All up - Senza scampo

di Wolfass_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo, Prima parte. ***
Capitolo 4: *** Terzo capitolo, Seconda parte. ***
Capitolo 5: *** Quarto capitolo, Prima parte. ***
Capitolo 6: *** Quarto capitolo, Seconda parte. ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


All up - Senza scampo

La musica del locale era talmente forte che avevo l’impulso di tapparmi le orecchie e scappar via, ma quella sera ero lì per il diciottesimo compleanno della mia migliore amica e non potevo scomparire così, nel nulla.
Mi ero seduta sullo sgabello del bar e avevo chiesto una Coca Cola in lattina, visto che avevo ancora sedici anni e non potevo bere alcolici.
Mi guardai intorno, il pub era strapieno di ragazzi e ragazze più o meno della mia stessa età che ballavano come dei scalmanati in pista e non si fermavano neanche per riprendere fiato.
Appoggiai i gomiti sul tavolo per evitare di cadere a faccia avanti e schiacciare la lattina, ancora del tutto piena, con la testa.
Avevo sonno, non mi stavo divertendo e non avevo la minima idea di dove fosse la festeggiata.
Come se non bastasse, il bar man continuava a fissarmi e a sorridere divertito.
“Che c’è? Ho per caso un cartello in fronte con su scritto giullare di corte?” Chiesi, infastidita da quel comportamento infantile.
“No, scusa, è solo che hai l’aria di una a cui è appena morto il gatto.” Disse, asciugando uno dei bicchieri e riponendolo sulla mensola.
Non sapendo come rispondere e non volendo continuare quella conversazione a dir poco inutile, mi alzai alla ricerca della mia migliore amica.
Era seduta su uno dei divanetti rilegati in pelle viola del locale, avvinghiata ad un ragazzo probabilmente più grande di lei.
Feci una smorfia disgustata e mi diressi all’uscita.
Fuori faceva freddo e il vento si divertiva a scompigliarmi i capelli, facendomi sembrare appena scappata da un Ospedale Psichiatrico.
Mi convinsi che quella serata non poteva che peggiorare.
Mi sedetti a terra, con la testa appoggiata al muro, sfilai il cellulare dalla tasca dei jeans e mi accorsi che erano già mezzanotte.
Ma quanto doveva durare quella dannata festa?
Presi le sigarette dalla tasca interna del mio giacchetto in pelle marrone, rimproverandomi mentalmente per aver perso di nuovo il mio accendino.
Iniziai a cercare nella borsa, tirando fuori diverse cartacce e vecchi appunti di scuola mal ridotti.
Alla fine lo trovai, nascosto per bene sul fondo della borsa che mi ero ripromessa di sistemare un giorno di quelli.
Intanto i granelli di cenere, per via del vento, ricadevano su i miei pantaloni neri sporcandoli di bianco.
“Non sarai un po’ troppo piccola per fumare?” A parlare era stato il bar man di prima.
“Non ti conosco, quindi perché dovrei rivolgerti la mia preziosa attenzione?” Dissi, senza girarmi per guardarlo in viso.
“Non ti sto chiedendo di farlo, ma tu ti stai annoiando e parlare un po’ potrebbe far passare il tempo più velocemente.”
“Ok, tu parli e io ti ascolto.” Dissi, facendo segno con la mano di sedersi affianco a me.
“Comunque, mi chiamo Brendon.” Disse, porgendomi le mano che io afferrai con titubanza.

“Stecie.”
"Allora, fammi indovinare, sei stata costretta a partecipare ad un evento di cui avresti fatto volentieri a meno, vero?" Chiese, afferrando la sigaretta dalla mia mano e portandosela alla bocca.
"Già, una stupida festa di compleanno che sicuramente non mi cambierà la vita."
"Di solito le ragazze della tua età, in un contesto del genere, sarebbero dentro a farsela con qualche ragazzo anche solo minimamente carino."
"Il genere femminile è molto vario, sai?"
"Mi illumini, Signorina Sand" Disse, paragonandomi ad una delle femministe moderate del passato.
"Beh, ormai di ragazze serie in giro ne trovi poche. La maggior parte è troppo influenzata dal pensiero della società che le circonda, per essere perfette dovremmo essere tutte riproduzioni umane di Barbie." Dissi, incrociando le gambe come un'indiana e stringendomi un pò di più nel giacchetto in pelle.
"E tu? Che tipo sei?" Chiese il ragazzo, accennando ad un sorriso di incoraggiamento.
"Secondo te che tipo sono?"
"Non ti conosco, però posso descrivere che sensazioni trasmetti. Sembri più grande di quello che sei, lo capisco anche da come esponi i tuoi concetti." Disse, incrociando il mio sguardo.
"Diciamo che sono cresciuta un pò troppo in fretta, non avevo molte altre scelte. I miei litigano ogni sera, anche per i motivi più banali. Sono sempre troppo presi a scannarsi a vicenda che per la maggior parte del tempo si dimenticano di avere una figlia adolescente con problemi esistenziali compresi." Dissi, controllando l'ora sul cellulare.
"Cavolo se è tardi! Devo tornare a casa o domani mattina non credo di trovare la forza per andare a scuola."
Ci scambiammo i numeri di telefono e ci salutammo con un bacio sulla guancia.
"Bene, si ritorna al patibolo."  Pensai io dopo aver attraversato la strada che mi divideva dal Blue Moon.


