I'm With You di Cass_Pepper (/viewuser.php?uid=205689)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Thin ***
Capitolo 3: *** 2. Key ***
Capitolo 4: *** 3. When you find Face to Face ***
Capitolo 5: *** 4. Falling ***
Capitolo 6: *** 5. Downside Up... ***
Capitolo 7: *** 6. Waitin'On a Sunny Day ***
Capitolo 8: *** 7. The Worst Decision ***
Capitolo 9: *** 8. Telling me those lies... ***
Capitolo 10: *** 9. Digging in the Dirt (Parte 1) ***
Capitolo 11: *** 10. Digging in The Dirt (Parte 2) ***
Capitolo 12: *** 11. Go Your Own Way ***
Capitolo 13: *** 12. I Stood Up ***
Capitolo 14: *** 13. Fortune Faded ***
Capitolo 15: *** 14. Nothing But Time ***
Capitolo 16: *** 15. In Your Eyes (Prima Parte) ***
Capitolo 17: *** 16. In Your Eyes (Seconda Parte) ***
Capitolo 18: *** 17. Learning to Live ***
Capitolo 19: *** 18. Darkness ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Prologo.
RE: Stelle.
Mi ha stupito molto il
suo messaggio, Signore.
Il soggetto 17 ha completato le ricerche con il suo più
antico antenato già in
tempi minori di chiunque altro, riportandoci le informazioni che
speravano sui
frutti dell’Eden. Eravamo sicuri di poterlo eliminare, dato
che il lavoro
sembrava compiuto. Sono stati tre giorni molto produttivi!
La versione del primo antenato era assicurata, anche L’Animus
aveva classificato
il processo genetico attendibile.
Siamo, per quanto scettici, pronti ad accogliere la sua richiesta e
potrà
inviarci quanto concordato anche nella giornata di domani.
Per quel che riguarda il soggetto 17/bis, le faremo sapere quando il
secondo Animus
sarà pronto.
Cordialmente.
Warren Vidic
Qualche
giorno prima.
Italia.
Il rumore dei passi
svelti nelle pozzanghere rimbombava nelle strette stradine di pietra,
l’unico
altro rumore udibile era un respiro affannoso.
Forse erano
più respiri affannosi.
La fuga era
l’ultima speranza. Avrebbe lasciato il suo paese. Tutta la
sua
vita.
Doveva farcela,
nonostante i vestiti si fossero appiccicati sulla sua pelle,
impedendo grandi movimenti. Doveva farcela.
Saltò
sul cofano di una macchina, per poi arrampicarsi, con fatica, data la
pioggia, su un tubo e arrivare sul tetto di un palazzo.
Pensava di averli
seminati, non tutti sanno fare queste cose, non tutti le
fanno ogni giorno.
Però
sembrava che chiunque volesse porre fine alla sua vita, avesse
ingaggiato
dei veri professionisti, che forse conoscevano le sue
abilità. A chi aveva
fatto un torto così grande?
Arrivò
al bordo del palazzo, ma
purtroppo dopo quello c’era solo uno strapiombo sul mare, un
mare che, lo
sapeva bene, aveva un fondale troppo basso per lasciare qualche
speranza.
Sì
guardò indietro, gli occhi verdi sgranati e il petto che si
alzava e si
abbassava velocemente, per il fiatone, per la paura. I quattro uomini
in nero
erano riusciti a salire e si avvicinavano sempre di più.
Si rivolse
nuovamente al mare e chiuse gli occhi, per fare quel gesto sembrava
fossero passati minuti, ore, invece era successo tutto in un battito di
ciglia.
Non restava che
scegliere di quale morte morire.
-Eccola!-
-Prendiamola-
Si
gettò.
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Capitolo 2 *** 1. Thin ***
Salve a tutti!
Grazie mille per le recensioni, non mi aspettavo un così incuriosito seguito! Davvero, grazie mille :D
Ma ora passiamo alle cose serie, dunque, agli avvisi necessari per la lettura di questa storia!
LEGGERE ATTENTAMENTE: Come sapete, Desmond rimane sette giorni nella sede Abstergo, prima di fuggire con Lucy.
Per una questione di tempi, ho ridotto il tempo che ci mette a finire la storia di Altair a tre giorni.
Tenetelo a mente ;)
BUONA LETTURA!
Cass
Capitolo 1: Thin.
-Che situazione di merda!-
La dottoressa rise, mentre armeggiava ancora con il computer del secondo Animus, impostando chissà quale datazione e profilo genetico. Il rumore delle sue dita che battevano sulla tastiera era l’unico nella stanza, insieme al sottile suono che facevano ogni tanto gli ingranaggi dell’Animus.
Il posto dove mi avevano portato tre giorni fa non era cambiato molto, anche se ormai l’avevo scoperto più "umano".
Scoperta inutile, la cosa non mi calmava per niente.
Purtroppo.
Volendo vedere la situazione positivamente, beh, Lucy mi aveva salvato la vita.
I ritmi non erano mai serrati come nel primo periodo, in altre parole avevo dei tempi precisi da passare nell’Animus, sempre che non fosse un ricordo particolarmente importante ai fini della ricerca.
Avevo una maggior sincronia con il mio antenato, il lavoro era sempre più scorrevole.
Inoltre ero anche diventato amico della dottoressa.
-Continuo a pensare che sia una situazione di merda!- esclamai, rendendomi conto che ormai preferivo essere il mio antenato più che me stesso. Lui sì che aveva una vita.
Ero anche ingrassato a furia di stare chiuso lì dentro.
No, non ero diventato un ciccione, ciò non toglieva che Altaïr Ibn L’Ahad, il mio antenato, fosse più magro di me.
Soprattutto, era molto più muscoloso. E dannazione, quella donna, Maria...
Sospirai, camminando verso i grandi vetri del grattacielo, che davano sulla strada poco affollata.
Quel giorno c’era un sole tiepido, che però illuminava del tutto la stanza bianca, facendola sembrare ariosa, nonostante fosse stipata di computer e apparecchi elettronici.
Poggiai la fronte sulla finestra, rilasciando un altro sospiro.
La mia speranza era che con l’aver trovato la mappa dei frutti dell’Eden il mio compito fosse finito.
Speravo che la fine della storia corrispondesse alla mia libertà, che tutte le informazioni che servivano alla Società fossero state raccolte. Gli imprint mnemonici erano stati tutti soddisfatti, ormai i ricordi che stavo rivivendo erano solo, come dire, passatempi!
Evidentemente, le mie speranze erano state disattese. Forse mi sfuggiva qualcosa?
Guardai il secondo Animus e la porta che portava all’uscita ancora con la spia rossa.
Possibile che quell’affare servisse a me?
-A cosa serve? Pensate che chiudermi dentro due Animus tipo stampino mi faccia scoprire altro?- chiesi, ironico, puntando il dito verso il nuovo marchingegno, sistemato accanto al mio.
La dottoressa alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi azzurri contro di me, mettendomi in grande soggezione. Non l’avrei mai ammesso, ma ogni tanto mi faceva paura.
Aveva la calcolata freddezza di un robot, per quanto fosse stata lei a trattenere Doc dal farmi fuori questa mattina e fosse l’unico contatto con gli Assassini che avevo al momento. Ragionandoci, mi sorpresi anche della velocità con cui gli agenti Abstergo avevamo montato il secondo Animus.
Lei ancora non mi rispondeva, sembrava mi stesse studiando data l’intensità del suo sguardo e dalla piccola fossetta che si era formata tra le sue sopracciglia. Cominciai a sudare freddo.
Sembrò soppesare la possibilità di non rispondermi, come spesso faceva, ma forse la sua coscienza le ricordava che ero segregato qui da un sacco di tempo e che qualche risposta la potevo anche avere, dannazione!
Girò, lentamente, la testa verso il secondo Animus, premette un pulsante e i sensori tondi di quello s'illuminarono come il primo. Poi parlò senza degnarmi di un’occhiata:
- Il direttore della casa farmaceutica ha condotto studi "paralleli", in un certo senso, ai nostri. Sembra che il tuo profilo genetico non sia stato analizzato del tutto. Che possano esserci molte più informazioni di quello che noi potessimo sperare, ai fini della Società, s’intende. Ma, come ben sai, il nostro Animus non riesce a rilevare nient’altro su Altaïr-.
Annuii, increspando le labbra e prendendo a muovermi nella stanza.
La situazione mi lasciava un po’ scettico, visti i fatti. –Non può esserci nulla da vedere. Sempre che l’Aquila di Masyaf non abbia deciso di procreare! Ma in quel caso… -
-L’avremmo rintracciato solo vivendo tutta la storia- m'interruppe. Rise. –Hai studiato, Desmond-.
La scimmiottai, poi mi battei le mani sulle gambe – Quindi quell’Animus è più potente? Serve a "scavarmi più a fondo"?- ipotizzai avvicinandomi alla macchina.
Lei scosse la testa, facendo poco oscillare il suo chignon biondo. – Non riguarda esperimenti su di te. Serve per un se… -
La dottoressa non poté continuare, dato che lo scienziato pazzo e un energumeno che portava in braccio un ragazzino svenuto, col cappuccio tirato fin sopra gli occhi, al mo’ di qualche mio amico assassino, avevano fatto irruzione nella stanza.
-Oh mio Dio, non restate lì impalati! Nella camera di Desmond c’è un letto. Forza!- disse agitata la bionda, mentre, prima di seguire i due uomini nella mia camera, prendeva un kit del pronto soccorso e delle strane fialette contenenti un liquido trasparante.
-Ehi, certo! Potete usarla!- urlai sarcastico (Poiché non avevo nessun diritto su quella camera, dato il mio status di prigioniero) quando, dopo averli seguiti, mi ritrovai la porta chiusa in faccia.
Come sempre molto gentili, borbottai tra me e me.
Mi massaggiai il naso e cercai di origliare qualcosa, ma purtroppo quella volta non avevo a disposizione nessun condotto dell’aria ad aiutarmi. La vista di quel ragazzino mi aveva sconvolto, sembrava l’avessero ripescato dal mare dopo un naufragio.
M’incamminai verso la scrivania e mi sedetti sulla sedia girevole di pelle nera; i miei pensieri erano tutti rivolti al nuovo arrivato, non sembrava star particolarmente bene, avevo notato qualche ecchimosi sulle mani e sul quel poco di collo che era visibile, per non parlare della macchia rossa sul fianco. Anch’io avevo quell’aspetto, quando ero arrivato qua?
Non mi ricordavo molto, in realtà, del mio primo giorno. Ero solo… arrabbiato e confuso. C’era tanta voglia di scappare, ma quella c’è sempre, non mi stupirei se mi dicessero che l’avevano ridotto in quello stato perché aveva opposto resistenza o tentato la fuga.
Il pensiero mi fece rabbrividire e chiudere gli occhi, quel ragazzino era davvero minuto e magrolino, sembrava piccolo, poteva avere al massimo sedici anni.
Perché l’avevano portato qui? Anche lui aveva "un passato ereditario"? Ed era in qualche modo collegato al mio, forse?
Beh, spiegherebbe la presenza del secondo Animus, ma non il mio profilo genetico non del tutto compatibile con la macchina. Tutto sembrava dipendere da quel ragazzo.
Eppure, quale antenato poteva avere, così piccolo e smilzo? Forse non era un assassino, non era possibile che Al Mualim avesse sicari così poco "piazzati". Quante domande, Desmond…
Mi girai con la sedia verso i vetri, dando le spalle alla stanza, dalla quale provenivano voci concitate e rumori dalla dubbia provenienza.
Cosa diamine aveva scoperto il direttore?
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Capitolo 3 *** 2. Key ***
Capitolo 2: Key.
- Desmond?
Desmond, forza!-
La voce che mi chiamava era così lontana, come se fosse
nella mia testa e non
una voce vera.
Forse non riuscivo a uscire dall’Animus? Non riuscivo a
vedere niente, né a
ricordarmi niente.
-Ahia!- urlai, prima di rendermi conto di essere sveglio, portandomi
una mano
sulla guancia.
Alzai lo sguardo sulla dottoressa, aveva l’espressione molto
seria e tirata,
gli occhi gelidi e la postura ligia. La mano ancora tesa per lo
schiaffo che mi
aveva mollato.
–Coraggio
Desmond, non abbiamo tempo da
perdere- Disse con voce grave – Siediti
nell’Animus- continuò mentre si
sistemava al suo computer.
Mi alzai dalla poltrona e mi diressi verso la macchina. La seconda era
occupata
dal ragazzo, che aveva ancora il cappuccio tirato sugli occhi. Sembrava
stesse
dormendo.
L’avevano cambiato: Indossava la felpa bianca che avevano
rifilato anche a me e
jeans grigi.
Chissà se
era stato un gesto gentile o
se al Dottore dessero fastidio le macchie di sangue...
-Signor Miles, la smetta di cazzeggiare e si sbrighi!- urlò
istericamente lo
scienziato pazzo. Non mi ero nemmeno accorto di essermi soffermato
tanto. Quella figura era come
una calamita.
Mi stesi e la lastra di vetro mi si chiuse sugli occhi, mi apparve
un’altra
striscia genetica, che però sembrava già
iniziata.
Non feci nemmeno in tempo a pronunciare il suo nome che fui risucchiato
nel
ricordo.
-Altaïr!
Finalmente sei tornato- disse Al Mualim quando mi vide
arrivare.
Uscii dall’ombra della libreria con passo deciso e misurato,
finendo di
sistemare i coltelli nell’armatura: Questa missione mi aveva
alleggerito di
munizioni.
-Depistare le mie tracce non è stato facile come speravo-,
dissi, soddisfatto
del lavoro ultimato. Compii qualche altro piccolo passo e mi avvicinai
alla scrivania di legno
chiaro, per lasciare l’ultima piuma che avevo macchiato.
L’ultima.
L’ultima
delle nove vite che avevo preso in cambio della mia.
Nove omicidi poco chiari. Erano templari, certo, ed era nostro compito
eliminarli. Ma le loro parole... Cosa potevano volere? La pace? Allora
perché
Al Mualim...?
Era un rompicapo che ancora non ero riuscito a sciogliere e che il
Vecchio non
sembrava volermi spiegare. Così
stavo
indagando per conto mio.
Al Mualim di certo sapeva. Tramava. Ma ancora non potevo muovere
accuse... e
come avrei potuto?
Lui, che mi aveva amato e mi amava come un padre. Volevo esserne certo
al cento
per cento.
Avevo deciso di seguire le sue mosse. Di stare ancora al suo gioco.
Speravo di sbagliare. Speravo di sbagliare più di qualsiasi
altra cosa.
Ero stato via qualche luna, eppure quell’uomo era riuscito ad
accumulare più
libri di quanti ne avesse alla mia partenza. La grande finestra
illuminava ogni
sottile pagina scritta, rendendole ancor più trasparenti e
gialline. Gli
spifferi che provenivano dal piano di sotto, facevano ondeggiare
lentamente le
nostre bandiere, come il dolce cullar di un’imbarcazione.
I rintocchi dei passi di Al Mualim richiamarono la mia attenzione,
stava
guardando compiaciuto la piuma che gli avevo appena posto di fronte. La
prese
dalla punta quasi con riverenza e, continuando a guardarla, mi diede le
spalle
e la ripose in un cassetto.
-Che felice notizia mi porti… L’eliminazione del
vile Sibrando è un enorme
passo verso la pace per la quale tanto faticosamente combattiamo!-
proferì a
braccia aperte, mentre tornava verso la mia direzione. Feci un cenno col capo.
Al Mualim non si stupì del mio silenzio e agitò
una mano verso di una guardia,
che annuì al suo cenno e se ne andò. Sembrava
attendesse tale richiesta.
-Hai qualcosa da dirmi?- chiesi, quando vidi Al Mualim camminare a
vanti e
indietro dalla grande finestra alla scrivania, con la miriade di libri
poggiati
sopra.
“Ci siamo” pensai.
Abbozzò un sorriso sulla faccia piena di cicatrici, e
arrestò il suo moto
continuo.
-Vedi Altaïr, c’è un motivo per cui ho
desiderato che tu inscenassi la tua
morte fisica agli occhi dei nemici. Tutti qui sanno che in
realtà sei vivo-
disse calmo.
Fin qui, c’ero arrivato anch’io. Nessuno si era
spaventato nel vedermi tornare,
né avevano urlato dicendo di vedere un fantasma o un demone.
Però, ancora nessun chiarimento sui miei nove omicidi.
Si schiarì la voce - Si tratta di una missione un
po’ particolare, se vuoi
vederla in questo modo. Una missione di vitale importanza, ma dovresti
saperlo,
dato il tuo elevato rango! Quello che c’è di nuovo
è… Oh, ecco la novità!
Forza…
Avvicinati!- disse lieto come non l’avevo mai visto,
guardando con il suo occhio
buono alle mie spalle.
Voltai poco la testa verso il nuovo arrivato, e lo osservai dalla testa
ai
piedi:
Era bassino e smilzo, ma non sembrava aver difficoltà nel
portare il carico
delle armi.
Il cappuccio mi celava la sua faccia, ma sembrava essere straniero.
S’incamminò verso di noi con passo sicuro e senza
esitazione, tenne il capo
chino nonostante il cappuccio già lo coprisse, poi
mostrò la mano senza dito in
segno di saluto, non sembrava aver intenzione di dialogare. Ricambiai
il gesto e Al Mualim fece un cenno rigido col capo coperto dalla
stoffa grigia.
Il ragazzino si avvicinò ancor di più, mettendo
in risalto la differenza di
altezza tra me e lui. Il suo cappuccio sfiorava il mio mento e il suo
corpo era
la metà del mio. Fiacchetto. Forse era un novizio.
Eppure, aveva tutte le armi di un Maestro Assassino... Non sembrava
comunque avere qualcosa di speciale.
Fermai le mie elucubrazioni e rielaborai le parole dell’uomo,
un brivido di
rabbia mi scosse la schiena.
Per un attimo vidi tutto rosso e mi sarebbe piaciuto portare la lama
nascosta
vicino alla gola del ragazzo. Per fortuna, però, mi limitai
a girarmi di scatto
verso Al Mualim, stringendo i pugni.
–Cosa vuol dire?!- ringhiai, piegandomi automaticamente in
posizione d’attacco.
Al Mualim mi guardò senza scomporsi– Questo
incarico è troppo importante, non
posso lasciarti solo!-il suo tono era a metà tra
l’imperioso e il seccato. Mi
conosceva bene.
E proprio per questo un’azione simile non me la sarei mai
aspettata.
Dannazione!
Digrignai i denti –Non ti fidi più delle mie
capacità, Maestro?- la mia voce
uscì minacciosa. –Dovresti saperlo che non farei
mai nulla per danneggiare l’Ordine.
O magari questo ragazzino deve solo controllare che rispetti il credo?-
formulai
quell’ipotesi così denigratoria per me sbattendo
un pugno sul tavolo.
Al Mualim mi rivolse un’occhiata di fuoco, nonostante
l’occhio di ghiaccio,
mentre il ragazzo non fece una piega. Non si era mosso di un millimetro
da
quando era arrivato, come se non importasse molto ciò che il
vecchio e io
dicessimo o decidessimo.
-Adesso calmati, Altaïr. La tua funesta ira non
cambierà le cose! Affidarti
questo valido elemento non è una punizione denigratoria,
semplicemente lo
richiede la missione. Nonostante il tuo talento, non potresti mai fare
due cose
contemporaneamente!- aveva iniziato la tiritera con voce dura e acuta,
ma
sembrava calmarsi di più parola dopo parola.
Percepì un risolino basso
provenire dal ragazzino.
Strinsi un po’ il pugno che avevo sul tavolo, mormorando
qualche imprecazione
silenziosa, per poi riportare la mano al fianco, drizzando la mia
postura.
-Di che si tratta?- chiesi infine, con tono arrendevole, rivolgendo lo
sguardo
al Vecchio.
Iniziazione
Imprint Mnemonico.
-Sembra ci siano
state insubordinazioni tra i nostri nemici, negli
ultimi tempi. L’Ordine ha scatenato il panico in tutti gli
altri schieramenti,
giacché nell’immediato passato siamo stati
“particolarmente attivi”, diciamo
così-. Al Mualim cominciò a parlare, riprendendo
il suo moto per la stanza.
Aveva portato le braccia dietro la schiena, alzando gli occhi al cielo.
-Questo non è un vantaggio per noi?- Alzai un sopracciglio,
dubbioso, non
capendo dove fosse il problema. La paura, se non accettata e dominata,
rende
deboli.
Alla mia domanda il ragazzino rivolse la testa verso di me, senza dir
nulla.
Nonostante il cappuccio m’impedisse di veder i suoi occhi,
sentivo sulla pelle
l’intensità con cui mi guardava. Era…
assurdo.
Non ebbi particolari reazione all’esterno, ma dentro mi
sentivo scombussolato.
Feci un involontario passo all’indietro, distogliendo lo
sguardo. Lo stesso
fece lui.
Sembrò che la mia fosse stata solo una reazione di sdegno.
Meglio così.
Al Mualim, che si era perso questo velocissimo scambio, mi rispose che
sarebbe
stato vantaggioso se avessimo potuto controllarli uno per volta.
-Nel senso che… si sono “unite” per
distruggerci?- rimasi scioccato da tal
eventualità, non per la paura che potessero realmente farci
qualcosa, ma al
pensiero che gruppi etnici così diversi si fossero alleati.
Lui annuì e il ragazzino incrociò le braccia.
Forse non era di pietra come
pensavo.
-Ricordati Altair che tutti quei popoli erano inconsapevolmente sotto
il potere
templare esercitato dagli uomini che hai ucciso, i quali agivano sotto
la guida
di Roberto, che a suon di monete di Riccardo continua a far da
collante. Quindi
il termine giusto non è unite, ma collegate.
Armi, schiavi, guardie, fine... - si
fermò e si volse verso di noi.
-Non abbiamo ancora una posizione precisa, ma in una delle
città degli “alleati”
c’è un tempio. Nel tempio è custodito,
non so per quale voce arrivata a
Roberto, un frutto gemello a quello trovato nel tempio di Salomone.
Entrambi
sapete di cosa sto parlando... Il vostro primo compito è di
ricavare
informazioni e poi, una volta fatto rapporto, recarvi lì a
“dare un’occhiata”-
fece un mezzo ghigno –Una volta intuiti i loro piani, sapremo
come attaccare.
Nel frattempo qui gli addestramenti aumenteranno di frequenza e
durezza.
Dobbiamo essere pronti a fronteggiare l’orda di nemici che
sicuramente
attaccherà, anche se siamo sicuri che la distruzione fisica
della nostra
confraternita non sia il loro fondamentale obiettivo- finito il suo
discorso,
Al Mualim ci porse una mappa ben dettagliata dei regni a noi
circostanti
(sicuramente opera di Malik) e ci congedò.
-Partirete l’indomani. Badate, sarà una lunga
missione, perciò preparatevi
opportunamente-.
Io e il ragazzino mostrammo la mano e ci girammo. Mi aspettavo fosse
sceso con
me dalle scale, invece si calò giù dalla
ringhiera.
-Che tipetto…- mormorai, cominciando a camminare verso
l’uscita.
Al Mualim ghignò.
Avanzamento
rapido ad un ricordo più rec...
-Cosa
succede? Dottoressa?!-
-Non lo so, uno dei due sembra aver perso del tutto la sincronia. Sta
opponendo
resistenza!-
Sentii un urlo straziante e dei passi affrettati e finalmente riconobbi
la
schermata iniziale dell’Animus, che mostrava rapidamente le
immagini di Masyaf.
Riprendendo conoscenza, strizzai un po’ gli occhi per
riabituarmi alla luce e
finalmente riuscii a vedere il soffitto della stanza.
Il terribile urlo proveniva dal nuovo arrivato, che si agitava
freneticamente
sulla sua macchina, sbattendo i pugni chiusi. Sembrava provasse un
dolore
insopportabile.
Mi si strinse il cuore nel vederlo soffrire così.
Stavo per avvicinare la mano alla sua spalla, ma la dottoressa mi
fermò con uno
scatto agile.
La guardai scettico, frustrato per la poca fiducia: Volevo solo aiutare.
Lo scienziato pazzo, nel frattempo, aveva chiamato
l’energumeno che aveva trasportato
tra le braccia il ragazzo quella mattina e lo fece spostare in una
stanza che
nessuno aveva mai aperto da quando ero lì. Girai la testa in
quella direzione,
probabilmente era la sua nuova camera.
Rimasto solo con lo scienziato pazzo, scesi definitivamente
dall’Animus e mi
avvicinai con passo pesante a lui, che era seduto alla scrivania con la
testa
fra le mani.
Aria amara, eh?
-Doc? Cosa diamine è successo prima?- chiesi stralunato,
appoggiandomi al
ripiano di legno scuro.
Lui si sedette compostamente, incrociò le gambe e congiunse
le mani, assumendo
una posizione assolutamente, fintamente, disinvolta. Alzai un
sopracciglio e
trattenni una risata di scherno.
-La cattura del soggetto 17/bis è stata complicata.
L’abbiamo dovuto ripescare
dal mare, dopo il suo teatrale tuffo da uno strapiombo, in Italia
meridionale.
Sembrava preferire la morte, peccato sia davvero una persona molto
atletica e
fortunata … Nel tuffo ha solo erroneamente urtato con uno
scoglio dopo
l’immersione- rispose.
Era così lampante la falsità della sua calma, che
anche io avrei potuto fare
meglio –Tuttavia, per quanto minimo il danno rispetto a
ciò che poteva
succedere, il dolore è abbastanza forte da interrompere il
suo ricordo-
proruppe, cedendo alla sua afflizione.
Per lui il tempo era fondamentale. Mi venne da sorridere nuovamente, ma
mi
trattenni ancora.
Portai due dita al mento –Come mai questi ricordi non si sono
mostrati, prima
che arrivasse il soggetto 17/bis? Avevamo visto come Altaïr
avesse ucciso
Roberto Di Sable-.
Doc mi rivolse un’occhiata penetrante, poi si alzò
dalla sedia e si avvicinò
alla finestra ormai scura, data l’ora. Si evinceva dalla sua
espressione che
questo imprevisto, il 17bis, non
aveva affatto
senso. Infatti, ci mise un po’ a rispondermi, riflettendo
obiettivamente sulla
vicenda.
Non mi aspettavo tanta sincerità!!
-Vede, signor Miles, io ho due teorie, una meno probabile
dell’altra scientificamente
parlando, ma non vedo altre vie possibili. La meno probabile
è che ci fosse bisogno
di qualcuno che conoscesse il segreto di Altaïr per rendere
visibile la
striscia Mnemonica. Eppure sembra impossibile che il suo antenato fosse
capace
di nascondere le sue gesta anche a se stesso. Non trova?-
raccontò, rimanendo
nella sua posizione.
-Oppure- continuò – e mi sembra
l’ipotesi più accettabile, la striscia
mnemonica è stata resa meno leggibile passando da
generazione in generazione,
ma essendo condivisa dal soggetto 17/bis, lei signor Miles ha come
bisogno di
una… chiave di lettura che ricostruisca i suoi ricordi. Il
fatto che la
desincronizzazione dell’altro soggetto abbia portato indietro
anche lei, non fa
che convincermi di questa ipotesi. E’ capace di ritrovare il
suo antenato solo
se il soggetto le ricostruisce la striscia mnemonica. Il che
è curioso e
straordinario allo stesso tempo, signor Miles, poiché i
ricordi non potrebbero
mai coincidere perfettamente! Un caso davvero molto interessante-.
...
Mi sembrava davvero poco plausibile.
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Capitolo 4 *** 3. When you find Face to Face ***
Buonasera!
Sono
tornata, in anticipo, per farmi perdonare del ritardo precedente: Ecco,
una specie di regalo per Halloween xD
Ora,
non so se vi rendete conto che fra tre, e dico tre, giorni, potremo
avere in mano Black Flag!!!! * si scoglie*
Ahahahahaaha,
dunque, parliamo di cose serie: Nel precedente capitolo c'è
stata un po' di confusione.
Per
cui, mettiamo dei "paletti": Altair ha ucciso tutte le nove vittime, ma
non Di Sable e nemmeno Al Mualim.
Sospetta
di quest'ultimo, ma troppo preso dal desiderio che i suoi sospetti si
rivelino infondati, indaga ancora.
Se
avete qualche altro dubbio, fatemi sapere nella recensione! ;)
Magari
dal prossimo capitolo potremmo mettere delle note a fine pagine,
sapete, quelle con i numeretti, per spiegare meglio ogni passaggio!
Spero
gradirete questo capitolo! Fatemi sapere!
Cass
3. When you find Face to
Face.
Che
sta succedendo?
Può darsi che sia solo una mia interpretazione...
Non è colpa tua, mi facevo troppe domande!
Devo ammettere che è stato il mio orgoglio a sviarmi.
Tutto questo perchè ho pensato che tu fossi qualcun'altro,
Non c'è molto che so di te!
Daft Punk- Face to Face
Dopo il discorso con lo
scienziato
pazzo, intuii che potevo tranquillamente “ritirarmi nelle mie
stanze” (Forse
perché Vidic mi aveva “gentilmente
invitato” ad entrare nella camera, dato che
lui doveva sbrigare delle faccende) e sistematomi sotto le spesse
coperte
verdine, un pensiero tira l’altro, crollai nel giro di venti
secondi o meno. Di
nuovo intravidi dei segni rossi sul soffitto.
Ormai i miei
orari di sonno erano un po’ sfasati, così quel
pomeriggio non feci
che altro che rigirarmi nel letto, alternando momenti di dormiveglia a
ore di
dannata coscienza.
Quando
finalmente, e non saprei nemmeno dire a che ora, mi addormentai, feci
un
sogno, corto, sbiadito, come una canzone lontana... e non
poté che svegliarmi.
E ti pareva?
Eppure, era forse uno dei pochi ricordi felici che mi erano
rimasti della mia vita:
Io, da bambino,
nella Fattoria.
La mattina facevamo sempre lunghe corse per la campagna, era un modo di
temprarci, una specie di mini allenamento per Assassini mocciosi.
Eravamo una
decina, delle età più disparate.
Non mi mostravo mai davvero entusiasta di partecipare a quella stupida
corsa, e
molti la pensavano come me, ma altri non vedevano l’ora di
gareggiare fra loro,
di mostrarsi forti.
Penosi.
Ero seduto su una balla di fieno, aspettando con qualche adulto che
arrivassero
tutti gli altri: Ad un certo punto, scortata da due ragazzini, fratelli
tra di
loro, arrivò una bambina alta poco più di un
metro, i capelli biondi legati in
una coda alta. Non l’avevo mai vista, doveva essere la prima
volta che
partecipava alla corsa; mi divertii il suo sguardo agguerrito. Sembrava
non
vedesse l’ora di mettersi in gara.
La vedevo scrutare gli altri ragazzi presenti, finché i suoi
occhietti non si
posarono su di me. Mi stupii quando si avvicinò piano verso
di me.
-Ciao- disse, con voce chiara, nonostante fosse piccola.
-Ciao- risposi, circospetto.
-Sembri triste- constatò.
-No, non sono triste, sono... scocciato. Sai cosa vuol dire?- .
Alzò gli occhi al cielo, per poi arcuare il sopracciglio
–Certo che lo so!-
sembrava sinceramente offesa dalla mia domanda. Trattenni un risolino.
-Non ti piace correre?- chiese ancora. Annuii semplicemente, non capivo
ancora
tanto interesse.
Si grattò piano il mento, poi le si illuminò lo
sguardo; mise una mano nella
tasca dei suoi jeans e ne estrasse un Gianduiotto, poi me lo porse, con
un
sorrisone sincero stampato in faccia.
-Tieni- disse – Non puoi essere triste se mangi del
cioccolato- sorrise e
automaticamente sorrisi anche io.
-Grazie, nanerottola- dissi teneramente. Sembrò soppesare se
offendersi o meno,
ma mi concesse il termine.
Fece ciao con la manina e tornò, zampettando, dai suoi amici.
Credo di non aver mai corso tanto veloce come quel giorno.
Mi
turbò parecchio, non solo per l’assurda gentilezza
della bambina, o
perché avevo rimosso quel bel ricordo dalla mia testa, ma
per l’emozione che
ancora mi aveva trasmesso, dopo tanto.
Ridicolo.
La Dottoressa mi
aveva accennato all’Osmosi, ovvero
all’assimilazione delle
abilità, dei ricordi e delle emozioni
dell’antenato di cui rivivevo la storia,
ma anche la possibilità che potessi ricordare senza bisogno
dell’Animus vicende
dei miei antenati, di me stesso...
Lei
sembrava sempre un passo in avanti a
quello che poteva succedere.
Nell’ultimo
periodo mi sembrava sempre più strana, sempre più
preoccupata e
tesa, molte volte nelle sue e-mail parlava di certi problemi che mi
riguardavano
e l’avevo colta impreparata per l’arrivo del
soggetto 17/bis. Forse anche gli
Assassini non si aspettavano la sua entrata in scena.
Perché
quel ragazzino era qui? Qual era il vero motivo?
La porta si
aprì, cigolando metallicamente, e Vidic spuntò
come una margherita
a primavera.
-Signor Miles! Si
sbrighi!- Ormai era sera, le vetrate erano nere e non
facevano vedere l’esterno.
Alzai gli occhi e
affrettai il passo verso l’Animus, trovando 17/bis
già steso
nella sua postazione.
La lastra mi si
chiuse sugli occhi e la schermata dell’Animus si
presentò a me.
La striscia di
memoria era già selezionata, non restò che farsi
trascinare.
Se le guardie sono
troppe, utilizzate attacchi coordinati.
A
Masyaf c’era il sole tiepido dell’alba, nella torre
vi erano solo
poche persone, oltre me.
Ero un po’ in anticipo per l’appuntamento che Al
Mualim aveva fissato per me e
il mio nuovo compagno, di cui ancora non sapevo nulla. Né
nome, né abitudini,
né capacità.
Per questo avevo deciso di indagare prima di incontrarlo.
Vidi Labib vicino all’arena di allenamento, che guardava il
combattimento tra
un novellino e un Priore. Mi avvicinai con passo normale.
- Labib, ho una domanda per te- cominciai il discorso, guardando i due
combattenti
e stupendomi, riconobbi il mio fantomatico ragazzino come il Priore che
lottava.
-Dimmi tutto, Altaïr. Ti ascolto- mi rispose lui, cortese,
senza distogliere lo
sguardo.
-Cosa puoi dirmi di quel Priore? Siamo in missione insieme e lo sai
come la
penso…- raccontai in modo breve, per abitudine di sintesi o
forse per la smania
di ricevere informazioni.
Labib sembrò sorridere, non potevo ben dirlo dato il volto
coperto dal
turbante.
-E’ un ottimo elemento, akh
(Fratello).
Credo sia la gemma di Al Mualim, dopo di te,
s’intende. Uno dei suoi
addestramenti più riusciti, come puoi vedere!- alle sue
parole, il mio “ottimo
elemento” contrastò l’avversario,
buttandolo a terra, per poi puntare la spada
al suo petto.
-Mi hai atterrato ancora! Non ci credo!- ansimò lo
sconfitto, aprendo le
braccia, con un mezzo sorriso.
–Fanno 4 a 0 per te-.
-Facciamo a chi arriva prima a cinque?- urlò divertito
Labib, spaventandomi
quasi per l’improvvisa alzata tonale. All’udir di
quelle parole, il Priore si
girò verso di noi e sorrise, smagliante, mostrando una
schiera di denti perfetta.
Mi schiarii la voce, attirando la sua attenzione –Potremmo
partire, se non ci
sono altri preparativi da sistemare- proposi con tono tranquillo, anche
se mi
sentivo un po’ a disagio.
E non capivo per quale motivo.
Annuì, riponendo la spada nel fodero, per poi porgere la
mano al suo sfidante,
per aiutarlo a rialzarsi.
Il mio scetticismo non tardò ad arrivare.
-Aiutare ad alzarsi?- sibilai a Labib, che ancora ghignava per la
lezione
impartita al suo novizio.
-Coraggio Altaïr, possiamo accettare certe carinerie, se siamo
tra noi! Non è
nemmeno un addestramento vero, sono solo due amici che si sono sfidati.
Tra
l’altro il novizio non potrà svolgere missioni per
un po’, a causa di un
problema di salute- mi rivelò.
Fu per me spontaneo alzare un sopracciglio –Amici? Coccolare
i novizi?- ero
allucinato da come fossero diversi i tempi e il sistema dal mio
addestramento.
Quello vero, intendo.
Labib mi rispose con un gesto stizzito della mano e in quel momento
arrivò il
mio compagno, che mi fece un cenno e s’incamminò
verso la porta della Torre.
Non ama particolarmente parlare. Bene, nemmeno io.
Avanzavamo lentamente e silenziosamente a
cavallo, con la testa abbassata per mimetizzarci.
Al Mualim aveva consigliato di partire da Acri, che era la
città in cui la
nostra confraternita aveva molti contatti e che, quindi, ci avrebbe
fornito un’ottima
pista da seguire.
Finalmente avevamo superato i posti di blocco dei Saraceni e potevamo
galoppare
con serenità. Pensai a cosa dire per dialogare con lui:
Nonostante le
rassicurazioni degli altri fratelli, volevo rendermi conto
personalmente di
come il soggetto fosse.
-Neanche a me piace particolarmente parlare- cominciai, guadagnandomi
la sua
attenzione. –Però non mi piace maggiormente
lavorare con gente che non conosco
e di cui non mi fido, di conseguenza. Il Maestro dice che questa
è una missione
di vitale importanza e quindi non intendo fallire. Tu sai
già il mio nome,
mentre nessuno osa pronunciare il tuo.- la mia tiritera
sembrò convincente, lui
ghignò di consapevolezza e riportò lo sguardo
davanti a sé.
Si grattò una guancia –Il mio nome è
Vega- disse semplicemente.
Per poco non caddi da cavallo.
-Sei una… una…- la mia voce uscì, per
la prima volta in tutta la mia vita,
incerta e sbalordita.
Sentivo il cervello liquefarsi come se me lo stesserò
bollendo, maledicendo il
Vecchio per non avermelo detto. Non che faccia discriminazioni,
ma… Accidenti!
Potevo restarci secco.
-Anche noi donne possiamo entrare nella confraternita, per quanto in
minoranza-
la sua voce era serena, sicuramente si aspettava questa mia reazione.
Scossi la testa e sentii le mie labbra piegarsi una sottospecie di
sorriso.
Ripresi la mia calma abitudinale e le indicai il sentiero
più breve per la
città.
-Non ti ho mai vista… Eppure tutti sembrano conoscerti-
continuai, la
situazione mi aveva reso curioso, Al Mualim doveva aver visto
sicuramente particolari
abilità in lei per affidarle questa missione. Vega
annuì e il cappuccio le
cascò ancor più sulla faccia – Sono qui
da quando sono piccola, in realtà, solo
che negli ultimi anni sono stata in missione fuori dal regno- la sua
voce era
squillante, eppure il tono sempre cauto nascondeva quel timbro
cristallino.
Riportai l’attenzione dinanzi a me –Sei brava a non
farti notare, comunque.
Un’ottima qualità per un assassino-.
-Forse sei solo tu a non aver mai prestato vera attenzione,
Altaïr. Hai appena
detto che tutti sembrano conoscermi- non disse queste parole in modo
pungente,
ma più come una costatazione divertita.
Il suo tono, infatti, era quello di chi aveva capito di aver avuto
l’ultima
parola, vincente, tra l’altro, in un futile duello verbale.
-Spalle al muro- concessi sereno, per quanto leggermente toccato
dalle sue parole, poi dato che nessuna guardia era nei
paraggi, spronammo i cavalli e iniziammo a correre.
Fino al nostro arrivo il rumore degli zoccoli sul terreno fu
l’unico suono che
sentii.
Avanzamento
rapido ad un ricordo più recente.
-Altaïr,
Vega… Al Mualim mi aveva avvisato del
vostro arrivo. Cosa vi porta qui?- il referente di Acri ci accolse
sereno.
Stava lavorando sull’intaglio di un vaso di terracotta
disegnando forme
geometriche e decorazioni greche. Vega fece un passo verso il bancone
–Avanscoperta. La congiura delle città templari
contro di noi- .
Gli occhi di Jamal scattarono verso la ragazza, per poi passare a me.
Negli
occhi scorgevo la preoccupazione e la paura per le proprie mura. Poi
arrivò una
consapevolezza leggera, inaspettata.
–Avrei dovuto accorgermene prima- sospirò.
-Cosa puoi dirci?- m’intromisi, accostandomi a Vega.
L’anziano si rivolse a me un po’ contrariato, per
quanto fosse stato uno dei
primi a riporre nuovamente fiducia in me e credesse nel mio
cambiamento, le
antiche incomprensioni erano difficili da superare.
-Non molto. Effettivamente nel distretto povero ci sono più
disordini del
previsto e il distretto ricco è sempre più
chiuso. Le guardie sono aumentate e
mi è sembrato di vederne anche di diverse fazioni.
Per il momento, vi
consiglio di cercare
qualche informazione nel distretto povero, a nord, specialmente per
riuscire a
intrufolarvi nel distretto ricco!- disse riflettendoci, con tono
titubante.
Per iniziare andava più che bene.
-Salute e pace, Rafiq!- dissi, girandomi verso la porta.
-Ah Vega, prima
è venuto a trovarmi Samir. Era informato del tuo
arrivo ad Acri e mi ha domandato di consegnarti questa missiva-
Aspettai che prendesse il foglio, poi ci arrampicammo fuori dalla
dimora, in
direzione nord.
-Che
la fortuna assista la vostra lama- borbottò Jamal, tornado
alla
lavorazione del suo vaso.
-Fuori signor
Miles! La signorina deve riposare, ne approfitti anche lei!-
La schermata
dell’Animus si spostò pian piano dalla mia faccia,
e ovviamente la
prima cosa che sentii furono i toni soavi del Dottore templare.
Alzai la schiena
e mi girai verso il nuovo arrivato e i dubbi che mi erano
venuti durante la sessione nell’Animus trovarono risposta.
-Una ragazza-
costatai guardandola, confuso.
Lei era seduta di
fronte a me, la faccia appoggiata sulle mani. Non indossava
più il cappuccio, ma i capelli ricci e fulvi le coprivano il
viso. Ansimava un
poco, ma non sembrava star male come ieri.
-Tutto ok?-
chiesi, alzando un sopracciglio. Se assomigliava almeno un
po’ alla
sua antenata, non avrebbe parlato tanto volentieri.
Alzò
la testa, facendo rimbalzare i ricci sulle spalle e mi permise di
osservare i suoi lineamenti.
La somiglianza
era impressionante, per quel che avevo potuto vedere.
Per non
parlare della sensazione che
aveva provato Altaïr quando Vega l’aveva fissato,
anche se non ne vedeva gli
occhi. Risentii lo stesso brivido salirmi lungo la schiena, come una
goccia
d’acqua sulla pelle calda d’estate.
Lei
sembrava turbata, spaventata, ma non
in preda ad una crisi isterica. Era curiosa, forse?
Affascinata?
Non saprei
spiegare bene quante emozioni vidi nei suoi occhioni verde smeraldo,
ma non mi sembrava avesse davvero paura di quello che avrebbero potuto
farle.
Continuava a
guardarmi, come se io fossi la risposta a qualsiasi domanda le
passasse per la testa, forse si chiedeva se fossi davvero
Altaïr, se fossi un Assassino.
Se solo avesse saputo che anche lei, per me, era l’unica
fonte di risposte. Ciò
non toglie che mi mettesse un po’ a disagio, aveva
un’occhiata davvero intensa.
–Cos’era?-
chiese, rivelando una voce abbastanza limpida.
Mi grattai il
collo, cercando di trovare le parole giuste per spiegare, ma non
riuscivo a creare nessun discorso abbastanza chiaro nella mia mente.
-Quello su cui
sei seduta è chiamato Animus, ossia una macchina capace di
leggere le memorie genetiche che il nostro DNA possiede- la voce di
Lucy mi
spaventò, mi ero dimenticato che ci fosse anche lei nella
stanza. La ragazza
spalancò gli occhi, stupita e la sua bocca formò
una piccola “o”.
Grazie a quel
gesto, ebbi modo di notare che una striscia sottile rosata
attraversava verticalmente il suo occhio sinistro, dal sopracciglio
fino allo
zigomo.
Rabbrividii del
dolore che si possa provare nel ferirsi così.
–Memoria
genetica?- continuò.
La ragazza bionda
annuì, avvicinandosi a lei – L’Abstergo,
casa farmaceutica
molto importante, ha scoperto che nel Dna sono spesso tramandati i
ricordi dei
nostri antenati. Ovviamente c’è un antenato o
più di uno, di cui si possiedono
più dati di carattere ereditario in comune. Non so se hai
avuto la possibilità
di notare la somiglianza somatica tra te e Vega- si aggiustò
gli occhiali con
un dito, mentre cercava di spiegare bene ciò che quei pazzi
avevano intenzione
di fare.
-Cosa cercate?-
chiese, alzando un sopracciglio –Perché non sembra
che
v’interessi molto della somiglianza somatica tra me e la mia
antenata- costatò,
incrociando le braccia.
Lucy fece un
mezzo ghigno –Informazioni ben precise, infatti. Tranquilla,
però,
di questo ti parlerà in maniera più approfondita
Desmond. Ora devo andare,
entrate nella vostra stanza- ci liquidò, indicando
velocemente la mia stanza.
-Vorrà
dire che deve dormire CON ME?- quasi mi strozzai con la saliva. Non che
fossi un pudico puritano, Dei del Cielo NO, ma così sembrava
davvero che
fossimo cavie stipate in piccole gabbie.
Che,
riflettendoci, era quello che eravamo.
Lucy
alzò gli occhi al cielo, sbuffando –Coraggio
Desmond, sono sicura che la
signorina non ti ucciderà nel sonno né
attenterà alla tua virtù. Può darsi
che
Vidic venga da voi fra poco, forse vorrà farti quale
domanda- finì, per poi
battere leggermente il piede sul pavimento.
Io rassegnato,
lei silenziosa, ci dirigemmo verso la porta che, non appena
fummo dentro, si chiuse di scatto, con il solito cigolio meccanico
raccapricciante.
La luce divenne
rossa e il pannello dove s’inseriva il codice
d’accesso s’illuminò.
Leggermente in
imbarazzo, mi girai verso la ragazza che con sguardo passivo si
guardava intorno, esaminando il letto a due piazze, l’armadio
e la piccola
scrivania.
Come Vega, non
era altissima, ma neanche bassa, aveva un corpo fiacco, almeno
così sembrava con la felpa larga che indossava. I capelli di
un rosso acceso
erano folti e ricci come molle di rame e le contornavano il viso
pallido e sottile,
aveva gli zigomi appena sporgenti.
Si
sedette sul letto, senza spiaccicare
una parola. Lei, a differenza mia, aveva molto in comune con la sua
antenata.
Io e Altaïr eravamo entrambi cinici, sarcastici e
“ribelli” ma di certo io non
ero riflessivo, taciturno e distaccato come lui.
-Come ti senti?-
le domandai. In quello stesso momento mi venne voglia di
spararmi, o di seppellirmi. Potevo semplicemente stare zitto e non
disturbarla,
invece mi sentivo in dovere di parlare. Le sue spalle
s’incurvarono e la sentii
sbuffare, infatti una piccola ciocca riccia volò in aria per
poco tempo. –Mi
sento una fottutissima cavia da laboratorio. Mi sento sfruttata. E
tutto per
colpa della mia “appartenenza” a una confraternita
di Assassini- sbatté un
pugno sulla sua coscia, per poi stringerlo convulsamente. Mi
sembrò quasi di
sentirla ringhiare.
Poi mi resi conto
delle sue parole –Tu sai della confraternita?- ero
impressionato, avevo dato per scontato che fosse solo La Fattoria a
creder
ancora in tutta quell’organizzazione.
Lei si
alzò, e prese a camminare verso di me. Le sue sopracciglia
erano corrucciate
e la bocca storta.
-Certo che lo so.
Altrimenti come pensi mi abbiamo scelta? Tuttavia è diverso,
non sono un’Assassina- sussurrò, guardando il
pavimento. C’era una malcelata
malinconia nel suo tono.
-Nemmeno io.
Pensavo che fosse solo la mia “famiglia allargata”
a credere in
tutta quella faccenda- le sussurrai di rimando. Sembrava concentrata,
cercava
forse di collegare tutte le informazioni che aveva con un unico filo
logico.
Eppure, almeno per me, erano troppi i tasselli mancanti.
-Se ti
può consolare non sei solo- mi rincuorò
sarcasticamente –Quindi mi
sembra logico che l’Abstergo pulluli di discendenti dei
Templari o qualcosa di
simile- lo disse come se fosse un’affermazione, ma in
realtà era titubante.
Forse era semplicemente un discorso troppo assurdo da concepire per
crederci
davvero. Più che una contesto reale sarebbe potuta sembrare
l’ambientazione di
un libro o di un videogioco. Annuii, per darle conferma.
Le raccontai per
filo e per segno tutto ciò che Lucy mi aveva detto riguardo
all’Abstergo
e i suoi studi, che noi due eravamo già le cavie numero
diciassette.
-Vuoi dirmi che
ci sono stati altri sedici discendenti da famiglie di
Assassini? Che fine hanno fatto?- chiese, spalancando la bocca.
Brutta domanda,
mi ritrovai a pensare. Non ci dava una gran prospettiva per il
nostro futuro.
Vedendo il mio
persistente silenzio, i suoi occhi si cristallizzarono,
diventano quasi vacui, con i denti si morse il labbro inferiore.
–Capisco-
mormorò, scosse la testa e porse lo sguardo per terra.
Se il mio
obiettivo era tranquillizzarla, credo che avrei potuto dichiarare la
missione fallita.
Mi grattai la
guancia, dove ormai vigeva una barba incolta, per infondermi
coraggio.
Una ragazza che
veniva spesso al bar dove lavoravo fino a poco tempo fa, mi
raccontò che quando ci accarezziamo senza intenzione una
parte del corpo,
cerchiamo di farci forza.
Tutta quella vita
mi sembrava lontana anni luce, quasi come non fossero miei
ricordi, ma una soap-opera a caso vista in televisione. Non potevo dire
di
sentirne la mancanza, in realtà.
Sapevo che se
fossi riuscito a fuggire da quel posto avrei dovuto trovare la
Confraternita e aiutarli nella lotta infinita contro i “nuovi
templari” e i
loro piani per dominare le nostri menti.
Poi mi ricordai
di una cosa importante –Ma tu lo hai un nome?-
Lei
alzò un sopracciglio, aveva questo vizio, evidentemente, e
mi guardò come
se fossi un orangutango che suonava piattini. Forse avevo
effettivamente fatto
una domanda stupida.
Sentii
improvvisamente caldo sulle guance. Lei s’infilò
una mano tra i capelli,
tirandoseli all’indietro, con un’aria molto
rassegnata, incurvò le labbra di
lato, rilasciando un sospiro.
-Sì,
ho un nome…- mi rispose –Alessandra-.
Feci un sorriso
imbarazzato e le porsi la mano –Desmond-.
|
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Capitolo 5 *** 4. Falling ***
Buon
pomeriggio, ragazze!
Pubblico in tempo (un plauso a me xD) il quarto capitolo di I'm With
You.
E vi informo sulla bellezza disarmante di Black Flag... Io l'ho appena
finito e credo che la Ubisoft si sia davvero superata, questa volta!
Davvero, se vi siete sentite sfiduciate dalla morte di Desmond, vedrete
che hanno saputo rimediare bene alla morte del nostro amato Assassino...
MA... veniamo a noi!
Non so bene come commentare questo capitolo, non ne sono del tutto
soddisfatta, ma credo sia un capitolo davvero importante per tutta la
storia! A voi l'ardua sentenza!
Ringrazio O n i c e e Illiana per le sempre bellissime recensioni, il
mio nuovo recensore Werepapers (Un Ragazzo! Evento più unico
che raro xD) e tutte i/le lettori/lettrici che hanno messo la storia
fra le ricordate, le seguite e le preferite!
Davvero, grazie di cuore!
Che la fortuna assista la vostra lama!
-Cassandra
4.
Falling
Alcuni
per il peccato s'innalzano
e alcuni cadono per la virtù...
William
Shakespeare
Non passò molto tempo prima che Alex, come
avevo deciso di chiamarla, almeno tra me e me, stremata dalla sua prima
sessione cosciente nell’Animus e dalla ferita sul fianco, si
addormentasse.
Ci eravamo stesi per parlare, io le raccontavo di Altaïr e lei
non si stancava
mai di ascoltare o fare domande. Era rivolta verso di me, poggiandosi
sul
fianco che non le doleva.
Non mi aveva interrotto una volta durante il racconto e si era
semplicemente
assopita pian piano, il suo respiro diventava sempre più
lento e regolare. Quando
me ne accorsi, mi venne da ridere.
Io ormai sopportavo meglio le sessioni, non mi sfiancavano
più come qualche
giorno fa, anche perché ormai il mio cervello aveva fatto
“la pellaccia”.
Mi girai pancia all’aria e osservai intensamente il soffitto,
cercando di
sbrogliare i miei pensieri. Era incredibile che l’ultimo
ricordo che avevo
rivissuto di Altaïr fosse un “falso” o,
per meglio dire, geneticamente
incompleto. Pensavo che l’Animus fosse capace di ricostruire
tutte le memorie
genetiche, che non ci potesse essere un problema di
“deterioramento dei dati”.
Non avrebbe avuto senso, giacché era uno dei ricordi
più prossimi del mio
antenato arabo.
Era davvero possibile che io potessi tornare Altaïr,
attraverso Alessandra, con
le memorie di Vega?
Più cercavo una spiegazione per tutta quella situazione,
più il mio cervello si
annebbiava, ingarbugliandosi tra le varie informazioni di Lucy,
ciò che avevo
scoperto leggendo le sue mail, quel poco che Alex mi aveva detto sugli
“Assassini Moderni”e le mie ipotesi.
Per un attimo sfuggente, continuando a guardare la parete
riuscì a vedere quei
segni rossi che intravedevo nel dormiveglia. Fu così
improvviso che mi
spaventai.
Non sembrava inchiostro rosso come avevo ipotizzato, ma…
sangue?
Rabbrividii e alzai la schiena dal materasso di scatto, come se lo
stare supino
mi avrebbe reso più vulnerabile.
Mi grattai il collo e presi un bel respiro per rallentare un
po’ il cuore, che
ancora batteva celere per lo spavento preso. Controllai che Alessandra
non si
fosse svegliata: dormiva ancora placidamente.
