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Anche
se ormai villa Hiwatari era distante non voleva fermarsi.
Non
ne aveva il coraggio.
L'
angoscia di ritornare nuovamente in quella casa lo disgustava.
La
paura di rivedere il volto di suo nonno lo nauseava.
Non
importava se ormai gli mancava quasi del tutto il fiato.
Non
importava se le gambe a stento gli permettevano quella discreta velocità,
congelate ormai dalla neve che aveva imbevuto d'acqua i suoi pantaloni e
inzuppato le sue scarpe facendogli perdere parte della sensibilità dei piedi.
Non
importava se era sudato fradicio.
Non
importava se stava correndo nel gelo serale della Russia facendo affidamento
solo sul limitato tepore di una sciarpa e di un maglione.
Non
importava se non sentiva più le mani e le sue guance erano continuamente
punzecchiate dall'aria fredda.
DOVEVA
FUGGIRE DA QUELL' UOMO A TUTTI I COSTI.
Sapeva
che ormai era al limite della sopportazione.
Ma
quando il pensiero di poter essere riportato in quella casa gli attanagliava la
mente, nemmeno il suo corpo poteva impedirgli quella fuga.
Oramai
nessuno lo inseguiva più.
Oramai
nessuno avrebbe potuto individuarlo.
Ma
lui correva ancora.
Almeno
sapeva dove stava andando?
Non
ne era del tutto sicuro.
No.
Ne
era completamente certo.
Correva
dai suoi compagni.
Da
Rei, Max e Takao.
Al
loro Hotel.
Perchè?
A
lui infondo che importava di loro?
Li
aveva mai considerati veri amici?
Non
ne era del tutto sicuro.
Ma
sapeva che lo avrebbero aiutato.
Per
la prima volta metteva da parte il suo orgoglio e chiedeva loro aiuto.
Se
solo lo avesse chiesto prima ora non sarebbe in quella situazione.
Ma
ora doveva farlo.
Avrebbe
chiesto loro aiuto infischiandosene del suo orgoglio.
Se...
Magari
fosse così facile.
Figuriamoci
se il freddo Kei sarebbe mai riuscito a fare una cosa simile.
Orgoglio.
Il
filo che da sempre lo legava a suo nonno.
La
sua arma contro di lui.
Il
fischio a cui lui sempre avrebbe risposto.
MALEDIZIONE!
Perchè
non riusciva a sbarazzarsi almeno per una volta di quel suo dannatissimo
orgoglio.
Infondo
cosa gli costava contare per una volta sui suoi amici?
Apparentemente,
niente...
Psicologicamente,
tanto...
Nemmeno
se lo avesse voluto con tutto se stesso le sue labbra avrebbero chiesto loro
aiuto...
Non
ce l'avrebbe fatta.
Orgoglio
di merda.
Il
suo corpo non esitò ad approffittare di quel cedimento psichico e crollò sotto
il peso della stanchezza e del gelo.
Alzò
il volto sprofondato nella neve.
No.
Non
poteva fermarsi lì...
Ancora
pochi metri e avrebbe finalmente raggiunto l' albergo.
Il
loro albergo.
La
propria salvezza.
Ma
il suo corpo non reagiva.
Sarebbe
morto lì?
Assiderato
e sfinito dalla stanchezza?
NO!
Mai
e poi mai sarebbe morto lì come un miserabile!
Questo
il suo orgoglio non glielo permetteva.
E
per una buona volta questo gli tornò utile.
Con
uno sforzo sovrumano si rialzò da terra trovando stabilità reggendosi con
l'avambraccio alla parete di un muro.
Era
in piedi.
Era
già qualcosa.
Alzò
gli scarlatti occhi posandoli sulla strada deserta.
Riusciva
a vedere l'Hotel nel lato destro della via, non poco distante da lui.
Era
vicino.
Anche
questo era già qulacosa.
L'avrebbe
raggiunto?
Non
ne era del tutto sicuro.
...
Bleaaaaaaaah!
Appena iscritta e già due fan fiction postate...
Nessuna
delle due che mi convince totalmente..... -.-
Bwahahahahahhah!!!!!
Ditemi voi! Volete che provi a continuarla o la lasci così com'è? Non ne sono
del tutto sicura... (:P)!! A me sembra triste terminarla in questo modo... in
fondo non ha senso!! Che faccio???!!ç.ç
Va
beh... Ringrazio tutti quelli che hanno sprecato preziosi attimi di vita per
leggere sta roba e spero che dato che ci sono lascino qualche commentino!!^o^
E solo il liscio
ghiaccio turchese può ora specchiarla..."
Alzò gli occhi
scarlatti; l'albergo era di fianco a lui.
Un piccolo Hotel
abbastanza grazioso in una delle tante strade secondarie della città.
Lontano dal
movimentato e rumoroso frastuono del centro cittadino.
Parte dei suoi
timori si erano spenti davanti a quell'insegna luminosa.
Altri invece se ne
erano aggiunti...
Entrare in quelle
condizioni e raggiungere i suoi amici...
Sotto lo sguardo
sicuramente inorridito di portinai e facchini...
E chiedere aiuto ai
suoi compagni...
O...
Cos'altro poteva
fare?
Forse era già un
miracolo se fosse riuscito ad entrare nell'albergo senza essere sbattuto fuori
per...
L' inadeguata
eleganza!
O ancora meglio lo
avrebbero scambiato per un povero ragazzo di strada.
Abbassò lo sguardo
passandolo in rassegna sui suoi abiti; pantaloni e maglione macchiati dalla neve
sporca...
Per non parlare
delle scarpe che erano completamente infangate...
E da non
dimenticare la sciarpa stracciata.
Inadeguata
eleganza...
Chissà che faccia
doveva avere...
Cosa andava a
cercare scuse.
Sapeva...
Sapeva che non era
ciò che lo bloccava di fronte a quella modesta porta a vetro opaco.
No di certo...
Che espressione
avrebbero fatto i suoi compagni trovandoselo davanti in quelle condizioni?
Cosa avrebbe
provato lui?
Vergogna.
Quale tremenda
ferita avrebbe subito il suo...
ORGOGLIO.
Non sopportava più
quella sua parte così repulsiva e talmente forte da farlo esitare davanti alla
sua unica possibile via di salvezza, immerso nel gelo della notte che a mano a
mano passava il tempo diveniva sempre più pungente.
Una sensazione cominciò
ad avvolgere la sua mente e il suo cuore, avvinghiandolo in una stretta ben più
fredda e agghiacciante del clima russo...
Una sensazione che
in un brivido lungo la schiena mutò in qualcosa di ancora più angosciante;
Disperazione...
Panico.
Serrò gli occhi più
forte che poté stringendoli violentemente.
Venendo a contatto
con le sue palpebre irrigidite dal freddo.
Calmati, calmati...
CALMATI!
A poco a poco tutte
le sue innumerevoli barriere venivano profanate, infrante ed eliminate.
La sua saldezza.
La sua
impassibilità.
La sua arguzia.
La sua fiducia in
se stesso.
Sentì le braccia
cominciare un debole, ma significativo, tremolio.
Non dovuto dal
freddo.
No di certo...
Serrò a sua volta
le mani, per placare quell'evento.
Non ne aveva più
sensibilità...
Non poteva
percepire il dolore e la forza che ci metteva.
Quel dolore e
quella forza testimoniate solo da calde e sinistre gocce rossastre che
scivolavano sulle sue dita...
...precipitavano
nel vuoto...
e macchiavano di
scarlatto la candida neve luccicante sotto di loro.
Perché non sapeva
fare altro che cedere al panico in un momento cruciale come quello?!
Perché non riusciva
a pensare a qualcosa per potersela cavare?!
I suoi vani
tentativi di ritrovare lucidità si trasformarono ben presto in insulti verso se
stesso.
In indiscutibili
frasi di disprezzo....
...in preghiere d'
aiuto.
L'entrata dell'
hotel era a solo pochi metri da lui.
Pochi metri che
segnavano la debolezza di un ragazzo e ne decretavano l' immutabile dipendenza
alla propria persona, alla propria idea di indipendenza, ai propri ideali di
impassibilità...
Alla sua
aspirazione di perfezione.
Ma nessuno può
aspirare a tanto...
Nessuno può sperare
di raggiungere simile obiettivo quando davanti a lui si para il proprio
orgoglio.
Che come un muro
invisibile nasconde a quegli occhi rubini qualcosa di più importante di ciò in
cui credeva.
Un valore che mai
aveva paragonato come tale.
E che di
conseguenza non poteva nemmeno immaginare quale fosse.
No di certo...
Ma cosa poteva in
fondo un... bambino... davanti alla malignità del mondo.
Niente.
...
Avvertì dei rumori
alle sue spalle.
Inconfondibili, ma
silenziosi passi.
Soffocati dalla
neve che si scioglieva sotto il loro peso.
Si irrigidì di
colpo aguzzando l'orecchio.
Un semplice
passante..................o i suoi inseguitori?
I passi erano
ancora lontani, ma percepì il loro ritmo aumentare.
Correvano verso di
lui.
Riaprì gli occhi
impercettibilmente arrossati.
Era uno solo.
Lentamente cominciò
a voltare titubante il capo, pronto a fuggire nel caso i suoi timori fossero
fondati.
Stavolta sarebbe
riuscito a cavarsela?
La sua visuale si
portò nella zona alle sue spalle:
una sagoma ansante
lievemente piegata sulle ginocchia per recuperare il fiato perso.
Il suo nome appena
sussurrato tra il respiro affannoso.
Una sospirata
preghiera di rincuoro.
La sua immagine
riflessa in due profondi occhi turchesi.
...
Et
voilà! Ho deciso di continuare la ff!!! Grazie a tutti quelli che hanno
espresso il loro parere e che hanno commentato!! (spero che facciate lo stesso
anche con questo!^o^) Con il prossimo capitolo proverò ad impegnarmi di più
visto che quest'ultimo non è venuto proprio bene! Ahimè... perdonatemi se sono
priva di fantasia... sono in disperata ricerca di idee per continuarla!!ç.ç
Comunque arrivederci alla prossima e grazie di nuovo a tutti quelli che hanno
commentato e che sono arrivati a leggere fin qui!!!!!!!!
La regina ormai ti
ha perso, ma non sai chi andrà muovendo!"
Un sorriso stentato
rilassò quel volto prima deformato dall' angoscia.
Dall' angoscia di
aver perso qualcuno di troppo indispensabile nella sua vita.
Fece qualche altro
timido passo in avanti avvicinandosi al ragazzo che ancora lo fissava di
spalle.
Come poter
decifrare quella sua espressione?
Conosceva Kei e
sapeva che odiava farsi sorprendere in simili momenti di debolezza, ma non
poteva abbandonarlo proprio in quella situazione.
Da parte sua
l'altro era ancora confuso.
Terribilmente
confuso.
Yuri?
Perchè Yuri era lì?
E con tutta
provabilità per cercare lui.
Terribilmente
provabile.
Non si mosse.
Non voleva
muoversi.
Non poteva
muoversi.
I suoi muscoli
erano tutti irrigiditi dal freddo e lui stesso ormai lo pativa da fin troppo
tempo.
Aprì la bocca per
parlare, ma ne uscì solo un penoso suono simile ad un mugolio.
Aveva pregato
affinchè qualcuno di gradito fosse giuto lì a toglierlo dalla sua
insopportabile situazione...
Ma ora che c'era
Yuri avrebbe preferito restare un altro pò a congelare davanti a quell' hotel.
Si sentiva
penoso...
Ridicolo.
"Kei?"
Vide Yuri spostarsi
di fronte a lui... il proprio sguardo fisso su quest'ultimo...
Due impassibili
rubini opachi.
Il rosso lo squadrò
preoccupato, notando le sue condizioni fisiche e i suoi indumenti leggeri.
Quel pallido viso
imperscrutabile sciupato dalla stanchezza...
Quando ancora
quattro sbiadite scie blu sulle guance recavano simbolicamente
quell'ostinazione del suo orgoglio a non sparire mai del tutto.
"Sono venuti a
cercarti al monastero... appena l'ho saputo sono corso anch'io..."
La sua voce era
ferma, sicura... rassicurante.
Kei non mosse il
suo sguardo da lui...
ancora
impassibile...
Terribilmente
impassibile.
O forse era più
adeguato l'aggettivo preoccupante?
Lui stesso cominciò
a scrutare attraverso gli impenetrabili occhi scarlatti.
Nemmeno un battito
di ciglia...
Ok per il fatto che
era un tipo di poche parole...
Ma insomma!
Si schiarì meglio
la voce.
Prima di essere
sgarbatamente respinto, secondo le usanze di Kei, avrebbe reagito di anticipo.
Non poteva sperare
che quest'ultimo gli chiedesse normalmente aiuto...
Non l'avrebe mai
fatto;
non l'impassibile
Kei.
"Kei... posso
immaginare come ti senti e so anche che ora il tuo principale pensiero è
trovare un posto sicuro! Tra poco loro arriveranno anche qui a cercarti e non
intendo pregarti per farti muovere! Non ho tempo di starti qui a guardare
congelare come un idiota!"
Si sfilò deciso il
cappotto bianco, candido come la neve, e avvolse le spalle intorpidite di Kei
che di tutta risposta abbassò il volto verso il suolo notando la neve arrossata
dal suo sangue in perpendicolare alle sue mani.
"Grazie..."
Tutto ciò che gli
aveva concesso il suo orgoglio, quella semplice parola che a qualcuno sarebbe
costato niente, ma per lui era anche troppo.
Lo sguardo di Yuri
si addolcì...
Come il suo
sorriso...
Uno dei suoi rari
sorrisi sinceri.
"Su
andiamo!"
Finalmente lo
sguardo di Kei divenne più acceso e con una vigorosa scossa del capo diede le
spalle all'albergo e si incamminò, seguito a ruota da Yuri, dimentico della sua
temporanea paralisi di prima, tra le vie adombrate dalla vasta distesa
notturna, quando l'unica luce era la grande insegna luminosa dell'Hotel.
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
"Nottata
irrequieta.. non trovate?"
La voce di Rei
risuonò nell'ampia stanza a salotto che faceva da collegamento tra le loro
stanze.
Max lo fissò
silenzioso.
Il viso lievemente
arrossato era l'unico testimone rimasto dell'attacco di nausea che prima lo
aveva colpito.
Tra le mani la
tisana preparata apposta per lui poco proma, sorseggiata di malavoglia mentre
una soffice coperta violacea lo avvolgeva come un pulcino, ricoprendo anche
gran parte del divano su cui era accoccolato.
Il silenzio rotto
da un suono gracchiante...
Il russare di Takao
che, addormentatosi sulla poltrona più vicina al biondino, dava un ritmo a quei
secondi passati a vuoto.
I ciuffi neri ne
ricoprivano il volto chino nascondendo alla vista la sua espressione rilassata
deformata dal regolare gesto della bocca che ora si spalancava...
ora si chiudeva...
Dalla porta della
propria stanza, Rei poteva restare ore a fissare quel buffo movimento quasi
ipnotico.
"Come ti senti
ora, Max?"
Un sorriso
imbarazzato curvò le arrossate guance lentigginose.
"Sto bene...
evidentemente ho mangiato qualcosa che mi ha fatto male stasera a cena..."
Rei staccò le
spalle dalla porta su cui prima poggiavano e avvanzò nella stanza verso Max.
Silenziosi passi
felpati ben equilibrati tra un movimento e l'altro.
L'oro del sole
rispecchiato nel blu del mare.
Una mano abbronzata
accostata ad una fronte arrossata.
Un breve contatto
che decretò il seguito di quella giornata.
"Non hai
febbre..."
Il biondino
sorrise.
Un sorriso più
paragonabile alla vittoria su una scommessa mai puntata.
"Vai a dormire
Rei!"
Il cinese lo fissò
di sbiego, mentre i suoi occhi d'ambra si assotigliavano in una smorfia di
sfida...
Una smorfia che si
spense sotto le naturali evidenze dei fatti.
Schioccò la lingua
e rivolgendo un cenno di assenso, spostò il capo in direzione di Takao.
Una seconda
occhiata di sfida.
"Come facciamo
con lui?"
I capelli biondi
ondeggiarono per il brusco movimento di Max verso la direzione del principe
addormentato.
Sorrise diverito
riacquistando il suo tenero tono infantile.
"Appena
finisco la tisana lo sveglio e ce ne andiamo tutti e due a dormire..."
Un'altra occhiata
sospettosa da parte del cinese.
Un sospiro di
rasegnazione.
La sua immagine
scomparire dietro la porta della sua stanza che si richiudeva accompagnata da
un augurio di buon riposo.
Il silenzio che
ripiombava nella stanza illuminata da un lampadario di cristallo.
La luce che si
rifletteva sul vetro del tavolino davanti ai due divani e alle due poltrone,
gli uni di fronte agl'altri...
... il tappeto
turco che ricopriva parte del pavimento in parquè...
la sagoma solitaria
di Max che terminava di sorseggiare la tisana e poggiava il bicchiere sul
merletto del tavolino a vetrata.
Takao aveva smesso
di russare...
Ora si limitava a
respirare pesantemente... (-.-''')
Il cobalto degli
occhi cominciava a venir nascosto dalle pallide palpebre che si facevano sempre
più pesanti...
...sempre più
pesanti...
Si chiudevano...
e si riaprivano
immediatamente.
Talmente forte da
far persino lacrimare gli occhi.
Dal corridoio
provenivano dei passi.
Dei passi
terribilmente affrettati e talmente rumorosi da sembrare gli zoccoli di un
cavallo.
O forse l'eccessivo
suono era dovuto all'intontimento provocato dall'atmosfera silenziosa di poco
prima?
"Mhm? Che
succede?"
Una voce assonnata,
lievemente roca, si alzò a fianco di Max.
Il rumore sempre
più forte.
Chi aveva avuto la
bella idea di fare tutto quel casino nel bel mezzo della notte?
E per giunta in un
albergo?
Una voce femminile
ammonita da una seconda maschile.
Delle preghiere
rivolte a vuoto...
Esortazioni sul
contegno...
Le domande di Takao
sempre più fastidiose.
Tre battiti decisi
alla porta.
...
Sembra chissà
che... U-huuuu! Sono arrivata al terzo capitolo!! Che emozione!!*.* Come vi è
sembrato? Spero non vi abbia deluso!!ç.ç In realtà questo capitolo lo
immaginavo completamente diverso... ma ho deciso di spostare tutto al
prossimo!!XD
Anche questa volta
è venuto un pò corto.....PERDONO!!! Ma su questo frangente ho ancora molto da
imparare!!ç.ç
MI IMPEGNERO'!!!+.+
Gli occhi di Yuri li ho lasciati azzurri come sulla prima serie!! Mi piacevano
di più così!^^
GRAZIE a tutti
quelli che hanno letto la ff e che l'hanno commentata!!(e magari commenteranno
XP)GRAZIE!!!! Non sapete quanto mi aiutate così!! Un statemi bene a tutti e un
arrivederci al prossimo capitolo!!!!!!!!!!!!
Quando
poi il nero mantello la loro porta oscurerà...
di
nero angoscia il loro cuore tingerà!"
Il
silenzio piombò nuovamente nel salottino.
Il
blu oltremare che cercava disperatamente di incrociare il nero corvino.
I
due sguardi finalmente si incrociarono.
Titubanti
sotto lo strano effetto di quei tre colpi.
"Vado
ad aprire...?"
Un
domanda posta a disagio...
in
disperata ricerca di una risposta.
Una
risposta auguratasi più per ritrovare fiducia nelle proprie azioni che
nell'atto in se.
Takao
fissò Max ammutolito.
Sapeva
che cosa rispondere.
Ma...
Andare
ad aprire era la cosa più logica, ma entrambi avvertivano che ciò che c'era
oltre quella porta non portava nulla di buono.
Proprio
no.
Dall'altro
capo la voce femminile esortava una presenza dall'identità ancora ignota.
Nuovamente
ammonita da un aspro tono maschile...
Altri
colpi alla porta.
Stavolta
più forti e ripetutivi.
"Insomma,
ragazzi! Perchè ve ne state lì? Aspettavate che mi svegliassi per andare ad
aprire?"
Un
Rei assonnato aveva fatto capolino nella stanza in un elegante pigiama azzurro
molto largo.
Un
occhio che nervosamente si apriva e chiudeva a causa dell'intontimento per il
troppo sonno...
L'altro
una sfera d'orata che sembrava quasi trapassare i due ragazzi confusi.
Takao
fece spalline e senza proferire parola fece cenno al cinese in direzione della
porta.
Recepito
il messaggio.
La
sagoma snella e longilinea di Rei diede loro le spalle avvicinandosi
silenziosamente all'entrata della stanza.
I
piedi nudi che strisciavano pigramente sul grande tappeto variopinto...
I
lunghi capelli neri raccolti alla buona da una lunga coda semidisfa.
Ancora
più silenziosi e scioccamente intimoriti gli altri due si mossero alle sue
spalle.
La
curiosità avvolgeva oramai i loro sensi, ancora in parte infantili, dando uno
strano chè a tutta la faccenda.
Con
l'entrata in scena di Rei l'atmosfera era nettamente meno pesante e il timore
che per un attimo li aveva sorpresi si era mutato in puro e semplice interesse.
Nulla
ora importava sulla possibile identità del loro visitatore.
Proprio
nulla.
....
Una
mano abbronzata che si tendeva verso la maniglia a pomello.
Un
veloce scatto della serratura.
Una
fessura che si faceva a mano a mano sempre più larga.
Tre
volti adolescenti che si alzavano sul volto di un uomo.
Tre
paia differenti di occhi fissi sulle scure lenti degli occhiali da sole.
"Lei
chi è, scusi?"
Fece
Max esitante, fissando dalla testa ai piedi l'omone che occupava quasi tutto lo
spazio della porta.
Giacca
nera.
Pantalone
nero.
Cravatta
nera.
Occhiali
neri.
Scarpe
nere.
Camicia...bianca.
Una
specie di auricolare che pendeva dall'orecchio destro.
Una
guardia del corpo?
Gli
era passata per la mente l'idea di trovarsi un individuo simile d'avanti a
quell'ora di notte?
Proprio
per niente.
I
tre rimasero allibiti davanti a quell'uomo che pareva non avere intenzione nè
di entrare...
Nè
di rispondere loro.
"Perdonatemi!
Ho provato a convincerlo che l'ora era tarda, ma ha insistito per salire fin da
voi..."
Takao,
il più vicino alla porta, si era curvato di lato per scoprire dietro a quel
gigantesco gorilla la figura mingherlina della cameriera dell'albergo.
Rei
e Max, avendo la visuale oscurata, si limitavano a tentar di riconescere la
persona dalla voce.
La
giovane, non molto più grande di loro, attendeva imbarazzata un qualsiasi
comando che le avrebbe dato una minima traccia sulla sua attuale utilità.
Un
volto di neve lievemente arrosito attorno agli zigomi.
Due
piccoli occhi neri lucidi cha passavano dallo sguardo incredulo di Takao alle
larghe spalle dell'uomo.
Recepito
anche questo messaggio.
"Non
si preoccupi, signorina... Può pure andarsene! Non ci sono problemi!"
La
voce di Rei risuonò ovattata dall'altra parte della porta, mentre una cameriera
ancora esitante fissava un punto imprecisato di fronte a lei.
Max
e Takao fissarono Rei interdetti, il quale non staccava un attimo gli occhi
dalle lenti degli occhiali del tizio di fronte a lui.
Quasi
si aspettase un improvviso attacco da parte sua...
Era
una buona idea congedare la loro unica testimone?
"Capisco...
allora vi auguro la buona notte!"
Il
leggero suono di passi in allontanmento...
Una
bocca rosea che si splancava tra le due paffute guance lentigginose.
Un'affermazione
bloccata ancor prima di nascere da un brusco movimento in nero a lui di fronte.
Una
fonte di sicurezza che si allontanava.
I
tre ragazzi mirarono nuovamente il loro grande ospite.
Era
enorme...
Non
c'era da ridire su di questo...
Un
uomo grande e grosso...
Inquietante
con la sua aria seriosa accattivata dagli ampi occhiali a mascherina.
"Ora
siamo soli... non ci sono motivi per tacere!"
L'
omone abbassò lo sguardo su di loro incrociando quello di Rei...
Due
occhi gialli, freddi e ostili in un intreccio cui solo la mente razionale del
cinese poteva dare vita.
L'uomo
schioccò la lingua traendo un lento e rumoroso sospiro.
"Kei
Hiwatari... dov'è?"
Una
voce fredda, bassa e profonda...
Inquietante.
Max
strabuzzò gli occhi, la fronte che si restringeva tra i folti ciuffi biondi e i
grandi occhi blu spalancati...
Takao
assunse un'espressione piuttosto inebetita, dall'aria parecchio offesa...
Rei
si limitò ad inarcare le sopracciglia socchiudendo di poco le labbra...
"E'
da suo nonno! Che razza di modi! Tutta questa messinscena per un semplice
sbaglio di indirizzo!"
La
squillante e irritata voce del campione in carica fece non poco innervosire la
body-guard che con un'espressione d'ira alzò da terra il ragazzino afferrandolo
per il colletto del pigiama.
"Ehi!Ehi!"
Subito Rei e Max si avventarono sul braccio dell'uomo nel tentativo di
sciogliere quella presa, mentre Takao si agitava feneticamente lanciando un
gridolino di sorpresa.
Il
viso di Takao si alzò verso quello del gorilla...
Non
l'avesse mai fatto...
Un
dolore lancinante gli investì la fronte facendogli lacrimare gli occhi...
Un
secondo gridolino, stavolta di dolore, gli uscì dalle labbra...
Riaprì
gli occhi serrati poco prima per il duro impatto.
Aveva
perso la vista o avevano spento la luce?
Nessuna
delle due...
Le
lenti degli occhiali...
Stava
faccia a faccia con quell'uomo...
Fronte
contro fronte...
I
suoi occhi neri che scrutavano tra le scure lenti degli occhiali due vaghe
pupille fisse su di lui.
La
fronte dell'omone premeva fastidiosamente sulla sua rendendogli difficile
tenere gli occhi aperti.
Intorno
a lui le voci dei suo compagni di cui a nulla servivano i loro sforzi a
liberare il povero giapponese.
"Stupido
moccioso! Con chi credi di avere a che fare?! E' inutile mentire!! So che
nascondete qui il vostro amico!! E' tutta la notte che perlustro la città in
cerca di quel moccioso viziato e sinceramente ora ho perso la
pazienza!!!!"
Nella
stanza piombò il silenzio.
I
tre ragazzi completamente ammutoliti da quell'affermazione.
Kei
era sparito?
Che
cosa aveva combinato?
Era
fuggito di casa?
Con
tutta provabilità sì...
Takao
sentì il fiato dell'uomo innondargli la faccia.
Trattenne
a stento un conato di vomito.
L'odore
non era dei migliori...
Meglio
comunque non farglielo notare in quella situazione...
Proprio
no.
Non
sentendosi dare risposte esaudienti il body-guard prese a strattonare Takao
che, già in parte stordito dal fiato e dalla altisonante e rombante voce
dell'omone, stava seriamente pensando all'idea di fingersi morto.
"Ti
vuoi decidere a parlare!?"
"ADESSO
BASTA!!"
L'uomo
si bloccò e sia Takao che Rei voltarono il capo in direzione di Max che aveva
lanciato quell'urlo...
Quest'
ultimo aveva uno sguardo talmente infuriato che solo rare volte, se non mai, i
suoi amici glielo avevano visto dipinto in volto.
Prese
un bel respiro e, sotto lo sguardo incredulo degli altri due, fissò, per quel
che riusciva a scorgere, gli occhi del gorilla con una grinta che non era sua.
"Qui
Kei non è mai venuto!! E inoltre non sapevamo nemmeno che era sparito!!!!
Quindi ci faccia il piacere di lasciare Takao e di filare al largo altrimenti
chiamerò la polizia!!"
L'
uomo lo guardava in silenzio.
Fece
scorrere il proprio sguardo dal biondino, dal cinese e infine al povero
giapponese che, con sguardo supplicante, sembrava cercare telepaticamente di
convincerlo a sciogliere la presa.
E
così fece...
Coinvolgere
la polizia era l' ultima cosa che voleva.
La
regola fissa che gli aveva imposto il signor Hiwatari.
Takao
piombò al suolo con un tonfo, sbattendo malamente il fondoschiena sul parqué.
Subito
i suoi amici gli furono accanto aiutandolo ad alzarsi.
Il
moro si tirò su a fatica, barcollò leggermente, ma non appena trovò stabilità fece
un balzo all'indietro per allontanarsi il più possibile dal suo aggressore.
Un'occhiata in cagnesco fece ben risaltare
il femmineo volto di Takao che ancora spaesato preferì arretrare di un altro
passo.
Che il gigante avesse creduto alle parole
di Max?
Se ne sarebbe andato lasciandoli finalmente
tranquilli a ragionare sui fatti appena accaduti?
Sembrava non saperlo nemmeno lui.
Doveva essere così stanco e nervoso che a
fatica riusciva a mantenere il suo autocontrollo.
E ciò era male.
Male per loro.
Che avrebbero fatto se avesse insistito?
Inoltre...
Se non per qualche coppia e famigliola ai
piani più bassi, l'intero hotel era quasi vuoto... compreso il loro piano...
Qualcuno avrebbe potuto aiutarli?
Forse si...
Forse no.
...
Ecco
qui! Un pò in ritardo rispetto il previsto, ma almeno ci sono arrivata!! Il
quarto capitolo!!+.+
Temo
che anche il prossimo sarà un pò in ritardo... soprattutto perchè per
continuare la storia avrei due diverse alternative e non so quale delle due sia
meglio far succedere o tagliare!! Il risultato alla fine è lo stesso, ma non so
cosa preferireste voi lettori.... e naturalmente se ve lo chiedessi rovinerei
la storiella!!!ç.ç ........................... A o B? @.@
Quale
tragico dilemma!!!!!!!!!!!! TIRERO' A SORTE!!!!+.+ Bwahahahahahahahahhaaa!!!!!*.*
No...
comunque..... a parte i miei deliri senza senso...
GRAZIE
a tutti quelli che hanno commentato e sono arrivati fin qui a leggere!!(Vi
adoro!!)
Scusate
di nuovo per il capitolo troppo breve, ma non riesco proprio a farli più
lunghi!! Anche su questo MIGLIORERO'!!+.+
L'uomo in nero sospirò
a fondo sotto lo sguardo in allerta dei ragazzi.
Sembrava cercare
disperatamente di rimanere calmo e soprattutto di non sfogarsi con quei tre,
altrimenti sarebbero stati guai.
Grossi guai...
Non era portato per
fare la guardia del corpo... lui, un ex campione di box... perfino sul ring il
suo modo di combattere era considerato violento...
Fuori dai limiti di
gioco.
Abbassò le braccia
lasciandole ciondolare lungo i fianchi.
Kei Hiwatari poteva
trovarsi lì, in una di quelle stanze...
Poteva...
O non poteva...
Se non lo trovava
per lui erano guai...
Grossi guai.
Ma se avrebbe
causato disastri o fatto intervenire la polizia sarebbero stati guai ancora
peggiori.
Di sicuro il suo
datore di lavoro lo avrebbe lasciato solo a sbrigarsela contro chissà chi.
Lasciandolo finire
in prigione, se necessario, per tirarsi fuori dalla faccenda.
Aveva più potere di
lui.
Troppo rischioso.
Si voltò per uscire
dalla stanza.
Kei Hiwatari poteva
essere benissimo altrove e nel peggiore dei casi sarebbe nuovamente tornato loro
a fare una visita..
Rei, Takao e Max a
quella visione sentirono come se il cuore si fosse alleggerito di qualche peso.
Le loro espressioni
si rilassarono e anche la rispettiva postura sembrò meno irrigidita.
Al biondino sfuggì
un soffocato gemito... dopo essersi così esposto precedentemente aveva già
cominciato credere che a lui sarebbe capitato qualcosa di ben peggiore rispetto
a Takao.
Per quanto
riguardava quest'ultimo, se la situazione non fosse stata così tragica, si sarebbe
perfino messo a ridere dalla gioia;
Se ne stava
andando?
Se ne sarebbe
finalmente andato lasciandoli stare?
Non li avrebbe più
importunati?
Aveva creduto
all’affermazione di Max?
...
Evidentemente no.
La body-guard si
voltò di nuovo...
Con una strana luce
negli occhi.
Al diavolo i
disastri che avrebbe potuto provocare!
Non era da lui
trattenersi per motivi così futili...
Ora il suo unico
pensiero fisso era trovare quel maledetto moccioso viziato di un Hiwatari e
fargliela pagare per tutta la fatica che gli aveva procurato.
Si fermò di botto.
Qualcuno si era
parato dritto di fronte a lui.
Impedendogli di
fare un passo in più all'interno della stanza.
Lo sguardo truce...
I lunghi capelli
corvini ancora mossi dal brusco movimento.
Le braccia tese
lungo le spalle per impossibilitarlo all’avanzare.
Tra i ciuffi neri
della frangia scompigliati sulla fronte, due occhi d'ambra colmi d’accidia e
freddezza che sembravano trapassarlo da parte a parte.
Due iridi feline
che si assottigliavano sempre più fino a diventare un'acuta lama nera.
Un’acuta lama nera
che divideva in due parti l'oro del sole nel suo sfondo.
"Rei..."
La voce di Max
risuonò vaga e timorosa per la sorte dell'amico
Di sicuro
l'omaccione non ci avrebbe impiegato molto a levarselo dai piedi..
Sia pure in malo
modo...
"Ti abbiamo
detto che qui Kei non c'è! Quindi levati dai piedi!"
La voce del cinese
era come un sibilo.
Ogni parola ben
scandita con un tono che si addiceva proprio al suo sguardo colmo di collera.
L'uomo esitò di
fronte a quel giovane ragazzo ai suoi occhi tanto stupido quanto coraggioso.
Che significava
quel comportamento?
Stava tentando di
difendere disperatamente il suo amico o voleva evitare brutti incidenti?
Poi gli venne alla
mente un particolare.
Conosceva abbastanza
bene Kei Hiwatari.
Lo aveva osservato
da lontano per conto di suo nonno.
Un tipo freddo e
scontroso...
Di sicuro nessuno
avrebbe mai rischiato troppo per aiutare un tipo come lui.
E considerando un
altro dettaglio, nemmeno il ragazzo era tipo da andare di corsa dai suoi amici
a chiedere aiuto.
La ragione prese di
nuovo il sopravvento..
Soprattutto dopo
che anche Takao e Max si erano affiancati al moro.
Inutile rischiare
così troppo per degli stupidi mocciosi..
Come aveva pensato
prima, male che andava sarebbe ritornato da loro a fare visita...
Alla fine Kei
sarebbe di sicuro passato lì se non lo aveva già fatto.
Si voltò e senza
una parola uscì dalla stanza lasciando di stucco i tre.
Ognuno di loro non
abbandonò la propria posizione.
Le orecchie tese in
ascolto.
Un'atmosfera tesa e
silenziosa riempiva la stanza tra i respiri regolari degli occupanti.
Rumorosi come prima
i passi si stavano lentamente allontanando.
Uno ad uno si
facevano sempre più bassi.
Sempre più lontani.
Fino a scomparire
del tutto.
Takao crollò sulle
ginocchia.
"Accidenti...
è stato terribile! Non sono mai stato così male in vita mia!"
Max si passò una
manica del pigiama sulla fronte imperlata di sudore..
"E' finita! Se
n'è andato..."
Anche lui imitò
l'altro sedendosi a terra e incrociando le gambe.
Tutto era in
perfetto ordine...
Tutto come prima
dell'arrivo dell'ospite poco gradito...
Tutto dava
l'impressione che non fosse mai successo niente.
"Dobbiamo fare
qualcosa!"
Saltò su Rei
voltandosi di scatto verso i due amici.
Aveva un'espressione
alquanto scioccata o meglio...
Angosciata.
"Qualcosa?"
Il moro a terra lo
fissò interdetto dal basso...
Una gomitata gli
arrivò allo stomaco...
Non offensiva, ma
pur sempre una gomitata.
"Ahio! Max che
ti prende?!"
L'americano lo fissò offeso...
Quasi non
accettasse il suo comportamento riguardo qualcosa che ancora lui non afferrava.
Ancora nulla...
Notando
l'imperterrita espressione interrogativa del compagno, lo sguardo di Max sembrò
cedere.
Abbassò il capo
scuotendolo negativamente, mentre i capelli biondi gli nascondevano
completamente il volto ondulando ad ogni suo movimento.
Rei sbuffò
spazientito fissando con rimprovero il proprio capitano di squadra.
"Non dirmi che
dopo aver saputo che Kei è lì fuori a congelare con alle calcagna quel tipo, te
ne vorresti tranquillamente andare a dormire!"
Takao cadde giù
dalle nuvole..
Una caduta molto
imbarazzante..
Kei!
Dopo tutta quella
confusione se n’era proprio scordato.
O meglio... dava
per scontato che il suo amico se ne stesse già in qualche posto sicuro.
Dopotutto...
Era di Kei che si
parlava...
Il freddo e
calcolatore Kei che sa sempre come tirarsela fuori dai guai.
Tuttavia non poteva
non prendere in considerazione i timori di Rei.
E' vero...
Kei poteva
scomparire ovunque in qualsiasi momento e non dare più notizie di sé...
Ma poteva anche
trovarsi a vagare in piena notte, tra le vie di Mosca, in chissà quali casini,
senza nemmeno azzardarsi a chiedere loro aiuto.
Troppo orgoglioso.
"Andiamo a
cercarlo!"
Dopotutto era un
loro compagno...
Un loro amico.
Si era rialzato in
piedi, imitato di nuovo da Max, e attendendo una risposta dagli altri due.
Il biondino abbassò
il capo in una silenziosa riflessione, mentre le mani gli sprofondavano sempre
più nelle tasche del pigiama azzurro.
Il viso di Rei si
era fatto pensoso, intento a valutare ogni conseguenza che avrebbe portato quel
gesto.
Passò lo sguardo da
Takao a Max fissandolo poi dietro di loro.
La porta alle loro
spalle era ancora spalancata..
Un invito esplicito
ad uscire..
Acconsentì con il
capo.
Un gesto che parve
più un modo di stipulare un segreto patto fra se e se.
"E va bene...
però è meglio che Max resti qui... nel caso Kei passasse da noi..."
L'americano lo
guardò interdetto mentre le guance gli arrossivano lievemente.
"Perché proprio
io devo restare qui?!"
Il suo tono era
calmo, non dava segni d’offesa o rabbia, ma aveva un certo tono basso che lo
rendeva più ostile del solito.
I suoi occhi blu si
posarono sulla figura di Takao in cerca di sostegno, ma quest'ultimo, facendo
spalline, si limitò ad indicargli con la testa il cinese ancora muto.
Il suo sguardo
passò nuovamente su Rei e, sempre in attesa di una risposta, sfilò le mani
dalle tasche incrociandosi le braccia al petto in un gesto d’impazienza.
"Ma ti sei
appena sentito male! Non è proprio la miglior cosa uscire fuori con questo
gelo! E se te ne fossi dimenticato nel tappeto della mia stanza c'è ancora il
segno della tua nausea... una bella macchia app..."
"Si, si! Ok!
Sto qui!"
Lo zittì Max di cui
nemmeno le sue lentiggini potevano riconoscersi tra il colorito rossastro che
gli aveva inondato la faccia...
Abbassò lo sguardo
al pavimento...
Questa era l'ultima
volta che andava a chiedere aiuto a Rei quando stava male nel bel pieno della
notte.
Di certo...
Era anche l'ultima
volta che mangiava cibo russo prima di andare a letto.
Preferiva di gran
regola gli hot-dog.
Con ketchup e
senape... (-.-'')
Stava per accettare
la loro proposta senza troppi scrupoli quando, all'improvviso, la sua mente fu
illuminata.
"Ma se torna
l'omone di prima che faccio?!"
Takao e Rei si
guardarono imbarazzati...
Cercando
disperatamente un suggerimento nello sguardo dell'altro.
Il silenzio cadde
nella stanza..
Il biondino li
fissò in rassegna uno ad uno...
Erano questo a cui
miravano?
Forse speravano che
non ci arrivasse?
Ma no...
Non erano così
crudeli...
No...
Vero....?
"Ok, Max! Noi
andiamo! Mi raccomando se passa qui Kei chiamami al cellulare!"
Takao si voltò in tutta fretta verso la porta d'uscita scomparendo ben presto
dalla sua vista e lasciandogli nella mente solo il ricordo del suo più luminoso
sorriso.
Max lo guardò con
le braccia a terra.
Miravano a quello!
Accidenti a loro!
Lo avevano fregato!
"Vado anch'io!
Mi raccomando... Max!"
Rei si voltò a sua
volta con tutta l'intenzione di svignarsela...
"Rei..."
Il moro fece finta
di non udire il richiamo del compagno pensando unicamente ad andarsene, ma
quando questo divenne più forte rispetto ad un semplice appello si bloccò sulla
soglia voltandosi a fissare l'americano.
Adesso lo avrebbe
costretto a rimanere lui al suo posto… se lo sentiva.
Alzò gli il capo
nella sua direzione…
Il volto si era
fatto improvvisamente grave e i suoi occhi di cobalto lo fissavano con una nota
di delusione.
"Questa non è
una partita a Bey Blade... se sbagliamo qualcosa qui ci rimettiamo di grosso,
non una semplice sconfitta..."
L'espressione di
Rei si asserì a sua volta lasciando poi trasparire un dolce sorriso semi
adombrato dall'ombra della porta aperta.
Alla fine aveva
deciso di restare lui.
"Ehe.. non c’è
da preoccuparsi! Staremo attenti, tu piuttosto... se torna quell'uomo telefona
alla polizia e cerca aiuto al personale dell’Hotel, anche se penso veramente
che saremo qui prima di lui!"
Max rispose a sua
volta al sorriso e sprofondando nuovamente una mano in tasca, con l'altra fece
un segno di saluto al compagno.
La sagoma di Rei
che spariva lasciandosi la porta chiusa alle spalle mise fine a quel discorso…
Dei passi che si
allontanavano sempre più, lungo il corridoio.
La figura minuta di
Max che si raggomitolava nuovamente nel divano...
... si avvolgeva
nella soffice coperta posata al suo fianco...
E cacciava un cupo
e lungo sospiro formato da tutte le sue angosce e dalla sua stanchezza che,
silenziose come quegli attimi, si sperdevano nell’aria tiepida della stanza
insieme al tetro ticchettare dell'orologio a muro.
...
Eccomi
qui!!!!!!!!!!!!! Dopo secoli, anni e millenni!!! Sono veramente dispiaciuta per
avervi fatto aspettare tanto per questo capitolo!! Scusate, ma ormai l'anno
scolastico è iniziato del tutto e sono piena di compiti e cose da studiare e
quel poco tempo che ho libero non sempre lo uso per scrivere...ç.ç Pardon!
In ogni caso la fan
fiction continuerà ugualmente... magari un pò più lentamente!!^.^'' (Ho fatto
la rima!)(-.-'')
Spero vi sia
piaciuto questo capitolo!! Sul prossimo penso che passerò nuovamente la scena a
Kei... sarebbe anche ora...^o^
Grazie a tutti
coloro che hanno commentato e che continuano a leggere la fan fiction!!!!!!!! I'm very happy!!
Se
nell'ambiguo specchio turchese vuoi più rifletterti...
E
alla regina da quel filo tendere...
Al
primo tentativo il tuo desiderio allora cede."
Ormai
la luna era calante e la fine falce argentea era sul punto di scomparire dietro
il lontano orizzonte, portando con sé quella turbolenta nottata.
Ma
era ancora presto perché il sole illuminasse quelle strade ora protette dalla
fioca presenza delle stelle.
Quelle
strade calpestate da due slanciate figure giovanili.
Due
ragazzi che ora correvano verso una meta.
Due
ragazzi che ora ne arrestavano la corsa.
Accidenti
a te!
"Kei!
Perché diamine ti sei fermato proprio adesso?!"
Yuri
si bloccò a pochi passi di lontananza dal blader.
Aveva
ancora il respiro affannato e lo sguardo di chi non accetta scuse.
Kei
alzò la propria attenzione su di lui.
Due
preziosi rubini sotto una fitta capigliatura argentea.
Scosse
il capo e fissò il compagno con un velo di commiserazione.
"Yuri...
dove stiamo andando?"
Se
possibile, il volto già pallido di Yuri sembrò sbiancare ulteriormente.
Si
guardò attorno smarrito.
La
strada era un'altra, ma immaginava che Kei lo avrebbe capito ugualmente...
Cercò
di assumere sicurezza e dopo una breve riflessione si rivolse al compagno.
"Al
monastero... lì ti sono già venuti a cercare e se riuscissi a non farti
riconoscere posso tenerti nascosto per un bel pezzo.."
Kei
rimase impassibile.
Continuò
a fissarlo in silenzio vedendo nuovamente la sua immagine riflessa in
quegl’occhi turchesi.
Era
vero... la strada era per il monastero.
La
strada...
Tirò
un sospiro portando lo sguardo alle sue spalle.
E
pensare che poco prima aveva avuto la possibilità di dimostrare una volta per
tutte che non era schiavo del proprio orgoglio.
Dimostrarlo
a suo nonno che da sempre ne aveva approfittato...
Anche
adesso.
Anche
ora muoveva con tanta facilità il suo filo portandolo dritto dritto dove lui
desiderava.
Manovrando
anche i fili altrui se necessario...
Anche
adesso.
E
a dirla tutta il suo orgoglio preferiva senza ombra di dubbio chiedere aiuto
piuttosto che assecondare consapevolmente quel dannato vecchiaccio.
Buffo
in un certo senso...
...da
una certa veduta...
...ma
vero.
Si
girò di scatto piantandosi nuovamente con lo sguardo su Yuri che fino ad ora lo
aveva fissato in silenzio.
Un
lieve venticello si alzò, facendo ondulare aggraziatamente la candida sciarpa
di Kei e i ciuffi cremisi della capigliatura del russo.
Due
labbra rosee si stesero in un classico sorriso ironico che aveva tutta l'aria
di una piccola sfida.
"Per
una volta non finirò nelle mani del mio orgoglio... io torno indietro..."
Yuri
sorrise a sua volta in ugual modo.
Ormai
lo avevano capito tutti e due; era inutile tentare di costringerlo con la
forza.
Una
piccola risatina proruppe dalle labbra del rosso.
"Corri
dai tuoi compagni mia cara Lady Doll!Io non ti fermerò!"
Kei
lo guardò di sottecchi senza appassire quell'ironico sorriso altezzoso.
"E'
così che la storia continua mio caro narratore.."
Detto
ciò solo le spalle di Kei coperte dal cappotto di Yuri...
...bianco
come la neve...
e
sprezzante come il bianco mantello di un principe...
...ebbero
l'onore d’essere le ultime significative immagini riflesse in quegl'occhi
turchesi...
in
quel miscuglio celeste di caratteri contrastanti.
L'antico
compagno di squadra che in cuor suo sperava nella salvezza di quel FORSE caro
amico...
e
il piccolo lupo solitario in grado di poter mettere se stesso prima davanti a
tutti.
Ad
ogni costo.
Anche
adesso.
Ma
forse poteva sapere chi dei due aveva avuto la meglio dando a Kei i visibili
segni del suo mancato tradimento.
Nella
mente risuonò di nuovo quell’ultima frase che il russo aveva pronunciato prima
di ripercorrere i suoi passi:
"Dì
a mio nonno che stavolta non cadrò nella sua trappola e sappi che non mi
aspettavo ugualmente niente di buono da te...anzi...ero sicuro che mi stavi
tradendo..."
Yuri
si prese le tempie tra l'indice e il pollice della mano destra.
Accidenti
a lui!
Quello
scemo...
Sorrise
nuovamente tra sé.
Cosa
credeva...
se
lo aveva lasciato andare così facilmente era solo perché...
sapeva
che presto lo avrebbe rivisto.
Eccola
lì!
La
luminosa insegna dell’Hotel!
Intermittente
e addobbata come un grande albero di Natale.
I
suoi passi cominciarono a rallentare a poco a poco.
A
poco a poco si stava avvicinando.
Ed
eccola lì!
L'entrata.
La
porta che l'avrebbe condotto dai suoi amici.
Stavolta
vi si catapultò contro.
Prima
che il suo cervello potesse rendersi conto delle proprie intenzioni.
Prima
che il suo cuore ne fosse avvisato.
Prima
che il suo orgoglio si fosse messo in atto a bloccarlo e a portarlo di nuovo
nel dubbio e nell'incertezza.
Allungò
la mano alla maniglia dorata.
Poteva
già vedere l'interno della Hall attraverso il vetro della porta.
Poteva
già vedere la sagoma nera alle sue spalla riflessa in quel vetro.
Poteva
già abbassarsi di scatto per evitare il grosso braccio che stava per afferrarlo.
Poteva...
Ancora
prima di aprire la porta si sentì scaraventare all'indietro.
Sentì
sotto il suo collo il cappuccio del cappotto sbottonarsi da qust'ultimo e
rimanere tra le mani del suo aggressore.
Piombò
in mezzo alla neve.
Alla
neve che fastidiosamente si era insidiata tra le maniche del cappotto e
all'interno delle scarpe.
Che
sensazione fastidiosa.
Quel
gelido tocco che inumidisce ogni cosa e ti lascia in balia del freddo.
Si
rialzò velocemente da terra trovandosi faccia a faccia con l'enorme body-guard
in black.
Solo
lui poteva sapere quanto odiava quell'uomo.
Quell'insopportabile
leccapiedi che da sempre lo aveva sorvegliato da distante per ordine di suo
nonno.
"Kei
Hiwatari! Mi hai sorpreso... non pensavo saresti venuto a cercare aiuto proprio
dai tuoi amici!Non è da te..."
La
sua voce aveva un tono piuttosto basso, ma non bastava per nascondere la nota
di vittoria e di soddisfazione che la rendeva così insopportabile.
Il
ragazzo gli lanciò un'occhiata tagliente e piena di rancore, sentendosi ormai
con le spalle al muro.
Si
guardò attorno in cerca di una via di fuga...
Aveva
un'intera piazza a disposizione, libera da qualunque ostacolo, ma avrebbe corso
abbastanza veloce da poter seminare il bestione?
Provare
per credere.
Senza
perdere altro tempo fece uno scatto verso la sua destra, schivando il braccio
dell'uomo alzato per fermarlo e correndo a perdifiato verso uno dei vicoli ai
lati della piazzetta.
Sentiva
dietro di se i passi pesanti del gorilla che pressavano sotto di loro la neve
lasciando grossi solchi sullo stampo del suo piede.
Nonostante
la sua mole era fin troppo veloce per Kei già stremato da quella nottataccia.
Ormai
c'era quasi.
Era
ad un soffio dietro di lui.
NO!
Non
poteva essere preso...
Ormai
c'era quasi...
Se
solo fosse riuscito ad imbucarsi in una di quelle strette vie avrebbe avuto più
possibilità di seminarlo.
Sentiva
le gambe dolergli dalla fatica, i suoi polmoni avevano l'aria di essere sul
punto di esplodere, ma la sua volontà era come un fuoco che cancellava il
dolore fisico e si occupava esclusivamente di ardere nei suoi pensieri e di
alimentare la sua resistenza.
In
quell'attimo si accorse di avere appena imboccato una stradina abbastanza
stretta e piena di sbocchi ai lati che portavano ad altre vie secondarie.
A
questo punto non avrebbe trovato troppe difficoltà a sviare il suo inseguitore.
Forse.
La
body-guard però non ne era convinta visto che ormai era esattamente alle sue
spalle.
Infatti...
Gli
bastò allungare un braccio...
...
Ahi...ahi...ahi...
è venuto piuttosto corto... non proprio come me l'immaginavo, ma passabile!+.+
Vi
è piaciuto? Dite di si per favore...ç.ç Sono così impegnata tra la scuola e i
problemi con la mia compagnia che ormai non ho nemmeno il tempo di leggermi i
miei adorati fumetti!!! Uffiiiiii!!! ç.ç Però mi raccomando.... non
abbandonatemi!! Come sempre mi impegnerò per proseguire al meglio la fanfiction
e ringrazio coloro che mi commentano sempre sui vari siti sperando che
continuino così!! GRAZIEEEEEEE!!!!!!!!!Un bacione a tutti e a presto!!!!!
P.S.
se non ho bene reso l'idea...Yuri era stato "assoldato" da Hito per
portargli Kei con l'inganno, ma se la cosa non è bene chiara ditemelo così nel
prossimo capitolo metto bene in luce la cosa... ^^'''''''
Kei
sgambettò alla sua sinistra imboccando un'altra via ed evitando d'un soffio il
grosso braccio della body-guard che tagliò l'aria a pochi centimetri dalla sua
testa con un sibilo sinistro.
Pensava
che raggiunta quella zona gli sarebbe stato più facile seminarlo tra la fitta
rete di stradine, ma contrariamente alla sua mole l'uomo dimostrava di avere
una buona resistenza e, ancora peggio, un'incredibile velocità.
Per
un attimo credette di essere spacciato; il suo piede scivolò su un cumulo di
neve fresca sprofondandoci in mezzo ed inzuppando ulteriormente i calzini ed i
pantaloni del ragazzo.
Dandosi
una forte spinta con il braccio sulla parete scrostata di una casa riuscì
nuovamente a schivare un secondo tentativo del gorilla di afferrarlo, oltre a
rimediare una brutta scucitura sulla manica del cappotto.
Yuri
si arrabbierà per questo..
Imboccando
due o tre stradine di seguito, gli parve per qualche attimo di essersi lasciato
alle spalle l'accanito inseguitore, ma il passo pesante dell'uomo risuonava
ancora dietro di lui e poco dopo l'uomo riapparve più furioso che mai a pochi
passi da lui.
Poteva
quasi sentire il suo respiro pesante dietro la nuca.
Il
solo pensiero lo fece rabbrividire dandogli la forza di accelerare il passo.
Una
silenziosa corsa lungo le strette vie della città illuminate di tanto in tanto
da qualche pallida luce proveniente dalle insegne dei negozi o dai vecchi
lampioni ghiacciati dal gelo e dalla neve; le case ed i condomini erano troppo
alti per permettere alla Luna di filtrare tra le antenne o i tetti delle
abitazioni e quella zona così dispersa ed ombrosa non proponeva gli svaghi del
centro urbano; per questo nessuno si sognava di mettere piede in quelle strade
ad un'ora così tarda.
Nessuno
avrebbe potuto aiutare quel ragazzo esausto ed alle prese con qualcuno che
all'apparenza poteva apparire immune alla stanchezza e al freddo russo.
Quanto
ancora avrebbe resistito?
Ormai
era al limite..
Sia
i polmoni sia i muscoli delle gambe gli dolevano e non si sarebbe sorpreso se
di lì a poco si fosse ritrovato con la faccia immersa nella neve...
o
peggio...
...prima
di tutto...
se
in una di quelle tante stradine avesse beccato proprio un vicolo cieco.
In
fondo non conosceva alla perfezione quella zona.
Ci
era passato abbastanza volte da permettergli di non perdersi, ma non abbastanza
da evitare di trovarsi di fronte un malaugurato vicolo cieco.
D'improvviso
una sagoma immersa nell'oscurità sbucò in corsa da una via al loro fianco,
scontrandosi di conseguenza con il grosso uomo e facendo perdere ad entrambi
l'equilibrio piombando nella neve fresca che attutì la caduta.
Kei
non perse tempo.
Utilizzò
le sue ultime forze per approfittare di quel fortuito contrattempo e imporre
una buona distanza tra lui ed il suo inseguitore.
In
fondo non gli importava del povero malcapitato - chiunque egli fosse - che
aveva incrociato la sua strada con la body-guard...
...nel
vero senso della parola.
In
quel momento doveva pensare a salvare se stesso.
Prima
di tutto.
Rapido
e silenzioso si allontanò dai due lasciando come unica traccia solo le sue
impronte nella neve candida che ricopriva il suolo.
Takao
si mise a sedere guardandosi disorientato intorno e risistemandosi qualche
ciuffo di capelli dietro le orecchie.
Andò
tastoni e trovandolo a fianco indossò nuovamente il suo inseparabile cappello
dai vivaci colori accesi.
Si
girò verso la direzione dove poco prima era sparito il ragazzo russo.
Quello
che aveva visto poco prima era Kei!
Non
c'erano dubbi... lo aveva visto sfrecciargli davanti poco prima di...
Si
voltò portando di nuovo la sua attenzione di fronte a sé e scrutando con i suoi
grandi occhi scuri attraverso l'oscurità all'ombra della luce del lampione.
Contro
cosa aveva sbattuto?
Un
qualche cartellone di un qualche bar?
Il
silenzio era diventato piuttosto pesante..
Con
suo sommo rammarico "un qualche cartellone di un qualche bar" non era
una spiegazione adeguata alla sua situazione.
I
suoi occhi divennero più lucidi mentre un'espressione supplichevole distorse il
suo volto femmineo di fronte a colui che da un pò di tempo aveva cominciato ad
apparire nei suoi incubi in sostituzione alla "terribile" befana.
Un
brivido lo percorse lungo la schiena, riconoscendo sempre più i familiari
lineamenti spigolosi e massicci.
-
Non può essere... perché ancora tu? -
Con
un tono piagnucoloso ed innaturalmente acuto non poté non ricordare la brutta
esperienza di poco prima.
Se
la situazione non fosse stata così tragica tutto ciò sarebbe potuto apparire
quasi comico...
-
Tu! Brutto moccioso! -
L'uomo
si era già rialzato ed ora osservava truce il ragazzo attraverso le spesse
lenti degli occhiali.
Nonostante
il buio sembrava riuscire a vedere parecchio bene attraverso quegli occhiali.
Uscì
dall'ombra per mostrarsi in tutta la sua disumana quanto minacciosa sagoma
muscolosa.
Takao
rabbrividì nuovamente.
Era
visibilmente fuori di se:
Impossibile
trattare.
-
Perché tutte a me! -
Con
un gridolino schivò prontamente l'assalto dell'uomo, scivolando sulla neve e,
rimettendosi agilmente in piedi, corse a più non posso seguendo le tracce
lasciate da Kei.
Era
più veloce dell'uomo che evidentemente doveva essere anche lui piuttosto
affaticato, ma sarebbe ugualmente riuscito a raggiungere Kei?
Lui
e Rei si erano divisi per riuscire ad intercettare l'amico dandosi
successivamente appuntamento all'Hotel di lì ad un'ora.
Ad
un tratto in un vicolo al suo fianco scorse un movimento.
La
sciarpa bianca di Kei svolazzava pigramente alla sua destra mentre si poteva
scorgere la sagoma del russo seminascosta all'ombra di una rientranza tra il
confine di due case.
-
Kei! C'è un grosso omone che mi insegue!! -
Il
volto stupito di Kei apparve sotto la luce di un lampione per poi mutare in
un'espressione di indignazione mista all'irritazione.