__________

Ciao a tutti/e!
Questa è la seconda storia che scrivo, ma è la mia prima originale.
Come tema principale ho scelto l'adolescenza perchè la sto vivendo in prima persona.
Spero che come primo capitolo vi sia piaciuto, spero di ricevere qualche recensione per sapere le vostre opinioni :)
Seavete domande lasciate un commento o mi scrivete un messaggio personale.
Alla prossima!

-Wolfass.

P.s. Qui sotto vi lascio la foto della protagonista (Lindsay Lohan).

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Capitolo 2
*** Secondo capitolo ***


All up - Senza scampo

“Quella mattina a svegliarmi furono i raggi del sole e il profumo di brioche calde appena sfornate..”

Questa sarebbe l'introduzione perfetta per una storia scontata.
A risvegliarmi dal mio coma irreversibile erano state le urla isteriche di mia madre contro mio padre.
Cercai di coprirmi le orecchie con i cuscini ma niente da fare, le grida erano talmente forti che se solo si fossero avvicinati alla mia camera le pareti avrebbero iniziato a vibrare.
Guardai la sveglia, erano le otto e questo significava che ero in ritardo per scuola.
“A volte mi chiedo se mia madre si sia dimenticata di aver concepito e partorito una figlia sedici anni fa.” Pensai, alzandomi dal letto a fatica e andandomi a preparare.
Scesi le scale e mi nascosi dietro la parete, curiosa di sapere quale fosse il motivo di quella ennesima lite.
“Potresti anche sforzarti di andare a lavoro e portare i soldi a casa come fanno tutti i padri di famiglia.” Disse mia madre puntando il dito contro papà che ormai era esausto di ascoltare le solite lamentele di mamma.
“Mi sembra che non ci abbiano ancora staccato la corrente, ne tantomeno il gas, quindi i soldi non ci mancano!”
“Ma davvero? Allora spiegami perché abbiamo tutte queste difficoltà a pagare le bollette.” Continuò mia madre, sbattendogli in faccia i fogli bianchi con rabbia.
“La sai una cosa? Io non ce la faccio più, sposarti è stato l’errore più grande della mia vita!” Disse mio padre, guardandola un’ultima volta e uscendo di casa subito dopo sbattendo la porta.
“Forse sono io l’errore più grande della loro vita.” Pensai, vedendo mia madre seduta al tavolo della cucina che piangeva disperatamente.
Naturalmente era troppo “sconvolta” da quell’ultimo litigio con il marito per accorgersi della figlia che era appena uscita di casa furtivamente.
Dio solo sa quanta voglia avevo di scappare via e non tornare più, oppure di scomparire nella mia nuvoletta di fumo come nei cartoni animati.
Avrei voluto non provare niente, ma la verità era che ogni giorno peggioravo.
Era come se l’oscurità mi abbracciasse sempre più stretta, come a soffocarmi.
Ormai anche respirare regolarmente era diventato faticoso.
I miei non facevano altro che rinfacciarsi tutti gli errori di una vita passata insieme, urlavano in continuazione e a volte mi facevano paura, davvero.
C’èra stata una discussione, però, che mi segnò profondamente.
Eravamo tutti seduti a tavola a cenare, sembrava una serata tranquilla ma bastò una stupida battutina incompresa ad accendere la miccia.
Quando capii che la lite stava degenerando mi chiusi in camera, piangevo e pregavo perché finisse tutto al più presto.
Ma nessun Dio corse in mio aiuto quella sera.
Quando mio padre disse che da quella sera in poi non avrebbe più dormito a casa, il mondo mi crollò addosso.
Non volevo svegliarmi la mattina seguente e non rivedere mio padre, il suo posto era lì, accanto a me e mamma.
Iniziai a singhiozzare e a stare male perché in qualche modo mi ritenevo responsabile.
Dovevo fare qualcosa.
Trovai la scatola con tutte le foto di famiglia, scelsi quella che ritraeva me e mio padre a Venezia, avevo cinque anni e lui mi teneva in braccio, sfoggiando un sorriso smagliante.
Mi decisi ad aprire la porta e andai da mio papà, porgendogli la foto.