Non sapevo bene come avessi fatto ad attivare(?) l’occhio
dell’aquila, tipica
capacità del mio antenato, ma avevo intenzione di capirlo in
fretta.
Volevo leggere quei simboli, volevo capire che cosa fossero.
Inutile dire che non importò quanto aprissi gli occhi o
quanto mi concentrassi,
la parete rimase bianca, normale, senza alcun segno rosso.
Fu un’altra nottata agitata. E non potevo nemmeno dare la
colpa ai sogni...
Qualcosa nel mio cervello si stava irreparabilmente disfacendo. E amen.
Dicevo, non potevo attribuire la colpa ai sogni, poiché
avevo semplicemente
rivissuto la giornata trascorsa, rivivendola in prima persona, proprio
come
nella realtà. Niente di strano, insomma, ma m ero
concentrato, ovviamente, su
Alessandra:
I suoi ampi gesti quando spiegava qualcosa, la voce animata che usava
per
esprimere le sue idee o le buffe espressioni che accompagnavano ogni
racconto
che invece le avevo fatto, la piccola “o” perfetta
che le sue labbra formavano
per la sorpresa e mi divertii parecchio (tanto che credo di aver riso
nel
sonno) lo sguardo piccato e offeso, il sopracciglio arcuato e il
broncio che
metteva su quando, visto che per paura che lei non capisse qualcosa mi
perdevo
in domande per tastare le sue conoscenze, lei mi rispondeva
“Certo che lo so!”.
Era particolarmente buffa, vero, ma non coglievo l’importanza
che quelle parole
potessero avere.
L’ho detto: Qualcosa stava irrimediabilmente sabotando il mio
cervello.
-La sessione sta
per incominciare… Devo solo apportare una piccola modifica-
Lucy ci
salutò così quando entrammo, con passo lento a
causa del risveglio
recente, nella stanza con gli Animus. Gli Animi. Gli Animus. Oh,
chissene.
Alessandra
sbadigliava e ancora non sembrava essersi resa conto di cosa stesse
facendo o di dove fosse. Un’aria smarrita che, per
l’idea che mi ero fatto di
lei, non le si addiceva.
-Si dice gli
Animus o gli Animi?- chiesi, volendomi togliere la curiosità
o,
forse, solo per attirare la sua attenzione. Voltai la testa e la vidi
stropicciarsi energicamente gli occhi.
-Beh, Animus
è una parola latina. Di regola il plurale dovrebbe essere
Animi-
spiegò gesticolando, continuando ad avanzare verso la sua
postazione.
-Sembri
informata- concesse la bionda, con sguardo ammirato.
-Ho studiato al
Liceo Classico- Alex scrollò le spalle, come se quel fattore
rispondesse a qualsiasi domanda Lucy avrebbe voluto porle e si
accomodò sull’Animus
senza stendersi.
In
realtà per me, che non ero italiano,
quell’affermazione non spiegava nulla;
la mia espressione dubbiosa fece capire alla dottoressa che non
riuscivo a
seguirle.
-Vedi Desmond,
Alessandra ha studiato in una scuola in cui insegnano il latino
e il greco, due lingue molto antiche. Padroneggi bene anche
l’inglese, Alessandra-
si complimentò.
Spalancai gli
occhi, sinceramente scettico –E a cosa serve studiare queste
lingue?-
Sul viso di
Alessandra si dipinse un’espressione a metà tra
l’ironia e
l’amarezza:
-Quando lo
scopro, ti faccio sapere! Grazie, comunque- sedette
sull’animus
apaticamente.
Vidic, appena
entrò nella stanza, cominciò a sbraitare con voce
cupa sul nostro
“cazzeggiare” e poco mancava che si adoperasse per
legarci agli Animi per tutto
il tempo.
Gli
Eruditi sono nascondigli mobili, utilizzateli per
fuggire o per aggirare le guardie.
Era ormai sera inoltrata quando
io e Vega
tornammo alla Dimora, stanchi e avviliti.
Le gambe mi dolevano ad ogni passo e la testa non faceva che girarmi,
non solo
per lo sforzo fisico, ma anche per la rabbia e la delusione.
Arrivammo in cima al palazzo di pietra chiara e ci sedemmo sulla grata
dorata.
Non ci fu bisogno nemmeno di dirselo: entrambi, ugualmente, non avevamo
la
forza di far quell’ultimo salto per entrare.
Distrutto: non esisteva un aggettivo più adatto per
descrivermi. Per descriverci.
Mi agitai sentendola respirare: Aveva il fiato corto, inspirava ed
espirava
rumorosamente, troppo velocemente anche
per
quella fatica, quasi sembrava che
non
riuscisse proprio a trattenere l’aria nei polmoni.
Preoccupato come non mai, mi
avvicinai, trascinando il mio corpo, accanto a lei –Tutto ok?-
Era strano. Era come se mi sentissi… responsabile del suo
star male.
Il che era assurdo, poiché io mi trovavo nelle sue stesse
condizioni e, di
certo, non mi si poteva incolpare del fiasco di quella giornata. Certo,
non era
nemmeno una responsabilità sua…
Ma cosa diamine sto pensando?!
-Non lo so…- mi rispose, portandosi una mano sul petto, che
si alzava e
abbassava velocemente al ritmo del suo affannoso respiro,
piegò la testa
all’indietro, per lo sforzo.
In quel momento mi fu possibile vedere cosa si celasse sotto il suo
cappuccio, poiché
la luna le illuminava la porzione di viso visibile.
Aveva il naso all’insù, gli zigomi appena
sporgenti e fulvi capelli arruffati. Gli
occhi erano chiusi e potevo intravedere una cicatrice attraversarle
l’occhio
sinistro, una ferita che però sembrava essersi cicatrizzata
da abbastanza tempo,
nonostante le labbra del taglio fossero ancora separate.
Con stupore mi resi conto che la pelle chiara, i capelli di quel colore
così
acceso e i suoi lineamenti, non erano tratti somatici propriamente
arabi.
-Tu invece?- chiese, girandosi verso di me, riportando così
il cappuccio a
coprirle il viso.
La sincera apprensione che scorsi nella sua voce mi
emozionò.
Allah, stavo diventando un rammollito!!!
Scossi un po’ la testa, cercando di riportare
l’attenzione al presente
–Non riesco più a sentirmi le gambe-
enunciai
tranquillo, per poi darmi delle piccole pacche sulla coscia.
Lei fece un sorriso, anche se non paragonabile minimamente a quello che
aveva
sfoderato la mattina della partenza, e di nuovo mi sentii a disagio.
Stupido Altaïr.
Storsi un po’ la bocca in una smorfia che voleva essere un
sorriso, cercando di
ricambiare, ma non pensavo di aver ottenuto un gran risultato: Sembrava
si
stesse trattenendo dallo scoppiare a ridermi in faccia. Forse
perché
(soprattutto in quel periodo) seguire la Confraternita non ti dava
grandi
motivi né opportunità per sorridere.
-Scusa, sono fuori allenamento con... beh, queste cose- borbottai,
distogliendo
lo sguardo.
Sorrise ancora e tornò a guardare davanti a sé,
con un cipiglio pensieroso.
Ormai aveva tranquillizzato i suoi polmoni, respirando con ritmica
lentezza.
Anche io mi sentivo meglio, ma ancora preferivo non muovere un muscolo.
-Non pensavo che fossero così… preparati per il
nostro arrivo. Anzi, mi sembra
strano che lo abbiano saputo così in fretta-
bofonchiò, portando una mano sulla
fronte.
-Che intendi?- Alla mia domanda si sedette meglio, girandosi con tutto
il corpo
verso di me.
-Abbiamo avuto ordini da Al Mualim solo la scorsa luna, per radunare
una tale
schiera di soldati ci vogliono settimane!! Cinque giorni, Altair... per
organizzare una difesa tanto pronta?- espose i suoi dubbi con
sicurezza,
disegnando ampi gesti con le braccia.
-E poi, come può un messaggio confidato solo a noi due,
volare via dalla torre
ad Acri in meno tempo di quanto ci abbiamo messo noi ad arrivare qui?-
Rimasi stupito di quel ragionamento, trovandolo in parte attendibile.
Nella mia
mente cominciarono a susseguirsi possibili spiegazioni, la presenza di
un
traditore, un infiltrato templare, qualche piano nemico che ancora ci
sfuggiva...
Continuavo a guardare quella porzione di viso visibile, come se la
risposta alle
mie domande fosse nei suoi lineamenti. Nella riga morbida del labbro,
sulla
punta del mento, nella pienezza della sua guancia...
Non sarebbe stato assurdo avere un traditore, era capitato
già parecchie volte,
eppure gli unici a sapere del nostro arrivo ad Acri erano il Rafiq, che
sembrava averlo detto ad un certo Samir, che però non era
alla torre e non
sapeva per quale motivo stavamo arrivando.
Mi grattai una guancia, scuotendo la testa.
-Che c’è?- il suo tono era indecifrabile, sembrava
perplesso, o teso. Le sue
guance erano rosse, ma avevo la strana sensazione che non fosse per lo
sforzo
appena compiuto.
Mi accostai ancora di più a lei, come se ciò che
avevo da dirle fosse un
segreto di inestimabile valore. La verità è che
non sapevo nemmeno io perché mi
ero avvicinato tanto.
-Credi che ci sia una spia all’interno della Confraternita?-
sussurrai, alzando
un sopracciglio.
Eravamo così prossimi che potevo veder sotto
il suo cappuccio. E il mio cuore ebbe un
tonfo.
Verde. Vedevo solo tanto verde. Un verde brillante, vispo. Il verde
degli
alberi alle tiepida luce dell’alba.
Il verde dei
più raffinati smeraldi. Il
verde dei suoi occhi.
Adesso capivo perché, quando eravamo da Al Mualim, la sua
occhiata mi aveva
tanto scosso, aveva uno sguardo molto arguto e profondo,
straordinariamente penetrante.
Stupendo.
Non riuscivo a non guardarla negli occhi.
-Sì. Ne sono sicura- affermò con fierezza nello
sguardo, ma con voce sottile.
Le guance avevano ripreso il solito pallore, le labbra rosse erano
storte e i
suoi occhi erano ancora più ardenti, con il potere magnetico
che avevo appena
scoperto. Non riuscii, povero me, a risponder nulla.
Fece per aprire bocca, per dirmi qualcos’altro, ma ci
ripensò all’ultimo e si
accigliò.
Decidemmo finalmente
di entrare, giacché
restare lì in balia degli arcieri templari non era una
grandissima idea e
perché, inoltre, avevamo bisogno di riposo per il giorno che
veniva.
Ci alzammo allo stesso tempo e mi feci largo per farla passare per
prima.
Un po’ di eleganza la possedevo anche io.
Lei ridacchiò, calandosi giù, e io mi maledissi
mentalmente, alzando la testa
al cielo, che era di un blu chiaro, illuminato da una luna splendente
come
poche ne avevo viste.
Provai a scorgere la mia costellazione, ma ero troppo stanco per
svolgere i
calcoli necessari.
Neanche l’Occhio Dell’Aquila può aiutare
in certe cose.
-Dannazione! Cosa ti aspetti che faccia?!-
Quel mezzo grido mi svegliò e subito scattai con la lama
pronta a colpire, ma
non trovai nessuno.
Ero in una stanza della dimora di Acri, lievemente illuminata dai raggi
del
sole che filtravano da
una finestra
coperta da un panno giallo sbiadito, abbastanza rovinato.
-Non lo so Samir, di certo io da qui non posso gestire tutto. Ieri ci
stavo
lasciando le penne, e Altaïr con me!- questa era la voce di
Vega e sembrava
piuttosto alterata.
Tra l’assurdità di quelle battute, il fatto di
essere stato tirato in ballo non
fece che aumentare la mia curiosità. Mi avvicinai di
soppiatto, sperando di
poter carpire meglio lo scambio.
- Come pensi di gestirlo? Quello lì pur di compiacere il
Vecchio potrebbe
vendere l’anima. Neanche tu sei cara ad Al Mualim quanto lo
è lui, Vega. –
Samir fece seguire a queste enigmatiche parole un rumore, metallo
contro
metallo. Forse le loro lame si erano scontrate, o la ragazza
l’aveva colpito
sul cinturone, mi sporsi un po’ dalla porta per verificare, e
fui sorpreso di
trovarli semplicemente abbracciati, entrambi senza cappuccio a coprirne
la
faccia.
-Non sono… Tu non puoi… Non puoi fare
così. Non mi aiuta. Parlare non ti
ucciderà, per una volta- bofonchiò con tono
stanco, ma tranquillo, la sua
espressione leggermente assente. Nonostante la luce fioca, riuscii a
notare
quanto il suo volto fosse più pallido di ieri sera. Le sue spalle erano
incurvate, come se
sopportassero un peso enorme.
Strano, pensai, appoggiandomi al muro, non mi era mai sembrato che
avesse
problemi con i pesi.
E inoltre, come può un abbraccio tra amici avere tali
conseguenze??
Samir rise, interrompendo il contatto fisico e lei sembrò
stare meglio, le
spalle le ritornarono dritte e vigorose. Sembrava, nonostante la
reazione che
il suo corpo avesse avuto, felice di quella effusione.
Vega sorrise al giovane, il sorriso a trentadue denti della scorsa
mattina e
lui sembrò reagire come me. Solo a ripensarci... Che potere
disarmante aveva
quella ragazza!
- Sai che non mi fido, lui potrebbe averti scelto per scoprire qualcosa
su tutto
questo, su di te. Cerca di non farti uccidere, Vega. Per favore- Era
evidente
quanto lui l’avesse a cuore.
Lei si rimise su il cappuccio e gli diede una pacca sul braccio; Si
guardarono
negli occhi, avevano nello sguardo tanto affetto quanta
preoccupazione– Sopravvivere
è il mio mestiere-.
Il ragazzo se ne andò, ancora inquieto, e io tornai sulla
mia branda, facendo
finta di dormire.
Nella mia testa ripetevo la loro conversazione, cercando un filo
logico, un
senso, ma niente…
Cosa mi combini, occhi di giada?
Avanzamento
rapido ad un ricordo più recente.
Mi avvicinai alla stanza del
Rafiq, trovando
Vega seduta a gambe incrociate sul bancone, mentre gustava una mela.
Nonostante
la sua testa fosse girata, il tipico rumore del morso mi aveva permesso
di
identificare il frutto.
Certi dettagli, in missione, possono essere importanti.
-Hai notato che strano
tempo, Pirro? Nonostante ci siano nubi violacee il sole
splende ancora… Un’immagine ricca di retorica, a
parer mio!- ironizzò il
responsabile della Dimora, chiamando Vega con un epiteto che mai avevo
sentito
usare da qualcuno per rivolgersi a lei, che però non
sembrava sorpresa di essere
stata chiamata così.
Era il nome di un eroe
greco, se ben ricordavo. Ma certo, un personaggio dai
capelli rossi!
La mia espressione si
fece ancor più dubbiosa quando la ragazza rispose lui:
-E se ci pensi, è lo stesso paesaggio che ci
ha accompagnati quando siamo partiti, Jubair-.
Nonostante
non ci fosse un soggetto
nella sua frase, mi sentii di escludere che si riferisse a noi due e
alla
nostra partenza: Quel giorno splendeva, caldo, il sole tipico di giugno.
-Buongiorno-
manifestai così la mia presenza, facendo due passi decisi in
avanti.
Al sentire la mia
voce, Vega voltò il busto per guardarmi, stava tirando un
altro morso alla sua mela, che per metà spariva
all’ombra del cappuccio.
-Buongiorno a te,
Altaïr. Sei pronto? Ho sentito dire che Abdel Nasser e Bashir,
due vecchi “amici”, avevano delle informazioni
inattese per noi!- mi rispose pimpante,
scendendo dal bancone, ma non appena mi fu davanti, dovetti piegare un
po’ la
testa per vederla in faccia.
Sarà stata
colpa della mia statura alquanto imponente, ma Vega era
davvero…
minuta. Poteva essere alta al massimo un metro e settanta, forse poco
più, ma
ancor più della statura era allucinante come fosse
resistente il suo corpo.
Aveva le spalle abbastanza larghe, sia in modo metaforico, che non; la
vita era
stretta e i fianchi piccoli, le gambe, invece, agili e lunghe, per
quella che era la sua altezza.
- Non ti conviene fare
dell’ironia sulla mia altezza, sempre che tu non voglia
conoscere meglio la mia lama!!!- sbottò seccata, alzando la
testa in modo che
potessi vedere i suoi occhi verdi lampeggiare di fastidio. Io non
sapevo bene
come comportarmi, restavo a guardarla immobile, a metà tra
il divertito per le
sue guance gonfie in un buffo broncio, e il preoccupato per le sue
parole e
l’ardore dei suoi occhi. Non avevo intenzione di fare
battute, stavo solo…
guardando. Contemplando.
Dato il mio silenzio,
lei sbuffò , incrociò le braccia sotto il seno e
uscì
fuori con passo impettito, quando mi passò accanto
urtò il suo braccio contro
il mio e per un momento la vidi barcollare.
Si fermò
per due secondi a guardarmi shoccata, gli occhi spalancati e la bocca
semi-aperta, poi continuò la sua uscita trionfale.
Che strani atteggiamenti che
aveva!
La risata rauca del
Rafiq mi distrasse e lo guardai in cerca di spiegazioni che
forse lui mi avrebbe potuto dare – Ah, giovane
Altaïr! Vega è molto sensibile
su queste cose, non sai quante canzonature sono soliti farle i suoi
amici!-
disse con tono ilare, accarezzandosi la barba, poi mi esortò
a raggiungerla se
non volevo restare escluso per sempre dalla missione.
Mentre uscivo dalla
dimora, arrampicandomi sul muro, pensai a come quella
ragazza fosse capace di far sorridere persone che non credevo avrebbero
mai
potuto farlo. Me, per esempio.
-Finalmente sei
arrivato! Coraggio, non abbiamo tutta la vita per raccogliere
informazioni!- mi disse, ancora con voce nervosa, non appena la
raggiunsi sul tetto. –Andiamo!-
E iniziammo a correre
sui palazzi, arrampicandoci alle sporgenze e saltando da
un edificio all’altro.
Vega era molto veloce, come avevo potuto constatare durante tutti quei
giorni.
-Dove sono i due
informatori, esattamente?- chiesi, la vedevo molto
sicura dalla direzione da prendere. Stava per rispondere, quando
vedemmo un
arciere dietro la cupola che avevamo di fronte. Pensai di arrampicarmi
e
colpire dall’alto, ma non feci in tempo a fare nemmeno il
primo passo, che Vega
mi sfrecciò davanti, approfittando del fatto che la guardia
fosse girata di
spalle, fece un balzo e con la lama colpì l’uomo
proprio sul collo.
Egli emise
un grido, soffocato però dalla mano della ragazza, che
depositò per terra
l’uomo agonizzante, tolse la lama dal suo corpo e la fece
rientrare nel foderino.
Mi fece un cenno col
capo e proseguimmo il nostro cammino prestando più
attenzione, la presenza di quella guardia significava che
più avremmo camminato
più ne avremmo trovate.
-Dobbiamo scendere
qui!- mi sussurrò Vega, prima di calarsi giù,
aggrappandosi
ad un finestra. Scesi anch'io e ci ritrovammo vicini, i nostri corpi si
sfiorarono
e lei di nuovo sembrò rimaner stupita.
Non feci neanche in tempo a chiederle
cosa fosse accaduto che le sue mani persero forza.
Impotente, la vidi
cadere giù.
|
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Capitolo 6 *** 5. Downside Up... ***
Buonasera a tutti! Lo scorso
capitolo è finito... un po' male! Lo ammetto xD
Ma, rallegretevi, oggi saprete come è andata a finire!
Ringrazio ancora O n i c e, Illiana e Werepapers delle bellissime
chiacchierate! E ancora un grazie per coloro che seguono, preferiscono
e ricordano la storia!
Volevo ora porvi una questione molto importante...
QUINDI ANCHE I LETTORI SILENZIOSI SONO CHIAMATI IN BALLO!!!
RISPONDETE!!!
PERDERETE SOLO CINQUE MINUTI!
FATEMI SAPERE, E' DAVVERO IMPORTANTE!!!
Werepapers
mi ha chiesto se avessi intenzione di continuare a scrivere di Desmond
e Alessandra, anche secondo Assassin's Creed II, Brotherhood... etc. A
me farebbe davvero piacere, l'idea mi ha molto stuzzicato!
Si tratterebbe quindi di
creare una serie, ma se voi, fedeli lettori, non mi seguirete, suppongo
non abbia senso continuare... Quindi, votate! :)
Buona lettura!
Cass
5.
Downside Up...
Downside
up, Upside Down…
Take
my weight from the ground
to
falling deep in the sky!
I
stand here, watch you spinning
Until
I am drawn in a centripetal force
You
pull me in…
You
pull me in.
Peter
Gabriel – Downside Up(₁)
Accadde tutto
velocemente.
Non lei.
Fu il primo pensiero coerente che riuscì a formulare.
Urlai il suo
nome e mi lanciai anche io. Non sarei potuto rimanere fermo e
guardarla morire.
Era un salto
della fede nel vero
senso della parola: l’altezza del palazzo considerevole, il
mio peso preso
dalla terra per cadere verso il cielo.
Giù
verso l’alto... Su verso il basso.
Non lei. Non ora. Non con me.
Vega non
reagiva e sembrava ancora priva di sensi, non avrebbe potuto
aggrapparsi a nulla, né magari allungare il braccio per
farsi aiutare. In una
frazione di secondo precipitavo giù anche io...
Se
non fossi riuscito a prenderla? E se
poi non fossi riuscito nemmeno a salvare me stesso?
Pochi metri
sotto di noi, una trave di legno sporgeva dalla struttura del
palazzo: Era l’unica occasione che avevo di salvarle la vita.
Di salvarci, a questo punto, la vita.
Cercai di
far peso per scendere più velocemente scuotendo le
braccia e, miracolosamente,
riuscii a circondarle la vita e ad aggrapparmi alla tavola.
Tirai un
sospiro di sollievo, facendo forza per tirarmi a sedere, per buona
sorte Vega non pesava molto.
Mi chiesi se
facessi quelle considerazioni per abitudine all’indagare, o
per
una strana, innata, morbosa, sconosciuta
curiosità
su di lei.
Non credevo
di voler conoscere la risposta.
Con un
po’ di fatica, in ogni caso, riuscii a cavarmela,
destreggiandomi
delicatamente, per paura di farle male. L’asse di legno era
abbastanza robusta
da reggerci e abbastanza larga per permettermi
di sedermi con lei tra le braccia. La cosa mi creò un
po’ di problemi più a
livello psicologico ed emotivo che in ambito fisico. Insomma, quante
volte mi
era capitato di salvare una… collega?
Quanto volte
mi era capitato di preoccuparmi per qualcuno quasi da
considerarlo… un amico?
La risposta
era palese e chiara a me, come a chiunque mi conoscesse: Mai.
Malik?
Certo, ma un’amicizia era stata inevitabile dopo un tale
tortuoso
percorso, quello che sentivo per Vega era spontaneo. Anzi, era forse un
rapporto non voluto che però stava nascendo comunque.
Tornai a
guardarla, priva di coscienza, e provai uno strano senso di
apprensione misto a tenerezza.
Sembrava che
Vega avesse qualche problema con il contatto fisico.
Una sorta di
fobia del tocco? Esisteva davvero qualcosa del genere? Poteva un
problema interiore avere risvolti così pesanti sul corpo?
Troppe domande e
troppe poche risposte.
Conoscevo
Vega da una settimana e più cercavo di capire chi fosse,
più mi
diventava estranea.
Guardai
più attentamente il suo viso pallido: Con l’occhio
chiuso, la ferita
che solcava il sopracciglio, la palpebra e lo zigomo, risaltava
maggiormente.
Continuai la mia analisi scendendo per la linea dritta del naso fino ad
arrivare alle labbra sottili rosate... Le labbra erano semi aperte e
sembravano
tremare…
Anzi, mi
sbagliavo!!!
Stava
pronunciando, in modo velocissimo e poco chiaro, delle parole, con il
tono lamentoso di una preghiera.(₂)
Cercai di afferrare qualcosa del suo discorso, ma purtroppo non ne
ricavai
nulla.
Inquieto, mi
chiesi quanto avrei dovuto aspettare fino al momento in cui
sarebbe rinvenuta.
Un
pensiero molto cinico, mi ritrovai a
pensare, ma in contrapposizione ai miei freddi calcoli da assassino
c’era una
vaga preoccupazione. Che cercavo pragmaticamente di reprimere.
Mi grattai
la testa, cercando di trovare una soluzione, ma purtroppo non me ne
venne in mente nessuna abbastanza fattibile. Tirai un po’ su
il suo corpo,
facendo in modo che il suo capo poggiasse sulla mia spalla e per
curiosità
provai a guardarla con l’Occhio dell’ Aquila.
Non ero
preparato a tutto il bagliore argenteo che mi investii non appena posai
lo sguardo su di lei. Non mi era mai capitato di vedere tipo di luce, e
soprattutto mai così… massiccia.
Non riuscivo
a trovare le giuste parole per spiegare la differenza.
La luce di
Vega era quasi… tangibile,
molto più vivida di qualsiasi altra. Era splendente.
Come una
stella o una pietra preziosa.
Nonostante
fossi assorto nella sua contemplazione, notai, andando nel panico,
che stava cominciando ad uscirle del sangue dal naso, e
decisi che fosse meglio cercare di
svegliarla piuttosto che stare lì a ricamare sulle sue
affascinanti e singolari
stranezze. Sembravo un rammollito.
Le presi il
capo e le diedi qualche colpetto ripetendo il suo nome, non sapevo
fare altrimenti.
Dannazione,
la mia agitazione non faceva
altro che mettermi ancora più in difficoltà.
Mantenni la
calma e con la manica della mia tunica le pulii le labbra e il
mento.
-Ti prego
Vega, svegliati… Non so cos’altro fare. Se non ti
svegli non posso
nemmeno portarti alla Dimora!- rantolai, cercando comunque, guardandomi
intorno, un possibile modo di muovermi da quella trave con lei in
braccio.
Iniziarono a tremarmi le braccia per l’agitazione.
-Altaïr?-
biascicò allarmata, come se avesse paura di non trovarmi
accanto a
lei.
Mosse la
mano per tastarmi il viso e, non appena sembrò riconoscermi,
sul suo
volto si dipinse un’espressione sorpresa ma anche confortata,
forse entrambe
scaturite per il fatto di trovarmi così vicino a
sé. Sperai non sentisse la
differenza di temperatura sulla mia guancia, dove la sua mano era
ancora
appoggiata... strinsi di più la presa sul suo corpo come
riflesso:
–Stai
bene?- chiesi mentre, continuando
a tenerla stretta, assecondavo il suo desiderio di sedersi.
Tolse di
scatto la mano, come se si fosse appena accorta di ciò che
aveva fatto
e guardò per un secondo verso il terreno. Sembrava spaesata.
-Beh…
sono confusa- borbottò, infatti, girandosi verso di me.
Le risposi
che poteva essere una normale conseguenza dello svenimento, ma Vega
scosse la testa, come se non riuscissi a capire ciò che
davvero intendeva.
-Propongo
sia meglio rimettersi alla ricerca di Abdel e Bashir prima che
rientrino a Masyaf- disse con tono duro, poi mi poggiò una
mano sulla spalla e
abbassò ancor di più la testa.
Pensavo che
si sentisse nuovamente male, sentii crescere in me
un’isterica
preoccupazione e mi tenni pronto a reggerla. –Ah e
Altaïr… Mi dispiace per
questo!- Vega era sempre piena di sorprese.
In un primo
momento non riuscii a dir nulla, era come se la mascella mi si
fosse atrofizzata.
Diventai
rigido, non sapevo come si facesse ad essere… gentile. Merda.
Eppure fu
sempre lei a tirarmi fuori da quella situazione critica in cui mi
aveva cacciato, semplicemente arrossendo. Quel gesto così
spontaneo fece
nascere in me una fragorosa risata cristallina, forse tanto forte
perché non
ridevo così da molto.
Le guance
cremisi donavano alla sua palle particolarmente pallida.
-Figurati-
risposi –Vorrei però capire cosa ti sia successo,
se capitasse
un’altra volta non saprei come comportarmi e non credo di
poterti salvare in
extremis ogni volta!- la preoccupazione era reale, ma la
verità è che ero
interessato a quella vicenda. Più che interessato, stavo
letteralmente
impazzendo. Vega era un continuo accumularsi di misteri. Come la sua
conversazione
con Samir, la partenza di cui parlava con il Rafiq e quello che in
tutta quella
mattinata era capitato.
-Credo che
ci siano delle cose… Che non so se posso raccontarti. Non mi
fido
ancora di te- affermò decisa –Andiamo dagli
informatori oppure anche oggi sarà fatica
sprecata-.
Non mi diede
nemmeno il tempo di ribattere che si aggrappò ad un mattone
sporgente e scese.
Sentivo la
rabbia salirmi dallo stomaco, insieme alla più totale
frustrazione.
No, sul
serio.
Rischio le
penne per salvarti il culo e tu non ancora non ti fidi di me? Cosa
dovrei fare?
Fare una
capatina nel Jahannam₃ e darmi fuoco?
Non ero
abituato
alle insubordinazioni, soprattutto,
non ero abituato a non riuscire a domarle.
Avrei dovuto
sapere come
diamine
si
lavorava con lei, chi diavolo
fosse e cosa
volesse
fare.
Vega,
però, non sembrava aver intenzione
di svelare i suoi misteri.
Poteva
essere una spia o una traditrice, per quel che ne sapevo. Neanche
L’Occhio era riuscito a catalogarla, dandole un bagliore
nuovo e, fino a quel
momento, unico.
La
consapevolezza che mi nascondesse qualcosa mi avrebbe ucciso, ma ero
all’impasse.
Mi
alzai dall’Animus con lentezza, dato che avevo un
po’ di nausea, e il mio cuore perse un battito quando trovai
Vidic che strattonava
Alessandra con violenza, aveva afferrato le sua braccia ed era
chiarissimo
quanto stesse stringendo.
-Parla, stupida ragazzina! Cosa hai visto in quel momento?-
sputò rabbioso,
estraendo una pistola.
Lei sorrise aspramente –Piuttosto preferisco che mi faccia la
pelle,
professore!- ribatté e gli sputo in faccia –Voglio
proprio vedere cosa scoprirà
quando sarò tre metri sotto terra!-.
Vidic la colpì in viso con l’impugnatura
dell’arma, sul suo volto era dipinta
un’espressione furente, quasi omicida.
Alessandra emise un piccolo gemito, ma tornò a fronteggiarlo
con lo sguardo,
negli occhi le ardeva una luce d’orgoglio. O di folle
incoscienza.
In quel momento sentii quel brivido di adrenalina, paura e disperazione
che Altaïr
aveva provato quando Vega stava precipitando. Non mi chiesi se fosse a
causa
dell’osmosi o se fossero davvero mie emozioni, nella mia
testa avevano spazio
solo le parole “Non lei”.
Stavo per scattare, sentivo prudere nelle mani il desiderio di
picchiare il
templare, dovevo fermarlo, dovevo trovare un modo per scappare da qui,
una via
di fuga, qualcosa…
Non importava se mi avessero ucciso, ma non
lei.
Ogni mio movimento fu bloccato dell’entrata in scena di Lucy,
che con sguardo
deciso strattonò Vidic, allontanandolo da Alex. Sul suo viso
potevo scorgere
preoccupazione, non so se più per la ragazza o
più per la sua copertura. Fui,
comunque, grato di non aver fatto ciò che volevo, esporre
così tanto questa mia
indole protettiva verso lei, avrebbe potuto compromettere
la sua incolumità.
Eppure, vedendo Vidic che rigido squadrava ancora la ragazza, il
prudore che mi
aveva preso le mani non fece che aumentare, stringendomi lo stomaco.
Ero teso
come una molla.
-Sei forse impazzito, Vidic? Se la uccidessi non riusciremmo mai a
scoprire
cosa ha visto nella visione, né la vera storia di
Altaïr. Potrebbe bastare
semplicemente continuare a scavare nei ricordi, probabilmente Vega,
qualche
tempo dopo, racconterà ogni cosa!- con queste parole Lucy
riuscì a fermare il
dottore, che aveva ancora nello sguardo l’odio e lo scontento
di un bambino
capriccioso a cui i genitori hanno vietato di fare una cosa che voleva
molto.
Abbassò la mano che impugnava l’arma con lentezza
e la rimise nel fodero sotto
il camice.
Non aveva ancora smesso di scrutare Alessandra, che con il coraggio di
una
leonessa non aveva ceduto, il suo labbro ogni tanto tremava, quasi come
volesse
ringhiare.
Era chiara la sua determinazione, avrebbe mantenuto il segreto ad ogni
costo,
non scherzava prima, a riguardo del “farsi fare la
pelle”.
Io, invece, ero rimasto fermo, immobile in quella semi-posizione
d’attacco, con
l’ansia che cresceva insieme alla voglia di portarla fuori da
lì. Dovevamo
andarcene, e subito.
-Ha ragione, signorina Stillman. Devi considerarti fortunata, ragazzina… Non è il
tuo coraggio a
proteggerti, ma le tue memorie. Quando avremo finito sarà un
vero piacere farti
fuori!- dichiarò duro, poi si rivolse nuovamente a Lucy
– Li faccia stare
qualche altra ora nell’Animus e registri tutto! I tempi sono
tornati serrati
come non mai!!!- poi uscì dalla stanza, furioso.
Lucy si avvicinò a Alex per medicarle lo zigomo ferito, che
era diventato di un
rosso preoccupante:
-Fammi vedere, potrebbe avertelo rotto- allungò una mano,
con dolcezza, ma la
rossa si ritrasse, sdegnata. Io rimasi perplesso davanti a quella
scena, le
avevo fatto capire che Lucy era nostra alleata e Alex era sembrata
rassicurata.
Questa reazione non aveva senso!
-Non è rotto. Passerà- rispose freddamente,
portando una mano ad indicare, come
prova della sua resistenza, la cicatrice sull’occhio. Dovevo
ricordarmi di
domandare come se la fosse fatta.
L’aria che si respirava era davvero tesa–Dobbiamo
tornare nell’Animus o meno?-
chiesi dopo, cercando di stemperare i due animi. Lucy ci
guardò entrambi con
occhi stressati, massaggiandosi le tempie, probabilmente non era
davvero
preparata nel gestire due Assassini “novizi”.
Qualsiasi fosse il suo piano per farci uscire, il fatto di essere in
tre, le
complicava evidentemente le cose.
-No, tornate nella vostra stanza. Non importa cosa dirà
Vidic, non possiamo
ancora strapazzare troppo Alessandra- mi rispose e, dopo che fummo
chiusi
dentro, sentii i suoi tacchi allontanarsi. Alex si precipitò
nel bagno per
controllare lo stato del suo zigomo, poi cominciò a
sciacquarsi il viso con foga,
con attenzione a non sfiorare la parte offesa.
Mi avvicinai cauto a lei, posizionandomi alle sue spalle –
Più doloroso di ciò
che hai fatto credere, eh? Doc ha la mano pesante- sogghignai e lei mi
guardò
truce dallo specchio.
-Cazzo se fa male, ma non è rotto, per fortuna!-
digrignò i denti e si appoggiò
al lavandino, con le spalle incurvate, come se reggessero un grosso
peso. Mi
intenerii davanti a quella manifestazione quasi di debolezza, che la
faceva
umana e non una macchina da guerra.
Persino Altaïr, che l’aveva notato per una cosa
nettamente più fisica, si era
rallegrato che Vega non fosse fatta di “pietra”.
Pensai alla discussione e chiesi che cosa volesse sapere Vidic da lei;
quale
segreto così importante custodiva? Alla mia domanda, fece un
sorrisetto
beffardo, che mi fece perdere un battito.
Proprio come per la sua antenata, anche i sorrisi di Alessandra erano
di una
bellezza disarmante, provai ad immaginarmi la ragazza che avevo di
fronte con
il sorriso sincero che Vega aveva sfoderato durante i ricordi vissuti
quel
giorno. Fu una bella visione, eppure non credevo che Alex avesse un
animo così
tenero e morbido per riuscirci del tutto.
-Non so cosa sia successo fuori mentre Vega era svenuta, ma ha avuto
come una
visione… Assurda, devo dire. Neanche lei credeva fosse
reale, e per quanto io
stessa sia scettica, il fatto che io e te siamo qui oggi non
può che farmi
pensare che lei abbia visto… la Verità!- disse
ermeticamente, cercando di farmi
comprendere il minimo indispensabile. Non saprei dire se
l’assenza giustificata
di dettagli fosse dettata più dal fatto che sicuramente ci
stavano sorvegliando
o dal desiderio di far rimanere quel segreto…. Segreto.
La risposta alle mie perplessità arrivò ben
presto –Mi dispiace per il Dottore,
ma Vega aveva in animo di non dire niente ad Altaïr e se siamo
imparentate
anche solo in piccola parte, manterrà il proposito per
sempre!- fece con tono
solenne che mi divertì ma contemporaneamente mi
avvertì della serietà delle sue
parole. E dei suoi intenti.
Annuii e lei provò a sorridermi, forse come ringraziamento
per non aver
continuato a ficcanasare, ma si bloccò prima: Fece un
piccolo balzo in aria e
si portò la mano sulla guancia, ormai viola.
Si morse le labbra, un gesto che in un altro contesto avrei trovato
molto
provocante, per non urlare.
-Dannazione, questo zigomo fa male più del dovuto!!!- si
lamentò continuando a
massaggiarselo lentamente. –Ci vorrebbe un po’ di
ghiaccio, ma onestamente non
mi farò più medicare da quella ragazza, con il
fianco mi ha fatto passare le
pene dell’inferno!-
Ridacchiai mentalmente della sua fermezza
–Guarirà, no?- scherzai e stavo per
metterle una mano sulla spalla, ma nuovamente lei si scansò,
gli occhi
spalancati e pieni di terrore.
-Non mi toccare!- strillò impaurita, respirando a fatica.
–Non toccarmi, Vega
stava male per quello. Se ciò che dici sull’Osmosi
è vero, non mi toccare!-
Note:
₁) Con
questa
fantastica citazione tratta dalla canzone Downside Up di Peter Gabriel
si apre
il capitolo. Ovviamente riferita
alla
caduta della nostra protagonista ma anche, in maniera più
allegorica, al
capovolgimento che il nostro Altair sta subendo! Insomma, io
l’ho trovata
adatta, credo possa descrivere bene l’atteggiamento
altalenante del nostro bel
mentore! Sono sicura, che se leggesse l’intero testo
concordereste con me!
Ovviamente vi consiglio di leggere il capitolo ascoltandola!
₂) Ecco, a questo
proposito, sto per caricare il primo Missing-Moment della storia,
creando così,
in ogni caso, una serie. Spero che la leggiate!
₃) Il Jahannam è l’inferno islamico.
Anche se corrisponde più all’idea dantesca del
purgatorio: Infatti l’uomo può
restarci per sempre o solo per un periodo ritenuto opportuno da Allah.
Come sapete L’islam ha preso molto dall’ebraismo e
dal cristianesimo, si pensa,
infatti, che il termine Jahannam venga dal nome del luogo dove, nei
bassifondi
di Gerusalemme, dove avveniva una mostruosa quantità di
sacrifici umani a Baal
Moloch
(che era un dio pan-semantico).
Sembra che Dante
abbia preso, oltre che l’idea della purificazione
dell’anima
(per il purgatorio) anche la struttura del suo inferno, quello arabo
è infatti
diviso in gironi, a seconda della gravità del peccato
commesso.
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Capitolo 7 *** 6. Waitin'On a Sunny Day ***
Buonasera a voi! :)
Eccomi tornata, nuovamente puntuale, ad aggiornare!
Come sempre, ringrazio O n i c e e Illiana per le belle recensioni (Mi
dispiace per l'assenza di Werepapers, ma lo consideriamo assente
giustificato, per motivi scolastici!) e tutti i lettori silenziosi (che
hanno la mia piena comprensione) che seguono, preferiscono e ricordano
la storia!
Questo capitolo è DAVVERO lungo. Quindi gioite! xD
E anche le note ormai si stanno allungando, mi sto lasciando prendere
la mano! Ahahahahahaha!!!
Buona Lettura
Cass
6.
Waitin'On a Sunny Day
Sta
piovendo ma non c'è una sola nuvola in cielo:
Deve essere una
lacrima quella che scende dai tuoi occhi, ma tutto andrà
bene.
E' divertente,
pensavo di aver sentito una dolce brezza estiva, ma devi essere tu che
sospiri.
Saranno tempi duri, tesoro, è certo come
il cambio da notte in giorno...
Ma il tuo sorriso, ragazza, porta la luce del mattino nei miei occhi,
lava via la tristezza quando mi alzo:
Spero che tu sia piombata
qui per restare.
Bruce Springsteen- Waitin' on a
sunny day₁
-Non
funzionerà, Desmond-.
Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi come facesse quella ragazza ad
essere
così irritante parlando così poco.
Forse era colpa degli occhi che trasmettevano così tanto o
del tono chiaro e
secco che utilizzava.
O forse entrambi, in un mix letale di irritante fastidio.
-Abbi fede!- ironizzai di rimando, cercando di usare
un’inflessione tale che le
facesse capire che la mia idea avrebbe funzionato alla grande e basta.
-Despota-
grugnì sdegnosa, poi rilasciò un sospiro
–Che
devo fare, esattamente?-.
Trattenni a stento un sorriso beffardo di vittoria, mi sistemai meglio
sul
letto e risposi:
-Vedi, anche Altaïr aveva un
“dono”speciale. Una specie di “vista
paranormale”
che permetteva lui di intercettare nemici, le strade da loro percorse,
bersagli, alleati, punti di favore, informatori. Troppo assurdo pensare
che sia
un coincidenza che due persone così particolari si
incontrino per caso alla
ricerca di un frutto dai poteri grandiosi quanto misteriosi, non ti
pare?-.
Mi guardò intensamente, chiedendosi se mi stessi prendendo
gioco di lei o se
avessi detto la prima cosa intelligente da quando mi aveva conosciuto.
-Supponiamo che tu abbia ragione…- disse con cautela, come
se faticasse a
crederlo possibile –E che quindi Vega e Altaïr si
siano incontrati per una
specie di combutta del destino. Questa tesi non farebbe che darmi
ragione sul
fatto che tutto quello che scopriamo deve rimanere un segreto?
Perché se non
fossi arrivata io, tutto quello successo fra loro due non sarebbe mai
stato
scoperto e vuol dire che forse avevano usato quella cosa… il
Frutto Dell’Eden...
per nascondere le loro vicende ai Templari o ad altri Assassini! Invece
di
trovare un modo per “gestire il mio dono”, dovremmo
pensare a scappare da qui,
trovare gli Assassini e farci
aiutare.
Quindi avresti torto comunque!- su quella bella faccetta
d’angelo si dipinse un
ghigno molto poco angelico.
Feci molta pressione su me stesso per non mettermi ad urlare e le
sussurrai
all’orecchio, in modo tale che fosse più difficile
per loro ascoltarci – Non
capisci? Sembra che Vega raccogliesse informazioni molto più
approfondite
toccando quello che la circondava, potresti trovare il modo di uscire
di qui-
cercai, disperatamente,
di farle capire che se avessimo imparato a controllare
l’occhio dell’Aquila e
il suo dono, avremmo potuto giocare l’Abstergo, anche con
l’aiuto di Lucy.
Si arrese all’evidenza con un sospiro e mi chiese come avevo
intenzione di
addestrarci.
Ecco, il problema stava tutto in quello.
Le lanciai un sorriso sghembo e lei sembrò trattenersi a
stento dal darmi un
pugno in piena faccia, aveva chiuso gli occhi e respirava pesantemente
col
naso.
-Effetto osmosi, no?- biascicò, cercando di non mandarmi a
quel paese. –Usare
quel potere anche se non ne abbiamo bisogno durante le sessioni. Il
problema è
che non è facile, per me, è un dono terribile.
Io non vedo semplicemente le persone per quello che sono, Desmond-.
Capii, solo in quel momento, perché prima era
così spaventata all’idea di farsi
toccare, capii perché non aveva voluto che Lucy la
sfiorasse.
Capii il motivo per cui non reagiva attivamente alla violenza fisica di
Vidic.
Capii che aveva paura. Come me.
Come qualsiasi persona normale che si ritrova ad avere un potere,
così devastante
per l’animo, in qualche attimo, lontano da persone che
vogliono aiutarti
davvero.
Riuscii a capire solo in quel momento.
Lei... si sente sola. Come
me.
-Ci sono io- dichiarai istintivamente, come risposta ad un pensiero che
lei non
avrebbe potuto conoscere.
Era quello che in realtà pensava Altaïr quando Vega
era svenuta, tra il panico,
la paura, vi era anche la fierezza di poterla aiutare. Lui era
lì, e ora ci
sono io.
Alessandra aveva un’espressione perplessa, ma non aveva nello
sguardo quella
punta di sarcasmo o di cinismo cieco che caratterizzava anche me.
Stava seriamente tentando di capire cosa avessi voluto dire e come
comportarsi,
di conseguenza.
Scossi la testa, per farla desistere dal suo intento e le raccontai dei
segni
rossi che avevo intravisto quando, per pura casualità, ero
riuscito ad usare
l’occhio dell’aquila.
Rabbrividì quando le confessai che sembrava sangue e le
chiesi se avesse voluto
tentare di vedere o sentire qualcosa toccandoli. Ad un suo cenno
affermativo,
seppur titubante, le strizzai un occhio, indicandole il punto dove
posare la
mano.
Tirò un sospiro e si avvicinò alla parete
sovrastante il letto, alzò lentamente
la mano dal fianco, le tremava leggermente e tentennò
parecchio prima di
poggiarla sul muro.
Mi portai vicino a lei, pronto ad intervenire nel caso si fosse
presentata
l’eventualità.
Quando il suo palmo toccò la parete, trattenni
involontariamente il fiato,
paralizzato dal terrore di averle fatto fare una cazzata assurda.
E se si fosse fatta male? E se quei segni si fossero dimostrati un
trucco dei
templari per trarci in inganno? E se…
Ero preparato a qualsiasi catastrofe, tranne a ciò che
successe: Niente.
Il più assoluto niente.
Il muro restò com’era e anche Alessandra non si
mosse di un solo millimetro.
Ci fu qualche momento di silenzio.
-Interessante- Mormorò- Ecco, riesco a percepire
qualcosa… Uhm, non ci sono
dubbi: Marmo scadente- disse irrisoriamente, con un sorriso molto
irritante,
sbeffeggiandomi.
Ripresi a respirare e, un po’ in imbarazzo, ipotizzai che
fosse perché non
aveva toccato il simbolo. Al che, lei
allargò il suo sorriso sardonico –Sei tu quello
che ha la vista cosmica, non
io. Andiamo a dormire Desmond, sul serio. Non riesco quasi a reggermi
in piedi-.
Rassegnato
all’evidenza, mi buttai sul
mio lato del letto e mi girai dal lato opposto al suo, intenzionato a
non
proferire parola per non darle ulteriori motivi per beffarsi di me.
Per quel giorno mi poteva bastare. E avanzare.
La sentii sistemarsi accanto a me, in religioso silenzio, dopo aver
spento la luce,
non facemmo niente per qualche minuto. Ne approfittai e cominciai a
meditare
seriamente un piano per fuggire, come aveva detto lei, senza farmi
prendere da
troppe seghe mentali.
-Scusa, non volevo- sussurrò poco dopo, cogliendomi di
sorpresa, tanto preso
dai miei pensieri.
Spalancai gli occhi e il cuore cominciò ad aumentare il suo
ritmo, ma ero
ancora troppo… “storto” per guardarla.
Restai immobile, ma la cosa non sembrò
scoraggiarla dal parlarmi.
-Mi dispiace Desmond, ho un carattere un po’ difficile e dei
modi di reagire
anche peggiori. In più siamo rinchiusi qui, scopro di essere
una specie di
chiave di lettura per dei ricordi segreti nella tua mente. Scopro di
non avere
più possibilità di scegliere. Anzi, scopro che le
mia scelte non hanno valore,
che forse è anche peggio. Io non volevo essere coinvolta
nella guerra dei miei
genitori, avevo scelto di fregarmene. E invece ora non posso che essere
un
Assassina e non riesco ad accettarlo. Vorrei poter non accettarlo-.
Mi stesi pancia all’aria, toccato da quella confessione, e
intravidi i suoi
occhi luccicare, e una piccola goccia scendere sulla guancia.
Mi si strinse lo stomaco. Non lei.
Proprio non riuscivo a formulare un altro pensiero che non fossero quei
due
monosillabi.
-Posso prenderti la mano?- chiesi, piano, sapendo tutto quello che
quella
richiesta avrebbe comportato. Girai piano la testa e mi
sembrò quasi di vedere
la disputa che stava combattendo con se stessa, tra quello di cui
sembrava di
aver bisogno e quello che la spaventava.
Alzai la mano tra lo spazio che ci separava.
Non l’avrei biasimata se avesse declinato, esigevo una
fiducia che forse non aveva
in me.
Eppure la sua mano, chiusa a pugno sullo stomaco, si alzò
piano, indecisa,
percorrendo quei pochi centimetri che ci separavano come se fossero
metri in
salita.
Quasi mi sentii in colpa per averla sottoposta a quella prova. Quale
diritto
credevo di avere?
Ma alla fine la strinse. Ero sorpreso, felice e fu una sensazione
abbastanza
strana.
Fu come se tutto quello che avessi dentro fosse condiviso con lei, fu
come se
mi svuotasse di ciò che provavo, ero prosciugato, vuoto
… Come se galleggiassi
nel nulla.
Ma durò poco, perché mi sentii invadere da
emozioni estranee, a
quel punto potevo essere sicuro che si
trattasse dei pensieri e delle emozioni che provava (o forse aveva
provato)
lei.
Smanioso, sperai ci fosse un modo per riempirmi ogni angolo del corpo,
di poter
prendere da lei più di ciò che stavo prendendo e
vedendo già.
Volevo traboccare di lei, svelare almeno una parte del suo fascinoso
mistero,
delle mille emozioni che attraversavano costantemente i suoi grandi
occhi
verdi.
Volevo conoscere i tanti pensieri che si celavano dietro ogni sua
più piccola
espressione, cosa le piacesse…
E sentii l’angoscia, la paura, la voglia di scappare, ma
anche il senso di
onore nel combattere a testa alta, l’orgoglio e la tenacia e,
con mi sorpresa, il
grande conforto che quel piccolo momento fra noi le stava donando. Non
so se la
sorpresa che provai per quella rivelazione fossi più mia o
più sua, fatto sta
che anche io ero felice che si fosse fidata. Mi faceva
sentire…importante.
Il suo potere era davvero straordinario: La conobbi in tutta
la sua
sfaccettata personalità, nelle sue emozioni antistanti e
complesse, nel suo
maturo coraggio e nella sua riluttante debolezza.
Mi chiesi come provasse lei nel conoscere i miei sentimenti, come li
stesse
interpretando, se le facesse bene o meno.
Non sapevo bene cosa le stessi trasmettendo, era difficile dirlo mentre
ero
così preso da lei, non solo per via del contatto. Sperai
nulla dei pensieri
molto affettuosi che scatenava in
me.
Avrei potuto impedire che sentisse le mie considerazioni da dodicenne
su di
lei?
Ci guardammo negli occhi e lei mi sorrise, maliziosa, con ancora la
scia di
quella lacrima che le brillava sulla guancia segnata dalla cicatrice.
Un
sorriso che rasentava molto quello di Vega, più di quanto mi
sarei aspettato.
Fu spontaneo che sorridessi anche io, come se ormai le mie sensazioni
non
potessero che reagire alle sue, un contatto molto più
stretto della semplice
dipendenza.
Non era questione del tipo “Se tu sei triste, lo sono anche
io”, io provavo
proprio i suoi sentimenti, era come se confluissero in me, travolgendo
il mio
essere, nella maniera più incondizionata che conoscessi.
Sentii improvvisamente una canzone₁.
La sentii davvero.
Era reale, suonava
davvero. Pensai che l’Abstergo si stesse prendendo gioco di
quel nostro piccolo
momento.
Ma poi scartai l’idea: Non c’erano altoparlanti
lì.
Stavo davvero impazzendo? La canzone era nella mia testa?
Ma mi piaceva! Ricca di sentimenti, come se mi parlasse, ma non credevo
nemmeno
di conoscerla!
Guardai Alex mimarla lentamente con le labbra e intuii che fosse lei a
passarla
a me, forse senza rendersene conto.
O magari lo faceva volontariamente,
volendomi comunicare qualcosa.
E le parole... Oh no, i miei
pensieri carini erano stati smascherati.
La cosa non sembrava infastidirla, o sì? Non ne
parlava perché voleva farmi capire che non ricambiava? O
forse sì?
Sorrisi beffardo, anche mentre ero dentro
di lei, riusciva a fuggirmi le sue più private
sensazioni, era davvero
incredibile!
Tornai a guardare il soffitto e strinsi maggiormente la sua mano nella
mia,
perdendo un battito quando lei ricambiò il mio gesto.
-Ehi, posso farti una domanda?-.
Sentii il letto muoversi: Si era girata sul fianco, verso di me, senza
lasciarmi la mano. –Spara-.
Mi sentii un po’ in imbarazzo, soprattutto quando mi ricordai
che lei lo
avrebbe certamente percepito.
Volevo ridere e urlare allo stesso tempo. Tutto a
causa sua.
-Doc prima ti ha chiamato ragazzina... Si può sapere quanti
anni hai?- cicalai sbracciandomi
in maniera decisamente ridicola. Quella che scoppiò dopo fu
la più grassa
risata della storia:
Seppi inspiegabilmente che il suo compleanno era tra una settimana.
-Ne ho quasi venti. Potresti essere mio nonno!- biascicò tra
una risata e
l’altra.
Ruotai gli occhi, scrollando la testa – Sono solo cinque
anni. Ma quale nonno e
nonno- bofonchiai.
Continuammo a ridere per un pezzo.
Non so cosa sentimmo poi o a che punto ci assopimmo, ricordo solo la
pace con
cui lo feci.
E con cui, probabilmente, lo fece anche lei.
Per
rifornirvi di coltelli da lancio, potete tornare a Masyaf o derubare
dei
banditi.
