All the things you hide from me

di maelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** morning breeze ***
Capitolo 2: *** into the sunset ***
Capitolo 3: *** how you remind me ***



Capitolo 1
*** morning breeze ***


CAPITOLO 1

Morning Breeze





 

Quante nottate insonni ho passato intenta a terminare questo diario, è forse la cosa più cara che ho. Ma ora dovrai custodirlo tu per me. Me lo hai promesso.

Mostralo ai miei, a mia sorella e al mio piccolo nipotino, quando saprà leggere. Voglio che sappiano quanto li ami.
Voglio che sappiano esattamente come sono andate le cose.
Voglio che si sappia come io sono riuscita ad esaudire tutti i miei desideri, in un modo o in un altro.
Grazie a te, sì tu che stai leggendo. Voglio che tu ti ricordi di tutto il bene che mi hai fatto, nonostante io non sia mai stata del tutto sincera con te. Ma io ti amo, come tu ben sai.
So che in questo momento starai sorridendo tristemente, forse hai voglia di piangere. Ma non farlo, sorridi, sorridi con me. Sii felice, perchè io lo sono. 

Drew, grazie.

la tua piccola , Erin






- Tesoro, sei preoccupata? - si rivolse dolcemente a me mia madre, una nota di preoccupazione nella voce.

Ci pensai sù. 

Io e i miei genitori stavamo aspettando da più di mezz'ora su delle sedie, a mio parere scomodissime, il responso che avrebbe condizionato la mia vita.
Non ero preoccupata, di più. Volevo sparire dalla faccia della terra e dimenticarmi di tutta questa storia, ma non potevo.

- No, ho una sensazione positiva. - le sorrisi incoraggiandola, mentendo a me stessa.

In realtà stavo mentendo, ad entrambe: io non mi aspettavo nulla di buono, ma non volevo far preoccupare mia madre più di quanto non lo fosse già. E mentre cercavo di convincerla che tutto sarebbe andato bene, una parte di me ci sperava. Mi convincevo, o almeno, ci provavo.

- Signorina Erin Collins? - domandò un dottore sulla cinquantina nella mia direzione. Annuii - Prego, entri. -

- Piacere, dottor Trylle. - gli strinsi la mano, accennando ad un sorriso. 

Una volta entrata mi sedetti su una sedia, molto più comoda dell'altra, sperando che la faccia barbuta del medico portasse buone notizie. Si sedette di fronte a me, infilandosi un paio di occhiali.

- Ecco, voglio essere sincero con lei. E diretto; non sono buone notizie. Guardi, - tirò fuori da una pila di carte delle lastre, riguardanti le mie ovaie, per mostrarmele - vede queste specie di" macchie"? Questo è il tumore e come può notare, è molto esteso. Troppo. - aggiunse con tono grave. - Credo che non sia possibile rimuoverlo, sarebbe inutile. - si tolse gli occhiali come per guardarmi meglio, per vedere la mia reazione.

Io boccheggiai un po', senza riuscire ad emettere neanche un misero suono. Cosa potevo dire, in fin dei conti.
In un attimo sentii qualcosa strapparsi. Il mio cuore? No. Le mie ali, non sarei potuta sbocciare e volare via, verso ciò che il futuro aveva in serbo per me.
Non ero operabile. Ciò significa che mi mancava poco da vivere. Non è giusto. Tutto ciò che riuscivo a pensare era che tutto ciò era così ingiusto.
Non avevo ancora compiuto diciannove anni, mancavano circa due mesi. Avrei almeno voluto festeggiare il mio compleanno.

- Qu-quanto mi..mi resta da vivere? - balbettai. Non avrei mai pensato di dire queste parole, non tutte insieme.

Con quale coraggio sarei uscita di lì e avrei detto ai miei che a breve sarei morta?I miei cari genitori avrebbero seppellito la loro dolce bambina. 
Solo al pensiero mi si accapponò la pelle.

- Circa un anno. Mese in più, mese in meno. - 

Annuii flebilmente, in un secondo la mia vista si offuscò. 
Mi morsi il labbro cercando di trattenere le lacrime, senza successo. Una lacrima, seguita da un'altra e un'altra ancora. In men che non si dica, stavo piangendo.

- Mi dispiace. - mi disse il medico mostrando compassione. 

