La vita dietro la porta

di Eleonora_86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rientro ***
Capitolo 2: *** Calendario ***
Capitolo 3: *** Mamma Ilaria ***
Capitolo 4: *** Il ritorno ***
Capitolo 5: *** E parlo... ***
Capitolo 6: *** Per la prima volta... ***



Capitolo 1
*** Rientro ***


Sbam! È il rumore della porta di casa che sbatte con forza, fa tremare i muri. Ferma, davanti al lavello della cucina il mio cuore si blocca, perde un colpo, forse due. A volte sembra proprio fermarsi e non sembra ripartire più. In quei pochi istanti, che dividono quel rumore dal suono ritmico dei suoi passi sul parquet, tutto il mio corpo s’irrigidisce. Un brivido gelido mi percorre la spina dorsale salendo fino alla nuca. Chiudo gli occhi mentre sento che si avvicina sempre di più. Un passo dopo l’altro arriva dietro di me. Faccio un profondo respiro continuando ad affettare le zucchine. La sua mano sinistra mi scosta i lunghi capelli neri scoprendo il collo. Le sue labbra si posano per un istante sulla mia spalla nuda. La mano scende sul mio petto sfiorandomi un seno. Abbasso leggermente lo sguardo e fisso le sue dita muoversi in cerca del mio capezzolo. Noto la fede sul suo anulare e il mio cuore perde un altro colpo ricordando il giorno del nostro matrimonio. Le sue labbra risalgono lentamente il mio collo arrivando all’orecchio. Il suo alito caldo mi solletica il timpano facendomi nuovamente rabbrividire.
“Ciao piccola” sussurra con la sua voce profonda e sensuale.

“Ciao” mormoro tesa “com’è andata oggi a lavoro?” mi sforzo di sorridere voltandomi verso di lui. Era sempre difficile capire di che umore fosse. Lui mugola qualcosa staccandosi da me. Si toglie la giacca posandola sullo schienale del divano. Passano minuti interminabili, di ostinato silenzio, mentre io cerco in tutti i modi di continuare a cucinare mostrandomi indifferente.
“La solita giornata di merda!” risponde dopo quasi cinque minuti. Mi giro a guardarlo, vorrei chiedergli il motivo ma, in sei anni, ho imparato che è una pessima idea.

“Tra poco è pronto, amore” mi limito a rispondere tornando davanti al lavandino. Lo sento girare per il soggiorno e poi entrare nella nostra camera da letto. Scolo la pasta a dodici minuti esatti di cottura. Lui odia la pasta scotta. Finisco di saltare le verdure e le verso nella pentola.

“Luca? E’ pronto” gli dico facendomi sentire dalla cucina. Impiatto e gli riempio il bicchiere con un poco di vino e lo aspetto. Quando arriva si è cambiato. Ora indossa una semplice maglia intima con un paio di pantaloncini. Si siede al suo posto a capotavola senza parlare. I suoi movimenti sono calmi e calcolati. Fin troppo. Capisco che è molto nervoso. Mi siedo al mio posto, di fronte a lui, e inizio a mangiare.

“Oggi ha chiamato tua madre” comincio per rompere il ghiaccio. Questo silenzio mi uccide. Lui alza lo sguardo su di me e mi fissa aspettando il seguito. “Chiede se domenica pranziamo da lei” continuo. Lui annuisce continuando a mangiare in silenzio. Ricomincio pure io inforcando un pezzo di carota e una zucchina.

“Ha chiamato anche Monica” dico. Lui alza lo sguardo freddo su di me. “mi ha chiesto se domani pomeriggio la accompagno al cinema” la mia voce è sempre meno udibile man mano che la frase prosegue. Tanto che ho il sospetto che lui non abbia nemmeno sentito la parola cinema. Non lo guardo continuando a mangiare. Mi limito ad aspettare una sua qualsiasi reazione. L’attesa forse è peggio del silenzio.
“Sai come la penso, Jessica” risponde infine, con tono piatto, posando la forchetta. Privo di una qualsiasi emozione mi fissa. “Quella non mi piace. E’ una troia!”