“Se davvero te ne vuoi andare, porta questa con te e ricordati di me in questo modo" Gli dissi, con la voce rotta dal pianto.
Non rispose, si avvicinò alla porta e la aprì.
A quel punto mi comportai da bambina che ero e mi lasciai prendere dalla disperazione.
Gli afferrai il braccio e lo strinsi, pregandolo di non andarsene.
Alla fine cedette e non se ne andò più.
Quando finii di ricordare, mi resi conto che non ero davanti all’entrata di scuola ma davanti alla porta del Blue Moon, il locale della sera precedente.
Non mi ero neanche accorta di aver iniziato a piangere silenziosamente e quando mi specchiai nel finestrino di una macchina parcheggiata poco lontana da me mi misi quasi paura.
Il mascara era colato lungo le guance, gli occhi era ancora velati di lacrime e le ciglia era tutte incollate tra loro.
Da brava adolescente che ero non presi un fazzoletto per ripulirmi, usai direttamente le maniche della maglietta.
Entrai nel locale e vidi Brendon spazzare per terra, nel tentativo di togliere tutte le cartacce e le altre schifezze che i ragazzi della notte scorsa avevano gettato sul pavimento senza farsi troppi problemi.
Non ero lì per raccontargli tutta la drammatica storia della mia vita, ero lì perché mi faceva piacere rivederlo.
Mi nascosi per bene dietro ad un tavolo abbandonato in un angolo buio del locale e rimasi li per circa quindici minuti, senza che lui si accorgesse di niente.
Poi quando lui mi diede definitivamente le spalle entrando nello sgabuzzino per posare il materiale delle pulizie, presi coraggio e mi alzai.
"Hey, che ci fai qui?" Chiese, non aspettandosi una mia visita.

“Sei libero questa sera? Ho voglia di farmi un’altra chiacchierata..” Dissi, sperando che accettasse per evitare una gran bella figura di merda.
Mi sarei suicidata se avesse risposto: "Mi dispiace, ma questa sera io e la mia ragazza facciamo un anno e volevo portarla a cena."
"Con le pulizie ho finito, quindi possiamo andare anche adesso."
Disse.
Pericolo scampato. Quella sera non sarebbe uscito con la possibile ragazza che già mi stava sulle palle alla sola idea.
Sia chiaro, quella non era gelosia, ma difendere il proprio territorio.

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Ciao a tutti/e!
Inizio dicendo che questo capitolo mi sta particolarmente a cuore, perchè non è totalmente frutto della mia fantasia ma si basa su fatti più o meno accaduti realmente.
Volevo ringraziare chi ha recensito il primo capitolo e che mi ha spinto a continuare questa storia nella speranza che possa piacere.
Accetto qualsiasi tipo di recensione, mi fa piacere sapere il vostro parere.
Spero, inoltre, che il capitolo sia stato di vostro gradimento :)


-Wolfass.

P.s. Vi lascio la foto di Brendon, che io immagino con il volto di Colton Haynes e un'altra foto di Stacie.


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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo, Prima parte. ***


 All up - Senza scampo


Uscimmo insieme dal locale e iniziammo a camminare senza avere una meta ben precisa.
Camminavamo un di fianco all'altro, lui con le mani in tasca e lo sguardo basso mentre io tenevo in mano il cellulare con la mano destra e giocherellavo con il filo bianco delle cuffiette.
"Allora, di cosa vuoi parlare?" Chiese, alzando gli occhi da terra per guardarmi.
"Beh, se vuoi posso ripeterti la lezione di diritto che avevo per oggi."
"Giusto, non dovresti essere a scuola a quest'ora?"

