Con Permesso...

di Gozaru
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Terribili Incontri ***
Capitolo 2: *** Su Misura. ***
Capitolo 3: *** Happy Ending. ***



Capitolo 1
*** Terribili Incontri ***


Uno Dolce Flirt ~




"Con Permesso..."







Capitolo Uno.
Terribili Incontri.

Come si può spiegare una relazione?
Due persone stanno insieme perché si amano, talvolta basta. Ma spesso si generalizza, arrivando a pensare che i legami che intercorrono tra due persone siano così semplici da ridursi ad un semplice sentimento. Anche nel caso che la frase si riveli azzeccata, non è detto che l'amore, da solo, riesca poi a tenere in piedi la storia.
E anche così, comprendendo i sentimenti dei due coinvolti, non è comunque facile stabilire gli altri fattori. Ma, cosa più importante, i sentimenti di un eventuale terzo.
Non è forse vero, infatti, che in ogni coppia esiste sicuramente una persona che da essa è tagliata fuori ne soffre? Oh sì, sono convinta di ciò. Forse, proprio perché per lungo tempo, quella terza incomoda ero io.


Entrai nella sua vita nel modo più banale possibile.
«Salve, sono venuta a chiedere per quel posto da commessa» entrai nel negozio con una cartelletta di fogli in mano. Subito mi sorpresi della modestia del posto ma mi bastò osservare gli abiti esposti per rendermi conto della raffinatezza della merce. File e file di abiti dalle svariate forme e colori si distendevano davanti ai miei occhi. E proprio da una di esse ne uscì un bellissimo ragazzo dall'aria confusa e spaesata. Mi guardò con due grandi occhi neri chiedendosi di cosa stessi parlando. In una mano teneva una gruccia, sulle braccia un quantitativo esorbitante di stoffa che non avrei saputo riconoscere in un vestito e tra le sue sottili labbra un paio di spilli e un ago da cui pendeva un sottile filo visibile solo grazie ad uno strano riverbero di luce. Sulle prime rimasi incantata dalla particolare bellezza del ragazzo che mi ritrovai davanti ma la strana circostanza in cui mi ritrovai mi aiutò a reagire in modo quasi tempestivo. Sotto il suo sguardo confuso mi ricordai di aver portato con me una copia dell'annuncio di lavoro, postato probabilmente dallo stesso ragazzo che si trovava di fronte a me. Nel negozio si sentiva solo una flebile canzone, mandata alla radio o registrata su un cd, quindi dovevamo essere soli in quel posto; ma il fatto che lui, inizialmente, si fosse dimenticato di un qualcosa che avrebbe potuto scrivere mi fece vacillare. Cercai velocemente il foglio incriminante, sfogliando gli altri con una velocità sorprendente, leccandomi ogni tanto l'indice così da avere più presa sulla carta. Ed eccolo, infine: una pagina dall'intestazione del sito internet da cui l'avevo stampata. Lo estrassi, cercando di non muovere gli altri fogli e, grazie al cielo, ci riuscii. Il ragazzo dai profondi occhi neri, come la sua capigliatura, assottigliò gli occhi, cercando di vedere bene il foglio. Mi resi conto di essere a più di due metri da lui e che quindi la cosa gli avrebbe creato qualche problema; così presi a due mani l'annuncio, appoggiandolo sulla cartelletta e, tenendolo davanti a me, mi avvicinai al ragazzo nella speranza che finalmente capisse il tutto.
«Oh!» se ne uscì, strozzato, probabilmente per non far cadere i piccoli oggettini di metallo che teneva stretti fra le labbra. Abbassai la cartellina e mi ritrovai davanti una folta chioma nera come la pece che si muoveva in modo strano. Più prendevo coraggio, allontanando quello strano meccanismo di difesa, più riuscivo a comprendere le sue movenze. La sua agle mano stava arrotolando nella stoffa gli spilli e l'ago. Proprio quando cominciai a capire, imitando il suo verso, egli rialzò il viso mostrandomi un sorriso affascinante. Rimasi immobile, con le labbra socchiuse. Mi sentii una scema ma non riuscivo più a muovermi: non avevo mai visto una persona così bella.
«Seguimi».
Percorremmo il piccolo locale ed ebbi modo di ammirare tanti altri modelli fino a che non mi portò in quello che doveva essere il magazzino. Era pieno di stoffa inutilizzata e manichini spogli. Molti abiti erano appesi contro il muro, avvolti in una sacca trasparente su cui era attaccato un bigliettino: quelli dovevano essere gli abiti già venduti in attesa che il proprietario venisse a ritirarli. Rimasi sulla porta per osservare meglio il posto. Era molto spoglio, con molti tavoli e sedie. L'unica cosa che riusciva a dare un po' di allegria all'ambiente, erano le stoffe di mille colori, illuminati dalla luce che filtrava dalle grosse finestre. Sarebbe benissimo potuto assomigliare ad un atelier. In un angolo, poi, vi erano moltissimi specchi e una piedistallo. Lì, probabilmente, vestiva delle modelle. Ebbi l'istinto di andare a rubare qualche abito dal negozio per poi indossarlo e vedermi in quell'immensità di specchi. Ma non lo feci perché quello che sarebbe potuto diventare il mio capo appoggiò rumorosamente le stoffe su uno dei tavoli. Poi si girò verso di me.
«Accomodati pure» disse, indicandomi gentilmente una sedia libera. Solo allora notai il suo bizzarro abbigliamento: sembrava venuto fuori da uno di quei film in costume e decisamente, il foulard viola che portava al collo gli donava poco. Feci per sedermi quando lui si spostò alle mie spalle per avvicinarmi la sedia al tavolo. Wow, pensai, esistono ancora i cavalieri, al giorno d'oggi? Prese velocemente posto davanti a me, cercando di fare spazio tra di noi. Il tavolo, ingombro di stoffe, era comunque il più a posto di tutti per cui dovevo accontentarmi.
«Ehm...» cercai di attaccare bottone, messa in soggezione dalla sua postura diritta e dalle mani incrociate sul tavolo, davanti a lui «Sono venuta qui per l'annuncio che ho let-».
«Sì, sì» fece lui sbrigativo «Hai mai lavorato in un negozio?». Rimasi sorpresa dalla sua strana professionalità; anzi, dalla sua assenza di professionalità. Ma annuii piano con la testa. «Prima di trasferirmi ho aiutato i miei genitori con il loro negozio e ho avuto altre esperienze» cercai di presentarmi al meglio, cominciando a trafficare con la cartelletta azzurra tra le mie mani. Presentargli ora il Curriculum sarebbe stata una mossa di tutto effetto, ne ero sicura. «Se vuole dare un'occhiata...» gli allungai i due fogli graffettati insieme. Lui lo prese ma dopo uno sguardo veloce lo riposò sul tavolo. «Allora vediamo che sai fare, Daphne».