“E’ mia amica, Luca” mi azzardo a dire. “Non la vedo da quasi due mesi e tu lavorerai tutto il giorno. Andremo allo spettacolo pomeridiano… alle diciotto sarò già a casa… troverai la cena pronta, come sempre” Lo guardo con un filo di speranza. Lo vedo spostare il peso sulla sedia e sistemarsi meglio.
“Manca il sale in questa pasta di merda!” Tuona all’improvviso. Stringo la forchetta nella mano destra fino a farmi venire le nocche bianche.

“Scusa amore” mi scuso subito guardando il piatto di pasta di fronte a me. “la prossima volta…” mi blocco quando la sua mano picchia con forza sul tavolo producendo un rumore sordo che mi fa sussultare. “Ti preparo subito qualcos’altro?” chiedo alzandomi e portandogli via il piatto di pasta. “ho comprato del prosciutto crudo…” Non ottengo risposta ma quando mi giro me lo ritrovo dietro. L’occhio sinistro si chiude un istante prima di venire colpito dal suo manrovescio. Barcollo cercando di mantenere l’equilibrio, mi aggrappo al piano della cucina e, miracolosamente, resto in piedi. Mi porto una mano sulla guancia sinistra alzando lentamente lo sguardo su di lui. Devo cercare di salvare il salvabile quindi mi ricompongo il più in fretta possibile. “C’è anche la mozzarella” sussurro prendendola come scusa per allontanarmi da lui e arrivare al frigorifero.

“Monica è una puttana” dice “Le puttane stanno con le puttane…” si avvicina “sei una puttana tu, Jessica? Ho sposato una puttana io?” Sibila davanti al mio viso. Devo rispondere. Lui odia quando non rispondo alle sue domande. Eppure non ci riesco. Le mie corde vocali sembrano come annodate e non mi permettono di emettere alcun suono. “Sei sorda? Ti ho fatto una domanda facile. O sei tanto stupida da non riuscire a capire una semplice domanda, Jessica?”
Balbetto un “n-no” striminzito. È tutto ciò che riesco a dire mentre lui, ancora più furioso, mi afferra per la spalla e mi spinge fuori dalla cucina. “Sei una puttana allora, Jessica?” scuoto la testa.

“Luca, basta. Smettila mi fai male” sussurro finalmente. Mi trascina fino alla camera da letto e mi butta in malo modo sul letto. Mi giro verso di lui con l’orecchio che ancora fischia per lo schiaffo di poco prima.
“Se ho sposato una puttana devo saperlo, Jessica” Odio quando dice il mio nome continuamente. Mi mette ansia. Resta nudo e io osservo l’erezione tra le gambe, inconsciamente chiudo le mie. Si avvicina prendendomi per i capelli. Mi sfila i vestiti e l’intimo lasciandomi nuda. Non mi guarda nemmeno mentre mi apre le gambe con le ginocchia e mi penetra all’improvviso. Cerco inutilmente di fermarlo ma rimedio soltanto altri schiaffi e tirate di capelli. Alla fine rinuncio e aspetto solo che finisca. La mia fortuna è che non dura molto. Non dura mai molto.

Una volta finito si alza infilandosi i boxer. “Chiama la troia e dille che hai l’influenza o quello che ti pare” Si gira e se ne va richiudendo la porta. Lo sento andare in soggiorno e iniziare a fare zapping. Lentamente mi alzo e, tutta indolenzita, entro in bagno. Strofino la mia pelle fino a farla quasi sanguinare per non sentirmi più così sporca come solo lui riesce a farmi sentire. Dopo parecchio tempo esco e m’infilo nel letto, mi volto sul fianco destro e mi addormento quasi subito.

Mi sveglio poco dopo sentendolo entrare in camera. Non mi giro mentre lui si sdraia accanto a me, mi prende e mi avvicina a lui schiacciando il suo petto sulla mia schiena. Mi abbraccia e mi bacia una spalla. “Ti amo piccola, buonanotte” Fingo di dormire.

