I'm With You

di Cass_Pepper
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Thin ***
Capitolo 3: *** 2. Key ***
Capitolo 4: *** 3. When you find Face to Face ***
Capitolo 5: *** 4. Falling ***
Capitolo 6: *** 5. Downside Up... ***
Capitolo 7: *** 6. Waitin'On a Sunny Day ***
Capitolo 8: *** 7. The Worst Decision ***
Capitolo 9: *** 8. Telling me those lies... ***
Capitolo 10: *** 9. Digging in the Dirt (Parte 1) ***
Capitolo 11: *** 10. Digging in The Dirt (Parte 2) ***
Capitolo 12: *** 11. Go Your Own Way ***
Capitolo 13: *** 12. I Stood Up ***
Capitolo 14: *** 13. Fortune Faded ***
Capitolo 15: *** 14. Nothing But Time ***
Capitolo 16: *** 15. In Your Eyes (Prima Parte) ***
Capitolo 17: *** 16. In Your Eyes (Seconda Parte) ***
Capitolo 18: *** 17. Learning to Live ***
Capitolo 19: *** 18. Darkness ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo.


RE: Stelle.

Mi ha stupito molto il suo messaggio, Signore.
Il soggetto 17 ha completato le ricerche con il suo più antico antenato già in tempi minori di chiunque altro, riportandoci le informazioni che speravano sui frutti dell’Eden. Eravamo sicuri di poterlo eliminare, dato che il lavoro sembrava compiuto. Sono stati tre giorni molto produttivi!
La versione del primo antenato era assicurata, anche L’Animus aveva classificato il processo genetico attendibile.
Siamo, per quanto scettici, pronti ad accogliere la sua richiesta e potrà inviarci quanto concordato anche nella giornata di domani.
Per quel che riguarda il soggetto 17/bis, le faremo sapere quando il secondo Animus sarà pronto.


Cordialmente
.

Warren Vidic

Qualche giorno prima.
Italia.

Il rumore dei passi svelti nelle pozzanghere rimbombava nelle strette stradine di pietra, l’unico altro rumore udibile era un respiro affannoso.
Forse erano più respiri affannosi.
La fuga era l’ultima speranza. Avrebbe lasciato il suo paese. Tutta la sua vita.
Doveva farcela, nonostante i vestiti si fossero appiccicati sulla sua pelle, impedendo grandi movimenti. Doveva farcela.
Saltò sul cofano di una macchina, per poi arrampicarsi, con fatica, data la pioggia, su un tubo e arrivare sul tetto di un palazzo.
Pensava di averli seminati, non tutti sanno fare queste cose, non tutti le fanno ogni giorno.
Però sembrava che chiunque volesse porre fine alla sua vita, avesse ingaggiato dei veri professionisti, che forse conoscevano le sue abilità. A chi aveva fatto un torto così grande?
 Arrivò al bordo del palazzo, ma purtroppo dopo quello c’era solo uno strapiombo sul mare, un mare che, lo sapeva bene, aveva un fondale troppo basso per lasciare qualche speranza.
Sì guardò indietro, gli occhi verdi sgranati e il petto che si alzava e si abbassava velocemente, per il fiatone, per la paura. I quattro uomini in nero erano riusciti a salire e si avvicinavano sempre di più.
Si rivolse nuovamente al mare e chiuse gli occhi, per fare quel gesto sembrava fossero passati minuti, ore, invece era successo tutto in un battito di ciglia.
Non restava che scegliere di quale morte morire.
-Eccola!-
-Prendiamola-
Si gettò.

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Capitolo 2
*** 1. Thin ***


Salve a tutti!
Grazie mille per le recensioni, non mi aspettavo un così incuriosito seguito! Davvero, grazie mille :D
Ma ora passiamo alle cose serie, dunque, agli avvisi necessari per la lettura di questa storia!
LEGGERE ATTENTAMENTE: Come sapete, Desmond rimane sette giorni nella sede Abstergo, prima di fuggire con Lucy.
Per una questione di tempi, ho ridotto il tempo che ci mette a finire la storia di Altair a tre giorni.
Tenetelo a mente ;)

BUONA LETTURA!

 

Cass
 


Capitolo 1: Thin.


-Che situazione di merda!-
La dottoressa rise, mentre armeggiava ancora con il computer del secondo Animus, impostando chissà quale datazione e profilo genetico. Il rumore delle sue dita che battevano sulla tastiera era l’unico nella stanza, insieme al sottile suono che facevano ogni tanto gli ingranaggi dell’Animus.
Il posto dove mi avevano portato tre giorni fa non era cambiato molto, anche se ormai l’avevo scoperto più "umano".
Scoperta inutile, la cosa non mi calmava per niente.
Purtroppo.
Volendo vedere la situazione positivamente, beh, Lucy mi aveva salvato la vita.
I ritmi non erano mai serrati come nel primo periodo, in altre parole avevo dei tempi precisi da passare nell’Animus, sempre che non fosse un ricordo particolarmente importante ai fini della ricerca.
Avevo una maggior sincronia con il mio antenato, il lavoro era sempre più scorrevole.
Inoltre ero anche diventato amico della dottoressa.
-Continuo a pensare che sia una situazione di merda!- esclamai, rendendomi conto che ormai preferivo essere il mio antenato più che me stesso. Lui sì che aveva una vita.
Ero anche ingrassato a furia di stare chiuso lì dentro.
No, non ero diventato un ciccione, ciò non toglieva che Altaïr Ibn L’Ahad, il mio antenato, fosse più magro di me.
Soprattutto, era molto più muscoloso. E dannazione, quella donna, Maria...
Sospirai, camminando verso i grandi vetri del grattacielo, che davano sulla strada poco affollata.
Quel giorno c’era un sole tiepido, che però illuminava del tutto la stanza bianca, facendola sembrare ariosa, nonostante fosse stipata di computer e apparecchi elettronici.
Poggiai la fronte sulla finestra, rilasciando un altro sospiro.
La mia speranza era che con l’aver trovato la mappa dei frutti dell’Eden il mio compito fosse finito.
Speravo che la fine della storia corrispondesse alla mia libertà, che tutte le informazioni che servivano alla Società fossero state raccolte. Gli imprint mnemonici erano stati tutti soddisfatti, ormai i ricordi che stavo rivivendo erano solo, come dire, passatempi!
Evidentemente, le mie speranze erano state disattese. Forse mi sfuggiva qualcosa?
Guardai il secondo Animus e la porta che portava all’uscita ancora con la spia rossa.
Possibile che quell’affare servisse a me?
-A cosa serve? Pensate che chiudermi dentro due Animus tipo stampino mi faccia scoprire altro?- chiesi, ironico, puntando il dito verso il nuovo marchingegno, sistemato accanto al mio.
La dottoressa alzò lo sguardo, puntando i suoi occhi azzurri contro di me, mettendomi in grande soggezione. Non l’avrei mai ammesso, ma ogni tanto mi faceva paura.
Aveva la calcolata freddezza di un robot, per quanto fosse stata lei a trattenere Doc dal farmi fuori questa mattina e fosse l’unico contatto con gli Assassini che avevo al momento. Ragionandoci, mi sorpresi anche della velocità con cui gli agenti Abstergo avevamo montato il secondo Animus.
Lei ancora non mi rispondeva, sembrava mi stesse studiando data l’intensità del suo sguardo e dalla piccola fossetta che si era formata tra le sue sopracciglia. Cominciai a sudare freddo.
Sembrò soppesare la possibilità di non rispondermi, come spesso faceva, ma forse la sua coscienza le ricordava che ero segregato qui da un sacco di tempo e che qualche risposta la potevo anche avere, dannazione!
Girò, lentamente, la testa verso il secondo Animus, premette un pulsante e i sensori tondi di quello s'illuminarono come il primo. Poi parlò senza degnarmi di un’occhiata:
- Il direttore della casa farmaceutica ha condotto studi "paralleli", in un certo senso, ai nostri. Sembra che il tuo profilo genetico non sia stato analizzato del tutto. Che possano esserci molte più informazioni di quello che noi potessimo sperare, ai fini della Società, s’intende. Ma, come ben sai, il nostro Animus non riesce a rilevare nient’altro su Altaïr-.
Annuii, increspando le labbra e prendendo a muovermi nella stanza.
La situazione mi lasciava un po’ scettico, visti i fatti. –Non può esserci nulla da vedere. Sempre che l’Aquila di Masyaf non abbia deciso di procreare! Ma in quel caso… -
-L’avremmo rintracciato solo vivendo tutta la storia- m'interruppe. Rise. –Hai studiato, Desmond-.
La scimmiottai, poi mi battei le mani sulle gambe – Quindi quell’Animus è più potente? Serve a "scavarmi più a fondo"?- ipotizzai avvicinandomi alla macchina.
Lei scosse la testa, facendo poco oscillare il suo chignon biondo. – Non riguarda esperimenti su di te. Serve per un se… -
La dottoressa non poté continuare, dato che lo scienziato pazzo e un energumeno che portava in braccio un ragazzino svenuto, col cappuccio tirato fin sopra gli occhi, al mo’ di qualche mio amico assassino, avevano fatto irruzione nella stanza.
-Oh mio Dio, non restate lì impalati! Nella camera di Desmond c’è un letto. Forza!- disse agitata la bionda, mentre, prima di seguire i due uomini nella mia camera, prendeva un kit del pronto soccorso e delle strane fialette contenenti un liquido trasparante.
-Ehi, certo! Potete usarla!- urlai sarcastico (Poiché non avevo nessun diritto su quella camera, dato il mio status di prigioniero) quando, dopo averli seguiti, mi ritrovai la porta chiusa in faccia.
Come sempre molto gentili, borbottai tra me e me.
Mi massaggiai il naso e cercai di origliare qualcosa, ma purtroppo quella volta non avevo a disposizione nessun condotto dell’aria ad aiutarmi. La vista di quel ragazzino mi aveva sconvolto, sembrava l’avessero ripescato dal mare dopo un naufragio.
M’incamminai verso la scrivania e mi sedetti sulla sedia girevole di pelle nera; i miei pensieri erano tutti rivolti al nuovo arrivato, non sembrava star particolarmente bene, avevo notato qualche ecchimosi sulle mani e sul quel poco di collo che era visibile, per non parlare della macchia rossa sul fianco. Anch’io avevo quell’aspetto, quando ero arrivato qua?
Non mi ricordavo molto, in realtà, del mio primo giorno. Ero solo… arrabbiato e confuso. C’era tanta voglia di scappare, ma quella c’è sempre, non mi stupirei se mi dicessero che l’avevano ridotto in quello stato perché aveva opposto resistenza o tentato la fuga.
Il pensiero mi fece rabbrividire e chiudere gli occhi, quel ragazzino era davvero minuto e magrolino, sembrava piccolo, poteva avere al massimo sedici anni.
Perché l’avevano portato qui? Anche lui aveva "un passato ereditario"? Ed era in qualche modo collegato al mio, forse?
Beh, spiegherebbe la presenza del secondo Animus, ma non il mio profilo genetico non del tutto compatibile con la macchina. Tutto sembrava dipendere da quel ragazzo.
Eppure, quale antenato poteva avere, così piccolo e smilzo? Forse non era un assassino, non era possibile che Al Mualim avesse sicari così poco "piazzati". Quante domande, Desmond…
Mi girai con la sedia verso i vetri, dando le spalle alla stanza, dalla quale provenivano voci concitate e rumori dalla dubbia provenienza.
Cosa diamine aveva scoperto il direttore?



 

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Capitolo 3
*** 2. Key ***



Capitolo 2: Key.

- Desmond? Desmond, forza!-
La voce che mi chiamava era così lontana, come se fosse nella mia testa e non una voce vera.
Forse non riuscivo a uscire dall’Animus? Non riuscivo a vedere niente, né a ricordarmi niente.
-Ahia!- urlai, prima di rendermi conto di essere sveglio, portandomi una mano sulla guancia.
Alzai lo sguardo sulla dottoressa, aveva l’espressione molto seria e tirata, gli occhi gelidi e la postura ligia. La mano ancora tesa per lo schiaffo che mi aveva mollato.
 –Coraggio Desmond, non abbiamo tempo da perdere- Disse con voce grave – Siediti nell’Animus- continuò mentre si sistemava al suo computer.
Mi alzai dalla poltrona e mi diressi verso la macchina. La seconda era occupata dal ragazzo, che aveva ancora il cappuccio tirato sugli occhi. Sembrava stesse dormendo.
L’avevano cambiato: Indossava la felpa bianca che avevano rifilato anche a me e jeans grigi.
 Chissà se era stato un gesto gentile o se al Dottore dessero fastidio le macchie di sangue...
-Signor Miles, la smetta di cazzeggiare e si sbrighi!- urlò istericamente lo scienziato pazzo. Non mi ero nemmeno accorto di essermi soffermato tanto. Quella figura era come una calamita.
Mi stesi e la lastra di vetro mi si chiuse sugli occhi, mi apparve un’altra striscia genetica, che però sembrava già iniziata.
Non feci nemmeno in tempo a pronunciare il suo nome che fui risucchiato nel ricordo.

-Altaïr! Finalmente sei tornato- disse Al Mualim quando mi vide arrivare.
Uscii dall’ombra della libreria con passo deciso e misurato, finendo di sistemare i coltelli nell’armatura: Questa missione mi aveva alleggerito di munizioni.
-Depistare le mie tracce non è stato facile come speravo-, dissi, soddisfatto del lavoro ultimato. Compii qualche altro piccolo passo e mi avvicinai alla scrivania di legno chiaro, per lasciare l’ultima piuma che avevo macchiato. L’ultima.
L’ultima delle nove vite che avevo preso in cambio della mia.
Nove omicidi poco chiari. Erano templari, certo, ed era nostro compito eliminarli. Ma le loro parole... Cosa potevano volere? La pace? Allora perché Al Mualim...?
Era un rompicapo che ancora non ero riuscito a sciogliere e che il Vecchio non sembrava volermi spiegare. Così stavo indagando per conto mio.
Al Mualim di certo sapeva. Tramava. Ma ancora non potevo muovere accuse... e come avrei potuto?
Lui, che mi aveva amato e mi amava come un padre. Volevo esserne certo al cento per cento.
Avevo deciso di seguire le sue mosse. Di stare ancora al suo gioco.
Speravo di sbagliare. Speravo di sbagliare più di qualsiasi altra cosa.
Ero stato via qualche luna, eppure quell’uomo era riuscito ad accumulare più libri di quanti ne avesse alla mia partenza. La grande finestra illuminava ogni sottile pagina scritta, rendendole ancor più trasparenti e gialline. Gli spifferi che provenivano dal piano di sotto, facevano ondeggiare lentamente le nostre bandiere, come il dolce cullar di un’imbarcazione.
I rintocchi dei passi di Al Mualim richiamarono la mia attenzione, stava guardando compiaciuto la piuma che gli avevo appena posto di fronte. La prese dalla punta quasi con riverenza e, continuando a guardarla, mi diede le spalle e la ripose in un cassetto.
-Che felice notizia mi porti… L’eliminazione del vile Sibrando è un enorme passo verso la pace per la quale tanto faticosamente combattiamo!- proferì a braccia aperte, mentre tornava verso la mia direzione. Feci un cenno col capo.
Al Mualim non si stupì del mio silenzio e agitò una mano verso di una guardia, che annuì al suo cenno e se ne andò. Sembrava attendesse tale richiesta.
-Hai qualcosa da dirmi?- chiesi, quando vidi Al Mualim camminare a vanti e indietro dalla grande finestra alla scrivania, con la miriade di libri poggiati sopra.
“Ci siamo” pensai.
Abbozzò un sorriso sulla faccia piena di cicatrici, e arrestò il suo moto continuo.
-Vedi Altaïr, c’è un motivo per cui ho desiderato che tu inscenassi la tua morte fisica agli occhi dei nemici. Tutti qui sanno che in realtà sei vivo- disse calmo.
Fin qui, c’ero arrivato anch’io. Nessuno si era spaventato nel vedermi tornare, né avevano urlato dicendo di vedere un fantasma o un demone.
Però, ancora nessun chiarimento sui miei nove omicidi.
Si schiarì la voce - Si tratta di una missione un po’ particolare, se vuoi vederla in questo modo. Una missione di vitale importanza, ma dovresti saperlo, dato il tuo elevato rango! Quello che c’è di nuovo è… Oh, ecco la novità! Forza… Avvicinati!- disse lieto come non l’avevo mai visto, guardando con il suo occhio buono alle mie spalle.
Voltai poco la testa verso il nuovo arrivato, e lo osservai dalla testa ai piedi:
Era bassino e smilzo, ma non sembrava aver difficoltà nel portare il carico delle armi.
Il cappuccio mi celava la sua faccia, ma sembrava essere straniero.
S’incamminò verso di noi con passo sicuro e senza esitazione, tenne il capo chino nonostante il cappuccio già lo coprisse, poi mostrò la mano senza dito in segno di saluto, non sembrava aver intenzione di dialogare. Ricambiai il gesto e Al Mualim fece un cenno rigido col capo coperto dalla stoffa grigia.
Il ragazzino si avvicinò ancor di più, mettendo in risalto la differenza di altezza tra me e lui. Il suo cappuccio sfiorava il mio mento e il suo corpo era la metà del mio. Fiacchetto. Forse era un novizio.
Eppure, aveva tutte le armi di un Maestro Assassino... Non sembrava comunque avere qualcosa di speciale.
Fermai le mie elucubrazioni e rielaborai le parole dell’uomo, un brivido di rabbia mi scosse la schiena.
Per un attimo vidi tutto rosso e mi sarebbe piaciuto portare la lama nascosta vicino alla gola del ragazzo. Per fortuna, però, mi limitai a girarmi di scatto verso Al Mualim, stringendo i pugni.
–Cosa vuol dire?!- ringhiai, piegandomi automaticamente in posizione d’attacco.
Al Mualim mi guardò senza scomporsi– Questo incarico è troppo importante, non posso lasciarti solo!-il suo tono era a metà tra l’imperioso e il seccato. Mi conosceva bene.
E proprio per questo un’azione simile non me la sarei mai aspettata. Dannazione!
Digrignai i denti –Non ti fidi più delle mie capacità, Maestro?- la mia voce uscì minacciosa. –Dovresti saperlo che non farei mai nulla per danneggiare l’Ordine. O magari questo ragazzino deve solo controllare che rispetti il credo?- formulai quell’ipotesi così denigratoria per me sbattendo un pugno sul tavolo.
Al Mualim mi rivolse un’occhiata di fuoco, nonostante l’occhio di ghiaccio, mentre il ragazzo non fece una piega. Non si era mosso di un millimetro da quando era arrivato, come se non importasse molto ciò che il vecchio e io dicessimo o decidessimo.
-Adesso calmati, Altaïr. La tua funesta ira non cambierà le cose! Affidarti questo valido elemento non è una punizione denigratoria, semplicemente lo richiede la missione. Nonostante il tuo talento, non potresti mai fare due cose contemporaneamente!- aveva iniziato la tiritera con voce dura e acuta, ma sembrava calmarsi di più parola dopo parola. Percepì un risolino basso provenire dal ragazzino.
Strinsi un po’ il pugno che avevo sul tavolo, mormorando qualche imprecazione silenziosa, per poi riportare la mano al fianco, drizzando la mia postura.
-Di che si tratta?- chiesi infine, con tono arrendevole, rivolgendo lo sguardo al Vecchio.

Iniziazione Imprint Mnemonico.

-Sembra ci siano state insubordinazioni tra i nostri nemici, negli ultimi tempi. L’Ordine ha scatenato il panico in tutti gli altri schieramenti, giacché nell’immediato passato siamo stati “particolarmente attivi”, diciamo così-. Al Mualim cominciò a parlare, riprendendo il suo moto per la stanza. Aveva portato le braccia dietro la schiena, alzando gli occhi al cielo.
-Questo non è un vantaggio per noi?- Alzai un sopracciglio, dubbioso, non capendo dove fosse il problema. La paura, se non accettata e dominata, rende deboli.
Alla mia domanda il ragazzino rivolse la testa verso di me, senza dir nulla. Nonostante il cappuccio m’impedisse di veder i suoi occhi, sentivo sulla pelle l’intensità con cui mi guardava. Era… assurdo.
Non ebbi particolari reazione all’esterno, ma dentro mi sentivo scombussolato.
Feci un involontario passo all’indietro, distogliendo lo sguardo. Lo stesso fece lui.
Sembrò che la mia fosse stata solo una reazione di sdegno. Meglio così.
Al Mualim, che si era perso questo velocissimo scambio, mi rispose che sarebbe stato vantaggioso se avessimo potuto controllarli uno per volta.
-Nel senso che… si sono “unite” per distruggerci?- rimasi scioccato da tal eventualità, non per la paura che potessero realmente farci qualcosa, ma al pensiero che gruppi etnici così diversi si fossero alleati.
Lui annuì e il ragazzino incrociò le braccia. Forse non era di pietra come pensavo.
-Ricordati Altair che tutti quei popoli erano inconsapevolmente sotto il potere templare esercitato dagli uomini che hai ucciso, i quali agivano sotto la guida di Roberto, che a suon di monete di Riccardo continua a far da collante. Quindi il termine giusto non è unite, ma collegate. Armi, schiavi, guardie, fine...  - si fermò e si volse verso di noi.
-Non abbiamo ancora una posizione precisa, ma in una delle città degli “alleati” c’è un tempio. Nel tempio è custodito, non so per quale voce arrivata a Roberto, un frutto gemello a quello trovato nel tempio di Salomone. Entrambi sapete di cosa sto parlando... Il vostro primo compito è di ricavare informazioni e poi, una volta fatto rapporto, recarvi lì a “dare un’occhiata”- fece un mezzo ghigno –Una volta intuiti i loro piani, sapremo come attaccare. Nel frattempo qui gli addestramenti aumenteranno di frequenza e durezza. Dobbiamo essere pronti a fronteggiare l’orda di nemici che sicuramente attaccherà, anche se siamo sicuri che la distruzione fisica della nostra confraternita non sia il loro fondamentale obiettivo- finito il suo discorso, Al Mualim ci porse una mappa ben dettagliata dei regni a noi circostanti (sicuramente opera di Malik) e ci congedò.
-Partirete l’indomani. Badate, sarà una lunga missione, perciò preparatevi opportunamente-.
Io e il ragazzino mostrammo la mano e ci girammo. Mi aspettavo fosse sceso con me dalle scale, invece si calò giù dalla ringhiera.
-Che tipetto…- mormorai, cominciando a camminare verso l’uscita.
Al Mualim ghignò.

Avanzamento rapido ad un ricordo più rec...

-Cosa succede? Dottoressa?!-
-Non lo so, uno dei due sembra aver perso del tutto la sincronia. Sta opponendo resistenza!-
Sentii un urlo straziante e dei passi affrettati e finalmente riconobbi la schermata iniziale dell’Animus, che mostrava rapidamente le immagini di Masyaf.
Riprendendo conoscenza, strizzai un po’ gli occhi per riabituarmi alla luce e finalmente riuscii a vedere il soffitto della stanza.
Il terribile urlo proveniva dal nuovo arrivato, che si agitava freneticamente sulla sua macchina, sbattendo i pugni chiusi. Sembrava provasse un dolore insopportabile.
Mi si strinse il cuore nel vederlo soffrire così.
Stavo per avvicinare la mano alla sua spalla, ma la dottoressa mi fermò con uno scatto agile.
La guardai scettico, frustrato per la poca fiducia: Volevo solo aiutare.
Lo scienziato pazzo, nel frattempo, aveva chiamato l’energumeno che aveva trasportato tra le braccia il ragazzo quella mattina e lo fece spostare in una stanza che nessuno aveva mai aperto da quando ero lì. Girai la testa in quella direzione, probabilmente era la sua nuova camera.
Rimasto solo con lo scienziato pazzo, scesi definitivamente dall’Animus e mi avvicinai con passo pesante a lui, che era seduto alla scrivania con la testa fra le mani.
Aria amara, eh?
-Doc? Cosa diamine è successo prima?- chiesi stralunato, appoggiandomi al ripiano di legno scuro.
Lui si sedette compostamente, incrociò le gambe e congiunse le mani, assumendo una posizione assolutamente, fintamente, disinvolta. Alzai un sopracciglio e trattenni una risata di scherno.
-La cattura del soggetto 17/bis è stata complicata. L’abbiamo dovuto ripescare dal mare, dopo il suo teatrale tuffo da uno strapiombo, in Italia meridionale. Sembrava preferire la morte, peccato sia davvero una persona molto atletica e fortunata … Nel tuffo ha solo erroneamente urtato con uno scoglio dopo l’immersione- rispose.
Era così lampante la falsità della sua calma, che anche io avrei potuto fare meglio –Tuttavia, per quanto minimo il danno rispetto a ciò che poteva succedere, il dolore è abbastanza forte da interrompere il suo ricordo- proruppe, cedendo alla sua afflizione.
Per lui il tempo era fondamentale. Mi venne da sorridere nuovamente, ma mi trattenni ancora.
Portai due dita al mento –Come mai questi ricordi non si sono mostrati, prima che arrivasse il soggetto 17/bis? Avevamo visto come Altaïr avesse ucciso Roberto Di Sable-.
Doc mi rivolse un’occhiata penetrante, poi si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra ormai scura, data l’ora. Si evinceva dalla sua espressione che questo imprevisto, il 17bis,  non aveva affatto senso. Infatti, ci mise un po’ a rispondermi, riflettendo obiettivamente sulla vicenda.
Non mi aspettavo tanta sincerità!!
-Vede, signor Miles, io ho due teorie, una meno probabile dell’altra scientificamente parlando, ma non vedo altre vie possibili. La meno probabile è che ci fosse bisogno di qualcuno che conoscesse il segreto di Altaïr per rendere visibile la striscia Mnemonica. Eppure sembra impossibile che il suo antenato fosse capace di nascondere le sue gesta anche a se stesso. Non trova?- raccontò, rimanendo nella sua posizione.
-Oppure- continuò – e mi sembra l’ipotesi più accettabile, la striscia mnemonica è stata resa meno leggibile passando da generazione in generazione, ma essendo condivisa dal soggetto 17/bis, lei signor Miles ha come bisogno di una… chiave di lettura che ricostruisca i suoi ricordi. Il fatto che la desincronizzazione dell’altro soggetto abbia portato indietro anche lei, non fa che convincermi di questa ipotesi. E’ capace di ritrovare il suo antenato solo se il soggetto le ricostruisce la striscia mnemonica. Il che è curioso e straordinario allo stesso tempo, signor Miles, poiché i ricordi non potrebbero mai coincidere perfettamente! Un caso davvero molto interessante-.
...
Mi sembrava davvero poco plausibile.

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Capitolo 4
*** 3. When you find Face to Face ***


Buonasera!
Sono tornata, in anticipo, per farmi perdonare del ritardo precedente: Ecco, una specie di regalo per Halloween xD
Ora, non so se vi rendete conto che fra tre, e dico tre, giorni, potremo avere in mano Black Flag!!!! * si scoglie*
Ahahahahaaha, dunque, parliamo di cose serie: Nel precedente capitolo c'è stata un po' di confusione.
Per cui, mettiamo dei "paletti": Altair ha ucciso tutte le nove vittime, ma non Di Sable e nemmeno Al Mualim.
Sospetta di quest'ultimo, ma troppo preso dal desiderio che i suoi sospetti si rivelino infondati, indaga ancora.
Se avete qualche altro dubbio, fatemi sapere nella recensione! ;)
Magari dal prossimo capitolo potremmo mettere delle note a fine pagine, sapete, quelle con i numeretti, per spiegare meglio ogni passaggio!
Spero gradirete questo capitolo! Fatemi sapere!
Cass

3. When you find Face to Face.

Che sta succedendo?
Può darsi che sia solo una mia interpretazione...
Non è colpa tua, mi facevo troppe domande!
Devo ammettere che è stato il mio orgoglio a sviarmi.
Tutto questo perchè ho pensato che tu fossi qualcun'altro,
Non c'è molto che so di te!
Daft Punk- Face to Face

 
Dopo il discorso con lo scienziato pazzo, intuii che potevo tranquillamente “ritirarmi nelle mie stanze” (Forse perché Vidic mi aveva “gentilmente invitato” ad entrare nella camera, dato che lui doveva sbrigare delle faccende) e sistematomi sotto le spesse coperte verdine, un pensiero tira l’altro, crollai nel giro di venti secondi o meno. Di nuovo intravidi dei segni rossi sul soffitto.
Ormai i miei orari di sonno erano un po’ sfasati, così quel pomeriggio non feci che altro che rigirarmi nel letto, alternando momenti di dormiveglia a ore di dannata coscienza.
Quando finalmente, e non saprei nemmeno dire a che ora, mi addormentai, feci un sogno, corto, sbiadito, come una canzone lontana... e non poté che svegliarmi.
E ti pareva? Eppure, era forse uno dei pochi ricordi felici che mi erano rimasti della mia vita:
Io, da bambino, nella Fattoria.

La mattina facevamo sempre lunghe corse per la campagna, era un modo di temprarci, una specie di mini allenamento per Assassini mocciosi. Eravamo una decina, delle età più disparate.
Non mi mostravo mai davvero entusiasta di partecipare a quella stupida corsa, e molti la pensavano come me, ma altri non vedevano l’ora di gareggiare fra loro, di mostrarsi forti.
Penosi.
Ero seduto su una balla di fieno, aspettando con qualche adulto che arrivassero tutti gli altri: Ad un certo punto, scortata da due ragazzini, fratelli tra di loro, arrivò una bambina alta poco più di un metro, i capelli biondi legati in una coda alta. Non l’avevo mai vista, doveva essere la prima volta che partecipava alla corsa; mi divertii il suo sguardo agguerrito. Sembrava non vedesse l’ora di mettersi in gara.
La vedevo scrutare gli altri ragazzi presenti, finché i suoi occhietti non si posarono su di me. Mi stupii quando si avvicinò piano verso di me.
-Ciao- disse, con voce chiara, nonostante fosse piccola.
-Ciao- risposi, circospetto.
-Sembri triste- constatò.
-No, non sono triste, sono... scocciato. Sai cosa vuol dire?- .
Alzò gli occhi al cielo, per poi arcuare il sopracciglio –Certo che lo so!- sembrava sinceramente offesa dalla mia domanda. Trattenni un risolino.
-Non ti piace correre?- chiese ancora. Annuii semplicemente, non capivo ancora tanto interesse.
Si grattò piano il mento, poi le si illuminò lo sguardo; mise una mano nella tasca dei suoi jeans e ne estrasse un Gianduiotto, poi me lo porse, con un sorrisone sincero stampato in faccia.
-Tieni- disse – Non puoi essere triste se mangi del cioccolato- sorrise e automaticamente sorrisi anche io.
-Grazie, nanerottola- dissi teneramente. Sembrò soppesare se offendersi o meno, ma mi concesse il termine.
Fece ciao con la manina e tornò, zampettando, dai suoi amici.
Credo di non aver mai corso tanto veloce come quel giorno.

Mi turbò parecchio, non solo per l’assurda gentilezza della bambina, o perché avevo rimosso quel bel ricordo dalla mia testa, ma per l’emozione che ancora mi aveva trasmesso, dopo tanto.
Ridicolo.
La Dottoressa mi aveva accennato all’Osmosi, ovvero all’assimilazione delle abilità, dei ricordi e delle emozioni dell’antenato di cui rivivevo la storia, ma anche la possibilità che potessi ricordare senza bisogno dell’Animus vicende dei miei antenati, di me stesso...
 Lei sembrava sempre un passo in avanti a quello che poteva succedere.
Nell’ultimo periodo mi sembrava sempre più strana, sempre più preoccupata e tesa, molte volte nelle sue e-mail parlava di certi problemi che mi riguardavano e l’avevo colta impreparata per l’arrivo del soggetto 17/bis. Forse anche gli Assassini non si aspettavano la sua entrata in scena.
Perché quel ragazzino era qui? Qual era il vero motivo?
La porta si aprì, cigolando metallicamente, e Vidic spuntò come una margherita a primavera.
-Signor Miles! Si sbrighi!- Ormai era sera, le vetrate erano nere e non facevano vedere l’esterno.
Alzai gli occhi e affrettai il passo verso l’Animus, trovando 17/bis già steso nella sua postazione.
La lastra mi si chiuse sugli occhi e la schermata dell’Animus si presentò a me.
La striscia di memoria era già selezionata, non restò che farsi trascinare.

Se le guardie sono troppe, utilizzate attacchi coordinati.

 A Masyaf c’era il sole tiepido dell’alba, nella torre vi erano solo poche persone, oltre me.
Ero un po’ in anticipo per l’appuntamento che Al Mualim aveva fissato per me e il mio nuovo compagno, di cui ancora non sapevo nulla. Né nome, né abitudini, né capacità.
Per questo avevo deciso di indagare prima di incontrarlo.
Vidi Labib vicino all’arena di allenamento, che guardava il combattimento tra un novellino e un Priore. Mi avvicinai con passo normale.
- Labib, ho una domanda per te- cominciai il discorso, guardando i due combattenti e stupendomi, riconobbi il mio fantomatico ragazzino come il Priore che lottava.
-Dimmi tutto, Altaïr. Ti ascolto- mi rispose lui, cortese, senza distogliere lo sguardo.
-Cosa puoi dirmi di quel Priore? Siamo in missione insieme e lo sai come la penso…- raccontai in modo breve, per abitudine di sintesi o forse per la smania di ricevere informazioni.
Labib sembrò sorridere, non potevo ben dirlo dato il volto coperto dal turbante.
-E’ un ottimo elemento, akh (Fratello). Credo sia la gemma di Al Mualim, dopo di te, s’intende. Uno dei suoi addestramenti più riusciti, come puoi vedere!- alle sue parole, il mio “ottimo elemento” contrastò l’avversario, buttandolo a terra, per poi puntare la spada al suo petto.
-Mi hai atterrato ancora! Non ci credo!- ansimò lo sconfitto, aprendo le braccia, con un mezzo sorriso.
–Fanno 4 a 0 per te-.
-Facciamo a chi arriva prima a cinque?- urlò divertito Labib, spaventandomi quasi per l’improvvisa alzata tonale. All’udir di quelle parole, il Priore si girò verso di noi e sorrise, smagliante, mostrando una schiera di denti perfetta.
Mi schiarii la voce, attirando la sua attenzione –Potremmo partire, se non ci sono altri preparativi da sistemare- proposi con tono tranquillo, anche se mi sentivo un po’ a disagio.
E non capivo per quale motivo.
Annuì, riponendo la spada nel fodero, per poi porgere la mano al suo sfidante, per aiutarlo a rialzarsi.
Il mio scetticismo non tardò ad arrivare.
-Aiutare ad alzarsi?- sibilai a Labib, che ancora ghignava per la lezione impartita al suo novizio.
-Coraggio Altaïr, possiamo accettare certe carinerie, se siamo tra noi! Non è nemmeno un addestramento vero, sono solo due amici che si sono sfidati. Tra l’altro il novizio non potrà svolgere missioni per un po’, a causa di un problema di salute- mi rivelò.
Fu per me spontaneo alzare un sopracciglio –Amici? Coccolare i novizi?- ero allucinato da come fossero diversi i tempi e il sistema dal mio addestramento.
Quello vero, intendo.
Labib mi rispose con un gesto stizzito della mano e in quel momento arrivò il mio compagno, che mi fece un cenno e s’incamminò verso la porta della Torre.
Non ama particolarmente parlare. Bene, nemmeno io.

Avanzavamo lentamente e silenziosamente a cavallo, con la testa abbassata per mimetizzarci.
Al Mualim aveva consigliato di partire da Acri, che era la città in cui la nostra confraternita aveva molti contatti e che, quindi, ci avrebbe fornito un’ottima pista da seguire.
Finalmente avevamo superato i posti di blocco dei Saraceni e potevamo galoppare con serenità. Pensai a cosa dire per dialogare con lui: Nonostante le rassicurazioni degli altri fratelli, volevo rendermi conto personalmente di come il soggetto fosse.
-Neanche a me piace particolarmente parlare- cominciai, guadagnandomi la sua attenzione. –Però non mi piace maggiormente lavorare con gente che non conosco e di cui non mi fido, di conseguenza. Il Maestro dice che questa è una missione di vitale importanza e quindi non intendo fallire. Tu sai già il mio nome, mentre nessuno osa pronunciare il tuo.- la mia tiritera sembrò convincente, lui ghignò di consapevolezza e riportò lo sguardo davanti a sé.
Si grattò una guancia –Il mio nome è Vega- disse semplicemente.
Per poco non caddi da cavallo.
-Sei una… una…- la mia voce uscì, per la prima volta in tutta la mia vita, incerta e sbalordita.
Sentivo il cervello liquefarsi come se me lo stesserò bollendo, maledicendo il Vecchio per non avermelo detto. Non che faccia discriminazioni, ma… Accidenti! Potevo restarci secco.
-Anche noi donne possiamo entrare nella confraternita, per quanto in minoranza- la sua voce era serena, sicuramente si aspettava questa mia reazione.
Scossi la testa e sentii le mie labbra piegarsi una sottospecie di sorriso. Ripresi la mia calma abitudinale e le indicai il sentiero più breve per la città.
-Non ti ho mai vista… Eppure tutti sembrano conoscerti- continuai, la situazione mi aveva reso curioso, Al Mualim doveva aver visto sicuramente particolari abilità in lei per affidarle questa missione. Vega annuì e il cappuccio le cascò ancor più sulla faccia – Sono qui da quando sono piccola, in realtà, solo che negli ultimi anni sono stata in missione fuori dal regno- la sua voce era squillante, eppure il tono sempre cauto nascondeva quel timbro cristallino.
Riportai l’attenzione dinanzi a me –Sei brava a non farti notare, comunque. Un’ottima qualità per un assassino-.
-Forse sei solo tu a non aver mai prestato vera attenzione, Altaïr. Hai appena detto che tutti sembrano conoscermi- non disse queste parole in modo pungente, ma più come una costatazione divertita.
Il suo tono, infatti, era quello di chi aveva capito di aver avuto l’ultima parola, vincente, tra l’altro, in un futile duello verbale.
-Spalle al muro- concessi sereno, per quanto leggermente toccato dalle sue parole, poi dato che nessuna guardia era nei paraggi, spronammo i cavalli e iniziammo a correre.
Fino al nostro arrivo il rumore degli zoccoli sul terreno fu l’unico suono che sentii.

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.

-Altaïr, Vega… Al Mualim mi aveva avvisato del vostro arrivo. Cosa vi porta qui?- il referente di Acri ci accolse sereno. Stava lavorando sull’intaglio di un vaso di terracotta disegnando forme geometriche e decorazioni greche. Vega fece un passo verso il bancone –Avanscoperta. La congiura delle città templari contro di noi- .
Gli occhi di Jamal scattarono verso la ragazza, per poi passare a me. Negli occhi scorgevo la preoccupazione e la paura per le proprie mura. Poi arrivò una consapevolezza leggera, inaspettata.
–Avrei dovuto accorgermene prima- sospirò.
-Cosa puoi dirci?- m’intromisi, accostandomi a Vega.
L’anziano si rivolse a me un po’ contrariato, per quanto fosse stato uno dei primi a riporre nuovamente fiducia in me e credesse nel mio cambiamento, le antiche incomprensioni erano difficili da superare.
-Non molto. Effettivamente nel distretto povero ci sono più disordini del previsto e il distretto ricco è sempre più chiuso. Le guardie sono aumentate e mi è sembrato di vederne anche di diverse fazioni.
 Per il momento, vi consiglio di cercare qualche informazione nel distretto povero, a nord, specialmente per riuscire a intrufolarvi nel distretto ricco!- disse riflettendoci, con tono titubante.
Per iniziare andava più che bene.
-Salute e pace, Rafiq!- dissi, girandomi verso la porta.

-Ah Vega, prima è venuto a trovarmi Samir. Era informato del tuo arrivo ad Acri e mi ha domandato di consegnarti questa missiva-
Aspettai che prendesse il foglio, poi ci arrampicammo fuori dalla dimora, in direzione nord.

-Che la fortuna assista la vostra lama- borbottò Jamal, tornado alla lavorazione del suo vaso.


-Fuori signor Miles! La signorina deve riposare, ne approfitti anche lei!-
La schermata dell’Animus si spostò pian piano dalla mia faccia, e ovviamente la prima cosa che sentii furono i toni soavi del Dottore templare.
Alzai la schiena e mi girai verso il nuovo arrivato e i dubbi che mi erano venuti durante la sessione nell’Animus trovarono risposta.
-Una ragazza- costatai guardandola, confuso.
Lei era seduta di fronte a me, la faccia appoggiata sulle mani. Non indossava più il cappuccio, ma i capelli ricci e fulvi le coprivano il viso. Ansimava un poco, ma non sembrava star male come ieri.
-Tutto ok?- chiesi, alzando un sopracciglio. Se assomigliava almeno un po’ alla sua antenata, non avrebbe parlato tanto volentieri.
Alzò la testa, facendo rimbalzare i ricci sulle spalle e mi permise di osservare i suoi lineamenti.
La somiglianza era impressionante, per quel che avevo potuto vedere.
 Per non parlare della sensazione che aveva provato Altaïr quando Vega l’aveva fissato, anche se non ne vedeva gli occhi. Risentii lo stesso brivido salirmi lungo la schiena, come una goccia d’acqua sulla pelle calda d’estate.
 Lei sembrava turbata, spaventata, ma non in preda ad una crisi isterica. Era curiosa, forse?
Affascinata?
Non saprei spiegare bene quante emozioni vidi nei suoi occhioni verde smeraldo, ma non mi sembrava avesse davvero paura di quello che avrebbero potuto farle.  
Continuava a guardarmi, come se io fossi la risposta a qualsiasi domanda le passasse per la testa, forse si chiedeva se fossi davvero Altaïr, se fossi un Assassino. Se solo avesse saputo che anche lei, per me, era l’unica fonte di risposte. Ciò non toglie che mi mettesse un po’ a disagio, aveva un’occhiata davvero intensa.
–Cos’era?- chiese, rivelando una voce abbastanza limpida.
Mi grattai il collo, cercando di trovare le parole giuste per spiegare, ma non riuscivo a creare nessun discorso abbastanza chiaro nella mia mente.
-Quello su cui sei seduta è chiamato Animus, ossia una macchina capace di leggere le memorie genetiche che il nostro DNA possiede- la voce di Lucy mi spaventò, mi ero dimenticato che ci fosse anche lei nella stanza. La ragazza spalancò gli occhi, stupita e la sua bocca formò una piccola “o”.
Grazie a quel gesto, ebbi modo di notare che una striscia sottile rosata attraversava verticalmente il suo occhio sinistro, dal sopracciglio fino allo zigomo.
Rabbrividii del dolore che si possa provare nel ferirsi così. –Memoria genetica?- continuò.
La ragazza bionda annuì, avvicinandosi a lei – L’Abstergo, casa farmaceutica molto importante, ha scoperto che nel Dna sono spesso tramandati i ricordi dei nostri antenati. Ovviamente c’è un antenato o più di uno, di cui si possiedono più dati di carattere ereditario in comune. Non so se hai avuto la possibilità di notare la somiglianza somatica tra te e Vega- si aggiustò gli occhiali con un dito, mentre cercava di spiegare bene ciò che quei pazzi avevano intenzione di fare.
-Cosa cercate?- chiese, alzando un sopracciglio –Perché non sembra che v’interessi molto della somiglianza somatica tra me e la mia antenata- costatò, incrociando le braccia.
Lucy fece un mezzo ghigno –Informazioni ben precise, infatti. Tranquilla, però, di questo ti parlerà in maniera più approfondita Desmond. Ora devo andare, entrate nella vostra stanza- ci liquidò, indicando velocemente la mia stanza.
-Vorrà dire che deve dormire CON ME?- quasi mi strozzai con la saliva. Non che fossi un pudico puritano, Dei del Cielo NO, ma così sembrava davvero che fossimo cavie stipate in piccole gabbie.
Che, riflettendoci, era quello che eravamo.
Lucy alzò gli occhi al cielo, sbuffando –Coraggio Desmond, sono sicura che la signorina non ti ucciderà nel sonno né attenterà alla tua virtù. Può darsi che Vidic venga da voi fra poco, forse vorrà farti quale domanda- finì, per poi battere leggermente il piede sul pavimento.
Io rassegnato, lei silenziosa, ci dirigemmo verso la porta che, non appena fummo dentro, si chiuse di scatto, con il solito cigolio meccanico raccapricciante.
La luce divenne rossa e il pannello dove s’inseriva il codice d’accesso s’illuminò.
Leggermente in imbarazzo, mi girai verso la ragazza che con sguardo passivo si guardava intorno, esaminando il letto a due piazze, l’armadio e la piccola scrivania.
Come Vega, non era altissima, ma neanche bassa, aveva un corpo fiacco, almeno così sembrava con la felpa larga che indossava. I capelli di un rosso acceso erano folti e ricci come molle di rame e le contornavano il viso pallido e sottile, aveva gli zigomi appena sporgenti.
 Si sedette sul letto, senza spiaccicare una parola. Lei, a differenza mia, aveva molto in comune con la sua antenata. Io e Altaïr eravamo entrambi cinici, sarcastici e “ribelli” ma di certo io non ero riflessivo, taciturno e distaccato come lui.
-Come ti senti?- le domandai. In quello stesso momento mi venne voglia di spararmi, o di seppellirmi. Potevo semplicemente stare zitto e non disturbarla, invece mi sentivo in dovere di parlare. Le sue spalle s’incurvarono e la sentii sbuffare, infatti una piccola ciocca riccia volò in aria per poco tempo. –Mi sento una fottutissima cavia da laboratorio. Mi sento sfruttata. E tutto per colpa della mia “appartenenza” a una confraternita di Assassini- sbatté un pugno sulla sua coscia, per poi stringerlo convulsamente. Mi sembrò quasi di sentirla ringhiare.
Poi mi resi conto delle sue parole –Tu sai della confraternita?- ero impressionato, avevo dato per scontato che fosse solo La Fattoria a creder ancora in tutta quell’organizzazione.
Lei si alzò, e prese a camminare verso di me. Le sue sopracciglia erano corrucciate e la bocca storta.
-Certo che lo so. Altrimenti come pensi mi abbiamo scelta? Tuttavia è diverso, non sono un’Assassina- sussurrò, guardando il pavimento. C’era una malcelata malinconia nel suo tono.
-Nemmeno io. Pensavo che fosse solo la mia “famiglia allargata” a credere in tutta quella faccenda- le sussurrai di rimando. Sembrava concentrata, cercava forse di collegare tutte le informazioni che aveva con un unico filo logico. Eppure, almeno per me, erano troppi i tasselli mancanti.
-Se ti può consolare non sei solo- mi rincuorò sarcasticamente –Quindi mi sembra logico che l’Abstergo pulluli di discendenti dei Templari o qualcosa di simile- lo disse come se fosse un’affermazione, ma in realtà era titubante. Forse era semplicemente un discorso troppo assurdo da concepire per crederci davvero. Più che una contesto reale sarebbe potuta sembrare l’ambientazione di un libro o di un videogioco. Annuii, per darle conferma.
Le raccontai per filo e per segno tutto ciò che Lucy mi aveva detto riguardo all’Abstergo e i suoi studi, che noi due eravamo già le cavie numero diciassette.
-Vuoi dirmi che ci sono stati altri sedici discendenti da famiglie di Assassini? Che fine hanno fatto?- chiese, spalancando la bocca.
Brutta domanda, mi ritrovai a pensare. Non ci dava una gran prospettiva per il nostro futuro.
Vedendo il mio persistente silenzio, i suoi occhi si cristallizzarono, diventano quasi vacui, con i denti si morse il labbro inferiore. –Capisco- mormorò, scosse la testa e porse lo sguardo per terra.
Se il mio obiettivo era tranquillizzarla, credo che avrei potuto dichiarare la missione fallita.
Mi grattai la guancia, dove ormai vigeva una barba incolta, per infondermi coraggio.
Una ragazza che veniva spesso al bar dove lavoravo fino a poco tempo fa, mi raccontò che quando ci accarezziamo senza intenzione una parte del corpo, cerchiamo di farci forza.
Tutta quella vita mi sembrava lontana anni luce, quasi come non fossero miei ricordi, ma una soap-opera a caso vista in televisione. Non potevo dire di sentirne la mancanza, in realtà.
Sapevo che se fossi riuscito a fuggire da quel posto avrei dovuto trovare la Confraternita e aiutarli nella lotta infinita contro i “nuovi templari” e i loro piani per dominare le nostri menti.
Poi mi ricordai di una cosa importante –Ma tu lo hai un nome?-
Lei alzò un sopracciglio, aveva questo vizio, evidentemente, e mi guardò come se fossi un orangutango che suonava piattini. Forse avevo effettivamente fatto una domanda stupida.
Sentii improvvisamente caldo sulle guance. Lei s’infilò una mano tra i capelli, tirandoseli all’indietro, con un’aria molto rassegnata, incurvò le labbra di lato, rilasciando un sospiro.
-Sì, ho un nome…- mi rispose –Alessandra-.
Feci un sorriso imbarazzato e le porsi la mano –Desmond-.

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Capitolo 5
*** 4. Falling ***


Buon pomeriggio, ragazze!
Pubblico in tempo (un plauso a me xD) il quarto capitolo di I'm With You.
E vi informo sulla bellezza disarmante di Black Flag... Io l'ho appena finito e credo che la Ubisoft si sia davvero superata, questa volta! Davvero, se vi siete sentite sfiduciate dalla morte di Desmond, vedrete che hanno saputo rimediare bene alla morte del nostro amato Assassino...
MA... veniamo a noi!
Non so bene come commentare questo capitolo, non ne sono del tutto soddisfatta, ma credo sia un capitolo davvero importante per tutta la storia! A voi l'ardua sentenza!
Ringrazio O n i c e e Illiana per le sempre bellissime recensioni, il mio nuovo recensore Werepapers (Un Ragazzo! Evento più unico che raro xD) e tutte i/le lettori/lettrici che hanno messo la storia fra le ricordate, le seguite e le preferite!
Davvero, grazie di cuore!