Leigh, così si chiamava il ragazzo, si rivelò essere una persona piuttosto stramba. Mi aveva assunta dopo una sola settimana di prova e senza nemmeno guardare il mio curriculum. Pensai inizialmente che lo aveva buttato ma sbirciando tra la spazzatura non lo trovai e in tutto il retro del negozio non riuscii a trovarlo: doveva essere sparito. Smisi di pensarci dopo qualche giorno, euforica del nuovo lavoro con cui avrei finalmente potuto cominciare una nuova vita a Parigi. E, chissà, avrei forse avuto anche qualche relazione e qualcosa dentro di me mi diceva che il mio capo non sarebbe stato fuori dalle mie mire. Lo aiutavo in negozio e, dopo pochi suoi consigli, cominciai anche a cavarmela dietro una macchina da cucire: ero sicura che, continuando ad aiutarlo, avrei avuto modo di avvicinarmi a lui e a conoscerlo. Purtroppo, però, il negozio era molto famoso in città e ogni giorno era affollato più del precedente, se possibile. Addirittura, sembrava esserci una specie di collaborazione silenziosa con la gelateria di fronte: tra gelati e vestiti le donne andavano matte e gli incassi di entrambe le attività sembravano lievitare costantemente. Il prezzo del successo, purtroppo, era di incrociare quasi per caso Leigh. Vedevo la sua chioma vagare per il negozio; avrei voluto andare da lui a creare un rapporto ma io stessa vagavo costantemente cercando di aiutare i clienti. Ma le cose cominciarono a cambiare con Settembre e l'inizio della scuola. Fu un sollievo avere delle mattinate tranquille. Cominciai a parlare con Leigh, avanzando anche idee mie riguardo a dei modelli di vestiti. Non avevo mai amato la moda ma la vicinanza con il ragazzo stava cambiando alcuni miei modi di pensare ed alcune mie idee. Certe notti mi svegliavo e mi precipitavo alla piccola scrivania della mia camera in affitto per disegnare un modello che avevo sognato, prima di dimenticarmelo per sempre.
Ma ero sempre stata una persona che tirava le conclusioni ancora prima di sapere metà della storia. Già; fu quando cominciai a credere che tra me e il corvino sarebbe potuto succedere qualcosa che la realtà mi crollò di colpo addosso.
In negozio entrò una fanciulla molto bella. Aveva dei lunghi capelli argentei ed un viso dai lineamenti perfetti. L'avevo già vista molte volte passare dal negozio ma era sempre stata servita da Leigh. Inoltre, ogni volta che si presentava lì, riconoscevo sempre un capo diverso che vendevamo. L'idea che fosse solo una cliente fissa era ciò che avevo sempre pensato. Si avvicinò al bancone dietro cui ero seduta. Visto il bellissimo momento di pausa, mi ero messa a guardare il via-vai di gente fuori dalla vetrina fino a che non era arrivata lei. Mise le mani sul bancone per avvicinarsi a me, sbattendomi quasi in faccia il suo enorme seno. 
«Sai dirmi dov'è Leigh?» chiese piena di allegria. Sì, tranquilla. Non salutare nemmeno, pensai. Ma mi stampai sul volto un fintissimo sorriso cordiale e le dissi che in quel momento era occupato sul retro e, se possibile, era meglio non disturbarlo. Stava creando un abito seguendo un disegno che gli avevo portato quella mattina: gli era piaciuto così tanto che si era messo all'opera non appena ero riuscita a prendermi tutti i clienti che chiedevano consigli. Si era defilato in un attimo e da lì non era più uscito; inutile dire come quel gesto mi avesse resa felice. Era un po' come dire che il nostro rapporto si era evoluto. Ma mentre io pensavo ad un futuro che non sarebbe potuto esistere, questa mise il broncio. «Ma io voglio vederlo!». Mi dette fastidio il suo modo di fare. Ma che voleva poi, da lui? Mi alzai in piedi, dicendole che avrei fatto io un salto a vedere se poteva riceverla. E così, sperando anche di levarmela di dosso, percorsi il locale. Bussai alla porta e la aprii poco dopo.
Leigh era bellissimo. Il volto all'ombra e concentrato sulla stoffa e il disegno. Lo chiamai ma non mi sentii fino alla terza volta. Solo allora sembrò risvegliarsi cancellando quell'espressione estatica di chi sta compiendo un capolavoro dal volto e piazzandoci su uno dei suoi sorrisi. 
«C'è una ragazza che ti cerca» gli dissi, sussurrando, per paura di rompere quell'atmosfera magica in cui ero appena entrata. «Chi è?» mi chiese, inclinando teneramente il capo. Ma non seppi che rispondere, né ci riuscii dal momento che la ragazza, che doveva avermi seguita, entrò di corsa nel magazzino quasi schiacciandomi contro la porta. Saltò al collo del ragazzo riempiendogli le guance di baci. Strinsi forte una delle mie mani e stavo per reagire quando lo vidi felice e contento di tutte quelle attenzioni. «Dai, Rosa! Sto lavorando!» fece lui, ridendo per la prima volta da che lo conobbi.
Cos'era quel modo affabile, quello spazio a lei concesso? Cos'era quel sorriso ebete sul suo volto mentre il mio viso sembrava sfaldarsi?
Vedendo che non capivo, Leigh si alzò in piedi e, indicando la ragazza, me la presentò.
«Lei è Rosalya, la mia fidanzata».






Questa fanfiction deve la sua nascita a Sakyo91 che con la sua bellissima storia mi ha ispirata a scriverne una. Volevo dare l'idea di una Rosalya un po' antipatica com'era riuscita a fare lei e, anche se non credo di esserci riuscita, ho comunque realizzato un altro trittico.
Avrei voluto pubblicarla a storia conclusa ma i capitoli saranno solo tre e l'ultimo è in fase di chiusura quindi mi porto avanti. Credo che la aggiornerò settimanalmente (massimo); e vi informo già che a chiusura di questa ne arriverà un'altra con un diverso trio di personaggi: Jade, Dajan e la Dolcetta.
Sto cercando, per quanto possibile, di passare tutti i personaggi del GDR, partendo da Armin e Alexy (e Dake) in Doppio Gioco; Nathaniel, Castiel e Lysandre in Shadows e queste due novità.
Per il momento godetevi un personaggio strasottovalutato.
A presto!

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Capitolo 2
*** Su Misura. ***


Due Dolce Flirt ~




"Con Permesso..."







Capitolo Due.
Su Misura.