-Ascoltami,
Cassim, è come ti dico! Nei piani
alti c’è panico e agitazione. Roberto stesso
è insicuro sul da farsi, anche
perché strane voci sul suo conto sono arrivate
all’orecchio di Riccardo, per
cui deve limitare i passi falsi. Non vedi? Noi, i Templari, che
collaboriamo
con Ottomani e Saraceni per difendere città in cui non
c’è nulla! Non vi
preoccupa?-
Io e Vega ci guardammo in simultanea, con entrambi
un’espressione di autentico
stupore dipinta in faccia. Guardie fasulle, atte a depistare noi?
Eravamo
caduti del tutto nella trappola?
Scesi dal palazzo, ci eravamo ritrovati in un piccolo vicolo, da dove
si
sentivano le voci di circa quattro soldati Templari che stavano
discutendo
riguardo le nuove misure adottate e le alleanze strette.
Ci eravamo acquattati dietro l’angolo per continuare ad
ascoltarli.
-Per non parlare degli Hashashīn₂ !-
aggiunse qualcun altro.
Ci scambiammo un’altra occhiata sconcertata
–Conosciamo bene le loro manie da
solisti, ma non ti sembra strano che Al Mualim, quel vecchio pazzo,
conoscendo
le varie alleanze, mandi solo due sicari a fare strage?-
Si stavano naturalmente riferendo a noi e la cosa mi fece rabbrividire:
Eravamo
davvero gli unici uomini che Al Mualim aveva mandato qui?
Potevo capire che l’avesse fatto per non compromettere la
Confraternita, ma se
davvero voleva che riuscissimo a violare certe difese, doveva
intrufolare
qualche informatore nelle schiere nemiche.
Era una prassi adottata sempre e da sempre! Perché cambiare?
Guardai Vega, che probabilmente si stava ponendo gli stessi quesiti e
mi chiesi
se non fosse la causa dello strano atteggiamento del Vecchio. Forse
sì, tutto
stava in quello.
Ci metteva alla prova come bestie da macellare.
-Non ci riguardano
le scelte di Al
Mualim finché non interferiscono con i nostri compiti!-
commentò un terzo
soldato, con tono passivo. Lo compatii per la sua sufficienza.
-Io non capisco, non vi chiedete che cosa diamine stia succedendo? Vi
basta che
vi diano soldi per andare a vino e a puttane? Cosa stiamo difendendo,
da chi
e…?-
-Ora basta, Salik! Mi fai dubitare della tua fedeltà, sei
forse uno di loro in
incognito?- ringhiò quel Cassim e sentimmo il rumore di uno
spintone e poi di
una leggera scazzottata.
Questo era un punto a nostro favore, se c’era qualcuno nel
dubbio, avremmo
potuto carpire più informazioni in meno tempo.
-Credo proprio che dovremmo parlare con Salik
e Cassim… Io
mi occuperò di
quest’ultimo! Ci rivediamo qui quando avremo finito per
andare dagli
informatori, cerca di non metterci troppo con
l’interrogatorio- mi sussurrò
Vega, fintamente altezzosa, non appena sentimmo i quattro allontanarsi
dalla
loro postazione –Hai
capito, spilungone
da quattro soldi?- mi fece una linguaccia.
Alzai gli occhi al cielo prima di sorridere, Vega sembrava tenere al
fatto che
ci fosse un rapporto sereno fra noi e cercava di rimediare al fatto
che,
nonostante l’avessi salvata, mi avesse detto aspramente che
ancora non si
fidava di me.
Le feci il verso, ma non ebbe nemmeno il tempo di apprezzare il mio
sforzo di
venirle incontro che contemporaneamente ci spostammo in fretta,
poiché sembrava
che uno di loro stesse venendo proprio nella nostra direzione.
Per la veemenza,
facemmo cadere una cassa per terra.
Ci scambiammo uno sguardo allarmato.
I suoi occhi erano spalancati e sembrava che avesse il respiro corto
come ieri
notte.
-Cos’era quel rumore?!-.
Sentii il cuore saltarmi in gola e mi preparai a combattere, anche se
ero
abbastanza sicuro che in due avremmo potuto benissimo tener testa a
quattro uomini,
mi dispiaceva perdere delle fonti di indizi, ma Vega mi tirò
giù il cappuccio così
come il suo.
Non ebbi il tempo di stupirmi della bellezza del viso
interamente scoperto, che lei ci coprì
con un telo bianco e portò le sue labbra sulle mie, con foga.
Persi un battito.
Anche un secondo.
E un terzo.
Poi il mio cuore cominciò a correre veloce.
Non riuscivo nemmeno a formulare un pensiero coerente, mi tremavano le
mani e
le gambe, ma risposi a quel bacio così inaspettato e,
cingendole la vita con le
braccia, l’avvicinai più a me.
Non capivo bene cosa sentissi, era tutto sottosopra … E le
labbra di Vega erano
morbide.
-Ahahah, calmo Saul, solo due piccioncini appartati un po’
irruenti! Dio, mi
manca mia moglie!- disse pacatamente, forse per non disturbare, un
soldato per
poi allontanarsi dal vicolo.
-Dannazione,
donna, se davvero ti mimetizzi così capisco
perché tutti sembrano bendisposti
verso di te!- continuai a tenere gli occhi chiusi, ad un soffio dalle
sue labbra.
Vega si tirò indietro e la mano che aveva appoggiato sulla
mia guancia scivolò giù, per lo sdegno, mi fece
una
boccaccia.
Entrambi ci guardammo intorno per vedere se altre guardie fossero nei
paraggi.
Ma, nonostante tutta la mia spacconaggine, evitai il suo sguardo anche
perché ero un po’ in
imbarazzo, però non potevo fare la figura del ragazzino:
Avevo avuto un discreto
numero di donne, ma queste avevano soddisfatto solo un bisogno che
andava dal
cinturone in giù.
Questo bacio aveva acceso qualcosa di caldo più… su.
-A me sembra che funzioni. E poi, anche se fosse? Ti infastidisce?
-disse, sorniona – Visto che
si rivela sempre un metodo efficace, non riesco a capire
perché non
utilizzarlo. Non ti pare?-.
Tornai a guardarla e finalmente riuscii a vedere l’interezza
del suo viso:
Non avevo visto male, i suoi capelli erano rossastri, abbastanza corti,
ma non
con un taglio uniforme, portava alcune ciocche dietro
l’orecchio, trattenute da
una spilla di ferro. La cicatrice era più profonda di quel
che avevo potuto
notare, anche se sorprendentemente non le sfigurava il viso in modo
eclatante,
aveva un colorito chiaro, quasi nordico, che si ravvivava solo sulle
guance,
che in quel momento erano cremisi del sangue affluitole forse, come per
me, per
l’imbarazzo.
In ogni caso, era bella. Obiettivamente, non la si poteva definire in
un altro modo… Vega era bella!
-Già! Un metodo davvero
efficace,
Vega- la mia voce era rauca; che effetto aveva questa donna su di me.
Mi sorrise, ma non disse nulla.
Buttò per terra il telo, si rimise il cappuccio e corse
nella direzione in cui
si era allontanato Cassim: -Qui con le informazioni, ok? Sì
è fatto tardi...
quindi passerò anche dagli informatori! Se ti dovessi
spiegare dove
incontrarli, non ci sbrigheremmo più- non aspettò
una mia risposta e poi sparì,
confondendosi tra la folla.
Mi rimisi anche io il cappuccio, un po’ stizzito
perché ormai non mi opponevo
nemmeno più alle sue insubordinazioni.
Di certo non mi sarei mai più comportato
in maniera arrogante come... come era già successo, ma mi
sarebbe piaciuto poter
decidere qualcosa insieme a lei.
Ma cancellai quei pensieri dalla mia testa; dovevo tornare lucido,
freddo,
attento, astuto. Letale.
Era il momento di entrare in azione.
Presi un bel respiro e uscii dal vicolo, mi guardai attorno con
l’occhio
dell’aquila: Salik mi sarebbe apparso con una fulgida luce
dorata, così il fatto
di non aver visto bene il suo viso non sarebbe risultato un problema.
Per un secondo, mi chiesi come avrebbe fatto Vega a trovare Cassim.
Mi intrufolai in un gruppo di Eruditi che passava di lì e ne
approfittai per
guardarmi attorno senza destare sospetti.
Realizzai che eravamo finalmente riusciti ad entrare, senza creare
scompiglio,
nel distretto ricco:
Lo si poteva capire dai palazzi, dipinti di colori chiari, con ampi
archi d’oro,
grandi cupole di lapislazzuli, case adornate di maestose piante o che
possedevano un ampio giardino recintato; anche dalle persone, vestite
con le
stoffe più colorate e preziose che avessi mai visto.
Non c’erano nemmeno le tipiche donne squattrinate che
facevano l’elemosina o
gli ubriaconi agli angoli delle strade, che per l’ultimo
goccio vendevano anche
le loro misi.
La differenza tra le due zone della città non era mai stata
così netta e se a
tutto questo avessi aggiunto le guardie ad ogni spigolo delle mura, non
poteva
che esserci qualcosa sotto.
Inconcepibile che gli Assassini di Acri non avessero notato tutti
questi
movimenti.
Perché Al Mualim non si era interessato, prima di inviarci
qui?
Finalmente vidi il tale. Proteggeva l’ingresso alla
città da un piccolo vicolo dietro
la Moschea, che era il fulcro del confine tra le due diverse zone della
città.
Lasciai il mio nascondiglio sicuro tra gli Eruditi e mi mossi agilmente
tra la
folla per aggirare la chiesa e arrampicarmi sul palazzo vicino,
imprudentemente
lasciato scoperto.
Da lì avrei potuto capire se Salik era solo e, nel caso,
attaccare a sorpresa.
Mi mossi, dunque, controllai se ci fossero guardie in giro, ma nulla mi
risultò
sospetto.
Saltai sulla prima finestra, poi, infilando piedi e mani nei piccoli
buchi tra
i mattoni, riuscii a raggiungere il tetto.
Non riuscii a trattenermi e guardai nelle strade per cercare Vega.
Era più forte di me, non potevo a farci nulla. Non fui,
comunque, capace di
individuarla e la frustrazione per questo si aggiunse alla rabbia che
provavo
per la mia debolezza.
Non riuscivo più a non pensare a cosa facesse, a come
stesse; forse perché il
suo svenimento mi aveva preoccupato più di quanto
pensassi… No.
Ero stanco e dovevo
riprendere fiato
così, invece di stare fermo senza fare nulla, avevo deciso
di cercare la mia
consorella (Strano dirlo) solo per una questione di lavoro, ogni
compagno era
importante.
Ero diventato solo più umano, Vega non centrava nulla con la
mia preoccupazione.
E io avevo bisogno di credere a ciò che dicevo.
Mi avvicinai al lato opposto del palazzo ed ebbi ampia visuale sul
vicolo: Un
ghignò si aprì sul mio viso quando constatai che
il Templare era solo e che le
uniche persone che doveva respingere erano preti o poveri viaggiatori.
Sentii
l’adrenalina dell’azione scorrermi nelle vene e,
non appena ebbe cacciato l’ennesimo
Imam che voleva entrare nell’abbiente cittadella, saltai
giù dal palazzo, nella
sua direzione.
Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersene che fui sopra di lui,
spingendolo a
terra con il mio peso.
Salto preciso, mi complimentai con me stesso.
Salik aveva il terrore dipinto in faccia e si dibatteva come un pesce
fuor
d’acqua, ottenendo però scarsi risultati.
Si preparò ad urlare l’allarme, come ultima
spiaggia, e respirò a pieni
polmoni.
Lo stolto non aveva pensato che così facendo avrebbe inalato
più polvere che
aria.
Cominciò a tossire fortemente, ma provò comunque
ad urlare. Ghignai e… Sink.
Feci scattare la lama davanti ai suoi occhi, che si spalancarono per il
terrore, si dibatté ancora un po’,
strinsi la mano a pugno, e con le nocche lo colpii sulla
spina dorsale,
il templare smise di muoversi.
-Buongiorno, Salik- dissi a bassa voce vicino al suo orecchio, usando
un tono
abbastanza minaccioso.
Il soldato deglutì. –Ho sentito che voi Templari
vi siete alleati con molte
popolazioni della Terra Santa. Mi resta solo da sapere il
perché- avevo il tono
suadente del cacciatore sadico davanti alla preda da torturare e
portare a casa
come trofeo. La voce ammaliatrice del potere.
Salik si mosse ancora, ma io nuovamente lo colpi, ancora sulla spina
dorsale, ed
egli emise un gemito
–Non lo
so, Hashashīn.
Noi soldati sappiamo ben poco di tutto questo- disperazione.
Risi, ancora –Invece secondo me puoi aiutarmi. Prima dicevi
che sorvegliate
città in cui non c’è nulla…
Vuol dire che state cercando qualcosa?- avvicinai
la lama alla sua gola, tracciando una linea retta senza infierire sulla
pelle –Parla
prima che ti apra un secondo sorriso qui. E fa’ che siano
informazioni utili-.
-Parlerò, parlerò- gridò
miserabilmente – E’ stato Roberto a suggerire a
Riccardo
di formulare trattati di pace con Salah ad-Din₃
per le terre che non riusciva a conquistare! Lo ha suggerito per
difendersi
dalle vostre continue intrusioni- raccontò con voce
tremante. Paura.
-Questo non mi è di nessun aiuto: A meno che tu non mi dia
altre informazioni…-
lasciai la frase in sospeso a
ben intendere.
Salik deglutì e farneticò –So altro. So
altro! Roberto ha trovato un antico
manoscritto che parla di molti segreti della Terra Santa. Lo porta
sempre con
se, poiché contiene informazioni che non vuole che cadano
nelle mani di
Riccardo o nelle vostre. Le alleanze sono un pretesto! Non so altro, lo
giuro!-
si dimenò ancora, ma lo fermai. Ormai era inutile illuderlo
ancora.
–Mi dispiace, ma non posso permettere che loro sappiano che
sono qui. Raggiungi
il tuo Dio, adesso!- non fece in tempo ad accorgersene che la mia lama
trapassò
il suo collo da una parte all’altra.
Molto sangue mi schizzò sopra gli avambracci di cuoio e
sulla tunica, ma poco
importava rispetto ad una vita che se ne andava.
Quasi mi pentii del mio divertimento nel compiere
quell’azione. Mi sembrava di
essere ritornato quell’Altaïr senza cuore che avevo
tanto faticosamente
scacciato nel tempo.
Sfilai la mia arma con cura, per evitare che si spezzasse e piegai il
polso, il
filo collegato con un anellino al mio dito fece scattare il meccanismo
e la
lama rientrò nel foderino.
Meditando sulle parole di Salik, presi di peso il suo corpo e lo
nascosi in un
cumulo di paglia vicino alla Moschea: Così i soldati non lo
avrebbero ritrovato
tanto presto.
Ripensai al manoscritto descritto dall’uomo: Probabilmente
Roberto aveva
appreso da quel testo l’esistenza del Tempio di cui parlava
il Maestro e le
alleanze servivano per distrarre Riccardo dai suoi intenti e per
potersi
muovere indisturbato in tutta la Terra Santa.
Eppure com’è possibile che questo Tempio non fosse
mai stato visto da alcun
uomo o che, comunque, richiedesse tutto questo tempo per essere trovato
da
centinaia di uomini alla sua ricerca?
Ero pieno di dubbi, per quanto l’informazione del manoscritto
fosse utile,
apriva una serie di nuove domande a cui sarebbe stato difficile
rispondere,
dato che Di Sable sembrava intenzionato a tenere tutte le risposte per
se.
A questo punto sarebbe stato meglio rubare il documento? O aspettare
che
Roberto giungesse al suo obiettivo per poi fermarlo?
E quando dico -fermarlo-, intendo fermarlo definitivamente.
Mi rimescolai tra la folla, capo chino e mani giunte, per
tornare nel
vicolo dove dovevo rincontrarmi con Vega. Ero curioso e impaziente di
vedere
cosa avesse scoperto da Cassim e dagli informatori.
Ero quasi arrivato al punto di ritrovo, quando la voce di un banditore,
una
voce giovane e possente, raggiunse le mie orecchie, catturando
immediatamente
la mia attenzione.
-Nobili di `Akkā
₄, svegliatevi! Ascoltate le
mie parole! Perché non reagite a tutto questo? Soldati
stranieri hanno preso la
nostra città, togliendoci il diritto di muoverci per essa
liberamente, e tutto
questo con il benestare dei reggenti. Le cose non sono migliorate dopo
la fine
della tirannia di Guglielmo, poiché ne hanno imposto
un’altra, anche se
segreta!- dato che la ragazza non era ancora tornata, decisi di recarmi
ad
ascoltare il giovane, che sembrava avere idee molto ispirate.
Pochi si fermarono a prestare attenzione, altri scapparono, forse per
il timore
di essere considerati sostenitori del gruppo di ribelli a cui
evidentemente
quel ragazzo apparteneva.
Una spada, infatti, luccicava appesa al cinturone e un arco sfoggiava
sulla sua
schiena:
-Non abbiate paura!- enunciò, vedendo quanti si
allontanavano – Insorgete,
anzi! Rovesciamo la loro tenuta, riprendiamoci il controllo della
città!- agitò
in aria un braccio e i pochi sostenitori esultarono con lui, alzando le
braccia.
Mi guardai intorno, per riflesso incondizionato e notai in tempo due
Templari,
evidentemente di rango non alto, avvicinarsi al banditore, ma si
fermarono
leggermente a distanza, cominciando a dialogare tra loro. Sembravano
discutere
su qualcosa di importante, magari potevo ricavarne qualcosa.
Così, a passo moderato, arrivai ad una panchina vicina ai
due uomini, occupata
già da altre due persone, mi ci sedetti e, capo chino, tesi
l’orecchio per
ascoltare:
-Per questo mi chiedo dove sia Cassim! La Resistenza sta ancora
cercando di
attirare consensi, come se non fossero già una bella spina
nel culo- sputò a
terra con sdegno, pensando alla tenacia dei cittadini.
Quindi Cassim era il capitano della fazione? Mi chiesi se Vega
l’avesse intuito
e se fosse per questo che l’abbia voluto per sé.
“Che donna!” pensai beffardamente.
L’altro soldato rispose, teso –Potrebbe essere
stato preso da un fidāʾī₅?
Hanno
provato ad entrare nella cittadella già due volte e
difficilmente
falliscono anche la terza-.
Un ghigno di soddisfazione fiorì sulle mie labbra a quelle
parole.
La nostra fama ci precedeva.
Il soldato che aveva parlato per primo diede all’altro una
gomitata, per poi
guardarlo in cagnesco:
–Non è un nostro problema! E poi, difficilmente
due hashashīn
da soli potrebbero uccidere abbastanza guardie da
riuscire a penetrare qui. Ma torniamo alla faccende serie, dobbiamo far
qualcosa di quel giovane. Propongo di liberarci del problema in maniera
immediata- e detto ciò, stava per prendere la spada,
avanzando di un passo.
-Sei forse impazzito? Ricordi le parole di Di Sable? Non dobbiamo
compiere atti
così violenti in pubblico, già una porzione di
popolazione ha fondato una
Resistenza. Non dobbiamo dare alla gente ulteriori motivi per aderirvi.
Discrezione, era la parola. Nulla deve riportare Riccardo ad Acri prima
del
dovuto- Il soldato era un uomo accorto, mi confermò anche la
presenza di una
Resistenza e aggiunse una nuova voce alla lista di cose che Roberto
taceva a
Riccardo.
-Bene- mormorò risentito l’altro
–Aspetteremo che vada in un posto più
appartato!- e rifoderò la spada. Come
se
nulla fosse, si spostarono più al lato, attendendo il
momento buono.
Con un tempismo ironicamente perfetto, il giovane decise di
allontanarsi in
quel momento dal palco e di camminare per le vie della
città, forse alla
ricerca di altro pubblico da far votare alla sua causa.
Prima di andarsene si guardò la spalle più volte,
però dalla sua posizione
difficilmente avrebbe potuto notare i due nemici nascosti,
così si rimise in
cammino.
Poco dopo di lui si mossero i soldati, facendosi un segno
d’intesa con un
ghigno sulla faccia.
Quindi mi spostai anche io.
Era evidente che appoggiarsi ad una Resistenza sarebbe stato utile e
vantaggioso per noi, dato che avevo ormai appurato che io e Vega
fossimo i soli
fidāʾī
ad indagare su tutto questo
( e che, di
conseguenza, Abdel e Bashir, i due informatori che avremmo dovuto
vedere quel
giorno, non erano
Hashashīn),
e niente ci avrebbe messo in una luce migliore come l’atto
di salvare una vita.
“E se anche non ci mettesse in buona luce, ci saranno
comunque debitori”
pensai.
Sperai veemente che Vega mi stesse aspettando o stesse continuando ad
indagare,
anche se ero più propenso a credere che se mi avesse
ritenuto morto sarebbe semplicemente
andata via.
Era una prospettiva che mi lasciava un po’ l’amaro
in bocca.
La credevo così cattiva? O forse ero io, il problema?
Mi reputavo relativamente pessimista riguardo alle relazioni umane che
mi
riguardavano, ma d’altronde visti i miei precedenti
ero ben più che giustificato.
Mia madre, morta dandomi alla luce, mio padre, morto per la debolezza
del
vecchio Sofian, il litigio con Abbas, per il vano tentativo di essere
sincero, Adha
e la sua tragica morte...
Sì, non potevo davvero avere delle aspettative per la mia...
amicizia con Vega.
Il giovane si mosse per tutti gli intricati vicoletti diroccati della
zona, una
precauzione solo semiefficace per depistare chiunque lo stesse
seguendo. I due
Templari, infatti, sembravano conoscere bene la città e
quindi non si erano certamente
persi d’animo.
Quel percorso, comunque, mi permise di seguirli furtivamente dai tetti,
lanciando
coltelli a destra e a manca tra gli arcieri, per evitare di essere
scoperto.
I Templari si separarono e, prendendo le due strade opposte che
affiancavano
quella del ragazzo, tesero lui un’imboscata, bloccando ogni
possibile via di
fuga.
Che mossa astuta da parte loro.
Forse i soldati Templari non erano solo ammasso di muscoli e armi senza
un
minimo di cervello come credevo!
Dopo lo spavento iniziale, il giovane, con un movimento agile e veloce,
tirò
fuori la spada e schernii i due soldati -Siete in ritardo!-
sbeffeggiò,
coraggioso –Ma non credo sia questo il luogo migliore per me
per combattere, mi
mette in netto svantaggio!- mugugnò, fintamente dispiaciuto.
In un battito di ciglia, diede un calcio in pieno petto ad uno dei due
soldati,
facendolo brutalmente ruzzolare per terra, anche se non mortalmente. Si
alzò un
gran polverone e lui ne approfittò per scappare, continuando
a percorrere i
vicoli a grande velocità.
Il soldato non colpito si era messo subito alle sue calcagna, e lo
stesso fece
l’altro dopo essersi rialzato. Saltai sull’altro
tetto e, con un pugnale da
lancio, uccisi l’arciere che si trovava sul palazzo di
fronte, prima che
notasse la scorribanda e desse l’allarme.
Inspirai e espirai per calmare il fiatone, i miei polmoni erano quasi
impazziti
per l’arrampicata e per la corsa acrobatica, ma mi rimisi
subito in marcia,
altrimenti avrei perso i miei bersagli o sarei potuto arrivare troppo
tardi per
salvare il giovane combattente dai capelli neri.
Saltai sul palazzo successivo, poi su quello ancora dopo e poi, per
mezzo di
una trave, riuscii a raggiungere una palazzina diroccata sulla
sinistra.
Corsi sul bordo del tetto mancante, seguendo i rumori dei passi dei tre
uomini,
che si dirigevano verso un vicolo cieco in corrispondenza delle mura
della
città.
Una parola poco carina mi scivolò dalle labbra e avrei
voluto fortemente urlare
“Non girare a destra” al ragazzo, ma forse sarebbe
stato vantaggioso per me
combattere con una delle possibili via di fuga per i Templari chiusa.
Non appena svoltarono l’angolo, saltai sul palazzo che si
affacciava sulla
stradina, mi accovacciai, prendendo la mira per assassinarne uno in
volo, così
sarebbe stato più semplice spedire il secondo
all’altro mondo.
I due risero vedendo il giovane con le spalle al muro –Ora
giochiamo!-
sghignazzarono, sicuri di avere la vittoria in pugno. Il ragazzo teneva
dritta
la spada, aveva nello sguardo grande determinazione, sembrava dire che
se fosse
morto, ne avrebbe portati il più possibile con lui.
-Combattete. Ma non sarei così certo del vostro trionfo- E
io ero
inspiegabilmente d’accordo.
Sink.
1: Questa
volta mi affido al Boss per la mia consueta citazione iniziale (che
è anche la canzone che Alessandra canta a Desmond per
rispondergli che: Sì, ha sentito le sue considerazioni da
dodicenne su di lei xD). Se conoscete Bruce Springsteen, saprete che
fantastico autore (oltre a cantante e musicista) sia, altrimenti
spero di suscitare il vostro interesse. E' evidente perché
abbia scelto questa canzone: Da un punto di vista psicologico, credo
che Desmond sia davvero SOLLEVATO dal fatto di non essere solo e
comunque, influenzato un po' dagli eventi, trova vero conforto in
Alessandra. Oltre che curiosità, oltre all'interesse
emotivo.
Credo sia inevitabile diventare uniti vivendo esperienze di questo
genere.
Il "piombata qui" è una mia piccola modifica al testo
originale, per renderlo più attinente alla storia: Che
Springsteen non me ne voglia!
2: Piccola curiosità, il
termine Assassino, che deriva appunto da hashashin e quindi dai
Nizariti (termine storico per la nostra confraternita, la Ubisoft
è stata fedele se non per questo dettaglio) vuol dire
"fumatore di hashish", perché si dice che i sicari Nizariti
fossero tenuti in pugno con questa sostanza allucinante:
Provocando visioni paradisiache, promettendo piaceri ulteriori
e, ovviamente, altro hashish, purché loro adempissero al
loro compito.
Ovviamente, visto che i Nizariti non erano ben visti da qualsiasi altra
fazione (per la loro apoliticità e le loro
azioni), molte delle notizie che abbiamo su loro sono
speculazioni. Comunque, l'etimologia lascerebbe pochi dubbi.
3:
Salah ad-Din (1138-1193) divenne, tra la fine della seconda e l'inizio
della terza crociata, il capo dell'opposizione islamica ai crociati.
Dedicò la sua vita alla guerra contro gli invasori, facendo
sì che, finalmente, gli arabi si opponessero seriamente ai
conquistatori cristiani. Le sue truppe ri-strapparono (II crociata)
Gerusalemme ai crociati con la battaglia di Hattin nel 1187 e
organizzò così efficacemente le difese, che non
tornò mai più in mani cristiane.
Nonostante per questo motivo fu iniziata una III crociata e noostante
Riccardo continuò a combattere, ebbe modo di "patteggiare"
con il Saladino una specie di pace, lo si dice anche nel gioco (da qui,
mi sono presa la licenza di sistemare i templari un po' ovunque nella
Terra Santa) e si ritirò, ottenendo per i Cristiani di poter
accedere comunque a Gerusalemme e in ogni città
riconquistata come pellegrini. Per la ritirata, Enrico VI lo
catturò.
4: Akka, in
arabo corrisponde ad Acri, sono a conoscenza di questo termine grazie
ad una FF letta su un sito diverso da EFP.
5:
Fidāʾī è
l'Assassino vero e proprio, il sicario inviato ad uccidere qualcuno, o
a raccogliere notizie. Per intenderci, Vega, Altair, Malik (prima di
diventare Rafiq) sono fidāʾī.
|
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Capitolo 8 *** 7. The Worst Decision ***
Buonasera, lettori!
Scusatemi per il piccolo ritardo, ma ieri è stata una
giornata... nefasta (ed è poco!)
Così, oggi vi lascio al capitolo CRUCIALE! Esatto, da questo
e dal prossimo capitolo, inizieranno i veri sviluppi della storia!
Non vi stupite per l'assenza di citazione e delle note, ma oggi vi
lascio da sole/i con le scelte (da qui il titolo) dei nostri
personaggi, in particolare del nostro Altair.
Siate forti e pazienti, non lo uccidete subito!
Come al solito ringrazio Illiana, O n i c e, Werepapers e
Yukiko_Kitamura per le recensioni e tutti i lettori silenziosi che
preferiscono, seguono e ricordano la storia!
Siete meravigliosi!
Salute e Pace!
Cass
7.
The Worst Decision
-
Molte grazie dell’aiuto, Hashashīn- disse il Ribelle, rifoderando la spada
insanguinata, con un’espressione quasi rilassata sul volto.
Era stato lui
infatti a trafiggere il Templare che io non avevo ucciso.
Poi aggiunse –La resistenza e io ti siamo molto grati! Se
c’è qualcosa che…-.
-C’è, in effetti- dissi sbrigativo, senza
però usare un tono imperioso, il
ragazzo era un ottimo combattente, nonché mio possibile
alleato, dovevo quindi
stare attento alle parole da usare.
-Dimmi, dunque! I debiti è sempre meglio pagarli in fretta,
altrimenti
finiscono per essere più cari del motivo per cui si
è debitori!!- constatò,
facendomi cenno con la mano di proseguire.
-Noi Assassini e la Resistenza abbiamo entrambi interessi nel cacciare
i
Templari dalla Terra Santa e nel fermare i loro piani. Noi siamo abili
nel
combattimento, ma voi conoscete
meglio
la città-concessi -e potrete fornirci sostegno e
informazioni cruciali per la
loro cacciata…-.
Il ragazzo si portò una mano al mento, meditabondo
–Quello che proponi è un
accordo!- mormorò con aria da intenditore –E
ciò che dici ha senso, fidāʾī, almeno
per me. Devi comunque proporre la tua idea davanti a tutta la
Resistenza, ma
credo non ci saranno problemi- dichiarò, fiducioso che
l’idea sarebbe stata
accettata –Se vuoi seguirmi…-.
Declinai l’invito, poiché avevo già
fatto aspettare troppo Vega e perché,
inoltre, doveva esserci anche lei all’incontro.
E poi… il mio istinto mi suggeriva di cercarla nel minor
tempo possibile.
Possibile che fossi diventato così
“simbiotico” con lei in poco tempo?
Scossi la testa e comunicai velocemente al giovane uomo, che mi aveva
rivelato
chiamarsi Abbas (Un nome che mi aveva spiazzato, per un secondo), che
con me ci
sarebbe dovuto essere un altro assassino e che quindi non potevamo che
rimandare l’appuntamento con la Resistenza a più
tardi.
Ebbi paura che il giovane potesse vedere inganni inesistenti in questa
mia
richiesta e che quindi l’accordo potesse saltare, ma Abbas non si
infuriò né mostrò qualche
sospetto, mi enunciò tranquillamente un altro punto
d’incontro e un altro orario,
per poi inchinarsi e ripercorrere al contrario le strade prima
intraprese.
Tirai un sospiro di sollievo.
E a quel punto mi mossi anche io.
Appena
arrivato nel
vicolo dove ci eravamo separati, non fui del tutto sorpreso di trovarlo
deserto, per quanto la cosa mi agitò.
No, in realtà non ero per nulla sorpreso che lei non ci
fosse.
Me l’ero aspettato fin dall’inizio, Vega era
indipendente e sicuramente restare
lì, ad aspettarmi, alzava le probabilità di farsi
sminuzzare da un manipolo di
Templari che casualmente passava di lì.
Quindi no, non fu quello il motivo per cui ero rimasto completamente
disorientato di fronte al muro del vicoletto.
Deglutii, sentendo la gola improvvisamente secca.
C’era disegnata una maestosa aquila in volo, con le gambe
pronte ad afferrare
qualche preda e il becco spalancato, al lato spuntava una freccia
indicante
l’occhio.
...
Possibile che lei… Che lei sapesse? E, soprattutto, come?
Come l’aveva scoperto e come aveva fatto a scrivere un
messaggio visibile solo utilizzando
l’occhio dell’Aquila? Visibile solo a me?
Sudavo freddo, mi tremavano le mani a quell’idea. Strinsi i
pugni per cessare
quell’irritante tremolio, chiedendomi come fosse
più saggio agire.
Sarei stato più a mio agio da solo contro cento Templari.
Scossi la testa, per riprendermi e mi ripromisi di chiedere spiegazioni
dopo
averla trovata:
Infondo, poteva essere un messaggio d’aiuto e dovevo
sbrigarmi a ritrovarla.
Oppure indizi fondamentali che aveva raccolto o, meglio ancora, il
punto in cui
ora si trovava.
Fu abbastanza sconvolgente: Era come se Vega fosse riuscita a
“impiantare” se
stessa nel muro.
Era il suo inconfondibile bagliore, intenso come l’avevo
visto su di lei e così
diverso da quello degli altri. Rimasi ancora stralunato
all’idea di come fosse
riuscita a fare questo.
Il disegno, comunque, raffigurava la Cattedrale di Acri, riconoscibile
dall’altissima torre che l’affiancava, nella sua
interezza.
Il graffito aveva, però, qualcosa di strano… Come
se ci fosse un’aggiunta
rispetto alla realtà.
Dubbioso, strinsi gli occhi e mi avvicinai più al disegno,
cercando di
paragonare quell’immagine a quella che avevo in mente della
reale Cattedrale.
C’era una specie di spazio vuoto tra il muro esterno e la
navata laterale? Doveva
aver scoperto qualcosa di grosso! D’altronde, Al Mualim
l’aveva definita
sveglia e perspicace.
Mi aveva lasciato anche un messaggio:
“سأنتظر
لبعض
الوقت،
نسر.
يجب
أن
تكون
سريعة”
(Ti aspetterò per poco, Altaïr. Sii
veloce)
Arrivai
in breve tempo
davanti alla Cattedrale, ma ormai era quasi sera e non avevo la
più pallida
idea di quando Vega mi avesse lasciato il messaggio sul muro.
Abbassai ancora di più il cappuccio e congiunsi le mani,
cercando di dare meno
nell’occhio.
Sbirciai dalla coltre del cappuccio e mi chiesi se fosse stato meglio
entrare
dal tetto o dalla porta principale: Non era un orario di punta per i
fedeli,
sapevo bene che non era in programma nessuna messa, quindi sarebbe
stata vuota
se non per qualche monaco impegnato a pregare.
Decisi così di scegliere la via più breve..
Entrato tranquillamente nella Cattedrale mi guardai intorno
per cercare di
scorgerla tra i pochi cappucci bianchi presenti nei vari banchi, tutti
inginocchiati in preghiera.
Tutti i profili mi sembravano troppo massicci e robusti, ma non si
poteva mai
dire con Vega… La sua abilità nel farsi credere
un uomo era davvero incredibile.
Dopo qualche
secondo di contemplazione, scartai
l’idea che si trovasse fra quei banchi di mogano, mi guardai
attorno, per
scorgerla magari in un angolo buio fra un altarino tempestato di
lapislazzuli e
oro e una colonna mastodontica di marmo bianco
intagliata con piccoli disegni di pesci e colombe, o magari nascosta
dietro la
statua raffigurante qualche santo.
Non sembrava avermi lasciato nessun ulteriore indizio, così
mi mossi in avanti
per cominciare ad indagare, magari potevo fingermi un pellegrino molto
svampito
che non si regola bene con gli orari, ma un leggero rumore, proveniente
dall’alto, attirò la mia attenzione.
Era un rumore costante ma discreto.
Sembrava che qualcuno stesse scassinando un forziere.
“Ci siamo!” pensai sollevato, sapendo finalmente
dove fosse.
Cercando di non disturbare i preti che cantilenavano le loro preghiere
latine,
mi arrampicai sul muro, utilizzando i vari intagli in oro come appoggi.
Sperai, vivamente, che nessuno di questi decidesse di cedere sotto il
mio peso.
Non era proprio il caso di scatenare l’ira cristiana contro
la Confraternita
per queste piccolezze.
Non che non fossimo già un fastidio, per loro.
Arrivato all’ultimo intaglio, saltai su un lampadario con
così tanta leggiadria
che questo si mosse appena, e la vidi rannicchiata di spalle sulla
trave più
vicina al lampadario, così zelante in quello che faceva, che
non si era nemmeno
accorta di me. O forse mi stava semplicemente ignorando.
- Sabah el kheer, Waqi₄- sussurrai,
atterrando alle sue spalle sulla trave di
legno, dove armeggiava loscamente con la lama, ormai era evidente, da
quando
ero entrato nella chiesa.
Ebbe un piccolo sobbalzo, confermandomi che tanto era concentrata che
non mi
aveva sentito arrivare, per poi girarsi di scatto con la lama tratta.
Non
appena mi vide, la sua espressione divenne uno miscuglio tra il
sollievo e
l’infastidito -Ya
ilahi,
Altaïr, ya
ilahi! Dove accidenti sei stato fino ad
ora? Tigî
lak muSîba₅,
mi
hai spaventato a morte e avresti potuto rovinare tutto il mio lavoro
–
ruggì in silenzio, rivolgendomi un’occhiata
avvelenata, poi tornò a occuparsi
del “suo lavoro”, ignorandomi.
A quanto pare era lo sguardo che più spesso riuscivo a farmi
rivolgere.
Ormai potevo descrivere quell’espressione a memoria: La
piccola fossetta che le
si formava tra le sopracciglia corrugate, le guance leggermente gonfie,
a causa
delle labbra strette con forza.
La luce degli occhi poi… Sembrava che ci fosse un bagliore
diverso per ogni
emozione.
Era incredibile! Forse un pittore non sarebbe mai riuscito a catturarne
l’intera essenza.
Tirai un sospiro e decisi di assecondarla, solo per il momento, tanto
avevo
capito l’inutilità di fare discussione con lei, i
nostri caratteri erano troppo
simili, con la sola differenza che io non sempre riuscivo a mantenere
la mia
posizione, a causa dei suoi stupidi, maledettissimi, ingannevoli,
meravigliosi occhi.
E perché sapeva sempre come ribattere. Come se cogliesse
sempre la falla nei
miei ragionamenti. Forse riusciva a leggermi nel pensiero. Una
motivazione decisamente meno penosa per me.
-Aasef₆…
Perché siamo qui?-.
La sentii ridacchiare,
poi finalmente staccò una tavola di legno dalla
trave, sotto la quale spuntava un ingranaggio di metallo impolverato e
leggermente corroso dal tempo, dalla ravvisabile forma del simbolo
degli
Assassini. Era una leva?
Si sentii solo un
piccolo crack, ma nessuno sotto si insospettì o
notò
qualcosa.
-I Templari... A
quanto pare si vedranno qui a breve. Loro hanno un’entrata
sul
retro che da su una scala, la stanza è giù sulla
sinistra, in
quell’intercapedine che ti ho mostrato nel disegno.
L’hai trovato, vero?
Comunque i miei informatori mi hanno rivelato che esiste un resistenza-
parlò
sottovoce, mentre guardava verso i preti.
Dato che aveva
tirato in ballo l’argomento, pensai di chiederle come fosse
riuscita a fare... quell’incisione.... ma sapevo bene che la
missione veniva
prima, e che era importante scambiarsi tutte le informazioni, prima di
andare ad
ascoltare la riunione Templare, per poter carpire meglio ciò
che si dicevano.
-Sì,
anche io ho avuto contatti con la resistenza, abbiamo un appuntamento
con
loro all’alba, al mercato vecchio- raccontai, facendola
ghignare –Non vedo
l’ora- e mi chiese che altro avessi scoperto.
Stavo appunto per
raccontarle del manoscritto, quando sentimmo il suono acuto e
ridondante delle campane, che annunciavano l’arrivo della
sera e, visto che i
preti si alzarono tutti in contemporanea, anche della chiusura della
chiesa.
I religiosi si
avvicinarono al maestoso portone e, con l’aiuto di alcune
staffe
di ferro, lo tirarono, finché con un tonfo sordo molto
potente, si chiuse del
tutto.
-E’
il momento, stanno per ritirarsi nei dormitori, dall’altra
parte dell’edificio!-
esultò Vega sorridendo, sembrava si pregustasse qualcosa di
meraviglioso.
Alzò
la mano a mezz'aria tra noi, con sempre quell'espressione gioiosa sul
volto. La guardai perplesso.
-Andiamo, amico- fece lei, basita - Non hai mai dato il cinque a
nessuno? Ma ti capita mai di intrattenere relazioni umane?- rise -Non
puoi mica fare solo il macellaio!-.
Prese il mio braccio e fece scontrare le nostre mani aperte
in aria. Non fu niente di speciale.
-A che pro?- la mia foce era un misto tra derisione e
perplessità.
-E' un festteggiamento! Accipicchia, sei fatto di pietra?!- mi
scimmiottò lei., mettendosi scherzosamente le mani nei
capelli.
A me venne da ridere per il paradosso... Ero sempre stato io a pensare
che lei fosse di pietra,
e ora la cosa mi si ritorceva contro,
Mi concessi di
sorridere con lei – Ora se hai finito di aggiornarmi su
quanto sia bello il mondo esterno, potremo attivare il
meccanismo…?- mi fermai
all’improvviso, chiedendomi il perché non sapessi
nulla di quel marchingegno
degli Assassini, mentre lei sì.
–Vega,
come facevi a sapere che gli Assassini avevano posizionato un
meccanismo
qui?-.
Lei si
girò verso di me, con un’espressione di
nonchalance alquanto sospetta – Infatti
non lo sapevo!- confessò, sedendo a cavalcioni sulla trave
visto che i preti
erano ormai del tutto spariti -E’ stato una specie di intuito
a portarmi qui.
Sai, più o meno quello che ti aiuta a riconoscere i posti
dove nasconderti o
più o meno lo stesso che ti aiuta a carpire le intenzioni
della persona con cui
stai parlando- e strizzò l’occhio come un gesto di
intesa, una mossa che mi
spiazzò.
Vega era molto
poco convenzionale, tralasciando ciò che mi aveva fatto
intendere sul potere che condividevamo. Era così spigliata,
allegra, senza
timore di esprimersi, anche con un uomo, cosa che a quel tempo era
quasi
impossibile da vedere, cristiani, arabi o ebrei che si fosse.
Era una donna
forte e consapevole del suo potere.
- Il tuo deve
essere più che un intuito: Sembri sapere molto su di me, su
tutti-
dissi sorridendo leggermente, ormai ci stavo prendendo la mano nella
gestione
di tutte quelle sensazioni positive che scatenava in me. –Ma
non chiedi mai
nulla...-
-Non sono
abituata a domandare perché tendo a sapere molto di
chiunque, anche
senza volerlo- mi rispose con una scrollata di spalle, come se non
volesse dare
importanza alla questione, anche se era palese quanta ne avesse!
Non comprendevo
il vero motivo di quella sua falsa dichiarazione di noncuranza.
Ah, le donne!
Decisi comunque
di non insistere, quel giorno ero così preso da lei, che
quasi
non mi importava più della missione.
Sapevo benissimo che sbagliavo, ma era più
forte di me. Come un richiamo...
Stronzate.
Sembravo un novizio.
E la cosa mi
infastidiva anche parecchio, ma Vega era come una droga.
Mi faceva perdere
completamente il senso delle cose, delle priorità, le cose
importanti.
E, come ogni droga, per quanto dolce e fantastico il suo effetto
allucinogeno,
portava solo danni.
Le stavo dando
troppa importanza e la conoscevo da una settimana.
Ebbi paura di
perdere ancora la fiducia del Vecchio e il rispetto che avevo
faticosamente riguadagnato in quei ultimi mesi di espiazione. Avevo
troppo da
perdere e ignoravo cosa avrei potuto guadagnare.
Lei
tirò il meccanismo e una serie di rumori sinistri
cominciarono a provenire
dai muri.
Erano chiaramente
gli ingranaggi che avrebbero aperto il passaggio segreto, il
buco, la scala, il qualsiasi cosa fosse che ci avrebbe portato alla
riunione
Templare.
Dal soffitto si
aprì una botola e ne uscì fuori, ad una
velocità quasi
spaventosa un’asta di ferro, che ne reggeva
un’altra orizzontale, e ancora prima
di vedere il resto, capì che gli Assassini che avevano
costruito quel
meccanismo, l’avevano costruito seriamente a prova di
Assassino.
Non appena
l’ultima sbarra uscì lateralmente da un muro con
un cigolio
raccapricciante, una parte di muro a cui era accostata una piattaforma
di marmo
bianco lucido, si mosse appena, indicandoci che li sì
trovava l’entrata
segreta.
Sentii i muscoli
tendersi per l’eccitazione, mi piaceva la corsa acrobatica e
questo percorso si prospettava particolarmente intricato.
-Pronto?- disse
lei, protendendosi dalla trave, con un ghigno.
Evidentemente
l’idea di una corsetta non dispiaceva neanche a lei.
–Devo dirti
che in Cina era difficile trovare percorsi di questo tipo!- e si
lanciò nel
vuoto, aggrappandosi fermamente all’asse.
Si
dondolò rapidamente e saltò atterrando in piedi
su un lampadario. Si voltò a
guardarmi con espressione indecifrabile, come se si fosse appena
ricordata che
fossi lì con lei, poi sorrise –Gli Assassini non
erano abbastanza radicati lì
da costruire certe cose-.
La
seguì anche io, flettendomi sulle ginocchia e spiccai il mio
balzo.
Il mio cuore ebbe
un piccolo tonfo nonostante l’abitudine, e la solita emozione
di poter fare tutto mi attraversò dalla testa ai piedi.
Il panorama
attorno a me correva veloce, ma l’adrenalina lo faceva
scorrere
davanti ai miei occhi con una lentezza serafica, da poterne cogliere
ogni
minimo dettaglio.
Allungai le
braccia per afferrare l’asse e non appena le mie mani
strinsero con
forza, i muscoli mi si contrassero per l’improvviso peso che
dovettero
sostenere.
Ma non faceva
male. Era tutto così naturale, così facile, non
aveva fatto che
questo nella vita.
Al Mualim teneva
particolarmente al nostro addestramento fisico, così ancor
prima di essere iniziato, dovevi allenarti.
Feci leva sui
miei arti superiori per issarmi quel tanto che bastava e diedi
una spinta con i reni per iniziare a dondolare.
Uno... due...
tre... E saltai, atterrando accanto alla mia collaboratrice.
Erano passati non
più di cinque secondi.
-Cina?- chiesi,
era la prima volta che si esponeva direttamente senza che fossi
io a domandare.
-Cina-
confermò –Una missione di colonizzazione, chiamala
così-. si lanciò
verso il muro, dove dei mattoni erano venuti fuori, creando una
sequenza per
arrampicarsi.
Quando si
aggrappò a due sporgenze, l’impatto fu talmente
forte che pensai se
le fosse rotte.
-Hai sentito
parlare del manoscritto di Di Sable? Io non ho scoperto
granché,
mi dispiace- sembrava quasi che mi incalzasse a raccontare.
Aveva anche lei
qualche notizia o, grazie al suo “intuito”
speciale, l’aveva
scoperto da me?
Forse voleva
farmene palare a voce per non mettermi a disagio.
La raggiunsi sul
muro e continuammo a salire insieme –Sì, Roberto
è in possesso
di un documento molto antico, dove pare ci siano scritte molte
informazioni su
tutta la Terra Santa e su tutti i suoi segreti. E’ probabile
che abbia appreso
da lì l’esistenza del tempio e della seconda Mela.
Non mi stupirei se avesse
scoperto la collocazione del Tempio di Salomone dallo stesso documento-
borbottai, saltando all’indietro su un lampadario.
Vega mi
guardò un po’ dubbiosa – Il tempio di
Salomone? Cielo, mi sono persa un
sacco di missioni divertenti! Quanto tempo fa è successo? Tu
eri in quella
missione? Con chi?- dopo avermi rifilato tutta quella sequela di
domande, prese
a saltare da un lampadario all’altro, stando attenta a non
prendere le candele.
E provai un
immenso sollievo: Non era a conoscenza di quella tormentosa
vicenda.
Ignorava la morte
di Kadar e la mia punizione.
Forse era per questo che in Vega
non avevo mai riscontrato quella fastidiosa ombra che vedevo negli
occhi anche
delle persone che mi avevano perdonato: l’ombra del dubbio,
dello scherno, del
timore.
Per lei, io ero
solo Altaïr, con i miei
pregi, i miei difetti e quei punti del mio carattere che la divertivano
o la
irritavano. Non avevo nessun passato con lei.
Per questo mi
sentivo bene in sua presenza e non avevo intenzione di rinunciare
a questo toccasana morale, oltre che alla sua compagnia.
Vega
però non si meritava una così grande omissione:
Decisi di raccontarle la vicenda, omettendo qualche dettaglio
pericoloso, magari sarei stato fortunato e non avrebbe avuto la minima
idea di
chi fossero i miei compagni all’epoca:
-Sì,
è passato un anno, credo. In missione con me avevo Malik e
Kadar Al-Sayf.
Dovevamo recuperare il primo Frutto dell’Eden
dall’Arca della Vita- raccontai
cercando di mantenere un tono tranquillo.
Poggiai il piede
sull’ultimo lampadario, vedendola già vicina al
passaggio
segreto in marmo, che mi aspettava: dovevo solo saltare
sull’asta.
Proprio mentre le
mie mani avevano appena fatto presa sul tubo, avrei voluto
lasciare la presa e sfracellarmi al suolo: -Davvero conosci Malik e
Kadar? Sono
anche miei amici, da quando eravamo bambini. Sono tornata da dieci
giorni, non
ho avuto proprio il tempo di andare a cercarli! Ho solo saputo che
Malik è a
Gerusalemme!- sorrise, radiosa –Oh, Malik è stato
un fratello maggiore per me, mentre
Kadar ha la mia età, ed è il mio migliore amico.
Anche se da piccoli, e anche
prima che partissi- rise al pensiero di quello che stava per
raccontarmi -mi ha
sempre detto che ci saremmo sposati non appena fossi tornata!
Chissà dopo tutti
questi anni cosa ne pensa? Magari ha già una moglie- mentre
lei rideva, il mio
cuore sprofondava sempre più nelle tenebre.
Non ero stato fortunato.
Toccava a me, all’Assassino di Kadar, dirle che era
morto.
Che non ci
sarebbe stato nessun matrimonio. Che Malik non l’avrebbe
più
abbracciata forte come fanno tutti i fratelli, perché aveva
perso un braccio.
A
causa mia.
Quanto poteva
contare il perdono di Malik ai suoi occhi?
Non appena le fui accanto, avrei tanto voluto confessarle la
verità, dirle che
era stata la mia arroganza ad uccidere il suo migliore amico. Che
avrebbe
dovuto odiarmi.
Ma compii il
secondo atto più egoista della mia vita, dopo quello che
rovinò la
famiglia Al-Sayf nel tempio di Salomone:
Tenni la
benevolenza di Vega ancora per me.
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Capitolo 9 *** 8. Telling me those lies... ***
Buon pomeriggio, lettori!
Eccomi tornata! Questo è il secondo capitolo cruciale!
Assisteremo alla performance da bugiardo del nostro bel mentore!
Come al solito ringrazio Illiana, O n i c e, Werepapers e Tony Stark
per le bellissime e commoventi recensioni, e i lettori silenziosi che
seguono, preferiscono e ricordano la storia!
Oggi non ho granché da dire, ci vediamo sotto con le note!
Salute e pace!
Cass
8. Telling those lies...
Non
ne abbiamo mai parlato, ma la colpa è stata solo mia
Ti
telefonerei per dirti che mi dispiace, non vorrei farti perdere tempo.
E
non posso approfittarne ancora.
Ma
non riesco a descrivere lo sguardo che pervade i tuoi occhi
Sai,
forse potremmo riprovarci, in futuro..
Come quando tu continuavi a dirmi tutte quelle bugie?
Phil Collins- Do
you Remember?₁
Fu
difficile scegliere le parole.
-Mi
dispiace, ma purtroppo Kadar perse la vita in quella missione: I
Templari ci attaccarono improvvisamente... non riuscì a
salvarsi, era ancora un combattente acerbo. Mi dispiace darti
così crudelmente la notizia- vidi i suoi occhi
cristallizzarsi, e il suo respiro azzerarsi.
Mi guardava,
ma era come se fossi trasparente.
Come
se non fossi io la persona che avrebbe voluto vedere.
Non so se
sarebbe stato peggio vederla piangere o sorbirmi un fiume in piena di
insulti e rabbia.
-Tu...
davvero, non preoccuparti... E’ morto come aveva sempre
sperato: Da eroe.- fece un sospiro e si strinse la testa fra le mani
–Grazie per avermelo detto, comunque. Sarebbe stato terribile
piombare da Malik e chiedere di...-sospirò ancora, come se
le costasse pronunciare il suo nome -.... di lui, costringerlo a
rivivere la vicenda. Crudele, spaventoso. Tashakor₂, Altaïr!-
alzò i suoi occhi lucidi pieni di gratitudine su di me, mi
si inceppò il cervello, oltre che il cuore.
Voglio
morire.
-Vega io...- dille, dille la verità! –Capisco il
tuo dolore, ma dobbiamo andare- sospirai.
Verme. Verme
schifoso.
Vega prese dei bei respiro congiunse le mani vicino al petto, poi, annuendo,
cominciò a spostare il blocco di pietra che bloccava
l'entrata –Giusto, non possiamo perdere neanche una parola-.
Mi sostituii a lei nel spingere, lasciandole la possibilità
di asciugarsi una lacrima solitaria che le rigava la guancia.
L’intercapedine era stretta, umida e per nulla illuminata ma,
almeno per quest’ultimo problema, c’era il mio
occhio dell’aquila a rimediare. Vega credeva, o
meglio sapeva inspiegabilmente, che avremmo dovuto continuare sempre
dritto fino a che non avessimo visto una luce, quella che proveniva
dalla fessura o grata da cui avremmo assistito alla riunione templare.
Così
lei si era posizionata dietro di me, si era irrigidita per un secondo e
aveva stretto la mano attorno al mio braccio, rilassandosi poco dopo.
E io con lei.
Avevo capito
che avere contatti con me le provocava qualcosa, ancora non sapevo
cosa, ma non era un bene, specie quando ti porta a precipitare da un
palazzo.
Ma sapevo
benissimo che il motivo per cui aveva rischiato, oltre alla versione
ufficiale che lei mi aveva dato (ovvero quella che non voleva perdermi
e che non avrebbe saputo come muoversi altrimenti), era che aveva
bisogno di un po’ di conforto, di un appiglio, di un
po’ di calore umano.
Ancora non sapevo cosa avrei fatto quando avrebbe scoperto la
verità, perché era inutile sperare che restasse
all’oscuro della vicenda. Soprattutto, sarebbe stato inutile
sperarci quando Malik, ridendo della versione dei fatti che Vega aveva,
avrebbe raccontato di quanto fossi stato egoista, avventato e accecato
dall’arroganza all’epoca.