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Capitolo 2
*** Calendario ***


Mi alzo pochi minuti prima delle sette spegnendo la sveglia sul comodino. Arrivo al bagno e mi fisso nello specchio. Ciò che vedo mi è fin troppo familiare. Un livido evidente mi copre tutta la parte sinistra del viso, giusto sotto l’occhio. Sospiro e prendo quelli che, ormai, sono diventati i miei ferri del mestiere: correttore e fondotinta. Rimetto insieme la mia immagine e, il più silenziosamente possibile, vado in cucina iniziando a preparare la colazione. Una volta che è tutto pronto torno in camera e mi avvicino al letto.
 
                “Luca, è pronto…” mi limito a dire e torno in cucina versando il caffe nella tazza. Lui arriva pochi minuti dopo. Il suo sorriso è raggiante. Parla di tutto e di più seduto a tavola. Riesce perfino a farmi ridere un paio di volte. Prima di uscire di casa mi bacia dolcemente sulle labbra e mi dice che sono bellissima. Sorrido tornando alle mie faccende un po’ più serena. In fondo mi ama, è solo nervoso.
 
Sono quasi le undici quando un sms al cellulare mi riporta alla realtà. Monica mi chiede l’orario per il pomeriggio, per andare al cinema. Rispondo di avere l’influenza. Mi manda un sacco di faccine tristi ma non insiste. Dubito se la sia bevuta, forse è la terza volta, questo mese, che le dico di avere l’influenza.
Nel pomeriggio preparo le lasagne, a Luca piacciono tanto. Quando arriva era quasi tutto pronto, come sempre. La porta si apre e lo sento entrare. Il solito vuoto nello stomaco mi prende e mi fa tremare. Respiro per calmarmi e mi giro verso di lui.
 
“Ciao piccola, che buon profumino!” Mi raggiunge e mi bacia con un sorriso a tremila denti. Tiro un sospiro di sollievo per il suo buon umore. Devo fare di tutto per fare in modo che resti così a lungo. Gli sorrido ricambiando il suo bacio. “Ti ho fatto le lasagne” Mi bacia di nuovo lasciandomi qualcosa in mano. Abbasso lo sguardo illuminandomi. “Wow… che cosa è?” Chiedo spostandomi da lui. Poso la scatolina sul tavolo aprendo il nastrino di velluto rosso. Apro e sgrano gli occhi di fronte alla catenina d’oro che mi trovo tra le dita. Mi giro sorridendo e lo bacio per l’ennesima volta. Lui mi fa girare e mi allaccia la catenina baciandomi il collo. Rabbrividisco per quel contatto. E’ così bello quando sorride che mi manca il fiato mentre lo guardo. Mi bacia di nuovo prima di staccarsi e andare in bagno a cambiarsi.
 
Io mi giro e vado verso il frigorifero per prendere da bere, i miei occhi cadono di nuovo sul calendario. Lunedì 26 agosto. Martedì scorso. Ho come la continua impressione di essermi dimenticata qualcosa in quella data. “Beh… ormai siamo al 31, qualunque cosa fosse è già andata” mormoro tra me e me prendendo la bottiglia di vino rosso e richiudendo il frigorifero. Lo sento cantare mentre torna in cucina. Sorrido e pranziamo.

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Capitolo 3
*** Mamma Ilaria ***


E’ domenica. E la domenica si va, quasi sempre, a pranzo da sua madre, mamma Ilaria. Io non ho più i genitori. Mio padre è morto quando io ero piccola mentre mia madre è morta sette anni fa, di cancro al seno. Un anno prima che mi sposassi con Luca.
 
Come sempre, prima di andare da mia suocera, andiamo in Chiesa. Luca, come tutta la sua famiglia, è molto religioso, non si può mai saltare la messa. Io sono atea, ma da quando ci siamo sposati vado in Chiesa. Più che altro passo un’ora ad osservare quadri e dipinti ma… meglio che niente.
 
Quando usciamo è quasi mezzogiorno e dobbiamo sbrigarci. Ci fermiamo in pasticceria in centro, mamma Ilaria ama i babà. Ne prendiamo un piccolo vassoio e sfrecciamo, sulla nostra Audi, fino a casa di mia suocera. Io sono felice, il livido sul viso è quasi del tutto sparito e il fondotinta ne copre gli ultimi rimasugli. Anche Luca è sereno, quindi, si prospetta una buona giornata.
 