Mi diedi malata per i due giorni seguenti. Quando Leigh mi chiamò preoccupato gli risposi che, tornando a casa, avevo preso il forte acquazzone che aveva investito Parigi, buscandomi un pessimo raffreddore. Al telefono, poi, fu più facile simulare la voce da ammalata e la tosse. La sua chiamata mi fece molto piacere ma non sarei mai riuscita a dirgli che la cotta che mi ero presa per lui aveva fatto sì che alla presentazione di Rosalya il mio cuore andasse in mille pezzi. Un giorno, chissà, avrei anche potuto scherzarci su. Ci rimasi malissimo quando conobbi Rosalya, sai? Sì, ero innamorata di te! Ahahah! Ma ogni volta che immaginavo conversazioni simili mi chiedevo se sarebbe potuto esserci un futuro in cui saremmo diventati amici. E visto a come immaginavo una storia d'amore, chi mi diceva che ora sarebbe potuto essere diverso?
Abbassai la testa sulle ginocchia, lasciandomi andare all'ennesimo pianto. Sarei voluta sprofondare nelle coperte per non svegliarmi mai più.

Ma dovetti reagire, tornare al lavoro.
Il sorriso di Leigh era ancora lì, accogliente, a chiedermi se mi fossi ripresa del tutto e io, con un sorriso mesto che lui scambiò per il fanalino di coda della malattia, gli dissi che non doveva preoccuparsi.
Vidi Rosalya passare al negozio molto più spesso; probabilmente ciò era dovuto al fatto che ora che sapevo la verità i dettagli ovvi non mi sfuggivano più di mente. Vedevo come mi salutava superficialmente per poi andare ad abbracciare Leigh e come quest'ultimo la trascinasse lontano da sguardi indiscreti. Ogni volta che entravo nel magazzino sentivo una stretta al cuore immaginando che cosa avessero potuto fare quei due, insieme, lontano dai miei occhi.