Anche se poi Malik mi avesse difeso, dicendole che ero cambiato
radicalmente, restava l’ averle mentito.
Stavo
vendendo la mia integrità per del tempo. E quanto tempo poi?
Qualche mese?
Solo per
poter stare con qualcuno senza, finalmente, sentir il peso delle mie
colpe passate sulle spalle?
Cercando di sbattere il meno possibile i piedi, camminavamo molto
vicini e più ci spostavamo, più la pendenza
aumentava: In basso a sinistra, come nel disegno. Ancora una volta
Vega ci aveva visto giusto.
Neanche dopo
cinque minuti, una luce fioca apparve all’orizzonte e vaghi
rumori di sedie e voci arrivano alle mie orecchie. Vega fece pressione
sul mio braccio, capii immediatamente che mi stesse chiedendo di
accelerare, quasi come se mi avesse parlato nella testa.
Camminando
in punta di piedi, in meno di un minuto raggiungemmo una fetida grata
finemente intrecciata, con disegni così minuziosi, che
diventava quasi impossibile vedere da una parte all’altra.
Però ci permetteva di ascoltare. E quello importava.
Era
posizionata sul soffitto rispetto alla stanza. Un stanza che era
spoglia, per gli standard dei Templari:
Illuminati fiocamente dalle candele appese ai muri di pietra cruda,
quasi corrosa dall’umidità, c’erano un
tavolo di legno massiccio dipinto di falso oro che cominciava a
scrostarsi, sedie della stessa fantasia, con cuscini rossi, poi carte,
mappe, rotoli di pergamene sparsi ovunque.
Non riuscivo
a vedere altro, la vista non era solo limitata dalle decorazioni della
botola, ma anche dallo stretto spazio che offriva.
-Che il
padre della conoscenza ci guidi- dissero in coro, e si sentii il rumore
distinto di sedie che strisciavano sul pavimento. Vega mimò
il numero sette con le mani, perplessa.
Perplesso
ero io della precisazione.
-Allora
manca Di Sable- sussurrai. Annuì, e lo capì
soltanto dal fruscio del cappuccio: cercavo di non distogliere lo
sguardo dalla stanza, per cogliere qualche dettaglio in più.
Avevo capito
che l’udito di Vega era molto più fine del mio, ma
io avevo quel senso in più, che potenziava la mia
vista, come un animale.
Come
un’aquila.
-Roberto si
scusa dell’assenza. Affari... importanti.... sembrano averlo
trattenuto a Damasco- l’uomo che aveva parlato aveva una voce
grinzosa, molle, come chi non parla se non per adulare.
-Il Tempio?-
fece un secondo uomo, in tono speranzoso.
Io e Vega,
in simultanea, ci sporgemmo verso la grata, smaniosi di conoscere la
risposta. Le nostre mani si incrociarono, per terra. Nonostante questo,
non ci muovemmo di un millimetro.
-Sembra di
no... Riccardo lo sta pressando molto. Ma ci fa sapere di essere
convinto che sia qui, ad `Akkā. Dice di dover pensare oltre il
significato principale di “Tempio”, crede che ci
troviamo di fronte a qualcosa di più immateriale, sfuggente.
Personalmente, avendo letto il manoscritto, sono d’accordo
con lui- presi nota dell’importanza che quest’uomo
doveva avere, lo individuai con l’occhio
dell’Aquila, in futuro sarebbe stato utile.
-Credo sia
il braccio destro di Di Sable. Riesci a vederlo bene in faccia? Se ha
letto il manoscritto potremmo... avvicinarlo- sussurrò Vega,
guardandomi. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Annuii
semplicemente, ancora a disagio per la piccola scossa che
quel piccolo contatto con la sua mano mi stava provocando. Mi sembrava
di... entrare in contatto con lei molto più profondamente.
-Qualcosa
come? Un uomo? Una setta? Un fiume? Non ha fatto alcun passo in
avanti?- sibilò furioso una terza persona, evidentemente la
personalità pragmatica di quel manipolo di Templari.
-Dobbiamo
sbrigarci a trovare il frutto... – continuò- Mi
è arrivata voce di alcuni pareri negativi nei nostri
confronti da parte dei sovrani... Hanno proposto al papa di disgregarci₃, alla fine della
Crociata che, diciamocelo, non sta andando affatto bene. Dobbiamo
prestare attenzione, non possiamo farci cogliere impreparati-
batté un pugno sul tavolo, il rumore secco
rimbombò tremendamente tra le rudi pareti.
Un mormorio
di dissensi per quel gesto si levò dal tavolo.
-Sei forse
impazzito? Vuoi attirare gli Hashashīn direttamente qui? Vuoi invitarli
a prendere un po’ di chai e magari qualche kolcha₄?-
sussurrò l’uomo dalla voce melensa.
-Che homar₅! Non mi meraviglio
che le crociate stiano andando a rotoli se sono persone di tale calibro
a guidare gli eserciti... Figuratevi se mi stupisca che non si trovi
neanche un maledetto frutto dell’Eden!- disse una voce nuova,
con ironica asprezza.
- A tal
proposito... Cosa avrebbe questo frutto di speciale rispetto a quelli
di cui siamo già in possesso?-.
- Hai
presente il frutto che il fidāʾī riuscì a rubarci dal tempio
di Salomone?- tremai quando ripescarono quell’evento.
L’altro templare annuì veemente –
Ricordi la sua potenza? Controllare le menti, creare potenti illusioni
sensoriali... Ecco, questo frutto sembra essere pressoché
identico, se non più potente: E’ scritto che sia
capace di tutto, di essere anche indipendente dalle volontà
di chi lo possiede. Gli altri nostri frutti, sono... ecco, di serie B₆. Ci permettono di
conoscere verità, di ingannare la mente per poco, di
confonderla al più. Gli Hashashīn hanno quel
potente frutto dell’Eden, ma se noi entrassimo in possesso di
questo gioiellino, nulla potrà fermarci!- un coro di risate
caparbie alla prospettiva di tale futuro si levò
dai presenti, agghiacciandomi sul posto. Anche Vega era immobile.
-Possibile
che siano così... arroganti? Che credano davvero di poter
sottomettere la volontà di ogni uomo e donna su questo
pianeta?- il sussurro della mia compagna era intriso di ribrezzo e
spavento, ma anche di genuina sorpresa.
-Sì,
non hanno scrupoli- le risposi di rimando –A loro discolpa va
detto che lo fanno per “un bene superiore”, credono
davvero in quello che fanno. E, tranne una disgustosa parte di loro, lo
fanno perché credono davvero di poter rendere la vita
migliore- scossi la testa.
Se lei
avesse sentito le confessioni delle mie vittime, sono sicuro che la
penserebbe come me... Lei è sveglia.
I Templari
continuarono a immaginare il momento in avrebbero controllato ogni
mente di questo pianeta, con discorsi osceni su quanto la
libertà fosse il madornale errore compiuto dalla natura.
Nonostante
sentisse queste parole, Vega si trovò d’accordo
con me –Sì, lo credo anche io-.
-Come mai ci
siamo visti qui e non in un luogo più... consono?- chiese
qualcuno, rabbrividendo per l’umidità.
Bofonchiando qualcosa sulle nostre maledette interferenze, un
uomo rispose che era stato per assicurarsi di non essere uditi dai
sicari degli Assassini.
-Sono
riusciti ad infiltrarsi?- continuò, spaventato.
- Hanno
provato a superare le guardie per giorni, ma oggi, tranne un paio di
morti, non c’è stato il più assoluto
rumore. Quindi sì, sono riusciti a perforare le difese. A
volte, il silenzio che li rende tanto potenti, li rende facilmente
individuabili. A meno che non vogliamo pensare che abbiano rinunciato-
e rise di questa ipotesi –Credo solo che gireranno a vuoto
per un po’-.
Vega si
portò una mano alle labbra per trattenere un risolino. Io
ghignai in silenzio.
-Perché
Roberto crede che la Mela sia qui?-.
L’uomo
che aveva letto il manoscritto rimase zitto per un secondo, cercando le
parole giuste per spiegare l’intuizione del Gran Maestro
Templare – Ha sentito parlare di alcuni uomini dai forti
poteri nelle leggende Cirenaiche. Li ha collegati ai discendenti dei
Precursori. Non sembrano essercene molti. Ma Acri è una
città... dove se ne parla molto. Conoscere bene queste
leggendo sarebbe un grande passo in avanti, ma i pomposi nobili di cui
ci siamo circondati ne hanno solo vagamente sentito parlare. Si sa, le
leggende proliferano nei bassifondi... inutile dirvi quanto sia
difficile interagire con la popolazione media. La Resistenza... -.
-Sì,
lo sappiamo. Feccia.- commentò qualcuno.
-Quindi da
qui in poi, dobbiamo adoperarci a ricavare informazioni su queste
leggende e possibilmente, gettarsi alla ricerca di uomini dai
particolari... poteri-.
Io e Vega ci
scambiammo uno sguardo... Particolari poteri? I nostri potevano essere
considerati tali?
Tutti
annuirono, si parlò di stilare un verbale da inviare a Di
Sable che fu subito messo per iscritto e firmato da tutti i presenti.
Un uomo
grassoccio, allarmato, strillò –E come lo
porteremo al Maestro? E se venisse intercettato? Saremmo spacciati!
Tutti immischiati! La forca!!!- agitava le braccia isterico come una
donnicciola di basso livello, finché qualcuno non gli
mollò uno schiaffo tanto potente da farlo cadere a terra.
-Siamo
stupidi come cavalli, secondo te? Cassim ha già ricevuto
istruzioni, verrà qui tra breve tempo, quando saremo tutti
opportunamente lontani e si incamminerà personalmente verso
Damasco-.
Per poco
Vega non esultò a voce alta.
-Andiamo via
ora, altrimenti dovrai seriamente preoccuparti della tua
incolumità!- e, dopo ossequiosi saluti, si dileguarono,
lasciando il verbale sul tavolo, ad attendere un uomo che non sarebbe
mai arrivato.
Risi sommessamente delle fortuna capitataci.
Aspettammo
qualche minuto per avere la certezza che si fossero allontanati, poi
Vega sfondò la grata con un calcio.
-Sei una stupida- dissi e quell’orribile pezzo di metallo
crollò sul pavimento, con un rombo infernale -Ti rendi conto di
cosa hai fatto? E se qualcun’altro dovrà spiare da
qui? E non passo nemmeno con la grazia di Allah da questo buco!- mi
ritenni soddisfatto del serafico ammonimento della mia voce. Avrei
fatto così con chiunque altro: dovevo smettere di farmi
influenzare da lei.
Vega
sbuffò – E’ ovvio che ci ho pensato, mi
credi così idiota? O è solo perché
sono una donna e agisco liberamente? E, anche se fosse, ci passo
tranquillamente io da questo buco!- gridò, avvicinando il
suo volto al mio, con aria di sfida. La carta della discriminazione era
davvero sleale.
E allora
giochiamo in maniera sleale.
-Quando
rispondi così, ti bacerei. Devi ammetterlo: sarebbe un
interessante modo di farti stare zitta-.
Rimase
spiazzata della mia risposta, ma questa sembrò innescare
un’esplosione -E’... solo perché sono
una ragazza?- il suo tono si alzò - Mi fai schifo,
Altaïr... Se fossi un uomo faresti a pugni con me, vero?
Guarda che ti anniento lo stesso! Avanti, vuoi provare?- ma
la sua voce aveva perso vigore: era spezzata, flebile, il cappuccio mi
celava la sua faccia, e debolmente cercò di tirarmi un
pugno.
Fu facile
bloccarle il polso con una mano. Sapevo che qualcosa non andava.
E sapevo
anche perché.
Il primo
singhiozzo che le scosse le spalle fu solo un’inutile
conferma.
Continuando
a tenere salda la presa sul suo polso destro, la tirai vicino a me con
un piccolo strattone.
Avevo scelto
il momento peggiore per allontanarla. La beffa dopo il danno.
Non sapevo
bene cosa stessi facendo, perché l’avessi
avvicinata, perché la consolassi invece di restare al mio
posto. La bugia che le avevo propinato mi privava di ogni diritto.
Ma ero
spinto da un impulso del tutto naturale. Nessun gesto convenzionale.
Nessuna premeditazione.
Era il senso
di colpa. Il senso di colpa e qualcos’altro... Il dolore.
Quello comune.
Le scostai
il cappuccio dalla faccia e lo stesso feci al mio. Era importante che
mi guardasse, per ricordarle che
ero umano, come lei.
Che non compativo la sua sofferenza, ma che la capivo.
Vega
piangeva, scuotendo la testa, cercava di trattenere i singhiozzi
più forti.
-Vega...
– la chiamai piano. Non rispose. Continuava a scuotere la
testa, guardando per terra.
Le presi il
mento con le dita, sussurrando il suo nome, feci forza
finché il suo viso non fu davanti al mio.
Sentii il
mio cuore sprofondare.
Grosse
lacrime scivolavano giù dai suoi occhioni verdi, umidi e
disperati.
Le guance
erano rosse, si morse le labbra con i denti, per trattenersi ancora.
Fu il mio
turno di scuotere la testa. –Non sei meno Assassina se
piangi. Specie se per la morte di qualcuno che... ami- sospirai,
neanche per me era facile parlare della morte del giovane
Kadar –E
soprattutto, non ti rendi meno coraggiosa o forte ai miei occhi,
anzi... Credo tu sia la persona più forte che io abbia il
piacere di conoscere- ed ero dannatamente sincero.
A quel
punto, esplose.
-Kadar!- il
suo urlo era straziante –Kadar! Perché? Kadar!
KADAR!-.
Si
aggrappava spasmodicamente alle mie spalle, come se cercasse di non
scivolare in un burrone. Infilò la testa
all’incavo del mio collo, con la faccia rivolta verso
l’esterno, le ciocche rosse mi solleticavano la pelle del
collo e le sue lacrime, scivolavano dalla spalliera per finire poi a
bagnarmi la tunica.
-Perché,
Altaïr? Perché lui...?- Non riuscì a
finire la frase. Pianse ancora, singhiozzando, strinse più
forte la presa, come se avesse bisogno di una prova che fossi
lì, che non fosse sola.
Nella mia
mente, la frase poteva avere un solo esito:
“Perché
lui... e non tu?”.
E sentii
anch’io il bisogno di averla con me. Come se averla accanto
in quello stato, vivere non solo con la colpa di aver ucciso un
fratello, ma anche un amore, fosse la mia vera espiazione.
Ricambiando
la presa, le infilai una mano tra i capelli, strinsi anche
lì, e inspirai forte.
Vega
profumava di buono. Di spezie dolci. Di cannella. E qualcosa di
più.
-Mi dispiace
Waqi, mi dispiace tanto...- sussurrai. Lei pianse ancora.
Non seppi
fare altro che quello: Abbracciarla e tenerla saldamente legata a me.
Fu il
Jahannam e il Janna₇ messi insieme.
Averla tra le braccia così, aperta, fragile, sincera....
peccato che le mie membra fossero sporche del sangue per cui piangeva.
Era colpa
mia. Era tutta colpa mia. E averle mentito, per poi consolarla, mi
stava logorando l’anima.
Ma lo feci:
Continuai a struggermi ogni volta che urlava il suo nome.
Perché
lui... e non tu?
1) Phil Collins, a mio
parere, è davvero un mago con le parole! Diciamo che i
Genesis hanno sfornato due cantanti con i controfiocchi (l'altro
è Peter Gabriel). Molto bene, inutile dilungarsi sul
perché della canzone: Bugie, omissioni, senso di colpa...
Descrivono le emozioni di Altair in piena regola! Mi soffermerei,
invece, sull'ultima frase, che ho volutamente staccata dalla canzone,
anche se ne fa parte: Quella prendetela come una parte che esprime i
pensieri di Vega! Se riflettete sul suo potere, dopo aver letto il
capitolo, capirete perché quella frase tanto aspra! :D
2) Vuol
dire: Grazie! (Ringrazio
l'appendice di Khaled Hosseini nel "Cacciatore di Aquiloni" per i
termini arabi che troverete in questo capitolo)
3) Piccolo
excursus sulla fine dell'Ordine Templare: Come dissi già in
una precedente nota, la Terza Crociata non fu, sebbene con tante armi e
uomini, una delle più brillanti per i Cristiani, e
già dall'epoca i Templari cominciarono ad "alzare un po' la
cresta", così il papa Gregorio VIII, che aveva indetto la
crociata, si lamentò molto del loro operato, anche se, in
quanto "Cavalieri di Dio", non pensò mai di
debellarli. Per la fine definitiva dobbiamo aspettare il re
francese Filippo Il Bello che, indispettito appunto dalle ricchezze e
dalla completa non-curanza che i Templari avevano verso le istituioni,
fomentati dalla lotta tra potere temporale e spirituale, attraverso un
duro processo durato due anni, decostituì definitivamente
l'Ordine, nel 1314.
4) Kolcha e
chai: I kolcha sono dei biscotti fatti in casa, il chai invece
è il tipico the nero bevuto nelle zone arabe.
5) Homar:
Sarebbe il nostro "asino" nel senso cattivo del termine, siate liberi
di pensarlo come "idiota" e quant'altro!
6) Ecco,
mi rendo conto che "Di serie B" possa essere un po' troppo attuale come
modo di dire, ma ho pensato a ciò che disse Lucy a Desmond
nel gioco, ovvero che l'Animus oltre a tradurre la lingua in maniera
letterale, la rendeva anche più moderna! Quindi mi sono
presa la libertà di rendere anche il mio animus
così avanzato xD
7) Janna: Come
credo si evinca, è il Paradiso islamico, che calza proprio a
pennello con Assassin's Creed secondo me, perché il termine
Janna viene dall'espressione ebraica che indica il Giardino dell'Eden.
Come funziona il Paradiso? Dopo la morte, l'anima verrà
visitata da due angeli, Munkar e Nakir, e verrà sottoposta
ad una specie di interrogatorio che verificherà la sua fede.
Una volta fatto ciò, se risulterà credente, nel
giorno del giudizio universale, salirà al paradiso,
altrimenti resterà per sempre nella tomba (che è
una prigione morale).
Allah può anche decidere di far accedere al paradiso un uomo
di una religione diversa, se questi lo meritasse.
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Capitolo 10 *** 9. Digging in the Dirt (Parte 1) ***
Buon
pomeriggio, lettori!
Scusate il piccolo ritardo, ma sono davvero oberata di qualsiasi tipo
di impegno possa esistere su questa Terra!
Efp, "I'm with you" e voi siete il mio rifugio felice, ora come ora.
Dunque, capitolo non lunghissimo (perché frutto di una
separazione) ma sufficientemente intenso. Ancora mi occupo un po' di
Altair, ma dal prossimo capitolo la voce di Vega si farà
sentire più forte che mai.
Ringrazio come sempre Illiana, O n i c e, Werepapers, Yukiko_Kitamura
per le fantastiche recensioni e tutti i lettori silenziosi che seguono,
ricordano e preferiscono la storia!
Ci vediamo sotto per le note!!
Buona lettura!
Cass
9. Digging In
The Dirt(Parte 1)
Qualcosa
in me, qualcosa di oscuro e pericoloso,
sta diventando sempre più pesante.
Non c'è modo in cui affrontare questo sentimento,
e non posso andare avanti così ancora a lungo.
Sto scavando nella sporcizia...
per trovare il posto in cui ti ho fatto male.
Peter Gabriel - Digging in the
dirt₁
Avanzamento
rapido ad un
ricordo più recente.
Avevo
svolto, nel mercato vecchio di Acri, molte missioni da quando ero
diventato un fida’i, ma non avevo mai avuto il piacere di
venirci all’alba.
La piazzetta
circolare era delimitata da piccole botteghe e bancarelle coperte
ancora da teli bianchi, le strade di pietra scura erano appena
scivolose, bagnate dell’umidità della notte, nella
fontana centrale due piccoli uccelli cinguettavano, schizzando appena
l’acqua con le ali.
A parte loro, io
e Vega eravamo gli unici esseri viventi in zona.
-Forse il tuo
amico non è riuscito a svegliarsi- commentò
piattamente Vega.
Se avesse usato
il suo solito tono allegro, avrei potuto ridere di quella scherzosa
ipotesi.
Ma non
c’era stata nessuna inflessione scherzosa.
Forse avrei
perfino preferito una voce disperata, fioca, con una nota triste ben
percepibile...
E invece
c’era il
nulla.
Non
c’era nessuna emozione, nessun tono, nessuna espressione
facciale, non aveva gesticolato, non sorrideva, non piangeva.
Era vuota.
Ieri sera aveva
continuato a piangere per qualche altro minuto, mi aveva stretto, a
volte quasi con rabbia, mi aveva conficcato le unghie nella braccia, si
era protesa con la faccia verso il mio collo, provocandomi brividi per
le lacrime fredde, mugugnava alle mie carezze.
Ma poi aveva
smesso.
Così,
all’improvviso. Come se non le avessi mai detto nulla.
Si
allontanò piano da me, mettendomi le mani sulle spalle e
spingendo.
Poi mi aveva
guardato... E quasi mi sembrò che sapesse tutto.
-Mi è
sembrato un tipo affidabile- fu tutto quello che riuscii a rispondere,
girandomi appena verso di lei, che si era andata ad accomodare su una
bancarella, le gambe che penzolavano.
-Se lo dici
tu...- fece spallucce, ma il viso restò fermo, gli occhi
impassibili.
Evitai di
sospirare per non farle notare il mio disagio: Era evidente che quello
fosse il suo modo di reagire alla notizia e di schermirsi dal dolore,
non potevo di certo fargliene una colpa.
Il tassello che
aveva causato quell’effetto domino incessante non ero io,
alla fine?
Se
non fossi stato così arrogante, se
Kadar non fosse morto, se Malik
non avesse perso un braccio e un fratello, se non
avessi perso la fiducia dell'Ordine, Al Mualim non l'avrebbe richiamata
dalla Cina per assistermi e probabilmente, quando fosse tornata,
avrebbe semplicemente coronato la sua vita con il giovane Assassino...
Ma era successo. Vega era qui, con me e non con Kadar.
Quasi mi disgustai per quella piccolissima parte di me che gioiva della
possibilità di averla conosciuta, nonostante tutto. Come se
in qualche modo tutto fosse successo solo per arrivare a lei...
Scossi la testa
per cacciare quei pensieri funesti e per distrarmi, presi dalla
bisaccia la pergamena rubata ai templari per studiarla.
Nuovamente.
Non avevo fatto altro in quella notte insonne.
Avevo studiato
ogni parola, tradotto i francesismi che mi
sfuggivano, cercando, tra i documenti del Rafiq, quali tra i
nomi scritti potesse essere l’uomo che aveva letto il
manoscritto, il “braccio destro” di Di Sable.
Alcune
descrizioni fisiche e caratteriali, nonché
l’elevato rango templare, mi avevano portato ad Armand
Bouchart₂, stanziato a Cipro.
Ma era stato
inevitabile pensare a Vega prima, dopo e durante quelle ricerche.
Alla Dimora
eravamo arrivati piano, senza cappucci indossati. Camminavamo
tranquillamente per le strade, come se non fossimo che due cittadini
nottambuli, contavamo sulla scarsa luce della notte per non farci
individuare.
Gli arcieri
templari non erano granché efficaci, una gran parte di loro
sonnecchiava, seduta sui tetti o appoggiata ad una qualche parete, gli
altri parlavano tra di loro; i soldati a terra erano o molto ubriachi o
“impegnati” con donne in qualche vicolo.
Fu, in tutti i
sensi, una passeggiata.
Forse, in
un’altra situazione, sarebbe stato persino piacevole
passeggiare con Vega, parlare con lei delle futili cose di cui gli
amici parlano. Magari mi avrebbe detto della Cina. Io le
avrei raccontato aneddoti buffi sul Al Mualim o di quando ero un
giovane adepto.
Ma non
c’era stata nessuna chiacchiera.
Non
c’era stato niente.
Entrati nella
dimora, sempre senza rivolgere una parola né a me
né al Rafiq, Vega si era diretta nell’altra stanza
e si sentirono i piccoli tonfi della spada che veniva poggiata a terra,
del cinturone che, appena slacciato, cadeva inerme...
Bastò
un mio sguardo affinché il Rafiq capisse tutto, mi
guardò con compassione, scuotendo il capo, come se si fosse
aspettato questo momento.
Il breve fruscio della veste che Vega si toglieva era più
assordante di qualsiasi altro rumore, perché qualcosa non
andava, perché quella non era lei.
Perché
quando Vega si spogliava era rumorosa: lanciava gli avambracci da un
lato e la spada corta dall’altro, si sfilava gli stivali con
i talloni, zampettando per la stanza in maniera ridicola, faceva cadere
la spada direttamente dal fianco, incurante del tonfo.
Ma lei non c’era. Non c’era niente.
-Il Rafiq mi ha detto che
hai svolto delle ricerche. Scoperto qualcosa di utile?- chiese senza
inflessione, solo l’urgenza di finire quella missione
sembrava costringerla a parlarmi.
Poggiò
il mento sulle mani congiunte, in attesa.
-Sì-
risposi laconico –L’uomo che ha letto il
manoscritto... credo si tratti di Armand Bouchart, inferiore di grado
solo a Di Sable-. Non dissi null’altro, appoggiando la
schiena alla parete, stringendo le labbra. Non mi sentivo di
voler davvero tentare di abbattere quel muro che aveva eretto
fra me e lei, o forse tra lei e il mondo.
Non potevo
“disperarmi” ulteriormente: Il danno era fatto e
quel piccolo dramma si sarebbe concluso definitivamente quando Vega
avesse scoperto la verità, inutile cercare di farla stare
meglio per poi rigettarla nell’abisso.
Meglio mantenere
le distanze. Inutile rischiare.
All’improvviso,
allo sbocco di un vicolo, cominciarono a distinguersi due sagome
distinte camminare verso di noi, anche Vega le scorse e, scendendo con
un balzo dalla bancarella, si avvicinò a me.
Da quella visione
mi sentii quasi tradito -Ha portato rinforzi?- sibilai, pronto ad una
eventuale imboscata. La mia mano corse immediatamente
all’elsa della spada, mi guardai intorno.
-Avevi detto che
ci sarebbe stato un secondo Assassino con te, forse ha ritenuto giusto
portare anche lui un compagno- mormorò Vega con tono piatto,
la cosa non le importava, ma era comunque in posizione
d’attacco.
Dalla postura, sembrava preferire la spada corta.
La guardai
perplesso –Quando ti ho detto...?- la mia voce era
stralunata, non le avevo raccontato i dettagli della mia conversazione
con Abbas... come poteva saperlo?!
Il suo potere era
così... ingiusto!
Si morse le
labbra per la gaffe, stirando le guance rosse per
l’imbarazzo, e fu forse il primo gesto umano che vidi da
parte sue dalla sera precedente.
Fu tanto stupido
e intenso il modo in cui mi sentii sollevato che stavo quasi per
dirglielo ad alta voce, ma lei non mi prestava più
attenzione: Si sollevò dalla posizione
d’attacco, gli occhi attentissimi puntati saldamente sulla
coppia che arrivava.
-E’...
la sua famiglia!- la sua voce finalmente si ammorbidii.
Mi girai verso il
vicolo e vidi Abbas, il grande arco sulla schiena, che scortava
circospetto una bellissima fanciulla dai capelli scuri, con in mano un
fagottino di bende azzurre.
Sì, la
sua famiglia.
Ero indeciso se
avere uno sguardo di ammonimento per l’imprudenza da lui
compiuta o lasciarmi prendere dalla tenera visione di quel trio.
Quando ci furono
vicini, sicuramente avevo optato per la prima faccia.
-Ti domando
scusa, fidāʾī!- disse il giovane,
sempre circospetto –Ma anche loro vengono con noi alla base!-
e rivolse uno sguardo amorevole alla donna.
Solo ora che lo
notavo, la ragazza vestiva maschile e, come Abbas, aveva
l’arco e la faretra sulle spalle, oltre alla piccola spada
(sicuramente leggera) che le pendeva al fianco.
Certo, mi dissi,
una Resistenza comprende tutti i cittadini. Guardai la mia compagna di
sfuggita.
Lei
tirò giù il cappuccio con una mano, mostrando un
timido sorriso alla giovane madre, forse per rassicurarla o forse
perché Vega non camuffava i sentimenti, anzi, li valorizzava.
Ovviamente,
mostrò così di essere una donna, Abbas
rimase stupito, ma neanche tanto –Non sapevo che anche gli
Assassini... Sarai una macchina da guerra!- esclamò e, come
se conoscesse Vega da secoli, le aveva dato del tu.
Lei non
sembrò offesa, anzi, scoppiò a ridere, ma era
solo un’eco lontana della sua vera risata squillante,
cristallina, per me fu angosciante sentirla ridere a quel modo. La
sentii morta.
La
mia Vega era morta.
-Te ne
darò dimostrazione sul campo, spero aiutandoti, Abbas- fece
un piccolo inchino che suscito l’ilarità della
coppia.
- Siete
bellissima, Sayyidàt₃, Abbas
è un uomo fortunato, oltre ad un promettente guerriero-
dissi io, a quel punto.
Abbas e la sua
consorte si scambiarono uno sguardo addolorato e subito mi pentii di
aver parlato: perché se Vega faceva la gentile andava tutto
bene e se invece ci provavo andava tutto storto?! Era una maledizione!
La donna,
prendendo meglio il fagottino, guardò sia me che
Waqi prima di parlare –La mia storia e quella di Abbas sono
strettamente collegate ma anche complicate!- sospirò
– Ma credo sia meglio parlarne alle base! Tutti sono in
fermento per la vostra apparizione!-.
Al segno
affermativo di entrambi, cominciarono a muoversi, a noi non
restò che seguirli.
Non appena si
ritrovò accanto a me, Vega tornò immediatamente
vuota.
Avanzamento
rapido ad un ricordo più recente.
La base della Resistenza era un’insieme di stanze e corridoi
sotterranei, illuminati da fiaccole appese alle pareti.
Abbas
ci spiegò che gli uomini che erano venuti tre generazioni
prima di lui, le avevano trovate per caso, per il crollo di un
pavimento, e nello stato che ancora oggi avevano.
Avevano
ipotizzato che fosse una delle prime stratificazioni di Acri, anche
perché sulle pareti vi erano ogni tipo di affreschi, forme
geometriche, linee che si incastravano l’un l’altra
fino a formare incomprensibili disegni, intagliati con una tale
precisione che non potevano che far pensare che la zona prima fosse
abitata.
Era diventata la
loro base (e la loro casa) da quando i Templari avevano dato fuoco alla
maggior parte delle case del distretto povero.
-Ci arrangiamo
come possiamo- disse la donna –Ma di certo, ora come ora, non
c’è posto più sicuro di questo per il
popolo- la sua voce era davvero intensa e profonda, aveva un che di
ammagliante. Era una voce di una donna adulta, possente e sensuale.
Si percepiva
chiaramente la differenza tra quella voce e quella di Waqi, molto
più infantile, squillante, limpida.
Come lei.
Man mano che
percorrevamo i vicoletti di quella città sotterranea, una
brusio di voci si faceva sempre più insistente, avvertendoci
che la parte abitata era sempre più vicina.
-Come fate ad
approvvigionarvi?- chiese Vega, portandosi vicina alla donna, con
evidente curiosità nella voce.
-La maggior parte
di noi ha ancora di cui lavorare- spiegò Abbas –
Manovali, contadini... con quel che guadagniamo compriamo tutto per
tutti, per il resto abbiamo colture di sussistenza! Le donne troppo
anziane cucinano e ci tessono vestiti, tutti gli altri sono addestrati
a combattere- ghignò, come se pensasse a qualcosa che lo
rendesse fiero –Abbiamo un esperto in materia che ci
insegna...-.
-Bashir,
suppongo- lo interruppe Vega, già con un sorrisetto sulle
labbra, per la reazione prevedibile dei due, che si girarono sorpresi
verso di lei.
-Come...?-bofonchiò
confusa la donna, portandosi una mano alla bocca, il ragazzo invece era
immobile come una statua, con un’espressione inebetita sul
volto -Siete ovunque!-.
Vega
alzò le mani –Lo conosco personalmente, nulla di
più- e mi lanciò un’occhiata di
sottecchi, non capì bene se per dirmi che davvero non aveva
usato il suo potere o per intimarmi di tacere su quest’ultimo.
Riprendemmo a
camminare, con passo affrettato.
Avanzamento rapido ad un ricordo
più recente.
1) Questa
fantastica canzone descrive e descriverà anche nel prossimo
capitolo i sentimenti dei nostri protagonisti, questa prima parte
è dedicata ad Altair.
La cosa oscura e pericolosa che lo opprime è ovviamente il
senso di colpa, costante ormai dei suoi pensieri e non riesce a
scendere a patti con quello che ha fatto, e se mai avete fatto qualcosa
di sbagliato, sapete quanto possa essere difficile sopportare la
propria colpa... Specie poi se siete orgogliosi come lui!
Questo sarà il moto che lo farà avvicinare a Vega
più di prima, perché inconsapevolmente,
cercherà di farsi perdonare, inutile che si racconti balle
ciniche sul fatto che non voglia risolvere con lei!
2) Armand Bouchart = Se
avete giocato ad "Assassin's Creed: Bloodlines" saprete già
chi è costui, ma non volendo fare spoiler o annoiarvi con
una ripetizione del gioco, vi dirò della persona storica!
Nel 1192 Armand fu stanziato a Cipro dallo stesso Di Sable che,
chiamato a combattere con il grande dell'esercito in Terrasanta,
lasciò lui una manipolo di circa trenta
soldati. Che si comportarono un po' come i famosi Trenta
Tiranni Spartani... spadroneggiavano ovunque, maltrattavano i Ciprioti
e per questo inosorse.
I Templari fecero strage, ma subirono comunque ingenti danni: Bouchart
allora scrisse a Di Sable che, per l'utilità dell'isola, era
inutile continuare ad occuparsene, ma se invece avesse davvero voluto
che restassero lì, avrebbe dovuto mandargli altri uomini.
Si decise così di vendere l'isola a Guido di Lusignano e da
qui potremmo ricollegarci a Bloodlines, e all'archivio templare che
viene pian piano svuotato.
3) Sayyidàt= Vuol dire donna, nel
senso di Signora, diciamo con rispetto!
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Capitolo 11 *** 10. Digging in The Dirt (Parte 2) ***
Capitolo 10 Im with you
Buon pomeriggio, lettori!
Come state? Spero che almeno voi stiate bene, perché io sono
in piena "crisi esistenziale" ahahahahah!
Credo che tutti i protagonisti, anche quelli marginali, ne
risentiranno...
Ma passiamo alle cose serie:
Questo capitolo è incentrato molto sulla resistenza e poco,
ma intensamente, sul primo "avvicinamento" tra Vega e Altair.
Nonostante quello che mi ero ripromessa, Altair (da bravo prepotente
qual è) ha nuovamente invaso il campo, ma Vega, con poche
frasi,
lancia messaggi chiarissimi.
Eppure credo che la citazione
spieghi bene i suoi pensieri, ma nel caso non basti, ho provveduto con
qualche noticina! ;)
Come di consueto ringrazio Illiana, O n i c e, Werepapers e i lettori
silenziosi che seguono, ricordano e preferiscono la storia!
Buona lettura
Cass
10.
Digging In the Dirt (parte 2)
Questa volta hai esagerato e te l’ho
detto.
Io so quello che sei!
Non dire niente e non voltarti... Dico davvero.
Ma sto scavando nella sporcizia...
Resta con me, ho bisogno di supporto.
Sto scavando nella sporcizia...
Per trovare il posto in cui mi hai fatto male.
Per trovare il posto in cui ci siamo
fatti male.
Peter
Gabriel – Digging in the Dirt₁
-
Sabah
el kheer₂,
Pel di Carota. Sembrano passati anni...- esordì un tale,
sarcasticamente, alzando
le braccia al cielo quando vide me e Vega avanzare con i cappucci
abbassati che lasciavano
la nostra identità alla mercé di chiunque.
Rimasi stupito dell'epiteto, ma nascosi bene quel sentimento. Waqi
aveva già esplicitato che
conosceva qualcuno all’interno della resistenza, eppure mi
ero aspettato
qualcosa di più amichevole.
C’era una nota astiosa repressa a fatica nel tono
dell’uomo, una nota che
sapeva di un antico e insanabile risentimento, una nota irosa che
risuonava
anche nell’espressione della ragazza.
-E’ perché ne sono passati davvero parecchi,
Bashir. Spero che il tuo cervello
sia cresciuto quanto il tuo corpo!- rispose Vega, fintamente bonaria,
poggiandosi una mano sulla guancia con fare contemplativo –
Non mi deludere!-
finì, ghignando.
Bashir scoppiò in una risata tuonante per le parole
dell’Assassina, poi
finalmente degno anche me di attenzioni. Sembrò ancora
più sarcasticamente
sorpreso –Non mi dire che quello è il Cocco di Al
Mualim?!- rise ancora –Altaïr!
Non ti ricordi?-.
Il mio mutismo parlò per me.
Vega si girò a guardarmi, stupita, come se avesse collegato
solo ora dei pezzi
importanti di un puzzle che ancore le sfuggivano, poi si morse il
labbro, come
per l’imbarazzo di avermi nuovamente degnato di attenzioni.
-Pare di no- concluse Bashir per il sottoscritto. La cosa non
sembrò sfiorarlo,
batté le mani vicino al petto, per chiudere quel discorso, e
riprese un tono
vagamente più tranquillo –Parliamo di cose
interessanti. Cosa vi porta qui ad Acri,
Assassini?-.
Abbas si fece avanti, la donna invece si era ritirata in
un’altra stanza col
bambino, e illustrò come lo avevo salvato e che proponevamo
un accordo per la
cacciata dei Templari.
Bashir soppesò ogni parola del giovane, alternando brevi ma
intense occhiate
nei nostri confronti a piccoli sospiri rassegnati. Sembrava non voler
impicciarsi con gli Assassini, ma evidentemente riconosceva quanto
aiuto
avremmo portato alla sua causa... D’altronde, se davvero
conosceva l’Ordine,
sapeva che potevamo essere i migliori alleati del mondo
finché gli interessi
coincidevano.
Incrociai le braccia al petto, con un ghigno sardonico sul volto, per
evidenziare quanto importanti fossimo.
Vega alzò gli occhi al cielo, schioccando la lingua, per
farmi intendere quanto
quel mio pavoneggiarmi la infastidisse, e si infilò una mano
trai capelli, più
che per sistemarli, per scompigliarli. Le guance ancora rosse.
Come sempre, non riuscii a spiegarmi il perché dei suoi
gesti, delle sue
espressioni, dei suoi imbarazzi...
-E’ così, dunque?- chiese Bashir, distraendomi
dalle mie elucubrazioni –So che
i Templari non brillano per virtù, specie agli occhi degli
Assassini, ma ora
sono relativamente tranquilli. Cosa vuole davvero il Vecchio?₃-
ghignò.
Camminò verso di noi, una mano al mento, per assumere una
posa pensierosa, e la
cosa mi fece imbestialire.
Ogni suo gesto sputava tracotanza e pienezza di sé, il passo
lento e lungo, le
spalle dritte e il mento alzato, gli occhi assottigliati e quel
sopracciglio alzato...
- Al Mualim non sarà un problema- disse lei soltanto, fece
spallucce, con una
convincente espressione di nonchalance –Non dobbiamo
necessariamente raccontare
tutto. Saremo... rispettosi!- mi guardò storto, per
spingermi a sostenerla.
Riportai il mio sguardo su Bashir e assunsi un tono freddo e calcolato,
una
persona del genere andava un po’ tramortita – Se il
vostro obiettivo è ancora la
cacciata dei Templari, coincide perfettamente col nostro e
all’Ordine non
servono altre motivazioni- mi avvicinai di un passo, lo sovrastavo di
qualche
centimetro –Se gli Assassini non faranno domande, non vedo
perché ne debba fare
tu...- toccai la mia spada con un dito –
D’altronde, i soldati qui mi sembrano già
tutti molto preparati, se non vorrai il nostro aiuto, non
sarà una grande
perdita per nessuno la tua... chiamiamola
“assenza”. Non trovi che il discorso
fili alla perfezione?-.
Bashir si sforzò di non abbassare lo sguardo anzi,
continuò a sostenerlo con
sfida, ma il suo pomo d’Adamo era sobbalzato, evidente che la
mia minaccia era andata
a buon termine.
Gli feci un bieco sorriso –Sarà un piacere
lavorare con te- conclusi, visto il
suo prolungato silenzio e tornai al fianco di Vega che a stento si
tratteneva
dal battere le mani per la mia performance.
Fui contento che, almeno sul
lavoro, ci fosse ancora sintonia.
Bashir ci invitò in una saletta adiacente a quella in cui ci
trovavamo, dove
vigeva solitario un tavolo basso e una quantità
considerevole di cuscini
colorati: la stanza profumava di incensi e di oppiacei, oltre che delle
tipiche
pietanze speziate arabe.
Intuii che fosse una sala per le riunioni strategiche.
Iniziazione
Imprint Mnemonico₄
-Aspettatemi
qui, vado a
chiamare gli altri- enunciò rigido Bashir prima di uscire
dalla porta dalla
quale eravamo appena entrati.
Vega non se ne curò più di tanto, si guardava
intorno, curiosa, tastando la
morbidezza dei cuscini, inspirando profondamente per riconoscere bene
ogni elemento
di quella mistura di sapori, poi poggiò l’indice
su un muro dove erano presenti
gli stessi disegni geometrici del corridoio che ci aveva condotto fin
qui: Seguì
perfettamente la linea fino al centro di un cerchio, e un rapidissimo
raggio azzurro
ripercorse il percorso da lei tracciato.
La strattonai via prima che il bagliore la raggiungesse, ma la luce si
spense
immediatamente, come se l’assenza di contatto
l’avesse fatta morire; Vega si
girò stranita verso di me –Che cosa...?-
mormorò, cercando nei miei occhi una
risposta, ma la mia espressione (e la mia perplessità) erano
eco delle sue.
-Dovrei essere io a farti questa domanda!- la rimproverai cautamente
–Sai,
ancora non ho dimenticato il disegno della Cattedrale, o il tuo
svenimento o
perché certe volte sai meglio di me i fatti
miei...- aggrottai le sopracciglia, stringendo le labbra.
Ancora le tenevo
stretto il braccio, la stoffa della tunica era leggerissima e sembrava
quasi di
toccare direttamente la sua pelle.
La sensazione più
immediata fu una: Era fredda.
Era un dettaglio in netto contrasto con ogni aspetto di Vega: il suo
focoso
carattere, i capelli ramati, le guance spesso rosse... Ma la pelle di Vega era
fredda. Come se fosse
di porcellana.
Il secondo dettaglio fu la compresenza di tonicità e
morbidezza: Che i suoi
muscoli fossero pronunciati non era una sorpresa, d’altronde
il duro
allenamento da Assassino l’aveva ricevuto anche lei. La vera
sorpresa era che
questa possente muscolatura non l’aveva privata della morbida
rotondità tipica
delle ragazze della sua... Beh, in realtà non sapevo quanti
anni avesse, ma, ai
miei occhi, era una ragazzina.
Fortunatamente ignara dei miei pensieri, si morse ancora il labbro,
come sempre
faceva quando era imbarazzata e io, per qualche motivo ancora oscuro,
la trovai
irresistibile, come quando faceva qualsiasi
cosa.
-Altaïr, quelle sono
cose spiegabili...
Ma questo...- scosse la testa, ancora incredula rispetto a
ciò che era appena
successo –Perché non provi anche tu?-.
La guardai stranito, ma lei prontamente mi fece notare che anche io
avevo le
mie stranezze e che dovevamo anche iniziare a preoccuparci dei
discendenti di “Coloro
che vennero prima”, come i Templari avevano detto.
-Sul serio credi che si tratti di noi?- annaspai istericamente,
l’ipotesi mi
avrebbe divertito, in un altro contesto, ma quello che sapevo fare non
poteva
essere considerato “normale” –Aaah, non
rispondere nemmeno- borbottai e, dopo
averle (finalmente, dedussi dalla sua espressione) lasciato il braccio,
strisciai anche il mio dito sulla linea dove precedentemente
l’aveva fatto lei.
Accadde la stessa identica cosa.
-Altro che prima stratificazione di Acri, questa struttura risale a...
chissà
quanti anni fa e apparteneva a loro!-
affermò lei, strabiliata –Chissà a cosa
serviva...-.
Io ero decisamente troppo sconvolto per dire alcunché,
infatti ringraziai
mentalmente qualsiasi dio ci fosse lassù, per
l’arrivo di Bashir e dei suoi
uomini.
Vega mi toccò il braccio, guardandomi perentoria “Ne riparliamo, sai?”.
Non mi sorpresi nemmeno di aver constatato che poteva anche
parlarmi nella
testa.
C’era, a questo punto, qualcosa che Waqi non sapesse fare?
-Bene, Hashashīn,
prima di mettervi al
corrente dei nostri piani, mi sembra giusto capire cosa ci
costerà il vostro
aiuto- Bashir cominciò così la riunione. Mi
guardai intorno, con lui erano
arrivati altri cinque uomini, tra cui Abbas, e tutti erano ancora
storditi e
disattenti, come se fossero stati svegliati bruscamente.
Considerando che eravamo in piena alba, poteva davvero essere
così.
-Non vogliamo ricompense monetarie o condividere i bottini che
conseguiranno
alle battaglie- esordii io, dissipando qualsiasi preoccupazione avesse
colto
Bashir.
- Vogliamo che voi siate le nostre orecchie, che possiate darci
informazioni su
Di Sable e su un certo documento di cui è in possesso-
continuò Vega che,
seduta su un cuscino accanto a me, con le braccia incrociate, si era
rialzata
il cappuccio non appena erano entrati gli altri.
La sua voce sembrò attirare l’attenzione di tutti.
Alcuni si scambiarono
discrete gomitate, altri sguardi divertiti, e quasi tutti cercarono di
scorgere
il viso della giovane Assassina.
Capii perché Vega si fosse coperta il volto. Infastidivano
addirittura me gli
sguardi indiscreti che rivolgevano a quel poco di viso che era visibile
o, e
questo mi mandava ancora più in bestia, al suo corpo.
Lanciai uno sguardo minaccioso a tutti e dal mio petto uscì
un rumore
gutturale, simile ad un ringhio, che rimise i quattro a loro posto.
Abbas mi lanciò una piccola occhiata di scuse mentre Bashir
semplicemente glissò
su tutta questa pantomima e questo me lo fece apprezzare profondamente.
- Possibile? Solitamente non avete bisogno di aiuto in queste cose.
Siete
ovunque!- ed ecco un altro che metteva in evidenza la stranezze di Al
Mualim.
Scossi la testa –Siamo un po’ carenti di...
personale- fu tutti quello che
dissi, parve accettare quella mezza spiegazione.
-Ah e vorremmo che ci informaste un po’ riguardo certe
leggende che circolano
ad Acri e che ci lasciate condurre studi su questo posto!- intervenne
Vega –Non
vi disturberemo, però solitamente siamo a conoscenza di
gallerie e sotterranei.
E sono sicura che non sarete più costretti a vivere qui dopo
che ci saremo
occupati dei Templari, quindi non userete più questo posto-
si sporse appena
per mostrare un sorriso rassicurante. Fu inevitabile che una gran parte
di viso
fosse esposta.
Di nuovo, quegli animali si guardarono l’un
l’altro, facendo piccoli gesti di
apprezzamento e espressioni poco raccomandabili.
Tutti sussultarono, spaventati, al forte schiocco del mio pugno sul
tavolo,
anche Vega.
Ma lei era più stupita del fatto che l’avessi
difesa che del gesto stesso,
era evidente, ma ignorai il suo sguardo indagatore, percepibile anche
se
indossava il cappuccio.
-La vostra proposta è stranamente e improbabilmente
vantaggiosa, ma se c’è
qualcosa di positivo che si dice di voi, è che manteniate
sempre la parola data.
Per cui, accettiamo- esclamò Bashir, poi si girò
e prese da una bisaccia varie
pergamene e le dispose una accanto all’altra sul tavolo:
erano quattro fogli.
-Cosa sono?- mi anticipò la mia compagna, prendendone uno in
mano.
-Nonostante siamo addestrati e armati, sappiamo benissimo che sarebbe
impossibile
sconfiggere i Templari in uno scontro frontale. Così,
abbiamo deciso di creare
un piccolo stratagemma. La mappa che hai in mano rappresenta Acri e i
punti
segnati in rosso sono le uscite da qui che per ora conosciamo...-.
Vega condivise la visione del foglio con me –E’ una
struttura parecchio estesa,
ci sono sbocchi anche all’esterno della città!-
constatai.
Bashir annuì –E’ così che ci
muoviamo senza destare sospetti. E, a proposito
dello sbocco fuori città, da in una struttura molto grande,
ormai abbandonata
ma in stato accettabile. Abbiamo fatto credere ai Templari di essere
stanziati
lì- prese un secondo foglio e ce lo porse
–E’ una finta lettera che abbiamo
fatto intercettare da un Templare, un certo...-
-Cassim- lo rimbeccò qualcuno.
Io e Vega ci scambiammo uno sguardo.
-Sì, ecco- concordò –Cassim ha messo in
allerta l’Ordine Templare, ed è stato
elevato di rango. Era abbastanza prevedibile – prese un altro
foglio – Un
rapporto rubato proprio a lui, dove si parla dei preparativi dell’attacco che
si svolgerà da qui a due settimane-
concluse soddisfatto.
-Perché vuoi sfidarli apertamente? Hai appena detto...-
mormorò confusa Vega.
Bashir soppesò le parole, consapevole che il suo era un
piano rischioso –In realtà
contiamo molto sull’effetto sorpresa. Vogliamo alleggerire le
loro file e,
possibilmente in fretta, sferrare un attacco al loro forte. Non appena
avvenuto
ciò, le schiere di Salah ad-Din ne approfitteranno per
scacciarli
definitivamente- ci mostrò il foglio dove un capitano
dell’esercito del
Saladino informava delle loro intenzioni -Quindi? Che ve ne pare?-.
-Mi piace- esultò Vega.
- Ci sto- confermai.
Avanzamento
rapido ad ricordo più
recente.
-Sei il più bel mistero che
mi sia
mai capitato di dover risolvere...- dissi soffice, avvicinandomi a lei.
Vega era seduta, una gamba dentro e una fuori, sulla finestra della
nostra stanza nella struttura-trappola per
i Templari.
Bashir aveva stanziato qui i guerrieri più valorosi
perché era
sicuro che i Templari avrebbero mandato qualche sentinella a
controllare e abitare qui era fondamentale per salvare le apparenze.
Non sapevo bene perché la stessi stuzzicando: Sapevo che mi
piaceva
infastidirla (come avevo fatto per la questione del bacio nel vicolo),
mi
piaceva metterla in imbarazzo e vederla glissare raffinatamente sulla sua
timidezza,
mascherandola con quella pungente ironia; ma quello che non sapevo era
perché
lo stessi facendo in quel momento, dopo quello che le avevo fatto e
dopo che mi
ero ripromesso di essere coerente e di autopunirmi per
averle mentito.
Forse perché cercavo di espiare la mia colpa in un altro
modo, in un modo che
non fosse la separazione. Insomma, un modo che fosse meno doloroso per il sottoscritto:
Mostrandole
che sapevo essere diverso, mostrandole
che ero un uomo ben diverso.
O forse le restavo accanto perché ero egoista, un
maledetto ed avido
egoista.
Questa era l’ipotesi più accreditata,
poiché avevo mentito affinché lei rimanesse con me a tutti i costi,
perché avevo bisogno di
essere solo Altaïr,
e ci riuscivo solo specchiandomi in quei maledetti occhioni
verdi.
La volevo accanto perché io avevo bisogno di Vega,
in un modo bruciante e devastante, come se non ci
fosse che lei sola, nella mia esistenza.
Lei e i suoi piccoli gesti, lei e le sue espressioni, lei e i suoi
piccoli misteri, lei e i
suoi sorrisi, lei e le sue lacrime.
Come se mi avesse annientato, svuotato.
A quelle parole, Vega prese fuoco, in tutti i sensi.
Il volto assunse un preoccupante color cremisi, gli
occhi fiammeggiavano e il suo corpo quasi vibrava per la rabbia che le era esplosa
dentro,
il pugno stretto, che fremeva... che reclamava
la mia faccia.
La guardai con sguardo ammonitore –Ti sembra il momento per
una scazzottata?-
sussurrai suadente, alzando un sopracciglio, sempre con un mezzo ghigno
–Potresti
cadere e farti male- le ricordai.
La sua bocca si spalancò, per la sorpresa e per
l’ingiustizia; sembrava avere
voglia di sbattere i piedi per terra come una bambina – Vogliamo parlare della tua
tempistica?!- sussurrò soffocandosi per
la collera repressa.
Risi appena, ma lei riprese subito il controllo, guardandomi
stranamente, come
se mi vedesse per la prima volta o, meglio, come se avesse finalmente
recepito
le mie parole.
-Altaïr...- sussurrò, sembrò avvilita
–Io...- si interruppe di nuovo, lanciando
un sguardo fuori dalla finestra, le braccia le ricadevano ai fianchi,
come se
non avesse la forza di sostenerle –Io sono sempre sincera e
se mento, lo faccio
sempre a fin di bene- puntualizzò, la voce molto esile.
-Puoi fidarti di me?- la mia voleva essere un’affermazione,
perché volevo
aiutarla, perché era il minimo che potessi fare (inutile che
mi raccontassi
balle ciniche sul non voler risolvere le cose con lei₅), ma alla fine
era diventata una domanda.
Sapevo benissimo che ero stato egoista, e che continuare a stare con
lei senza
dirle la verità era un gesto ancora più egoista.
Sapevo che in lei c’era qualcosa che l’avrebbe
fatta scavare più in fondo anche
del sottoscritto.
- Io so quello che sei- rispose, sempre guardando il sole, che era
ancora una
palla dalla fioca luce in lontananza. Vidi la sua guancia tendersi,
come in un
sorriso.
Appunto.
1) Come vi
avevo anticipato,
sarebbe stata la stessa canzone che ha descritto la situazione di
Altair a descrivere quella di Vega. Sono sicura che qualcuno non
sarà soddisfatto della reazione di Vega che è....
diciamo.... pacata!