-
Razza di deficiente! Dopo tutto quello che ho fatto per seminarlo me lo vieni a
riportare indietro! -
Gli
occhi cremisi del rosso si socchiusero in una smorfia di rassegnazione di
fronte alla faccia da ebete che aveva assunto il compagno.
Takao
lo fissò imbarazzato fissando impacciato un punto lungo la sua sinistra...
- Ah... be sai... -
Un
vento passeggero soffiò per la via facendo svolazzare all'insù la candida
sciarpa di Kei accompagnata un lento movimento del suo cappotto.
La
luce di un lampione si rifletté con lucidi riflessi argentei sui ciuffi del
russo mutando di tonalità per via del pacato movimento imposto loro dal soffio
del vento.
Quel
vento che dopo un istante parve passare dall'altro ragazzo con cui giocò, a sua
volta, con i lunghi ciuffi neri dei suoi capelli.
Il
giapponese non poté che lasciarsi andare a quella piacevole sensazione.
Piacevole
e rilassante quanto il canto delle sirene.
-
Takao! Che stai facendo! Corri! -
La
voce di Kei fece trasalire il moro, poco prima cullato da quella dolce brezza,
che si rese conto di avere alle sue spalle, pronto a colpirlo, l'omone in nero.
Soffocando
un grido si abbassò per evitarlo ed afferrò la mano che il russo gli porgeva,
si tirò stordito di nuovo in piedi riprendendo la corsa fianco a fianco con
l'amico.
E
nuovamente inseguiti dall'uomo...
Mentre
quest'ultimo lanciava loro taglienti imprecazioni che a poco a poco si spensero
dietro il fiatone della corsa...
Takao
osservò poco più avanti di lui il compagno.
Era
felice di averlo finalmente trovato e di costatare che non era caduto nelle
grinfie del nonno..
Ma
per quanto ancora?
Non
potevano continuare a correre come matti per la città..
Probabilmente
il gorilla li avrebbe presi prima.
Per
quanto correva sembrava accusare pochissimo la stanchezza e inoltre quell’uomo
era veloce e non si arrendeva di fronte a niente.
In
suo contrario Kei sembrava riuscire a correre per puro miracolo, infreddolito e
stanco com’era non avrebbe retto a lungo, inoltre correre con quel pesante
cappotto bianco doveva essere difficoltoso.
Il
giapponese si soffermò sul profilo del ragazzo; era pallido ed aveva la fronte
imperlata di sudore, perfino i suoi occhi brillanti come rubini erano oscurati
da un velo opaco.
Dovevano
escogitare un qualche sistema per levarsi dai piedi la body-guard.
In
quel mentre, distratto dai suoi pensieri, il moro mise il piede in fallo
ottenendo in risultato un brutto stracollo che lo fece cadere a terra su un
fianco.
Kei
si bloccò di scatto voltandosi verso l’amico.
L'espressione
del volto impassibile, ma severa.
I
capelli argentati mossi dal brusco movimento.
-
Takao! -
Il
moro tentò di rialzarsi, ma il gorilla era già pronto a saltargli addosso.
Indifeso
Takao tentò di ripararsi d’istinto il viso con le braccia..
Per
un attimo i suoi occhi neri si chiusero mentre alzava una gamba per respingere
l’uomo sebbene sapesse non sarebbe servito a nulla.
Perché
sempre tutte a me!
Un
fruscio d’aria alle sue spalle gli fece riaprire gli occhi.
Kei
era corso in tempo in suo aiuto.
Con
una velocità incredibile si gettò contro l’omone, del tutto sorpreso, dandogli
una spinta abbastanza forte da farlo barcollare e quindi indietreggiare.
In
questo modo la sua attenzione venne per breve tempo distolta dal moro.
Senza
perdere tempo il russo aiutò Takao a rialzarsi.
Per
un istante un’occhiata d’intesa illuminò i loro sguardi e scambiandosi un
sorrisino per niente benevolo presero in contemporanea una piccola rincorsa
all’indietro.
Fissarono
l’uomo che leggermente stordito si ergeva in piedi a qualche metro da loro.
In
quel momento l'intesa tra quei due ragazzi così diversi, ma con una grande
fermezza nei loro sogni sembrò appartenere ad un unico essere. Le sensazioni
dei loro precedenti combattimenti, il particolare legame che lega due avversari
della loro taglia ed il loro rispetto reciproco sembravano essere diventati il
mezzo con il quale, trammite una sola occhiata, due persone siano riuscite a
leggersi nella mente.
Anche
senza un particolare segnale i due blader scattarono sincronici in una rapida
corsa contro il loro inseguitore.
Il
gorilla, aspettandosi da loro un attacco frontale simile al primo, alzò le
braccia pronto a colpirli, ma i due si chinarono proprio a pochi passi da lui
ed approfittando della superficie scivolosa della strada, si lanciarono in
scivolata sulle gambe dell’uomo colto alla sprovvista.
Quest’ultimo
crollò violentemente in avanti sprofondando sulla neve che questa volta non era
abbastanza spessa per attutire la caduta.
Un
urlo di dolore riempì l’intera stradina.
L’uomo
si rialzò.
Il
naso sanguinate che cercava di essere nascosto da una grossa e nodosa mano
abbronzata.
Gli
occhiali dalle spesse lenti scure, ormai ridotte in frantumi, ancora a terra
nel punto in cui la neve rossastra aveva assunto la sagoma di un viso...
Infuriato
e fuori di sé.
La
rabbia soppressa in quella nottata che aspettava solo si scoppiare.
Scoppiare
e avventarsi con pesanti pugni e mazzate su chiunque avrebbe tentato di
fermarla.
Su
chi, prima di tutti, era la causa di quel pericoloso fuoco che una volta
divampato distrugge qualunque cosa.
Non
importa se sono i nipoti del datore di lavoro…
O
se sono i campioni di stupidi tornei di trottole.
Prima
di tutto…
…dovevano
pagare.
Si
voltò rabbioso pronto ad assalire e colpire i due.
Colpi
lanciati a vuoto.
La
consapevolezza di essere i soli presenti in quella triste stradina senza luce.
La
consapevolezza di esserseli fatti scappare.
Due
allegre risate cristalline che si sperdevano in quell’aria fredda della notte.
Un
urlo pieno di collera e disprezzo.
...
Ciaoooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo!!!!!!!!!!!
Scusatemi!!! Sono scomparsa dalla scena per troppo tempo! Non volevo farvi aspettare
così tanto per questo capitolo!! Chiedo scusa, ma sono terribilmente
impegnata!! Infatti, temo che non sia venuto troppo bene questo capitolo... ç.ç
Ed è venuto anche corto... ç.ç
Spero
di riuscire a finire il prossimo in meno tempo così da impostarlo prima!! +.+
Ok!
Vi saluto e vi ringrazio per aver continuato a seguirmi nonostante io vi faccia
aspettare tanto! GRAZIE anche a tutti coloro che mi commentano nei vari siti!!
CIAUX!!!!! ^.^
Takao
lo aveva constatato con sorpresa dalle lancette arrugginite dell'orologio di un
vecchio campanile in restauro.
Eppure
l'intero manto stellato era ancora tinto di uno dei suoi più incantevoli blu
cobalto e nulla sembrava voler presagire l'arrivo del cielo mattutino e dei
tiepidi raggi solari.
Forse
solo la Luna, sempre più calante, dava l'idea di una possibile ora tarda.
Il
moro si tolse il cappello passandosi una mano tra la folta chioma lucente per
poi infilarselo nuovamente.
-
Kei? -
Si
voltò scorgendo la longilinea figura dell'amico appoggiata al tronco di un
albero, poco distante dalla panchina su cui era accomodato.
Gli
occhi socchiusi in mille riflessioni sotto una spettinata chioma argentea.
Sapeva
già che non gli avrebbe risposto..
Doveva
essere molto stanco.
Dopo
aver seminato il bestione si erano rifugiati in un piccolo parco illuminato,
poco distante dal centro urbano.
Due
o tre alberi piantati qua e là insieme a qualche arbusto e ad altrettante
panchine poste ai fianchi di una stradina.
Niente
di speciale.
Il
posto ideale per due ragazzi appena fuggiti dalle grinfie di una body-guard
incazzata.
Un
piacevole luogo; calmo e tranquillo...
Silenzioso
e ben celato...
Sinistro
ed ombroso.
Takao
rabbrividì.
La
sensazione di qualcosa di gelido che sale lungo la colonna vertebrale per poi
svanire poco più sotto della nuca con un fastidioso pizzichio.
A
questo punto sarebbe stato un bene raggiungere il punto d'incontro dove si era
dato appuntamento con Rei.
Per
fare questo però sarebbe dovuto riuscire a smuovere Kei.
Scosse
negativamente la testa già scoraggiato da quel pensiero.
I
suoi occhi neri si posarono nuovamente sul russo.
Immobile
come prima.
Si
infischiava altamente della sua presenza.
Come
sempre del resto.
Niente
di speciale.
Era
rimasto colpito dalla serenità con cui poco prima lo aveva visto ridere; dopo
averla fatta in barba al gorilla erano entrambi scoppiati inspiegabilmente in
una sonora risata...
Il
sollievo di essersi finalmente liberati del loro inseguitore...
La
soddisfazione di essere riusciti a cavarsela contro un tipo simile con un gesto
forse addirittura patetico...
Erano
riusciti a uscirne con una piccola collaborazione..
E
aveva avuto "l'onore di ammirare" la bellezza di uno di quei rari
sorrisi di Kei.
Uno
di quei rari sorrisi inspiegabilmente sottratti allo sguardo attento della
gente che invano tentava di rubarne qualcuno...
Di
scorgerne solo per un istante un piccolo barlume nel pallido volto del russo.
Anche
a costo di apparire patetica.
Forse
vivere con un nonno come il suo ti toglieva davvero la voglia di ridere...
In
fondo sapevano tutti che tipo d'uomo era e il modo in cui dimostrava il suo
"affetto" al nipote.
Ma
perché scappare solo ora?
Quando
ormai il tempo ha legato a forza il destino di due persone.
Quando
ormai - anche se duro da ammettere - Kei dipendeva involontariamente da
quell'uomo odioso che aveva imparato a conoscerlo ed a manovrarlo a suo
piacere.
Magari
anche in quel momento il vecchio aveva già previsto ogni futura mossa di Kei.
Magari
lui lo aveva incitato indirettamente alla fuga solo per levarsi lo sfizio di
qualche dubbio sul nipote.
Lo
aveva fatto patire una notte intera e forse anche più solo per testare un
qualcosa.
Per
sperimentare fino a quanto si estendeva il suo controllo sul nipote e fin dove
i suoi fili potevano allungarsi.
Kei
era solo una marionetta nelle mani di un vecchio burattinaio.
Una
bambola che non poteva in alcun modo sottrarsi dalle sue grinfie.
In
alcun modo...
Era
tutto così triste.
Lo
sguardo di Takao si spense sotto l'ombra del frontino del suo amato cappello.
Mai
aveva provato a guardare Kei sotto questa prospettiva ed in fondo si pentì di
averlo fatto.
Si
poteva dire che l'unica cosa che allentasse di poco quel filo teso tra il nonno
ed il nipote fosse il Bey.
Un
piccolo spiraglio che permetteva al ragazzo di osservare il mondo al di fuori
dell'influenza del vecchio.
Uno
sbocco di luce in una vita vissuta nell'ombra...
Ma
in fondo non si poteva certo dire che Kei subiva unicamente.
Sapeva
il fatto suo...
-
Adesso basta... -
Come
avesse udito i suoi pensieri, Kei distolse Takao dalle sue riflessioni
ritrovandosi il russo a pochi passi di distanza.
La
manica del cappotto bianco scucita ed i pantaloni inumiditi fino al ginocchio.
La
sciarpa era l'unica cosa rimasta ancora intatta dopo le avventure di quella
notte.
Due
occhi pieni di commiserazione puntati su un viso pallido e stravolto.
Il
russo non si accorse dell'occhiata di Takao.
Ed
era meglio così.
Se
c'era una cosa che non sopportava era che qualcuno avesse pena di lui.
-
Ci siamo abbastanza ripresi... ed è quasi l'alba... a questo punto è meglio se
tu ritorni in Hotel Takao.. -
Orgoglio.
Ancora
quel dannato orgoglio che non gli permetteva di farsi avanti.
In
fondo non gli costava niente chiedere aiuto a Takao, bastava che gli domandasse
di...
Ma
noooooo...
Lui
deve fare l'eroe!
Deve
seguire il suo orgoglio!
Il
volto di Kei si indurì per i suoi stessi pensieri.
Eppure
proprio qualche tempo prima stava per varcare la soglia illuminata dell'Hotel,
pronto a chiedere soccorso ai suoi compagni.
Prima
però aveva la scusa che era meglio chiedere aiuto agli amici invece di seguire
Yuri che era deciso fino in fondo a portarlo dritto dritto dal nonno.
Ma
ora?
Takao
saltò su a quelle parole, colto da un'improvvisa rabbia.
Il
suo sguardo si asserì, facendosi tagliente in contrasto ai delicati lineamenti
del viso.
-
Tornare all'Hotel?! Immagino tu sappia perché mi ritrovavo a correre per tutta
la città a quest'ora di notte! Non certo per perdere qualche chilo!! -
Kei
sbarrò gli occhi colto da un improvviso dubbio.
Due
grandi pozzi rossastri.
Immaginava
che Takao fosse corso a cercarlo...
Lo
sapeva senza un ragionamento preciso...
Semplicemente
aveva dato per scontato che doveva essere così, ma ora che ci pensava...
In
mezzo a quel trambusto non gli era passato per la testa...
Come
faceva Takao a sapere che era fuggito di casa?
Le
sue labbra si socchiusero intente a porre quella domanda, ma non fu necessario.
-
Quel brutto bestione è venuto fino alla nostra camera a combinare un bel
trambusto, per un pelo non mi strangolava e tu mi vieni a dire di tornare in
albergo come fosse niente lasciandoti girovagare con quello alle calcagna!! -
Tipico
di Takao...
Niente
di speciale...
Almeno
aveva la scusa per accettare il suo aiuto...
Il
russo trattenne un sorriso di sollievo accennando con il capo e mantenendo
successivamente lo sguardo a terra.
Qualche
attimo di silenzio...
Di
riflessione...
Kei
rialzò lo sguardo puntandolo sul compagno.
Due
occhi neri che incontravano la determinazione impressa nei due rubini.
Il
giapponese non attese, afferrò frettolosamente il polso dell'amico tirandolo
dietro di se in una corsa verso l'uscita del parco.
-
Che tu voglia o no ti trascinerò a forza da Rei!! Così ne discuteremo tutti
insieme!! -
Una
voce rassicurante che mise fine alla frustrazione di un cuore troppo orgoglioso
per cedere ai prorpi desideri.
Due
labbra rosee che si incurvavano in un dolce sorriso di gratitudine alle spalle
di un volto raggiante e privo di preoccupazioni.
Il
passo silenzioso di due persone percorrere deciso l'oscurità di una fredda
stradina innevata.
Due
ragazzi ignari di ciò che la sorte aveva loro in serbo.
...
Ciaoooooooo!!!
Come va!? Vi è piaciuto questo capitolo? Inutile dire che è corto e che la
punteggiatura non è delle migliori, ormai sono diventati il mio punto debole...
Inoltre
mi sono un pò staccata rispetto ai capitoli più movimentati... Ho pensto di
scrivere questo per tranquillizzare un pò le acque, anche se non è una
spiegazione valida... forse... -.-''''
Grazie
ancora a tutti quelli che non mancano di commentare nei vari siti e che
continuano a seguire la storia, continuate cosi!!!!!!!!^o^
Le
lancette dell'orologio del vecchio campanile trovarono il loro riflesso
nell'oro lucente degli occhi di Rei.
Il
moro sospirò.
Era
terribilmente tardi.
A
momenti il sole sarebbe sorto.
Il
cielo aveva già cominciato a schiarirsi.
Chissà
se anche Takao stava fissando quelle stesse lancette arrugginite.
Si
chiese se andare a cercare Kei fosse stata una buona idea.
Avrebbero
potuto iniziare le ricerche quella mattina stessa, evitandosi di girovagare per
la città con quel gelo... ma...
Se
quel bestione lo avesse trovato prima?
Ciò
non era bene...
Adesso
dov'era?
Si
guardò attorno voltando lentamente il capo da parte a parte e scrutando con gli
occhi felini tra l'oscurità notturna.
Dall'illuminazione
e dalle varie insegne dei negozi era facile riconoscerla; era una delle strade
principali che conducevano ad una delle tante piazzette cittadine.
Si
fermò qualche attimo a pensare.
Una
figura immobile rischiarata dal fascio di luce proveniente da una vetrina di un
negozio, esposti vi erano costosi abiti di marca, specialmente maschili, alcuni
dei quali non sarebbero stati niente male se indossati da quel ragazzo.
Rei
socchiuse gli occhi portandosi una mano alla testa quasi meccanicamente.
Il
suo viso abbronzato fu adombrato dalla sua frangia corvina mentre abbassava il
capo in riflessione.
Non
valeva la pena allontanarsi troppo dall’Hotel, lui era solo un turista e se
avesse continuato a girovagare per quelle strade si sarebbe presto perso.
Decise.
Si
risistemò la sciarpa che aveva portato con se dall'albergo nascondendosela
sotto il giubbotto beige.
Avrebbe
raggiunto la piazzetta lì vicina e se non avesse trovato nulla d’interessante
sarebbe tornato indietro fino al luogo dell'incontro con Takao.
Un
suono di passi arrivò alle sue spalle..
Una...
no, due persone...
Percepì
una voce maschile ridacchiare e subito si voltò di scatto scrutando tra le luci
giallastre dei lampioni...
Kei...
Takao?
No...
Nessuno
dei due, erano semplicemente due diciottenni mezzi ubriachi... forse di ritorno
da qualche festicciola notturna.
Gli
occhi di Rei si adombrarono per la delusione e, mentre uno dei due ragazzi,
notandolo, gli scambiava un simpatico saluto d'intesa, con un sorriso di
circostanza si girò avviandosi lentamente verso la fine della strada.
Dopo
pochi, ma interminabili minuti di vuoto assoluto, intravide di fronte a se
l'insegna del bar che dava sulla piccola piazza.
In
quel momento, dalle spalle di un grosso edificio, come fili d'orati, i primi
raggi di sole bagnavano di luce la piccola piazza marcandone le ombre e
riflettendosi nei vetri delle finestre fino ad illuminare la graziosa fontana
al centro.
Nello
stesso attimo il meccanismo idrico si azionò e dalle sculture del monumento
cominciò a scorrere sempre più forte l'acqua cristallina che andava a formare
piccoli anelli d'acqua per poi frantumarsi nella superficie marmorea.
La
piazza aveva preso improvvisamente vita e anche se il sole era ancora lontano,
tinto nel suo rosso albore, o i suoi cittadini non ne pestavano il suolo,
sembrava già in piena attività, pronta ad un nuovo giorno.
Nonostante
quell’improvvisa "allegria mattutina" quell'avvento non portò che
sconforto nel cuore del cinese.
Un'intera
nottata in piedi in giro per le vie di Mosca.
Non
gli sembrava vero.
E
inoltre...
Ciò
non era bene.
Sospirò
rassegnato.
Il
suo petto che si gonfiava e poi si afflosciava in una lieve curvatura della
schiena.
Osservò
attento ogni angolo della piazza, movendosi intorno alla fontana per avere una
visibilità di 360°... quasi.
Appariva
circa come una tigre che ispeziona il territorio in cerca di una possibile
preda.
I
negozi, i bar, i ristoranti, tutto era deserto e nessun possibile Kei si
aggirava lì intorno.
Fatica
sprecata.
Si
rivoltò infastidito nella direzione da cui era venuto.
Il
suo passo riecheggiò nel piccolo colonnato di un edificio lì accanto.
Un
eco ritmato e fedele al suono originale.
Un
suono che fece scattare un movimento all'ombra di una colonna.
Rei
arrestò la marcia.
Voltò
il capo verso il suo fianco rimanendo immobile nella sua posizione eretta.
L'aria
cominciava a scaldarsi per il calore del sole appena sorto.
Un
secondo movimento accertò il moro della presenza di qualcuno.
Sotto
il porticato.
Dietro
una colonna.
Si
diresse in quella direzione incurante dell'identità della persona.
Poteva
essere Kei come poteva essere un semplice barbone di strada.
Con
la piccola differenza che se fosse stato Kei o qualcuno di sua conoscenza,
avvertendo la sua presenza, gli sarebbe andato incontro.
Si
bloccò esitante.
I
suoi occhi che tentavano vanamente di scorgere un possibile indizio.
Fece
spallucce, in fondo "chi non risica non rosica" e se faceva una
figura di merda davanti ad uno sconosciuto avrebbe inventato una scusa sul
momento per togliersi dalla situazione.
Si
avvicinò cauto all'edificio ed entrò nel porticato.
Cercò
di darsi un'aria indifferente e facendo finta di niente diede un'occhiata al
suo fianco, lungo tutta la fila di colonne.
La
luce solare filtrava nello spazio che vi era tra una colona e l'altra
provocando suggestive ombre alle loro spalle.
Si
sentiva un pò scemo a darsi tanta pena per un gesto così semplice, ma dopo un'intera
notte di perlustrazioni si sa... non si è completamente lucidi..
...
Ciò
non era bene...
Almeno
la fatica non fu vana.
"Yuri!?"
Due
o tre colonne più in là, appoggiata ad una di esse, la figura del russo
sfoggiava la sua inconfondibile chioma rossa.
Il
ragazzo parve accorgersi solo in quel momento della presenza del cinese e
voltando il capo a suo indirizzo gli rivolse un sorrisetto ironico.
Immaginando
perché anche il russo stesse vagando di notte a quell'ora, Rei si avvicinò a
lui ottenendo come risposta uno sgarbato brontolio.
"Che
cos'è che ti rende tanto di cattivo umore Yuri?"
Il
rosso sbuffò sarcastico dando un lieve colpo di tacco alla base della colonna.
"Niente
che ti possa riguardare cinese..."
Le
iridi di Rei si assottigliarono in sincronia con la sua calma.
Non
aveva mai avuto molte occasioni per abituarsi alla scontrosità del russo, anche
se ne aveva udito parecchie lamentele da parte dei suoi compagni di squadra.
"Immagino
che anche tu abbia passato la notte in bianco..."
Rei
non rispose all'affermazione di Yuri attendendo che questi continuasse con il
suo discorso.
"A
quanto pare il nostro caro amichetto Kei si è dato da fare per far rimanere
sveglia un bel pò di gente."
Gli
occhi celesti del blader si fermarono vacui in un punto a lui di fronte
lasciando che Rei potesse osservare i lineamenti del suo profilo.
In
un gesto nervoso il moro si morse il labbro fissando il suolo sotto i suoi
piedi, poi riportando lo sguardo sull'altro sussurrò con una calma glaciale.
"Sai
dové Kei adesso?"
Yuri
agitò il capo negativamente, si staccò dalla colonna e rivolse uno scaltro
sorriso a Rei che mantenne la sua espressione enigmatica.
I
loro occhi si incontrarono.
Due
anime di pari forza di diverso stile.
"Lo
sapevo fino a poco tempo fa... era con me, ma come ha detto lui: non si può mai
aspettare niente di buono da me quando si tratta di suo nonno... "
Il
viso abbronzato di Rei era in contrasto con la carnagione pallida dell'altro.
"Volevi
riportarlo con l'inganno da Hito!?"
Il cinese si accigliò stizzito mentre Yuri si passava nervosamente una mano tra
i capelli.
Il
celeste dei suoi occhi ebbe un piccolo tremito e non resse lo sguardo
accusatorio di Rei che per un attimo scorse un lampo di smarrimento
nell'espressione sempre sprezzante del russo.
"L'ho
lasciato andare per conto suo..."
Disse
in tono di scusa, quasi cercasse di trovare un pretesto per rimediare al suo
comportamento.
Ci
aveva pensato per tutta la notte.
Sapeva
che si era comportato male nei confronti di Kei.
Aveva
tradito le aspettative che aveva in lui, nonostante le sue parole sapeva che
Kei sperava in un suo sincero aiuto.
Un
aiuto che in quella complicata situazione era arrivato meschino e ingannatorio.
Approffitando
dell'animo turbato del compagno.
Ma
lui cosa poteva fare.
Quando
si parlava di Hito, del monastero e di tutto il resto che ne derivava lui non
poteva fare niente.
Il
monastero era la sua casa, per niente accogliente e sicura, ma era l'unico
posto cui poteva trovare rifugio.
Hito
avrebbe potuto rovinargli la vita.
Inoltre
la sua indole da uomo delle nevi non gli giovava per niente.
Non
sarebbe dovuto tornare a mani vuote al monastero.
Ma
non poteva tradire Kei.
Che
cosa fare?
Se
il Dranzer blader non si fosse accorto delle sue intenzioni lui avrebbe avuto
la faccia tosta di tradire un suo compagno di squadra.
Ma
se non lo faceva era lui a finire nei guai.
"Yuri...
tutto ok?"
Il
russo si era nuovamente riappoggiato alla colonna ed era caduto nella fitta
trama dei suoi pensieri.
Confusione.
Ecco
cosa leggeva Rei nel cielo dei suoi occhi.
Nell'ombra
del suo viso.
Nella
disperazione delle sue azioni.
"Se
torno da Hito a mani vuote non so cosa potrebbe farmi, niente di buono di
sicuro... ma non posso tradire nuovamente Kei..."
E'
vero, non era mai stato un santarello, ma non poteva rischiare di perdere una
delle poche persone che lo rispettavano per quello che era.
Accidenti!
Quando
aveva lasciato andare Kei si sentiva tanto sicuro!
Perché
l'incertezza gli piombava addosso solo ora!
Quell’affermazione
mise un peso al cuore di Rei.
Era
troppo buono per ignorare una simile richiesta d'aiuto.
Cosa
fare in una situazione così?
Ora
capiva da dove arrivava tutta la confusione che poco prima aveva investito il
blader lì a fianco.
Silenzio...
Il
lontano scroscio dell'acqua della fontana.
Il
sibilo del vento.
La
musica ordinaria dell'alba.
...
Hello!!
Sono tornata! In questo lungo periodo d’attesa penso di aver perso enormi
quantità dei miei lettori... anche se non penso ne avessi molti... ma ringrazio
di cuore tutti quelli che ancora leggono la mia ff e chiedo come sempre qualche
commentino!! ^.^''''
Come
vi è parso questo capitolo?
Avevo
in mente di far incontrare Rei con il gorilla, ma alla fine ho preferito Yuri,
anche perché mi sembrava un pò scocciante avere sempre la body-guard tra i
piedi...
Più
avanti forse riapparirà, ma non ne sono certa. Dipende dal proseguimento della
storia! ^^
Chiedo
come sempre scusa per la lunga attesa che ha separato questo capitolo
dall'altro, ma penso di avere due o tre virus nel computer che non mi rendono
facile l'entrata in rete... ç.ç
Cercherò
di provvedere! *.+
Ok!
Vi saluto e vi auguro un felice anno nuovo!!!!!!!!!!!!!!
La luce del sole giungeva pallida attraverso la fitta nebbiolina
mattutina che cominciava lentamente a diradarsi
DECIMO
“Oh! Lady Doll, Lady Doll!
Che situazione imbarazzante…
Spera che mai a te capiti;
perché al cielo e al sole,
anche dopo un bel nuvolone,
a volte lo stesso tragitto capita di percorrere!”
La luce del sole giungeva
pallida attraverso la fitta nebbiolina mattutina che cominciava lentamente a
diradarsi.
Rei si era
nuovamente trovato a ripercorrere la strada diretta al piazzale di fronte
all’albergo dove si era dato appuntamento con Takao.
Questa volta però non era
solo; Yuri lo seguiva con passo spedito lasciando piccoli solchi sulla neve.
Non si erano ancora rivolti
parola, ma l’atmosfera era calma e per niente ostile.
Il moretto si fermò ad un
bivio, essendosi dimenticato della giusta direzione da prendere, e si voltò
verso l’altro.
Un sorrisino imbarazzato
stese le labbra del cinese che si allargò ulteriormente quando l’altro lo
fulminò con lo sguardo.
Yuri sbuffò seccato, chiuse
gli occhi celesti e scosse negativamente il capo rivolto verso il basso.
- Da questa parte.. -
Sussurrò il russo imboccando
la via a destra e proseguendo senza aspettare l’altro.
Rei si affrettò
a raggiungerlo portandosi velocemente al suo fianco.
Il blader
russo non dava l’idea di stare bene insieme a lui, ma
d'altronde non dava nemmeno l’idea di stare male…
Era un personaggio singolare,
enigmatico, e per questo Rei lo trovava parecchio interessante…
Gli lanciò un’occhiata
furtiva…
Il volto del ragazzo era
perfettamente impassibile e, a causa della colorazione pallida, sembrava
risplendere sotto i timidi raggi di sole; proprio come la distesa di neve ai
suoi piedi sembrava luccicare come piccoli granelli di vetro, colpita dalla
luce della beneamata stella.
Un filo di vento cominciò a scivolare lungo le strette pareti delle strade agitando
le bandiere variopinte, appese agli edifici pubblici, e trascinandosi
dietro il fogliame accumulatosi negli angoli dei parchi durante il periodo
autunnale.
I due bladers
proseguivano decisi verso la loro meta, silenziosi, ma con la mente alleggerita
dal pensiero di poter incontrare Kei e mettersi
finalmente il cuore in pace.
Infatti Rei contava molto sul fatto che Takao
avesse recuperato dalla strada Kei e adesso lo
stessero entrambi aspettando di fronte all’hotel.
Per quanto riguardava il caso
di Yuri, il cinese aveva trovato un’unica soluzione…
Infatti nessuno meglio di Kei
avrebbe potuto fare qualcosa per il rosso dagli occhi di ghiaccio.
Così, dopo qualche piccola
scaramuccia, Rei era riuscito a convincere il russo a
seguirlo fino all’albergo ed ad incontrare Kei.
Con la condizione che se Takao non fosse riuscito a trovare il loro amico lo avrebbe
lasciato libero di fare quello che voleva.
I suoi occhi ambrati si
assottigliarono di malizia quando gli ritornò alla mente la fatica
fatta a convincere l’amico a seguirlo.
Quanta fatica…
Di testardi come lui ne
conosceva solo altri due;
Takao…
Kei…
Quanta fatica…
- Che
hai da sospirare ogni due secondi? -
Il cinese alzò lo sguardo
sugli occhi di Yuri.
Due pozzi impenetrabili
incorniciati da due corone turchesi.
Il moro
sorrise mentre riportava nuovamente
lo sguardo di fronte a sé.
- Niente… pensavo che ho troppi amici testardi… -
Il russo inarcò le
sopracciglia lanciando un’occhiata torva all’altro blader.
“Che
strani pensieri che fa questo” sembrava pensare…
- Non vedo cosa ci sia di
male… -
Rispose con tono saccente
alzando un braccio per sistemarsi un ciuffo di capelli che gli era scivolato sulla fronte…
Rei apri
la bocca per ribattere.
Un luccichio evidenziò il
canino troppo sviluppato al suo interno…
La voce del russo si
sovrappose alla sua.
- Meglio avere amici testardi
piuttosto che non averli… -
Il cinese rimase in silenzio.
- Forse hai ragione… -
Yuri si lasciò sfuggire una sorta di ghigno che attirò nuovamente l’attenzione di
Rei su di sé…
- E poi..
male che vada, puoi sempre dar loro una botta in testa quando esagerano troppo…
-
Rei sorrise a sua volta…
Davvero un personaggio
interessante…
Una sorta di ghiacciolo
ironico…
No…
Forse non era la definizione
più corretta…
Meno male
che il ragazzo al suo fianco non era a conoscenza di essere stato classificato
nella sezione “testardi”…
Avvertì le guance arrossirgli
a quei pensieri…
Anche se
sapeva che non si sarebbe notato per via della sua carnagione abbronzata.
- Si, ma a Takao non basta una sola botta in testa… -
Lo stuzzicò Rei con un finto
piagnucolio…
Yuri lo fissò,
volontariamente, per la prima volta, scorgendo la perenne nota di gentilezza
che sempre era presente nei suoi occhi ambrati, ma riconoscendo in essi anche il vigore e la lucentezza del sole.
Il russo fece spallucce senza
mai abbandonare la sua tipica aria di superiorità.
- Per quanto mi riguarda, lui
puoi anche buttarlo fuori dalla finestra… -
Rei storse
il muso…
Che razza di pensieri…
Immaginava una simile
risposta…
E aveva anche già pronta la contromossa.
- E
se si stesse parlando di Kei? -
Yuri inarcò le sopracciglia…
Alcuni ciuffi rossi ricaddero
scomposti davanti ai suoi occhi, ma stavolta non si disturbò a rimetterli in
ordine.
- Kei
non è affatto testardo! -
Rei gli lanciò
un occhiataccia, sorpreso da una simile risposta…
Possibile…?
- Kei
non è testardo?! – Fece lui con tono incredulo senza accorgersi di aver alzato
di poco la voce per lo stupore - Pensavo che tu lo conoscessi abbastanza bene… -
Yuri aprì la bocca con fare
offeso, pronto a rispondere.
I due si guardarono in
cagnesco.
L’atmosfera si era fatta più scottante…
- E infatti
lo conosco anche troppo bene e ti dico anche una cosa: Kei
non è testardo, ma orgoglioso!! E’ sempre stato schiavo del suo orgoglio ed è
per questo che suo nonno ne ha sempre approfittato… -
Rei lo fissò
allarmato…
L’espressione
un po’ ridicolizzata dalla troppa enfasi impiegata per quel discorso...
Gli occhi sbarrati, pronti a
rispondere con un'altra affermazione sebbene sapesse essere un po’ sciocca.
- Ma
allora sei testardo anche tu! -
Il moro saltellava sulla neve
mentre puntava l’indice della mano sinistra contro la sagoma eretta del russo.
Aveva tutta l’aria di uno che
ha appena scoperto la luna.
Leggermente ridicolo…
Calò un silenzio
imbarazzante…
Yuri lo fissò di sbieco,
inarcando per l’ennesima volta un sopracciglio e allungando il muso quasi per
schernire l’altro.
- Invece sei tu che sei
testardo!… e forse anche scemo… - le ultime parole furono appena udibili… - Se
ti dico che Kei è orgoglioso, perché devi dire che è per forza testardo?? -
Yuri si stava irritando…
Rei lo fissò
nuovamente con un’espressione inebetita.
Si divertiva a stuzzicarlo…
Eccome…
- Ma
dopotutto non è la stessa cosa…? -
Yuri si azzittì…
I discorsi privi di senso del
cinese lo avevano un po’ stordito.
Quel moretto era capace di
mandare in tilt chiunque con i suoi discorsi privi di coerenza.
Per un attimo l’idea che lo
stesse facendo apposta gli passò per la mente.
Dopotutto Rei era un ragazzo intelligente ed era evidente che ora si stava
divertendo a punzecchiarlo.
Accidenti a lui!
Non aveva voglia di
continuare così…
- Non è proprio così… ci sono
diverse sfumature… e poi anche se l’orgoglio porta alla testardaggine….
Orgoglio e testardaggine non sono la stessa cosa… -
Rei strizzò
scettico un occhio ambrato…
Erano cose sensate quelle che
stava dicendo o stava sparando pensieri a caso?
Non lo capiva manco lui…
Il tono del russo era
diventato più mansueto e appariva di più simile a quello di uno scolaro che
ammetteva alla propria maestra di non aver fatto i compiti.
Sotto un certo punto di vista
sembrava più dolce…
Evidentemente lo aveva un po’
sfiancato con i suoi discorsi…
Eppure lui voleva solo fare quattro chiacchiere… anche se
non poteva non ammettere di essersi divertito ad ammirare le diverse reazioni
che aveva potuto cogliere negli andamenti del rosso.
- E va bene… allora diciamo
che abbiamo ragione tutti e due… -
Rei sorrise facendo intendere all’altro che aveva intenzione di
dichiarare una tregua.
Yuri accennò distrattamente
con il capo continuando ostinato a tenere gli occhi a terra.
Ormai ne aveva
abbastanza di continuare a fare il gioco dell’altro.
Soprattutto ora che l’aveva
capito.
Quanta fatica…
Rei sorrise fra sé… dicendo con tono divertito…
- Ah! Ma
adesso sei tu che sospiri in continuazione!! -
Yuri gli lanciò
un’occhiataccia tale che, se fosse stato possibile, lo avrebbe fatto tornare
all’epoca delle glaciazioni…
Due occhi celesti intrisi di un’irritazione fuori dal normale.
Rei rimase
impietrito, poi, cercando di calmare le acque si lasciò sfuggire un sorrisino
di circostanza…
- Ok,
ok! Ho capito… non parlo
più! -
Il russo lo guardò scettico
con un’espressione che poteva essere interpretata come un:
“ Ti conviene”.
La cosa morì lì.
Rei rimase
in silenzio…
Incerto se
sentirsi a disagio o gioire per essere riuscito ad esasperare il blader di fianco a lui.
Osservò silenzioso la neve ai
suoi piedi.
Ormai la candida distesa di
ghiaccio si stava lentamente sciogliendo sotto i caldi raggi di sole e, in
alcuni punti più esposti alla luce, cominciava a perdere la sua tinta
immacolata mischiandosi al fango che per tutta la notte aveva ricoperto.
Il ghiaccio cominciava a
formarsi lungo i bordi delle strade ed era diventato più difficile proseguire
senza correre il rischio di scivolare.
Oramai dovevano essere
arrivati…
Lanciò uno sguardo alla
strada di fronte a sé…
Si bloccò…
Una nota di smarrimento
illuminava i suoi delicati lineamenti mentre le sue iridi si assottigliavano
lentamente colte da uno strano presentimento…
Yuri lo fissò, incuriosito
dal suo strano comportamento…
Si fermò a pochi passi da
lui.
Le sue labbra, violate dal
freddo, che si muovevano per pronunciare delle determinate parole.
- Che
ti prende?? -
Due occhi aurei che lo osservarono
velati da un cattivo presentimento…
- Dove mi stai portando? -
Il russo lo guardò senza
capire..
Ispezionò la strada che
stavano percorrendo, ma non vi vide niente che avrebbe potuto allarmare in tale modo il cinese.
O forse era proprio il fatto che non c’era niente di
riconoscibile.
- Che
intendi dire? -
L’altro gli lanciò
un’occhiata ostile…
Stava fingendo o diceva sul
serio?
Poi la mente viene intercettata da un altro pensiero…
Un presentimento ancora
peggiore di quello precedente…
Un
situazione difficile da risolvere…
- Non dirmi
che ci siamo persi… -
Il rosso lo guardo incredulo,
quasi irritato da quella semplice affermazione…
Occhi celesti che si
mischiano all’oro del sole…
Il soffio del vento che
smuove placidamente la lunga coda corvina…
- Pensavo che sapessi dove
stessi andando! -
Rei scosse negativamente il
capo…
La fascia rossa che impediva
ai ciuffi di capelli di inondargli il viso abbronzato.
- Io non conosco queste
strade… tu piuttosto.. abiti qui!! Dovresti conoscere
bene la città!! -
Yuri sorrise meccanicamente…
Un sorriso privo di
sentimento…
- In questa zona le strade
sono tutte uguali ed inoltre non passo quasi mai da
queste parti!! -
Rei lo guardo
con un misto di imbarazzo ed ostinazione…
- Ma
io seguivo te!! -
Yuri si sentì cadere le
braccia…
L’imbarazzo misto all’ira…
La comprensione che porta
all’impotenza…
- Io pure… -
…
Eccomi di ritorno e come
sempre, per cominciare, vi porgo le mie scuse per il ritardo!!!!T.T
Lo so… sono lenta a postare
le storie… ma ho una marea di cose da fare e anche quando ho il tempo di
scrivere, la mia pigrizia ha il sopravvento e mi distraggo con altre cose…
SCUSATEMI!!!!T.T
Comunque… vi è piaciuto questo capitolo?? Ho perso un po’
l’abitudine a scrivere come prima e mi è stato un po’ difficile riadattarlo ai
capitoli precedenti!!^^’’’
Spero non si noti troppo….
-.-’’
Ringrazio come sempre tutti
quelli che da sempre mi seguono e tutti coloro che ad
ogni capitolo hanno il buon cuore di lasciarmi un commento!! Non sapete quanto
mi renda felice!! (Continuate così!!^^’’)
Vediamo… se ci sono cose poco
chiare nella storia riferitemelo pure! Cercherò di porre un rimedio!!
“Oh! Lady Doll, Lady Doll!
Il biondo l’idea ha trovato,
per riacquistare il tempo mancato…
ma lui dall’alto ti osserva
e il nero si dirada…
senza speranza e riuscita…”
Un tonfo secco.
Il tonfo di un oggetto che veniva adagiato su una superficie solida.
Un sorriso gentile che si dipingeva sul volto sereno della cameriera.
- Serve altro? -
Il biondino scosse energicamente il capo mentre rispondeva radioso al sorriso.
Occhi blu che si socchiusero quando un leggero tono di colpevolezza prese dominio della sua mente…
- Mi spiace avervi disturbato per una cosa simile, ma questo mi rassicura molto e di sicuro anche i miei amici si sentirebbero più rincuorati… -
L’inserviente lo guardò comprensiva..
- Non si preoccupi è il minimo dopo l’incidente di poco prima… il padrone dell’albergo è già stato informato e provvederà lui a tutto, anche se non c’è nessun particolare problema… -
In un fruscio ed un inchino appena accennato la cameriera uscì dalla stanza con un saluto di congedo.
Max si sentì riconoscente alla disponibilità di quell’albergo…
Si osservò attorno…
Tutto in ordine.
Identico a prima… anche l’orologio era lì al suo posto… dopotutto era un albergo.
Prese il te appena preparato dal tavolino e cominciò a sorseggiarlo.
La sensazione che finalmente poteva starsene più tranquillo lo avvolgeva come una calda coperta…
A proposito… dov’era finita la sua?
Si osservò attorno… poi si fermò su un particolare angolo della stanza alla destra della porta…
Lo fissò scettico…
Doveva essere lì…
Non gli andava di cercarla in mezzo a tutta quella roba…
L’avrebbe trovata dopo aver risistemato tutto con i suoi amici.
Ora doveva solo aspettare e vedere se il suo piano aveva del buono…
Sospirò e si accomodò sul divano…
Il ticchettare dell’orologio…
Un suono fastidioso, ma che allo stesso tempo poteva risuonare rilassante.
La porta dell’hotel si spalancò improvvisamente permettendo all’aria gelida di invadere la piccola hall ed ai timidi raggi di sole di inondarla di luce.
Una grossa e scura sagoma si fece largo nella stanza filando dritto lungo il corridoio che portava alle camere.
La body-guard sapeva già dove andare.
Una voce alle sue spalle e dei passi che si avvicinavano furtivi.
La faccia allarmata del portinaio che lo seguiva a passo svelto lungo lo stretto corridoio.
- Mi scusi.. lei non è ospite dell’albergo! Se le serve qualcosa può rivolgersi a me! -
Parole al vento.
L’omone continuava a camminare a passo svelto.
I pesanti scarponi neri che battevano con furia il pavimento.
Ormai sapeva dove trovarli.
Li aveva visti e sapeva dove sarebbero tornati.
Ed era proprio lì che li avrebbe aspettati.
Li avrebbe presi quegli stupidi mocciosi e quando l’avrebbe fatto…
No…
Non li avrebbe picchiati, questo no!
Ma semplicemente…
La grossa mano si mosse fino a raggiungere il grosso naso tumefatto per via della brutta caduta di quella notte.
Quei due piccoli bastardi!
- Signore! Si fermi! Così disturba i clienti! Le ho detto di fermarsi! -
Ma ormai era tardi.
La porta della camera era di fronte a lui…
la maniglia già stretta nella sua mano.
Di sicuro questa volta non avrebbe bussato.
L’orologio continuava imperterrito a ticchettare mentre, sempre più pesanti, le sue palpebre cominciavano a chiudersi lentamente…
ad aprirsi di scatto…
e poi di nuovo a chiudersi lentamente.
Max aspettava rannicchiato sul divano il ritorno dei suoi amici.
Il pensiero che questi potessero essere in difficoltà non si presentava affatto nella sua buffa testolina assonnata.
Il pensiero che loro non fossero riusciti a trovare Kei non osava nemmeno affacciarsi alla sua mente.
E ciò non era perché si fidasse tanto ciecamente dei suoi amici.
Per carità… si fidava di loro eccome…
ma semplicemente…
…aveva troppo sonno.
Troppo sonno per potersi preoccupare.
Troppo sonno anche solo per potersi accorgere del fatto che il sole era già sorto e che proprio nella hall di quell’hotel era appena entrato un individuo alquanto discutibile se si parlava della sua incolumità.
Che ci poteva fare.
Una notte in bianco non era contemplata nel suo life-stile, soprattutto se quella sera era già andato di stomaco una volta.
Chiuse definitivamente gli occhi.
Il ticchettio che lo cullava nel suo sospirato sonno.
Tic… tac…
Tic… tac…
… bum…
Tic…
… bum…
Tac…
… BUM…
Tic…BUM BUM… Tac…
Max si mise di scatto a sedere
BUM….BUM?
Cos’era quel BUM BUM?
L’orologio?
Alzò lo sguardo verso l’immancabile accessorio accertandosi che nulla fosse fuori posto...
E intanto quel battere continuava ad avanzare sempre più rumoroso.
Il biondino si diede una botta in testa.
Ma certo che non era l’orologio!
Che scemo…
Era ancora troppo assonnato per usare appieno le facoltà del suo cervello.
Quel suono non poteva di certo appartenere ad uno stupido orologio…
Ma semplicemente…
A quell’improvvisa illuminazione gli si gelò il sangue nelle vene.
Adesso non aveva più sonno… ne era certo.
Due occhi blu che si spalancavano colti da un’improvvisa ansia.
Ciò che temeva si stava avverando.
Quei passi pesanti lungo il corridoio erano inconfondibili.
Incrociò le dita.
La voce di un uomo che intimava qualcuno di fermarsi.
Si rimise in piedi e si avvicinò cauto con passo leggero verso la porta.
Non aveva vie di fuga e nascondersi non serviva.
Doveva solo sperare.
Ormai era di fronte alla porta.
I passi si erano fermati.
Un brivido gli percorse la schiena
Trasse un respiro.
Da qualche parte, in uno dei corridoi di quel piccolo albergo, si udì inconfondibile lo scoccare di una serratura.
L’omone spalancò la porta con una tale furia che il portinaio pensò si fosse staccata dai cardini.
Ciò, fortunatamente, non successe…
La body-guard si ritrovò di fronte una stanza completamente vuota.
E non solo vuota per il semplice fatto che non c’era nessuno, ma perché effettivamente non c’era niente…
Cioè… i mobili c’erano…
Ma la cosa che mancava erano le tracce di una qualsiasi presenza umana.
Quando vi era entrato per la prima volta non aveva non potuto non notare la catasta di valigie accumulate su un angolo, i vari vestiti poggiati su un sedia e gli infiniti aggeggi utilizzati per i bey blade abbandonati sul mobile affianco alla finestra.
Ora però non vi era rimasto nulla.
Nada…
Lanciò uno sguardo alla porta.
Così come fece lui, anche il portinaio si assicurò che il numero sulla porta fosse quello corretto.
E così era.
Il direttore aveva dato delle esplicite direttive riguardo a quella camera.
Il suono di chi si schiarisce la voce e alle spalle dell’uomo in nero una esclamazione interruppe il filo sempre più confuso dei suoi pensieri.
- Ora è soddisfatto!?… i clienti che occupavano questa stanza se ne sono già andati questa notte… se era venuto per loro bastava che si rivolgesse subito a me… -
La voce del portinaio si era fatta limpida, sicura e autorevole.
Di sicuro all’omaccione non era nemmeno sfuggita la nota stizzita che vi aveva volutamente inserito.
SDUM!
L’uomo era indietreggiato e fissava allarmato la body-guard che teneva ancora la mano serrata alzata in aria.
Il “man in black” sembrava non risentire del dolore procurato dal pugno che aveva appena assestato alla parete.
Quello stava per scoppiare.
Con tutto il coraggio che aveva, il portinaio fece un profondo respiro, serrò i pugni e nonostante le gambe gli tremassero assunse il tono più minaccioso che poteva.
Ora la sua sagoma si ergeva altezzosa di fronte a quella erculea dell’omone.
Vide il suo viso pallido rispecchiarsi nelle lenti scure degli occhiali.
- Se ne vada! Se intende ancora recare fastidi a questo hotel sarò costretto a denunciarla alle autorità! -
Un perfetto attore… ecco cosa doveva fare… altro che il portinaio d’hotel.
Con le gambe ancora un poco tremolanti osservò con il fiato sospeso l’individuo di fronte a lui che per il momento pareva ancora immerso in chissà quali ragionamenti…
Quei maledetti mocciosi se ne erano andati!
Gliel’avevano fatta sotto il naso!
Ed ora si ritrovava in quell’insulso hotel con uno stupido damerino che si metteva a fare l’eroe…
Lo avrebbe potuto sistemare con un pugno.
Peccato però che la polizia non sarebbe venuta a mancare…
e allora sì che era nei guai…
…come ora d’altronde.
Come avrebbe fatto con il Signor Hiwatari?
Che faccia avrebbe fatto trovandoselo davanti a mani vuote?
La rabbia cominciò nuovamente a prendere il sopravvento, ma questa volta si seppe trattenere.
Si voltò e con passo pesante cominciò ad allontanarsi sotto lo sguardo finalmente sollevato del portinao.
Quest’utimo tirò un sospiro di sollievo.
Quasi non riusciva a crederci che se l’era bevuta…
Che se n’era andato…
…
Poco distante da lì, attraverso la fessura di una delle porte di una camera, Max osservava il grosso omone allontanarsi.
Finalmente il suo cuore aveva ricominciato a battere più lentamente.
Max chiuse la porta della loro nuova camera appoggiandovisi con la schiena.
Aveva fatto bene a volerla cambiare e ad accordarsi con il proprietario in modo che se quell’uomo fosse tornato, il personale avesse provveduto a riferire che se ne erano andati.
Dopotutto era il minimo dopo il piccolo incidente di quella notte.
Si staccò dalla porta e si sedette di nuovo sul divano.
Ormai era divenuto il suo piccolo rifugio.
Rabbrividì.
In effetti era un po’ freddino.
Lanciò un’occhiata alle valigie ed agli altri loro averi accatastati nell’angolo della stanza alla destra della porta…
Li fissò scettico…
E va bene…
Anche senza l’aiuto dei suoi amici avrebbe tirato fuori da quella montagna di roba la sua adorata coperta.
Fece per alzarsi, ma notò la luce riflessa sul vetro del tavolino al centro della stanza e finalmente si accorse che era il sole ad illuminare la sala non l’elettricità.
Era così stanco che non si era nemmeno accorto che il sole era sorto seppure fino ad allora era stato letteralmente cullato dal ticchettio dell’orologio che ora mostrava con una certa fierezza l’ora tarda.
Si voltò avvicinandosi alla finestra che dava una totale veduta della piazzetta dove si affacciava l’hotel.
Scostò la tenda ed assottigliò gli occhi oltremare mentre la luce della beneamata stella, seppur ancora debole per via della nebbia mattutina, gli inondava il viso e le guance lentigginose.
Abbassò lo sguardo, soffermandosi sulle due figure appena sbucate nella piazza.
Sgranò gli occhi e finalmente si sentì completamente pervaso da un incredibile sollievo.
Bastarono tre semplici particolari per poterli riconoscere…
Una sagoma avvolta da un soffice cappotto bianco che si camuffava con la neve sparsa a terra.
Lo sguardo sorridente di un ragazzo dai profondi occhi neri.
Il bagliore di due occhi rubini.
…
Eccomiiiiiiiiiiiiii! Sono t-tornata…
Un po’ in ritardo…
Ok, MOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOLTO in ritardo…
Vi prego non picchiatemi! Sono solo una semplice ragazza che aveva completamente perso l’ispirazione per continuare una certa fan fiction… scusatemi…>.<
Però proprio non mi andava di lasciare una ff incompleta.
Ormai so già di aver perso tutti i lettori… infatti non so nemmeno con chi mi sto scusando, però chiedo comunque scusa!! Scusa mondo! Chiedo perdono!
No… adesso forse mi sto un po’ ridicolizzando…ma forse ero già ridicola prima…
Bwaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa!!!!T.T Perdono!!! (Temo di avere la sindrome di Ritsu Soma… XD)
Se qualcuno è ancora qui e ha letto il capitolo lo ringrazio di cuore…
Non chiedo neanche di commentare… anzì no! Commentate e criticate!! Vi autorizzo a riempirmi di parole per questo clamoroso ritardo! XP
Skerzo… forse!XD
Eheheh…
Ciaux belli!!!!!!!!^.-
Ah... per la cronaca, il capitolo successivo è quasi finito, ma non so quando riuscirò a postarlo visto che il mio computer fa difficoltà a connettersi.
“Oh! Lady Doll, Lady Doll!
La meta hai trovato,
il moro è li affianco,
cosa senti che ora ti manca?
Dove il vuoto ti ha accolto
e l'oro e il celeste hanno torto.”
Kei e Takao si affaciarono alla piccola piazza di fronte all'hotel.
Finalmente erano arrivati.
Un pò ammaccati e storditi, ma erano arrivati.
Takao sorrise a quel pensiero; aveva compiuto la sua missione e trascinato Kei fin da loro.
Cominciò allegramente a ispezionare la piazza in cerca di Rei pronto a proclamarsi vincitore.
Infatti, sebbene lui e il moro non avessero stretto alcuna scommessa, si sentiva fiero di aver trovato Kei per primo.
Quando però pensò a tutta la fatica fatta per trascinarselo dietro e scampare dal gorilla pazzoide pensò che non gli sarebbe dispiaciuto poi tanto se a trovarlo fosse stato il cinese.
Si lasciò sfuggire un sospiro.
Piuttosto...
Sembrava che Rei non fosse ancora arrivato, si augurò che non fosse ancora in giro in cerca del russo...
Daltronde si sapeva che il più testardo del gruppo era lui. (^.^)
Si chiese se valesse la pena aspettarlo o salire direttamente in camera d'albergo.
Si fermò ad osservare di fronte a sè riflettendo sul da farsi.
...
Il gradino di marmo bianco che portava all'accesso dell'hotel e i due piccoli porticati ai suoi lati.
Cinque lampioni, uno al centro e gli altri quattro ai vertici dello spiazzo rettangolare, erano ancora accesi; sebbene l'alba fosse già sorta da parecchi minuti.
Gli occhi rubini di Kei fissarono vacui le ultime falene notturne che ronzavano attorno a i vetri illuminati dalla lampadina.
Si appoggiò esausto alla parete di una casa alzando il capo al cielo ancora rosato dalla luce solare.
Le ali marroncine di un uccellino che tracciava ampi cerchi invisibili con il suo volo aggraziato.
Le gambe gli cedettero, private della loro forza, e Kei si accorse di scivolare lentamente a terra mentre poggiava ancora la schiena al muro.
Avvertì le mani cadergli smorte tra la neve, strizzò gli occhi a quel contatto gelido, ma non riuscì ugualmente a trovare la forza per ritrarle.
- Kei! -
Takao, che nel frattempo si era già inoltrato nella piazzetta, accorgendosi che l'amico non lo seguiva più, si era voltato per cercarlo trovandolo accucciato presso una parete.
Si allarmò correndogli incontro e gli afferrò spaventato una mano mentre il russo alzava faticosamente la testa per guardarlo.
Il suo sguardo era spento...
...la sua mano gelida.
Inarcò le sopracciglia cercando di parlargli per capire come si sentisse, ma Kei si limitò a rispondergli con un flebile:
- Sto bene... -
Fece per rialzarsi, ma quando fu di nuovo in piedi si sentiva già stravolto.
- Hai avuto un capogiro? -
Il russo accennò con la testa alla domanda del moretto, anche se più che un capogiro gli era sembrato di aver perso letteralmente la forza di restare in piedi.
Si accorse che Takao lo fissava preoccupato ed in effetti immaginava già di non aver prorpiamente un aspetto molto rassicurante.
Una vampata di caldo gli investì il corpo, arrossandogli il viso e facendogli perdere nuovamente il controllo delle sue gambe.
Il moretto parve accorgersene e subito allungò entrambe le braccia a sostenerlo, ma non ottenne nient'altro che evitargli una rovinosa caduta sulla neve e farlo inginocchiare con più delicatezza sulla brina ghiacciata.
- Kei! Col cavolo che stai bene! Accidenti a te! Non puoi rimanere seduto sulla neve. Cerca di alzarti così ti aiuto ad arrivare fino all'albergo. -
"Tse. Facile a dirsi!"
Fece un ultimo sforzo, sentendo la pressione delle braccia di Takao sui suoi avambracci si accorse di tremare.
Alzò gli occhi rubini in cerca di quelli scuri dell'amico, ma qualcosa calò sulla sua fronte oscurando i raggi di sole e adombrando la sua visuale.
Una voce fuori campo fece sobbalzare i due ragazzi.
- Ha la febbre. Bisogna portarlo dentro. -
Takao per la sorpresa lasciò la presa sulle braccia di Kei che colto dall'improvvisa mancanza di sostegni fu fortunato a non cadere con la faccia sulla neve.
Quando poi il nuovo arrivato levò la sua mano dalla fronte del russo anche quest'ultimo potè specchiarsi nei suoi grandi occhi cobalto.
Il biondino sorrise alle facce sbigottite dei suoi due amici.
- Max! Mi hai fatto prendere un colpo! Piombarmi così alle spalle. Per un attimo ho pensato che tu fossi di nuovo quella maledetta body-guard! -
- Si dia il caso che poco fa sia appena venuto a farmi visita... -
Takao sbiancò preoccupato.
Non pensava sinceramente che sarebbe potuto ritornare da loro.
Non avrebbe mai voluto lasciare solo il suo amico se avesse seriamente pensato ad una simile possibilità.
- N-non ti ha fatto niente?! Stai bene!? -
Max sorrise imbarazzato, grato di quell'improvvisa preocupazione nei suoi confronti.
- Si. Si, certo. Prima che arivasse avevo fatto cambiare la nostra stanza... così adesso non sanno più dove siamo. Crederanno che abbiamo optato per un altro nascondiglio, quando invece non ci siamo mossi... almeno non più di qualche metro. -
Il sorriso solare dell'americano mise di buon umore il giapponese che contraccambiò con uno ancora più raggiante.
- Sei un genio! -
Max lo fissò non del tutto convinto, ma sempre con il suo risolino.
- Vi ho visti arrivare quando mi sono affacciato sulla piazza e così vi sono venuto subito incontro... -
Il ragazzo si piegò in avanti facendosi passare un braccio di Kei intorno alle spalle.
- Kei, come ti senti? -
Il suo sguardo preoccupato incrociò quello annebbiato dalla stanchezza del compagno.
Il russo fece per rispondere, ma ci rinunciò per via del fiatone provocato dalla febbre che gli rubava l'aria per parlare.