Una sera decisi di chiudere il negozio. Leigh, molto stanco per la settimana passata a cucire moltissimi abiti per un concerto che si sarebbe tenuto al liceo della sua fidanzata, aveva accolto la mia proposta con gioia, lasciandomi le chiavi senza battere ciglio. La verità era che volevo starmene un po' da sola a pensare e, dopo aver costretto il ragazzo ad andarsene a casa anticipatamente usando la scusa del concerto che sarebbe potuto passare a vedere, fu ciò che feci. L'evento si era diffuso in tutta la città quindi quella sera non entrarono clienti così decisi di abbassare le claire. Feci la ronda serale del negozio come mesi prima mi aveva insegnato a fare il corvino e poi passai al magazzino sul retro. Prima di andarmene avevo pensato di metterlo un po' a posto. Dopo settimane di lavoro, infatti, c'era stoffa ovunque e fogli di carta sparsi sui tavoli e sul pavimento. Sbuffai ma, decisa, presi un sacco dell'immondizia. Buttai via tutti i ritagli di stoffa e i disegni accartocciati, suddividendo con cura i materiali per il riciclo. Impilai i vestiti su di un tavolo e ammucchiai in un unico fascicolo i disegni, le bozze e le annotazioni che ad essi si riferivano. Messo a posto la parte superiore, passai al pavimento. Con una scopa passai tutto, raccogliendo più polvere e pezzetti di stoffa e carta di quanti avrei mai immaginato, poi, con un mocio, lavai l'intera superficie. I venti minuti abbondanti che servirono per far asciugare il pavimento li passai a rassettare il negozio stesso, mettendo in ordine il bancone e le scartoffie ad esso collegate. Ormai si stava anche facendo tardi e tra non molto avrei dovuto tornarmene a casa; ma non mancava molto: dovevo solo appendere gli abiti sulle grucce e riporli in un sacco di celofan così da non esporli all'aria e alla troppa luce. I vestiti devono essere trattati con amore.
A metà del mucchio scorsi un vestito che riconobbi subito. Tra tante creazioni di Leigh trovai quello che lui aveva deciso di cucire seguendo un mio modello. Lo presi e lo mossi per la stanza. Sembrava bellissimo anche se molto lontano dall'idea su carta. Così ebbi una folle idea: provarlo. Mi dissi che, visto che non c'era nessuno, non avrei corso rischi né avrebbero potuto dire niente in caso contrario dal momento che ero la madre di quell'abito. Sfruttai i camerini del negozio ma nemmeno mi guardai nel piccolo specchio al loro interno. Visto che ero in ballo, volevo concludere quella folle danza nata dalla pazzia. Presi i miei vestiti e ritornai nel magazzino, dove li appoggiai sul primo tavolo che incontrai. Poi mi mossi meccanicamente con il cuore che mi batteva a mille verso l'enorme specchiera. Volevo vedermi dall'alto di quel piedistallo, riflessa all'infinito da uno all'altro sotto diverse prospettive. Volevo vedermi importante, per una volta. E ci riuscii.
Mi sentii bellissima. Il vestito era perfetto sia per la realizzazione sia per le misure. Cadeva perfettamente sul mio corpo, come se fosse stato fatto apposta per me. Ogni piega era al posto giusto, ogni ombra ricadeva come volevo io e io... Nel riflesso di molteplici specchi riuscii a vedere una parte di me che non conoscevo. Mi vidi quasi completamente pur sembrandomi sempre diversa da ogni angolazione. Da una parte ero esaltata, perché la situazione in cui mi trovavo era delle migliori, euforica per essere riuscita a mettermi quel vestito ancora incompleto a cui mancavano i dettagli ma già mi sembrava perfetto; in un altro riflesso però mi sembravo abbattuta e triste che nessuno potesse ammirare la mia bellezza e quella dell'abito cucita da Leigh; nel terzo, quello centrale, potevo benissimo vedere i miei occhi spavaldi guardare dritti davanti a loro, consci di una nuova arma al loro arsenale con cui avrei potuto conquistare il ragazzo delle mie fantasie; nel riflesso di fianco, mi sentivo quasi una diva, con la luce dei faretti perpendicolare che avrei potuto scambiare per il flash di una macchina fotografica; e l'ultimo, il più triste, da cui si capiva il mio grande senso di vuoto, come lo spacco nella gonna bombata e la parte di schiena lasciata nuda. Più mi guardavo e più vari sentimenti contrastanti riuscivano ad impossessarsi del mio cuore. Inutile era cambiare posizione, portando più avanti una gamba dell'altra, piegandomi leggermente in avanti per mostrare la scollatura che mi stringeva il seno rendendolo più visibile e 'compatto', girandomi per vedere la prospettiva mancante, spostando i capelli dal grosso buco nel vestito che, secondo l'originale, avrebbe dovuto avere un nastro nero. Cercai anche di cambiare pettinatura, usando le mani come dei pettini e delle mollette. Ma non mi soddisfaceva nessuna. Mi sentivo bella, potente e così forte da riuscire a stendere tutti gli uomini ai miei piedi, a farli girare al mio passaggio; ma un'altra parte di me sapeva che tra le schiere di giovani che mi avrebbero desiderata non ci sarebbe stato lui, l'unico che volevo.
Sorrisi amaramente verso il mio riflesso principale che sembrava volersi prendere gioco di me. Così bello e seducente, così diverso dalla me di ogni giorno, ma con lo stesso sguardo triste di sempre. In fondo, non ero affatto cambiata, dentro: un abito non poteva migliorare la situazione.
«Manca il nastro» sussurrò una voce dal nulla, mentre una mano mi sfiorò la schiena. Un brivido di piacere mi percorse il corpo seguendo il tocco caldo e dolce. Quando mi girai già sapevo di chi si trattava e il mio volto imporporato di certo non aiutò. Leigh stava sotto ai miei occhi, una decina di centimetri più basso di me e, dall'alto di quel piedistallo, sembrava dannatamente più bello. Il sorriso amaro che avevo visto nello specchio lo ritrovai sul suo volto. «Mancano ancora tanti dettagli» disse «Non avresti dovuto indossarlo...»
Mi sentii colpevole, sporca, come se avessi tradito la sua fiducia. Il fatto che fosse saltato fuori dal nulla, in quel momento, non mi passò nemmeno per la testa. Avrei dovuto essere spaventata e offesa per il suo arrivo improvviso ma ciò che riuscivo a pensare era a quanto fossi felice di vedere ancora il suo volto, nonostante ciò che avesse detto. Lo vidi spostare lo sguardo su di me, indagandomi a fondo. Portai i miei capelli davanti al corpo, lunghi abbastanza da riuscire a coprire parte della pelle nuda ma mi bloccai quando sentii le sue mani appoggiarsi ai miei fianchi nel tentativo di farmi scendere. Capii al volo le sue intenzioni e mi mossi senza pensarci due volte: per quanto fosse bello e io innamorata di lui, non dovevo mai dimenticarmi che lui era il mio capo. Appoggiai i palmi delle mani sulle sue spalle e, facendo leva su di esse, scendi con un piccolo balzo dalla piattaforma circolare. Nel fare ciò la gonna si gonfiò ulteriormente, ricordandomi molto una scena di Marilyn Monroe.
«Sei bellissima» mi disse ad un tratto. Le mani ancora appoggiate a me e un sorriso diverso dal solito sul volto. Mi persi nei suoi bellissimi occhi neri lasciando che le mie mani andassero a percorrere parte del suo petto, fermandomi a metà di esso. Era un momento bellissimo con sensazioni mai provate prima. Il viso avvampava e il cuore batteva a mille. Cominciai ad avere sempre più caldo. Una sua mano si staccò da me per andare a spostarmi i capelli dal davanti e, facendo ciò, non riuscì a nascondere un'occhiata ben assestata sul mio seno stretto dal vestito. Durò un attimo, dopodiché mi ritrovai di nuovo a guardarlo. Scrutava il mio viso, cercando di coglierne i piccoli particolari.
Ma che stava succedendo? Tutto questo mi sembrava tratto da un film d'amore quando la protagonista corona il suo sogno. Tutto ciò era così romantico, forse troppo.
«Perché?» chiesi in un fil di voce. Per la prima volta gli parlai, dicendo forse la cosa meno appropriata. Il suo volto cambiò espressione: si era stupido alle mie parole ma subito dopo si riaccese in un nuovo sorriso, ancora più bello; uno che non avevo mai visto rivolgere a Rosalya. Mi sentii importante e cominciai ad avere la sensazione che anche il suo cuore aveva aumentato i battiti. Mi spostò dolcemente una ciocca di capelli tornando a guardarmi nella mia interezza. «Perché, dici? Forse perché comincio a non capire più niente quando ci sei tu...» disse, dondolando lentamente la testa da destra a sinistra seguendo il ritmo dolce delle sue parole «Mi sento così strano» le sue mani cominciarono a risalire pian piano dai fianchi, assestandosi sotto al seno «Persino Rosa se n'è accorta» disse la cosa sbagliata. Abbassai lo sguardo e girai la testa, sperando che non riuscisse a sentire il dolore che quel nome mi aveva provocato. Non volevo sentirlo, non adesso. Mi morsi le labbra per trattenere delle lacrime sulle ciglia. Volevo ricacciarle dentro prima che Leigh potesse vederle ma non mi lasciò il tempo. Una mano sotto al mento mi riportò il viso dov'era prima, questa volta troppo vicino a quello del ragazzo. Chiusi chi occhi, istintivamente, e le lacrime sfuggirono al mio controllo, fermate però dalle dolci labbra del corvino, posatesi sui miei occhi, prima sul dentro, poi sul sinistro. Rialzai le palpebre quando smisi di sentire un contatto. Il suo viso ancora troppo vicino al mio, tanto che riuscii a vedere un rossore sulle sue gote. «Se piangi, ci sto male anche io, sai? Sei più bella quando sorridi» mi sussurrò senza lasciare la sua posizione. Il mio cuore saltò un battito e, istintivamente, portai una mano davanti alle labbra. Ero emozionata, come se si stesse avverando un sogno d'amore. Ma la mano di Leigh, più forte della mia, me la strappò da davanti e subito le sue labbra si appropriarono finalmente delle mie. La tensione venutasi a creare si stava finalmente sciogliendo. La mano ancora stretta al mio corpo scivolò sulla schiena per avvicinarmi a lui che si appoggiò completamente a me. Mi baciò con trasporto, più di chiunque altro avessi mai baciato. Fu bellissimo, perfetto. Le nostre mani che intrecciarono le dita e le labbra che si cercavano vicendevolmente. Tentai di mordergli un labbro e lui rispose con un oddio sbiascicato. Mollò tutto, prendendomi le guance tra le sue mani per stringermi ancora di più a lui. Ogni suo movimento sembrava volermi uccidere di piacere; non avevo mai provato sensazioni simili prima. Ma come tutte le cose belle, dovemmo staccarci per riprendere fiato. Il suo volto paonazzo e le labbra gonfie, socchiuse per far uscire il respiro affannato. Le sue mani ancora sulle mie guance per accarezzarmele e sfiorarmi le labbra con i polpastrelli. E solo allora, in un attimo di lucidità, ebbi la forza di fargli quella fatidica domanda.
«E Rosalya?».
Il suo sguardo vacillò per un istante. Abbassò il capo ma lo riportò subito come prima. Uno sguardo diverso, deciso ma anche freddo si posò sul mio volto ma ebbi come l'impressione che non mi stesse guardando.
«Lei sta diventando insopportabile. Ha cominciato a dire che dovevi andartene e, più lei parlava, più mi rendevo conto di essermi innamorato. E aveva ragione, tu sei una minaccia per lei». Sentii il cuore chiudersi a riccio dentro al mio petto e venire ricoperto da uno strato di ghiaccio.
«Quindi non vi siete lasciati?» le lacrime ricominciarono a inondare gli occhi e sentivo che questa volta non sarei riuscita a trattenerle. Mi morsi il labbro inferiore, cercando un minimo di contegno, ma il viso di Leigh si addolcì per poi stringermi in un dolce abbraccio. Potei inspirare il suo profumo. E mi strinsi forte a lui quando disse che la sua attuale storia sarebbe finita presto. Ma io non volevo essere la terza incomoda: non avrei permesso alla sua ragazza di attribuirmi tutta la colpa. Feci leva sul suo corpo per allontanarmi da lui. Mi asciugai le lacrime e lo guardai fissa negli occhi, respingendo ogni altro suo contatto.
«Non si può fare, così. Non voglio essere nascosta all'ombra di lei» cercai di mantenere un tono duro e convinto nonostante il mio cuore gridasse altri baci, altre carezze. Non potevo, non volevo cedere.
Leigh abbassò il capo e, dandomi le spalle, se ne uscì dal magazzino senza dire niente.