Che la fortuna assista la vostra lama!

-Cassandra

4. Falling

Alcuni per il peccato s'innalzano
e alcuni cadono per la virtù...

William Shakespeare


Non passò molto tempo prima che Alex, come avevo deciso di chiamarla, almeno tra me e me, stremata dalla sua prima sessione cosciente nell’Animus e dalla ferita sul fianco, si addormentasse.
Ci eravamo stesi per parlare, io le raccontavo di Altaïr e lei non si stancava mai di ascoltare o fare domande. Era rivolta verso di me, poggiandosi sul fianco che non le doleva.
Non mi aveva interrotto una volta durante il racconto e si era semplicemente assopita pian piano, il suo respiro diventava sempre più lento e regolare. Quando me ne accorsi, mi venne da ridere.
Io ormai sopportavo meglio le sessioni, non mi sfiancavano più come qualche giorno fa, anche perché ormai il mio cervello aveva fatto “la pellaccia”.
Mi girai pancia all’aria e osservai intensamente il soffitto, cercando di sbrogliare i miei pensieri. Era incredibile che l’ultimo ricordo che avevo rivissuto di Altaïr fosse un “falso” o, per meglio dire, geneticamente incompleto. Pensavo che l’Animus fosse capace di ricostruire tutte le memorie genetiche, che non ci potesse essere un problema di “deterioramento dei dati”.
Non avrebbe avuto senso, giacché era uno dei ricordi più prossimi del mio antenato arabo.
Era davvero possibile che io potessi tornare Altaïr, attraverso Alessandra, con le memorie di Vega?
Più cercavo una spiegazione per tutta quella situazione, più il mio cervello si annebbiava, ingarbugliandosi tra le varie informazioni di Lucy, ciò che avevo scoperto leggendo le sue mail, quel poco che Alex mi aveva detto sugli “Assassini Moderni”e le mie ipotesi.
Per un attimo sfuggente, continuando a guardare la parete riuscì a vedere quei segni rossi che intravedevo nel dormiveglia. Fu così improvviso che mi spaventai.
Non sembrava inchiostro rosso come avevo ipotizzato, ma… sangue?
Rabbrividii e alzai la schiena dal materasso di scatto, come se lo stare supino mi avrebbe reso più vulnerabile.
Mi grattai il collo e presi un bel respiro per rallentare un po’ il cuore, che ancora batteva celere per lo spavento preso. Controllai che Alessandra non si fosse svegliata: dormiva ancora placidamente.
Non sapevo bene come avessi fatto ad attivare(?) l’occhio dell’aquila, tipica capacità del mio antenato, ma avevo intenzione di capirlo in fretta.
Volevo leggere quei simboli, volevo capire che cosa fossero.
Inutile dire che non importò quanto aprissi gli occhi o quanto mi concentrassi, la parete rimase bianca, normale, senza alcun segno rosso.

Fu un’altra nottata agitata. E non potevo nemmeno dare la colpa ai sogni...
Qualcosa nel mio cervello si stava irreparabilmente disfacendo. E amen.
Dicevo, non potevo attribuire la colpa ai sogni, poiché avevo semplicemente rivissuto la giornata trascorsa, rivivendola in prima persona, proprio come nella realtà. Niente di strano, insomma, ma m ero concentrato, ovviamente, su Alessandra:
I suoi ampi gesti quando spiegava qualcosa, la voce animata che usava per esprimere le sue idee o le buffe espressioni che accompagnavano ogni racconto che invece le avevo fatto, la piccola “o” perfetta che le sue labbra formavano per la sorpresa e mi divertii parecchio (tanto che credo di aver riso nel sonno) lo sguardo piccato e offeso, il sopracciglio arcuato e il broncio che metteva su quando, visto che per paura che lei non capisse qualcosa mi perdevo in domande per tastare le sue conoscenze, lei mi rispondeva “Certo che lo so!”. Era particolarmente buffa, vero, ma non coglievo l’importanza che quelle parole potessero avere.
L’ho detto: Qualcosa stava irrimediabilmente sabotando il mio cervello.


-La sessione sta per incominciare… Devo solo apportare una piccola modifica-
Lucy ci salutò così quando entrammo, con passo lento a causa del risveglio recente, nella stanza con gli Animus. Gli Animi. Gli Animus. Oh, chissene.
Alessandra sbadigliava e ancora non sembrava essersi resa conto di cosa stesse facendo o di dove fosse. Un’aria smarrita che, per l’idea che mi ero fatto di lei, non le si addiceva.
-Si dice gli Animus o gli Animi?- chiesi, volendomi togliere la curiosità o, forse, solo per attirare la sua attenzione. Voltai la testa e la vidi stropicciarsi energicamente gli occhi.
-Beh, Animus è una parola latina. Di regola il plurale dovrebbe essere Animi- spiegò gesticolando, continuando ad avanzare verso la sua postazione.
-Sembri informata- concesse la bionda, con sguardo ammirato.
-Ho studiato al Liceo Classico- Alex scrollò le spalle, come se quel fattore rispondesse a qualsiasi domanda Lucy avrebbe voluto porle e si accomodò sull’Animus senza stendersi.
In realtà per me, che non ero italiano, quell’affermazione non spiegava nulla; la mia espressione dubbiosa fece capire alla dottoressa che non riuscivo a seguirle.
-Vedi Desmond, Alessandra ha studiato in una scuola in cui insegnano il latino e il greco, due lingue molto antiche. Padroneggi bene anche l’inglese, Alessandra- si complimentò.
Spalancai gli occhi, sinceramente scettico –E a cosa serve studiare queste lingue?-
Sul viso di Alessandra si dipinse un’espressione a metà tra l’ironia e l’amarezza:
-Quando lo scopro, ti faccio sapere! Grazie, comunque- sedette sull’animus apaticamente.
Vidic, appena entrò nella stanza, cominciò a sbraitare con voce cupa sul nostro “cazzeggiare” e poco mancava che si adoperasse per legarci agli Animi per tutto il tempo.

Gli Eruditi sono nascondigli mobili, utilizzateli per fuggire o per aggirare le guardie.

Era ormai sera inoltrata quando io e Vega tornammo alla Dimora, stanchi e avviliti.
Le gambe mi dolevano ad ogni passo e la testa non faceva che girarmi, non solo per lo sforzo fisico, ma anche per la rabbia e la delusione.
Arrivammo in cima al palazzo di pietra chiara e ci sedemmo sulla grata dorata. Non ci fu bisogno nemmeno di dirselo: entrambi, ugualmente, non avevamo la forza di far quell’ultimo salto per entrare.
Distrutto: non esisteva un aggettivo più adatto per descrivermi. Per descriverci.
Mi agitai sentendola respirare: Aveva il fiato corto, inspirava ed espirava rumorosamente, troppo velocemente  anche per quella fatica, quasi sembrava che non riuscisse proprio a trattenere l’aria nei polmoni. Preoccupato come non mai, mi avvicinai, trascinando il mio corpo, accanto a lei –Tutto ok?-
Era strano. Era come se mi sentissi… responsabile del suo star male.
Il che era assurdo, poiché io mi trovavo nelle sue stesse condizioni e, di certo, non mi si poteva incolpare del fiasco di quella giornata. Certo, non era nemmeno una responsabilità sua…  
Ma cosa diamine sto pensando?!
-Non lo so…- mi rispose, portandosi una mano sul petto, che si alzava e abbassava velocemente al ritmo del suo affannoso respiro, piegò la testa all’indietro, per lo sforzo.
In quel momento mi fu possibile vedere cosa si celasse sotto il suo cappuccio, poiché la luna le illuminava la porzione di viso visibile.
Aveva il naso all’insù, gli zigomi appena sporgenti e fulvi capelli arruffati. Gli occhi erano chiusi e potevo intravedere una cicatrice attraversarle l’occhio sinistro, una ferita che però sembrava essersi cicatrizzata da abbastanza tempo, nonostante le labbra del taglio fossero ancora separate.
Con stupore mi resi conto che la pelle chiara, i capelli di quel colore così acceso e i suoi lineamenti, non erano tratti somatici propriamente arabi.
-Tu invece?- chiese, girandosi verso di me, riportando così il cappuccio a coprirle il viso.
La sincera apprensione che scorsi nella sua voce mi emozionò.
Allah, stavo diventando un rammollito!!!
Scossi un po’ la testa, cercando di riportare l’attenzione al presente  –Non riesco più a sentirmi le gambe- enunciai tranquillo, per poi darmi delle piccole pacche sulla coscia.
Lei fece un sorriso, anche se non paragonabile minimamente a quello che aveva sfoderato la mattina della partenza, e di nuovo mi sentii a disagio. Stupido Altaïr.
Storsi un po’ la bocca in una smorfia che voleva essere un sorriso, cercando di ricambiare, ma non pensavo di aver ottenuto un gran risultato: Sembrava si stesse trattenendo dallo scoppiare a ridermi in faccia. Forse perché (soprattutto in quel periodo) seguire la Confraternita non ti dava grandi motivi né opportunità per sorridere.
-Scusa, sono fuori allenamento con... beh, queste cose- borbottai, distogliendo lo sguardo.
Sorrise ancora e tornò a guardare davanti a sé, con un cipiglio pensieroso.
Ormai aveva tranquillizzato i suoi polmoni, respirando con ritmica lentezza. Anche io mi sentivo meglio, ma ancora preferivo non muovere un muscolo.
-Non pensavo che fossero così… preparati per il nostro arrivo. Anzi, mi sembra strano che lo abbiano saputo così in fretta- bofonchiò, portando una mano sulla fronte.
-Che intendi?- Alla mia domanda si sedette meglio, girandosi con tutto il corpo verso di me.
-Abbiamo avuto ordini da Al Mualim solo la scorsa luna, per radunare una tale schiera di soldati ci vogliono settimane!! Cinque giorni, Altair... per organizzare una difesa tanto pronta?- espose i suoi dubbi con sicurezza, disegnando ampi gesti con le braccia.
-E poi, come può un messaggio confidato solo a noi due, volare via dalla torre ad Acri in meno tempo di quanto ci abbiamo messo noi ad arrivare qui?-
Rimasi stupito di quel ragionamento, trovandolo in parte attendibile. Nella mia mente cominciarono a susseguirsi possibili spiegazioni, la presenza di un traditore, un infiltrato templare, qualche piano nemico che ancora ci sfuggiva...
Continuavo a guardare quella porzione di viso visibile, come se la risposta alle mie domande fosse nei suoi lineamenti. Nella riga morbida del labbro, sulla punta del mento, nella pienezza della sua guancia...
Non sarebbe stato assurdo avere un traditore, era capitato già parecchie volte, eppure gli unici a sapere del nostro arrivo ad Acri erano il Rafiq, che sembrava averlo detto ad un certo Samir, che però non era alla torre e non sapeva per quale motivo stavamo arrivando. 
Mi grattai una guancia, scuotendo la testa.
-Che c’è?- il suo tono era indecifrabile, sembrava perplesso, o teso. Le sue guance erano rosse, ma avevo la strana sensazione che non fosse per lo sforzo appena compiuto.
Mi accostai ancora di più a lei, come se ciò che avevo da dirle fosse un segreto di inestimabile valore. La verità è che non sapevo nemmeno io perché mi ero avvicinato tanto.
-Credi che ci sia una spia all’interno della Confraternita?- sussurrai, alzando un sopracciglio.
Eravamo così prossimi che potevo veder  sotto il suo cappuccio. E il mio cuore ebbe un tonfo.
Verde. Vedevo solo tanto verde. Un verde brillante, vispo. Il verde degli alberi alle tiepida luce dell’alba.
 Il verde dei più raffinati smeraldi. Il verde dei suoi  occhi.
Adesso capivo perché, quando eravamo da Al Mualim, la sua occhiata mi aveva tanto scosso, aveva uno sguardo molto arguto e profondo, straordinariamente penetrante. Stupendo.
Non riuscivo a non guardarla negli occhi.
-Sì. Ne sono sicura- affermò con fierezza nello sguardo, ma con voce sottile. Le guance avevano ripreso il solito pallore, le labbra rosse erano storte e i suoi occhi erano ancora più ardenti, con il potere magnetico che avevo appena scoperto. Non riuscii, povero me, a risponder nulla.
Fece per aprire bocca, per dirmi qualcos’altro, ma ci ripensò all’ultimo e si accigliò.
 Decidemmo finalmente di entrare, giacché restare lì in balia degli arcieri templari non era una grandissima idea e perché, inoltre, avevamo bisogno di riposo per il giorno che veniva.
Ci alzammo allo stesso tempo e mi feci largo per farla passare per prima.
Un po’ di eleganza la possedevo anche io.
Lei ridacchiò, calandosi giù, e io mi maledissi mentalmente, alzando la testa al cielo, che era di un blu chiaro, illuminato da una luna splendente come poche ne avevo viste.
Provai a scorgere la mia costellazione, ma ero troppo stanco per svolgere i calcoli necessari.
Neanche l’Occhio Dell’Aquila può aiutare in certe cose.

-Dannazione! Cosa ti aspetti che faccia?!-
Quel mezzo grido mi svegliò e subito scattai con la lama pronta a colpire, ma non trovai nessuno.
Ero in una stanza della dimora di Acri, lievemente illuminata dai raggi del sole che filtravano  da una finestra coperta da un panno giallo sbiadito, abbastanza rovinato.
-Non lo so Samir, di certo io da qui non posso gestire tutto. Ieri ci stavo lasciando le penne, e Altaïr con me!- questa era la voce di Vega e sembrava piuttosto alterata.
Tra l’assurdità di quelle battute, il fatto di essere stato tirato in ballo non fece che aumentare la mia curiosità. Mi avvicinai di soppiatto, sperando di poter carpire meglio lo scambio.
- Come pensi di gestirlo? Quello lì pur di compiacere il Vecchio potrebbe vendere l’anima. Neanche tu sei cara ad Al Mualim quanto lo è lui, Vega. – Samir fece seguire a queste enigmatiche parole un rumore, metallo contro metallo. Forse le loro lame si erano scontrate, o la ragazza l’aveva colpito sul cinturone, mi sporsi un po’ dalla porta per verificare, e fui sorpreso di trovarli semplicemente abbracciati, entrambi senza cappuccio a coprirne la faccia.
-Non sono… Tu non puoi… Non puoi fare così. Non mi aiuta. Parlare non ti ucciderà, per una volta- bofonchiò con tono stanco, ma tranquillo, la sua espressione leggermente assente. Nonostante la luce fioca, riuscii a notare quanto il suo volto fosse più pallido di ieri sera.  Le sue spalle erano incurvate, come se sopportassero un peso enorme.
Strano, pensai, appoggiandomi al muro, non mi era mai sembrato che avesse problemi con i pesi.
E inoltre, come può un abbraccio tra amici avere tali conseguenze??
Samir rise, interrompendo il contatto fisico e lei sembrò stare meglio, le spalle le ritornarono dritte e vigorose. Sembrava, nonostante la reazione che il suo corpo avesse avuto, felice di quella effusione.
Vega sorrise al giovane, il sorriso a trentadue denti della scorsa mattina e lui sembrò reagire come me. Solo a ripensarci... Che potere disarmante aveva quella ragazza!
- Sai che non mi fido, lui potrebbe averti scelto per scoprire qualcosa su tutto questo, su di te. Cerca di non farti uccidere, Vega. Per favore- Era evidente quanto lui l’avesse a cuore.
Lei si rimise su il cappuccio e gli diede una pacca sul braccio; Si guardarono negli occhi, avevano nello sguardo tanto affetto quanta preoccupazione– Sopravvivere è il mio mestiere-.
Il ragazzo se ne andò, ancora inquieto, e io tornai sulla mia branda, facendo finta di dormire.
Nella mia testa ripetevo la loro conversazione, cercando un filo logico, un senso, ma niente…
Cosa mi combini, occhi di giada?

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.

Mi avvicinai alla stanza del Rafiq, trovando Vega seduta a gambe incrociate sul bancone, mentre gustava una mela.
Nonostante la sua testa fosse girata, il tipico rumore del morso mi aveva permesso di identificare il frutto.
Certi dettagli, in missione, possono essere importanti.

-Hai notato che strano tempo, Pirro? Nonostante ci siano nubi violacee il sole splende ancora… Un’immagine ricca di retorica, a parer mio!- ironizzò il responsabile della Dimora, chiamando Vega con un epiteto che mai avevo sentito usare da qualcuno per rivolgersi a lei, che però non sembrava sorpresa di essere stata chiamata così. 
Era il nome di un eroe greco, se ben ricordavo. Ma certo, un personaggio dai capelli rossi!
La mia espressione si fece ancor più dubbiosa quando la ragazza rispose lui:  -E se ci pensi, è lo stesso paesaggio che ci ha accompagnati quando siamo partiti, Jubair-.
 Nonostante non ci fosse un soggetto nella sua frase, mi sentii di escludere che si riferisse a noi due e alla nostra partenza: Quel giorno splendeva, caldo, il sole tipico di giugno.
-Buongiorno- manifestai così la mia presenza, facendo due passi decisi in avanti.
Al sentire la mia voce, Vega voltò il busto per guardarmi, stava tirando un altro morso alla sua mela, che per metà spariva all’ombra del cappuccio.
-Buongiorno a te, Altaïr. Sei pronto? Ho sentito dire che Abdel Nasser e Bashir, due vecchi “amici”, avevano delle informazioni inattese per noi!- mi rispose pimpante, scendendo dal bancone, ma non appena mi fu davanti, dovetti piegare un po’ la testa per vederla in faccia.
Sarà stata colpa della mia statura alquanto imponente, ma Vega era davvero… minuta. Poteva essere alta al massimo un metro e settanta, forse poco più, ma ancor più della statura era allucinante come fosse resistente il suo corpo. Aveva le spalle abbastanza larghe, sia in modo metaforico, che non; la vita era stretta e i fianchi piccoli, le gambe, invece, agili e lunghe, per quella che era la sua altezza.
- Non ti conviene fare dell’ironia sulla mia altezza, sempre che tu non voglia conoscere meglio la mia lama!!!- sbottò seccata, alzando la testa in modo che potessi vedere i suoi occhi verdi lampeggiare di fastidio. Io non sapevo bene come comportarmi, restavo a guardarla immobile, a metà tra il divertito per le sue guance gonfie in un buffo broncio, e il preoccupato per le sue parole e l’ardore dei suoi occhi. Non avevo intenzione di fare battute, stavo solo… guardando. Contemplando.
Dato il mio silenzio, lei sbuffò , incrociò le braccia sotto il seno e uscì fuori con passo impettito, quando mi passò accanto urtò il suo braccio contro il mio e per un momento la vidi barcollare.
Si fermò per due secondi a guardarmi shoccata, gli occhi spalancati e la bocca semi-aperta, poi continuò la sua uscita trionfale.
Che strani atteggiamenti che aveva!

La risata rauca del Rafiq mi distrasse e lo guardai in cerca di spiegazioni che forse lui  mi avrebbe potuto dare – Ah, giovane Altaïr! Vega è molto sensibile su queste cose, non sai quante canzonature sono soliti farle i suoi amici!- disse con tono ilare, accarezzandosi la barba, poi mi esortò a raggiungerla se non volevo restare escluso per sempre dalla missione.
Mentre uscivo dalla dimora, arrampicandomi sul muro, pensai a come quella ragazza fosse capace di far sorridere persone che non credevo avrebbero mai potuto farlo. Me, per esempio.
-Finalmente sei arrivato! Coraggio, non abbiamo tutta la vita per raccogliere informazioni!- mi disse, ancora con voce nervosa, non appena la raggiunsi sul tetto. –Andiamo!-
E iniziammo a correre sui palazzi, arrampicandoci alle sporgenze e saltando da un edificio all’altro.
Vega era molto veloce, come avevo potuto constatare durante tutti quei giorni.

-Dove sono i due informatori, esattamente?- chiesi, la vedevo molto sicura dalla direzione da prendere. Stava per rispondere, quando vedemmo un arciere dietro la cupola che avevamo di fronte. Pensai di arrampicarmi e colpire dall’alto, ma non feci in tempo a fare nemmeno il primo passo, che Vega mi sfrecciò davanti, approfittando del fatto che la guardia fosse girata di spalle, fece un balzo e con la lama colpì l’uomo proprio sul collo.
Egli emise un grido, soffocato però dalla mano della ragazza, che depositò per terra l’uomo agonizzante, tolse la lama dal suo corpo e la fece rientrare nel foderino.
 
Mi fece un cenno col capo e proseguimmo il nostro cammino prestando più attenzione, la presenza di quella guardia significava che più avremmo camminato più ne avremmo trovate.
-Dobbiamo scendere qui!- mi sussurrò Vega, prima di calarsi giù, aggrappandosi ad un finestra. Scesi anch'io e ci ritrovammo vicini, i nostri corpi si sfiorarono e lei di nuovo sembrò rimaner stupita.
Non feci neanche in tempo a chiederle cosa fosse accaduto che le sue mani persero forza.

Impotente, la vidi cadere giù.

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Capitolo 6
*** 5. Downside Up... ***


Buonasera a tutti! Lo scorso capitolo è finito... un po' male! Lo ammetto xD
Ma, rallegretevi, oggi saprete come è andata a finire! Ringrazio ancora O n i c e, Illiana e Werepapers delle bellissime chiacchierate! E ancora un grazie per coloro che seguono, preferiscono e ricordano la storia!
Volevo ora porvi una questione molto importante...

QUINDI ANCHE I LETTORI SILENZIOSI SONO CHIAMATI IN BALLO!!! RISPONDETE!!!
PERDERETE SOLO CINQUE MINUTI!
FATEMI SAPERE, E' DAVVERO IMPORTANTE!!!


Werepapers mi ha chiesto se avessi intenzione di continuare a scrivere di Desmond e Alessandra, anche secondo Assassin's Creed II, Brotherhood... etc. A me farebbe davvero piacere, l'idea mi ha molto stuzzicato!

Si tratterebbe quindi di creare una serie, ma se voi, fedeli lettori, non mi seguirete, suppongo non abbia senso continuare... Quindi, votate! :)


Buona lettura!
Cass

5. Downside Up...

Downside up, Upside Down…
Take my weight from the ground
to  falling deep in the sky!

I stand here, watch you spinning
Until I am drawn in a centripetal force
You pull me in…
You pull me in.


Peter Gabriel – Downside Up(₁)

 

Accadde tutto velocemente.
Non lei.
Fu il primo pensiero coerente che riuscì a formulare.
Urlai il suo nome e mi lanciai anche io. Non sarei potuto rimanere fermo e guardarla morire.
Era un salto della fede nel vero senso della parola: l’altezza del palazzo considerevole, il mio peso preso dalla terra per cadere verso il cielo.  
Giù verso l’alto... Su verso il basso.

Non lei. Non ora. Non con me.


Vega non reagiva e sembrava ancora priva di sensi, non avrebbe potuto aggrapparsi a nulla, né magari allungare il braccio per farsi aiutare. In una frazione di secondo precipitavo giù anche io...
 Se non fossi riuscito a prenderla? E se poi non fossi riuscito nemmeno a salvare me stesso?
Pochi metri sotto di noi, una trave di legno sporgeva dalla struttura del palazzo: Era l’unica occasione che avevo di salvarle la vita. Di salvarci,  a questo punto, la vita.
Cercai di far peso per scendere più velocemente  scuotendo le braccia e, miracolosamente, riuscii a circondarle la vita e ad aggrapparmi alla tavola.
Tirai un sospiro di sollievo, facendo forza per tirarmi a sedere, per buona sorte Vega non pesava molto.
Mi chiesi se facessi quelle considerazioni per abitudine all’indagare, o per una strana, innata, morbosa, sconosciuta  curiosità su di lei.
Non credevo di voler conoscere la risposta.
Con un po’ di fatica, in ogni caso, riuscii a cavarmela, destreggiandomi delicatamente, per paura di farle male. L’asse di legno era abbastanza robusta da reggerci e abbastanza  larga per permettermi di sedermi con lei tra le braccia. La cosa mi creò un po’ di problemi più a livello psicologico ed emotivo che in ambito fisico. Insomma, quante volte mi era capitato di salvare una… collega?
Quanto volte mi era capitato di preoccuparmi per qualcuno quasi da considerarlo… un amico?
La risposta era palese e chiara a me, come a chiunque mi conoscesse: Mai.
Malik? Certo, ma un’amicizia era stata inevitabile dopo un tale tortuoso percorso, quello che sentivo per Vega era spontaneo. Anzi, era forse un rapporto non voluto che però stava nascendo comunque.
Tornai a guardarla, priva di coscienza, e provai uno strano senso di apprensione misto a tenerezza.
Sembrava che Vega avesse qualche problema con il contatto fisico.
Una sorta di fobia del tocco? Esisteva davvero qualcosa del genere? Poteva un problema interiore avere risvolti così pesanti sul corpo? Troppe domande e troppe poche risposte.
Conoscevo Vega da una settimana e più cercavo di capire chi fosse, più mi diventava estranea.
Guardai più attentamente il suo viso pallido: Con l’occhio chiuso, la ferita che solcava il sopracciglio, la palpebra e lo zigomo, risaltava maggiormente. Continuai la mia analisi scendendo per la linea dritta del naso fino ad arrivare alle labbra sottili rosate... Le labbra erano semi aperte e sembravano tremare…
Anzi, mi sbagliavo!!!
Stava pronunciando, in modo velocissimo e poco chiaro, delle parole, con il tono lamentoso di una preghiera.(₂) Cercai di afferrare qualcosa del suo discorso, ma purtroppo non ne ricavai nulla.
Inquieto, mi chiesi quanto avrei dovuto aspettare fino al momento in cui sarebbe rinvenuta.
 Un pensiero molto cinico, mi ritrovai a pensare, ma in contrapposizione ai miei freddi calcoli da assassino c’era una vaga preoccupazione. Che cercavo pragmaticamente di reprimere.
Mi grattai la testa, cercando di trovare una soluzione, ma purtroppo non me ne venne in mente nessuna abbastanza fattibile. Tirai un po’ su il suo corpo, facendo in modo che il suo capo poggiasse sulla mia spalla e per curiosità provai a guardarla con l’Occhio dell’ Aquila.
Non ero preparato a tutto il bagliore argenteo che mi investii non appena posai lo sguardo su di lei. Non mi era mai capitato di vedere tipo di luce, e soprattutto mai così… massiccia.
Non riuscivo a trovare le giuste parole per spiegare la differenza.
La luce di Vega era quasi… tangibile, molto più vivida di qualsiasi altra. Era splendente.
Come una stella o una pietra preziosa.
Nonostante fossi assorto nella sua contemplazione, notai, andando nel panico, che stava cominciando ad uscirle del sangue dal naso,  e decisi che fosse meglio cercare di svegliarla piuttosto che stare lì a ricamare sulle sue affascinanti e singolari stranezze.  Sembravo un rammollito.
Le presi il capo e le diedi qualche colpetto ripetendo il suo nome, non sapevo fare altrimenti.
 Dannazione, la mia agitazione non faceva altro che mettermi ancora più in difficoltà.
Mantenni la calma e con la manica della mia tunica le pulii le labbra e il mento.
-Ti prego Vega, svegliati… Non so cos’altro fare. Se non ti svegli non posso nemmeno portarti alla Dimora!- rantolai, cercando comunque, guardandomi intorno, un possibile modo di muovermi da quella trave con lei in braccio. Iniziarono a tremarmi le braccia per l’agitazione.
-Altaïr?- biascicò allarmata, come se avesse paura di non trovarmi accanto a lei.
Mosse la mano per tastarmi il viso e, non appena sembrò riconoscermi, sul suo volto si dipinse un’espressione sorpresa ma anche confortata, forse entrambe scaturite per il fatto di trovarmi così vicino a sé. Sperai non sentisse la differenza di temperatura sulla mia guancia, dove la sua mano era ancora appoggiata... strinsi di più la presa sul suo corpo come riflesso:
 –Stai bene?- chiesi mentre, continuando a tenerla stretta, assecondavo il suo desiderio di sedersi.
Tolse di scatto la mano, come se si fosse appena accorta di ciò che aveva fatto e guardò per un secondo verso il terreno. Sembrava spaesata.
-Beh… sono confusa- borbottò, infatti, girandosi verso di me.
Le risposi che poteva essere una normale conseguenza dello svenimento, ma Vega scosse la testa, come se non riuscissi a capire ciò che davvero intendeva.
-Propongo sia meglio rimettersi alla ricerca di Abdel e Bashir prima che rientrino a Masyaf- disse con tono duro, poi mi poggiò una mano sulla spalla e abbassò ancor di più la testa.
Pensavo che si sentisse nuovamente male, sentii crescere in me un’isterica preoccupazione e mi tenni pronto a reggerla. –Ah e Altaïr… Mi dispiace per questo!- Vega era sempre piena di sorprese.
In un primo momento non riuscii a dir nulla, era come se la mascella mi si fosse atrofizzata.
Diventai rigido, non sapevo come si facesse ad essere… gentile. Merda.
Eppure fu sempre lei a tirarmi fuori da quella situazione critica in cui mi aveva cacciato, semplicemente arrossendo. Quel gesto così spontaneo fece nascere in me una fragorosa risata cristallina, forse tanto forte perché non ridevo così da molto.
Le guance cremisi donavano alla sua palle particolarmente pallida.
-Figurati- risposi –Vorrei però capire cosa ti sia successo, se capitasse un’altra volta non saprei come comportarmi e non credo di poterti salvare in extremis ogni volta!- la preoccupazione era reale, ma la verità è che ero interessato a quella vicenda. Più che interessato, stavo letteralmente impazzendo. Vega era un continuo accumularsi di misteri. Come la sua conversazione con Samir, la partenza di cui parlava con il Rafiq e quello che in tutta quella mattinata era capitato.
-Credo che ci siano delle cose… Che non so se posso raccontarti. Non mi fido ancora di te- affermò decisa –Andiamo dagli informatori oppure anche oggi sarà fatica sprecata-.
Non mi diede nemmeno il tempo di ribattere che si aggrappò ad un mattone sporgente e scese.
Sentivo la rabbia salirmi dallo stomaco, insieme alla più totale frustrazione.
No, sul serio.
Rischio le penne per salvarti il culo e tu non ancora non ti fidi di me? Cosa dovrei fare?
Fare una capatina nel Jahannam₃ e darmi fuoco?
 Non ero abituato alle insubordinazioni, soprattutto, non ero abituato a non riuscire a domarle.
Avrei dovuto sapere come diamine si lavorava con lei, chi  diavolo fosse e cosa  volesse fare.
 Vega, però, non sembrava aver intenzione di svelare i suoi misteri.
Poteva essere una spia o una traditrice, per quel che ne sapevo. Neanche L’Occhio era riuscito a catalogarla, dandole un bagliore nuovo e, fino a quel momento, unico.
La consapevolezza che mi nascondesse qualcosa mi avrebbe ucciso, ma ero all’impasse.

Mi alzai dall’Animus con lentezza, dato che avevo un po’ di nausea, e il mio cuore perse un battito quando trovai Vidic che strattonava Alessandra con violenza, aveva afferrato le sua braccia ed era chiarissimo quanto stesse stringendo.
-Parla, stupida ragazzina! Cosa hai visto in quel momento?- sputò rabbioso, estraendo una pistola.
Lei sorrise aspramente –Piuttosto preferisco che mi faccia la pelle, professore!- ribatté e gli sputo in faccia –Voglio proprio vedere cosa scoprirà quando sarò tre metri sotto terra!-.
Vidic la colpì in viso con l’impugnatura dell’arma, sul suo volto era dipinta un’espressione furente, quasi omicida.
Alessandra emise un piccolo gemito, ma tornò a fronteggiarlo con lo sguardo, negli occhi le ardeva una luce d’orgoglio. O di folle incoscienza. 
In quel momento sentii quel brivido di adrenalina, paura e disperazione che Altaïr aveva provato quando Vega stava precipitando. Non mi chiesi se fosse a causa dell’osmosi o se fossero davvero mie emozioni, nella mia testa avevano spazio solo le parole “Non lei”.
Stavo per scattare, sentivo prudere nelle mani il desiderio di picchiare il templare, dovevo fermarlo, dovevo trovare un modo per scappare da qui, una via di fuga, qualcosa…
Non importava se mi avessero ucciso, ma non lei.
Ogni mio movimento fu bloccato dell’entrata in scena di Lucy, che con sguardo deciso strattonò Vidic, allontanandolo da Alex. Sul suo viso potevo scorgere preoccupazione, non so se più per la ragazza o più per la sua copertura. Fui, comunque, grato di non aver fatto ciò che volevo, esporre così tanto questa mia indole protettiva verso lei, avrebbe potuto  compromettere la sua incolumità.
Eppure, vedendo Vidic che rigido squadrava ancora la ragazza, il prudore che mi aveva preso le mani non fece che aumentare, stringendomi lo stomaco. Ero teso come una molla.
-Sei forse impazzito, Vidic? Se la uccidessi non riusciremmo mai a scoprire cosa ha visto nella visione, né la vera storia di Altaïr. Potrebbe bastare semplicemente continuare a scavare nei ricordi, probabilmente Vega, qualche tempo dopo, racconterà ogni cosa!- con queste parole Lucy riuscì a fermare il dottore, che aveva ancora nello sguardo l’odio e lo scontento di un bambino capriccioso a cui i genitori hanno vietato di fare una cosa che voleva molto.
Abbassò la mano che impugnava l’arma con lentezza e la rimise nel fodero sotto il camice.
Non aveva ancora smesso di scrutare Alessandra, che con il coraggio di una leonessa non aveva ceduto, il suo labbro ogni tanto tremava, quasi come volesse ringhiare.
Era chiara la sua determinazione, avrebbe mantenuto il segreto ad ogni costo, non scherzava prima, a riguardo del “farsi fare la pelle”.
Io, invece, ero rimasto fermo, immobile in quella semi-posizione d’attacco, con l’ansia che cresceva insieme alla voglia di portarla fuori da lì. Dovevamo andarcene, e subito.
-Ha ragione, signorina Stillman. Devi considerarti fortunata, ragazzina… Non è il tuo coraggio a proteggerti, ma le tue memorie. Quando avremo finito sarà un vero piacere farti fuori!- dichiarò duro, poi si rivolse nuovamente a Lucy – Li faccia stare qualche altra ora nell’Animus e registri tutto! I tempi sono tornati serrati come non mai!!!- poi uscì dalla stanza, furioso.
Lucy si avvicinò a Alex per medicarle lo zigomo ferito, che era diventato di un rosso preoccupante:
-Fammi vedere, potrebbe avertelo rotto- allungò una mano, con dolcezza, ma la rossa si ritrasse, sdegnata. Io rimasi perplesso davanti a quella scena, le avevo fatto capire che Lucy era nostra alleata e Alex era sembrata rassicurata. Questa reazione non aveva senso!
-Non è rotto. Passerà- rispose freddamente, portando una mano ad indicare, come prova della sua resistenza, la cicatrice sull’occhio. Dovevo ricordarmi di domandare come se la fosse fatta.
L’aria che si respirava era davvero tesa–Dobbiamo tornare nell’Animus o meno?- chiesi dopo, cercando di stemperare i due animi. Lucy ci guardò entrambi con occhi stressati, massaggiandosi le tempie, probabilmente non era davvero preparata nel gestire due Assassini “novizi”.
Qualsiasi fosse il suo piano per farci uscire, il fatto di essere in tre, le complicava evidentemente le cose.
-No, tornate nella vostra stanza. Non importa cosa dirà Vidic, non possiamo ancora strapazzare troppo Alessandra- mi rispose e, dopo che fummo chiusi dentro, sentii i suoi tacchi allontanarsi. Alex si precipitò nel bagno per controllare lo stato del suo zigomo, poi cominciò a sciacquarsi il viso con foga, con attenzione a non sfiorare la parte offesa.
Mi avvicinai cauto a lei, posizionandomi alle sue spalle – Più doloroso di ciò che hai fatto credere, eh? Doc ha la mano pesante- sogghignai e lei mi guardò truce dallo specchio.
-Cazzo se fa male, ma non è rotto, per fortuna!- digrignò i denti e si appoggiò al lavandino, con le spalle incurvate, come se reggessero un grosso peso. Mi intenerii davanti a quella manifestazione quasi di debolezza, che la faceva umana e non una macchina da guerra.
Persino Altaïr, che l’aveva notato per una cosa nettamente più fisica, si era rallegrato che Vega non fosse fatta di “pietra”.
Pensai alla discussione e chiesi che cosa volesse sapere Vidic da lei; quale segreto così importante custodiva? Alla mia domanda, fece un sorrisetto beffardo, che mi fece perdere un battito.
Proprio come per la sua antenata, anche i sorrisi di Alessandra erano di una bellezza disarmante, provai ad immaginarmi la ragazza che avevo di fronte con il sorriso sincero che Vega aveva sfoderato durante i ricordi vissuti quel giorno. Fu una bella visione, eppure non credevo che Alex avesse un animo così tenero e morbido per riuscirci del tutto.
-Non so cosa sia successo fuori mentre Vega era svenuta, ma ha avuto come una visione… Assurda, devo dire. Neanche lei credeva fosse reale, e per quanto io stessa sia scettica, il fatto che io e te siamo qui oggi non può che farmi pensare che lei abbia visto… la Verità!- disse ermeticamente, cercando di farmi comprendere il minimo indispensabile. Non saprei dire se l’assenza giustificata di dettagli fosse dettata più dal fatto che sicuramente ci stavano sorvegliando o dal desiderio di far rimanere quel segreto…. Segreto.
La risposta alle mie perplessità arrivò ben presto –Mi dispiace per il Dottore, ma Vega aveva in animo di non dire niente ad Altaïr e se siamo imparentate anche solo in piccola parte, manterrà il proposito per sempre!- fece con tono solenne che mi divertì ma contemporaneamente mi avvertì della serietà delle sue parole. E dei suoi intenti.
Annuii e lei provò a sorridermi, forse come ringraziamento per non aver continuato a ficcanasare, ma si bloccò prima: Fece un piccolo balzo in aria e si portò la mano sulla guancia, ormai viola.
Si morse le labbra, un gesto che in un altro contesto avrei trovato molto provocante, per non urlare.
-Dannazione, questo zigomo fa male più del dovuto!!!- si lamentò continuando a massaggiarselo lentamente. –Ci vorrebbe un po’ di ghiaccio, ma onestamente non mi farò più medicare da quella ragazza, con il fianco mi ha fatto passare le pene dell’inferno!-
Ridacchiai mentalmente della sua fermezza –Guarirà, no?- scherzai e stavo per metterle una mano sulla spalla, ma nuovamente lei si scansò, gli occhi spalancati e pieni di terrore.
-Non mi toccare!- strillò impaurita, respirando a fatica. –Non toccarmi, Vega stava male per quello. Se ciò che dici sull’Osmosi è vero, non mi toccare!-

 

Note:

₁) Con questa fantastica citazione tratta dalla canzone Downside Up di Peter Gabriel si apre il capitolo. Ovviamente  riferita alla caduta della nostra protagonista ma anche, in maniera più allegorica, al capovolgimento che il nostro Altair sta subendo! Insomma, io l’ho trovata adatta, credo possa descrivere bene l’atteggiamento altalenante del nostro bel mentore! Sono sicura, che se leggesse l’intero testo concordereste con me! 
Ovviamente vi consiglio di leggere il capitolo ascoltandola!

₂) Ecco, a questo proposito, sto per caricare il primo Missing-Moment della storia, creando così, in ogni caso, una serie. Spero che la leggiate! 

₃) Il Jahannam è l’inferno islamico. Anche se corrisponde più all’idea dantesca del purgatorio: Infatti l’uomo può restarci per sempre o solo per un periodo ritenuto opportuno da Allah.
Come sapete L’islam ha preso molto dall’ebraismo e dal cristianesimo, si pensa, infatti, che il termine Jahannam venga dal nome del luogo dove, nei bassifondi di Gerusalemme, dove avveniva una mostruosa quantità di sacrifici umani a
Baal Moloch (che era un dio pan-semantico).
Sembra che Dante abbia preso, oltre che l’idea della purificazione dell’anima (per il purgatorio) anche la struttura del suo inferno, quello arabo è infatti diviso in gironi, a seconda della gravità del peccato commesso.

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Capitolo 7
*** 6. Waitin'On a Sunny Day ***


 Buonasera a voi! :)
Eccomi tornata, nuovamente puntuale, ad aggiornare!
Come sempre, ringrazio O n i c e e Illiana per le belle recensioni (Mi dispiace per l'assenza di Werepapers, ma lo consideriamo assente giustificato, per motivi scolastici!) e tutti i lettori silenziosi (che hanno la mia piena comprensione) che seguono, preferiscono e ricordano la storia!
Questo capitolo è DAVVERO lungo. Quindi gioite! xD
E anche le note ormai si stanno allungando, mi sto lasciando prendere la mano! Ahahahahahaha!!!

Buona Lettura

Cass

6. Waitin'On a Sunny Day


Sta piovendo ma non c'è una sola nuvola in cielo:
Deve essere una lacrima quella che scende dai tuoi occhi, ma tutto andrà bene.
E' divertente, pensavo di aver sentito una dolce brezza estiva, ma devi essere tu che sospiri.
Saranno tempi duri
, tesoro, è certo come il cambio da notte in giorno...
Ma il tuo sorriso, ragazza, porta la luce del mattino nei miei occhi,
lava via la tristezza quando mi alzo:
Spero che tu sia piombata qui per restare.

Bruce Springsteen- Waitin' on a sunny day



-Non funzionerà, Desmond-.
Alzai gli occhi al cielo, chiedendomi come facesse quella ragazza ad essere così irritante parlando così poco.
Forse era colpa degli occhi che trasmettevano così tanto o del tono chiaro e secco che utilizzava.
O forse entrambi, in un mix letale di irritante fastidio.
-Abbi fede!- ironizzai di rimando, cercando di usare un’inflessione tale che le facesse capire che la mia idea avrebbe funzionato alla grande e basta.
 
-Despota- grugnì sdegnosa, poi rilasciò un sospiro –Che devo fare, esattamente?-.
Trattenni a stento un sorriso beffardo di vittoria, mi sistemai meglio sul letto e risposi:
-Vedi, anche Altaïr aveva un “dono”speciale. Una specie di “vista paranormale” che permetteva lui di intercettare nemici, le strade da loro percorse, bersagli, alleati, punti di favore, informatori. Troppo assurdo pensare che sia un coincidenza che due persone così particolari si incontrino per caso alla ricerca di un frutto dai poteri grandiosi quanto misteriosi, non ti pare?-.
Mi guardò intensamente, chiedendosi se mi stessi prendendo gioco di lei o se avessi detto la prima cosa intelligente da quando mi aveva conosciuto.
-Supponiamo che tu abbia ragione…- disse con cautela, come se faticasse a crederlo possibile –E che quindi Vega e Altaïr si siano incontrati per una specie di combutta del destino. Questa tesi non farebbe che darmi ragione sul fatto che tutto quello che scopriamo deve rimanere un segreto? Perché se non fossi arrivata io, tutto quello successo fra loro due non sarebbe mai stato scoperto e vuol dire che forse avevano usato quella cosa… il Frutto Dell’Eden... per nascondere le loro vicende ai Templari o ad altri Assassini! Invece di trovare un modo per “gestire il mio dono”, dovremmo pensare a scappare da qui, trovare gli Assassini e farci aiutare. Quindi avresti torto comunque!- su quella bella faccetta d’angelo si dipinse un ghigno molto poco angelico.
Feci molta pressione su me stesso per non mettermi ad urlare e le sussurrai all’orecchio, in modo tale che fosse più difficile per loro ascoltarci – Non capisci? Sembra che Vega raccogliesse informazioni molto più approfondite toccando quello che la circondava, potresti trovare il modo di uscire di qui- cercai,
disperatamente, di farle capire che se avessimo imparato a controllare l’occhio dell’Aquila e il suo dono, avremmo potuto giocare l’Abstergo, anche con l’aiuto di Lucy.
Si arrese all’evidenza con un sospiro e mi chiese come avevo intenzione di addestrarci.
Ecco, il problema stava tutto in quello.
Le lanciai un sorriso sghembo e lei sembrò trattenersi a stento dal darmi un pugno in piena faccia, aveva chiuso gli occhi e respirava pesantemente col naso.
-Effetto osmosi, no?- biascicò, cercando di non mandarmi a quel paese. –Usare quel potere anche se non ne abbiamo bisogno durante le sessioni. Il problema è che non è facile, per me, è un dono terribile. Io non vedo semplicemente le persone per quello che sono, Desmond-.
Capii, solo in quel momento, perché prima era così spaventata all’idea di farsi toccare, capii perché non aveva voluto che Lucy la sfiorasse.
Capii il motivo per cui non reagiva attivamente alla violenza fisica di Vidic.
Capii che aveva paura. Come me.
Come qualsiasi persona normale che si ritrova ad avere un potere, così devastante per l’animo, in qualche attimo, lontano da persone che vogliono aiutarti davvero.
Riuscii a capire solo in quel momento.
Lei... si sente sola. Come me.
-Ci sono io- dichiarai istintivamente, come risposta ad un pensiero che lei non avrebbe potuto conoscere.
Era quello che in realtà pensava Altaïr quando Vega era svenuta, tra il panico, la paura, vi era anche la fierezza di poterla aiutare. Lui era lì, e ora ci sono io.
Alessandra aveva un’espressione perplessa, ma non aveva nello sguardo quella punta di sarcasmo o di cinismo cieco che caratterizzava anche me.
Stava seriamente tentando di capire cosa avessi voluto dire e come comportarsi, di conseguenza.
Scossi la testa, per farla desistere dal suo intento e le raccontai dei segni rossi che avevo intravisto quando, per pura casualità, ero riuscito ad usare l’occhio dell’aquila.
Rabbrividì quando le confessai che sembrava sangue e le chiesi se avesse voluto tentare di vedere o sentire qualcosa toccandoli. Ad un suo cenno affermativo, seppur titubante, le strizzai un occhio, indicandole il punto dove posare la mano.
Tirò un sospiro e si avvicinò alla parete sovrastante il letto, alzò lentamente la mano dal fianco, le tremava leggermente e tentennò parecchio prima di poggiarla sul muro.
Mi portai vicino a lei, pronto ad intervenire nel caso si fosse presentata l’eventualità.
Quando il suo palmo toccò la parete, trattenni involontariamente il fiato, paralizzato dal terrore di averle fatto fare una cazzata assurda.
E se si fosse fatta male? E se quei segni si fossero dimostrati un trucco dei templari per trarci in inganno? E se…
Ero preparato a qualsiasi catastrofe, tranne a ciò che successe: Niente.
Il più assoluto niente.
Il muro restò com’era e anche Alessandra non si mosse di un solo millimetro.
Ci fu qualche momento di silenzio.
-Interessante- Mormorò- Ecco, riesco a percepire qualcosa… Uhm, non ci sono dubbi: Marmo scadente- disse irrisoriamente, con un sorriso molto irritante, sbeffeggiandomi.
Ripresi a respirare e, un po’ in imbarazzo, ipotizzai che fosse perché  non aveva toccato il simbolo. Al che, lei allargò il suo sorriso sardonico –Sei tu quello che ha la vista cosmica, non io. Andiamo a dormire Desmond, sul serio. Non riesco quasi a reggermi in piedi-.   
 Rassegnato all’evidenza, mi buttai sul mio lato del letto e mi girai dal lato opposto al suo, intenzionato a non proferire parola per non darle ulteriori motivi per beffarsi di me.
Per quel giorno mi poteva bastare. E avanzare.
La sentii sistemarsi accanto a me, in religioso silenzio, dopo aver spento la luce, non facemmo niente per qualche minuto. Ne approfittai e cominciai a meditare seriamente un piano per fuggire, come aveva detto lei, senza farmi prendere da troppe seghe mentali.
-Scusa, non volevo- sussurrò poco dopo, cogliendomi di sorpresa, tanto preso dai miei pensieri.
Spalancai gli occhi e il cuore cominciò ad aumentare il suo ritmo, ma ero ancora troppo… “storto” per guardarla. Restai immobile, ma la cosa non sembrò scoraggiarla dal parlarmi.
-Mi dispiace Desmond, ho un carattere un po’ difficile e dei modi di reagire anche peggiori. In più siamo rinchiusi qui, scopro di essere una specie di chiave di lettura per dei ricordi segreti nella tua mente. Scopro di non avere più possibilità di scegliere. Anzi, scopro che le mia scelte non hanno valore, che forse è anche peggio. Io non volevo essere coinvolta nella guerra dei miei genitori, avevo scelto di fregarmene. E invece ora non posso che essere un Assassina e non riesco ad accettarlo. Vorrei poter non accettarlo-.
Mi stesi pancia all’aria, toccato da quella confessione, e intravidi i suoi occhi luccicare, e una piccola goccia scendere sulla guancia.
Mi si strinse lo stomaco. Non lei.
Proprio non riuscivo a formulare un altro pensiero che non fossero quei due monosillabi.
-Posso prenderti la mano?- chiesi, piano, sapendo tutto quello che quella richiesta avrebbe comportato. Girai piano la testa e mi sembrò quasi di vedere la disputa che stava combattendo con se stessa, tra quello di cui sembrava di aver bisogno e quello che la spaventava.
Alzai la mano tra lo spazio che ci separava.
Non l’avrei biasimata se avesse declinato, esigevo una fiducia che forse non aveva in me.
Eppure la sua mano, chiusa a pugno sullo stomaco, si alzò piano, indecisa, percorrendo quei pochi centimetri che ci separavano come se fossero metri in salita.
Quasi mi sentii in colpa per averla sottoposta a quella prova. Quale diritto credevo di avere?
Ma alla fine la strinse. Ero sorpreso, felice e fu una sensazione abbastanza strana.
Fu come se tutto quello che avessi dentro fosse condiviso con lei, fu come se mi svuotasse di ciò che provavo, ero prosciugato, vuoto … Come se galleggiassi nel nulla.
Ma durò poco, perché mi sentii invadere da emozioni estranee,  a quel punto potevo essere sicuro che si trattasse dei pensieri e delle emozioni che provava (o forse aveva provato) lei.
Smanioso, sperai ci fosse un modo per riempirmi ogni angolo del corpo, di poter prendere da lei più di ciò che stavo prendendo e vedendo già.
Volevo traboccare di lei, svelare almeno una parte del suo fascinoso mistero, delle mille emozioni che attraversavano costantemente i suoi grandi occhi verdi.
Volevo conoscere i tanti pensieri che si celavano dietro ogni sua più piccola espressione, cosa le piacesse…
E sentii l’angoscia, la paura, la voglia di scappare, ma anche il senso di onore nel combattere a testa alta, l’orgoglio e la tenacia e, con mi sorpresa, il grande conforto che quel piccolo momento fra noi le stava donando. Non so se la sorpresa che provai per quella rivelazione fossi più mia o più sua, fatto sta che anche io ero felice che si fosse fidata. Mi faceva sentire…importante.
Il suo potere era davvero straordinario: La conobbi in tutta la sua sfaccettata personalità, nelle sue emozioni antistanti e complesse, nel suo maturo coraggio e nella sua riluttante debolezza.
Mi chiesi come provasse lei nel conoscere i miei sentimenti, come li stesse interpretando, se le facesse bene o meno.
Non sapevo bene cosa le stessi trasmettendo, era difficile dirlo mentre ero così preso da lei, non solo per via del contatto. Sperai nulla dei pensieri molto affettuosi che scatenava in me.
Avrei potuto impedire che sentisse le mie considerazioni da dodicenne su di lei?
Ci guardammo negli occhi e lei mi sorrise, maliziosa, con ancora la scia di quella lacrima che le brillava sulla guancia segnata dalla cicatrice. Un sorriso che rasentava molto quello di Vega, più di quanto mi sarei aspettato.
Fu spontaneo che sorridessi anche io, come se ormai le mie sensazioni non potessero che reagire alle sue, un contatto molto più stretto della semplice dipendenza.
Non era questione del tipo “Se tu sei triste, lo sono anche io”, io provavo proprio i suoi sentimenti, era come se confluissero in me, travolgendo il mio essere, nella maniera più incondizionata che conoscessi.
Sentii improvvisamente una canzone₁. La sentii davvero.
Era reale, suonava davvero. Pensai che l’Abstergo si stesse prendendo gioco di quel nostro piccolo momento.
Ma poi scartai l’idea: Non c’erano altoparlanti lì.
Stavo davvero impazzendo? La canzone era nella mia testa?
Ma mi piaceva! Ricca di sentimenti, come se mi parlasse, ma non credevo nemmeno di conoscerla!
Guardai Alex mimarla lentamente con le labbra e intuii che fosse lei a passarla a me, forse senza rendersene conto.
O magari lo faceva volontariamente, volendomi comunicare qualcosa.
E le parole... Oh no, i miei pensieri carini erano stati smascherati.
La cosa non sembrava infastidirla, o sì? Non ne parlava perché voleva farmi capire che non ricambiava? O forse sì?
Sorrisi beffardo, anche mentre ero dentro di lei, riusciva a fuggirmi le sue più private sensazioni, era davvero incredibile!
Tornai a guardare il soffitto e strinsi maggiormente la sua mano nella mia, perdendo un battito quando lei ricambiò il mio gesto.
-Ehi, posso farti una domanda?-.
Sentii il letto muoversi: Si era girata sul fianco, verso di me, senza lasciarmi la mano. –Spara-.
Mi sentii un po’ in imbarazzo, soprattutto quando mi ricordai che lei lo avrebbe certamente percepito.
Volevo ridere e urlare allo stesso tempo. Tutto a causa sua.
-Doc prima ti ha chiamato ragazzina... Si può sapere quanti anni hai?- cicalai sbracciandomi in maniera decisamente ridicola. Quella che scoppiò dopo fu la più grassa risata della storia:
Seppi inspiegabilmente che il suo compleanno era tra una settimana.
-Ne ho quasi venti. Potresti essere mio nonno!- biascicò tra una risata e l’altra.
Ruotai gli occhi, scrollando la testa – Sono solo cinque anni. Ma quale nonno e nonno- bofonchiai.
Continuammo a ridere per un pezzo.
Non so cosa sentimmo poi o a che punto ci assopimmo, ricordo solo la pace con cui lo feci.
E con cui, probabilmente, lo fece anche lei.