"Ho deciso che per un giorno le professoresse non avrebbero sentito la mia mancanza."
"E i tuoi lo sanno?"
"Si ricordano a malapena il giorno del mio compleanno, figuriamoci se si interessano alla mia vita scolastica. "
"Beh, se ti può consolare, mia madre non fa altro che ripetermi tutto il giorno che avrei dovuto studiare invece di andare a lavorare come Bar Man in un locale per teenager in crisi ormonale."
Scoppiamo entrambi a ridere.
“Ok, a quanto pare le nostre famiglie non sono il prototipo perfetto della solita famiglia felice Americana.” Dissi.
“Già, casa mia sembra uno zoo, mia madre non fa altro che urlare, papà torna tardi dal lavoro e si mette a guardare la T.V. e mia sorella mi stressa ogni giorno chiedendomi di giocare con le bambole.”
“E tu da bravo fratello maggiore la accontenti, naturalmente.”
“Veramente no, l’ha caccio sempre via..”
“Almeno tua madre si ricorda di cucinarti la cena, la mia va al letto prestissimo perché dice che dormire rilassa i nervi, quindi devo sfamarmi da sola.”
“E come te la cavi ai fornelli?”
“Ho preso l’alberghiero e studio per diventare chef, sono abbastanza brava.”
“Una piccola Gordon Ramsay, bene, i tuoi dipendenti saranno spacciati!”
“Si, se intendi che gli urlerò: Hey, tu, coglione di turno. Ti sembra questo il modo di cucinare un Filetto alla Wellington?”
Già, fare la deficente mi riusciva piuttosto bene.
Continuammo a camminare finché non ci ritrovammo davanti al grande cancello, nonché entrata, del Virginia Port Authority.
"Beh, come primo appuntamento è un po’ insolito, non credi?" Disse, voltandosi verso di me che ero rimasta poco più indietro.
"E chi ha mai parlato di primo appuntamento?"
"Hai intenzione di rimanere lì tutto il giorno?" Chiese avvicinandosi.
"Perché, tu cosa hai in mente di fare? Aiutare i pescatori a trasportare il pesce sulle navi?"
"Smettila di lamentarti e vieni con me!"
Mi prese la mano ed iniziammo a camminare verso il muretto delle coppie.
In città veniva chiamato così parchè solitamente lì ci si sedevano sempre tutte le coppiette di innamorati o futuri fidazati. 
"Iniziamo con le domande basilari, quanti anni hai?" Chiese, sedendosi sul muretto e aiutando anche me.
La mia agilità era paragonabile a quella di un bradipo cioè inesistente.
"Sedici, tu?"
"Venticinque."
"Cavolo, allora sei vecchio!"
Dissi, mettendomi a ridere.
"Come scusa? Sei tu che sei ancora troppo piccola!"
Mi diede una piccola spintarella, anche lui rideva.
-Insomma, dieci anni di differenza non sono poi così tanti- Pensai, nel tentativo di convincermi.
Se avessi avuto una famiglia normale con ogni probabilità mi avrebbero impedito anche solo di provarci con un ragazzo più grande di me.
Ma la mia di famiglia era tutto tranne che normale, sarei potuta scappare per Cuba e sposarmi con cinque uomini diversi da un giorno all'altro senza che loro si accorgessero di nulla.
“Domanda da un milione: Sei fidanzato?” Chiesi, riflettendo su come avevo trovato tutto quel coraggio per chiederglielo.
No, anzi, è una delle cose che mi ricorda più spesso mia madre. Tu, invece?”
“Inizio a pensare che morirò in compagnia di sei gatti, tre cani e un pesce rosso..”
“Ti piacciono gli animali?”
“Si, fatta eccezione per gli insetti, mi fanno ribrezzo.” Dissi, rabbrividendo solo al pensiero.
“Prossima domanda: che genere di film ti piace?”
“Mi piacciono quelli sul sovrannaturale, tipo la saga di Underworld. A te?”
“Comici, così almeno ti fai quattro risate quando ne hai bisogno.”
“Tipo Scemo E Più Scemo?” Chiesi.
“Beh, quello è un classico, riuscirebbe a far ridere anche l’uomo più depresso di questo mondo!”
“Ne conosco un paio di uomini depressi che si danno alla letteratura e non ai film comici.”
“Intendi Dante Alighieri?”
“Lui è solo l’inizio di una lunga lista. Prendi ad esempio Giuseppe Ungaretti, dopo la morte del figlio scrisse una raccolta di liriche intitolate Il Dolore.”
Odiavo la scuola, ma c’èrano materie che mi interessavano particolarmente.
“Allora, che facciamo? Continuiamo con l’interrogatorio, Sherlock?”
"No, Watson, può bastare così. Però sia chiaro, lo scelgo io il posto per il prossimo appuntamento." Disse.
"Sembra un’offerta abbastanza ragionevole."
"Con tutto il rispetto per i pescatori e il loro lavoro, ma qui c'è puzza di pesce morto."
"Già e poi questo muretto è davvero di una scomodità assurda."

Lo vidi scendere e porgermi una mano, aiutando anche me.
Poi ci incamminammo verso l’uscita.
Si erano già fatte le quattro del pomeriggio e, seguendo le mie indicazioni, Brendon mi riaccompagnò a casa.
Presi le cuffiette e il cellulare.
"Allora, ti piacciono gli AC/DC?" Gli chiesi, porgendogli una cuffietta.
"Si, ma preferisco i Guns N' Roses."
"Beh, per questa volta accontentati di ascoltare Highway To Hell."
"Sai, non sei niente male in gusti musicali!"
"Già, una delle mie tante qualità."
Dissi.
__________

Ciao a tutti/e!
Eccomi qui con il terzo capitolo!
Spero vi sia piaciuto :)
Ma questa è solo la prima parte, la seconda credo di metterla questa sera, a patto che questo capitolo riceva almeno una recensione.
Fatemi sapere il vostro parere e grazie per aver aggiunto la storia nelle seguite o nelle ricordate :)

-Wolfass.

 

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Capitolo 4
*** Terzo capitolo, Seconda parte. ***