Max lo osservò capendo che le condizione dell'amico non gli avrebbero permesso di sospirare per il sollievo di averlo trovato.
Era ridotto male.
Stravolto da quella pessima nottataccia.
Takao imitò il gesto del biondino prendendo l'altro braccio di Kei sulle sue spalle e insieme lo issarono in piedi dirigendosi verso l'hotel.
Quando sentirono il corpo di Kei abbandonarsi completamente a loro capirono che doveva aver perso i sensi.
Takao poteva riuscire a sentire il suo respiro affaticato e il suo cuore battere febbricitante attraverso la stoffa del cappotto.
Strinse il braccio attorno alla sua vita per poter sorreggerlo meglio e si accorse che anche Max stava facendo la stessa cosa quando le loro braccia si incrociarono l'una sopra l'altra.
- Mi spiace non essere arrivato prima... -
Max alzò lo sguardo verso di lui.
- Hai detto qualcosa? -
Takao sorrise.
Un sorriso che sapeva d'amaro.
- No... niente. -
Piuttosto...
Osservò l'abbigliamento di Max.
Sotto il piumino nero era evidente che indossava ancora il pigiama e le scarpe da ginnastica ai suoi piedi servivano solo a evidenziarlo ancora meglio.
Sorrise tra sè.
In fondo anche se non sembrava visto che era una vecchia tuta smessa, anche lui sotto il giubottone blu indossava il suo pigiama e se ricordava bene anche Rei era corso via con il pigiama ancora addosso nascosto dal suo lungo giubotto beige.
Cominciò a ridacchiare.
Avevano vagato per tutta la notte per le vie di mosca in pigiama e giubotto.
Con quel freddo glaciale.
Con le scarpe da ginnastica inzuppate di neve e fango.
Con in mente solo il loro amico.
Alzò gli occhi sul viso arrossato di Kei leggermente corrucciato nel sonno.
Si fece serio.
- Ci devi sempre dare rogne tu... e dopo dici di riuscire sempre a cavartela da solo. -
Dall'altra parte Max ascoltò in silenzio quelle parole sapendo benissimo a chi erano rivolte.
Sorrise dolcemente quando vide il profilo femmineo di Takao abbassarsi a guardare accigliato il terreno innevato.
Il vento che iniziò a soffiare portò loro il profumo del pane appena sfornato e il cinguettio lontano degli uccellini.
- Mi hai fatto preoccupare. -
- _ . - ° * ° - . _ . - ° * ° - . _ -
Rei si lasciò cadere sugli scalini del piccolo negozietto imitato al suo fianco da un Yuri completamente esasperato.
- Sono stanco di girare a vuoto... non ci credo, come fai ad esserti perso nella tua stessa città. -
Yuri gli rivolse due occhi di ghiaccio alzando la voce per sottolineare la sua frustrazione.
- Mosca è una città grande! E poi io non mi muovo molto spesso fuori dal monastero! Maledetto cinese, è colpa tua se ci troviamo in questo posto! Sei tu che mi hai voluto trascinare a tutti i costi fino al tuo albergo! -
Gli occhi d'ambra di Rei brillarono per l'indignazione.
- Dopo che ti ho fatto anche il favore di cercare una soluzione alla tua idiozia mi dici questo!? Vai a quel paese russo! -
Yuri non rispose.
"Russo?"
Perchè il cinese lo chiamava russo?
- Io mi chiamo Yuri! -
- Ed io mi chiamo Rei! -
I due si fissarono in cagnesco.
Piuttosto...
- Dobbiamo trovare un modo per tornare al tuo albergo... -
Rei alzò un sopracciglio.
- Stai zitto e aspetta... -
Anche Yuri alzò un sopracciglio.
- Non mi dirai che sei stanco cinese!? -
- Rei. -
- Cinese. -
- Rei. -
- Cinese. -
- Russo! -
- Cinese! -
Rei si alzò in piedi stizzito.
- Insomma! Ma da quando parli così tanto omino delle nevi?! Se ti dico di aspettare è perchè fra meno di un'ora aprirà questo negozio e così potremo chiedere informazioni! E se saremo fortunati magari ci capita anche un passante prima... anche se non penso visto che è ancora presto. In fondo dopo aver passato tutta la notte in giro cosa fa aspettare un'ora in più?! -
Dopo la sfuriata Rei si rimise a sedere con la faccia rossa incorniciata dai lunghi capelli neri scompigliati.
Ormai la sua coda era quasi completamente disfa.
Yuri lo fissò scettico, ma non ribattè.
Si limitò a storgere il muso e a sprofondare il viso tra le braccia poggiate sulle ginocchia.
Occhi azzurri si sollevarono riflettendo stoffa della stessa tonalità.
Labbra rosee che si incurvavano in un sorrisino di scherno.
Raggi di sole che illuminavano la scena.
- Bel pigiama, Rei. -
...
Tadan! Dodicesimo capitolo dopo più di un anno senza aggiornamento!!
Almeno sono andata avanti...
Però non riesco più a scrivere nello stesso modo di prima... anche se non sembra lo stile è diverso...
In questo momento ho il dito medio della mano destra grosso come due dita insieme! Oggi ha preso una brutta botta... porrrino!!XD Però riesco lo stesso a scrivere!!^.^
Vabbè... spero che questo ciappi vi sia gradito e mi raccomando commentate!!
Saluti, bacioni e a presto!! (si spera) ^.*
…o almeno credeva di averlo fatto
visto che la scena non era cambiata per niente.
Un’oscurità assoluta regnava in
quel luogo.
Qualsiasi esso fosse.
Ovunque egli si trovasse.
Un suono fastidiosissimo,
gracchiante e ritmico continuava a rimbalzare tra le pareti del suo cranio già
doloranti per la tremenda emicrania.
Non capiva né cosa fosse né se per
caso fosse qualche misterioso indizio utile per identificare quel luogo; il
suono gli arrivava ovattato, deformato dalla febbre.
Sentiva il suo cuore battere nel
petto.
Tum, tum,
tum, tum…
Rapido.
Chiassoso.
Allarmante.
Come se appena prima avesse corso
i cento metri.
Ma tu guarda….
Aveva caldo, freddo…non capiva
bene quale dei due.
Non aveva né la voglia né la forza
per farlo, ma provò comunque a muoversi.
Solo in quel momento capì di
indossare una camicia di forza…
… o perlomeno qualsiasi cosa fosse
poteva benissimo essere paragonata ad essa.
Si diede dell’idiota e aspettò di
riacquistare un po’ di lucidità prima di arrivare a conclusioni troppo
affettate.
Uno.
Due.
Quel tediosissimo… dannato
gracchiare.
Tre.
Quattro.
…
Ok… era una camicia di forza e lui
era inchiodato a qualcosa che avrebbe potuto essere un letto.
Cominciò a muoversi con più
convinzione.
Sentiva dei pesi ai suoi fianchi,
quasi come delle zavorre a bloccare i lembi di quella strana camicia.
Che cosa era successo?
Era con Takao prima.
Dov’era Takao?
E Max?
Suo nonno lo aveva riacciuffato?
No…NO!!
Si agitava con tutte le sue
attuali forze eppure sapeva di non star combinando molto.
Quel fastidioso gracchiare che
rimbalzava nella sua testa.
Si fermò ansimante, infuriato,
agitato.
Già esausto sebbene non avesse
fatto niente di eccezionale.
- Idiota. Non è mica una camicia
di forza… stai calmo. -
Sbuffò, ignorando la sua vocina
che gli parlava in testa e continuò a cercare di liberarsi.
- Ti ho detto di stare calmo! -
Qualcosa premette leggermente le
sue spalle facendolo sobbalzare.
Solo allora si rese conto che la
vocina di prima non era la sua, ma quella assonnata di qualcun altro.
Si fermò, sentendo il fastidioso
obbligo di obbedire a quella voce.
Doveva calmarsi o il suo cuore
sarebbe esploso.
Da qualche parte in quella stanza
il fastidioso gracchiare “perse un battito”, ma riprese molesto come prima.
- Bene… così va meglio… -
- Do… ve… -
Rinunciò a qualsiasi tentativo di
pronunciare parola.
La gola gli bruciava in modo
insopportabile e la sua voce era roca e molto flebile.
A stento l’aveva riconosciuta come
sua.
Perse il contatto con i pesi sulle
sue spalle.
Sentì muoversi accanto a lui e
inaspettata una luce riempì completamente il suo campo visivo.
Avvertì una fitta agli occhi e
immediatamente li chiuse di scatto, emettendo un mugolio di sorpresa.
Voltò il capo nella direzione
opposta e lentamente aprì e richiuse più volte le palpebre per abituarsi alla
nuova luce.
Si stupì di quanto essa fosse
debole.
Difatti non arrivava ad illuminare
nemmeno la metà di quella stanza.
Finalmente capì dove si trovava.
Era la camera di un albergo.
Era sdraiato su un letto ad una
piazza e ad esso ne era stato accostato un secondo dove riconobbe la sagoma di
Takao rannicchiato sotto le coperte.
La sua bocca si apriva e si
chiudeva emettendo un familiare e insopportabile gracchiare.
Ebbe la spietata tentazione di
sfilarsi un calzino e piantarglielo in gola, ma la massa di coperte strette
attorno a lui e ripiegate fin sotto il materasso gli impediva qualsiasi
movimento.
La camicia di forza…
Era una cosa a cui sarebbe potuto
arrivare se ci avesse pensato qualche secondo di più.
Ed ecco le zavorre… non che le
considerasse tali, per carità.
Conosceva il valore dei suoi
compagni.
Rannicchiato proprio sopra la sua
camicia di forza e coperto da una semplice e assurda coperta, Max dormiva
beato.
La bocca ripiegata a ricordare la
smorfia di un micio e i capelli scompigliati che spuntavano dalle coltri.
Accanto a lui, ma in una posizione
perpendicolare rispetto al biondino stava Rei.
Proprio sotto il luogo in cui
dovevano trovarsi i piedi di Takao.
Anche lui era sopra le coperte ed
era riparato solo da un lungo cappotto beige posato alla buona sul suo corpo.
I lunghi capelli neri posati a
ventaglio e la posa felina.
Non gli ci volle molto a fare i
conti.
Se loro tre dormendo stavano…
…allora chi…la luce acceso aveva?
Si voltò di scatto.
La bajour sul comodino che
illuminava la stanza.
Due occhi celesti, stanchi, ma
brillanti, piantati su di lui.
Quella massa di capelli rossi non
poteva non riconoscerla.
Si schiarì dolorosamente la voce
costringendola a forza ad uscire.
- Cosa ci fai qui? -
Debole, ma udibile.
- Come ti senti? -
- Non ignorarmi… -
- Non ti ignoro.. tralascio le
domande inutili a dopo… -
Lo sguardo di Yuri si fece
tagliente.
Kei cercò di ignorarlo.
Si sentiva incredibilmente stanco
e disorientato.
Lanciò con noncuranza lo sguardo
sulla sveglia sul comodino.
Le 16:30.
Ricordava di aver raggiunto
quell’albergo all’alba.
Era sempre lo stesso giorno?
Qualunque esso fosse…
…probabilmente non aveva molta
importanza.
Il fatto che Yuri fosse lì
significava che anche suo nonno gli era molto vicino…o no?
Lo sguardo del rosso era sempre
fisso su di lui.
Gli dava fastidio.
Non voleva che lo fissasse.
Avvertiva gli occhi di suo nonno
scrutarlo attraverso quei pozzi ghiacciati.
Per un momento un unico e violento
pensiero si fece strada nella sua mente.
Non voleva tornare lì…a qualsiasi
costo!
Un’inaspettata ansia gli pervase
il corpo.
Il suo cuore cominciò a battere
ancora più forte se possibile.
Un ritmo forte e assordante.
Riecheggia per tutto il corpo…
Il respiro si fa veloce…
La temperatura si alza…
Il sudore inizia a formarsi dietro
il collo…
La testa scoppia.
Due occhi azzurri si allargano
allarmati.
Ti senti privato improvvisamente di
tutto il calore.
Le coperte che ti vengono portate
via.
Il gelo.
I brividi che cominciano a
percorrerti la schiena quasi fosse una scala a pioli.
Lentamente…
...uno dopo l’altro…
… gelando il corpo.
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
La porta della camera si aprì
lentamente facendo entrare la body-guard seguita dall’inconfondibile sagoma del
suo parente.
Rumore di passi che pestano il
parquet.
Ritornò con lo sguardo sulla sua
scrivania.
Un foglio a righe completamente
bianco.
Una penna stilografica.
Un volantino turistico
raffigurante una famosa città europea.
Qualcuno si schiarì la gola in
cerca della sua considerazione.
Gli occhi rubini che non osavano
alzarsi da quel foglio bianco.
- Kei. -
A quel tono autoritario e ostile
non poté negare la sua attenzione.
Incrociò gli occhi scuri del nonno
celati dalle folte sopracciglia grigie e dalle rughe.
Quanto odiava quell’uomo.
Più cercava di allontanarsi da lui
più questo creava scomodi legami per tenerlo legato a se.
Ormai quasi tutto ciò che aveva
dipendeva da quell’uomo.
Il bey, la casa, la scuola, la
squadra, la sua limitata libertà.
Rinunciare alla sua protezione
significava perdere tutto e vivere come un miserabile.
- Che c’è? -
Rispose duro, cercando di
mantenere quell’espressione neutra.
- Come va con lo studio? -
In un gesto involontario il suo
sguardo cadde sulla pila di libri scolastici all’angolo della scrivania.
- Procede…-
Non li aveva mai neanche toccati.
- Sei venuto solo per questo…? -
- Certo che no… -
Una lieve smorfia gli incurvò di
poco le labbra.
- Ho sentito che i tuoi amichetti
sono qui a Mosca… -
Un campanello d’allarme risuonò
nella testa del ragazzo.
Cercò il più possibile di rimanere
impassibile.
- E allora? -
- Mi pare che avessimo già
discusso al riguardo. –
- Io non centro niente… che cosa
devo farci io se sono qui? –
- Poco fa uno di loro ha chiamato…
cercava te, ma naturalmente gli è stato riferito che eri troppo occupato per
rispondergli. -
“Accidenti, che cavolo avevano telefonato
a fare?”
- Immagino che volessero
salutarmi… non ci vedo niente di strano. -
Suo nonno parve nascondere un
sorrisino ironico.
- Ma certo…immagino sia così. Lo
spero per te. -
L’uomo fece per andarsene
provocando un moto di sollievo al ragazzo.
Prima che la porta si richiudesse
sentì lontana la voce arrochita del nonno bisbigliare qualcosa alla body-guard.
- Scopri dove sono. -
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Aveva gli occhi già semiaperti
quando cominciò a prendere coscienza di ciò che lo attorniava.
Si stupì di quell’oro intenso che
lo fissava a pochi centimetri dai suoi occhi.
- Rei? -
Il ragazzo gli rivolse uno dei
suoi sorrisi gentili e gli scostò dalla fronte le frange umide.
- Si è ripreso? -
La voce, riconosciuta come quella
di Yuri, proveniva dalle sue spalle.
Vide il moro alzarsi e assentire
con il capo.
Il volto rilassato e riposato.
Si rivolse nuovamente a lui.
- La febbre ha cominciato ad
alzarsi improvvisamente… ti abbiamo portato qui per cercare di abbassarla con
l’acqua fredda. -
- Il ghiaccio che avevamo prima
ormai si è sciolto, ma l’acqua di Mosca è ugualmente glaciale. -
Solo in quel momento si accorse di
essere seduto sul pavimento del bagno.
Yuri che lo sosteneva da dietro.
Una coperta sulle spalle.
Qualcosa di umido e ghiacciato che
gli ricopriva la testa.
Rei gli si avvicinò e gli tolse
l’asciugamano fradicio dal capo e ne prese uno asciutto strofinandogli i
capelli per asciugarli.
Quel gesto non fece che aumentare
il suo mal di testa.
- Smettila. -
Lo allontanò con un gesto
infastidito.
Odiava essere trattato come un
malato.
Non voleva farsi vedere così
debole.
Tentò di rialzarsi, ma Yuri lo
tenne inchiodato a terra.
- Tieni a freno l’orgoglio tigre!
Non mi va di trascinarti di nuovo per la camera. -
- Che ci fai tu qui? Non ti sei
ancora rassegnato a riportarmi indietro? -
Gli occhi azzurri di Yuri furono
attraversati da un lampo.
Rei fece un gesto con la mano per
stabilire una tregua tra i due.
- L’ho incontrato per strada. Non
ti preoccupare… il ghiacciolo si è pentito. E’ qui per vedere quello che farai.
-
Nonostante il suo stato di salute
fosse a livelli disperati, Kei riuscì ugualmente a sfoggiare uno dei suoi
sorrisi beffardi.
- Hai fifa di tornare a mani
vuote, eh? -
- Fai lo spiritoso? Chi è che per
primo ha fatto una bella fuga notturna causandoci tutte queste rogne? -
Kei cercò di colpirlo con una
gomitata, ma una improvvisa nausea lo costrinse a rinunciarvi.
- Voglio stendermi. -
Rei capì e lo aiutò a rialzarsi.
Orgoglioso com’era cercò di
muoversi autonomamente, ma Yuri lo afferrò per un fianco costringendolo a
subire il suo sostegno.
Gli girava la testa.
Non aveva più nemmeno la voglia di
picchiare il rosso.
Perfino il suo orgoglio sembrava
intaccato dalla malattia.
Quando finalmente raggiunse il
letto si sdraiò su un fianco dando le spalle a Rei e Yuri e trovandosi di
fronte Takao addormentato con qualcosa di molto simile ad un calzino infilato
in bocca.
Sorrise debolmente.
Qualcuno allora ragionava in
quella stanza.
Sospirò… stanco, distrutto.
Era troppo stanco per qualsiasi
ragionamento.
Sentiva le palpebre che si
facevano pesanti.
Le coperte tornarono a ricoprire
il suo corpo.
Un confortevole tepore che
iniziava ad avvolgerlo.
Chiuse gli occhi.
Silenzio.
Buio.
Quiete.
…
Se non avessi trovato i miei fermo
posta pieni di commenti forse ci avrei messo ancora più tempo a continuare.
Mi avete veramente stupita, non
pensavo che ci fosse tanta gente che aspettava questa ff.
Mi sono sentita un’idiota a far
aspettare tutti questi lettori… T.T
GRAZIE TANTE!^^ Ricordate che se
questa storia va avanti è VERAMENTE solo merito vostro… per quanto riguarda il
come è colpa mia.
Perdonate la mia pessima costanza.
Questo capitolo è venuto come è
venuto. Era da secoli che non scrivevo qualcosa.
Ho usato tanti di quei congiuntivi
che di sicuro me ne sono fregata un sacco.
Perdonate anche la mia mediocre
abilità nelle scrivere… ^^’’’’’’’’
Sono un po’ in crisi con la trama.
Non so bene come continuarla…. T.T
Non so come sarà il prossimo
capitolo (ne quando >.>)… ahahahaha! Mi inventerò qualcosa!!!
Forza e coraggio!!
Grazie a tutti voi che leggete!!!^.^
Tirò la tenda su quel paesaggio
innevato per voltarsi e avviarsi verso la stanza attigua.
In tutto le stanze di quella camera
d’albergo erano quattro.
Un piccolo salottino.
Una camera con due letti e una
singola.
Un bagno.
In quel momento ad occuparle erano
in cinque.
Uno che si accaparrava un intero
materasso.
Gli altri si prendevano i
rimanenti.
La stanza in cui entrò era molto
luminosa.
Le tende erano tirate e la luce
era accesa.
Max sedeva su un letto.
Gli occhi cobalto intenti a
scorrere una rivista di bey, una tazza di te caldo tra le mani.
Quando lo vide gli rivolse un
piccolo sorriso.
- Kei dorme ancora? -
La sua voce era allegra come al
solito.
- Non si sveglia… -
Max fece spallucce.
- Immagino sia molto stanco… -
Takao alzò un sopracciglio.
- Ha dormito per quasi un giorno
intero… -
- Ha la febbre alta, è abbastanza
normale… -
- Perché sei così tranquillo? -
Gli lanciò un’occhiata incredula.
Max alzò gli occhi dalla rivista
piantandoli in quelli scuri del compagno.
- E tu perché sei così agitato? -
- Kei sta male! -
- E’ anche migliorato parecchio da
ieri. Piano piano la febbre sta scendendo ed anche il sonno è più tranquillo… -
- E come facciamo con quel gorilla
che ci corre dietro? –
Max si alzò, lasciò la rivista sul
letto e si avvicinò alla porta.
La tazza sempre stretta tra le
dita.
- Ci impiegheranno un po’ a capire
che siamo ancora qui. Rilassati… -
Detto ciò uscì e lasciò Takao solo
nella camera.
Sbuffò.
“Rilassati?! E come faccio?!”
Si sedette sul letto.
Nello stesso posto occupato
precedentemente dall’americano.
- Mi sembra di essere l’unico a
preoccuparsi di quello che può succedere qua… -
- E già questa cosa è strana,
visto che comporta un certo ragionamento… -
Alzò di scatto gli occhi
incrociando quelli azzurro ghiaccio del russo.
Non l’aveva neanche sentito
entrare.
Digrignò i denti offeso.
- Da quando hai imparato a fare
queste battutine sarcastiche? -
Il russo scosse la testa
insofferente.
I capelli rossi che ondeggiavano
privi della solita piega.
- Non so. Mi vengono così… -
Il celeste si mischiò al nero
tingendolo di una sfumatura blu notte.
- Dovrei preoccuparmene? -
Yuri finse di riflettere.
- No, non credo… -
Takao sollevò un angolo della
bocca.
Lanciò uno sguardo alla vetrata
dietro di lui notando una nuova tonalità.
Il sole finalmente usciva dalle
nubi.
Chiarore che ricordava quanto la
luce può essere confortante.
Il russo spense la lampada, ormai
resa superflua dall’astro.
- Era ora, non ne potevo più di
questa luce artificiale. -
Il moretto stava ancora osservando
le nubi bigie allontanarsi.
- Stai attento o troppo sole ti
scioglierà. -
- Ah..ah..ah… -
La risata di Yuri non aveva nulla
di allegro.
Anzi, non era per niente una
risata.
- Ti serve qualcosa? -
Il rosso lo osservò di nuovo.
Le sopracciglia alzate.
Fingeva di non capire.
- Pensavo che la stanza fosse
vuota. Max era appena uscito. -
Takao non era del tutto convinto
di quelle parole.
- Ah..ah..ah… -
La sua imitazione era per lo più
identica.
Yuri lo ignorò volgendo lo sguardo
altrove.
Continuava a rimanere in piedi di
fronte alla porta.
Sembrava non volesse muoversi da
lì.
Non vi diede molta importanza
sebbene fosse evidente che fremeva dalla voglia di chiedergli qualcosa.
Takao cercò con lo sguardo le
pantofole che si era sfilato prima di sedersi.
Le vide ed allora qualcosa sembrò
accendersi nella sua mente.
- Sai… stamattina mi sono quasi
soffocato con un calzino. -
Yuri si illuminò in volto e subito
vide il suo sguardo divertito piantarsi su di lui.
- Ah si? Io non ne sapevo niente…
-
- Il calzino era di Rei, ma lui
non è tipo da queste cose… -
L’altro non batté ciglio.
Continuò…
- Max sembrava sincero quando
diceva di non saperne nulla… -
Ancora niente…
- Anche se da Kei me lo sarei
aspettato non si è ancora svegliato da ieri… -
Il silenzio parve riempire la
stanza.
Una vena si gonfiò sulla sua
fronte.
- Maledetto! Volevi uccidermi?! -
Yuri sbarrò gli occhi
perfettamente conscio del fatto di non darla a bere a nessuno.
- Io!? Ma no! Non ho abbastanza
confidenza per compiere simili gesti… -
- Non fare l’idiota! Piuttosto
perché sei qui? Che vuoi da me?! -
Yuri soffocò una risatina e
arretrò di un passo.
Ormai era prossimo alla porta.
- Non vorrai mica svignartela!? -
Il russo sorrise, gli fece la
linguaccia e si girò.
SDONK.
Il ragazzo arretrò di un passo.
Le mani a coprirsi la fronte
dolorante.
Takao non poté trattenersi.
La sua risata riempì la stanza.
Cadde a peso morto sul letto
reggendosi la pancia per le risate.
- Cosa ho colpito? -
La testa di Rei fece timidamente
capolino da dietro la porta.
Quando capì che quel “cosa” era la
testa di Yuri cominciò ad arrossire.
Ciò era ben evidente nonostante la
sua pelle abbronzata.
- Scusa Yuri… -
- Maledetto cinese… -
Uscì senza nemmeno voltarsi.
Rei lo fissò di sottecchi e poi si
rivolse a Takao.
Attese che le risate si calmassero…
- Io e Max usciamo… servono le
medicine e dei ricambi per Kei… -
Takao si rimise a sedere.
Occhi scuri che lo scrutavano da
sotto la frangia.
- E’ per questo che ti sei vestito
in quel modo? -
Rei abbassò lo sguardo sul suo
lungo cappotto beige.
La coda era stata nascosta sotto
quest’ultimo, una sciarpa proteggeva bene il collo dal freddo e uno strano
berretto nero copriva quasi del tutto i suoi occhi.
- Così non mi riconosceranno… e
poi è freddo fuori. Anche Max si è combinato così.. -
Prima che Takao potesse rispondere
si voltò immergendo di nuovo il viso dall’altra parte della porta.
Il giapponese poté udire la voce
di Max dire qualcosa e Rei rispondere.
Poco dopo la testa dell’altro fece
di nuovo capolino nella stanza.
- Viene anche Yuri… tu rimani qui
con Kei, ok? -
Takao storse il muso.
- E’ proprio necessario che
andiate tutti? E’ rischioso, se vi vedono? -
Rei sorrise.
- Ti preoccupi troppo… Mosca è
grande e con questo freddo è normale che la gente si copra molto. Non daremo
nell’occhio… -
Takao non parve convinto.
Il cinese lo guardò comprensivo.
- Non devi preoccuparti. Yuri
conosce la gente che lavora per Hiwatari, staremo attenti.
Non puoi pretendere di rimanere
sempre qui a nasconderci… -
Il moretto acconsentì di sfuggita
portando di nuovo lo sguardo oltre la finestra.
- Fate come volete… -
Rei sospirò e fece per uscire.
- Ci vediamo dopo… Rilassati… -
Detto ciò uscì lasciando di nuovo
solo Takao nella camera.
Sbuffò.
“Perché tutti continuavano a
ripetergli di rilassarsi!!”
Rimase qualche secondo fermo.
Senza pensare a nulla.
Il silenzio della stanza a
riempire il vuoto nella sua testa.
Era terribilmente agitato.
Non faceva che pensare a ciò che
avrebbero dovuto fare.
Tutti sembravano così tranquilli.
Si comportavano come nulla fosse.
Come se fosse un giorno come gli
altri.
Persino Yuri che era messo peggio
di tutti loro pareva non badare molto alla cosa.
Ma lui non ci riusciva.
Non ci riusciva proprio.
Si alzò dirigendosi verso la
finestra.
La aprì di scatto giusto in tempo
per vedere i tre imbacuccati attraversare furtivi, seppure con noncuranza, la
piazzetta di fronte all’albergo.
Venne investito dal vento e un
sacco di suoni riempirono i suoi timpani abituati al silenzio di quel luogo.
Rabbrividì richiudendo
immediatamente la finestra.
Quello era stato un gesto suicida.
L’aria era pungente.
Ghiacciata.
Oltrepassava i vestiti, la pelle e
riusciva a gelarti le ossa.
Sbuffò.
Le braccia strette attorno al
corpo per ritrovare un po’ di calore perso.
Gli mancava casa.
Il profumo della sua terra.
Il calore che poteva trasmettere e
la tranquillità che sempre lo accoglieva in quei luoghi.
Decise di cambiare stanza.
Uscì e raggiunse il salottino.
Il famigliare ticchettio
dell’orologio lo accolse immediatamente varcata la soglia.
Due occhi rubini lo fissarono.
Dapprima non se ne accorse
nemmeno.
Quasi fossero parte
dell’arredamento.
Li osservò di rimando senza alcuna
espressione.
La porta dietro di lui che veniva
richiusa con uno scatto.
Le ombre rossastre provocate dalle
tende tirate.
Accese la luce, anche se non era
necessario.
Quando quegli occhi si mossero,
stringendosi leggermente, ebbe un sussulto.
Si accorse che quelle gemme non
erano parte di chissà quale ornamento, ma appartenevano ad una persona
specifica.
- Dovresti essere a letto… -
- Pensavo foste andati tutti via.
-
La voce era debole, ma udibile.
Takao sbuffò per la 46esima volta
in quella giornata.
- Non è una scusa valida… -
Kei fece spallucce.
Cercò di non urlargli contro.
- Come va? -
- Non c’è male… -
Il moro raggiunse l’altro fino al
divano.
Gli tastò la fronte e scosse la
testa.
- Scotti. -
- Non è niente… -
- Non è mai niente per te… -
Kei gli lanciò un’occhiataccia.
Si alzò in piedi e iniziò a
percorrere la stanza a grandi passi.
- Cosa vuoi provare con questo? -
Il russo rimase in piedi e tirò le
tende facendo entrare la luce del sole.
- Hmm… il sole. Non me
l’aspettavo. -
Il moro ruotò gli occhi.
Possibile che anche lui fosse così
calmo?
Da quando si preoccupava del
tempo?
Provò nuovamente a parlargli, ma
non rispose.
Era vestito di tutto punto.
Se non si sbagliava i vestiti
erano di Rei, ma erano un tantino grandi per lui.
Le maniche leggermente lunghe.
I pantaloni stretti bene in vita
da una cintura.
Solo le scarpe parevano andargli a
pennello.
Si chiese se era già sveglio
quando c’erano ancora gli altri o se si fosse preparato subito dopo che se ne
erano andati.
Provò per l’ennesima volta a
scambiare qualche parola cercando di informarsi sulla sua salute o sui suoi
piani, ma l’altro si limitava ad ignorarlo o ad accennare al tempo e alla
panoramica della città.
Evidentemente la febbre gli aveva
dato alla testa.
Continuò così per qualche minuto
ancora.
Arrivato ad un certo punto
cominciò ad irritarsi e l’ansia che già provava non l’aiutava a calmarsi.
- Se la pianti di ignorarmi e non
parli a enigmi forse possiamo anche adoperarci per una piacevole chiaccheratina!
-
Kei alzò un sopracciglio.
Le guance ancora arrossate per la
febbre.
- Che suscettibili che siamo oggi!
Non dobbiamo mica parlare per forza… Rilassati… -
“RILASSARMI! Ma che è!? Si sono
messi tutti d’accordo??!”
Si alzò dal divano ed entrò nella
camera sbattendo la porta.
Kei sobbalzò.
Ebbe l’impressione che il botto
della porta sbattuta gli avesse colpito le tempie.
Scosse la testa.
Non aveva voglia di parlare con
Takao.
E nemmeno essere partecipe delle
sue inquietudini.
Ne aveva già abbastanza per conto
suo.
D’un tratto alla porta risuonarono
tre colpi.
Una voce di donna annunciò il
servizio in camera.
Non si preoccupò nemmeno del fatto
che quella voce risultasse stranamente famigliare.
Aprì con l’intenzione di chiedere
di ripassare più tardi.
Una chioma bionda bastò a fargli
salire il cuore in gola.
Due profondi occhi castani lo
fissarono sorpresi quasi quanto lui.
Fece per richiuderle la porta in
faccia, ma il piede della donna la stava già bloccando sullo stipite.
Una mano pallida.
Unghie smaltate di rosso che
premettero sulla sua spalla.
- Vi stavo cercando, ma non
immaginavo che proprio tu mi avresti aperto la porta. -
Una voce vellutata, ma minacciosa.
Due labbra rosse si stirarono in
uno sgradevole sorriso.
…
Hello! 14° capitolo completato!!
Adesso passiamo al 15° e speriamo
che sia presto finito.^^’’’’’
Qui ogni capitolo è un mistero.
Non so cosa succede fino a quando
non è finito. Figuratevi quanto sono messa bene con la storia… T.T
E’ anche per questo che la ff
procede piuttosto lentamente… in attesa di nuove illuminazioni. -.-‘’’
Avevo anche pensato di non
inserire più quelle tre rime che metto ogni volta ad inizio capitolo. Sono
abbastanza insignificanti, praticamente le inserisco semplicemente perché è
tradizione che ci siano e basta. No dai.. un po’ mi ci sono affezionata… (XD)
Come sempre ringrazio di cuore
tutti i miei adorati e preziosi lettori e con particolare enfasi quelli che
commentano!! +.+
Sul serio! Questa storia non
esisterebbe senza i vostri commenti. ^^
So che i capitoli non sono poi
tanto lunghi e che sono lenta ad aggiornarla, ma io ci provo sul serio a
migliorarmi un po’.
Lasciava le ciocche rosse inondare
il suo viso coprendo gli occhi e provocando un lieve prurito alla fronte.
Prima o poi si sarebbe rasato a zero.
Se lo sentiva.
Era ancora stanco, ma meno
rispetto la situazione iniziale.
Poco prima era riuscito a
riacquistare un po’ di energie appisolandosi sul sofà accanto al
letto.
Gli altri erano sparpagliati qua e
là sui due giacigli affiancati a formarne uno unico.
Si erano addormentati uno dopo
l’altro.
Parlavano della situazione in cui
si erano ritrovati.
Dei problemi che erano sorti.
Takao sembrava quello più
preoccupato, ma anche il meno brillante nel cercare una soluzione.
Max si prendeva cura di Kei…
…Rei tentava di alleggerire
la tensione raccontando della fatica fatta per ritrovare la strada
all’Hotel.
Lui se ne stava in silenzio…
…comodo sul
sofà…
…osservandoli mentre
dibattevano, ridacchiavano, sbadigliavano e infine si addormentavano.
Per un po’ era rimasto
sveglio ad ascoltare il sonno agitato di Kei.
Lo sentiva respirare con una certa
fatica ed ogni tanto cercava di muoversi, ma lo stretto rivestimento di coperte
– opera del cinese – glielo impediva.
Era rimasto un po’ turbato quando lo aveva visto tanto sfibrato.
Nemmeno lui sapeva quale fosse la ragione che aveva spinto così
improvvisamente il ragazzo alla fuga, ma vedendolo in quelle condizioni aveva
capito che era una cosa seria.
Ammise che per tutta la durata
della sua veglia aveva nutrito la speranza che
l’altro si svegliasse.
Anche se ormai la lampada era
stata spenta...
Anche se gli occhi gli imploravano
un po’ di riposo...
Anche se continuare a restare
sveglio lo occupava con sgradevoli riflessioni…
Sfortunatamente per le sue
aspettative, Morfeo era giunto per prima.
Ora che invece era sveglio, invidiava
gli altri che riuscivano ancora a dormire.
Lui era troppo preoccupato per
ciò che il nonno di Kei gli avrebbe combinato.
Non poteva tornare a mani vuote.
Avrebbe potuto lasciare quel monastero
se Kei fosse tornato buono buonino a casa con lui.
Quel vecchio glielo aveva
assicurato.
Sebbene quello era l’unico
luogo in cui poteva tornare.
Lui avrebbe voluto cercare
qualcos’altro.
Quando si parlava di Hito lui non
poteva fare altro che sottostare.
…
Solo ciò poteva spingerlo a
tradire un compagno.
…
Non era stato accennato niente
riguardo un possibile fallimento.
A significare che il solo pensarlo
non era concepibile.
Invece lui aveva fallito.
E adesso quel vecchiaccio lo
avrebbe rovinato.
Se lo sentiva.
“Accidenti a te Takao!! Se solo la smettessi di russare!”
Era colpa sua se si era
risvegliato e non riusciva più a riassopirsi.
Voleva dormire.
Almeno non avrebbe dovuto pensare
a tutte quelle cose.
Non doversi scervellare con mille
problemi…
…aspettare che Kei si
svegliasse e trovare una soluzione.
Solo lui poteva fare qualcosa.
Glielo aveva rassicurato il cinese
e ormai non aveva più nulla a cui aggrapparsi.
Quindi era rassegnato a porre
fiducia in quel proposito.
Trasalì
all’improvviso.
Qualcosa aveva cominciato a
vibrare nella tasca frontale della sua felpa.
Infilò la mano e ne
tirò fuori il suo cellulare.
Non si ricordava nemmeno di averlo
sempre avuto con sé.
Sul display continuavano ad
alternarsi spie luminose di diversi colori.
Il numero del mittente a grandi
numeri privo di nominativo ben in vista.
Non occorreva conoscerne il nome.
Solo una persona poteva chiamarlo
a quell’ora tarda.
Conosceva quelnumero a memoria e non si era
nemmeno preso la briga di inserirlo nella rubrica.
Se il direttore del monastero lo
stava chiamando significava che si aspettava buone notizie.
Che lui però non aveva.
Lanciò uno sguardo nella
direzione in cui si trovava il letto.
Nel buio della stanza cercò
di delineare i contorni delle sagome assopite su di esso.
Non ci riuscì.
Il telefonino aveva smesso di
vibrare e le lucette colorate erano scomparse.
Borkov non l’avrebbe mai
chiamato al cellulare…
…ma ormai lui non era
più il responsabile del monastero.
Il vecchio Hiwatari aveva ben
provveduto a rimpiazzarlo dopo l’ultima volta.
E le cose erano anche peggiorate
per lui dopo quella decisione.
Per questo doveva andarsene da
lì.
E al più presto.
Takao parve aumentare il volume e
il suo russare divenne più forte.
Yuri scosse la
testa rassegnato.
Kei non era la sua unica
possibilità.
O meglio…
…lo era se non si parlava di
giocare sporco.
Sapeva dove si trovavano.
Aveva il suo obbiettivo inerme a
portata di mano.
Bastava un semplice messaggio e
tutti i suoi problemi sarebbero spariti.
Aprì lo sportellino.
Due tasti ed era nel menù
messaggi.
La luce azzurrina gli
illuminò il viso facendo brillare i suoi occhi.
Distolse lo sguardo
dall’apparecchio e adesso, grazie a quella flebile luce, distinse la
sagoma di Kei sotto le coperte.
Non poteva fargli questo.
Sapeva di essere sempre vissuto
grazie alle sfortune degli altri.
Se gli altri perdevano, lui
vinceva.
Finchè erano sconosciuti
tutto ok…
…ma quello era Kei.
Anche se lui aveva dimenticato un
tempo loro erano stati più o meno amici.
Rivali.
Complici.
Amici in un posto dove va avanti
solo il migliore.
Lui però se ne era andato.
Lui era rimasto.
Lui aveva avuto la bella casa, dei
compagni, un briciolo di libertà.
Ok, aveva un nonno da schifo, ma
aveva potuto vivere i suoi bei momenti.
Sinceramente non immaginava come
potesse essere la vita a casa Hiwatari…
…ma sapeva come funzionava
al monastero…
…e lui era stanco di
combattere in continuazione anche per le cose più futili.
Voleva un po’ di tregua tra
uno scontro e l’altro.
La mano gli tremò.
Il pollice fremeva dalla voglia di
comporre il messaggio, ma la mente non gli dava le parole.
Sorrise.
“Sono proprio uno stronzo...”
Ritornò con lo sguardo sul
display interno del cellulare.
Solo il tempo di formulare
poi…
…la mente…
…finalmente…
…si mosse.
-
_ . - ° * ° -. _ . - °
* ° - . _ -
Le unghie gli premevano sulla
spalla.
Ringraziò il maglione di
Rei che era abbastanza grosso da attutire il dolore che altrimenti avrebbe
provato.
Come aveva fatto quella donna a
trovarlo?
Lo fissava con i suoi grandi occhi
castani contornati da una matita nera forse troppo pesante.
Il viso crucciato, leggermente
allungato, le labbra tinte dal rossetto scarlatto, il naso piccolo e levigato.
Era una bella donna, ma
altrettanto crudele.
Cercò di richiudere la
porta, ma il piede continuava a bloccarla e lei a forza cercava di entrare.
Era una femmina tutta d’un
pezzo.
Aveva forza e una certa esperienza
nell’autodifesa e probabilmente anche nell’offesa, ma lui non aveva
mai avuto la possibilità di accertarsene.
La conosceva da poco.
Il nuovo direttore del monastero.
Ci aveva però già
scambiato parola più di una volta e l’impressione che gli aveva
dato adesso lo spaventava.
Intelligente, risoluta, sarcastica
e terribilmente autorevole.
Non si era ancora ben
ripreso… gli mancava la forza per contrastarla.
Abbassò lo sguardo
incontrando la fine scarpetta nera che ricopriva il piede.
“Che sottile…”
Non esitò.
La schiacciò.
La donna la ritrasse dolorante con
un mormorio di sorpresa.
Approfittò
dell’occasione e chiuse la porta di botto.
- Takao!! Takao!! -
“Dov’era quell’idiota quando serviva?!”
Sentì la donna imprecare
oltre la fine barriera di legno.
Vide la maniglia abbassarsi.
Non immaginava che la porta si
potesse aprire dall’esterno, ma quando la vide
muoversi si precipitò contro di essa e tenne ben ferma la presa.
Non voleva farla entrare…
Un gesto un po’ inutile
visto che non c’erano altre vie di fuga e di certo non sarebbero potuti
rimanere barricati in eterno lì dentro.
Al momento però aveva la
testa troppo annebbiata per pensare a qualcosa.
- Takao! -
Sentiva la sua voce divenire
più roca e quella vellutata della donna chiamarlo dall’altra
parte.
- Takao… -
Non sapeva cosa fare.
Cercò con lo sguardo la
chiave da qualche parte, ma non la vide.
Improvvisamente non avvertì
più alcuna resistenza.
Alleggerì la presa alla
maniglia.
Non si mosse.
Se n’era andata?
- Kei apri la porta… -
“Che idiota! Certo che non
se n’è andata!”
- Cosa hai intenzione di fare?
Barricarti per sempre in questa camera? -
Il russo non rispose.
La ignorava.
Lo sguardo in
attesa che la porta si aprisse e Takao facesse capolino dalla stanza accanto.
- Preferisci calarti dalla
finestra? Siamo al terzo piano, vero? Forse te la cavi... dopotutto tu sei
l’incredibile Kei… -
- Stai zitta! Vattene via! Ti sei
stancata di torturare i tuoi soldatini? -
- I miei soldatini stanno bene.
Non preoccuparti per loro. A proposito, ne ho perso uno. E’ lì con
te? Avrei di che complimentarmi con lui… -
Yuri.
Era stato lui.
Come aveva fatto altrimenti quella
a trovarli così in fretta?
Perché era stato
così stupido da non cacciarlo via non appena lo aveva visto?
Ma quale pentito e
pentimento…
Se solo avesse potuto mettergli le
mani addosso in quel momento…
Si era fidato di lui.
Due volte.
E per due volte quello aveva avuto
la faccia tosta di…
…di tradirlo.
Traditore.
Sentì la rabbia scorrergli
per le vene come se fosse il suo stesso sangue.
Sentì il suo corpo
scaldarsi.
Forse per la febbre, forse per
l’ira.
Sarebbe tornato lì.
In quella casa…
Da quel vecchiaccio.
Non voleva.
Non voleva.
Non voleva.
- TAKAO!! -
Nessuna risposta.
Non sapeva perché lo chiamava sebbene la sua presenza avrebbe cambiato poco di
quella situazione.
Stava cercando aiuto?
No.
Lui non aveva bisogno di aiuto.
Non lo avrebbe mai ammesso.
Il solo farlo gli avrebbe fatto
perdere tutta la sicurezza che riponeva in se stesso.
In quel momento non era il bisogno
di aiuto che cercava.
Non in quel momento.
Quello che cercava… era una
scusa per urlare…
-
_ . - ° * ° -. _ . - °
* ° - . _ -
Gettò con ira il calzino a
terra.
Quel calzino che poco prima lo
aveva quasi soffocato.
Chi diavolo aveva avuto la
brillante idea di fargli uno scherzo simile?
Un’idea ce
l’aveva, ma stava dormendo profondamente nella camera affianco con
38 e passa di febbre.
Anche se l’avesse voluto non
avrebbe potuto.
Non se la sentiva di incolpare gli
altri due.
Non erano tipi da fare cose del
genere.
O almeno sperava…
Solo un altro avrebbe potuto
farlo.
Era stato lui.
Se lo sentiva.
Uscì dal bagno lavato e
profumato poi, dopo aver frugato in cerca di un nuovo cambio d’abiti, si
vestì.
Gli altri erano scesi a fare
colazione lasciandolo solo.
Non era colpa sua se faceva fatica
ad alzarsi.
Aspettare qualche minuto di
più non li avrebbe mica fatti morire di fame…
Dopotutto erano appena le 8 del
mattino.
Era prestissimo.
Andò da Kei per vedere se
per caso era sveglio.
La stanza era silenziosa.
Terribilmente silenziosa.
Le tende erano tirate ad eccezione
di una finestra posta dall’altra parte del letto.
La luce filtrava debole, ma
abbastanza da illuminare parzialmente la camera.
Kei stava ancora dormendo.
Rigirato su un fianco.
Così dava l’idea di
stare meglio.
Sentiva il suo respiro pesante, ma regolare.
Vide il pigiama di Max abbandonato
a terra e ripiegato sopra una sedia quello di Rei.
La camera era abbastanza in
disordine.
Pantofole sotto il tavolino e accanto la finestra.
Le coperte all’aria.
Vestiti un po’ dappertutto.
E pensare che era passato appena
un giorno da quando si erano trasferiti lì e
per la maggior parte lo avevano passato a dormire.
Solo l’angolo in cui
riposava Kei risultava immune a tutto quel caos.
Nell’angolo più buio.
Le coperte ben ripiegate sul suo
corpo.
La poltrona girata verso si lui.
Le pantofole accanto
allineate a fianco del letto.
C’era una strana calma in
quel luogo.
Quasi in cerca della stessa calma,
Takao si avvicinò sedendosi sulla poltrona.
Era molto comoda…
Anche Yuri ci aveva passato
qualche ora di sonno però alla fine aveva
deciso di andare a dormire nella camera singola lì affianco.
Non sapeva che fare…
Aspettava che gli altri tornassero…ma non si erano ancora fatti vivi.
Sperava che almeno avessero il
genio di portargli qualcosa da mangiare.
Gli sarebbe bastata anche una
semplice brioche.
Poi sarebbe sceso lui a fare
colazione come era d’onore.
Nel frattempo non poteva lasciare
Kei da solo.
Avrebbe continuato ad aspettarli
per chissà quanto…
Il suo stomaco brontolò.
Evidentemente era contro le sue
prospettive.
Si osservò attorno con
l’intenzione di trovare l’apparecchio telefonico
dell’albergo.
Lo trovò sul comodino
accanto al letto di Kei.
Si sarebbe fatto portare la
colazione in camera.
Non aveva voglia di aspettare i
comodi dei suoi compañeros....
Magari avrebbe ordinato qualcosa anche per il malato....
....nel caso si svegliasse.
Si avvicinò, prese la
cornetta e, presa la linea, ordinò un caffè caldo (su
suggerimento del personale… sembrava fosse il migliore della zona), pane,
burro e marmellata, visto che mangiare pesce affumicato o uova di prima mattina
non era proprio il suo ideale di colazione.
Riagganciò e si sedette sul
bordo del letto di Kei.
Aveva sperato in una colazione
più…. gustosa…
Un ronzio alle sue spalle lo fece
trasalire.
Si voltò di scatto appena
in tempo per notare delle strane lucette colorate provenire dalla poltrona
lì accanto.
Si alzò e vide il
cellulare.
Doveva essere quello di Yuri.
Lo prese e si precipitò
nella stanza affianco con l’intenzione di portarlo al proprietario, ma si
fermò in mezzo alla stanza.
Il ticchettio dell’orologio
che…. ticchettava….
Il cellulare continuava a vibrare.
Sul display appariva solo un numero
che naturalmente non conosceva.
Le luci di diverse tonalità
che apparivano e scomparivano.
Chi poteva chiamarlo in quella
situazione?
Qualcuno del monastero?
Un suo amico?
Yuri aveva “amici”?
Borkov?
No…di sicuro non era
Borkov….
Alla porta si sentirono dei
battiti, ma non ci fece caso.
Nemmeno se ne accorse.
Decise di rispondere.
Non era una cosa educata da parte
sua.
Nessuno si sarebbe permesso di
rispondere al cellulare di uno quasi-sconosciuto senza permesso.
Yuri non era disponibile…..
Gli avrebbe fatto da segretaria….
In fondo era solo una chiamata.
- Pronto? -
- Yuri? No, tu non sei Yuri…. –
Era la voce di una donna…
…e anche parecchio alterata.
- Chi diavolo sei? Sei Kei?
Dove siete? -
Takao
allontanò allarmato l’apparecchio.
Chi era quella
donna?
Cercava Kei, quindi
doveva lavorare per il “nonno malefico”…
- Eccola qui…
ho bussato, ma non rispondevate…. il
caffè si stava raffreddando. E’ un peccato berlo freddo. Qui
all’Hotel Zarya facciamo il migliore caffè della zona…. -
Takao si
voltò di scatto.
La cameriera era
sulla soglia della porta.
Il vassoio con la
colazione tra le mani.
I suoi occhi si
spalancarono di fronte al sorriso cordiale della ragazza.
Hotel…
Riportò subito il cellulare all’orecchio.
“E se avesse sentito?”
Il sangue gli si raggelò nelle vene.
La comunicazione era stata interrotta.
…
Buongiooooooorno…. Era da un
po’ che non scrivevo.
Sono successe molte cose dall’ultima volta e questa volta tutto questo ritardo
non è completamente colpa mia.
Sono stata due mesi buoni senza
computer. Prima non potevo collegarmi ad internet perché ho cambiato
linea telefonica, poi ecco che arrivano i problemi con il modem nuovo e quando
tutto si sistema cosa succede?
Il computer parte…. e via con i giorni per capire cosa sia successo…. e via che si prova a ripararlo…. e
via che sono costretta a comprarlo nuovo.
Dopo aggiungici la mia naturale
pigrizia e gli impegni con la scuola… e hai voglia ora che il cap.
è pronto…….
-.-‘’’’’’’’’’’’
Comunque alla fine eccomi qui.
Sono tornata, per il momento….
Grazie per i commenti, fa sempre
un immenso piacere ritornare in rete e vedere che la gente si ricorda di
te….. nel bene e nel male… XD
Spero
che vi sia piaciuto anche questo eps. E’ un po’ incasinato…
se non capite qualcosa o vi stona qualcos’altro fatemelo sapere!! ^.^
Ho notato che le rime iniziali
finiscono sempre con “ato”…. dev’essere
un mio vizio… sono fissata con quelle righe…. ù.ù
Ah! Per la cronaca…
l’Hotel Zarya esiste davvero a Mosca, ma è solo un nome che ho
accuratamente preso in prestito, non c’entra niente con quello originale.
Ò.ò
Il sole lo colpiva alle
spalle proiettando la sua ombra sulla superficie bianca della porta.
- Sono un idiota… un gran pezzo d’idiota… -
L’ ininterrotto martellare
del suo piede sul marmo del pavimento si sovrapponeva ad ogni altro suono…
La donna stava ancora
aspettando oltre quella porta…
Aspettava che lui si
decidesse ad uscire, ma naturalmente lui non ne aveva la minima intenzione.
Non sarebbe mai andato
incontro a quella donna.
Mai.
Kei non lo chiamava più…
Non sentiva più la sua
voce e nemmeno l’incessante battere della porta che veniva forzata.
Cominciò a chiedersi se
l’indesiderato ospite se ne fosse andato…
Probabilmente era per
questo che il russo aveva smesso di chiamare…
…di chiamare il suo nome.
La sua mente era confusa… come doveva comportarsi? Che doveva fare? Perché
in quel momento non riusciva a raggiungere un livello vagamente superiore alla
stupidità?
Sapeva solo una cosa…
… quell’ insopportabile spiffero… se non chiudeva qualla
maledetta finestra presto avrebbe dovuto vedersela con un orribile torcicollo.
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Anche se cercava il più
possibile di nasconderlo era molto agitato.
Troppo agitato.
Aveva il fastidioso
presentimento che qualcuno avesse fatto qualcosa che non doveva fare.
Come ad esempio ricevere
una chiamata che non era indirizzata a lui.
Almeno era questo che gli
diceva la memoria del registro chiamate del proprio cellulare.
Il registro delle chiamate
ne segnalava una ricevuta durante la mattinata, in quella breve mezzoretta
sfruttata per consumare la colazione nella sala da pranzo dell’albergo,ma lui il cellulare lo aveva dimenticato in
camera.
E chi allora aveva
risposto?
Max e Rei erano con lui…
Takao era con Kei…
Keidormiva…
E quindi…
Takao aveva risposto al suo cellulare.
Nessun’altro avrebbe
potuto.
E quindi…
Perché non gliene aveva
parlato quando ne aveva avuta l’occasione?
Lo stesso Takao gli aveva domandato se aveva qualcosa da chiedergli.
“Che idiota….”
E se il giapponese avesse
in qualche modo fatto sapere il luogo in cui si trovavano?
“Perché ha risposto proprio
alla chiamata di quella donna!”
Il moretto non era così
idiota da rivelare il luogo in cui si trovavano…
Ma allora perché quella
mattina era così agitato?
Aveva sicuramente combinato
qualcosa.
Adesso temeva di ritrovarsi
faccia a faccia con il direttore ad ogni angolo che svoltava…
Si guardò per l’ennesima
volta intorno.
Prima a destra….
…poi a sinistra.
Volti senza nome che
attraversavano le vie di Mosca…
Ognuno con i proprio
pensieri a cui badare.
- Puoi anche
tranquillizzarti Yuri… non ci possono riconoscere
conciati a questo modo… -
La voce calma di Rei attirò
l’attenzione del rosso su di sé.
Due occhi celesti si
alzarono in cerca delle due pietre d’ambra, ma gli occhi del moro erano ben
nascosti all’ombra del berretto.
Capì che anche lui lo stava
osservando quando le sue labbra si curvarono in un sorriso rassicurante.
Max sospirò da sotto la
pesante sciarpa.
- Ci vuole ancora molto?
Non ne posso più di girare conciato in questo modo! Mi stanno fissando tutti! -
Rei ridacchiò lanciando
occhiate comprensive al grosso cappello di un arancione acceso che troneggiava
sulla testa dell’americano.
Era l’unico che avevano
trovato in grado di raccogliere l’intera chioma bionda del compagno.
- E meno male che non
dovevamo attirare troppo l’attenzione! -
- Non preoccuparti…
Così, più che sembrare un tipo sospetto, dai più l’idea di avere un pessimo
gusto nel vestire… -
- Grazie per le tue parole
confortanti Yuri…. Come farei senza di te…. –
Max si imbronciò e proseguì
di qualche passo davanti a loro.
Rei scosse il capo
rassegnato.
- Comunque siamo quasi arrivati… L’hotel non dista ancora molto…
-
E infatti…
Al termine della stretta
via che stavano percorrendo, Yuri fu costretto a
coprirsi gli occhi per la luce solare che li investì nella loro entrata nella
piazzetta antistante l’hotel.
Lanciò uno sguardo
preoccupato verso le finestre cercando di riconoscere quella appartenente alla
loro stanza.
Non ci riuscì…
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Una leggera brezza gli
scostava dal volto i lunghi ciuffi argentei rivelando la pelle liscia del volto
ancora un po’ arrossata dalla febbre.
Le sottili sopracciglia si
levarono mentre lo sguardo cadeva lungo tutto ciò che lo circondava
incutendogli un vago sentore di instabilità…
- Spiegami Takao… perché sono qui? -
La voce era leggermente
sfumata dalla stanchezza, ma il tono seccato non veniva di certo diminuito da
una simile sciocchezza.
Le occhiate diffidenti continuavano
a scrutare i dintorni, esaminando il salto nel vuoto che divideva la ridotta
superficie del bordo della finestra dall’impalcatura eretta attorno
all’edificio accanto.
Il metro e mezzo abbondante
che li separava non era certo confortante e neppure l’altezza che comportavano
i tre piani dell’albergo…
Era una cosa da fuori di
testa!
- Takao!
-
Si voltò furente, lo
sguardo iracondo reso ancora più minaccioso dai segni della nottata appena
trascorsa, occhi vermigli che scrutavano con collera il povero moretto.
Il povero in questione se
ne stava alle sue spalle, di tanto in tanto lanciava rapidi sguardi alla stanza
accanto, ma era evidente che tutte le sue attenzioni e preoccupazioni erano
rivolte al ragazzo di fronte a lui.
Le sbirciatine all’altra camera
erano solo infantili pretesti per non incrociare il suo sguardo.
“Fissa il pavimento è più sicuro…
questo ti può ammazzare solo con un’occhiata…”
Tipico atteggiamento di
colui che ha qualcosa da nascondere…
…o da temere.
- Ecco.. – la voce che uscì
dalla sua gola era bassa, leggermente roca… - non ci
sono altri modi per svignarsela… pensavo fosse una
buona idea. -
Le parole mancavano di
sicurezza, ma Kei sapeva quanto avesse ragione…
D’altronde un semplice
divano non avrebbe tenuta bloccata quella porta per troppo tempo.
In qualche modo quella
donna sarebbe presto entrata e se anche fossero riusciti a evitarla nulla
poteva rassicurarli sul fatto che non ci fosse qualcun altro nella hall ad
attenderli.
Takao sprofondò con stentata disinvoltura le mani nelle
tasche dei pesanti pantaloni tenendo lo sguardo basso.
Attendeva una sua risposta…
- Spero che questo non sia
anche il motivo che ti ha tenuto chiuso qui dentro per tutto questo tempo
mentre la Tanaka cercava di entrare…
-
Due occhioni
cobalto si alzarono subito su di lui.
- La Tanaka?
-
Quasi lo urlò alzando al
contempo entrambe le sopracciglia.
La curiosità apparve per un
istante sul viso del russo che ricambiò accigliato lo sguardo del giapponesino.
- La conosci? -
- No, mai sentita… -
- E allora cos’era quella
reazione? –
- Quale reazione?! –
- Quella che hai appena avuto… -
- Ho avuto una reazione? –
- Non fare l’idiota! –
- Chi è la Tanaka? –
- Non cambiare discorso!! –
- Kei,
cerca di calmarti, ti salirà di nuovo la febbre… -
- Tu…
brutto idiota! –
Con un balzo il russo scese
dal davanzale e afferrò Takao per il colletto
strattonandolo con violenza…
- Ti diverti a farmi
saltare i nervi? -
- Sei tu che sei più
irascibile del solito… datti una calmata! Volevi
andartene via da qui? Ecco! La vedi quella finestra? La vedi l’impalcatura?
Ecco la tua uscita! Non ti piace? Allora restatene qui e aspetta che quella Tanaka o come diavolo si chiama ti venga a prendere! Tanto
non è un mio problema… sei tu che hai voluto provare
l’ebbrezza dell’essere un fuggitivo! E perché poi? Perché sei fuggito proprio
adesso Kei!? -
Quel fiume di parole aveva
scombussolato Kei più di quanto già non fosse…
Si ritrovò per un istante
senza parole.