L’atmosfera però cambia subito quando entriamo nel cortile di casa sua. La golf del fratello di Luca, Marco, era parcheggiata nel vialetto. Marco viveva da solo da molti anni, Luca non lo sopporta. Io sorrido, Marco mi piace, è simpatico, sorride sempre e ha sempre la battuta pronta.
 
“Quel coglione” esordisce Luca fermando l’auto dietro a quella del fratello, mi fulmina con lo sguardo e mi prende il viso tra le mani “Vedi di non farmi arrabbiare, piccola. Non ne ho voglia” mi dice duro prima di prepararsi a scendere.
 
Mi si gela il sangue e abbasso lo sguardo sul vassoio della pasticceria che porto in grembo. La pagina del calendario “lunedì 26 agosto” mi passa di nuovo davanti agli occhi. Non so per quale strano motivo quella data mi tormenta da qualche giorno.
 
“Stai calmo” sussurro guardando la porta, dove, mamma Ilaria ci salutava sorridente “Mangiamo e torniamo a casa, una cosa veloce”. Gli bacio le labbra e scendo aspettando che mi raggiunga. Lui mi prende il braccio stringendolo un po’ troppo forte e mi spinge in casa. Sorrido ma sono preoccupata.
 
Suo fratello è spaparanzato sul divano a guardare un programma di televendite di attrezzi da palestra. Ci saluta con la mano senza girarsi e senza alzarsi. “Bellezza, come stai? Ancora sopporti quel vecchio di mio fratello?” ridacchio. Luca ha undici anni più di me, ed io ne ho due meno di Marco che ne ha ventisei. Sto per rispondere a tono ma la stretta di Luca, che s’intensifica sul mio braccio, mi fa desistere dal dire qualsiasi cosa. Luca alza il dito medio al fratello e mi spinge, con un falso sorriso, in cucina dove, Mamma Ilaria, mi illumina sul suo nuovo modo di conservare la marmellata imparato in non so quale trasmissione televisiva.
 
Il pranzo è puntualmente pronto pochi minuti dopo. L’atmosfera è leggermente più tranquilla, si ride e si scherza. Finiamo quasi due bottiglie di vino, anche quello aiuta a migliorare l’umore di tutti. Scoppio a ridere vedendo la faccia di Marco che fissa la TV. “Ma è mai possibile?” dice borbottando “che ogni volta che sono a tavola fanno trecento pubblicità di: oddio mi prude la patata, oddio soffro d’incontinenza, oddio soffro di meteorismo, oddio ho finito gli assorbenti? E’ mai possibile?” Ridiamo tutti ma l’ennesimo flash sul calendario mi blocca. Mi cade di mano il bicchiere di vino che si rovescia sulla tovaglia e sui miei pantaloni bianchi. “No!” Mi alzo pulendomi col tovagliolo. “Scusate” dico prendendo la borsetta e scappando in bagno ignorando lo sguardo inceneritore di Luca e le parole rassicuranti di mamma Ilaria.
 
Respiro appoggiando le mani al lavandino, mi guardo allo specchio. Il livido era solo un leggero alone sotto il correttore ma i miei occhi erano spalancati. Oggi che numero è? 1. Oggi è il primo settembre. Dal 26 agosto sono passati sei giorni. Sei giorni di ritardo. E’ solo un ritardo. È impossibile. Frugo nella borsa e prendo con mani tremanti il blister della pillola.
 
                La pillola è sul sabato. Oggi è domenica. Ne ho saltata una. “no, no, no… non si resta incinta saltando una sola pillola. Sarebbe sfiga!” Luisa ha impiegato più di sei mesi a restare incinta dopo aver smesso la pillola. Mi rinfresco un po’ il viso e le braccia. “Piccola, tutto bene? Ti stiamo tutti aspettando” la sua voce è dolce ma noto un tono di rimprovero.
 
“Arrivo subito, amore” Il cuore mi martella nel petto e mi rimbomba nelle orecchie, cerco di calmare almeno il tremore delle mani ed esco sorridendo. “Cavolo, sono un disastro…” sussurro superandolo, lui mi blocca dal braccio e mi fa voltare.
 