Per rifornirvi di coltelli da lancio, potete tornare a Masyaf o derubare dei banditi.

-Ascoltami, Cassim, è come ti dico! Nei piani alti c’è panico e agitazione. Roberto stesso è insicuro sul da farsi, anche perché strane voci sul suo conto sono arrivate all’orecchio di Riccardo, per cui deve limitare i passi falsi. Non vedi? Noi, i Templari, che collaboriamo con Ottomani e Saraceni per difendere città in cui non c’è nulla! Non vi preoccupa?-
Io e Vega ci guardammo in simultanea, con entrambi un’espressione di autentico stupore dipinta in faccia. Guardie fasulle, atte a depistare noi? Eravamo caduti del tutto nella trappola?
Scesi dal palazzo, ci eravamo ritrovati in un piccolo vicolo, da dove si sentivano le voci di circa quattro soldati Templari che stavano discutendo riguardo le nuove misure adottate e le alleanze strette.
Ci eravamo acquattati dietro l’angolo per continuare ad ascoltarli.
-Per non parlare degli H
ashashīn !- aggiunse qualcun altro. Ci scambiammo un’altra occhiata sconcertata –Conosciamo bene le loro manie da solisti, ma non ti sembra strano che Al Mualim, quel vecchio pazzo, conoscendo le varie alleanze, mandi solo due sicari a fare strage?-
Si stavano naturalmente riferendo a noi e la cosa mi fece rabbrividire: Eravamo davvero gli unici uomini che Al Mualim aveva mandato qui?
Potevo capire che l’avesse fatto per non compromettere la Confraternita, ma se davvero voleva che riuscissimo a violare certe difese, doveva intrufolare qualche informatore nelle schiere nemiche.
Era una prassi adottata sempre e da sempre! Perché cambiare?
Guardai Vega, che probabilmente si stava ponendo gli stessi quesiti e mi chiesi se non fosse la causa dello strano atteggiamento del Vecchio. Forse sì, tutto stava in quello.
Ci metteva alla prova come bestie da macellare.
-Non  ci riguardano le scelte di Al Mualim finché non interferiscono con i nostri compiti!- commentò un terzo soldato, con tono passivo. Lo compatii per la sua sufficienza.
-Io non capisco, non vi chiedete che cosa diamine stia succedendo? Vi basta che vi diano soldi per andare a vino e a puttane? Cosa stiamo difendendo, da chi e…?-
-Ora basta, Salik! Mi fai dubitare della tua fedeltà, sei forse uno di loro in incognito?- ringhiò quel Cassim e sentimmo il rumore di uno spintone e poi di una leggera scazzottata.
Questo era un punto a nostro favore, se c’era qualcuno nel dubbio, avremmo potuto carpire più informazioni in meno tempo.
-Credo proprio che dovremmo parlare con Salik e Cassim…  Io mi occuperò di quest’ultimo! Ci rivediamo qui quando avremo finito per andare dagli informatori, cerca di non metterci troppo con l’interrogatorio- mi sussurrò Vega, fintamente altezzosa, non appena sentimmo i quattro allontanarsi dalla loro postazione –Hai capito, spilungone da quattro soldi?- mi fece una linguaccia.
Alzai gli occhi al cielo prima di sorridere, Vega sembrava tenere al fatto che ci fosse un rapporto sereno fra noi e cercava di rimediare al fatto che, nonostante l’avessi salvata, mi avesse detto aspramente che ancora non si fidava di me.
Le feci il verso, ma non ebbe nemmeno il tempo di apprezzare il mio sforzo di venirle incontro che contemporaneamente ci spostammo in fretta, poiché sembrava che uno di loro stesse venendo proprio nella nostra direzione.
Per la veemenza, facemmo cadere una cassa per terra.
Ci scambiammo uno sguardo allarmato.
I suoi occhi erano spalancati e sembrava che avesse il respiro corto come ieri notte.
-Cos’era quel rumore?!-.
Sentii il cuore saltarmi in gola e mi preparai a combattere, anche se ero abbastanza sicuro che in due avremmo potuto benissimo tener testa a quattro uomini, mi dispiaceva perdere delle fonti di indizi, ma Vega mi tirò giù il cappuccio così come il suo.
Non ebbi il tempo di stupirmi della bellezza del viso interamente scoperto, che lei ci coprì con un telo bianco e portò le sue labbra sulle mie, con foga.

Persi un battito.
Anche un secondo.
E un terzo.
Poi il mio cuore cominciò a correre veloce.

Non riuscivo nemmeno a formulare un pensiero coerente, mi tremavano le mani e le gambe, ma risposi a quel bacio così inaspettato e, cingendole la vita con le braccia, l’avvicinai più a me.
Non capivo bene cosa sentissi, era tutto sottosopra … E le labbra di Vega erano morbide.
-Ahahah, calmo Saul, solo due piccioncini appartati un po’ irruenti! Dio, mi manca mia moglie!- disse pacatamente, forse per non disturbare, un soldato per poi allontanarsi dal vicolo.

-Dannazione, donna, se davvero ti mimetizzi così capisco perché tutti sembrano bendisposti verso di te!- continuai a tenere gli occhi chiusi, ad un soffio dalle sue labbra.
Vega si tirò indietro e la mano che aveva appoggiato sulla mia guancia scivolò giù, per lo sdegno, mi fece una boccaccia.
Entrambi ci guardammo intorno per vedere se altre guardie fossero nei paraggi.
Ma, nonostante tutta la mia spacconaggine, evitai il suo sguardo anche perché ero un po’ in imbarazzo, però non potevo fare la figura del ragazzino: Avevo avuto un discreto numero di donne, ma queste avevano soddisfatto solo un bisogno che andava dal cinturone in giù.
Questo bacio aveva acceso qualcosa di caldo più… su.
-A me sembra che funzioni. E poi, anche se fosse? Ti infastidisce? -disse, sorniona – Visto che si rivela sempre un metodo efficace, non riesco a capire perché non utilizzarlo. Non ti pare?-.
Tornai a guardarla e finalmente riuscii a vedere l’interezza del suo viso:
Non avevo visto male, i suoi capelli erano rossastri, abbastanza corti, ma non con un taglio uniforme, portava alcune ciocche dietro l’orecchio, trattenute da una spilla di ferro. La cicatrice era più profonda di quel che avevo potuto notare, anche se sorprendentemente non le sfigurava il viso in modo eclatante, aveva un colorito chiaro, quasi nordico, che si ravvivava solo sulle guance, che in quel momento erano cremisi del sangue affluitole forse, come per me, per l’imbarazzo.
In ogni caso, era bella. Obiettivamente, non la si poteva definire in un altro modo… Vega era bella!
-Già! Un metodo davvero efficace, Vega- la mia voce era rauca; che effetto aveva questa donna su di me.
Mi sorrise, ma non disse nulla.
Buttò per terra il telo, si rimise il cappuccio e corse nella direzione in cui si era allontanato Cassim: -Qui con le informazioni, ok? Sì è fatto tardi... quindi passerò anche dagli informatori! Se ti dovessi spiegare dove incontrarli, non ci sbrigheremmo più- non aspettò una mia risposta e poi sparì, confondendosi tra la folla.
Mi rimisi anche io il cappuccio, un po’ stizzito perché ormai non mi opponevo nemmeno più alle sue insubordinazioni.
Di certo non mi sarei mai più comportato in maniera arrogante come... come era già successo, ma mi sarebbe piaciuto poter decidere qualcosa insieme a lei.
Ma cancellai quei pensieri dalla mia testa; dovevo tornare lucido, freddo, attento, astuto. Letale.
Era il momento di entrare in azione.

Presi un bel respiro e uscii dal vicolo, mi guardai attorno con l’occhio dell’aquila: Salik mi sarebbe apparso con una fulgida luce dorata, così il fatto di non aver visto bene il suo viso non sarebbe risultato un problema.
Per un secondo, mi chiesi come avrebbe fatto Vega a trovare Cassim.
Mi intrufolai in un gruppo di Eruditi che passava di lì e ne approfittai per guardarmi attorno senza destare sospetti.
Realizzai che eravamo finalmente riusciti ad entrare, senza creare scompiglio, nel distretto ricco:
Lo si poteva capire dai palazzi, dipinti di colori chiari, con ampi archi d’oro, grandi cupole di lapislazzuli, case adornate di maestose piante o che possedevano un ampio giardino recintato; anche dalle persone, vestite con le stoffe più colorate e preziose che avessi mai visto.
Non c’erano nemmeno le tipiche donne squattrinate che facevano l’elemosina o gli ubriaconi agli angoli delle strade, che per l’ultimo goccio vendevano anche le loro misi.
La differenza tra le due zone della città non era mai stata così netta e se a tutto questo avessi aggiunto le guardie ad ogni spigolo delle mura, non poteva che esserci qualcosa sotto.
Inconcepibile che gli Assassini di Acri non avessero notato tutti questi movimenti.
Perché Al Mualim non si era interessato, prima di inviarci qui?
Finalmente vidi il tale. Proteggeva l’ingresso alla città da un piccolo vicolo dietro la Moschea, che era il fulcro del confine tra le due diverse zone della città.
Lasciai il mio nascondiglio sicuro tra gli Eruditi e mi mossi agilmente tra la folla per aggirare la chiesa e arrampicarmi sul palazzo vicino, imprudentemente lasciato scoperto.
Da lì avrei potuto capire se Salik era solo e, nel caso, attaccare a sorpresa.
Mi mossi, dunque, controllai se ci fossero guardie in giro, ma nulla mi risultò sospetto.
Saltai sulla prima finestra, poi, infilando piedi e mani nei piccoli buchi tra i mattoni, riuscii a raggiungere il tetto.
Non riuscii a trattenermi e guardai nelle strade per cercare Vega.

Era più forte di me, non potevo a farci nulla. Non fui, comunque, capace di individuarla e la frustrazione per questo si aggiunse alla rabbia che provavo per la mia debolezza.
Non riuscivo più a non pensare a cosa facesse, a come stesse; forse perché il suo svenimento mi aveva preoccupato più di quanto pensassi… No.
 Ero stanco e dovevo riprendere fiato così, invece di stare fermo senza fare nulla, avevo deciso di cercare la mia consorella (Strano dirlo) solo per una questione di lavoro, ogni compagno era importante.
Ero diventato solo più umano, Vega non centrava nulla con la mia preoccupazione.
E io avevo bisogno di credere a ciò che dicevo.

Mi avvicinai al lato opposto del palazzo ed ebbi ampia visuale sul vicolo: Un ghignò si aprì sul mio viso quando constatai che il Templare era solo e che le uniche persone che doveva respingere erano preti o poveri viaggiatori. Sentii l’adrenalina dell’azione scorrermi nelle vene e, non appena ebbe cacciato l’ennesimo Imam che voleva entrare nell’abbiente cittadella, saltai giù dal palazzo, nella sua direzione.
Non ebbe nemmeno il tempo di accorgersene che fui sopra di lui, spingendolo a terra con il mio peso.
Salto preciso, mi complimentai con me stesso.
Salik aveva il terrore dipinto in faccia e si dibatteva come un pesce fuor d’acqua, ottenendo però scarsi risultati.
Si preparò ad urlare l’allarme, come ultima spiaggia, e respirò a pieni polmoni.
Lo stolto non aveva pensato che così facendo avrebbe inalato più polvere che aria.
Cominciò a tossire fortemente, ma provò comunque ad urlare. Ghignai e… Sink.
Feci scattare la lama davanti ai suoi occhi, che si spalancarono per il terrore, si dibatté ancora un po’,  strinsi la mano a pugno, e con le nocche lo colpii sulla spina dorsale, il templare smise di muoversi.
-Buongiorno, Salik- dissi a bassa voce vicino al suo orecchio, usando un tono abbastanza minaccioso.
Il soldato deglutì. –Ho sentito che voi Templari vi siete alleati con molte popolazioni della Terra Santa. Mi resta solo da sapere il perché- avevo il tono suadente del cacciatore sadico davanti alla preda da torturare e portare a casa come trofeo. La voce ammaliatrice del potere.
Salik si mosse ancora, ma io nuovamente lo colpi, ancora sulla spina dorsale, ed egli emise un gemito
 –Non lo so,
Hashashīn. Noi soldati sappiamo ben poco di tutto questo- disperazione.
Risi, ancora –Invece secondo me puoi aiutarmi. Prima dicevi che sorvegliate città in cui non c’è nulla… Vuol dire che state cercando qualcosa?- avvicinai la lama alla sua gola, tracciando una linea retta senza infierire sulla pelle –Parla prima che ti apra un secondo sorriso qui. E fa’ che siano informazioni utili-.
-Parlerò, parlerò- gridò miserabilmente – E’ stato Roberto a suggerire a Riccardo di formulare trattati di pace con Salah ad-Din₃ per le terre che non riusciva a conquistare! Lo ha suggerito per difendersi dalle vostre continue intrusioni- raccontò con voce tremante. Paura.
-Questo non mi è di nessun aiuto: A meno che tu non mi dia altre  informazioni…- lasciai la frase in sospeso a ben intendere.
Salik deglutì e farneticò –So altro. So altro! Roberto ha trovato un antico manoscritto che parla di molti segreti della Terra Santa. Lo porta sempre con se, poiché contiene informazioni che non vuole che cadano nelle mani di Riccardo o nelle vostre. Le alleanze sono un pretesto! Non so altro, lo giuro!- si dimenò ancora, ma lo fermai. Ormai era inutile illuderlo ancora.
–Mi dispiace, ma non posso permettere che loro sappiano che sono qui. Raggiungi il tuo Dio, adesso!- non fece in tempo ad accorgersene che la mia lama trapassò il suo collo da una parte all’altra.
Molto sangue mi schizzò sopra gli avambracci di cuoio e sulla tunica, ma poco importava rispetto ad una vita che se ne andava.
Quasi mi pentii del mio divertimento nel compiere quell’azione. Mi sembrava di essere ritornato quell’Altaïr senza cuore che avevo tanto faticosamente scacciato nel tempo.
Sfilai la mia arma con cura, per evitare che si spezzasse e piegai il polso, il filo collegato con un anellino al mio dito fece scattare il meccanismo e la lama rientrò nel foderino.
Meditando sulle parole di Salik, presi di peso il suo corpo e lo nascosi in un cumulo di paglia vicino alla Moschea: Così i soldati non lo avrebbero ritrovato tanto presto.
Ripensai al manoscritto descritto dall’uomo: Probabilmente Roberto aveva appreso da quel testo l’esistenza del Tempio di cui parlava il Maestro e le alleanze servivano per distrarre Riccardo dai suoi intenti e per potersi muovere indisturbato in tutta la Terra Santa.
Eppure com’è possibile che questo Tempio non fosse mai stato visto da alcun uomo o che, comunque, richiedesse tutto questo tempo per essere trovato da centinaia di uomini alla sua ricerca?
Ero pieno di dubbi, per quanto l’informazione del manoscritto fosse utile, apriva una serie di nuove domande a cui sarebbe stato difficile rispondere, dato che Di Sable sembrava intenzionato a tenere tutte le risposte per se.
A questo punto sarebbe stato meglio rubare il documento? O aspettare che Roberto giungesse al suo obiettivo per poi fermarlo?
E quando dico -fermarlo-, intendo fermarlo definitivamente.
Mi rimescolai tra la folla, capo chino e mani giunte, per tornare nel vicolo dove dovevo rincontrarmi con Vega. Ero curioso e impaziente di vedere cosa avesse scoperto da Cassim e dagli informatori.
Ero quasi arrivato al punto di ritrovo, quando la voce di un banditore, una voce giovane e possente, raggiunse le mie orecchie, catturando immediatamente la mia attenzione.
-Nobili di
`Akkā ₄, svegliatevi! Ascoltate le mie parole! Perché non reagite a tutto questo? Soldati stranieri hanno preso la nostra città, togliendoci il diritto di muoverci per essa liberamente, e tutto questo con il benestare dei reggenti. Le cose non sono migliorate dopo la fine della tirannia di Guglielmo, poiché ne hanno imposto un’altra, anche se segreta!- dato che la ragazza non era ancora tornata, decisi di recarmi ad ascoltare il giovane, che sembrava avere idee molto ispirate.
Pochi si fermarono a prestare attenzione, altri scapparono, forse per il timore di essere considerati sostenitori del gruppo di ribelli a cui evidentemente quel ragazzo apparteneva.
Una spada, infatti, luccicava appesa al cinturone e un arco sfoggiava sulla sua schiena:
-Non abbiate paura!- enunciò, vedendo quanti si allontanavano – Insorgete, anzi! Rovesciamo la loro tenuta, riprendiamoci il controllo della città!- agitò in aria un braccio e i pochi sostenitori esultarono con lui, alzando le braccia.
Mi guardai intorno, per riflesso incondizionato e notai in tempo due Templari, evidentemente di rango non alto, avvicinarsi al banditore, ma si fermarono leggermente a distanza, cominciando a dialogare tra loro. Sembravano discutere su qualcosa di importante, magari potevo ricavarne qualcosa.
Così, a passo moderato, arrivai ad una panchina vicina ai due uomini, occupata già da altre due persone, mi ci sedetti e, capo chino, tesi l’orecchio per ascoltare:
-Per questo mi chiedo dove sia Cassim! La Resistenza sta ancora cercando di attirare consensi, come se non fossero già una bella spina nel culo- sputò a terra con sdegno, pensando alla tenacia dei cittadini.
Quindi Cassim era il capitano della fazione? Mi chiesi se Vega l’avesse intuito e se fosse per questo che l’abbia voluto per sé.
“Che donna!” pensai beffardamente.
L’altro soldato rispose, teso –Potrebbe essere stato preso da un
fidāʾī? Hanno provato ad entrare nella cittadella già due volte e difficilmente falliscono anche la terza-.
Un ghigno di soddisfazione fiorì sulle mie labbra a quelle parole.
La nostra fama ci precedeva.
Il soldato che aveva parlato per primo diede all’altro una gomitata, per poi guardarlo in cagnesco:
–Non è un nostro problema! E poi, difficilmente due hashashīn
  da soli potrebbero uccidere abbastanza guardie da riuscire a penetrare qui. Ma torniamo alla faccende serie, dobbiamo far qualcosa di quel giovane. Propongo di liberarci del problema in maniera immediata- e detto ciò, stava per prendere la spada, avanzando di un passo.
-Sei forse impazzito? Ricordi le parole di Di Sable? Non dobbiamo compiere atti così violenti in pubblico, già una porzione di popolazione ha fondato una Resistenza. Non dobbiamo dare alla gente ulteriori motivi per aderirvi. Discrezione, era la parola. Nulla deve riportare Riccardo ad Acri prima del dovuto- Il soldato era un uomo accorto, mi confermò anche la presenza di una Resistenza e aggiunse una nuova voce alla lista di cose che Roberto taceva a Riccardo.
-Bene- mormorò risentito l’altro –Aspetteremo che vada in un posto più appartato!- e rifoderò la spada.  Come se nulla fosse, si spostarono più al lato, attendendo il momento buono.
Con un tempismo ironicamente perfetto, il giovane decise di allontanarsi in quel momento dal palco e di camminare per le vie della città, forse alla ricerca di altro pubblico da far votare alla sua causa.
Prima di andarsene si guardò la spalle più volte, però dalla sua posizione difficilmente avrebbe potuto notare i due nemici nascosti, così si rimise in cammino.
Poco dopo di lui si mossero i soldati, facendosi un segno d’intesa con un ghigno sulla faccia.
Quindi mi spostai anche io.
Era evidente che appoggiarsi ad una Resistenza sarebbe stato utile e vantaggioso per noi, dato che avevo ormai appurato che io e Vega fossimo i soli
fidāʾī  ad indagare su tutto questo ( e che, di conseguenza, Abdel e Bashir, i due informatori che avremmo dovuto vedere quel giorno, non erano Hashashīn), e niente ci avrebbe messo in una luce migliore come l’atto di salvare una vita.
“E se anche non ci mettesse in buona luce, ci saranno comunque debitori” pensai.
Sperai veemente che Vega mi stesse aspettando o stesse continuando ad indagare, anche se ero più propenso a credere che se mi avesse ritenuto morto sarebbe semplicemente andata via.
Era una prospettiva che mi lasciava un po’ l’amaro in bocca.

La credevo così cattiva? O forse ero io, il problema?
Mi reputavo relativamente pessimista riguardo alle relazioni umane che mi riguardavano, ma d’altronde visti i miei precedenti ero ben più che giustificato.
Mia madre, morta dandomi alla luce, mio padre, morto per la debolezza del vecchio Sofian, il litigio con Abbas, per il vano tentativo di essere sincero, Adha e la sua tragica morte...
Sì, non potevo davvero avere delle aspettative per la mia... amicizia con Vega.

Il giovane si mosse per tutti gli intricati vicoletti diroccati della zona, una precauzione solo semiefficace per depistare chiunque lo stesse seguendo. I due Templari, infatti, sembravano conoscere bene la città e quindi non si erano certamente persi d’animo.
Quel percorso, comunque, mi permise di seguirli furtivamente dai tetti, lanciando coltelli a destra e a manca tra gli arcieri, per evitare di essere scoperto.
I Templari si separarono e, prendendo le due strade opposte che affiancavano quella del ragazzo, tesero lui un’imboscata, bloccando ogni possibile via di fuga.
Che mossa astuta da parte loro.
Forse i soldati Templari non erano solo ammasso di muscoli e armi senza un minimo di cervello come credevo!
Dopo lo spavento iniziale, il giovane, con un movimento agile e veloce, tirò fuori la spada e schernii i due soldati -Siete in ritardo!- sbeffeggiò, coraggioso –Ma non credo sia questo il luogo migliore per me per combattere, mi mette in netto svantaggio!- mugugnò, fintamente dispiaciuto.
In un battito di ciglia, diede un calcio in pieno petto ad uno dei due soldati, facendolo brutalmente ruzzolare per terra, anche se non mortalmente. Si alzò un gran polverone e lui ne approfittò per scappare, continuando a percorrere i vicoli a grande velocità.
Il soldato non colpito si era messo subito alle sue calcagna, e lo stesso fece l’altro dopo essersi rialzato. Saltai sull’altro tetto e, con un pugnale da lancio, uccisi l’arciere che si trovava sul palazzo di fronte, prima che notasse la scorribanda e desse l’allarme.
Inspirai e espirai per calmare il fiatone, i miei polmoni erano quasi impazziti per l’arrampicata e per la corsa acrobatica, ma mi rimisi subito in marcia, altrimenti avrei perso i miei bersagli o sarei potuto arrivare troppo tardi per salvare il giovane combattente dai capelli neri.
Saltai sul palazzo successivo, poi su quello ancora dopo e poi, per mezzo di una trave, riuscii a raggiungere una palazzina diroccata sulla sinistra.
Corsi sul bordo del tetto mancante, seguendo i rumori dei passi dei tre uomini, che si dirigevano verso un vicolo cieco in corrispondenza delle mura della città.
Una parola poco carina mi scivolò dalle labbra e avrei voluto fortemente urlare “Non girare a destra” al ragazzo, ma forse sarebbe stato vantaggioso per me combattere con una delle possibili via di fuga per i Templari chiusa.
Non appena svoltarono l’angolo, saltai sul palazzo che si affacciava sulla stradina, mi accovacciai, prendendo la mira per assassinarne uno in volo, così sarebbe stato più semplice spedire il secondo all’altro mondo.
I due risero vedendo il giovane con le spalle al muro –Ora giochiamo!- sghignazzarono, sicuri di avere la vittoria in pugno. Il ragazzo teneva dritta la spada, aveva nello sguardo grande determinazione, sembrava dire che se fosse morto, ne avrebbe portati il più possibile con lui.
-Combattete. Ma non sarei così certo del vostro trionfo- E io ero inspiegabilmente d’accordo.

Sink.

1: Questa volta mi affido al Boss per la mia consueta citazione iniziale (che è anche la canzone che Alessandra canta a Desmond per rispondergli che: Sì, ha sentito le sue considerazioni da dodicenne su di lei xD). Se conoscete Bruce Springsteen, saprete che fantastico autore (oltre a cantante e musicista) sia, altrimenti spero di suscitare il vostro interesse. E' evidente perché abbia scelto questa canzone: Da un punto di vista psicologico, credo che Desmond sia davvero SOLLEVATO dal fatto di non essere solo e comunque, influenzato un po' dagli eventi, trova vero conforto in Alessandra. Oltre che curiosità, oltre all'interesse emotivo.
Credo sia inevitabile diventare uniti vivendo esperienze di questo genere.
Il "piombata qui" è una mia piccola modifica al testo originale, per renderlo più attinente alla storia: Che Springsteen non me ne voglia! 

2: Piccola curiosità, il termine Assassino, che deriva appunto da hashashin e quindi dai Nizariti (termine storico per la nostra confraternita, la Ubisoft è stata fedele se non per questo dettaglio) vuol dire "fumatore di hashish", perché si dice che i sicari Nizariti fossero tenuti in pugno con questa sostanza allucinante: Provocando visioni paradisiache, promettendo piaceri ulteriori e, ovviamente, altro hashish, purché loro adempissero al loro compito.
Ovviamente, visto che i Nizariti non erano ben visti da qualsiasi altra fazione (per la loro apoliticità e le loro azioni), molte delle notizie che abbiamo su loro sono speculazioni. Comunque, l'etimologia lascerebbe pochi dubbi.
3: Salah ad-Din (1138-1193) divenne, tra la fine della seconda e l'inizio della terza crociata, il capo dell'opposizione islamica ai crociati. Dedicò la sua vita alla guerra contro gli invasori, facendo sì che, finalmente, gli arabi si opponessero seriamente ai conquistatori cristiani. Le sue truppe ri-strapparono (II crociata) Gerusalemme ai crociati con la battaglia di Hattin nel 1187 e organizzò così efficacemente le difese, che non tornò mai più in mani cristiane.
Nonostante per questo motivo fu iniziata una III crociata e noostante Riccardo continuò a combattere, ebbe modo di "patteggiare" con il Saladino una specie di pace, lo si dice anche nel gioco (da qui, mi sono presa la licenza di sistemare i templari un po' ovunque nella Terra Santa) e si ritirò, ottenendo per i Cristiani di poter accedere comunque a Gerusalemme e in ogni città riconquistata come pellegrini. Per la ritirata, Enrico VI lo catturò.
4: Akka, in arabo corrisponde ad Acri, sono a conoscenza di questo termine grazie ad una FF letta su un sito diverso da EFP.
5:
Fidāʾī è l'Assassino vero e proprio, il sicario inviato ad uccidere qualcuno, o a raccogliere notizie. Per intenderci, Vega, Altair, Malik (prima di diventare Rafiq) sono 
fidāʾī.

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Capitolo 8
*** 7. The Worst Decision ***


Buonasera, lettori!
Scusatemi per il piccolo ritardo, ma ieri è stata una giornata... nefasta (ed è poco!)
Così, oggi vi lascio al capitolo CRUCIALE! Esatto, da questo e dal prossimo capitolo, inizieranno i veri sviluppi della storia!
Non vi stupite per l'assenza di citazione e delle note, ma oggi vi lascio da sole/i con le scelte (da qui il titolo) dei nostri personaggi, in particolare del nostro Altair.
Siate forti e pazienti, non lo uccidete subito!
Come al solito ringrazio Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per le recensioni e tutti i lettori silenziosi che preferiscono, seguono e ricordano la storia!
Siete meravigliosi!

Salute e Pace!

Cass

7.  The Worst Decision


- Molte grazie dell’aiuto, Hashashīn- disse il Ribelle, rifoderando la spada insanguinata, con un’espressione quasi rilassata sul volto. Era stato lui infatti a trafiggere il Templare che io non avevo ucciso.
Poi aggiunse –La resistenza e io ti siamo molto grati! Se c’è qualcosa che…-.
-C’è, in effetti- dissi sbrigativo, senza però usare un tono imperioso, il ragazzo era un ottimo combattente, nonché mio possibile alleato, dovevo quindi stare attento alle parole da usare.
-Dimmi, dunque! I debiti è sempre meglio pagarli in fretta, altrimenti finiscono per essere più cari del motivo per cui si è debitori!!- constatò, facendomi cenno con la mano di proseguire.
-Noi Assassini e la Resistenza abbiamo entrambi interessi nel cacciare i Templari dalla Terra Santa e nel fermare i loro piani. Noi siamo abili nel combattimento, ma voi  conoscete meglio la città-concessi -e potrete fornirci sostegno e informazioni cruciali per la loro cacciata…-.
Il ragazzo si portò una mano al mento, meditabondo –Quello che proponi è un accordo!- mormorò con aria da intenditore –E ciò che dici ha senso, fidāʾī, almeno per me. Devi comunque proporre la tua idea davanti a tutta la Resistenza, ma credo non ci saranno problemi- dichiarò, fiducioso che l’idea sarebbe stata accettata –Se vuoi seguirmi…-.
Declinai l’invito, poiché avevo già fatto aspettare troppo Vega e perché, inoltre, doveva esserci anche lei all’incontro.
E poi… il mio istinto mi suggeriva di cercarla nel minor tempo possibile.
Possibile che fossi diventato così “simbiotico” con lei in poco tempo?
Scossi la testa e comunicai velocemente al giovane uomo, che mi aveva rivelato chiamarsi Abbas (Un nome che mi aveva spiazzato, per un secondo), che con me ci sarebbe dovuto essere un altro assassino e che quindi non potevamo che rimandare l’appuntamento con la Resistenza a più tardi.
Ebbi paura che il giovane potesse vedere inganni inesistenti in questa mia richiesta e che quindi l’accordo potesse saltare,  ma Abbas non si infuriò né mostrò qualche sospetto, mi enunciò tranquillamente un altro punto d’incontro e un altro orario, per poi inchinarsi e ripercorrere al contrario le strade prima intraprese. Tirai un sospiro di sollievo.
E a quel punto mi mossi anche io.

Appena arrivato nel vicolo dove ci eravamo separati, non fui del tutto sorpreso di trovarlo deserto, per quanto la cosa mi agitò.
No, in realtà non ero per nulla sorpreso che lei non ci fosse.
Me l’ero aspettato fin dall’inizio, Vega era indipendente e sicuramente restare lì, ad aspettarmi, alzava le probabilità di farsi sminuzzare da un manipolo di Templari che casualmente passava di lì.
Quindi no, non fu quello il motivo per cui ero rimasto completamente disorientato di fronte al muro del vicoletto.
Deglutii, sentendo la gola improvvisamente secca.
C’era disegnata una maestosa aquila in volo, con le gambe pronte ad afferrare qualche preda e il becco spalancato, al lato spuntava una freccia indicante l’occhio.
...
Possibile che lei… Che lei sapesse? E, soprattutto, come?
Come l’aveva scoperto e come aveva fatto a scrivere un messaggio visibile solo utilizzando l’occhio dell’Aquila? Visibile solo a me?
Sudavo freddo, mi tremavano le mani a quell’idea. Strinsi i pugni per cessare quell’irritante tremolio, chiedendomi come fosse più saggio agire.
Sarei stato più a mio agio da solo contro cento Templari.
Scossi la testa, per riprendermi e mi ripromisi di chiedere spiegazioni dopo averla trovata:
Infondo, poteva essere un messaggio d’aiuto e dovevo sbrigarmi a ritrovarla. Oppure indizi fondamentali che aveva raccolto o, meglio ancora, il punto in cui ora si trovava.
Fu abbastanza sconvolgente: Era come se Vega fosse riuscita a “impiantare” se stessa nel muro.
Era il suo inconfondibile bagliore, intenso come l’avevo visto su di lei e così diverso da quello degli altri. Rimasi ancora stralunato all’idea di come fosse riuscita a fare questo.
Il disegno, comunque, raffigurava la Cattedrale di Acri, riconoscibile dall’altissima torre che l’affiancava, nella sua interezza.
Il graffito aveva, però, qualcosa di strano… Come se ci fosse un’aggiunta rispetto alla realtà.
Dubbioso, strinsi gli occhi e mi avvicinai più al disegno, cercando di paragonare quell’immagine a quella che avevo in mente della reale Cattedrale.
C’era una specie di spazio vuoto tra il muro esterno e la navata laterale? Doveva aver scoperto qualcosa di grosso! D’altronde, Al Mualim l’aveva definita sveglia e perspicace.
Mi aveva lasciato anche un messaggio: 
سأنتظر لبعض الوقت، نسر. يجب أن تكون سريعة
(Ti aspetterò per poco, Altaïr.  Sii veloce)

Arrivai in breve tempo davanti alla Cattedrale, ma ormai era quasi sera e non avevo la più pallida idea di quando Vega mi avesse lasciato il messaggio sul muro.
Abbassai ancora di più il cappuccio e congiunsi le mani, cercando di dare meno nell’occhio.
Sbirciai dalla coltre del cappuccio e mi chiesi se fosse stato meglio entrare dal tetto o dalla porta principale: Non era un orario di punta per i fedeli, sapevo bene che non era in programma nessuna messa, quindi sarebbe stata vuota se non per qualche monaco impegnato a pregare.
Decisi così di scegliere la via più breve..
Entrato tranquillamente nella Cattedrale mi guardai intorno per cercare di scorgerla tra i pochi cappucci bianchi presenti nei vari banchi, tutti inginocchiati in preghiera.
Tutti i profili mi sembravano troppo massicci e robusti, ma non si poteva mai dire con Vega… La sua abilità nel farsi credere un uomo era davvero incredibile.
Dopo qualche secondo di contemplazione,  scartai l’idea che si trovasse fra quei banchi di mogano, mi guardai attorno, per scorgerla magari in un angolo buio fra un altarino tempestato di lapislazzuli e oro e una colonna mastodontica di marmo bianco intagliata con piccoli disegni di pesci e colombe, o magari nascosta dietro la statua raffigurante qualche santo.
Non sembrava avermi lasciato nessun ulteriore indizio, così mi mossi in avanti per cominciare ad indagare, magari potevo fingermi un pellegrino molto svampito che non si regola bene con gli orari, ma un leggero rumore, proveniente dall’alto, attirò la mia attenzione.
Era un rumore costante ma discreto.
Sembrava che qualcuno stesse scassinando un forziere. 
“Ci siamo!” pensai sollevato, sapendo finalmente dove fosse.
Cercando di non disturbare i preti che cantilenavano le loro preghiere latine, mi arrampicai sul muro, utilizzando i vari intagli in oro come appoggi.
Sperai, vivamente, che nessuno di questi decidesse di cedere sotto il mio peso. Non era proprio il caso di scatenare l’ira cristiana contro la Confraternita per queste piccolezze.
Non che non fossimo già un fastidio, per loro. 
Arrivato all’ultimo intaglio, saltai su un lampadario con così tanta leggiadria che questo si mosse appena, e la vidi rannicchiata di spalle sulla trave più vicina al lampadario, così zelante in quello che faceva, che non si era nemmeno accorta di me. O forse mi stava semplicemente ignorando.
- Sabah el kheer
,
Waqi- sussurrai, atterrando alle sue spalle sulla trave di legno, dove armeggiava loscamente con la lama, ormai era evidente, da quando ero entrato nella chiesa.
Ebbe un piccolo sobbalzo, confermandomi che tanto era concentrata che non mi aveva sentito arrivare, per poi girarsi di scatto con la lama tratta. Non appena mi vide, la sua espressione divenne uno miscuglio tra il sollievo e l’infastidito -
Ya ilahi, Altaïr, ya ilahi! Dove accidenti sei stato fino ad ora? Tigî lak muSîba, mi hai spaventato a morte e avresti potuto rovinare tutto il mio lavoro – ruggì in silenzio, rivolgendomi un’occhiata avvelenata, poi tornò a occuparsi del “suo lavoro”, ignorandomi.

A quanto pare era lo sguardo che più spesso riuscivo a farmi rivolgere.
Ormai potevo descrivere quell’espressione a memoria: La piccola fossetta che le si formava tra le sopracciglia corrugate, le guance leggermente gonfie, a causa delle labbra strette con forza.
La luce degli occhi poi… Sembrava che ci fosse un bagliore diverso per ogni emozione.
Era incredibile! Forse un pittore non sarebbe mai riuscito a catturarne l’intera essenza.

Tirai un sospiro e decisi di assecondarla, solo per il momento, tanto avevo capito l’inutilità di fare discussione con lei, i nostri caratteri erano troppo simili, con la sola differenza che io non sempre riuscivo a mantenere la mia posizione, a causa dei suoi stupidi, maledettissimi, ingannevoli, meravigliosi occhi. 
E perché sapeva sempre come ribattere. Come se cogliesse sempre la falla nei miei ragionamenti. Forse riusciva a leggermi nel pensiero. Una motivazione decisamente meno penosa per me.
-
Aasef… Perché siamo qui?-.
La sentii ridacchiare, poi finalmente staccò una tavola di legno dalla trave, sotto la quale spuntava un ingranaggio di metallo impolverato e leggermente corroso dal tempo, dalla ravvisabile forma del simbolo degli Assassini. Era una leva?
Si sentii solo un piccolo crack, ma nessuno sotto si insospettì o notò qualcosa.
-I Templari... A quanto pare si vedranno qui a breve. Loro hanno un’entrata sul retro che da su una scala, la stanza è giù sulla sinistra, in quell’intercapedine che ti ho mostrato nel disegno. L’hai trovato, vero? Comunque i miei informatori mi hanno rivelato che esiste un resistenza- parlò sottovoce, mentre guardava verso i preti.
Dato che aveva tirato in ballo l’argomento, pensai di chiederle come fosse riuscita a fare... quell’incisione.... ma sapevo bene che la missione veniva prima, e che era importante scambiarsi tutte le informazioni, prima di andare ad ascoltare la riunione Templare, per poter carpire meglio ciò che si dicevano.
-Sì, anche io ho avuto contatti con la resistenza, abbiamo un appuntamento con loro all’alba, al mercato vecchio- raccontai, facendola ghignare –Non vedo l’ora- e mi chiese che altro avessi scoperto.
Stavo appunto per raccontarle del manoscritto, quando sentimmo il suono acuto e ridondante delle campane, che annunciavano l’arrivo della sera e, visto che i preti si alzarono tutti in contemporanea, anche della chiusura della chiesa.
I religiosi si avvicinarono al maestoso portone e, con l’aiuto di alcune staffe di ferro, lo tirarono, finché con un tonfo sordo molto potente, si chiuse del tutto.
-E’ il momento, stanno per ritirarsi nei dormitori, dall’altra parte dell’edificio!- esultò Vega sorridendo, sembrava si pregustasse qualcosa di meraviglioso.
Alzò la mano a mezz'aria tra noi, con sempre quell'espressione gioiosa sul volto. La guardai perplesso.
-Andiamo, amico- fece lei, basita - Non hai mai dato il cinque a nessuno? Ma ti capita mai di intrattenere relazioni umane?- rise -Non puoi mica fare solo il macellaio!-.
Prese il mio braccio e fece scontrare  le nostre mani aperte in aria. Non fu niente di speciale.
-A che pro?- la mia foce era un misto tra derisione e perplessità.
-E' un festteggiamento! Accipicchia, sei fatto di pietra?!- mi scimmiottò lei., mettendosi scherzosamente le mani nei capelli.
A me venne da ridere per il paradosso... Ero sempre stato io a pensare che lei fosse di pietra, e ora la cosa mi si ritorceva contro,

Mi concessi di sorridere con lei – Ora se hai finito di aggiornarmi su quanto sia bello il mondo esterno, potremo attivare il meccanismo…?- mi fermai all’improvviso, chiedendomi il perché non sapessi nulla di quel marchingegno degli Assassini, mentre lei sì.
–Vega, come facevi a sapere che gli Assassini avevano posizionato un meccanismo qui?-.
Lei si girò verso di me, con un’espressione di nonchalance alquanto sospetta – Infatti non lo sapevo!- confessò, sedendo a cavalcioni sulla trave visto che i preti erano ormai del tutto spariti -E’ stato una specie di intuito a portarmi qui. Sai, più o meno quello che ti aiuta a riconoscere i posti dove nasconderti o più o meno lo stesso che ti aiuta a carpire le intenzioni della persona con cui stai parlando- e strizzò l’occhio come un gesto di intesa, una mossa che mi spiazzò.
Vega era molto poco convenzionale, tralasciando ciò che mi aveva fatto intendere sul potere che condividevamo. Era così spigliata, allegra, senza timore di esprimersi, anche con un uomo, cosa che a quel tempo era quasi impossibile da vedere, cristiani, arabi o ebrei che si fosse.
Era una donna forte e consapevole del suo potere.
- Il tuo deve essere più che un intuito: Sembri sapere molto su di me, su tutti- dissi sorridendo leggermente, ormai ci stavo prendendo la mano nella gestione di tutte quelle sensazioni positive che scatenava in me. –Ma non chiedi mai nulla...-
-Non sono abituata a domandare perché tendo a sapere molto di chiunque, anche senza volerlo- mi rispose con una scrollata di spalle, come se non volesse dare importanza alla questione, anche se era palese quanta ne avesse!
Non comprendevo il vero motivo di quella sua falsa dichiarazione di noncuranza.
Ah, le donne!
Decisi comunque di non insistere, quel giorno ero così preso da lei, che quasi non mi importava più della missione.
Sapevo benissimo che sbagliavo, ma era più forte di me. Come un richiamo...

Stronzate. Sembravo un novizio.
E la cosa mi infastidiva anche parecchio, ma Vega era come una droga.
Mi faceva perdere completamente il senso delle cose, delle priorità, le cose importanti. E, come ogni droga, per quanto dolce e fantastico il suo effetto allucinogeno, portava solo danni.
Le stavo dando troppa importanza e la conoscevo da una settimana.
Ebbi paura di perdere ancora la fiducia del Vecchio e il rispetto che avevo faticosamente riguadagnato in quei ultimi mesi di espiazione. Avevo troppo da perdere e ignoravo cosa avrei potuto guadagnare.
Lei tirò il meccanismo e una serie di rumori sinistri cominciarono a provenire dai muri.
Erano chiaramente gli ingranaggi che avrebbero aperto il passaggio segreto, il buco, la scala, il qualsiasi cosa fosse che ci avrebbe portato alla riunione Templare.
Dal soffitto si aprì una botola e ne uscì fuori, ad una velocità quasi spaventosa un’asta di ferro, che ne reggeva un’altra orizzontale, e ancora prima di vedere il resto, capì che gli Assassini che avevano costruito quel meccanismo, l’avevano costruito seriamente a prova di Assassino.
Non appena l’ultima sbarra uscì lateralmente da un muro con un cigolio raccapricciante, una parte di muro a cui era accostata una piattaforma di marmo bianco lucido, si mosse appena, indicandoci che li sì trovava l’entrata segreta.
Sentii i muscoli tendersi per l’eccitazione, mi piaceva la corsa acrobatica e questo percorso si prospettava particolarmente intricato.
-Pronto?- disse lei, protendendosi dalla trave, con un ghigno.
Evidentemente l’idea di una corsetta non dispiaceva neanche a lei. –Devo dirti che in Cina era difficile trovare percorsi di questo tipo!- e si lanciò nel vuoto, aggrappandosi fermamente all’asse.
Si dondolò rapidamente e saltò atterrando in piedi su un lampadario. Si voltò a guardarmi con espressione indecifrabile, come se si fosse appena ricordata che fossi lì con lei, poi sorrise –Gli Assassini non erano abbastanza radicati lì da costruire certe cose-.
La seguì anche io, flettendomi sulle ginocchia e spiccai il mio balzo.
Il mio cuore ebbe un piccolo tonfo nonostante l’abitudine, e la solita emozione di poter fare tutto mi attraversò dalla testa ai piedi.
Il panorama attorno a me correva veloce, ma l’adrenalina lo faceva scorrere davanti ai miei occhi con una lentezza serafica, da poterne cogliere ogni minimo dettaglio.
Allungai le braccia per afferrare l’asse e non appena le mie mani strinsero con forza, i muscoli mi si contrassero per l’improvviso peso che dovettero sostenere. 
Ma non faceva male. Era tutto così naturale, così facile, non aveva fatto che questo nella vita. 
Al Mualim teneva particolarmente al nostro addestramento fisico, così ancor prima di essere iniziato, dovevi allenarti.
Feci leva sui miei arti superiori per issarmi quel tanto che bastava e diedi una spinta con i reni per iniziare a dondolare.
Uno... due... tre... E saltai, atterrando accanto alla mia collaboratrice.
Erano passati non più di cinque secondi.
-Cina?- chiesi, era la prima volta che si esponeva direttamente senza che fossi io a domandare.
-Cina- confermò –Una missione di colonizzazione, chiamala così-. si lanciò verso il muro, dove dei mattoni erano venuti fuori, creando una sequenza per arrampicarsi.
Quando si aggrappò a due sporgenze, l’impatto fu talmente forte che pensai se le fosse rotte.
-Hai sentito parlare del manoscritto di Di Sable? Io non ho scoperto granché, mi dispiace- sembrava quasi che mi incalzasse a raccontare.
Aveva anche lei qualche notizia o, grazie al suo “intuito” speciale, l’aveva scoperto da me?
Forse voleva farmene palare a voce per non mettermi a disagio.
La raggiunsi sul muro e continuammo a salire insieme –Sì, Roberto è in possesso di un documento molto antico, dove pare ci siano scritte molte informazioni su tutta la Terra Santa e su tutti i suoi segreti. E’ probabile che abbia appreso da lì l’esistenza del tempio e della seconda Mela. Non mi stupirei se avesse scoperto la collocazione del Tempio di Salomone dallo stesso documento- borbottai, saltando all’indietro su un lampadario.
Vega mi guardò un po’ dubbiosa – Il tempio di Salomone? Cielo, mi sono persa un sacco di missioni divertenti! Quanto tempo fa è successo? Tu eri in quella missione? Con chi?- dopo avermi rifilato tutta quella sequela di domande, prese a saltare da un lampadario all’altro, stando attenta a non prendere le candele.
E provai un immenso sollievo: Non era a conoscenza di quella tormentosa vicenda.
Ignorava la morte di Kadar e la mia punizione.
Forse era per questo che in Vega non avevo mai riscontrato quella fastidiosa ombra che vedevo negli occhi anche delle persone che mi avevano perdonato: l’ombra del dubbio, dello scherno, del timore.