- Ma non si può fare nulla? Nessuna cura? Non ho nemmeno provato con la chemioterapia o non so, c'è qualche cura in via di sperimentazione? Potete testare su di me nuovi medicinali..Sono, sono pronta a tutto! - strillai in preda ad una crisi di nervi.

Il Dottor Trylle scosse la testa con fare dispiaciuto - E' troppo tardi, Erin. E' troppo tardi per cercare di combatterlo. -

- Quindi è così? Ho già perso la battaglia, non è nemmeno cominciata. - dissi a me stessa, ma ad alta voce. Mi alzai e me ne andai.
Avevo bisogno di aria, dovevo respirare.
Una volta uscita dallo studio mi catapultai fuori dall'ospedale, non degnando attenzione ai miei che mi correvano dietro.
Era una mattina abbastanza fredda per essere inizio giugno. Una brezza primaverile mi scompigliò i capelli.

- Erin..- iniziò mio padre.

Bastò uno sguardo e capirono tutto.
I miei occhi parlarono per me, le parole diventarono improvvisamente inutili.
Quattro braccia calde, e spaventate, mi avvolsero come mai prima d'ora e sentendomi protetta, scoppiai a piangere - Ho paura. - dissi tra un singhiozzo e l'altro.


Erano passati tre giorni da quella mattina, da quella fatidica mattina. E le cose non erano migliorate, ma stavo imparando ad accettarlo.
Dirlo ai miei parenti fu la cosa più difficile che avessi mai fatto.
Mia sorella l'aveva presa malissimo.
Si era accasciata a terra in un pianto disperato. - Non voglio perdere la mia sorellina. - mi aveva sussurrato all'orecchio quando si fu calmata.
Come se volessi morire.
Mi si spezzò il cuore a vederla così fragile, lei che era la mia roccia, lei più grande di me di cinque anni. Che aveva sposato un uomo andando contro al volere dei nostri, sfidandoli. Io l'ammiravo.
In realtà so perchè era così spaventata, non era un fatto del tutto nuovo che qualcuno nella famiglia avesse un tumore.
Aveva visto mia zia morire per il mio stesso tumore, a quanto pare era ereditario.

Ma io non volevo stare in casa ad aspettare che la morte venisse a bussarmi alla porta. Io volevo vivere quel poco che mi rimaneva. Dovevo reagire, non potevo vincere la battaglia, ma potevo cercare di farla arretrare.
Forse tutti i sogni che avevo fatto da piccola non si sarebbero mai realizzati: non sarei mai diventata giornalista, non mi sarei sposata e non avrei avuto dei bambini, che avrei amato più di me stessa e più di quanto potessi immaginare. 
Io desideravo crearmi una famiglia, ma a quanto pare il fato era contro il mio volere.
Niente abito bianco per me, niente viaggio di nozze . Niente maternità, niente primo giorno di scuola di mio figlio. Niente di niente.
Ma un sogno lo potevo ancora realizzare, una cosa soltanto era possibile. 

- Hey Erin, sei pronta? Le ragazze ti aspettano in macchina. - mi annunciò Rose, mia madre. Non era molto felice della mia scelta, credeva che stessi scappando.

Scappando da cosa subito non lo capii, ma col tempo tutto mi fu chiaro. Aveva paura che stessi scappando da me stessa,da loro, dalla mia vita. Aveva paura che mi dimenticassi di lei. In realtà solo quel giorno la vera Erin era sbocciata e non c'era più spazio per lei in quel posto.
Sono pronta a volare.
Dovevo solo cambiare aria. Portland iniziava a soffocarmi, a tapparmi le ali, come una farfalla intrappolata in un vasetto di vetro; senza ossigeno muore.

- Sicura che trasferirti sia una buona idea? - mi chiese Sarah, mia sorella.

- Certo, e tu lo sai. E' il mio sogno da quando sono piccola. Tu sognavi di andare a vivere ad Orlando, io in California. Devo solo cogliere la palla al balzo, non credo di avere molto tempo a mia disposizione. - l'abbracciai, lasciandole un lungo bacio sulla guancia.
Salutai anche mio padre, con le lacrime agli occhi, e mia madre che nonostante non fosse del tutto d'accordo, mi disse che sarebbe presto venuta a trovarmi.