Questa volta era lui che
cercava una scusa per distogliere lo sguardo eppure stringeva ancora nel pugno
la stoffa della felpa del compagno.
Le nocche bianche per lo
sforzo.
Era stanco…
Era malato e per quanto
cercasse di sforzarsi questo non cambiava… la febbre
poteva anche essere quasi del tutto scesa, ma gli mancavano le forze…
…gli mancava la volontà per proseguire.
Takao gli afferrò la mano e con lentezza gliela tolse dal
suo colletto.
Lo sguardo era serio, non
dimostrava tutta la rabbia che aveva svelato poco prima.
Si limitò semplicemente ad
allontanarsi dal compagno, risistemarsi la felpa e mettersi in disparte ad
osservarlo.
Qualsiasi suo pensiero
celato dal suo volto inespressivo.
- Non vuoi parlarmene… - Il tono calmo, serio…quasi
comprensivo.
Kei alzò un sopracciglio nella sua direzione…
Intuendo la sua silenziosa
domanda il moro specificò.
- Del motivo per cui sei fuggito… -
Kei sbuffò lanciando uno sguardo all’impalcatura fuori
della finestra…
Per un istante avvertì una
strana sensazione… come se il collo fosse stato
avvolto da un asciugamano imbevuto d’acqua calda.
Cercò di non badarci.
Tutto ciò gli stava facendo
perdere qualcosa di molto peggio della pazienza.
- Non l’avevi ancora
capito? -
I suoi occhi tornarono a
indirizzarsi in quelli del moretto.
Dopo tanto tempo, rivide il
famoso sguardo glaciale del Kei passato.
Vide quegli occhi rossi, di
un colore rosso vivo, un colore che generalmente è considerato “caldo”,
divenire ancora più freddi di quelli di Yuri, gelidi
di natura.
Takao si passò una mano tra i capelli, preoccupato e al
contempo infastidito dal comportamento del compagno.
Cercò di non sbuffare anche
lui, ma non poteva fare altro.
Allora si calmò, sapendo di
essere più colpevole di quanto Kei credesse, sapendo
che doveva ritenersi fortunato perchè se in quel
momento Kei avesse saputo che quella donna era lì per
colpa sua, in quel momento lo avrebbe picchiato a sangue.
Forse però avrebbe
preferito che fosse stato così.
Almeno non sarebbe stato
schiacciato dal rimorso.
Dal senso di colpa per aver
trascinato Kei in quella situazione.
Se non avesse risposto a
quel cavolo di cellulare adesso Kei se ne starebbe
tranquillo su un letto a sbollire la febbre e non ad aggravarla di fronte alla
fredda corrente che passava dalla finestra del bagno.
Però pur sapendo che tutta
quella ridicola situazione era colpa sua non cercò di opporsi alla necessità di
liberarsi di un peso…
…di cercare in qualche modo di alleviare la sua colpa…
…di costringere qualcun altro a fare la scelta che le sue
azioni avevano comportato.
- Allora? Cosa vuoi fare?
Saltiamo o restiamo? -
Nonostante si sentisse una
carogna a fare quella domanda, non poté evitare di sentirsi più sollevato dal
fatto che qualsiasi strada avrebbero preso, sarebbe stato Kei
a sceglierla.
Il russo si avvicinò di
nuovo alla finestra continuando ad osservarne il decisamente poco confortante
panorama.
Il suo sguardo indugiava
prima sull’immenso scheletro di ferro e travi poi sulla stradina di sotto,
semibuia e deserta.
Quella finestra, l’unica
del piccolo bagno, si affacciava su un vecchio teatro in restauro, affianco
all’hotel, pochi metri a separare i due edifici.
L’attenzione ritornò
sull’impalcatura; logori cartelli di avviso non mancavano di ricordare ai due
ragazzi che l’edificio e la struttura stessa fossero fin troppo pericolanti.
Ogni sbarra di ferro, ogni
vite, ogni trave ed ogni chiodo erano ricoperti da strati di usura.
Continuamente corrosi dal
tempo.
Era evidente che il
restauro di quel teatrino non procedeva con costanza da chissà quanto tempo.
Eppure non aveva altra
scelta.
Senza grazie né prego si issò
sul davanzale mettendosi in piedi.
Takao manteneva lo sguardo su di lui, gli occhi leggermente
socchiusi per via del riflesso del sole sul vetro della finestra.
- Allora si salta. -
Non seppe dire se nella sua
voce vi era preoccupazione oppure sollievo, ma in ogni caso quelle parole non
gli suonarono per nulla piacevoli.
Lo sguardo gli cadde di
nuovo sulla strada di sotto…
…sul suolo calpestato e impolverato della piccola via.
Era un bel volo…
- Kei?
-
- Si? –
- Non salti? –
Il tono quasi canzonatorio
di Takao stava decisamente per fargli perdere la
pazienza.
Cos’aveva quello da fare
tanto lo sbruffone…
- Ahah…
hai paura? In effetti è un bel volo… -
Dentro di lui, una
scintilla riaccese la fiamma del suo orgoglio.
Takao stava per sporgersi in avanti per osservare meglio il
vuoto sotto di loro, ma il russo lo precedette spiccando un salto dal
cornicione di marmo e atterrando con un pesante tonfo su una trave di legno
dell’impalcatura di fronte.
Un sinistro scricchiolio…
Se fosse stato un gatto in
quel momento Kei avrebbe rizzato di colpo le piccole
orecchie pelose all’indietro arruffando il pelo lungo tutta la schiena.
Un brutto presentimento lo
costrinse ad afferrare il palo più vicino evitando con cura le parti incrostate
dalla ruggine e prediligendo quelle ancora integre.
L’improvviso contatto con
la superficie gelata del metallo lo fece sussultare senza nemmeno rendersene
conto.
L’occhiata di trionfo che
rivolse al moro trovò soddisfazione nell’espressione di quest’ultimo.
Difatti Takao
pareva completamente spiazzato: gli occhi cobalto spalancati e la bocca
distorta in una strana smorfia di incredulità mista a orrore.
Kei non gli lasciò un solo istante per parlare, le sue
labbra sfoggiavano ora un perfido sorriso di sfida.
- Tocca a te, Takao… -
Prima di rispondere, il
giapponese si assicurò di deglutire e prendere un profondo respiro.
- Kei!
Sei un idiota! Sei matto!? Saltare così di colpo! -
Kei alzò un sopracciglio, leggermente infastidito.
- Sei tu che mi hai messo
tutta questa premura… con le tue arie da cuor di leone… -
- Volevo solo fartela
pagare per prima! Non pensavo che fossi così sconsiderato da buttarti così su
due piedi… potevi almeno…
contare fino a tre… potevi cadere…
-
Entrambi inconsciamente
lanciarono un’occhiata furtiva alla stradina che scorreva sotto di loro.
Entrambi, inconsciamente, deglutirono… persi nel pensiero di un risvolto ben peggiore…
Kei fu il primo a ritornare alla realtà.
- Non fare tanto il
dispiaciuto. Adesso tocca a te. Vuoi che ti tenga il conto? Allora al tre. Uno… -
Takao incontrò il suo sguardo…
- Due… -
Si voltò…
- Tre! -
E sparì alla vista del
russo.
- Ehi! – Kei era evidentemente furente.. – Dove vai, Takao! –
Fece per sporgesi verso la finestra
per avere una migliore visuale, ma il cigolio delle travi gli fece presto
perdere ogni intenzione.
- Maledetto codardo! -
Stava cominciando
seriamente a considerare la possibilità che il compagno lo avesse piantato in
asso quando lo rivide apparire di nuovo davanti a lui.
- Prendi questo! -
Non fece tempo a lanciargli
qualche imprecazione contro che qualcosa di leggero e soffice gli volò addosso
oscurandogli la visuale, lo afferrò come suggerito da Takao
prima che cadesse di sotto.
In quel preciso momento un
violento scossone al suo fianco accompagnato da un forte tonfo gli fece capire
che anche il moro aveva fatto il grande salto.
- Takao!
Che diavolo… -
Un sinistro scricchiolio…
- Beh…
via il dente via il dolore… -
Esclamò esaltato il ragazzo
con gli occhi blu guardandosi alle spalle.
Quest’ultimo gli rivolse un
sorriso raggiante mentre con una mano si aggrappava a lui per non perdere
l’equilibrio.
Kei gli afferrò la mano evitando che si sbilanciasse
all’indietro e facesse una brutta fine.
Sotto il braccio reggeva il
pesante giubbotto invernale che Takao gli aveva
appena lanciato.
Quando ebbe ripreso
stabilità e si fu messo in una posizione eretta il moretto gli indicò con
l’indice l’indumento parlando con un sorrisino che voleva essere un incoraggiamento.
- Infilalo prima di
congelarti; non stai ancora bene… -
E senza attendere sue
risposte iniziò ad indossarne uno simile che lui stesso si era portato
appresso.
Ancora titubante Kei iniziò a vestirsi, incitato più dal freddo pungente che
dalle parole di Takao.
All’inizio ebbe
l’impressione che con quel coso indosso avrebbe solo patito più freddo, ma
quando il suo calore cominciò ad avvolgerlo trattenuto dall’imbottitura del
giubbotto iniziò notevolmente ad apprezzare quel soffice tepore.
Per una volta Takao aveva pensato a qualcosa di utile.
- Allora? Iniziamo a
scendere? -
Fu la sua voce a
riscuoterlo dalla momentanea riflessione; scosse il capo ritornando alla realtà
e immediatamente iniziò a scrutare con più attenzione tutto ciò che li
circondava.
Gli bastava un appiglio,
una piccola sporgenza e avrebbero potuto cominciare la loro discesa.
L’alternativa, tralasciando
quella di ritornare indietro, era di entrare nel teatro attraverso una delle
finestre disseminate un po’ ovunque nella parete, ma non conoscendo
assolutamente la planimetria dell’edificio era da considerarsi una perdita di
tempo.
Sarebbero sicuramente scesi
prima scalando l’impalcatura.
- Takao…
- mormorò, interrompendosi a causa di alcuni colpi di tosse – dietro di te c’è
una scaletta. Inizia a scendere da lì… -
Il moretto emise un flebile
suono che venne considerato come tacita conferma e si voltò cercando con lo
sguardo la scaletta.
La vide a pochi passi da
lui, ricoperta di ruggine.
Fischiettò divertito mentre
il suo fiato si condensava in una piccola nuvoletta bianca.
- Perfetto! -
La scaletta portava solo
alla fila di travi inferiore e lì si interrompeva, ma almeno era già un inizio.
- Kei,
nelle tasche del giubbotto dovrebbero esserci dei guanti…
-
Il russo infilò una mano in
una delle tante tasche dell’indumento, quella più grande, e in effetti ne
estrasse un guanto nero. La infilò nuovamente dentro e ne estrasse l’altro che
prontamente fasciò la mano corrispondente.
Quando li ebbe indossati
entrambi e riportato la sua attenzione sul nipponico notò che anche lui ne
sfoggiava un paio di identici.
Almeno oltre al freddo non
si sarebbero nemmeno preoccupati di prendere il tetano toccando quei pali
arrugginiti.
Se solo fosse stato così
attrezzato anche quella famosa notte…
Sarebbe bastato quel giubbottone caldo e asciutto a evitargli quel fastidioso malanno…
Dei passi metallici
attirarono la sua attenzione e vide che Takao era già
a metà della scaletta e si stava preparando a saltare sulle travi poco più in
basso.
Si avviò anche lui verso la
scala, ma quando fece per guardare giù dovette reggersi con forza alle aste di
metallo colto dalle vertigini.
Malore che era più
riconducibile alla stanchezza che all’altezza.
Chiuse gli occhi per
qualche secondo, poi li riaprì inspirando l’aria gelida. Questa bastò a fargli
riprendere un po’ di forze.
- Tutto, ok? -
Il moretto non poteva
averlo visto da lì sotto, eppure saltava fuori sempre nei momenti peggiori.
- Sto arrivando…
-
Borbottò ignorando del tutto
la sua domanda.
Cominciò a scendere notando
quanto ogni passo gli risultasse sempre più faticoso. Evidentemente non stava
così bene come sperava.
Con un ultimo piccolo
sforzo raggiunse con un salto le spesse quanto consunte lastre di legno che
fornivano il supporto di quel piano.
Si piegò un istante,
riprendendo fiato, assicurandosi che in quel momento Takao
stesse guardando da un’altra parte.
- Lì c’e un’altra scaletta… -
Disse quest’ultimo
indicando con la mano guantata un punto a pochi metri
da loro.
Bene… a questo punto restavano solo altri due piani e
avrebbero raggiunto la “terra ferma”.
Fece un passo per
avvicinarsi, ma qualcosa lo bloccò…
Un sinistro scricchiolio.
La prima cosa che lo
segnalò del pericolo fu l’urlo di sorpresa che Takao lanciò
al suo fianco.
Si sentì mancare la terra
da sotto i piedi, allungò freneticamente le mani nella speranza di afferrare
qualcosa, ma l’unica cosa che riuscì ad afferrare fu il terribile pensiero di
cadere nel vuoto.
…
O-oh…ahi… non so che dire… spero che non si sia notato il piccolo periodo di
attesa che ha separato questo cap. dall’altro…
No…vero? Ditemi di no…ToT
E’ la mia fine… immagino che sarò stata un’ inconsapevole vittima di
furiose bestemmie e maledizioni varie…Nuooooooooooooooooooooooooo!!! >o<
Chiedo perdonoooooooooooooooo!!!
So che non ve ne può fregare niente, ma chiedo lo stesso perdonooooo!!!
Anche perché altrimenti non saprei cos’altro dire…
immagino che adesso tutti i miei lettori saranno volati via con la nuova era… adesso posso solo sperare che tutto ciò venga almeno…lontanamente… apprezzato
dalla nuova generazione… o quantomeno compatito.
Và, quella povera autrice
che manco riesce a scrivere un ff in modo regolare…porella…
No, ne?
Capit…allora… alla prossima!! xD
Comunque sia, a tutti voi
che avete sempre comentato, un grazie di cuore. <3
Le sue orecchie erano riempite da suoni sommessi; cose che
si spezzano, si rompono, si urtano.
Un continuo susseguirsi di crash, crak,
sbam, sdunk…
Rumori che gli apparivano a parole cubitali nella mente,
come le vignette di un fumetto.
Il tutto mentre il suo corpo continuava a sbattere, a
colpire, a scricchiolare.
All’inizio aveva provato a tenere gli occhi aperti, ma
successivamente li aveva chiusi senza accorgersene, confuso dalla serie di
colori sfocati che si alternavano a momenti di buio assoluto e luce accecante.
Non riusciva più a distinguere il dritto dallo storto; era
a testa in giù o in su?
Al suo fianco avvertiva vagamente la presenza di Takao che ruzzolava insieme a sui, segnalata soltanto dalle
sue urla di dolore e sconcerto.
Nella caduta colpì con forza la testa su qualcosa e solo
allora si accorse che parte di quelle grida erano anche sue.
Si ritrovò costretto a riaprire gli occhi incuriosito
dalla caduta non più turbolenta e confusionale, ma più sicura…più… scivolosa.
Tutto ciò che riuscì a distinguere fu uno stretto tubo di
un arancione acceso tutt’intorno a lui che terminava nell’oscurità.
Un altro salto nel vuoto…
… poi polvere e marmo.
…
La caduta si era arrestata lasciandolo stordito nel freddo
pavimento di quel luogo avvolto dalla semioscurità e riempito di un fastidioso
odore di vecchio e chiuso.
Tossì più volte cercando di espellere quelle sottili
polverine che gli riempivano i polmoni.
La prima cosa che notò erano delle vecchie poltrone
imbottite a poca distanza da lui.
Erano in fila, allineate in maniera perfetta, alcune meno
consunte di altre, altre addirittura senza schienale, perché rotto o corroso.
Se fosse caduto solo a pochi passi più in là si sarebbe
certamente rotto il collo su uno dei loro braccioli in legno.
Tossì ancora, più e più volte, mentre il suo petto veniva
scosso dai colpi e la nube di polvere che aveva sollevato con la sua caduta si ridepositava svogliata sulle piastrelle della sala.
La testa gli doleva nel punto in cui l’aveva colpita.
Allungò una mano per massaggiarsi la parte dolente.
Ahi ahi.
Si sentì in dovere di risparmiarsi anche quella piccola
tortura.
Altro colpo di tosse.
Si mise a sedere.
Qualche piccola fitta qua e là, ma constatò con piacere
che non aveva nulla di rotto.
Trasse un respiro di sollievo.
Molto distante da lui si mostrava in tutta la sua
decadenza quello che doveva essere il palcoscenico di quel piccolo teatro in
restauro.
E naturalmente, di fronte ad esso, le fila di poltrone in
cui sedevano gli spettatori.
Non riusciva a distinguere molto altro; la luce era debole
e non riusciva a individuare con precisione il luogo da cui proveniva.
Le pareti erano spoglie, scrostate, il pavimento ricoperto
da polvere e schegge di pietra, nei due angoli della sala, quelli a lui più
prossimi, erano accumulati detriti di pietra, travi di legno frantumate e
teloni bucati di plastica bianca e arancione.
Notò con disinteresse che anche la sala stessa non era
molto ampia o in condizioni migliori di tutto il resto.
Quando finalmente si decise ad alzarsi lo strusciare dei
suoi vestisti e delle sue scarpe risuonarono con un rimbombo lontano in tutto
il luogo.
Cercò alla meno peggio di scrollarsi di dosso la polvere e
lo sporco dai vestiti riuscendoci, con sua sorpresa, abbastanza facilmente.
Si schioccò le dita e il collo, stirò le gambe e si mise
finalmente in posizione eretta.
Storse il viso quando la botta alla testa gli ricordò con
una fitta acuta della sua esistenza.
Allungò una mano per appoggiarsi alla parete a fianco a
lui, quella che aveva intravisto con la coda dell’occhio, ma il suo guanto
sfiorò solo l’aria e il vuoto.
Riacquistò quel poco equilibrio che aveva perso e si voltò
a guardare.
La parete era stata sfondata proprio in quel punto,
sorretta da un arco di pali metallici e rettangoli di cemento.
Evidentemente sarebbe dovuto essere l’abbozzo provvisorio
per qualche entrata secondaria alla sala… o chissà
che.
Altri cumuli di macerie formavano una piccola montagnola
oltre le pareti e proprio sopra di essa un buco di dimensioni non trascurabili
perforava il soffitto.
Kei riuscì a scorgervi oltre il
tubo arancione dentro cui era scivolato.
Quello che generalmente i muratori utilizzavano per
disfarsi velocemente dei detriti formati ai piani superiori.
Non osò provare a immaginare in che modo fosse stato
possibile per lui imbucar visi e scivolarci dentro.
L’importante era che gli aveva risparmiato traumi cranici
o fratture varie.
Tossì ancora, con il vago presentimento che non fosse
completamente colpa della polvere.
Però…ora come ora… era troppo
stordito per preoccuparsi della febbre.
Cosa che poteva permettersi solo perché il suo nome era Kei…
Con passi prima incerti, poi più sicuri, attraversò
l’uscio improvvisato di quella porta ancora più improvvisata fino ad uscire
dalla sale e sbucare in un corridoio dalle pareti strette e dal soffitto basso.
All’infuori della luce che proveniva dalle sue spalle il
tutto era celato nel buio eccezion fatta per la luce che scaturiva da un’altra
apertura non poco più lontana da lui.
Sembrava una finestra interna, ricavata dalla parete nello
stesso modo in cui lo era stata la breccia che aveva appena oltrepassato.
Era larga e sarebbe riuscito facilmente a scavalcarla.
“Certo, scavalchiamo
le finestre… le porte ormai non contano nulla!”
Sbuffò a quel pensiero.
Ormai sembrava abituarsi all’idea di essere un fuggiasco.
A proposito.
Aveva dimenticato una cosa importante.
Un brivido lo percorse da cima a fondo.
Dov’era Takao?
Il suo inseparabile combina guai e fautore di tutto quell’impiccio…
Ritornò con uno scatto fulmineo che gli provocò un’altra
fitta alla testa, nella sala principale del teatro.
- Ahi! Maledizione! –
Si portò le mani alla testa piegandola un poco verso il
basso e annotandosi di calcolare con più attenzione i suoi repentini cambi di
rotta.
Takao.
Doveva trovare Takao.
- Takao! –
La sua voce rimbalzò sulle pareti di tutta la sala e
ritornò da lui accompagnata solo da un triste silenzio.
Però…
Che acustica.
Sbattè con un gesto frustrato il
piede a terra alzando una piccola nuvoletta di polvere.
- Takao! Per oggi mi sono
stancato di chiamarti in continuazione! Dove sei!? Takao!
–
Al secondo, triste silenzio si impuntò con ostinazione sul
non pensare al peggio.
Pensò che infondo poteva fregarsene se si era rotto una
gamba, la testa o fosse rimasto intontito a qualche piano sopra il suo.
Era lui che aveva trovato quella ridicola via
sull’impalcatura.
Anche se era l’unica.
Era pur sempre stupida e pericolosa.
- Takao! –
I suoi occhi scrutavano freneticamente ogni angolo
illuminato della sala in cerca di una qualsiasi traccia.
Non lo vedeva…
Ma anche se non lo trovava a lui che…
Anche se si era rotto una gamba.
Anche se si era rotto la testa.
Anche se ci era rimasto…
- TAKAO! –
- KEI! -
Si voltò nuovamente di scatto maledicendo, ma stavolta
ignorando, l’ennesima fitta che lo colpì alla testa.
Si precipitò nuovamente nel corridoio buio seguendo la
voce del giapponese.
La sentiva ancora rimbalzare in quelle pareti strette e
fredde.
Si accorse solo allora di stare ribollendo.
Sentiva il viso e la nuca caldi, bollenti.
Agitazione.
Era l’agitazione.
Quello stupido lo aveva fatto arrabbiare…
…forse anche preoccupare…
Forse.
E infatti, prendendo aria e calmandosi un pochino, sentì
la sua temperatura abbassarsi lentamente fino ai livelli umani.
- Takao, dove sei? –
La sua voce risultava calma e controllata ora, quasi fin
troppo bassa.
E in effetti non ebbe alcuna risposta.
Strinse i denti preparandosi nuovamente a gridargli
contro.
- Kei, dove sei? –
Lo stava prendendo in giro?
- Dove sei tu! –
- Qui! –
Un vena si gonfiò nella tempia del russo.
Un respiro profondo.
- Qui… dove? –
Sperò che Takao notasse la nota
minacciosa insita in quel “dove” onde evitare inutili stragi.
- Qui! –
Stava per bestemmiargli contro tutte le maledizioni che
conosceva, giapponesi o russe che fossero, quando vide prima un braccio, poi
una testa pelosa sbucare dalla finestrella interna in fondo al corridoio.
La mano si muoveva trionfante verso di lui salutandolo con
nonchalance.
Anche se non riusciva a scorgerlo per via dell’oscurità, Kei poteva giurare che in quel momento su quella testa
spettinata figurava un sorriso altrettanto esaltato, fino a diventare
snervante, rivolto proprio a lui.
Non perse comunque altro tempo e gli andò in contro.
Ahi ahi.
Stavolta non era la testa, ma stava rischiando di farsi
davvero male inciampando con sbadataggine su una pietra abbandonata nel
corridoio.
D’altronde era buio e non si vedeva assolutamente niente.
Aveva solo una finestrella luminosa da raggiungere.
Il resto buio.
Con più cautela, ma senza prendersela troppo comoda
attraversò quell’angusto corridoio che odorava di chiuso, sollecitato dalla
voce di Takao fattasi in quel momento fastidiosamente
squillante e cristallina.
Tutta quella felicità lo rendeva nervoso.
Che bisogno c’era di gioire in quel modo?
Quando gli fu di fronte capì che infondo lui era stato
abbastanza fortunato.
Gli occhi vermigli si posarono immediatamente sulla sua
guancia ignorando parole e sorrisi.
- Hai un brutto taglio… -
Disse con tono piatto.
Takao emise un suono sorpreso;
arcuò di poco le sopracciglia senza abbandonare il suo sorrisino da ebete.
Si portò la mano guantata alla
guancia come se si fosse accorto solo ora della spessa linea che tagliava
orizzontalmente la guancia arrossata dal freddo.
Il sangue stava ancora fluendo anche se fortunatamente non
in quantità esagerata.
Kei si accigliò con
un’espressione che il giapponesino ricordò di aver
già visto altre volte, ma sul volto di Rei, quando quest’ultimo entrava nel
ruolo di “mamma” del gruppo.
Il russo non notò la sua occhiata divertita e ignaro si
sfilò con fare pratico il guanto e, afferrando un fazzoletto dalla tasca dei
propri pantaloni, ripulì con un gesto rapido la ferita dal sangue, poi premette
con forza e senza alcuna gentilezza sulla guancia del compagno.
- Ahi, fai piano! –
Il moretto strizzò gli occhi cobalto infastidito dal
bruciore che gli provocò quel contatto.
Kei naturalmente non ci badò,
afferrò la sua mano sostituenodolaalla propria sulla presa del fazzoletto.
- Tieni schiacciato per un po’ così il sangue si ferma
prima. –
- E’ solo un taglietto, mica mi hanno sparato…
-
Ma Kei continuava a ignorarlo,
troppo preso a squadrarlo, esaminarlo; valutando i suoi movimenti, le sue
espressioni, cercando qualche altro taglio o accigliandosi di fronte ai vestiti
impolverati e macchiati.
A disagio, Takao distolse lo
sguardo, sbattendo con fare nervoso i guanti ovunque i suoi abiti presentassero
impurità, ripulendone la maggior parte e scrollandosi di dosso kili di polvere.
Intanto, senza che se ne accorgesse, il fazzoletto che
avrebbe dovuto proteggergli un poco la ferita giaceva a terra ancora macchiato
dal sangue.
Incurante di ciò, notò con disagio che i pantaloni si
erano strappati nell’estremità inferiore prossima alla caviglia, fortunatamente
Kei non si accorse dello strappo nascosto bene come
era tra le pieghe formate vicino alle scarpe.
“No.”
Non era per quello.
Semplicemente il ragazzo non poteva notarlo dall’altra
parte della fenditura che divideva il corridoio dalla piccola stanza i cui si
trovava.
Kei però continuava ad
osservarlo critico muto come una tomba.
Stanco di quel silenzioso terzo grado, il moretto decise
di contrattaccare squadrando a sua volta il ragazzo di fronte a se in cerca di
imperfezioni.
Più per ripicca che per preoccupazione per la sua salute.
Difatti gli era bastato vedere gli scatti di Kei fatti lungo il corridoio per capire che almeno di botte
non ne aveva prese troppe.
“Non so perché, ma
questo mi fa pensare alle scimmie che si spulciano…io
spulcio te… tu spulci me…
io vedo se hai tutte le ossa apposto, tu controlli le mie…”
- Takao… -
Il russo indirizzò finalmente il suo sguardo sul suo
volto, ma l’altro era troppo intento a fissarlo per percepirlo.
- Shh… cerco le pulci… -
- … -
Takao si rese conto di quello
che aveva appena detto e arrossì furiosamente.
“Stupido! Ma che
dico!!”
Kei gli prese la testa fra le
mani scuotendola un poco con cautela.
- Devi aver preso una brutta pacca…
-
Ghignò lasciandolo di nuovo libero dalla sua presa.
Il viso paffuto del giapponesino
si imbronciò assumendo un tono più che infantile.
- E tu ti sei fatto una bella corsetta, vero? –
Cercò di sviare Takao…
Per l’ennesima volta Kei si
accigliò.
- Mica mi metto a correre come un matto alla tua disperata
ricerca. –
Occhi cremisi si portarono alla loro destra perdendosi
nell’oscurità del corridoio.
A quelle parole il moretto rimase in silenzio, guardandolo
torvo.
- Che hai? – disse riportando gli occhi su di lui. - Hai
visto una pulce? –
Il tono del russo era atono, ma un sorrisino di scherno
gli arcuò le labbra.
L’altro non sentì nemmeno quelle parole.
- Kei sei sudato fradicio… -
Si morse l’indice del guanto sfilandosi quest’ultimo con
nervosismo e poggiandogli in tutta fretta la mano sulla fronte, prima che le
sue parole arrivassero a segno.
Il guanto finì stipato nella sua tasca.
Ahi ahi.
- Cosa fai! –
Eccolo…
- Sei bollente! –
Esclamò ritirando in fretta le mani prima che fosse
l’altro ad afferrarle.
Occhi rubini parvero incenerirlo.
- Sono anche caduto dal terzo piano! –
- Quando cadi dal terzo piano ci rimani secco o se sei
fortunato ti ritrovi con una paralisi! Non sudi come un nonsochè
con il freddo pazzesco che c’è qui fuori! –
- Sto bene! –
Un profondo sospiro…
Il moretto chiuse gli occhi.
- 3…2…1…-
- Che fai? –
- Mi preparo, l’ultima volta che hai detto “sto bene” sei
caduto a terra come un sacco di patate… -
Takao allargò le braccia pronto
a riceverlo nel suo abbraccio pieno di amore.
- Vieni dalla mamma… -
Kei lo squadrò alterato.
Una vena pulsò forte nella sua tempia…
- Divertente… -
- Tu hai di nuovo la febbre! –
Uno sguardo accusatorio si piantò a pochi centimetri dal
suo, mentre all’altezza del suo petto sentì piantarsi l’indice ammonitore del
ragazzo.
- Tu hai una demenza cronica, ma nessuno te ne ha mai
fatto una colpa! –
- Dobbiamo trovare un posto dove legarti ad un letto… e lasciarti maturare… -
Il giapponese aveva cominciato a parlare tra se e se
disperso ormai in un mondo tutto suo.
- Non sono una pera… -
- Potremmo tornare in albergo…
se solo avessi la certezza che non torneranno a cercarci…
oppure possiamo andare a casa di qualcuno. Con quella donna per la strada però… -
- Pensiamo intanto ad andarcene di qui…
-
Il moretto si prese il mento fra l’indice e il pollice
cominciando a muoversi a destra e a sinistra al di là della finestra che li
separava.
- Se solo non fosse venuta quella donna…
è tutta colpa mia… -
Un lampo passò negli occhi del russo.
Entrambi si zittirono.
- Cosa significa che è colpa tua? –
Takao cominciò a sudare freddo.
Fra tutte le idiozie che aveva sparato quel giorno quella
era stata la peggiore.
Cercò di alleggerire con un sorriso, sperando che Kei reputasse la sua piccola confessione come un altro dei
suoi vaneggiamenti.
Eppure il suo sguardo rimase fisso su di lui, neutrale, ma
c’era qualcosa in quegli occhi rossi che gli fece morire il sorriso sulle
labbra.
Per un istante fu colto dall’ansia.
Come avrebbe reagito se gli avesse detto la verità?
Ma prima…
…aveva almeno uno straccio di
coraggio per farlo?
- Kei… -
L’altro non parlava.
Si limitava a fissarlo.
Occhi scarlatti ben puntati su di lui.
Non sapeva bene cosa glielo garantiva…
Cosa potesse renderlo così sicuro di ciò…
Probabilmente era la sua lunga esperienza o l’abitudine
che aveva sviluppato in tutti quegli anni.
Comunque fosse…
Di sicuro…
…se avesse provato a mentigli…
…lui se ne sarebbe accorto.
…
Hola! Visto visto?
E’ arrivato il nuovo cap…uhuhuh!!*.*
Sinceramente??
Sono commossa… quando ho aperto
il mio account e ho trovato quei commenti ad aspettarmi sono rimasta di stucco.
Sono commossa… non sono stata abbandonata, ci siete
ancora voi, vi siete ricordati di me…ç.ç
Poi c’è anche nuova gioventù…ç.ç
*.*
Azieeeeeeeee! Weeeee!! Je t’aime!!!!!!!!!
^o^
Spero che anche questo cap sia
stato di vostro gradimento.
Susu. Oggi era una bella
giornata soleggiata e io devo studiare.
Come sempre siete liberi di farmi notare eventuali errori
o cose poco chiare a cui io cercherò di rimediare!!
Un bacione a tutti e buon proseguimento di giornata! ^o^
La pesante matita nera si era leggermente
sciolta sfumando il contorno dei grandi occhi nocciola e aggravandone
l’espressione furente.
La donna incrociò con stizza le
braccia sotto il seno dando qualche colpetto al suolo con le piccole scarpette
nere.
Qualcosa riuscì a fare visto che i
brividi cessarono.
I piedi le dolevano infreddoliti,
ma almeno il tepore che avverti all’addome le evitava fastidiosi tremori.
Sorrise all’omone in nero che le
stava di fronte.
Lui tuttavia non ricambiò; i suoi
occhi nascosti dalle lenti scure degli occhiali da sole, il portamento rigido,
quasi sull’attenti e il naso coperto da un cerotto bianco.
Lei allargò il sorriso sebbene
fosse evidente il suo stato di collera.
- Sicuro che non sono passati per
l’entrata? –
Con il capo accennò all’albergo
alle sue spalle.
La voce vellutata della donna
fuoriusciva con un innato controllo, perfetta nel celare la sua ira.
Per qualche istante l’uomo credette persino che le fosse passata l’arrabbiatura;
sfortunatamente quegli occhi non possedevano lo stesso autocontrollo di cui
godeva la voce.
Era incazzata nera.
Si affrettò a rispondere con una
silenziosa affermazione del capo.
Non osò dire altro attendendo
eventuali domande da parte della bionda.
Questa ruotò su se stessa in modo
da poter osservare con attenzione il modesto hotel che si affacciava sulla
piazzetta.
Vide il suo sguardo indugiare sui
vetri delle finestre, scivolare lungo i piccoli balconcini e soffermarsi
sull’impalcatura che circondava un vecchio edificio nella vietta
accanto.
L’albergo lo riparava
completamente dai raggi del sole tingendolo con l’oscurità della sua ombra.
- Sono saltati dalla finestra e
hanno raggiunto l’impalcatura. Devono essere almeno in due. Ho sentito Kei che chiamava quel moccioso del Bey…
come si chiamava…Takao
credo. Però! – Un ghigno arcuò le sue labbra rosse. – Hanno avuto un bel
coraggio. -
L’uomo si schiarì la gola
attirando su di sé gli occhi della donna.
Lei stessa vide la sua espressione
severa riflettersi nelle lenti scure degli occhiali da sole.
- Che hai, Hishiki?
-
Disse scocciata.
La bodyguard si passò il palmo
della mano sulla fronte e poi sui capelli neri lisciandoli verso l’indietro.
- A quest’ora saranno già lontani… se non sono morti cadendo da là. -
Lei gli scoccò un altro sguardo
tagliente.
- In ogni caso, lo sapremo quando Evan sarà di ritorno. -
- Sono già passati quindici
minuti, quanto ci mette quel bimbetto a controllare quel cumulo di ruderi… -
- Piantala! Se adesso siamo qua è
solo perché tu non sei riuscito a svolgere adeguatamente il tuo lavoro! Pensi… - Abbassò la voce per non farsi sentire dalle
persone lì attorno. – …pensi che saresti ancora qui
se il signor Hiwatari fosse in condizio…
-
Si interruppe bruscamente
lasciando a metà la parola.
Fissò interdetta un tizio seduto
di spalle su una panchina poco lontano da loro.
Quest’ultimo, ignaro dello sguardo
allarmato della donna, continuava a lanciare pezzetti di pane ai piccioni.
Poco dopo una giovane coppia passò
accanto ai due guadagnandosi l’ennesima occhiataccia della bionda.
Maledizione…
- Lasciamo perdere. Parlare qui
non è il massimo. -
Si voltò cominciando ad avviarsi
verso una via più appartata.
Inizialmente la bodyguard si era
limitata a fissarla allontanarsi, ma quando la direttrice si era voltata
intimandogli di seguirla, la aveva raggiunta senza battere ciglio.
- Aspetteremo qui Evan. -
- Sarà meglio che si dia una
mossa. –
Lei non rispose.
Non sopportava quando Hishiki assumeva quel comportamento arrogante,
dimenticandosi completamente chi era tra i due a comandare, ma era troppo infuriata,
tanto che se avesse cominciato a richiamarlo presto sarebbe scoppiata.
Aveva un sacco di lavoro giù al
Monastero, un sacco di ragazzi da controllare, non voleva passare la giornata a
cercare Kei.
Lei voleva trovare Yuri.
Si sfilò dal cappotto il sottile
cellulare bianco e aprì il menù dei messaggi.
Lo strinse con rabbia quando
rilesse per l’ennesima volta il messaggio che quel moccioso le aveva spedito la
notte scorsa.
“Se
state cercando Kei al momento è impegnato in una fuga
verso la libertà. Se invece state cercando Yuri e
siete una bella bionda allora sappiate pure che il sottoscritto ha trovato
l’idea della fuga un’ottima alternativa ai vostri altezzosi ordini. Nel caso
invece abbiate sbagliato numero e siate una bella rossa allora speditemi pure il
vostro indirizzo, presto vi farò visita.”
- Schifoso ragazzino! -
Sorpresa, la guardia del corpo si
allontanò di un passo dalla donna, sperando di non venire coinvolto in una
delle sue sfuriate.
Da parte sua la donna si limitò a
ficcare il cellulare nella tasca ed ad incrociare le braccia al petto.
“L’unico
indirizzo che avrà quando lo avrò trovato sarà quello dell’ospedale più
vicino.”
- _ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Rei accartocciò il sacchetto.
Tutto il suo contenuto ormai si
trovava nello stomaco dei piccoli pennuti grigi.
Una volta che la coppia si fu
allontanata si alzò con non-chalance dalla panchina e percorse la strada
principale fino a raggiungere i due ragazzi che lo indicarono a vista.
I tre si ripararono all’ombra di
un portico dove finalmente Rei si liberò del cappuccio del giubbotto che gli
nascondeva quasi tutto il volto.
- Aria finalmente…
-
Max lo fisso con curiosità non
preoccupandosi di nascondere la sua agitazione.
- Non ti hanno riconosciuto, vero?
-
Il cinese sorrise.
- E come avrebbero potuto? A
malapena potevo respirare imbacuccato in questo modo! -
E così dicendo allentò la stretta
della sciarpa attorno al collo.
- Spero che almeno tu sia riuscito
a sentire qualcosa, cinesino. -
Yuri
lo fissò con il suo solito sguardo altezzoso, assottigliando gli occhi celesti.
- Ho sentito tutto ghiacciolino, non ti preoccupare…
-
Max ignorò i nomignoli che
cominciavano a riempire l’aria e si concentrò su Rei.
- Embè?
Hanno preso Kei? -
A quel nome Rei si accigliò.
- No, non hanno preso Kei e nemmeno Takao. –
- Sono riusciti a scamparla. –
Disse fra se un Yuri dall’aria insolitamente riflessiva.
- Si sono buttati dalla finestra
del terzo piano. Eh si. Direi proprio che l’hanno scampata…
-
Il rosso strizzò un occhio alla
notizia non potendo evitare di manifestare il suo orrore.
Max al contrario era diventato
pericolosamente pallido.
Tutto ciò che riuscì a dire fu un
“cosa?!” molto soffocato.
Rei si passò una mano sulla
fronte.
- Cos’è quella faccia? -
I suoi occhi d’ambra incrociarono
per un istante quelli di Yuri, ma presto si posarono
su un altro obiettivo.
Alla fine della via era possibile
scorgere la piazzetta dove stava il loro hotel.
Rei non riusciva nemmeno ad
immaginare cosa potesse essere accaduto ai suoi due amici.
O almeno, non qualcosa di buono.
Maledizione…
- Sono saltati su un’impalcatura
accanto all’albergo, ma non ho la minima idea di che fine abbiano fatto dopo. –
Max ascoltava in silenzio le
parole del moro.
Gli occhi puntati sulla strada
sembravano cercare disperatamente qualcosa.
- Sicuramente non si sono
sfracellati al suolo. Di sicuro li avremmo notati. -
Il biondo indirizzò un’occhiata
furente al russo.
Il blu dei suoi occhi sembro farsi
più vivo.
- Certo, fai dell’ironia. Chissene frega se quei due si sono rotti il collo
scivolando dall’impalcatura! In fondo che t’importa? -
Yuri
aprì la bocca per ribattere, ma Max si voltò rabbioso allontanandosi da loro di
qualche passo.
- Dobbiamo andare a cercarli! -
esclamò dando loro ancora le spalle.
- No, non possiamo. –
Rei scosse il capo sprofondando le
mani in tasca.
- E perché no?! – Il biondino si
girò di scatto.
Il grande capello arancio gli
scivolò dalla testa rischiando di cadere a terra.
- Perché un certo Evan sta già controllando la zona. -
- Appunto per questo, dobbiamo
trovarli prima che lo faccia… - Gli occhi blu di Max
si puntarono accusatori su Yuri. - Chi è Evan? -
Yuri
sbuffò.
- E perché dovrei dirtelo? -
Non sopportava che quel mocciosetto si rivolgesse a lui in quel modo.
Rei gli diede una pacca sulle
spalle, parlando prima che Max potesse esplodere con qualche sua sfuriata.
- Non fare l’idiota; non ci
farebbe male sapere qualche dettaglio in più… -
Yuri
sembrava restio a parlarne.
- Evan…Evanè… un idiota. -
- Questo spiega tutto. –
Fece Max con solenne ironia.
- _ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
- Idiota! -
I riflessi di Takao
non si rivelarono abbastanza pronti da evitargli il pugno che lo colpì in pieno
volto.
Il taglio che gli rigava la
guancia si riaprì iniziando copiosamente a sanguinare.
Arretrò di qualche passo
sbilanciato dal colpo.
Kei,
di fronte a lui, era una maschera d’odio e d’incredulità.
Si bloccò solo un istante con un
secondo pugno già in aria, pronto a volare.
Lo guardò con i grandi occhi
vermigli carichi d’astio e delusione.
- Non riesco proprio a pensare a
quanto mi sia sbagliato. A quanto male abbia calcolato la tua idiozia. - Takao osservava con rassegnazione il pugno del russo, in
fondo sapeva di meritarselo.
D’altronde non era stato in grado
di dire nulla, se non ripetere fino alla nausea che gli dispiaceva, che non era
sua intenzione.
Del resto era quello che si era
sempre assicurato di ricordargli mentre gli raccontava nei minimi particolari e
con la maggiore delicatezza il fattaccio.
- No…
sul serio… - Kei scosse la
testa, il volto arrossato per la furia, ma anche per il malessere che si
ostinava a negare. - Ho sforato alla grande. La tua idiozia tende all’infinito… è l’infinito…è…è… è assurdo…
-
Il suo tono si spense.
La sua mano si abbassò così come
anche il suo sguardo.
Per un folle istante Takao pensò che il russo avesse terminato la sua sfuriata,
ma quando tutto si oscurò e scintillò allo stesso tempo, capì che la febbre non
aveva per nulla effetto sui ganci del russo.
Cadde all’indietro, portandosi le
mani al volto e sbattendo con violenza il fondoschiena sul pavimento.
Si aspettò di essere ancora
colpito, si aspettò di essere preso a calci, di essere ancora insultato, ma
nella piccola stanzetta chiusa prevalse il silenzio.
Quando riaprì gli occhi focalizzò
immediatamente la piccola finestra ricavata dalla parete che Kei aveva agilmente scavalcato per riempirlo di botte.
Si riabituò in fretta alla luce
che filtrava dalle finestre alle sue spalle.
I raggi di sole filtravano
attraverso la plastica dei teli arancioni posti a riparo delle aperture donando
un’atmosfera quasi crepuscolare alla stanza.
E chissà, magari era davvero il
tramonto.
Ormai aveva perso la cognizione
del tempo.
Maledizione...
- Kei,
per favore… cerca di calmarti. – Sussurrò vagando con
gli occhi scuri per la stanza in sua ricerca. – Io… -
Era inutile continuare a scusarsi.
Eppure, cos’altro poteva dire?
Avvertì un movimento con la coda
dell’occhio.
Kei
era appoggiato di schiena alla parete alla sua destra.
Ansimante, accaldato e troppo
arrabbiato per potersi calmare.
Eppure era quello che sembrava
disperatamente cercare di fare.
Cercare di calmarsi.
Di placare quell’ira che lo stava
facendo impazzire.
Che gli impediva di ragionare.
Che gli richiamava brutti ricordi.
Quell’ira così simile a quella che
lo aveva sorpreso quella famosa notte.
La notte in cui era fuggito.
La rabbia lo devastava.
Gli toglieva il respiro.
Gli mancava l’aria.
Voleva respirare.
Solo respirare.
…
Il semplice fatto che Kei avesse rinunciato alla possibilità di sfogare la sua
rabbia repressa su un soggetto che aveva sempre considerato sacrificabile, già posizionava
Takao ad un alto livello di agitazione.
In più il senso di colpa che lo
portava ad accettare una quantomeno giusta punizione per la sua irrimediabile sconsideratezza
e lo stato febbricitante che Kei continuava
ostinatamente a negare lo spingevano ad uno stato di puro panico.
Panico che venne istantaneamente
sopito da un sordo bisogno di rendersi utile.
Allungò una mano a toccare il viso
dell’amico, fattosi pallido in modo più che allarmante.
Voleva accertarsi che la sua pelle
fosse ancora vera; quel pallore, così pericolosamente anormale, la rendeva così
simile alla porcellana.
Naturalmente ogni suo tentativo fu
vanificato dallo schiaffo di Kei che allontanò la sua
mano prima che avesse l’opportunità di sfiorare la sua fronte.
- Vattene via. -
L’aveva semplicemente bisbigliato,
ma a Takao parve di aver appena udito una sentenza di
morte.
Non bastava mostrarsi caritatevoli
per ottenere il suo perdono.
Tutt’altro; il suo orgoglio lo
avrebbe reputato come un ulteriore offesa alla sua persona.
Kei
non lo guardava.
Il suo sguardo vagava ovunque per
la stanza.
A destra, a sinistra, a terra… sembrava prediligere il soffitto.
Però i suo occhi non osavano
scontrarsi con quelli di Takao.
Sapeva che se l’avesse guardato
l’irritazione che avrebbe provato al pensiero di quello che aveva fatto lo
avrebbe di nuovo fatto impazzire.
Doveva calmarsi.
Più si agitava e più la febbre
saliva.
Più la sua mente si annebbiava.
Era confuso.
Tutto nella sua mente vorticava, i
pensieri si mescolavano come i vapori di una sauna.
Si passò una mano tra i capelli.
Adesso anche la stanza cominciava
a girare.
Il volto di suo nonno si fece
spazio tra uno dei suoi vapori mentali.
Scene di quella notte seguirono
quel volto.
Aveva caldo.
Non voleva pensarci.
- Kei. -
“Ignoralo.”
Fu colto da un capogiro.
Allungò le mani aggrappandosi alla
prima cosa che gli capitò a tiro.
Quando capì che erano le spalle di
Takao strinse di proposito la presa con l’intento di
fargli male.
Il moretto strizzò appena gli
occhi, ma non si lamentò, anzi, ne approfittò per afferrare il russo agli
avambracci.
- E’ tutta colpa tua! - gli disse
mentre Takao lo faceva lentamente inginocchiare a
terra accompagnandolo e piegandosi a sua volta sulle proprie gambe.
Strinse ancora di più la presa su
di lui.
Voleva fargli male.
Non voleva essere visto in quelle
condizioni.
Non per la seconda volta.
Aveva la vista confusa, come se
avesse improvvisamente perso qualche grado di vista.
Al contrario nella sua testa vi
era un turbinio di vivide immagini.
Tutte che gli rammentavano le ore
che avevano preceduto la sua fuga.
Vide suo nonno, vide la propria
rabbia, qualcuno che gli parlava.
Degli occhi verdi gli stavano
indicando una via, occhiate complici che gli infondevano un senso di speranza e
sicurezza.
- Takao
sei un idiota… -
- Piantala di atteggiarti a duro.
Ammetti come stanno veramente le cose. Dobbiamo uscire di qui e portarti in
ospedale. Non possiamo continuare co… -
- Sto male…
-
Takao
si azzittì fissando stupito il compagno.
Quella semplice affermazione gli
fece temere che la cosa potesse essere ancora più grave di quello che
immaginava.
- Takao…
sto male… mi sento male…veramente… -
Volti, scene, sensazioni…
- Mi dispiace…
-
Continuava a stringere inutilmente
le spalle del moro, sebbene le sue dita stessero semplicemente sprofondando
nella spessa imbottitura del suo cappotto.
Voleva riempirsi il più possibile
i polmoni di aria così da poter calmare quel fastidioso martellare che sentiva
nel petto e bloccare i brividi che gli percorrevano la schiena.
In cuor suo Takao
sperava che quel male fosse semplicemente fisico.
Non aveva la minima idea altrimenti…
… di cosa avrebbe potuto spezzare
la risoluzione e la sicurezza che avvolgevano sempre il suo amico.
Non poteva immaginare che cosa lo
aveva spinto a scappare di casa, se non l’indifferenza e la severità del nonno.
…
Pensò che fosse un altro ricordo
sbiadito.
Forse non erano veramente lì.
Quegli occhi verdi, profondi, che
lo osservavano oltre la spalla di Takao.
Lo scrutavano.
Occhi rubini si spalancarono al
loro indirizzo.
Erano lì.
Lui era lì.
- Evan…
-
…
Hola………..
*si
nasconde dietro la propria vergogna*
……………………………..è
da un po’ che non scrivo…………………………
*i
puntini di sospensione che sottolineano la propria bassezza*
………………………………….faròammenda… riempirò di puntini questa pagina………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….ma
forse peggioro solo le cose.
Perdono!!! Sono in ritardo!!!
Tremendo ritardo!!!OoO
Descrivere un personaggio, tale Evan Andrew, non era un’impresa che comportasse un’eccesiva
difficoltà.
Nonostante il suo aspetto non
rispecchiasse i canoni tipici del ragazzo europeo, non si poteva negare che
come individuo avesse un fascino tutto particolare.
Sopra la sua stessa spalla, Takao si ritrovò immediatamente immerso in due profondi
occhi verdi.
Di un verde quasi troppo acceso
per essere umano, ma che risaltava ulteriormente a contrasto con la sua
carnagione scura, color cioccolato.
Labbra sottili e ben disegnate,
arcuate all’insù in un sorriso compiaciuto, naso appuntito e dritto, capelli
fini, neri come la pece, abbastanza lunghi da sfiorare di poco il collo snello
e incorniciare il volto maturo e affilato.
Takao
gli assegnò un’età intorno ai venti, ma poteva essere anche più giovane,
tuttavia la serietà di quegli occhi tradiva la sua maturità.
Immerso in quella luce che
filtrava attraverso il telo arancione alle sue spalle, la sua figura scura,
avvolta nel lungo e pesante cappotto nero, infondeva una certa irrequietezza a
coloro che lo osservavano.
Kei
non gli staccò gli occhi di dosso fino a quando un improvviso attacco di tosse
lo obbligò ad abbassare la testa.
L’attenzione del giapponese venne
di nuovo catturata dal compagno che inutilmente tentava di sopprimere i colpi
di tosse con profonde boccate d’aria.
Takao
non sapeva bene come comportarsi.
Due profondi occhi neri vagarono
per la stanza.
Unica uscita…
…l’apertura
sul muro alle sue spalle.
Non sapeva cosa attualmente
richiedesse meglio la sua attenzione: quell’estraneo alquanto allarmante che li
osservava in piedi a pochi passi da loro o l’amico ammalato.
La decisione non fece tempo ad
arrivare che nel giro di pochi secondi entrambi si mossero.
Soffocato l’attacco di tosse Kei radunò le poche forze che gli restavano tirandosi in
pied in modo piuttosto maldestro e lo sconosciuto in poche e rapide falcate gli
fu di fianco afferrando Kei per la spalla.
Preso alla sprovvista il blader moro si alzò a sua volta, ma il tizio lo spinse via
con il braccio libero con una forza del tutto inaspettata che lo costrinse di
nuovo a terra.
Liberatosi di Takao,
afferrò Kei per il colletto e lo schiacciò contro la
parete.
- Ormai ero sicuro di essermi
liberato di te! –
La voce a fatica riusciva a contenere
l’ira che si celava dietro quelle parole.
Kei
alzò lo sguardo febbricitante su di lui e per un istante il colore dei suoi
occhi si confuse con quello delle guance arrossate.
Un semplice effetto ottico.
Aveva la vista vacua, ma le
sopracciglia corrucciate indicavano il suo sforzo per mantenere la lucidità.
Non aveva tempo di farsi
sopraffare dalla febbre.
Scacciò con tutta la forza di
volontà di cui disponeva tutte le immagini che continuavano ad offuscargli la
mente.
Si doveva calmare…
e subito.
Un rivolo di sudore gli scese pigramente
lungo il collo pallido.
- E’ quello che sto cercando di fare… -
La sua voce era roca, ma fu
contento di sentire che riusciva ancora a scandire bene le parole.
Takao
si rimise a sedere.
Nella semioscurità della stanza le
figure delle due persone di fronte a lui si stagliavano di profilo, nere come
il carbone.
Parevano quasi ritagliate nell’aria.
Evan
sentì il corpo che stava afferrando tremare per qualche istante.
Il suo sguardo si rabbuiò.
- Se pensi di farlo lasciandoti
uccidere dalla febbre sappi che non era questo ciò a cui mi riferivo. –
Il giapponesino
si schiarì la voce.
- Oi,
tizio! La smetta di atteggiarsi a duro e lasci andare Kei!
–
Il nuovo arrivato lo fissò
sgomento, sbarrando gli occhi.
“Mi
sta dando del ‘lei’?”
“Gli
ha dato del ‘lei’?”
Sebbene si sentisse stordito, Kei era sicuro che il suo udito funzionasse ancora.
Prima che Takao
potesse rialzarsi in piedi o pronunciare quant’altro, Evan
lasciò andare il russo.
Quest’ultimo si sentì scivolare a
terra e volendo evitarlo a tutti i costi si aggrappò con forza al cappotto del
tipo di fronte a lui.
- A vederlo sembra che sia lui a
non potersi staccare da me. – Rispose con tono si sfida il ragazzo.
L’altro di risposta gli mostrò uno
dei suoi sguardi più gelidi.
Si rimise in piedi e gli si parò
di fonte.
Accorgendosi che Evan era ben più alto di quanto aveva valutato all’inizio
alzò la testa per incrociare i suoi occhi.
Quegli occhi verdi che lo
fissavano in silenzio.
Takao
ebbe la netta sensazione che da un momento all’altro lo avrebbe colpito.
Istintivamente si portò una mano
alla guancia dove Kei lo aveva picchiato diversi
minuti prima.
Si ricordò così del taglio ancora
aperto che si era procurato cadendo dall’impalcatura.
Cercò di non pensarci e concentrò
nuovamente tutta la sua attenzione sul tizio davanti a lui.
- Cosa vuole da Kei? –
Lo vide socchiudere gli occhi
smeraldo ed inarcare un sopracciglio.
Il braccio piegato faceva perno
sul fianco.
Stava aprendo la bocca per
rispondere ma un mugolio attirò l’attenzione di entrambi sul blader russo.
Kei
staccò la presa dal cappotto del tizio piegandosi in avanti e reggendosi la
testa.
Prima che potesse cadere il
ragazzo dalla carnagione scura si allungò ad afferrargli un braccio che fece
successivamente passare con delicatezza attorno al proprio collo.
Lo sorresse per la vita in modo
che non scivolasse e lanciò un’occhiata complice al giapponesino
che contraccambiò confuso e preoccupato allo stesso tempo.
Voleva portargli via Kei?
Dopo tutto quello che aveva fatto
per trovarlo e salvarlo da quella megera?
No.
Non glielo avrebbe permesso.
“Che
diavolo vuole questo?”
Era pronto a mollargli un bel
cazzotto, ma tutto in quel tipo gli stava urlando di non farlo.
Ogni suo atteggiamento ed ogni sua
espressione lo sconsigliava dal fare qualsiasi azione avventata.
Fece per dire qualcosa, ma poi ci
rinunciò.
Doveva inventarsi qualcosa.
Si passò una mano tra i capelli e
in una piccola parte del suo cervello registrò che il codino si era allentato con
la conseguenza di aver disfatto la coda.
- Credo che lei abbia capito che
ormai Kei non vuole più tornate a casa, non mi
costringa a prenderla a pugni…perfavore…
–
La voce gli era uscita più incerta
di quel che si aspettava.
“Perfavore??”
Evan
sgranò gli occhi per la seconda volta in quella giornata.
Per qualche lungo attimo nella
stanza regnò un imbarazzante silenzio.
Nessuno si degnò di rispondere.
Kei
sembrava aver ripreso un po’ della sua lucidità, ma aveva il viso molto
arrossato e alcune ciocche di capelli gli si erano appiccicate al viso per via
del sudore.
Takao
lo scrutò con attenzione, ma appena si accorse dei due occhi smeraldini che lo
fissavano si sentì subito gelare.
Quel tipo aveva uno strano effetto
su di lui, lo metteva terribilmente a disagio…
…una
sorta di timore riverenziale.
Non riusciva a decifrarlo…
Era un buono o un cattivo?
- Kei
deve essere portato in un posto sicuro. Devi aiutarlo ad andarsene di qui. – Osservò
Evan con tono paziente mentre i suoi occhi verdi continuavano
a squadrarlo da capo a piedi.
Prima che Takao
avesse l’occasione di esprimere tutto il suo sconcerto Kei
gli parlò sopra.
- Lui non viene da nessuna parte… – disse debolmente, ma con decisione.
Evidentemente non aveva ancora
digerito il piccolo errore telefonico del compagno…
…che
d’altronde aveva compromesso tutti loro…
…probabilmenteKei non aveva tutti i torti.
Ma questo Evan
non lo sapeva.
- E chi ti porterà in salvo? –
Disse beffardo. - Non fare lo stupido, lascia che il tuo amico si prenda un po’
di gloria. –
- E’ un’idiota. Se sono in questa situazione… è solo colpa sua… -
Con le poche forze disponibili Kei lanciò uno sguardo gelido a Takao,
ma quest’ultimo era ancora troppo impegnato a chiarire un certo concetto per
prestare attenzione al dialogo dei due.
- Questo tizio è uno dei buoni? –
Kei
sbuffò pesantemente.
- Visto? E’ un idiota…
te l’av… -
Di nuovo, la tosse gli impedì di
continuare.
Una vampata d’ira accese per un
istante il suo sguardo.
Dio, quanto gli rodeva mostrarsi
così debole!
Evan
lo fissò preoccupato, poi si voltò con urgenza verso Takao.
- Takao?
Takao, è così che ti chiami vero? Adesso non ho molto
tempo per spiegare, ma devi portare subito Kei in un
posto sicuro. –
Il moretto si incantò per un
istante, catturato dal verde di quegli occhi, poi si riscosse e aggiunse a sua
volta.
- Deve andare in ospedale, non può
essere della semplice febbre. –
- No! Non se ne parla! – Sibilò Kei.