Per lei, io ero solo  Altaïr, con i miei pregi, i miei difetti e quei punti del mio carattere che la divertivano o la irritavano. Non avevo nessun passato con lei.
Per questo mi sentivo bene in sua presenza e non avevo intenzione di rinunciare a questo toccasana morale, oltre che alla sua compagnia.
Vega però non si meritava una così grande omissione: Decisi di raccontarle la vicenda, omettendo qualche dettaglio pericoloso, magari sarei stato fortunato e non avrebbe avuto la minima idea di chi fossero i miei compagni all’epoca:
-Sì, è passato un anno, credo. In missione con me avevo Malik e Kadar Al-Sayf. Dovevamo recuperare il primo Frutto dell’Eden dall’Arca della Vita- raccontai cercando di mantenere un tono tranquillo.
Poggiai il piede sull’ultimo lampadario, vedendola già vicina al passaggio segreto in marmo, che mi aspettava: dovevo solo saltare sull’asta.
Proprio mentre le mie mani avevano appena fatto presa sul tubo, avrei voluto lasciare la presa e sfracellarmi al suolo: -Davvero conosci Malik e Kadar? Sono anche miei amici, da quando eravamo bambini. Sono tornata da dieci giorni, non ho avuto proprio il tempo di andare a cercarli! Ho solo saputo che Malik è a Gerusalemme!- sorrise, radiosa –Oh, Malik è stato un fratello maggiore per me, mentre Kadar ha la mia età, ed è il mio migliore amico. Anche se da piccoli, e anche prima che partissi- rise al pensiero di quello che stava per raccontarmi -mi ha sempre detto che ci saremmo sposati non appena fossi tornata! Chissà dopo tutti questi anni cosa ne pensa? Magari ha già una moglie- mentre lei rideva, il mio cuore sprofondava sempre più nelle tenebre.

Non ero stato fortunato.
Toccava a me, all’Assassino di Kadar, dirle che era morto.

Che non ci sarebbe stato nessun matrimonio. Che Malik non l’avrebbe più abbracciata forte come fanno tutti i fratelli, perché aveva perso un braccio.
A causa mia.

Quanto poteva contare il perdono di Malik ai suoi occhi?

Non appena le fui accanto, avrei tanto voluto confessarle la verità, dirle che era stata la mia arroganza ad uccidere il suo migliore amico. Che avrebbe dovuto odiarmi.

Ma compii il secondo atto più egoista della mia vita, dopo quello che rovinò la famiglia Al-Sayf nel tempio di Salomone:
Tenni la benevolenza di Vega ancora per me.

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Capitolo 9
*** 8. Telling me those lies... ***


Buon pomeriggio, lettori!
Eccomi tornata! Questo è il secondo capitolo cruciale! Assisteremo alla performance da bugiardo del nostro bel mentore!
Come al solito ringrazio Illiana, O n i c e, Werepapers e Tony Stark per le bellissime e commoventi recensioni, e i lettori silenziosi che seguono, preferiscono e ricordano la storia!
Oggi non ho granché da dire, ci vediamo sotto con le note!

Salute e pace!
Cass




8. Telling those lies...


Non ne abbiamo mai parlato, ma la colpa è stata solo mia
Ti telefonerei per dirti che mi dispiace, non vorrei farti perdere tempo.
E non posso approfittarne ancora.
Ma non riesco a descrivere lo sguardo che pervade i tuoi occhi
Sai, forse potremmo riprovarci, in futuro..

Come quando tu continuavi a dirmi tutte quelle bugie?

Phil Collins- Do you Remember?




Fu difficile scegliere le parole.
-Mi dispiace, ma purtroppo Kadar perse la vita in quella missione: I Templari ci attaccarono improvvisamente... non riuscì a salvarsi, era ancora un combattente acerbo. Mi dispiace darti così crudelmente la notizia- vidi i suoi occhi cristallizzarsi, e il suo respiro azzerarsi.
Mi guardava, ma era come se fossi trasparente.
Come se non fossi io la persona che avrebbe voluto vedere.
Non so se sarebbe stato peggio vederla piangere o sorbirmi un fiume in piena di insulti e rabbia.
-Tu... davvero, non preoccuparti... E’ morto come aveva sempre sperato: Da eroe.- fece un sospiro e si strinse la testa fra le mani –Grazie per avermelo detto, comunque. Sarebbe stato terribile piombare da Malik e chiedere di...-sospirò ancora, come se le costasse pronunciare il suo nome -.... di lui, costringerlo a rivivere la vicenda. Crudele, spaventoso. Tashakor
, Altaïr!- alzò i suoi occhi lucidi pieni di gratitudine su di me, mi si inceppò il cervello, oltre che il cuore.

 Voglio morire.

-Vega io...- dille, dille la verità! –Capisco il tuo dolore, ma dobbiamo andare- sospirai.

Verme. Verme schifoso.
Vega prese dei bei respiro congiunse le mani vicino al petto,
poi, annuendo, cominciò a spostare il blocco di pietra che bloccava l'entrata –Giusto, non possiamo perdere neanche una parola-.
Mi sostituii a lei nel spingere, lasciandole la possibilità di asciugarsi una lacrima solitaria che le rigava la guancia.




L’intercapedine era stretta, umida e per nulla illuminata ma, almeno per quest’ultimo problema, c’era il mio occhio dell’aquila a rimediare.
Vega credeva, o meglio sapeva inspiegabilmente, che avremmo dovuto continuare sempre dritto fino a che non avessimo visto una luce, quella che proveniva dalla fessura o grata da cui avremmo assistito alla riunione templare.
Così lei si era posizionata dietro di me, si era irrigidita per un secondo e aveva stretto la mano attorno al mio braccio, rilassandosi poco dopo.
E io con lei.

Avevo capito che avere contatti con me le provocava qualcosa, ancora non sapevo cosa, ma non era un bene, specie quando ti porta a precipitare da un palazzo.
Ma sapevo benissimo che il motivo per cui aveva rischiato, oltre alla versione ufficiale che lei mi aveva dato (ovvero quella che non voleva perdermi e che non avrebbe saputo come muoversi altrimenti), era che aveva bisogno di un po’ di conforto, di un appiglio, di un po’ di calore umano.

Ancora non sapevo cosa avrei fatto quando avrebbe scoperto la verità, perché era inutile sperare che restasse all’oscuro della vicenda. Soprattutto, sarebbe stato inutile sperarci quando Malik, ridendo della versione dei fatti che Vega aveva, avrebbe raccontato di quanto fossi stato egoista, avventato e accecato dall’arroganza all’epoca.
Anche se poi Malik mi avesse difeso, dicendole che ero cambiato radicalmente, restava l’ averle mentito.

Stavo vendendo la mia integrità per del tempo. E quanto tempo poi? Qualche mese?
Solo per poter stare con qualcuno senza, finalmente, sentir il peso delle mie colpe passate sulle spalle?

Cercando di sbattere il meno possibile i piedi, camminavamo molto vicini e più ci spostavamo, più la pendenza aumentava: In basso a sinistra, come nel disegno.
Ancora una volta Vega ci aveva visto giusto.
Neanche dopo cinque minuti, una luce fioca apparve all’orizzonte e vaghi rumori di sedie e voci arrivano alle mie orecchie. Vega fece pressione sul mio braccio, capii immediatamente che mi stesse chiedendo di accelerare, quasi come se mi avesse parlato nella testa.
Camminando in punta di piedi, in meno di un minuto raggiungemmo una fetida grata finemente intrecciata, con disegni così minuziosi, che diventava quasi impossibile vedere da una parte all’altra. Però ci permetteva di ascoltare. E quello importava.
Era posizionata sul soffitto rispetto alla stanza. Un stanza che era spoglia, per gli standard dei Templari:
Illuminati fiocamente dalle candele appese ai muri di pietra cruda, quasi corrosa dall’umidità, c’erano un tavolo di legno massiccio dipinto di falso oro che cominciava a scrostarsi, sedie della stessa fantasia, con cuscini rossi, poi carte, mappe, rotoli di pergamene sparsi ovunque.

Non riuscivo a vedere altro, la vista non era solo limitata dalle decorazioni della botola, ma anche dallo stretto spazio che offriva.
-Che il padre della conoscenza ci guidi- dissero in coro, e si sentii il rumore distinto di sedie che strisciavano sul pavimento. Vega mimò il numero sette con le mani, perplessa.
Perplesso ero io della precisazione.
-Allora manca Di Sable- sussurrai. Annuì, e lo capì soltanto dal fruscio del cappuccio: cercavo di non distogliere lo sguardo dalla stanza, per cogliere qualche dettaglio in più.
Avevo capito che l’udito di Vega era molto più fine del mio, ma io avevo quel senso  in più, che potenziava la mia vista, come un animale.
Come un’aquila.
-Roberto si scusa dell’assenza. Affari... importanti.... sembrano averlo trattenuto a Damasco- l’uomo che aveva parlato aveva una voce grinzosa, molle, come chi non parla se non per adulare.
-Il Tempio?- fece un secondo uomo, in tono speranzoso.
Io e Vega, in simultanea, ci sporgemmo verso la grata, smaniosi di conoscere la risposta. Le nostre mani si incrociarono, per terra. Nonostante questo, non ci muovemmo di un millimetro.
-Sembra di no... Riccardo lo sta pressando molto. Ma ci fa sapere di essere convinto che sia qui, ad `Akkā. Dice di dover pensare oltre il significato principale di “Tempio”, crede che ci troviamo di fronte a qualcosa di più immateriale, sfuggente. Personalmente, avendo letto il manoscritto, sono d’accordo con lui- presi nota dell’importanza che quest’uomo doveva avere, lo individuai con l’occhio dell’Aquila, in futuro sarebbe stato utile.
-Credo sia il braccio destro di Di Sable. Riesci a vederlo bene in faccia? Se ha letto il manoscritto potremmo... avvicinarlo- sussurrò Vega, guardandomi. Eravamo sulla stessa lunghezza d’onda.
Annuii semplicemente, ancora a disagio per la piccola scossa  che quel piccolo contatto con la sua mano mi stava provocando. Mi sembrava di... entrare in contatto con lei molto più profondamente.
-Qualcosa come? Un uomo? Una setta? Un fiume? Non ha fatto alcun passo in avanti?- sibilò furioso una terza persona, evidentemente la personalità pragmatica di quel manipolo di Templari.
-Dobbiamo sbrigarci a trovare il frutto... – continuò- Mi è arrivata voce di alcuni pareri negativi nei nostri confronti da parte dei sovrani... Hanno proposto al papa di disgregarci
₃, alla fine della Crociata che, diciamocelo, non sta andando affatto bene. Dobbiamo prestare attenzione, non possiamo farci cogliere impreparati- batté un pugno sul tavolo, il rumore secco rimbombò tremendamente tra le rudi pareti.
Un mormorio di dissensi per quel gesto si levò dal tavolo.
-Sei forse impazzito? Vuoi attirare gli Hashashīn direttamente qui? Vuoi invitarli a prendere un po’ di chai e magari qualche kolcha
?- sussurrò l’uomo dalla voce melensa.
-Che homar
! Non mi meraviglio che le crociate stiano andando a rotoli se sono persone di tale calibro a guidare gli eserciti... Figuratevi se mi stupisca che non si trovi neanche un maledetto frutto dell’Eden!- disse una voce nuova, con ironica asprezza.
- A tal proposito... Cosa avrebbe questo frutto di speciale rispetto a quelli di cui siamo già in possesso?-.
- Hai presente il frutto che il fidāʾī riuscì a rubarci dal tempio di Salomone?- tremai quando ripescarono quell’evento. L’altro templare annuì veemente – Ricordi la sua potenza? Controllare le menti, creare potenti illusioni sensoriali... Ecco, questo frutto sembra essere pressoché identico, se non più potente: E’ scritto che sia capace di tutto, di essere anche indipendente dalle volontà di chi lo possiede. Gli altri nostri frutti, sono... ecco, di serie B
₆. Ci permettono di conoscere verità, di ingannare la mente per poco, di confonderla al più. Gli Hashashīn  hanno quel potente frutto dell’Eden, ma se noi entrassimo in possesso di questo gioiellino, nulla potrà fermarci!- un coro di risate caparbie alla prospettiva di tale futuro si levò dai presenti, agghiacciandomi sul posto. Anche Vega era immobile.
-Possibile che siano così... arroganti? Che credano davvero di poter sottomettere la volontà di ogni uomo e donna su questo pianeta?- il sussurro della mia compagna era intriso di ribrezzo e spavento, ma anche di genuina sorpresa.
-Sì, non hanno scrupoli- le risposi di rimando –A loro discolpa va detto che lo fanno per “un bene superiore”, credono davvero in quello che fanno. E, tranne una disgustosa parte di loro, lo fanno perché credono davvero di poter rendere la vita migliore- scossi la testa.
Se lei avesse sentito le confessioni delle mie vittime, sono sicuro che la penserebbe come me... Lei è sveglia.
I Templari continuarono a immaginare il momento in avrebbero controllato ogni mente di questo pianeta, con discorsi osceni su quanto la libertà fosse il madornale errore compiuto dalla natura.
Nonostante sentisse queste parole, Vega si trovò d’accordo con me –Sì, lo credo anche io-.
-Come mai ci siamo visti qui e non in un luogo più... consono?- chiese qualcuno, rabbrividendo per l’umidità. Bofonchiando qualcosa sulle nostre maledette interferenze, un uomo rispose che era stato per assicurarsi di non essere uditi dai sicari degli Assassini.
-Sono riusciti ad infiltrarsi?- continuò, spaventato.
- Hanno provato a superare le guardie per giorni, ma oggi, tranne un paio di morti, non c’è stato il più assoluto rumore. Quindi sì, sono riusciti a perforare le difese. A volte, il silenzio che li rende tanto potenti, li rende facilmente individuabili. A meno che non vogliamo pensare che abbiano rinunciato- e rise di questa ipotesi –Credo solo che gireranno a vuoto per un po’-.
Vega si portò una mano alle labbra per trattenere un risolino. Io ghignai in silenzio.
-Perché Roberto crede che la Mela sia qui?-.
L’uomo che aveva letto il manoscritto rimase zitto per un secondo, cercando le parole giuste per spiegare l’intuizione del Gran Maestro Templare – Ha sentito parlare di alcuni uomini dai forti poteri nelle leggende Cirenaiche. Li ha collegati ai discendenti dei Precursori. Non sembrano essercene molti. Ma Acri è una città... dove se ne parla molto. Conoscere bene queste leggendo sarebbe un grande passo in avanti, ma i pomposi nobili di cui ci siamo circondati ne hanno solo vagamente sentito parlare. Si sa, le leggende proliferano nei bassifondi... inutile dirvi quanto sia difficile interagire con la popolazione media. La Resistenza... -.
-Sì, lo sappiamo. Feccia.- commentò qualcuno.
-Quindi da qui in poi, dobbiamo adoperarci a ricavare informazioni su queste leggende e possibilmente, gettarsi alla ricerca di uomini dai particolari... poteri-.
Io e Vega ci scambiammo uno sguardo... Particolari poteri? I nostri potevano essere considerati tali?
Tutti annuirono, si parlò di stilare un verbale da inviare a Di Sable che fu subito messo per iscritto e firmato da tutti i presenti.
Un uomo grassoccio, allarmato, strillò –E come lo porteremo al Maestro? E se venisse intercettato? Saremmo spacciati! Tutti immischiati! La forca!!!- agitava le braccia isterico come una donnicciola di basso livello, finché qualcuno non gli mollò uno schiaffo tanto potente da farlo cadere a terra.
-Siamo stupidi come cavalli, secondo te? Cassim ha già ricevuto istruzioni, verrà qui tra breve tempo, quando saremo tutti opportunamente lontani e si incamminerà personalmente verso Damasco-.
Per poco Vega non esultò a voce alta.
-Andiamo via ora, altrimenti dovrai seriamente preoccuparti della tua incolumità!- e, dopo ossequiosi saluti, si dileguarono, lasciando il verbale sul tavolo, ad attendere un uomo che non sarebbe mai arrivato.
Risi sommessamente delle fortuna capitataci.

Aspettammo qualche minuto per avere la certezza che si fossero allontanati, poi Vega sfondò la grata con un calcio.
-Sei una stupida- dissi e quell’orribile pezzo di metallo crollò sul pavimento, con un rombo infernale
-Ti rendi conto di cosa hai fatto? E se qualcun’altro dovrà spiare da qui? E non passo nemmeno con la grazia di Allah da questo buco!- mi ritenni soddisfatto del serafico ammonimento della mia voce. Avrei fatto così con chiunque altro: dovevo smettere di farmi influenzare da lei.
Vega sbuffò – E’ ovvio che ci ho pensato, mi credi così idiota? O è solo perché sono una donna e agisco liberamente? E, anche se fosse, ci passo tranquillamente io da questo buco!- gridò, avvicinando il suo volto al mio, con aria di sfida. La carta della discriminazione era davvero sleale.
E allora giochiamo in maniera sleale.
-Quando rispondi così, ti bacerei. Devi ammetterlo: sarebbe un interessante modo di farti stare zitta-.
Rimase spiazzata della mia risposta, ma questa sembrò innescare un’esplosione -E’... solo perché sono una ragazza?- il suo tono si alzò - Mi fai schifo, Altaïr... Se fossi un uomo faresti a pugni con me, vero? Guarda che ti anniento lo stesso! Avanti, vuoi provare?-  ma la sua voce aveva perso vigore: era spezzata, flebile, il cappuccio mi celava la sua faccia, e debolmente cercò di tirarmi un pugno.
Fu facile bloccarle il polso con una mano. Sapevo che qualcosa non andava.
E sapevo anche perché.
Il primo singhiozzo che le scosse le spalle fu solo un’inutile conferma.
Continuando a tenere salda la presa sul suo polso destro, la tirai vicino a me con un piccolo strattone.
Avevo scelto il momento peggiore per allontanarla. La beffa dopo il danno.
Non sapevo bene cosa stessi facendo, perché l’avessi avvicinata, perché la consolassi invece di restare al mio posto. La bugia che le avevo propinato mi privava di ogni diritto.
Ma ero spinto da un impulso del tutto naturale. Nessun gesto convenzionale. Nessuna premeditazione.
Era il senso di colpa. Il senso di colpa e qualcos’altro... Il dolore. Quello comune.
Le scostai il cappuccio dalla faccia e lo stesso feci al mio. Era importante che mi guardasse, per ricordarle che ero umano, come lei.
Che non compativo la sua sofferenza, ma che la capivo.

Vega piangeva, scuotendo la testa, cercava di trattenere i singhiozzi più forti.
-Vega... – la chiamai piano. Non rispose. Continuava a scuotere la testa, guardando per terra.
Le presi il mento con le dita, sussurrando il suo nome, feci forza finché il suo viso non fu davanti al mio.
Sentii il mio cuore sprofondare.
Grosse lacrime scivolavano giù dai suoi occhioni verdi, umidi e disperati.
Le guance erano rosse, si morse le labbra con i denti, per trattenersi ancora.
Fu il mio turno di scuotere la testa. –Non sei meno Assassina se piangi. Specie se per la morte di qualcuno che... ami- sospirai, neanche per me era facile parlare della morte del giovane Kadar –E soprattutto, non ti rendi meno coraggiosa o forte ai miei occhi, anzi... Credo tu sia la persona più forte che io abbia il piacere di conoscere- ed ero dannatamente sincero.
A quel punto, esplose.
-Kadar!- il suo urlo era straziante –Kadar! Perché? Kadar! KADAR!-.
Si aggrappava spasmodicamente alle mie spalle, come se cercasse di non scivolare in un burrone. Infilò la testa all’incavo del mio collo, con la faccia rivolta verso l’esterno, le ciocche rosse mi solleticavano la pelle del collo e le sue lacrime, scivolavano dalla spalliera per finire poi a bagnarmi la tunica.
-Perché, Altaïr? Perché lui...?- Non riuscì a finire la frase. Pianse ancora, singhiozzando, strinse più forte la presa, come se avesse bisogno di una prova che fossi lì, che non fosse sola.
Nella mia mente, la frase poteva avere un solo esito:

 “Perché lui... e non tu?”.

E sentii anch’io il bisogno di averla con me. Come se averla accanto in quello stato, vivere non solo con la colpa di aver ucciso un fratello, ma anche un amore, fosse la mia vera espiazione.
Ricambiando la presa, le infilai una mano tra i capelli, strinsi anche lì, e inspirai forte.
Vega profumava di buono. Di spezie dolci. Di cannella. E qualcosa di più.
-Mi dispiace Waqi, mi dispiace tanto...- sussurrai. Lei pianse ancora.
Non seppi fare altro che quello: Abbracciarla e tenerla saldamente legata a me.
Fu il Jahannam e il Janna
messi insieme. Averla tra le braccia così, aperta, fragile, sincera.... peccato che le mie membra fossero sporche del sangue per cui piangeva.
Era colpa mia. Era tutta colpa mia. E averle mentito, per poi consolarla, mi stava logorando l’anima.
Ma lo feci: Continuai a struggermi ogni volta che urlava il suo nome.

Perché lui... e non tu?




1) Phil Collins, a mio parere, è davvero un mago con le parole! Diciamo che i Genesis hanno sfornato due cantanti con i controfiocchi (l'altro è Peter Gabriel). Molto bene, inutile dilungarsi sul perché della canzone: Bugie, omissioni, senso di colpa... Descrivono le emozioni di Altair in piena regola! Mi soffermerei, invece, sull'ultima frase, che ho volutamente staccata dalla canzone, anche se ne fa parte: Quella prendetela come una parte che esprime i pensieri di Vega! Se riflettete sul suo potere, dopo aver letto il capitolo, capirete perché quella frase tanto aspra! :D

2)
Vuol dire: Grazie! (Ringrazio l'appendice di Khaled Hosseini nel "Cacciatore di Aquiloni" per i termini arabi che troverete in questo capitolo)

3) Piccolo excursus sulla fine dell'Ordine Templare: Come dissi già in una precedente nota, la Terza Crociata non fu, sebbene con tante armi e uomini, una delle più brillanti per i Cristiani, e già dall'epoca i Templari cominciarono ad "alzare un po' la cresta", così il papa Gregorio VIII, che aveva indetto la crociata, si lamentò molto del loro operato, anche se, in quanto "Cavalieri di Dio", non pensò mai di debellarli. Per la fine definitiva dobbiamo aspettare il re francese Filippo Il Bello che, indispettito appunto dalle ricchezze e dalla completa non-curanza che i Templari avevano verso le istituioni, fomentati dalla lotta tra potere temporale e spirituale, attraverso un duro processo durato due anni, decostituì definitivamente l'Ordine, nel 1314.

4) Kolcha e chai: I kolcha sono dei biscotti fatti in casa, il chai invece è il tipico the nero bevuto nelle zone arabe.

5) Homar: Sarebbe il nostro "asino" nel senso cattivo del termine, siate liberi di pensarlo come "idiota" e quant'altro!

6) Ecco, mi rendo conto che "Di serie B" possa essere un po' troppo attuale come modo di dire, ma ho pensato a ciò che disse Lucy a Desmond nel gioco, ovvero che l'Animus oltre a tradurre la lingua in maniera letterale, la rendeva anche più moderna! Quindi mi sono presa la libertà di rendere anche il mio animus così avanzato xD

7) Janna: Come credo si evinca, è il Paradiso islamico, che calza proprio a pennello con Assassin's Creed secondo me, perché il termine Janna viene dall'espressione ebraica che indica il Giardino dell'Eden.
Come funziona il Paradiso? Dopo la morte, l'anima verrà visitata da due angeli, Munkar e Nakir, e verrà sottoposta ad una specie di interrogatorio che verificherà la sua fede. Una volta fatto ciò, se risulterà credente, nel giorno del giudizio universale, salirà al paradiso, altrimenti resterà per sempre nella tomba (che è una prigione morale).
Allah può anche decidere di far accedere al paradiso un uomo di una religione diversa, se questi lo meritasse.





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Capitolo 10
*** 9. Digging in the Dirt (Parte 1) ***


Buon pomeriggio, lettori!
Scusate il piccolo ritardo, ma sono davvero oberata di qualsiasi tipo di impegno possa esistere su questa Terra!
Efp, "I'm with you" e voi siete il mio rifugio felice, ora come ora.
Dunque, capitolo non lunghissimo (perché frutto di una separazione) ma sufficientemente intenso. Ancora mi occupo un po' di Altair, ma dal prossimo capitolo la voce di Vega si farà sentire più forte che mai.
Ringrazio come sempre Illiana, O n i c e, Werepapers, Yukiko_Kitamura per le fantastiche recensioni e tutti i lettori silenziosi che seguono, ricordano e preferiscono la storia!
Ci vediamo sotto per le note!!

Buona lettura!

Cass

9. Digging In The Dirt(Parte 1)

Qualcosa in me, qualcosa di oscuro e pericoloso,
sta diventando sempre più pesante.
Non c'è modo in cui affrontare questo sentimento,
e non posso andare avanti così ancora a lungo.
Sto scavando nella sporcizia...
per trovare il posto in cui ti ho fatto male
.

Peter Gabriel - Digging in the dirt₁

 

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.


Avevo svolto, nel mercato vecchio di Acri, molte missioni da quando ero diventato un fida’i, ma non avevo mai avuto il piacere di venirci all’alba.
La piazzetta circolare era delimitata da piccole botteghe e bancarelle coperte ancora da teli bianchi, le strade di pietra scura erano appena scivolose, bagnate dell’umidità della notte, nella fontana centrale due piccoli uccelli cinguettavano, schizzando appena l’acqua con le ali.
A parte loro, io e Vega eravamo gli unici esseri viventi in zona.
-Forse il tuo amico non è riuscito a svegliarsi- commentò piattamente Vega.
Se avesse usato il suo solito tono allegro, avrei potuto ridere di quella scherzosa ipotesi.
Ma non c’era stata nessuna inflessione scherzosa.
Forse avrei perfino preferito una voce disperata, fioca, con una nota triste ben percepibile...
E invece c’era il nulla.
Non c’era nessuna emozione, nessun tono, nessuna espressione facciale, non aveva gesticolato, non sorrideva, non piangeva.
Era vuota.
 
Ieri sera aveva continuato a piangere per qualche altro minuto, mi aveva stretto, a volte quasi con rabbia, mi aveva conficcato le unghie nella braccia, si era protesa con la faccia verso il mio collo, provocandomi brividi per le lacrime fredde, mugugnava alle mie carezze.
Ma poi aveva smesso.
Così, all’improvviso. Come se non le avessi mai detto nulla.
Si allontanò piano da me, mettendomi le mani sulle spalle e spingendo.
Poi mi aveva guardato... E quasi mi sembrò che sapesse tutto.

-Mi è sembrato un tipo affidabile- fu tutto quello che riuscii a rispondere, girandomi appena verso di lei, che si era andata ad accomodare su una bancarella, le gambe che penzolavano.
-Se lo dici tu...- fece spallucce, ma il viso restò fermo, gli occhi impassibili.
Evitai di sospirare per non farle notare il mio disagio: Era evidente che quello fosse il suo modo di reagire alla notizia e di schermirsi dal dolore, non potevo di certo fargliene una colpa.
Il tassello che aveva causato quell’effetto domino incessante non ero io, alla fine?
Se non fossi stato così arrogante, se Kadar non fosse morto, se Malik non avesse perso un braccio e un fratello, se non avessi perso la fiducia dell'Ordine, Al Mualim non l'avrebbe richiamata dalla Cina per assistermi e probabilmente, quando fosse tornata, avrebbe semplicemente coronato la sua vita con il giovane Assassino...
Ma era successo. Vega era qui, con me e non con Kadar.
Quasi mi disgustai per quella piccolissima parte di me che gioiva della possibilità di averla conosciuta, nonostante tutto. Come se in qualche modo tutto fosse successo solo per arrivare a lei...

Scossi la testa per cacciare quei pensieri funesti e per distrarmi, presi dalla bisaccia la pergamena rubata ai templari per studiarla.
Nuovamente. 

Non avevo fatto altro in quella notte insonne.

Avevo studiato ogni parola, tradotto i francesismi che mi sfuggivano, cercando, tra i documenti del Rafiq, quali tra i nomi scritti potesse essere l’uomo che aveva letto il manoscritto, il “braccio destro” di Di Sable.
Alcune descrizioni fisiche e caratteriali, nonché l’elevato rango templare, mi avevano portato ad Armand Bouchart₂, stanziato a Cipro.
Ma era stato inevitabile pensare a Vega prima, dopo e durante quelle ricerche.

Alla Dimora eravamo arrivati piano, senza cappucci indossati. Camminavamo tranquillamente per le strade, come se non fossimo che due cittadini nottambuli, contavamo sulla scarsa luce della notte per non farci individuare.
Gli arcieri templari non erano granché efficaci, una gran parte di loro sonnecchiava, seduta sui tetti o appoggiata ad una qualche parete, gli altri parlavano tra di loro; i soldati a terra erano o molto ubriachi o “impegnati” con donne in qualche vicolo.
Fu, in tutti i sensi, una passeggiata.
Forse, in un’altra situazione, sarebbe stato persino piacevole passeggiare con Vega, parlare con lei delle futili cose di cui gli amici  parlano. Magari mi avrebbe detto della Cina. Io le avrei raccontato aneddoti buffi sul Al Mualim o di quando ero un giovane adepto.
Ma non c’era stata nessuna chiacchiera.
Non c’era stato niente.
Entrati nella dimora, sempre senza rivolgere una parola né a me né al Rafiq, Vega si era diretta nell’altra stanza e si sentirono i piccoli tonfi della spada che veniva poggiata a terra, del cinturone che, appena slacciato, cadeva inerme...
Bastò un mio sguardo affinché il Rafiq capisse tutto, mi guardò con compassione, scuotendo il capo, come se si fosse aspettato questo momento.
Il breve fruscio della veste che Vega si toglieva era più assordante di qualsiasi altro rumore, perché qualcosa non andava, perché quella non era lei.

 Perché quando Vega si spogliava era rumorosa: lanciava gli avambracci da un lato e la spada corta dall’altro, si sfilava gli stivali con i talloni, zampettando per la stanza in maniera ridicola, faceva cadere la spada direttamente dal fianco, incurante del tonfo.

Ma lei non c’era. Non c’era niente.

-Il Rafiq mi ha detto che hai svolto delle ricerche. Scoperto qualcosa di utile?- chiese senza inflessione, solo l’urgenza di finire quella missione sembrava costringerla a parlarmi.
Poggiò il mento sulle mani congiunte, in attesa.
-Sì- risposi laconico –L’uomo che ha letto il manoscritto... credo si tratti di Armand Bouchart, inferiore di grado solo a Di Sable-. Non dissi null’altro, appoggiando la schiena alla parete, stringendo le labbra. Non mi sentivo di voler  davvero tentare di abbattere quel muro che aveva eretto fra me e lei, o forse tra lei e il mondo.
Non potevo “disperarmi” ulteriormente: Il danno era fatto e quel piccolo dramma si sarebbe concluso definitivamente quando Vega avesse scoperto la verità, inutile cercare di farla stare meglio per poi rigettarla nell’abisso.
Meglio mantenere le distanze. Inutile rischiare.
All’improvviso, allo sbocco di un vicolo, cominciarono a distinguersi due sagome distinte camminare verso di noi, anche Vega le scorse e, scendendo con un balzo dalla bancarella, si avvicinò a me.
Da quella visione mi sentii quasi tradito -Ha portato rinforzi?- sibilai, pronto ad una eventuale imboscata. La mia mano corse immediatamente all’elsa della spada, mi guardai intorno.
-Avevi detto che ci sarebbe stato un secondo Assassino con te, forse ha ritenuto giusto portare anche lui un compagno- mormorò Vega con tono piatto, la cosa non le importava, ma era comunque in posizione d’attacco.
Dalla postura, sembrava preferire la spada corta.

La guardai perplesso –Quando ti ho detto...?- la mia voce era stralunata, non le avevo raccontato i dettagli della mia conversazione con Abbas... come poteva saperlo?!
Il suo potere era così... ingiusto!
Si morse le labbra per la gaffe, stirando le guance rosse per l’imbarazzo, e fu forse il primo gesto umano che vidi da parte sue dalla sera precedente.
Fu tanto stupido e intenso il modo in cui mi sentii sollevato che stavo quasi per dirglielo ad alta voce, ma lei non mi prestava più attenzione: Si sollevò dalla posizione d’attacco, gli occhi attentissimi puntati saldamente sulla coppia che arrivava.
-E’... la sua famiglia!- la sua voce finalmente si ammorbidii.
Mi girai verso il vicolo e vidi Abbas, il grande arco sulla schiena, che scortava circospetto una bellissima fanciulla dai capelli scuri, con in mano un fagottino di bende azzurre.
Sì, la sua famiglia.
Ero indeciso se avere uno sguardo di ammonimento per l’imprudenza da lui compiuta o lasciarmi prendere dalla tenera visione di quel trio.
Quando ci furono vicini, sicuramente avevo optato per la prima faccia.
-Ti domando scusa, fidāʾī
!- disse il giovane, sempre circospetto –Ma anche loro vengono con noi alla base!- e rivolse uno sguardo amorevole alla donna.
Solo ora che lo notavo, la ragazza vestiva maschile e, come Abbas, aveva l’arco e la faretra sulle spalle, oltre alla piccola spada (sicuramente leggera) che le pendeva al fianco.
Certo, mi dissi, una Resistenza comprende tutti i cittadini. Guardai la mia compagna di sfuggita.
Lei tirò giù il cappuccio con una mano, mostrando un timido sorriso alla giovane madre, forse per rassicurarla o forse perché Vega non camuffava i sentimenti, anzi, li valorizzava.
Ovviamente, mostrò così di essere una donna,  Abbas rimase stupito, ma neanche tanto –Non sapevo che anche gli Assassini... Sarai una macchina da guerra!- esclamò e, come se conoscesse Vega da secoli, le aveva dato del tu.
Lei non sembrò offesa, anzi, scoppiò a ridere, ma era solo un’eco lontana della sua vera risata squillante, cristallina, per me fu angosciante sentirla ridere a quel modo. La sentii morta.

La mia Vega era morta.

-Te ne darò dimostrazione sul campo, spero aiutandoti, Abbas- fece un piccolo inchino che suscito l’ilarità della coppia.
 - Siete bellissima, Sayyidà
t, Abbas è un uomo fortunato, oltre ad un promettente guerriero- dissi io, a quel punto. 
Abbas e la sua consorte si scambiarono uno sguardo addolorato e subito mi pentii di aver parlato: perché se Vega faceva la gentile andava tutto bene e se invece ci provavo andava tutto storto?! Era una maledizione!
La donna, prendendo meglio il fagottino, guardò sia me che Waqi prima di parlare –La mia storia e quella di Abbas sono strettamente collegate ma anche complicate!- sospirò – Ma credo sia meglio parlarne alle base! Tutti sono in fermento per la vostra apparizione!-.
Al segno affermativo di entrambi, cominciarono a muoversi, a noi non restò che seguirli.
Non appena si ritrovò accanto a me, Vega tornò immediatamente vuota.

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.

La base della Resistenza era un’insieme di stanze e corridoi sotterranei, illuminati da fiaccole appese alle pareti.

 Abbas ci spiegò che gli uomini che erano venuti tre generazioni prima di lui, le avevano trovate per caso, per il crollo di un pavimento, e nello stato che ancora oggi avevano.
Avevano ipotizzato che fosse una delle prime stratificazioni di Acri, anche perché sulle pareti vi erano ogni tipo di affreschi, forme geometriche, linee che si incastravano l’un l’altra fino a formare incomprensibili disegni, intagliati con una tale precisione che non potevano che far pensare che la zona prima fosse abitata.
Era diventata la loro base (e la loro casa) da quando i Templari avevano dato fuoco alla maggior parte delle case del distretto povero.
-Ci arrangiamo come possiamo- disse la donna –Ma di certo, ora come ora, non c’è posto più sicuro di questo per il popolo- la sua voce era davvero intensa e profonda, aveva un che di ammagliante. Era una voce di una donna adulta, possente e sensuale.
Si percepiva chiaramente la differenza tra quella voce e quella di Waqi, molto più infantile, squillante, limpida. 
Come lei.

Man mano che percorrevamo i vicoletti di quella città sotterranea, una brusio di voci si faceva sempre più insistente, avvertendoci che la parte abitata era sempre più vicina.
-Come fate ad approvvigionarvi?- chiese Vega, portandosi vicina alla donna, con evidente curiosità nella voce.
-La maggior parte di noi ha ancora di cui lavorare- spiegò Abbas – Manovali, contadini... con quel che guadagniamo compriamo tutto per tutti, per il resto abbiamo colture di sussistenza! Le donne troppo anziane cucinano e ci tessono vestiti, tutti gli altri sono addestrati a combattere- ghignò, come se pensasse a qualcosa che lo rendesse fiero –Abbiamo un esperto in materia che ci insegna...-.
-Bashir, suppongo- lo interruppe Vega, già con un sorrisetto sulle labbra, per la reazione prevedibile dei due, che si girarono sorpresi verso di lei.
-Come...?-bofonchiò confusa la donna, portandosi una mano alla bocca, il ragazzo invece era immobile come una statua, con un’espressione inebetita sul volto -Siete ovunque!-.
Vega alzò le mani –Lo conosco personalmente, nulla di più- e mi lanciò un’occhiata di sottecchi, non capì bene se per dirmi che davvero non aveva usato il suo potere o per intimarmi di tacere su quest’ultimo.
Riprendemmo a camminare, con passo affrettato.
Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.





1)
Questa fantastica canzone descrive e descriverà anche nel prossimo capitolo i sentimenti dei nostri protagonisti, questa prima parte è dedicata ad Altair.
La cosa oscura e pericolosa che lo opprime è ovviamente il senso di colpa, costante ormai dei suoi pensieri e non riesce a scendere a patti con quello che ha fatto, e se mai avete fatto qualcosa di sbagliato, sapete quanto possa essere difficile sopportare la propria colpa... Specie poi se siete orgogliosi come lui!
Questo sarà il moto che lo farà avvicinare a Vega più di prima, perché inconsapevolmente, cercherà di farsi perdonare, inutile che si racconti balle ciniche sul fatto che non voglia risolvere con lei!

2) Armand Bouchart = Se avete giocato ad "Assassin's Creed: Bloodlines" saprete già chi è costui, ma non volendo fare spoiler o annoiarvi con una ripetizione del gioco, vi dirò della persona storica!
Nel 1192 Armand fu stanziato a Cipro dallo stesso Di Sable che, chiamato a combattere con il grande dell'esercito in Terrasanta, lasciò lui una manipolo di circa trenta soldati. Che si comportarono un po' come i famosi Trenta Tiranni Spartani... spadroneggiavano ovunque, maltrattavano i Ciprioti e per questo inosorse.
I Templari fecero strage, ma subirono comunque ingenti danni: Bouchart allora scrisse a Di Sable che, per l'utilità dell'isola, era inutile continuare ad occuparsene, ma se invece avesse davvero voluto che restassero lì, avrebbe dovuto mandargli altri uomini.
Si decise così di vendere l'isola a Guido di Lusignano e da qui potremmo ricollegarci a Bloodlines, e all'archivio templare che viene pian piano svuotato.

3)
Sayyidàt= Vuol dire donna, nel senso di Signora, diciamo con rispetto!




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Capitolo 11
*** 10. Digging in The Dirt (Parte 2) ***


Capitolo 10 Im with you

Buon pomeriggio, lettori!
Come state? Spero che almeno voi stiate bene, perché io sono in piena "crisi esistenziale" ahahahahah!
Credo che tutti i protagonisti, anche quelli marginali, ne risentiranno... 
Ma passiamo alle cose serie:
Questo capitolo è incentrato molto sulla resistenza e poco, ma intensamente, sul primo "avvicinamento" tra Vega e Altair.
Nonostante quello che mi ero ripromessa, Altair (da bravo prepotente qual è) ha nuovamente invaso il campo, ma Vega, con poche frasi, lancia messaggi chiarissimi.
Eppure credo che la citazione spieghi bene i suoi pensieri, ma nel caso non basti, ho provveduto con qualche noticina! ;)
Come di consueto ringrazio Illiana, O n i c e, Werepapers e i lettori silenziosi che seguono, ricordano e preferiscono la storia!

Buona lettura
Cass

10. Digging In the Dirt (parte 2)




Questa volta hai esagerato e te l’ho detto.
Io so quello che sei!
Non dire niente e non voltarti... Dico davvero.
Ma sto scavando nella sporcizia...
Resta con me, ho bisogno di supporto.
Sto scavando nella sporcizia...
Per trovare il posto in cui mi hai fatto male.
Per trovare il posto in cui ci siamo fatti male.

Peter Gabriel – Digging in the Dirt



- Sabah el kheer, Pel di Carota. Sembrano passati anni...- esordì un tale, sarcasticamente, alzando le braccia al cielo quando vide me e Vega avanzare con i cappucci abbassati che lasciavano la nostra identità alla mercé di chiunque.
Rimasi stupito dell'epiteto, ma nascosi bene quel sentimento. Waqi aveva già esplicitato che conosceva qualcuno all’interno della resistenza, eppure mi ero aspettato qualcosa di più amichevole.
C’era una nota astiosa repressa a fatica nel tono dell’uomo, una nota che sapeva di un antico e insanabile risentimento, una nota irosa che risuonava anche nell’espressione della ragazza.
-E’ perché ne sono passati davvero parecchi, Bashir. Spero che il tuo cervello sia cresciuto quanto il tuo corpo!- rispose Vega, fintamente bonaria, poggiandosi una mano sulla guancia con fare contemplativo – Non mi deludere!- finì, ghignando.
Bashir scoppiò in una risata tuonante per le parole dell’Assassina, poi finalmente degno anche me di attenzioni. Sembrò ancora più sarcasticamente sorpreso –Non mi dire che quello è il Cocco di Al Mualim?!- rise ancora –
Altaïr! Non ti ricordi?-.
Il mio mutismo parlò per me.
Vega si girò a guardarmi, stupita, come se avesse collegato solo ora dei pezzi importanti di un puzzle che ancore le sfuggivano, poi si morse il labbro, come per l’imbarazzo di avermi nuovamente degnato di attenzioni.
-Pare di no- concluse Bashir per il sottoscritto. La cosa non sembrò sfiorarlo, batté le mani vicino al petto, per chiudere quel discorso, e riprese un tono vagamente più tranquillo –Parliamo di cose interessanti. Cosa vi porta qui ad Acri, Assassini?-.
Abbas si fece avanti, la donna invece si era ritirata in un’altra stanza col bambino, e illustrò come lo avevo salvato e che proponevamo un accordo per la cacciata dei Templari.
Bashir soppesò ogni parola del giovane, alternando brevi ma intense occhiate nei nostri confronti a piccoli sospiri rassegnati. Sembrava non voler impicciarsi con gli Assassini, ma evidentemente riconosceva quanto aiuto avremmo portato alla sua causa... D’altronde, se davvero conosceva l’Ordine, sapeva che potevamo essere i migliori alleati del mondo finché gli interessi coincidevano.
Incrociai le braccia al petto, con un ghigno sardonico sul volto, per evidenziare quanto importanti fossimo.
Vega alzò gli occhi al cielo, schioccando la lingua, per farmi intendere quanto quel mio pavoneggiarmi la infastidisse, e si infilò una mano trai capelli, più che per sistemarli, per scompigliarli. Le guance ancora rosse.
Come sempre, non riuscii a spiegarmi il perché dei suoi gesti, delle sue espressioni, dei suoi imbarazzi...
-E’ così, dunque?- chiese Bashir, distraendomi dalle mie elucubrazioni –So che i Templari non brillano per virtù, specie agli occhi degli Assassini, ma ora sono relativamente tranquilli. Cosa vuole davvero il Vecchio?
- ghignò.
Camminò verso di noi, una mano al mento, per assumere una posa pensierosa, e la cosa mi fece imbestialire.
Ogni suo gesto sputava tracotanza e pienezza di sé, il passo lento e lungo, le spalle dritte e il mento alzato, gli occhi assottigliati e quel sopracciglio alzato...
- Al Mualim non sarà un problema- disse lei soltanto, fece spallucce, con una convincente espressione di nonchalance –Non dobbiamo necessariamente raccontare tutto. Saremo... rispettosi!- mi guardò storto, per spingermi a sostenerla.
Riportai il mio sguardo su Bashir e assunsi un tono freddo e calcolato, una persona del genere andava un po’ tramortita – Se il vostro obiettivo è ancora la cacciata dei Templari, coincide perfettamente col nostro e all’Ordine non servono altre motivazioni- mi avvicinai di un passo, lo sovrastavo di qualche centimetro –Se gli Assassini non faranno domande, non vedo perché ne debba fare tu...- toccai la mia spada con un dito – D’altronde, i soldati qui mi sembrano già tutti molto preparati, se non vorrai il nostro aiuto, non sarà una grande perdita per nessuno la tua... chiamiamola “assenza”. Non trovi che il discorso fili alla perfezione?-.
Bashir si sforzò di non abbassare lo sguardo anzi, continuò a sostenerlo con sfida, ma il suo pomo d’Adamo era sobbalzato, evidente che la mia minaccia era andata a buon termine.
Gli feci un bieco sorriso –Sarà un piacere lavorare con te- conclusi, visto il suo prolungato silenzio e tornai al fianco di Vega che a stento si tratteneva dal battere le mani per la mia performance.
Fui contento che, almeno sul lavoro, ci fosse ancora sintonia.
Bashir ci invitò in una saletta adiacente a quella in cui ci trovavamo, dove vigeva solitario un tavolo basso e una quantità considerevole di cuscini colorati: la stanza profumava di incensi e di oppiacei, oltre che delle tipiche pietanze speziate arabe.
Intuii che fosse una sala per le riunioni strategiche.

Iniziazione Imprint Mnemonico

-Aspettatemi qui, vado a chiamare gli altri- enunciò rigido Bashir prima di uscire dalla porta dalla quale eravamo appena entrati.
Vega non se ne curò più di tanto, si guardava intorno, curiosa, tastando la morbidezza dei cuscini, inspirando profondamente per riconoscere bene ogni elemento di quella mistura di sapori, poi poggiò l’indice su un muro dove erano presenti gli stessi disegni geometrici del corridoio che ci aveva condotto fin qui: Seguì perfettamente la linea fino al centro di un cerchio, e un rapidissimo raggio azzurro ripercorse il percorso da lei tracciato.
La strattonai via prima che il bagliore la raggiungesse, ma la luce si spense immediatamente, come se l’assenza di contatto l’avesse fatta morire; Vega si girò stranita verso di me –Che cosa...?- mormorò, cercando nei miei occhi una risposta, ma la mia espressione (e la mia perplessità) erano eco delle sue.
-Dovrei essere io a farti questa domanda!- la rimproverai cautamente –Sai, ancora non ho dimenticato il disegno della Cattedrale, o il tuo svenimento o perché certe volte sai meglio di me i fatti miei...- aggrottai le sopracciglia, stringendo le labbra. Ancora le tenevo stretto il braccio, la stoffa della tunica era leggerissima e sembrava quasi di toccare direttamente la sua pelle.
La sensazione più immediata fu una: Era fredda.
Era un dettaglio in netto contrasto con ogni aspetto di Vega: il suo focoso carattere, i capelli ramati, le guance spesso rosse...  Ma la pelle di Vega era fredda. Come se fosse di porcellana.
Il secondo dettaglio fu la compresenza di tonicità e morbidezza: Che i suoi muscoli fossero pronunciati non era una sorpresa, d’altronde il duro allenamento da Assassino l’aveva ricevuto anche lei. La vera sorpresa era che questa possente muscolatura non l’aveva privata della morbida rotondità tipica delle ragazze della sua... Beh, in realtà non sapevo quanti anni avesse, ma, ai miei occhi, era una ragazzina.
Fortunatamente ignara dei miei pensieri, si morse ancora il labbro, come sempre faceva quando era imbarazzata e io, per qualche motivo ancora oscuro, la trovai irresistibile, come quando faceva qualsiasi cosa.
-
Altaïr, quelle sono cose spiegabili... Ma questo...- scosse la testa, ancora incredula rispetto a ciò che era appena successo –Perché non provi anche tu?-.
La guardai stranito, ma lei prontamente mi fece notare che anche io avevo le mie stranezze e che dovevamo anche iniziare a preoccuparci dei discendenti di “Coloro che vennero prima”, come i Templari avevano detto.
-Sul serio credi che si tratti di noi?- annaspai istericamente, l’ipotesi mi avrebbe divertito, in un altro contesto, ma quello che sapevo fare non poteva essere considerato “normale” –Aaah, non rispondere nemmeno- borbottai e, dopo averle (finalmente, dedussi dalla sua espressione) lasciato il braccio, strisciai anche il mio dito sulla linea dove precedentemente l’aveva fatto lei.
Accadde la stessa identica cosa.
-Altro che prima stratificazione di Acri, questa struttura risale a... chissà quanti anni fa e apparteneva a loro!- affermò lei, strabiliata –Chissà a cosa serviva...-.
Io ero decisamente troppo sconvolto per dire alcunché, infatti ringraziai mentalmente qualsiasi dio ci fosse lassù, per l’arrivo di Bashir e dei suoi uomini.
Vega mi toccò il braccio, guardandomi perentoria “Ne riparliamo, sai?”.
Non mi sorpresi nemmeno di aver constatato che poteva anche parlarmi nella testa.
C’era, a questo punto, qualcosa che Waqi non sapesse fare?