Saltai nell'auto di Lyn, sedendomi sul sedile posteriore, trovando poi Paige su quello anteriore, stravaccata come al solito. Sorrisi, loro si erano offerte di starmi accanto in questo viaggio, sapendo che sarebbe stato forse l'ultimo.
Con loro avevo fatto le peggio cazzate, le consideravo come sorelle, dopotutto ci conoscevamo da più di dieci anni.
Eravamo una diversa dall'altra, io castana chiara e occhi verdi, Lyn con i capelli tinti di viola e occhi talmente scuri e profondi da sembrare neri, infine Paige, capelli color cioccolato e occhi color miele. A volte mi chiedevo se Paige fosse commestibile. Naturalmente non l'avrei mai azzannata.
Il mio umorismo fa veramente pena, lo so, ma questo è il meglio che so fare. Abituatevi.

- Erin, togliti quel muso lungo. Stiamo cambiando aria, lì nessuno saprà nulla sul tuo conto. - mi annunciò Lyn con un grosso sorriso.

- Già, si ricomincia da zero. - concordò Paige. 

- Sono pronta a vivere. - risposi dopo qualche attimo di silenzio, interrotto solo dal rumore delle ruote a contatto con l'asfalto.




Heylà gente!

Premetto col dire che questa storia può sembrare di cattivo gusto per il tema, ma non sarà così tanto deprimente (almeno credo) ahah
solo che non sono una ragazza da lieto fine, spero vi piaccia questa specie di primo capitolo :)
Voglio anche specificare che ad ogni capitolo metterò qualche riga del diario che la protagonista, Erin, scrive mentre si trova ad Huntington Beach e che Drew legge quando lo troverà, a fine di tutta la storia.

bacioni, martina

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Capitolo 2
*** into the sunset ***


CAPITOLO 2

Into The Sunset 








Ricordo ancora la prima volta in cui ti ho visto, come se fosse successo ieri.
Ero seduta ad un tavolo di quel bar sulla Main Street leggendo un buon libro, mentre aspettavo che qualche cameriere venisse a prendere l'ordinazione.
E arrivasti tu. Tutto muscoloso e spaccone, ancora rido al ricordo.
Subito pensai che fosti un dopato, lo so che pensiero stupido, ma non era umanamente possibile avere tutti quei muscoli. Avresti potuto staccarmi la testa con un solo abbraccio, se avessi voluto.
Sinceramente non so cosa trovasti di bello in me, non ero sicuramente il tuo tipo, non ero sicuramente una tipica ragazza californiana. 
Anzi, tutt'altro.
Al''inizio ti rifiutavo, mi sembravi uno di quei ragazzi superficiali, ma ora che ci penso avrei voluto passare più tempo, ma si sa: nulla dura per sempre. 
E mi spiace di non essere stata sincera, ma avevo fatto una promessa a me stessa. Ti ringrazio di non avermi abbandonata, comunque. 
E sì, queste sbavature sono causate dalle mie lacrime. Non volevo andarmene, non così senza avere lottato: sono stata presa alla sprovvista, come quando si picchia qualcuno che è già a terra.
 Ho paura, chi mi terrà la mano per proteggermi, quando tu sarai lontano da me?.
Sei stato con me nei momenti peggiori, quando mi sentivo male (molto spesso negli ultimi tempi) mi rassicuravi tra le tue calde braccia.

Non smetterò mai di dirti grazie.






Era il tramonto quando parcheggiammo l'auto in vialetto ombroso costeggiato da bellissimi alberi con verdi fronde.
- Bella casa, wow. - esclamò stupita Lyn alla vista della casa.
Era veramente bella, l' avevo affitta qualche giorno fa; un vero affare!, così diceva l'annuncio sul giornale. 

- L'affitto è buono e anche la vista. Sento l'odore di mare da qui! - esclamai entusiasta. - Amo il mare. -

- E io amo i californiani, guardate là! - ci indicò invece Paige, notando un gruppo di ragazzini con un bel fisico, questo lo devo ammettere, ma decisamente fuori portata.

- Scherzi? Avranno sedici anni! Che schifo Paige! - ridacchiò Lyn seguita a ruota da me, Paige si limitò ad alzare le mani in segno di scuse.