Vorrei fare due appunti:
- Come sempre mi avete ribasito nelle ultime recensioni, è
molto
probabile che Vega abbia visto ciò che davvero è
successo. Perfetto, potrebbe essere una delle possibili pieghe della
storia... Ma se avesse visto cosa davvero era successo quel giorno al
Tempio di Salamone, non è possibile che lei abbia visto
anche
quante sofferenze ha patito Altair e il suo cambiamento?
Io so quello che sei.
-
Però, come spesso vi ho ribadito io, Vega è
rispettosa,
MOLTO rispettosa degli altrui pensieri. E se semplicemente non avesse
visto nulla? Se ha preso la versione che Altair le ha fornito per
buona? E lo avesse allontanato solo perché è
distrutta? E
se, per reagire alla morte di Kadar avesse bisogno di conforto e Altair
è l'unico (materialmente) che può darglielo?
Resta
vicino a me, ho bisogno di supporto.
2) Sabah
el kheer :
E' un saluto arabo che corrisponde al nostro "Buongiorno". In
verità, non ero sicurissima di questa scelta, in quanto il
saluto più usato è Salâm
'al-leyykum,
specialmente se non ci si vede da molto o magari in incontri "formali"
e questo incontro risponde sicuramente ad entrambe le catgorie.
Mi permetto un
piccolo excursus su "Pel di Carota": Francamente non
ricordo bene l'origine di questo epiteto (lasciate stare il famoso
cartoon, pensavo ad una vera etimologia geografica) così mi
sono
presa la licenza poetica di inserirlo.
3)
Immagino
che siate curiose
di sapere come faccia questo Bashir a conoscere bene l'Ordine, Al
Mualim, Vega e lo stesso Altair (che invece non ne ha memoria). L'unico
indizio che posso lasciarvi è che sicuramente solo un
assassino
conosce davvero la Confraternita....
Ma non vi
lascerò scontente a lungo! Sto appunto per pubblicare il
secondo Missing moments sulla storia!
4)
Ecco,
non so se ve lo siate
mai chiesto, ma credo che l'Animus registrasse nel database solo gli
avvenimenti che interessavano l'Abstergo e non tutte le vicende che
servivano ad arrivarci: Ora, non mi è mai capitato di veder
scritto qualcosa tipo "Termine Imprint mnemonico" (anche
perché
è da un po' che non tocco AC) e quindi, in teoria da questo
punto in poi si registrano anche cose non utili all'Abstergo: Lo
preciso per non perdere attendibilità rispetto al gioco.
5) Se avete letto le mie
note
nel precedente capitolo, saprete già di chi è
questa
frase! Per chi non se lo ricordasse... E' mia! xD
Sappiamo tutti
che il nostro Mentore, sentimentalmente, è quel
tipo di persona che non dice mai nulla, ma che dimostra tutto (anche un
po' bruscamente) con i gesti. Lungi dal volermi allontanare da questo
carattere (anche se, effettivamente, lo sto facendo parlare abbastanza)
ho ipotizzato che, interiormente, lui non fosse molto consapevole di
ciò che provava.
Un po' per
sfiducia nei sentimenti umani (come ho già scritto in
un capitolo, i suoi trascorsi affettivi non sono dei più
rosei)
e un po' per sfiducia in sé stesso e sulla sua
capacità
di amare "normalmente" qualcuno.
Vega, invece,
è l'esatto opposto: A volte vorrebbe che la sua
bontà e voglia di amare sparisse, specie se poi la
porteranno a
stare insieme all'omicida di Kadar... Coff coff (Qui lo dico e qui lo
nego!)
|
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Capitolo 12 *** 11. Go Your Own Way ***
Buongiorno
lettori!
Scusate il ritardo, ma oggi sono largamente giustificata: Ieri ho
passato dieci ore in autobus per andare in Sicilia! Ho provato ad
aggiornare mentre ero sull'autobus, ma internet andava un po' alla
cacchio...
Così, eccomi! xD
Capitolo interessante, a mio parere, specie la parte finale... Oh,
è c'è una sorpresa per le mie accanite
recensitrici, Illiana e O n i c e! Spero vi piaccia^^
Il solito grazie a tutti voi che preferite, ricordate e seguite la
storia e a tutti i miei recensitori: Le due sopracitate e Werepapers e
Yukiko_Kitamura! Vi adoro!
Buona lettura
Cass
11.
Go your own way...
Amarti...
E' la cosa giusta da fare?
Se non lo fosse...
Come potrei cambiare i miei sentimenti?
Se potessi, forse
ti darei la mia vita.
Ma come posso donartela,
quando sei tu stessa a non volerla?
Fleetwood Mac- Go your own way₁
-Sembra che sia
nata per
fare questo, vero?-.
Guardai Bashir con un cipiglio sarcastico: Quell’affermazione
non me la sarei
mai aspettata da lui, specie nei confronti di Vega.
Era passata una settimana dal nostro ingresso nella struttura segreta
della
Resistenza e i giorni scorrevano, più o meno, tranquilli.
Abbas aveva proposto di integrarci nell’addestramento in
vista della battaglia,
dichiarando che avremmo potuto insegnare molto e, forse, imparare
qualcosa.
Vega si era mostrata entusiasta dell’idea, specie quando si
parlò di creare una
fitta schiera di arcieri per evitare ai Templari di avvicinarsi alla
struttura:
sembrava che non aspettasse altro e Abbas si era offerto per insegnarle.
Così si era esercitata con lui giorno e notte (Diceva che
era per esercitare la
vista e affinare l’udito. Avrei voluto fargli notare che
l’udito di Vega era
già decisamente esercitato), e provavano continuamente a
tirare dopo delle
schivate in netto stile Hashashin.
I risultati non erano sempre meravigliosi visto che, dopo una capriola,
Vega
aveva scoccato la freccia mancando di poco lo stesso Abbas, che era ben
lontano
dal bersaglio. Eppure non si erano scoraggiati, anzi, lui aveva riso e
lei,
dopo essersi coperta la bocca con le mani per il senso di colpa, lo
aveva
seguito.
Loro facevano così, ridevano e riprovavano.
Era l’allenamento più
bislacco a cui mi
ero mai trovato ad assistere, però non riuscii sempre a
seguire i loro
miglioramenti, visto che ero impegnato ad allenare i cittadini di Acri
nella
lotta corpo a corpo e con la spada.
Bashir mi scosse appena dal braccio, riportandomi coi piedi per terra,
aspettava ancora una risposta:
–E’
migliorata da quella volta in cui ha
quasi ucciso Abbas?-.
Rise –Direi
di sì: Saul e il suo
addestratore le hanno preparato un percorso, con
improvvisi attacchi... Sono state tolte le
punte alle frecce, in modo tale che non uccida nessuno! Abbas le ha
proposto di
essere la principale difensora della struttura e lei ha accettato-
aveva
parlato lentamente, senza distogliere lo sguardo da Vega e Abbas che
discutevano fittamente su che posizione di tiro assumere dopo la caduta.
-Prova a tenerlo così... Più vicino alla
guancia!- la esortava lui.
Vega lo guardava contrariata – Tendo la freccia fino alla
guancia quando tiro
da ferma! Non avrebbe senso. Secondo me dovremmo...- cose
così.
Inaspettatamente, quella decisione strategica mi sollevò e
irritò allo stesso
tempo: Se avessi chiesto io a Vega di restare nelle retrovie per non
incappare
in qualche pericolo, avrei scatenato un litigio infinito su quanto
fossi
maschilista e che non potevo in alcun
modo scegliere per lei o imporle di fare qualcosa.
Invece, erano bastate due moine di Abbas...
Per distrarmi da quei molesti pensieri pensai cosa potesse volere dal
sottoscritto l’uomo che mi era accanto. Bashir non si era
rapportato granché
con nessuno dei due, troppo impegnato a gestire la vita della
Resistenza,
l’arrivo delle scorte e la distribuzione monetaria, ma non si
era mostrato mai
“ostile” come aveva fatto il primo giorno, anzi...
Era stranamente disponibile.
Sorrisi sotto i baffi, le mie minacce avevano sortito il loro effetto.
Comunque, il fatto che fosse venuto così spontaneamente a
parlarmi era
quantomeno preoccupante ed era evidentemente troppo agitato per essere
venuto
qui solo ad elogiare la mia compagna.
-Qualcosa ti turba?- chiesi, con voce pacata, senza però
guardarlo. Non volevo
metterlo in soggezione.
Alzò gli occhi al cielo –Davvero non vi sfugge
nulla- borbottò, metà divertito,
metà irritato, ma a questo punto non credevo avrebbe negato
la vicenda.
- Se posso aiutarti...- incalzai.
Sospirò –Si tratta di Abbas, in realtà-
si appoggiò ad un albero con una
spalla, incrociando le braccia al petto – Credo che,
nonostante sia davvero molto votato
alla causa, non stia
passando tutto quel tempo con Vega solo per assicurare alla Resistenza
un’efficiente difesa- mosse la testa nella loro direzione,
come se
quell’immagine non fosse che una conferma alla sua tesi.
Una tesi che mi destabilizzò. Possibile che fossi stato
così cieco?
Deglutii a fatica –E la moglie? Il figlio appena nato?- disse
seccamente, ma se
fossi stato un altro uomo, avrei balbettato come un demente.
Bashir mi guardò stranito, non ricollegando quei ruoli a
nessuno delle sue
conoscenze –Abbas non è sposato e ancor meno ha
figli- dichiarò, confuso.
Il mio cuore sprofondò e sentii una rabbia omicida montarmi
dentro, se mi fossi
lasciato andare, nulla, neanche una montagna, mi avrebbe impedito di
afferrare
il giovane per i capelli e, dopo aver esposto la sua gola alla luce del
sole,
sgozzarlo con la mia lama. Forse avrei anche continuato ad infierire
sul corpo,
perché...
Perché?
-Tutto bene,
Assassino?- ridacchiò Bashir, forse accortosi che stavo
inconsciamente
saggiando il meccanismo della lama nascosta –Vega non mi
sembra il tipo che
tradisce, specie con i vostri trascorsi-.
Tanto ero infuriato che non volli nemmeno sapere a quali trascorsi si
stesse
riferendo - Non è la mia donna, Bashir- precisai,
assottigliando lo sguardo su
quei due che se la spassavano. Chissà cosa avevano da ridere
poi! –Waqi non è
esattamente il mio tipo. Spero che Abbas non decida davvero di
prenderla in
moglie, chi mai vorrebbe una tale rompiscatole
accanto per una vita??-.
Mi guardò intensamente –Credevo, beh, credevamo
tutti che voi due fosse una
coppia- dichiarò, con un tono divertito mal represso.
Iniziava ad innervosirmi.
Nonostante fosse palpabile la mia irritazione, Bashir se ne
curò a mala pena.
Si schiarì la voce– Sai Altair, era impossibile
non pensarlo, specie per me:
Tutto quell’agitarsi se altri maschi la guardavano, le
occhiate complici, le
lunghe chiacchierate, i gesti protettivi... -.
- Mi prendi in giro, vero?-.
Rise, con quella sua risata possente e tuonante, trattenendosi la
pancia.
L’idea di sgozzare anche lui oltre il giovane combattente si
faceva sempre più
interessante, direi quasi concreta.
- Sai cosa diciamo qui ad Acri ai tipi come te?- fece una pausa
d’effetto molto
teatrale – YuDahhak al-hagiar₂-.
Mi indignai – Attento a come parli...- sibilai, tagliente,
girandomi con il
busto verso di lui. Credo che nei miei occhi ci fosse qualcosa di
davvero
spaventoso perché, nonostante non avesse cancellato quel
ghigno sardonico del
cazzo dalla sua faccia, aveva involontariamente fatto un passo indietro.
Ghignando un po’ istericamente alzò le mani al
cielo –Non essere così adîm
al- luTf₃. Se non avessi
ragione, non ti saresti agitato tanto-.
Lo ignorai bellamente, tornando a guardare Vega. Proprio in quel
momento, dopo
aver fatto una capriola da un muro all’altro, atterrata
saldamente su un
cornicione, scoccava una freccia dritta nel petto di un uomo spuntato
dal nulla
alla sua sinistra.
Esultò, sollevando l’arco in aria: Evidentemente
aveva colpito tutti i suoi
avversari.
-Avete fatto un ottima scelta! Nessun Templare riuscirà ad
avvicinarsi alla
struttura- dichiarai, la voce piatta e incolore –Per quel che
concerne il
rapporto tra quei due, non sono affari miei- e lo lasciai lì.
Era
già ora di pranzo quando tornai alla Base: Avevo visitato le
campagne
circostanti per kilometri ma non era stato difficile recuperare la
strada per
tornare ad uno degli ingressi della base, grazie all’Occhio
dell’Aquila₄,
che mi aveva aiutato anche a districarmi tra i vari vicoletti della
struttura sotterranea, ma anche un invitante profumo di carne, mista a
menta e
sugo mi aveva guidato tra i corridoi. Evidentemente oggi erano previsti
i mantu₅, un piatto che
adoravo.
Arrivai nella grande sala dove da qualche giorno, con quasi altre cento
persone, condividevo i pasti. Vega non c’era, ne tantomeno
intravidi Abbas.
Figurati...
Fahad e Ramir, due dei miei allievi in combattimento, mi fecero segno
con le
braccia per invitarmi a sedere con loro. Stavo quasi per declinare, non
essendo
decisamente dell’umore per chiacchierare, quando mi accorsi
che, proprio dietro
i due ragazzi, c’era la donna che avevo creduto moglie di
Abbas.
Arrivato a questo punto, volevo capire che rapporto legasse i due
giovani,
inutile chiedermi se fosse per semplice attitudine ad indagare o per
quel fastidio che
l’amicizia tra Waqi e il
ragazzo mi procurava.
- Salâm- dissi
con un sorriso stentato,
sedendomi in quel gruppetto –Tutto bene?-.
La donna, forse riconoscendo la mia voce, si girò verso di
me –Oh, sei il fidāʾī-
sorrise,
aveva il bambino in
braccio, che però dormiva – Tutto bene, grazie.
Spero che la tua giornata sia
stata gradevole-.
“Troppo tardi per le speranze, non lo è
stata per niente” Avrei
voluto risponderle, ma preferii mantenere un
dignitoso finto sorriso e annuire.
-Ancora non conosco il tuo nome- Feci notare, mentre prendevo la mia
porzione
di mantu. Aspettai che fosse servita anche lei prima di mangiare.
- Mi chiamo Illiana e lei è Onice₆-
sfodero un secondo sorriso, prima di guardare amorevolmente la bambina,
che
ancora placidamente dormiva.
Fu quasi
istintivo paragonare il suo sorriso, così sensuale, dalle
labbra piene
e rosse, con quello di Vega, divertente e solare, la chiare labbra
piccoline
che scomparivano appena.
Mi sentii male fisicamente quando
scoprii di preferire la genuina immaturità di Vega alla
sensualità che ogni
gesto di quella donna esprimeva.
Mi facevo pena.
-Due splendidi
nomi- decisi di ingraziarmela con qualche vezzo – Il mio nome
è
Altair Ibn La’Ahad-. Mangiai un piccolo involtino, subito
seguito da lei e,
dopo varie quisquilie sull’ottima cottura e scelta degli
ingredienti,
finalmente trovai il modo in cui porgerle la fatidica domanda.
-Non ti dispiace
che Abbas non possa dedicare tanto tempo a sua figlia?- il mio
tono sembrava sinceramente curioso e preoccupato.
Lei fece un
sorriso di circostanza –Oh, credo che tu abbia frainteso.
Abbas non
è il padre di Onice... E’ mio nasîb, il
fratello più piccolo di mio marito. Purtroppo
lui è morto mentre ero ancora gravida, Abbas si prende cura
di noi
instancabilmente da allora!- sospirò, evidentissima la nota
di dolore nella sua
voce –E’ davvero un grand’uomo-concluse,
con uno sguardo orgoglioso più avvezzo
ad una madre che ad una cognata.
Nonostante
l’ammirazione per la scelta di Abbas, non mi sentii per nulla
sollevato di aver trovato in lui un... rivale?...
tanto
valoroso.
Poteva forse
esserci un uomo più dignitoso sulla Terra per una come Vega?
Rilasciai un
sospiro, continuando a mangiare
–Lo è davvero- concordai.
-Chi sono?-
ridacchiò Vega al mio orecchio, dopo avermi coperto gli
occhi con le mani. Le sue labbra erano così vicine alla mia
pelle che un
piccolo brivido attraversò tutta la mia spina dorsale.
-Una ragazza che fa giochi stupidi?-.
Finalmente mi liberò gli occhi –Simpatico come
sempre, Altair. Non c’è che
dire- borbottò, andandosi a sedere sullo stuoino. Sembrava
sfinita.
-Sei più bianca del solito- le feci notare, con un
sopracciglio alzato.
-Sono esausta- precisò
lei,
passandosi la mano sulla fronte sudata –E sono affamata!
Abbas non mi ha fatto
nemmeno mangiare!- si lamentò, poggiando la testa al muro.
Per la mia salute mentale, evitai di pensare a come avessero impiegato
quel
tempo.
Le passai un sacchetto di mandorle che avevo raccolto dopo la
discussione con
Bashir –Dovrai accontentarti- le dissi, ma lei già
non mi calcolava più, troppo
impegnata a trangugiarne almeno tre alla volta.
- Sei il mio salvatore- faticai a capire quelle parole, visto che aveva
parlato
con la bocca ancora piena –Sono già due vite che
ti devo!- continuò, prima di
infilarsi un’altra terzina in bocca.
Feci un sorriso sornione –Potresti offrirmi una sola vita di
schiavitù, non ti
pare?-.
Si fermò un secondo, guardandomi con
occhi beffardi –Seh, ti piacerebbe!-.
Avevo immaginato una risposta del genere –Sei comunque in
debito con me, sai?-
le ricordai, sedendomi accanto a lei, le rubai una mandorla dal
sacchetto.
Sembrò abbastanza contrariata da quel piccolo furto, mi
lanciò un’occhiata di
fuoco –Sì, lo so- ammise –Fammi
mangiare- chiara frecciatina rispetto alla
mandorla rubata - e poi ti regalo anche la luna!-.
Constatai che Vega stesse meglio moralmente. Forse era merito delle
nostre
piccole chiacchierate su Kadar, sulla sua vita in Cina, sul mio
addestramento...
In quella settimana eravamo diventati più intimi, avevamo
raggiunto un
equilibrio stabile, parlavamo molto, scherzavamo, rispondeva a tutte le
mie
battute e, come sempre, mi fronteggiava a testa alta se i toni si
alzavano.
Eravamo diventati amici.
Mentre io riflettevo, per l’ennesima volta, su queste cose,
Vega continuava ad
ingozzarsi come un’animale, tant’è che
fece scivolare dalla busta direttamente
in bocca anche le briciole delle mandorle che si erano frantumante.
-Sei davvero la ragazza meno femminile che io conosca. Ci credo che tu
non ti
sia ancora maritata e che ti ritrovi a fare l’Assassina!-
esclamai, fintamente
disgustato, scuotendo il capo di fronte a quel caso disperato.
Sbuffò –Ehi, quanti complimenti! Sappi
c’è chi mi apprezza proprio per
questo!-.
Non riuscì a trattenermi -Tipo Abbas?-.
-Tipo Abbas...- concesse, serafica –E’ forte,
vero?- sorrise, pensando a
qualche aneddoto.
Temetti seriamente che cominciasse a raccontarmi smancerie da
ragazzine, non ce
l’avrei fatta– Una forza della natura- proferii
seccamente, guardandola di
sottecchi, a sottolinearle quanto mi importasse
dell’argomento.
–Sei geloso?- rise.
Alzai gli occhi al cielo –Sei impossibile, lo sai?-.
-Non hai mica detto di no!-.
Ci sfidammo con lo sguardo per alcuni minuti, poi lei desistette,
chiuse gli
occhi, e, portandosi una mano nei capelli, cominciò a
massaggiarseli
lentamente.
-Sono a pezzi, non ho nessuna voglia di litigare con te!-
dichiarò fiocamente,
continuando imperterrita nella sua opera.
Neanche io ne avevo voglia, in realtà –Cosa avete
fatto oggi?- evitai di dirle
che avevo osservato gran parte del suo allenamento, non vorrei
alimentare le
sue stupide teorie sulla mia gelosia, specie dopo la pulce
nell’orecchio che mi
aveva messo Bashir.
Tutti credevamo foste una coppia.
-Abbiamo simulato vari attacchi al forte... Sono riuscita a
prenderli
tutti, nonostante le capriole e i salti. Dovresti essere fiero di me-
scherzò,
sempre senza guardarmi.
La presi in giro –Hai bisogno della mia approvazione?-.
Schioccò la lingua, ma non rispose alla provocazione
– Ho bisogno dei massaggi
del Tabîb₇ di Masyaf e di un bagno,
possibilmente- sospirò, con un piccolo
broncio ad incresparle le labbra.
Sentii qualcosa
accendersi nel mio bassoventre al pensiero di lei, nuda, nella
grande vasca della Torre, i capelli bagnati che le ricadevano sulla
schiena,
una goccia d’acqua che scivola dalle labbra ai seni...
Mi si
annebbiò la vista.
-Togliti la veste-.
Vega
spalancò gli occhi, immobile, le guance rosse e le labbra
stuzzicate dai
denti...
- Vuoi un massaggio o no?-.
Non
sapevo nemmeno da dove traessi la forza di chiederle quelle cose e allo
stesso tempo di non prenderle il viso tra le mani e sostituire i suoi
denti con
i miei per dare tormento a quelle labbra.
La vidi tremare
appena, ma non di paura, prese un bel respiro prima di
guardarmi negli occhi – Ovviamente- e
portò le mani ai fianchi, afferrò i lembi della
bianca veste e cominciò piano a
tirarla su.
Sembrava una
sfida a chi si fosse arreso prima, forse voleva vedere fino a che
punto mi sarei spinto?
Voleva, per una
specie di orgoglio femminile, capire se la desideravo? Quanto
bruciante fosse il desiderio di toccare, man mano che veniva scoperto,
ogni
centimetro del suo corpo?
Dovetti stringere
i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi per resistere
a quell’impulso...
Ma, qualsiasi
cosa pensasse lei, per quanto anche nei suoi occhi avessi visto
un’ombra eccitata, nonostante desiderassi scogliere anche il
nodo che teneva
salde le fasce che le coprivano il seno, non avrei mai permesso che
accadesse
così.
Mi alzai le
maniche della tunica e bagnai le mani nell’acqua tiepida
della
tinozza che avevamo messo al sole e cominciai a disegnare dei piccole
cerchi
sulle sue spalle. Vega si teneva i capelli con una mano, lasciando
libero il
collo candido, che non rimase intaccato dalle mie mani.
La sua pelle era
morbida e vellutata, fredda come sempre, intervallata solo dai
piccoli solchi delle cicatrici, le ossa appena sporgenti...
Ogni volta che
toccavo un punto sensibile, Waqi mugugnava appena, sempre
mordicchiandosi le labbra, strizzava appena gli occhi chiusi.
Poi, ad un certo
punto, lentamente girò la testa e si avvicino a me, gli
occhi
assottigliati e ricchi di piacere, e mi sussurrò un grazie
quasi a fior di
labbra.
Non saprei
nemmeno dire chi fu dei due a colmare la distanza.
1)
Fantastica
canzone dei Fleetwood Mac, dall'album Rumours, famosissimo e abbastanza
significativo per quegli anni!
Non vorrei
anticiparvi il motivo per cui ho scelto questa canzone, specie se state
leggendo la nota subito dopo la citazione. Diciamo che l'ho scelta
forte delle mie convinzioni su Altair e su ciò che sta pian
piano cominciando ad accettare! La canzone in se per se parla di una
storia che fatica a nascere, nonostante sembrino essercene i
presupposti, ma da parte della ragazza c'è reticenza e
qualche pregiudizio su colui che canta. Mi è sembrata... calzante.
2) YuDahhak
al-hagiar = Fai ridere i polli.
3) adîm
al- luTf = Scorbutico
4) Ecco, in
questa storia Altair ha le stesse capacità di Ezio
in Revelations riguardo l'Occhio dell'Aquila.
5) Mantu:
fagottini ripieni di carne di agnello (o manzo), cipolle, cotti al
vapore e poi conditi con ragù di carne, panna acida e
coriandolo. (ringrazio come sempre Khaled Hosseini e la sua
appendice nel libro " Il cacciatore di aquiloni"! Per
curiosità: Ho provato a cucinarli la settimana scorsa...
sono deliziosi, molto saporiti!)
6) Beh, ecco
qui la mia piccola sorpresa! ^^ Mi rendo conto che non sia un
granché, però ci siete sempre state, dal primo
capitolo e mi sembrava giusto fare qualcosina. Spero vi sia piaciuto!
7) Tabîb = Medico.
Che gli Assassini avessero un dottore, mi pare ovvio... Altrimenti chi
li ricuciva dopo ogni missione? xD Per cui ho anche
ipotizzato che questo dottore sapesse anche fare i massaggi per
distendere muscoli, ma anche per alleviare il dolore degli
stiramenti.... Insomma, se vi sembra improbabile, concedetemi una
licenza poetica xD
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Capitolo 13 *** 12. I Stood Up ***
Buonasera (o dovrei dire
buonanotte?) a tutti!
Purtroppo, tra scuola e problemi vari, sono riuscita ad aggiornare solo
ora! Infatti, come avrete potuto notare, non sono riuscita a rispondere alle vostre bellissime recensioni. Non sono tipo che da risposte veloci per togliersi l'impiccio! Per cui vi prego di perdonarmi, prometto che mi rifarò a questo giro <3
Mi mancava aggiornare la storia (anche se adoro scrivere gli spin-off)
così ho preparato un gran bel capitolo che,
vabbè, era già scritto, ma ha visto tutto il mio
impegno nella scelta della solita canzone, nella stesura delle note e
beh, della mia passione nello scrivere.
In questo capitolo qualche colpo di scena e qualche
rivelazione nel PRESENTE. Sapremo qualcosa in più sulla
nostra protagonista femminile e sul suo, ancora oscuro, passato!
Detto questo, ringrazio come sempre i lettori silenziosi che ricordano,
seguono e preferiscono la storia (aumentati in questi ultimi giorni ^^)
e i miei fantastici recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers,
Yukiko_Kitamura e la nuova arrivata Maria 98!!!
Siete meravigliosi!
Buona Lettura!
Cass
12. I Stood Up!
In piedi, fermo come un
sasso a mezzanotte,
tutto
preso dal mio travestimento,
mi pettinavo fino
a trovare l’acconciatura giusta
e andavo a
guidare la brigata notturna.
Pronto al dolore
e sferzato dalla pioggia,
camminavo
appoggiandomi ad una stampella storta.
Vagavo da solo
per una zona radioattiva
e ne sono uscito
con l’anima incontaminata.
E mi sono
nascosto nella rabbia confusa della folla,
ma quando loro
dissero “Siediti”...
Io
mi alzai!
Bruce
Springsteen - Growing
Up₁
-Riattivi
subito la sessione! Ho un nome per il suo
atteggiamento: insubordinazione!-.
Come se non bastasse lo stordimento causatomi della sessione
nell’Animus, Doc
sembrava propenso ad impartire vivacemente una
lezione sulle gerarchie
aziendali a Lucy. Le loro voci erano lontane: Forse erano distanti,
quasi
vicino alla porta d’ingresso,
O forse ero solo io ad essere un po’ rintronato.
La nausea era, stranamente, più intensa delle altre
volte, come se
avessi passato a Masyaf il doppio (il triplo?) del solito tempo.
Che era altamente probabile, alla fine, no?
Riuscii finalmente ad aprire gli occhi, un po’ secchi per la
sete, che mi
attanagliava anche la gola, giusto in tempo per sentire la piccata
risposta di
Lucy:
-E io ho un nome per il suo: Stupidità-.₂
Stillman: 1
Vidic: 0
-Possono
gestire l’intrusione anche se noi rimaniamo qui a lavorare!-
continuò
il dottore non curandosi della risposta avuta.
Il suo tono era divertente, in
quel misto di rabbia, frustrazione e rassegnazione. Solo dopo mi resi
conto
dell’importanza di quelle battute.
C’era stata un’intrusione? Da parte di chi? Erano
venuti a prenderci?
Non avendo ancora la forza di alzarmi, mi venne istintivo cercare
Alessandra a
tentoni con la mano. Immobile come una statua di sale, non avevo
neanche il
coraggio di muovere la testa e guardarla... un po’ per i
ricordi vissuti quella
volta e un po’ perché sentivo davvero di poter
vomitare l’anima per un
qualsiasi spostamento sbagliato.
-Ha ragione- sbottò Lucy -Saremmo noi a non poter gestire il
lavoro durante un’incursione.
Per non parlare del fatto che sono lì dentro da sette ore.
Sette ore, Warren!- sentii i suoi tacchi battere rapidamente
sul pavimento, un rumore
che si avvicinava pian piano.
Non ero ancora del tutto fuso, erano davvero
lontani da noi.
Proprio mentre la bionda camminava, riuscii finalmente a trovare la
mano di
Alex, la pelle fredda proprio come lo era quella di Vega. Mi sentii
sollevato di averla accanto a me.
“ Non
riesco a muovermi.
Mi brucia tutto. La nausea. Disorientamento. Formicolio al braccio.
Battito
accelerato? O è davvero debole? Cazzo,
è
come se mi fossi fatta una dose marcia. Ho bisogno di aiuto! Desmond!
Desmond
aiutami! Ti prego ”.
Quasi
mi partì un colpo: “Ale?
Ale mi senti?
Sono qui, con te! Dove senti dolore?”.
Mi stava parlando nella mente? Davvero poteva farlo? Ma allora perché non mi
rispondeva? Come potevo aiutarla se...?
-Desmond? Alessandra? State bene?- la voce di Lucy era sinceramente
agitata,
staccò una torcia dalla tasca della camicia e mi disse di
seguire la luce con
gli occhi.
-Sto bene- farfugliai, spostando con fatica la torcia dalla mia faccia
–Alessandra...-.
Lucy annuì, e si diresse velocemente dall’altra
parte: Stringevo ancora la sua
mano, ma lei non si era mossa di un millimetro. Sperai mi rispondesse,
che mi
desse indicazioni per aiutarla, ma l’unica risposta che ebbi
fu un angosciante
silenzio.
Temetti il peggio.
La bionda le aprì un occhio e ripeté
l’esperimento, non durò che pochi secondi,
ma mi sembrarono ore intere.
-C’è risposta!- poi le tastò il polso e
sbiancò – Vidic, mi serve l’adrenalina.
Un arresto cardiaco mi sembra il minimo dopo una sessione tanto
lunga!₃-. Rimasi pietrificato.
“Non morire. Non ora. Fallo per me.”
-Lucy...- annaspai, in un sospiro
strozzato –Lucy, salvala...- le strinsi la mano
ancora più forte. –Lucy, non farla morire!-.
La
bionda mormorò qualche imprecazione e, dopo aver aperto la
felpa,
strappò la maglietta di Alex proprio sul petto, cominciando
a praticare il
massaggio cardiaco.
Poi si rivolse a
me –Des, sai praticare un massaggio cardiaco?-.
Troppo sconvolto,
non riuscii a rispondere immediatamente –Desmond! Diamine, lo
sai fare o no?- sbraitò lei, allora.
Spaventato
dall’urlo, feci solo un cenno con la testa.
-Bene. Perfetto-
constatò con tono duro –Quando Vidic torna, prendi
il mio
posto. Ma lascia uno spazio libero tra terzo e quarto dito:
Dovrò
iniettargliela nel cuore, ok? Mi hai capito?- urlava, forse avevo
intuito che
ero caduto in un mezzo stato di shock -Desmond non posso salvarla se
non mi
aiuti!-.
Non riuscivo a
distogliere lo sguardo dal volto di Alessandra, ancor più
cinereo
del solito, immobile in un’espressione piatta, come una
statua di marmo.
Riuscii,
nuovamente, a compiere un solo movimento col capo.
Mi accorsi
dell’arrivo del dottore solo quando lo vidi con la coda
dell’occhio preparare una siringa. Lucy mi
richiamò, ordinandomi di posizionare
le mani sopra le sue. Quando poi le sfilò ero a continuare a
tener in vita la mia... a
tener in vita Alessandra.
Aprii le dita
proprio come mi aveva detto la bionda e trattenni un brivido quando
vidi l’ago perforarle
la pelle...
-Se sono morta, e
credo davvero di esserlo, speravo
almeno di non incontrarti anche
qui-.
Aveva gli occhi
chiusi e gracchiava come una fumatrice dopo una lunga dormita,
ma neanche la battuta e la voce da
camionista riuscirono a cancellare la mia gioia.
Sorrisi,
stringendole più forte la mano –Mi hai fatto
passare un brutto quarto
d’ora- sussurrai, evidentissimo il sollievo.
Fece un mezzo
risolino, anche questo roco – Mi dispiace, nonnino-
aprì gli
occhi e alzò il busto, aiutandosi con la mano che non era
stretta nella mia.
-Come ti senti?-
Sembrò
fare un piccolo check-up al suo corpo, stiracchiando le braccia,
tastandosi
l’aorta e schioccando il collo - Beh,
come se un trattore mi avesse preso sotto anche in retromarcia. Ma
viva,
dopotutto!- per fortuna non aveva perso il sarcasmo.
-Da quanto siamo
fuori? Che mi sono persa, oltre te al mio capezzale?-.
Le lasciai la
mano, per riflesso incondizionato dato che sono
un grande gesticolatore quando racconto qualcosa, e lei
sembrò stupita del gesto, forse quasi
dispiaciuta.
Arrossì
appena -Non fare quella faccia da imbecille. Era... carino, dopotutto-
poi guardò in basso.
Scoppiai a
ridere. Proprio non riuscii a trattenermi ma sperai che non la
prendesse come una risata di scherno, perché ero solo
istericamente sorpreso.
-Non
fraintendermi! E’ solo che mi sembra di conoscerti da anni
invece che da
giorni! Non mi sono mai preoccupato tanto per nessuno e... a te... a te
piace
se ti tengo la mano!!!- risi ancora un po’ a quella maniera,
ma lei era
incuriosita dal mio discorso.
-Pensi che sia
per... loro? Per Vega e Altaïr?- chiese, piegando la testa di
lato.
-Ti ho parlato
dell’osmosi, no?- Eppure, non mi sembrava una spiegazione
sufficiente, come per Altaïr non sembrava abbastanza
esauriente l’ipotesi che
si sentisse legato a Vega solo perché le aveva salvato la
vita.
Forse erano le
donne della famiglia di Alessandra ad essere speciali!
- Oh...- fu tutto
quello che disse per un po’. Avrei voluto rivelarle i miei
pensieri, ma mi sembravano troppo stupidi, troppo adolescenziali,
così avevo
glissato l’argomento cominciando a raccontarle
dell’invasione.
Alzò
gli occhi
al cielo quando la informai che eravamo, se possibile, ancora
più rinchiusi di
prima, almeno fino ad allarme ritirato ma poi, in silenzio,
rimuginò a lungo sulla questione, stringendosi le gambe al
petto con lo sguardo perso nel vuoto.
Stretta in quella
posizione, con la maglia a maniche corte, riuscii a
constatare che non fosse smilza e piccolina come sembrava indossando la
felpa.
Le braccia rassomigliavano molto quelle di Vega in muscolatura, anche
se
sembravano molto meno energiche e anche lei aveva le spalle abbastanza
larghe:
forse aveva fatto nuoto?
Preso da una
nuova curiosità verso il suo passato, decisi di interrompere
quella
silenziosità e parlare con lei come facevano i nostri
antenati nei ricordi
appena vissuti.
Principalmente,
volevo sapere se ricordasse di avermi chiesto aiuto col
pensiero: -Mi hai parlato- la buttai così, quasi con
disinteressamento. In
verità ero un po’ in imbarazzo al pensiero che in
punto di morte avesse chiesto
di me.
Ero imbarazzato e
stupidamente orgoglioso.
Ma non
ero uno con la testa tra le
nuvole: Alessandra mi aveva dimostrato più volte il suo
pragmatismo,
probabilmente aveva recepito il mio tocco e mi aveva chiesto aiuto per
non
morire. Inutile alimentare i miei stupidi sentimentalismi.
Ma dovevo
saperlo. Dovevo averne la certezza.
-Non stavo
morendo? Come ho fatto a...-.
-Nella mente! Ti
stavo stringendo la mano. L’ ho fatto subito dopo la sessione
perché
ho sentito... dovevo essere sicuro che fossi ancora con me- sospirai
–Forse
avevo percepito che stavi morendo- tanti cari saluti al distacco.
Si
sforzò di ricordare –Onestamente non credo di
averti parlato di proposito,
ma è ovvio che io abbia pensato subito a te: Chi altri avrei
potuto chiamare?-
proferì, grattandosi il mento. Mi rivolse un sorriso timido
–E direi che la mia
richiesta è andata a buon fine- mi abbracciò di
slancio –Grazie-.
Impacciato come
non mai, ricambiai la stretta, infilando la testa tra i suoi
ricci.
Restammo
così ancora per poco, poi Alex sgusciò via con la
scusa di
approfittare della “vacanza” per farsi una doccia.
Evitai di cedere
alla tentazione cui aveva ceduto il mio antenato e non le
proposi di farla insieme a me.
Venni svegliato
dal movimento del materasso che si abbassava e dal fruscio
delle coperte. Mezzo imbambolato, con la vista appannata, vidi
l’ombra di
Alessandra che si infilava nel letto.
Non ricordavo di
essermi addormentato, eppure non ero stupito di essere
crollato dopo tutte quelle... beh... emozioni,
per banalizzare gli sbalzi subiti tra la sessione e tutte le
trepidazioni di Altaïr.
Come
se tutto questo non bastasse, si era aggiunto il mini-infarto
preso per la quasi-morte di Alessandra, i suoi pensieri e il
suo abbraccio...
Sbuffai,
rimpiangendo il lavoro al bar, la buona musica suonata dal vivo, il
profumo della frutta usata per i cocktail, i cicchetti a fine turno con
i miei
colleghi, il viaggio in moto per arrivare a lavoro, le belle ragazze
che si
sedevano al bancone e che civettavano con me...
- Ehi, sono anche
capace di resuscitare i morti- sussurrò Alex, quando mi
girai
con un cipiglio scocciato attutito dal sonno. Capii dalla sua faccia,
un po’
crucciata, che si sentiva in colpa e che quello era il suo modo di
scusarsi.
-Tranquilla, hai
fatto bene o domani mi sarei risvegliato tutto ammaccato-
constatai, sentendo la cintura premere sull’addome, la zip
della felpa irritarmi
il collo e le scarpe ancora ai piedi.
Fece spallucce e
si sistemò sotto le coperte, io nel frattempo mi liberai dei
suddetti oggetti e mi avviai verso l’armadio per prendere un
pantalone più
comodo.
La mia ricerca fu
fruttuosa e raccattai un pantalone della tuta, sempre
rigorosamente grigio; stavo quasi per spogliarmi quando mi ricordai di
non
essere solo.
Dio mio, cosa
stavo per fare... Se fossi già nudo non credo che lei lo
resterebbe per molto.
No. No. No.
Quelli
non erano pensieri miei... Era quel marpione arabo di Altaïr a
parlare per me, e non stava nemmeno riferendosi ad Alessandra!
Merda, questa
situazione alla commedia
degli equivoci Shakespeariana₄ mi avrebbe fuso il
cervello! E gli ormoni mi
avrebbero tradito indecentemente!
Cosa darei per tornare al mio bar e alla solita vecchia, noiosa,
tranquilla
(beh, mica tanto) vita. Se anche avessi dovuto solo pulire il vomito
degli
ubriachi...
Stavo appunto per dirigermi in bagno quando Alex, con tono decisamente
divertito, esclamò –Dai, ti vergogni? Guarda che
non attenterò alle tue
grazie... Non sono così disperata!- rise da fare schifo,
così ampiamente da
sembrare quasi pazza.
Indignato per la presa in giro, decisi di sfidarla: Cominciai a
slacciarmi i
pantaloni.
Smise immediatamente di ridere e deglutì rumorosamente.
Fu il mio turno di ghignare.
-Oh no! Non costringermi a vedere la tua flaccida pelle da nonno!- vide
che
avevo abbassato i pantaloni fino al ginocchio così
coprì gli occhi con le mani:
-Oh no! Che schifo!-.
Continuai a ridere come una iena e mi rivestii in fretta del pigiama,
per poi ritornare
nel letto accanto lei, con fare trionfo e atteggiamenti da pavone in
calore.
-Hai poco da essere fiero- mormorò, tornando a guardarmi
–Hai appena rovinato
una vita. Sono a malapena maggiorenne!- esalò, alzando le
braccia al cielo.
Roteai gli occhi – Quanto la fai tragica!-.
Ero steso sul fianco, la testa appoggiata alla mano, nella sua
direzione, mentre
lei era stesa ancora pancia all’aria, con le braccia nude
fuori dalla coperta e
i capelli un po’ umidi sparsi disordinatamente sul cuscino.
Fece un piccolo mugugno –Non hai voglia di dormire, vero?
Sembra che tu abbia bisogno
di chiedermi qualcosa- dichiarò, assumendo la mia stessa
posizione.
Mi stupii che se ne fosse accorta e che invece di evitare
l’interrogatorio si
fosse volontariamente prestata.
Era una domanda che mi vorticava in testa da quando mi aveva parlato
nella
mente, solo che non era importante come salvarla o come starle accanto
mentre
si riprendeva. Però poi era tornata a galla.
-Quando mi hai parlato... beh, hai
fatto un paragone “originale”- cominciai un
po’ alla lontana, cercando di
assumere un tono tranquillo e educatamente curioso.
Mi fece cenno di continuare.
Mi schiarii la voce – Dopo aver elencato i tuoi sintomi, che
erano chiaramente quelli
di una crisi cardiaca... Beh, hai detto che ti sembrava di esserti
fatta una
dose marcia e mi sono chiesto come... come può saperlo?-.
Alessandra impallidì a tal punto che pensai stesse per avere
nuovamente un
infarto, ma poi i suoi occhi si fecero lucidi e strinse forte le
coperte con le
mani, distolse lo sguardo, cercando di nascondere quella reazione. Ma
invano.
Mi sentii terribilmente in colpa.
-Forse non vuoi parlarmene- ipotizzai, prendendo di nuovo la sua mano
tra le
mie. Ormai avevamo appurato quanto quel gesto fosse consolatorio per
entrambi.
Scosse la testa, mentre una lacrima le scese sul viso.
Ancora non disse nulla –Allora non puoi?- provai ancora,
facendo un cenno alle
telecamere. Forse erano cose... private.
Fece un sorriso sardonico –Impossibile che non lo sappiano
già- sospirò –Vedi
Desmond, se fossimo in una situazione normale, potrei mai raccontarti
una cosa
del genere dopo soli due giorni di conoscenza?-.
Scossi la testa –No, ovviamente no-.
Lei tornò a guardarmi, tormentata –Eppure io sento
di poterlo fare, di potermi
fidare. Ma so che questa fiducia non è obiettiva. Sono
combattuta... Non vorrei
che togliermi questo peso, ma so che se fossimo fuori da qui... non ti
direi
niente- si portò le mani sulla faccia.
Mi avvicinai e la presi fra le braccia, ci stendemmo meglio e le feci
appoggiare
la fronte sul mio petto, la stringevo all’altezza delle
spalle e bruciavo in
ogni punto in cui il suo corpo aderiva al mio... Dai palmi delle mani
sulla
schiena, alle braccia intorno alla vita alla gamba che aveva infilato
tra le
mie.
-Che fine ha fatto la tua spacconaggine, dolcezza?- mormorai al suo
orecchio,
che si imporporò immediatamente.
La sua piccola risata risuonò nel mio sterno – Ho
appena avuto un infarto, abbi
un po’ di pietà!-.
Risi sotto i baffi – Ti va di parlarmene, allora?-.
Si irrigidì appena ma annuì decisa, si
schiarì la gola e cominciò a raccontare.
“Diciamo che non sono mai stata
fortunatissima nel corso della mia vita e, beh, il periodo di cui mi
hai
chiesto non è stato certo il più bello che abbia
passato.
Purtroppo la mia
famiglia “allargata”, una specie di cittadina
dispersa tra i monti del Trentino
in cui vivevano solo Assassini, fu sterminata dall’Abstergo
quando avevo circa
dieci anni, o giù di lì.
Diedero fuoco a tutto, edifici, case e, ovviamente, alle persone che
c’erano
dentro. Mi sono salvata perché, disubbidendo agli ordini dei
miei genitori, ero
nei boschi vicini a giocare con altri ragazzi, altrimenti non avrebbero
risparmiato nessuno. Restammo per qualche giorno in balia di noi stessi
finché
una squadra mandata proprio dalla Fattoria –sorrise
nella mia direzione- non venne a controllare
che ci fossero
superstiti. Tra questi “salvatori” ve ne era uno
che già da un po’ aveva smesso
di condividere il modus operandi degli odierni Nizariti... visto che
eravamo
circa una ventina di bambini, ne fece sparire sei, deciso a creare la
sua
“Confraternita”.
Si ispirò a
quelle che
sono le odierne credenze sugli Assassini, ovvero che venissero drogati
per
essere tenuti in pugno...” mi mostrò il
braccio immacolato.
Corsi immediatamente a vedere la piega interna al gomito, ma di buchi
ovviamente non ve ne erano. Almeno fisicamente. Immaginai che per lei
invece ce
ne fossero e anche parecchi.
“Cinque anni, Desmond. Cinque anni
in cui
uccidevo e pregavo di morire stesa su un pavimento freddo... Non
potevamo
rifiutarci, o si prendeva la dose giornaliera oppure veniva
raddoppiata, così
saresti stato ancor più male e avresti sentito ancor di
più il bisogno di...
farti. Non potevamo denunciarlo: chi avrebbe creduto ad una tossica che
si era
macchiata anche di diversi omicidi? E poi, per la disintossicazione? I
documenti?” scosse la testa
“Non
c’era via di uscita”.
Mi vennero i brividi nell’immaginarmi che razza di
vita avesse passato
questa ragazza, mi sentii in pena per lei. Ero anche sorpreso di non
averne mai
sentito parlare alla Fattoria, poi considerai la differenza di
età che c’era
fra noi due:
Se Ale aveva dieci anni, io ne avevo quindici ed era il periodo in cui
mi
organizzavo per la fuga...
-Non avete mai cercato di ribellarvi?- chiesi con tono angosciato, fui
felice
che non riuscisse a vedere la mia faccia.
Scosse il capo,
facendo ondeggiare i
capelli sotto al mio naso.
“Ci provammo, ovviamente, ma fu
inutile.
Da sei diventammo tredici, gli altri erano barboni, tossicodipendenti
che
avevano bisogno di un tetto e di cibo, seguivano quell’uomo
come se fosse un
Dio. Se tentavamo di ribellarci, era scontro.
Non puoi nemmeno immaginare
quanto fosse logorante l’idea di essere così, allo
stesso livello di una
marionetta. Ho visto ragazzi perdere il senno, diventare insensibili
macchine
da guerra per non sentire l’umiliazione e il dolore. Li ho
visti trovare
rifugio nella droga che veniva imposta, non una prigione.
Ma io no. Non potevo, Desmond. I miei genitori avevano investito molto
sul mio
futuro da Assassina, mi avevo insegnato per cosa lottassimo e quanto
importante
fosse la nostra protezione per il mondo... Quel pazzo non serviva il
bene,
serviva se stesso: Diventava più ricco e potente ad ogni
nuova vittima. Sentivo
il bisogno di fare qualcosa, ma più che ribellarmi ad ogni
ordine, di farmi
drogare con la forza, non ho mai concluso granché, se non la
soddisfazione di
avere l’anima pulita.
L’odio verso
quella vita era comune, ma pochi avevano il coraggio di disubbidire...
Invece
era l’unica cosa che io sapevo fare”.
Ormai ero troppo preso dal racconto –Come vi
siete... liberati?- chiesi
titubante.
Sorrise – Ancora la Fattoria con una specie di blitz. Ci
portarono in America,
cominciarono il processo di pulizia del sangue e ci lasciarono liberi
di
scegliere. Inutile dirti che fine fecero il
“mentore” e i più ferventi seguaci-
si strinse più a me.
Feci un fischio –Che storia, cazzo!
Com’è stata la disintossicazione?-.
Arricciò il muso –Lunga e dolorosa... ti iniettano
nelle vene una sostanza che
ti pulisce il sangue... ma il tuo cervello poi ne sente comunque il
bisogno.
Aiutò molto il fatto di non saper nemmeno da dove iniziare a
cercare-.
Aveva raccontato tutto con fervore, eppure non sembrava turbata come
quando le
avevo chiesto di raccontare. Forse perché era passato del
tempo o magari perché
si sentiva meglio dopo averne parlato con qualcuno.
Mi tornò in mente la prima conversazione che avemmo, quando
mi disse di non
essere una Assassina -Tu hai scelto di non entrare nella Confraternita,
no?-
Ci pensò un secondo, come se soppesasse le parole da
scegliere –Non proprio-.
La guardai fisso, in attesa di altre spiegazioni –Volevo del
tempo per essere normale
prima di passare da una setta ad un’altra. Ma sarei tornata,
prima o poi-.
Annuì, facendo quadrare i calcoli –Ma poi sei
incappata in questo
bell’esemplare di maschio...- ironizzai, volendo risollevare
l’umore della
conversazione.
-Uhmf...- mi tirò un pizzico – Certamente! Proprio
un bell’esemplare di maschio
biologicamente cretino! Credo che potrei portati
all’estinzione!-.
La adoravo.
1) Come
sempre, vi consigli di leggere la nota dopo il capitolo, visto che la
canzone tratta solo dell'ultima parte! L'unica cosa che volevo
precisare prima di tutto è che questa volta non ho usato il
titolo della canzone anche come titolo del capitolo, ma la frase
pià "incisiva": ovvero I Stood Up (Io mi alzai).
Letto?
Credo di non aver trovato mai una canzone più
azzeccata per un capitolo. Growing Up, dall'album Greetings From Asbury
Park, New Jersey (sì, titolo un po' lunghetto xD) : Tratta
del passato da emarginato, contro le regole sociali degli anni sessanta
americani (droghe, razzismo, classismo...) di Bruce
Springsteen e ho ritrovato in questa canzone i sentimenti che hanno
animato Alessandra nel suo brutto periodo. Lei, ovviamente, col suo
caratterino e forte degli insegnamenti dei suoi genitori assassini, non
poteva che ribellarsi: Disubbidendo, rifiutando la droga e a volte
anche sperando di morire, solo per non essere trattata a quel modo.
Spero vi sia piaciuto sapere qualcosa di più sul suo
passato! :D
2) Questa
frase è tratta realmente da Assassin's Creed, nel momento in
cui Desmond origlia la conversazione tra Lucy e Vidic dal condotto
d'aria del bagno.
3) Ovviamente
non ho ancora conoscenze in campo medico., beh, almeno per un solo
altro anno (si spera xD)! Beh, cercando su internet ho trovato che
molto spesso è impossibile, per ragioni varie, rianimare col
defribrillatore e in tal caso si usa l'adranelina, che praticamente da
comunque una "scossa" al cuore. Alcune volte si usano addirittura
insieme. In ogni caso, è probabile che io abbia detto una
grande cavolata medica o che magari non si rianimi così una
persona che sta male dopo una sessione nell'Animus (Ma l'Abstergo non
si è espressa in merito xD).
Condetemi una licenza!
4) Mi sento
qui di dover dilungarmi (spero non troppo) sulla commedia degli
equivoci o dello "scambio".
Il tema principale di questo tipo di commedia è quello dei
simillimi, ovvero di sosia e/o gemelli che spesso non sanno
dell'esistenza dell'altro, accompagnati entrambi da dei servi callidi (servi
furbi), anch'essi gemelli, che ne combineranno di tutti i colori per
favorire i loro padroni e trarne vantaggi.
Questo tipo di sceneggiatura nasce con Plauto, che la adopera in molte
opere, tra cui la più famosa è quella dei
Menecmi: due fratelli gemelli separati da piccoli con lo
stesso nome, che, per una serie di fortuite coincidenze si troveranno,
anni dopo, nello stesso posto e, grazie alle pianificazioni da
parte dei servi, finiranno per rincontrarsi e tornare insieme nella
casa natale. Questa trama è stata più volte
ripresa in letteratura (specie in età umanistica), ma di
certo la più bella rielaborazione fu quella di Shakespeare,
"La commedia degli equivoci".
In questa troviamo molti riferimenti ai gemelli plautini, come il nome
della città in cui i due fratelli erano nati (Epidammo) e
sia quando si fa riferimento a Siracusa (città in cui uno
dei gemelli viveva.
Ho pensato che fosse più probabile che Desmond conoscesse la
versione Shakespeariana che quella del grande commediografo latino
(Anche se in realtà ho pensato che Des non conoscesse
nemmeno quella... che non me ne voglia! xD)
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Capitolo 14 *** 13. Fortune Faded ***
Buonpomeriggio a tutti!
Non ho parole per farmi perdonare dell'immenso ritardo, per cui non mi
dilungherò su questo aspetto... Sappiate solo che mi
dispiace davvero tanto.
Il capitolo è discretamente lungo e finalmente vedremo un
po' di azione all'Assassin's Creed, anche se è la prima
volta che mi cimento nella scrittura di una scena di combattimento!
Quindi non vi assicuro di aver reso bene l'idea xD
Come sempre ringrazio i miei amatissimi ( e pazientissimi) recensitori:
Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura, così come
i miei silenziosi ( e anche voi pazientissimi) lettori che
preferiscono, seguono e ricordato la fic.
Grazie per avermi aspettato! ^^
Buona lettura
Cass
P.S.
Mi sono accorta solo ora che il testo presentava variazioni di
scrittura, perdonate l'errore. Ho appena corretto.
13. Fortune Faded
Si dice
che negli scacchi
bisogna uccidere la Regina ed è fatta!
Poi accade una cosa divertente: Il Re che si fa assassinare.
Così, ogni volta che perdo, Altezza...
Così magnifico...
Accade tutto quando la mia fortuna è svanita.
Non preoccuparti delle conseguenze del crimine,
Questa volta la mia sfortuna è svanita!
Andiamo, sembro davvero così impenetrabile?
Red Hot Chili Peppers- Fortune
Faded
La
verità era che non avevamo un’idea precisa circa
l’arrivo dei Templari.
Nella
lettera si parlava di una distanza di tre settimane dalla data della
stesura, di certo non avevano indicato giorno e orario preciso, e in
particolar modo non potevamo prevedere in che modo la morte di Cassim,
a capo dell’operazione, avesse influito
sull’avanzata dei crociati.