-Bene,
Hashashīn, prima di mettervi al corrente dei nostri piani, mi sembra giusto capire cosa ci costerà il vostro aiuto- Bashir cominciò così la riunione. Mi guardai intorno, con lui erano arrivati altri cinque uomini, tra cui Abbas, e tutti erano ancora storditi e disattenti, come se fossero stati svegliati bruscamente.
Considerando che eravamo in piena alba, poteva davvero essere così.
-Non vogliamo ricompense monetarie o condividere i bottini che conseguiranno alle battaglie- esordii io, dissipando qualsiasi preoccupazione avesse colto Bashir.
- Vogliamo che voi siate le nostre orecchie, che possiate darci informazioni su Di Sable e su un certo documento di cui è in possesso- continuò Vega che, seduta su un cuscino accanto a me, con le braccia incrociate, si era rialzata il cappuccio non appena erano entrati gli altri.
La sua voce sembrò attirare l’attenzione di tutti. Alcuni si scambiarono discrete gomitate, altri sguardi divertiti, e quasi tutti cercarono di scorgere il viso della giovane Assassina.
Capii perché Vega si fosse coperta il volto. Infastidivano addirittura me gli sguardi indiscreti che rivolgevano a quel poco di viso che era visibile o, e questo mi mandava ancora più in bestia, al suo corpo.
Lanciai uno sguardo minaccioso a tutti e dal mio petto uscì un rumore gutturale, simile ad un ringhio, che rimise i quattro a loro posto.
Abbas mi lanciò una piccola occhiata di scuse mentre Bashir semplicemente glissò su tutta questa pantomima e questo me lo fece apprezzare profondamente.
- Possibile? Solitamente non avete bisogno di aiuto in queste cose. Siete ovunque!- ed ecco un altro che metteva in evidenza la stranezze di Al Mualim.
Scossi la testa –Siamo un po’ carenti di... personale- fu tutti quello che dissi, parve accettare quella mezza spiegazione.
-Ah e vorremmo che ci informaste un po’ riguardo certe leggende che circolano ad Acri e che ci lasciate condurre studi su questo posto!- intervenne Vega –Non vi disturberemo, però solitamente siamo a conoscenza di gallerie e sotterranei. E sono sicura che non sarete più costretti a vivere qui dopo che ci saremo occupati dei Templari, quindi non userete più questo posto- si sporse appena per mostrare un sorriso rassicurante. Fu inevitabile che una gran parte di viso fosse esposta.
Di nuovo, quegli animali si guardarono l’un l’altro, facendo piccoli gesti di apprezzamento e espressioni poco raccomandabili.
Tutti sussultarono, spaventati, al forte schiocco del mio pugno sul tavolo, anche Vega.
Ma lei era più stupita del fatto che l’avessi difesa che del gesto stesso, era evidente, ma ignorai il suo sguardo indagatore, percepibile anche se indossava il cappuccio.
-La vostra proposta è stranamente e improbabilmente vantaggiosa, ma se c’è qualcosa di positivo che si dice di voi, è che manteniate sempre la parola data. Per cui, accettiamo- esclamò Bashir, poi si girò e prese da una bisaccia varie pergamene e le dispose una accanto all’altra sul tavolo: erano quattro fogli.
-Cosa sono?- mi anticipò la mia compagna, prendendone uno in mano.
-Nonostante siamo addestrati e armati, sappiamo benissimo che sarebbe impossibile sconfiggere i Templari in uno scontro frontale. Così, abbiamo deciso di creare un piccolo stratagemma. La mappa che hai in mano rappresenta Acri e i punti segnati in rosso sono le uscite da qui che per ora conosciamo...-.
Vega condivise la visione del foglio con me –E’ una struttura parecchio estesa, ci sono sbocchi anche all’esterno della città!- constatai.
Bashir annuì –E’ così che ci muoviamo senza destare sospetti. E, a proposito dello sbocco fuori città, da in una struttura molto grande, ormai abbandonata ma in stato accettabile. Abbiamo fatto credere ai Templari di essere stanziati lì- prese un secondo foglio e ce lo porse –E’ una finta lettera che abbiamo fatto intercettare da un Templare, un certo...-
-Cassim- lo rimbeccò qualcuno.
Io e Vega ci scambiammo uno sguardo.
-Sì, ecco- concordò –Cassim ha messo in allerta l’Ordine Templare, ed è stato elevato di rango. Era abbastanza prevedibile – prese un altro foglio – Un rapporto rubato proprio a lui, dove si parla dei preparativi dell’attacco che si svolgerà da qui a due settimane- concluse soddisfatto.
-Perché vuoi sfidarli apertamente? Hai appena detto...- mormorò confusa Vega.
Bashir soppesò le parole, consapevole che il suo era un piano rischioso –In realtà contiamo molto sull’effetto sorpresa. Vogliamo alleggerire le loro file e, possibilmente in fretta, sferrare un attacco al loro forte. Non appena avvenuto ciò, le schiere di Salah ad-Din ne approfitteranno per scacciarli definitivamente- ci mostrò il foglio dove un capitano dell’esercito del Saladino informava delle loro intenzioni -Quindi? Che ve ne pare?-.
-Mi piace- esultò Vega.
- Ci sto- confermai.

Avanzamento rapido ad ricordo più recente.


-Sei il più bel mistero che mi sia mai capitato di dover risolvere...- dissi soffice, avvicinandomi a lei.
Vega era seduta, una gamba dentro e una fuori, sulla finestra della nostra stanza nella struttura-trappola per i Templari.
Bashir aveva stanziato qui i guerrieri più valorosi perché era sicuro che i Templari avrebbero mandato qualche sentinella a controllare e abitare qui era fondamentale per salvare le apparenze.
Non sapevo bene perché la stessi stuzzicando: Sapevo che mi piaceva infastidirla (come avevo fatto per la questione del bacio nel vicolo), mi piaceva metterla in imbarazzo e vederla glissare raffinatamente sulla sua timidezza, mascherandola con quella pungente ironia; ma quello che non sapevo era perché lo stessi facendo in quel momento, dopo quello che le avevo fatto e dopo che mi ero ripromesso di essere coerente e di autopunirmi per averle mentito.
Forse perché cercavo di espiare la mia colpa in un altro modo, in un modo che non fosse la separazione. Insomma, un modo che fosse meno doloroso per il sottoscritto:
Mostrandole che sapevo essere diverso,  mostrandole che ero un uomo ben diverso.
O forse le restavo accanto perché ero egoista, un maledetto ed avido egoista.
Questa era l’ipotesi più accreditata, poiché avevo mentito affinché lei rimanesse con me a tutti i costi, perché avevo bisogno di essere solo Altaï
r, e ci riuscivo solo specchiandomi in quei maledetti occhioni verdi.
La volevo accanto perché io avevo bisogno di Vega,  in un modo bruciante e devastante, come se non ci fosse che lei sola, nella mia esistenza.
Lei e i suoi piccoli gesti, lei e le sue espressioni, lei e i suoi piccoli misteri, lei e i suoi sorrisi, lei e le sue lacrime.
Come se mi avesse annientato, svuotato.
A quelle parole, Vega prese fuoco, in tutti i sensi.
Il volto assunse un preoccupante color cremisi, gli occhi fiammeggiavano e il suo corpo quasi vibrava per la rabbia che le era esplosa dentro, il pugno stretto, che fremeva... che reclamava la mia faccia.
La guardai con sguardo ammonitore –Ti sembra il momento per una scazzottata?- sussurrai suadente, alzando un sopracciglio, sempre con un mezzo ghigno –Potresti cadere e farti male- le ricordai.
La sua bocca si spalancò, per la sorpresa e per l’ingiustizia; sembrava avere voglia di sbattere i piedi per terra come una bambina – Vogliamo parlare della tua tempistica?!- sussurrò soffocandosi per la collera repressa.
Risi appena, ma lei riprese subito il controllo, guardandomi stranamente, come se mi vedesse per la prima volta o, meglio, come se avesse finalmente recepito le mie parole.
-Altaïr...- sussurrò, sembrò avvilita –Io...- si interruppe di nuovo, lanciando un sguardo fuori dalla finestra, le braccia le ricadevano ai fianchi, come se non avesse la forza di sostenerle –Io sono sempre sincera e se mento, lo faccio sempre a fin di bene- puntualizzò, la voce molto esile.
-Puoi fidarti di me?- la mia voleva essere un’affermazione, perché volevo aiutarla, perché era il minimo che potessi fare (inutile che mi raccontassi balle ciniche sul non voler risolvere le cose con lei₅), ma alla fine era diventata una domanda.
Sapevo benissimo che ero stato egoista, e che continuare a stare con lei senza dirle la verità era un gesto ancora più egoista.
Sapevo che in lei c’era qualcosa che l’avrebbe fatta scavare più in fondo anche del sottoscritto.
- Io so quello che sei- rispose, sempre guardando il sole, che era ancora una palla dalla fioca luce in lontananza. Vidi la sua guancia tendersi, come in un sorriso.
  Appunto.





1) Come vi avevo anticipato, sarebbe stata la stessa canzone che ha descritto la situazione di Altair a descrivere quella di Vega. Sono sicura che qualcuno non sarà soddisfatto della reazione di Vega che è.... diciamo.... pacata!
Vorrei fare due appunti:
- Come sempre mi avete ribasito nelle ultime recensioni, è molto probabile che Vega abbia visto ciò che davvero è successo. Perfetto, potrebbe essere una delle possibili pieghe della storia... Ma se avesse visto cosa davvero era successo quel giorno al Tempio di Salamone, non è possibile che lei abbia visto anche quante sofferenze ha patito Altair e il suo cambiamento?
Io so quello che sei.
- Però, come spesso vi ho ribadito io, Vega è rispettosa, MOLTO rispettosa degli altrui pensieri. E se semplicemente non avesse visto nulla? Se ha preso la versione che Altair le ha fornito per buona? E lo avesse allontanato solo perché è distrutta? E se, per reagire alla morte di Kadar avesse bisogno di conforto e Altair è l'unico (materialmente) che può darglielo?
Resta vicino a me, ho bisogno di supporto.


2)
 Sabah el kheer : E' un saluto arabo che corrisponde al nostro "Buongiorno". In verità, non ero sicurissima di questa scelta, in quanto il saluto più usato è Salâm 'al-leyykum, specialmente se non ci si vede da molto o magari in incontri "formali" e questo incontro risponde sicuramente ad entrambe le catgorie.
Mi permetto un piccolo excursus su "Pel di Carota": Francamente non ricordo bene l'origine di questo epiteto (lasciate stare il famoso cartoon, pensavo ad una vera etimologia geografica) così mi sono presa la licenza poetica di inserirlo.

3) Immagino che siate curiose di sapere come faccia questo Bashir a conoscere bene l'Ordine, Al Mualim, Vega e lo stesso Altair (che invece non ne ha memoria). L'unico indizio che posso lasciarvi è che sicuramente solo un assassino conosce davvero la Confraternita....
Ma non vi lascerò scontente a lungo! Sto appunto per pubblicare il secondo Missing moments sulla storia!

4) Ecco, non so se ve lo siate mai chiesto, ma credo che l'Animus registrasse nel database solo gli avvenimenti che interessavano l'Abstergo e non tutte le vicende che servivano ad arrivarci: Ora, non mi è mai capitato di veder scritto qualcosa tipo "Termine Imprint mnemonico" (anche perché è da un po' che non tocco AC) e quindi, in teoria da questo punto in poi si registrano anche cose non utili all'Abstergo: Lo preciso per non perdere attendibilità rispetto al gioco.

5) Se avete letto le mie note nel precedente capitolo, saprete già di chi è questa frase! Per chi non se lo ricordasse... E' mia! xD
Sappiamo tutti che il nostro Mentore, sentimentalmente, è quel tipo di persona che non dice mai nulla, ma che dimostra tutto (anche un po' bruscamente) con i gesti. Lungi dal volermi allontanare da questo carattere (anche se, effettivamente, lo sto facendo parlare abbastanza) ho ipotizzato che, interiormente, lui non fosse molto consapevole di ciò che provava.
Un po' per sfiducia nei sentimenti umani (come ho già scritto in un capitolo, i suoi trascorsi affettivi non sono dei più rosei) e un po' per sfiducia in sé stesso e sulla sua capacità di amare "normalmente" qualcuno.
Vega, invece, è l'esatto opposto: A volte vorrebbe che la sua bontà e voglia di amare sparisse, specie se poi la porteranno a stare insieme all'omicida di Kadar... Coff coff (Qui lo dico e qui lo nego!)


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Capitolo 12
*** 11. Go Your Own Way ***


Buongiorno lettori!
Scusate il ritardo, ma oggi sono largamente giustificata: Ieri ho passato dieci ore in autobus per andare in Sicilia! Ho provato ad aggiornare mentre ero sull'autobus, ma internet andava un po' alla cacchio...
Così, eccomi! xD
Capitolo interessante, a mio parere, specie la parte finale... Oh, è c'è una sorpresa per le mie accanite recensitrici, Illiana e O n i c e! Spero vi piaccia^^
Il solito grazie a tutti voi che preferite, ricordate e seguite la storia e a tutti i miei recensitori: Le due sopracitate e Werepapers e Yukiko_Kitamura! Vi adoro!

Buona lettura
Cass

11. Go your own way...

Amarti...
E' la cosa giusta da fare?
Se non lo fosse...
Come potrei cambiare i miei sentimenti?
Se potessi, forse ti darei la mia vita.
Ma come posso donartela,
quando sei tu stessa a non volerla?

Fleetwood Mac- Go your own way

-Sembra che sia nata per fare questo, vero?-.
Guardai Bashir con un cipiglio sarcastico: Quell’affermazione non me la sarei mai aspettata da lui, specie nei confronti di Vega.
Era passata una settimana dal nostro ingresso nella struttura segreta della Resistenza e i giorni scorrevano, più o meno, tranquilli. Abbas aveva proposto di integrarci nell’addestramento in vista della battaglia, dichiarando che avremmo potuto insegnare molto e, forse, imparare qualcosa.
Vega si era mostrata entusiasta dell’idea, specie quando si parlò di creare una fitta schiera di arcieri per evitare ai Templari di avvicinarsi alla struttura: sembrava che non aspettasse altro e Abbas si era offerto per insegnarle.
Così si era esercitata con lui giorno e notte (Diceva che era per esercitare la vista e affinare l’udito. Avrei voluto fargli notare che l’udito di Vega era già decisamente esercitato), e provavano continuamente a tirare dopo delle schivate in netto stile Hashashin.
I risultati non erano sempre meravigliosi visto che, dopo una capriola, Vega aveva scoccato la freccia mancando di poco lo stesso Abbas, che era ben lontano dal bersaglio. Eppure non si erano scoraggiati, anzi, lui aveva riso e lei, dopo essersi coperta la bocca con le mani per il senso di colpa, lo aveva seguito.
Loro facevano così, ridevano e riprovavano.
Era l’allenamento  più bislacco a cui mi ero mai trovato ad assistere, però non riuscii sempre a seguire i loro miglioramenti, visto che ero impegnato ad allenare i cittadini di Acri nella lotta corpo a corpo e con la spada.
Bashir mi scosse appena dal braccio, riportandomi coi piedi per terra, aspettava ancora una risposta:
 –E’ migliorata da quella volta in cui ha quasi ucciso Abbas?-.
Rise  –Direi di sì: Saul e il suo addestratore le hanno preparato un percorso, con  improvvisi attacchi... Sono state tolte le punte alle frecce, in modo tale che non uccida nessuno! Abbas le ha proposto di essere la principale difensora della struttura e lei ha accettato- aveva parlato lentamente, senza distogliere lo sguardo da Vega e Abbas che discutevano fittamente su che posizione di tiro assumere dopo la caduta.
-Prova a tenerlo così... Più vicino alla guancia!- la esortava lui.
Vega lo guardava contrariata – Tendo la freccia fino alla guancia quando tiro da ferma! Non avrebbe senso. Secondo me dovremmo...- cose così.
Inaspettatamente, quella decisione strategica mi sollevò e irritò allo stesso tempo: Se avessi chiesto io a Vega di restare nelle retrovie per non incappare in qualche pericolo, avrei scatenato un litigio infinito su quanto fossi maschilista e che non potevo in alcun modo scegliere per lei o imporle di fare qualcosa.
Invece, erano bastate due moine di Abbas...
Per distrarmi da quei molesti pensieri pensai cosa potesse volere dal sottoscritto l’uomo che mi era accanto. Bashir non si era rapportato granché con nessuno dei due, troppo impegnato a gestire la vita della Resistenza, l’arrivo delle scorte e la distribuzione monetaria, ma non si era mostrato mai “ostile” come aveva fatto il primo giorno, anzi... Era stranamente disponibile.
Sorrisi sotto i baffi, le mie minacce avevano sortito il loro effetto.
Comunque, il fatto che fosse venuto così spontaneamente a parlarmi era quantomeno preoccupante ed era evidentemente troppo agitato per essere venuto qui solo ad elogiare la mia compagna.
-Qualcosa ti turba?- chiesi, con voce pacata, senza però guardarlo. Non volevo metterlo in soggezione.
Alzò gli occhi al cielo –Davvero non vi sfugge nulla- borbottò, metà divertito, metà irritato, ma a questo punto non credevo avrebbe negato la vicenda.
- Se posso aiutarti...- incalzai.
Sospirò –Si tratta di Abbas, in realtà- si appoggiò ad un albero con una spalla, incrociando le braccia al petto – Credo che, nonostante sia davvero molto votato alla causa, non stia passando tutto quel tempo con Vega solo per assicurare alla Resistenza un’efficiente difesa- mosse la testa nella loro direzione, come se quell’immagine non fosse che una conferma alla sua tesi.
Una tesi che mi destabilizzò. Possibile che fossi stato così cieco?
Deglutii a fatica –E la moglie? Il figlio appena nato?- disse seccamente, ma se fossi stato un altro uomo, avrei balbettato come un demente.
Bashir mi guardò stranito, non ricollegando quei ruoli a nessuno delle sue conoscenze –Abbas non è sposato e ancor meno ha figli- dichiarò, confuso.
Il mio cuore sprofondò e sentii una rabbia omicida montarmi dentro, se mi fossi lasciato andare, nulla, neanche una montagna, mi avrebbe impedito di afferrare il giovane per i capelli e, dopo aver esposto la sua gola alla luce del sole, sgozzarlo con la mia lama. Forse avrei anche continuato ad infierire sul corpo, perché...

Perché?

-Tutto bene, Assassino?- ridacchiò Bashir, forse accortosi che stavo inconsciamente saggiando il meccanismo della lama nascosta –Vega non mi sembra il tipo che tradisce, specie con i vostri trascorsi-.
Tanto ero infuriato che non volli nemmeno sapere a quali trascorsi si stesse riferendo - Non è la mia donna, Bashir- precisai, assottigliando lo sguardo su quei due che se la spassavano. Chissà cosa avevano da ridere poi! –Waqi non è esattamente il mio tipo. Spero che Abbas non decida davvero di prenderla in moglie, chi mai vorrebbe una tale rompiscatole accanto per una vita??-.
Mi guardò intensamente –Credevo, beh, credevamo tutti che voi due fosse una coppia- dichiarò, con un tono divertito mal represso.
Iniziava ad innervosirmi.
Nonostante fosse palpabile la mia irritazione, Bashir se ne curò a mala pena. Si schiarì la voce– Sai Altair, era impossibile non pensarlo, specie per me: Tutto quell’agitarsi se altri maschi la guardavano, le occhiate complici, le lunghe chiacchierate, i gesti protettivi... -.
- Mi prendi in giro, vero?-.
Rise, con quella sua risata possente e tuonante, trattenendosi la pancia.
L’idea di sgozzare anche lui oltre il giovane combattente si faceva sempre più interessante, direi quasi concreta.
- Sai cosa diciamo qui ad Acri ai tipi come te?- fece una pausa d’effetto molto teatrale – YuDahhak al-hagiar
-. 
Mi indignai – Attento a come parli...- sibilai, tagliente, girandomi con il busto verso di lui. Credo che nei miei occhi ci fosse qualcosa di davvero spaventoso perché, nonostante non avesse cancellato quel ghigno sardonico del cazzo dalla sua faccia, aveva involontariamente fatto un passo indietro.
Ghignando un po’ istericamente alzò le mani al cielo –Non essere così adîm al- luTf
. Se non avessi ragione, non ti saresti agitato tanto-.
Lo ignorai bellamente, tornando a guardare Vega. Proprio in quel momento, dopo aver fatto una capriola da un muro all’altro, atterrata saldamente su un cornicione, scoccava una freccia dritta nel petto di un uomo spuntato dal nulla alla sua sinistra.
Esultò, sollevando l’arco in aria: Evidentemente aveva colpito tutti i suoi avversari.
-Avete fatto un ottima scelta! Nessun Templare riuscirà ad avvicinarsi alla struttura- dichiarai, la voce piatta e incolore –Per quel che concerne il rapporto tra quei due, non sono affari miei- e lo lasciai lì.


Era già ora di pranzo quando tornai alla Base: Avevo visitato le campagne circostanti per kilometri ma non era stato difficile recuperare la strada per tornare ad uno degli ingressi della base, grazie all’Occhio dell’Aquila
₄, che mi aveva aiutato anche a districarmi tra i vari vicoletti della struttura sotterranea, ma anche un invitante profumo di carne, mista a menta e sugo mi aveva guidato tra i corridoi. Evidentemente oggi erano previsti i mantu₅, un piatto che adoravo.
Arrivai nella grande sala dove da qualche giorno, con quasi altre cento persone, condividevo i pasti. Vega non c’era, ne tantomeno intravidi Abbas.
Figurati...
Fahad e Ramir, due dei miei allievi in combattimento, mi fecero segno con le braccia per invitarmi a sedere con loro. Stavo quasi per declinare, non essendo decisamente dell’umore per chiacchierare, quando mi accorsi che, proprio dietro i due ragazzi, c’era la donna che avevo creduto moglie di Abbas.
Arrivato a questo punto, volevo capire che rapporto legasse i due giovani, inutile chiedermi se fosse per semplice attitudine ad indagare o per quel fastidio che l’amicizia tra Waqi e il ragazzo mi procurava.
- Salâm-  dissi con un sorriso stentato, sedendomi in quel gruppetto –Tutto bene?-.
La donna, forse riconoscendo la mia voce, si girò verso di me –Oh, sei il
fidāʾī- sorrise, aveva il bambino in braccio, che però dormiva – Tutto bene, grazie. Spero che la tua giornata sia stata gradevole-.
“Troppo tardi per le speranze, non lo è stata per niente”
Avrei voluto risponderle, ma preferii mantenere un dignitoso finto sorriso e annuire.
-Ancora non conosco il tuo nome- Feci notare, mentre prendevo la mia porzione di mantu. Aspettai che fosse servita anche lei prima di mangiare.
- Mi chiamo Illiana e lei è Onice₆
- sfodero un secondo sorriso, prima di guardare amorevolmente la bambina, che ancora placidamente dormiva.
Fu quasi istintivo paragonare il suo sorriso, così sensuale, dalle labbra piene e rosse, con quello di Vega, divertente e solare, la chiare labbra piccoline che scomparivano appena.
Mi sentii male fisicamente quando scoprii di preferire la genuina immaturità di Vega alla sensualità che ogni gesto di quella donna esprimeva.
Mi facevo pena.
-Due splendidi nomi- decisi di ingraziarmela con qualche vezzo – Il mio nome è Altair Ibn La’Ahad-. Mangiai un piccolo involtino, subito seguito da lei e, dopo varie quisquilie sull’ottima cottura e scelta degli ingredienti, finalmente trovai il modo in cui porgerle la fatidica domanda.
-Non ti dispiace che Abbas non possa dedicare tanto tempo a sua figlia?- il mio tono sembrava sinceramente curioso e preoccupato.
Lei fece un sorriso di circostanza –Oh, credo che tu abbia frainteso. Abbas non è il padre di Onice... E’ mio nasîb, il fratello più piccolo di mio marito. Purtroppo lui è morto mentre ero ancora gravida, Abbas si prende cura di noi instancabilmente da allora!- sospirò, evidentissima la nota di dolore nella sua voce –E’ davvero un grand’uomo-concluse, con uno sguardo orgoglioso più avvezzo ad una madre che ad una cognata.
Nonostante l’ammirazione per la scelta di Abbas, non mi sentii per nulla sollevato di aver trovato in lui un... rivale?... tanto valoroso.
Poteva forse esserci un uomo più dignitoso sulla Terra per una come Vega?
Rilasciai un sospiro, continuando a mangiare  –Lo è davvero- concordai.

-Chi sono?- ridacchiò Vega al mio orecchio, dopo avermi coperto gli occhi con le mani. Le sue labbra erano così vicine alla mia pelle che un piccolo brivido attraversò tutta la mia spina dorsale.
-Una ragazza che fa giochi stupidi?-.
Finalmente mi liberò gli occhi –Simpatico come sempre, Altair. Non c’è che dire- borbottò, andandosi a sedere sullo stuoino. Sembrava sfinita.
-Sei più bianca del solito- le feci notare, con un sopracciglio alzato.
-Sono esausta- precisò lei, passandosi la mano sulla fronte sudata –E sono affamata! Abbas non mi ha fatto nemmeno mangiare!- si lamentò, poggiando la testa al muro.
Per la mia salute mentale, evitai di pensare a come avessero impiegato quel tempo.
Le passai un sacchetto di mandorle che avevo raccolto dopo la discussione con Bashir –Dovrai accontentarti- le dissi, ma lei già non mi calcolava più, troppo impegnata a trangugiarne almeno tre alla volta.
- Sei il mio salvatore- faticai a capire quelle parole, visto che aveva parlato con la bocca ancora piena –Sono già due vite che ti devo!- continuò, prima di infilarsi un’altra terzina in bocca.
Feci un sorriso sornione –Potresti offrirmi una sola vita di schiavitù, non ti pare?-.
Si fermò un secondo, guardandomi  con occhi beffardi –Seh, ti piacerebbe!-.
Avevo immaginato una risposta del genere –Sei comunque in debito con me, sai?- le ricordai, sedendomi accanto a lei, le rubai una mandorla dal sacchetto.
Sembrò abbastanza contrariata da quel piccolo furto, mi lanciò un’occhiata di fuoco –Sì, lo so- ammise –Fammi mangiare- chiara frecciatina rispetto alla mandorla rubata - e poi ti regalo anche la luna!-.
Constatai che Vega stesse meglio moralmente. Forse era merito delle nostre piccole chiacchierate su Kadar, sulla sua vita in Cina, sul mio addestramento...
In quella settimana eravamo diventati più intimi, avevamo raggiunto un equilibrio stabile, parlavamo molto, scherzavamo, rispondeva a tutte le mie battute e, come sempre, mi fronteggiava a testa alta se i toni si alzavano.
Eravamo diventati amici.
Mentre io riflettevo, per l’ennesima volta, su queste cose, Vega continuava ad ingozzarsi come un’animale, tant’è che fece scivolare dalla busta direttamente in bocca anche le briciole delle mandorle che si erano frantumante.
-Sei davvero la ragazza meno femminile che io conosca. Ci credo che tu non ti sia ancora maritata e che ti ritrovi a fare l’Assassina!- esclamai, fintamente disgustato, scuotendo il capo di fronte a quel caso disperato.
Sbuffò –Ehi, quanti complimenti! Sappi c’è chi mi apprezza proprio per questo!-.
Non riuscì a trattenermi -Tipo Abbas?-.
-Tipo Abbas...- concesse, serafica –E’ forte, vero?- sorrise, pensando a qualche aneddoto.
Temetti seriamente che cominciasse a raccontarmi smancerie da ragazzine, non ce l’avrei fatta– Una forza della natura- proferii seccamente, guardandola di sottecchi, a sottolinearle quanto mi importasse dell’argomento.
–Sei geloso?- rise.
Alzai gli occhi al cielo –Sei impossibile, lo sai?-.
-Non hai mica detto di no!-.
Ci sfidammo con lo sguardo per alcuni minuti, poi lei desistette, chiuse gli occhi, e, portandosi una mano nei capelli, cominciò a massaggiarseli lentamente.
-Sono a pezzi, non ho nessuna voglia di litigare con te!- dichiarò fiocamente, continuando imperterrita nella sua opera.
Neanche io ne avevo voglia, in realtà –Cosa avete fatto oggi?- evitai di dirle che avevo osservato gran parte del suo allenamento, non vorrei alimentare le sue stupide teorie sulla mia gelosia, specie dopo la pulce nell’orecchio che mi aveva messo Bashir.

Tutti credevamo foste una coppia.

-Abbiamo simulato vari attacchi al forte... Sono riuscita a prenderli tutti, nonostante le capriole e i salti. Dovresti essere fiero di me- scherzò, sempre senza guardarmi.
La presi in giro –Hai bisogno della mia approvazione?-.
Schioccò la lingua, ma non rispose alla provocazione – Ho bisogno dei massaggi del Tabîb
di Masyaf e di un bagno, possibilmente- sospirò, con un piccolo broncio ad incresparle le labbra.
Sentii qualcosa accendersi nel mio bassoventre al pensiero di lei, nuda, nella grande vasca della Torre, i capelli bagnati che le ricadevano sulla schiena, una goccia d’acqua che scivola dalle labbra ai seni...
Mi si annebbiò la vista.
-Togliti la veste-.
Vega spalancò gli occhi, immobile, le guance rosse e le labbra stuzzicate dai denti...
- Vuoi un massaggio o no?-.
Non sapevo nemmeno da dove traessi la forza di chiederle quelle cose e allo stesso tempo di non prenderle il viso tra le mani e sostituire i suoi denti con i miei per dare tormento a quelle labbra.
La vidi tremare appena, ma non di paura, prese un bel respiro prima di guardarmi negli occhi – Ovviamente- e portò le mani ai fianchi, afferrò i lembi della bianca veste e cominciò piano a tirarla su.
Sembrava una sfida a chi si fosse arreso prima, forse voleva vedere fino a che punto mi sarei spinto?
Voleva, per una specie di orgoglio femminile, capire se la desideravo? Quanto bruciante fosse il desiderio di toccare, man mano che veniva scoperto, ogni centimetro del suo corpo?
Dovetti stringere i pugni fino a conficcarmi le unghie nei palmi per resistere a quell’impulso...
Ma, qualsiasi cosa pensasse lei, per quanto anche nei suoi occhi avessi visto un’ombra eccitata, nonostante desiderassi scogliere anche il nodo che teneva salde le fasce che le coprivano il seno, non avrei mai permesso che accadesse così.
Mi alzai le maniche della tunica e bagnai le mani nell’acqua tiepida della tinozza che avevamo messo al sole e cominciai a disegnare dei piccole cerchi sulle sue spalle. Vega si teneva i capelli con una mano, lasciando libero il collo candido, che non rimase intaccato dalle mie mani.
La sua pelle era morbida e vellutata, fredda come sempre, intervallata solo dai piccoli solchi delle cicatrici, le ossa appena sporgenti...
Ogni volta che toccavo un punto sensibile, Waqi mugugnava appena, sempre mordicchiandosi le labbra, strizzava appena gli occhi chiusi.
Poi, ad un certo punto, lentamente girò la testa e si avvicino a me, gli occhi assottigliati e ricchi di piacere, e mi sussurrò un grazie quasi a fior di labbra.
Non saprei nemmeno dire chi fu dei due a colmare la distanza.





1)  Fantastica canzone dei Fleetwood Mac, dall'album Rumours, famosissimo e abbastanza significativo per quegli anni!
Non vorrei anticiparvi il motivo per cui ho scelto questa canzone, specie se state leggendo la nota subito dopo la citazione. Diciamo che l'ho scelta forte delle mie convinzioni su Altair e su ciò che sta pian piano cominciando ad accettare! La canzone in se per se parla di una storia che fatica a nascere, nonostante sembrino essercene i presupposti, ma da parte della ragazza c'è reticenza e qualche pregiudizio su colui che canta. Mi è sembrata... calzante.

2) 
YuDahhak al-hagiar = Fai ridere i polli.

3)
adîm al- luTf = Scorbutico

4) Ecco, in questa storia Altair ha le stesse capacità di Ezio in Revelations riguardo l'Occhio dell'Aquila.

5) Mantu: fagottini ripieni di carne di agnello (o manzo), cipolle, cotti al vapore e poi conditi con ragù di carne, panna acida e coriandolo.  (ringrazio come sempre Khaled Hosseini e la sua appendice nel libro " Il cacciatore di aquiloni"! Per curiosità: Ho provato a cucinarli la settimana scorsa... sono deliziosi, molto saporiti!)

6) Beh, ecco qui la mia piccola sorpresa! ^^ Mi rendo conto che non sia un granché, però ci siete sempre state, dal primo capitolo e mi sembrava giusto fare qualcosina. Spero vi sia piaciuto!

7)
Tabîb = Medico. Che gli Assassini avessero un dottore, mi pare ovvio... Altrimenti chi li ricuciva  dopo ogni missione? xD Per cui ho anche ipotizzato che questo dottore sapesse anche fare i massaggi per distendere muscoli, ma anche per alleviare il dolore degli stiramenti.... Insomma, se vi sembra improbabile, concedetemi una licenza poetica xD


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Capitolo 13
*** 12. I Stood Up ***


Buonasera (o dovrei dire buonanotte?) a tutti!
Purtroppo, tra scuola e problemi vari, sono riuscita ad aggiornare solo ora! Infatti, come avrete potuto notare, non sono riuscita a rispondere alle vostre bellissime recensioni. Non sono tipo che da risposte veloci per togliersi l'impiccio! Per cui vi prego di perdonarmi, prometto che mi rifarò a questo giro <3
Mi mancava aggiornare la storia (anche se adoro scrivere gli spin-off) così ho preparato un gran bel capitolo che, vabbè, era già scritto, ma ha visto tutto il mio impegno nella scelta della solita canzone, nella stesura delle note e beh, della mia passione nello scrivere.
In questo capitolo qualche colpo di scena e qualche rivelazione nel PRESENTE. Sapremo qualcosa in più sulla nostra protagonista femminile e sul suo, ancora oscuro, passato!
Detto questo, ringrazio come sempre i lettori silenziosi che ricordano, seguono e preferiscono la storia (aumentati in questi ultimi giorni ^^) e i miei fantastici recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers, Yukiko_Kitamura e la nuova arrivata Maria 98!!!
Siete meravigliosi!

Buona Lettura!
Cass

12. I Stood Up!

In piedi, fermo come un sasso a mezzanotte,
 tutto preso dal mio travestimento,
mi pettinavo fino a trovare l’acconciatura giusta
e andavo a guidare la brigata notturna.
Pronto al dolore e sferzato dalla pioggia,
camminavo appoggiandomi ad una stampella storta.
Vagavo da solo per una zona radioattiva
e ne sono uscito con l’anima incontaminata.
E mi sono nascosto nella rabbia confusa della folla,
ma quando loro dissero “Siediti”...
Io mi alzai!

Bruce Springsteen - Growing Up

 

-Riattivi subito la sessione! Ho un nome per il suo atteggiamento: insubordinazione!-.  
Come se non bastasse lo stordimento causatomi della sessione nell’Animus, Doc sembrava propenso ad impartire vivacemente una lezione sulle gerarchie aziendali a Lucy. Le loro voci erano lontane: Forse erano distanti, quasi vicino alla porta d’ingresso,
O forse ero solo io ad essere un po’ rintronato.
La nausea era, stranamente, più intensa delle altre volte, come se avessi passato a Masyaf il doppio (il triplo?) del solito tempo.
Che era altamente probabile, alla fine, no?
Riuscii finalmente ad aprire gli occhi, un po’ secchi per la sete, che mi attanagliava anche la gola, giusto in tempo per sentire la piccata risposta di Lucy:
-E io ho un nome per il suo: Stupidità-.₂

Stillman: 1
Vidic: 0

-Possono gestire l’intrusione anche se noi rimaniamo qui a lavorare!- continuò il dottore non curandosi della risposta avuta.
Il suo tono era divertente, in quel misto di rabbia, frustrazione e rassegnazione. Solo dopo mi resi conto dell’importanza di quelle battute.
C’era stata un’intrusione? Da parte di chi? Erano venuti a prenderci?
Non avendo ancora la forza di alzarmi, mi venne istintivo cercare Alessandra a tentoni con la mano. Immobile come una statua di sale, non avevo neanche il coraggio di muovere la testa e guardarla... un po’ per i ricordi vissuti quella volta e un po’ perché sentivo davvero di poter vomitare l’anima per un qualsiasi spostamento sbagliato.
-Ha ragione- sbottò Lucy -Saremmo noi a non poter gestire il lavoro durante un’incursione. Per non parlare del fatto che sono lì dentro da sette ore. Sette ore, Warren!-  sentii i suoi tacchi battere rapidamente sul pavimento, un rumore che si avvicinava pian piano.
Non ero ancora del tutto fuso, erano davvero lontani da noi.
Proprio mentre la bionda camminava, riuscii finalmente a trovare la mano di Alex, la pelle fredda proprio come lo era quella di Vega. Mi sentii sollevato di averla accanto a me.
“ Non riesco a muovermi. Mi brucia tutto. La nausea. Disorientamento. Formicolio al braccio. Battito accelerato? O è davvero debole?  Cazzo, è come se mi fossi fatta una dose marcia. Ho bisogno di aiuto! Desmond! Desmond aiutami! Ti prego ”.
Quasi mi partì un colpo: “Ale? Ale mi senti? Sono qui, con te! Dove senti dolore?”.
Mi stava parlando nella mente? Davvero poteva farlo? Ma allora perché non mi rispondeva? Come potevo aiutarla se...?
-Desmond? Alessandra? State bene?- la voce di Lucy era sinceramente agitata, staccò una torcia dalla tasca della camicia e mi disse di seguire la luce con gli occhi.
-Sto bene- farfugliai, spostando con fatica la torcia dalla mia faccia –Alessandra...-.
Lucy annuì, e si diresse velocemente dall’altra parte: Stringevo ancora la sua mano, ma lei non si era mossa di un millimetro. Sperai mi rispondesse, che mi desse indicazioni per aiutarla, ma l’unica risposta che ebbi fu un angosciante silenzio.
Temetti il peggio.
La bionda le aprì un occhio e ripeté l’esperimento, non durò che pochi secondi, ma mi sembrarono ore intere.
-C’è risposta!- poi le tastò il polso e sbiancò – Vidic, mi serve l’adrenalina. Un arresto cardiaco mi sembra il minimo dopo una sessione tanto lunga!₃-
. Rimasi pietrificato.
“Non morire. Non ora. Fallo per me.”

-Lucy...- annaspai, in un sospiro strozzato –Lucy, salvala...- le strinsi la mano ancora più forte. –Lucy, non farla morire!-.
La bionda mormorò qualche imprecazione e, dopo aver aperto la felpa, strappò la maglietta di Alex proprio sul petto, cominciando a praticare il massaggio cardiaco.
Poi si rivolse a me –Des, sai praticare un massaggio cardiaco?-.
Troppo sconvolto, non riuscii a rispondere immediatamente –Desmond! Diamine, lo sai fare o no?- sbraitò lei, allora.
Spaventato dall’urlo, feci solo un cenno con la testa.
-Bene. Perfetto- constatò con tono duro –Quando Vidic torna, prendi il mio posto. Ma lascia uno spazio libero tra terzo e quarto dito: Dovrò iniettargliela nel cuore, ok? Mi hai capito?- urlava, forse avevo intuito che ero caduto in un mezzo stato di shock -Desmond non posso salvarla se non mi aiuti!-.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal volto di Alessandra, ancor più cinereo del solito, immobile in un’espressione piatta, come una statua di marmo.
Riuscii, nuovamente, a compiere un solo movimento col capo.
Mi accorsi dell’arrivo del dottore solo quando lo vidi con la coda dell’occhio preparare una siringa. Lucy mi richiamò, ordinandomi di posizionare le mani sopra le sue. Quando poi le sfilò ero a continuare a tener in vita la mia... a tener in vita Alessandra.
Aprii le dita proprio come mi aveva detto la bionda e trattenni un brivido quando vidi l’ago perforarle la pelle...


-Se sono morta, e credo 
davvero di esserlo, speravo almeno di non incontrarti anche qui-.
Aveva gli occhi chiusi e gracchiava come una fumatrice dopo una lunga dormita, ma neanche la battuta e  la voce da camionista riuscirono a cancellare la mia gioia.
Sorrisi, stringendole più forte la mano –Mi hai fatto passare un brutto quarto d’ora- sussurrai, evidentissimo il sollievo.
Fece un mezzo risolino, anche questo roco – Mi dispiace, nonnino- aprì gli occhi e alzò il busto, aiutandosi con la mano che non era stretta nella mia.
-Come ti senti?-
Sembrò fare un piccolo check-up al suo corpo, stiracchiando le braccia, tastandosi l’aorta e schioccando il collo - Beh, come se un trattore mi avesse preso sotto anche in retromarcia. Ma viva, dopotutto!- per fortuna non aveva perso il sarcasmo.
-Da quanto siamo fuori? Che mi sono persa, oltre te al mio capezzale?-.
Le lasciai la mano, per riflesso incondizionato dato che sono un grande gesticolatore quando racconto qualcosa, e lei sembrò stupita del gesto, forse quasi dispiaciuta.
Arrossì appena -Non fare quella faccia da imbecille. Era... carino, dopotutto- poi guardò in basso.
Scoppiai a ridere. Proprio non riuscii a trattenermi ma sperai che non la prendesse come una risata di scherno, perché ero solo istericamente sorpreso.
-Non fraintendermi! E’ solo che mi sembra di conoscerti da anni invece che da giorni! Non mi sono mai preoccupato tanto per nessuno e... a te... a te piace se ti tengo la mano!!!- risi ancora un po’ a quella maniera, ma lei era incuriosita dal mio discorso.
-Pensi che sia per... loro? Per Vega e Altaïr?- chiese, piegando la testa di lato.
-Ti ho parlato dell’osmosi, no?- Eppure, non mi sembrava una spiegazione sufficiente, come per Altaïr non sembrava abbastanza esauriente l’ipotesi che si sentisse legato a Vega solo perché le aveva salvato la vita.
Forse erano le donne della famiglia di Alessandra ad essere speciali!
- Oh...- fu tutto quello che disse per un po’. Avrei voluto rivelarle i miei pensieri, ma mi sembravano troppo stupidi, troppo adolescenziali, così avevo glissato l’argomento cominciando a raccontarle dell’invasione.
Alzò gli occhi al cielo quando la informai che eravamo, se possibile, ancora più rinchiusi di prima, almeno fino ad allarme ritirato ma poi, in silenzio, rimuginò a lungo sulla questione, stringendosi le gambe al petto con lo sguardo perso nel vuoto.
Stretta in quella posizione, con la maglia a maniche corte, riuscii a constatare che non fosse smilza e piccolina come sembrava indossando la felpa. Le braccia rassomigliavano molto quelle di Vega in muscolatura, anche se sembravano molto meno energiche e anche lei aveva le spalle abbastanza larghe: forse aveva fatto nuoto?
Preso da una nuova curiosità verso il suo passato, decisi di interrompere quella silenziosità e parlare con lei come facevano i nostri antenati nei ricordi appena vissuti.
Principalmente, volevo sapere se ricordasse di avermi chiesto aiuto col pensiero: -Mi hai parlato- la buttai così, quasi con disinteressamento. In verità ero un po’ in imbarazzo al pensiero che in punto di morte avesse chiesto di me.
Ero imbarazzato e stupidamente orgoglioso.
 Ma non ero uno con la testa tra le nuvole: Alessandra mi aveva dimostrato più volte il suo pragmatismo, probabilmente aveva recepito il mio tocco e mi aveva chiesto aiuto per non morire. Inutile alimentare i miei stupidi sentimentalismi.
Ma dovevo saperlo. Dovevo averne la certezza.
-Non stavo morendo? Come ho fatto a...-.
-Nella mente! Ti stavo stringendo la mano. L’ ho fatto subito dopo la sessione perché ho sentito... dovevo essere sicuro che fossi ancora con me- sospirai –Forse avevo percepito che stavi morendo- tanti cari saluti al distacco.
Si sforzò di ricordare –Onestamente non credo di averti parlato di proposito, ma è ovvio che io abbia pensato subito a te: Chi altri avrei potuto chiamare?- proferì, grattandosi il mento. Mi rivolse un sorriso timido –E direi che la mia richiesta è andata a buon fine- mi abbracciò di slancio –Grazie-.
Impacciato come non mai, ricambiai la stretta, infilando la testa tra i suoi ricci.
Restammo così ancora per poco, poi Alex sgusciò via con la scusa di approfittare della “vacanza” per farsi una doccia.
Evitai di cedere alla tentazione cui aveva ceduto il mio antenato e non le proposi di farla insieme a me.


Venni svegliato dal movimento del materasso che si abbassava e dal fruscio delle coperte. Mezzo imbambolato, con la vista appannata, vidi l’ombra di Alessandra che si infilava nel letto.
Non ricordavo di essermi addormentato, eppure non ero stupito di essere crollato dopo tutte quelle... beh... emozioni, per banalizzare gli sbalzi subiti tra la sessione e tutte le trepidazioni di Altaïr.
Come se tutto questo non bastasse, si era aggiunto il mini-infarto preso per la quasi-morte di Alessandra, i suoi pensieri e  il suo abbraccio...
Sbuffai, rimpiangendo il lavoro al bar, la buona musica suonata dal vivo, il profumo della frutta usata per i cocktail, i cicchetti a fine turno con i miei colleghi, il viaggio in moto per arrivare a lavoro, le belle ragazze che si sedevano al bancone e che civettavano con me...
- Ehi, sono anche capace di resuscitare i morti- sussurrò Alex, quando mi girai con un cipiglio scocciato attutito dal sonno. Capii dalla sua faccia, un po’ crucciata, che si sentiva in colpa e che quello era il suo modo di scusarsi.
-Tranquilla, hai fatto bene o domani mi sarei risvegliato tutto ammaccato- constatai, sentendo la cintura premere sull’addome, la zip della felpa irritarmi il collo e le scarpe ancora ai piedi.
Fece spallucce e si sistemò sotto le coperte, io nel frattempo mi liberai dei suddetti oggetti e mi avviai verso l’armadio per prendere un pantalone più comodo.
La mia ricerca fu fruttuosa e raccattai un pantalone della tuta, sempre rigorosamente grigio; stavo quasi per spogliarmi quando mi ricordai di non essere solo.

Dio mio, cosa stavo per fare... Se fossi già nudo non credo che lei lo resterebbe per molto.