Gli occhi improvvisamente divenuti
più accesi.
Takao
sobbalzò sorpreso dall’improvviso allarmismo di Kei. Quest’ultimo
si accorse del suo gesto e parve risentirsene. Evan
d’altro canto sembrò intuire qualcosa e continuò con voce più ferma.
- Kei
non può ancora andare all’ospedale. –
- Non può? Non ancora? Che
significa? –
- Piantatela di parlare voi due… -
Kei
sospirò profondamente allungando il braccio a massaggiarsi una tempia.
Takao
notò che nonostante fosse in piedi sulle proprie gambe una mano era ancora strettamente
aggrappata al cappotto di Evan.
- Kei? –
sussurrò il moretto.
Il russo socchiuse gli occhi,
quasi cercasse di mettere a fuoco qualcosa ai suoi piedi, non sembrava averlo
sentito.
Non sembrava più nemmeno in grado
di mantenere la lucidità.
Stava scivolando nella calda e
soffocante incoscienza della malattia.
- Devi portarlo a casa mia. –
Disse all’armato lo sconosciuto. - Ci sono dei medicinali, trovane uno che
faccia al caso suo. Qui fuori nella piazza mi stanno aspettando il direttore e
la bodyguard di Hiwatari, non posso permettere che si
accorgano che vi sto aiutando. Dirò che non vi ho trovati, ma nel frattempo tu
devi portarlo a casa mia. –
E così dicendo con la mano libera
si sfilò dalla tasca un paio di chiavi, quelle del suo appartamento, e le diede
a Takao che le prese riluttante.
- I-io? Ma
tizio… non so nemmeno dove lei abiti. E senza un
aiuto non so se riuscirò a portare Kei in spalla
troppo a lungo.. –
Evan
sorrise enigmatico e frugò nuovamente nelle tasche del cappotto.
“Un
altro paio di chiavi?”
No.
Una piccola ma ormai
indispensabile scatolina nera.
Il giapponesino
sorrise riconoscente.
- Ok, tizio. Questo mi può
aiutare. –
- _ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Ormai era ora di pranzo.
Le strade erano piuttosto
sfollate; a quell’ora la gente era a casa, seduta attorno alla propria tavola a
consumare il secondo pasto della giornata insieme ad amici o famigliari.
Persino al monastero tutti i
ragazzi si riunivano nella mensa per pranzare.
Così come Hiwatari,
la maledetta bodyguard e quella odiosa della Tanaka.
Eppure Yuri
era lì.
In quella piazza.
Mentre i suoi occhi celesti si
perdevano in una distesa della stessa tinta.
L’immensa distesa azzurra che
veniva comunemente chiamata cielo.
Yuri
osservò con sospetto i grandi nuvoloni che minacciavano tempesta ai confini
della città.
In cuor suo sperò di avere la
testa sotto un tetto nel momento in cui quegli ammassi grigi avessero tramutato
le loro minacce in qualcosa di più concreto.
Abbassò il suo sguardo a terra,
sapendo che quando tutto quello che stava accadendo sarebbe giunto ad un
termine, lui non avrebbe ugualmente più avuto una casa.
O un posto in cui nascondersi.
Scacciò in fretta quel pensiero.
Max e Yuri
se ne stavano ancora seduti sulla stessa panchina che quella mattina aveva
utilizzato Rei per origliare i discorsi della donna e della guardia del corpo.
I piccioni beccavano ancora ai
loro piedi in cerca di pane, ma i due ragazzi non gli diedero molta attenzione.
Max muoveva nervosamente la gamba
ansioso e allo stesso tempo infastidito da tutta quella situazione.
Poco prima aveva scorto un
articolo sul quotidiano di quella mattina.
Un uomo lo stava leggendo proprio
al suo fianco mentre aspettava con Yuri il ritorno di
Rei.
Quella notizia non gli era
piaciuta per niente.
Si passò le mani sulle tempie.
Non aveva detto nulla a nessuno.
Prima avrebbe chiarito i suoi
dubbi con il diretto interessato.
E tutto ciò contribuiva a
preoccuparlo ancora di più.
Sbuffò.
Si guardò intorno spazientito,
stanco di aspettare.
I suoi occhi cobalto incrociarono
la figura snella di Yuri.
- Perchè
è sempre Rei ad andare in ricognizione? –
Socchiuse gli occhi passandosi una
mano tra i capelli biondi.
- Mi era parso che tu non
riponessi molta fiducia in me… e lasciare me e il
cinese soli non mi sembrava una buona idea, visto quanto ci vogliamo “bene”,
non che con te le cose sembrino andare meglio… -
L’americano lanciò un’occhiata
offesa al russo.
“Il
ghiacciolo vuole fare amicizia?”
Macchè…
Il blader
sembrava non averlo nemmeno notato.
Lo vide sospirare e sedersi meglio
poggiando i piedi sulla panchina.
Max si strinse nel giubotto in cerca di più calore.
- Sai mi è sembrato strano che
quei due siano riusciti a capire che eravamo ancora in quell’albergo… -
Yuri
lo guardò di sbieco.
- E’ per questo che hai cominciato
a dubitare di me e ad andare in giro con quella faccia truce? Pensi sia stato
io? –
Max ricambiò lo sguardo.
Lo stava sfidando?
- Perché? Hai qualche altra idea?
–
In un primo momento il rosso parve
perdere la pazienza, ma subito si ricompose e se ne uscì con un’occhiata
fredda.
- Il nostro amico sta tornando. –
Rispose gelido indicando con il
mento Rei a pochi passi da loro.
Max si ricompose e si alzò andando
incontro all’amico.
Disturbati dall’improvviso
movimento i piccioni iniziarono a correre e a volare in ogni direzione
dimenticandosi per strada anche qualche piuma.
- Allora? –
Il moro si accigliò sprofondando
le mani nelle tasche. Una piuma gli si appoggiò silenziosa sulla spalla.
- Non hanno preso niente. La
camera è come l’abbiamo lasciata. Kei e Takao devono essere saltati dalla finestra del bagno.
Sicuramente è stato un bel volo, ma l’impalcatura non è molto distante. Forse
non si sono fatti nulla. -
Max si corrucciò fissando il suo
sguardo sulla spalla dell’altro.
Quando anche Yuri
si alzò per raggiungerli parlò.
- Kei
non era ancora del tutto guarito quando ce ne siamo andati, anzi…
non mi sembrava nemmeno che fosse migliorato granchè.
Se si sforzasse troppo rischierebbe una ricaduta. Dobbiamo trovarli. –
Yuri
allungò la mano per impossessarsi della piuma che si era posata sul cinese.
La fissò svogliato e la lasciò
cadere di nuovo a terra.
- Credo che Evan
abbia aiutato Kei a fuggire. –
Max lo guardò confuso.
- Evan?
La guardia del corpo del direttore? E’ quello che abbiamo visto andarsene prima
insieme al suo capo e all’omaccione in nero? –
- Cosa ti fa pensare che lo abbia
aiutato? –
Stavolta fu Rei a parlare, ma
improvvisamente sobbalzò come se qualcosa lo avesse punto da qualche parte.
- Che ti prende?- Chiese Max.
Rei fece spallucce poi allargo gli
occhi capendo improvvisamente.
Cominciò a sbottonare il cappotto
fino a raggiungere la tasca interna. Da essa estrasse un cellulare; anche se
stretto nella mano del moro, si intuiva benissimo che stava vibrando.
- Quel cellulare è il mio. –
Osservò impassibile Yuri.
- Lo ho preso in prestito prima
dalla tua tasca, pensavo di chiamare Takao, ma non
risponde. –
- Sei un maledettissimo ladro. –
- Dipende dai punti di vista… -
- Che aspetti? Rispondi! –
Lo spronò Max colto in un
improvviso moto di curiosità.
Rei fece per premere il pulsante,
ma Yuri lo bloccò strappandoglielo di mano.
- Non ti permettere di risp… -
Si bloccò non appena il suo
sguardo cadde sul piccolo schermo luminoso.
Incuriositi i due Bladebreakers allungarono il collo per adocchiare loschermino, allora capirono l’esitazione dell’altro.
Su di esso era apparso un nome: “Evan Andrew”.
No.
Proprio lui. Quando parli del diavolo…
Yuri
non perdette altro tempo e rispose.
Due paia di occhi si piantarono su
di lui allarmati.
Un sorrisino gli incurvò le
labbra.
- Che vuoi idiota? –
Dall’altra parte della cornetta
qualcuno trattenne il respiro.
-
Come sapevi che ero io? -
Yuri
spalancò gli occhi stupito.
- Takao!?
-
…
Yo!
Fatto presto stavolta! ^o^
Me felice.
Speriamo duri…
Piaciuto il cap?
Non è niente di speciale, ma i capitoli di transito mi servono.
C’è anche Evan…sinceramente… lo odio. O meglio, odio il fatto di
aver dovuto inserirlo nella storia. In genere quando uso personaggi inventati
da me preferisco metterli dalla parte dei cattivi così non rubano troppo la
scena ai personaggi veri, ma Evan mi serviva. Mah…
Ed il prossimo è il venti…°o°
Grazie tante per i commenti!!
Grazie di ricordarvi della mia ff!! Senza di voi
sarebbe morta da tempo, anzi… si sarebbe fermata al
primo capitolo rimanendo una one-shot.
Socchiuse appena gli occhi
avvertendo qualcosa di caldo allontanarsi dalla sua fronte.
Aveva la vista sfuocata; il mondo
intero era diventato una massa di colori sovrapposti..
A predominare era un paesaggio di
un bianco acceso costellato un po’ ovunque da macchioline colorate.
Provò a muoversi, ma era come se
non si ricordasse in che parte del suo corpo fossero attaccati i suoi arti.
Forse li stava muovendo…
o forse no.
Non riusciva a capirlo.
Tutto gli arrivava ovattato, come
se fosse rinchiuso in una sfera di vetro.
Vedeva forme scure spostarsi
lentamente.
Ondeggiando.
Il suo stesso corpo sembrava
essere cullato da un dondolo che non riusciva a vedere.
Mugugnò qualcosa mentre gli occhi
cominciavano a inumidirsi, bruciandogli per il freddo.
Li richiuse trattenendo il respiro
e affondando il viso su quella specie di culla soffice e calda.
Un famigliare profumo gli riempì i
polmoni, ma non era abbastanza lucido per rievocare l’immagine a cui esso era
associato.
Si strinse di più a quel
giaciglio.
Rubandogli il più possibile il
calore.
Approfittando di tutto quello che
riusciva a prendere per riscaldare il proprio corpo freddo.
Poco prima di cadere di nuovo
vittima del sonno avvertì un brivido percorrergli tutta la schiena.
Era troppo stanco…
… buio e nient’altro che buio.
…
- Sicuro di farcela da solo? –
- See. –
- Sicuro? –
- See. –
- Sic… -
- Piantala Takao!!
–
Max era sull’orlo di una crisi di
nervi.
Più il tempo passava e più
sembrava pronto a saltare addosso a qualcuno.
Yuri
alzò una angolo della bocca in quello che era un sorriso di scherno.
- Non sono stanco Takao e non mi stancherò. Non sperare di salvare il tuo
onore. IO posso tranquillamente portare Kei in
spalla, a differenza di TE. –
Takao
fece per ribattere, ma un’altra occhiataccia di Max lo convinse che non
erauna buona idea.
Comunque, dolente o nolente, si
dovette ricredere su Yuri.
La sua resistenza era una cosa
fenomenale.
Portarsi in spalla Kei per tutto quel tempo non era impresa da poco e lui la
faceva sembrare una cosa da niente.
Ripensò al monastero e a quel poco
che aveva sentito sull’addestramento dei ragazzi.
Di sicuro la sua forza era tutto
merito di quegli allenamenti.
Ma non erano esercizi che tutti
potevano sopportare.
Persino Kei
era più che restio a parlare dei pochi anni passati in quel posto.
E non solo lui.
Nessuno amava parlarne.
Forse, in fondo, non invidiava del
tutto la resistenza di Yuri.
Rabbrividì, non sapeva se a causa
dei proprio pensieri o per il vento gelido che cominciò pigramente a soffiare
alle sue spalle.
La brezza si fece più forte; gli
spettinò i capelli, dando il colpo di grazia alla sua coda e facendo svolazzare
il suo codino in avanti.
Si mise in testa il cappuccio
mentre con noncuranza seguiva la rotta tracciata in aria dall’elastico.
Lo vide infilarsi nel cappuccio di
fronte a lui.
Sorrise e decise che lo avrebbe
recuperato in seguito.
Camminavano silenziosi.
Le strade liberate dalla neve che
giaceva sporca e calpestata lungo i lati.
I tetti e le macchine parcheggiate
tuttavia ne erano ancora abbondantemente ricoperti.
I vetri delle finestre erano velati
dalla brina ghiacciata e i passeri spauriti dalla loro presenza si
appollaiavano a gruppi sui davanzali e sui cavi elettrici riscaldandosi a
vicenda.
Qualche passante occasionale lanciava
loro delle occhiate curiose, ma la gente era troppo intenta a correre verso le
proprie case per trovare riparo dall’imminente pioggia per dar loro maggior
attenzione.
Sopra le loro teste serpeggiavano
i grossi nuvoloni che per tutta la mattinata avevano atteso ai limiti della
città, ma nessuno dei ragazzi sembrava essere abbastanza spensierato per badare
a ciò che accadeva loro intorno.
Yuri
con Kei sulle spalle camminava davanti al gruppo.
Aveva un’andatura tranquilla e per
nulla affaticata, solo ogni tanto rallentava per sistemare meglio l’amico sulle
proprie spalle.
Sopra di lui, si intravvedevano appena
alcuni ciuffi argentati uscire dal pesante cappotto.
Difatti , oltre al proprio, Kei era coperto anche dal giubotto
di Yuri.
Il rosso aveva insistito affinchè fosse lui a darlo a Kei.
Tanto portando il blader in spalla non avrebbe sofferto troppo il freddo ed
in più lui era il più abituato di tutti a sopportare certe basse temperature.
Non che questa scusa avesse
pienamente convinto gli altri, ma nessuno ebbe modo di rifiutarsi.
Tuttavia il timore che anche Yuri si ammalasse aleggiava derisorio nelle loro menti.
Max stava dietro, a fianco di Takao.
Immerso in un cupo silenzio.
Era piuttosto pallido, con dei
ciuffetti di capelli spettinati che gli spuntavano da sotto il berretto
arancione e gli nascondevano parte del viso.
I suoi occhi erano costantemente
fissi a terra e lo sguardo corrucciato faceva trasparire tutta la sua
frustrazione.
Girandosi ad osservarlo Takao non riuscì a capacitarsi di tutta quell’agitazione.
Ciò lo infastidiva, soprattutto
quando gli ritornava alla mente che era stato proprio l’americano, quella
stessa mattina, a ripetergli di continuo di mantenere la calma.
Ad un tratto Max si accorse del
suo sguardo.
Colto alla sprovvista il moretto
si affrettò a guardare altrove temendo una qualche ripercussione.
Trattenne il respiro mentre
tentava il più possibile di apparire disinteressato.
Poco dopo sentì un sospiro
provenire dalla sua sinistra.
Scansato il pericolo, riprese a
respirare con calma.
Riportando lo sguardo in avanti la
sua visuale fu riempita dalla schiena di Rei.
Camminava al fianco di Yuri; gli occhioni d’ambra fissi
sull’ospite che quest’ultimo portava a cavalcioni.
Aveva l’espressione stanca e
preoccupata mentre sorreggeva con una mano il cappotto sulle spalle di Kei e con l’altra gli tastava continuamente la fronte.
Il contrasto con la sua mano
abbronzata e la pelle pallida del viso di Kei era
sconcertante.
Ma era già da un po’ che le sue
condizioni avevano cominciato a intimorirli.
Poco prima, grazie al cellulare di
Evan, era riuscito a contattare gli altri, ma il
tizio se ne era andato subito dopo che gli avera restituito l’apparecchio
telefonico e senza nemmeno aggiungere una parola.
Quando finalmente i tre bladers lo avevano raggiunto fuori dal cantiere del teatro Kei era ancora semicosciente.
Senza perdere tempo gli avevano
subito somministrato una delle medicine che i tre erano riusciti a comprare
quella mattina.
Serviva ad abbassargli la febbre e
così infatti successe.
All’inizio la temperatura era
scesa calando un vago sollievo su tutti i presenti, ma poco dopo il russo aveva
gradualmente perso colore e aveva cominciato a tremare.
Da lì l’idea di coprirlo con il
cappotto di Yuri.
Ma un po’ di calore in più non
sarebbe bastato.
Dovevano raggiungere la casa di Evan.
E in fretta.
Tra di loro gli unici a conoscere
la sua ubicazione erano Kei e Yuri.
Il rosso era quindi la loro guida,
ma stando alle parole di Rei, in tema di strade, non era poi così affidabile
come ci si sarebbe aspettati da un cittadino di Mosca.
C’era solo una cosa che
infastidiva Takao più dell’idea di perdersi in quella
città.
L’atmosfera che aleggiava tra di loro…
… era pessima.
Ovunque guardasse, leggeva negli
occhi dei suoi amici una serie di emozioni spiacevoli che abbatteva ogni sua
buona speranza.
Lo rendeva quasi incapace di
scorgervi una via di fuga.
Da quando quel senso di sconfitta
aveva cominciato ad avvolgerli e a sgretolare le loro aspettative?
Non sarebbero arrivati molto
lontano con quel clima.
…
Quando il gruppetto giunse ad un
incrocio Yuri sospirò.
- Siamo quasi arrivati. – Affermò.
- Proseguendo dritti, in cinque minuti saremo a casa di Evan.
–
Takao
si sentì più sollevato, ma non ebbe tempo di assaporare quella sensazione a
lungo.
Fece un altro passo e in meno di
un istante si ritrovò con la faccia sprofondata sulla neve.
- Oi! Takao? Tutto bene? –
Rei gli si avvicinò aiutandolo a
rialzarsi mentre gli altri lo fissarono scettici.
- Tutto bene! Tutto bene… sono solo inciampato! –
E così dicendo alzò il piede
mostrando a tutti il laccio della scarpa slacciato.
Il cappuccio gli era caduto sugli
occhi e rialzandolo si accorse che silenziosamente tutti lo stavano fulminando
con lo sguardo.
- Mi spiace…
-
Sussurrò debolmente abbassando gli
occhi.
I tre scossero la testa sconsolati
cogliendo la sincerità del gesto, ma ricredendosi per l’ennesima volta
sull’ingenuità dell’amico.
Fecero per voltarsi e riprendere
la marcia, ma Takao continuò a parlare.
- Sentite, so che siamo tutti
stanchi e sconvolti, chi per un motivo e chi per un altro…
-
I tre blader
rivolsero ancora l’attenzione sul moretto attirati dal suo tono improvvisamente
serio.
Il giapponese fece una pausa.
Li squadrò uno ad uno con quello
sguardo profondo e penetrante che tante volte era riuscito a spronarli durante
gli incontri di Bay, poi riprese.
- Siamo completamente all’oscuro
di qualsiasi sia la ragione che ha spinto Kei a
fuggire di casa. Siamo stati svegliati nel pieno della notte da una sottospecie
di armadio in completo alla “man in black”. Abbiamo
sofferto il freddo correndo come disperati per le vie più recondite di Mosca e
quando lo abbiamo trovato… - E con il mento indicò Kei, profondamente addormentato sulla schiena di Yuri. – A malapena riusciva a reggersi in piedi. -
Un attimo di silenzio.
- Io… io
capisco che non è ancora finita. Che probabilmente quello che abbiamo
affrontato è solo un assaggio di quello che ci aspetta. Abbiamo contro l’intera
compagnia Hiwatari e probabilmente non incontreremo
molta gente simpatica…. accidenti, persino Tizio non
era simpatico eppure sembra stare dalla nostra... -
Si grattò la nuca, quasi in un
gesto imbarazzato.
Tre paia di occhi lo fissavano
interdetti.
Cobalto, oro e celeste.
Mille dubbi che riempivano le loro
menti.
Eppure nessuno osò interromperlo.
- Quello che voglio dire è che… è logico che vi sentiate così sconvolti... Rei è
preoccupato per la salute di Kei. Yuri
ha rinunciato alla propria casa per darci una mano e Max…beh… non so di preciso quale sia la vera ragione che
ti fa sentire così frustrato, immagino sia tutta questa situazione assurda, ma
adesso non starò qui a costringerti ad aprire il tuo cuore con noi. Il fatto è
che anch’io sono preoccupato, sono preoccupato per voi e per quello che potrebbe
succedere andando avanti in questo modo. Se non ve la sentite, se credete che
tutto ciò sia troppo per voi sappiate nessuno ci costringe a continuare. –
Ed a quel punto Rei si infervorò.
Il suo volto assunse una smorfia
indignata e minaccioso si avvicinò al capitano dei BladeBreakers.
- Spero di aver capito male… Ci stai forse suggerendo di abbandonare Kei? O magari di consegnarlo direttamente a suo nonno?!
Dimmelo Takao, perché io non so proprio quale delle
sue scegliere… –
Un attimo di silenzio.
Di fronte a quello scatto d’ira Takao non battè ciglio.
Ma d’altronde, nessuno dei due
fece tempo ad aggiungere nulla che Yuri si era già
interposto tra di loro.
- Ti sbagli cinese. – Sibilò
freddamente. - Il moretto qui presente intendeva gentilmente farci notare che
se abbiamo intenzione di intralciare l’operazione: “salviamo Kei”, siamo pregati di sloggiare. –
Uno sguardo glaciale incrociò
quello impassibile di Takao.
- Non è così moretto? –
Gli occhi celesti che si
assottigliavano fino a divenire due fessure.
L’altro si limitò ad alzare un sopracciglio,
ma ancora una volta non parlò.
- E invece sbagliate tutti e due.
–
Max tirò un sospiro e si mise al
fianco del blader nipponico.
- Quello che veramente Takao cercava di fare era di ricordarci il vero motivo per
cui ora siamo qui ad arrovellarci il cervello. Se continuiamo a farci prendere
dalla sconforto alla fine ci taglieranno ogni possibilità di riuscita. Quindi,
se vogliamo veramente aiutare Kei, dobbiamo restare
lucidi e sostenerci a vicenda… e soprattutto fidarci
l’uno dell’altro. –
E con queste parole cercò lo
sguardo di Takao.
Le labbra piegate in uno dei suoi
sorrisi raggianti finalmente dopo tanto tempo.
- Giusto? -
L’espressione del moro si addolcì
e rispose con un sorriso altrettanto solare annuendo soddisfatto.
- Giusto, Max. –
Sussurò
orgoglioso.
Yuri
parve poco gradire quello sdolcinato scambio di sguardi.
“Fidarci
l’uno dell’altro…”
Dove l’aveva già sentita… pensò ironico.
Quasi se ne vergognasse si nascose
il volto con una mano.
- Oh my.
Tutto quel discorso per una cosa così ovvia… - disse
infine.
Un ghigno gli illuminò lo sguardo
mentre gli occhi celesti riemergevano beffardi oltre la mancina.
- Come hai detto prima, dopo tutto
quello che ho perso, non permetterò certo che quel vecchiaccio l’abbia vinta… -
Rei ridacchiò passandosi una mano
fra i capelli spettinati.
- Se è per questo, non lascerò mai
Kei in balia di voi tre con la febbre che si
ritrova... e tanto per cominciare, vi avverto che se non iniziate a muovervi e
a portarlo in un posto al caldo vi prenderò a calci uno ad uno. -
Max alzò gli occhi blu al cielo e
si affrettò a riportali sulla strada di fronte a loro.
Allungò un braccio passandolo
dietro le spalle di Takao invitandolo ad avanzare.
- Rei ha ragione. Muoviamoci prima
che cominci a piovere! –
- _ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
-
Come sapevi che ero io? -
Un
attimo di silenzio.
Un’espressione
sorpresa gli ravvivò i lineamenti.
Yuri non poteva sbagliarsi.
Sapeva
riconoscere quella voce.
-
Takao?! –
Rei
e Max saltarono sul posto per la sorpresa.
Inconsciamente
si allungarono verso il rosso per cercare di cogliere quella voce al di là
della cornetta.
Sollievo
e stupore mitigavano i loro volti.
-
Dove hai presto questo cellulare? –
Continuò
Yuri incredulo.
-
Me l’ha dato il Tizio di prima… aveva il tuo numero
nella rubrica. - Rispose la voce dall’altro lato.
Takao cominciò a raccontare per filo e
per segno tutto quello che era successo da quando li avevano lasciati soli dall’albergo
includendo anche il suo piccolo incidente con il cellulare di Yuri e il conseguente arrivo della donna.
Tanto
pagava Evan.
-
TAKAO! SEI UN MALEDETTO IDIOTA! –
Gli
aveva sbraitato il russo furibondo appena aveva sentito dei suoi scherzi
telefonici con una certa bionda.
-
E’ la stessa cosa che mi ha detto Kei… -
Rispose
l’altro impacciato cercando di sdrammatizzare e salvarsi dalla furia omicida
dell’altro.
-
Non dire idiozie, se non fosse stato per te adesso… -
Con un gesto frustrato si massaggiò le tempie. - Lasciamo perdere, ti sistemerò
dopo a dovere. Tanto sappiamo tutti che la tua idiozia tende all’infinito… -
-
Anche Kei ha detto così!! –
-
LA VUOI PIANTARE?!! –
Preoccupato
per la sorte del cellulare, Rei strappò di mano l’apparecchio al rosso prima
che questi lo gettasse via da qualche parte preso da uno scatto d’ira.
-
Takao, sono Rei. – Disse ignorando le proteste del blader russo. – Come sta Kei? –
Mentre
Rei intavolava un discorso con il giapponesino...
tanto pagava Evan…Yuri si
voltò dall’altra parte calciando l’aria per sfogare la rabbia.
Max
gli si avvicinò con aria colpevole.
-
Senti… mi dispiace di aver dubitato di te… –
Affermò
titubante.
Gli
occhi rivolti verso il basso.
Un
attimo di silenzio.
Yuri gli dava le spalle impedendo al
biondino di scorgere la sua espressione.
-
A cosa ti riferisci? –
Rispose
serio l’altro voltandosi a fissarlo.
La
sua espressione era neutra, ma sembrava cercare di nascondere una nota di
trionfo.
Max
esitò.
-
Mi riferisco all’averti accusato di essere stato tu ad avvertire il direttore
sul nostro nascondiglio. –
Un
sorrisino soddisfatto incurvò le labbra rosee del blader
russo.
A
quel punto, però, Rei interruppe la chiamata e con un gesto della mano intimò
loro di seguirlo.
Stavano
andando a prendere Keifinalmente…
Max
rimase lì impalato mentre il rosso lo sorpassava per andare incontro al cinese.
Stava
per pentirsi delle sue stesse azioni quando un mano pallida lo prese
gentilmente per il polso invitandolo a seguirlo.
-
Non mi ricordo di nulla del genere… credo che ti stia
confondendo con qualcos’altro. –
Max
incrociò stupito quello sguardo celeste non sapendo cosa dire.
Yuri assunse un tono saccente mal
celando il suo divertimento.
Davanti
a loro si apriva la piccola piazza semideserta.
In
fondo…
…
al fianco del modesto albergo…
…
un’impalcatura di ferro sorreggeva le mura di un vecchio teatro.
Sotto
di essa, nascosto nell’ombra delle travi, spiava una piccola testolina mora.
-
Non siete proprio voi, i BladeBreackers, ad andare
tanto fieri del vostro buon cuore? Della serie… fidiamoci
l’uno dell’altro? -
…
Yoyo!
Come state? Visto? Ho scritto il capitolo
nuovo!! E non è passato nemmeno un mese!! >.<
Me felice!!^o^
Ventesimo capitolo….
°O°
Che storiacce…
E’ un po’ troppo sdolcinato a dire
il vero, ma non sono riuscita ad impedirlo. Takao che
si improvvisa oratore poi… all’inizio pensavo che
sarebbe stato Max il primo ad arrabbiarsi per le sue parole, ma ho sempre
considerato Max il più riflessivo del gruppo che conta sempre fino a dieci
prima di accusare qualcuno. Rei invece, se punto sul vivo, non esita a reagire
con ostilità e a farsi valere.
Giusto…
ho scritto un’altra ff sempre collegata a Lady Doll, si chiama “StruckbyDeflation”, non lo dico per
fare pubblicità, ma perché doveva essere un capitolo di questa fan fiction,
diciamo che rappresenta secondo la mia opinione quello che è il passato di Kei in questa fic. Comunque non è
indispensabile leggerla è per questo che l’ho postata a parte.
Che altro dire…
che vi sarò sempre debitrice per i vostri commenti? Mi tirano su il morale in
una maniera pazzesca, vi ringrazio davvero di cuore. ^o^
Caspita…
da come parlo sembra che la ff stia per finire… e invece no!XD
Appena sarà terminato potrete
gustarvi il nuovo capitolo!!
Fuggo che ho una sfida di bowling
che mi attende!è.é
Sbuffò seccata mentre osservava il
suo respiro condensarsi in due piccole nuvolette pallide.
Cercava sempre di evitare di
passare per quella piazza… il sabato.
Qual era il motivo?
Lo erano le lussuose limousine
bianche posteggiate di fronte a lei nello spiazzo adiacente l’ ampia piazza.
Aveva sperato che, essendo l’ora
abbastanza tarda, se ne fossero già andate conducendo così i loro passeggeri
lontano dalla sua vista ed evitando di risvegliare nella sua mente ulteriori
brutti ricordi…
…e
ulteriori rimpianti.
Distolse lo sguardo come per
scacciare quei pensieri.
Un bagliore in alto, alla sua
destra, catturò la sua attenzione.
L’attuale ora di Mosca riempì
tutto il suo campo visivo scandita dalle precise lancette dorate dell’orologio.
L’orologio della torre Spasskaja.
La torre del Salvatore.
Una delle più note tra quelle
poste a tutela delle mura del Cremlino.
Imponente, la silente custode
dalle mura scarlatte vigilava autoritaria tutta la piazza, come una vedetta che
scruta tra l’oscurità in cerca di una possibile minaccia, con la grande stella
a cinque punte a troneggiare sulla sua cima aguzza.
Le lancette mancavano di poco le
sei e tre quarti.
Ancora qualche breve minuto e poi esse avrebbero scoccato anche il quarantacinquesimo,
solo allora la musica del carillon si sarebbe sprigionata da quelle mura cremisi
e avvolto con la loro melodia tutta la Krasnajaplošcad.
La bella piazza.
La piazza rossa.
Il cuore della città e della
nazione stessa.
Luogo di fascino, dichiarazioni,
parate, giustizia e proteste.
Alle sue spalle centinaia di
persone, fra turisti e cittadini russi, riempivano l’immenso piazzale incapaci
di staccare gli occhi da tutti quei monumenti e palazzi.
Incapaci di rimanere indifferenti
a tutta quella bellissima eleganza.
Sebbene fosse quasi del tutto
calata la sera, scrutavano tra le ombre, tra le pieghe degli edifici o tra le
curve delle statue in cerca di assimilare ogni piccolo particolare e imprimerlo
a fondo nella propria mente, così da essere in grado di richiamarlo in un
secondo momento e godere di nuovo di quella bellezza così minuziosa.
Lei d'altronde da quella zona non
riusciva a godere di quel privilegio; lentamente, senza accorgersene, si era
voltata per compiacersi di quel panorama, ma dalla sua posizione tutta la parte
comprendente le mura del Cremlino, il sobrio mausoleo di Lenin con le sue linee
austere e le pietre in marmo e granito, fino al fondo della piazza chiusa dal
museo storico, si presentava come una confusa sagoma nera che ritagliava con i
suoi contorni frastagliati la sottile fascia scarlatta del cielo al tramonto.
Ancora poco e quel rosso acceso
sarebbe stato divorato dal blu della notte che calava svogliato su tutta la
città portandosi dietro le sue nubi bluastre, piccole macchie su quello che
sembrava essere l’enorme mantello di una antica creatura mitologica.
E i lampioni, che apparivano come lucciole
perse nel’oscurità della notte?
E le migliaia di lampadine che, opposte
al lato dormiente delle mura del Cremlino, si erano accese illuminando come un
albero natalizio tutte le linee e i contorni del sontuoso palazzo dei magazzini
del Gum che occupava tutta la parte laterale della
piazza?
Come poteva lei staccare gli occhi
da quello spettacolo?
Quando anche l’oscurità non
riusciva a mettere in ombra la sua magnificenza?
Non poteva.
Amava troppo quella piazza.
Non riusciva a staccarle gli occhi
di dosso.
Con quel sottile strato di neve
che spruzzava di bianco le superfici cancellando anche quelle piccole
imperfezioni dovute all’erosione del tempo.
Tra la folla, una figura si fece
spazio avvicinandosi.
La riconobbe subito.
La sagoma snella e slanciata.
I capelli corvini.
Il lungo cappotto nero.
Evan
la stava raggiungendo portando con se la sua aria velata di cupo mistero.
Passò in mezzo ad un gruppo di
passerotti senza curarsi di disturbare il loro beccare e pigolare.
I piccoli animali si alzarono in
volo in massa, nascondendolo per un istante al suo sguardo, per poi sorvolare
in una formazione caotica le grosse croci in cima alle bizzarre cupole della
cattedrale di San Basilio, contenente le spoglie del santo.
Quel maestoso edificio che si
esibiva al suo fianco chiudeva quel lato corto della piazza.
A suo parere, quello era il
gioiello di tutta l’intera città.
In nessun altro luogo era
possibile trovare costruzione più affascinante, con tutte le sue peculiarità e
stramberie.
Si diceva che lo Zar stesso, Ivan
il Terribile, dopo averla fatta costruire, avesse accecato il suo architetto
per impedire che costruisse altrove un simile incanto.
Un vero incanto.
Come un castello delle fiabe.
Era un peccato non poterlo
ammirare con la luce del sole.
Nella penombra non era possibile
scorgere i colori assurdamente sgargianti dei bulbi o dei duomi attorcigliati
che sovrastavano ogni cappella, il bianco brillante e il rosso mattone delle
mura o i riflessi del sole sulle rifiniture dorate sotto le cupole.
Troneggiava imponente in tutta la
piazza e con la sua presenza suscitava in chiunque avesse la fortuna di posare
il suo sguardo sulla splendida cattedrale una strana voglia, una strana acquolina
ispirata dai richiami golosi delle sue forme, come la casa di marzapane
stuzzicava la golosità dei bambini; nelle tua mente si associava a
quell’immagine il ricordo delle caramelle più dolci o dei gelati più cremosi.
- Azaliya?
–
Il suo vecchio nome la riscosse, accorgendosi
solo ora di quanto fosse ingenua a perdersi ancora nella contemplazione della piazza
dopo tutti quegli anni passati a Mosca.
Aveva scordato la presenza di Evan, così come quella di tutte le persone che la
circondavano.
Eppure adesso lui le stava di
fronte e la fissava con quei suoi penetranti occhi verdi.
Sostenne il suo sguardo corrugando
la fronte.
- Eppure non è la prima volta che
ti riprendo, perché allora continui a usare il mio vecchio nome? – Chiese
indispettita, improvvisamente tornata alla realtà di tutti i giorni.
Il ragazzo piegò un angolo della
bocca mentre la sua testa si voltava in direzione della cattedrale.
- Ero sicuro che così ti avrei
distolta dalle tue meditazioni. – Osservò con voce piatta. – Poi non posso
negare che preferisco questo nome a quello giapponese. -
Una smorfia infastidita le alterò
il volto.
– E’ più facile entrare nelle
grazie di Hiwatari se si dimostra di possedere
origini giapponesi… –
Ribadì seccata la donna.
- Ma tu non sei giapponese. –
Replicò il moro.
L’atteggiamento di Evan le ricordò quello di un bambino dispettoso che
stuzzica l’amichetta per attirarne l’attenzione.
Stette al gioco.
- Lo era mia nonna. Ho anche usato
il suo nome; Emi Tanaka. E’ per questo che Hiwatari non si è ancora reso conto che non è mio. –
Evan
ghignò.
- Sembra un buon materiale per un
ricatto. –
Stranamente la bionda non si
scompose, ma gli si avvicinò alzandosi sulle punte e sussurrandogli
all’orecchio.
- Ma non lo farai…
- Prese fiato e aggiunse sapendo già cosa avrebbe risposto il moro. – Perché tu,
Evan, vuoi che quel vecchio cada tanto quanto lo
voglio io. –
Con questo la donna pose fine al
discorso, si ricompose e voltandosi si avviò in direzione del parcheggio dove
alcune limousine attendevano ancora i loro passeggeri.
Evan
si irrigidì colto alla sprovvista.
Uno sgradevole calore gli avvolse
il viso.
La sua mano si alzò a sfiorare
l’orecchio, ma la fermò prima che lo raggiungesse.
Azaliya
proseguiva dandogli le spalle avvolta nel caldo piumotto bianco.
Si incantò rapito dalla sua
andatura elegante.
Indossava solo dei sottili collant
neri sotto la gonna grigia.
A fasciarle i piedi, delle piccole
scarpette nere battevano il suolo con i tacchi alti.
Per l’ennesima volta Evan si stupì della sfrontatezza con cui le donne russe
affrontavano il gelo.
Sogghignò e la seguì svogliato.
- Torni a casa? –
Le chiese ad un tratto apparendole
alle spalle.
- E’ da tre giorni che abbiamo
perso le tracce di Kei. Ho tutta l’intenzione di
prendermi una notte di riposo… domani ricomincerò le
ricerche. –
Il ragazzo sorrise davanti ai modi
risoluti della donna.
- Il piccolo Hiwatari
è troppo bravo a nascondersi per una come te? -
La donna non si fece sfuggire la
sfumatura di scherno nella sua voce.
Rallentò il passo lanciandogli uno
sguardo diffidente e allo stesso tempo irato.
- Che ne sai tu!? Credi che tutto
questo sia divertente? –
Il ragazzo non rispose, si limitò
a fare spallucce e a guardare altrove.
Non parve preoccupato del fatto
che la donna si stesse sempre più alterando.
Tuttavia in quel momento un
piccolo corteo passò a fianco della coppia catturando l’attenzione della donna
e, Evan lo sapeva bene, occupando anche tutti i suoi
pensieri.
Un melodico scampanellio riempì
improvvisamente la piazza.
Tutti parvero zittire, mentre i
cittadini russi a fatica nascondevano i sorrisetti orgogliosi cogliendo il muto
stupore dei turisti.
Erano le sei e quarantacinque
spaccate.
Il carillon della torre si era
attivato.
Tra quelle flebili note AzaliyaLeonova, direttore del
monastero di proprietà della famiglia Hiwatari,
osservava con nostalgia il piccolo corteo festante che si dirigeva verso una
delle limousine prese in affitto per quell’importante giorno.
Ma lei vedeva solo loro.
La coppia che guidava il corteo.
Vedeva solo il suo prezioso
vestito bianco.
E la felicità che accendeva i
volti dei due innamorati.
I due novelli sposi.
In un rapido istante una sorda
invidia le strinse il petto e una marea di tristi ricordi le riempì la mente.
Anche lei aveva indossato
quell’abito bianco.
Il candido vestito nuziale che fu
di sua madre.
Aveva attraversato la navata con
il cuore che le scoppiava per l’emozione e gli occhi che trattenevano a fatica
le lacrime di gioia.
Ai lati, gli invitati la
guardavano preoccupati.
Cos’era quell’ansia che riempiva
l’aria?
Di sicuro nulla di buono.
Aveva alzato lo sguardo e la gioia
si era spenta come la fiamma di una candela.
Ad aspettarla all’altare lui non
c’era.
Un ritardo?
Eppure aveva aspettato.
Aveva aspettato così tanto che
aveva perso quasi la cognizione del tempo.
Ma lui non c’era.
Lui non arrivava.
Poi un uomo che non aveva mai visto;
una grossa body-guard che le andava incontro.
La sua voce rauca e dura che le
dava la notizia.
La notizia che le aveva spezzato
il cuore e cambiato la vita.
Si accorse che una lacrima le
solcava il viso solo quando Evan l’asciugò con il
pollice accarezzandole la guancia.
Lei non disse niente.
Il suo sguardo era freddo,
impassibile, privo di emozioni.
Però c’era quella lacrima.
La coppia di sposi ormai si stava
allontanando a bordo della limousine bianca.
Le altre macchine la seguivano
suonando chiassose il clacson.
Evan
la abbracciò con inaspettata tenerezza catturando nel suo sguardo di smeraldo
gli occhi color nocciola contornati dalla matita nera della donna.
Attraverso la sofficità del
piumotto poteva percepire il calore del suo corpo sottile.
Il suo profumo.
Avvicinò il volto verso quello di
lei.
Le sue labbra smaltate di rosso.
Il battito pulsante del proprio
cuore lo stava assordando.
Non poteva più resistere.
Si chinò per baciarla, ma lei si
scostò gentilmente, evitando il suo sguardo.
La melodia del carillon suonò le
sue ultime note ed uno sconfortante silenzio seguito dal chiacchiericcio dei
passanti riempì di nuovo la strada.
Con un gesto calmo, lei si sciolse
garbatamente dall’abbraccio di lui e proseguì per la strada che stava
percorrendo poco prima.
- Devo vendicarlo Evan, non posso... -
La frase morì lì, incompiuta.
Sospesa.
Il ragazzo esitò.
Qualcosa di molto simile alla
tristezza gli oscurò lo sguardo, ma fu solo per qualche secondo.
Affondò il viso nel colletto
alzato del cappotto respirando profondamente.
Gli occhi socchiusi.
Raggiunse la donna e la prese
sottobraccio.
- Facciamo presto. Torniamo a casa… -
Affermò pacato come nulla fosse
accaduto.
Distante.
Alle loro spalle.
La piazza rossa scompariva
inghiottita dalla sera.
- _ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
L’appartamento di Evan era un posto ordinato.
Piccolo, ma ben curato.
I mobili sembravano troppo grandi
e numerosi rispetto alle dimensioni ristrette delle stanze e lasciavano poco
spazio per muoversi liberamente.
Ricordava un po’ uno di quei
poveri monolocali giapponesi, con la differenza che i ‘locali’ erano più di uno;
quattro stanze caratterizzate da un soffitto basso e da una forma rettangolare
molto allungata e parecchio ristretta. Il bagno era la più piccola, poi c’era la
cucina non molto più ampia e infine la camera da letto ed il soggiorno.
I mobili erano in stile
occidentale, in legno scuro e ben lucidato.
Non avevano né televisione né
telefono, solo una vecchia radio nera e una caldaia che faceva i capricci ad
azionarsi.
In compenso, nel soggiorno,
trionfava in bella vista unvetrina
riempita in ogni suo ripiano da bottiglie di liquori e alcolici vari.
Naturalmente non poteva mancare
anche l’abbondante scorta di Vodka.
Come ci si aspettava da un comune
cittadino russo d’altronde.
Quando erano arrivati
nell’appartamento Takao aveva prontamente -e anche
abbastanza rumorosamente a di la verità- fatto notare l’assenza quasi totale di
viveri e bevande costringendoli così a rimediare rifornendosi nel negozio di
alimentari più vicino.
Il giorno prima Yuri, Max e Takao, cercando di
dare meno possibile nell’occhio, erano tornati all’albergo a recuperare i loro
bagagli e a chiudere definitivamente il conto con l’Hotel.
Rei nel frattempo ne aveva
approfittato per dare una ripulita all’intera casa; infatti, sebbene ogni cosa
fosse perfettamente in ordine, la casa era piena di polvere, come se fosse
trascorso molto tempo dall’ultima volta che qualcuno ci avesse anche solo messo
piede.
Yuri
aveva risolto questo dilemma affermando che, da quando era diventato la guardia
del corpo personale della Tanaka, Evan
era stato costretto a trasferirsi nella villetta della donna.
A quella notizia tutti si erano
sentiti nettamente più sollevati; felici di sapere che così non sarebbero stati
di troppo fastidio al loro benefattore.
Poi il rosso aveva aggiunto: “Una volta anche lui viveva al monastero…” E qui sembrò scegliere con cura le parole
per proseguire. “Ma non essendo molto
portato per il Bey, non potevano sfruttalo in altri modi se non facendolo
lavorare per la compagnia Hiwatari.”
In quel momento Rei si chiese fino
a che punto comportasse veramente lavorare per una compagnia disonesta come
quella del nonno di Kei.
Di sicuro nulla di buono.
…
Il moretto stava ancora finendo di
richiudere il divano-letto quando Max tornò dalla cucina stringendo una
bottiglia di tè e due bicchieri.
Li pose sul tavolo al centro del
salottino e cominciò a versare il liquido trasparente nei due boccali.
- Grazie. –
Gli sorrise il cinese appena
terminò di ricoprire il divano con un telo blu.
Max aveva già svuotato il suo con
un lungo e profondo sorso.
- Di niente. – rispose il biondo
ricambiando timidamente il sorriso mentre una sfumatura rossa gli screziava il
volto.
Dalla stanza affianco si udirono
alcuni pesanti colpi di tosse che fecero trasalire i due.
Max si voltò fissando la porta
alle sue spalle.
- Sono passati tre giorni. La
tachipirina non fa effetto. Sarebbe il caso di ascoltare perlomeno il parere di
un medico… -
Bisbigliò il biondino scuro in
volto.
- Fosse per me, lo avrei già portato
di peso in ospedale… -
Accigliato Rei afferrò il bicchiere
ancora pieno dal tavolo scolandolo tutto d’un fiato.
…
Takao
sedeva su una sedia accanto al letto.
Nell’angolo in fondo, Yuri, sfinito, era crollato per il sonno e ora dormiva
profondamente raggomitolato su una grossa poltrona pieghevole che da qualche
giorno era stata utilizzata come letto provvisorio.
Il volto sepolto sotto il braccio.
I capelli spettinati sparsi sul
cuscino.
Nel sonno si era liberato per
l’ennesima volta del plaid, che Rei usava per coprirlo, gettandolo a terra.
Dopo la quinta volta, nessuno
aveva più osato rimettergliela.
Takao
osservava cupo il sonno agitato di Kei.
Dormiva sul letto, il corpo
avvolto da una pesante coperta e la fronte coperta da una pezza bagnata.
La pelle era pallida, ma arrossata
sulle gote.
Sotto gli occhi era possibile
scorgere le ombre scure della malattia.
Takao
sospirò; ascoltava il suo respiro…
Ora affannato...
… ora debole.
Si passò stancamente una mano
sugli occhi.
- Così non va Kei…
Devi guarire… -
Per un istante credette
di vedere un bagliore alla sua sinistra.
Si voltò osservando Dranzer, insieme a tutti gli altri Bey, appoggiato sul
comodino.
Forse era stata una sua impressione…
… era troppo stanco.
Riportò lo sguardo sul russo e fu
sorpreso di scoprire che anche lui lo stava fissando con gli occhi vermigli
seminascosti dalle palpebre pesanti.
- C-come ti senti? –
Bisbigliò lui impacciato
spingendosi sul bordo della sedia per avvicinarsi al letto.
Con un suono strozzato, Kei prese con fatica un profondo respiro, riaprì la bocca
per rispondere, ma fu costretto a tacere a causa di un violento colpo di tosse.
La sua faccia si increspò in una
smorfia di dolore.
Takao
si alzò incapace di restare immobile.
Confuso osservò la bottiglia vicino
al letto pensando che un bere un po’ d’acqua avrebbe giovato all’amico, ma allo
stesso tempo il pensiero di chiamare qualcuno gli impediva di agire.
- L’ho già avuta…
-
La flebile -quasi inudibile- voce
attirò di nuovo la sua attenzione.
Il moro si accigliò credendo di
aver capito male o immaginato tutto.
Kei
non lo fissava più.
I suoi occhi, vitrei, erano
puntati al soffitto.
- Saranno…
dieci anni che non prendo la polmonite… -
Sussurrò quasi senza voce.
Takao
s’irrigidì.
Un senso di vuoto gli offuscò la
mente.
- Polmonite…
-
Ripeté Takao
senza capire.
Senza connettere la parola al suo
significato.
Cos’era la polmonite?
Non riusciva a collegare.
Tutto gli appariva così distante…
Si sentiva come imprigionato in un
sogno.
In un incubo.
Polmonite…
La polmonite è…
…
Di sicuro…
Di sicuro nulla di buono.
…
Hola!!
Ce l’ho fatta!!! In tempo… so che non è proprio passato poco dall’ultimo
capitolo, ma esattamente fra sette ore parto per la montagna! *.*
Auguratemi temperature accettabili…ç.ç
Ciò significa anche che per una
settimana non potrò scrivere il capitolo.
I’m sorry.
T^T
Ah! Buon
Natale!! Anche se un po’ tardi…
Buon Anno!! Anche se un po’ presto…
Yeee!
Scusate se questo capitolo è un po’ troppo descrittivo, ma non potevo
semplicemente far passare la Tanaka per la piazza
rossa senza nemmeno cercare di descriverla…
naturalmente potete liberamente accusarmi se la descrizione si è rivelata una caccata che vi ha fatto perdere il filo…
in tal caso (ma anche no) eviterò in futuro certe trasgressioni. XD
Grazie come sempre per i vostri
commenti che sono la gioia della mia arte creativa, stavolta vi chiederò anche
una cosina se avete il buon cuore di perdere qualche minuto a rispondermi: qual
è la scena che vi è più/o meno piaciuta della ff?
>.<
^o^
Ok, per oggi è tutto. Vado a nanna
che è tardi e passate tutti delle buone feste!! Mi raccomando, riposatevi,
leggete fan fiction, non studiate troppo che vi fa male (XD) e divertitevi!!
Urlò il rosso in una lingua
finalmente comprensibile.
La conversazione, iniziata in un
placido giapponese, si era evoluta in un scambio di turbolente battute, molto
più simili a delle minacce per la verità, pronunciate in un russo indecifrabile.
Yuri fissò con ira prima il proprio cellulare, stritolato
nella sua mano, poi i due ragazzi seduti al tavolo di fronte a lui.
Evan aveva riattaccato.
Ringhiò qualcosa di
incomprensibile mentre rabbioso si voltava in cerca di qualcosa su cui sfogare
la propria frustrazione.
Takao lo vide afferrare con forza lo schienale di una sedia
e stringerlo fino a farsi sbiancare le nocche della mano.
Sembrava di vedere un lupo chiuso
in una gabbia; bramoso di scagliarsi contro le sbarre d’acciaio sebbene
consapevole dell’inutilità del gesto.
Pensandoci bene, era la seconda
volta che Yuri perdeva il suo sangue freddo nel giro
di pochi giorni ed entrambe le volte era accaduto mentre parlava al cellulare.
Che fosse un caso?
No…
Semplicemente non sapeva più come
sfogare tutta quella tensione.
Rei tamburellava sovrappensiero le
dita sulla superficie del tavolo come se pestasse i tasti di un pianoforte;
prima l’indice, poi il mignolo, il pollice e così via.
Chissà che tipo di sinfonia ne
sarebbe uscita.
Probabilmente niente che avrebbe
potuto alleggerire quell’insopportabile silenzio.
Volevano sapere cos’era stato
detto in quella chiamata, ma nessuno dei due bladebreakers aveva ancora aperto bocca.
Solo dopo qualche interminabile
minuto Rei distolse la mente dalle sue meditazioni e si rivolse a Yuri.
Le irridi degli occhi ambrati
parvero assottigliarsi mentre osservava con insistenza la schiena del rosso.
- Speravo che almeno questo Evanci sarebbe
stato di qualche aiuto… -
Bisbigliò con una nota di
delusione nella voce.
Yuri si voltò.
Apparentemente dava l’idea di
essersi calmato; l’espressione di nuovo rilassata poteva far sperare in un
repentino cambio d’umore, ma i suoi occhi celesti tradivano la sua collera.
- E non solo…
- Sussurrò freddamente. – Ci ha anche categoricamente proibito di portarlo in
qualsiasi ospedale o di consultare qualsiasi altro medico. –
A quelle parole, l’espressione di Takao si fece furente.
- E come spera che riusciamo a
guarirlo? Si rende conto che senza cure Kei
continuerà a peggiorare!? –
Senza averne una piena coscienza,
il giapponese si era alzato dalla sedia e si era avvicinato a Yuri.
- Se lo portiamo in ospedale… - disse improvvisamente Rei alzando una mano per
far tacere il moro – Per suo nonno non sarebbe un problema trovarlo e, allo
stesso modo, immagino che la notizia della sua bravata sia sulle bocche di
tutti ormai, non mi stupirei se qualche medico, magari speranzoso di una
qualche ricompensa, venda Kei a quel vecchio. –
Gli occhi d’orati del cinese
incontrarono quelli del russo.
- Non possiamo fidarci di nessuno… -
Mormorò infine Rei passandosi una
mano fra i lunghi capelli raccolti in una sommaria coda di cavallo.
Per un rapido istante l’espressine
di Yuri tradì tutta la sua frustrazione.
- Lo so…
- disse infine. – Ieri alla radio non parlavano d’altro. Tutti a Mosca, se non
anche altrove, sanno che il “famoso campione di Bey Blade”,
KeiHiwatari, è sparito in
strane circostanze poche notti fa e che suo nonno… -
e qui si interruppe bruscamente quasi mordendosi la lingua.
Osservò per un attimo i due bladers di fronte che lo studiavano accigliati,
indispettiti da quell’improvvisa pausa.
Yuri si affrettò ad aggiungere.
- … lo sta cercando. –
Rei lo fissò scettico.
Per la prima volta in tutta la sua
vità odiò seriamente il fatto di non conoscere una
sola parola di russo.
La sua attenzione si posò sulla
piccola radio nera appoggiata sopra il tavolo del soggiorno.
In questo modo non avrebbe mai
potuto capire cosa quell’apparecchio si ostinava continuamente a ripetere da
giorni.
Cosa significavano quelle parole
straniere pronunciate in un tono così aspro…
Cosa stava accadendo realmente
intorno a loro…
Cosa stava nascondendo Yuri.
- Che facciamo adesso? – Chiese
improvvisamente Takao. – Credete che Kei rinuncerebbe così alla
sua vita pur di non tornare da suo nonno? –
L’interesse dei due venne attirato
dalle parole del moro.
“Alla sua vita…”
Perché alla fine era quella che
stava rischiando.
Nel silenzio che calò
improvvisamente, Takao riuscì a percepire la presenza
di Kei che tossiva oltre la parete al suo fianco.
- Possibile che quel tizio si sia
infischiato così della salute di Kei? Prima lo aiuta
e poi lo lascia morire? Che senso avrebbe? Ti avrà detto qualcos’altro!? –
Continuò il giapponese alzando
gradualmente il tono di voce ad ogni domanda.
Seppure Takao
non avesse tutti i torti, Rei avvertì un certo fastidio sentendolo associare la
parola “morire” al nome “Kei”, ma non volendo animare
di più la discussione preferì tacere.
Yuri sollevò stancamente una mano a massaggiarsi le tempie
cercando di ricordare le esatte parole di Evan.
- Ha detto che ci avrebbe pensato
a tempo debito… -
Quelle parole lasciarono i due blader piuttosto perplessi.
- …sempre
meglio di niente… -
Farfugliò Takao
non molto convinto.
- Sempre meglio di niente? – Fece
eco Yuri allibito. – Credi che un: “ci penserò a
tempo debito” possa essere di qualche conforto? Per quanto mi riguarda quando
lui si sarà mosso per fare qualcosa… -
- Fatemi il favore di smetterla. –
Disse la voce ferma di Max al loro
fianco smorzando improvvisamente i bollori di tutti.
I tre sobbalzarono voltandosi
guardinghi all’indirizzo del biondo; nella mano sinistra stringeva ancora il
pomello della porta che collegava il soggiorno alla camera da letto.
- Non era neanche necessario essere
qui per seguire il discorso. I vostri strilli arrivano fino in camera. State
infastidendo sia me… sia Kei.
–
Nonostante il tono autoritario,
Max parlava calmo cercando di mantenere un volume non troppo alto.
Tuttavia le sue parole arrivarono
a segno.
- Kei si
è svegliato? –
Chiese improvvisamente Yuri leggendo fra le righe del discorso di Max.
- Si. – Rispose l’americano
cercando di non sorridere per non perdere quella parvenza di autorità che aveva
appena ottenuto. – Grazie alle vostre urla, ma si è svegliato. –
L’atmosfera parve alleggerirsi.
Max si stupì di come la notizia
riuscì a sollevare il morale dei tre.
In effetti era raro che Kei prendesse conoscenza; il suo corpo aveva bisogno di
riposo e il ragazzo dormiva per gran parte della giornata sebbene Max sospettasse
che spesso fingesse.
Forse per evitare le attenzioni
degli altri o forse perché non sopportava l’idea di mostrarsi così debole di
fronte a loro…
… non sapeva dirlo con certezza.
- Sono riuscito a fargli bere del
succo di frutta, ma ho bisogno di aiuto per cambiarlo. –
Disse cercando con lo sguardo un
possibile volontario.
Rei fece per proporsi, ma fu
preceduto.
- Adesso arrivo. -
Sussurrò Yuri
lanciando un ultimo sguardo ai due compagni che contraccambiarono seri.
Alla fine non erano arrivati a
nessuna soluzione.
Se veramente volevano fare
qualcosa per aiutare Kei dovevano inventarsi qualcosa…
… e in fretta.
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Max era seduto nella sedia accanto
al letto.
Scribacchiava qualcosa su un
foglietto di carta; cancellava, correggeva e tracciava sempre le stesse lettere
applicandovi ogni volta una piccola modifica in attesa di una qualche
illuminazione.
Kei era sveglio, ma silenzioso.
Da tempo si era chiuso in se
stesso rifiutando qualsiasi attenzione superflua.
In particolare si alterava quando
gli altri, nel tentativo di sollevargli il morale o di non farlo sentire
abbandonato, gli imponevano la loro presenza parlandogli e aspettandosi
risposte che non aveva intenzione di dare.
Odiava tutte quelle gentilezze,
quei modi affettuosi e premurosi con cui si prendevano cura di lui, lavandolo,
aiutandolo a bere (perché mangiare era un’impresa titanica) e a vestirsi.
Tutte quelle attenzioni che gli
erano sempre state negate in passato e che talvolta aveva inconsciamente ricercato,
ora come mai, lo facevano sentire così debole e inutile, patetico e fragile.
Odiava far finta di dormire mentre
vedeva gli altri vegliarlo e crollare per la stanchezza su quella scomoda sedia
cigolante.
Gli controllavano la febbre o gli
risistemavano i cuscini sotto la testa mentre spesso osservava la loro
penzolare pericolosamente in avanti quando si assopivano vinti dalla fatica; e
si arrabbiava con se stesso quando non aveva nemmeno la forza di dar loro una
piccola pacca per ridestarli o il fiato per intimargli di andarsene a letto.
Odiava ascoltare il loro vociare
inquieto attraverso le pareti sottili mentre si consigliavano sulla medicina
migliore o chiamavano chissà chi in cerca di aiuto; lui invece non riusciva
nemmeno a mantenere la lucidità per riorganizzare la mente e pensare a qualcosa
che potesse essere loro di aiuto.