All up - Senza scampo

-Sera-
Nessuna risposta. Come al solito d'altronde.
Non riuscivo proprio a capire se i miei fossero nati sordi o se cercavano di evitarmi in tutti i modi possibili.
Non mi sforzai nemmeno di ripetere, mi limitai ad osservare la scena.
Solitamente i lori litigi si dividevano in fasi, più precisamente quattro.
La prima era la sfuriata, ovvero quando volavano oggetti a casaccio dalle mani di mia madre e imprecazioni dalla bocca di mio padre.
Nella seconda c’èra il silenzio più assoluto, a tratti imbarazzante.
Nella terza fase mio padre cercava di rimettere a posto le cose, mentre mia madre continuava sempre per la sua strada, provocando papà.
E infine, nella quarta fase, andavano a dormire più stressati che mai sperando in un risveglio migliore.
Io naturalmente non osavo mettermi in mezzo o mia madre mi avrebbe lanciato in faccia una scarpa, quindi mi chiudevo in camera e mi facevo gli affari miei.
Quella sera però, a differenza delle altre che si concludevano sempre catastroficamente, niente avrebbe potuto rovinare il mio appuntamento con Brendon.
Feci spallucce e me ne ritornai in camera, forse se avessi appiccato un incendio i miei si sarebbero accorti della mia presenza in casa, pensai.
Avrei anche potuto vestirmi da pagliaccio, rasarmi i capelli a zero o portare un ragazzo in camera, in ogni caso loro non si sarebbero accorti di nulla.
Mi decisi di smettere di pensare continuamente ai miei problemi famigliari tipici di un adolescente e tornai alla realtà.
“E ora che diavolo mi metto?”
Non potevo presentarmi al primo appuntamento con una maglietta che puzzava di sigaretta, né tantomeno con dei jeans macchiati di cenere.
Non mi sarei neanche presentata con un vestito di Valentino, che costava più della mia stessa casa e che sicuramente potevo solo sognarmi.
Optai per una semplice maglietta bianca a maniche lunghe e scollo a V, jeans stretti tendenti al grigio e converse alte bianche, più o meno.
Avevo quelle scarpe da più di due anni e, dopo lunghe camminate sotto la pioggia e gocce di gelato al cioccolato sulla tela, erano più che vissute, potevo metterle nella vetrina di un museo e spacciarle per natura morta.
Raccolsi i capelli in una coda alta e spettinata, misi un po’ di profumo ed ero pronta.
Non avevo voglia di restare a casa sintonizzata sul canale “roviniamo la vita di nostra figlia litigando minimo sei volte al giorno”.
Ora penserete che mi sia calata dalla finestra come ogni film americano che si rispetti, ma abito all’ottavo piano di una palazzina mal ridotta e se mi butto dalla finestra mi spiaccico sul cemento.
Quindi, dotata di molta astuzia, decisi di prendere l’ascensore.
Uscii dal portone ed attraversai la strada, per poi sedermi sulla panchina davanti al negozio giapponese.
Tirai fuori il pacchetto delle Chesterfield ed estrassi una sigaretta, la accesi e mi sistemai meglio su quella scomodissima panchina in legno.
IL FUMO UCCIDE
“Prova a vivere con i miei per almeno due settimane, sarai quasi sicuramente indotto al suicidio, altro che sigarette!” Pensai, ridacchiando sommessamente.
In lontananza vidi Brendon, le solite mani in tasca e il giacchetto in pelle nera stropicciato.
-Allora, sei pronta?- Chiese, baciandomi su entrambe le guancie.
-Certo e non vedo l’ora di sapere dove mi stai portando-
-Ti avrei portato in uno di quei bellissimi ristoranti di Parigi, ma non ho i soldi per il biglietto e neanche per il ristorante, spero che l’uomo degli hot dog vada bene lo stesso
- Disse, quasi imbarazzato.
-Vada per gli hot dog e comunque Parigi non mi fa neanche impazzire più di tanto- Dissi, gettando la sigaretta a terra e spegnendola con il piede.
-Ok, andiamo- Disse lui, gettandomi un braccio intorno alle spalle.
-Solo ad una condizione però, mi prendi anche le patatine?-
Scoppiammo entrambi a ridere.
Circa quindici minuti dopo avevamo già i nostri rispettivi hot dog caldi in mano, avevamo preso le patatine e anche la coca cola.
Le panchine però erano tutte occupate, quindi andammo nel parco e ci sedemmo sul prato, davanti a noi c’èrano altre coppie intende a sbaciucchiarsi amorevolmente e vecchiette che continuavamo a spettegolare su quanto fossero irresponsabili i giovani d’oggi.
-Hai freddo?- Mi chiese, vedendomi rabbrividire quando una piccola folata di vento mi colpì dritto in faccia.
-No, sto bene, tranquillo-
Dentro di me continuavo a ripetermi “Ti prego, fa che non mi dia la sua giacca, sarebbe troppo un cliché!”
Fortunatamente le mie preghiere vennero ascoltate e Brendom mi circondò con le sue braccia, facendo in modo che aderissi perfettamente al suo petto.
Aveva davvero un buon profumo, era forte e quasi del tutto destabilizzante.
Sollevai il viso per guardarlo meglio, era davvero bello.
Le labbra erano di un rosa ben definito, sulle guancie aveva delle quasi impercettibili lentiggini e gli occhi erano di un azzurro indescrivibile.
-Grazie- Sussurrai, stringendogli la mano libera in segno d’affetto.
-Di nulla, averti tra le mie braccia è una sensazione piacevole-
Sorrisi involontariamente, sapevo ce stava dicendo la verità.
Mi era capitato molte volte di ricevere frasi fatte come: “Sei la ragazza più bella che io abbia mai visto!” o ancor peggio “Ti sei fatta male quando sei caduta dal paradiso? No, perché sei davvero un angelo!”
-E’ stata una serata bellissima-
Mi strinsi ancora di più al suo petto.
-Ed è solo la prima di una lunga serie, credimi- Disse, accarezzandomi delicatamente i capelli e poi la schiena.