No. No. No.
Quelli non erano pensieri miei... Era quel marpione arabo di Altaïr a parlare per me, e non stava nemmeno riferendosi ad Alessandra! 
Merda, questa situazione alla commedia degli equivoci Shakespeariana
  mi avrebbe fuso il cervello! E gli ormoni mi avrebbero tradito indecentemente!
Cosa darei per tornare al mio bar e alla solita vecchia, noiosa, tranquilla (beh, mica tanto) vita. Se anche avessi dovuto solo pulire il vomito degli ubriachi...
Stavo appunto per dirigermi in bagno quando Alex, con tono decisamente divertito, esclamò –Dai, ti vergogni? Guarda che non attenterò alle tue grazie... Non sono così disperata!- rise da fare schifo, così ampiamente da sembrare quasi pazza.
Indignato per la presa in giro, decisi di sfidarla: Cominciai a slacciarmi i pantaloni.
Smise immediatamente di ridere e deglutì rumorosamente.
Fu il mio turno di ghignare.
-Oh no! Non costringermi a vedere la tua flaccida pelle da nonno!- vide che avevo abbassato i pantaloni fino al ginocchio così coprì gli occhi con le mani: -Oh no! Che schifo!-.
Continuai a ridere come una iena e mi rivestii in fretta del pigiama, per poi ritornare nel letto accanto lei, con fare trionfo e atteggiamenti da pavone in calore.
-Hai poco da essere fiero- mormorò, tornando a guardarmi –Hai appena rovinato una vita. Sono a malapena maggiorenne!- esalò, alzando le braccia al cielo.
Roteai gli occhi – Quanto la fai tragica!-.
Ero steso sul fianco, la testa appoggiata alla mano, nella sua direzione, mentre lei era stesa ancora pancia all’aria, con le braccia nude fuori dalla coperta e i capelli un po’ umidi sparsi disordinatamente sul cuscino.
Fece un piccolo mugugno –Non hai voglia di dormire, vero? Sembra che tu abbia bisogno di chiedermi qualcosa- dichiarò, assumendo la mia stessa posizione.
Mi stupii che se ne fosse accorta e che invece di evitare l’interrogatorio si fosse volontariamente prestata.
Era una domanda che mi vorticava in testa da quando mi aveva parlato nella mente, solo che non era importante come salvarla o come starle accanto mentre si riprendeva. Però poi era tornata a galla.
-Quando mi hai parlato... beh, hai fatto un paragone “originale”- cominciai un po’ alla lontana, cercando di assumere un tono tranquillo e educatamente curioso.
Mi fece cenno di continuare.
Mi schiarii la voce – Dopo aver elencato i tuoi sintomi, che erano chiaramente quelli di una crisi cardiaca... Beh, hai detto che ti sembrava di esserti fatta una dose marcia e mi sono chiesto come... come può saperlo?-.
Alessandra impallidì a tal punto che pensai stesse per avere nuovamente un infarto, ma poi i suoi occhi si fecero lucidi e strinse forte le coperte con le mani, distolse lo sguardo, cercando di nascondere quella reazione. Ma invano.
Mi sentii terribilmente in colpa.
-Forse non vuoi parlarmene- ipotizzai, prendendo di nuovo la sua mano tra le mie. Ormai avevamo appurato quanto quel gesto fosse consolatorio per entrambi.
Scosse la testa, mentre una lacrima le scese sul viso.
Ancora non disse nulla –Allora non puoi?- provai ancora, facendo un cenno alle telecamere. Forse erano cose... private.
Fece un sorriso sardonico –Impossibile che non lo sappiano già- sospirò –Vedi Desmond, se fossimo in una situazione normale, potrei mai raccontarti una cosa del genere dopo soli due giorni di conoscenza?-.
Scossi la testa –No, ovviamente no-.
Lei tornò a guardarmi, tormentata –Eppure io sento di poterlo fare, di potermi fidare. Ma so che questa fiducia non è obiettiva. Sono combattuta... Non vorrei che togliermi questo peso, ma so che se fossimo fuori da qui... non ti direi niente- si portò le mani sulla faccia.
Mi avvicinai e la presi fra le braccia, ci stendemmo meglio e le feci appoggiare la fronte sul mio petto, la stringevo all’altezza delle spalle e bruciavo in ogni punto in cui il suo corpo aderiva al mio... Dai palmi delle mani sulla schiena, alle braccia intorno alla vita alla gamba che aveva infilato tra le mie.
-Che fine ha fatto la tua spacconaggine, dolcezza?- mormorai al suo orecchio, che si imporporò immediatamente.
La sua piccola risata risuonò nel mio sterno – Ho appena avuto un infarto, abbi un po’ di pietà!-.
Risi sotto i baffi – Ti va di parlarmene, allora?-.
Si irrigidì appena ma annuì decisa, si schiarì la gola e cominciò a raccontare.
“Diciamo che non sono mai stata fortunatissima nel corso della mia vita e, beh, il periodo di cui mi hai chiesto non è stato certo il più bello che abbia passato.
Purtroppo la mia famiglia “allargata”, una specie di cittadina dispersa tra i monti del Trentino in cui vivevano solo Assassini, fu sterminata dall’Abstergo quando avevo circa dieci anni, o giù di lì.
Diedero fuoco a tutto, edifici, case e, ovviamente, alle persone che c’erano dentro. Mi sono salvata perché, disubbidendo agli ordini dei miei genitori, ero nei boschi vicini a giocare con altri ragazzi, altrimenti non avrebbero risparmiato nessuno. Restammo per qualche giorno in balia di noi stessi finché una squadra mandata proprio dalla Fattoria
–sorrise nella mia direzione- non venne a controllare che ci fossero superstiti. Tra questi “salvatori” ve ne era uno che già da un po’ aveva smesso di condividere il modus operandi degli odierni Nizariti... visto che eravamo circa una ventina di bambini, ne fece sparire sei, deciso a creare la sua “Confraternita”.
Si ispirò  a quelle che sono le odierne credenze sugli Assassini, ovvero che venissero drogati per essere tenuti in pugno...”
mi mostrò il braccio immacolato.
Corsi immediatamente a vedere la piega interna al gomito, ma di buchi ovviamente non ve ne erano. Almeno fisicamente. Immaginai che per lei invece ce ne fossero e anche parecchi.
Cinque anni, Desmond. Cinque anni in cui uccidevo e pregavo di morire stesa su un pavimento freddo... Non potevamo rifiutarci, o si prendeva la dose giornaliera oppure veniva raddoppiata, così saresti stato ancor più male e avresti sentito ancor di più il bisogno di... farti. Non potevamo denunciarlo: chi avrebbe creduto ad una tossica che si era macchiata anche di diversi omicidi? E poi, per la disintossicazione? I documenti?” scosse la testa “Non c’era via di uscita”.
Mi vennero i brividi nell’immaginarmi che razza di vita avesse passato questa ragazza, mi sentii in pena per lei. Ero anche sorpreso di non averne mai sentito parlare alla Fattoria, poi considerai la differenza di età che c’era fra noi due:
Se Ale aveva dieci anni, io ne avevo quindici ed era il periodo in cui mi organizzavo per la fuga...
-Non avete mai cercato di ribellarvi?- chiesi con tono angosciato, fui felice che non riuscisse a vedere la mia faccia.
 Scosse il capo, facendo ondeggiare i capelli sotto al mio naso.
Ci provammo, ovviamente, ma fu inutile. Da sei diventammo tredici, gli altri erano barboni, tossicodipendenti che avevano bisogno di un tetto e di cibo, seguivano quell’uomo come se fosse un Dio. Se tentavamo di ribellarci, era scontro.
Non puoi nemmeno immaginare quanto fosse logorante l’idea di essere così, allo stesso livello di una marionetta. Ho visto ragazzi perdere il senno, diventare insensibili macchine da guerra per non sentire l’umiliazione e il dolore. Li ho visti trovare rifugio nella droga che veniva imposta, non una prigione.
Ma io no. Non potevo, Desmond. I miei genitori avevano investito molto sul mio futuro da Assassina, mi avevo insegnato per cosa lottassimo e quanto importante fosse la nostra protezione per il mondo... Quel pazzo non serviva il bene, serviva se stesso: Diventava più ricco e potente ad ogni nuova vittima. Sentivo il bisogno di fare qualcosa, ma più che ribellarmi ad ogni ordine, di farmi drogare con la forza, non ho mai concluso granché, se non la soddisfazione di avere l’anima pulita. 
L’odio verso quella vita era comune, ma pochi avevano il coraggio di disubbidire... Invece era l’unica cosa che io sapevo fare”.
O
rmai ero troppo preso dal racconto –Come vi siete... liberati?- chiesi titubante.
Sorrise – Ancora la Fattoria con una specie di blitz. Ci portarono in America, cominciarono il processo di pulizia del sangue e ci lasciarono liberi di scegliere. Inutile dirti che fine fecero il “mentore” e i più ferventi seguaci- si strinse più a me.
Feci un fischio –Che storia, cazzo! Com’è stata la disintossicazione?-.
Arricciò il muso –Lunga e dolorosa... ti iniettano nelle vene una sostanza che ti pulisce il sangue... ma il tuo cervello poi ne sente comunque il bisogno. Aiutò molto il fatto di non saper nemmeno da dove iniziare a cercare-.
Aveva raccontato tutto con fervore, eppure non sembrava turbata come quando le avevo chiesto di raccontare. Forse perché era passato del tempo o magari perché si sentiva meglio dopo averne parlato con qualcuno.
Mi tornò in mente la prima conversazione che avemmo, quando mi disse di non essere una Assassina -Tu hai scelto di non entrare nella Confraternita, no?-
Ci pensò un secondo, come se soppesasse le parole da scegliere –Non proprio-.
La guardai fisso, in attesa di altre spiegazioni –Volevo del tempo per essere normale prima di passare da una setta ad un’altra. Ma sarei tornata, prima o poi-.
Annuì, facendo quadrare i calcoli –Ma poi sei incappata in questo bell’esemplare di maschio...- ironizzai, volendo risollevare l’umore della conversazione.
-Uhmf...- mi tirò un pizzico – Certamente! Proprio un bell’esemplare di maschio biologicamente cretino! Credo che potrei portati all’estinzione!-.
La adoravo.



1) Come sempre, vi consigli di leggere la nota dopo il capitolo, visto che la canzone tratta solo dell'ultima parte! L'unica cosa che volevo precisare prima di tutto è che questa volta non ho usato il titolo della canzone anche come titolo del capitolo, ma la frase pià "incisiva": ovvero I Stood Up (Io mi alzai).
Letto?
Credo di non aver trovato mai una canzone più azzeccata per un capitolo. Growing Up, dall'album Greetings From Asbury Park, New Jersey (sì, titolo un po' lunghetto xD) : Tratta del passato da emarginato, contro le regole sociali degli anni sessanta americani (droghe, razzismo, classismo...)  di Bruce Springsteen e ho ritrovato in questa canzone i sentimenti che hanno animato Alessandra nel suo brutto periodo. Lei, ovviamente, col suo caratterino e forte degli insegnamenti dei suoi genitori assassini, non poteva che ribellarsi: Disubbidendo, rifiutando la droga e a volte anche sperando di morire, solo per non essere trattata a quel modo.
Spero vi sia piaciuto sapere qualcosa di più sul suo passato! :D
2) Questa frase è tratta realmente da Assassin's Creed, nel momento in cui Desmond origlia la conversazione tra Lucy e Vidic dal condotto d'aria del bagno.
3) Ovviamente non ho ancora conoscenze in campo medico., beh, almeno per un solo altro anno (si spera xD)! Beh, cercando su internet ho trovato che molto spesso è impossibile, per ragioni varie, rianimare col defribrillatore e in tal caso si usa l'adranelina, che praticamente da comunque una "scossa" al cuore. Alcune volte si usano addirittura insieme. In ogni caso, è probabile che io abbia detto una grande cavolata medica o che magari non si rianimi così una persona che sta male dopo una sessione nell'Animus (Ma l'Abstergo non si è espressa in merito xD).
Condetemi una licenza!
4) Mi sento qui di dover dilungarmi (spero non troppo) sulla commedia degli equivoci o dello "scambio".
Il tema principale di questo tipo di commedia è quello dei simillimi, ovvero di sosia e/o gemelli che spesso non sanno dell'esistenza dell'altro, accompagnati entrambi da dei servi callidi (servi furbi), anch'essi gemelli, che ne combineranno di tutti i colori per favorire i loro padroni e trarne vantaggi.
Questo tipo di sceneggiatura nasce con Plauto, che la adopera in molte opere, tra cui la più famosa è quella dei Menecmi: due fratelli gemelli separati da piccoli con lo stesso nome, che, per una serie di fortuite coincidenze si troveranno, anni dopo, nello stesso posto e, grazie alle pianificazioni da parte dei servi, finiranno per rincontrarsi e tornare insieme nella casa natale. Questa trama è stata più volte ripresa in letteratura (specie in età umanistica), ma di certo la più bella rielaborazione fu quella di Shakespeare, "La commedia degli equivoci".
In questa troviamo molti riferimenti ai gemelli plautini, come il nome della città in cui i due fratelli erano nati (Epidammo) e sia quando si fa riferimento a Siracusa (città in cui uno dei gemelli viveva.
Ho pensato che fosse più probabile che Desmond conoscesse la versione Shakespeariana che quella del grande commediografo latino (Anche se in realtà ho pensato che Des non conoscesse nemmeno quella... che non me ne voglia! xD)

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Capitolo 14
*** 13. Fortune Faded ***


Buonpomeriggio a tutti!
Non ho parole per farmi perdonare dell'immenso ritardo, per cui non mi dilungherò su questo aspetto... Sappiate solo che mi dispiace davvero tanto.
Il capitolo è discretamente lungo e finalmente vedremo un po' di azione all'Assassin's Creed, anche se è la prima volta che mi cimento nella scrittura di una scena di combattimento! Quindi non vi assicuro di aver reso bene l'idea xD
Come sempre ringrazio i miei amatissimi ( e pazientissimi) recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura, così come i miei silenziosi ( e anche voi pazientissimi) lettori che preferiscono, seguono e ricordato la fic.
Grazie per avermi aspettato! ^^
Buona lettura

Cass

P.S.
Mi sono accorta solo ora che il testo presentava variazioni di scrittura, perdonate l'errore. Ho appena corretto.




13. Fortune Faded


Si dice che negli scacchi
bisogna uccidere la Regina ed è fatta!
Poi accade una cosa divertente: Il Re che si fa assassinare.
Così, ogni volta che perdo, Altezza...

Così magnifico...
Accade tutto quando la mia fortuna è svanita.
Non preoccuparti delle conseguenze del crimine,
Questa volta la mia sfortuna è svanita!

Andiamo, sembro davvero così impenetrabile?

Red Hot Chili Peppers- Fortune Faded


 




La verità era che non avevamo un’idea precisa circa l’arrivo dei Templari.
Nella lettera si parlava di una distanza di tre settimane dalla data della stesura, di certo non avevano indicato giorno e orario preciso, e in particolar modo non potevamo prevedere in che modo la morte di Cassim, a capo dell’operazione, avesse influito sull’avanzata dei crociati.
Conoscevamo però il motivo per cui Roberto desiderava così ardentemente avere potere su Acri: Quando io e Vega non eravamo impegnati in addestramenti o in meritatissimi (quanto rari) momenti di pausa, indagavamo sulla struttura sotterranea, che ormai avevamo appurato centrasse qualcosa con la Prima Colonizzazione di cui i Templari cercavano disperatamente degli eredi.
Ad Acri, chissà, forse proprio a causa di quello strano posto, circolavano molte voci, per lo più leggende di strada, sull’aspetto e sui poteri che questi eredi avrebbero dovuto avere. Roberto lo sapeva e non sembrava intenzionato a mollare l’osso.
-C’è una vecchia del posto che ne conosce di storie assurde- ci aveva detto Bashir, quando gli avevamo chiesto notizie – Ma abbiamo allontanato con un pascolo lei e altre persone, per salvare il salvabile in caso di fallimento con tanto di ritirata. Se riusciremo a vincere, potrete chiederle quello che volete. Anche se non capisco come vi possano interessare certe... stupidaggini-.

Nel frattempo avevamo tracciato una dettagliatissima mappa della struttura, indicando i punti in cui erano presenti quei curiosi disegni geometrici che reagivano al semplice tocco del sottoscritto o della rossa.
Ovviamente opportunità di verificare cosa accadesse se avessimo mantenuto più a lungo il contatto non ne avevamo avute: Con tutta quella gente in giro, bambini, anziani, non potevamo arrischiarci. Se la struttura fosse crollata? O peggio?
Eravamo in una mezza situazione di stallo, sia sul fronte della battaglia e delle ricerche, sia sul fronte... beh.... personale.
Dopo quell’intenso bacio, tra me e Vega non era calato neanche per un secondo un sipario di vergogna o pentimento, ci eravamo avvicinati parecchio, ma nessuno dei due aveva cercato di parlarne. O di ritentare l’esperienza.
In breve, era come se me lo fossi immaginato, come se non fosse mai successo.
E davanti al sole pallido dell’alba, al cielo chiaro velato ancora della notte, con una insolita brezza fredda a solleticarmi il viso, quel bacio sembrava davvero un sogno.
-Potremmo morire, oggi- mormorò Vega alle mie spalle.
Era lì da un pezzo, ma non aveva osato interrompere la magia di quel momento, di quei momenti in cui è ancora troppo presto per agire e troppo tardi per tornare indietro.
Proprio come con lei.
-Potremmo morire sempre- fu la mia risposta, schietta, decisa, ma non ostile.
Era la semplice verità. La spada di Damocle sul collo di chiunque. Figuriamoci di un Assassino.
Si sedette accanto a me sul cornicione, dove mi ero sistemato, su richiesta di Bashir, per allertare il nostro “esercito” se all’orizzonte fossero apparsi i Templari; come avrebbero fatto le altre sentinelle sparse ovunque da giorni.
Prese un bel respiro, con gli occhi chiusi, forse per godersi l’aria fresca del mattino e dopotutto sembrava, nonostante la sua affermazione, molto serena. Come lo ero io.
Forse il vero vantaggio di essere Nizariti, veri Nizariti, era proprio quello di accettare la morte e, anche, salutarla come una vecchia amica qualora si fosse presentata. Perché dopo c’era qualcosa di meglio, così diceva Al Mualim.
Perché ci saremmo meritati il Janna, con le nostre azioni.
Io non avevo paura di morire, perché ero convinto che dopo, per fortuna, saremmo tornati cenere.₂
- Hai paura? Di morire, intendo- le chiesi, senza distogliere la sguardo dal sole.
Sentii Vega distendere le labbra in un sorriso –No. Morire è piuttosto facile...- ovviamente si riferiva a Kadar – Invece... vivere comporta una “certa” sfida-.
Risi con lei dell’eufemismo -Abbiamo un così disperato bisogno di credere di poterci salvare, di salvare le persone che perdiamo da quello che c’è dopo... che perdiamo il senso delle cose. Personalmente spero solo di riposare e davvero in pace- concluse, asciugandosi una lacrima con il dorso della mano, coperto dall’avambraccio in cuoio.

 Fui sorpreso che la pensasse come me, ma non lo diedi a vedere, preferendo piuttosto farmi ancora più vicino. Aveva poggiato la testa sulla gamba che stringeva al petto, l’altra a penzoloni dal cornicione, ed era circondata da una piccola aura di angoscia.
Davvero non riuscivo a capire in che modo il rapporto tra lei e Kadar fosse durato nonostante la lontananza, rimanendo talmente forte da sembrare che non si fossero lasciati mai.
-E se l’anima finisse davvero da qualche parte? Non vorresti rivederlo?- la interrogai.
Fece un sorriso stanco –Credo che lui non se ne sia mai davvero andato-.



Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.


L’allarme arrivò poco più che un’ora dopo da una sentinella situata a sud rispetto all’edificio, zona diametralmente opposta a quella affidatami.
Ci fu qualche momento di esitazione e panico, ma forti del preavviso e della preparazione efficiente organizzata da Abbas e Bashir, cominciammo a sistemarci ognuno al proprio posto di combattimento: Alcune donne, erano nascoste vicino ai meccanismi di trappole congegnate per fermare l’avanzata templare, un numero cospicuo di uomini armati di spada era situato sia sul versante nord ( in minor parte) sia a sud. Sugli alberi, sul tetto dell’edificio e dietro le feritoie sui muri, erano sistemati gli arcieri.
Io mi trovavo fra gli uomini armati del sud e Vega tra gli arcieri sul tetto.
I bambini, gli anziani e tutti gli altri impossibilitati a combattere erano stati barricati nella struttura sotterranea.
Tutto sembrava pronto per...



... Una carneficina.
L’odore di sangue, budella, carne bruciata era talmente intenso e nauseante da far venire la lacrime agli occhi.
E non sarebbe stato così terribile per me, se non fosse stato per il pensiero che il sangue riverso a terra appartenesse a degli innocenti e non a malfattori.
Questo mi disgustava più dell’odore, più di qualche arto mutilato e di organi esposti al sole.
Mi voltai appena in tempo per vedere un templare, troppo distratto dalla corsa per accorgersi di un braccio amputato, inciampare in questo, diventando facilmente preda della mia spada.
Non ebbi quasi il tempo di disincastrare la spada dalle sue carni, che mi dovetti difendere da un fendente dall’alto di un massiccio cavaliere, troppo ben equipaggiato per essere un crociato di basso livello.

La mia difesa fu efficace solo in parte: certamente evitai che il colpo mi spaccasse la testa in due, ma era stata una parata affrettata e incerta, che mi fece vibrare tutto il braccio.
Conscio che non avrei retto per molto e che di certo non avevo possibilità di contrattaccare, supino a terra com’ero, decisi di temporeggiare mollando un calcio al ginocchio del soldato, certo non tanto vigoroso da spezzargli la gamba, ma abbastanza forte da farlo ruzzolare a terra, ben lontano da me.
Mi alzai di scatto e immediatamente gli trafissi il collo: unico punto vitale scoperto dell’armatura templare. Fui più svelto a riprendere l’arma in mano.
Sentii poi gli urli francesi di due uomini, che correvano verso di me brandendo la spada uno sopra la testa e l’altro con una sola mano, ma fu incredibilmente facile immaginare come ucciderli: il primo lasciava alla mia mercé il petto, il secondo, per quanto sembrasse forzuto, non poteva avere sulla spada una presa davvero salda con una sola mano.
Ma nessuna delle mie elucubrazioni servì.
L’uomo dalla presa poco salda fu decapitato da un Ribelle spuntato da dietro un masso e il primo fu stroncato da una freccia proprio al centro del collo.
Solo due persone avrebbero potuto colpirlo così precisamente, ma Abbas stava combattendo in prima fila con me.
Sorrisi mentre, schiena contro schiena al Ribelle decapitatore, affrontavamo quattro altri Cavalieri.
Uno dei trucchi più importanti ed efficaci che Al Mualim mi aveva insegnato riguardo gli scontri dove si è in minoranza era quello di scegliere un avversario. Di fissarlo. Dovevi fargli capire che era il tuo bersaglio.₃
Mai perdere di vista gli altri, ma concentrati davvero su uno solo.
Mi scagliai su quello più vicino a me.
Era evidente che non fosse un guerriero ma uno dei tanti popolani mingherlini e impreparati reclutati a suon di minacce quando non bastavano la promessa del paradiso e i fasulli sogni di gloria: dopo una sola falsa stoccata sulla destra, fu facile trafiggergli il petto dalla parte opposta.
Contemporaneamente, il mio compagno aveva aperto lo stomaco ad un secondo Templare grazie ad un fendente poco profondo, ma incredibilmente veloce e calibrato nella zona in cui colpire.
Ci trovammo alla pari, ma il mio nuovo avversario non sembrava sprovveduto come il precedente, partì immediatamente all’attacco con una sciabolata verso il fianco, ma ero abbastanza sicuro si trattasse di una finta.
Lo stridio delle nostre lame provocò una marea di scintille rosse e il mio rivale spingeva la spada con tutto il peso del suo corpo... ma non avevo alcuna intenzione di interrompere il contatto per primo e con uno sforzo immane riuscii a respingerlo quel tanto che bastava per caricare un nuovo colpo e attaccare ancora.
Lo scossone lo aveva reso vulnerabile sulla sinistra, mano in cui non teneva la spada, così fu lì che mirai.
Mi contrastò ancora, con forza, e l’avrei davvero apprezzato come combattente se non avesse commesso il piccolo errore di avvinare troppo la faccia alla mia mano sinistra.
Con un Sink la mia lama celata gli perforò l’occhio.
Si slanciò all’indietro, la mano sulla ferita che grondava sangue e io, finalmente libero, gli corsi incontro, la lama celata ancora aperta...


- Il est l’Assassin! Tuez-le!₃- gridò un generale Templare al mio indirizzo.
Gli corsi incontro senza esitazione, prima che quattro uomini con la croce sul petto si ponessero di fronte a lui con le spade salde in mano.
Questo complicava evidentemente le cose.
Esitavo, in posizione di difesa, indeciso se attaccare per primo o aspettare che loro si facessero avanti: ero in netta minoranza, ma in qualche modo avrei potuto cavarmela.
Uno si lanciò verso di me con un grido, con una foga tipica di un principiante, lo schivai abilmente spostandomi di lato e lo colpì sulla schiena.
Non ebbi il tempo di girarmi che altri due mi si erano pericolosamente avvicinati.
Imprecai, ritornando in posizione di difesa con frettolosa foga e uno di loro rise - Avez-vous peur, infidèle?₄-.
Avrei tolto quel sorriso dalla sua faccia a suon di sciabolate.
Decisi di combattere prima con lui, ma il suo compagno non sembrava intenzionato a restarsene lì impalato, anzi, alzò la spada oltre la testa, pronto a colpire e contemporaneamente l’altro si slanciò verso di me, agitando la spada.
Fu facile liberarmi del secondo soldato con un calcio, solo per guadagnare tempo, fu più difficile invece parare efficacemente il colpo del primo:
Riuscii a bloccare la sua spada con la mia, ma la parata avvenne tanto vicino alla mia testa che mi sembrò di non averlo contrastato affatto.
Senti una sorta di euforica agitazione rapire tutte le mie membra.₅
Lui non si perse d’animo e staccò la spada solo per attaccare ancora.
Schivai il corpo con una capriola e, non appena finii di rotolare, tirai un coltello al soldato che avevo sbalzato con il calcio. Lo colpii allo stomaco, rallentandolo di nuovo.
L’altro era tornato ancora all’attacco: parai un fendente laterale, poi, approfittando del suo sbandamento lo colpii con una gomitata in faccia.
Ormai a terra, gli perforai lo stomaco.
- Vous avez de la chance, infidèle! - gorgogliò l’altro Cavaliere, faticando a stare in piedi -Mais, parfois, la chance n'est pas assez!₆-.
Presi molto sul serio l’avvertimento, cominciando a sentire puzza di bruciato rispetto ai piani templari.
Gli occhi gli si rovesciarono e, con un rivolo di sangue che calava dalla bocca, stramazzò al suolo, sollevando una piccola nuvola di polvere. La scena fu abbastanza pietosa, ma cercai di non farmi distrarre troppo perché, ancora in sella al suo cavallo nero, c’era il generale Templare, le briglie in mano e un sorriso indifferente sul volto –Dovrete confrontarvi con me, Assassìn- disse in un arabo sicuro, anche se con spiccato accento francese.
- Vi siete fatto desiderare- risposi irriverente, mentre lui scendeva con calma da cavallo. Aveva un portamento fine, doveva di certo essere un nobile.
Si lasciò scappare una piccola risata dai folti baffi e con passi misurati si avvicinava piano a me – Vi ho concesso di riscaldarvi, dovreste essere più... come dite voi infedeli...  Latîf!₇-  sguainò dal fianco una Bastarda(8) affilata, mettendosi in posizione d’attacco.
La sua arma era incredibilmente sottile rispetto alla mia, sebbene molto più maneggevole e incredibilmente più veloce... rinfoderai la mia daga per tirare giù la lama corta. Meglio giocare sullo stesso campo.
Ci scrutavamo con gli occhi, girando attorno come due avvoltoi su un corpo morto, studiando ogni minimo gesto dell’altro che potesse darci un vantaggio.
Presi di scatto un coltello e lo lancia verso di lui, schivò abilmente il colpo, però io trovai il giusto istante per prendere la mia rincorsa e attaccarlo. Quello parò abilmente il colpo, per poi spostarsi e provare a colpirmi dal lato opposto, ma con un balzo all’indietro evitai che la stoccata mi privasse del braccio.
Il generale provò ancora con un attacco più diretto al petto, ma mi abbassai giusto in tempo per colpirlo alle gambe. La spada corta non mi aveva permesso di tagliargliela, ma sicuramente aveva lasciato una ferita che mi avrebbe concesso qualche minuscolo vantaggio, perché un tale Cavaliere non si indebolisce con così poco.
Nonostante questo, il suo grido roco non fu che musica per le mie orecchie.
-Complimenti, Assassino. Ti avevo sottovalutato!- biascicò, rimettendosi a correre verso di me. Non mi aspettavo tanto vigore, così sebbene riuscii a respingere l’attacco, mi beccai un rovescio in faccia tanto forte da farmi ruzzolare a terra.


Ma certo, pensai, il Signore è anche dotato di un tirapugni.

Il colpo mi aveva stordito appena ma sentii chiaramente un rivolo di sangue scendermi dalla tempia fino a mischiarsi con il terreno. Non era il tempo di piangersi a dosso, sentii caricare il colpo e mi girai appena in tempo per non essere infilzato come un Novizio.
Quello ci provò ancora, ma non ne ebbe il tempo, perché lo acceccai con una manciata di polvere. Un secondo per riorganizzare i pensieri era quello che mi ci voleva: vidi che la spada corta era qualche metro lontana da me... doveva riprenderla, perché usare la daga sarebbe stato un punto in svantaggio per me.
Dovevo temporeggiare ancora.
Restai appositamente a terra, affinché il Generale potesse cercate nuovamente di attaccarmi e non si fece attendere molto, caricò il colpo da sopra la testa e io potei sferrargli un calcio in pieno stomaco con tutte e due le gambe: volò all’indietro per qualche metro e allora io mi alzai e corsi verso la mia arma.
Avevo ancora la vista appannata per la botta, ma ero fortunatamente lucido e capace di muovermi; raccolsi la spada e mi girai giusto in tempo per vedere l’uomo rialzarsi da terra, in una mano la sua Bastarda e nell’altra il mio coltello da lancio.
-Suppongo conosciate la legge del taglione, Assassìn- ghignò, roteando la piccola arma, eppure non sembrava avere ancora intenzione di provare a lanciarla, preferì avvicinarsi di qualche passo. La sua tunica era completamente bagnata di rosso nella zona inferiore, chiaro segno che ogni movimento stava allargando la ferita, questo lo stava indebolendo... ma il fatto che avesse un’arma da lancio in mano poteva anche evitargli di muoversi.
Non potevo restare fermo, mi spostai verso sinistra e cominciai a correre verso di lui, giocandomi il tutto per tutto. Preparò il lancio, ma allora mi spostai ancora, più a destra, costringendolo a prendere nuovamente la mira.

Pochi metri....  Mancano pochi metri....

Lo vidi tendere il polso così cambiai ancora posizione, di nuovo a sinistra.
Si innervosì e ne approfittai per prendere il mio ultimo coltello  e disarmarlo, colpendolo lì dove stava l’arma gemella.
Ci ritrovammo di nuovo alla pari e tirai una stoccata sulla destra che finì per parare, ma gli tirai un pugno con l’altra mano, per poi infilzarlo quando era terra.
Una rosa di sangue gli si formò sullo stomaco tutt’intorno alla mia spada, abbandonò le membra al suolo, facendo cadere la spada.
Cercava di dirmi qualcosa, ma la sua voce era sottile come un papiro, mi abbassai fino a quando i nostri volti non furono vicini.
-Sei pieno di tracotanza, giovane, lo vedo nei tuoi occhi.. Sei come un Re degli scacchi.- bisbigliò, stanco –Forse il giochetto che ti abbiamo tirato non ti tangerà per nulla...- tossì.
Mi allarmai immediatamente, ricollegando la minaccia dell’altro cavaliere morto a quelle di quest’uomo –Che giochetto? Cosa centrano gli scacchi?!- chiesi rabbioso, solo qualcosa, o meglio qualcuno, mi avrebbe toccato davvero.
Lui rise roco – Davvero credi di essere fondamentale qui, ragazzo?- tossì –Sì, che lo credi. Sei superbo.... come un Re! E anche se devo ammettere che hai assottigliato notevolmente le mie file, ricordati che tu proteggevi un campo vuoto, qualcun altro proteggeva qualcosa di più sostanzioso. Qualcuno di caro, da quello che so... Una regina!-.
Mi si ghiacciò il sangue nelle vene – Vega...- sussurrai in un respiro strozzato –Cosa le avete fatto? Rispondimi, schifoso!-.
Si fece un'altra fioca risata - Sai qual è la regola degli scacchi, infedele? Per prima cosa uccidi la regina... - le forze cominciavano a lasciarlo - Poi il Re si consegna da solo!- spirò.
Sembrava che la mia sfortuna non avesse limiti: Avevo giusto il tempo di trovare qualcosa di nuovo, prezioso, importante e subito il destino me lo strappava dalle mani, senza che potessi oppormi.
Gridai frustato, lasciando quel corpo al suo destino, e corsi a perdifiato verso la struttura, da cui mi ero allontanato troppo. Troppo per i miei gusti.


- Altaïr! Altaïr!!!- vidi Abbas corrermi contro, il naso storto appena incrostato di sangue, il labbro spaccato, i vestiti strappati e un taglio preoccupante sul braccio.
Ma la cosa che più mi interessò in quel momento era il suo sorriso. Se fosse successo qualcosa a lei, lui non sorriderebbe così,, anzi... Queste liete considerazioni mi sfiorarono di striscio, perché riuscii a respirare soltanto quando vidi una inconfondibile chioma rossa a qualche metro di distanza, dietro le spalle del ragazzo:
Vega stava prestando soccorso a qualcuno, ricucendo forse una ferita... però il mio cuore non si alleggerii di quella cupo ombra che le parole del generale vi avevano posto.
 –Si ritirano, Altaïr! Abbiamo vinto... Noi! Dei semplici contadini!- e scoppiò in una grassa risata. Fu impossibile non farsi contagiare della sua felicità –Non avevo dubbi, Abbas- gli poggiai una mano sulla spalla come segno di vicinanza –Come sei conciato? Chi ti ha fatto queste ferite?-.
Sembrò imbarazzato dalla domanda –Il taglio sul braccio è stato un mio stupidissimo errore nel combattimento con un Templare, ma mi è già stato suturato... Il casino in faccia è un gentile regalo di Vega- mormorò, abbassando gli occhi.
Pensai di aver capito male –Che ha fatto Vega?-.
Storse la bocca, procurandosi certamente un gran dolore – Quando i Templari hanno suonato la ritirata io...- si fermò, guardò verso il basso con le sopracciglia corrugate –Non c’è un modo gentile per dirlo, quindi... Beh, io l’ho baciata e lei mi ha “enunciato” la sua opinione tirandomi un sonoro pugno in faccia-.
Non riuscivo a decidere se ridere per la faccia metà offesa, metà estasiata di Abbas o se esprimere la mia opinione adottando il modus operandi di Vega.
Scelsi un’aurea via di mezzo, lo abbracciai per le spalle, come se volessi dirgli qualcosa di confidenziale –Ora sai già cosa succederà se proverai a baciarla ancora. Attento però, non sempre il cazzotto potrebbe appartenere a Vega...-.
Abbas rise, determinato –Credi davvero che te la lascerò? E senza lottare, per di più? Che brutta impressione che hai di me!- mi disse ridendo, dandomi un piccola pacca sulle spalle.
Mi ritrovai a ridere con lui, ricambiando il gesto –Preparati a perdere, moccioso!-.
Stranamente sentii nascere una specie di cameratismo con quel ragazzo, un nuovo rispetto per il suo coraggio e per la sua risolutezza: Mi stava proponendo una competizione sana quanto onesta, che non potevo negargli.
Ma che ovviamente avrei vinto io.







1) Apriamo il capitolo con i Red Hot Chili Peppers e una delle loro canzoni più belle in assoluto, uscita nel 2003 come singolo.
Come sempre vi invito a leggere questa nota dopo il capitolo, per evitare spoiler.
Ora che avete letto sicuramente avrete capito perché la citazione sugli scacchi. Beh, per prima cosa l'ho trovata adatta ad una battaglia: Gli scacchi sono sinonimi di strategia, pezzi dominanti... e poi, ovviamente, per la minaccia fatta al nostro Altaïr.
Ma andiamo con ordine:
Indubbiamente il pezzo più forte degli scacchi è la regina, che può muoversi in tutti i sensi ed essere ovunque, proprio come un arciere. E' la regina a dare l'estrema difesa al re. Per questo Vega, che difendeva il forte, mi è sembrata essere un perfetta Regina.
Non so se abbiate mai giocato a scacchi, ma solitamente se vi mangiano la regina, siete davvero in svantaggio, specie verso la fine della partita e proprio per questo, molte volte, un giocatore esperto a cui viene mangiato questo pezzo, decide di auto mettersi in scacco, quindi è come se il Re si suicidasse.
Ok, figo, ma cosa ci azzecca con i nostri protagonisti?
Dalle parole del generale si evince che il loro piano, che sembrerebbe fallito, era quello di uccidere Vega per la sua posizione strategica ( e anche perché sapevano di pungere Altaïr, in qualche modo), sapendo che il nostro bell'Assassino sarebbe immediatamente corso da lei, esponendosi al pericolo per l'impulsività... Quindi una specie di suicidio.
Questo scatena ovviamente rabbia in Altaïr, oltre che preoccupazione, ma forse questi situazione lo ha aiutato a capire che, lui che si è sempre vantato di non aver punti deboli, ormai ne ha uno ben evidente. Non è più impenetrabile.
P.S.
Ammetto di non aver verificato se gli scacchi esistessero o meno all'epoca... L'idea mi piaceva troppo e non volevo avere un motivo per non infilarcela. Un brutto risvolto dell'essere estremamente precisi. Quindi perdonatemi, per questa volta.

2) Spero di non turbare nessuno con queste considerazioni sulla spiritualità. La religione è una tematica su cui non voglio soffermarmi, perché "Ognuno è libero di  fare quello che vuole. Non sta a noi giudicarlo. Non importa quanto non siamo d'accordo". In ogni caso, se qualcuno avesse recriminazioni e/o scomuniche (xD), vi ricordo che Altaïr è dichiaratamente ateo nel libro "La crociata segreta" di Oliver Bowden, e che si può tranquillamente evincere la sua opinione religiosa anche dalle pagine del codice che ritrovate in ACII.

3) Il est l’Assassin! Tuez-le! :  -E' l'Assassino! Uccidetelo!-

4) Avez-vous peur, infidèle?:  Hai paura, infedele? ( Non ho mai studiato francese, neanche alle medie perché facevo tedesco, per cui prendetevela con google per qualsiasi errore)

5) Sicura che Altaïr non avesse la minima idea di cosa fosse l'adrenalina, ho cercato di descrivere quella sensazione con parole più "semplici", tipiche suppongo dell'epoca.

6)Vous avez de la chance, infidèle! Mais, parfois, la chance n'est pas assez!: Sei fortunato, infedele! Ma, a volte, la fortuna non basta!

7) Latif: Gentile

8) La Bastarda è una spada che si diffuse in Europa proprio durante la III Crociata, quindi proprio quella che vivono i protagonisti. E' una spada ibrida, figlia dell'arma tipica della Cavalleria dell'epoca (anche se con un elsa più versatile) e della Spada a due mani usata dai milites romani (della quale però risulta più corta). Mi sembra attendibile che un facoltoso nobile francese ( proprio dalla Francia arriva la spada) fosse dotato dell'arma più all'avanguardia possibile.

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Capitolo 15
*** 14. Nothing But Time ***


Spin-off nr 3/4
Lo so, lo so... sono una persona orribile.
Da quant'è che non aggiorno? Due settimane? Tre? Non lo so. Ma mi sento in colpa in ogni caso.
Per cui vi ringrazio enormemente per la vostra stoica pazienza e per non avermi ancora abbandonato.
Ringrazio i miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per la loro dedizione instancabile, le persone che silenziosamente ricordano, seguono e preferiscono la storia. Oh, e i tre gentilissimi lettori che mi hanno aggiunto agli scrittori preferiti: Mi riempite di gioia!
Che dirvi?
Ah,giusto due cose: Ho aperto una piccola sfida che trovate nella nota 1, rispondete se vi va! E' un modo carino per rendere interattiva la storia!
E sempre a questo proposito, pensavo di aprire un gruppo chiuso su Facebook sulla storia, per condividere con voi anticipazioni, tempi di aggiornamenti, disegni che faccio sulla fic (zan zan zaaaan) e chiacchiere varie... che ne pensate? Mi potete cercare direttamente e io vi aggiungerò al gruppo: Sono Cass Pepper!!!
Buona Lettura!

Cass





14. Nothing But Time


In qualche modo, ogni cosa, andrà bene...
Se solo trovassimo un modo per farle
andare bene tutte più velocemente ogni giorno.
Se solo il tempo volasse come una colomba
noi dovremmo far sì che voli più velocemente
di come io mi sto innamorando.

Quindi non abbiamo nient'altro.
Nient'altro che il tempo nelle nostre mani...
E anche se sto cercando di mantenere la calma,
la sto perdendo sempre di più.

Paramore - Hallelujia





-Ciao,
Waqi!-
Sentirlo parlare era quasi straziante. La sua voce era così diversa da quella gioiosa e scampanellante che avevo lasciato prima di partire per la Cina. Era così bassa, così profonda.
Sorrisi immediatamente, girandomi nella sua direzione.
Il mio nome in arabo suonava così dolce, detto da lui, con quella nota fraterna-non-fraterna, come amava definirla: "Non posso mica precludermi la possibilità di corteggiarti, un giorno!" rideva.
-Ciao Kadar- mormorai, con un groppo in gola.
Il suo volto, anche, era cambiato: Il viso era spigoloso, sempre terribilmente abbronzato, con il pizzetto nero a contornargli le labbre sottili. Nonostante il cappuccio, si intuiva la forma squadrata della mascella, anche se non lo sarebbe mai stata come quella di Altaïr.
Altaïr. Era strano pensare a lui in quel momento. Forse era stato un campanellino d'allarme per quel Waqi.
Non potevo negare che la prima volta che mi aveva chiamata così avessi sentito le gambe molli.
Perché mi aveva ricordato
    lui, ma allo stesso tempo, mi aveva sbattuto in faccia le loro differenze: il suo Waqi non era dolce e nemmeno fraterno-non-fraterno. 
Era sensuale.
Eccitante.
-Sei cresciuta- fu il suo commento malizioso. Incrociò le braccia dopo essersi abbassato il capuccio, mostrandomi il volto.
Gli zigomi erano appena sporgenti, i capelli scuri sparati in ogni direzione e gli occhi... gli occhi neri di Kadar erano come pozzi profondi in cui annegare.
Non mostravano solo le sue emozioni, la sua anima... mostravano di più. Mostravano tutto.
Riportai con forza l'attenzione al discorso, era facile perdermi se si parlava di Kadar, e rielaborai in fretta le sue parole e il suo tono, ma non avevo la forza né di imbarazzarmi né di arrabbiarmi per quella allusione, ero impetrita sul posto, troppo... troppo tutto, troppo sconvolta, troppo felice...

Troppo emozionata al pensiero di poterlo rivedere. Di poterlo sentire parlare. Di poterlo toccare.
Potevo? Non ne avevo idea, forse ne avevo la facoltà e non il coraggio, ma di certo non riuscivo a distogliere lo sguardo dai suoi occhi scuri e profondi.

Avevo quasi dimenticato quanto fossi bello.

-Grazie- ghignò lui. Non ebbi nemmeno il tempo di protestare per l'intrusione che lui mi riprese -Siamo nella tua testa, piccola. Che ti aspettavi? Non hai segreti per me!- fece un sorrisino tenero - Finalmente sono io a leggerti i pensieri e non il contrario-.
Ma quell'espressione di gioia non ebbe nemmeno il tempo di nascere che subito si incrinò.
Anche qualcosa in me si incrinò: non avrei potuto leggergli mai più la mente. Non avremmo potuto fare più niente.

Presi un bel respiro per scacciare quel pensiero -Sei davvero tu?- balbettai - Sei davvero qui? Sì, insomma, tu sei...- faticavo anche a pensare quella parola -...vivo?-.
 -No, dolcezza. Ma vorrei esserlo, davvero tanto...-
Cominciò a mancarmi l'aria nei polmoni, la forza negli arti e la vista mi si offuscò di lacrime... perché ci avevo sperato davvero, avevo sperato che fosse tornato, che non fossi pazza, che non fosse un sogno. Ma ero rimasta delusa. Credere non era bastato. 
Mi poggiai una mano sul cuore, cercando di tenerlo assieme dopo quell'ennesimo strappo.
-Non piangere, Vega- mormorò, alzandò un braccio verso di me.
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso:

-Perché non dovrei piangere?- urlai -Perché non dovrei piangere, Kadar? TU SEI
MORTO- ansimai, sconfitta, rendendomene finalmente conto.
-Non so se te ne sei accorto. Io ti ho perso due volte, senza saperlo. Senza volerlo. E ci hai visti? Hai visto la fine che abbiamo fatto tutti?- feci un passo in avanti per la foga, lui mi guardava petrificato.
-Samir è un
ribelle! E' così preso dai suoi piani contro Al Mualim che...- non riuscii a continuare la frase per il dolore -Sono sicura che Malik sia distrutto. Dicono che disegni mappe su mappe, che sia sempre indaffarato... Non si concede un minuto per pensare. Non capisci perché lo fanno?! Non ci arrivi proprio?- strinsi i pugni fino a far diventare bianche le nocche.
-E hai visto me, Kadar? Hai visto che fine ho fatto io?- dovetti riprendere fiato, la gola mi bruciava per il prolungato urlo. Ma non mi importava.
Non mi importava niente in quel momento - Io sono in missione con il tuo assassino. Ma non bastava, sai? Non mi bastava una cosa del genere. Sono diventata sua amica e mi piace esserlo...- mi fermai un secondo per ficcare quel concetto anche nella mia mente -E' lui a piacermi-.
Kadar emise un lamento e abbassò il capo con aria colpevole, dispiaciuta; ma in quel momento non riuscivo a tollerare che lui provasse quei sentimenti.
Non ne aveva il diritto. Perché era morto.

Feci altri passi in avanti, senza accorgermene -Non mostrarti addolorato, sai? Non permetterti nemmeno di essere dispiaciuto, perché non puoi. Mi hai capito?- il mio tono di voce esprimeva benissimo l'isterismo che mi aveva colta, così come i miei passi frenetici, che mi avvicinavano sempre più al suo corpo.
-E sai perché? Perché non ci sei più, Kadar, tu sei
morto. E quando muori, non te ne accorgi. Non si prova dolore- ormai gli ero praticamente addosso -Sono gli altri, quelli che rimangono, che soffrono- ansimai, poggiando la fronte sul suo petto.
-E tu sei morto!- conclusi amaramente, inspirando il suo odore fresco, di bosco.
Quello non era cambiato.

Le sue braccia mi circondarono immediatamente le spalle, accogliendomi, quasi conformandosi al mio corpo. Mi sentii morire e rinascere allo stesso tempo.
Restammo così per un tempo indefinito e cercai di prendere tutto. La mia mente mi stava offrendo un'occasione irrepitibile, una proiezione del mio Kadar...
Non sapevo se sarebbe mai più risuccesso: Così cercai di raccogliere tutto il calore della sua pelle, il suo odore, la tonicità della braccia, la durezza degli addominali, il lieve pizzicore nato dal suo pizzetto sulla mia fronte.

La morbidezza delle sue labbra quando mi sussurrò all'orecchio che mi aveva sempre amato.

Un singhiozzo più forte mi scappò a quelle parole. 
-Perché mi stai facendo questo? Mi stai offrendo una vita di rimpianti- mugolai, alzando il capo verso di lui, stringendo di più le braccia attorno alla sua vita.
Lui fece una risatina amara e, infilata una mano tra i miei capelli, cominciò a massaggiarmeli -Sono un egoista, piccola- confessò mestamente -Avevo bisogno di te. Di salutarti... E non ho fatto una cosa gentile, venendo a trovarti, lo so. Ma non potevo lasciarti andare così. Non potevo lasciarti ad Altaïr senza...- fece una risatina nervosa - senza spiegarti per bene i miei sentimenti-.
La mia risposta fu un rantolo. Di sorpresa. Di dolore. Di imbarazzo. Di irrazionale gioia per la sua confessione. Di rimpianto.
-Non piangere, piccola e dimmi una cosa- sussurrò, avvicinandosi ancora una volta al mio orecchio -Sei almeno un po' felice che io ti ami?- Che domanda sciocca.
Lo guardai torvo dal basso verso l'alto -Certo che lo sono. Come potrei non esserlo?-.
Lui accostò il suo naso al mio e in questo modo le nostre labbra si sfiorarono appena. Il mio cuore cominciò a fare le capriole.
- Perché la mia morte potrebbe farti erronemante credere di non dover concedere il tuo cuore- soffiò leggermente e sentii ogni fibra nel mio corpo tremare -Non essere arrabbiata con Altaïr- continuò -E digli che io non lo sono. Non lo sono mai stato-.
Si avvicinò ancora alle mie labbra. Non riuscivo a capire come potesse avvicinarsi tanto senza toccarmi davvero: forse era solo una incongruenza del mio sogno.
Mi venne nuovamente da piangere a quel pensiero.
-Anzi- continuò, carezzandomi la guancia arrossata col dorso della mano -Digli che una cosa gliela invidierò sempre- mi guardò profondamente -Questo-.
E le sue labbra furono sulle mie.


-Ehi Sayydah
? Sayydah sei sveglia?- Mi svegliai di soprassalto a quelle parole, con gli occhi spalacati e vigili e il cuore che si agitava frenetico.
Non c'era Kadar. Non c'era Altaïr. Non c'era nessuno, se non un bimbo dagli occhietti neri vispi e una finestrella lì dove c'era l'incisivo sinistro.
Lo riconobbi come 'Adel, il figlio di una delle cuoche.
-Marhaba
!- bofonchiai, la voce impastata e gracchiante per il sonno, cercando di non scaricare su di lui tutta l'agitazione che provavo.
-Marhaba!- rispose lui, squillante, sorridendo ancora -Abbas mi ha chiesto di svegliarti anche se non avevi il turno da senfinella- continuò, mentre io mi puntellavo sui gomiti prima di alzarmi del tutto dalla stuoia - Dice che ha una brutta sensazione. Di tenersi pronti-.
Annuii, cercando ancora di non far trasparire il mio turbamento -Ma certo. Grazie per avermi avvisato!- gli sorrisi, porgendogli uno dei tanti sacchettini di mandorle che Altaïr continuava a raccogliermi quando usciva dalla struttura.
Si mostrò entusiasta del regalo e, dopo avermi detto grazie almeno cinque volte, sgattaiolò via, saltellando.
Tirai un sospiro alzandomi definitivamente, abbandonando il torpore della coperta. Era l'alba e quasi mi sentii arrabbiata con Abbas per aver disturbato un bambino a quell'ora, oltre che per l'aver disturbato me.
Me e Kadar.
Scacciai quel pensiero dalla mia testa, c'era un forte rischio che mi mettessi ad urlare o, peggio, a piangere... decisi di raggiungere immediatamente il mio compagno sul tetto, dove sapevo era stanziato come senfinella, per dirla come 'Adel.
Sorrisi, guardando i sacchetti sistemati ordinatamente sul tavolo.
"Ho visto che ti piacciano davvero" aveva detto seraficamente senza guardarmi negli occhi quando, stupita, mi ero ritrovata il primo pacchetto tra le mani "E visto che molto spesso non riesci a mangiare, devo nutrirti in qualche modo. Non me ne faccio nulla di un'alleata deperita".
Che tradotto in Altaïrliese voleva dire "Ti ho pensato e mi fa piacere prendertele. E' un modo stupido di essere gentile."
Quel ragazzo mi stava facendo diventare pazza...
Di lui.