Conoscevamo
però il motivo per cui Roberto desiderava così
ardentemente avere potere su Acri: Quando io e Vega non eravamo
impegnati in addestramenti o in meritatissimi (quanto rari) momenti di
pausa, indagavamo sulla struttura sotterranea, che ormai avevamo
appurato centrasse qualcosa con la Prima Colonizzazione di cui i
Templari cercavano disperatamente degli eredi.
Ad
Acri, chissà, forse proprio a causa di quello strano posto,
circolavano molte voci, per lo più leggende di strada,
sull’aspetto e sui poteri che questi eredi avrebbero dovuto
avere. Roberto lo sapeva e non sembrava intenzionato a mollare
l’osso.
-C’è
una vecchia del posto che ne conosce di storie assurde- ci aveva detto
Bashir, quando gli avevamo chiesto notizie – Ma abbiamo
allontanato con un pascolo lei e altre persone, per salvare il
salvabile in caso di fallimento con tanto di ritirata. Se riusciremo a
vincere, potrete chiederle quello che volete. Anche se non capisco come
vi possano interessare certe... stupidaggini-.
Nel frattempo avevamo tracciato
una dettagliatissima mappa della struttura, indicando i punti in cui
erano presenti quei curiosi disegni geometrici che reagivano al
semplice tocco del sottoscritto o della rossa.
Ovviamente
opportunità di verificare cosa accadesse se avessimo
mantenuto più a lungo il contatto non ne avevamo avute: Con
tutta quella gente in giro, bambini, anziani, non potevamo
arrischiarci. Se la struttura fosse crollata? O peggio?
Eravamo in una mezza
situazione di stallo, sia sul fronte della battaglia e delle ricerche,
sia sul fronte... beh.... personale.
Dopo
quell’intenso bacio, tra me e Vega non era calato neanche per
un secondo un sipario di vergogna o pentimento, ci eravamo avvicinati
parecchio, ma nessuno dei due aveva cercato di parlarne. O di ritentare
l’esperienza.
In breve, era come se
me lo fossi immaginato, come se non fosse mai successo.
E davanti al sole
pallido dell’alba, al cielo chiaro velato ancora della notte,
con una insolita brezza fredda a solleticarmi il viso, quel bacio
sembrava davvero un sogno.
-Potremmo morire, oggi-
mormorò Vega alle mie spalle.
Era lì da un
pezzo, ma non aveva osato interrompere la magia di quel momento, di
quei momenti in cui è ancora troppo presto per agire e
troppo tardi per tornare indietro.
Proprio come con lei.
-Potremmo morire
sempre- fu la mia risposta, schietta, decisa, ma non ostile.
Era la semplice
verità. La spada di Damocle sul collo di chiunque.
Figuriamoci di un Assassino.
Si sedette accanto a me
sul cornicione, dove mi ero sistemato, su richiesta di Bashir, per
allertare il nostro “esercito” se
all’orizzonte fossero apparsi i Templari; come avrebbero
fatto le altre sentinelle sparse ovunque da giorni.
Prese un bel respiro,
con gli occhi chiusi, forse per godersi l’aria fresca del
mattino e dopotutto sembrava, nonostante la sua affermazione, molto
serena. Come lo ero io.
Forse il vero vantaggio
di essere Nizariti, veri Nizariti, era proprio quello di accettare la
morte e, anche, salutarla come una vecchia amica qualora si fosse
presentata. Perché dopo c’era qualcosa di meglio,
così diceva Al Mualim.
Perché ci
saremmo meritati il Janna, con le nostre azioni.
Io non avevo paura di
morire, perché ero convinto che dopo, per fortuna, saremmo
tornati cenere.₂
- Hai paura? Di morire,
intendo- le chiesi, senza distogliere la sguardo dal sole.
Sentii Vega distendere
le labbra in un sorriso –No. Morire è piuttosto
facile...- ovviamente si riferiva a Kadar – Invece... vivere
comporta una “certa”
sfida-.
Risi con lei dell’eufemismo -Abbiamo un così
disperato bisogno di credere di poterci salvare, di salvare le persone
che perdiamo da quello che c’è dopo... che
perdiamo il senso delle cose. Personalmente spero solo di riposare e davvero in pace-
concluse, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano, coperto
dall’avambraccio in cuoio.
Fui sorpreso
che la pensasse come me, ma non lo diedi a vedere, preferendo piuttosto
farmi ancora più vicino. Aveva poggiato la testa sulla gamba
che stringeva al petto, l’altra a penzoloni dal cornicione,
ed era circondata da una piccola aura di angoscia.
Davvero non riuscivo a
capire in che modo il rapporto tra lei e Kadar fosse durato nonostante
la lontananza, rimanendo talmente forte da sembrare che non si fossero
lasciati mai.
-E se l’anima
finisse davvero da qualche parte? Non vorresti rivederlo?- la
interrogai.
Fece un sorriso stanco
–Credo che lui non se ne sia mai davvero andato-.
Avanzamento rapido
ad un ricordo più recente.
L’allarme
arrivò poco più che un’ora dopo da una
sentinella situata a sud rispetto all’edificio, zona
diametralmente opposta a quella affidatami.
Ci fu qualche momento
di esitazione e panico, ma forti del preavviso e della preparazione
efficiente organizzata da Abbas e Bashir, cominciammo a sistemarci
ognuno al proprio posto di combattimento: Alcune donne, erano nascoste
vicino ai meccanismi di trappole congegnate per fermare
l’avanzata templare, un numero cospicuo di uomini armati di
spada era situato sia sul versante nord ( in minor parte) sia a sud.
Sugli alberi, sul tetto dell’edificio e dietro le feritoie
sui muri, erano sistemati gli arcieri.
Io mi trovavo fra gli
uomini armati del sud e Vega tra gli arcieri sul tetto.
I bambini, gli anziani
e tutti gli altri impossibilitati a combattere erano stati barricati
nella struttura sotterranea.
Tutto sembrava pronto
per...
... Una carneficina.
L’odore di
sangue, budella, carne bruciata era talmente intenso e nauseante da far
venire la lacrime agli occhi.
E non sarebbe stato
così terribile per me, se non fosse stato per il pensiero
che il sangue riverso a terra appartenesse a degli innocenti e non a
malfattori.
Questo mi disgustava
più dell’odore, più di qualche arto
mutilato e di organi esposti al sole.
Mi voltai appena in
tempo per vedere un templare, troppo distratto dalla corsa per
accorgersi di un braccio amputato, inciampare in questo, diventando
facilmente preda della mia spada.
Non ebbi quasi il tempo
di disincastrare la spada dalle sue carni, che mi dovetti difendere da
un fendente dall’alto di un massiccio cavaliere, troppo ben
equipaggiato per essere un crociato di basso livello.
La
mia difesa fu efficace solo in parte: certamente evitai che il colpo mi
spaccasse la testa in due, ma era stata una parata affrettata e
incerta, che mi fece vibrare tutto il braccio.
Conscio
che non avrei retto per molto e che di certo non avevo
possibilità di contrattaccare, supino a terra
com’ero, decisi di temporeggiare mollando un calcio al
ginocchio del soldato, certo non tanto vigoroso da spezzargli la gamba,
ma abbastanza forte da farlo ruzzolare a terra, ben lontano da me.
Mi
alzai di scatto e immediatamente gli trafissi il collo: unico punto
vitale scoperto dell’armatura templare. Fui più
svelto a riprendere l’arma in mano.
Sentii
poi gli urli francesi di due uomini, che correvano verso di me
brandendo la spada uno sopra la testa e l’altro con una sola
mano, ma fu incredibilmente facile immaginare come ucciderli: il primo
lasciava alla mia mercé il petto, il secondo, per quanto
sembrasse forzuto, non poteva avere sulla spada una presa davvero salda
con una sola mano.
Ma
nessuna delle mie elucubrazioni servì.
L’uomo
dalla presa poco salda fu decapitato da un Ribelle spuntato da dietro
un masso e il primo fu stroncato da una freccia proprio al centro del
collo.
Solo
due persone avrebbero potuto colpirlo così precisamente, ma
Abbas stava combattendo in prima fila con me.
Sorrisi
mentre, schiena contro schiena al Ribelle decapitatore, affrontavamo
quattro altri Cavalieri.
Uno
dei trucchi più importanti ed efficaci che Al Mualim mi
aveva insegnato riguardo gli scontri dove si è in minoranza
era quello di scegliere un avversario. Di fissarlo. Dovevi fargli
capire che era il tuo bersaglio.₃
Mai
perdere di vista gli altri, ma concentrati davvero su uno solo.
Mi
scagliai su quello più vicino a me.
Era
evidente che non fosse un guerriero ma uno dei tanti popolani
mingherlini e impreparati reclutati a suon di minacce quando non
bastavano la promessa del paradiso e i fasulli sogni di gloria: dopo
una sola falsa stoccata sulla destra, fu facile trafiggergli il petto
dalla parte opposta.
Contemporaneamente,
il mio compagno aveva aperto lo stomaco ad un secondo Templare
grazie ad un fendente poco profondo, ma incredibilmente veloce e
calibrato nella zona in cui colpire.
Ci
trovammo alla pari, ma il mio nuovo avversario non sembrava sprovveduto
come il precedente, partì immediatamente
all’attacco con una sciabolata verso il fianco, ma ero
abbastanza sicuro si trattasse di una finta.
Lo
stridio delle nostre lame provocò una marea di scintille
rosse e il mio rivale spingeva la spada con tutto il peso del suo
corpo... ma non avevo alcuna intenzione di interrompere il contatto per
primo e con uno sforzo immane riuscii a respingerlo quel tanto che
bastava per caricare un nuovo colpo e attaccare ancora.
Lo
scossone lo aveva reso vulnerabile sulla sinistra, mano in cui non
teneva la spada, così fu lì che mirai.
Mi
contrastò ancora, con forza, e l’avrei davvero
apprezzato come combattente se non avesse commesso il piccolo errore di
avvinare troppo la faccia alla mia mano sinistra.
Con
un Sink la mia lama celata gli perforò l’occhio.
Si
slanciò all’indietro, la mano sulla ferita che
grondava sangue e io, finalmente libero, gli corsi incontro, la lama
celata ancora aperta...
-
Il est
l’Assassin! Tuez-le!₃- gridò un
generale Templare al mio indirizzo.
Gli corsi incontro senza esitazione, prima che quattro uomini con la
croce sul petto si ponessero di fronte a lui con le spade salde in mano.
Questo complicava evidentemente le cose.
Esitavo, in posizione di difesa, indeciso se attaccare per primo o
aspettare che loro si facessero avanti: ero in netta minoranza, ma in
qualche modo avrei potuto cavarmela.
Uno si lanciò verso di me con un grido, con una foga tipica
di un principiante, lo schivai abilmente spostandomi di lato e lo
colpì sulla schiena.
Non ebbi il tempo di girarmi che altri due mi si erano pericolosamente
avvicinati.
Imprecai, ritornando in posizione di difesa con frettolosa foga e uno
di loro rise - Avez-vous
peur, infidèle?₄-.
Avrei tolto quel sorriso dalla sua faccia a suon di sciabolate.
Decisi di combattere prima con lui, ma il suo compagno non sembrava
intenzionato a restarsene lì impalato, anzi, alzò
la spada oltre la testa, pronto a colpire e contemporaneamente
l’altro si slanciò verso di me, agitando la spada.
Fu facile liberarmi del secondo soldato con un calcio, solo per
guadagnare tempo, fu più difficile invece parare
efficacemente il colpo del primo:
Riuscii a bloccare la sua spada con la mia, ma la parata avvenne tanto
vicino alla mia testa che mi sembrò di non averlo
contrastato affatto.
Senti una sorta di euforica agitazione rapire tutte le mie membra.₅
Lui non si perse d’animo e staccò la spada solo
per attaccare ancora.
Schivai il corpo con una capriola e, non appena finii di rotolare,
tirai un coltello al soldato che avevo sbalzato con il calcio. Lo
colpii allo stomaco, rallentandolo di nuovo.
L’altro era tornato ancora all’attacco: parai un
fendente laterale, poi, approfittando del suo sbandamento lo colpii con
una gomitata in faccia.
Ormai a terra, gli perforai lo stomaco.
- Vous avez de la
chance, infidèle! - gorgogliò
l’altro Cavaliere, faticando a stare in piedi -Mais, parfois, la chance n'est
pas assez!₆-.
Presi molto sul serio l’avvertimento, cominciando a sentire
puzza di bruciato rispetto ai piani templari.
Gli occhi gli si rovesciarono e, con un rivolo di sangue che calava
dalla bocca, stramazzò al suolo, sollevando una piccola
nuvola di polvere. La scena fu abbastanza pietosa, ma cercai di non
farmi distrarre troppo perché, ancora in sella al suo
cavallo nero, c’era il generale Templare, le briglie in mano
e un sorriso indifferente sul volto –Dovrete confrontarvi con
me, Assassìn- disse in un arabo sicuro, anche se con
spiccato accento francese.
- Vi siete fatto desiderare- risposi irriverente, mentre lui scendeva
con calma da cavallo. Aveva un portamento fine, doveva di certo essere
un nobile.
Si lasciò scappare una piccola risata dai folti baffi e con
passi misurati si avvicinava piano a me – Vi ho concesso di
riscaldarvi, dovreste essere più... come dite voi
infedeli... Latîf!₇-
sguainò dal fianco una Bastarda(8) affilata, mettendosi in
posizione d’attacco.
La sua arma era incredibilmente sottile rispetto alla mia, sebbene
molto più maneggevole e incredibilmente più
veloce... rinfoderai la mia daga per tirare giù la lama
corta. Meglio giocare sullo stesso campo.
Ci scrutavamo con gli occhi, girando attorno come due avvoltoi su un
corpo morto, studiando ogni minimo gesto dell’altro che
potesse darci un vantaggio.
Presi di scatto un coltello e lo lancia verso di lui, schivò
abilmente il colpo, però io trovai il giusto istante per
prendere la mia rincorsa e attaccarlo. Quello parò abilmente
il colpo, per poi spostarsi e provare a colpirmi dal lato opposto, ma
con un balzo all’indietro evitai che la stoccata mi privasse
del braccio.
Il generale provò ancora con un attacco più
diretto al petto, ma mi abbassai giusto in tempo per colpirlo alle
gambe. La spada corta non mi aveva permesso di tagliargliela, ma
sicuramente aveva lasciato una ferita che mi avrebbe concesso qualche
minuscolo vantaggio, perché un tale Cavaliere non si
indebolisce con così poco.
Nonostante questo, il suo grido roco non fu che musica per le mie
orecchie.
-Complimenti, Assassino. Ti avevo sottovalutato!- biascicò,
rimettendosi a correre verso di me. Non mi aspettavo tanto vigore,
così sebbene riuscii a respingere l’attacco, mi
beccai un rovescio in faccia tanto forte da farmi ruzzolare a terra.
Ma certo, pensai, il Signore
è anche dotato di un tirapugni.
Il colpo mi aveva stordito
appena ma sentii chiaramente un rivolo di sangue scendermi dalla tempia
fino a mischiarsi con il terreno. Non era il tempo di piangersi a
dosso, sentii caricare il colpo e mi girai appena in tempo per non
essere infilzato come un Novizio.
Quello ci
provò ancora, ma non ne ebbe il tempo, perché lo
acceccai con una manciata di polvere. Un secondo per riorganizzare i
pensieri era quello che mi ci voleva: vidi che la spada corta era
qualche metro lontana da me... doveva riprenderla, perché
usare la daga sarebbe stato un punto in svantaggio per me.
Dovevo temporeggiare
ancora.
Restai appositamente a
terra, affinché il Generale potesse cercate nuovamente di
attaccarmi e non si fece attendere molto, caricò il colpo da
sopra la testa e io potei sferrargli un calcio in pieno stomaco con
tutte e due le gambe: volò all’indietro per
qualche metro e allora io mi alzai e corsi verso la mia arma.
Avevo ancora la vista
appannata per la botta, ma ero fortunatamente lucido e capace di
muovermi; raccolsi la spada e mi girai giusto in tempo per vedere
l’uomo rialzarsi da terra, in una mano la sua Bastarda e
nell’altra il mio coltello da lancio.
-Suppongo conosciate la
legge del taglione, Assassìn-
ghignò, roteando la piccola arma, eppure non sembrava avere
ancora intenzione di provare a lanciarla, preferì
avvicinarsi di qualche passo. La sua tunica era completamente bagnata
di rosso nella zona inferiore, chiaro segno che ogni movimento stava
allargando la ferita, questo lo stava indebolendo... ma il fatto che
avesse un’arma da lancio in mano poteva anche evitargli di
muoversi.
Non potevo restare
fermo, mi spostai verso sinistra e cominciai a correre verso di lui,
giocandomi il tutto per tutto. Preparò il lancio, ma allora
mi spostai ancora, più a destra, costringendolo a prendere
nuovamente la mira.
Pochi metri....
Mancano pochi metri....
Lo vidi tendere il
polso così cambiai ancora posizione, di nuovo a sinistra.
Si innervosì
e ne approfittai per prendere il mio ultimo coltello e
disarmarlo, colpendolo lì dove stava l’arma
gemella.
Ci ritrovammo di nuovo
alla pari e tirai una stoccata sulla destra che finì per
parare, ma gli tirai un pugno con l’altra mano, per poi
infilzarlo quando era terra.
Una rosa di sangue gli
si formò sullo stomaco tutt’intorno alla mia
spada, abbandonò le membra al suolo, facendo cadere la spada.
Cercava di dirmi
qualcosa, ma la sua voce era sottile come un papiro, mi abbassai fino a
quando i nostri volti non furono vicini.
-Sei pieno di
tracotanza, giovane, lo vedo nei tuoi occhi.. Sei come un Re degli
scacchi.- bisbigliò, stanco –Forse il giochetto
che ti abbiamo tirato non ti tangerà per nulla...-
tossì.
Mi allarmai
immediatamente, ricollegando la minaccia dell’altro cavaliere
morto a quelle di quest’uomo –Che giochetto? Cosa
centrano gli scacchi?!- chiesi rabbioso, solo qualcosa, o meglio
qualcuno, mi avrebbe toccato davvero.
Lui rise roco
– Davvero credi di essere fondamentale qui, ragazzo?-
tossì –Sì, che lo credi. Sei
superbo.... come un Re! E anche se devo ammettere che hai assottigliato
notevolmente le mie file, ricordati che tu proteggevi un campo vuoto,
qualcun altro proteggeva qualcosa di più sostanzioso.
Qualcuno di caro, da quello che so... Una regina!-.
Mi si
ghiacciò il sangue nelle vene – Vega...- sussurrai
in un respiro strozzato –Cosa le avete fatto? Rispondimi,
schifoso!-.
Si fece un'altra fioca
risata - Sai qual è la regola degli scacchi, infedele? Per
prima cosa uccidi la regina... - le forze cominciavano a lasciarlo -
Poi il Re si consegna da solo!- spirò.
Sembrava che la mia
sfortuna non avesse limiti: Avevo giusto il tempo di trovare qualcosa
di nuovo, prezioso, importante e subito il destino me lo strappava
dalle mani, senza che potessi oppormi.
Gridai frustato,
lasciando quel corpo al suo destino, e corsi a perdifiato verso la
struttura, da cui mi ero allontanato troppo. Troppo per i miei gusti.
- Altaïr!
Altaïr!!!- vidi Abbas corrermi contro, il naso storto appena
incrostato di sangue, il labbro spaccato, i vestiti strappati e un
taglio preoccupante sul braccio.
Ma la cosa che
più mi interessò in quel momento era il suo
sorriso. Se fosse successo qualcosa a lei, lui non sorriderebbe
così,, anzi... Queste liete considerazioni mi sfiorarono di
striscio, perché riuscii a respirare soltanto quando vidi
una inconfondibile chioma rossa a qualche metro di distanza, dietro le
spalle del ragazzo:
Vega stava prestando
soccorso a qualcuno, ricucendo forse una ferita... però il
mio cuore non si alleggerii di quella cupo ombra che le parole del
generale vi avevano posto.
–Si
ritirano, Altaïr! Abbiamo vinto... Noi! Dei semplici
contadini!- e scoppiò in una grassa risata. Fu impossibile
non farsi contagiare della sua felicità –Non avevo
dubbi, Abbas- gli poggiai una mano sulla spalla come segno di vicinanza
–Come sei conciato? Chi ti ha fatto queste ferite?-.
Sembrò
imbarazzato dalla domanda –Il taglio sul braccio è
stato un mio stupidissimo errore nel combattimento con un Templare, ma
mi è già stato suturato... Il casino in faccia
è un gentile regalo di Vega- mormorò, abbassando
gli occhi.
Pensai di aver capito
male –Che ha fatto Vega?-.
Storse la bocca,
procurandosi certamente un gran dolore – Quando i Templari
hanno suonato la ritirata io...- si fermò, guardò
verso il basso con le sopracciglia corrugate –Non
c’è un modo gentile per dirlo, quindi... Beh, io
l’ho baciata e lei mi ha “enunciato” la
sua opinione tirandomi un sonoro pugno in faccia-.
Non riuscivo a decidere
se ridere per la faccia metà offesa, metà
estasiata di Abbas o se esprimere la mia opinione adottando il modus
operandi di Vega.
Scelsi
un’aurea via di mezzo, lo abbracciai per le spalle, come se
volessi dirgli qualcosa di confidenziale –Ora sai
già cosa succederà se proverai a baciarla ancora.
Attento però, non sempre il cazzotto potrebbe appartenere a
Vega...-.
Abbas rise, determinato
–Credi davvero che te la lascerò? E senza lottare,
per di più? Che brutta impressione che hai di me!- mi disse
ridendo, dandomi un piccola pacca sulle spalle.
Mi ritrovai a ridere
con lui, ricambiando il gesto –Preparati a perdere,
moccioso!-.
Stranamente sentii
nascere una specie di cameratismo con quel ragazzo, un nuovo rispetto
per il suo coraggio e per la sua risolutezza: Mi stava proponendo una
competizione sana quanto onesta, che non potevo negargli.
Ma che ovviamente avrei
vinto io.
1) Apriamo il
capitolo con i Red Hot Chili Peppers e una delle loro canzoni
più belle in assoluto, uscita nel 2003 come singolo.
Come sempre vi invito a leggere questa nota dopo il capitolo, per
evitare spoiler.
Ora che avete letto sicuramente avrete capito perché la
citazione sugli scacchi. Beh, per prima cosa l'ho trovata adatta ad una
battaglia: Gli scacchi sono sinonimi di strategia, pezzi dominanti... e
poi, ovviamente, per la minaccia fatta al nostro Altaïr.
Ma andiamo con ordine:
Indubbiamente il pezzo più forte degli scacchi è
la regina, che può muoversi in tutti i sensi ed essere
ovunque, proprio come un arciere. E' la regina a dare l'estrema difesa
al re. Per questo Vega, che difendeva il forte, mi è
sembrata essere un perfetta Regina.
Non so se abbiate mai giocato a scacchi, ma solitamente se vi mangiano
la regina, siete davvero in svantaggio, specie verso la fine della
partita e proprio per questo, molte volte, un giocatore esperto a cui
viene mangiato questo pezzo, decide di auto mettersi in scacco, quindi
è come se il Re si suicidasse.
Ok, figo, ma cosa ci azzecca con i nostri protagonisti?
Dalle parole del generale si evince che il loro piano, che sembrerebbe
fallito, era quello di uccidere Vega per la sua posizione strategica (
e anche perché sapevano di pungere Altaïr, in
qualche modo), sapendo che il nostro bell'Assassino sarebbe
immediatamente corso da lei, esponendosi al pericolo per
l'impulsività... Quindi una specie di suicidio.
Questo scatena ovviamente rabbia in Altaïr, oltre che
preoccupazione, ma forse questi situazione lo ha aiutato a capire che,
lui che si è sempre vantato di non aver punti deboli, ormai
ne ha uno ben evidente. Non è più impenetrabile.
P.S.
Ammetto di non aver verificato se gli scacchi esistessero o meno
all'epoca... L'idea mi piaceva troppo e non volevo avere un motivo per
non infilarcela. Un brutto risvolto dell'essere estremamente precisi.
Quindi perdonatemi, per questa volta.
2) Spero di
non turbare nessuno con queste considerazioni sulla
spiritualità. La religione è una tematica su cui
non voglio soffermarmi, perché "Ognuno è libero
di fare quello che vuole. Non sta a noi giudicarlo. Non
importa quanto non siamo d'accordo". In ogni caso, se qualcuno avesse
recriminazioni e/o scomuniche (xD), vi ricordo che Altaïr
è dichiaratamente ateo nel libro "La crociata segreta" di
Oliver Bowden, e che si può tranquillamente evincere la sua
opinione religiosa anche dalle pagine del codice che ritrovate in ACII.
3) Il est l’Assassin!
Tuez-le! : -E' l'Assassino! Uccidetelo!-
4) Avez-vous peur,
infidèle?: Hai paura, infedele? ( Non
ho mai studiato francese, neanche alle medie perché facevo
tedesco, per cui prendetevela con google per qualsiasi errore)
5) Sicura
che Altaïr non avesse la minima idea di cosa fosse
l'adrenalina, ho cercato di descrivere quella sensazione con parole
più "semplici", tipiche suppongo dell'epoca.
6)Vous avez de la chance,
infidèle! Mais, parfois, la chance n'est pas assez!:
Sei fortunato, infedele! Ma, a volte, la fortuna non basta!
7) Latif: Gentile
8) La
Bastarda è una spada che si diffuse in Europa proprio
durante la III Crociata, quindi proprio quella che vivono i protagonisti. E' una spada ibrida,
figlia dell'arma tipica della Cavalleria dell'epoca (anche se con un
elsa più versatile) e della Spada a due mani usata dai
milites romani (della quale però risulta più
corta). Mi sembra attendibile che un facoltoso nobile francese (
proprio dalla Francia arriva la spada) fosse dotato dell'arma
più all'avanguardia possibile.
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Capitolo 15 *** 14. Nothing But Time ***
Spin-off nr 3/4
Lo so, lo so... sono una
persona orribile.
Da quant'è che non aggiorno? Due settimane? Tre? Non lo so.
Ma mi sento in colpa in ogni caso.
Per cui vi ringrazio enormemente per la vostra stoica pazienza e per
non avermi ancora abbandonato.
Ringrazio i miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e
Yukiko_Kitamura per la loro dedizione instancabile, le persone che
silenziosamente ricordano, seguono e preferiscono la storia. Oh, e i
tre gentilissimi lettori che mi hanno aggiunto agli scrittori
preferiti: Mi riempite di gioia!
Che dirvi?
Ah,giusto due cose: Ho aperto una piccola sfida che trovate nella nota
1, rispondete se vi va! E' un modo carino per rendere interattiva la
storia!
E sempre a questo proposito, pensavo di aprire un gruppo chiuso su
Facebook sulla storia, per condividere con voi anticipazioni, tempi di
aggiornamenti, disegni che faccio sulla fic (zan zan zaaaan) e
chiacchiere varie... che ne pensate? Mi potete cercare direttamente e io vi aggiungerò al gruppo: Sono Cass Pepper!!!
Buona Lettura!
Cass
14. Nothing But Time
In qualche modo, ogni cosa, andrà bene...
Se solo trovassimo un modo per farle
andare bene tutte più velocemente ogni giorno.
Se solo il tempo volasse come una colomba
noi dovremmo far sì che voli più velocemente
di come io mi sto innamorando.
Quindi non abbiamo nient'altro.
Nient'altro che il tempo nelle nostre mani...
E anche se sto cercando di mantenere la calma,
la sto perdendo sempre di più.
Paramore - Hallelujia₁
-Ciao, Waqi!-
Sentirlo parlare era quasi straziante. La sua voce era così
diversa da quella gioiosa e scampanellante che avevo lasciato prima di
partire per la Cina. Era così bassa, così
profonda.
Sorrisi immediatamente, girandomi nella sua direzione.
Il mio nome in arabo suonava così dolce, detto da lui, con
quella nota fraterna-non-fraterna, come amava definirla: "Non posso
mica precludermi la possibilità di corteggiarti, un
giorno!" rideva.
-Ciao Kadar- mormorai, con un groppo in gola.
Il suo volto, anche, era cambiato: Il viso era spigoloso, sempre
terribilmente abbronzato, con il pizzetto nero a contornargli le labbre
sottili. Nonostante il cappuccio, si intuiva la forma squadrata della
mascella, anche se non lo sarebbe mai stata come quella di
Altaïr.
Altaïr. Era strano pensare a lui in quel momento.
Forse era stato un
campanellino d'allarme per quel Waqi.
Non potevo negare che la prima
volta che mi aveva chiamata così avessi sentito le gambe
molli.
Perché mi aveva ricordato
lui,
ma allo stesso tempo, mi aveva sbattuto in faccia le loro differenze:
il suo Waqi non era dolce e nemmeno
fraterno-non-fraterno.
Era sensuale.
Eccitante.
-Sei cresciuta- fu il suo commento malizioso. Incrociò le
braccia dopo essersi abbassato il capuccio, mostrandomi il volto.
Gli zigomi erano appena sporgenti, i capelli scuri sparati in ogni
direzione e gli occhi... gli occhi neri di Kadar erano come pozzi
profondi in cui annegare.
Non mostravano solo le sue emozioni, la sua
anima... mostravano di
più. Mostravano tutto.
Riportai con forza
l'attenzione al discorso, era facile perdermi se si parlava di Kadar, e
rielaborai in fretta le sue parole e il suo tono, ma non avevo la forza
né di imbarazzarmi né di arrabbiarmi
per quella allusione, ero impetrita sul posto, troppo... troppo tutto,
troppo sconvolta, troppo felice...
Troppo emozionata al pensiero di poterlo
rivedere. Di poterlo sentire parlare. Di poterlo toccare.
Potevo? Non ne avevo idea, forse ne avevo la facoltà e
non il coraggio, ma
di certo non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi scuri e
profondi.
Avevo quasi dimenticato quanto fossi bello.
-Grazie- ghignò lui. Non ebbi nemmeno il tempo di protestare
per
l'intrusione che lui mi riprese -Siamo nella tua testa, piccola. Che ti
aspettavi? Non
hai segreti per me!- fece un sorrisino tenero - Finalmente sono io a
leggerti i pensieri e non il contrario-.
Ma
quell'espressione di gioia non ebbe nemmeno il tempo di nascere che
subito si incrinò.
Anche qualcosa in me si incrinò: non avrei potuto leggergli
mai più la mente. Non avremmo potuto fare più niente.
Presi un bel respiro per scacciare quel pensiero -Sei davvero tu?-
balbettai - Sei davvero qui?
Sì, insomma, tu sei...- faticavo anche a pensare quella
parola
-...vivo?-.
-No,
dolcezza. Ma vorrei esserlo, davvero tanto...-
Cominciò a mancarmi l'aria nei polmoni, la forza negli arti
e la
vista mi si offuscò di lacrime... perché ci avevo
sperato
davvero, avevo sperato che fosse tornato, che non fossi pazza, che non
fosse un sogno. Ma ero rimasta delusa. Credere non era
bastato.
Mi poggiai una mano sul cuore, cercando di tenerlo assieme dopo
quell'ennesimo strappo.
-Non piangere, Vega- mormorò, alzandò un braccio
verso di me.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso:
-Perché non dovrei piangere?- urlai -Perché non
dovrei piangere, Kadar? TU SEI MORTO- ansimai, sconfitta,
rendendomene finalmente conto.
-Non so se
te ne sei
accorto. Io ti ho perso due volte, senza saperlo. Senza volerlo. E ci
hai visti? Hai visto la fine che abbiamo fatto tutti?- feci un passo in
avanti per la foga, lui mi guardava petrificato.
-Samir
è un ribelle!
E'
così preso dai suoi piani contro Al Mualim che...- non
riuscii a continuare la frase per il dolore -Sono sicura che Malik sia distrutto. Dicono che
disegni mappe su mappe, che sia sempre indaffarato... Non si concede un
minuto per pensare. Non capisci
perché lo fanno?! Non ci arrivi proprio?- strinsi i pugni
fino a far diventare bianche le nocche.
-E hai visto me, Kadar?
Hai visto che fine ho fatto io?-
dovetti riprendere fiato, la gola mi bruciava per il
prolungato urlo. Ma non mi importava.
Non mi importava niente in quel momento - Io sono in missione con il
tuo assassino. Ma non bastava, sai? Non mi bastava una cosa del genere.
Sono diventata sua amica e mi piace esserlo...- mi fermai un secondo
per ficcare quel concetto anche nella mia mente -E' lui a piacermi-.
Kadar emise un lamento e
abbassò il capo con aria colpevole, dispiaciuta; ma in quel
momento non riuscivo a tollerare che lui provasse quei sentimenti.
Non
ne aveva il diritto.
Perché era
morto.
Feci altri passi in
avanti,
senza accorgermene -Non mostrarti addolorato, sai? Non permetterti
nemmeno di essere dispiaciuto, perché non puoi. Mi hai
capito?- il mio tono di voce esprimeva benissimo
l'isterismo che mi aveva colta, così come i miei passi
frenetici, che mi avvicinavano sempre più al suo corpo.
-E sai
perché? Perché non ci sei più, Kadar,
tu sei morto.
E quando muori, non te ne accorgi. Non si prova dolore- ormai gli ero
praticamente addosso -Sono gli altri, quelli che
rimangono, che soffrono-
ansimai, poggiando la fronte sul suo petto.
-E
tu sei morto!- conclusi amaramente, inspirando il suo odore fresco, di
bosco.
Quello non
era cambiato.
Le sue braccia mi
circondarono
immediatamente le spalle, accogliendomi, quasi conformandosi al mio
corpo. Mi sentii morire e rinascere allo stesso tempo.
Restammo così per un tempo indefinito e cercai di prendere tutto.
La mia mente mi stava offrendo un'occasione irrepitibile, una
proiezione del mio Kadar...
Non sapevo se sarebbe mai più
risuccesso: Così cercai di raccogliere tutto il
calore
della sua pelle, il suo odore, la tonicità della braccia, la
durezza degli addominali, il lieve pizzicore nato dal suo pizzetto
sulla mia fronte.
La morbidezza delle sue
labbra quando mi
sussurrò all'orecchio che mi aveva sempre amato.
Un singhiozzo più forte mi scappò a quelle
parole.
-Perché mi stai facendo questo? Mi stai offrendo una vita di
rimpianti- mugolai, alzando il capo verso di lui, stringendo di
più le braccia attorno alla sua vita.
Lui fece una risatina amara e, infilata una mano tra i miei capelli,
cominciò a massaggiarmeli -Sono un egoista, piccola-
confessò mestamente -Avevo bisogno di te. Di salutarti... E
non
ho fatto una cosa gentile, venendo a trovarti, lo so. Ma non potevo
lasciarti andare così. Non potevo lasciarti ad
Altaïr senza...-
fece una risatina nervosa - senza spiegarti per bene i miei sentimenti-.
La mia risposta fu un rantolo. Di sorpresa. Di dolore. Di imbarazzo. Di
irrazionale gioia per la sua confessione. Di rimpianto.
-Non piangere, piccola e dimmi una cosa- sussurrò,
avvicinandosi
ancora una volta al mio orecchio -Sei almeno un po' felice che
io ti ami?- Che
domanda sciocca.
Lo guardai torvo dal basso verso l'alto -Certo che lo
sono. Come potrei non esserlo?-.
Lui accostò il suo naso al mio e in questo modo le
nostre
labbra si sfiorarono appena. Il mio cuore cominciò a fare le
capriole.
- Perché la mia morte potrebbe farti erronemante
credere di non dover concedere il tuo cuore- soffiò
leggermente
e sentii ogni fibra nel mio corpo tremare -Non essere arrabbiata con
Altaïr- continuò -E digli che io non lo sono. Non
lo sono mai
stato-.
Si avvicinò ancora alle mie labbra. Non riuscivo a capire
come
potesse avvicinarsi tanto senza toccarmi davvero: forse era solo una
incongruenza del mio sogno.
Mi venne nuovamente da piangere a quel pensiero.
-Anzi- continuò, carezzandomi la guancia arrossata col
dorso della mano -Digli che una cosa gliela
invidierò sempre- mi guardò
profondamente -Questo-.
E le sue labbra furono sulle mie.
-Ehi Sayydah₂? Sayydah
sei sveglia?- Mi svegliai di soprassalto a quelle parole, con gli occhi
spalacati e vigili e il cuore che si agitava frenetico.
Non c'era Kadar. Non c'era Altaïr. Non c'era nessuno, se non
un bimbo
dagli occhietti neri vispi e una finestrella
lì dove c'era l'incisivo sinistro.
Lo riconobbi come 'Adel, il figlio di una delle cuoche.
-Marhaba₃!- bofonchiai,
la voce impastata e gracchiante per il sonno,
cercando di non scaricare su di lui tutta l'agitazione che provavo.
-Marhaba!- rispose lui, squillante, sorridendo ancora -Abbas mi ha
chiesto di svegliarti anche se non avevi il turno da senfinella-
continuò, mentre io mi puntellavo sui
gomiti prima di alzarmi del tutto dalla stuoia - Dice che ha una brutta
sensazione. Di tenersi pronti-.
Annuii, cercando ancora di non far trasparire il mio turbamento -Ma
certo.
Grazie per avermi avvisato!- gli sorrisi, porgendogli uno dei tanti
sacchettini di mandorle che Altaïr continuava a raccogliermi
quando
usciva dalla struttura.
Si mostrò entusiasta del
regalo e, dopo avermi detto grazie almeno cinque volte,
sgattaiolò via, saltellando.
Tirai un sospiro alzandomi definitivamente, abbandonando il torpore
della coperta. Era l'alba e quasi mi sentii arrabbiata con Abbas per
aver disturbato un bambino a quell'ora, oltre che per l'aver disturbato
me.
Me e Kadar.
Scacciai quel pensiero dalla mia testa, c'era un forte
rischio che mi mettessi ad urlare o, peggio, a piangere... decisi di
raggiungere immediatamente il mio compagno sul tetto, dove sapevo era
stanziato come senfinella,
per dirla come 'Adel.
Sorrisi, guardando i sacchetti sistemati ordinatamente sul tavolo.
"Ho visto che ti
piacciano davvero"
aveva detto seraficamente senza guardarmi negli occhi quando, stupita,
mi ero ritrovata il primo pacchetto tra le mani "E visto che molto
spesso non riesci a mangiare, devo nutrirti in qualche modo. Non me ne
faccio nulla di un'alleata deperita".
Che tradotto in Altaïrliese voleva dire "Ti ho pensato e
mi fa piacere prendertele. E' un modo stupido di essere gentile."
Quel ragazzo mi stava facendo diventare pazza...
Di lui.
L'avevo perso di vista.
L'avevo perso di vista da due ore, ormai.
L'avevo perso di di vista da due ore e non ero riuscita a fermare
tutti i templari che si muovevano verso il punto in cui lui
era
scomparso.
E non c'era traccia nemmeno di Abbas e Bashir, per giunta.
Era il momento giusto per farsi prendere dal panico. Cazzo.
Dovevo
tenere la mente occupata, altrimenti sarei impazzita del
tutto: Per questo benedissi in tutte le lingue che conoscevo la donna
che mi chiese, dopo aver inistito per non farmi medicare
subito, di
andare a cercare qualche superstite ferito.
Decisi di andare verso sud, nel punto in cui la maggiorparte dei
soldati si era diretta. La maggiorparte dei soldati e Altaïr.
Alzai gli occhi al cielo per me stessa e mi pulii con il dorso della
mano un rivoletto di sangue che mi era sgorgato dalla ferita all'occhio
per quel momvimento irruento... Un maledetto templare me l'aveva
riaperta grazie ad una sprangata in piena faccia.
Non ero potuta rimanere sul tetto per tutta la durata
della battaglia, perché a terra era servita una
mano salda che
guidasse gli attacchi; in precedenza noi arcieri con i combattenti
migliori, avevamo
cercato di allontanare il pericolo, ma una volta che i combattenti a
terra allontanavano il pericolo, si allontanavano anche loro.
Così ero scesa in campo. Non ne ero uscita del tutto
indenne, ma
avreste dovuto vedere gli altri. Eh eh.
-Vega!- mi girai verso quella voce, riconoscendo la figura di Abbas in
lontananza. Mi sentii subito più leggera e corsi verso di
lui,
che sembrava vagamente ammaccato e zoppicante.
Il sole cocente del pomeriggio aveva arroventato la sabbia e picchiava
forte su tutto il mio corpo, ma nemmeno questo unito alla stanchezza
avrebbe rallentato la mia corsa verso il ragazzo. Era il primo viso
amico che vedevo dall'alba.
Lo abbracciai di scatto.
-Stai bene?-
chiese con
voce fioca indicando la mia faccia, una volta terminata l'effusione -
Non hai una bella cera- constatò, sfregando le mani sulle
mie
braccia.
Liquidai la questione facendo spallucce -Non è la ferita che
mi fa più male. Tu come sei messo?-.
Mi risposi da sola guardando il suo braccio destro, penzolante e inerme.
-Non è grave- ansimò, ma il pallore della sua
pelle e il
sangue di cui erano impregnati i suoi vestiti raccontavano tutt'altra
storia.
Lo feci appoggiare sulla mia spalla e lo trascinai, tra le sue
lamentele e i continui " Non ne ho bisogno, cammino da solo"
(dannazione all'orgoglio maschile), fino al punto in cui sapevo si
trovava la squadra di "medici" della struttura. Lo feci accomodare
accanto ad un muro e andai a comunicare a Fhara (una delle donne che
avevo conosciuto in quei giorni) le condizioni di Abbas e che sarei
andata a cercare altri superstiti.
Lei mi ringraziò, ma disse che si sarebbe dovuta occupare
più tardi del giovane, perché le sue condizioni
non erano
critiche e c'erano persone decisamente più in pericolo di
lui.
Mi disse però di dargli un po' d'acqua... di darla a tutti i
feriti che trovavo, per reidratarli.
Accettai di buon
grado la
bisaccia piena e il tozzo di pane che mi offrì.
Aiutò a sentir meno la stanchezza.
Tornai subito da Abbas e lo rifocillai -Torno subito, va bene?-
mormorai,
accarezzandogli la spalla per rassicurarlo -Vado a cercare altri
superstiti-.
Fece un cenno col capo e un sorriso tirato -Ho visto dei corpi amici ad
est delle stalle, e ho sentito delle voci... Vai lì, magari
sono
ancora vivi- la sua voce era fioca e discontinua, provai subito una
grande preoccupazione per lui: Abbas era un caro amico, non solo una
brava persona.
Non mi andava per niente di lasciarlo lì, in quelle
condizioni, sapendo che non avrebbe ricevuto cure tanto presto.
Sembrò leggermi nella mente - Vega!- mi lanciò
un'occhiata torva -Sto bene. Non intendo rimetterci la pellaccia, vai
tranquilla. Senti che trambusto stanno facendo quei guaritori. Se
continuano così saranno da me prima che riesca a pensare
"ahia".
Lì, invece, c'è gente che ha bisogno di te-.
Annuì, rinvigorita di forza morale -Prometti di non
morire?- chiesi ancora, già in piedi, prima di ripartire
alla
ricerca.
Rise - Croce sul cuore!-.
Abbass aveva ragione.
Sei uomini giacevano grevemente feriti nelle vicinanze delle stalle.
Due avevano una delle gambe rotte, gli altri "solo" ferite che li
avevano indeboliti fino a renderli quasi infermi. Diedi un pezzo di
pane e un po' d'acqua a tutti: nessuno aveva riportato ferite ad organi
interni, si trattava dolo di ferite profonde ad arti, spalle... e uno
aveva
un profondo taglio che partiva dallo zigomo sinistro, poi per la parte
più alta del naso, fino terminare sullo zigomo destro.
Davanti a quella ferita rischiai veramente di vomitare l'anima, ma
probabilmente anche la mia faccia offriva uno spettacolo del genere.
Alcuni compagni che passavano di lì per tornare
alla
struttura, richiamati dai lamenti, mi aiutarono a riportare i feriti a
casa... prima però dovetti riaddrizzare le gambe ai due
storpi,
che altrimenti non sarebbero riusciti a compiere un solo passo.
Il rumore delle ossa che si riassestavano spaventò anche me,
ma
cercai di non darlo a vedere, mantenendo un'espressione calma e serena,
per non agitarli ancora di più di quanto non fossero
già.
Quando tornammo al campo medico improvvisato, visto che i nuovi
arrivati erano pronti a farsi carico delle ricerche, mi
chiesero di prestare aiuto al campo stesso: di certo,
dissero, non potevo
traportare in spalla i feriti o quanto meno trascinarli in salvo e
sembrava proprio che ci sapessi fare con le ossa e le ferite.
Così tra una sutura e un braccio spezzato, tra mutilazioni
di emergenza e fratture, passarono altre due ore.
Altre due ore senza sue notizie.
"E' morto"
mi dissi "Fattene una
ragione. Tutte le persone che ami muoiono."
No! Non poteva lasciarmi ora, non sarebbe morto proprio oggi; mi costrinsi ad elaborare solo pensieri di questo tipo e mi concentrai solo sui miei movimenti, per chiudere al meglio la ferita del ragazzo di cui mi stavo occupando, che poteva avere la mia
età,
se non ancora meno. Era bianco come un cencio,
mingherlino e decisamente spaventato, eppure non si era lamentato
nemmeno un po', solo una smorfia di tanto in tanto a contatto con l'ago.
-Complimenti... Sei il miglior paziente di oggi!- lo informai con tono
entusiata, ma lui rispose con un sorriso tirato, sebbene sincero.
Dopo averlo fatto bere e dopo averlo rispedito in struttura per
riposare, cominciai a racattare, ago, spago, acqua e garze per
occuparmi di qualche altro paziente, ma Abbas mi piombò
accanto
tutto sorridente, impedendomi di andare avanti nel mio lavoro.
-Abbas, levati di torno. Devo lavorare!- non volevo essere
così
sgarbata, ma il pensiero che Altaïr fosse chissà
dove e
chissà cosa (disperso,
ferito, morto?) mi stava completamente rivoltando; ero pronta a
scusarmi, ma Abbas non sembrava aver notato il mio tono acido.
Sorrideva. Sorrideva imperturbabile.
Alzai un sopracciglio, perplessa, davanti quel ghigno smagliante, agli
occhi lucidi come se fosse commosso e al rossore delle
sue guance.
Sembrava un cretino.
Anzi no, peggio: sembrava un drogato.
-Ti hanno dato un oppiaceo, vero?- la cosa non mi stupii,
la sua
ferità era davvero mostruosa, sebbene non mortale -So che ti
senti il padrone del mondo
ma è un'allucinazione - scandii lentamente ogni lettera, con
tono
grave, cercando di riportarlo sulla Terra. Gli posai le mani sulle
spalle, per aumentare la carica delle mie parole -Mi senti? Guardami
negli occhi... Non fare stupidaggini!-.
Rimase nella sua espressione da ebete -Certo. Io ti guardo sempre negli
occhi... sono bellissimi- e mi prese la faccia tra le mani, con
delicatezza, attento a non premere sulla ferita. Aveva le dita infilate
tra i capelli e i pollici sui miei zigomi.
Avvampai per quel gesto, di imbarazzo e rabbia -Abbas, che accidenti
stai fac...- Mi stava baciando.
Ecco che stava facendo, quell'idiota.
Dovrebbe scrivere un codice, a caratteri cubitali, con il titolo
"Come rovinare una amicizia davvero bella in un minuto", sarei stata
una grande sostenitrice dell'efficacia dei suoi metodi. Certo, istigava
violenza fisica, ma che vuoi che sia? A chi non piace rovinarsi le
amicizie?!
E lui
continuava a muovere le sue labbra umide sulle mie, non importandosene
che
invece io fossi immobile e pietrificata.
Non ci posso credere. Non può succedere sempre a me.
Lo spintonai con entrambe le mani, mantenendo un'espressione disgustata
e al contempo incazzata. Incrociai le braccia sul petto e mi
piantai saldamente sui piedi, come se dovessi fare una scazzottata.
Sentivo un pizzicorio nelle mani, oltre che ad uno stupidissimo
tremolio.
Ero al contempo arrabbiata e sentimentalmente agitata per quel bacio...
Non riuscivo a capacitarmi di piacere a qualcuno come Abbas, che aveva
sempre intorno donne bellissime e dall'elevatissimo spirito come
Illiana, per esempio. Forse dovevo avere qualcosa di speciale, a parte
i miei poteri, che non riuscivo a cogliere. Forse destavo interesse
solo perché ero così pallida e rossa in un mare di
scurissime bellezze orientali.
Ero in imbarazzo anche perché, in qualche modo, mi piaceva
Abbas, non solo come persona, ma anche per il modo in cui poneva con
tutti, con me.
Ma era un interesse diverso
dall'interesse (Troppo riduttivo come termine) che destava
Kadar nel mio animo.
Mi piaceva in un modo
totalmente diverso da quello in cui mi piaceva
Altaïr.
Mi venne un groppo in gola al pensiero che, molto probabilmete, avevo
perso entrambi
- Oh, andiamo, Vega! Abbiamo vinto... abbiamo vinto! Non sei nemmeno un
po' entusiasta?- riprese lui, imperterrito, alzando le braccia al
cielo, come se la mia reazione fosse incomprensibilmente piatta e
inadeguata.
Mi chiesi se avessi potuto avere una reazione diversa, più
diplomatica o magari più rilassata se non fossi stata
così strapazzata dagli eventi, così piena di
emozioni
positive e negative allo stesso tempo. Insomma, se non fossi stata
così stremata.
Sbuffai - E questa cosa
che hai fatto ti sembra un modo di festeggiare?!-
Lui tornò a sorridere come un idiota, stringendosi nelle
spalle
con aria innocente -Ogni momento che passo con te è da
festeggiare!- Stava per riavvicinarsi, ma io fui più svelta
e lo
colpii in piena faccia con un pugno.
Oh sì. Esattamente. CON UN PUGNO.
Il suo naso a contatto con le mie nocche fece un suono assordante,
forse peggio di quello che avevano fatto le ossa dei due superstiti
salvati.
-Accidenti, Vega! Adesso capisco perché fai l'Assassina...-
rantolò, cercando di trattenere la fuoriuscita di sangue dal
naso - Sei pericolosa, aggressiva....- inaspettatamente sorrise -Mi
piaci sempre di più!-
Imbarazzata come non mai, girai sui tacchi e andai da qualche altro
paziente, con lo stomaco in sobbuglio per le parole di quel idiota.
Scappò un sorriso anche a me.
Una manciata di minuti dopo, vidi Abbas correre incontro ad una figura
all'orizzonte, con la tunica bianca sollevata per la corsa e la luce
del
sole che si rifletteva sui piccoli scudi metallici dell'avambraccio. Mi
ci volle molto meno di un secondo per riconoscerlo.
-Altaïr! Altaïr- urlò
l'amante-senza-paura, sventolando un
braccio in segno di saluto e io sentii il mio cuore alleggerirsi.
Alleggerirsi di
tutto.
Del senso di colpa per il pugno dato ad Abbas. Dall'angoscia. Dalla
paura di non rivederlo mai più. Dalla tristezza.
"Sei vivo" fu tutto quello che riuscii a pensare
lucidamente
nella successione caotica dei pensieri che mi affollavano la testa:
Stava bene? Che cosa aveva combinato? Era ferito, disidratato?
Cercai di rallentare il ritmo forsennato del mio cuore, ma i miei
tentativi furono resi vani quando mi accorsi che prima ancora di
guardare Abbas, cercò disperatamente tra la gente
finché
non fermò il suo sguardo su di me.
Il mio cuore perse un battito.
1) La
canzone scelta per questo capitolo, che doveva essere uno spin-off,
all'inizio, è Hallelujia dei Paramore. E' una canzone, lo
ammetto, che non mi piace tanto come le precedenti che ho condiviso con
voi. Ma penso che la Williams (cantante di questo gruppo) sia un'ottima
paroliera.
Prima di spiegare i motivi della mia scelta, voglio chiarire una cosa.
L'idea di far ricomparire Kadar in sogno non è
frutto della mia vena romantica, né un modo per
torturare Vega o per spronarla a gettarsi tra le braccia di
Altaïr.
C'è un motivo ben specifico e non è del tutto
sentimentale. Vi do un indizio e lancio UN SONDAGGIO per vedere se
qualcuno indovina:
Vi ricordate cosa vede
Altaïr quando guarda Vega con l'Occhio dell'Aquila per la
prima volta? In che modo potrebbe essere collegato con il sogno?
Le parole di Hallelujia si legano bene sia alle emozioni del sogno sia
a quelle della bruciante attesa del ritorno Altaïr, dopo la
battaglia... insomma, che descrivino bene Vega in generale.
Ha ammesso che le piace Altaïr: L'aveva fatto anche nel primo
spin-off a lei dedicato, eppure credo che il significato di quel
piacere sia cambiato radicalmente. Ma arriva sempre un nuovo ostacolo
per ogni passo in avanti che i nostri Assassini compiono.
Se avete imparato a conoscere Vega, avrete capito che è una
che "pensa positivo" e crede sinceramente che Altaïr sia
diverso dall'uomo che ha ucciso Kadar, che il suo perdono (anche se
ancora Altair non lo sa) non sia stato sprecato, lei crede che
tornerà vivo, anche se il tempo passa.
E questa sua positività crea strane combinazioni col suo
essere pragmatica e impulsiva.
Come la "violenza" con cui rinfaccia a Kadar le conseguenze della sua
morte, la testardaggine che dimostra non facendosi curare per tenersi
impegnata, il pugno dato a Abbas...
Non mancheranno sorprese.
2) Sayydah: Signora.
Credo di aver già usato questo termine, ma lo ripeto per
sicurezza! ^^
3) Marhaba: E' un
saluto molto informale, come il nostro "ciao!". Non è
usatissimo, si preferisce il saluto "Salam", più educato...
per questo l'ho trovato più adatto ad un bambino.
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Capitolo 16 *** 15. In Your Eyes (Prima Parte) ***
Capitolo 15
Non ho davvero idea di
come scusarmi... Implorarvi? Flagellarmi? Cosa, ditemi qualsiasi cosa e
io lo farò! Ma PERDONATEMI!
Io
cercherò di rendervi clementi con la prima luuunga parte del
nuovo capitolo! Un capitolo molto intenso e rivelatore!
Una delle domande
che spesso mi avete fatto è "Da dove è saltata
fuori Vega?", "Perché si chiama così?", "In che
modo lei e Altaïr sono collegati?"
Questo
è il capitolo in cui i vostri dubbi verranno svelati!!!