La mia camera era deliziosa, anche quelle delle altre ragazze; erano tutte e tre di media grandezza, con una finestra grande e un letto matrimoniale, oltre che i soliti mobili.
Mi avvicinai alla mia finestra che si affacciava sul mare, a differenza delle finestre che si trovavano nelle stanze delle mie amiche. Respirai a pieni polmoni, mentre una leggera brezza marina mi accarezzava il viso dolcemente e mi scompigliava i capelli castani leggermente mossi. Non potevo chiedere di meglio, o forse sì..
Una finestra sul mare avrebbe potuto liberarmi da tutte le paure e le sofferenze che mi attendevano? Non credo esistesse nulla che potesse alleviare il mio dolore.

- Ehi, Erin? - mi richiamò alla realtà Lyn, - Io e Paige pensavamo di andare a fare un salto in spiaggia e mangiare un boccone in un pub lì vicino, Paige vuole cercare di conoscere qualche ragazzo, sei dei nostri? - ci riflettei sù.

Scossi la testa con un leggero sorriso sulle labbra sottili - No, penso che andrò ad un bar qua vicino. Non sono in vena di incontri, non oggi, non in queste condizioni.- annuì in risposta con un'espressione triste dipinta sul volto.
Durante il viaggio non mi ero sentita bene, avevo avuto parecchi giramenti di testa e avevo rimesso un paio di volte. Si erano così preoccupate per me, sono felice di averle al mio fianco. Spero che non mi abbandoneranno quando le cose si faranno più difficili.
Le sentii uscire di casa qualche minuto dopo, avevo da poco finito di mettere a posto le mie cose nella camera e così mi apprestai a prepararmi.
Niente doccia, non ne avevo voglia, bastava darmi solo una rinfrescata e mi cambiai la maglia sul quale c'era qualche residuo del vomito di quel pomeriggio - Che schifo. - mormorai disgustata io stesso. I pantaloncini di jeans li lasciai, così come le mie adorate scarpe blu ormai logorate dal tempo.
Diciamo che quella maglietta grigia a mezze maniche aveva avuto giorni migliori e mi infilai invece una canotta color verde smeraldo, mi lavai il viso e i denti, sistemai i capelli; infine presi la mia borsa di stoffa e vi infilai dentro un libro che avevo comperato ad un'area di sosta quella mattina.

Camminai per un paio di isolati cercando un bar che mi convincesse e lo trovai. Era sulla Main Street, o almeno credo, non sapevo come tornare indietro una volta finita la mia esplorazione.
La mia entrata fu accompagnata dal campanellino posto sopra la porta di vetro, facendo girare mezzo bar.
- Buonasera! - mi salutò cordialmente un signorotto abbastanza anziano dietro al bancone, mentre serviva un cappuccino e tre caffè, che ricambiai con un ampio sorriso e andai a sedermi ad un tavolo vicino alla vetrata, poco distante dall'entrata.
Guardai il menù, inutilmente oserei dire, non sapevo cosa diavolo significassero tutti quei nomi. Ditemi voi cos'è un 'katusafu' o un 'comagur'. Non sapevo nemmeno pronunciarli.
Ero ancora intenta a fissare il menù con un'espressione da totale imbecille per cercare di capire se avessero un semplice cheesburge, che non mi accorsi che un cameriere era venuto a prendere la mia ordinazione.

Tossicchiò per ricevere attenzione - Prima volta qui, vero? - ridacchiò. Io sorrisi senza alzare lo sguardo.

- Esattamente cosa sarebbe un ' turunuvun..' oh ci rinuncio! - e gettai la spugna così, gettando il menù.

Il ragazzo rise ancora - Quello è un panino con la salsiccia e crauti. Semplice. - finalmente lo guardai, era un ragazzo più o meno della mia età, biondo e con due
dilatatori abbastanza grandi. Più grandi del mio, sì, io ne avevo uno da nove millimetri ma i suoi dovevano essere di un centimetro o più. Ed era muscoloso, parecchio muscoloso. Non avrei mai voluto farlo arrabbiare, ne avrei il terrore.

Lo guardai con uno sguardo ancora più da pesce lesso - Seriamente? Mi pigli per il culo? - questa volta a ridere fui io, più che altro era una risata isterica. E io che avevo paura fosse un procione in salsa salamoia. 

- Mai stato più serio in vita mia. - disse ancora sorridendo sotto i baffi.
Ne dubito, pensai.