Il giorno successivo, quando arrivai al negozio, trovai solo un biglietto. Tutto il coraggio raccolto la mattina si sciolse nell'aria insieme ad un insostenibile peso sul petto. L'idea di vederlo, quel giorno, non mi andava di certo, soprattutto per quanto ancora mi bruciassero le sue mani su di me. Ero sicura che, rivedendolo, avrei ceduto ai miei istinti, saltandogli addosso senza pensarci due volte, ma il destino aveva deciso di darmi una mano, ancora una volta. E così fu anche per il giorno successivo. Di Leigh e Rosalya non si ebbero notizie e io continuai a lavorare come se nulla fosse. Servii, se possibile, più clienti di quanto non abbia mai fatto ma riuscii a trovare anche il tempo per prendermi un gelato. Alla chiusura del locale pulii tutto. Vidi il mio abito nero, appeso al muro. Il giorno precedente non c'era, ne ero sicura! E non solo, aveva tutti i dettagli del disegno. Mi avvicinai, incantata, per ammirarlo meglio. Con indosso quello avevo ricevuto il primo bacio dalla persona di cui ero innamorata. Sfiorai la stoffa con le dita e un brivido mi percorse la schiena. Risentii le mani calde e possessive di Leigh sfiorarmi nel profondo e le sue labbra sulla mia pelle. Fu bellissimo, fino a che non riaprii gli occhi e mi accorsi che niente era reale. Ebbi un attimo di sconforto ma poi decisi di non pensarci. Era ora di chiudere il negozio e di lasciarmi dietro alle spalle i pensieri e i ricordi legati a quel posto. Mi sentivo pian piano schiacciarmi dal peso delle mie azioni e l'idea di licenziarmi stava prendendo piede nella mia mente.
Uscita dal locale m'imbattei in una coppietta felice che passeggiava per la via. Lui, con un'insolita capigliatura azzurra, e lei, con dei lunghi capelli rossi, entrambi con un sorriso sincero sul volto. Lei si teneva al suo braccio, parlando animatamente di qualcosa che lui stava ad ascoltare divertito. Li invidiai, pensando a me e al mio capo in quella situazione. Avrei dato qualunque cosa per essere al loro posto, per poter ridere gioiosamente degli aneddoti quotidiani di Leigh.
Scappai più velocemente che potei da quella visione così serafica e, prima di rendermene conto, avevo aperto la porta del mio appartamento per buttarmi sul letto e addormentarmi in lacrime.
Quando aprii gli occhi, era mattina inoltrata, troppo tardi per l'apertura del negozio. Il cellulare squillava incessantemente e il nome di Leigh lampeggiava sullo schermo. Cos'avrei dovuto fare? Rispondere? Presi il cellulare ma mentre ancora decidevo che fare, la chiamata si chiuse da sola, mostrandomi un quantitativo esorbitante di altri contatti, sempre da parte della stessa persona. Ventisette chiamate e cinque messaggi.
"Dove sei? Va tutto bene?"
"Spero sia tutto a posto. Io ti aspetto qui..."
"Ora comincio a preoccuparmi. Rispondi, ti prego!"
"Ok, che succede? Rispondi, per favore"
"Se non ti sbrighi vengo a casa tua"
Sorrisi nel leggere ogni messaggio, fino all'ultimo quando mi prese un colpo. Avrei dovuto richiamarlo subito ma fui fermata dall'ennesima sua mossa. Un altro messaggio. "Sto arrivando. Sono sotto casa tua". Cosa?!
Inizialmente pensai di scappare, di buttarmi dalla finestra quasi dimenticandomi di essere al secondo piano. Poi cominciai a realizzare di non avergli mai detto dove abitassi né lo avevo mai portato al mio appartamento. Come faceva, dunque, a sapere del mio appartamento? In effetti, anche il mio numero di cellulare non gliel'avevo mai dato ma, quando mesi prima ricevetti una sua telefonata, ero così felice da non averci mai fatto caso.
Mi vestii in tutta fretta, rendendomi un minimo presentabile. Avevo intenzione di fiondarmi in strada per andargli incontro prima che potesse arrivare al mio unico nascondiglio, il mio rifugio segreto. Indossai di fretta e furia il primo paio di scarpe che mi ritrovai davanti e, aprendo la porta, mi tuffai sul pianerottolo. Almeno, quello era il mio intento, ma finii addosso a qualcosa; anzi, qualcuno. Ancora prima che parlasse, il mio cuore già urlava il suo nome. Ancora prima che io potessi alzare lo sguardo, il suo dolce profumo mi stava dicendo chi era. Non volli alzare la testa, sommergendo il viso tra i suoi vestiti mentre portavo le mani ai lati del mio volto.
«Perché sei qui?» chiesi ancor prima di guardarlo. Prima della sua risposta, le sue braccia mi cinsero il corpo e le sue mani presero ad accarezzarmi la schiena. Alzai finalmente il capo. I miei occhi incrociarono i suoi, neri e profondi. «Ero preoccupato che ti fosse successo qualcosa» disse. A stento riuscii a trattenere le lacrime. Il suo tono, i suoi modi, tutto di lui era perfetto. Avrei voluto che mi stringesse a sé per l'eternità, baciarlo fino alla fine dei miei giorni. Ma sapevo fin troppo bene che non sarebbe stato possibile.
«Sto bene» gli dissi, reprimendo qualunque emozione. Ma lui mi strinse ancora a se.
«Meno male» sospirò all'altezza del mio orecchio. Una sua mano tra i miei capelli e il suo respiro calmo sul mio collo.
Poi mi staccò da sé.
«Stasera... Aspettami!». Non capii cosa volesse dire ma non mi diede il tempo per fargli alcuna domanda. Appoggiò le sue labbra sulle mie e poi scomparve, giù per le scale.

Quel piccolo bacio riaccese il mio cuore. Sì, avrei aspettato per sempre.

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Capitolo 3
*** Happy Ending. ***


Tre -ultimo Dolce Flirt ~




"Con Permesso..."







Capitolo Tre. [Ultimo]
Happy Ending.