Era un peso.
Era un peso per tutti loro.
Eppure continuavano a trattarlo
con tutti quei riguardi, senza lamentarsi della sua scarsa collaborazione.
Senza lamentarsi di averli
trascinati in quella schifo di situazione.
Tossì mentre allungava la mano
sudata e tremante verso la parete, avrebbe dovuto essere gelida al tatto, ma
sotto le sue dita sprigionava un tepore che quasi gli fece piacere.
Da qualche giorno era alla ricerca
di una posizione che gli permettesse di respirare con più facilità e che gli
alleviasse il forte dolore al torace, ma a causa della nausea non riusciva a
mantenere la stessa posizione per un tempo sufficiente a riprendersi, per
quanto comoda la postura potesse essere.
Al momento era rivolto su un
fianco verso il muro e dava le spalle al resto della stanza.
Aveva il fiato corto e accelerato,
forti colpi di tosse gli scuotevano con brutalità tutto il corpo scatenando una
forte e soffocante “fame d’aria”.
La febbre era una fitta nebbia
bollente che lo avvolgeva, gli oscurava la mente e gli faceva battere il cuore
a mille.
Credeva che prima o poi sarebbe
impazzito, rinchiuso in quell’ampolla di vetro rovente impossibile da
infrangere.
Risucchiando con tutta quella foga
l’aria al suo interno, temeva che presto l’avrebbe esaurita e che alla fine sarebbe
soffocato, incapace di reagire, privato delle sue forze.
Era una sensazione orribile,
impossibile da dimenticare.
Aveva avuto la polmonite altre
volte quando era piccolo, erano passati anni, ma ancora oggi il ricordo più
vivido rimastogli era quell’angosciosa sensazione: la continua lotta per l’aria.
Ogni sforzo impiegato per respirare si trasformava in un’altra inevitabile
fitta al petto.
Socchiuse gli occhi avvertendo dei
passi risuonare sempre più vicini nella stanza attigua.
Quando avvertì dietro di se la
porta aprirsi e richiudersi ritrasse la mano dalla parete e la immerse
nuovamente sotto le coperte pesanti.
Qualcuno gli si avvicinò
rimboccandogliele, quasi avesse interpretato quel gesto come un tentativo di
risistemarsi, ma fortunatamente non lo infastidì oltre.
Chiuse gli occhi e cercò di
controllare la nausea con la speranza di riuscire a mantenere quella posizione
più a lungo possibile.
…
Che fosse un caso?
Max continuava a rimuginare sul
suo foglietto persino quando Yuri entrò tranquillo
nella stanza.
Cercava di ricordare quelle
lettere.
Le stesse lettere dell’alfabeto
cirillico che aveva letto casualmente giorni prima sul quotidiano di uno
sconosciuto, quando avevano visto la Tanaka e il bestione
sotto il loro albergo.
Sapeva poco o niente di russo, ma
le foto dell’articolo erano state abbastanza eloquenti da accendere in lui un
terribile sospetto.
In più aveva riconosciuto dei nomi
e una parola: “polizia”.
L’aveva vista così tante volte
scritta sui fianchi delle auto da essere in grado di riconoscerla anche nella
didascalia di un articolo.
Inoltre era più che evidente che
la notizia faceva riferimento a Kei e agli eventi di
quella famosa notte.
L’unico problema, l’ultimo
tassello che gli mancava, era una parola che doveva senza ombra di dubbio
riferirsi al soggetto di quella frase e che appariva in una breve frase in
grassetto proprio sotto il titolo.
Se solo fosse stato in grado di
memorizzarla.
Erano giorni che provava a
riscriverla, a scavare nella sua memoria per mettere più a fuoco quel ricordo.
Aveva perfino cominciato a
spulciare tutti i libri e le riviste che aveva trovato a casa di Evan nella speranza di inciampare di nuovo in essa, ma
tutte quelle lettere e quei vocaboli così confusi ed estranei avevano
semplicemente aumentato la sua confusione.
Se solo fosse stato in grado di
ricordarla, forse Yuri lo avrebb…
- Balnìtza.
-
Osservò pacata la voce di Yuri che era apparso alle sue spalle e ora stava spiando il
foglietto posato sulle sue ginocchia.
Il rosso alzò un sopracciglio
affondando le mani nelle tasche dei pantaloni.
- Eh?! -
Esclamò il biondo colto alla
sprovvista.
Alzò incredulo la testa verso l’alto
incontrando, a pochi centimetri dai suoi, i freddi e taglienti occhi del russo
che lo fissavano noncuranti del suo stupore.
Yuri sfilò una mano dalla tasca e, curvandosi da dietro le
sue spalle, gli rubò la penna dalle dita correggendo con una facilità quasi
sfacciata la parola che per tutto quel tempo Max aveva scritto e riscritto
invano.
Alcuni ciuffi rossi del ragazzo
gli pizzicarono la guancia provocandogli un leggero prurito.
Il bladebreaker
si strofinò la gota con il dorso della mancina e riportò lo sguardo sulle sue
gambe dove giaceva il foglio incriminato.
Quasi per magia riconobbe
immediatamente quel vocabolo che tanto a lungo aveva cercato.
“больница”
- Ospedale…
- Bisbigliò il rosso tornando in una posizione eretta e lasciando cadere la
penna sulle ginocchia di Max. – Non è questo che volevi scrivere? –
La mano ritornò nella tasca dei
jeans mentre il suo proprietario si avvicinava all’armadio già aperto spiandone
l’interno in cerca di un ricambio per Kei.
Il biondo rispose distrattamente
con un piccolo cenno del capo che l’altro, dandogli le spalle, non poteva di
certo aver notato.
Come non poteva aver notato l’improvviso
e intenso flusso di emozioni che avevano cominciato ad alternarsi contrastanti
sul suo volto.
Stupore…
… gioia…
… sconcerto…
… ansia.
Finalmente ogni pezzo trovava il
suo posto.
Nella sua mentre cominciavano a
delinearsi a grandi linee una trama o quantomeno le basi che avevano dato
inizio a quella storia.
Che fosse un caso?
Un brutto equivoco?
Persino lui dubitava che lo fosse…
I fatti erano paurosamente chiari.
“No!”
Che stava pensando…
non erano affatto chiari.
Kei non era quel tipo di persona…
Poteva solo supporre che…
Lanciò uno sguardo incerto verso
il cumulo di coperte sotto il quale riposava l’amico e, nonostante queste, lo
vide rabbrividire.
- La polizia lo sta cercando… - sussurrò il biondo atono.
Non era una domanda, ma Yuri rispose ugualmente mantenendo sempre un tono di voce
basso per non disturbare l’amico ammalato.
- Perchè
è scappato di casa. E’ questo che succede quando la gente scompare. –
Con un’espressione soddisfatta, Yuri sfilò dall’armadio una pesante tuta blu, la sbatté un
poco per liberarla da eventuale polvere e si voltò per avvicinarsi al letto.
Accorgendosi dell’inquietudine
dell’americano aggiunse beffardo: - Non ti preoccupare. Qui non verranno mai a cercarlo… -
- Vogliono…
arrestarlo? -
Quelle parole così improvvise,
sussurrate con apprensione, ruppero per un istante la maschera di distacco
indossata dal rosso.
Per un po’ non seppe cosa dire.
La prima impressione fu che
l’avesse chiesto così per caso, spinto dall’ingenuità, ma qualcosa nella sua
espressione e nella sua voce gli diceva che non era così.
Esitò, colto alla sprovvista, incapace
di capire come avesse fatto Max a scoprirlo e soprattutto quanto sapesse.
- Come…?
–
Riuscì appena a farfugliare.
- Ho visto…
su un giornale… -
- Un giornale? Quando…
tu non sai il russo. –
- Diciamo solo che mi hai appena
dato una mano a capire… -
Gli occhi celesti del rosso si
soffermarono veloci sul foglietto che ora giaceva abbandonato a terra.
Qualcosa di molto simile al
rimorso gli alterò i lineamenti mentre a poco a poco la consapevolezza del suo
gesto gli attraversava la mente.
“Quindi sa anche quello…”
Si pentì di essere stato così
disattento; Max era una persona tutt’altro che stupida.
- Gli altri non devono saperlo. –
Rispose immediatamente mettendo da
parte le domande e toccando uno dei punti focali della questione.
- Cosa? – Stavolta toccò a Max
stupirsi. – Tu già sapevi? Allora perchè… -
- Sta a Kei
spiegare, ascolterò quelle voci solo dopo aver sentito la sua versione… -
“Quelle voci?”
Max aprì bocca per ribattere con
la strana sensazione di aver colto solo una piccola parte della verità, ma la
sua attenzione cadde inevitabilmente sul diretto interessato.
Kei era immobile, non sembrava aver ascoltato neanche una
parte del loro discorso.
Che si fosse riaddormentato?
- Pensi che noi invece potremmo farlo?
Dare ascolto a quelle voci, intendo… – Mormorò indignato all’indirizzo di Yuri fingendo di sapere più di quanto in realtà avesse
intuito.
L’altro lo squadrò con sospetto e
allora Max continuò.
- Qualsiasi cosa possano dire… Credi che noi potremo dare ascolto a quelle voci?
Pensi davvero che io… o Takao
o Rei… -
- Kei è
ricercato per tentato omicidio, Max. – Lo interruppe Yuri
sbattendogli in faccia la dura verità senza un minimo di riguardo. – Questo
l’avevi capito? –
Yuri era terribilmente sveglio, Max non poteva nascondergli
ciò che non sapeva.
A quella rivelazione gli occhi
cobalto del biondo si riempirono di orrore.
Per Yuri
fu più che sufficiente.
- Gli altri non lo devono sapere.
– Decretò irremovibile.
Max si portò una mano a
nascondersi il volto.
“Tentato omicidio? E’ assurdo! Tutta questa situazione
è assurda…”
Aveva capito…
aveva intuito qualcosa di simile, ma non di una tale gravità.
HitoHiwatari era stato
ricoverato in ospedale la sera stessa in cui Kei era
fuggito, questo aveva scoperto; inizialmente aveva pensato che il vecchio fosse
stato colto da un malore durante un litigio con il nipote, ma l’ipotesi era
vaga se confrontata con il conseguente comportamento di Kei.
Perché scappare abbandonando il
nonno sofferente al suo destino? Era pur sempre suo nonno…
e ciò non spiegava neanche il ricorso alla polizia per il suo ritrovamento; Hito aveva i suoi uomini per riprendersi il nipote, erano
sotto il suo diretto controllo e avrebbero lavorato nell’ombra, senza allarmare
i reporter. Il vecchio non amava finire nel mirino dei giornalisti dando loro
l’opportunità di ficcare il naso nei suoi affari di discutibile legalità.
Scartata quell’idea la sua immaginazione era partita offrendogli innumerevoli
altre teorie; quella dell’arresto era solo quella che lo spaventava di più che
l’accusa fosse poi per tentato omicidio non aveva nemmeno voluto considerarlo.
Mai e poi mai avrebbe osato
pensare a una cosa così assurda… ad un fatto così
distante dalla sua realtà, più adatto ad un poliziesco che alla sua vità, ma soprattutto lo sconvolgeva il fatto che il
colpevole potesse essere proprio Kei.
Il colpevole.
- Non è lui il colpevole. – Disse
il rosso leggendogli nel pensiero.
- Come lo sai? –
Rispose il biondo speranzoso.
- Perché mi fido di Kei. –
I suoi occhi, la determinazione
nella sua voce, lo trafissero come una lama d’acciaio.
“E’ solo una sua constatazione, non ha modo di provare che
questa sia la verità.”
Quel pensiero spazzò via dalla sua
mente ogni barlume di speranza.
- Anche gli altri dovrebbero saperlo… - Sussurrò infine.
- Non prima di aver parlato con Kei. –
- Loro sono coinvolti in questa
faccenda tanto quanto noi. Capisci che in questa situazione potremmo…
ma che dico…siamo
suoi complici? Hanno il diritto di sapere cosa stanno rischiando!–
La voce del biondo era come il
ringhiare di un animale, non potendo alzare la voce, le parole gli uscivano
strozzate incapaci di contenere la frustrazione del ragazzo.
Yuri sapeva che aveva ragione, ma non era quella la strada
giusta.
- Dico solo di aspettare ancora un
po’. Fino a quando Kei non si riprende. –
- Nel frattempo potrebbero averci
già trovati. –
- Ma ci hai sentiti prima? –
Sibilò Yuri incredulo. - Ora come ora non riusciamo a
trovare un modo per curare Kei, come pensi che potrebbero
farlo con l’angoscia di poter essere arrestati da un momento all’altro? Per non
parlare del sospetto che si insinuerebbe in loro al solo pensiero che Kei possa essere veramente colpevole. –
- Anche noi abbiamo fiducia in
lui! –
- Non lo metto in dubbio,
biondino, dico solo che è mi è bastato osservare la tua espressione poco fa per
farmi capire che infondo la ritieni una cosa possibile. –
Max rimase senza parole.
Era vero.
Per lui quella era una
possibilità, ma non avrebbe mai marchiato Kei come un
assassino, doveva esserci stata una ragione valida.
- Vuoi farmi credere che a te
invece non è mai passato per la mente che potesse essere stato lui? Dubito
altamente che sia così, Yuri, anche se me lo giurassi
in questo momento. –
- Lo ha fatto, ma ho avuto più
tempo per assimilare la cosa e per farmi un’idea di come siano andate veramente
le cose. E’ una cosa che riesco a gestire molto meglio di voi. –
- Oh, ma certo…
tu sei il glaciale Yuri. Freddo quanto un cubetto di
ghiaccio. –
Il russo alzò un sopracciglio,
indispettito da tutta quell’ironia gratuita.
Resosi conto dell’assurdità appena
detta, Max alzò la mano quasi volesse cancellare l’ultima battuta.
- Mi spiace…
ma tutto questo è così incredibilmente assurdo… -
Si sedette sul bordo del letto
scuotendo la testa amareggiato.
Alle sue spalle il respiro
affannoso del malato era tutto ciò che testimoniasse la sua presenza nella
stanza.
Ma davvero stava dormendo?
Possibile che tutto il loro
vociare non l’avesse minimamente disturbato?
Stava… fingendo?
Si sporse all’indietro sotto lo
sguardo perplesso di Yuri e cercò il suo volto sotto
le coperte.
Scorse appena la sua fronte sudata
poco prima di bloccarsi interdetto.
Ma che stava facendo?
Si rimise in piedi avvicinandosi
alla porta.
Si fermò poco prima di aprirla con
la mano ancora appoggiata alla maniglia.
- Vado a parlare con gli altri… - Con la coda dell’occhio, Yuri
vide il mucchio di trapunte sobbalzare lievemente a quelle parole. – … dobbiamo
cercare qualcuno che possa aiutarci a guarire Kei. –
Detto questo il biondo uscì
richiudendosi la porta alle spalle lasciando il rosso solo, con in mano ancora
la tuta di ricambio per Kei.
…
Yuri si avvicinò al letto sedendosi sulla sponda per
scostare di poco le coperte.
- Ti ho visto. Sei sveglio. –
Dal cumulo di stoffe non scaturì
alcun suono.
- Lascia almeno che ti cambi i
vestiti. Sei tutto sudato. –
Dopo un altro lungo silenzio, il
rosso decise di avvalersi della regola “chi tace acconsente” e con molta calma
iniziò ad alzare le coperte fino a scoprire il dorso del ragazzo.
Se ne stava fermo.
Rannicchiato su un fianco.
Gli occhi rossi, socchiusi, quasi
volesse ripararsi dalla luce, scrutavano vacui le dita della sua stessa mano a
qualche palmo dal naso.
Respirava con la bocca traendo
piccole e rapide boccate.
Dopo qualche istante con un lieve
mugugno si mosse sui gomiti e decise di stendersi a pancia in su puntando il
suo sguardo febbricitante verso Yuri.
Aveva il volto pallido e gli occhi
segnati da profonde occhiaie.
Il rosso abbassò la testa evitando
di guardarlo, innervosito dallo stato in cui versava il suo ex-compagno di
squadra; quel ragazzino orgoglioso e scorbutico con cui aveva condiviso parte
della sua infanzia in quel triste monastero.
- Kakzsdaròvie? –
Gli chiese informandosi sul suo
stato di salute.
Domanda inutile, ma inevitabile.
Parlò in russo senza nemmeno
accorgersene, avvolte capitava, ma solo in particolari situazioni: quando si
infuriava o quando tentava di essere discreto.
Questo rientrava sicuramente nel
secondo dei casi, ma il suo goffo tentativo di apparire gentile non ottenne
alcuna risposta.
D'altronde era sufficiente
guardarlo per capire che non stava affatto bene.
Yuri voleva solo tracciare le basi per introdurre un discorso.
- Ten…tato omicidio? –
Sussurrò improvvisamente il
ragazzo con la voce arrochita.
Almeno adesso Yuri
era sicuro che Kei non aveva perso una parola del
loro discorso.
- Sei sorpreso? –
Domandò con una nota di ottimismo:
una risposta affermativa avrebbe sicuramente dissipato ogni suo dubbio riguardo
una eventuale colpevolezza.
Tuttavia un sorriso amaro increspò
le labbra del malato sfumando quel barlume di speranza che aveva così avuto una
vita tanto breve.
Kei scosse il capo in segno di diniego.
Il russo notò che tendeva a
strizzare leggermente gli occhi tenendoli socchiusi nonostante nella stanza la
luce non fosse così forte da essere fastidiosa, tutt’altro, si poteva dire che
erano quasi in penombra.
- Ne vuoi…
- Yuri fu costretto ad interrompersi quando Kei ebbe un colpo di tosse, quando questo cessò, dovette
ripetersi. – Ne vuoi parlare? –
Ancora una volta Kei scosse il capo.
L’altro sbuffò passandosi una mano
tra i capelli.
In risposta si guadagnò quella che
doveva essere l’ombra di un’occhiataccia.
Kei strizzò ancora gli occhi e allora Yuri
decise di far qualcosa.
Si voltò verso il comodino e
osservò la tinozza piena di acqua fredda poggiata accanto ai Bey Blades, sul bordo era appoggiata la pezza ancora umida.
Si allungò sul posto per
afferrarla, la inzuppò nell’acqua, la strizzò e ritornò a guardare il
russo-nipponico.
- Se la tieni un po’ su, gli occhi
dovrebbero smettere di bruciarti. –
Disse posando la pezza bagnata a
coprirgli sia le palpebre, ora chiuse, che la fronte.
Kei sospirò traendo un poco di sollievo dal contatto freddo
della stoffa sul suo volto accaldato.
Alzò una mano per posizionarla
meglio notando che al tocco delle sue dita questa, al contrario, appariva tiepida.
- Kei… -
Iniziò il rosso soddisfatto di vedere che l’amico aveva apprezzato il suo
gesto. – Quando ti eri ammalato di polmonite, come ti avevano curato? –
Il ragazzò
sospirò storcendo la bocca, ma Yuri non potè capire molto dalla sua espressione perché parte del
viso era coperto dalla pezza.
- Io… -
disse Kei debolmente. - …non
mi ricordo. –
Il volto del russo si indurì.
L’ultima speranza di Yuri era andata in frantumi.
- La prima volta…
- continuò Kei. – Mi portarono in ospedale…
ma ero troppo piccolo... –
Kei si sforzava di parlare, ma si vedeva che ciò gli
costava un’immensa fatica.
Yuri era diviso a metà; combattuto fra la necessità di
lasciare riposare l’amico e fra il bisogno disperato di trovare un modo per
aiutarlo a guarire.
- Le altre volte mi hanno curato a
casa… con antibiotici… non
so, non mi ricordo… -
La sua voce si spense in un
soffio.
Yuri capì che non poteva chiedergli di più.
Rimasero in silenzio per una buona
manciata di minuti.
Il rosso lo fissava, cercava di
immaginare i suoi occhi chiusi, sotto la pezza candida.
Kei si era addormentato…
Lo capiva e non aveva intenzione
di disturbarlo oltre.
Si alzò, gli rimboccò nuovamente
le coperte e lasciò la tuta di ricambio ai piedi del letto, per quando si fosse
risvegliato.
Antibiotici… forse in farmacia avrebbero saputo dirgli qualcosa, ma
senza la ricetta di un dottore non poteva andare lontano.
Avrebbe voluto rischiare…
Avrebbe voluto chiamare un medico.
Si passò una mano fra i capelli
pensoso, scompigliandoli un poco.
Aveva bisogno di uscire…
Doveva rinfrescarsi le idee…
Aprì la porta entrando nel
soggiorno.
Gli altri quasi non si accorsero
di lui.
Fecero appena in tempo a cogliere
la sua figura che attraversava la stanza…
…afferrava al volo il piumotto dall’attaccapanni…
…e usciva dall’appartamento chiudendosi la porta alle
spalle.
…
‘Sera…
sono tornata… in ritardo…
ma non è colpa mia! çOç
Il mio pc
muore spesso ultimamente, ho dovuto spedirlo due volte a riparare e ancora
adesso, anche se funziona, non hanno ancora capito cosa aveva!! çoç
Il capitolo era già pronto mancava
la parte finale…
Vi chiedo scusa, ma penso che
ormai ci siate un po’ abituati (o sicuramente esasperati da tutto ciò) vero? ç.ç’’’’
Cmq…il capitolo è
venuto un po’ troppo lungo.
A questo punto non so più come intrepretare questa storia, forse ha preso una piega troppo
banale o forse ha solo bisogno di una pubblicazione più costante in modo da
assimilare meglio i fatti (lo so… colpa mia…ç.ç).
E’ completamente diverso da quello
che mi aspettavo, come solito, e ho anche velocizzato notevolmente la storia… tutto ciò inconsapevolmente. Alla fine Kei e Yuri dovevano adirittura litigare e il rosso doveva andare via infuriato,
ma ho pensato che Kei fosse troppo debole anche solo
per provare a opporsi a Yuri…mhm…
Chiedo scusa di nuovo per tutti
questi incovenienti e vi ringrazio come sempre per
tutto il supporto che mi date con i vostri commenti.
Ho notato che quando il giovane Kei è in difficoltà vi divertite! Furbone! Siamo fatte
proprio della stessa pasta. xD
I vicoli di Mosca erano freddi,
grigi e deserti; la neve sciolta e sporca si accumulava negli angoli tra gli
edifici e nei bordi dei marciapiedi.
Le nubi incombevano cupe e
pesanti, cariche di pioggia.
Da est soffiava un vento secco che
faceva sbattere le imposte dei condomini e le insegne delle botteghe in un
continuo schioccare di legno e plastica contro pareti di cemento e
mattoni.
A regnare vi era un gelo “sordo”,
non quel tipo di freddo pungente che ti penetra nelle ossa e ti fa battere i denti come se avessero vita propria, era
un freddo diverso, si percepiva allo stesso modo in cui, per qualche assurda
ragione, si avverte lo sguardo di qualcuno, alle proprie spalle, fisso su di
sé.
Tuttavia, per un ragazzo come lui,
abituato a un clima ben più rigido, l’aria fresca non poteva che infondere un
piacevole sollievo, come un balsamo che aveva il potere di rilassarlo e di
scacciare via ogni inquietudine semplicemente solleticandogli la pelle chiara.
Teneva gli occhi bassi, sulle mattonelle
umide e scivolose, prestando attenzione al suono dei suoi passi e a quello
attutito della città.
Raggiunse un piccolo portico
sorretto da un colonnato, sotto di esso erano state messe alcune panche in
marmo bianco, forse un tempo erano lisce e candide, ma ora erano scheggiate
dagli anni e deturpate da tante, minuscole, scritte colorate fatte con
pennarelli indelebili.
Ne raggiunse una,
sulla superficie vi erano incisi due
nomi in alfabeto cirillico incorniciati da quello che doveva essere un cuore, a
suo parere disegnato veramente male.
Ignorò le altre scritte e si
sedette allargando le gambe e poggiandovi sopra gli avambracci.
Piegò il capo in avanti, il
cappuccio del piumotto bianco gli nascondeva il volto, solo qualche ciuffo
rosso spiccava traditore ai lati del viso o davanti agli occhi, ma non vi
prestò attenzione.
Era stato un gesto sconsiderato
uscire di casa in quel modo.
Senza dare spiegazioni a nessuno.
Senza nessuna precauzione.
Specialmente da parte sua che
meglio di tutti conosceva la situazione critica in cui si erano cacciati.
E aveva anche scordato il
cellulare.
Ciò nonostante non aveva altra
scelta.
Aveva bisogno di pensare e chiuso
in quel buco di casa, in compagnia di gente ancora più in agitazione di lui,
non lo aiutava.
Anche lui aveva le sue necessità
dopotutto, voleva il suo spazio, un po’ di solitudine e altrettanto silenzio.
Ora li aveva, ma ancora non
trovava una soluzione.
Quel ragazzetto presuntuoso che
gli stava causando così tanti problemi chiedeva troppo al suo genio.
Non poteva portarlo in ospedale,
non poteva consultare medici e non poteva lui stesso improvvisarsi dottore.
Che altre alternative aveva?
Svaligiare una farmacia, prendere
qualche antibiotico a casaccio e testarlo su di lui?
Poteva portarlo in un ospedale fuori
città, forse la notizia non si era ancora propagata e avrebbero avuto meno
possibilità di essere denunciati dagli stessi dottori, ma come si fa a muoversi
liberamente per Mosca quando il povero bisognoso era ricercato dalla polizia?
Per non pensare delle
ripercussioni che il viaggio gli causerebbe.
Si alzò in piedi.
Stando li fermo non avrebbe
risolto nulla.
Fece qualche passo attorno alla
panca in marmo e poi ritornò a sedersi.
Non aveva senso esporsi
ulteriormente rischiando di incontrare qualcuno.
Yuri non se ne accorse, ma chiunque, guardandolo da fuori,
si sarebbe accorto che qualcosa in lui non andava.
La gamba gli tremava per il
nervoso scuotendo i lacci slacciati dello stivaletto, le mani non riuscivano a
restare ferme nello stesso punto per più di due secondi e pesanti sospiri
creavano nuvolette bianche attorno a lui a intervalli quasi regolari.
All’improvviso qualcosa gli
artigliò la gamba cogliendolo così di sorpresa da farlo balzare in piedi con un
urlo soffocato. Ebbe appena il tempo di voltarsi e scorgere un gatto che gli
soffiava contro, rizzando il pelo bianchiccio per poi fuggire spaurito
attraverso il porticato.
Forse tra i due era l’animale il
più terrorizzato eppure il cuore gli batteva come se avesse appena terminato il
quinto giro di corsa attorno alla Piazza Rossa.
“E’ solo un gatto!”
Si passò una mano sul viso
cercando di scacciare un po’ di tensione.
Esaminò la gamba che aveva appena
subito l’assalto e notò con fastidio che i pantaloni non ne erano usciti
incolumi.
Uno strappo della lunghezza del
suo indice metteva a nudo la pelle chiara, fortunatamente illesa.
Si accovacciò per allacciarsi i
cordoni dello stivaletto; probabilmente erano stati quelli ad attirare
l’attenzione dell’animale. Sentì le mani tremargli debolmente mentre stringeva
la ciocca e si rialzava in piedi.
Almeno doveva ritenersi fortunato
che nessuno di sua conoscenza avesse assistito alla scena, altrimenti qualcuno
come Takao non avrebbe perso occasione di
rammentargli quella figuraccia ogni qualvolta gli fosse affiorata alla mente.
L’ennesimo sospiro sfuggì fumando
dalle sue labbra socchiuse.
Voleva urlare, correre dietro a
quel maledetto gattaccio, urlargli dietro tutta la sua frustrazione e poi
riprendere a correre, correre fino al monastero e poi fino a villa Hiwatari e poi magari avrebbe trovato Evan
lungo la strada... lo avrebbe riempito di botte e lasciato sul ciglio della
strada mezzo morto, poi avrebbe corso ancora e ancora, fino all’ospedale dove
era ricoverato Hito e dopo aver riempito anche lui di
legnate sarebbe tornato al monastero… lontano dal
mondo, al sicuro sebbene prigioniero, nella sua piccola stanza spoglia, con Sergei che giocava rumorosamente a carte con gli altri
ragazzi nella camera accanto e Boris che si lagnava mandando per l’ennesima
volta sua nonna a quel paese.
Un ghigno gli increspò le labbra.
Per un attimo la nostalgia offuscò
i suoi brillanti occhi celesti.
“E’ vero… Boris si lagna in
continuazione.”
E così, in mezzo a quelle
deliranti fantasie adolescenziali, insieme all’immagine del ragazzo che
imprecava contro la nonna, arrivò anche lei.
Arrivò.
La luce, la proverbiale lampadina,
l’illuminazione, l’ispirazione… un’idea.
Una speranza.
Lo colse così all’improvviso, con
così tanta veemenza che non si rese nemmeno conto che, stavolta, si era messo a
correre per davvero.
In un battito di ciglia aveva già
percorso l’intero porticato, il cappuccio gli cadde sulle spalle, ma lui fu
pronto ad alzarlo nuovamente a coprirsi il volto.
Euforico va anche bene, ma non
ancora tanto sciocco da farsi riconoscere da qualcuno nel suo momento di
rivalsa.
La tensione di prima non c’era
più, sparita, sciolta come neve al sole.
Con la coda dell’occhio intravide
di nuovo il gatto bianco; appena il felino percepì la sua presenza si mise in
fuga, come un topolino che si affretta a tornare nella propria tana.
Purtroppo per lui, Yuri decise di non dargli tregua.
Veloce come un lupo, inseguì la
sua preda e lo prese al volo mentre saltava oltre un muretto.
L’animale era poco più che un
cucciolo, ma vendette cara la pelle: si agitò terrorizzato nella sua presa soffiando
e lanciando zampate all’aria.
Yuri lo tenne a distanza di sicurezza tendendo le braccia e
tenendolo sollevato in alto.
Le zampette si impigliarono più
volte nel tessuto del piumino senza avere la presa sufficiente per strapparlo e
presto i suoi colpi si fecero sempre più fiacchi.
Il rosso sorrise soddisfatto
quando finalmente l’animale si bloccò lanciandogli uno sguardo di sfida, le
pupille strette in un sottile ago al centro dell’iride verde.
- Nessuno vuole farti del male.
Cerca di calmarti. –
Naturalmente il gatto non aveva
capito una sola parola pronunciata dal russo, tuttavia abbandonò eventuali
atteggiamenti ostili e se ne uscì addolcendo lo sguardo ed emettendo un flebile
miagolio.
Probabilmente il cucciolotto tentava di conquistarsi la libertà ricorrendo
alla carta “pucciosità”, ma Yuri,
con il potere conferitogli dalla libera interpretazione, prese per un consenso
il piccolo tentativo di corruzione del felino e stringendolo sotto il suo
cappotto si avviò a passo spedito lungo la strada.
La testolina bianca dell’animale
che fuoriusciva dall’indumento lo scrutava con occhi accusatori, ma non tentò
di fuggire attratto come era dal calore di quel soffice piumino bianco.
Yuri affrettò ulteriormente il passo e ben presto, senza
accorgersene, si rimise a correre.
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
- Mi passi quello? –
- Eh? –
Kei si voltò seguendo il suono di quella voce.
Fu come aprire gli occhi in una
stanza buia.
Le tenebre la facevano da padrone
in quel… luogo.
Era come se l’unica fonte di luce fosse
emanata dal suo stesso corpo: poteva vedere le sue mani, i suoi piedi, ma non
ciò che c’era oltre.
Non c’erano orizzonti in vista, né
cielo o soffitto, né suolo o pavimento.
Tutto era oscurità, persino lui,
si accorse, vestiva in nero.
- Allora? Mi passi il cappello? –
Kei riconobbe subito la voce, ma non riuscì vederne il
proprietario.
- Evan?
Dove sei? Di che stai parlando? –
Si guardava intorno continuando a
seguire l’eco di quelle parole, ma ciò che vedeva era solo il nulla.
- Sono qui. –
Alla fine, a pochi passi da lui,
apparve.
Era la stessa oscurità a dargli
forma, prendeva corpo da essa e allo stesso tempo fuoriusciva da essa, come se
stesse riemergendo dall’acqua dopo esservi stato appena immerso; un’acqua nera,
opaca, viscida come il petrolio.
Ora Evan
era di fronte a lui, i capelli neri, lisci e ordinati che gli sfioravano le
vene del collo, la pelle scura che risaltava di poco sullo sfondo di pece.
Non incontrò il suo sguardo,
impegnato com’era ad abbottonarsi una camicia nera di foggia antica che cascava
sopra morbidi pantaloni di stoffa del medesimo colore.
Riusciva a distinguere nettamente
la sua figura su quello sfondo scuro, sebbene non vi fosse nessuna reale fonte
luminosa, come se fosse Evan stesso ad emetterla.
Kei rimase immobile a osservarlo, i suoi occhi registravano
meccanicamente tutto quello che era possibile vedere, ma la sua mente era in
fermento, immagazzinava e cercava di rielaborare più informazioni possibili in
modo da fornire una valida spiegazione.
Alla fine il suo cervello decretò
l’unica possibile soluzione.
“Sto sognando.” Quel
pensiero, con suo stupore, riuscì in parte a tranquillizzarlo.
- Esattamente. – Rispose con
tranquillità Evan leggendogli nella mente.
Questa inaspettata abilità non
parve stupire particolarmente il russo.
“Dopotutto è il mio sogno…” Si scoprì di nuovo a pensare.
Vide il moro allungare una mano
sopra la sua testa ed estrarre dal buio, o dal nulla, una giacca nera, come se
fino ad ora fosse stata appesa ad un attaccapanni proprio lì sopra.
Se la infilò e, per la prima volta
da quando era apparso, Evan guardò Kei.
I suoi occhi verdi, brillanti e indagatori,
lo fecero sentire a dir poco a disagio, ma nonostante ciò l’espressione del blader non lasciò passare alcuna emozione.
Nemmeno per un secondo i suoi
occhi rubini lasciarono trasparire la confusione che lo agitava all’interno.
Kei e Evan non avevano mai
provato simpatia l’uno per l’altro, era stata la necessità a far si che i due
collaborassero ed inoltre lui aveva un debito nei confronti del ventenne: lo
aveva aiutato per ben due volte.
Il moro sorrise con quel suo
tipico fare enigmatico e allungando una mano indicò un punto poco più sopra
della sua spalla.
- Il cappello…
-disse semplicemente in tono amabile.
Kei provò a cercarlo, ma nel punto indicato da Evan non c’era niente; sentendosi anche un po’ ridicolo
provò ad afferrare l’aria, ma le sue mani non trovarono nulla con la
consistenza maggiore di una molecola d’ossigeno.
Evan parve trovare la cosa divertente.
Gli si avvicinò e allungò una mano
quasi a sfiorandogli la guancia, dal nulla levò un cappello a cilindro con la
stessa destrezza di un prestigiatore che sfila una monetina da dietro
l’orecchio.
Invece di divertirlo, il trucco
servì solo ad aumentare il disappunto del blader.
- Non sarebbe una cattiva cosa se
mi spiegassi che cosa succede… - sibilò senza
preoccuparsi di apparire provocatorio.
Il lampo di un sorriso e due iridi
verdi tornarono a fissarlo. - Credo che sia quella cosa che capita quando
chiudi gli occhi e dormi… alcuni la chiamano sognare.
– Lo sbeffeggiò il moro rigirandosi il cappello tra le mani.
Con pazienza, Kei
finse di non aver notato la spiacevole battuta di scherno. -Credevo che questo fosse già chiaro. –
Evan fece spallucce.
- Allora non vedo che cosa ci sia
da spiegare. – Di nuovo quel tono canzonatorio.
L’impulso di colpirlo costò a Kei un’altra buona dose di autocontrollo, ma servì solo ad
aumentare la sua determinazione.
- E questo posto? –
- Di certo il prodotto di una
mente malata, in questo caso la tua, e con malata non intendo alludere alla tua
polmonite... –
Kei era sicuro che, continuando con quei toni, ben presto la sua
calma si sarebbe presa un giorno di ferie.
- Se il massimo che la mia mente è
in grado di produrre sei tu allora credo che presto avrò veramente bisogno di
consultare uno psicologo. –
- A Evan
certo non farà piacere sapere di presenziare nei tuoi sogni…
–
- Tu sei Evan…
- Sbottò di colpo Kei non completamente certo di
quello che stava affermando.
- Sì, io sono Evan,
ma solo perché adesso vuoi che io lo sia. La mia immagine cambia a seconda del
tuo stato d’animo. –
- Significa che ho voglia di
essere provocato? Esattamente… a quale mio lato
emotivo corrisponderebbe la figura di Evan Andrew, se
mi è concesso saperlo? -
L’altro sorrise affascinato come
se il ragazzo posto a fronteggiarlo avesse appena compiuto qualche complicata
acrobazia.
- Mi piacerebbe dire che è la tua
parte allegra, frizzante e piena di aspettative per il futuro, ma temo che sia
quella che più di tutte dispera di consigli o… di una
guida. –
Per un attimo Kei
temette di scoppiare a ridere. – Evan è ciò che meno
si avvicina ad essere una guida di qualche tipo… -
- Eppure è stato lui ad aiutarti
quella volta nel vecchio teatro in restauro… non è il
suo letto quello in cui stai dormendo ora? Ma aspetta…
non è stato proprio lui che ti ha fatto scappare da villa Hiwatari
quella notte? Ma si, quella in cui hai quasi accoppato il vecchio. Non oso
immaginare come te la saresti cavata senza di lui…Mhm… stai aspettando che anche questa volta sarà lui a
salvarti? Spunterà fuori con qualche miracoloso medicinale in grado di curare
tutti i mali del mondo? Non credi che sia il momento di arrangiarsi un po’ da
sé? –
Per un istante, l’aria, lo spazio
e perfino il sorriso di Evan sembrarono raggelarsi.
Kei ne aveva abbastanza...
– Non gli ho chiesto nulla, ha
agito di testa sua. -
… discolparsi proprio di fronte
all’immagine del moro, udire una simile sentenza pronunciata con quella voce carica
di scherno…
- Se ha agito così è solo perché la
cosa gli faceva comodo. -
… il solo parlare di Evan quando proprio nel momento in cui i suoi profondi
occhi verdi sono fissi su di te, carichi di arroganza…
- Se qualche volta si è dimostrato
disponibile è solo per correttezza rispetto ad Ada. –
… rendeva tutto così triste e
confuso.
L’ombra di Evan
non rispose, sembrò riflettere per qualche istante prima di acconsentire con un
singolo cenno del capo. – Ada… - Assaporò quel nome
come fosse un fiocco di neve sciolto sulla lingua. - La gemellina
storpia. Sì, questo te lo deve. –
Kei non riuscì ad aggiungere altro.
Sentiva che qualsiasi altra cosa sarebbe
stata di troppo.
L’altro si lisciò il bordo del cappello
a cilindro con una mano, raddrizzandolo sulla testa, conciato in quel modo dava
l’impressione di essere appena uscito dal set di Jack lo Squartatore.
- Come sto? – Chiese con un punta
di orgoglio nella voce.
Kei non gli diede nemmeno la soddisfazione di ricevere una
risposta.
- Quand’è che mi sveglierò? –
Sussurrò il blader
più a se stesso che ad altri.
A disagio, avvertì una strana
sensazione invadergli il corpo; lo avvolse come l’oscurità agiva su quel luogo
e gli si appiccicò addosso come una maglietta bagnata: fredda e pesante.
Era una sensazione di vuoto… di impotenza.
Evan sollevò un sopracciglio mentre faceva letteralmente
sprofondare le mani nell’aria.
- Svegliarti? – Quando le sue dita
riemersero nuovamente da quelle tenebre liquide, erano fasciate fino al polso
da opachi guanti di seta nera mentre nella mancina reggeva un lungo bastone da
passeggio con in cima una testa di aquila in oro rosso. – Tesoro mio, sei molto
malato, pensi ancora di avere anche solo la forza di svegliarti? –
Il cuore di Kei
perse un battito.
Qualcosa era cambiato.
La voce era cambiata, non era la
voce di Evan che aveva parlato, ma la voce di un
ricordo.
Alzò gli occhi e fissò ciò che un
tempo era stato Evan…
… e si accorse che era proprio un
ricordo la persona che ora aveva di fronte.
Così bello e così doloroso come
solo una lontana memoria passata può essere.
Gli abiti che prima il ventenne
aveva indossato con tanta meticolosità, ora fasciavano un corpo femminile,
sotto il cappello a cilindro e i ciuffi di una folta chioma corvina brillavano
due occhi scarlatti, rossi e determinati come i suoi.
Eppure raramente il suo sguardo aveva
assunto lo stesso cipiglio dolce e gentile di quella donna.
Aprì più volte la bocca cercando
di dire qualcosa, ma altrettante volte essa si richiuse senza emettere alcun
suono.
- Che scherzo è questo? – Riuscì
infine a dire sforzandosi di mantenere un certo autocontrollo, tentando di
rallentare i battiti frenetici del suo cuore.
Sua madre sorrise, lo stesso
sorriso di quando lui era appena un bambino e lei era ancora viva.
- E’ semplicemente un sogno… - Rispose con la sua voce chiara e soffice.
Nell’udirla di nuovo parlare Kei fu quasi sul punto di gettarsi tra le sue braccia, ma
come lei stessa aveva detto: quello era un sogno e lei non era reale.
L’oscurità che li circondava parve
restringesi attorno a loro.
O era solo una sua impressione?
Per un attimo, ma uno di quei
attimi che sembrano durare intere ere, i due si osservarono immersi in una
silenziosa malinconia, alla fine fu lei a stringerlo tra le braccia.
Sembrava così vero, lei sembrava
così vera, il calore dei loro corpi e la morbidezza dei suoi capelli… perfino il suo profumo era come lo ricordava.
“E lei a quale mia emozione corrisponde?”
Kei ci stava quasi cascando; capiva che non era veramente
lei ad abbracciarlo, era il suo subconscio a far si che lei agisse in tal modo,
ma non vedeva cosa potesse esservi di male in questo.
Lei avvertì il suo timore e un
sorriso di miele le incurvò le labbra piene.
- Se non ti lasci andare nei tuoi
sogni, in che altro luogo speri di poterlo fare…- Gli sussurrò la donna all’orecchio.
Kei si concesse solo un attimo, solo un attimo per andare
contro i suoi principi, agire e fare ciò per cui, finita questa assurda
situazione, avrebbe provato un’immensa vergogna.
Era doloroso, era bello, era rassicurante… era falso.
Tuttavia fu la sua mano ad
alzarsi, a sfiorare la folta massa di capelli neri, lucidi, dal profumo quasi
palpabile. Vi affondò il viso e si abbandonò al calore e alla sicurezza di
quell’abbraccio, solo un secondo, solo un istante, ma lui era Kei e il suo orgoglio traditore era viziato ed era geloso.
“I ragazzi stanno passando l’inferno per aiutarmi e io
non ho niente di meglio da fare che farmi coccolare dall’ombra di mia madre…”
Tenne gli occhi bassi, sofferenza
e frustrazione vi vorticavano frenetici, non sapeva cosa più lo ferisse: il
cercare di rimpiazzare il vuoto lasciato da sua madre con patetici sogni
infantili o il fatto che era tanto orgoglioso da rifiutare perfino quell’unico,
possibile conforto che lui stesso si creava.
- Se mi aggrappassi ai sogni,
risvegliarsi sarebbe ogni giorno sempre più doloroso. – Rispose alla fine in
non più di un roco bisbiglio.
“O forse non mi risveglierei affatto.”
- Infatti non ti risveglierai… -
La voce era cambiata di nuovo.
Incredibile con quanta velocità
quella figura mutò.
Quando quelle braccia, non più lunghe
e sottili, scivolarono via da quell’abbraccio, furono due profondi occhi d’oro
a scrutarlo da sotto il cappello a cilindro.
Era ancora troppo scosso per
rendersi conto di quanto la ragazza che ora lo fronteggiava fosse decisamente
fuori luogo in quella situazione, eppure il riconoscere quel volto familiare e
allo stesso tempo così estraneo lo fece sentire meglio.
Era lei che cercava?
Cosa rappresentava per lui?
Di cosa aveva bisogno ora?
Subito si diede risposta.
Lei era il mondo.
Lei era il mondo di fuori,
estraneo, ignaro.
Il mondo che continuava a vivere
come sempre e all’oscuro di tutto.
Ma soprattutto, questo mondo non
lo conosceva e non lo poteva giudicare.
L’unica cosa che aveva potuto
osservare erano i suoi trionfi sul campo.
“Lei non sa cosa è accaduto in questi
ultimi giorni… per lei sono un semplice giocatore di
Bey, non un fuggiasco e nemmeno un assassino.“
- Questo vale solo
all’infuori dei sogni. – Rispose Mao Cheng leggendo i
suoi pensieri. – Qui dentro io so ogni cosa, più di chiunque altro all’esterno.
So cosa hai fatto, so cosa hai visto, so cosa hai subito. – Quello che incurvò
le sue labbra doveva essere un sorriso gentile, ma dal modo in cui mise in
mostra i canini pronunciati della ragazza assunse tutt’altra parvenza.
Se possibile, l’oscurità
attorno a loro sembrò diventare ancora più opprimente.
- Perché non dovrei
risvegliarmi? – Sentire la propria voce così distante lo colse di sorpresa.
- Perché così
funzionano i sogni, non hanno fine, solo interruzioni. Sono assurdi, scostanti,
senza rigore. Quando arriva la parte migliore semplicemente ti svegli. -
Kei sentì le labbra
stirarsi in un ghigno.
- Perfetto, allora
aspettiamo il bello della storia... – L’ironia intrecciata a quelle parole
suonò forzata persino a lui.
Lei non disse nulla
e lui gliene fu grato.
Non avrebbe saputo
quanto ancora avrebbe avuto la pazienza di stare al gioco.
Ad essere sinceri,
non sapeva che altro fare.
Voleva mettere fine
a tutta quella pagliacciata, ma era intrappolato e soprattutto cosciente di
essere in un sogno.
Darsi un pizzicotto
avrebbe funzionato?
- Hai paura Kei? –
Mao sorrideva ancora
con quel sinistro sorriso felino.
Eppure nella realtà
non ricordava di averla mai vista sorridere in quel modo.
Ci pensò per un po’
prima di rispondere.
- No. – Sancì con un
tono che non ammetteva repliche.
Se le labbra della
ragazza sorridevano, i suoi occhi non sembravano essere della stessa opinione.
- Ma quanto siamo
orgogliosi. Stai mentendo Kei. –
Anche il suo tono
non ammetteva repliche e ciò spaventava Kei più del
pensiero di essere effettivamente spaventato.
Questo perché se lei
aveva ragione e lei, come ben sapeva, altro non era che un’ombra del suo
subconscio, allora non era una questione di orgoglio, era lui che non si
conosceva affatto.
- Io ho paura? –
Forse, in un futuro
molto lontano, il pensiero di aver fatto una domanda del genere alla brutta
copia di una ragazza che appena conosceva e che distava leghe e leghe da Mosca,
avrebbe suscitato in lui un’insopportabile senso di vergogna.
Tuttavia Mao
sembrava non aver colto l’ironia di quella situazione perché con un sorriso
rispose con il tono più amabile che la sua voce poteva assumere.
- Vuoi sapere se hai
paura o quanto hai paura? –
“E’ inutile discutere con qualcuno che ti
legge nella mente.”
Il blader sospirò e la fissò di sottecchi cercando di salvare
la sua ormai già rovinata dignità assumendo l’aria più fredda e strafottente
coltivata in tutti quegli anni di vita.
- E’ qualcosa di cui
mi pentirò? -
Gli occhi d’ambra di
Mao luccicarono come se anch’essi volessero unirsi alla risata che le sfuggì
dalle labbra.
Per un istante la
ragazza orientale rise come se lui le avesse appena fatto un complimento, i
lunghi capelli rosa ondeggiarono sulle sue spalle e le solleticarono il collo
abbronzato, a contrasto con le tenebre di quel luogo sembravano quasi brillare.
All’improvviso lei
batté due colpi a terra con la punta del bastone, il loro eco si diffuse in
ogni direzione e quando Kei rialzò di nuovo lo
sguardo su Mao suo nonno lo fissò con duri e severi occhi grigio scuro.
In un'altra
occasione sarebbe certamente scoppiato a ridere nel trovarsi di fronte HitoHiwatari in abiti
ottocenteschi, ma era troppo impegnato a osservare la chiazza scura che aveva
cominciato a espandersi sul suo fianco macchiando prima la camicia e poi la
giacca.
Inconsciamente si
ritrovò ad arretrare di fronte al vecchio.
Sapeva che era tutta una
forzatura, che era prevedibile e che era proprio per spaventarlo che gli
avevano sguinzagliato contro il nonno, però la cosa stava funzionando.
Quest’ultimo lo fissava altezzoso,
i lineamenti duri e severi come quelli di una scultura appena abbozzata.
- Insolente come sempre, vero Kei? – Nel modo in cui lui lo pronunciò, il suo nome parve
quasi una bestemmia, qualcosa di cattivo e sudicio. – E come mai ti trovo così
in forma? Non eri malato? –
Kei non si accorse del movimento del vecchio, la presa improvvisa,
ferrea e brutale, con cui gli artigliò le spalle gli fece sfuggire un lamento
più di sorpresa che di dolore.
Il bastone con la testa rossa d’aquila
cadde a terra in un martellio che sembrò perforargli i timpani e rimbalzare
nella sua testa.
Cercò di liberasi dall’uomo prima
con uno strattone e poi spingendogli il petto a forza con le mani aperte.
Con un urlo strozzato le ritirò di
scatto dal corpo dell’uomo; i palmi bruciavano come se li avesse appena immersi
in una pentola di acqua bollente.
La macchia sul fianco del nonno si
era espansa, inzuppando il ventre di viscido liquido scarlatto e colando
lentamente lungo il fianco della gamba destra creando nient’altro di più che un
alone scuro su stoffa altrettanto nera.
“Lasciami, maledetto vecchiaccio!”
- Mi sembrava avessi la febbre alta… - Gracchiò con voce aspra l’uomo ignorando i suoi
pensieri.
Con calma e senza mollare la
presa, costrinse Kei ad indietreggiare.
Pochi passi e presto il ragazzo
sentì la sua schiena incontrare una resistenza, fili di fumo si alzarono quando
la stoffa della sua maglia sfiorò quella barriera invisibile e un calore
allucinante iniziò a ustionandogli il corpo senza però scalfirne la pelle
pallida.
Urla di dolore, di rabbia e di
paura perforarono le tenebre mentre con pugni e calci il blader
cercava di liberarsi subendo altre scottature ogni volta che i suoi colpi
urtavano il corpo del vecchio.
Era stato tutto così rapido,
doloroso, insensato.
Prima Evan,
poi sua madre, Mao e adesso suo nonno.
Strinse i denti cercando di
soffocare i gemiti, cercando di non dare altre soddisfazioni a quel vecchio,
tuttavia non poteva impedirsi di continuare a dimenarsi e scalciare; da parte
sua, suo nonno nemmeno sembrava sentirlo.
Panico e incredulità gli
annebbiavano la mente.
Solo una piccola parte del suo
cervello stava registrando ciò che avveniva intorno a loro: la barriera
invisibile, contro cui il vecchio lo teneva premuto, era la parete di un’enorme
sfera di vetro rovente che a poco a poco stava prendendo forma intorno ai due. Era
abbastanza grande da contenere più di cinque persone, ma l’aria al suo interno
era calda e rarefatta e in alcuni punti il vetro era scheggiato tracciando
grandi ragnatele spigolose tutt’intorno, eppure la sfera sembrava più solida e
resistente del diamante.
I suoi piedi cominciarono a
scivolare sulla superficie curva del globo e presto si ritrovò disteso a terra,
con le braccia dell’uomo che continuavano a tenerlo inchiodato al suolo e fili
di vapore che si levavano da sotto il suo corpo.
I vestiti non erano di grande
aiuto, ogni parte di lui che veniva a contatto con il vetro bruciava in modo
insopportabile mentre l’aria calda gli riempiva i polmoni ad ogni boccata.
Il sangue che aveva macchiato i
vestiti del suo tutore, scivolava copioso lungo le sue scarpe verniciate
gocciolando a terra in piccole lacrime scarlatte.
Con un ultimo disperato tentativo,
riuscì finalmente a liberarsi colpendo con entrambe le gambe lo stomaco
dell’aggressore, questi si alzò quasi più per fargli un piacere che per il
colpo subito.
Si allontano di qualche passo e si
fermò senza dire nulla, gli occhi grigi adombrati da altrettanto grigie
sopracciglia.
Kei si rimise maldestramente in piedi, respirando a fatica
l’aria rovente, le suole delle scarpe che ancora fumavano a contatto con il
vetro del globo.
Il suo corpo era bollente;
sembrava aver assorbito così tanto calore da non essere più in grado di
disperderlo, il cuore batteva febbricitante all’interno del suo torace
risuonandogli in gola, nelle tempie e nei posi.
L’oscurità incombeva pressante
all’esterno della sfera, silenziosa e sinistra.
“Mi manca l’aria… “
Un velo di sofferenza gli annebbiò
lo sguardo.
- E’ perché la stai consumando. –
Rispose suo nonno cogliendo per l’ennesima volta i suoi pensieri.
All’inizio Kei
non capì, poi con orrore notò che la sfera stava diminuendo di volume;
lentamente, ma si stava rimpicciolendo e il ragazzo aveva il terribile sospetto
che ciò dipendesse dalla quantità d’aria al suo interno.
“Mi schiaccerà.”
Non poté fare a meno di pensarlo,
tuttavia non poteva nemmeno negarsi l’aria, non con il suo cuore palpitante che
chiedeva disperatamente altro ossigeno.
Scosse la testa e si impose di
calmarsi.
Tutto ciò non era reale: stava
sognando.
Quello non era veramente suo
nonno.
Era tutto frutto della sua
immaginazione.
La sfera aveva ormai solo pochi
metri di diametro.
Lui era malato, aveva la polmonite
e ciò si ripercuoteva nei suoi sogni.
Ciò nonostante non aveva altra
scelta.
Doveva solo svegliarsi.
Percependo le sue riflessioni, suo
nonno proruppe in una risata sguaiata, i lineamenti distorti e sfigurati, le
rughe si moltiplicarono sulla pelle scialba e vecchia del viso.
In meno di un respiro la risata s’incrinò
e si spense.
Hito scomparve dissolvendosi come un vortice di fumo nero.
Ritornò nelle tenebre che lo
avevano generato.
E allora Kei
fu solo.
Racchiuso in un guscio di vetro
che ora appena riusciva a contenerlo.
Imprigionato in un incubo.
“Fine.”
Un attimo prima che la sfera si
chiudesse su di lui, chiuse gli occhi.
Tra la paura, il dolore e la
rabbia una sensazione prevalse su tutti.
Rimorso.
Rimorso per non aver saputo agire
con giudizio quando era arrivato il momento…
… per aver trascinato gente
innocente nei suoi sbagli…
… per aver negato loro la verità…
… e per non aver saputo rinunciare
al suo orgoglio, come un bambino viziato.
Un fitta di dolore partì dal suo
torace e si espanse in tutto il corpo.
La sfera brillò un istante
trasformando le tenebre attorno in una infinita distesa di luce immacolata… poi avvolse il suo corpo.
Peccato che, come solito, i sogni
si interrompano sempre sul più bello.
-
_ . - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Vilena Natalia Demidova.
A pochi metri dalla piccola e
graziosa casetta Yuri cercò di rievocare tutti i
ricordi legati a quel nome.
Non erano molti; accompagnando Boris
aveva avuto modo di farsi un’idea generale del suo carattere, ma non si erano
mai scambiati molte parole.
Chi non conoscesse la signora
poteva tranquillamente descriverla come una normale babooshka
sulla settantina; bassa, tonda, capelli corti, candidi come la neve appena
caduta, pelle morbida e pallida increspata da fitte reti di rughe, occhi di
ghiaccio, svegli, saggi, ma talmente sbiaditi da parere quasi bianchi e con uno
spiccato interesse per i gatti.
Per lui che aveva avuto modo di
conoscere le sue imprese, era tutt’altro che una semplice babooshka.
Una volta era stata un dottore,
quando era ancora giovane, certo, ma la sua carriera era durata poco: era una
donna, era testarda e tendeva a imporsi sugli altri.
Queste tre cose erano bastate a
conquistarle le antipatie dei suoi colleghi maschi che alla prima occasione
riuscirono a incolparla di un triste caso di malasanità facendole perdere il
lavoro e ogni altra speranza di poter praticare altrove…
almeno legalmente.
Improvvisamente la donna doveva
occuparsi da sola di un nipote ormai orfano, di dieci anni di studio gettati al
vento e di una carriera praticamente rovinata.
Tuttavia la nonnina non si era
arresa e con una tenacia fuori dal comune aveva continuato a curare di nascosto
le persone nella sua casetta in legno; fondendo le sue conoscenze mediche con
metodi meno ortodossi che andavano dall’erboristeria agli antichi rimedi
casalinghi delle babooshke russe, aveva curato
disturbi che passavano dai semplici raffreddori fino alle ferite d’armi da
fuoco di dubbia provenienza. Yuri aveva anche sentito
parlare di alcuni casi di aborti illegali, ma sperava di aver semplicemente
capito male.
In effetti, molti in Russia preferivano
evitare di passare attraverso gli ospedali, spesso era più facile ammalarsi in
questi che a casa, non tutti erano ben attrezzati e in buone condizioni e i
medici privati erano cari, troppo per alcune famiglie del ceto più basso che
preferivano ricorrere a rimedi più “casalinghi” per i malanni meno gravi.
Non importava se Vilena era stata radiata dall’albo: con il tempo la gente
aveva imparato a conoscerla e soprattutto a riconoscere la sua professionalità
e spendeva più volentieri il misero compenso che chiedeva per le sue cure
piuttosto che rivolgersi altrove.
Yuri non sapeva se praticasse ancora, ma se esisteva
qualcuno in tutta Mosca che poteva aiutare Kei senza
rischi, quella era lei.
Per esperienza personale, lei
stessa sapeva come andavano le cose al monastero e aveva la coscienza
abbastanza sporca da non avere né la voglia né le motivazioni per denunciarli
alle autorità o peggio a HitoHiwatari.
Questo perché la signora Demidova era anche la nonna di Boris.
Quando aveva perso il lavoro, non avendo
modo di mantenere il povero nipotino di quattro anni aveva ben pensato di
affidarlo al monastero.
Scelta di cui poi si sarebbe
pentita.
Scelta che in seguito Boris non le
avrebbe mai perdonato.
Era per questo che quando il
ragazzo imprecava non usava altre espressioni che non contenessero la sua amata
nonnina.
Un bel “va a quel paese, nonna!” (tanto
per non essere volgari) e si sentiva sempre un po’ più leggero.
Borisaveva passato anni orribili al monastero,
come tutti coloro che ci vivevano d’altronde.
Lo sapeva lui e lo sapeva lei.