- Comunque, cosa prendi? - 

- Posso ordinare un cheesburger? Non so come la chiamate qui. E poi dell'acqua naturale. Grazie. - finii sorridendo.
Il biondo scrisse tutto nel suo taccuino e poi mi guardò come se aspettasse che io dicessi altro. Ma rimasi solo a guardarlo con fare interrogativo.
Che vuole questo?

- Non mi hai ancora risposto, sei nuova? - mi richiese.

- Oh giusto, sì mi sono trasferita qua oggi con delle mie amiche. - risposi annuendo di tanto in tanto come per dare conferma a ciò che stavo dicendo.

- Quale buon vento ti porta in questa piccola città? - mi sorrise, se solo avesse saputo il motivo del mio traferimento non sarebbe stato molto sorridente, anzi avrebbe sicuramente provato pena per me e io non ne avevo bisogno.
Sono qui per trascorrere il mio ultimo anno di vita, dici che si può aggiungere della majonnese nel mio panino?

- Mi.. Ci siamo trasferite per..per - pensa cazzo, pensa. - Per cambiare aria. Tutto qui. - conclusi per niente soddisfatta.

Invece lui parve capire - Sì capisco, tutti prima o poi hanno bisogno di aria nuova. - 

- Comunque piacere, mi chiamo Drew. - mi porse la mano leggermente sudaticcia che strinsi subito.

- Erin, sono Erin. - gli sorrisi e ben presto ricambiò per poi allontanarsi per andare a consegnare l'ordinazione.

Sfilai il mio adorato libro dalla borsa, ero più che mai intenta a leggerlo quando venni interrotta. 
Ancora?

- Ti spiace se mi siedo? Gli altri tavoli sono occupati, tu sei la più carina qui dentro e sto morendo di fame. -
Ci credo che ero la più carina, il resto della clientela erano anziani, il più giovane avrà avuto sessant'anni.

- No nessun problema, Drew. Ma non stavi lavorando? - domandai.

- Ho finito il turno proprio ora. E mi sono detto: perchè non andare a rompere le palle alla nuova arrivata? - ridacchiò.
In fatto di rompere le palle, ci stai riuscendo bene. 

Sorrisi, per gentilezza.








Buonasera!

Chiedo scusa se posto così tardi, tornando alla storia, non so se qualcuno la stia leggendo ma ho deciso di continuarla ugualmente ahahah
e ringrazio la ragazza che ha recensito :)
Se volete darmi consigli o dirmi se qualcosa non va nel modo in cui scrivo o proprio nella trama ditemelo pure, provvederò a modificarlo!
vado, non mi trattengo oltre, il prossimo lo caricherò tra una settimana circa.


bacioni, martina

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Capitolo 3
*** how you remind me ***


CAPITOLO 3

How you remind me









Sono troppo stanca per scrivere Drew, oggi mi hai portato in giro tutto il giorno. Sappi però che vedere il tramonto sulla spiaggia tra le tue braccia è stato fantastico, il miglior giorno di tutta la mia vita. 
E ora ti guardo dormire sul letto accanto a me, eravamo entrambi sfiniti e tu sei crollato subito sul cuscino. Sembri un bambino e mi viene voglia di passare la mano tra i tuoi capelli biondi ma ho paura di svegliarti. Sei così dolce quando dormi, voglio ricordarti così.
Tu come mi ricorderai? 

Credo che resterò a guardarti ancora per un po', la notte è lunga.







- Allora Erin, come ti sembrano i californiani? - mi chiese Drew addentando il suo panino che aveva ordinato dopo essersi seduto al mio
tavolo come se nulla fosse.

Se sono tutti così i ragazzi californiani forse farei meglio ad andarmene in Louisiana! - Non saprei dirti, sono qui da solo un giorno. - sorrisi cortesemente.

Io non avevo per niente voglia di chiacchierare e non penso che lui se ne fosse accorto, mi sorrideva addentando nuovamente il suo panino. Io feci lo stesso, stavo praticamente divorando il panino per mettere fine a quella cena imbarazzante.
Poi mi venne forse l'idea più stupida che avessi mai avuto. 

- Tu sei del posto, no? Sto cercando un posto di lavoro, conosci qualcuno che abbia bisogno di una cameriera o di una commessa? - domandai, pentendomi subito dopo di averlo fatto.

- Certo! Barrie, ti serve ancora una cassiera? - urlò al signore seduto dietro al bancone, sicuramente il proprietario di quel locale, che annuì.