“Che cazzo ti prende?” sibila a pochi centimetri dal mio viso. “mi fai male, lasciami!” gli dico troppo nervosa per riuscire a controllarmi. La voce di Marco, per una volta seria, mi fa voltare. “Tutto bene?” Chiede fissando il fratello. “si grazie” rispondo approfittandone per scappare via e rimettermi a tavola. Mi scuso con mia suocera e il pranzo continua. Non bevo più vino.
 
Marco è molto silenzioso, mi guarda spesso, lo ignoro ma Luca mi lancia sguardi accusatori per tutto il tempo. Quasi non voglio tornare a casa. Quando salutiamo mi trema un po’ la voce, quando partiamo in auto tremo anche io.

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Capitolo 4
*** Il ritorno ***


Passo tutto il tempo in auto a contare e ricontare i giorni ma non c’erano errori. Sei giorni di ritardo. Il giorno dopo avrebbe dovuto andare in farmacia per fare un test di gravidanza.
 
                “Ti sei addormentata?” il tono freddo e nervoso di Luca mi fa rabbrividire. “No” sussurro. “allora scendi, muoviti” nemmeno mi ero resa conto di essere già nel parcheggio di casa. Scendo dall’auto ed entro appoggiando la borsa sul tavolo.
 
                “Vado a cambiarmi, amore” non aspetto la sua risposta e mi chiudo in bagno. Nella mia testa si affollano mille pensieri diversi. Prima mi vedo con il pancione a fotografarmi mentre cresce, come fanno le altre mamme che poi postano le loro foto su facebook, poi mi vedo con Luca che culla il bambino, la bacia e… ciack
 
                “Ci sei caduta in quel bagno?” il rumore della cinghia che schiocca mi fa rabbrividire “Esci”
“Devo farmi una doccia, amore. Puzzo ancora di vino…” dico sorridendo, ma non apro la porta. “Ho detto esci, nuda” ripete. Deglutisco spogliandomi lentamente. Di nuovo non apro la porta. “Mi manca poco, faccio presto, un attimo ed esco”
 
                “Ho detto ORA!” tuona. Sospiro e mi avvicino alla porta. Il tempo di girare la chiave e mi investe l’equivalente di un treno in corsa. Mi afferra per i capelli tirandomi fuori dal bagno, mi tira così forte che finisco a terra, sbattendo la testa contro la cassettiera. Per un istante vedo tutto nero ma mi riprendo poco prima di sentire lo schiocco della cinghia sulla schiena. Mugolo senza fiato sentendo i colpi successivi che mi sferzano la pelle.
 
                “Sei una troia” mi ringhia “Quante volte ti ho detto di non flirtare con quel coglione di mio fratello?” le sue parole mi gelano il sangue. Suo fratello? “Basta Luca! Non ho flirtato con Marco, non gli ho nemmeno parlato!” mi difendo invano. Un colpo più forte mi prende sul viso, il labbro si spacca iniziando a sanguinare. Gli altri colpi sono veloci e potenti, tanto da farmi mancare il fiato. Istintivamente mi raggomitolo coprendomi la pancia con le ginocchia e nascondendo come posso il viso. Pregarlo di smettere avrebbe solo incrementato la sua ira. Lui continua a colpirmi fino a quando, esausto, se ne va imprecando e insultandomi.
 
                Sento scattare la serratura della porta della camera mentre mi chiude dentro. Non provo nemmeno ad alzarmi, so che non ci riuscirei. Mi tremano le gambe e mi viene da vomitare. Mi rannicchio e piango silenziosamente fino ad addormentarmi.

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Capitolo 5
*** E parlo... ***


Mi risveglio ancora a terra, sul pavimento freddo della camera da letto. Il mio corpo è distrutto ma il mio primo pensiero va alla mia pancia piatta. Per la prima volta, dopo anni, la mia mente non si concentra subito sui lividi da coprire ma sulla possibile vita che porto dentro di me. Mi alzo e lentamente vado in cucina. La porta è aperta. Luca non ha dormito nella nostra camera ma sul divano ed è già uscito per andare a lavoro. La cosa non mi dispiace.
 