Consapevole che la povera nonna a
stento riusciva a mantenersi e che infondo le sue intenzioni non erano cattive,
Boris nutriva comunque per lei un profondo risentimento.
Vilena invece aveva scoperto troppo tardi la natura del
monastero: Boris era una buon blader e difficilmente Hiwatari si sarebbe privato di una buona pedina.
Non aveva potuto riprenderselo
indietro e si odiava per averlo ceduto con tanta facilità.
Per questo ciò che alla fine li
univa ancora era, per ironia della sorte, l’odio per HitoHiwatari, il direttore di turno del monastero e
compagnia bella.
Una volta al mese Boris passava a
farle una visita e il rosso qualche volta lo accompagnava.
Non erano visite particolarmente
calorose, ma era grazie a quelle se ora Yuri si era
fatto la sua bella cultura su VilenaDemidova e aveva quel briciolo di confidenza che ora gli
permetteva di chiedere aiuto alla nonnina.
Con il gattino bianco che
sonnecchiava ancora raggomitolato contro il petto, il rosso accorciò di altri
passi la distanza tra lui e l’edificio.
Era una piccola casetta di legno,
con le tendine colorate e le imposte incise con varie raffigurazioni. Era molto
graziosa a vedersi, come tutte le altre che la affiancavano lungo la strada,
sembravano uscite da qualche favola della Disney, tuttavia pochi erano gli
stranieri che sapevano che quelle case erano uno dei simboli della povertà
russa, abitate da famiglie che non potevano permettersi di meglio.
Erano in periferia, in una strada
malridotta e imbrattata dalla neve sporca, distanti dall’appartamento di Evan; Yuri aveva dovuto calarsi
il cappuccio e stringere i denti, sperando che nessuno lo riconoscesse mentre
saliva sull’autobus per arrivare fino a lì.
Vilena poteva permettersi di meglio, ma non voleva lasciare
quel posto “i suoi gatti ne avrebbero sofferto e poi la sua casa era pulita e
molto bene arredata per spostare tutto in un altro appartamento” o così almeno
era solita scusarsi.
Dopo questo, nessuno insisteva
oltre.
Gli mancavano ormai pochi metri da
percorrere per giungere alla porta, quando la persona che improvvisamente vide
attraversare la soglia lo costrinse a trovare senza indugio rifugio nel vicoletto
tra la casa di Vilena e quella che l’affiancava.
Scosso dal movimento improvviso, il
micio si riscosse dal sonno con un pigro miagolio, alle spalle di Yuri un grosso gatto nero, evidentemente sovrappeso,
rispose con un basso gnaulo e si strusciò sulle sue gambe.
Yuri non ebbe occasione di prestargli attenzione.
Boris stava scendendo i tre
gradini che portavano all’uscio della casa con un unico agile balzo
congedandosi dalla nonna con un famigliare broncio dipinto sul volto.
I suoi capelli violetti erano
tutti arruffati e arrivavano a sfiorargli il collo snello e pallido.
Si accovacciò solo un istante per
grattare dietro le orecchie una gattina maroncina che
gli era corsa incontro con la coda ritta dalla punta bianca.
Non si era accorto del rosso.
Yuri lo fissò con un pesante nodo in gola.
Vederlo gli procurò una fastidiosa
sensazione di nostalgia.
Ricordò tempi in cui i suoi unici
pensieri erano allenarsi, schivare i tipetti boriosi lungo i corridoi del
monastero, trovare qualcosa di commestibile nel menù della mensa e capire quale
dei quattro assi era nascosto nella manica di Sergei.
Boris gli dava la schiena e si
stava allontanando nella direzione opposta alla sua.
Non poteva vedere la sua
espressione, né capire il suo stato d’animo.
Era preoccupato della sua
scomparsa?
Era arrabbiato con lui?
Poteva chiederglielo.
Poteva farlo.
Bastava chiamarlo.
In un flash, scorse tra i suoi
ricordi l’immagine di Kei, infreddolito e sfinito per
la lunga corsa che lo osservava con gli occhi rubini, spalancati e confusi, di
fronte alla sagoma illuminata di un piccolo hotel. La sua sciarpa biancha che volteggiava pigramente nel vento della notte
dal suo collo sottile.
Considerò Boris e vide la sua
figura snella allontanarsi mentre si stringeva nel giubbotto in cerca di
calore.
In un battito di ciglia l’altro girò
l’angolo e scomparve.
Incapace di muoversi, il rosso rimase
immobile per una manciata di secondi, senza distogliere lo sguardo.
L’occasione se ne era andata.
Un gusto amaro gli pervase la gola
e scoprì che il nodo non se ne era ancora andato.
Ciò nonostante non aveva altra
scelta.
Aveva un impegno da mantenere.
Quando il grosso gatto nero
miagolò di nuovo con quel vocione profondo, Yuri si
voltò.
Allora si stupì di come due
braccia così sottili riuscissero a reggere il non indifferente peso
dell’animale.
BabooshkaVilena lo osservava all’altro
lato del vicoletto, nondimeno era troppo buio e distante perché potesse capire in che modo lo stava osservando.
Era uscita dal retro della casa e
ora lo studiava attraverso la penombra della strettoia tra le due casette, il
grosso gatto nero aveva cominciato a fare le fusa contro le sue spalle strette
e curve.
Era più bassa di lui e quando gli
si avvicinò le sue sbiadite pantofole imbottite non fecero alcun suono sul
terreno bagnato.
Si fermò a pochi metri da lui.
Allora sorrise scoprendo i piccoli
denti ingialliti dalla vecchiaia.
- Piccolo Ivanov,
benvenuto. E’ passato un po’ di tempo dal nostro ultimo incontro. – La sua voce
roca, ma forte, accolse Yuri con una dura parlata
russa, era tuttavia impossibile non notare la rassicurante sfumatura gentile
del suo tono.
Preso alla sprovvista, Yuri non fu abbastanza pronto per rispondere, aveva in
mente di prepararsi almeno un discorsetto prima di affrontare la vecchia
signora.
Si limitò a un breve cenno del
capo e a una cordiale occhiata dei suoi profondi occhi celesti.
Quando Vilena
aveva incontrato Yuri per la prima volta aveva
affermato, con una disarmante schiettezza, che dal primo istante in cui li
aveva visti si era innamorata dei suoi occhi profondi e brillanti, “non li
dimenticherò finchè avrò vita” aveva poi aggiunto
fissandolo senza alcuna malizia. Quel giorno, colto impreparato, il rosso era
arrossito furiosamente. Boris era quasi soffocato dalle risate.
Vilena aveva quel potere…
… riusciva sempre a trovarlo
impreparato.
Se poi era un potere indirizzato
solo a lui o a tutti coloro i quali non si facessero scrupoli a risponderle a
tono, come Boris, non aveva ancora avuto modo di constatarlo.
Quando ebbe scacciato quei
pensieri, si accorse che l’attenzione della nonna era ora concentrata altrove:
fissava con intensità un punto imprecisato nel torace del russo…
esattamente all’altezza del suo sguardo pallido, data la sua statura.
- Quello è un regalo per me? –
Solo allora Yuri
si ricordò del micetto bianco che aveva raccoltò lungo la strada e impacciato cercò di sfilarlo dal
piumotto.
Questi oppose una certa resisteza aggrappandosi con le unghiette poichè riluttante a lasciare il suo caldo rifugio.
Alla fine il russo lo strinse con
delicatezza tra le mani e fece un gesto verso la donna.
- L’ho trovato per strada. Era
solo. Ho pensato… -
Notando che la vecchia non fissava
più il randagio, ma che i suoi occhi pallidi scrutavano invece i suoi con uno
strano cipiglio, Yuri si azzittì.
Sospirò e scosse la testa.
- Babooshka
ho bisogno del suo aiuto. –
La signora Vilena
annuì lentamente e senza aggiungere altro si piegò lentamente su se stessa per
lasciar cadere il grosso gatto nero al suolo. Questi se ne andò agitando la
coda verso il retro dell’abitazione.
Le esili mani nodose della vecchia
afferrarono salde il nuovo arrivato peloso e lo strinsero al petto, accettando
in quel modo l’offerta del russo, indifferente ai miagolii di protesta del
randagio e soprattutto alle sue zampette affilate.
Sotto lo sguardo attento di Yuri, si girò e si avviò nella stessa direzione da cui era
arrivata.
- Vieni, parliamone a casa. Boris
se ne è andato ormai… e a proposito….
– Gli lanciò un’ultima occhiata in obliquo, mentre voltava il capo per
fissarlo.
Le rughe attorno ai pallidi occhi
azzurri divennero una fitta ragnatela di linee scure.
Sotto il cielo plumbeo di fine giornata…
… tra i suoni attutiti della città…
… la sua voce roca e forte
rimbalzò nella sua mente…
… la riscosse…
… e le donò un piccolo, innocente
conforto.
– E’ parecchio preoccupato per te.
-
…
It’s over! Non la ff, il capitolo.
Lungo…lungo… ma ero anche
in grave ritardo…ritardo…
Chiedo perdono.
Babooshka significa nonna in russo, ma sono sicura che lo
sapevate già.
Immagino che il sogno di Kei sia risultato un po’ palloso, ma era necessario al fine
di aprire gli occhi al nostro piccolo eroe, io ho fatto il possibile per
renderlo iteressante. ToT
Ad ogni modo, spero che il
capitolo sia stato almeno un pochino di vostro gradimento, grazie infinite per
i vostri commenti e a tutti coloro che continuano a seguire la ff nonostante abbia un’autrice lenta come i secoli. Confido in un “a presto” e che passiate un brividoso Halloween (anche se è ancora presto)!! XD
Quando
si risvegliò la notte stava volgendo al termine. La luna era calata da poco e
lungo l’orizzonte il chiarore dell’alba aveva cominciato a fare capolino
divorando a una a una le stelle più basse.
La
stanza era quasi totalmente buia ad eccezione di una piccola fonte di luce
proveniente dalla lampada sul comodino; l’alone azzurrino investiva parte della
camera tralasciando però gli angoli più lontani e creando un forte effetto
chiaroscurale. L’aria era secca e odorava di legno invecchiato, ma dopotutto
l’intero mobilio della stanza era costituito da mobili in castagno massiccio
della metà del Novecento. Solo il letto, di una piazza e mezza, era di fattura
moderna, di semplice compensato scuro, ma abbastanza ampio da ospitare
comodamente due persone. Eppure lui era l’unica persona in quella casa a
usufruire. In fondo, in un angolo, erano stati adagiati due piccoli materassini
che fungevano da letto ai nuovi coinquilini, accanto ad essi, si trovava un
sacco a pelo imbottito adagiato su una pila di cuscini ingrigiti. Nonostante
l’ora tarda, nessuno al momento sembrava servirsi di quei giacigli ad eccezione
di una figura rannicchiata dalla folta capigliatura rossa che si era
accoccolata sulla poltrona vicino l’entrata della stanza. L’accozzamento di
tutti quei materassi e mobili accentuava le dimensioni ristrette della camera,
facendola apparire ancora più angusta e affollata.
L’ambiente
era silenzioso o lo sarebbe stato in assenza del basso vociare proveniente
dalle stanze attigue. Fortunatamente o sfortunatamente, a seconda dei punti di
vista, al suo orecchio giungevano solo mormorii e bisbigli, attutiti dalle
pareti sottili e dal veloce pulsare del suo sangue nelle tempie. Era un battito
rapido, fastidioso, lo avvertiva in ogni estremità del suo corpo; martellava
nelle orecchie, nelle tempie, nelle punte delle dita e dei piedi.
Kei
provò a deglutire, ma aveva la gola secca e il gesto gli stimolò unicamente dei
forti colpi di tosse che a loro volta provocarono dolorose fitte all’altezza
del torace. Per un attimo credette di non riuscire più a respirare, poi, con
difficoltà, riuscì a prendere una grossa boccata d’aria. Espirò e inspirò
nuovamente con rinnovata fatica. A ogni respiro sentiva i polmoni contrarsi e
rilassarsi con improvvise fitte acute, ma il dolore era diminuito rispetto all’ultimo
suo risveglio. Si sentiva debole, ma ora riusciva a sopportare meglio la
malattia. Il torpore della febbre non lo tediava, le fitte al torace non gli
procuravano sofferenza, il respiro affannoso non lo affliggeva più. Non capiva a
cosa ciò fosse dovuto, ma ne trasse conforto. La sua mente, non più distratta
dai disagi della malattia, cominciò ad articolare pensieri, a sondare gli
eventi accaduti in quei giorni, poi si arrestò di fronte al ricordo di suo
nonno. Era stato quel sogno… quell’incubo. Nella sua mente rivedeva il suo
parente, lo fissava dall’alto in basso con i suoi occhi grigi, altero, severo… una
chiazza di sangue che a mano a mano si allargava dal suo fianco.
Una
profonda tristezza lo pervase, un profondo senso di colpa che gli faceva
dimenticare tutto il resto.
Cosa
aveva fatto? Cosa stava facendo?
Stava
sbagliando tutto… ecco cosa.
Non
poteva seriamente pensare di continuare in quel modo. Non dopo tutto quello che
ciò comportava. Non era stato in grado di agire con lucidità e questo gli era
costato… gli era costato tutto. Aveva solo peggiorato la situazione e ora
rischiava di coinvolgere quelle persone che con tanta fatica aveva cercato di
proteggere. Quelle poche persone che gli erano sempre state vicine anche senza
chiedere loro nulla.
Perché
era quello il motivo per cui tutto ciò aveva avuto inizio.
Erano
stati creati dei legami, dei vincoli. E suo nonno se ne era reso conto.
E
suo nonno sapeva bene come trarne vantaggio.
Era
colpa loro.
No…
era colpa sua che aveva concesso loro di avvicinarsi.
Quand’è
che era diventato così permissivo?
La
gola era secca, riarsa. Aveva bisogno di bere, aveva bisogno di aria… aria
fresca.
Con
calma e con una piccola dose di buona volontà scostò le coperte dal suo corpo.
Quanto
mancava al suo compleanno ancora? Pochi mesi ormai.
Suo
nonno lo sapeva, sapeva che cosa sarebbe accaduto una volta che il nipote
avesse raggiunto la maggiore età.
Per
questo gli era stato tenuto tutto nascosto.
Erano
questi i patti.
Ma
al vecchio questo non andava bene.
Doveva
inventare qualcosa, doveva fare qualcosa per impedire tutto ciò.
E
lui gli aveva servito la soluzione su un piatto d’argento.
Si
era rovinato con le proprie mani senza nemmeno rendersene conto.
Ma
peggio ancora, quando aveva cercato di porvi rimedio era impazzito,
distruggendo… ogni… cosa.
Il
pavimento era freddo sotto i suoi piedi nudi. Rabbrividì mentre il gelo lo
investiva. Le coperte gli scivolarono dalle spalle. Il calore che prima lo
intorpidiva si dissipò in un attimo. La stanza era calda, ma lui lo era di più.
Liberarsi da quel soffice peso lo percosse, rabbrividì. Non trovò tuttavia la
cosa così sgradevole, anzi, lo aiutò a svegliarsi, a pensare con più lucidità.
Il sudore cominciava a raffreddarsi lungo la schiena e dietro la nuca dove le
punte umide dei capelli lo pizzicarono.
Le
gambe furono investite da un formicolio dovuto all’eccessiva postura
sedentaria. Dovette attendere qualche secondo prima che svanisse permettendogli
così di raccogliere le forze per mettersi in piedi.
La
prima volta fu costretto a risedersi a causa di un capogiro. Forse era meglio se
ci riprovava con meno enfasi...
In
fondo alla stanza Yuri continuava a dormire, ignaro delle prodezze del suo ex
compagno di squadra. Kei gli lanciò un’occhiata. Era troppo buio per leggerne i
lineamenti, ma la luce soffusa ne ammorbidiva i contorni, smorzando la
fisionomia affilata del suo volto e facendolo apparire più giovane… o forse
rivelava la sua reale età, spesso camuffata da sguardi gelidi e sorrisi
beffardi propri di una mente più matura.
Si
domandò perché non fosse insieme agli altri. O meglio, perché anche gli altri
non riposassero come lui invece di spettegolare nella stanza accanto. Le loro
voci ora risuonavano più chiare, ma comunque ancora sussurrate, timorose di
essere udite.
Si
passò le mani sul volto cercando di alleviare il senso di nausea che quella
postura gli stava causando. Mosse le dita gelide prima sulle tempie poi sugli occhi.
La sensazione fu piacevole, ma durò poco. Presto le mani si scaldarono a
contatto con la pelle bollente del viso e dovette adoperarsi per cercare nuove
fonti di frescura.
Non
ci impiegò molto.
Deciso
mosse i primi passi di fronte a lui. Stava per inciampare, ma non se ne
preoccupò. Gli bastò allungare le mani di poco premendole contro il vetro della
finestra e riacquistò l’equilibrio. Riprese fiato; quelle poche falcate gli
avevano già procurato il fiatone. I suoi occhi rubini indugiarono qualche secondo
cercando di decifrare il panorama all’orizzonte, ma la condensa provocata dal
suo respiro appannò presto la vetrata. La superficie era gelida, perfetta. Vi
appoggiò la fronte per qualche istante fino a quando il vetro non si riscaldò
sotto il suo tocco.
Poi
si decise.
Afferrò
la maniglia, la ruotò e spalancò la finestra.
L’aria
gelida irruppe con un fischio nella stanza, le tende si agitarono scosse dalla
raffica, ma presto tornarono immobili.
Kei
chiuse gli occhi e inspirò profondamente.
L’aria
gli riempì i polmoni provocandogli un dolore sordo, ma sopportabile.
Dietro
di lui due profondi occhi celesti si schiusero.
- _
. - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
La
signora Demidova era stata davvero cordiale e disponibile.
Sedeva
al tavolo da pranzo attorniata dai tre ragazzi come una nonna con i suoi
nipotini. La stanza era riscaldata da una vecchia stufa vicino la dispensa,
dalla cucina invece proveniva un forte profumo di erbe e spezie medicinali.
Avevano
parlato per tutta la notte. All’inizio l’attenzione era tutta rivolta verso il
loro amico, ma ben presto la tensione si era attenuata e i tre avevano
cominciato a convincersi che forse le cose si sarebbero sistemate. Vilena li
aveva rassicurati più volte sulle condizioni di Kei: “la polmonite non è una
cosa da prendere sottogamba, ma sono sicura che il vostro amico si
riprenderà!”. Ascoltavano con attenzione le sue parole, bisbigliava, ma loro la
capivano benissimo. La vecchietta sorseggiava con parsimonia il suo bicchierone
di latte caldo corretto alla vodka (scorta gentilmente offerta dalla dispensa
di Evan) mentre i tre avevano finito da un pezzo i loro thè caldi.
Fra
un sorso e l’altro raccontava loro delle sue esperienze. Aveva avuto
un’infinità di pazienti durante la sua piccola attività illecita di
“consultazione medica”, alcuni erano davvero buffi, altri struggenti, altri
addirittura inimmaginabili. Eppure la parte più interessante fu quando confidò
loro le confessioni di Boris, specialmente la parte in cui raccontò, sempre
secondo detta del nipote, che Yuri parlava nel sonno, spesso rivolgendosi a
fascinose ragazze e a quanto pare anche parecchio lascive. Il momento generale
di ilarità rischiò seriamente di soffocarli, ma si ripresero presto e ognuno
fece giuramento di non farne mai parola con il diretto interessato.
Fu
così per tutta la notte, ogni tanto ridacchiavano a una battuta della
dottoressa o si ammutolivano di fronte a una sua affermazione avventata, ma era
sempre lei a tenere banco nella conversazione. Così piccola e raggrinzita
sembrava potesse sbriciolarsi da un momento all’altro, ma il suo animo era
forte, il suo carattere spigliato e i suoi modi autoritari, ma sempre gentili.
Si poteva tranquillamente affermare che era riuscita in sole poche ore a
ottenere il loro completo rispetto e la loro piena fiducia.
Tuttavia,
senza preavviso e senza apparente motivo, la vecchina decise che si era fatto
tardi. - Direi che è arrivato il momento per me di andare… - Alzò di poco la
voce rauca, ma rimase comunque solo poco più di un sussurro.
In
due rapidi sorsi vuotò il bicchiere ancora mezzo pieno e fece gesto di alzarsi.
Takao
non esitò a balzare subito in piedi allungandosi per darle una mano, ma la
signora lo liquidò garbatamente con un cenno della mano.
-
Grazie Takao, ma preferisco arrangiarmi da sola finché ne sono ancora in grado.
-
Un
sorriso grinzoso le increspò le labbra sottili mentre la sua mano nodosa
sfiorava con dolcezza la guancia abbronzata del ragazzo.
Il
giapponesino arrossì imbarazzato, ma le rivolse comunque uno dei suoi sorrisi
più caldi.
-
Penso sia comunque il caso che qualcuno di noi la accompagni fino a casa. Ormai
è quasi l’alba e… -
Vilena
non lo lasciò terminare la frase; quando parlò la sua voce si alzò di un’ottava.
- Figurati! Ormai sono più di sessant’anni che vivo in questa città! Credi non
sia in grado di prendere un autobus e tornarmene nel buco da cui provengo? Non
minare la mia autostima straniero… -
Takao
si ritrovò a sorriderle imbarazzato non sapendo bene cosa rispondere. I suoi
occhi scuri vagarono per la stanza nel tentativo di incrociare lo sguardo di
uno dei suoi amici in cerca di solidarietà.
Rei
scosse divertito la testa e con la sua grazia felina si alzò a sua volta
andando a raccogliere dal divano il pesante montone della dottoressa.
-
Signora, è sicura che Kei starà meglio? - Stavolta fu Max a parlare.
Per
tutto il tempo trascorso insieme era stato il più silenzioso dei tre. Aveva
partecipato alla conversazione solo quando veniva direttamente interpellato da
qualcuno e per tutta la nottata aveva continuato a chiede conferme su conferme:
“Kei starà bene?” oppure “per quanto tempo dovremo somministrargli la dose
rimanente di antibiotico?” e ancora “come ha detto che si chiamava quella
pianta per diminuire l’infiammazione?”.
La
vecchina sospirò divertita scuotendo la testa, i capelli bianchissimi raccolti
rigidamente dietro la nuca non si mossero di un millimetro, nemmeno una ciocca
fuori posto. Si avvicinò all’americano e strinse le sue mani a quelle di lui.
Nonostante fossero nodose e rugose Max le sentì morbide e calde al tocco ad
eccezione di qualche piccolo callo distribuito lungo le prime tre dita.
-
Il vostro amico guarirà. Ci vorrà un po’, ma vedrete che già da domani si
noterà qualche miglioramento. Spero che l’antibiotico sia quello corretto, ma
se mi dite che già in passato è stato affetto da questa malattia non dovrei
sbagliarmi. – Il suo tono gentile era tranquillizzante. – Fra due giorni
dovrete somministrargli la seconda dose di antibiotico e l’ultima ugualmente
dopo altri due giorni. Non chiedetemi dove mi sono procurata quei medicinali
perché non ho intenzione di rispondervi. Le pomate e gli impacchi sono invece
un rimedio casalingo, lo avete visto, sono stati preparati dalla sottoscritta;
lo aiuteranno a respirare meglio e a dargli sollievo dalla nausea. No, non sono
droghe leggere, sono solo rimedi naturali! Non lanciatemi quegli sguardi torvi…
Assicuratevi che beva molta acqua e succhi di frutta. Qualche minestra poi non
farebbe male. Appena gli tornerà l’appetito assecondatelo, ma non fatelo
ingozzare o gli ricomparirà la nausea. – Prese fiato facendo mente locale. I
suoi occhietti pallidi indugiarono in quelli cobalto del biondino. – Non credo
ci sia altro da aggiungere. Se succede qualcosa sapete dove trovarmi, ma
preferirei rincontrarci in circostanze diverse, quindi è meglio che non vi
facciate rivedere per un po’.-
Rei
le arrivò alle spalle poggiandovi galantemente il pesante montone nero. Sotto
questo nuovo peso Vilena sembrò farsi ancora più piccola se possibile.
-
Grazie moretto. - Pochi gesti e la vecchina si era già abbottonata fino al
collo. - Mi spiace solo che il piccolo Ivanov non sia qui a salutarmi, ma sono
sicura che lo rivedrò presto. Lasciamolo un altro po’ nel mondo dei sogni
insieme alle sue donnine lascive. Grazie per la serata giovanotti. –
-
Ma si figuri! Siamo noi che dobbiamo ringraziarla. Abbiamo un grosso debito nei
suoi confronti. –
Takao,
Max e Rei la fissarono non sapendo che altro aggiungere. Aveva visitato Kei con
una cura quasi maniacale, senza nemmeno il bisogno di svegliare quest’ultimo
(non che fosse un’alternativa attuabile); aveva preparato lei stessa alcune
pomate e gli impacchi da somministrargli nei giorni a seguire, ma soprattutto
si era adoperata anche per allietare le ansie dei suoi amici, mostrandosi
sempre ottimista e disponibile. La signora si era dimostrata essere all’altezza
delle loro richieste, ma aveva fatto molto di più. Aveva restituito loro la
speranza. La speranza che forse, in mezzo a quell’incubo, esistesse una via
d’uscita.
Fu
tuttavia una sensazione di breve durata.
Parole
gridate spezzarono il clima sereno della casa, passi pesanti si avvicinarono
rapidamente dalla stanza attigua e il suono brusco di una porta che si apriva e
si richiudeva fece ripiombare tutto in un pesante silenzio.
Quattro
sguardi si rivolsero all’unisono in direzione della camera da letto.
Yuri
si accostò allo stipite tenendo basso lo sguardo. Sospirò e un fremito gli
scosse lievemente le mani. Quando alzò gli occhi gli altri vi lessero un
miscuglio di emozioni tutt’altro che positive.
Con
la voce rotta dalla rabbia il russo si rivolse ai suoi compagni di
disavventura. – Dobbiamo parlare. Direi che ormai siamo stati presi abbastanza
per il culo. –
- _
. - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
-
Cosa dicono i giornali? –
La
voce di Kei era arrochita dal lungo inutilizzo, ma suonava incredibilmente
fredda e decisa, come se avesse appena impartito un ordine.
-
Chiudi la finestra, idiota! Vuoi fare un colpo? –
Yuri
si alzò di scatto dalla poltrona, poche falcate e con un gesto deciso serrò con
violenza le ante della finestra. Era ancora intorpidito dal sonno, ma
abbastanza lucido per rendersi conto della situazione.
Kei,
al suo fianco, lo osservò di sottecchi infastidito, ma non proferì parola.
-
E’ arroganza quella che leggo nei tuoi occhi? – Il rosso sibilò quelle parole
con un tono canzonatorio, ma non riuscì a celare una certa avversione. Il
ghigno che gli aveva incurvato le labbra svanì presto. Non gli piaceva il modo
in cui Kei lo fissava. C’era qualcosa di insolito in lui, o meglio… c’era
qualcosa di così estremamente familiare, ma allo stesso tempo così remoto. Una
indifferenza e un’altezzosità che credeva non avrebbe più rivisto in quegli
occhi rubini.
-
Ti ho fatto una domanda. – Di nuovo quello sguardo distaccato.
-
Potrei non voler rispondere… - Rispose Yuri sprezzante. Non aveva intenzione di
assecondare i suoi modi.
-
Il vecchio è morto? –
-
Cos…? No! Ma che diavolo ti prende? – Yuri era a dir poco confuso. O sconvolto?
Perché Kei si comportava in quel modo? – La febbre ti ha fuso i neuroni? –
-
Dicevi che la polizia mi sta cercando. Ha identificato dei complici? – Il Dranzer
blader lo fulminò con uno sguardo febbrile, intenso, borioso. La mente di Yuri
cominciò rapidamente a calcolare, a mettere insieme, a incastrare pensieri e
parole. Quando vide che il rosso non rispondeva Kei ripeté a denti stretti,
scadendo con voce roca, ogni singola parola. – Sono stati individuati dei
complici? -
Il
russo si ritrovò a bisbigliare. – Noi… - Una pesante consapevolezza lo colpì in
pieno. Gli cadde pesantemente sulle spalle portando con sé tutte le conseguenze
del caso. Era come se solo ora si rendesse conto della gravità della situazione.
Si schiarì la voce. – Voglio dire… La notte che sei fuggito dei testimoni hanno
dichiarato di averti visto in compagnia di un ragazzo dalla folta chioma rossa.
Quel ragazzo, identificato come Yuri Ivanov, la mattina stessa, in compagnia di
un altro ragazzo dai tratti orientali, riconosciuto come Rei Kon, ha chiesto
indicazioni stradali per un hotel a una coppia che gestisce un panificio. Nello
stesso Hotel, nella camera intestata a tre dei membri della nota squadra dei
Blade Breakers, è stato visto soggiornare un ragazzo la cui descrizione è
indiscutibilmente confrontabile con quella di Kei Hiwatari, ricercato per
tentato omicidio. – Yuri sospirò e in quel momento vide qualcosa spezzare per
un attimo la stabilità nello sguardo di Kei. Fu un istante, ma fu qualcosa. –
Siamo tutti sospettati di averti dato rifugio, di essere tuoi complici. –
Nella
camera scese il silenzio.
L’altro
non lo guardava più. Fissava con ostinazione un punto alle sue spalle, fuori la
finestra. La luce azzurrognola della lampada smorzava i suoi lineamenti,
proiettando pesanti ombre sul suo viso. I suoi occhi non lasciarono trasparire
nulla, se non una profonda frustrazione.
-
Possiamo ancora sistemare tutto. Dobbiamo trovare il modo di provare la tua
innocenza… - Yuri credeva veramente a quello che stava dicendo.
Due
pepite scarlatte ruotarono repentinamente verso di lui inchiodando con una
freddezza assoluta i suoi occhi celesti.
-
Io non sono innocente… Yuri. -
Un
pugno allo stomaco sarebbe stato meno doloroso.
Per
qualche attimo un bagliore proveniente da oltre la finestra, forse i fari di un’auto,
illuminò il volto inasprito di Kei riflettendosi fra i ciuffi argentei della
frangia.
Lui
ci aveva creduto veramente. Era davvero convinto che si trattasse di tutto un
equivoco.
Il
rosso aprì la bocca una, due, tre volte, ma non riuscì ad emettere alcun suono.
Nel giro di pochi minuti Kei era riuscito per ben due volte lasciarlo senza
parole. Dov’era finita tutta la sua scaltrezza?
-
Come ti senti ad aver appena rovinato la tua vita per aiutare un assassino? - Quel
tono canzonatorio lo fece andare fuori di testa.
“Mi sento tradito,
umiliato, arrabbiato… stupido.” Ma questo non lo
disse.
Un
ghigno increspò le labbra del ragazzo tatuato, ma nella penombra della camera
poteva benissimo esserselo immaginato.
-
Che ti è saltato in mente? – “Ti diverti
a vedermi in difficoltà? Ti diverti a distruggere ogni mia speranza?” Ogni
muscolo del suo corpo vibrava. Fremeva per la rabbia, per la frustrazione, per
l’incredulità… Non sopportava la freddezza con cui Kei si rivolgeva a lui. Non
poteva tollerarla. Non dopo tutto quello che aveva distrutto per andargli
incontro. Non c’era rimorso nel suo sguardo, non c’era rammarico nelle sue
parole. Solo verità.
-
Non è stata una cosa calcolata… - Dovette interrompersi a causa di un attacco
di tosse. Yuri rimase immobile, imperturbabile, in attesa che passasse. Kei
arretrò e si sedette sul letto in visibile difficoltà, ma il russo non fece
cenno di volerlo assistere. – Si trattava di eredità… -
Yuri
alzò un sopracciglio. – Eredità? Parli di soldi? –
L’altro
fece cenno col capo, sforzandosi di mantenere il contatto visivo con l’ex
compagno di squadra. – Sì… soldi. Al mio prossimo compleanno, secondo un
accordo tra mio nonno e mio padre, avrei ereditato metà del patrimonio di
famiglia. Ma questo al vecchio non andava bene, voleva che io rifiutassi. Io
non ci ho più visto… e ho agito. –
-
Per soldi… - C’era una nota di disprezzo nella voce di Yuri, così come nel suo
sguardo.
-
Per la libertà… con quei soldi sarei potuto essere finalmente libero. Ti rendi
conto di quello che quei soldi avrebbero comportato? -
Se
ne rendeva conto. Significavano lasciarsi il passato alle spalle e costruirsi
una vita propria. Ma si rendeva anche conto dell’orribile gesto a cui avevano
condotto il suo amico. E lui? Era conscio di quello che aveva fatto? Provava
orrore per il suo gesto? Aveva attentato alla vita di suo nonno per cosa? Per
dei soldi? Si era macchiato di un simile crimine… Lo scrutò attentamente, con
tutto l’acume di cui era dotato. Qualcosa non tornava. C’era qualcosa che
stonava in tutto ciò, come delle unghie sfregate su una lavagna. Kei era indecifrabile.
Niente rimorso, ma nemmeno tripudio per le sue azioni. Forse la febbre gli
aveva davvero fuso i neuroni.
-
Troveremo una soluzione. -
Nonostante
la rabbia e l’odio che provava in quel momento, nemmeno Yuri seppe dire da dove
gli uscirono quelle parole. Tuttavia Kei era suo amico e lui, in fin dei conti,
proprio non riusciva a concepire il fatto di abbandonarlo al suo destino.
Furono
parole efficaci, perché per la prima volta, da quando si era risvegliato, Kei
sembrò sorpreso. Sgranò gli occhi e per qualche istante parve non avere idea di
cosa rispondere. Incredulità e sgomento furono le prime emozioni che riuscì a
leggere. Poi arrivarono l’esasperazione e la rabbia.
-
Non ho bisogno del vostro aiuto. – Usò un tono secco e deciso.
Un
ghigno incurvò le labbra di Yuri.
-
Non fare il bambino orgoglioso, non saresti arrivato a questo punto se non ti
avessimo dato soccorso. -
Il
volto di Kei avvampò e non fu per la febbre. Con uno scatto si alzò dal letto e
quando urlò la sua voce era roca e aspra, carica di rancore. – NESSUNO HA
CHIESTO IL VOSTRO AIUTO! – Quella reazione così avventata colse Yuri
impreparato, fastidiosamente impreparato. - Non capisco quale sia questo
fottuto sentimento di amicizia che vi spinge continuamente a ficcare il naso in
cose che non vi riguardano! E adesso? Bel casino in cui vi ritrovate! Non ho
intenzione di complicarmi la vita cercando di risolvere anche i vostri di
problemi! Dovevate pensarci prima di atteggiarvi a eroi! -
Yuri
provò… provò veramente a mantenere la calma. Tuttavia Kei non aveva ancora
finito l’ultima frase che il rosso gli si era già lanciato contro. Lo prese per
il colletto pronto ad assestargli un pugno, ma si fermò. I suoi occhi celesti
ribollivano di collera; due pozze di turchese fuso in cui si rifletterono due
sprezzanti occhi scarlatti. Lo odiava. In quel momento lo stava odiando con
ogni fibra del suo corpo. Lui… quest’idiota… come poteva parlare in quel modo
ben consapevole di tutto ciò che aveva sacrificato. Inspirò ed espirò, ma non
riuscì a calmarsi. Kei sostenne il suo sguardo, ma non cercò di liberarsi dalla
sua presa. Forse era troppo debole per farlo o forse sentiva di meritarselo, ma
tanto per cambiare, la sua espressione era indecifrabile.
Doveva
fare qualcosa.
Doveva
colpirlo, fargli male, doveva sentire sul suo corpo la frustrazione che in quel
momento scuoteva il suo.
Una
vena gli pulsò nella gola e nelle tempie, mentre nella decisione irrigidiva con
rancore la mascella.
“Non ti darò anche
questa soddisfazione…”
Alla
fine Yuri lo scaraventò sul letto senza proferire parola, si voltò e con passo
pesante si diresse verso l’uscita sbattendo con furia la porta dietro di sé.
…
Kei
si rimise con uno sforzo a sedere.
Fu
come se si fosse scrollato un pesante fardello dalle spalle.
Sentiva
il cuore in gola battergli a mille.
Chiuse
gli occhi reggendosi la testa fra le mani.
Ormai
era fatta.
…
Non
ho il coraggio di commentare dopo questa lunga assenza. Mi rendo conto che sono
passati anni. Perché continuarla? Perché, così, per caso, in preda ad un’assurda
nostalgia, ho visto il fermoposta e mi sono sentita una cacca… Mi ha fatto
davvero piacere leggere che dopo così tanto tempo ancora qualcuno mi scriveva per
informazioni sul proseguimento o anche solo per farmi sapere che nonostante
tutto la mia ff piaceva. Veramente, mi sono commossa. In realtà ho sempre
pensato a come continuarla, ma ero in crisi perché dopo aver scritto il 24°
capitolo, questo era stato cancellato da una formattazione non voluta del mio
pc. Riscriverlo mi sembrava impossibile e con il tempo mi sono allontanata
dalle ff… Posto questo capitolo perché vorrei davvero finire questa storia. Rileggerla
dopo tutti questi anni mi ha davvero imbarazzato, fra errori, storpiature,
situazioni assurde… mi chiedo ancora dove volessi andare a parare e riuscire a
continuare questa storia, mantenendo un filo logico o perlomeno sensato, al
momento mi sembra molto difficile. Sono riuscita a fare questo capitolo perché sono
in vacanza, lontana da impegni e distrazioni varie e ho davvero paura di non
riuscire a continuare una volta tornata alla mia routine, ma voglio provarci. Chissà
se qualche vecchio lettore c’è ancora… Lo so che mi odierete…
Indossava
ancora il pesante montone nero e in mezzo a loro sembrava così fuoriposto in
quel momento. Eppure era forse l’unica nella stanza ad avere le idee chiare e
la mente lucida.
Rei
la fissò con due profondi occhi dorati carichi di consapevolezza.
Aveva
ragione.
Era
ancora scosso dalle tragiche rivelazioni di Yuri, ma non poteva permettersi di
cedere allo sconforto. Lui e Takao erano i più sconvolti, non avevano avuto la
fortuna di incassare un colpo alla volta come era stato il caso del rosso o
anche di Max. No… loro avevano dovuto ingoiare quel boccone tutto in una volta.
Il
russo aveva raccontato loro per filo e per segno ogni minimo particolare. Aveva
riferito delle notizie sui giornali, le voci che aveva sentito al monastero, le
parole di Kei… non aveva tralasciato nulla.
Ora
sapevano la verità… ma c’era ancora chi si rifiutava di credere.
-
Quello che stai dicendo è assurdo, Yuri, e io non intendo assolutamente tradire
in questo modo un mio amico! –
Anche
Takao era irremovibile. Per tutto il tempo aveva negato, ripudiato, contestato
ogni singola parola del russo.
Fu
Rei a intervenire.
-
Takao… - Con gentilezza gli posò una mano sulla spalla. – Anche ipotizzando che
Kei stesse mentendo… quello che c’è sui giornali è una realtà. E’ un rischio
troppo grande. –
-
Kei non stava mentendo. – Yuri si interpose prima che il giapponesino potesse
rispondere. – Era serio quando affermava di non essere innocente. Su questo ne
sono certo… - Il suo tono non ammetteva repliche. Due freddi occhi gelidi
sfidarono chiunque a contraddirlo.
Il
capitano dei Blade Breakers era comunque un tipo che con le sfide conviveva da
anni. – Ah? E in base a cosa di preciso puoi dire questo? – Per qualche ragione
Takao aveva stabilito che Yuri era il nemico e ogni sua affermazione doveva
essere contrastata.
-
Perché lo conosco, Takao, e se in quell’istante tu fossi stato presente te ne
saresti convito a tua volta. -
Il
russo gli ringhiò quelle parole stringendo i pugni. Rei lo studiò per qualche
istante; era stanco, frustrato, irato ma soprattutto era percepibile una
profonda delusione nel suo atteggiamento, nel suo modo di riferirsi a Kei, nel
suo sguardo...
“Perché sta
succedendo tutto questo…?”
-
Allora andrò a chiederglielo di nuovo! – Takao si diresse convinto in direzione
della camera. Yuri non diede segno di volergli cedere il passo, restò immobile
di fronte alla porta, poggiato allo stipite. Alla fine fu Max che con passo
deciso si interpose tra i due.
Il
biondino come suo solito era rimasto in disparte, ascoltando con attenzione le rivelazioni
del rosso, soppesando le parole di Vilena e giudicando le reazioni di Takao.
-
Nessuno di noi parlerà con Kei finché non ci saremo calmati. – Per quanto le
sue parole fossero giuste, Rei sapeva benissimo che in quel momento “calmarsi”
era un traguardo ancora troppo distante da raggiungere per loro.
-
Dovete denunciare il ragazzo. – Di nuovo, la voce gracchiante della dottoressa
riportò l’attenzione su di sé.
Max
si accigliò, poi, con il suo tipico fare cortese e un sorrisino di circostanza
si rivolse alla donna.
-
La prego, non dica così. Non può essere veramente l’unica alternativa che
abbiamo. –
Un
lampo di amarezza raggrinzì i lineamenti della signora che, rattristata da
quella magnanima, ma altrettanto ingenua affermazione, scosse il capo e
rispose.
-
Non avete altra scelta. Siete finiti dentro qualcosa più grande di voi e
l’unico modo per uscirne è consegnare il vostro amico alle autorità. Se volete
scagionarvi dalle accuse di complicità è l’unico modo e non è detto che nemmeno
così tutto si risolva. – Nonostante il tono indulgente di Vilena, quelle parole
risuonarono comunque dure e inconfutabili.
Lo
sconforto che li colpì fu quasi nauseante.
-
Non posso fare questo a Kei… - Takao non riusciva a capacitarsi di quello che
gli stavano chiedendo.
Si
sedette sul bracciolo del divano, poggiando le mani sulle ginocchia, quasi
fosse schiacciato da un fardello troppo gravoso. Era di un suo compagno che si
stava parlando. Si conoscevano da anni, ne avevano passate di tutti i colori.
Si erano dati supporto quando ne avevano più bisogno, anche se sempre in quel
modo unico che contraddistingue due persone in continua rivalità reciproca. Erano
il rispetto e la fiducia che nutrivano l’uno per l’altro che li legava più di
tutto, che avevano permesso a quell’amicizia di nascere e di durare. Non
importa cosa aveva fatto Kei, Takao non lo avrebbe mai tradito.
“Gli stiamo
chiedendo troppo…” Rei lo fissava di sottecchi. Non sapeva se lo
sconfortasse di più vedere il suo capitano in quello stato o l’idea di
denunciare un loro compagno. Voleva davvero riuscire a escogitare qualcosa che
non comportasse un simile sacrificio, ma in quel momento gli sembrava
impossibile pensare ad altro.
Le
sue iridi assottigliate passarono in rassegna ognuno dei presenti.
Yuri
era chiaramente troppo infervorato per ragionare e anche se tutta la sua
collera era rivolta a Kei, sapeva benissimo che l’alternativa di denunciarlo
per lui era inattuabile tanto quanto lo era per Takao; in fondo aveva già
provato una volta a tradirlo e aveva fallito miseramente. Erano cresciuti
insieme d’altronde… è vero, erano rimasti separati per anni, ma da quando si
erano rincontrati era come se il tempo non fosse mai trascorso. Condividevano
un passato e una passione per il Bay che aveva troppo
condizionato le loro vite.
Max
era il più confuso di tutti. Faceva il possibile per mettere tutti d’accordo
anche se nessuno aveva intenzione di trovare un punto di incontro. I suo occhi
cobalto squadravano apprensivi prima l’uno e poi l’altro, la sua fronte
corrucciata tradiva l’attività frenetica della sua mente. L’americano era
fortemente allergico a qualsiasi tipo di disaccordo fra i suoi amici e, a
quanto pareva, sembrava più incline a cercare di risistemare le cose fra loro
che a trovare una soluzione per quel casino.
Sia
il biondino che Takao erano tuttavia troppo stravolti per ragionare con
lucidità. Avevano gli occhi cerchiati da quella notte insonne e la mente troppo
offuscata da tutte quelle nuove rivelazioni e da quei nuovi problemi. Lo stesso
valeva per lui, tuttavia Rei capì che per porre fine a quel caos doveva
prendere una decisione e schierarsi.
-
La signora Demidova ha ragione. – L’attenzione di tutti era ormai su di lui. –
Noi abbiamo fatto il possibile, lo abbiamo aiutato in ogni modo lecito, ma ora
stiamo andando fuori strada. Dobbiamo lasciarlo andare. Se davvero è colpevole
è giusto che paghi, se invece così non fosse sono sicuro che le accuse
cadranno. –
-
Rei… - Takao lo fissò con una nota d’avversione.
“Inutile,
guai a toccargli i suoi amici…”
-
Ascolta il tuo amico moretto. – La vecchina strinse delicatamente l’avambraccio
di Rei (la sua altezza non le permetteva di raggiungere la sua spalla) in un
gesto di conforto. – Non è giusto che anche voi veniate trascinati in questa
faccenda. Pensate alle conseguenze… la vostra vita ne uscirebbe rovinata. Siete
persone famose, campioni mondiali, lo scalpore che tutto ciò susciterebbe
finirebbe con lo schiacciarvi. I media sguazzerebbero nelle vostre sfortune… lo
so cosa significa essere oggetto delle malelingue, delle calunnie. Io l’ho
provato nel mio piccolo, nella mia città, ma voi lo subireste a livello
mondiale. Ma questo è il minimo… vogliamo parlare delle conseguenze penali? –
Tutti
si ammutolirono.
Il
cinesino vide Max aprire la bocca per dire qualcosa, ma subito la richiuse.
Abbassò il capo lasciando che i suoi ciuffi dorati nascondessero agli altri il
suo sguardo.
Yuri
li fissava con alterità, sembrava che la sua rabbia si fosse tramutata in una
fredda corazza che lo rendeva estraneo a tutti loro e a qualsiasi loro
affermazione. Rei sapeva bene che quello era il suo istinto di autodifesa che
entrava in azione.
-
Signora. La ringrazio per i suoi consigli e per tutto l’aiuto che ci ha dato
questa sera… - Takao stava cercando le parole per essere il più delicato
possibile, ma la nonnina non aveva bisogno di altro.
-
Sì. Hai ragione giovanotto… è il caso che me ne vada. D’altronde era proprio
quello che stavo facendo prima del risveglio del nostro piccolo Ivanov. – La
piccola figura della vecchina si mosse verso il suo preferito, Yuri, e,
allungandosi sulle punte dei piedi, gli pizzicò una guancia. Il giovane le
lanciò un’occhiata torva, un po’ sbigottita, ma non osò aggiungere altro. –
Mantieni la calma e pensa con lucidità. Sei un ragazzo intelligente, fai girare
quelle rotelle. –
Il
rosso le rivolse un sorriso beffardo. – Grazie di tutto babooshka. –
-
Ehh… i giovani… - Mentre si avvicinava alla porta i
quattro la osservarono con una richiesta sulle labbra che però non riuscivano a
esternare. Ancora una volta la donna li anticipò. Girò il capo e li osservò per
l’ultima volta con i suoi occhi pallidi, gentili, carichi di apprensione.– Io
non sono un dottore professionista, non più. Non ho vincoli quali il segreto
professionale o simili, ma non farò parola di quello che ho visto e sentito
questa sera con la polizia. Non sarò io a denunciare voi o il vostro amico.
Primo perché diventerebbe un problema anche per me, la mia piccola attività
deve restare un segreto… e secondo, anch’io nella mia carriera illecita ho
commesso azioni di cui non vado fiera e non sta a me giudicare le vostre.
Tuttavia dovete prendere una decisione e dovete farlo in fretta. Il tempo non è
vostro alleato. Detto questo, spero solo di ricontrarvi un giorno e soprattutto
in circostanze migliori. –
Vilena
non volle altro.
Non
volle sentire ulteriori ringraziamenti.
Non
volle alcun tipo di compenso.
Non
accettò la compagnia o l’aiuto di nessuno.
Uscì
dalla casa con un sorriso grinzoso sulle labbra e la riconoscenza di quattro
giovani campioni di Bay.
Silentium…
-
Penso che me ne andrò anch’io. – Era la voce pacata di Yuri che si era
espressa. – Tornerò. Non mi vedrà nessuno. Non andrò distante, ma ho proprio
bisogno di aria. –
Rei,
Max e Takao non si contrapposero alla scelta del russo. Lo osservarono
attraversare la stanza con rapide falcate, afferrare il suo cappotto bianco,
ormai logoro dopo le recenti avventure di Kei, e uscire silenzioso
dall’appartamento.
E
rimasero in tre.
-
Forse dovremmo riposare… siamo stati in piedi per tutta la notte. Qualche ora
di sonno non potrà farci altro che bene. –
Max
assentì all’affermazione di Takao, tuttavia c’era un problema da affrontare.
I
tre si voltarono all’unisono in direzione della camera colti da uno stesso
pensiero.
-
Penso che prima mi farò una doccia… - Il biondino non ce la faceva proprio ad
affrontare il loro amico.
Rei
lo vide tentennare con aria assente, diretto verso il bagno.
Non
si azzardò nemmeno ad entrare in camera a recuperare un cambio.
Takao
si girò verso di lui. Per qualche secondo i due si guardarono in silenzio.
C’era un’evidente tensione nello sguardo del nipponico. Rei non capiva se ce
l’avesse con lui per il fatto di aver dichiarato le sue intenzioni o se
cercasse semplicemente di capire cosa avrebbe fatto in quel momento.
Rei
sospirò e si passò una mano fra i capelli scuri e scompigliati. Le sue dita si
impigliarono in alcuni nodi e presto si pentì del gesto. Inconsciamente si
diresse verso l’interruttore della luce e lo spense. La stanza rimase
illuminata, se possibile ancora più di prima; ormai il sole era sorto e il
lampadario era diventato un mero spreco di corrente, anzi, l’effetto della luce
elettrica non faceva altro che incupire le ombre del soggiorno.
Da
qualche parte nella casa risuonò chiaro l’azionarsi di una doccia.
-
Io non denuncerò Kei. – In quel momento Rei gli dava le spalle, ma dal tono
deciso non era difficile immaginare la sua espressione.
-
Takao… -
-
Lasciami in pace. –
Il
cinese si girò giusto in tempo per vederlo scomparire oltre la porta della
cucina.
Era
solo.
Il
suo sguardo cadde involontariamente sulla porta della camera.
Sembrava
che attraversandola sarebbe finito per scoppiare il finimondo…
…
eppure oltre di essa tutto taceva.
- _
. - ° * ° -. _ . - ° * ° - . _ -
Il
cellulare lampeggiò silenzioso.
La
voce della rubrica contrassegnata come “Ivanov” apparì sullo schermo.
Storse
la bocca con una certa stizza.
Il
pensiero di non prendere la chiamata lo tentò, ma per qualche ragione rispose
comunque.
-
Puoi richiamare più tardi? – La voce di Evan suonava alquanto seccata.
-
Potrei, ma in quel momento Kei sarà già dietro le sbarre. –
Il
moro alzò un sopracciglio, schioccò un bacio in fronte alla ragazza, che gli
sorrise comprensiva, e uscì rapido dalla stanza.
Fuori
l’aria era fresca, meno appesantita dal riscaldamento artificiale.
Si
appoggiò con la schiena alla parete giallina del corridoio.
-
Congratulazioni. Hai la mia attenzione. – Il suo tono era piatto, ma la sua
curiosità era viva.
-
Vogliamo… vogliono denunciarlo. -
La
voce di Yuri sembrava alquanto incerta.
“Interessante…”
Il
nervoso che avvertiva nella voce del russo era una piacevole bizzarria che
quasi alleviò il peso delle sue parole. Quasi…
-
Non finché è a casa mia. – Non gli importava se appariva insensibile, non li
aveva aiutati per finire nei guai anche lui.
Yuri
non aspettava altro.
-
Credo che questa sia l’ultima delle nostre preoccupazioni… - La voce del rosso
aveva riacquistato il suo solito timbro strafottente.
“Mi sta
minacciando?”
Una
smorfia cinica gli incurvò le labbra sottili.
I
suoi occhi verdi seguirono con la coda dell’occhio un vecchio inserviente
passare lungo il corridoio, non lo perse di vista fino a quando quest’ultimo
girò l’angolo e sparì. Si concentrò di nuovo sulla telefonata.
-
Cosa vuoi Ivanov? –
Si
morse la lingua e si assicurò che nessuno avesse potuto udire quel nome.
Il
corridoio restava deserto.
L’altro
non rispose subito, tanto per lasciarlo ancora un po’ con il fiato sospeso.
-
Quanto sai di quello che è successo? – Sibilò infine.
-
Intendi a che punto sono le ricerche? –
-
Intendo quello che è accaduto quella notte… -
Yuri
sembrava più scocciato che minaccioso.
Evan
osservò per qualche istante il suo cellulare, lasciando la chiamata attiva,
scorse sulla memoria del telefono, nascosta fra le cartelle una registrazione
attrasse la sua attenzione. Il nome del file era composto unicamente da una
data. La data coincideva con il giorno della nota fuga di Kei Hiwatari.
Il
moro cominciò a pensare, soppesando ogni eventualità.
“Azaliya voleva che finisse in prigione fin dall’inizio.”
Tuttavia
Evan Andrew era di un’altra opinione.
Era
convinto che Kei Hiwatari fosse il loro asso più prezioso. La scossa che
avrebbe generato lo tsunami in grado di sommergere Hito
Hiwatari e tutta la sua compagnia. Non poteva perderlo per colpa di un simile
imprevisto.
Sentì
il ritmico battere dei tacchi ancora prima di vedere la sua figura snella
imboccare il corridoio. Aveva pochi secondi.
-
Nel mobile del soggiorno di casa mia c’è un portatile. Usa la connessione wi-fi dei vicini, non c’è password. Purtroppo io non ho la
linea telefonica fissa. Ti invierò per mail una registrazione. Ascoltala e poi
richiamami. –
Il
suo tono di urgenza fece capire a Yuri che non avevano molto tempo.
-
Posso accedere alla mail anche attraverso il mio cellulare. –
Evan
fissò il soffitto con fare scocciato.
-
Fai come vuoi. Appena sarò libero invierò la mail. –
Chiuse
la chiamata giusto in tempo per vederla girare l’angolo.
AzaliyaLeonova, alias Emi Tanaka,
gli rivolse un sorrisino smaltato di rosso appena lo vide in lontananza. Il
suono dei suoi tacchi riempì tutto il corridoio. Il suo passo era studiato, la
sua andatura sicura sebbene affrettata.
-
Sapevo di trovarti qui. –
Agli
occhi di Evan era bellissima come sempre: il caschetto biondo perfettamente
acconciato, gli occhi castani incorniciati da un filo di matita nera, le ciglia
allungate da una passata di mascara. Amava le femmine vanitose, erano quelle
che sapevano meglio darsi un tono. Non importava se la donna avesse quasi
raggiunto la trentina mentre lui aveva superato da appena due anni i venti,
provava per lei un forte sentimento. Sfortunatamente, Azaliya
era ancora troppo innamorata del suo ragazzo per corrispondere, nonostante
fosse morto da quasi quattro anni.
-
Stavo giusto venendoti incontro. -
Le
rivolse uno dei suoi sorrisi fascinosi, tuttavia la consapevolezza di doversi
allontanare da quella camera, senza un’ultima parola di congedo, lo sconfortò.
Se Yuri non lo avesse interrotto avrebbe potuto trascorrere ancora qualche
minuto insieme alla giovane.
Gli
occhi nocciola della donna indugiarono sulla targhetta che intestava la stanza
dell’ospedale da cui Evan era appena uscito. Il cartellino citava un unico nome
“Ada Andrew”.
-
Come sta tua sorella? –
Il
moro si sorprese di quella domanda. Infilò le mani nelle tasche del lungo
cappotto nero e raddrizzò la schiena.
I
tratti affilati del suo viso si indurirono.
-
Oh, sta bene. Pensavo quasi di portarla con noi dal vecchio Hito.
Giusto per dimostrargli la nostra riconoscenza e ringraziarlo di provvedere
così generosamente alle spese per le sue cure… - “Giusto per fargli vedere come lui l’ha ridotta.” Non c’era
gratitudine nella sua voce, solo amarezza e disprezzo.
I
suo occhi verdi diventarono improvvisamente freddi ed Emi sembrò sentirsi a
disagio.
Appena
si accorse di averla intimorita, Evan addolcì il tono, la prese a braccetto e
la condusse lungo il corridoio.
-
Ma forse è meglio se ci avviamo per conto nostro. – Aggiunse infine.
La
donna si sciolse dalla sua presa con garbo, proseguendo altezzosa due passi di
fronte a lui.
-
Sei la mia guardia del corpo, non il mio cavaliere al gran ballo. –
Evan
roteò gli occhi.
In
silenzio raggiunsero la stanza al piano superiore. Quella sorvegliata da due
guardie del corpo e da una fila interminabile di infermiere che entravano e
uscivano.
Evan
si avvicinò alla prima bodyguard.
-
Ehilà Hishiki. Come va il naso? –
Il
suo ghigno beffardo di rifletté sugli occhiali da sole dell’omone. Evan era
alto, ma la sua figura snella poteva stare dentro tre volte a quell’armadio di
uomo.
Hishiki indurì la
mascella mentre con un gesto istintivo andava a grattarsi la grossa fasciatura
che gli copriva il naso. Ovviamente, non rispose alla provocazione del moretto.
Tuttavia, essere stato abbattuto in quel modo da due stupidi mocciosi del Bay gli rodeva ancora.
-
Siamo venuti qui per parlare con il signor Hiwatari. –
La
direttrice del monastero parlò con tutta l’autorità conferitale dalla sua
posizione. Evan la vide avanzare fra le due guardie del corpo, osservando con
malizia l’ondeggiare del suo fondoschiena.
L’altra
body-guard aprì loro la porta. Evan non lo aveva mai
sentito pronunciare una parola. Era un uomo sinistro; persino a lui incuteva un
certo timore.
Era
alto, davvero alto. Più di lui e di Hishiki. Non
sembrava particolarmente muscoloso sotto quel completo nero, tuttavia la sua
faccia era mostruosa. Letteralmente, aveva un che di cadaverico; a Evan aveva
sempre ricordato il maggiordomo della famiglia Adams, solo con meno capelli… e
ovviamente senza le viti sulle tempie. Tuttavia, al contrario del suo alter
ergo televisivo, i suoi occhi non erano vitrei e spenti, ma scaltri e cattivi.
C’era proprio cattiveria nel suo sguardo.
Da
quel che ne sapeva, era affianco a Hito da sempre. Tutti
lo chiamavano “Akula”, infatti in russo акула significava
“squalo”. Il soprannome era dovuto all’assonanza con il suo nome, Akira Ikeda, e al fatto che girasse sempre intorno al signor
Hiwatari con quell’aria minacciosa. Tuttavia Evan sospettava che anche quello
fosse un nome falso, in primis dal
fatto che di orientale l’uomo non aveva proprio nulla e poi insomma… Ikeda… era uno dei cognomi più diffusi in Giappone. Almeno Azalyia, che pure lei fingeva una nazionalità nipponica,
aveva ereditato dalla nonna due bellissimi occhi a mandorla.