- Bene, te l'ho trovata! E' lei! - urlò ancora per farsi sentire, indicandomi con un cenno del capo.
Scese un silenzio imbarazzante nel locale e tutti si girarono a guardarmi, avrei voluto sprofondare. 

- Si, va bene. Ragazza, domani alle undici di mattina fatti trovare qua ed il lavoro è tuo. Ti spiegherò tutto ciò che devi sapere, stipendio incluso. - mi disse quel Barrie.

In meno di mezz'ora avevo trovato un lavoro, fantastico.

- Ehm, grazie. - ringraziai il mio nuovo collega Drew. Collega? Dovrò sorbirmelo anche domani, e dopo domani e dopo dopo domani..Però ho un lavoro!

- Di nulla collega! Per questa volta la cena la offro io, se non ti dispiace. - 

Accettai volentieri, non avevo voglia di ribattere e avrei avuto dieci dollari in più nel portafoglio; la serata non poteva andare meglio.
Paige e Lyn non sarebbero state felici, non volevano che mi stancassi lavorando, ma non mi importava io volevo lavorare e l'avrei fatto.
Sovrappensiero mi alzai dal tavolo e rimisi il mio libro, immacolato, nella borsa.

Un colpo di tosse mi distolse dai pensieri riguardo alla ramanzina che mi aspettava una volta tornata a casa dalle mie amiche.

- Scusa, me ne stavo andando senza salutarti! - in realtà non avevo granchè voglia di farlo. - Quindi, ciao ci vediamo domani. - dissi sbrigativa aprendo la porta del locale.

Non avevo nemmeno aspettato che Drew rispondesse al saluto, ma avevo bisogno di andare a casa, la testa aveva iniziato nuovamente a farmi male e avevo bisogno di antidolorifici.

- Erin, aspetta! - esclamò invece il biondo alle mie spalle.
Mi girai troppo velocemente e venni assalita da un senso di vertigini e nausea; sarei caduta a terra se Drew non mi avesse afferrata al volo. Mi appoggiai alle sue braccia per restare in piedi.
Almeno i suoi muscoli erano serviti a qualcosa.

- Stai bene? - domandò spaventato.

Annuii pensando a qualche scusa da rifilargli. - Si, è che non ho digerito molto la cena. -

Sembrò crederci, infatti disse - Hai mangiato troppo in fretta, sembrava quasi che te ne volessi andare subito da quel tavolo, è così sgradevole parlare con me? -

Mi sentii in colpa, inizialmente, forse ero stata scortese? Al diavolo ero stanca e volevo leggere il libro! - No, che dici? Le mie coinquiline sono rimaste fuori casa perchè le chiavi ce le ho io. Mi spiace averti dato quell'impressione. - sorrisi giusto per rendere meglio credibili le mie scuse, in parte vere.

- Vuoi che ti accompagni? Ho la macchina qua vicino. Non mi fido a farti andare a casa da sola in queste condizioni. - propose e mi sentii in colpa ad averlo trattato in quel modo quella sera, alla fine era gentile. Forse in futuro saremmo potuti diventare amici. Si, molto in futuro.
Salimmo in macchina e il tragitto fu silenzioso, troppo silenzioso, così accesi la radio per colmarlo.

- Puoi fermarti qui, grazie mille. - lo ringraziai per la decima volta quella sera prima di scendere dalla sua jeep.

- Buonanotte. - sorrise.

Aspettò che entrassi in casa, non si fidava o aveva paura che svenissi da un momento all'altro?
Appena chiusi la porta lo sentii mettere in moto l'auto e partire. Forse era solo preoccupato.

- Ragazze. ci siete? - urlai ai quattro venti, non sapevo se erano già rientrate in casa.

- Si? - rispose Paige dal soggiorno, almeno credo.

- Ho trovato lavoro! - esultai felice.
In un attimo me le ritrovai davanti con le braccia incrociate sul petto.

- Cosa avevamo detto al riguardo? Niente lavoro.. - iniziò Lyn.
Eccola, la ramanzina. 







Eccomi con il terzo capitolo, spero possa piacervi :)
Se avete delle critiche da fare fatele, possono solo migliorare la storia.
Non mi soffermo, devo andare a studiare :(
A presto, spero

bacioni, martina

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