"Vieni alle 18" diceva un suo messaggio. Mi chiesi come mai quel giorno aveva scelto di posticipare tanto il mio turno. Ma non mi feci troppe domande. Avevo aspettato sue notizie per tutta la giornata e finalmente ne avevo avute. Ero ancora in pensiero per la storia di Rosalya ma avevo fede in lui e sapevo che tutto si sarebbe messo a posto. Per un momento pensai che quel "a posto" avrebbe significato il mio allontanamento da lui ma dopo una doccia calda ritornai dell'idea che una piccola breccia aveva aperto uno spiraglio di luce per un futuro più gioioso e luminoso.
Quando arrivai al negozio, notati che le clair delle vetrine erano abbassate, salvo per quella dell'ingresso principale. L'interno era buio ma, entrando, notai una lampada sul bancone della cassa. Puntava il suo luminoso faretto su di un foglio di carta. Il fascio era così ben definito che, per arrivarci, inciampai anche nel portaombrelli completamente nascosto nell'ombra e per poco non finii a terra.
"Chiudi tutto e occupati del retro" riportava. Che significava? Non aveva intenzione di tenere aperto? Gli affari andavano bene ma non così tanto. Ma, d'altronde, si trattava pur sempre di ordini del mio capo, quindi li avrei eseguiti senza fiatare. Dall'interno feci come meglio potevo per abbassare la serranda della porta, accostandola a pochi centimetri dal fondo del marciapiede, tanto quando bastasse alla mia mano per passarvici sotto e alzarla; poi chiusi la porta a chiave, ond'evitare che qualcuno potesse entrare indisturbato.
Quando mi girai verso l'interno, vidi una luce in fondo al negozio, vicino ai camerini. Mi avviai, chiedendomi se prima fosse stata già accesa o, come mi ricordavo, spenta. Speravo nella prima ipotesi perché, nel secondo caso, mi sarei ritrovata faccia a faccia con qualcuno che nella mia mente non poteva che essere un pericoloso criminale assetato di sangue di giovani donne e io, nelle mie fantasie, ero la preda perfetta, soprattutto dal momento che mi ero chiusa dentro ad un negozio senza vie d'uscita facilmente raggiungibili.
Constatai che la luce veniva proprio da dentro un camerino: oltre la spessa tenda rossa proveniva l'inconfondibile luce di una lampada simile a quella sul bancone e, aprendo con uno strattone il divisorio, ne ebbi la conferma. Era attaccata sghembamente su uno degli appendini per gli abiti. Dall'altro lato, vi era stato appeso il mio vestito ormai concluso e sullo specchio, davanti a me, un altro biglietto. Entrai, curiosa, senza nemmeno far caso alle strane cose che mi stavano succedendo. Presi in mano il foglio di carta e, girandomi verso la luce, feci per leggerlo.
"Indossa quello che preferisci."
Che intendeva? Mi voltai verso il mio abito, squadrandolo da cima a fondo e solo allora notai che non era uno solo, ma ben due. Scostai il primo, ormai conosciuto, per vedere quello che vi stava sotto. Era nuovo, mai visto in negozio. Visibilmente blu notte, alla luce diretta, aveva un'ampia scollatura a V con una lunga gonna. Lo presi d'istino, volendo provarlo. Aprii il sacco trasparente in cui era contenuto e lo tolsi delicatamente dalla gruccia, scoprendo un ulteriore biglietto, fissato sulla plastica protettiva. "L'ho confezionato pensando a te."
Arrossii leggendolo e, più che mai convinta, decisi di indossarlo. La gonna si rivelò un lungo strascico con un profondo spacco sulla gamba destra e le spalline erano fatte per ricadere lungo le braccia. La schiena, coperta per lo più, aveva un'apertura a forma di luna poco sopra il sedere. Cercai di modificare la mia acconciatura, slegando i capelli dalla coda di cavallo e lasciando che si disperdessero sopra il vestito. L'immagine che rifletteva lo specchio non sembrava nemmeno la mia, con il viso semi coperto dalla mia chioma e una linea provocante scendeva lungo i miei fianchi, disegnata dalla stoffa. Pensai che un giorno, mai avrei sperato di vedermi così bella né, se qualcuno me l'avesse detto, ci avrei creduto. Quasi non mi riconobbi.

Corsi nel magazzino, quasi dimenticandomi del primo biglietto. Dovetti tirare su l'abito per evitare che si sporcasse e quasi mi venne da ridere a pensare che, sotto quel lavoro meraviglioso io stavo indossando delle normali scarpe senza un filo di tacco. Chissà che cos'avrebbe potuto pensare Leigh di me...
Spalancai la porta che cigolò all'apertura. Pensai di trovarmi davanti chissà quali scene apocalittiche in cui la stoffa tagliata aveva il sopravvento sul capo e su tutto ciò che nel magazzino vi era sempre stato, ma mi dovetti ricredere. I tavoli erano spariti ad eccezione di uno, completamente trasformato. Aveva una grossa tovaglia a scacchi rossi e bianchi, apparecchiata per due con un candelabro da tre al centro. Le luci soffuse davano al tutto un'atmosfera molto romantica.
Mossi qualche passo in avanti e, a quel punto, la porta si chiuse alle mie spalle. Sobbalzai tornando all'idea del maniaco psicopatico e mi girai alzando le braccia a coprire il viso e muovendomi come a voler simulare qualche strana mossa di arti marziali -che ovviamente non conoscevo. Leigh, davanti a me, scoppiò a ridere. Arrossii vedendolo. Non indossava il suo solito soprabito nero né il foulard ma una semplice camicia bianca con le maniche arrotolate fino ai gomiti. Sembrava più stanco di prima ma la sua bellezza e il suo fascino erano rimasti immutati. Si avvicinò a me, sfiorandomi una guancia con l'indice e il medio di una delle sue mani calde. La presi tra le mie, portandola tra noi.
«Che significa tutto questo?» chiesi con un fil di voce. Lui si limitò a sorridermi dolcemente portando l'altra sua mano dietro alla mia testa. Mi guardò da cima a fondo accarezzandomi i capelli e giocherellando con qualche ciocca qua e là.
«Ti sta perfettamente» sussurrò guardando il vestito che lui stesso doveva aver cucito «Avevo paura di sbagliare le misure». Fece una risata stanca facendo scivolare la sua mano su di me, come a voler ripercorrere le forme di un manichino.
Ci accomodammo al tavolo dopo che lui mi ebbe fatto segno con la mano. Mi mostrò un lato di sé che mai avrei immaginato, vedendolo servirmi ogni pietanza come un perfetto cameriere. Sorrideva in continuazione e io non potevo che fare altrimenti.
«Io e Rosa ci siamo lasciati» mi disse alla fine della cena. Le candele visibilmente più corte e i piatti sporchi. Sul suo viso comparve un sorriso amaro; era fin troppo ovvio che, nonostante tutto, lui provava ancora qualcosa per lei. Mi sentii quasi in colpa per tutta quella situazione nonostante, in fondo, io non avessi fatto niente.
Abbassai lo sguardo, colpevole. Non volevo vedere la faccia di Leigh mentre il suo cuore soffriva per la perdita di un suo grande amore. Cominciai a sentirmi una persona sporca, cattiva. Sarebbe mai potuto andare avanti così un rapporto?
Poi una mano mi accarezzò il viso e mi fece alzare lo sguardo. Lui si era alzato, sporgendosi verso di me e mi stava costringendo a guardarlo. Si stava sforzando di sorridere ma sembrava tutto così diverso, innaturale.
«Non pensare cose sbagliate. Sì, io amavo Rosa; è stata una parte importante della mia vita. Ma ho scelto te, ricordatelo». Le sue parole mi fecero battere forte il cuore e imporporare le guance. Gli sorrisi in risposta. Sì, lui aveva scelto me.

