, che racchiudeva mille e una sfumature d'azzurro. I suoi occhi preferiti in tutto il mondo, l'universo, le galassie.
___ « Dean … » Il suo respiro caldo che s'infrangeva sul proprio viso, in un soffio carezzevole. «Sposami.»
Gli sorrise.
___ « Sì.»
___ « Dillo di nuovo … » Un bacio, una carezza sul fianco, sotto la coperta di lana scozzese che avvolgeva i loro corpi nudi, unendoli in un abbraccio rovente.
___ « Sì, Olivier: ti sposo.»
___ « Come si dice?» Domandò ridacchiando appena. « Nella buona e nella cattiva sorte … e, in salute e malattia?»
___ « Beh, in malattia magari ti sto lontano!»
___ « Dean!» Un pizzicotto, seguito da risate e baci, tantissimi baci.
___ « Mhn … io ti prometto di esserti fedele sempre.» Riprese lui, portando una mano fra i suoi capelli biondi, leggermente ondulati e morbidissimi.
___ « Direi. Anche perché sennò ti spezzo le gambe.»
___ « Reciproco.»
___ « Ci mancherebbe.»
___ « E di amarti e onorarti ogni giorno delle nostre vite.»
___ « Evitiamo la cosa della morte? E' di una tristezza abissale, e non voglio deprimermi il giorno in cui ti infilerò una fede al dito.»
Annuì appena prima di stringere dolcemente una sua mano: l'accompagnò al proprio viso e vi posò sopra un flebile bacio.
___ « Ti amo perché hai mantenuto la tua singolarità: tutti nascono unici, ma pochi continuano a esserlo nell'arco della loro vita.» Sussurrò intrecciando le dita con quelle di lui. « Il tuo amore è quell'essenziale di cui non posso fare a meno neanche per un istante: tu sei come i raggi del sole, che mi illuminano e riscaldano.» Incrociò i propri occhi color miele coi suoi azzurri, spalancati in un moto di stupore. « Te ho sempre da sveglio nella mente, te di notte quando chiudo le palpebre e mi addormento, vinto dal sonno, ma sempre cullato dalla tua dolce immagine.» Rise appena, prima di umettarsi le labbra con la punta della lingua. « E un giorno ho preso una margherita e ho fatto “m'ama o non m'ama” … la prima volta è venuto m'ama, allora mi ama, ma la seconda volta è venuto non m'ama, e allora mi sono preoccupato.»
___ « Anche le margherite possono mentire.»
___ « Jim Morrison.»
___ « Dean …»
___ « Sì, ti sposo.» Gli raccolse una lacrima di commozione con le labbra, prima di stringerlo forte a sé.

Successe durante una giornata di sole invernale, in uno di quegli splendidi giorni in cui i raggi freddi del sole colorano la città d'oro e argento e il cielo azzurro intenso si presentava come una tavolozza perfetta, senza nemmeno una nuvola a sporcarla. Tutte le persone che amavano si erano riunite al Bistrot, chiuso per festeggiarli seppur fosse un giorno feriale.
Era il 25 Settembre, avevano atteso questa particolare data perché in quell'esatto giorno di dieci anni prima Olivier aveva debuttato all'Operà di Paris e i loro sguardi si erano incrociati per la prima volta durante la festa della Corte dei Miracoli.
E si erano innamorati l'un dell'altro, senza nemmeno rendersene conto.
Quel giorno avevano firmato un patto indissolubile, siglandolo col sangue e suggellandolo con la carne: da quella notte non si erano più lasciati andare. Mai.
Olivier gli strinse la mano per tutto il tempo, non scostò mai gli occhi dal funzionario: il suo sguardo era lucido, la postura impettita, le dita chiuse in una ferrea presa sulle sue. E il tono con cui aveva pronunciato quella semplice, stupenda parola, era dolce e fermo.
___ « Sì.» Vacillò un solo istante, ruotò poi il viso per poter cercare i suoi occhi: riconobbe in lui quella flebile ombra di timidezza che l'aveva caratterizzato nei primi mesi della loro relazione, amorevole, dolcissimo, timoroso Olivier. « Lo voglio.» Aggiunse umettandosi le labbra con la punta della lingua, in un gesto non volutamente malizioso, ma ugualmente erotico.
Toccava a lui, adesso.
___ « Lo voglio.» Rise di sottecchi, stupendosi della propria fretta. « Sì, lo voglio. Ora e per sempre.»
___ « Con i poteri conferitemi dallo Stato di Francia, vi dichiaro ufficialmente una coppia sposata.»
Si baciarono, senza indugi, non persero tempo a scambiarsi uno sguardo, o una carezza, nulla; Thalie e Tristan, i loro testimoni, applaudirono entusiasti e lei scoppiò un paio di miccette a coriandoli, mentre leggere lacrime di gioia le sgorgavano dagli begli occhi azzurri.
___ « Congratulazioni! E cacchio, era ora! Vai fratellino! »
Risero, appoggiati l'uno alle labbra dell'altro: le braccia di Olivier a circondargli le spalle, le proprie gli stringevano i fianchi, i loro petti a contatto come a volersi fondere in un unico essere.
___ « Il cuore ... ti batte così forte.» Sussurrò passandogli docilmente una mano fra i capelli biondi.
___ « Sono ... sconvolto.» Confessò lui in un mormorio, facendogli spalancare le palpebre per un istante.
___ « Sconvolto?»
___ « Oui ...» Sussurrò posandogli un nuovo, delicato bacio a fior di labbra; i suoi occhi, luminosi più che mai, gli catturarono lo sguardo, magnetici. « Grazie a te conosco il vero significato della parola "felicità". Non è una fortuna che tutti riescono a conoscere, nell'arco della loro vita.»
Deglutì a fatica ed espirò con forza dal naso socchiudendo le palpebre mentre appoggiava la fronte contro la sua.
___ « I love you, Olivier.»
___ « Je t'aime, Dean.»










Fin.




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Ora è finita sul serio!
Questo epilogo è stato un parto da scrivere, peggio dell'ultimo capitolo! Forse non volevo che finisse sul serio, non lo so … ma mi piace, tanto.
E vorrei scrivere ancora di loro, magari delle one-shot? Voi avreste delle richieste? Mi piacerebbe confrontarmi con chi mi ha seguita fin qui! Con chi ha visto questi due incontrarsi, innamorarsi e coronare tutti i loro sogni.
Perché esiste chi ce la fa, esiste. Deve esiste, devo crederci.
Crediamoci tutti insieme!
vivubì, grazie anche da parte di Ollie e Dean <3

Piésse: mi è venuta un'idea un po' folle, forse … ma potrei creare una pagina di FB dove postare foto, fan art – se le fate XD – pensieri, blabla, riguardo alle storie che scrivo. Che ne dite? Fatemi sapere se la cosa vi interessa!



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