Ringrazio i
miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per
le belle chiacchierate e tutti i lettori silenziosi che
seguono, ricordano e preferiscono la fic!
Ricordo a tutti
che per anticipazioni, curiosità e contenuti extra vari,
potete trovarmi su Facebook come Cass Pepper!
P.S.
Riporto qui i
risultati del sondaggio: Werepapers era del tutto lontano, mentre
Illiana e O n i c e hanno entrambe colto degli aspetti giusti, ma non
hanno la risposta del tutto esatta!
Buona
lettura
Cass
15. In Your Eyes
Amore, non mi
piace vedere che sprechiamo così tanto dolore
mentre questo
momento continua a scivolare via…
Anche se ho
voglia di scappare, in qualsiasi modo io lo faccia,
torno sempre nel
posto dove ci sei tu.
E allora tutti i
miei istinti, beh, ritornano…
E la grande
facciata prende subito fuoco!
Senza alcun
rumore, senza il mio orgoglio,
ti
tenderò una mano dal profondo… Dei tuoi occhi.
Peter Gabriel
– In
Your Eyes₁
-E
questo giro lo
dedichiamo ai nostri Assassini…- gridò Bashir,
ormai del tutto fuori, portando
il calice colmo di vino sopra la sua testa – I nostri Angeli
della Morte!-
Un coro estasiato di urla si levò da tutta la popolazione
della Resistenza,
riunita in festeggiamenti nella sala più grande della
Struttura.
Il clima era assai gioioso attorno al grande fuoco scoppiettante, tra
danze e
svaghi, le lingue ormai sciolte dal vino, tutto accompagnato dalla
musica che
alcuni ragazzi suonavano servendosi di un rovinato Quanum
e di un Arghoul,
con delle ragazze che, sedute accanto ai musicisti o intente a ballare,
tenevano il ritmo con gli Zagat₂.
Io e Vega, stesi
vicini sui dei cuscini, rispondemmo al coro in nostro onore
alzando contemporaneamente i calici pieni.
Lei con un
sorriso.
Io con sguardo trionfo.
I festeggiamenti
sembravano procedere piacevoli e tranquilli anche se Abbas mi
aveva detto, quando ci era venuto a chiamare dalle nostre stanze, che
questo
era solo un “intrattenimento” mentre aspettavamo
che anche quella parte di abitanti,
allontanata per sicurezza, tornasse, per poter poi iniziare a fare sul serio.
-In quel gruppo
c’è anche la signora che vi aiuterà con
le ricerche- aveva
fremuto mesto, cambiando completamente umore, lanciando una occhiata
furtiva a
Vega.
Lei gli aveva
sorriso, carezzandogli il braccio –Andiamo Abbas, siamo stati con te per
più di un mese-
si fermò un secondo, facendo quadrare i conti.
-Anzi,
direi abbondantemente più di un
mese… E siamo amici, ora. Ci rivedremo
sicuramente! Non roviniamoci la festa con questi pensieri, va bene?-.
Abbas
l’aveva abbracciata di slancio e io avevo distolto lo
sguardo, un po’
perché mi infastidiva la spontaneità che la loro
amicizia aveva raggiunto, un
po’ perché stavo ridendo del plurale usato dalla
ragazza.
Era come se
avesse messo un paletto, e quindi un punto a mio favore.
Tornai al presente, volgendo lo sguardo alla mia Waqi, vestita semplicemente
della tunica bianca senza maniche (cosa
che in un normale giorno avrebbe causato scalpore) e dei pantaloni,
senza
cappuccio, cinturone, avambracci, stivali e senza fasce al seno, ma evitai accuratamente
di soffermarmi su questo
pensiero durante tutta la serata, per tutelare la mia salute fisica e
mentale.
Aveva anche, a
causa del vino, le gote un po’ arrossate, di cui la sinistra
ancora livida, oltre che attraversata dallo spago usato per metterle i
punti.
Erano passati
undici giorni dalla battaglia, Salah Ad-Dhin aveva ripreso Acri,
cacciato i Templari e la resistenza sarebbe rimasta tale ancora per
poco.
Il tempo di
organizzare tutto, nuove abitazioni, lavori, trasferimenti e poi...
Vita.
Nonostante la
festa vera fosse quella che ci accingevamo a festeggiare, ogni
singolo momento del tempo passato dalla battaglia era stata una celebrazione.
La
popolazione di Acri aveva riavuto la sua
normale vita,
a caro prezzo, per cui ogni respiro esalato era degno di
essere accolto festosamente, specie in memoria di chi era morto nel
tentativo
di assicurare la vita ai propri cari.
Esaminai ogni
tratto di quella ferita, eppure quel segno sulla sua faccia non
intaccava minimamente la sua bellezza, almeno ai miei occhi.
Si
girò, forse aveva notato che la stavo osservando
–Che c’è?- ridacchiò,
ponendosi ad una distanza pericolosa dal mio viso – Non sei
abituato neanche a
festeggiare, uomo-di-pietra?- insinuò
scherzosamente, muovendo l’indice con ammonimento.
Fu naturale farmi
contagiare dal suo cameratismo – Non sono fatto per le
festicciole di campagna. Festeggio in altri
modi e
con altra
compagnia,
solitamente…- le feci un occhiolino e lei
avvampò, forse per l’allusione, con
lo sguardo contrito.
Quasi
stentai a credere che fosse muffrih₃ sentirla gelosa!
Qualcosa mi si gonfiò nel petto, ma non potei godere di
quella sensazione
per molto, perché Vega, con un sorriso sospettosamente
ingenuo, si protese
ancora di più verso di me, facendo aderire i nostri petti e
sfiorare le nostre bocche.
Appunto, non
c’era niente di ingenuo in
ogni suo gesto.
Rapii il mio
sguardo come un’incantatrice di serpenti e si
passò la lingua sul
labbro superiore –Posso rimediare all’errore di
questi contadini e
farti sentire più a casa- mugugnò
soffice, con voce sensuale.
Mi
scappò un ghigno per quel suo subdolo giochetto, ma mentirei
se dicessi che
ero rimasto impassibile e padrone di me stesso, e lei lo sapeva.
Vega sapeva
giocare, e dannatamente
bene,
aggiungerei, e io non avevo
minimamente voglia di resisterle, perché
negarlo?,
ma non avrebbe dovuto compiacersi tanto presto della riuscita di
quel suo tiro mancino.
Quando si
spostò vittoriosa da quella posizione, la riacciuffai per il
braccio
e la riavvicinai di scatto ad una spanna
dal mio viso.
Confusa dal mio
gesto, restò immobile in quella posizione, con le guance
ancor
più rosee di quanto fossero state prima.
Di certo il vino non c’entrava più
niente.
-Chissà?-
dissi, sorridendo lievemente per quella constatazione
–Magari un giorno potrei accettare... -.
Scosse la testa,
riprendendo il controllo –Chissà? Magari sarai tu a
chiederlo a me...-.
Non so
quale spirito mi aiutò a
reprimere l’acuto desiderio di zittirla con un bacio.
La nostra bolla privata esplose quando, gridando, entrarono un
po’ per volta
una serie di persone mai viste, con un sorriso sul volto.
Finalmente il
resto della Resistenza era tornato.
Erano parenti,
amici, persone che avevano temuto il peggio, che avevano vagato
nel deserto col peso di poter sopravvivere ai loro cari, ma
che ora erano lì, insieme, a festeggiare.
Bevvi un altro
sorso di vino, mentre Vega raggiungeva Illiana e qualche altra
signora, che l’avevano chiamata.
La guardai
scivolare agilmente tra i corpi ammassati, come se un raggio di sole
illuminasse lei, oscurando il resto: Illiana, con Onice che sgambettava
tra le
sue braccia, le mille persone a cui passava vicino, erano solo un
contorno
sfocato, scuro e indefinito. Potevano anche non esserci, non sarebbe
cambiato
nulla, per me.
***
-Non la trovi meravigliosa?-
Mi girai di
scatto verso quella discreta presenza al mio fianco: era una
anziana signora, appena ingobbita dall’età, con
una serie di rughe a
incresparle il viso olivastro; la sua espressione era serena, se non
addirittura
divertita, come mi faceva ipotizzare quel suo sopracciglio alzato che
quasi
sfiorava l’attaccatura dei bianchi capelli.
Ero sicuro di non
averla mai vista prima di quel momento, quindi dedussi fosse
una delle ribelli appena tornate.
- Non capisco a
cosa si riferisce, Sayydah!-
risposi, con tono cauto, sebbene
avessi capito che la sua allusione centrava con Vega e
l’insistenza con cui la
stavo osservando mentre ballava con gli altri paesani.
Lei
allargò quel vago sorriso – Oh, non fare lo
sprovveduto con me, ragazzo!
Parlo della pallade fanciulla che osservi da tutta la sera,
ovviamente!-.
Non
riuscivo a decidere se l’intraprendenza di quella donna mi
infastidisse, mi
preoccupasse o se mi facesse addirittura rallegrare!
Nel dubbio, restai impassibile – E’una grande Sadîq₄
per me- conclusi sbrigativo, certo di non voler raccontare le mie
debolezze a
quella strana vecchietta.
Ma se c’era una cosa che avevo imparato da quando Vega era
piombata nella mia
vita, era l’essere quanto meno educato anche se non ne avevo
un personale tornaconto, così intavolai una
discussione di pura cortesia con la Signora -Tasmah
lî
an uquadim nafsî, anâ₅...-
-Altaïr,
so chi sei!- ghignò lei, vedendomi preso in contropiede
– Io sono Ranya-.
Feci un grosso
sforzo per mantenere la calma – Ranya... Colei che guarda con
attenzione.
Mi sembra un nome appropriato!- ironizzai incrociando le braccia.
La cosa
più intelligente che pensai per tutelarmi dalle intenzioni
di quella
donna fu osservarla con l’Occhio dell’Aquila: Era
di un blu vivo, come
qualsiasi alleato.
La cosa non mi
calmò per niente.
-E chiunque osservi con
attenzione, di solito, sa molte cose...- sospirò -Io
so, ad esempio, che non è carino dubitare
dell’intenzioni di una povera vecchia
e analizzarla con il proprio dono!-.
Ebbi un sobbalzo
interno, forzandomi di rimanere ancora impassibile e padrone
della situazione –Perché no, avendone la
possibilità? E perché preoccuparsi, se
la signora non ha qualcosa da nascondere?- insinuai freddamente,
irrigidendomi
nella postura.
Scosse la testa,
aggiustandosi meglio lo scialle di lino sulle spalle,
crucciando le sopracciglia e le labbra in una espressione scocciata.
–Io
so molto di tutti, è vero. Ma in
particolare credo di sapere molto di te- si fermò, volgendo
lo sguardo verso
Vega – E di quella fanciulla-.
Collegai solo in
quel momento chi davvero fosse quella donna e quando glielo
feci presente, mi diede dello stupido per la mia tardività.
Era la nostra
informatrice. La depositaria delle millenarie leggende.
Non sapevo
perché non l’avessi collegata immediatamente al
suo ruolo, era
evidente dalle prime battute che fosse lei, eppure non ci avevo
minimamente
pensato... ero troppo preoccupato di difendermi della sua insinuazione
sui miei
sentimenti verso Vega. E a difendere Vega stessa.
Realizzai
pienamente, e solo in quel momento, che ormai della missione mi
interessava davvero poco.
-Vedi,
ragazzo...- riprese lei, accorgendosi del mio sguardo smarrito
– Ci sono
cose contro cui non si può combattere... Veniamo al mondo
liberi, questo sì, ma
c’è già un disegno pronto per noi. A
volte riusciamo ad evitarlo... In altre vi
cediamo con facilità... Ma in alcuni casi non
abbiamo scelta-.
Sfuggii alla mia
conversazione con la vecchia solo dopo essermi accertato che ci avrebbe
raccontato quello che sapeva su me, Waqi e sulla dannata prima
civilizzazione
in un momento di raccoglimento con la popolazione.
E allora mi
defilai. Mi defilai e anche in fretta.
Non mi ero mai
sentito tanto agitato
prima di allora.
Ma agitato era il termine giusto?
Ero
agitato? Intimorito? Scoraggiato? Preoccupato?
Cosa si prova
esattamente quando scopri di non avere scelta? Che la
metà dei sentimenti che provi non è forse
reale? O che, se anche fossero sentimenti reali, porteranno a qualcosa
di
prescritto e che non hai potere su
questo?
-Stai proprio da schifo!-
Appunto.
Alzai
lo sguardo verso di lei che, sudata e un po’ scomposta, mi
sorrideva
con sincerità –Ti lascio solo un’ora e
ti ritrovo a bere tutto solo.... Non sei
proprio l’anima della festa, vero?-.
Strinsi i pugni e
chiusi gli occhi, senza rispondere, se non un sorriso tirato
e visibilmente finto.
Mi dispiace, Waqi,
ma sei l’ultima
persona che vorrei vedere ora. Stranamente.
Si
accomodò accanto a me, forse
ritenendo tutto sommato normale il mio cattivo umore e di certo non
sospettando
che potesse esserne lei la causa.
“Sei
sicuro che vada tutto bene?”
Ebbi un sussulto.
Era la seconda
volta, da quando la conoscevo, che Vega mi parlava nella mente.
Dire che fosse
sorprendente il modo in cui lo faceva sarebbe un eufemismo,
sembrava come se si sostituisse al mio stesso intelletto, impedendomi
di
concepire alcun pensiero e costringendomi ad ascoltarla.
“Costringerti
ad ascoltare?” continuò
e mi fece così capire che mi stava anche leggendo
nella mente “Vuol dire che non vuoi
parlarmi?”
Riaprii gli occhi
e voltai la testa verso di lei. Aveva poggiato una mano sul
mio braccio e mi guardava fisso, con espressione rammaricata. I suoi
occhi
erano spalancati e la sua bocca
crucciata “Qualunque
cosa io abbia fatto,
mi dispiace”.
“Non è colpa tua”
“–Sei l’ultima persona che vorrei vedere
ora- Non mi sembra una cosa carina
da pensare“
“E invece spiare nella mia mente ti sembra carino?”
Spostò la mano e si allontanò appena col corpo,
distolse lo sguardo e, dopo
aver incrociato le braccia al petto, mi comunicò che avremmo
ascoltato insieme
le leggende e poi sarebbe tornata dov’era benvoluta e non mi
avrebbe più
disturbato.
Tirai un sospiro,
sentendomi tremendamente in colpa -Vega non fare la
bambina...-
Mi
riservò un’occhiataccia degna dei nostri primi
giorni di conoscenza, facendo
un altro piccolo passo per allontanarsi da me –
Sta’ zitto, Ranya inizia a
parlare!-
Mi girai verso il
grande fuoco e trovai tutti seduti, in religioso silenzio,
dediti a prestare attenzione a Ranya. Improvvisamente gettò
una strana
polverina nella fiamma, che ne colorò ogni lingua di celeste.
Aveva una certa
aurea mistica, non potevo negarglielo!
“In un mpo lontano, la
figlia
dell’imperatore e dell’imperatrice dei Cieli,
Zhinu, talentuosissima
tessitrice, sedeva accanto al suo telaio celeste e tesseva splendidi
arazzi con
i colori dell’alba e del tramonto; ogni essere vivente sulla
terra non poteva
che fermarsi ad ammirare gli splendidi colori del cielo...
Una sera
d’estate, stanca per il molto lavorare, seduta accanto ad un
ruscello
che scorreva vicino al suo palazzo imperiale, sentii una dolce musica
provenire
dall’altra sponda del fiume.
Zhinu era
bella quanto curiosa, così, saltellando su delle pietre,
attraversò
il corso d’acqua: Disteso sull’altra sponda, il
giovane Niulang suonava il
flauto, riposandosi dalle sue fatiche di guardiano di buoi.
I due
giovani si conobbero e cominciarono a suonare e a cantare insieme.
Ogni
giorno la Principessa attraversava il fiume e raggiungeva Niulang e
finirono così per innamorarsi...”
Sentii
Vega smettere di respirare. In qualche modo lo feci anche io. Chissà se gli
stessi dubbi che stavano attanagliando me, si fossero insinuati
anche in lei.
“Per
il suo
matrimonio, Zhinu tesse il più bel vestito mai creato,
servendosi di gocce di
rugiada e della luce delle stelle. La notte delle loro nozze era
così luminosa,
che tutte le genti che vivevano sulla Terra si chiesero
perché la Stella
Tessitrice avesse un tale splendore.
Furono
sposi talmente felici che dimenticarono di occuparsi dei propri compiti!
Le
tenebre caddero sui cieli e sulle terre poiché Zhinu non
tesseva più i
luminosi tramonti e le fresche albe... Tant’è che
il suo telaio si ricoprì di
ragnatele.
Niulang
non custodiva più i suoi buoi, che presero a girovagare
senza
controllo, invadendo così le costellazioni vicine... Una
forte ira prese gli
dei!
In
particolare la Regina dei Cieli, madre di Zhinu, traboccava di collera,
poiché un bue era entrato nella sua stanza da letto e aveva
riversato sul
pavimento le sue spille d’argento per i capelli.
La
regina, allora, ne raccolse una e disegnò una linea
attraverso il cielo,
lungo il ruscello vicino al palazzo. Con questo unico gesto, ella
creò un
grande Fiume D’Argento. E con questo, separò i due
giovani, ponendoli alle rive
opposte.
Zhinu,
disperata, piangeva da mattino a sera, ma ricominciò a
tessere le sue
splendide tele. Anche Niulang riprese il suo ruolo di guardiano, ma era
profondamente triste e nei momenti di riposo non suonava più
il suo flauto.
L’Imperatore
dei Cieli, impietosito dalla disperazione della figlia, decise che
un giorno all’anno i due sposi avrebbero
potuto nuovamente incontrarsi.
Durante
il resto dell’anno Zhinu intreccia i colori del cielo e
Niulang pascola
i buoi celesti, sognando entrambi il giorno in cui potranno finalmente
rincontrarsi.”
Un
grande silenzio era calato nella sala, lo scoppiettare del fuoco
azzurro era
ben udibile, insieme ad alcuni sospiri rilasciati qui e lì
dai paesani.
Credevo che se
questo silenzio assordante fosse continuato, si sarebbe potuto
sentire anche il battito forsennato del mio cuore.
Ranya,
sorprendentemente, riprese a parlare –Questa è una
antica leggenda
orientale che i nostri antenati condividevano con i grandi saggi
Cinesi.
Zhinu per noi non è altro che la stella più
luminosa della Lyra: Vega...- fermò
per un secondo lo sguardo fra di noi – Mentre Niulang
è il becco della
costellazione dell’Aquila, Altaïr-
riportò la sua attenzione altrove,
continuando a indicare nel vuoto le costellazioni -Il Fiume
d’Argento, invece,
è...-₆
Mi
girai verso Vega proprio mentre lei si stava alzando: i suoi movimenti
non più
flessuosi come quelli che l’avevano accompagnata per tutta la
serata. Le sue
mani erano saldamente contratte, tanto che temetti si stesse
conficcando le
unghie nei palmi... Ma la cosa più spaventosa era il suo
viso.
Vega stava
piangendo.
Non
piangere.
Ma non era il
pianto folle
e disperato a cui avevo assistito quando le avevo comunicato della
morte di
Kadar. E non erano nemmeno quelle piccole lacrime che le scivolavano
sulle
guance quando rideva troppo.
Quelle erano lacrime di dolore. La sua faccia era sofferenza...era
sconfitta.
Non
piangere, piccola.
Mi alzai anche io, con la
speranza di riavvicinarla -Vega, io...-
-No-
Quel
“no” appena sussurrato era suonato come un urlo
alle mie orecchie, il
suo tono soffocato dalle lacrime era stato come una coltellata.
In quel momento
una certezza si insinuò nella mia mente. Non solo gli stessi
dubbi che avevano attanagliato la mia mente stavano attanagliando anche
lei, ma
che probabilmente nessuno dei due aveva la forza di affrontare la
situazione.
Un singhiozzo
rimbombò nel petto della mia assassina, quasi a conferma
delle
mie parole.
Non
piangere, Waqi. Andrà tutto bene.
Faremo in modo che vada bene.
Cercai
di fare un altro passo verso di lei, per consolarla -Vega, questo
non vuol dire niente. Non siamo costretti
a fare niente, io ti...-
-No, ti prego.-
Le sue
lacrime non sembravano voler smettere di scendere, le sue mani erano
ancora contratte.
Le parole mi
morirono in gola. Le mie gambe si irrigidirono. E sentii di aver
perso.
Mi sentivo perso
e uno strano vuoto cominciò a riempire il mio cuore.
- Io... esco- fu
tutto quello che dissi. Non so nemmeno se per assecondare il
suo desiderio, se per placare il mio, o perché stavo soffocando.
Vega
annuì piano, forse lei avrebbe saputo meglio di me cosa
stavo provando,
forse non gliene importava davvero. Non aveva voluto che glielo
dicessi, quello
che provavo.
Mi incamminai
verso l’uscita con foga, arrancando con il disperato bisogno
di aria. Non sapevo
perché i miei polmoni
avessero deciso di abbandonarmi in quel momento in cui avevo ancor
più bisogno
di tutte le mie forze.
Ma ci volle un
momento, non appena fui fuori, per capire che l’unica aria di
cui avevo bisogno era scappata dalla parte opposta.
Vega
-Sapevo che non
poteva essere reale!-
Kadar
fece un mezzo sorriso, alzando gli occhi al cielo, come se fossi una
bambina che insisteva nel dire che i mostri esistessero.
Se
possibile, quella sua reazione mi fece sentire anche peggio, tirai su
col
naso, impedendomi di versare anche una singola lacrima.
- Non
guardarmi così. Cosa avrebbe potuto distogliere tanto la mia
attenzione
da te, dai miei compiti, da me stessa,
se non qualcosa che va oltre ciò che io sono, voglio e
sento?-
Scosse
ancora la testa, questa volta con rassegnazione -Stai scherzando Vega,
vero?-
Alzai il
capo, che avevo rinchiuso tra le braccia, accucciandomi in posizione
fetale per terra, e lanciai a Kadar la migliore delle mie occhiatacce.
-Ti
sembra che io stia scherzando?-
Lui
alzò le mani, come a volersi dichiarare innocente e, dopo
essersi
seduto accanto a me, mi circondò le spalle con un braccio.
-Piccola,
io mi rendo conto che una cosa del genere possa spaventare, ma ...-
- Spaventare?! Mi prendi in
giro?!-
-Posso
continuare?- mi gelò con un’occhiata di
ammonimento.
-Scusa...-
Sorrise
– Vega cosa credi che possa fare questa stupida leggenda? Che
ti abbia obbligata
a
conoscere Altaïr? A legare
con lui? A trovarlo simpatico? Ad innamorarti di lui?-
Mi coprii
le orecchie con le mani -Smettila! Non ti voglio ascoltare- sentii lo
stomaco contrarsi, quasi come se volessi vomitare.
Non
potevo credere che lui potesse non accorgersi del disastro che era
appena
avvenuto. Non potevo credere che non si rendesse conto di come quella
leggenda avrebbe
influito su quello che volevo tentare di costruire con Altaïr.
Già
ero molto agitata all’idea di stare con un uomo che non fosse
Kadar, ed ero
spaventata e indisposta anche dal mondo in cui Altaïr era
riuscito ad
insinuarsi nella mia vita, sotto la mia pelle: Mi aveva stravolto
l’esistenza
con la stessa agilità con cui destreggiava le armi.
-Kadar...
Non ti rendi conto?- rantolai, interrompendo i miei nefasti pensieri
e tornando a guardarlo – E’ ovvio che nessuno mi
abbia concretamente
obbligata
ad apprezzare Altaïr, ma questi sentimenti
non sono del tutto miei. Non siamo davvero io e lui. Non è
stato un caso che ci
fossimo incontrati, che tra di noi ci sia sempre quella sintonia
disarmante,
quell’attrazione...- mi vennero i brivido solo al ripensare
ai nostri due baci,
o a qualche sporadico abbraccio che ci eravamo scambiati.
-Fammi
capire...- indugiò, come per cercare le parole adatte
– Credi che dentro
di voi ci sia un qualcosa che abbia reagito istintivamente? Che fosse
inevitabile che vi piaceste perché avete qualcosa
in voi che vi rende legati indissolubilmente?-
Quasi mi
sentii confortata da quello spiraglio di comprensione –Non
avrei
saputo dirlo meglio...-
Lui
sorrise, un po’ con dolcezza, un po’ con amarezza
–Quel qualcosa non
può essere semplicemente Amore?-
Probabilmente
sì.
Mi svegliai di
soprassalto, per il cigolio della porta di legno della stanza.
Ero nella stessa
posizione del mio sogno, accovacciata con la testa tra la
braccia, appoggiata al muro sotto la finestra. Le mie mani si erano
artigliate
ai gomiti apposti, come se avessi paura di disgregarmi se mi fossi
lasciata
andare.
Sapevo benissimo
che lui era lì, sull’uscio, ma in quel momento ero
la più
grande tra le vigliacche, e non avevo il coraggio di guardare.
Sapevo anche che
lui aveva capito che ero sveglia. Ma non mi importava.
L’avevo
fatta grossa, inutile negarlo. Non
l’avevo respinto, giusto qualche minuto (ora?) fa?
Perché
poi? Per la paura? Per lo shock? Su quale base gli avevo impedito
di... dichiararsi?
Ero talmente
presa dall’autocommiserazione, che quando parlò il
mio cuore
cominciò a battere forsennatamente. Non solo per lo spavento.
In qualche modo,
sapevo quello che sarebbe successo.
Altaïr
-Io
ci ho provato, Vega- proferii,
entrando
definitivamente nella stanza.
Lei rimase nella sua posizione, senza muoversi, se non per dei piccoli
sussulti.
- Ci ho provato a starti lontano, in tutti modi. A non trovarti
interessante- feci
un passo in avanti – A limitarti nella figura di Consorella.
A rimanerti solo amico. A
considerarti solo “Bella”
per i tuoi strani tratti. Ho provato ad impedirmi di perdermi nelle
pozze verdi
dei tuoi occhi, dicendomi che eri solo una novità, che
presto mi sarei abituato-
sospirai, di fronte alla vanità
dei miei pensieri.
Compii un altro passo verso di lei, più i miei movimenti
erano lenti, più il
mio cuore urgeva, non curandosi dei limiti che la mia mente mi imponeva.
-Ho provato a non aver bisogno di te. A mantenermi distante. Ho
provato....
tutto-
Ero ormai al suo cospetto e non mi rimase nulla da fare se non
accovacciarmi–
Io ho provato a non amarti e ho fallito miseramente-.
Solo a quelle parole alzò la testa nella mia direzione,
stupendosi di trovarmi
così vicino. Le sue guance erano nuovamente cremisi e i suoi
occhi non erano
più offuscati dalla tristezza. Se non dalla confusione.
- Io volevo scappare da tutto questo ancor prima di sapere della
leggenda- confessai,
vergognandomi della mia codardia - Ma in qualsiasi modo io ci abbia
provato, ho
finito sempre per avvicinarmi un po’ di più a te-
un sorriso di pura emozione
mi spuntò sulle labbra. –Ho il brutto vizio di
tornare sempre nel posto in cui ci
sei anche tu-.
Vega aveva la capacità di parlare con gli occhi, poteva non
dire niente e
contemporaneamente dire tutto con uno sguardo.
E in quel momento, nei suoi occhi, cambiò qualcosa: Non
c’era confusione, non c’era
titubanza. Nei suoi occhi c’era la luce. C’era
calore.
C’era l’altra parte di me, quella che credevo di
non meritarmi.
C’era tutto quello che avevo sempre cercato.
Posò una mano sulla mia guancia, come aveva fatto quel
giorno nel vicolo e si
avvicinò piano, non so se per dare tempo a me o a se
stessa.
-E’ che a volte mi sento così persa...-
sussurrò, ad un centimetro dalle mie
labbra.
Poggiai la mia mano sulla sua e la strinsi –Io ti
troverò sempre-
La sua espressione si incrinò nuovamente –E se
finisse male? E se...-
-Habeebti₇- sussurrai, spostando il
mio naso sul suo collo. Inspirai a pieni polmoni il suo odore di
vaniglia, e
ogni mio istinto si risvegliò, come se il suo profumo li
avesse richiamati da
chissà quale cantuccio segreto del mio cuore.
Posai le labbra
sul suo candido collo e lambii la sua pelle con delicatezza, tracciando
una scia di baci fino all’orecchio – Non mi importa
niente del mio orgoglio,
dei tuoi dubbi...– sussurrai, mordicchiandoglielo piano
– Io voglio te-.
Vega mi
riportò davanti al suo viso con uno strattone. E mi
baciò.
Con una foga
inaspettata. Con una forza inaspettata.
Le
nostre labbra si unirono instaurando una danza tutta loro e, quando la
mia lingua si fece spazio, trovò la sua pronta ad
accompagnarla.
Insinuò
le mani tra i miei capelli e mi sospinse verso di sé,
cosicché i nostri
corpi si incontrassero. Ancora.
Portai una mano
sul suo seno, ancora coperto dalla stoffa bianca della tunica,
e tremavo dall’emozione. Come se fosse la prima volta che
toccassi una donna.
Era piccolo, ma
sodo e terribilmente eccitante.
Ne tracciai i
confini con un dito, ricevendo un mugugno di assenso che
morì
sulle mie labbra e con il pollice cominciai a stuzzicarne il capezzolo,
che si
inturgidì al contatto.
Era incredibile
come una sciocchezzuola del genere potesse farmi eccitare
tanto, come nessuna donna aveva mai fatto.
Vega
lasciò le mie labbra e si sporse ancora a baciarmi la
mascella, facendo
aderire il suo petto al mio, poi scese sul collo, provocandomi una
serie di
brividi lungo la schiena. Alternava labbra e lingua con maestria.
Poi dai miei
capelli fece scendere le mani sul torace, poi sull’addome,
per
raggiungere i lembi della veste che tirò su con lentezza,
spogliandomi.
Poi riprese a
baciarmi, scivolando con la lingua fino alla spalla, ripercorrendo
il percorso compiuto dalle sue mani.
Baciò
e succhiò la pelle, a volte seguendo la traccia di alcune
vecchie
cicatrici, a volte seguendo una linea
immaginaria, facendo sì che il cavallo dei miei pantaloni si
stringesse sempre
di più. Quasi da diventare insopportabile.
Talmente
insopportabile che ribaltai la posizione, sovrastandola, e le mie mani
furono subito ai suoi fianchi, dove il bordo della tunica era arrivato,
e lì
indugiai, cominciando a raccogliere la stoffa tra le dita.
La sua pelle era
fredda, come sempre, e morbida, specie in quel punto, talmente
tenera ed eccitante che dovetti trattenermi dall’affondarci i
denti.
Con una lentezza
serafica, senza mai distogliere i miei occhi dai suoi,
sollevai la tunica. Ogni centimetro guadagnato mi caricava di
aspettativa,
mentre le guance di Vega si tingevano sempre più di rosso.
Era
distruttivamente eccitante.
-Aspetta...-
mugugnò, incerta, quando con i polpastrelli ero arrivato a
toccare
i seni e mancava poco a scoprirli. Arrossii violentemente, per poi
coprire
quella manifestazione con le mani.
Fu subito tutto
chiaro e mi sentii ignobile per non essermene preoccupato
dall’inizio.
-Non ti farò
del male-
sussurrai,
abbassandomi fino a baciarla –Non ti farò mai
del male- Ed ero stato terribilmente sincero.
***
***
1)
Credo che questo sia il capitolo più lungo della
fic. E immaginate che l'ho anche tagliato!
(La solita raccomandazione è quella di leggere la prima nota
alla fine della lettura)
Ormai
sapete quanto io ami Peter Gabriel, così non stupitevi se ho
lasciato a lui il faticoso compito di rappresentare il capitolo (diviso
in due parti) più... emozionante? almeno per me... della
storia: In your Eyes, è uno brano dell'album "So", che
è di certo il più famoso album del cantante
inglese.
Ed è la canzone pià romantica che io conosca!
I motivi della scelta sono stati due: Il primo, come si sarà
notato, riguarda i sentimenti di Altaïr, Il secondo
(più o meno scenico) riguarda gli occhi.
Credo sinceramente in tutte quelle stucchevoli frasi che dicono che gli
occhi siano lo specchio dell'anima e un mezzo efficace di
comunicazione, ci credo talmente tanto da poter sembrare una
stilnovista xD
I sentimenti di Altaïr sono stati ampiamente, come dire?, esplicitati
nel capitolo, ma sento di dover far un aprrofondimento su un aspetto
che io attribuisco al nostro Mentore.
E' una persona sicura di se, che non fa le cose con modi accorti,
diciamo anche che sono invadenti e dispotici, però, d'altra
parte, lo vedo come una persona oculata e attenta ai dettagli, specie
se gli importa di qualcosa. E, dopo la sue espiazione, abbastanza umile
da mettersi sempre in discussione e cambiare.
Non stupitevi, vi prego, se Altaïr è un po'
imbambolato, diciamo anche rincitrullito (come si può
evincere dal fatto che non riconosca il ruolo di Ranya) o che abbia un
po' pensiero confusi e discordanti, sulla scia di un romanticismo
esageranto (che non mi appartiene nemmeno), ma come ho già
scritto qualche capitolo fa, Altaïr ha sempre vissuto l'amore
come un sentimento travagliato (Orfano di genitori, la tragica morte di
Adha...), per cui, ora che questo sentimento sembra essersi presentato
in una forma più canonica (anche se c'è questa
strana leggenda pendere sulle loro teste), ho ipotizzato che la cosa
sia del tutto nuova per lui, che si faccia trascinare.
Non rimpiangete il nostro lucidissimo Assassino, tornerà
presto: E' come se fosse rinato, e "crescerà" insieme al
sentimento che prova.
2) Quanum= Discendente
diretto dell'arpa egiziana, il quanum è uno strumento
musicale a corde pizzicate diffuso in oriente già dal X
secolo. Ha forma trapezioidale, 72 corde raggruppate in gruppi da tre,
e si poggia sulle ginocchia del musicista, che può cambiarne
toni mediante delle linguette di bronzo.
Arghoul= Strumento
a fiato più antico del panorame mediorientale. Si compone di
due canne attaccate con la cera, munite di ancia, di cui una
può produrre una sola nota, molto bassa, come un
sottofondo continuo, l'altra canna ha invece sette fori, e si usa per
produrre la melodia vera e propria.
Zagat= Strumento
a percussione formato da due piatti metallici, legati fra di loro con
un cordino. Quelle che oggi chiameremmo nacchere. Erano molto usate
della danzatrici Gawazee (di cui parleremo in futuro) per tenere il
tempo durante una esecuzione.
3) Muffrih= Piacevole
4) Sadiq= Amica
5) Tasmah lî
an uquadim nafsî, anâ= Mi permetta di
presentarmi, sono... E' la frase più comunemente usata per
presentarsi ad una persona, che sia di rango importante o meno.
6) Per
quanto mi piacerebbe, non sono l'ideatrice di questa leggenda, che
è di origine Cinese, come già detto. Ho usato la
versione approvata dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Mi
piacerebbe darvi qualche informazione su queste stelle protagoniste
della nostra storia.
Altaïr(Niulang) è la stella alpha della
costellazione dell'Aquila, mentre Vega(Zhinu) della costellazione della
Lyra e, insieme a Deneb, costellazione del Cigno , formano il famoso
triangolo estivo, visibile dal settimo giorno del settimo
mese dell'anno ( il giorno in cui Zhinu e Niulang possono rincontrarsi,
mediante il ponte che sarebbe Deneb). Sono stelle molto
luminose, in media 40 volte più del Sole.
Il Fiume d'Argento all'epoca, corrispondeva alla nostra Via Lattea.
7) Haabebti= Significa
"Amore mio". Questa è la forma usata da un uomo verso una
donna.
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Capitolo 17 *** 16. In Your Eyes (Seconda Parte) ***
16. In
Your Eyes
La
luce, il calore... Nei tuoi occhi.
Io
sono completo... Nei tuoi occhi.
Io
vedo la porta per un migliaio di chiese... Nei tuoi occhi.
La
risoluzione, nei tuoi occhi, di tutte le mie infruttuose ricerche.
Io
vedo la luce e il colore... Nei tuoi occhi.
Io
voglio essere quella completezza... Nei tuoi occhi.
Oh,
io voglio toccare la luce e il calore che vedo... Nei tuoi occhi.
Peter
Gabriel – In Your Eyes₁
I suoi occhi si quietarono un poco, restando però accessi
dalla lotta fra l’impazienza e la paura. Il verde brillava,
illuminato dai raggi della luna e risplendete della luce propria che
avevano sempre avuto.
Lasciò
che le sfilassi la veste con delicatezza, sfiorandola appena con i
polpastrelli e non saprei dire chi fosse più emozionato.
Lanciai
l’indumento da qualche parte, senza curarmene, troppo preso
ad osservare il candore luminoso della pelle di Vega, lattea e liscia
come mai ne avevo viste prima.Rimirai con attenzione
ogni centimetro di quella visione eterea, seguendo la linea del collo,
fino a quella terribilmente eccitante del seno e a quella morbida dei
fianchi.
Proprio lì, larga più o meno uno stiletto, dalle
labbra frastagliate, vigeva una grossa cicatrice rosata. La sfiorai
sensualmente con un dito, aspettandomi di vederla sobbalzare, ma
ciò non accadde.₂
Vega
poggiò la sua mano sulla mia – Sembra strano, vero?-
ridacchiò, guardando la mia faccia perplessa – Ma
quando mi sono ferita lì non ho più sentito
niente. Come se la pelle fosse morta, in un certo senso-.
Annuii vagamente,
cominciando proprio a baciarne un'altra, più piccola e
discreta, sotto il seno, seguendone dettagliatamente la scia.
Questa volta
sussultò e, trattenendo un piccolo gemito, infilò
una mano tra i miei capelli, sospingendomi verso il capezzolo,
già turgido e roseo.
Cominciai a
stuzzicarlo con la lingua e con i denti, godendo delle espressioni
inebrianti della ragazza, con le guance vermiglie che risaltavano
incredibilmente sulla pelle diafana e i denti che le tormentavano le
labbra.
Mi staccai solo
per togliermi la veste, convinto che altrimenti non mi sarei mai
allontanato di un solo centimetro, ma non appena lo feci, lei,
puntellandosi sui gomiti, mi raggiunse, facendo aderire il suo petto al
mio, come aveva fatto durante la festa.
Ma ora era completamente diverso.
Mi prese la labbra fra i denti, per poi approfondire il bacio con foga.
Le circondai la vita con le braccia e lei di nuovo riporto le dita tra
i miei capelli.
-Mi piacciono un
sacco i tuoi capelli- mugugnò –Sono corti ma
morbidi- si strinse più a me, in modo che i nostri bacini si
sfiorassero.
Un gemito roco mi
rimbombò nel petto nel percepire il calore del suo centro,
anche con quei due strati di stoffa che ci separavano.
E lei
appositamente continuava ad indugiare con quel contatto, mentre
chiudeva tra le sue umide labbra il mio lobo, succhiando con calcolata
lentezza.
Brividi mai
provati mi attraversarono la schiena, accendendo non solo la parte del
mio corpo sotto il cinturone. Ma anche la testa. L’anima. Il cuore.
Posò
le sue mani sul mio petto, il contrasto tra le nostri pelli
risultò incredibilmente affascinante
ai miei occhi, e mi sospinse verso il pavimento, sedendosi poi a
cavalcioni su di me.
Incatenò
il suo sguardo ammiccante al mio, con i capelli che mi sfioravano la
faccia, e sussurrò suadente –Qual è il
tuo punto debole, fidāʾī?-
Fece scivolare
una mano tra i nostri corpi, fino ad arrivare al bordo dei miei
calzoni, dove indugiò con le dita, tracciandone il contorno.
Gemetti, quando
seguì la linea dell’inguine: la sua pelle fredda
creava uno strano connubio con la mia, incredibilmente bollente in quel
momento.
Vega scese fino
al rigonfiamento al cavallo, ci passò ripetutamente la mano
sopra, stringendo appena, ne tracciò i contorni con
una lenta pressione, caricandomi di fremiti e aspettative.
Poi scese con il
corpo, facendo sì che i suoi seni strusciassero sulla mia
pelle, fino ad arrivare con la lingua nei punti che prima aveva
sapientemente toccato con le dita.
Di nuovo, quando
tracciò i confini laterali dell’inguine, sentii le
mie terminazioni nervose esplodere e il mio petto tremare.
Constatò
con stupore il successo di quella mossa, stupita della riuscita e prese
a succhiare avidamente in quel punto, lasciandomi un segno rosso.
-Sembra che
l’abbia trovato- esalò, emozionata. Davvero
sembrava che non si aspettasse di essere così dannatamente brava.
Quella sua aria genuinamente felice mi fece impazzire del tutto.
Non
credo di aver mai desiderato tanto qualcuno in tutta la mia vita.
Ma era un
desiderio che andava oltre quello fisico, che in quel momento era
impellente come mai, era un desiderio che sapevo non avrei mai potuto
saziare, perché non ne avrei mai avuto abbastanza di Vega.
Della
sua mente. Della sua compagnia. Del suo corpo.
Era come se
l’avessi cercata per tutta la vita e, ora che
l’avevo davanti, preso
dall’ineffabilità, dalla meraviglia, non riuscissi
ad averla del
tutto.
Impaziente,
ribaltai le posizioni, e, preso il bordo dei suoi pantaloni fra i
denti, e avendole alzato il bacino con le mani, presi a sfilarle
l’indumento.
Con il naso
sfiorai volutamente il suo centro e lei inarcò ancora di
più la schiena, con un gemito sonante, il più
forte che si fosse mai fatta scappare.
Ancora
più vicino al suo fiore per quel gesto istintivo, il suo
odore mi stordì peggio di come avrebbe fatto un pugno:
Era dolce ed inebriante, come un frutto.
Ormai
incontrollabile, lasciai i suoi calzoni e impegnai la mia bocca sul suo
clitoride, stringendolo piano e stuzzicandolo con dei piccoli colpetti
della lingua.
Il suo sapore
cominciò a inumidirmi le labbra, e se l’odore mi
era sembrato buono, il sapore mi stava facendo impazzire.
Mi abbassai verso
le grandi labbra e cominciai a esplorare anche quella zona, provocando
alla mia Assassina dei piccoli spasmi.
Si
coprì la bocca con la mano per soffocare i gemiti che le
stavo procurando, mentre con l’altra cercava inutilmente un
appiglio.
Soffiai sul suo
bocciolo, facendola inarcare nuovamente, ma ancora nessun rumore, se
non quello che le era scappato prima –Mi piacerebbe sentire
la tua voce mentre ti tocco!- dissi, con tono roco e confuso dal
piacere.
Lei si
lasciò scappare un risolino –Sono abituata a fare
le cose in silenzio!- bofonchiò, col fiato corto.
Annuì,
con finta accondiscendenza – Vorrà dire che
dovrò
costringerti-.
Vidi passare un
lampo di eccitazione e preoccupazione nello stesso momento, ma il verde
dei suoi occhi era liquido come il mare, come se si fosse arresa a me.
Come se si fosse
arresa a noi.
Finii di sfilarle
i calzoni, e di nuovo mi fermai a contemplare il suo corpo, ora
interamente nudo. Le gambe possedevano lo stesso candore del busto, ma
erano molto più spesso attraversate da cicatrici e macchie
bluastre o rosse, specie nella zona delle ginocchia.
Mi chiesi se fosse possibile che fossero ancora segni della battaglia o
se la mia Vega fosse un po’ troppo spericolata.
Mi lasciai cadere
su di lei, sorreggendomi con braccio sinistro, mentre col destro le
afferrai una caviglia e presi a risalire verso il polpaccio.
Waqi
cominciò a boccheggiare –Ti sto facendo male?
Questi lividi sembrano abbastanza recenti...-
Mi
lanciò un’occhiata persa, ma di fuoco, come se non
fosse del tutto presente –Tra tutte le cose che mi stai
facendo, il male non era affatto contemplato, Altaïr-.
Rinvigorito dalle
sue parole, continuai la mia lenta risalita, tracciando i contorni dei
muscoli tonici della coscia, fino a spostarmi sempre più
verso l’interno.
Feci un
po’ di pressione e lei divaricò le gambe,
lasciando alla mia vista, coperta da una rada serie di riccioli chiari,
la sua virtù.
Sentii il mio
membro indurirsi ancora a quella visione e il mio cervello annebbiarsi,
colto dall’irrefrenabile desiderio di perdermi tra quelle
carni bollenti, di toccarne sempre un punto più profondo, di
coglierne il piacere con foga.
Ma sapevo di
dovermi trattenere.
Facendo molta
pressione su me stesso, repressi quell’istinto primitivo e
irrazionale, e la penetrai con un dito, senza spingere troppo in fondo.
D’altronde
era la promessa che le avevo fatto: avrei circoscritto il dolore
soltanto al momento inevitabile.
Chiuse gli occhi,
abbandonandosi alla mie carezza, qualche volta muovendo il bacino a
ritmo verso il mio dito con malcelata insicurezza, che
risvegliò in me sia un istinto di protezione, che uno
più carnale e incontrollabile.
Ogni piccola
spinta equivaleva ad un piccolo rantolo, strappatole da quelle labbra
rosse e voluttuose.
-Ti piace?- le
chiesi, sempre con quel tono reso basso dal piacere.
Lei
annuì, distratta, troppo impegnata a godere di quelle
carezze e rispose –Non... Non sono le tue dita che vorrei
dentro di me, adesso...-
Reso
completamente folle da quelle parole, dopo averla sentita
sufficientemente bagnata e, lo ammetto, visto che la mia sopportazione
rasentava lo zero, scivolai fuori di lei e mi privai
dell’ultimo capo rimastomi addosso, diventato troppo stretto
per la mia erezione.
Mi accinsi alla
sua apertura, facendo aderire i nostri petti e unire le nostre mani.
Sempre reggendomi
sul gomito sinistro, le spostai una ciocca rossa appiccicata alla
fronte per il sudore.
-Farà
male...- sussurrai, forzandomi ancora ad aspettare. Il mio membro era
così vicino, che percepivo il calore e i suoi umori... che
inevitabilmente mi rendevano simile animale affamato davanti ad una
preda.
Lei mi
abbracciò il collo con il braccio libero, con dolcezza
–Mi fido di te-.
La baciai,
sperando di distrarla un po’ dal dolore, e cominciai a
penetrarla con lentezza: Sentirmi avvolto dal suo calore, se anche per
qualche centimetro mi annebbiò ogni lume della ragione e non
saprei dire cosa avrei potuto combinare se, non appena entrai in
contatto con la sua barriera, Vega non avesse irrigidito tutti i
muscoli, piantando le unghie nella carne della mia schiena.
Ma la cosa che mi
riportò del tutto alla realtà era la lacrima che,
scesa dai suoi occhi, scivolando sulla sua guancia, finì sul
pavimento.
-Passerà,
habeebti,
passerà...- cantilenai, stringendola di più a me,
continuando però ad infierire sulla sua verginità.
Altre lacrime
scapparono al suo controllo e mi sentii sporco e indegno
perché io, invece, stavo letteralmente impazzendo per quel
contatto, smanioso di arrivare ancora più in fondo.
E fu proprio
quando vi arrivai che dovetti fermarmi, per darle il tempo di abituarsi
alla mia presenza, cominciando a carezzarla per distrarla da quel
dolore.
I muscoli di Vega
si stavano contraendo, cercando di conformarsi attorno al mio membro, e
ogni contrazione era una stoccata di piacere indescrivibile.
L’espressione
della rossa andava sempre più acquietandosi, fino al punto
che fu lei a dare la prima decisa spinta.
Il mio sguardo si
appannò e per un momento non ci vidi, tanto potente era
stata la scarica nel mio corpo.
Ma ci imposi un
ritmo lento e rilassato, non volendo in alcun modo farle versare
più una lacrima, e Vega accompagnò le mie spinte
con il movimento dei fianchi.
Eravamo talmente
in sintonia che sembrava non avessimo fatto altro che fare
l’amore insieme: Ad ogni mia spinta lei si lasciava sfuggire
un gemito, dolce e secco, non più trattenuto, e i nostri
corpi combaciavano come se fossero stati fatti per unirsi.
Eravamo davvero
come due pezzi di un mosaico.
Non
era la prima volta che avevo un rapporto con una donna, eppure con
quelle semplici e lente spinte, con quel singulto estasiato che le
usciva dalle labbra, con le dita infilate trai miei capelli o
intrecciata alle mie, Vega mi fece pensare di non aver mai davvero
fatto sesso prima di quel momento.
I suoi muscoli si
strinsero prepotentemente intorno al mio membro,
all’improvviso, travolgendola in un orgasmo vorticoso.
-Altaïr-
esalò, alzando e abbassando il petto velocemente
–Altaïr...- e, abbracciandomi la vita con le gambe,
diede due spinte ancora più profonde delle precedenti e in
quel momento, lasciandomi sfuggire un ruggito, venni anch’io.
Stremato e
incredibilmente appagato, mi lasciai cadere su di lei, poggiando la mia
guancia sul suo seno, venendo a contatto col cuore.
-Sentilo...
– mormorai –Batte veloce come le ali di un
colibrì-.
Vega aveva un
sorriso beato sulla faccia ma gli occhi, a mezz’asta, erano
già da qualche altra parte, come in un mondo lontano.
Mi chiesi se
meritassi tutta quella luce e quel calore, se meritassi la sensazione
di completezza che i nostri corpi uniti mi trasmettevano...
considerando la bugia sulla quale avevo basato il mio rapporto con lei.
Mi chiesi se
meritassi una qualche genere di salvezza solo per il modo genuino e
spassionato con cui stavo imparando ad amarla.
Probabilmente
no.
Amareggiato da
quella verità, la vidi addormentarsi nel giro di pochi
secondi, ancora con quel bellissimo sorriso a illuminarle non solo il
volto, ma anche gli occhi.
Avanzamento rapido ad un ricordo
più recente.
-
Suppongo sia per questo che mia madre non si sia mai rassegnata al
fatto che fossi così simile a mio padre. Così
“uomo”, in un certo senso- continuò, tra
le risate –E allo stesso tempo, la mia somiglianza con lui
l’ha aiutata ad accettare il mio ingresso nella
confraternita-.
Risi di cuore a
quel racconto della prima infanzia di Vega, dove aveva stupito tutti
con le sue doti da guerriera combattendo (per gioco) con suo padre.
-E ora? Loro dove
sono?- chiesi, beandomi della ritmica lentezza con cui mi stava
accarezzando i capelli.
-Sono morti
l’anno dopo- disse con semplicità, come se la
questione non la facesse soffrire più di tanto. Anzi, come
se non l’avesse mai
fatta soffrire tanto.
Le mie
perplessità dovevano essermi dipinte in volta,
perché lei si affrettò a chiarire: -Non prendermi per
insensibile, ma ero davvero molto piccola. Forse non avevo ancora
quattro anni. Gli Al Sayf sono stati la mia famiglia per molto più tempo-.
Il solito
campanello di allarme si accese nella mia testa e la solita voragine mi
si aprì nello stomaco.
Disegnai figure
immaginarie sul suo stomaco piatto, per calmarmi –Ti hanno
accolta nella loro famiglia?-
Annuì
con un sorriso brillante, quanto nostalgico –Le nostre
famiglie erano molto unite, non hanno esitato nemmeno un secondo a
prendermi con loro- sospirò, portando lo sguardo nel mio:
lessi nei suoi occhi una gratitudine infinita.
-La
verità è che non ricordo quasi per niente il viso
dei miei genitori. Sono più che altro sensazioni e voci
lontane... Gli Al Sayf sono incisi a fuoco nel mio cuore e nelle mia
mente!-
Il mio silenzio
la spinse a continuare. O forse, visto che ci stavamo toccando, sentii
il mio bisogno di sapere qualcosa in più sulla sua vita.
-Beh, forse non
ti ho mai detto che io e Kadar siamo nati lo stesso giorno-
cominciò, perdendosi con lo sguardo nel vuoto.
-Davvero?-.
Fece un piccolo
sorriso, assentendo piano con la testa –Per questo abbiamo
sempre sostenuto di essere fratelli davvero.
Ho sempre pensato che fossimo legati come da un filo...- il suo sorriso
perse un po’ vigore –Malik era geloso del rapporto
che avevamo. Si sentiva messo da parte-.
Fu inevitabile
che sorridessi sotto i bassi a quel racconto, immaginandomi il Rafiq
imbronciarsi e sbattere i piedi perché veniva lasciato solo.
Vega dovette
capire il perché della mia ilarità e mi
lanciò un’occhiata bieca di rimprovero,
ma non mi feci certo intimorire, continuando a immaginarmi la scena.
-Su, continua- la
incitai pendendo letteralmente dalle sue labbra.
Si mosse inquieta
sulla stuoia, finendo per sballottare anche me, come se non sapesse da
dove cominciare.
-Beh,
c’era sempre un altro ragazzo con noi. Si chiama Samir. Forse
l’avrai anche conosciuto- ovviamente, non poteva sapere che
l’avevo spiata quel giorno, mentre lo incontrava nella Dimora.
- Eravamo un
gruppetto niente male, sai? Sempre a combinarne mille. Anche
all’algido Al Mualim: Una volta, avevo dodici anni, riuscii a
rubargli la spada, mentre gli altri lo intrattenevano con inutili
discorsi. Poi mi sono buttata dalla finestra nel cortile: il mio primo
Salto Della Fede-.
La mia bocca
spalancata fu più efficace di mille parole stupite che
potevo usare.
-Mi ha
sicuramente visto e sentito. Forse mi ha accolta come Assassina per la
mezza riuscita della missione!-.
Sentii un moto di
orgoglio verso di lei. Una cosa mai provata prima di quel momento.
Solitamente avrei
voluto spappolare il cervello a tutte quelle persone che cercavano di far colpo su Al
Mualim prima
di me.
Mi piaceva essere
il “cocco” del Maestro, perché me lo
meritavo.
Non ero abituato
a non primeggiare, poi una ragazzina di dodici anni sottrarre la spada
al Vecchio e si butta senza paura nel suo primo salto della fede, senza
morire, tra le altre
cose!
Ma ora non
sentivo quell’astio che sempre avevo provato, con mi
ribolliva il sangue all’idea che qualcun altro avesse stupito
il mio Mentore...
Ero orgoglioso
del successo di Vega.
Lei riprese il
discorso, con gioia, ma con le guance che andavano sempre
più scurendosi di imbarazzo -Poi, quando gli altri lo
liquidarono e mi raggiunsero... eravamo tutti molto euforici e...-
Sapevo che
sarebbe arrivata la stoccata.