Non so perché, ma quella frase mi fece provare una strana sensazione allo stomaco, in cuor mio speravo fosse mal di pancia per qualcosa che avevo mangiato, ma sapevo benissimo che quelle erano delle maledettissime farfalle.

_________________________

Ciao a tutti/e!
Scusate il ritardo, ma la scuola ultimamente mi ha tenuta particolarmente impegnata.
Spero comunque che qualcuno si imbatta nella mia ff e che magari spenda due minuti della sua vita per recensirla.
Vi aspetto al prossimo capitolo, che pubblicherò solo se riceverò almeno una recensione.
-xx





 

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Capitolo 5
*** Quarto capitolo, Prima parte. ***


 Leggete le note dell’autore!

All up - Senza scampo

“Ognuno sta solo sul cuor della terra
Trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.”

Una delle poesie più note ed espressive della lirica moderna.
“Ma che dici? Sono solo tre righe buttate lì a casaccio!” La maggior parte di voi penserà.
Invece vi sbagliate, quelle tre righe che per voi sono a dir poco senza senso, in realtà racchiudono molte interpretazioni diverse.
Quasimodo pubblicò questa raccolta nel 1942, quando tra i poeti regnava l’Ermetismo, detta anche “poesia pura”, e la ricerca della parola essenziale, cioè eliminando ogni elemento decorativo.
Sono sicura che gran parte di voi non ci avrà capito una mazza di quello che ho scritto, ma non perché io mi ritengo superiore, solo perché al giorno d’oggi i giovani sono troppo presi ad ascoltare musica commerciale e ad ammattirsi davanti a social network quali Facebook, Twitter e quant’altro.
Ma, un consiglio, aprire un libro quando si ha un po’ più di tempo e dargli una bella letta non fa poi così tanto male.
Tornando alla storia, vi starete chiedendo perché ho iniziato questo capitolo con questa poesia.
Ho scelto questa introduzione perché, leggendo tra le righe, si può capire quando in realtà Quasimodo si sentisse solo e bisognoso di comunicare con gli altri uomini.
E si sa che la solitudine porta alla depressione la maggior parte delle volte, se non quasi sempre, facendo pensare al poeta che la vita è breve e che basta un solo errore per far si che finisca tutto alla velocità di come è iniziato.
Ad esempio, vi è mai capitato di guardare l’episodio della vostra serie preferita e non accorgervi di quanto finisca presto? In realtà sarà durato ben quaranta minuti, ma voi eravate così appassionata alla trama che non vi siete accorti dello scorrere del tempo.
Ecco perché la vita va vissuta in pieno, o vivi per qualcosa o muori per niente.
Ed io ho vissuto i miei sedici anni senza uno scopo ben preciso, avvolta dai continui litigi dei miei genitori e nella speranza che da un giorno all’altro la situazione sarebbe migliorata.
Infatti, mi svegliai quella mattina con l’ennesima discussione dei miei.
Non riuscii a capire cosa dicevano, ero ancora momentaneamente in coma dato che erano le sette del mattino e dovevo andare a scuola.
Con molta calma mi alzai dal letto e andai in bagno, mi lavai e cercai di sistemarmi al meglio, sperando di ottenere un risultato quantomeno decente.
Purtroppo il mio cervello la mattina non connette molto bene e i miei riflessi sono più lenti di quelli di un bradipo assonnato, quindi a darmi una bella svegliata fu la mensola sopra il lavandino, visto che la presi in pieno con la testa.
-Ahia!- Dissi, facendo una piccola smorfia di dolore.
“Ecco come iniziare la giornata in modo pessimo” Pensai, mentre entravo in ascensore e mi preparavo psicologicamente alle sei ore di lezione che avrei dovuto affrontare.

~
Prima ora: fisica.
Mi sforzai seguire il più possibile, ma alle otto del mattino è chiedere troppo.
Poggiai la testa sul banco e mi addormentai, perdendomi anche la seconda ora.
Terza ora: Diritto.
Quando era calma la professoressa poteva essere tranquillamente paragonata ad un Rottweiler, mentre quando era leggermente su di giri si trasformava nella versione femminile di Adolf Hitler.
Quarta ora e quinta ora: Matematica.
Quella donna era un continuo blaterare e blaterare, invece di spiegarci la lezione si divertiva a raccontarci eventi di vita quotidiana che a parer suo facevano sbellicare dalle risate.
Sesta ora: inglese.
Personalmente credo che se un italiano decidesse di andare a fare le vacanze in Inghilterra sarebbe capace di chiedere ad un abitante: “The cat is one the table. And where is the table?”
Quando la campanella suonò, io e i miei compagni uscimmo dalla classe così velocemente che Bolt al confronto sembrava semplicemente camminare.
Il cortile era pieno di studenti che scherzavano tra loro, io continuai a camminare finché non mi sentii chiamare a gran voce.
Mi girai e vidi Brendon.
La sera prima gli avevo detto a che scuola andavo, ma non mi aspettavo che sarebbe venuto a prendermi.
-Come è andata a scuola?- Chiese, salutandomi con due baci sulle guancie.
Era appoggiato allo sportello della sua macchina, una Mercedes classe A usata ma comunque ben curata, tendente al grigio.
-Non lo so, ho dormito per la maggior parte del tempo- Dissi, mentre lui mi tolse la cartella dalla spalla e la posava sul sedile posteriore.
-Amante della scuola?- Chiese, salendo in macchine seguita da me.
-Preferisco studiare a casa-
- Ok, cambiando argomento, che ne dici se andiamo a casa mia e ordiniamo una pizza?-
-Dico che è perfetto, ho talmente tanta fame che se non ti sbrighi potrei mangiarmi anche il volante!-
-Bene, significa che ordineremo una pizza in più allora!-
Disse, mettendo in moto.
-L’idea non mi dispiace affatto direi-
-Dio, sei peggio di *Adam Richman!- Disse lui, uscendo dal parcheggio della scuola e avviandosi verso casa.