L'avevo perso di vista.

L'avevo perso di vista da due ore, ormai.
L'avevo perso di di vista da due ore e non ero riuscita a fermare tutti i templari che si muovevano verso il punto in cui lui era scomparso.
E non c'era traccia nemmeno di Abbas e Bashir, per giunta.
Era il momento giusto per farsi prendere dal panico. Cazzo.
Dovevo tenere la mente occupata, altrimenti sarei impazzita del tutto: Per questo benedissi in tutte le lingue che conoscevo la donna che mi chiese, dopo aver inistito per non farmi medicare subito, di andare a cercare qualche superstite ferito.
Decisi di andare verso sud, nel punto in cui la maggiorparte dei soldati si era diretta. La maggiorparte dei soldati e Altaïr.
Alzai gli occhi al cielo per me stessa e mi pulii con il dorso della mano un rivoletto di sangue che mi era sgorgato dalla ferita all'occhio per quel momvimento irruento... Un maledetto templare me l'aveva riaperta grazie ad una sprangata in piena faccia.
Non ero potuta rimanere sul tetto per tutta la durata della battaglia, perché a terra era servita una mano salda che guidasse gli attacchi; in precedenza noi arcieri con i combattenti migliori, avevamo cercato di allontanare il pericolo, ma una volta che i combattenti a terra allontanavano il pericolo, si allontanavano anche loro.
Così ero scesa in campo. Non ne ero uscita del tutto indenne, ma avreste dovuto vedere gli altri. Eh eh.
-Vega!- mi girai verso quella voce, riconoscendo la figura di Abbas in lontananza. Mi sentii subito più leggera e corsi verso di lui, che sembrava vagamente ammaccato e zoppicante.
Il sole cocente del pomeriggio aveva arroventato la sabbia e picchiava forte su tutto il mio corpo, ma nemmeno questo unito alla stanchezza avrebbe rallentato la mia corsa verso il ragazzo. Era il primo viso amico che vedevo dall'alba.
Lo abbracciai di scatto.

-Stai bene?-  chiese con voce fioca indicando la mia faccia, una volta terminata l'effusione - Non hai una bella cera- constatò, sfregando le mani sulle mie braccia.
Liquidai la questione facendo spallucce -Non è la ferita che mi fa più male. Tu come sei messo?-.
Mi risposi da sola guardando il suo braccio destro, penzolante e inerme.
-Non è grave- ansimò, ma il pallore della sua pelle e il sangue di cui erano impregnati i suoi vestiti raccontavano tutt'altra storia.
Lo feci appoggiare sulla mia spalla e lo trascinai, tra le sue lamentele e i continui " Non ne ho bisogno, cammino da solo" (dannazione all'orgoglio maschile), fino al punto in cui sapevo si trovava la squadra di "medici" della struttura. Lo feci accomodare accanto ad un muro e andai a comunicare a Fhara (una delle donne che avevo conosciuto in quei giorni) le condizioni di Abbas e che sarei andata a cercare altri superstiti.
Lei mi ringraziò, ma disse che si sarebbe dovuta occupare più tardi del giovane, perché le sue condizioni non erano critiche e c'erano persone decisamente più in pericolo di lui. Mi disse però di dargli un po' d'acqua... di darla a tutti i feriti che trovavo, per reidratarli.
Accettai di buon grado la bisaccia piena e il tozzo di pane che mi offrì. Aiutò a sentir meno la stanchezza.
Tornai subito da Abbas e lo rifocillai -Torno subito, va bene?- mormorai, accarezzandogli la spalla per rassicurarlo -Vado a cercare altri superstiti-.
Fece un cenno col capo e un sorriso tirato -Ho visto dei corpi amici ad est delle stalle, e ho sentito delle voci... Vai lì, magari sono ancora vivi- la sua voce era fioca e discontinua, provai subito una grande preoccupazione per lui: Abbas era un caro amico, non solo una brava persona.
Non mi andava per niente di lasciarlo lì, in quelle condizioni, sapendo che non avrebbe ricevuto cure tanto presto.
Sembrò leggermi nella mente - Vega!- mi lanciò un'occhiata torva -Sto bene. Non intendo rimetterci la pellaccia, vai tranquilla. Senti che trambusto stanno facendo quei guaritori. Se continuano così saranno da me prima che riesca a pensare "ahia". Lì, invece, c'è gente che ha bisogno di te-.
Annuì, rinvigorita di forza morale -Prometti di non morire?- chiesi ancora, già in piedi, prima di ripartire alla ricerca.
Rise - Croce sul cuore!-.


Abbass aveva ragione.
Sei uomini giacevano grevemente feriti nelle vicinanze delle stalle. Due avevano una delle gambe rotte, gli altri "solo" ferite che li avevano indeboliti fino a renderli quasi infermi. Diedi un pezzo di pane e un po' d'acqua a tutti: nessuno aveva riportato ferite ad organi interni, si trattava dolo di ferite profonde ad arti, spalle... e uno aveva un profondo taglio che partiva dallo zigomo sinistro, poi per la parte più alta del naso, fino terminare sullo zigomo destro.
Davanti a quella ferita rischiai veramente di vomitare l'anima, ma probabilmente anche la mia faccia offriva uno spettacolo del genere.
Alcuni compagni che passavano di lì per tornare alla struttura, richiamati dai lamenti, mi aiutarono a riportare i feriti a casa... prima però dovetti riaddrizzare le gambe ai due storpi, che altrimenti non sarebbero riusciti a compiere un solo passo.
Il rumore delle ossa che si riassestavano spaventò anche me, ma cercai di non darlo a vedere, mantenendo un'espressione calma e serena, per non agitarli ancora di più di quanto non fossero già.

Quando tornammo al campo medico improvvisato, visto che i nuovi arrivati erano pronti a farsi carico delle ricerche, mi chiesero di prestare aiuto al campo stesso: di certo, dissero, non potevo traportare in spalla i feriti o quanto meno trascinarli in salvo e sembrava proprio che ci sapessi fare con le ossa e le ferite.
Così tra una sutura e un braccio spezzato, tra mutilazioni di emergenza e fratture, passarono altre due ore.
Altre due ore senza sue notizie.
"E' morto" mi dissi "Fattene una ragione. Tutte le persone che ami muoiono."
No! Non poteva lasciarmi ora, non sarebbe morto proprio oggi; mi costrinsi ad elaborare solo pensieri di questo tipo e mi concentrai solo sui miei movimenti, per chiudere al meglio la ferita del ragazzo di cui mi stavo occupando, che poteva avere la mia età, se non ancora meno. Era bianco come un cencio, mingherlino e decisamente spaventato, eppure non si era lamentato nemmeno un po', solo una smorfia di tanto in tanto a contatto con l'ago.
-Complimenti... Sei il miglior paziente di oggi!- lo informai con tono entusiata, ma lui rispose con un sorriso tirato, sebbene sincero.
Dopo averlo fatto bere e dopo averlo rispedito in struttura per riposare, cominciai a racattare, ago, spago, acqua e garze per occuparmi di qualche altro paziente, ma Abbas mi piombò accanto tutto sorridente, impedendomi di andare avanti nel mio lavoro.
-Abbas, levati di torno. Devo lavorare!- non volevo essere così sgarbata, ma il pensiero che Altaïr fosse chissà dove e chissà cosa (disperso, ferito, morto?) mi stava completamente rivoltando; ero pronta a scusarmi, ma Abbas non sembrava aver notato il mio tono acido.
Sorrideva. Sorrideva imperturbabile.
Alzai un sopracciglio, perplessa, davanti quel ghigno smagliante, agli occhi lucidi come se fosse commosso e al rossore delle sue guance.
Sembrava un cretino.
Anzi no, peggio: sembrava un drogato.
-Ti hanno dato un oppiaceo, vero?- la cosa non mi stupii, la sua ferità era davvero mostruosa, sebbene non mortale -So che ti senti il padrone del mondo ma è un'allucinazione - scandii lentamente ogni lettera, con tono grave, cercando di riportarlo sulla Terra. Gli posai le mani sulle spalle, per aumentare la carica delle mie parole -Mi senti? Guardami negli occhi... Non fare stupidaggini!-.
Rimase nella sua espressione da ebete -Certo. Io ti guardo sempre negli occhi... sono bellissimi- e mi prese la faccia tra le mani, con delicatezza, attento a non premere sulla ferita. Aveva le dita infilate tra i capelli e i pollici sui miei zigomi.
Avvampai per quel gesto, di imbarazzo e rabbia -Abbas, che accidenti stai fac...- Mi stava baciando.
Ecco che stava facendo, quell'idiota.
Dovrebbe scrivere un codice, a caratteri cubitali, con il titolo "Come rovinare una amicizia davvero bella in un minuto", sarei stata una grande sostenitrice dell'efficacia dei suoi metodi. Certo, istigava violenza fisica, ma che vuoi che sia? A chi non piace rovinarsi le amicizie?!
E lui continuava a muovere le sue labbra umide sulle mie, non importandosene che invece io fossi immobile e pietrificata.

Non ci posso credere. Non può succedere sempre a me.


Lo spintonai con entrambe le mani, mantenendo un'espressione disgustata e al contempo incazzata. Incrociai le braccia sul petto e mi piantai saldamente sui piedi, come se dovessi fare una scazzottata. Sentivo un pizzicorio nelle mani, oltre che ad uno stupidissimo tremolio.
Ero al contempo arrabbiata e sentimentalmente agitata per quel bacio... Non riuscivo a capacitarmi di piacere a qualcuno come Abbas, che aveva sempre intorno donne bellissime e dall'elevatissimo spirito come Illiana, per esempio. Forse dovevo avere qualcosa di speciale, a parte i miei poteri, che non riuscivo a cogliere. Forse destavo interesse solo perché ero così pallida e rossa in un mare di scurissime bellezze orientali.
Ero in imbarazzo anche perché, in qualche modo, mi piaceva Abbas, non solo come persona, ma anche per il modo in cui poneva con tutti, con me.
Ma era un interesse diverso dall'interesse (Troppo riduttivo come termine)  che destava Kadar nel mio animo.
Mi piaceva in un modo totalmente diverso da quello in cui mi piaceva Altaïr.
Mi venne un groppo in gola al pensiero che, molto probabilmete, avevo perso entrambi
- Oh, andiamo, Vega! Abbiamo vinto... abbiamo vinto! Non sei nemmeno un po' entusiasta?- riprese lui, imperterrito, alzando le braccia al cielo, come se la mia reazione fosse incomprensibilmente piatta e inadeguata.
Mi chiesi se avessi potuto avere una reazione diversa, più diplomatica o magari più rilassata se non fossi stata così strapazzata dagli eventi, così piena di emozioni positive e negative allo stesso tempo. Insomma, se non fossi stata così stremata.
Sbuffai - E questa cosa che hai fatto ti sembra un modo di festeggiare?!-
Lui tornò a sorridere come un idiota, stringendosi nelle spalle con aria innocente -Ogni momento che passo con te è da festeggiare!- Stava per riavvicinarsi, ma io fui più svelta e lo colpii in piena faccia con un pugno.
Oh sì. Esattamente. CON UN PUGNO.
Il suo naso a contatto con le mie nocche fece un suono assordante, forse peggio di quello che avevano fatto le ossa dei due superstiti salvati.
-Accidenti, Vega! Adesso capisco perché fai l'Assassina...- rantolò, cercando di trattenere la fuoriuscita di sangue dal naso - Sei pericolosa, aggressiva....- inaspettatamente sorrise -Mi piaci sempre di più!-
Imbarazzata come non mai, girai sui tacchi e andai da qualche altro paziente, con lo stomaco in sobbuglio per le parole di quel idiota.
Scappò un sorriso anche a me.

Una manciata di minuti dopo, vidi Abbas correre incontro ad una figura all'orizzonte, con la tunica bianca sollevata per la corsa e la luce del sole che si rifletteva sui piccoli scudi metallici dell'avambraccio. Mi ci volle molto meno di un secondo per riconoscerlo.
-Altaïr! Altaïr- urlò l'amante-senza-paura, sventolando un braccio in segno di saluto e io sentii il mio cuore alleggerirsi. Alleggerirsi di tutto.
Del senso di colpa per il pugno dato ad Abbas. Dall'angoscia. Dalla paura di non rivederlo mai più. Dalla tristezza.
"Sei vivo
" fu tutto quello che riuscii a pensare lucidamente nella successione caotica dei pensieri che mi affollavano la testa: Stava bene? Che cosa aveva combinato? Era ferito, disidratato?
Cercai di rallentare il ritmo forsennato del mio cuore, ma i miei tentativi furono resi vani quando mi accorsi che prima ancora di guardare Abbas, cercò disperatamente tra la gente finché non fermò il suo sguardo su di me.
Il mio cuore perse un battito.




1) La canzone scelta per questo capitolo, che doveva essere uno spin-off, all'inizio, è Hallelujia dei Paramore. E' una canzone, lo ammetto, che non mi piace tanto come le precedenti che ho condiviso con voi. Ma penso che la Williams (cantante di questo gruppo) sia un'ottima paroliera. 
Prima di spiegare i motivi della mia scelta, voglio chiarire una cosa.
L'idea di far ricomparire Kadar in sogno non è frutto della mia vena romantica, né un modo per torturare Vega o per spronarla a gettarsi tra le braccia di Altaïr.
C'è un motivo ben specifico e non è del tutto sentimentale. Vi do un indizio e lancio UN SONDAGGIO per vedere se qualcuno indovina:
Vi ricordate cosa vede Altaïr quando guarda Vega con l'Occhio dell'Aquila per la prima volta? In che modo potrebbe essere collegato con il sogno?

Le parole di Hallelujia si legano bene sia alle emozioni del sogno sia a quelle della bruciante attesa del ritorno Altaïr, dopo la battaglia... insomma, che descrivino bene Vega in generale.
Ha ammesso che le piace Altaïr: L'aveva fatto anche nel primo spin-off a lei dedicato, eppure credo che il significato di quel piacere sia cambiato radicalmente. Ma arriva sempre un nuovo ostacolo per ogni passo in avanti che i nostri Assassini compiono.
Se avete imparato a conoscere Vega, avrete capito che è una che "pensa positivo" e crede sinceramente che Altaïr sia diverso dall'uomo che ha ucciso Kadar, che il suo perdono (anche se ancora Altair non lo sa) non sia stato sprecato, lei crede che tornerà vivo, anche se il tempo passa.
E questa sua positività crea strane combinazioni col suo essere pragmatica e impulsiva.
Come la "violenza" con cui rinfaccia a Kadar le conseguenze della sua morte, la testardaggine che dimostra non facendosi curare per tenersi impegnata, il pugno dato a Abbas...
Non mancheranno sorprese.

2) Sayydah: Signora.
Credo di aver già usato questo termine, ma lo ripeto per sicurezza! ^^

3) Marhaba: E' un saluto molto informale, come il nostro "ciao!". Non è usatissimo, si preferisce il saluto "Salam", più educato... per questo l'ho trovato più adatto ad un bambino.




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Capitolo 16
*** 15. In Your Eyes (Prima Parte) ***


Capitolo 15

Non ho davvero idea di come scusarmi... Implorarvi? Flagellarmi? Cosa, ditemi qualsiasi cosa e io lo farò! Ma PERDONATEMI!
Io cercherò di rendervi clementi con la prima luuunga parte del nuovo capitolo! Un capitolo molto intenso e rivelatore!
Una delle domande che spesso mi avete fatto è "Da dove è saltata fuori Vega?", "Perché si chiama così?", "In che modo lei e Altaïr sono collegati?"
Questo è il capitolo in cui i vostri dubbi verranno svelati!!!
Ringrazio i miei recensitori: Illiana, O n i c e, Werepapers e Yukiko_Kitamura per le belle chiacchierate e tutti i lettori silenziosi che seguono, ricordano e preferiscono la fic!
Ricordo a tutti che per anticipazioni, curiosità e contenuti extra vari, potete trovarmi su Facebook come Cass Pepper!

P.S.
Riporto qui i risultati del sondaggio: Werepapers era del tutto lontano, mentre Illiana e O n i c e hanno entrambe colto degli aspetti giusti, ma non hanno la risposta del tutto esatta!
Buona lettura
Cass

15. In Your Eyes 


Amore, non mi piace vedere che sprechiamo così tanto dolore
mentre questo momento continua a scivolare via…
Anche se ho voglia di scappare, in qualsiasi modo io lo faccia,
torno sempre nel posto dove ci sei tu.

E allora tutti i miei istinti, beh, ritornano…
E la grande facciata prende subito fuoco!
Senza alcun rumore, senza il mio orgoglio,
ti tenderò una mano dal profondo… Dei tuoi occhi.

Peter Gabriel – In Your Eyes

 

-E questo giro lo dedichiamo ai nostri Assassini…- gridò Bashir, ormai del tutto fuori, portando il calice colmo di vino sopra la sua testa – I nostri Angeli della Morte!-
Un coro estasiato di urla si levò da tutta la popolazione della Resistenza, riunita in festeggiamenti nella sala più grande della Struttura.
Il clima era assai gioioso attorno al grande fuoco scoppiettante, tra danze e svaghi, le lingue ormai sciolte dal vino, tutto accompagnato dalla musica che alcuni ragazzi suonavano servendosi di un rovinato Quanum e di un Arghoul, con delle ragazze che, sedute accanto ai musicisti o intente a ballare, tenevano il ritmo con gli Zagat
.
Io e Vega, stesi vicini sui dei cuscini, rispondemmo al coro in nostro onore alzando contemporaneamente i calici pieni.
Lei con un sorriso.
Io con sguardo trionfo.

I festeggiamenti sembravano procedere piacevoli e tranquilli anche se Abbas mi aveva detto, quando ci era venuto a chiamare dalle nostre stanze, che questo era solo un “intrattenimento” mentre aspettavamo che anche quella parte di abitanti, allontanata per sicurezza, tornasse, per poter poi iniziare a fare sul serio.
-In quel gruppo c’è anche la signora che vi aiuterà con le ricerche- aveva fremuto mesto, cambiando completamente umore, lanciando una occhiata furtiva a Vega.
Lei gli aveva sorriso, carezzandogli il braccio –Andiamo Abbas, siamo stati con te per più di un mese- si fermò un secondo, facendo quadrare i conti.
 -Anzi, direi abbondantemente più di un mese… E siamo amici, ora. Ci rivedremo sicuramente! Non roviniamoci la festa con questi pensieri, va bene?-.
Abbas l’aveva abbracciata di slancio e io avevo distolto lo sguardo, un po’ perché mi infastidiva la spontaneità che la loro amicizia aveva raggiunto, un po’ perché stavo ridendo del plurale usato dalla ragazza.
Era come se avesse messo un paletto, e quindi un punto a mio favore.

Tornai al presente, volgendo lo sguardo alla mia
Waqi, vestita semplicemente della tunica bianca senza maniche (cosa che in un normale giorno avrebbe causato scalpore) e dei pantaloni, senza cappuccio, cinturone, avambracci, stivali e senza fasce al seno, ma evitai accuratamente di soffermarmi su questo pensiero durante tutta la serata, per tutelare la mia salute fisica e mentale.
Aveva anche, a causa del vino, le gote un po’ arrossate, di cui la sinistra ancora livida, oltre che attraversata dallo spago usato per metterle i punti.
Erano passati undici giorni dalla battaglia, Salah Ad-Dhin aveva ripreso Acri, cacciato i Templari e la resistenza sarebbe rimasta tale ancora per poco.
Il tempo di organizzare tutto, nuove abitazioni, lavori, trasferimenti e poi... Vita.
Nonostante la festa vera fosse quella che ci accingevamo a festeggiare, ogni singolo momento del tempo passato dalla battaglia era stata una celebrazione.
La popolazione di Acri aveva riavuto la sua normale vita, a caro prezzo, per cui ogni respiro esalato era degno di essere accolto festosamente, specie in memoria di chi era morto nel tentativo di assicurare la vita ai propri cari.
Esaminai ogni tratto di quella ferita, eppure quel segno sulla sua faccia non intaccava minimamente la sua bellezza, almeno ai miei occhi.
Si girò, forse aveva notato che la stavo osservando –Che c’è?- ridacchiò, ponendosi ad una distanza pericolosa dal mio viso – Non sei abituato neanche a festeggiare, uomo-di-pietra?- insinuò scherzosamente, muovendo l’indice con ammonimento.
Fu naturale farmi contagiare dal suo cameratismo – Non sono fatto per le festicciole di campagna. Festeggio in altri modi e con altra compagnia, solitamente…- le feci un occhiolino e lei avvampò, forse per l’allusione, con lo sguardo contrito.

Quasi stentai a credere che fosse muffrih
sentirla gelosa!

Qualcosa mi si gonfiò nel petto, ma non potei godere di quella sensazione per molto, perché Vega, con un sorriso sospettosamente ingenuo, si protese ancora di più verso di me, facendo aderire i nostri petti e sfiorare le nostre bocche.

Appunto, non c’era niente di ingenuo in ogni suo gesto.
Rapii il mio sguardo come un’incantatrice di serpenti e si passò la lingua sul labbro superiore –Posso rimediare all’errore di questi contadini e farti sentire più a casa- mugugnò soffice, con voce sensuale.
Mi scappò un ghigno per quel suo subdolo giochetto, ma mentirei se dicessi che ero rimasto impassibile e padrone di me stesso, e lei lo sapeva.
Vega sapeva giocare, e dannatamente bene, aggiungerei, e io non avevo minimamente voglia di resisterle, perché negarlo?, ma non avrebbe dovuto compiacersi tanto presto della riuscita di quel suo tiro mancino.
Quando si spostò vittoriosa da quella posizione, la riacciuffai per il braccio e la riavvicinai  di scatto ad una spanna dal mio viso.
Confusa dal mio gesto, restò immobile in quella posizione, con le guance ancor più rosee di quanto fossero state prima.
Di certo il vino non c’entrava più niente.

-Chissà?- dissi, sorridendo lievemente per quella constatazione  –Magari un giorno potrei accettare... -.
Scosse la testa, riprendendo il controllo –Chissà? Magari sarai tu a chiederlo a me...-.
 Non so quale spirito mi aiutò a reprimere l’acuto desiderio di zittirla con un bacio.

La nostra bolla privata esplose quando, gridando, entrarono un po’ per volta una serie di persone mai viste, con un sorriso sul volto.

Finalmente il resto della Resistenza era tornato.
Erano parenti, amici, persone che avevano temuto il peggio, che avevano vagato nel deserto col peso di poter sopravvivere ai loro cari,  ma che ora erano lì, insieme, a festeggiare.
Bevvi un altro sorso di vino, mentre Vega raggiungeva Illiana e qualche altra signora, che l’avevano chiamata.
La guardai scivolare agilmente tra i corpi ammassati, come se un raggio di sole illuminasse lei, oscurando il resto: Illiana, con Onice che sgambettava tra le sue braccia, le mille persone a cui passava vicino, erano solo un contorno sfocato, scuro e indefinito. Potevano anche non esserci, non sarebbe cambiato nulla, per me.

***


-Non la trovi meravigliosa?-
Mi girai di scatto verso quella discreta presenza al mio fianco: era una anziana signora, appena ingobbita dall’età, con una serie di rughe a incresparle il viso olivastro; la sua espressione era serena, se non addirittura divertita, come mi faceva ipotizzare quel suo sopracciglio alzato che quasi sfiorava l’attaccatura dei bianchi capelli.
Ero sicuro di non averla mai vista prima di quel momento, quindi dedussi fosse una delle ribelli appena tornate.
- Non capisco a cosa si riferisce, Sayydah!- risposi, con tono cauto, sebbene avessi capito che la sua allusione centrava con Vega e l’insistenza con cui la stavo osservando mentre ballava con gli altri paesani.
Lei allargò quel vago sorriso – Oh, non fare lo sprovveduto con me, ragazzo! Parlo della pallade fanciulla che osservi da tutta la sera, ovviamente!-.

Non riuscivo a decidere se l’intraprendenza di quella donna mi infastidisse, mi preoccupasse o se mi facesse addirittura rallegrare!

Nel dubbio, restai impassibile – E’una grande
Sadîq
₄ per me- conclusi sbrigativo, certo di non voler raccontare le mie debolezze a quella strana vecchietta.
Ma se c’era una cosa che avevo imparato da quando Vega era piombata nella mia vita, era l’essere quanto meno educato anche se non ne avevo un personale tornaconto, così intavolai una discussione di pura cortesia con la Signora -Tasmah lî an uquadim nafsî, anâ
...-
-Altaïr, so chi sei!- ghignò lei, vedendomi preso in contropiede – Io sono Ranya-.
Feci un grosso sforzo per mantenere la calma – Ranya... Colei che guarda con attenzione. Mi sembra un nome appropriato!- ironizzai incrociando le braccia.
La cosa più intelligente che pensai per tutelarmi dalle intenzioni di quella donna fu osservarla con l’Occhio dell’Aquila: Era di un blu vivo, come qualsiasi alleato.

La cosa non mi calmò per niente.

-E chiunque osservi con attenzione, di solito, sa molte cose...- sospirò -Io so, ad esempio, che non è carino dubitare dell’intenzioni di una povera vecchia e analizzarla con il proprio dono!-.
Ebbi un sobbalzo interno, forzandomi di rimanere ancora impassibile e padrone della situazione –Perché no, avendone la possibilità? E perché preoccuparsi, se la signora non ha qualcosa da nascondere?- insinuai freddamente, irrigidendomi nella postura.
Scosse la testa, aggiustandosi meglio lo scialle di lino sulle spalle, crucciando le sopracciglia e le labbra in una espressione scocciata.
 –Io so molto di tutti, è vero. Ma in particolare credo di sapere molto di te- si fermò, volgendo lo sguardo verso Vega – E di quella fanciulla-.
Collegai solo in quel momento chi davvero fosse quella donna e quando glielo feci presente, mi diede dello stupido per la mia tardività.
Era la nostra informatrice. La depositaria delle millenarie leggende.
Non sapevo perché non l’avessi collegata immediatamente al suo ruolo, era evidente dalle prime battute che fosse lei, eppure non ci avevo minimamente pensato... ero troppo preoccupato di difendermi della sua insinuazione sui miei sentimenti verso Vega. E a difendere Vega stessa.
Realizzai pienamente, e solo in quel momento, che ormai della missione mi interessava davvero poco.
-Vedi, ragazzo...- riprese lei, accorgendosi del mio sguardo smarrito – Ci sono cose contro cui non si può combattere... Veniamo al mondo liberi, questo sì, ma c’è già un disegno pronto per noi. A volte riusciamo ad evitarlo... In altre vi cediamo con facilità... Ma in alcuni casi non abbiamo scelta-.


Sfuggii alla mia conversazione con la vecchia solo dopo essermi accertato che ci avrebbe raccontato quello che sapeva su me, Waqi e sulla dannata prima civilizzazione in un momento di raccoglimento con la popolazione.

E allora mi defilai. Mi defilai e anche in fretta.
Non mi ero mai sentito tanto agitato prima di allora.
Ma agitato era il termine giusto? Ero agitato? Intimorito? Scoraggiato? Preoccupato?

Cosa si prova esattamente quando scopri di
non avere scelta? Che la metà dei sentimenti che provi non è forse reale? O che, se anche fossero sentimenti reali, porteranno a qualcosa di prescritto e che non hai potere su questo?

-Stai proprio da schifo!-

Appunto.
Alzai lo sguardo verso di lei che, sudata e un po’ scomposta, mi sorrideva con sincerità –Ti lascio solo un’ora e ti ritrovo a bere tutto solo.... Non sei proprio l’anima della festa, vero?-.
Strinsi i pugni e chiusi gli occhi, senza rispondere, se non un sorriso tirato e visibilmente finto.
Mi dispiace, Waqi, ma sei l’ultima persona che vorrei vedere ora. Stranamente.
 Si accomodò accanto a me, forse ritenendo tutto sommato normale il mio cattivo umore e di certo non sospettando che potesse esserne lei la causa.
“Sei sicuro che vada tutto bene?”
Ebbi un sussulto.
Era la seconda volta, da quando la conoscevo, che Vega mi parlava nella mente.
Dire che fosse sorprendente il modo in cui lo faceva sarebbe un eufemismo, sembrava come se si sostituisse al mio stesso intelletto, impedendomi di concepire alcun pensiero e costringendomi ad ascoltarla.
“Costringerti ad ascoltare?” continuò e mi fece così capire che mi stava anche leggendo nella mente “Vuol dire che non vuoi parlarmi?”
Riaprii gli occhi e voltai la testa verso di lei. Aveva poggiato una mano sul mio braccio e mi guardava fisso, con espressione rammaricata. I suoi occhi erano spalancati  e la sua bocca crucciata “Qualunque cosa io abbia fatto, mi dispiace”.
“Non è colpa tua”
“–Sei l’ultima persona che vorrei vedere ora- Non mi sembra una cosa carina da pensare“
“E invece spiare nella mia mente ti sembra carino?”


Spostò la mano e si allontanò appena col corpo, distolse lo sguardo e, dopo aver incrociato le braccia al petto, mi comunicò che avremmo ascoltato insieme le leggende e poi sarebbe tornata dov’era benvoluta e non mi avrebbe più disturbato.

Tirai un sospiro, sentendomi tremendamente in colpa -Vega non fare la bambina...-
Mi riservò un’occhiataccia degna dei nostri primi giorni di conoscenza, facendo un altro piccolo passo per allontanarsi da me – Sta’ zitto, Ranya inizia a parlare!-
Mi girai verso il grande fuoco e trovai tutti seduti, in religioso silenzio, dediti a prestare attenzione a Ranya. Improvvisamente gettò una strana polverina nella fiamma, che ne colorò ogni lingua di celeste.
Aveva una certa aurea mistica, non potevo negarglielo!

In un mpo lontano, la figlia dell’imperatore e dell’imperatrice dei Cieli, Zhinu, talentuosissima tessitrice, sedeva accanto al suo telaio celeste e tesseva splendidi arazzi con i colori dell’alba e del tramonto; ogni essere vivente sulla terra non poteva che fermarsi ad ammirare gli splendidi colori del cielo...
Una sera d’estate, stanca per il molto lavorare, seduta accanto ad un ruscello che scorreva vicino al suo palazzo imperiale, sentii una dolce musica provenire dall’altra sponda del fiume.
Zhinu era bella quanto curiosa, così, saltellando su delle pietre, attraversò il corso d’acqua: Disteso sull’altra sponda, il giovane Niulang suonava il flauto, riposandosi dalle sue fatiche di guardiano di buoi.
I due giovani si conobbero e cominciarono a suonare e a cantare insieme.
Ogni giorno la Principessa attraversava il fiume e raggiungeva Niulang e finirono così per innamorarsi...”

Sentii Vega smettere di respirare. In qualche modo lo feci anche io. Chissà se gli stessi dubbi che stavano attanagliando me, si fossero insinuati anche in lei.

“Per il suo matrimonio, Zhinu tesse il più bel vestito mai creato, servendosi di gocce di rugiada e della luce delle stelle. La notte delle loro nozze era così luminosa, che tutte le genti che vivevano sulla Terra si chiesero perché la Stella Tessitrice avesse un tale splendore.
Furono sposi talmente felici che dimenticarono di occuparsi dei propri compiti!
Le tenebre caddero sui cieli e sulle terre poiché Zhinu non tesseva più i luminosi tramonti e le fresche albe... Tant’è che il suo telaio si ricoprì di ragnatele.
Niulang non custodiva più i suoi buoi, che presero a girovagare senza controllo, invadendo così le costellazioni vicine... Una forte ira prese gli dei!
In particolare la Regina dei Cieli, madre di Zhinu, traboccava di collera, poiché un bue era entrato nella sua stanza da letto e aveva riversato sul pavimento le sue spille d’argento per i capelli.
La regina, allora, ne raccolse una e disegnò una linea attraverso il cielo, lungo il ruscello vicino al palazzo. Con questo unico gesto, ella creò un grande Fiume D’Argento. E con questo, separò i due giovani, ponendoli alle rive opposte.
Zhinu, disperata, piangeva da mattino a sera, ma ricominciò a tessere le sue splendide tele. Anche Niulang riprese il suo ruolo di guardiano, ma era profondamente triste e nei momenti di riposo non suonava più il suo flauto.
L’Imperatore dei Cieli, impietosito dalla disperazione della figlia, decise che un giorno all’anno i due sposi avrebbero potuto nuovamente incontrarsi.
Durante il resto dell’anno Zhinu intreccia i colori del cielo e Niulang pascola i buoi celesti, sognando entrambi il giorno in cui potranno finalmente rincontrarsi.”

Un grande silenzio era calato nella sala, lo scoppiettare del fuoco azzurro era ben udibile, insieme ad alcuni sospiri rilasciati qui e lì dai paesani.
Credevo che se questo silenzio assordante fosse continuato, si sarebbe potuto sentire anche il battito forsennato del mio cuore.
Ranya, sorprendentemente, riprese a parlare –Questa è una antica leggenda orientale che i nostri antenati condividevano con i grandi saggi Cinesi. Zhinu per noi non è altro che la stella più luminosa della Lyra: Vega...- fermò per un secondo lo sguardo fra di noi – Mentre Niulang è il becco della costellazione dell’Aquila, Altaïr- riportò la sua attenzione altrove, continuando a indicare nel vuoto le costellazioni -Il Fiume d’Argento, invece, è...-

Mi girai verso Vega proprio mentre lei si stava alzando: i suoi movimenti non più flessuosi come quelli che l’avevano accompagnata per tutta la serata. Le sue mani erano saldamente contratte, tanto che temetti si stesse conficcando le unghie nei palmi... Ma la cosa più spaventosa era il suo viso.
Vega stava piangendo.

Non piangere.

Ma non era il pianto folle e disperato a cui avevo assistito quando le avevo comunicato della morte di Kadar. E non erano nemmeno quelle piccole lacrime che le scivolavano sulle guance quando rideva troppo.
Quelle erano lacrime di dolore. La sua faccia era sofferenza...era sconfitta.

Non piangere, piccola.

Mi alzai anche io, con la speranza di riavvicinarla -Vega, io...-
-No-
Quel “no” appena sussurrato era suonato come un urlo alle mie orecchie, il suo tono soffocato dalle lacrime era stato come una coltellata.
In quel momento una certezza si insinuò nella mia mente. Non solo gli stessi dubbi che avevano attanagliato la mia mente stavano attanagliando anche lei, ma che probabilmente nessuno dei due aveva la forza di affrontare la situazione.
Un singhiozzo rimbombò nel petto della mia assassina, quasi a conferma delle mie parole.

Non piangere, Waqi. Andrà tutto bene. Faremo in modo che vada bene.

Cercai di fare un altro passo verso di lei, per consolarla -Vega, questo non vuol dire niente. Non siamo costretti a fare niente, io ti...-
-No, ti prego.-
Le sue lacrime non sembravano voler smettere di scendere, le sue mani erano ancora contratte.
Le parole mi morirono in gola. Le mie gambe si irrigidirono. E sentii di aver perso.
Mi sentivo perso e uno strano vuoto cominciò a riempire il mio cuore.
- Io... esco- fu tutto quello che dissi. Non so nemmeno se per assecondare il suo desiderio, se per placare il mio, o perché stavo soffocando.
Vega annuì piano, forse lei avrebbe saputo meglio di me cosa stavo provando, forse non gliene importava davvero. Non aveva voluto che glielo dicessi, quello che provavo.
Mi incamminai verso l’uscita con foga, arrancando con il disperato bisogno di aria. Non sapevo perché i miei polmoni avessero deciso di abbandonarmi in quel momento in cui avevo ancor più bisogno di tutte le mie forze.
Ma ci volle un momento, non appena fui fuori, per capire che l’unica aria di cui avevo bisogno era scappata dalla parte opposta.

Vega

-Sapevo che non poteva essere reale!-
Kadar fece un mezzo sorriso, alzando gli occhi al cielo, come se fossi una bambina che insisteva nel dire che i mostri esistessero.
Se possibile, quella sua reazione mi fece sentire anche peggio, tirai su col naso, impedendomi di versare anche una singola lacrima.
- Non guardarmi così. Cosa avrebbe potuto distogliere tanto la mia attenzione da te, dai miei compiti, da me stessa, se non qualcosa che va oltre ciò che io sono, voglio e sento?-
Scosse ancora la testa, questa volta con rassegnazione -Stai scherzando Vega, vero?-
Alzai il capo, che avevo rinchiuso tra le braccia, accucciandomi in posizione fetale per terra, e lanciai a Kadar la migliore delle mie occhiatacce.
-Ti sembra che io stia scherzando?-
Lui alzò le mani, come a volersi dichiarare innocente e, dopo essersi seduto accanto a me, mi circondò le spalle con un braccio.
-Piccola, io mi rendo conto che una cosa del genere possa spaventare, ma ...-
- Spaventare?! Mi prendi in giro?!-
-Posso continuare?- mi gelò con un’occhiata di ammonimento.
-Scusa...-
Sorrise – Vega cosa credi che possa fare questa stupida leggenda? Che ti abbia obbligata a conoscere Altaïr? A legare con lui? A trovarlo simpatico? Ad innamorarti di lui?-
Mi coprii le orecchie con le mani -Smettila! Non ti voglio ascoltare- sentii lo stomaco contrarsi, quasi come se volessi vomitare.
Non potevo credere che lui potesse non accorgersi del disastro che era appena avvenuto. Non potevo credere che non si rendesse conto di come quella leggenda avrebbe influito su quello che volevo tentare di costruire con Altaïr.
Già ero molto agitata all’idea di stare con un uomo che non fosse Kadar, ed ero spaventata e indisposta anche dal mondo in cui Altaïr era riuscito ad insinuarsi nella mia vita, sotto la mia pelle: Mi aveva stravolto l’esistenza con la stessa agilità con cui destreggiava le armi.
-Kadar... Non ti rendi conto?- rantolai, interrompendo i miei nefasti pensieri e tornando a guardarlo – E’ ovvio che nessuno mi abbia concretamente obbligata ad apprezzare Altaïr, ma questi sentimenti non sono del tutto miei. Non siamo davvero io e lui. Non è stato un caso che ci fossimo incontrati, che tra di noi ci sia sempre quella sintonia disarmante, quell’attrazione...- mi vennero i brivido solo al ripensare ai nostri due baci, o a qualche sporadico abbraccio che ci eravamo scambiati.
-Fammi capire...- indugiò, come per cercare le parole adatte – Credi che dentro di voi ci sia un qualcosa che abbia reagito istintivamente? Che fosse inevitabile che vi piaceste perché avete qualcosa in voi che vi rende legati indissolubilmente?-
Quasi mi sentii confortata da quello spiraglio di comprensione –Non avrei saputo dirlo meglio...-
Lui sorrise, un po’ con dolcezza, un po’ con amarezza –Quel qualcosa non può essere semplicemente Amore?-
Probabilmente sì.

Mi svegliai di soprassalto, per il cigolio della porta di legno della stanza.
Ero nella stessa posizione del mio sogno, accovacciata con la testa tra la braccia, appoggiata al muro sotto la finestra. Le mie mani si erano artigliate ai gomiti apposti, come se avessi paura di disgregarmi se mi fossi lasciata andare.
Sapevo benissimo che lui era lì, sull’uscio, ma in quel momento ero la più grande tra le vigliacche, e non avevo il coraggio di guardare.
Sapevo anche che lui aveva capito che ero sveglia. Ma non mi importava.
L’avevo fatta grossa, inutile negarlo. Non l’avevo respinto, giusto qualche minuto (ora?) fa?
Perché poi? Per la paura? Per lo shock? Su quale base gli avevo impedito di... dichiararsi?
Ero talmente presa dall’autocommiserazione, che quando parlò il mio cuore cominciò a battere forsennatamente. Non solo per lo spavento.
In qualche modo, sapevo quello che sarebbe successo.

Altaïr

-Io ci ho provato, Vega- proferii, entrando definitivamente nella stanza.
Lei rimase nella sua posizione, senza muoversi, se non per dei piccoli sussulti.
- Ci ho provato a starti lontano, in tutti modi. A non trovarti interessante- feci un passo in avanti – A limitarti nella figura di Consorella. A rimanerti solo amico. A considerarti solo “Bella” per i tuoi strani tratti. Ho provato ad impedirmi di perdermi nelle pozze verdi dei tuoi occhi, dicendomi che eri solo una novità, che presto mi sarei  abituato- sospirai, di fronte alla vanità dei miei pensieri.
Compii un altro passo verso di lei, più i miei movimenti erano lenti, più il mio cuore urgeva, non curandosi dei limiti che la mia mente mi imponeva.
-Ho provato a non aver bisogno di te. A mantenermi distante. Ho provato.... tutto-
Ero ormai al suo cospetto e non mi rimase nulla da fare se non accovacciarmi– Io ho provato a non amarti e ho fallito miseramente-.
Solo a quelle parole alzò la testa nella mia direzione, stupendosi di trovarmi così vicino. Le sue guance erano nuovamente cremisi e i suoi occhi non erano più offuscati dalla tristezza. Se non dalla confusione.
- Io volevo scappare da tutto questo ancor prima di sapere della leggenda- confessai, vergognandomi della mia codardia - Ma in qualsiasi modo io ci abbia provato, ho finito sempre per avvicinarmi un po’ di più a te- un sorriso di pura emozione mi spuntò sulle labbra. –Ho il brutto vizio di tornare sempre nel posto in cui ci sei anche tu-.
Vega aveva la capacità di parlare con gli occhi, poteva non dire niente e contemporaneamente dire tutto con uno sguardo.
E in quel momento, nei suoi occhi, cambiò qualcosa: Non c’era confusione, non c’era titubanza. Nei suoi occhi c’era la luce. C’era calore.
C’era l’altra parte di me, quella che credevo di non meritarmi.
C’era tutto quello che avevo sempre cercato.
Posò una mano sulla mia guancia, come aveva fatto quel giorno nel vicolo e si avvicinò piano, non so se per dare tempo a me o a se stessa.
-E’ che a volte mi sento così persa...- sussurrò, ad un centimetro dalle mie labbra.
Poggiai la mia mano sulla sua e la strinsi –Io ti troverò sempre-
La sua espressione si incrinò nuovamente –E se finisse male? E se...-
-Habeebti
- sussurrai, spostando il mio naso sul suo collo. Inspirai a pieni polmoni il suo odore di vaniglia, e ogni mio istinto si risvegliò, come se il suo profumo li avesse richiamati da chissà quale cantuccio segreto del mio cuore.
Posai le labbra sul suo candido collo e lambii la sua pelle con delicatezza, tracciando una scia di baci fino all’orecchio – Non mi importa niente del mio orgoglio, dei tuoi dubbi...– sussurrai, mordicchiandoglielo piano – Io voglio te-.
Vega mi riportò davanti al suo viso con uno strattone. E mi baciò.
Con una foga inaspettata. Con una forza inaspettata.
Le nostre labbra si unirono instaurando una danza tutta loro e, quando la mia lingua si fece spazio, trovò la sua pronta ad accompagnarla.
Insinuò le mani tra i miei capelli e mi sospinse verso di sé, cosicché i nostri corpi si incontrassero. Ancora.
Portai una mano sul suo seno, ancora coperto dalla stoffa bianca della tunica, e tremavo dall’emozione. Come se fosse la prima volta che toccassi una donna.
Era piccolo, ma sodo e terribilmente eccitante.
Ne tracciai i confini con un dito, ricevendo un mugugno di assenso che morì sulle mie labbra e con il pollice cominciai a stuzzicarne il capezzolo, che si inturgidì al contatto.
Era incredibile come una sciocchezzuola del genere potesse farmi eccitare tanto, come nessuna donna aveva mai fatto.
Vega lasciò le mie labbra e si sporse ancora a baciarmi la mascella, facendo aderire il suo petto al mio, poi scese sul collo, provocandomi una serie di brividi lungo la schiena. Alternava labbra e lingua con maestria.
Poi dai miei capelli fece scendere le mani sul torace, poi sull’addome, per raggiungere i lembi della veste che tirò su con lentezza, spogliandomi.
Poi riprese a baciarmi, scivolando con la lingua fino alla spalla, ripercorrendo il percorso compiuto dalle sue mani.
Baciò e succhiò la pelle, a volte seguendo la traccia di alcune vecchie cicatrici, a volte seguendo una linea immaginaria, facendo sì che il cavallo dei miei pantaloni si stringesse sempre di più. Quasi da diventare insopportabile.
Talmente insopportabile che ribaltai la posizione, sovrastandola, e le mie mani furono subito ai suoi fianchi, dove il bordo della tunica era arrivato, e lì indugiai, cominciando a raccogliere la stoffa tra le dita.
La sua pelle era fredda, come sempre, e morbida, specie in quel punto, talmente tenera ed eccitante che dovetti trattenermi dall’affondarci i denti.
Con una lentezza serafica, senza mai distogliere i miei occhi dai suoi, sollevai la tunica. Ogni centimetro guadagnato mi caricava di aspettativa, mentre le guance di Vega si tingevano sempre più di rosso.
Era distruttivamente eccitante.
-Aspetta...- mugugnò, incerta, quando con i polpastrelli ero arrivato a toccare i seni e mancava poco a scoprirli. Arrossii violentemente, per poi coprire quella manifestazione con le mani.
Fu subito tutto chiaro e mi sentii ignobile per non essermene preoccupato dall’inizio.
-Non ti farò del male- sussurrai, abbassandomi fino a baciarla –Non ti farò mai del male- Ed ero stato terribilmente sincero.

***
***

1) Credo che questo sia  il capitolo più lungo della fic. E immaginate che l'ho anche tagliato! 
(La solita raccomandazione è quella di leggere la prima nota alla fine della lettura)
Ormai sapete quanto io ami Peter Gabriel, così non stupitevi se ho lasciato a lui il faticoso compito di rappresentare il capitolo (diviso in due parti) più... emozionante? almeno per me... della storia: In your Eyes, è uno brano dell'album "So", che è di certo il più famoso album del cantante inglese.
Ed è la canzone pià romantica che io conosca!
I motivi della scelta sono stati due: Il primo, come si sarà notato, riguarda i sentimenti di Altaïr, Il secondo (più o meno scenico) riguarda gli occhi.
Credo sinceramente in tutte quelle stucchevoli frasi che dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima e un mezzo efficace di comunicazione, ci credo talmente tanto da poter sembrare una stilnovista xD
I sentimenti di Altaïr sono stati ampiamente, come dire?, esplicitati nel capitolo, ma sento di dover far un aprrofondimento su un aspetto che io attribuisco al nostro Mentore.
E' una persona sicura di se, che non fa le cose con modi accorti, diciamo anche che sono invadenti e dispotici, però, d'altra parte, lo vedo come una persona oculata e attenta ai dettagli, specie se gli importa di qualcosa. E, dopo la sue espiazione, abbastanza umile da mettersi sempre in discussione e cambiare.
Non stupitevi, vi prego, se Altaïr è un po' imbambolato, diciamo anche rincitrullito (come si può evincere dal fatto che non riconosca il ruolo di Ranya) o che abbia un po' pensiero confusi e discordanti, sulla scia di un romanticismo esageranto (che non mi appartiene nemmeno), ma come ho già scritto qualche capitolo fa, Altaïr ha sempre vissuto l'amore come un sentimento travagliato (Orfano di genitori, la tragica morte di Adha...), per cui, ora che questo sentimento sembra essersi presentato in una forma più canonica (anche se c'è questa strana leggenda pendere sulle loro teste), ho ipotizzato che la cosa sia del tutto nuova per lui, che si faccia trascinare.
Non rimpiangete il nostro lucidissimo Assassino, tornerà presto: E' come se fosse rinato, e "crescerà" insieme al sentimento che prova.

2) Quanum= Discendente diretto dell'arpa egiziana, il quanum è uno strumento musicale a corde pizzicate diffuso in oriente già dal X secolo. Ha forma trapezioidale, 72 corde raggruppate in gruppi da tre, e si poggia sulle ginocchia del musicista, che può cambiarne toni mediante delle linguette di bronzo.
Arghoul=  Strumento a fiato più antico del panorame mediorientale. Si compone di due canne attaccate con la cera, munite di ancia, di cui una può produrre una sola nota, molto bassa,  come un sottofondo continuo, l'altra canna ha invece sette fori, e si usa per produrre la melodia vera e propria.
Zagat= Strumento a percussione formato da due piatti metallici, legati fra di loro con un cordino. Quelle che oggi chiameremmo nacchere. Erano molto usate della danzatrici Gawazee (di cui parleremo in futuro) per tenere il tempo durante una esecuzione.

3) Muffrih= Piacevole

4) Sadiq= Amica

5) 
Tasmah lî an uquadim nafsî, anâ= Mi permetta di presentarmi, sono... E' la frase più comunemente usata per presentarsi ad una persona, che sia di rango importante o meno.