Si alzò, venne verso di me e mi fece alzare. Cominciò a baciarmi con passione e trasporto. Fece appena in tempo ad accennare ad un posto speciale che aveva preparato per noi due. Sembrava tutto così perfetto e lo fu.
Le sue mani sul mio corpo sembravano sfiorare il velluto. Il suo
tocco era magnifico, delicato ma deciso. Mi lasciai completamente andare tra le sue forti braccia assaporando ogni secondo, godendo di ogni suo gesto.
Mi svegliai tra le sue braccia, il suo corpo appoggiato alla mia schiena e il suo dolce respiro sul mio collo. Il mio vestito buttato per terra, accanto ai suoi. Da quell'angolino potevo vedere tutto il magazzino in cui si era sviluppata la nostra storia. Ripensai a tutto, ancora con i marchi di Leigh sulla pelle. Il calore del suo corpo arrivava fino al mio cuore, inondandolo di un amore puro. I suoi baci rimbombavano ancora nella mia mente e sul mio corpo; ovunque le sue labbra si fossero posate si era formato un piacere indescrivibile. Le scie lasciate dalle sue mani solcavano tutto il mio corpo. Sembrava tutto perfetto. Era stato perfetto, fino alla fine.
Era quindi questa, la fine?
Cominciai a sentirmi vuota e tornò quell'orribile sensazione di sporco. Fu inevitabile pensare che quelle mani e quella bocca avessero già fatto tutto ad un'altra donna. Il pensiero mi spezzò quasi il cuore dalla gelosia. Come avrei potuto andare avanti così sapendo di non essere stata la prima? Non ero una novellina delle relazioni e questa non era certo stata la mia prima volta. Non lo ero per nessuno, eppure non mi aveva mai lasciato questo senso di amaro in bocca.
Mi girai verso Leigh. Il suo viso addormentato ricordava quello di un bambino. Era bellissimo, al limite della perfezione. Avevo imparato ad amare quel viso tanto bello ma qualcosa ora mi stava frenando. Non potevo più stare lì ma, allo stesso tempo, qualcosa mi tratteneva a lui. Volevo vedere quel viso ancora una volta, e sapevo che non mi sarebbe bastato nemmeno allora.
Avevo già distrutto la sua vita felice e, da vigliacca, potevo solo andarmene. Scivolai fuori dal lenzuolo che ci copriva e mi rivestii in fretta e furia con gli abiti che avevo indosso quand'ero arrivata. Riposi l'abito da sera nella sua copertura e lo stesi su di un tavolo. Avrei voluto lasciare un bigliettino ma non ci riuscii. Tornai da lui, accucciandomi di fianco al letto. Era davvero bello e mi sarebbe mancato tanto. Mi sporsi verso di lui, appoggiando le mie labbra alle sue, ancora calde e amorevoli. Gli scattai una foto con il cellulare, istintivamente. Avrei tenuto quel viso con me per sempre. Ma il buio della stanza m'impedì di coglierne tutti i particolari. Pensai di accendere la luce ma non volevo svegliarlo; poi ebbi un lampo di genio: la candela. Ma nemmeno quella bastò. Così, disperata, usai il flash. Clack. Il suo volto venne inondato da una luce accecante e lo vidi muoversi pericolosamente. Oddio, che ho fatto?!, pensai non avendo affatto calcolato la possibilità che si sarebbe potuto svegliare. Mi alzai di scatto e cominciai a correre verso l'uscita. Rischiai di inciampare in qualcosa che non riconobbi subito ma che presi in mano e mi portai fuori. Entrata nel negozio cercai disperatamente le chiavi e, in tutta fretta, aprii la porta, lasciando poi cadere il mazzo sul pavimento. Leigh le avrebbe sicuramente trovate. Io, dal mio canto, non avrei più messo piede là dentro.

Inviai in seguito una lettera con cui gli dicevo che mi ero licenziata. Gli chiedevo scusa per essere stata una persona debole ma non me la sentivo di distruggere ulteriormente la sua felicità rubandolo dalle braccia di una persona che lo amava più di quanto io avrei amato lui. Non si meritava una come me.
In cuor mio, però, sapevo che lui mi aveva amata sul serio, quella sera. Per questo, quando tornai a casa, non riuscii a buttare via la sua camicia bianca che per sbaglio mi ero trascinata fuori dal locale, né riuscii a restituirgliela, unico souvenir di quel mio periodo a Parigi.
Cambiai città per paura di rincontrarlo per sbaglio, pur tenendo come sfondo del mio cellulare il suo viso addormentato.







Tornai nella Capitale anni dopo. Erano successe tante cose: molte storie, molti lavori, molti ma non troppi soldi, ma la mia vita non sembrava molto diversa. Lo sguardo che diedi alla Parigi nuova fu lo stesso della prima volta. Niente, in realtà, sembrava cambiato. Io non ero cambiata.
Dal momento che misi piede fuori dalla stazione il mio cuore cominciò a gridare il nome di Leigh e, dopo tanto tempo, mi concessi una visitina ai vecchi quartieri che avevo frequentato. La via era come me la ricordavo. Ritrovai anche la gelateria e la mia amica dietro al solito bancone. Fu felice di vedermi, chiedendomi di me e di dove fossi finita. Sorseggiammo un frappé in allegria fino a che non esordì con
«Peccato che tu abbia fatto un viaggio a vuoto...». Che significava quella frase lo scoprii poco dopo. Mi indicò il negozio davanti a sé che avevo deliberatamente ignorato fino ad allora per paura di scoprire cose che non volevo vedere. Ma ciò che si parò davanti ai miei occhi fu tutt'altro shock: il negozio era chiuso, con abbassata solo la serranda della porta. Quelle delle due piccole vetrine lasciavano vedere un posto ormai vuoto, come il mio cuore quando realizzò che tutto se n'era andato.
«Un giorno s'è trasferito senza dire niente a nessuno. Mi ha chiesto un ultimo gelato e se n'è andato. Non l'abbiamo più rivisto.»