Hey bellezze!
Questa volta ho aggiornato subito, come promesso.
Spero che vi sia piaciuto.
Pubblicherò il prossimo capitolo solo se riceverò 2 recensioni (praticamente impossibile).
Alla prossima :)
-xx
P.s. Per chi non lo sapesse Adam Richman è il conduttore della serie televisiva Man vs Food.



 

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Capitolo 6
*** Quarto capitolo, Seconda parte. ***



All up - Senza scampo

Carina, la casa di Brendon era davvero molto carina e accogliente.
Non era grandissima, ma comunque ben arredata.
Sembrava la solita casetta americana sempre in ordine, dove le signore di una certa età si mettono a prendere il tè e commentano pagine di giornali Gossip.
Il giardino era ben curato, il prato falciato e la staccionata fresca di pittura bianca.
Dentro, invece, regnavano colori caldi come il rosso, l’arancione e qualche schizzo di giallo.
La prima cosa che pensai quando entrai fu “Cavolo, casa mia in confronto sembra la tana di un orco, o peggio ancora del Grinch”
Vidi Brendon posare il mio zaino a terra, vicino all’attaccapanni –fai come fosse casa tua!- Disse.
“No, credimi, meglio di no” Pensai, di nuovo “Se solo sapessi come mi comporto a casa mia probabilmente non me lo avresti proposto”
-Grazie, lo farò- Risposi.
- Se hai bisogno di qualcosa lì c’è la cucina e se sali le scale e giri a destra c’è il bagno, io intanto vado ad ordinare la pizza-
-Okay, afferrato- Dissi, togliendomi la giacca e posandola sull’appendiabiti.
Lo vidi scomparire in salone, mentre io andai in cucina a prendermi un bicchiere d’acqua.
“Ti prego, Stecie, cerca di versare l’acqua nel bicchiere come tutti i più comuni esseri umani, non scatenare un apocalisse”
Ebbene si, quando ero agitata le mie mani non erano più collegate al cervello, andavano per conto loro causandomi non pochi problemi.
Un po’ come quella volta che fui interrogata a sorpresa sulla scienza del corpo umano.
Ero agitata e involontariamente diedi una botta al modellino in plastica e lo feci cadere rovinosamente a terra, ma la cosa più imbarazzante fu quando mi accorsi che in entrambe le mani avevo le costole del povero scheletro che giaceva immobile sul pavimento.
Come se non bastasse quella scena venne fotografata dal secchione di classe e postata sull’annuario come copertina.
Ormai a scuola ero riconosciuta come Wilma Flinstone.
-Le pizze arriveranno tra un quarto d’ora- Disse Brendon, interrompendo i miei ricordi-Ehm, tutto okay?-
-Mh? Ah si, tutto apposto- Ero rimasta con il bicchiere a mezz’aria come una ritardata, mentre lui mi guardava interrogativo.

“Smettila di comportarti come una deficiente! Un po’ di contegno, per favore!” Mi rimproverò la vocina che avevo nella testa.
Ora sentivo anche le voci, che fossi una discendente di Giovanna d’Arco?
-Se vuoi possiamo guardare un film- Propose Brendon –Naturalmente dopo che ti sarai ripresa dal tuo shock temporaneo-
-No, ero solo sovrappensiero- Dissi, cercando di salvarmi da quella grande figura di merda- che film consigli?-
-Che ne dici della saga di UnderWorld?-
-Dico che è una splendida idea!-
-Perfetto, allora mentre io vado a preparare il film tu fai i popcorn, okay?-
-Certo!- Dissi, mostrandomi il più disinvolta possibile.
Andai in cucina e cercai di capire quale fosse la macchina per fare i popcorn.
Una volta trovata, a patto che fosse veramente quella, cercai di capire come funzionasse.
Sembrava un frullatore per verdure, solo più grande.
Ci versai dentro i chicchi di grano e spinsi il primo pulsante che mi ritrovai davanti.