-... lui non ci
pensò un secondo. Si vedeva chiaramente che era su di
giri... Insomma, Kadar mi baciò!-.
Eccola lì. La parte che non sarebbe piaciuta.
Evitai che sul
mio viso si dipingesse qualsiasi espressione del sentimento che covavo
all’interno.
-Io rimasi
così inebetita. Non fraintendermi, credo che
all’epoca già ci fosse qualcosa sotto, ma era mio
fratello. Comunque non ebbi la forza di rifiutarlo. Fu solo il primo di
una lunga serie di attentati da parte sua!-
Mi sforzai di
sorridere.
-Aspetta, ti
faccio vedere quanto è stato... incredibile!...
quando esposi i miei dubbi su quei baci!-
Non ebbi nemmeno
il tempo di protestare, che mi trovai risucchiato in un ricordo.
Sperai
sinceramente di non vomitare davanti a lei e al piccolo Al Sayf
tutt’intenti a baciarsi, fosse anche che avessero dodici
anni.
La cosa mi
infastidiva comunque.
“Sei
una sciocca, Waqi!”
Disse Kadar, guardando il profilo di Vega illuminato dai raggi del
sole. I suoi capelli erano più lunghi e chiari rispetto a
quelli nel presente.
Sei
strepitosamente bella, anche da piccola.
Solo in un
secondo momento, mi accorsi che anche il ragazzino, come spesso facevo
io, l’aveva chiamata col suo nome in arabo.
Cominciai a
provare la stessa famosa rabbia che provavo quando qualcuno cercava di
ammaliare Al Mualim più di me.
“Non
sono IO la sciocca, qui” rimbeccò lei, incrociando
le braccia al petto, con quel broncio furioso che ancora oggi la
caratterizzava.
Vidi Kadar
rimanere interdetto, immobile nella sua posizione, proprio come me ogni
volta che Vega mi rifilava quell’occhiata velenosa.
“Sei
arrabbiata con me?”
“Ovviamente”
“Per
un bacio?”
L’occhiata
di fuoco che scoccò al giovane fu ancora più
pericolosa della precedente “Per i baci, vorrai
dire!!!”. Puntigliosa, diretta e saccente, come era ora!
Kadar
alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa “Stai
scherzando, vero? Non mi sembra che ti siano dispiaciuti,
prima”
Vega,
scioccata da tanta insolenza, arrossì, spalancò
la bocca, sbatté i piedi per terra e passò in
modalità 'Bestia selvaggia'.
Questo
pensiero apparteneva a Kadar. Questo modo di chiamarla. Mi chiesi come
avessi fatto a sentirlo.
Gli si
lanciò contro come un toro, salvo poi spiccare un balzo
notevole e aggrapparsi a lui, stringendolo come un Boa Constrictor,
cominciando e colpirlo con dei pugni.
"No,
la Presa Cobra
NO!" starnazzò l’altro, cercando di liberarsi da
quella morsa mortale.
"Te la
meriti!" ringhiò lei, nella sua mente "Sei un idiota di
proporzioni cosmiche!"
Kadar si
sbilanciò verso terra, facendo sì che entrambi
ruzzolassero nel terreno continuando ad azzuffarsi, finché
non la sovrastò, dandole un altro bacio sulle labbra.
Niente a che
fare con i baci che io e Vega ci eravamo scambiati in quei mesi, eppure
la carica sentimentale che sprizzò da quel gesto mi fece
sentire a disagio.
Al Sayf
prese la parola, ancora ansimante per la lotta "Smettila di insultarmi
col pensiero. Sono una persona sensibile, io!"
Lei, a
quelle parole, ancora con gli occhi accesi di qualcosa di
indescrivibile, sembrava dilaniarsi tra il desiderio di spaccargli la
testa e di mettersi a ridere.
Forse Vega
gli stava comunicando tutto questo con il pensiero, perché
sembrarono capirsi anche senza aver parlato.
"Sei una pazza squilibrata,
Waqi... Mi piaci soprattutto per questo!".
Come sei avessi appena fatto un sogno, riaprii gli occhi a
fatica, trovandomi davanti il volto luminoso della mia Assassina.
Non riuscii a
capire per cosa stesse ridendo, forse per la mia faccia,
forse per quei ricordi.
Però
una cosa mi fu chiara, in maniera quasi dolorosa: Era impossibile, per
lei, essere triste se c’entrava Kadar.
Notai che ancora
ci toccavamo. Probabilmente aveva sentito anche questa riflessione.
- Hai ragione- mi
disse, rispondendo ai miei pensieri -Non c’è e non
c’era mai stato niente di triste in lui. Tranne il fatto che non
c’è più!-
Alessandra
Non
credo che mi sarei mai abituata alle sessioni nell’Animus
neache se l'avessi voluto. E il mio corpo me l’aveva
ampiamente dimostrato, con un gran bell’infarto.
Avrei tanto
voluto che ci fosse un modo di ricordare ai miei organi che non
dipendeva da me la durata di ogni singola sessione. Che era inutile che
cercassero di mettere a repentaglio la nostra vita per puro senso di
ribellione...
Ma a quanto
pare non c’era.
Mi alzai,
finalmente, a detta delle mie ossa incriccate, dall’Animus,
correndo con lo sguardo subito alla mia sinistra.
Desmond.
Era così
simile e allo stesso tempo diverso da Altaïr che provavo una
certa inquietudine nel guardarlo.
Un
po’ centrava il fatto che fossi letteralmente pazza di
Altaïr. E non solo perché alla mia antenata era
piaciuto rotolarsi nelle lenzuola con lui.
Altaïr
era... un tipo forte!
Con i suoi
modi burberi, e la sua infinita pazienza, il suo portamento fiero, le
espressioni enigmatiche, per non parlare della sua arroganza (la sua sexissima
arroganza), o dei i suoi gesti dolci mascherati con qualche stupida
lamentela...
E poi, la
sua bellezza.
Inutile
girarci attorno, signori, Altaïr era un figo da paura!
E questo mio
pensiero non faceva che rivoltarsi su Desmond, che essendo
incredibilmente identico ad Altaïr era altrettanto figo.
Ma, in
qualche modo, aveva un modo tutto suo di muoversi, parlare e
atteggiarsi, che lo rendeva totalmente diverso dal suo antenato Siriano.
-Tutto bene,
dolcezza?-
Quella frase
mi riportò sul Pianeta Terra in meno di un nanosecondo. Non
sapevo se imbarazzarmi per la figura che avevo fatto, facendomi trovare
a guardarlo come una maniaca, se per come mi aveva chiamata, o per un
mix delle due cose davanti a Vidic e alla Stillman.
-Non
proprio...- mentii, utilizzandola come scusa per pararmi il sederino
–Mi sento un po’ confusa. Mi sembravi
Altaïr-.
Beh, una
mezza verità. Potevo fare peggio!
-L’allucinazione
è durata più di trenta secondi?- si intromise
Lucy, con tono altamente professionale, pronta a segnare le sue
diagnosi sul piccolo tablet che aveva sempre con se.
Scossi la
testa con forza –Dieci secondi, volendo esagerare-.
Lucy
annuì, comprensiva, appuntando tutto su
quell’aggeggio, come avevo previsto. Poi riprese
–Abbiamo fatto bene a fermarvi. Ma è una pausa
breve. Giusto un’oretta per farvi mangiare e sgranchire un
po’ le gambe-.
Decisi di
togliermi una curiosità –Da quanto tempo sono qui?-
Sentii la
dottoressa sussurrare “Scarsa concezione temporale”
mentre lo digitava sul suo block-notes digitale, mentre mi rispondeva
che stavo per consumare la cena, alle 23.30, del secondo giorno.
Evitai che
mi si dipingesse in faccia lo stupore per quella notizia.
Quasi tre
giorni? A me sembrava fossero passati anni.
Chiusi in
camera, con due sacchetti trasparenti riempiti con due panini, un succo
di frutta e una barra di cioccolato, io e Desmond non ci eravamo ancora
scambiati una singola parola.
Inutile che
fingessi di non sapere perché.
Teoricamente,
era come se avessimo fatto sesso fra di noi.
La cosa era
imbarazzante, l’ammetto. Ma possibile che quel ragazzo non
avesse le palle per tirare fuori uno straccio di argomento?!
-Che ne
pensi dei panini?- buttai lì, con fare indifferente, senza
guardarlo.
-Che i
cuochi potevano sforzarsi di più!-
Alzai gli
occhi al cielo –Non sono gli unici che dovrebbero sforzarsi
un po’ di più...- mugugnai tra me e me.
-Cosa?-
-Niente-
Continuai a
mangiare il mio panino con forza, sperando che un grosso masso cadesse
sulla testa di quell’idiota, che non faceva che addensare la
nuvoletta di imbarazzo che si era venuta a creare.
Ah, dolce
vendetta...
-Sai, penso
che Vega sia davvero una tipa tosta. Mi piace. E’ una bella
persona...- si fermò un secondo, come imbarazzato
–Vi assomigliate molto, sotto molti aspetti... Questo non
vuol dire che tu mi piaccia. No, cioè, non è
vero, perché in un certo senso tu mi piaci, ma...-.
Scoppiai a
ridere, senza guardarlo, sinceramente divertita dal suo farneticare.
-Dio, si
può sembrare più idioti?- mugugnò
rassegnato, schiaffandosi una mano in fronte.
1)
Vedi Nota uno del precedente capitolo!
Anche
se non me lo merito, vorrei utilizzare questo spazio per chiedervi infinitamente scusa per
questa lunghissima assenza da efp. E' la prima volta che riaccendo il
pc da inizio Aprile: Tra lo studio normale, quello per la
maturità, per l'esame di medicina (passato), quello in
accademia (che ancora non è finito, mi rimangono quelli
fisici e psicofisici), gita (Meravigliosa, anche se non credo che vi
interessi), pon vari e Scouts (Eh sià, come se il resto non
bastasse)... Su efp non è che non vi ho messo piede, di
più.
Rientrare
qui, oggi, vedere le mie storie preferite aggiornate di diversi
capitoli, saper di non averle seguite e opportunamente commentate, di
aver perso il contatto con voi (da quant'è che non rispondo
alla vostre recensioni? Da quanto?!) mi ha abbastanza tramortito, tanto
che ero indecisa se pubblicare il capitolo o un avviso di interruzione
della storia.
Ma sono qui, per quanto possa ancora interessarvi.
Per cui perdonatemi, perdonatemi, PERDONATEMI: Spero di riuscire a
gestire meglio il mio tempo da ora in poi, e di non deludervi mai
più.
2) Una
ferita è sempre una perdita di
“integrità” per la pelle e non ne
risente soltanto queste, ma anche le fasce muscolari, le fibre nervose,
i vasi sanguigni e linfatici e, nelle lesioni più profonde,
le strutture di organi interni. Nel pratico, la
cicatrice è un tessuto di riparazione, costituito da fibre
connettivali e da cellule la cui membrana ha
un’attività diversa da quelle delle cellule sane,
e questo ha spesso ripercussioni sulla sensibilità della
zona colpita: Spesso la cicatrice
è sensibile al tatto, quasi in maniera bruciante. In altre,
potebbe divenire del tutto insensibile, quasi
“morta”, come se non ci fosse più
collegamento tra questa e il cervello.
Piccole
curiosità simpatiche: -La cicatrice insensibile di Vega
è ispirata ad una mia cicatrice reale, delle stesse
dimensioni e nello stesso punto!
- Molto spesso le
cicatrici, per alcuni tipi di esami clinici, risultano dei "campi di
disturbo": Uno di questi test si chiama "Vegacheck" xD
|
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Capitolo 18 *** 17. Learning to Live ***
Ehilà?
C'è nessuno in ascolto?
Eccomi
tornata, con molta gioia, a pubblicare un nuovo capitolo di "I'm With
You", dopo uno stacco di quasi tre anni (Shame on me).
Forse non mi
merito un caloroso bentornato, soprattutto perché molti di
voi mi hanno
scritto spesso in questi tre anni (lettori nuovi e vecchi)
per
complimentarsi e chiedermi di continuare, ma io sono stata sorda un
po' di volte... Eppure, eccomi qui.
Spero di ritrovarvi,
ritrovarmi, ritrovarci...
e che il capitolo vi piaccia!
Purtroppo non c'è molto da dire, ma sappiate che mi siete
mancati e che scrivere per voi è sempre e sempre
sarà la cosa più appagante di tutte.
Un bacio e che la fortuna assista la vostra lama!
Cass
17.
Learning to Live
Ti
imploro dal profondo del mio cuore di
mostrarmi, almeno tu, comprensione:
Ho bisogno di vivere la vita come alcuni mai potranno fare.
Ti prego, trova della gentilezza,
trova bellezza, trova della verità,
e quando la tentazione mi mette in ginocchio
e io mi sdraio, prosciugato da ogni forza,
mostrami la gentilezza, la bellezza e la verità.
Il
modo in cui il tuo cuore palpita fa
la differenza:
E’ ciò che decide se resisterai al dolore che
tutti proviamo.
Il modo in cui il tuo cuore batte fa tutta la differenza
nell’imparare a vivere...
Dream
Theater- Learning
to
Live₁
Commettere
azioni socialmente
inaccettabili vi farà perdere sincronizzazione. Per
recuperarla, seguite il
Credo.
Tra
i piagnistei di Abbas,
le incoraggianti
pacche sulle spalle di Bashir e gli
sguardi
attenti di Ranya, io e Vega ci incamminammo verso la Dimora,
confondendoci tra
i frettolosi passanti.
Era necessario andare dal Rafiq e raccontargli della missione, per
poter poi
prendere congedo. Per fare cosa, nessuno dei due ancora lo sapeva.
Vega si girò per lanciare un’ultima occhiata
triste ai suoi amici, e io seguii
il suo gesto, ritrovandomi a guardare Ranya.
Dal suo sguardo, capii che sapesse cosa sarebbe
successo tra me e Vega, quando lei avesse saputo. E dalla sua
espressione capii
anche altre due cose:
Il tempo non era molto lontano e lei se ne dispiaceva.
Mai quanto me ne dispiacevo io.
Avanzamento
rapido ad un ricordo più recente: Inizio Imprint Mnemonico
-Mi
chiedo quale dovrebbe
essere la nostra prossima mossa- Vega, rannicchiata
nell’atrio della Dimora,
con la schiena poggiata al muro e uno dei cuscini tra le braccia, dove
aveva
poggiato la testa, sobbalzò alla mia silenziosa entrata in
scena.
Il colloquio con il Rafiq era stato lungo, nauseante e stremante e,
nonostante
questo, non aveva prodotto alcun risultato soddisfacente o illuminante.
Ovviamente della leggenda non avevamo detto
nulla, né tanto meno del
nuovo Frutto
o dell’Antica Civilizzazione.
Riferimmo accuratamente, però, della battaglia e di come ‘Akkā fosse tornata libera,
della possibile ubicazione di Di Sable
a Damasco, come avevamo sentito durante la riunione templare e del
manoscritto
come possibile oggetto di interesse da parte di Al Mualim.
Al Rafiq tutte queste informazioni erano state sufficienti per
spingersi ad
andare a Damasco ad uccidere Di Sable e a prendere il manoscritto.
Peccato che non fosse esattamente quello il compito cui avremmo dovuto
adempiere. Uccidere Roberto avrebbe significato perdere
l’occasione di seguirlo
finché non avesse trovato il frutto e poi sventare i suoi
piani.
-Non chiederlo a me...- mi rispose lei, in un soffio –Credo
che dovremmo essere
razionali, analizzare la Leggenda e applicarla alla realtà!-.
Mi sedetti vicino a lei, così vicino che le nostre spalle si
toccavano, poi mi accostai
al suo orecchio –Credevo che avessimo già razionalizzato
ma soprattutto applicato
la Leggenda alla perfezione!- sussurrai, allusivo.
La guancia di Vega si imporporò appena, ma la sua
espressione era tutta di
ammonimento. Sembrava che i ruoli si fossero scambiati:
Lei seria e puntigliosa e io rilassato
e
scherzoso. Aveva ragione, in ogni caso.
Feci mente locale –Sappiamo che Al Mualim vuole tre cose: Il
Frutto. I piani
dei Templari... – mi fermai un secondo, per gustarmi
quell’ultimo punto –La
vita di Di Sable-.
Sembrò leggermi in volto quanto la morte del Capo Templare
mi sollevasse,
soprattutto se il merito della sua dipartita fosse stato il mio.
-Se così fosse, la cosa più logica sarebbe
seguire il consiglio del Rafiq e
andare a Damasco. Eppure...- sospirò, con aria affranta
–Qualcosa mi dice che
non è la strada giusta-.
Andava contro ogni logica non seguire la pista di Damasco, me ne
rendevo conto,
eppure anche io sapevo, in qualche strano modo, che avremmo dovuto fare
altro.
Un istinto, piccolo e pungente, si era insinuato tra le mie logiche
riflessioni,
fastidioso come un tarlo... Non mi era mai capitato di dubitare tanto
della mia
ragionevolezza.
Vega mi accarezzò dolcemente la testa, con un mezzo sorriso
a incresparle il
volto.
Il sole che filtrava dalla finestra creava fantastici giochi di luce
tra i suoi
capelli, oltre ad illuminarle il viso d’alabastro come se
fosse un malak₂.
-Credo che dovremmo consultare delle mappe astrali-
Mi allontanai dal muro con uno scatto violento, veramente sorpreso di
quella proposta
così... beh, inaspettata. Mappe astrali?
Vega ridacchiò della mia reazione esagerata, spostandosi in
avanti per essere
di nuovo faccia a faccia, per guardarmi negli occhi, supposi.
Aveva intenzione di farmi due moine per convincermi, nel caso non fossi
stato
d’accordo? Ovviamente le avrei detto di
“No” a prescindere, se l’idea mi fosse
sembrata stupida.
Non potevo negare, anche con un certo imbarazzo e una ferita nel mio
orgoglio
di uomo, che non mi sarebbe dispiaciuto vederla tentare, magari le sue
argomentazioni si sarebbero dimostrate sorprendentemente valide...
No, non avevo giustificazioni per questi pensieri. Quella donna mi
stava corrompendo
e io non ero per niente intenzionato a fermarla.
Fantastico.
Sembrò
interpretare il mio
silenzio come un invito a spiegarsi, per fortuna.
-Vedi, sono convinta che la leggenda centri qualcosa con il Frutto
Dell’Eden.
Quindi, per venirne a conoscenza, Di Sable deve averla appresa dal
manoscritto... questo spiegherebbe perché interrogasse e
perseguitasse i popolani
di Acri- si fermò, per vedere se la seguissi.
-Ranya- riprese – ha parlato degli strumenti di Zhinu e
Niulang come mezzi per
incantare natura, animali e uomini, sebbene in termini molto
più romantici.
Questi sono gli stessi poteri che ha la Mela che si trova nelle mani di
Al
Mualim! E’ ovvio che ce ne sia un altro, con gli stessi
poteri: Il Telaio e il
Flauto sono due frutti dell’Eden!-
Rimasi sinceramente sorpreso di quell’intuizione, sentendo la
storia
ricostruirsi nella mia mente con una prospettiva nuova, finalmente
calzante.
Si alzò in piedi, rivolgendo lo sguardo al cielo
–Per cui, visto che siamo
vicini al settimo giorno del settimo mese, e io sono Vega e tu sei
Altair,
quello che dovremmo cercare è...-
Le sorrisi –Il punto in cui ci incontriamo... Sei un genio,
Vega-.
Tornò a guardarmi con quegli occhi brillanti, fece spallucce
e un ghignò
affatto umile spuntò sulle sue labbra –Faccio del
mio meglio!-.
Avrei
dovuto immaginarlo.
Ero stato folle non prevedere che svolta avrebbero, ovviamente, preso
le cose.
Quanto era durato il mio sprazzo di felicità? Tre mesi
scarsi?
Forse era durato anche troppo per la fine
disastrosa che gli si prospettava.
Io e Vega consultammo diverse mappe astrali dei mesi estivi
per cercare
Deneb, stella alpha della costellazione del Cigno e importante luogo
dove io e
Vega avremmo potuto proseguire la nostra missione. I risultati mi
spiazzarono:
Ero talmente incredulo che insistetti per confrontare quelle
conclusioni con
diversi almanacchi e libri di astronomia, ma in poche ore non avemmo
più dubbi
sul luogo in cui Deneb si sarebbe trovata il settimo giorno del settimo
mese.
Ūrshalīm₃.
Ovviamente,
pensai, dove
altro ci saremmo dovuti fermare per poco meno di un mese, se non nella
città
dove era stanziato Malik, il Rafiq
che aveva tutto il diritto di privarmi della persona più
importante che avevo
al mondo poiché era stata privata della sua da me?
Dovevo parlare con lei prima di arrivare a Gerusalemme.
Avrei dovuto dirle molto tempo fa che le stesse mani che
l’avevano accarezzata
erano intrise del sangue di chi aveva amato.
Che le stesse labbra che avevano lambito le sue labbra e le corde della
sua
anima con parole dolci non erano state capaci di tante gentilezze in
passato...
E che lo stesso uomo che aveva bramato la purezza e la
sincerità del suo amore,
puro e sincero non lo era affatto.
Come, come potevo
dirle che ero stato io
ad uccidere Kadar?
Come potevo dirglielo senza rovinare la missione, senza mettere le
nostre vite
in pericolo per qualche sua avventatezza? E senza perderla, magari?
La guardai preparare, impaziente di rivedere Malik, il suo sacco da
viaggio,
sperando forse di vedere una soluzione nei suoi gesti frenetici. Invano.
Il
viaggio procedeva
relativamente tranquillo.
Viaggiare tra i deserti e le zone brulle che separavano Acri e
Gerusalemme era,
da un punto di vista fisico, debilitante e, da un punto di vista umano,
noioso per
dei viaggiatori frettolosi, inesperti o poco attrezzati.
A me, invece, preparato tecnicamente, era sempre risultato un viaggio straordinariamente
rilassante e ideale come momento di profonda riflessione.
Ed era, in effetti, quello che mi serviva: modo e tempo per riflettere
sulla
mie colpe.
La mia leggerezza passata era stata severamente giudicata e punita da
chiunque
a Masyaf, anche da chi, forse, non poteva permettersi di scagliare la
prima
pietra.
Non c’era stata comprensione nei cuori di nessuno
perché, lo riconoscevo, il
vecchio Altaïr
non meritava alcun tipo di giustificazione o scusante.
Dura era stata la mia pena e ancora più duro era stato
accettarla, al
principio: Quanta rabbia, quanta umiliazione, quanta insolenza e quanta
superbia mi appesantivano la
vita.
Ma avevo imparato molto e grandi
erano stati i cambiamenti dentro di me; non
potevo riconoscermi in quell’Assassino spietato e
superficiale.
Il perdono era stato importante nel darmi quella spinta finale per
consolidare
il mio cambiamento ed era pervenuto da Malik, l’ultima
persona che credevo
avrebbe potuto concedermi un dono così grande.
Eppure...
Eppure, nonostante questo, ero ricaduto in quella tentazione, quella
che aveva
rovinato già una volta la mia vita: L’egoismo.
Non era stato forse l’egoismo a farmi agire con arroganza
quella volta nel
Tempio? Prendermi tutti i meriti e tutti gli onori, dimostrare di poter
agire
con spavalderia perché ero superiore in agilità,
forza e tattica in
combattimento a chiunque?
Le conseguenze erano state terribili per me, ma
soprattutto per Malik e Kadar.
Terribile era stato, finalmente, riconoscere che il mio egoismo feriva
non solo
me, nel lungo termine, ma feriva
nell’immediato, spesso in modo irreparabile,
le persone che con impertinenza travolgevo nel mio cammino e di cui,
indegnamente, non tenevo conto.
Questa era la cosa più importante che avevo appreso in
quell’ultimo anno: Come
Assassino era per me disonorevole nuocere a cose o persone, al di
fuori del mio obiettivo.
Che le vittime
collaterali non dovevano essere
considerate collaterali.
Cambiare prospettiva mi aveva permesso di vedere quanta
serenità e gentilezza
avevo rifiutato agli altri negli anni, facendo sì che gli
altri la rifiutassero
a me. E anche se ero cambiato, anche se ero stato perdonato... ancora
vedevo
negli occhi di chi mi conosceva un guizzo di allarme, come se potessi
scattare
da un momento all’altro e ritrasformarmi nella bestia
senz’anima che ero prima.
Mi era stata donata una seconda possibilità di ritrovare la
bellezza
dell’equilibrio che seguire il Credo comporta, ma mi veniva
offerta, però, una
gentilezza farlocca, falsa, adombrata
dai dubbi che sempre, probabilmente,
sarebbero ricaduti sulla mia testa.
Vega aveva sicuramente sentito delle voci sul mio caratteraccio e io
non
gliel’avevo certo nascosto, ma lei mi aveva conosciuto, mi
aveva compreso e mi
aveva accettato per quello che ero.
Mi aveva accettato in tutto, difetti e pregi, bene e male e si era
aperta a me anche se tutto
sembrava dirle il
contrario: Istinto, amici, confratelli...
Mi aveva accettato per l’uomo che ero diventato ed ero per
lei l’unico Altair:
non c’era la bestia senz’anima, il superficiale,
l’arrogante. Solo io, non uno
stinco di Santo, ma io.
E io la desideravo così tanto, oh Allah, così
tanto desideravo la sua mente, la sua anima, il suo corpo e
il suo amore...
Tanto era la mia paura di perdere quell’amore e quella
sensazione di benessere
che lo stare con lei mi trasmetteva che ho ceduto e sono caduto.
Diventando l’uomo che, amandola, mai vorrei le si
avvicinasse. Un bugiardo egoista.
Forse non dovevo cercare una soluzione, forse mi meritavo
ciò che stava per
accadere.
-Sei molto silenzioso, oggi... Oggi come sempre!-.
Il filo dei miei cupi pensieri si interruppe nel sentirle pronunciare
tranquilla e scherzosa quella frase. Sentirla così rilassata
era peggio di un
cazzotto nello stomaco.
Raddrizzai la schiena e cercai di darmi un tono –Stavo
riflettendo, in
effetti-.
-Sui grandi temi della vita?- rise.
Fu spontaneo il sorrisetto che mi nacque in volto –Qualcosa
del genere-
risposi, cercando di troncare il discorso.
-Posso contribuire?- avrei dovuto immaginare che la conversazione non
sarebbe
caduta tanto facilmente
con lei. Sospirai sconsolato.
Però poteva essere la mia occasione...
Con il battito appena accelerato, decisi di lanciarmi in questo
tentativo,
forse l’ultimo che potevo cogliere –Secondo te le
persone sono capaci di
cambiare, Vega?-
Corrucciò le labbra e aggrottò le sopracciglia,
in quell’espressione
concentrata che tante volte le avevo visto sul viso e si prese del
tempo prima
di rispondere.
-Ebbene- cominciò –Sono fortemente convinta che le
persone possano cambiare se
stessi e la loro vita, sebbene questo non dipenda interamente da loro-.
Restai in silenzio per spingerla a continuare, ma avevo il cuore
così in
fibrillazione che sentivo il sangue scorrermi impazzito nelle orecchie.
- Voglio dire... Un soggetto che ha condotto un certo tipo di vita e
vuole
cambiare se stesso e le sue abitudini deve non solo avere grande forza
di
volontà e disposizione al sacrificio, ma deve anche avere da
chi lo circonda
gli strumenti, il modo e le possibilità di cambiare
ciò che in lui deve essere
cambiato- corrucciò di nuovo le labbra, come se non fosse
riuscita a spiegarsi
come avrebbe voluto.
Ero così teso che la voce mi uscì in uno strano
tono compattato e gutturale –E quali
sono questi strumenti? O i modi?-.
Fece un sorriso che gridava “Ma è ovvio”
– La comprensione! Dobbiamo ricordarci,
quando ci lasciamo prendere dal giudicare facilmente,
che siamo umani e
sbagliare è nella nostra natura. Altra cosa fondamentale
è la disponibilità a
donare nuovamente fiducia, a mostrarsi disponibili
nell’insegnare un modo più
bello di vivere e... Oh! Ovviamente il perdono!- mi guardò
tranquilla e io la
trovai dannatamente bella.
-E se l’uomo, dopo tanti sforzi per cambiare, dopo tanti
risultati
faticosamente ottenuti, ricadesse in tentazione, Vega? Potrebbero gli
altri
continuare a mostrargli comprensione? E lui? Potrebbe ancora imparare a
vivere
in un modo migliore?-
Vega diede uno scossone al suo cavallo e si accostò al mio,
guardandomi negli
occhi con quel suo sguardo giada penetrante e intenso. Posò
una mano sul mio
petto.
-Il modo in cui il tuo cuore batte, ora, è indicativo,
Altaïr. I sentimenti che
provi e che ti scorrono dentro sono la differenza che dimostra che stai
imparando a vivere veramente-
1)Canzone un po' insolita,
rispetto alle precedenti. Learning
to Live, Dream Theater, dall'album "Images and Words
(1992), vuole, in questo capitolo, esprimere i pensieri del nostro
amato Assassino rispetto ai suoi cambiamenti e alle sue paure. Infondo
è così, quella di Altaïr
è una storia di crescita personale, non solo nella mia
Fanfiction ma anche, e soprattutto, nel nostro videogioco preferito.
Possiamo essere i migliori in qualsiasi arte o lavoro ma a poco serve
se non siamo bravi uomini o donne, se non lavoriamo su noi stessi e sui
nostri inevitabili difetti.
Del resto, però, come dice Vega (discorso che rispecchia
molto il mio pensiero), il cambiamento è totale se anche gli
altri ci aiutano e ci vengono incontro: Nessuno su questa Terra
può farcela da solo. Questo dice, secondo me, questa
stupenda canzone.
Abbiamo bisogno che gli altri ci aiutino a vedere una vita migliore e
ci insegnino a viverla... Questo non significa che non sbaglieremo
più, è nella nostra natura farlo, ma i sentimenti
che proviamo rispetto ai nostri errori, la nostra volontà di
rimediare e il nostro impegno nel farlo sono la differenza:
Fanno la differenza e dimostrano che abbiamo imparato a vivere.
2) Malak: Angelo
3) Ūrshalīm: Gerusalemme
|
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Capitolo 19 *** 18. Darkness ***
Capitolo 18
Buonasera!
Con un lasso di tempo maggiore di quanto mi fossi ripromessa ma,
comunque, mantenendo il mio proposito di non abbandonare più la
storia, ritorno a pubbliacare.
Mi scuso per non aver risposto alle tre recensitrici dello scorso
capitolo, la mia fidatissima e instancabile Illiana, che saluto con
affetto, e due nuove lettrici, Jonie e Wolfound, che ringrazio infinitamente per aver lasciato un commento.
Facciamo un breve ripasso delle puntata precedenti:
"Altair
e Vega hanno scacciato i Templari da Damasco aiutando la Resistenza
della città. Da loro hanno appreso della Profezia che li designa
come discendenti della Prima Civilizzazione e che li lega in un chiaro
destino... Hanno ceduto ai loro sentimenti. Poi, analizzando l'antica
profezia, convengono che il loro destino si debba compiere a
Gerusalemme dove, alla fine dello scorso capitolo, si stavano recando.
Vega era "promessa" di Kadar e, grazie al suo potere, sa che Altair
è responsabile della sua morte, ma ha avuto modo di appurare il
suo cambiamento. Altair crede, invece, che lei sia ancora all'oscuro di
quel suo segreto e ha tentato di confessarglielo prima di recarsi,
appunto, nella città in cui stanzia come Rafiq il fratello del
ragazzo morto."
Ora, vi lascio al capitolo. Buona lettura!
Che la fortuna assista la vostra lama...
18. Darkness
Accadono cose
senza senso,
allarmi che suonano, ricordi che si risvegliano:
Non è cosi che deve essere.
I Flashback ritornano ogni notte, ma non dirmi che tutto va bene.
Camminando
attraverso il sottobosco, verso la casa nei boschi,
più mi addentro, più diventa oscuro...
Scruto attraverso la finestra, busso alla porta
e il mostro da cui ero cosi impaurito
sta rannicchiato sul pavimento, proprio come un bambino
Quando permetto
che ciò accada, non ho nessun controllo su di me.
Peter Gabriel –
Darkness₁
Mi
chiamo Vega Al Sayf. Ho vent’anni. Sono nata a Masyaf e sono una fidā’ī. Ero in
missione con Altaïr Ibn-La Ahad. Eravamo a Gerusalemme. Ho rivisto Malik, il
mio fratellastro. Kadar è morto. L’ha ucciso Altaïr, ma è stato un incidente. L’ho
perdonato. Amo Altaïr.
Sento un tonfo forte in lontananza, che mi fa perdere il filo dei pensieri e
diversi battiti per il terrore. Non devo
distrarmi, non ora. Ricomincio.
... perdonato. Amo Altaïr. Ho visitato la
tomba di Kadar... Sono stata rapita.
Le mani presero a tremarmi in modo convulso, ma le strinsi così forte da
conficcarmi le unghie nei palmi. Nessuno si stava avvicinando a me.
Mi stanno torturando. Stanno usando un frutto
dell’Eden per cercare di confondere i miei ricordi, usando il dolore. Mi hanno
picchiata e violentata. Sono in tre: Armand Bouchart, Rinaldo Oberdan... E lui,
Roberto Di Sable. Io mi vendicherò. Devo resistere.
Se fossi
riuscita a scappare, ovviamente.
E poi? Dopo la vendetta? Non avrei potuto offrire nulla ad Altaïr qualora fossi
tornata, se non un corpo profanato, un’anima persa e una mente a pezzi.
Hai
ragione, Vega... Ti disprezzerà. Vedrà lo sporco che c’è in te. Tutti lo
faranno.
Malik ti ripudierà; Al Mualim ti caccerà dalla Confraternita; Altaïr non ti
amerà più.
Dovevo
ignorare quel sussurro sibillino, strisciante e allarmante che risuonava
continuamente nella mia testa... Dovevo riuscirci o mi sarei spezzata.
E se mi fossi spezzata, davvero non
ci sarebbe stato nulla di me da portare indietro.
Cercai di pensare all’ironia della situazione in cui mi trovavo e sentii un
sorriso sarcastico nascere sul mio volto. Le guance, gonfie per i ripetuti
schiaffi, presero a dolermi.
Avevo passato tutta la mia breve vita a desiderare qualcosa che annullasse il mio potere.
Pur avendo intuito la sua meravigliosa potenzialità sin da bambina, era un dono
che mi aveva impedito di essere a mio agio con conoscenti e amici e che, soprattutto,
aveva sempre reso difficile vivere con serenità l’affettuosità della mia famiglia...
e di Kadar.
Era difficile godere delle carezze di mia madre, senza percepire ed essere invasa anche da tutte le sue
preoccupazioni per il mio addestramento. O continuare a credere agli incoraggiamenti
di mio padre e dei miei fratelli durante gli allenamenti quando, se riuscivo a
stendere il mio avversario, la loro prima emozione era pura sorpresa.
Una smorfia involontaria di disappunto mi fece nuovamente dolere le guance: Mi
avevano sempre e comunque considerata come una donna, nonostante tutto il loro
appoggio.
Nonostante tutti i miei sforzi.
Rabbrividii, poi, al pensiero di com’era stata dolorosa ogni perdita o gioiosa
ogni buona notizia, considerando che ai miei sentimenti dovevano
necessariamente aggiungersi i loro.
E com’era stato imbarazzante convivere con tutte queste persone, sapere cose
che loro non avrebbero davvero voluto condividere con me, conoscere i loro
segreti, i loro pensieri più cupi o oscuri. Dover stare attenta a non
comportarmi in relazione a quella conoscenza, restare al passo della loro voce
e non della loro mente.
Loro non avevano mai dimostrato di voler rinunciare a toccarmi, nonostante
questo evidente svantaggio, ma ad un certo punto lo avevo ritenuto necessario
io stessa. Addio abbracci o strette di mano, solo Kadar continuava imperterrito
ad abbracciarmi e accarezzarmi, per non parlare dei baci... Spesso contro la
mia volontà (almeno apparentemente).
Vent’anni di vita passati così penosamente, sempre a pregare di essere liberata
da questo fardello, senza essere mai esaudita...
Ma, proprio ora che mi sarebbe tornato utile, avevo finalmente trovato una
risposta alle mie preghiere e... puff, il mio potere era sparito. Obnubilato da
quel Frutto Dell’Eden.
Quando i tre mi torturavano, nulla mi era più chiaro. Riuscivano ad impedirmi
di spiare nella loro mente e, contestualmente, a far presa sulla mia, tanto che
la realtà mi sembrava sempre più confusa con le loro menzogne.
Tutta questa tortura avrebbe avuto un senso se fossi riuscita, almeno, a
carpire informazioni: dove mi trovassi, quali fossero i loro piani, se avessero
o meno recuperato la Mela, se Altaïr e Malik stessero bene...
Non hai
i tuoi poteri, ora, Vega.
E, evidentemente, non sei nemmeno abbastanza forte da difenderti.
Né abbastanza furba da riuscire a scappare.
Non hai più alcuna utilità, sei peggio del nulla.
No!
Svia
questi pensieri.
Cercai di cambiare posizione, per dare sollievo al
mio corpo:
Avevo dormito poggiandomi sul busto chiazzato di lividi, ma
messo meglio della schiena dove tanti squarci si incastravano tra di loro a
formare una lugubre ragnatela rossa.
Era il bruciore, però, a mangiarmi viva: quello del sangue incrostato, il
pizzicore dei lividi, l’umidità sulla ferite fresche... e il dolore nelle mie
carni intime.
Poche lacrime (tutta quella perdita di sangue provava fortemente la mia
idratazione) cominciarono a bagnarmi gli occhi, non tanto per il dolore fisico
(anche se era devastante), quanto per la ferita emotiva.
Non solo la mia sensibilità era a pezzi, ma anche il mio orgoglio.
Avrebbero abusato in tal modo di un Assassino?
Ero pronta a subire qualsiasi tortura fisica, era prevista nella mia formazione
anche l’idea di essere catturata e martoriata per ricevere informazioni: ero
stata preparata a resistere, come un uomo. E come un uomo ero sempre stata
trattata, anche dai Templari.
Non si risparmiavano nel combattere, quando e se capivano che ero una donna.
Mentirei se dicessi che, nel mio sentirmi uomo, non avessi avuto paura dello
stupro. Ma non l’avevo mai veramente preso in considerazione:
Ero talmente spietata, così fredda, letale... Mascolina.
Mi trattavano da uomo e io mi sentivo uomo. La violenza... la violenza era
intollerabile per entrambe le mie facciate.
Una ferita nell’orgoglio. Un oltraggio imperdonabile.
Vi ucciderò. Vi ucciderò tutti.
Trenta giorni. Non credevo di poter resistere tanto
prima di morire.
Il tempo tra una tortura e l’altra era straziante tanto quanto i momenti della
tortura stessa.
Attendevo, con ansia e paura, il prossimo sopruso. Durante quei periodi riflettevo sul perché di quello che mi stava
accadendo.
Era chiaro che volessero deviare i miei ricordi, traviare la mia mente.₂
Non facevano che torturarmi fisicamente, associando quel dolore ad immagini
spietate su Altaïr e la Confraternita, generate da quello strano frutto
dell’Eden a forma di scettro₃.
Ma perché?
Per piegare la mia lealtà al Credo e portarmi dalla loro parte?
O, più probabilmente, per... oh!
Lo si stavano concentrando su Altaïr.
Il loro obiettivo era lui!
Era lui che complottava con Al Mualim per uccidermi. Lui che mi picchiava, lui
che abusava di me. Era Altaïr a riempirmi di schiaffi, lui a squarciare la mia
intimità, lui ad aprirmi ferite nella carne. E poi c’era l’omicidio di Kadar.
L’avevo vissuto in così tante prospettive, l’avevo visto uccidere Kadar, il mio Kadar, in così tanti modi che mi
sembrava di avervi assistito realmente. Avevo visto quelle mani sporche del suo sangue. Lo sguardo famelico e omicida.
Solo a ripensarci... Lui me l’aveva
portato via!
Un campanello d’allarme risuonò nella mia testa e sentii un fremito percorrermi
la schiena. Altaïr era cambiato.
Ma
la colpa è sua. E’ così prepotente, così marcio dentro.
Uccidilo, Vega.
Tremai
così forte che sentii le costole, chissà in quale condizione pietosa, prendere
fuoco e dilaniarmi dall’interno. Il desiderio di togliergli la vita era così
bruciante che mi veniva da vomitare. Era tutta colpa sua se ero rimasta sola al
mondo, se ero stata rapita.
No, non cedere, Vega. Non cedere.
Cominciò a mancarmi il fiato.
Mi chiamo Vega Al Sayf. Ho vent’anni.
Sono nata a...
Se solo non ti avessi lasciata sola.
Se solo l’avessi seguita, anche da lontano... se mi fossi accorto prima che era
passato troppo tempo... se non ci fosse stata nessuna tomba sui cui andare a
piangere...
Cinquanta giorni.
Ed era solo colpa mia.
Mi sembrava che il petto potesse esplodere per il dolore. E che la mia
integrità mentale fosse stata fatta a pezzettini. Non capivo più nulla, volevo
solo trovarla. Viva. Salvarla.
Non potevo neanche chiudere gli occhi e abbandonarmi per qualche ora
all’incoscienza, perché le immagini raccapriccianti
che mi figuravo da sveglio comparivano anche nei sogni.
Cosa le stava succedendo? Era ancora viva?
Oh Vega, hayete...
Tornai alla Dimora che era ormai l’alba.
Il mio ennesimo giro di perlustrazione era stato del tutto inutile, di nuovo.
Aprii la grata dorata del tetto e mi calai dentro per inerzia, provocando un
tonfo sordo inaccettabile per un Maestro Assassino. Non che me ne fregasse
qualcosa.
Tale rumore richiamò Malik nel piccolo ingresso con solerzia, la sua faccia era
provata dall’assenza di sonno e dalla
disperazione. Probabilmente la mia espressione non era eco della sua perché, qualsiasi
cosa lui stesse provando, io mi sentivo peggio.
-Sei tornato- biascicò –Vieni, vieni a rifocillarti, ho qualcosa pronto- e
tornò indietro sui suoi passi, rapido come era stato nell’arrivare.
Lo seguii arrancando e senza una vera pulsione, ma feci come mi aveva detto e mi
sedetti sui cuscini, pronto a mangiare e a rimettermi in forze.
La stanchezza di quegli ultimi cinque giorni di viaggio mi sembrava irrisoria
rispetto alla voglia che avevo di ripartire per cercarla in un altro luogo.
In qualche posto deve trovarsi, mi ripetevo,
non cercarla significa perderla in
partenza.
Questo pensiero ossessivo mi stava tenendo in piedi; questo e il non pensare al
fatto che c’erano infiniti modi in cui lei poteva non essere da nessuna parte. Nella mia anima non prendevo in
considerazione quelle ipotesi, o semplicemente non ce l’avrei fatta.
Sospirai, buttando la testa all’indietro, sperando che quei pensieri molesti
uscissero immediatamente dal mio corpo.
Malik ritornò con un piatto pieno di cibo nell’unica mano che ancora gli
rimaneva, non mi sforzai nemmeno di capire cosa mi stesse servendo, un pasto
era uguale all’altro purché mi rimettesse abbastanza in forze da ripartire. Tra
il busto e il moncherino, invece, tratteneva una grande pergamena arrotolata
che poggiò accanto al piatto.
Prima ancora di mangiare, srotolai la mappa della regione e segnai una nuova “x”
sulla pianura desertica che circondava Damasco. Ormai c’erano più posti segnati
che zone rimaste incontrollate, ma non mi lasciavo scoraggiare nemmeno da
questo pensiero. Potrebbero averla portata nei loro paesi natii: nelle Gallie,
nella penisola italica, in Britannia... mi sarei spinto ovunque, per cercarla.
Malik fissava quella x fatta di semplice inchiostro come avrebbe fatto con una
presenza demoniaca, solitamente era ansioso di sentire i miei piani per la
prossima perlustrazione, pieno di idee e consigli e soprattutto di
incoraggiamenti e ammonizioni sul fatto che, se avessi perso anche sua sorella, non avrei trovato rifugio dalla
sua ira anche se mi fossi nascosto sotto uno sasso ubicato mille metri sotto il
mare.
Nonostante la velata, seppur ironica, minaccia, la sua vicinanza mi era
risultata di conforto ed era stata la mia unica altra forza oltre la negazione... mi sentii in dovere di fare
altrettanto per quel suo momento di sconforto.
-Non importa dove, ma la ritroverò, Malik...- dissi, mettendogli una mano sulla
spalla, sperando di non esagerare –Non prendo nemmeno in considerazione l’idea
di arrendermi finché non la ritroverò-.
Il petto del Rafiq ebbe un singulto e i suoi occhi si inumidirono, eppure annuì
con fervore ricambiando la stretta.
-Io...- biascicò, mentre mi faceva segno di mangiare –Mi accontenterei anche di
sapere cosa le sia successo, a questo punto. Sai, per trovare un po’ di pace-.
Il boccone mi si incastrò in gola per quella frase, ma lo ricacciai giù
immediatamente: non dovevo dare spazio a supposizioni e frasi di quel genere o
non sarei servito più a nulla.
Mantenni una espressione moderata e fiduciosa –Sarà lei a raccontarti cosa le è
capitato quando la riporterò qui- sussurrai, evitando quegli occhi così scuri e
profondi di disperazione –Malik, non smettere di credere in me, io..-
Un urlo mi interruppe -Malik! Rafiq!-.
Ci avviammo entrambi verso l’ingresso del Covo, per capire chi stesse cercando il
Rafiq con così tanta esuberanza ed urgenza da urlare (incautamente) per
attirare l’attenzione.
Quando vidi che si trattava solo di un Novizio un po’ impanicato che cercava a
tutti i costi di entrare, persi anche quel minimo interesse che era nato in me
e la stanchezza prese il sopravvento sulle mie membra.
Mi girai, pronto a trangugiare velocemente quello che rimaneva del piatto per
poi infilarmi subito in un pagliericcio ma, di nuovo, fui trattenuto.
-C’è anche lei, Maestro Altaïr. Fantastico!- il ragazzo, una volta entrato nel
Covo, doveva avermi riconosciuto anche se gli davo le spalle –Io devo parlarvi,
Maestro. Vedete...-
Lo troncai sul nascere, alzando una mano a mezz’aria –Nulla di cui tu possa
voler parlare mi interesserebbe, ora- biascicai, sentendomi andare a pezzi –Per
cui, se vuoi scusarmi....-
Il ragazzo deglutì rumorosamente –Si tratta della Maestra Vega-
Malik perse la presa sulla boccetta dell’inchiostro, che cadde e si frantumò in
mille piccole schegge con un sonoro crash.
Crash, i vetri sparpagliati per tutta la stanza. Un lago nero d’inchiostro
sotto.
-.... quindi ammetto di essere stato colto impreparato: Quei templari mi
hanno stordito e portato in questa capanno rudimentale, nel sottobosco di
Gerusalemme. Lei era lì, maestro-
Crash, più o meno il tonfo sordo del mio
cuore.
-... mi è sembrata così deperita e
ferita, incatenata nell’altra stanza. Abbiamo parlato attraverso quel buco
nella parete durante le ore in cui sono stato lì. Mi ha detto che mi avevano
rapito per errore, di stare tranquillo...-
Crash, il suono delle loro ossa quando li
avrei trovati.
-... mi avrebbero riportato indietro, senza permettermi di riconoscere la
strada, ma lei la sapeva. Mi ha detto di correre da voi, di riferirvi il
cammino e che voi avreste fatto il resto. Ad ovest della cattedrale, superata
la valle del Kidron, prima di
arrivare al gat šemanîm₄... un sentiero, un’ora a cavallo... Sono lì!-
Crash, il rumore della grata che si
richiudeva con uno schiocco dietro di me.
I sette templari a guardia di quella rudimentale
abitazione giacevano morti davanti a me, alcuni ridotti piuttosto male, quando
non ero riuscito a trattenere la rabbia.
Dalla casa, nessun rumore, nessun verso di speranza o di aiuto.
Il Novizio l’aveva descritta come deperita e ferita... forse non avevo fatto in
tempo e avrei trovato solo il suo cadavere, ad attendere.
Cinquantacinque giorni.
Cosa avrei trovato? Chi avrei
trovato?
Io, se fossi stato in lei, probabilmente non avrei perdonato tutta quella
attesa, passata tra chi sa quali sofferenze. Vega era buona, meravigliosamente
buona e piena di fiducia in me, ma non meritavo nessuno dei suoi buoni
sentimenti, per tante ragioni.
Improvvisamente, tutta la smania che avevo avuto di entrare, quel furore cieco
e bruciante che mi aveva reso facile brutalizzare quegli uomini pur di vederla subito, era completamente sparito.
Per la prima volta sperimentai quella apatheia₅ di cui i maggiori filosofi dell’antichità avevano parlato.
Riuscii a svuotarmi di qualsiasi cosa:
Da una parte, il mio lato umano era fossilizzato dalla paura, non volevo provare niente. Qualsiasi
emozione mi avrebbe sconvolto. Vedere Vega in qualsiasi stato, mi avrebbe
ucciso in ogni caso, di gioia e pena. Avevo davvero paura di
incontrarla.
Dall’altra, il mio lato da fida’ī era
in completo allarme: quale trappola poteva celarsi per me, lì? Magari non c’era
Vega, ma Di Sable pronto a mozzarmi la testa. Oppure avrebbero catturato me.
Perché avevano, improvvisamente, reso così facile trovarla...?
Tutti questi misteri urlavano “Precauzione!” e, di conseguenza, era richiesta la più completa freddezza da parte mia.
Anche se, molto probabilmente, avevo appena
ritrovato l’amore della mia vita.
Con questi pensieri, cercando di mantenere quello stato di catatonica pace
nella mia mente, avevo mosso quei pochi passi che mi separavano dalla casa buia
e silenziosa.
Da una prima occhiata alla finestra, sembrava tutto assolutamente calmo e privo
di vita. C’era una catena attaccata alla parete di fondo. Era, con ogni
probabilità, quella a cui era stato attaccato il Novizio.
Basta tergiversare. Entra in questa maledetta casa, Altaïr.
Entrai.
Mi ero ripromesso di sopprimere qualsiasi mia reazione.
Qualunque fosse stato il suo pietoso stato, o per quanto grande sarebbe stata
la mia gioia, io sarei dovuto rimanere impassibile, in modo tale da poterla
osservare in modo critico e poterla aiutare fisicamente senza essere incauto
emotivamente.
Eppure, quando la vidi, ogni mio argine si ruppe per il soffocante sollievo che
provai.
Persi ogni controllo, ogni mio freno venne completamente sbaragliato e i muri
costruiti per proteggere i miei sentimenti crollarono come sabbia al vento. Il
petto mi esplose nel vederla, anche se rannicchiata in posizione fetale,
emaciata e quasi del tutto immobile, se non per il ritmico alzarsi e abbassarsi
del suo torace che, ineludibilmente, mi confermava che fosse viva.
-Habeebti- sussurrai, sopraffatto da
tutto, buttandomi verso il suo corpo.
Volevo solo abbracciarla e abbracciarla ancora mentre la baciavo.
Vega si girò verso di me, come per accogliermi e il mio cuore perse un battito
per la gioia.
Poi ne persi qualche altro, mentre la sua
lama celata si conficcava nel mio petto.
****
1) Il mio amato Peter Gabriel accompagna questo nuovo capitolo. Darkness
è una canzone dell'album "Up" (2002), in cui l'artista
sperimenta questi suoni "audaci" molto sintetizzati. L'atmosfera
altalenante fra confusione e placida calma ha ispirato molto l'andazzo
di questo capitolo. Non è proprio un facile ascolto, ma spero vi
piaccia.
Come al solito, vi consiglio di leggere il resto di questa nota dopo aver letto l'intero capitolo.
Dalle mie parti, chiameremmo questo un "Ritorno col botto".
Anche se nei piani originali ci sarebbe dovuto essere un capitolo
mediano, ho preferito rilanciarvi un po' nella fase attiva della
storia. Forse un po' troppo attiva, considerato che manca ormai poco
alla conclusione. Questa volta Di Sable se l'è pensata molto
bene, vero?
Ci tengo a chiarire che, sì, in AC1 è detto chiaramente
che Altair è immune al potere psichico della Mela, ma non a
quello fisico. Essendo Vega una discendente della Prima Civilizzazione,
come lui, la cosa dovrebbe
valere anche per lei... Quindi com'è che l'hanno accoppata
così bene? Mi riservo di spiegare tutto nei successivi capitoli.
Spero di non avervi bistrattato troppo con questo triste destino per il nostro affascinante Assassino.
2) Mi è sembrato di dover camminare un po' sulle
uova per scegliere i termini da far usare a Vega per descrivere quello
che le stava succedendo. Di certo, il termine "Lavaggio del Cervello"
non era contemplato all'epoca ma, d'altra parte, parlare di
"indottrinamento" mi sembrava esagerato. Se vi dovesse risultare
inappropriato, mi appello al famoso aspetto del Traduttore dell'Animus
che traduce tutto in un linguaggio più corrente in modo tale che
tutto sia più comprensibile.
3) Di questo particolare Frutto
Dell'Eden si fa menzione in AC2, in uno dei documenti del Soggetto 16
e, inoltre, Rodrigo Borgia ne fa uso in una battaglia. Mi sono presa la
libertà di averlo fatto appartenere ai Templari da quei tempi.
Non tutti i Frutti hanno gli stessi poteri, in Bloodlines si fa
menzione al fatto che i Templari fossero in possesso di diversi Manufatti meno potenti di quello posseduto da Altair.
4) Kidron/ Gat šemanîm: La
Valle del Cedron, è una valle situata tra la Città
Vecchia di Gerusalemme e il Monte degli Ulivi, che prende il nome dal
torrente Cedron che vi scorre vicino. E' inevitabile passarci per
arrivare al Getsemani, il famoso piccolo Oliveto in cui Gesù
pregò prima di essere arrestato. Il Getsemani si trova sul Monte
Degli Ulivi. Mi è piaciuta molto l'idea di far muovere Altair in
questi posti "biblici".
5) Apatheia: Virtù
imprescindibile di qualunque filosofo Stoico dell'antichità,
l'Apatia (non clinica) è la completa mancanza di "passioni",
quei sentimenti troppo forti e dannosi, poiché obnubilano
la razionalità, il più grande bene dell'uomo.
Altair dice proprio "Fanculo" all'apatheia.
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