Ma
in fin dei conti tutto ciò gli importava ben poco.
Quando
entrarono nella camera trovarono Hito comodamente
adagiato su una pila di cuscini sul suo spazioso letto d’ospedale. Aveva due
profonde borse sotto gli occhi, ma per il resto Evan si stupì delle sue buone
condizioni. Il camice tipico dei ricoverati era stato sostituito da un candido
Kimono da casa e un semplice tubicino infilato nell’avambraccio era collegato a
una flebo.
Quando
vide Emi Tanaka il vecchio si rivolse altero verso di
lei, a quanto pare era ancora infuriato per il fatto che il nipote non fosse
stato ritrovato, ma non diede segni di malessere.
-
Come si sente signor Hiwatari? La vedo in forma, è evidente che i giornali
hanno come solito provveduto a pompare al meglio la notizia. – La donna fu
gentile a informarsi, ma Evan sapeva quanto poco le importasse in realtà.
Per
conto suo, il moro rimase in disparte vicino alla porta. Il vecchio non lo
degnò di uno sguardo. Lui non era nulla, solo un’ombra che si frapponeva fra
lui e una eventuale minaccia.
-
Se avessi ancora l’appendice starei sicuramente meglio, ma per quel mi riguarda
poteva andare peggio… avrebbe potuto colpire un poco più su. Avete trovato quel
bastardo? –
Emi
negò decisa, mascherando il timore con un’espressione accigliata.
Hiwatari
corrugò la fronte rugosa e con un grugnito e un rapido gesto della mano scacciò
quel pensiero.
-
Non importa… speravo lo acciuffassimo prima noi, ma in ogni caso la polizia lo
troverà. Comunque vada, ho già ottenuto quello che voglio. –
Evan
e Azalyia sapevano benissimo a cosa si riferisse,
eppure finsero di non aver afferrato il discorso.
Era
chiaro che il vecchio non fosse più preoccupato dalla fuga del nipote,
dopotutto l’unica cosa che gli premeva era preservare per sé la parte del
patrimonio che il ragazzo avrebbe ottenuto una volta compiuta la maggiore età.
Una volta condannato con l’accusa di tentato omicidio, Kei avrebbe perso ogni possibile
pretesa alla sua eredità. Alla fine l’intromissione della polizia che tanto lo
aveva preoccupato si era rivelata un piacevole imprevisto.
Hito Hiwatari
aveva ottenuto il suo obbiettivo senza alcuno sforzo… o meglio, sacrificando la
sua appendice.
Nonostante
Evan non provasse una particolare simpatia per Kei, quel pensiero gli lasciò
l’amaro in bocca.
-
Non è per questo che ti ho fatta chiamare Emi. – Evan non poteva sopportare la
confidenza e la malizia con cui quel vecchio pronunciava il nome della donna. –
Quando la polizia ha esaminato il mio studio, ovvero la scena del delitto,
hanno scoperto qualcosa di veramente spiacevole… -
Evan
fu strappato dai suo pensieri da una fitta allo stomaco. Il suo cuore perse un
battito. Con uno sforzo immane riuscì a non lasciar trapelare il suo disagio.
In cuor suo sperò che Azalyia riuscisse a gestire la
cosa meglio di lui.
La
donna si dimostrò all’altezza di qualsiasi sua aspettativa.
Con
un tono impeccabile, velato da una sincera curiosità rispose: - Di cosa stiamo
parlando? –
Il
vecchio la scrutò da sotto le sue folte sopracciglia grigie. Era sospetto
quello che vi leggeva? – Microspie. – La Tanaka alzò
un sopracciglio in una finta smorfia di stupore. Il cuore di Evan invece
batteva a mille. – Non solo nel mio studio. Per scrupolo ho fatto perquisire
tutta la casa, il monastero e i miei uffici nella sede dell’impresa. Ho fatto
passare la cosa come una mossa di qualche azienda avversaria, anche la polizia
sta indagando. – La sua voce era roca, poco più di un bisbiglio. – Temo che sia
qualcosa di ben più grave di semplice spionaggio industriale. Ho bisogno che tu
scopra immediatamente chi può essere stato e cosa è stato registrato, se
saltassero fuori quelle conversazioni, la corporazione ne uscirebbe rovinata. –
“Tu ne
usciresti rovinato, brutto vecchiaccio…”Nonostante lo stato d’ansia, vedere Hito così
inquieto gli provocava una certa euforia. Risultò davvero difficile per lui
apparire impassibile.
Per
la Tanaka mantenere il controllo sembrava invece
molto più facile: gli occhi castani della donna si assottigliarono con finto
sospetto, mentre con un gesto noncurante si passò un ciuffo di capelli dietro
l’orecchio. – Mi sembra una cosa alquanto difficile. Non saprei da dove
cominciare. –
Hiwatari
la squadrò con uno sguardo cupo.
Le
rughe che gli increspavano il viso si infittirono.
Il
suo tono era deciso. – Le microspie sono quelle usate di solito dai miei
uomini. Comincia a cercare da dentro la compagnia. Chiunque sia è uno dei
nostri. Hai a disposizione tutti gli esperti dell’azienda, di qualsiasi
settore, scegli bene di chi fidarti. –
Si
schiarì la voce per sottolineare le ultime parole.
–
Hai carta bianca. –
…
Quando
furono fuori dall’ospedale Emi si concesse un profondo, pesante, sospiro. La
mano le tremò ed Evan non esitò a sfiorarla cercando di trasmetterle il suo
appoggio.
Si
trovavano in un piccolo vicolo, all’ombra di vecchi fabbricati adibiti a
magazzini per le merci. L’aria era secca e polverosa, ma almeno il posto era
deserto.
-
Non bastano… E’ troppo presto. Non abbiamo abbastanza prove. Non potremo mai
incastrarlo con così poche registrazioni. -
-
Abbiamo i documenti raccolti dal tuo ragazzo. –
La
donna si fece cogliere da un brusco attacco di panico. – Non sono abbastanza! –
Si liberò con uno scatto dalla presa di Evan dandogli le spalle. –E’ tutta
colpa di quel maledetto ragazzino viziato! E’ solo colpa sua! – Emi cominciò a
passarsi nervosamente le mani fra i capelli, respirando profondamente in un
vano tentativo di calmarsi.
Kei.
Evan
ci aveva già pensato.
Kei
non doveva assolutamente essere arrestato.
Afferrò
la donna per le spalle costringendola a voltarsi verso di lui. I suo occhi
color nocciola erano lucidi per l’agitazione.
-
Alyisa. Abbiamo ancora Kei. –
La
donna dischiuse le labbra rosse spaesata, non capendo le parole del suo
complice.
Lui
le sorrise fissandola con due intensi occhi di smeraldo.
Il
rombo di una moto sfrecciò nella strada dietro di loro facendola sobbalzare.
Approfittando
dell’improvviso sgomento della donna Evan le rubò un bacio.
La
sentì irrigidirsi sotto la sua stretta, ma non le permise di sottrarsi.
Aveva
bisogno di calmarsi.
Aveva
bisogno di sentirla.
Aveva
bisogno di sapere che in mezzo a tutta quell’assurda situazione… a quel
soffocante frangente… il sapore di una donna sulle labbra era sempre il più
dolce dei rimedi.
…
Non
ce l’ho fatta. Non sono riuscita a scrivere tutto quello che dovevo… questa
storia invece di avviarsi verso una conclusione sta diventando sempre più
lunga. Ma procediamo… Innanzitutto, sono davvero… estasiata. Sono veramente
strafelice di scoprire che ci siete ancora. Sì, parlo di voi carissime lettrici
che mi seguite da tutto questo tempo. Non sapete quanto è stato per me di
conforto rileggere i vostri nomi nella pagina delle recensioni! Sono davvero
felice! Quando vi ho rivisto mi sono sentita carica, pronta a continuare questa
storia! E’ stato davvero emozionante… (adesso penserete che mi emoziono con
poco, magari è anche vero… però… wow…) Adesso la pressione è alta… spero
proprio di non deludere le vostre aspettative… poi, altra felice sorpresa che
ha fatto salire il mio umore alle stelle è stato l’intervento di nuove
lettrici! Immagino che per voi sia stato più complicato seguire questa storia,
leggendola così “tutta in un colpo”, soprattutto visto l’incoerenza di certi
punti, come mi è stato giustamente fatto notare. Mi dispiace molto per questo,
ma è davvero difficile avere il controllo di tutto, soprattutto visto che
questa ff sembra andare avanti di testa propria a
seconda del mio umore. Grazie davvero per tutto il supporto e i vostri
consigli. Ah! Mi sorprende anche che troviate i personaggi così ben
rispecchiati. E’ una cosa che mi sta molto a cuore e vedere che i miei sforzi
non sono vani è un’altra fonte di happiness! Questo
angolo sta diventando un po’ lungo… ok. Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto. Forse lo avvertirete un po’ troppo affrettato il problema è che mi
sono dilungata più del previsto e ho cercato di troncare alcune parti. Fra poco
la mia vacanza terminerà, quindi inizierà a diventare più difficile trovare il
tempo per scrivere. Ma lo troverò!
Max
stava sulla soglia tra il soggiorno e il bagno. I capelli umidi gli ricadevano
sulle spalle in grossi ciuffi scomposti, il viso era ancora arrosato dal tepore
della doccia, il suo fisico snello era invece fasciato da un accappatoio blu
scuro. Aveva i piedi nudi, ma il pavimento freddo non sembrava dargli fastidio
mentre attraversava la stanza a lunghi passi avvicinandosi sempre più al tavolo
del soggiorno.
Rei
alzò sorpreso lo sguardo oltre lo schermo del portatile. Le sue iridi si
assottigliarono mentre l’amico si avvicinava, tuttavia sfoggiò come suo solito
un sorriso gentile.
-
Era nell’armadio della dispensa. L’ho trovato per puro caso… sono persino
riuscito a rubare la connessione ai vicini! – Un sorriso felino gli incurvò le
labbra esponendo alla vista i suoi canini pronunciati.
Max
si avvicinò con rinnovata curiosità al pc, aggirando il tavolo per mettersi
alle spalle dell’amico. La sorpresa del momento gli fece quasi scordare il
motivo della sua inquietudine, ma, non appena vide la pagina web che Rei stava
visitando, tutta la serietà del caso gli incupì nuovamente il volto.
Cogliendo
il significato dell’improvviso silenzio del biondino, l’altro si affrettò a
spiegare.
-
Volevo farmi un’idea di come stanno le cose. La notizia ormai è di dominio pubblico
e ovviamente è arrivata fino al Giappone. –
L’americano
muoveva su e giù i profondi occhi blu, in maniera quasi frenetica, passando
rapido da una notizia all’altra, scorrendo gli articoli e talvolta
soffermandosi più a lungo su qualche espressione o vocabolo che maggiormente
attiravano la sua attenzione. Era felice di poter finalmente riuscire a leggere,
in una lingua a lui comprensibile, quello che stava accedendo nel mondo, ma,
tristemente, nessuna di quelle notizie sul “caso Hiwatari” lo faceva sentire
meglio.
Nulla
di nuovo, sia chiaro, i fatti ormai li conosceva; accusato, fuggiasco,
ricercato, sospetti su eventuali complici, ricerche ancora in corso… C’era
tuttavia un aspetto totalmente nuovo di quella vicenda a cui finora, si rese
conto, non aveva dato il giusto peso.
Ovviamente
loro, lontani dal comprendere le notizie in cirillico dei quotidiani russi e
interessati principalmente alla parte “concreta” dei fatti, non avevano ancora
avuto occasione di saggiare la vera tragedia che si stava compiendo.
Kei
era semplicemente rovinato.
La
sua immagine, la sua reputazione, tutto il rispetto che aveva accumulato in
quegli anni… distrutti.
I
giornalisti sembravano in competizione fra loro; una macabra concorrenza
impegnata a distorcere e a storpiare le notizie riguardanti il famoso blader.
Lo dipingevano come un ragazzo disturbato, avido, viziato, violento… tutte
quelle occasioni in cui Kei si era inavvertitamente messo in cattiva luce erano
state riproposte attraverso un filtro di scherno e diffamazione. Prima era il
teppista, ex capo di una banda, che si divertiva a distruggere i bey blade dei giovani aspiranti giocatori, poi diventava il
ragazzo bramoso, capace di attentare all’incolumità del suo unico parente per
ottenere l’eredità. Era stato scavato nel suo passato in cerca di ogni suo
possibile sgarro e talvolta ai fatti reali si affiancavano vere e proprie
calunnie. I suoi fan erano abbattuti, delusi, confusi da tutta quella
denigrazione, in pochi mantenevano ancora una certa fiducia. Nondimeno, l’opinione
pubblica, soprattutto di chi, alla fin fine, poco importava se aveva vinto
qualche gara di trottole, era davvero, davvero, impietosa.
-
E’ orribile… -
Fu
solo un sussurro, ma esprimeva tutto ciò che in quel momento Max provava.
Rei
si accigliò comprendendo appieno i sentimenti dell’americano. Scorse con il touchpad fino in fondo la
pagina; in un angolo, un breve trafiletto di poche righe parlava di loro.
“Sono ormai quasi una conferma i
sospetti della polizia riguardo i possibili complici di Hiwatari. Secondo la
dichiarazione di un dipendente della corporazione, il direttore del noto
monastero gestito dall’impresa in Russia, Yuri Ivanov avrebbe aiutato Kei nella
fuga. Per quanto riguarda i componenti della sua squadra, i Blade Breakers,
restano ancora dubbi riguardo il loro ruolo nella vicenda, nonostante le
testimonianze schiaccianti, aggravato sicuramente dalla loro irrintracciabilità. A loro favore si schiera il presidente
della BBA, il sig. Daitenji, assicurando la completa
innocenza dei tre ragazzi. Il magnate del Bay non ha
lasciato alcuna dichiarazione ufficiale riguardo a dove i campioni possano
trovarsi, tuttavia, secondo alcuni che lo hanno udito, sembra convinto che
anche questi siano impegnati nelle ricerche del loro compagno.”
-
Sta guadagnando tempo… -
Max
si sedette sul bordo del tavolo guardando Rei di sottecchi. Sapeva a chi si
riferiva.
-
Daitenji sa che stiamo aiutando Kei. – Continuò il
moretto. – Sono convinto che stia temporeggiando per permetterci di prendere
una decisione. Capisce quanto sia difficile per noi e vuole darci tempo per
fare la scelta giusta. –
-
Pensi che anche lui voglia che lo denunciamo? Denunciare un nostro amico
sarebbe la scelta giusta? Non stai forse presupponendo un po’ troppe cose da un
semplice trafiletto? –
Rei
incrociò lo sguardo con Max, lesse disappunto nei suo occhi, ma anche
comprensione.
-
Perché esporsi in questo modo se non per mandarci un messaggio per spronarci?
Per dimostrare la sua fiducia in noi? –
Max
abbassò il capo sviluppando un improvviso interesse verso le sue dita dei
piedi. Le mosse distrattamente mentre rimuginava tra sé.
-
E quel coso da dove salta fuori? -
I
due ragazzi alzarono il capo all’unisono in direzione della cucina. Rei vide il
giapponesino sulla soglia con due tazze fumanti di caffè. Il suo volto era
teso, ma sembrava meno ansioso rispetto a un’ora prima. Si avvicinò un po’ impacciato
verso di loro prestando attenzione a non rovesciare il liquido bollente.
Appoggiò le bevande di fronte ai due amici e con un balzò piombò loro alle
spalle per meglio osservare lo schermo del computer.
-
E’ di Evan… -
Max
stava per aggiungere altro, ma si accorse che il moretto non lo stava più
ascoltando tanto era intento a leggere le notizie dei quotidiani virtuali.
Sul
suo volto Rei vide passare le stesse emozioni che poco prima avevano alterato i
lineamenti del biondino: curiosità, ansia, preoccupazione, orrore, ira.
-
Ma stiamo scherzando?! Sono tutte bugie! -
I
suoi due compagni di squadra sapevano bene che il loro capitano stava
chiaramente riferendosi a Kei, ma prima di parlare attesero che l’altro
leggesse fino in fondo. Takao si impossessò del portatile inserendosi quasi con
prepotenza tra loro, scorrendo le pagine e assimilando tutte quelle nuove
informazioni. Sconsolati, Max e Rei si fecero da parte ben consapevoli
dell’impulsività del loro amico. Il biondino cominciò a sorseggiare il caffè
preparato da Takao, il cinese invece si limitò a scaldarsi le mani con la tazza
ancora calda; quando vide una smorfia di disgusto arricciare il naso
lentigginoso del biondino, capì di aver agito bene scegliendo di non bere la
brodaglia di Takao. L’americano riappoggiò la bevanda sul tavolo e non la toccò
più.
-
Che il presidente Daitenji abbia in mente qualcosa
per aiutarci? –
Max
lo osservò con interesse, non avendo ancora interpretato le azioni dell’uomo
sotto quel punto di vista. Tuttavia Rei lo aveva già fatto e, in ogni possibile
scenario che aveva delineato, l’aiuto del loro presidente sarebbe valso a poco,
se non per garantire la loro buona fede.
-
Non credo Takao. E’ probabile che stia semplicemente guadagnando tempo nella
speranza che riusciamo a risolvere questo problema. -
Ovviamente
sapeva che il signor Daitenji non era uno stupido;
sicuramente aveva già immaginato che il loro primo pensiero sarebbe stato
quello di dare soccorso al loro amico, tuttavia sapeva anche meglio di loro che
di fronte a una simile situazione avrebbero avuto ben poche possibilità di dare
un aiuto concreto. Rei era convinto che Daitenji
confidasse nel loro buon senso, ovvero che fossero in grado di capire quando
era il momento di farsi da parte e tirarsi fuori da quell’impiccio, così da non
restare travolti da quella bufera di diffamazione che aveva già rovinato il
loro amico.
E
quale modo migliore se non denunciarlo direttamente alle autorità?
“Sembra convinto che anche questi siano
impegnati nelle ricerche del loro compagno.” Era questo che diceva
l’articolo.
Perché
cercarlo se non per consegnarlo alle forze dell’ordine?
Sebbene
in maniera non ufficiale, Daitenji cercava di
mostrarli positivamente al pubblico. In fondo era proprio l’opinione “del
popolo” che avrebbe potuto aiutarli in quel momento. Passando per dei bravi
cittadini che volevano solo riconsegnare alla giustizia un loro amico finito
sulla cattiva strada, poco importava se non avevano collaborato con la polizia,
se la sarebbero cavata forse con qualche sanzione minore, ma la loro immagine
sarebbe rimasta immacolata.
Ma
questo poteva accadere solo consegnando effettivamente Kei.
Rei
si passò nervosamente la mano fra i capelli, ormai era diventata un’abitudine,
e i nodi prolificavano.
L’intera
squadra era a rischio. Uno di loro era irrimediabilmente perso, ma il resto
poteva ancora essere recuperato.
Era
una scelta crudele, che andava contro tutti i suoi principi di amicizia, ma Kei
era colpevole. Lo diceva la polizia, lo diceva Yuri, lo diceva persino lo
stesso Kei. Se davvero era così, se davvero aveva compiuto un simile gesto, era
giusto che ne rispondesse.
Tuttavia
Rei aveva un terribile presentimento, quella quasi certezza che vi fosse
qualcosa che doveva essere ancora loro svelata, qualcosa che solo il russo
poteva raccontare, ma, soprattutto, temeva che, una volta venuti a conoscenza di
questo fatto, per loro sarebbe stato impossibile agire secondo logica e
restarne incolumi.
Ne
aveva il terribile sospetto.
Eppure
non voleva dare ascolto a quel presentimento. Forse era meno forte di quel che
credeva; forse era veramente più interessato alla sua incolumità che alla sorte
di un suo amico.
Si
chiese se Takao si rendesse davvero conto di tutto ciò e se la sua ostinazione
fosse un’altra prova della sua prontezza di spirito. Aveva davvero quella forza
che a lui mancava? In fondo, non era un caso se alla fine era lui il loro
capitano. Takao era irruento: agiva, pensava poco e seguiva i suoi principi,
che finora non lo avevano mai tradito. E’ sempre il solito dilemma: genio o
follia?
In
quel momento tuttavia non lo invidiava per nulla, sapeva bene che alla fine
sarebbe stato lui a mettere fine a quel discorso. Si domandò solo se lui stesso
sarebbe stato in grado di seguirlo in caso la sua decisione si fosse rivelata
diversa dalle proprie aspettative.
Max
a un certo punto afferrò il portatile voltandolo verso di sé. Ignorando le
proteste di Takao cominciò a smanettare. Sia il cinese che il nipponico non
avevano una visione diretta dello schermo e non potevano farsi un’idea di ciò
che il loro amico stava combinando.
-
Eccolo! -
Il
biondino sorrise incurvando le labbra in quel suo tipico ghigno felino e, dalla
sua posizione di sbieco, Rei lo vide digitare sulla tastiera la sua mail. Prima
che i due moretti potessero interrogarlo sulle sue intenzioni un suono attirò
la loro attenzione. Era l’effetto acustico che annunciava l’avviarsi di Skype.
Rei
e Takao si accigliarono.
-
E’ online! – Esultò di nuovo fra sé il biondino.
Ecco
che partiva la suoneria di chiamata.
Qualcuno
rispose.
- _ . - ° * ° -. _
. - ° * ° - . _ -
Quando
aveva visto il nome del contatto che lo stava chiamando non credeva ai propri
occhi.
Aveva
passato giorni nel tentativo di rintracciarli e ora riapparivano magicamente
dal nulla.
-
Hiromi! Hiromi! Vieni qui,
presto!! –
La
ragazza alzò incuriosita la testa dal quotidiano e avvertendo il tono di
urgenza dell’amico si precipitò al suo fianco.
Nel
frattempo Kyoju aveva appena accettato la chiamata e
proprio in quell’istante il faccione lentigginoso di Max apparve sullo schermo
della conversazione.
-
Max!! Sei proprio tu! Dove siete finiti?? Dov’è quell’imbecille di Takao!? –
Hilary aveva cominciato a strillare con enfasi contro il portatile scuotendolo
quasi si trattasse dell’americano in persona.
-
Hiromi, datti una calmata, così lo distruggi! -
Il
tecnico della squadra le strappò il proprio pc dalle mani riappoggiandolo con
cura sulle proprie ginocchia, con un gesto che sembrò quasi paterno passò una
mano lungo i bordi dell’aggeggio assicurandosi che non avesse ricevuto botte.
-
Scusami tanto Prof. K, mi sono fatta troppo trasportare dalla sorpresa… – La
ragazza si rese conto di aver agito in maniera troppo impulsiva e per scusarsi
si sedette accanto a lui in un silenzio religioso, poggiando la schiena sul
parapetto della terrazza.
Si
trovavano sul tetto della scuola. Era una giornata splendida; cielo terso di un
celeste splendente, senza una nuvola e con un sole caldo che non faceva troppo
pesare la fresca aria di fine autunno.
-
Max? Mi senti? –
Kyoju
vedeva il biondino parlare, ma non sentiva la sua voce. Abbassando lo sguardo
sulla spia della tastiera si diede da solo dello stupido e con un colpetto del
dito attivò l’audio del pc.
-
…lary? E’ Hilary quella vicino a te? Mi senti? – La
voce suonava un po’ ovattata e il suo accento americano risultava così più
marcato, tuttavia le sue parole erano comprensibili.
-
Si sono io Max! – La ragazza si sporse verso la webcam salutando con la mano il
biondino. Era così entusiasta che sembrava quasi una bambina delle elementari.
-
Ma stai parlando con il Prof. K!? - Dietro l’americano comparvero
improvvisamente due testoline more, che presto si rivelarono essere Takao e
Rei. Sembravano stupiti tanto quanto loro.
-
Siete tutti li! – Il volto del tecnico si rilassò per il sollievo, era felice
di poter finalmente rivedere i suoi amici. – E’ da giorni che proviamo a
contattarvi! Abbiamo visto i notiziari! Dov… - Hiromi lo precedette. – Come sta Kei? E’ lì con voi?! –
-
Lo stavo chiedendo io! –
-
Shh! Non sento quello che dicono! –
Il
ragazzino incrociò infastidito le braccia al petto, esasperato da tutta quella
esuberanza femminile.
-
Kei è qui con noi, ma è malato… - Questo era Rei.
La
qualità della chiamata era relativamente scarsa, così come la risoluzione
video, tuttavia Hiromi e Kyoju
si resero ugualmente conto del livello di stress che stavano affrontando i loro
amici. Tutti e tre avevano l’aria distrutta; il volto sfibrato, gli occhi
cerchiati da ore di sonno mancate e, nonostante non si vedessero da un sacco di
tempo, non sembravano così entusiasti di rincontrarsi come avevano sperato.
Avevano l’aria di aver passato davvero dei brutti momenti.
Qualcosa
di grave stava accadendo e i due giapponesi se ne resero conto quando videro
Takao farsi avanti e, fissandoli con uno sguardo carico d’angoscia, chiese loro
notizie riguardo il presidente Daitenji.
Anche
Hiromi cambiò atteggiamento facendosi improvvisamente
seria. – Se vuoi delle risposte, dovrai prima spiegarmi quello che sta
succedendo Takao. –
Passò
una mezz’ora buona prima che i Blade Breakers ebbero finito di raccontare le
vicende che li avevano tenuti impegnati fino a quel momento. Il Prof. K e
Hilary erano rimasti concentrati sulle voci dei loro amici, in parte perché
l’audio ogni tanto vacillava e in parte perché non riuscivano a credere alle
loro parole. Quell’aria di spensieratezza e di gioia che li aveva visti
rispondere eccitati alla chiamata dei loro amici si era presto dissipata. Anche
loro erano ora appesantiti da quelle nuove rivelazioni; la consapevolezza che
Kei fosse realmente colpevole e non un mero equivoco, come avevano sperato, era
davvero terribile e la prospettiva che si proponeva loro era tutt’altro che di
conforto.
La
cosa tuttavia peggiore era che i due non avevano nessuna alternativa, nessun
consiglio, nessuna idea in grado di aiutare i loro amici. Se ne stavano lì,
tutte e tre in attesa di una loro opinione, ma tutto quello che potevano
offrire era unicamente la loro solidarietà.
Dopo
un breve attimo di silenzio il ragazzino col pc decise di dare voce ai suoi
pensieri.
-
Mi spiace Takao. Non so cosa abbia in mente Daitenji,
ma posso dirti che qui sono tutti preoccupati per voi. Tuo nonno, tuo fratello,
i tuoi compagni di classe, i vostri fan. Sono tutti angosciati da quello che
potrebbe accadervi se si confermassero le accuse contro di voi. – Il Prof. K si
sfilò sconsolato gli occhiali da vista. Soffiò su una lente e li inforcò
nuovamente. – Non credo abbiate molta scelta… -
Era
davvero dispiaciuto per Kei, ma se quello che gli avevano raccontato era vero,
non c’erano molte alternative.
-
Takao, se non lo denunci tu, lo farò io! – Nonostante la ragazza fosse
consapevole della vacuità della sua minaccia, il tono di Hilary era sprezzante,
ma sotto le sue sopracciglia corrucciate i suoi occhi castani erano lucidi. –
Devi farlo per il resto della tua squadra e per tutti quelli che tengono a voi!
–
-
Ti ci metti pure tu, Hilary? – Takao era incredulo. Hiromi
fu turbata dallo sguardo carico di delusione che le rivolse, ma rimase salda
nelle sue convinzioni e continuò con testardaggine a ribattere.
-
Dovresti vedere le infamate che sparano qui su Kei! Non li sopporto! Mi mandano
in bestia! Mi fanno stare male da quanto fanno schifo... Vuoi davvero che tutto
il resto della tua squadra subisca un simile trattamento? Vuoi davvero
trascinare con te anche loro? Io non potrei sopportarlo… Svegliati! Voi non
avete nessuna colpa! Non è giusto che veniate accusati anche voi! – Max, Rei e
Takao la ascoltavano con attenzione, vedevano il suo volto afflitto, ma allo
stesso tempo accusatore, e non avevano proprio il coraggio di controbattere
alla sua voce spezzata. – Takao! Sei tu il caposquadra! Il tuo dovere è quello
di badare ai tuoi compagni. Non puoi più aiutare Kei, ma puoi ancora salvare il
resto della tua squadra! Fallo per loro… pensa a quello che passerebbero i tuoi
cari. Pensa a come mi sentirei io… -
Hiromi
fu fortunata perché, nell’istante esatto in cui la prima lacrima cominciava a
rigarle il viso, la conversazione si interruppe.
Kyoju
sfilò un fazzoletto dal suo pacchetto e lo porse gentilmente alla ragazza. –
Sono andati… -
-
Vorrei essere lì con loro… - Si soffiò rumorosamente il naso, passandosi la
manica della camicia sugli occhi. Era frustrata e purtroppo quando si
innervosiva le lacrime si attivavano spontaneamente rendendola ancora più
furiosa. – Takao farà la sua scelta… -
Il
ragazzo fece qualche tentativo per ristabilire la chiamata, ma già si era reso
conto che non sarebbe stato più possibile ripristinarla; chiuse lo schermo del
pc senza nemmeno preoccuparsi di spegnere il sistema. Alzò il viso al cielo
inspirando l’aria fresca del tardo pomeriggio. Improvvisamente, quella serena
giornata d’autunno non gli sembrava più tanto bella.
-
Peccato che purtroppo Kei non ne abbia… -
- _ . - ° * ° -. _
. - ° * ° - . _ -
La
camera era luminosa, inondata dalla luce del sole che filtrava senza
impedimenti attraverso i vetri delle finestre.
La
figura sul letto parlò con voce stanca, quasi seccata.
-
Ho sentito quello di cui stavate discutendo… e sinceramente non mi importa. -
Effettivamente,
tra l’agitazione e i diversi conflitti di opinione susseguitisi quella mattina,
non si erano troppo preoccupati di moderare i toni della discussione.
Kei
tuttavia non sembrava per nulla turbato dalla loro decisione.
Takao
sperava in una sua reazione. Sperava che si alzasse, che cominciasse a urlargli
contro, non certo per implorarlo di non farlo, ma per insultarlo, per
schernirlo, per dargli una qualsiasi ragione per non agire. Ne aveva bisogno.
Voleva sentire da lui quelle parole, “traditore”, “vigliacco”, “egoista”, che
continuavano a ronzargli nella testa da quando aveva accettato il suo destino.
Kei
invece era una maschera di indifferenza, anzi, tutto ciò sembrava quasi
sollevarlo. Non lo guardava nemmeno. Se ne stava seduto sul materasso, con il
respiro pesante, il volto magro, sciupato dalla malattia, ma abbastanza in
forze per fissare ostinatamente un punto fuori dalla finestra e trattarlo con
la sua insopportabile sufficienza.
Aveva
una buona ripresa… ma doveva ringraziare solo le cure di Vilena e la
rivoluzionaria invenzione dell’antibiotico se ora riusciva ad atteggiarsi a
quel modo. Così smagrito e tenace sembrava quasi un animale bastonato che
tuttavia ancora opponeva resistenza ai suoi aguzzini.
Solo
che loro non erano i suoi aguzzini, ma i suoi amici.
Sul
comodino la zuppa che gli aveva preparato Rei si stava raffreddando; ovviamente
il russo ancora non se la sentiva di mangiare, anzi, solo il profumo del pasto
sembrava dargli fastidio.
Takao
aveva insistito per parlargli da solo, per comunicargli la loro decisione, era
il minimo visto che tutto il peso della scelta era ricaduto su di lui. Sperava
che senza un audience Kei si sarebbe sentito più tranquillo e più propenso a
parlare, magari raccontandogli come erano andate le cose fra lui e suo nonno.
Inutile.
Kei
non voleva parlargli e non voleva ascoltarlo.
Cominciava
a sentirsi a disagio in quella stanza. Si sentiva malissimo, non per la notte
insonne, per l’ansia o la tensione provata in quei giorni, ma per la decisione
presa. Quando finalmente aveva acconsentito alla scelta di denunciarlo si era
sentito svuotato, spossato, come se avesse appena concluso un’importante
incontro di Bey, ma ne fosse uscito perdente. Anzi, non era un’emozione
comparabile con una sfida di trottole, era infinitamente peggio. Era andato
contro tutti i suoi principi di amicizia e ora si sentiva unicamente un vigliacco traditore egoista.
La
sua ultima speranza era Kei stesso. Se in quel momento gli avesse chiesto di
non farlo, lui lo avrebbe ascoltato. Avrebbe gettato tutto al vento se solo il
russo glielo avesse domandato… ma lui se ne stava semplicemente lì a fissare
quel dannato punto fuori dalla finestra!
Forse
cogliendo i suoi pensieri o, più facilmente, incuriosito da quel lungo
silenzio, davvero insolito per il nipponico, Kei si voltò a guardarlo. Sul suo
viso pallido ricadevano scompigliati i ciuffi argentei della chioma. I suoi
occhi scarlatti erano calmi, profondi, ma stanchi. Capì che lo stava studiando.
Riusciva a leggerlo in maniera quasi troppo imbarazzante e Takao cominciò a
sentirsi sempre più a disagio. Stava per dirgli qualcosa, ma scorse un
cambiamento nello sguardo dell’amico: compassione? Non importava… era già
sparito.
Forse
si sentì in dovere di dire qualcosa perché il russo cominciò con voce calma e
roca: - Purtroppo, non sono in condizione di scappare e piantarvi in asso. –
Takao si accigliò, ma lo ascoltò in silenzio, quasi con bramosia. Quasi stesse
ascoltando una profezia. – Non ho posti in cui scappare e non ho posti dove
andare. Sono un ricercato e, anche se a malincuore, ho sempre vissuto sotto
l’ala protettiva di mio nonno. Non saprei cosa fare o a chi rivolgermi e il
vostro aiuto è solo un peso che mi costringe a dover pensare all’incolumità di
altri oltre che alla mia... e io non ho più voglia di pensare. Non mi importa
nulla. Non ho più nulla. Fai quella fottuta telefonata e lasciami in pace. –
- _ . - ° * ° -. _
. - ° * ° - . _ -
Tadadadaaaan!
La
suoneria del suo cellullare lo fece sobbalzare. Non riceveva spesso delle
e-mail e non si era mai accorto di quanto fosse insopportabile il tono di chiamata
a esse associato. Si ripromise di cambiarla non appena avesse avuto tempo; al
momento era troppo ansioso di aprire il messaggio per occuparsi di simili
inezie.
La
connessione non era delle migliori, il contatore mostrava solo due tacchette
delle quali l’ultima scompariva e riappariva alla minima oscillazione
dell’apparecchio. Aprì la mail, fortunatamente la pagina non ci impiegò troppo
a caricarsi. Il nome del mittente era sugar_star99,
piuttosto insolito e alquanto fuorviante, ma era certo si trattasse di Evan.
D’altronde quella era una casella di posta elettronica che Yuri aveva creato da
poco e che comunque non aveva mai utilizzato, era solo piena di messaggi spam
che finivano direttamente nell’apposito cestino. La bodyguard era l’unica
persona a conoscerla poiché gliel’aveva comunicata via sms un’ora prima.
Mancava
il nome dell’oggetto. Non c’era testo, si aspettava di vedere un allegato, ma
vi trovò solo un link che rimandava a un sito di storage. Il file era in una
cartella di condivisione dati sotto il nome di “mylovelypet <3”.
Evan
aveva un pessimo senso dell’umorismo.
Quando
tentò di scaricare la registrazione un messaggio lo informò che il proprietario
non gli aveva consentito tale privilegio.
Fece
una smorfia e aprì direttamente il file dal web.
Colto
da un improvviso fermento tese l’orecchio in ascolto.
La porta dello studio si aprì lasciando
entrare la figura slanciata del giovane blader.
Quando Kei Hiwatari mise piede nella
stanza aveva un sguardo sospettoso, ma non poteva certo immaginarsi il reale
motivo per cui era stato convocato. Teneva la sua sciarpa immacolata attorno al
collo, ma il suo abbigliamento era sobrio: un semplice maglioncino grigio e un
paio di jeans scuri. Fino a quel momento era stato impegnato ad allenarsi con i
bey, nel campo sul retro della residenza.
La prima cosa che vide fu quel
mostruoso bodyguard che sempre accompagnava suo nonno, Akula.
Quest’ultimo lo osservò con sufficienza, mentre il ragazzo ricambiava con
un’espressione gelida. Se ne stava appollaiato dietro la scrivania, alle spalle
del vecchio.
Hito si mosse sulla poltrona quando ormai
gli era di fronte, fingendo di essersi accorto solo in quel momento dell’arrivo
del nipote. Si sfilò gli occhiali da vista e li gettò con noncuranza sulla
scrivania.
- Eccoti qui ragazzo, ti stavi
allenando? E’ tardi ormai… –
Kei annuì lanciando una rapida
occhiata all’orologio appeso alle sue spalle. In effetti era tardi, quasi le
dieci di sera ormai.
- Direi che è tardi anche per una
riunione di famiglia. Di cosa mi devi parlare di così urgente? –
Il vecchio sorrise. Si alzò dalla
scrivania aggirandola e sfiorando la spalla del nipote gli fece cenno di
accomodarsi insieme a lui sulle poltrone accanto la libreria.
Mentre si spostava Kei vide delle
buste e un tagliacarta sul tavolino li vicino;
evidentemente Hito aveva già fatto sistemare tutto l’occorrente
per quella serata. Si chiese se avesse già pianificato tutto il resto
dell’incontro.
Se davvero le cose stavano così non
significava niente di buono.
Una leggera tensione cominciò a
ronzargli nelle orecchie.
Kei seguì il nonno fino alle
poltrone, ma non si sedette, si appoggiò allo schienale osservando insospettito
il parente.
Akula prese posizione alle spalle del vecchio,
silenzioso, a malapena si accorse di lui.
- Allora? – Kei cominciava a
sviluppare una certa impazienza, ma il vecchio Hiwatari procedeva rilassato,
mettendosi comodo sulla poltrona, osservandosi attorno, pensando con cura alla
parole da utilizzare.
- Siamo in fallimento Kei. –
Quel pensiero non lo sconvolse più di
tanto, ma non riuscì comunque a trattenere un’espressione di sorpresa. Quella
era la conferma che non si sarebbe trattato di un normale incontro di
circostanza. Cominciando a fare mente locale, si passò una mano tra i capelli
argentei.
Suo nonno era avvantaggiato; era
sicuro avesse già preparato ogni singolo particolare di quel discorso e lui era
stanco per l’allenamento e troppo privo di informazioni per riuscire a reggere
il confronto. Inoltre era da un paio di giorni che non si sentiva molto bene:
quasi sicuramente stava covando qualche malanno.
Finalmente si scostò dallo schienale
e si sedette sulla poltrona piegandosi in avanti verso il nonno.
Vedendolo disorientato, Hito continuò compiaciuto: - L’impresa, il monastero, le
scuole e le palestre di Bay, la gestione dei tornei…
abbiamo fallito alcuni investimenti e purtroppo non siamo in grado di mantenere
efficientemente ogni cosa. –
- E’ per questo che hai chiuso le
palestre in Brasile? – Kei aveva letto quella notizia la mattina precedente.
- Era un’attività nata da poco che
doveva ancora dare i suoi frutti. E’ stata una delle scelte più logiche per
ridurre le spese. –
- Peccato che fossero diventate la
casa di un centinaio di orfani, che ora si ritrovano di nuovo sulla strada… –
La voce di Kei era fredda, il suo volto di pietra. Non sopportava il modo in
cui suoi nonno sfruttava i bambini. Si faceva ben volere dal pubblico
dimostrandosi attento ai meno fortunati, facendo vedere di dar loro una casa,
un futuro, ma alla fine era solo un modo per sfruttare le persone.
- Sarebbero trascorsi anni prima di
addestrarli al Bey e altri anni ancora perché le palestre cominciassero a
sfornare campioni degni della nostra società. –
- Non è questo il punto! – Il giovane
aveva alzato la voce di un tono stringendo i pugni sopra i braccioli della
poltrona. Rendendosi conto dell’eccessiva enfasi si rilassò, agitò la mano come
per scacciare un pensiero e sussurrò. – Non importa… i soldi sono tuoi, fai quello
che vuoi. –
Sentiva gli occhi di Akira su sé. Lui
sapeva cosa aveva in mente suo nonno; riusciva a leggerlo nella sua aria
compiaciuta. Ciò significava solamente una cosa: stava cascando nel gioco del
vecchio. Per quanto si sforzasse, Kei stava finendo nella trappola di Hito e la cosa peggiore era che pur rendendosene conto non
riusciva a evitarlo. Cominciò a innervosirsi, ma si sforzò di riacquistare
subito il controllo.
Stava cercando di metterlo a disagio,
ma non glielo avrebbe permesso.
Il vecchio alzò un sopracciglio per
nulla turbato dal tono impertinente del ragazzo. Scosse la testa osservandolo
con quello sguardo di severità che sapeva tanto infastidire Kei.
Il giovane sospirò pesantemente e
fece per alzarsi. Forse poteva guadagnare tempo...
- Grazie per avermi reso partecipe
della tua sfortuna e del tuo caratteristico animo nero. Se non ti spiace, ora torno
ai miei impegni. –
Non aveva ancora finito la frase che
il bestione in completo nero si era parato al suo fianco impedendogli di
andarsene.
Kei lo fissò con astio lanciando poi
uno sguardo di seccata curiosità al parente. Tuttavia rimase in piedi, fiancheggiato
dallo squalo.
- Non abbiamo ancora concluso. Kei,
mi serve il tuo aiuto per risolvere questa crisi. –
Non aveva via di scampo.
Sospirò.
Si sentiva accaldato. Che fosse per
la tensione? Si stava ammalando? O era forse spaventato?
- Non vedo in che modo io possa
aiutarti, ma visto che non mi lasci altra scelta… parla. -
- Cominciamo dall’inizio. – Gli occhi
grigi del nonno si piantarono in quelli scarlatti del nipote. – Come hai appena
saputo, non sono in grado di portare avanti ancora a lungo l’azienda. Da come
stanno le cose, per restare a galla devo sacrificare le parti… per così dire...
accessorie. L’industria di Bey rimane sempre una delle nostre priorità e il
livello eccellente dei nostri prodotti è ancora in grado di salvarci. Tuttavia
per farla funzionare servono soldi. Per ottenere soldi dobbiamo vendere o almeno
chiudere. Prima è toccato alle nuove palestre, ora toccherà a quelle più
vecchie. –
Kei aveva già capito dove voleva
andare a parare. – Vuoi chiudere il monastero. – Il suo tono era privo di
emozioni.
Un sorriso grinzoso increspò le
labbra del vecchio. – Esatto. I monaci vivranno più sereni senza doversi occupare
di tutti quei orfanelli. Rinunceremo ai nostri campioni fino a quando la nostra
industria non si risolleverà e ci permetterà di nuovo di poter investire su
queste inezie. –
Il ragazzo si accigliò. “Inezie”. Era
di persone che stava parlando. Di ragazzi senza famiglia che avevano incanalato
tutte le loro aspettative e il loro futuro nella speranza di risollevarsi
grazie ai campionati di Bey. Sopportavano tutto quello che di più orribile
avveniva in quel monastero pur di sopravvivere, farsi un nome e poter essere
indipendenti. Lui stesso vi aveva vissuto qualche anno per allenarsi. Lui
conosceva quei ragazzi. Aveva degli amici fra loro.
Il volto arrogante di Yuri gli balenò
per un istante nella mente.
Cercò di scacciarlo scuotendo il
capo.
Era chiaramente una minaccia. Quel
vigliacco di suo nonno lo stava ricattando colpendolo su quelle poche cose che
gli stavano a cuore. Prima la sua empatia verso gli orfani e ora più
direttamente i suoi amici. Eppure non riusciva ancora a capire cosa esattamente
volesse da lui.
- Cosa posso fare? Non ho denaro per
aiutarti, tutti i premi che ho vinto ai tornei sono finiti alla tua società…
Inoltre mi hai proibito di partecipare al torneo di quest’anno in Russia. Non
puoi trarre nessun guadagno da me. –
Il vecchio colse al volo l’occasione
e gettò altra carne al fuoco. – Non sei stato iscritto al torneo per
salvaguardare alla tua incolumità... - Soppesando per un istante il volto
interrogativo del nipote, Hito aggiunse. - Sono io
che finanzio il campionato quest’anno. Non si può mai sapere con tutti questi
dimostranti che inneggiano contro la mia società… potrebbe accadere qualcosa. -
Un lampo di incredulità accese lo
sguardo del giovane. Qualcosa nel tono del parente lo mise in guardia. – Cosa
intendi dire con “potrebbe accadere qualcosa?”. C’è il resto della mia squadra
che vi partecipa! – Il ragazzo ormai era evidentemente adirato e il sorriso
eloquente che gli rivolse suo nonno non fece che peggiorare il suo umore.
Un'improvvisa consapevolezza gli alterò i lineamenti; il volto si distese in
una fredda maschera di disprezzo. Scandì le parole con una furia gelida: – Che
cosa vuoi? –
Il vecchio divenne improvvisamente
serio. Con un gesto che non ammetteva repliche invitò Kei a sedere e questi non
poté far altro che obbedire, in attesa di risposte.
Alle sue spalle la bodyguard appariva
seriamente colpita dalla magistrale abilità con cui Hiwatari stava scaldando il
ragazzo. Toccava i punti più deboli e poi lo lasciava navigare nel dubbio. Lo
riempiva di informazioni incomplete lasciandolo meditare su una matassa di fili
spezzati e aggrovigliati fra loro. Il moccioso non poteva che costringersi ad
ascoltarlo per collegare tutti i punti e venire a capo del problema. Il fatto
era che una volta che fosse arrivato a una conclusione il giovane non avrebbe
avuto altra scelta che accettare le sue condizioni.
Era come una bambola. Non poteva
agire liberamente, poteva solo sottostare al gioco che gli era stato imposto.
Hiwatari aveva messo abbastanza carne
al fuoco. Ci stava andando giù veramente pesante. Kei non riusciva a credere a ciò
cui stava assistendo. Era a dir poco sconcertato. Suo nonno aveva appena
candidamente minacciato lui e soprattutto l'incolumità dei suoi amici. E la
parte peggiore era che lo sapeva benissimo capace di mantenere quelle sinistre
promesse. D'altronde non era la prima volta che capitava un’evenienza simile,
sebbene all'epoca non si fosse trattato di un’offesa nei suoi confronti.
Ricordava quello che era accaduto ad
Ada Andrew, la gemella di Evan. A quel tempo svolgeva la mansione di domestica
in casa Hiwatari mentre il fratello si allenava al monastero. Lei e Kei erano
in buoni rapporti, sempre nei limiti in cui possono esserlo dipendente e
padrone, ma la sua era sempre stata una compagnia piacevole. Purtroppo venne
coinvolta in una sparatoria che aveva come obbiettivo lo stesso Hito; lei si trovava solo nel posto sbagliato al momento
sbagliato. Tuttavia il vecchio ne uscì incolume grazie al sacrificio della vera
vittima: la precedente guardia del corpo del vecchio, ShunAizawa, che morì proprio il giorno del suo matrimonio
colpito da un proiettile che sembrava destinato ad altri, senza essere neppure
in servizio. Ada, invece, colpita anche lei, rimase paralizzata. Poco tempo
dopo, Kei venne casualmente a sapere che, in realtà, il tutto era stato
organizzato da suo nonno per eliminare Aizawa. Hito era infatti venuto a conoscenza del fatto che la
bodyguard complottava contro la sua società e stava per rovinarlo. Furibondo e
disgustato dalla meschinità del suo stesso parente, Kei era stato forzato al
silenzio, ma aveva insistito affinché il vecchio si degnasse almeno di
prendersi carico delle spese per le cure della sua amica. Tutta la faccenda fu
ovviamente fatta passare come un gesto compiuto da dimostranti che vessavano la
società Hiwatari e Hito ne uscì pulito, se non anche
benefattore della ragazza. Kei non aveva mai avuto il coraggio di parlarne con
Evan, ma in quel momento, si rese conto, si pentì di non averlo fatto.
Ora era il suo turno.
Più o meno era quello che Hito aveva intenzione di fare al torneo di Bey Blade, solo
che le vittime sarebbero stati tre ignari campioni colpevoli unicamente di
essere amici del nipote.
Doveva scegliere se farsi carico
dell’incolumità della sua squadra o…
“O
cosa?”
Cosa voleva da lui quel vecchio da
dover ricorrere a simili sotterfugi pur di ottenerlo?
Ormai era sconvolto e non riusciva
più a nasconderlo. A quel punto, difficilmente avrebbe potuto negare al nonno
qualsiasi sua richiesta.
- Vai al sodo… - Il ragazzo appariva nauseato
da tutto ciò, ma restò calmo.
- C’è effettivamente un modo per
evitare questo sgretolarsi delle nostre risorse. – Kei lo fissò con sguardo
glaciale. – C’è un fondo, che sarà attivo non appena raggiungerai la maggiore
età. E’ un patrimonio consistente, intoccabile fino ad allora. –
Di fronte alla sua incredulità, il
vecchio fece un cenno alla bodyguard. Questi afferrò i fogli sul tavolino e li
porse a Kei.
Preso da una strana enfasi, cominciò
a scartare la prima busta. I suo occhi scorsero prima le lettere e poi le
pagine. Non riusciva a credere a quel che aveva di fronte. Quando ebbe
terminato i primi fogli rialzò lo sguardo sul parente alquanto scioccato.
- Questa è una trattativa… -
Hiwatari fece spallucce con
noncuranza. – Praticamente lo è… Quella è la tangente che ho versato a tuo
padre per acquistarti. Una mazzetta molto cara… -
Kei avvertì il sangue defluire dal
suo viso, si rese conto di essere impallidito quando vide il suo riflesso sulla
vetrata del tavolino.
“Ha
detto acquistato?”
- Senza dilungarci troppo sui
particolari posso dire che, quando tuo padre se ne andò, rifiutando qualsiasi
coinvolgimento con la mia società, squattrinato com’era, accettò di buon’ora i
soldi che gli offrii per tenerti sotto la mia potestà. Parte dei soldi che gli
cedetti decise tuttavia di depositarli in un fondo a tuo nome, in modo che, se
un giorno ti fossi ritrovato nelle sue stesse condizioni, avresti avuto modo di
farti una vita nuova. Questa è l’unica cosa buona che probabilmente quel
fannullone di mio figlio fece per te… -
Non riuscendo a evitare che la
frustrazione gli contorcesse i lineamenti alzò una mano a coprirsi il viso.
Tuttavia anche questa lo tradì quando venne percossa da un tremito.
Non aveva mai chiesto nulla riguardo
suo padre. Aveva qualche lontano ricordo di lui, sapeva che era ancora vivo da
qualche parte e per un certo periodo della sua vita aveva anche avuto una certa
curiosità a riguardo, ma da tempo si era deciso: non voleva saperne
assolutamente nulla.
Era stato uno stupido a sperare che
suo nonno rispettasse quella sua decisione.
No… lui doveva gettarglielo in faccia
nel momento meno appropriato di tutta la sua vita. E soprattutto distruggendo
quel briciolo di speranza che lui gli aveva lasciato.
Odiava quel vecchio.
Lo odiava con tutto se stesso.
Voleva solo i suoi soldi, quell’unico
dono lasciatogli da un padre, a cui, come aveva appena amaramente scoperto, non
importava nulla del figlio, ma che comunque gli aveva lasciato una via di fuga.
Ecco… ora quella via di fuga non
c’era più. Grazie a un padre che non si era mai degnato di conoscere il proprio
figlio e grazie a un nonno che, evidentemente, aveva interesse per il nipote
tanto quanto ne aveva avuto il genitore.
Si sentiva tradito, ingannato, usato…
Per tutto quel tempo era solo stato
usato. Usato per arricchirsi prima da suo padre e poi da suo nonno.
Quei pochi legami di amicizia che
aveva creato si erano trasformati in un’arma a doppio taglio.
Mentre pensava a tutto ciò, aveva
cominciato con aria assente ad aprire la seconda busta. Per questa fu
necessario utilizzare il tagliacarte d’argento, che si trovava sempre sul
tavolino accanto ai fogli. Dentro vi trovò i documenti per investite tutta la
sua nuova fortuna nell’azienda. Mentre vedeva i propri occhi scarlatti, carichi
di furore, riflessi nella lama pensò che si trattasse dell’arma del delitto per
antonomasia.
Dopo che il ragazzo lesse i fogli
capì di non avere altra scelta. Se accettava, avrebbe salvato i suoi amici, ma
non avrebbe avuto più nulla.
Amici. Da quanto tempo ormai li
considerava tali? Non importava, in ogni caso non avrebbe mai vissuto con il
peso di tre vite sulla coscienza.
Non aveva avuto nemmeno la
possibilità di vivere la fugace illusione di essere libero, neppure per un solo
secondo. Quell’eredità inaspettata era già destinata a svanire.
Kei guardò il nonno con un misto di disprezzo
e impotenza. Era devastato da tutte quelle nuove rivelazioni, ma l’odio che
provava verso quell’uomo sopraffava qualsiasi altra
emozione.
Era cascato nella rete. Era stato
ingannato. Era stato venduto dal suo stesso padre. Non era una menzogna. Quelle
carte dicevano il vero.
Il vecchio appoggiò la mano sul mento
volgendo un rugoso sorriso compiaciuto verso Kei. Il suo tono suonò innocente e
velato da un finto tono speranzoso.
- Firmerai? –
Quale domanda più retorica.
Quale uomo più ripugnante.
Kei lo fulminò con lo sguardo,
pervaso dall’ira. Nella mano stringeva ancora il tagliacarte.
Gli uscì solo un mugugno affermativo
a testa bassa. Mentre con un cenno del capo ribadiva la sua decisione.
In quel momento lo colpì forte
l’istinto di scappare. Di correre via da quell’essere obbrobrioso.
Il vecchio accennò con assenso, come
se fosse fiero della decisione presa dal nipote, o come se si congratulasse con
se stesso.
- Ovviamente, sono consapevole come
questo incontro abbia incrinato per sempre i nostri rapporti, anche se non
erano propriamente affettivi. Per questo motivo penso che sia meglio se tu
conduca il resto dei tuoi studi lontano da qui, mi occuperò che tu trascorra
molto tempo in una struttura adeguata. Magari evitando di continuare a giocare
con le trottole. Ormai hai fatto il tuo tempo… -
Più che per ciò che quelle parole
implicavano, fu quando vide il sorriso vittorioso che sconvolse la rete di
rughe sul viso del vecchio che fu colto da una fitta al petto tale da provocargli
un mix micidiale di emozioni. Sentì il suo orgoglio urlargli attraverso un
fischio nelle orecchie. Provò ira, ribrezzo, tristezza, panico, odio...
Quando si mosse di scatto con ancora
il tagliaccarte in pugno più con l’intenzione di
andarsene, forse interpretando male le sue intenzioni, Akula
lo afferrò per la sciarpa costringendolo a fronteggiarlo. Il ragazzo sorpreso
si divincolò dalla stretta e sotto gli occhi increduli del parente inciampò sui
suoi stessi piedi. Rovinò a terra proprio di fronte a suo nonno.
Nel frattempo il vecchio si era
alzato rassicurando la bodyguard sulle intenzioni del giovane. Come se fino a
quel momento avessero semplicemente parlato del più e del meno, Hito allungò la mano verso di lui per aiutarlo ad alzarsi.
- Su dai… quando imparerai a stare
fermo sui tuoi piedi, piccolo Kei? -
L’ironia e il tono di scherno
contenute in quella sentenza lo mandarono fuori di testa. Accettò la mano di
suo nonno, ma aveva ancora il tagliacare in mano
quando, sfruttando la stessa forza che il vecchio impiegò per alzarlo, usò lo
slancio per colpire.
Yuri
spense il viva voce del suo telefono e con un gesto di puro odio lo sbatté sul
tavolo di fronte a Takao.
Era
tornato nell’appartamento di Evan.
Troppo
tardi tuttavia.
Lo
aveva insultato…
… traditore vigliacco egoista…
…
gli aveva urlato contro ogni ingiuria che conosceva in un russo gutturale e
pungente, lo avrebbe anche picchiato se il cinese e Max non lo avessero
trattenuto.
Aveva
insultato anche loro.
Ormai
la chiamata era stata fatta e la polizia stava arrivando.
Disprezzava
Takao e quello che aveva appena fatto.
Lo
odiava con ogni fibra del suo corpo.
Non
riusciva a sopportare che Kei definisse suo amico quell’idiota.
Non
capiva perchè non lo avessero aspettato. Con quale
diritto aveva agito in quel modo senza neppure consultarlo? Non pensavano alle
persone che avrebbero coinvolto? La casa in cui lo avrebbero presto prelevato
era di Evan. Lui stesso era ormai considerato a tutti gli effetti un complice.
“Garantiremo noi per te, dimostreremo
che sei sempre stato con noi ad aiutarci…” Questo era quello
che credevano.
Erano
davvero così stupidi? Così egoisti?
Sentiva
un bisogno urgente di urlare, di ricominciare di nuovo a insultarli.
Tuttavia,
mentre li aveva osservati ascoltare con angoscia quella registrazione, mentre
vedeva i loro volti venire sopraffatti dal rimorso, aveva provato pena per
loro.
Max
fissava il vuoto seduto sul divano del soggiorno, mordendosi il labbro, con le
nocche sbiancate dalla stretta nervosa sulle sue ginocchia eRei continuava a passarsi le mani fra
i capelli, camminando su e giù per la stanza come una tigre in gabbia.
Takao
si era dovuto sedere sulla sedia accanto al tavolo; teneva il viso basso
nascosto dietro le mani tremanti.
-
Che effetto ti fa ora sapere? - Le parole del rosso erano aspre e cariche di
odio, con una forte cadenza russa.
Quando
il moretto si sforzò di guardarlo, Yuri poté vedere un volto devastato e due profondi
occhi neri, lucidi e arrossati.
La
cosa peggiore era che, vederlo così divorato dal rimorso, non lo fece sentire
affatto meglio.
…
Ce
l’ho fatta. Questo capitolo non finiva più. Forse perchè
lo scrivevo appena riuscivo a trovare un po’ di tempo e ispirazione, forse perchè non volendo troncare le cose a metà ho preferito
farlo più lungo… era troppo lungo? Lo avete trovato pesante? Non credo comunque
che la cosa si ripeterà! xD Spero che vi sia piaciuta
e che le situazioni vi siano risultate chiare e non troppo assurde! Lo spero
davvero… anche perchè la parte della registrazione,
che alla fine era un flashback, l’ho riscritta non so quante volte, avevo anche
provato a scriverla dal punto di vista di Akula, ma
non mi convinceva. Detto questo, spero di avere un vostro parere. Grazie di
nuovo per i vostri commenti! Sono felice di ritrovarvi ogni volta! Mi da
proprio la carica! Spero di non aver deluso le vostre aspettative… e scusate di
nuovo l’attesa! Ci vediamo con il prossimo capitolo!