“Einstein, hai dimenticato il coperchio!”
Quando lo realizzai era troppo tardi, i chicchi di grano iniziarono a saltare fuori come impazziti, sembrava la scena comica di un Manga Giapponese.
-Oh cazzo!- Dissi, cercando di spegnere quel macchinario infernale.
Fortunatamente Brendon corse in mio soccorso, staccando il filo dalla presa.
-Nel ripiano in alto c’èrano quelli già pronti- Disse, tra una risata e un’altra.
La vocina nella mia testa si era suicidata dalla vergogna ed io avrei desiderato tanto essere uno struzzo.
-Tranquilla, ci pensiamo dopo a questo casino- Disse, accompagnandomi in salone e facendomi sedere sul divano- Aspetta, hai tutti chicchi di grano impigliati tra i capelli!-
Potevo solo immaginare quanto potessi sembrare attraente in quel momento.
-Sono un disastro, vero?- Chiesi, prendendo un cuscino e affondandoci il viso dentro.
-Sei solo poco esperta nel campo degli elettrodomestici-
Iniziai a ridere istericamente, forse perché era l’unica alternativa al pianto con singhiozzi compresi.
Fortunatamente quel momento imbarazzante venne interrotto dal suono del campanello, segno che le pizze erano arrivate.
Dovevo affrontare solo l’ultima prova: cercare di non sbrodolarmi con il pomodoro della mia margherita, altrimenti mi sarei assicurata una stanza privata all’ospedale psichiatrico.
Vidi Brendon portare le pizze e posarle sul tavolino in legno davanti al divano, io intanto mettevo i tovaglioli.
Poi, dopo aver schiacciato il tasto “play” sul telecomando, si sedette accanto a me ed iniziammo a mangiare le nostre pizze.
Quando finimmo buttammo i cartoni della pizza e ci concentrammo sul film che avevamo scelto, senza accorgermene posai la testa sulla spalla di Brendon e lui acconsentì mettendomi un braccio sulle spalle.
Sapevo che per lui quella era una semplice dimostrazione di amicizia, ma a me piaceva pensare che fosse qualcosa in più.
Mi piaceva vederlo concentrato a seguire le scene di combattimento, a sorridere quando c’èrano delle battutine sarcastiche e tenere il ritmo delle musiche di sottofondo picchiettando con le dita sul bracciolo del divano.
Quando il film finì, mi accorsi che erano già le sette e che sarei dovuta tornare in prigion..ehm, volevo dire, a casa!
Mi alzai controvoglia dal divano e andai verso l’attaccapanni per recuperare il giacchetto e lo zaino.
-Hey, volevo chiederti se ti andrebbe di rimanere a dormire qui- Disse Brendon stiracchiandosi e raggiungendomi.
“Si, certo che rimango!” –Non vorrei disturbare..- Dissi.
-Non disturbi, tranquilla, altrimenti non te lo avrei chiesto-
-Vabbene, però dormo sul divano!- “Ti prego, dimmi che hai un letto a due piazze!” Pensai.
-Veramente il mio letto è abbastanza grande da permetterci di entrare in due- Disse.
-Okay, ti prometto che non ti violenterò nel sonno!- “Già, sono una di parola io..”
-Posso dormire sonni tranquilli, quindi?- Chiese.
-Tranquillissimi, te lo assicuro!-
E per la prima volta, dopo molto tempo, sorrisi di nuovo.
Uno di quei sorrisi sinceri, con gli occhi che brillano di felicità.
“E se fosse Brendon la causa di quel sorriso? E se questi fossero i primi sintomi dell’innamoramento? No, non posso permettermelo, so cosa si prova a cadere nella trappola dell’amore.
Tutte le mie amiche inizialmente erano felici, poi però si ritrovavano a piangere sulle vecchie foto del proprio ex con una pila di cioccolatini accanto e musica triste come accompagnamento sonoro.
No, non ero assolutamente pronta a deprimermi a solo sedici anni!
Dovevo solo restare calma e convincermi che io e Brendon potevamo essere solo amici”

“Liberate l’amore o liberatevene per sempre, diceva Jim Morrison”
Ed ecco che quella vocina irritante ritornava a farmi visita.
“Che centra ora Jim Morrison?”

“La tua ignoranza mi meraviglia, sai? Dovevi comprendere il significato della frase!”
“Cioè?”
“Jim Morrison cercava di dire che quando l’amore si presenta, non puoi girare le spalle e far finta di nulla, cercando di reprimere i sentimenti. Altrimenti dovresti sigillare il tuo cuore con un lucchetto e buttare via la chiave per sempre! Afferrato ora?”
“Grazie tante, mi mancava una lezione improvvisata di Letteratura!”
“Sai che c’è? Ci rinuncio, cercare di farti capire un concetto di questo spessore è come chiedere ad un asino di volare! Mi licenzio!”
Okay, prendere in considerazione una visita da un bravo psicologo non avrebbe danneggiato nessuno, se non il portafogli di mio padre.

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Ed eccoci qui con un nuovo capitolo!
Questo era principalmente un capitolo di passaggio, il prossimo sconvolgerà la storia del tutto.
Inizierà a prendere una piega un po’ diversa, quindi vi prego di non abbandonarmi proprio adesso!
Detto questo vi mando un forte bacio e al prossimo capitolo!
-Wolfass.

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