                Respiro con calma, la schiena mi fa male. Continuo a guardare il calendario. C’era sempre la possibilità che fosse solo uno stupido ritardo dovuto allo stress. Ma come potevo vivere con questo dubbio? Ho mille pensieri in testa che fanno a botte l’uno con l’altro. Luca ed io siamo sposati, che male ci sarebbe se fossi incinta? Ma lui non vuole un figlio. “è troppo presto” mi dice sempre “sei troppo stupida per crescere un bambino, non sei in grado nemmeno di badare a te stessa da sola, senza di me non hai nulla, non vali nulla” dice. Io incasso il colpo. Ha ragione. So che ha ragione, io non valgo nulla. Da sola non potrei fare nulla. La casa è sua. Il conto in banca è suo. Non ho soldi. Non ho un lavoro. Non ho nemmeno la patente. Non ho nulla. Non potrei vivere senza di lui. Non valgo nulla io.
 
                Mi alzo e una fitta alla schiena mi fa sibilare. Mi accarezzo il fianco e poi la pancia. Sospiro. Mi tolgo la catenina che mi ha regalato e la poso sul tavolo. Prendo la borsa ed esco chiamando Monica. Le dico poco, solo di trovarci in un determinato posto. Dopo nemmeno mezzora scendo dall’autobus nel parcheggio del cinema che, vista l’ora, è deserto. Lei è già lì ad aspettarmi.
 
                Quando salgo sulla sua auto non ho il coraggio di parlare, resto in silenzio guardandomi i piedi. Per la prima volta in sei anni non ho coperto i lividi, mi siedo fissando il tappetino dell’auto sotto di me. Lei respira. Trattiene il fiato. Si sposta nervosamente sul sedile e poi scoppia. Monica non è come me. Monica è una vera donna, una “con le palle”.
 
“Brutto bastardo, figlio di puttana” sbotta facendomi alzare il viso verso di lei prendendolo tra le dita della mano destra. Mi scende una lacrima silenziosa. Il mio primo istinto è quello di trovare una scusa. Una tra le mille che ho sempre inventato in questi anni. “Sono caduta dalle scale” “Sono inciampata in una buca sul marciapiedi, lo sai che sono sempre distratta” oppure di coprirlo, come sempre: “è colpa mia, è nervoso e l’ho fatto arrabbiare” oppure “lui mi ama, sono stata io a stuzzicarlo, non capisco mai quando smettere di stressarlo” Ne avrei altre centinaia da dire ma mi limito a guardarla per alcuni secondi restando in silenzio.
 
                “Forse sono incinta” mi costringo a dire alla fine “non posso tornare a casa” è questa l’unica cosa che le dico. “Non tornerai a casa” dice lei partendo con l’auto. Guida per alcuni minuti. Solo alla fine riconosco la strada. Scuoto la testa spaventata ma lei è irremovibile “Se sei incinta, ciò che fa a te lo farà a tuo figlio. E’ ciò che vuoi?” Scuoto la testa sgranando gli occhi e scendo davanti al pronto soccorso dell’ospedale. Lei mi segue subito e mi spinge delicatamente dentro. Due infermiere mi vengono incontro. Si parla poco, si sorride tanto, ci sono molti sguardi. Tra me e Monica. Tra Monica e le infermiere. Tra le infermiere tra loro. Sospiro. Mi vergogno. So cosa pensano. La mano di Monica sulla mia spalla mi tranquillizza, almeno in parte. Arriva una dottoressa. Anche lei sorride, ma è un sorriso che dice tante cose.
 
È un sorriso che non sorride. Annuisco seguendola in una stanza e… parlo.

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Capitolo 6
*** Per la prima volta... ***


Quella sera, quando Luca è tornato a casa, la cena non era pronta.  
Per la prima volta, in sei anni, io non ero a casa quando lui è tornato nervoso dal lavoro.
Per la prima volta, in sei anni, non ho dormito nel nostro letto o a terra piena di lividi e, soprattutto, non ho avuto paura.
 
Jessica, 02 Ottobre 2013

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