Tornai il giorno seguente, su appuntamento. Avevo contattato l'agenzia che avrebbe poi affittato l'immobile per un'attività commerciale chiedendogli di vedere il posto. Mentii dicendo che avrei voluto comparlo ma la mia più grande preoccupazione era vedere come tutto era cambiato.
Entrare fu uno shock. Il posto era lo stesso ma completamente spoglio. L'unica cosa rimasta uguale era il bancone che, per ovvi motivi, non poteva essere spostato o rimosso. Un'enorme stanza vuota di parava davanti a me. Poi il venditore che mi accompagnava si propose per farmi fare un giro anche del retro. Il cuore mi si spezzò a risentire il cigolio della porta, immutato.
Vi era solo un altro sprazzo vuoto. Niente più pezze, niente tavoli né sedie. Degli specchi nemmeno l'ombra e del letto abbozzato di quella volta, solo il ricordo.
Tutto era cambiato, sparito. Non esisteva più niente se non il dolore di aver perso una parte importante della mia vita. Scoppiai a piangere davanti al signore che, impietosito, non seppe più cosa fare. Nella sua natura da lavoratore, provò a fare tutto ciò che conosceva sul suo mestiere: tirò sul prezzo, facendomi un'offerta che mi sembrò accettabile.

Fu una pazzia comprare l'intero locale. Lo trasformai, sostituendo i ricordi di Leigh a qualcosa di nuovo. Dove c'erano i camerini misi una grande libreria piena di volumi. Altri tre scaffali simili furono piazzati davanti ad essa, sul fondo del locale. Davanti la riempii di tavolini. Lo feci diventare un piccolo baretto collegato ad una libreria in cui ci si poteva sedere e leggere dei libri. Se poi si voleva acquistarne uno, vi erano anche le ultime novità o i grandi classici. Misi in piedi un servizio unico che avevo ammirato solo nel Sud della Francia durante uno dei miei tanti viaggi, aiutata anche dalla mia amica della gelateria con cui misi in piedi una sorta di collaborazione.
Fu una novità per Parigi che l'accettò di buon grado. Avevamo così tanti clienti da dimenticarci quasi la fatica e i dispiaceri.

Salutai gli ultimi clienti e Alix, la mia socia, che mi aveva chiesto una serata libera per poter fare qualcosa che non aveva voluto dirmi. Questo suo essere misteriosa era un tratto molto irritante per una come me, curiosa fino al midollo. Ma come potevo dirle di no?
Mi misi a pulire il locale e ad riordinare i libri che spesso venivano riposti negli scaffali sbagliati, quando qualcuno entrò nel locale. Riuscii a sentirlo grazie ad una piccola campanella posta sopra la porta. Io, da dietro alla libreria, mi scusai chiedendo al nuovo cliente di avere un attimo di pazienza perché mi stavo occupando dei libri, buttando anche una battuta sul fatto che non doveva essere così difficile sistemare "I Miserabili" nella sezione Classici.
Mi annunciai al cliente dicendo che potevo occuparmi di lui, scusandomi ancora per il mio comportamento.
«Ora sono tutta sua!» esordii allegramente. «Finalmente...» disse lui.
Mi ritrovai davanti un ragazzo piuttosto alto con dei capelli neri più lunghi di quanto mi ricordassi. Non indossava più foulard né strane giacche ottocentesche. Il suo look era cambiato, spostandosi su qualcosa di più sobrio. Il viso, però, era sempre lo stesso e il sorriso inconfondibile. Mi venne un colpo realizzando chi fosse.
«Non sei cambiata affatto» disse trattenendo una risatina. «Tu, invece...» sussurrai facendo cenno al suo abbigliamento. Si guardò da capo a piedi e poi fece spallucce senza degnarmi di una risposta.
«Credo che tu debba andare, ora» gli dissi, provando a dargli le spalle pur senza volerlo veramente.
«E se invece volessi restare?» disse lui con un tono molto più serio, alzando addirittura la voce. Mi bloccai ma non riuscii a riportare il mio sguardo su di lui. «Avrai certamente qualcuno che ti aspetta...» dissi con un filo di voce, abbastanza da farmi sentire. Questa volta non trattenne la risata. «Sei una stupida» disse tra i denti ma potei benissimo captare del risentimento. «Io avevo scelto te!». «Era la cosa sbagliata!» gli urlai contro, girandomi finalmente per puntargli contro uno sguardo dispiaciuto. «So prendere le mie scelte, Daphne» ribatté molto più calmo. «Io no.» dissi chiudendo la discussione. A testa bassa tornai dietro agli scaffali per ricontrollare i libri un'ultima volta. Sentii i suoi passi raggiungermi e una sua mano afferrarmi un polso e strattonarmi indietro. «Non puoi abbandonarmi ancora!» mi disse. Il suo sguardo era indescrivibilmente affranto e i suoi occhi lucidi. Non seppi che ribattere ma quando socchiusi le labbra per dire qualcosa lui anticipò ogni mio pensiero. «Non sono tornato con Rosalya. Amavo te e ti ho sempre cercata. Perché te ne sei andata? Perché sei fuggita da me? Che cos'ho fatto per meritarmi questo?!». Abbassai ancora una volta la testa per non vedere le lacrime amare sul volto di Leigh. «Niente. Volevo che tu fossi felice» sussurrai. «Lo sarei stato, con te» disse tra i singhiozzi. Poi mi abbracciò, tenendomi stretta a sé. Le sue mani cercavano ogni sua vecchia traccia e le sue lacrime mi bagnavano i capelli. Fui travolta dal suo vortice di emozioni, scoppiando a piangere a mia volta. «Che sarebbe potuto essere un errore» ribattei con il viso sprofondato sulla sua spalla. «No, non poteva» continuò lui. «Perché?» chiesi allora io, allontanandolo per guardarlo negli occhi. Lui, come aveva sempre fatto, mi accarezzò una guancia e mi sorrise. «Perché quando sono entrato in questo posto il mio cuore ha ripreso a battere come tanti anni fa. E quando ti ho rivista ha sussultato come la prima volta».
Mi baciò, donandomi più di cinque anni di arretrati. Il suo amore tornò ad invadermi e ad accendermi di felicità.


Ah, se solo avessi saputo prima ciò che Alix aveva progettato per me, forse avrei potuto ringraziarla...






Primo finale decente di una mia storia su questo fandom. Spero vi siate divertite a leggere questo mio sfaso. Io, personalmente, sono sull'orlo delle lacrime per la fine -è stato un colpo di genio, sì-. Voi che ne avete pensato?
Mi raccomando, fatemelo sapere.

E Gozaru vi saluta, dandovi appuntamento alla prossima, con la fanfiction breve (più o meno come questa) che avrà come protagonisti Jade, Dajan e Fleur, una dolcetta che deve quest'orrendo nome ad Hanamichi Sakuragi: "Dimostra chi sei!"
Capirete perché...


Oh, so che ormai è tardi, ma una breve spiegazione sul titolo di questa fanfiction ci sta:
Siete mai entrati in un negozio, di quelli piccoli con una commessa, o in casa altrui? "Con permesso..." è una cosa che dico spesso per annunciarmi. Se posso azzardare un parallelismo, è come Daphne è entrata nella vita di Leigh nonché nel suo negozio.

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