6)  Per quanto mi piacerebbe, non sono l'ideatrice di questa leggenda, che è di origine Cinese, come già detto. Ho usato la versione approvata dall'Osservatorio Astrofisico di Arcetri. Mi piacerebbe darvi qualche informazione su queste stelle protagoniste della nostra storia.
Altaïr(Niulang) è la stella alpha della costellazione dell'Aquila, mentre Vega(Zhinu) della costellazione della Lyra e, insieme a Deneb, costellazione del Cigno , formano il famoso triangolo estivo,  visibile dal settimo giorno del settimo mese dell'anno ( il giorno in cui Zhinu e Niulang possono rincontrarsi, mediante il ponte che sarebbe Deneb). Sono stelle molto luminose, in media 40 volte più del Sole.
Il Fiume d'Argento all'epoca, corrispondeva alla nostra Via Lattea.

7) Haabebti= Significa "Amore mio". Questa è la forma usata da un uomo verso una donna.

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Capitolo 17
*** 16. In Your Eyes (Seconda Parte) ***


16. In Your Eyes

La luce, il calore... Nei tuoi occhi.
Io sono completo... Nei tuoi occhi.
Io vedo la porta per un migliaio di chiese... Nei tuoi occhi.
La risoluzione, nei tuoi occhi, di tutte le mie infruttuose ricerche.
Io vedo la luce e il colore... Nei tuoi occhi.
Io voglio essere quella completezza... Nei tuoi occhi.
Oh, io voglio toccare la luce e il calore che vedo... Nei tuoi occhi.
Peter Gabriel – In Your Eyes₁




I suoi occhi si quietarono un poco, restando però accessi dalla lotta fra l’impazienza e la paura. Il verde brillava, illuminato dai raggi della luna e risplendete della luce propria che avevano sempre avuto.

Lasciò che le sfilassi la veste con delicatezza, sfiorandola appena con i polpastrelli e non saprei dire chi fosse più emozionato.
Lanciai l’indumento da qualche parte, senza curarmene, troppo preso ad osservare il candore luminoso della pelle di Vega, lattea e liscia come mai ne avevo viste prima.Rimirai con attenzione ogni centimetro di quella visione eterea, seguendo la linea del collo, fino a quella terribilmente eccitante del seno e a quella morbida dei fianchi.
Proprio lì, larga più o meno uno stiletto, dalle labbra frastagliate, vigeva una grossa cicatrice rosata. La sfiorai sensualmente con un dito, aspettandomi di vederla sobbalzare, ma ciò non accadde.₂ 

Vega poggiò la sua mano sulla mia – Sembra strano, vero?- ridacchiò, guardando la mia faccia perplessa – Ma quando mi sono ferita lì non ho più sentito niente. Come  se la pelle fosse morta, in un certo senso-.
Annuii vagamente, cominciando proprio a baciarne un'altra, più piccola e discreta, sotto il seno, seguendone dettagliatamente la scia.
Questa volta sussultò e, trattenendo un piccolo gemito, infilò una mano tra i miei capelli, sospingendomi verso il capezzolo, già turgido e roseo.
Cominciai a stuzzicarlo con la lingua e con i denti, godendo delle espressioni inebrianti della ragazza, con le guance vermiglie che risaltavano incredibilmente sulla pelle diafana e i denti che le tormentavano le labbra.
Mi staccai solo per togliermi la veste, convinto che altrimenti non mi sarei mai allontanato di un solo centimetro, ma non appena lo feci, lei, puntellandosi sui gomiti, mi raggiunse, facendo aderire il suo petto al mio, come aveva fatto durante la festa.  

Ma ora era completamente diverso.

Mi prese la labbra fra i denti, per poi approfondire il bacio con foga. Le circondai la vita con le braccia e lei di nuovo riporto le dita tra i miei capelli.

-Mi piacciono un sacco i tuoi capelli- mugugnò –Sono corti ma morbidi- si strinse più a me, in modo che i nostri bacini si sfiorassero.
Un gemito roco mi rimbombò nel petto nel percepire il calore del suo centro, anche con quei due strati di stoffa che ci separavano.
E lei appositamente continuava ad indugiare con quel contatto, mentre chiudeva tra le sue umide labbra il mio lobo, succhiando con calcolata lentezza.
Brividi mai provati mi attraversarono la schiena, accendendo non solo la parte del mio corpo sotto il cinturone. Ma anche la testa. L’anima. Il cuore.
Posò le sue mani sul mio petto, il contrasto tra le nostri pelli risultò incredibilmente affascinante ai miei occhi, e mi sospinse verso il pavimento, sedendosi poi a cavalcioni su di me.
Incatenò il suo sguardo ammiccante al mio, con i capelli che mi sfioravano la faccia, e sussurrò suadente –Qual è il tuo punto debole, fidāʾī?-
Fece scivolare una mano tra i nostri corpi, fino ad arrivare al bordo dei miei calzoni, dove indugiò con le dita, tracciandone il contorno.
Gemetti, quando seguì la linea dell’inguine: la sua pelle fredda creava uno strano connubio con la mia, incredibilmente bollente in quel momento.
Vega scese fino al rigonfiamento al cavallo, ci passò ripetutamente la mano sopra, stringendo appena, ne tracciò i contorni con una lenta pressione, caricandomi di fremiti e aspettative.
Poi scese con il corpo, facendo sì che i suoi seni strusciassero sulla mia pelle, fino ad arrivare con la lingua nei punti che prima aveva sapientemente toccato con le dita.
Di nuovo, quando tracciò i confini laterali dell’inguine, sentii le mie terminazioni nervose esplodere e il mio petto tremare.
Constatò con stupore il successo di quella mossa, stupita della riuscita e prese a succhiare avidamente in quel punto, lasciandomi un segno rosso.
-Sembra che l’abbia trovato- esalò, emozionata. Davvero sembrava che non si aspettasse di essere così dannatamente brava.
Quella sua aria genuinamente felice mi fece impazzire del tutto.


Non credo di aver mai desiderato tanto qualcuno in tutta la mia vita.

Ma era un desiderio che andava oltre quello fisico, che in quel momento era impellente come mai, era un desiderio che sapevo non avrei mai potuto saziare, perché non ne avrei mai avuto abbastanza di Vega.
Della sua mente. Della sua compagnia. Del suo corpo.
Era come se l’avessi cercata per tutta la vita e, ora che l’avevo davanti, preso dall’ineffabilità, dalla meraviglia, non riuscissi ad averla del tutto.
Impaziente, ribaltai le posizioni, e, preso il bordo dei suoi pantaloni fra i denti, e avendole alzato il bacino con le mani, presi a sfilarle l’indumento.
Con il naso sfiorai volutamente il suo centro e lei inarcò ancora di più la schiena, con un gemito sonante, il più forte che si fosse mai fatta scappare.
Ancora più vicino al suo fiore per quel gesto istintivo, il suo odore mi stordì peggio di come avrebbe fatto un pugno:
Era dolce ed inebriante, come un frutto.

Ormai incontrollabile, lasciai i suoi calzoni e impegnai la mia bocca sul suo clitoride, stringendolo piano e stuzzicandolo con dei piccoli colpetti della lingua.
Il suo sapore cominciò a inumidirmi le labbra, e se l’odore mi era sembrato buono, il sapore mi stava facendo impazzire.
Mi abbassai verso le grandi labbra e cominciai a esplorare anche quella zona, provocando alla mia Assassina dei piccoli spasmi.
Si coprì la bocca con la mano per soffocare i gemiti che le stavo procurando, mentre con l’altra cercava inutilmente un appiglio.
Soffiai sul suo bocciolo, facendola inarcare nuovamente, ma ancora nessun rumore, se non quello che le era scappato prima –Mi piacerebbe sentire la tua voce mentre ti tocco!- dissi, con tono roco e confuso dal piacere.
Lei si lasciò scappare un risolino –Sono abituata a fare le cose in silenzio!- bofonchiò, col fiato corto.
Annuì, con finta accondiscendenza – Vorrà dire che dovrò costringerti-.
Vidi passare un lampo di eccitazione e preoccupazione nello stesso momento, ma il verde dei suoi occhi era liquido come il mare, come se si fosse arresa a me.
Come se si fosse arresa a noi.
Finii di sfilarle i calzoni, e di nuovo mi fermai a contemplare il suo corpo, ora interamente nudo. Le gambe possedevano lo stesso candore del busto, ma erano molto più spesso attraversate da cicatrici e macchie bluastre o rosse, specie nella zona delle ginocchia.
Mi chiesi se fosse possibile che fossero ancora segni della battaglia o se la mia Vega fosse un po’ troppo spericolata.

Mi lasciai cadere su di lei, sorreggendomi con braccio sinistro, mentre col destro le afferrai una caviglia e presi a risalire verso il polpaccio.
Waqi cominciò a boccheggiare –Ti sto facendo male? Questi lividi sembrano abbastanza recenti...-
Mi lanciò un’occhiata persa, ma di fuoco, come se non fosse del tutto presente –Tra tutte le cose che mi stai facendo, il male non era affatto contemplato, Altaïr-.
Rinvigorito dalle sue parole, continuai la mia lenta risalita, tracciando i contorni dei muscoli tonici della coscia, fino a spostarmi sempre più verso l’interno.
Feci un po’ di pressione e lei divaricò le gambe, lasciando alla mia vista, coperta da una rada serie di riccioli chiari, la sua virtù.
Sentii il mio membro indurirsi ancora a quella visione e il mio cervello annebbiarsi, colto dall’irrefrenabile desiderio di perdermi tra quelle carni bollenti, di toccarne sempre un punto più profondo, di coglierne il piacere con foga.
Ma sapevo di dovermi trattenere.
Facendo molta pressione su me stesso, repressi quell’istinto primitivo e irrazionale, e la penetrai con un dito, senza spingere troppo in fondo.
D’altronde era la promessa che le avevo fatto: avrei circoscritto il dolore soltanto al momento inevitabile.
Chiuse gli occhi, abbandonandosi alla mie carezza, qualche volta muovendo il bacino a ritmo verso il mio dito con malcelata insicurezza, che risvegliò in me sia un istinto di protezione, che uno più carnale e incontrollabile.
Ogni piccola spinta equivaleva ad un piccolo rantolo, strappatole da quelle labbra rosse e voluttuose.
-Ti piace?- le chiesi, sempre con quel tono reso basso dal piacere.
Lei annuì, distratta, troppo impegnata a godere di quelle carezze e rispose –Non... Non sono le tue dita che vorrei dentro di me, adesso...-
Reso completamente folle da quelle parole, dopo averla sentita sufficientemente bagnata e, lo ammetto, visto che la mia sopportazione rasentava lo zero, scivolai fuori di lei e mi privai dell’ultimo capo rimastomi addosso, diventato troppo stretto per la mia erezione.
Mi accinsi alla sua apertura, facendo aderire i nostri petti e unire le nostre mani.
Sempre reggendomi sul gomito sinistro, le spostai una ciocca rossa appiccicata alla fronte per il sudore.
-Farà male...- sussurrai, forzandomi ancora ad aspettare. Il mio membro era così vicino, che percepivo il calore e i suoi umori... che inevitabilmente mi rendevano simile animale affamato davanti ad una preda.
Lei mi abbracciò il collo con il braccio libero, con dolcezza –Mi fido di te-.
La baciai, sperando di distrarla un po’ dal dolore, e cominciai a penetrarla con lentezza: Sentirmi avvolto dal suo calore, se anche per qualche centimetro mi annebbiò ogni lume della ragione e non saprei dire cosa avrei potuto combinare se, non appena entrai in contatto con la sua barriera, Vega non avesse irrigidito tutti i muscoli, piantando le unghie nella carne della mia schiena.
Ma la cosa che mi riportò del tutto alla realtà era la lacrima che, scesa dai suoi occhi, scivolando sulla sua guancia, finì sul pavimento.

-Passerà, habeebti, passerà...- cantilenai, stringendola di più a me, continuando però ad infierire sulla sua verginità.
Altre lacrime scapparono al suo controllo e mi sentii sporco e indegno perché io, invece, stavo letteralmente impazzendo per quel contatto, smanioso di arrivare ancora più in fondo.
E fu proprio quando vi arrivai che dovetti fermarmi, per darle il tempo di abituarsi alla mia presenza, cominciando a carezzarla per distrarla da quel dolore.
I muscoli di Vega si stavano contraendo, cercando di conformarsi attorno al mio membro, e ogni contrazione era una stoccata di piacere indescrivibile.
L’espressione della rossa andava sempre più acquietandosi, fino al punto che fu lei a dare la prima decisa spinta.
Il mio sguardo si appannò e per un momento non ci vidi, tanto potente era stata la scarica nel mio corpo.
Ma ci imposi un ritmo lento e rilassato, non volendo in alcun modo farle versare più una lacrima, e Vega accompagnò le mie spinte con il movimento dei fianchi.
Eravamo talmente in sintonia che sembrava non avessimo fatto altro che fare l’amore insieme: Ad ogni mia spinta lei si lasciava sfuggire un gemito, dolce e secco, non più trattenuto, e i nostri corpi combaciavano come se fossero stati fatti per unirsi.
Eravamo davvero come due pezzi di un mosaico.

Non era la prima volta che avevo un rapporto con una donna, eppure con quelle semplici e lente spinte, con quel singulto estasiato che le usciva dalle labbra, con le dita infilate trai miei capelli o intrecciata alle mie, Vega mi fece pensare di non aver mai davvero fatto sesso prima di quel momento.

I suoi muscoli si strinsero prepotentemente intorno al mio membro, all’improvviso, travolgendola in un orgasmo vorticoso.
-Altaïr- esalò, alzando e abbassando il petto velocemente –Altaïr...- e, abbracciandomi la vita con le gambe, diede due spinte ancora più profonde delle precedenti e in quel momento, lasciandomi sfuggire un ruggito, venni anch’io.
Stremato e incredibilmente appagato, mi lasciai cadere su di lei, poggiando la mia guancia sul suo seno, venendo a contatto col cuore.
-Sentilo... – mormorai –Batte veloce come le ali di un colibrì-.
Vega aveva un sorriso beato sulla faccia ma gli occhi, a mezz’asta, erano già da qualche altra parte, come in un mondo lontano.
Mi chiesi se meritassi tutta quella luce e quel calore, se meritassi la sensazione di completezza che i nostri corpi uniti mi trasmettevano... considerando la bugia sulla quale avevo basato il mio rapporto con lei.
Mi chiesi se meritassi una qualche genere di salvezza solo per il modo genuino e spassionato con cui stavo imparando ad amarla.
Probabilmente no.
Amareggiato da quella verità, la vidi addormentarsi nel giro di pochi secondi, ancora con quel bellissimo sorriso a illuminarle non solo il volto, ma anche gli occhi.

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente.

- Suppongo sia per questo che mia madre non si sia mai rassegnata al fatto che fossi così simile a mio padre. Così “uomo”, in un certo senso- continuò, tra le risate –E allo stesso tempo, la mia somiglianza con lui l’ha aiutata ad accettare il mio ingresso nella confraternita-.
Risi di cuore a quel racconto della prima infanzia di Vega, dove aveva stupito tutti con le sue doti da guerriera combattendo (per gioco) con suo padre.
-E ora? Loro dove sono?- chiesi, beandomi della ritmica lentezza con cui mi stava accarezzando i capelli.
-Sono morti l’anno dopo- disse con semplicità, come se la questione non la facesse soffrire più di tanto. Anzi, come se non l’avesse mai fatta soffrire tanto.
Le mie perplessità dovevano essermi dipinte in volta, perché lei si affrettò a chiarire: -Non prendermi per insensibile, ma ero davvero molto piccola. Forse non avevo ancora quattro anni. Gli Al Sayf sono stati la mia famiglia per molto più tempo-.
Il solito campanello di allarme si accese nella mia testa e la solita voragine mi si aprì nello stomaco.
Disegnai figure immaginarie sul suo stomaco piatto, per calmarmi –Ti hanno accolta nella loro famiglia?-
Annuì con un sorriso brillante, quanto nostalgico –Le nostre famiglie erano molto unite, non hanno esitato nemmeno un secondo a prendermi con loro- sospirò, portando lo sguardo nel mio: lessi nei suoi occhi una gratitudine infinita.
-La verità è che non ricordo quasi per niente il viso dei miei genitori. Sono più che altro sensazioni e voci lontane... Gli Al Sayf sono incisi a fuoco nel mio cuore e nelle mia mente!-
Il mio silenzio la spinse a continuare. O forse, visto che ci stavamo toccando, sentii il mio bisogno di sapere qualcosa in più sulla sua vita.
-Beh, forse non ti ho mai detto che io e Kadar siamo nati lo stesso giorno- cominciò, perdendosi con lo sguardo nel vuoto.
-Davvero?-.
Fece un piccolo sorriso, assentendo piano con la testa –Per questo abbiamo sempre sostenuto di essere fratelli davvero. Ho sempre pensato che fossimo legati come da un filo...- il suo sorriso perse un po’ vigore –Malik era geloso del rapporto che avevamo. Si sentiva messo da parte-.
Fu inevitabile che sorridessi sotto i bassi a quel racconto, immaginandomi il Rafiq imbronciarsi e sbattere i piedi perché veniva lasciato solo.
Vega dovette capire il perché della mia ilarità e mi lanciò un’occhiata bieca di rimprovero, ma non mi feci certo intimorire, continuando a immaginarmi la scena.
-Su, continua- la incitai pendendo letteralmente dalle sue labbra.
Si mosse inquieta sulla stuoia, finendo per sballottare anche me, come se non sapesse da dove cominciare.
-Beh, c’era sempre un altro ragazzo con noi. Si chiama Samir. Forse l’avrai anche conosciuto- ovviamente, non poteva sapere che l’avevo spiata quel giorno, mentre lo incontrava nella Dimora.
- Eravamo un gruppetto niente male, sai? Sempre a combinarne mille. Anche all’algido Al Mualim: Una volta, avevo dodici anni, riuscii a rubargli la spada, mentre gli altri lo intrattenevano con inutili discorsi. Poi mi sono buttata dalla finestra nel cortile: il mio primo Salto Della Fede-.
La mia bocca spalancata fu più efficace di mille parole stupite che potevo usare.
-Mi ha sicuramente visto e sentito. Forse mi ha accolta come Assassina per la mezza riuscita della missione!-.
Sentii un moto di orgoglio verso di lei. Una cosa mai provata prima di quel momento.
Solitamente avrei voluto spappolare il cervello a tutte quelle persone che cercavano di far colpo su Al Mualim prima di me.
Mi piaceva essere il “cocco” del Maestro, perché me lo meritavo.
Non ero abituato a non primeggiare, poi una ragazzina di dodici anni sottrarre la spada al Vecchio e si butta senza paura nel suo primo salto della fede, senza morire, tra le altre cose!
Ma ora non sentivo quell’astio che sempre avevo provato, con mi ribolliva il sangue all’idea che qualcun altro avesse stupito il mio Mentore...
Ero orgoglioso del successo di Vega.
Lei riprese il discorso, con gioia, ma con le guance che andavano sempre più scurendosi di imbarazzo -Poi, quando gli altri lo liquidarono e mi raggiunsero... eravamo tutti molto euforici e...-
Sapevo che sarebbe arrivata la stoccata.
-... lui non ci pensò un secondo. Si vedeva chiaramente che era su di giri... Insomma, Kadar mi baciò!-.

Eccola lì. La parte che non sarebbe piaciuta.


Evitai che sul mio viso si dipingesse qualsiasi espressione del sentimento che covavo all’interno.
-Io rimasi così inebetita. Non fraintendermi, credo che all’epoca già ci fosse qualcosa sotto, ma era mio fratello. Comunque non ebbi la forza di rifiutarlo. Fu solo il primo di una lunga serie di attentati da parte sua!-
Mi sforzai di sorridere.
-Aspetta, ti faccio vedere quanto è stato... incredibile!... quando esposi i miei dubbi su quei baci!-
Non ebbi nemmeno il tempo di protestare, che mi trovai risucchiato in un ricordo.
Sperai sinceramente di non vomitare davanti a lei e al piccolo Al Sayf tutt’intenti a baciarsi, fosse anche che avessero dodici anni.
La cosa mi infastidiva comunque.


“Sei una sciocca, Waqi!”
Disse Kadar, guardando il profilo di Vega illuminato dai raggi del sole. I suoi capelli erano più lunghi e chiari rispetto a quelli nel presente.


Sei strepitosamente bella, anche da piccola.

Solo in un secondo momento, mi accorsi che anche il ragazzino, come spesso facevo io, l’aveva chiamata col suo nome in arabo.
Cominciai a provare la stessa famosa rabbia che provavo quando qualcuno cercava di ammaliare Al Mualim più di me.
“Non sono IO la sciocca, qui” rimbeccò lei, incrociando le braccia al petto, con quel broncio furioso che ancora oggi la caratterizzava.
Vidi Kadar rimanere interdetto, immobile nella sua posizione, proprio come me ogni volta che Vega mi rifilava quell’occhiata velenosa.
“Sei arrabbiata con me?”
Ovviamente”
“Per un bacio?”
L’occhiata di fuoco che scoccò al giovane fu ancora più pericolosa della precedente “Per i baci, vorrai dire!!!”. Puntigliosa, diretta e saccente, come era ora!
Kadar alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa “Stai scherzando, vero? Non mi sembra che ti siano dispiaciuti, prima”
Vega, scioccata da tanta insolenza, arrossì, spalancò la bocca, sbatté i piedi per terra e passò in modalità 'Bestia selvaggia'.
Questo pensiero apparteneva a Kadar. Questo modo di chiamarla. Mi chiesi come avessi fatto a sentirlo.
Gli si lanciò contro come un toro, salvo poi spiccare un balzo notevole e aggrapparsi a lui, stringendolo come un Boa Constrictor, cominciando e colpirlo con dei pugni.
"No, la Presa Cobra NO!" starnazzò l’altro, cercando di liberarsi da quella morsa mortale.
"Te la meriti!" ringhiò lei, nella sua mente "Sei un idiota di proporzioni cosmiche!"
Kadar si sbilanciò verso terra, facendo sì che entrambi ruzzolassero nel terreno continuando ad azzuffarsi, finché non la sovrastò, dandole un altro bacio sulle labbra.
Niente a che fare con i baci che io e Vega ci eravamo scambiati in quei mesi, eppure la carica sentimentale che sprizzò da quel gesto mi fece sentire a disagio.
Al Sayf prese la parola, ancora ansimante per la lotta "Smettila di insultarmi col pensiero. Sono una persona sensibile, io!"
Lei, a quelle parole, ancora con gli occhi accesi di qualcosa di indescrivibile, sembrava dilaniarsi tra il desiderio di spaccargli la testa e di mettersi a ridere.
Forse Vega gli stava comunicando tutto questo con il pensiero, perché sembrarono capirsi anche senza aver parlato.
"Sei una pazza squilibrata, Waqi... Mi piaci soprattutto per questo!".


Come sei avessi appena fatto un sogno,
riaprii gli occhi a fatica, trovandomi davanti il volto luminoso della mia Assassina.
Non riuscii a capire per cosa stesse ridendo, forse per la mia faccia, forse per quei ricordi.
Però una cosa mi fu chiara, in maniera quasi dolorosa: Era impossibile, per lei, essere triste se c’entrava Kadar.
Notai che ancora ci toccavamo. Probabilmente aveva sentito anche questa riflessione.
- Hai ragione- mi disse, rispondendo ai miei pensieri -Non c’è e non c’era mai stato niente di triste in lui. Tranne il fatto che non c’è più!-



Alessandra

Non credo che mi sarei mai abituata alle sessioni nell’Animus neache se l'avessi voluto. E il mio corpo me l’aveva ampiamente dimostrato, con un gran bell’infarto.
Avrei tanto voluto che ci fosse un modo di ricordare ai miei organi che non dipendeva da me la durata di ogni singola sessione. Che era inutile che cercassero di mettere a repentaglio la nostra vita per puro senso di ribellione...
Ma a quanto pare non c’era.
Mi alzai, finalmente, a detta delle mie ossa incriccate, dall’Animus, correndo con lo sguardo subito alla mia sinistra.

Desmond.

E
ra così simile e allo stesso tempo diverso da Altaïr che provavo una certa inquietudine nel guardarlo.
Un po’ centrava il fatto che fossi letteralmente pazza di Altaïr. E non solo perché alla mia antenata era piaciuto rotolarsi nelle lenzuola con lui.
Altaïr era... un tipo forte!
Con i suoi modi burberi, e la sua infinita pazienza, il suo portamento fiero, le espressioni enigmatiche, per non parlare della sua arroganza (la sua sexissima arroganza), o dei i suoi gesti dolci mascherati con qualche stupida lamentela...
E poi, la sua bellezza.
Inutile girarci attorno, signori, Altaïr era un figo da paura!
E questo mio pensiero non faceva che rivoltarsi su Desmond, che essendo incredibilmente identico ad Altaïr era altrettanto figo.
Ma, in qualche modo, aveva un modo tutto suo di muoversi, parlare e atteggiarsi, che lo rendeva totalmente diverso dal suo antenato Siriano.
-Tutto bene, dolcezza?-
Quella frase mi riportò sul Pianeta Terra in meno di un nanosecondo. Non sapevo se imbarazzarmi per la figura che avevo fatto, facendomi trovare a guardarlo come una maniaca, se per come mi aveva chiamata, o per un mix delle due cose davanti a Vidic e alla Stillman.
-Non proprio...- mentii, utilizzandola come scusa per pararmi il sederino –Mi sento un po’ confusa. Mi sembravi Altaïr-.
Beh, una mezza verità. Potevo fare peggio!
-L’allucinazione è durata più di trenta secondi?- si intromise Lucy, con tono altamente professionale, pronta a segnare le sue diagnosi sul piccolo tablet che aveva sempre con se.
Scossi la testa con forza –Dieci secondi, volendo esagerare-.
Lucy annuì, comprensiva, appuntando tutto su quell’aggeggio, come avevo previsto. Poi riprese –Abbiamo fatto bene a fermarvi. Ma è una pausa breve. Giusto un’oretta per farvi mangiare e sgranchire un po’ le gambe-.
Decisi di togliermi una curiosità –Da quanto tempo sono qui?-
Sentii la dottoressa sussurrare “Scarsa concezione temporale” mentre lo digitava sul suo block-notes digitale, mentre mi rispondeva che stavo per consumare la cena, alle 23.30, del secondo giorno.
Evitai che mi si dipingesse in faccia lo stupore per quella notizia.
Quasi tre giorni? A me sembrava fossero passati anni.

Chiusi in camera, con due sacchetti trasparenti riempiti con due panini, un succo di frutta e una barra di cioccolato, io e Desmond non ci eravamo ancora scambiati una singola parola.
Inutile che fingessi di non sapere perché.
Teoricamente, era come se avessimo fatto sesso fra di noi.
La cosa era imbarazzante, l’ammetto. Ma possibile che quel ragazzo non avesse le palle per tirare fuori uno straccio di argomento?!
-Che ne pensi dei panini?- buttai lì, con fare indifferente, senza guardarlo.
-Che i cuochi potevano sforzarsi di più!-
Alzai gli occhi al cielo –Non sono gli unici che dovrebbero sforzarsi un po’ di più...- mugugnai tra me e me.
-Cosa?-
-Niente-
Continuai a mangiare il mio panino con forza, sperando che un grosso masso cadesse sulla testa di quell’idiota, che non faceva che addensare la nuvoletta di imbarazzo che si era venuta a creare.

Ah, dolce vendetta...

-Sai, penso che Vega sia davvero una tipa tosta. Mi piace. E’ una bella persona...- si fermò un secondo, come imbarazzato –Vi assomigliate molto, sotto molti aspetti... Questo non vuol dire che tu mi piaccia. No, cioè, non è vero, perché in un certo senso tu mi piaci, ma...-.
Scoppiai a ridere, senza guardarlo, sinceramente divertita dal suo farneticare.
-Dio, si può sembrare più idioti?- mugugnò rassegnato, schiaffandosi una mano in fronte.




1) Vedi Nota uno del precedente capitolo!
Anche se non me lo merito, vorrei utilizzare questo spazio per chiedervi infinitamente scusa per questa lunghissima assenza da efp. E' la prima volta che riaccendo il pc da inizio Aprile: Tra lo studio normale, quello per la maturità, per l'esame di medicina (passato), quello in accademia (che ancora non è finito, mi rimangono quelli fisici e psicofisici), gita (Meravigliosa, anche se non credo che vi interessi), pon vari e Scouts (Eh sià, come se il resto non bastasse)... Su efp non è che non vi ho messo piede, di più.
Rientrare qui, oggi, vedere le mie storie preferite aggiornate di diversi capitoli, saper di non averle seguite e opportunamente commentate, di aver perso il contatto con voi (da quant'è che non rispondo alla vostre recensioni? Da quanto?!) mi ha abbastanza tramortito, tanto che ero indecisa se pubblicare il capitolo o un avviso di interruzione della storia.
Ma sono qui, per quanto possa ancora interessarvi.
Per cui perdonatemi, perdonatemi, PERDONATEMI: Spero di riuscire a gestire meglio il mio tempo da ora in poi, e di non deludervi mai più.

2) Una ferita è sempre una perdita di “integrità” per la pelle e non ne risente soltanto queste, ma anche le fasce muscolari, le fibre nervose, i vasi sanguigni e linfatici e, nelle lesioni più profonde, le strutture di organi interni.  Nel pratico, la cicatrice è un tessuto di riparazione, costituito da fibre connettivali e da cellule la cui membrana ha un’attività diversa da quelle delle cellule sane, e questo ha spesso ripercussioni sulla sensibilità della zona colpita:
Spesso la cicatrice è sensibile al tatto, quasi in maniera bruciante. In altre, potebbe divenire  del tutto insensibile, quasi “morta”, come se non ci fosse più collegamento tra questa e il cervello.
Piccole curiosità simpatiche: -La cicatrice insensibile di Vega è ispirata ad una mia cicatrice reale, delle stesse dimensioni e nello stesso punto! 
- Molto spesso le cicatrici, per alcuni tipi di esami clinici, risultano dei "campi di disturbo": Uno di questi test si chiama "Vegacheck" xD

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Capitolo 18
*** 17. Learning to Live ***


Ehilà? C'è nessuno in ascolto?
Eccomi tornata, con molta gioia, a pubblicare un nuovo capitolo di "I'm With You", dopo uno stacco di quasi tre anni (Shame on me).
Forse non mi merito un caloroso bentornato, soprattutto perché molti di voi mi hanno scritto spesso in questi tre anni (lettori nuovi  e vecchi) per complimentarsi e chiedermi di continuare, ma io sono stata sorda un po' di volte... Eppure, eccomi qui.
Spero di ritrovarvi, ritrovarmi, ritrovarci... e che il capitolo vi piaccia!
Purtroppo non c'è molto da dire, ma sappiate che mi siete mancati e che scrivere per voi è sempre e sempre sarà la cosa più appagante di tutte.
Un bacio e che la fortuna assista la vostra lama!


Cass

17. Learning to Live

Ti imploro dal profondo del mio cuore di mostrarmi, almeno tu, comprensione:
Ho bisogno di vivere la vita come alcuni mai potranno fare.
Ti prego, trova della gentilezza,
trova bellezza, trova della verità,
e quando la tentazione mi mette in ginocchio
e io mi sdraio, prosciugato da ogni forza,
mostrami la gentilezza, la bellezza e la verità.

Il modo in cui il tuo cuore palpita fa la differenza:
E’ ciò che decide se resisterai al dolore che tutti proviamo.
Il modo in cui il tuo cuore batte fa tutta la differenza
nell’imparare a vivere...
Dream Theater- Learning to Live

Commettere azioni socialmente inaccettabili vi farà perdere sincronizzazione. Per recuperarla, seguite il Credo.

Tra i piagnistei di Abbas, le incoraggianti pacche sulle spalle di Bashir e gli sguardi attenti di Ranya, io e Vega ci incamminammo verso la Dimora, confondendoci tra i frettolosi passanti.
Era necessario andare dal Rafiq e raccontargli della missione, per poter poi prendere congedo. Per fare cosa, nessuno dei due ancora lo sapeva.
Vega si girò per lanciare un’ultima occhiata triste ai suoi amici, e io seguii il suo gesto, ritrovandomi a guardare Ranya.
Dal suo sguardo, capii che sapesse cosa sarebbe successo tra me e Vega, quando lei avesse saputo. E dalla sua espressione capii anche altre due cose:
Il tempo non era molto lontano e lei se ne dispiaceva.
Mai quanto me ne dispiacevo io.

Avanzamento rapido ad un ricordo più recente: Inizio Imprint Mnemonico

-Mi chiedo quale dovrebbe essere la nostra prossima mossa- Vega, rannicchiata nell’atrio della Dimora, con la schiena poggiata al muro e uno dei cuscini tra le braccia, dove aveva poggiato la testa, sobbalzò alla mia silenziosa entrata in scena.
Il colloquio con il Rafiq era stato lungo, nauseante e stremante e, nonostante questo, non aveva prodotto alcun risultato soddisfacente o illuminante.
Ovviamente della leggenda non avevamo detto nulla, né tanto meno del nuovo Frutto o dell’Antica Civilizzazione.
Riferimmo accuratamente, però, della battaglia e di come ‘Akkā fosse tornata libera, della possibile ubicazione di Di Sable a Damasco, come avevamo sentito durante la riunione templare e del manoscritto come possibile oggetto di interesse da parte di Al Mualim.
Al Rafiq tutte queste informazioni erano state sufficienti per spingersi ad andare a Damasco ad uccidere Di Sable e a prendere il manoscritto.
Peccato che non fosse esattamente quello il compito cui avremmo dovuto adempiere. Uccidere Roberto avrebbe significato perdere l’occasione di seguirlo finché non avesse trovato il frutto e poi sventare i suoi piani.
-Non chiederlo a me...- mi rispose lei, in un soffio –Credo che dovremmo essere razionali, analizzare la Leggenda e applicarla alla realtà!-.
Mi sedetti vicino a lei, così vicino che le nostre spalle si toccavano, poi mi accostai al suo orecchio –Credevo che avessimo già razionalizzato ma soprattutto applicato la Leggenda alla perfezione!- sussurrai, allusivo.
La guancia di Vega si imporporò appena, ma la sua espressione era tutta di ammonimento. Sembrava che i ruoli si fossero scambiati:
Lei seria e puntigliosa e io  rilassato e scherzoso. Aveva ragione, in ogni caso.
Feci mente locale –Sappiamo che Al Mualim vuole tre cose: Il Frutto. I piani dei Templari... – mi fermai un secondo, per gustarmi quell’ultimo punto –La vita di Di Sable-.
Sembrò leggermi in volto quanto la morte del Capo Templare mi sollevasse, soprattutto se il merito della sua dipartita fosse stato il mio.
-Se così fosse, la cosa più logica sarebbe seguire il consiglio del Rafiq e andare a Damasco. Eppure...- sospirò, con aria affranta –Qualcosa mi dice che non è la strada giusta-.
Andava contro ogni logica non seguire la pista di Damasco, me ne rendevo conto, eppure anche io sapevo, in qualche strano modo, che avremmo dovuto fare altro.
Un istinto, piccolo e pungente, si era insinuato tra le mie logiche riflessioni, fastidioso come un tarlo... Non mi era mai capitato di dubitare tanto della mia ragionevolezza.
Vega mi accarezzò dolcemente la testa, con un mezzo sorriso a incresparle il volto.
Il sole che filtrava dalla finestra creava fantastici giochi di luce tra i suoi capelli, oltre ad illuminarle il viso d’alabastro come se fosse un malak
.
-Credo che dovremmo consultare delle mappe astrali-
Mi allontanai dal muro con uno scatto violento, veramente sorpreso di quella proposta così... beh, inaspettata. Mappe astrali?
Vega ridacchiò della mia reazione esagerata, spostandosi in avanti per essere di nuovo faccia a faccia, per guardarmi negli occhi, supposi.
Aveva intenzione di farmi due moine per convincermi, nel caso non fossi stato d’accordo? Ovviamente le avrei detto di “No” a prescindere, se l’idea mi fosse sembrata stupida.
Non potevo negare, anche con un certo imbarazzo e una ferita nel mio orgoglio di uomo, che non mi sarebbe dispiaciuto vederla tentare, magari le sue argomentazioni si sarebbero dimostrate sorprendentemente valide...
No, non avevo giustificazioni per questi pensieri. Quella donna mi stava corrompendo e io non ero per niente intenzionato a fermarla.

Fantastico.

Sembrò interpretare il mio silenzio come un invito a spiegarsi, per fortuna.
-Vedi, sono convinta che la leggenda centri qualcosa con il Frutto Dell’Eden. Quindi, per venirne a conoscenza, Di Sable deve averla appresa dal manoscritto... questo spiegherebbe perché interrogasse e perseguitasse i popolani di Acri- si fermò, per vedere se la seguissi.
-Ranya- riprese – ha parlato degli strumenti di Zhinu e Niulang come mezzi per incantare natura, animali e uomini, sebbene in termini molto più romantici. Questi sono gli stessi poteri che ha la Mela che si trova nelle mani di Al Mualim! E’ ovvio che ce ne sia un altro, con gli stessi poteri: Il Telaio e il Flauto sono due frutti dell’Eden!-
Rimasi sinceramente sorpreso di quell’intuizione, sentendo la storia ricostruirsi nella mia mente con una prospettiva nuova, finalmente calzante.
Si alzò in piedi, rivolgendo lo sguardo al cielo –Per cui, visto che siamo vicini al settimo giorno del settimo mese, e io sono Vega e tu sei Altair, quello che dovremmo cercare è...-
Le sorrisi –Il punto in cui ci incontriamo... Sei un genio, Vega-.
Tornò a guardarmi con quegli occhi brillanti, fece spallucce e un ghignò affatto umile spuntò sulle sue labbra –Faccio del mio meglio!-.

Avrei dovuto immaginarlo.
Ero stato folle non prevedere che svolta avrebbero, ovviamente, preso le cose.
Quanto era durato il mio sprazzo di felicità? Tre mesi scarsi?
Forse era durato anche troppo per la fine disastrosa che gli si prospettava.
Io e Vega consultammo diverse mappe astrali dei mesi estivi per cercare Deneb, stella alpha della costellazione del Cigno e importante luogo dove io e Vega avremmo potuto proseguire la nostra missione. I risultati mi spiazzarono:
Ero talmente incredulo che insistetti per confrontare quelle conclusioni con diversi almanacchi e libri di astronomia, ma in poche ore non avemmo più dubbi sul luogo in cui Deneb si sarebbe trovata il settimo giorno del settimo mese.

Ūrshalīm.

Ovviamente, pensai, dove altro ci saremmo dovuti fermare per poco meno di un mese, se non nella città dove era stanziato Malik, il Rafiq che aveva tutto il diritto di privarmi della persona più importante che avevo al mondo poiché era stata privata della sua da me?
Dovevo parlare con lei prima di arrivare a Gerusalemme.
Avrei dovuto dirle molto tempo fa che le stesse mani che l’avevano accarezzata erano intrise del sangue di chi aveva amato.
Che le stesse labbra che avevano lambito le sue labbra e le corde della sua anima con parole dolci non erano state capaci di tante gentilezze in passato...
E che lo stesso uomo che aveva bramato la purezza e la sincerità del suo amore, puro e sincero non lo era affatto.
Come, come potevo dirle che ero stato io ad uccidere Kadar?
Come potevo dirglielo senza rovinare la missione, senza mettere le nostre vite in pericolo per qualche sua avventatezza? E senza perderla, magari?
La guardai preparare, impaziente di rivedere Malik, il suo sacco da viaggio, sperando forse di vedere una soluzione nei suoi gesti frenetici. Invano.

 

Il viaggio procedeva relativamente tranquillo.
Viaggiare tra i deserti e le zone brulle che separavano Acri e Gerusalemme era, da un punto di vista fisico, debilitante e, da un punto di vista umano, noioso per dei viaggiatori frettolosi, inesperti o poco attrezzati.
A me, invece, preparato tecnicamente, era sempre risultato un viaggio straordinariamente rilassante e ideale come momento di profonda riflessione.
Ed era, in effetti, quello che mi serviva: modo e tempo per riflettere sulla mie colpe.
La mia leggerezza passata era stata severamente giudicata e punita da chiunque a Masyaf, anche da chi, forse, non poteva permettersi di scagliare la prima pietra.
Non c’era stata comprensione nei cuori di nessuno perché, lo riconoscevo, il vecchio Alta
ïr non meritava alcun tipo di giustificazione o scusante.
Dura era stata la mia pena e ancora più duro era stato accettarla, al principio: Quanta rabbia, quanta umiliazione, quanta insolenza e quanta superbia mi appesantivano la vita.
Ma avevo imparato molto e grandi erano stati i cambiamenti dentro di me; non potevo riconoscermi in quell’Assassino spietato e superficiale.
Il perdono era stato importante nel darmi quella spinta finale per consolidare il mio cambiamento ed era pervenuto da Malik, l’ultima persona che credevo avrebbe potuto concedermi un dono così grande.
Eppure...
Eppure, nonostante questo, ero ricaduto in quella tentazione, quella che aveva rovinato già una volta la mia vita: L’egoismo.
Non era stato forse l’egoismo a farmi agire con arroganza quella volta nel Tempio? Prendermi tutti i meriti e tutti gli onori, dimostrare di poter agire con spavalderia perché ero superiore in agilità, forza e tattica in combattimento a chiunque?
Le conseguenze erano state terribili per me, ma soprattutto per Malik e Kadar.
Terribile era stato, finalmente, riconoscere che il mio egoismo feriva non solo me, nel lungo termine, ma feriva nell’immediato, spesso in modo irreparabile, le persone che con impertinenza travolgevo nel mio cammino e di cui, indegnamente, non tenevo conto.
Questa era la cosa più importante che avevo appreso in quell’ultimo anno: Come Assassino era per me disonorevole nuocere a cose o persone, al di fuori del mio obiettivo.
Che le vittime collaterali non dovevano essere considerate collaterali.
Cambiare prospettiva mi aveva permesso di vedere quanta serenità e gentilezza avevo rifiutato agli altri negli anni, facendo sì che gli altri la rifiutassero a me. E anche se ero cambiato, anche se ero stato perdonato... ancora vedevo negli occhi di chi mi conosceva un guizzo di allarme, come se potessi scattare da un momento all’altro e ritrasformarmi nella bestia senz’anima che ero prima.
Mi era stata donata una seconda possibilità di ritrovare la bellezza dell’equilibrio che seguire il Credo comporta, ma mi veniva offerta, però, una gentilezza farlocca, falsa, adombrata dai dubbi che sempre, probabilmente, sarebbero ricaduti sulla mia testa.
Vega aveva sicuramente sentito delle voci sul mio caratteraccio e io non gliel’avevo certo nascosto, ma lei mi aveva conosciuto, mi aveva compreso e mi aveva accettato per quello che ero.
Mi aveva accettato in tutto, difetti e pregi, bene e male e si era aperta a me anche se tutto sembrava dirle il contrario: Istinto, amici, confratelli...
Mi aveva accettato per l’uomo che ero diventato ed ero per lei l’unico Altair: non c’era la bestia senz’anima, il superficiale, l’arrogante. Solo io, non uno stinco di Santo, ma io.
E io la desideravo così tanto, oh Allah, così tanto desideravo la sua mente, la sua anima, il suo corpo e il suo amore...
Tanto era la mia paura di perdere quell’amore e quella sensazione di benessere che lo stare con lei mi trasmetteva che ho ceduto e sono caduto.
Diventando l’uomo che, amandola, mai vorrei le si avvicinasse. Un bugiardo egoista.
Forse non dovevo cercare una soluzione, forse mi meritavo ciò che stava per accadere.
-Sei molto silenzioso, oggi... Oggi come sempre!-.
Il filo dei miei cupi pensieri si interruppe nel sentirle pronunciare tranquilla e scherzosa quella frase. Sentirla così rilassata era peggio di un cazzotto nello stomaco.
Raddrizzai la schiena e cercai di darmi un tono –Stavo riflettendo, in effetti-.
-Sui grandi temi della vita?- rise.
Fu spontaneo il sorrisetto che mi nacque in volto –Qualcosa del genere- risposi, cercando di troncare il discorso.
-Posso contribuire?- avrei dovuto immaginare che la conversazione non sarebbe caduta tanto facilmente con lei. Sospirai sconsolato.
Però poteva essere la mia occasione...
Con il battito appena accelerato, decisi di lanciarmi in questo tentativo, forse l’ultimo che potevo cogliere –Secondo te le persone sono capaci di cambiare, Vega?-
Corrucciò le labbra e aggrottò le sopracciglia, in quell’espressione concentrata che tante volte le avevo visto sul viso e si prese del tempo prima di rispondere.
-Ebbene- cominciò –Sono fortemente convinta che le persone possano cambiare se stessi e la loro vita, sebbene questo non dipenda interamente da loro-.
Restai in silenzio per spingerla a continuare, ma avevo il cuore così in fibrillazione che sentivo il sangue scorrermi impazzito nelle orecchie.
- Voglio dire... Un soggetto che ha condotto un certo tipo di vita e vuole cambiare se stesso e le sue abitudini deve non solo avere grande forza di volontà e disposizione al sacrificio, ma deve anche avere da chi lo circonda gli strumenti, il modo e le possibilità di cambiare ciò che in lui deve essere cambiato- corrucciò di nuovo le labbra, come se non fosse riuscita a spiegarsi come avrebbe voluto.
Ero così teso che la voce mi uscì in uno strano tono compattato e gutturale –E quali sono questi strumenti? O i modi?-.
Fece un sorriso che gridava “Ma è ovvio” – La comprensione! Dobbiamo ricordarci, quando ci lasciamo prendere dal giudicare facilmente, che siamo umani e sbagliare è nella nostra natura. Altra cosa fondamentale è la disponibilità a donare nuovamente fiducia, a mostrarsi disponibili nell’insegnare un modo più bello di vivere e... Oh! Ovviamente il perdono!- mi guardò tranquilla e io la trovai dannatamente bella.
-E se l’uomo, dopo tanti sforzi per cambiare, dopo tanti risultati faticosamente ottenuti, ricadesse in tentazione, Vega? Potrebbero gli altri continuare a mostrargli comprensione? E lui? Potrebbe ancora imparare a vivere in un modo migliore?-
Vega diede uno scossone al suo cavallo e si accostò al mio, guardandomi negli occhi con quel suo sguardo giada penetrante e intenso. Posò una mano sul mio petto.
-Il modo in cui il tuo cuore batte, ora, è indicativo, Altaïr. I sentimenti che provi e che ti scorrono dentro sono la differenza che dimostra che stai imparando a vivere veramente-


1)Canzone un po' insolita, rispetto alle precedenti. Learning to Live, Dream Theater, dall'album "Images and Words (1992), vuole, in questo capitolo, esprimere i pensieri del nostro amato Assassino rispetto ai suoi cambiamenti e alle sue paure. Infondo è così, quella di Altaïr è una storia di crescita personale, non solo nella mia Fanfiction ma anche, e soprattutto, nel nostro videogioco preferito. Possiamo essere i migliori in qualsiasi arte o lavoro ma a poco serve se non siamo bravi uomini o donne, se non lavoriamo su noi stessi e sui nostri inevitabili difetti.
Del resto, però, come dice Vega (discorso che rispecchia molto il mio pensiero), il cambiamento è totale se anche gli altri ci aiutano e ci vengono incontro: Nessuno su questa Terra può farcela da solo. Questo dice, secondo me, questa stupenda canzone.
Abbiamo bisogno che gli altri ci aiutino a vedere una vita migliore e ci insegnino a viverla... Questo non significa che non sbaglieremo più, è nella nostra natura farlo, ma i sentimenti che proviamo rispetto ai nostri errori, la nostra volontà di rimediare e il nostro impegno nel farlo sono la differenza:
Fanno la differenza e dimostrano che abbiamo imparato a vivere.

2) Malak: Angelo

3) Ūrshalīm: Gerusalemme

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Capitolo 19
*** 18. Darkness ***


Capitolo 18

Buonasera!
Con un lasso di tempo maggiore di quanto mi fossi ripromessa ma, comunque, mantenendo il mio proposito di non abbandonare più la storia, ritorno a pubbliacare.
Mi scuso per non aver risposto alle tre recensitrici dello scorso capitolo, la mia fidatissima e instancabile Illiana, che saluto con affetto, e due nuove lettrici, Jonie e Wolfound, che ringrazio infinitamente per aver lasciato un commento.
Facciamo un breve ripasso delle puntata precedenti:


"Altair e Vega hanno scacciato i Templari da Damasco aiutando la Resistenza della città. Da loro hanno appreso della Profezia che li designa come discendenti della Prima Civilizzazione e che li lega in un chiaro destino... Hanno ceduto ai loro sentimenti. Poi, analizzando l'antica profezia, convengono che il loro destino si debba compiere a Gerusalemme dove, alla fine dello scorso capitolo, si stavano recando.
Vega era "promessa" di Kadar e, grazie al suo potere, sa che Altair è responsabile della sua morte, ma ha avuto modo di appurare il suo cambiamento. Altair crede, invece, che lei sia ancora all'oscuro di quel suo segreto e ha tentato di confessarglielo prima di recarsi, appunto, nella città in cui stanzia come Rafiq il fratello del ragazzo morto."

Ora, vi lascio al capitolo. Buona lettura!
Che la fortuna assista la vostra lama...


18. Darkness


Accadono cose senza senso,
allarmi che suonano, ricordi che si risvegliano:
Non è cosi che deve essere.
I Flashback ritornano ogni notte, ma non dirmi che tutto va bene.

Camminando attraverso il sottobosco, verso la casa nei boschi,
più mi addentro, più diventa oscuro...
Scruto attraverso la finestra, busso alla porta
e il mostro da cui ero cosi impaurito
sta rannicchiato sul pavimento, proprio come un bambino

Quando permetto che ciò accada, non ho nessun controllo su di me.

Peter Gabriel – Darkness




Mi chiamo Vega Al Sayf. Ho vent’anni. Sono nata a Masyaf e sono una fidāī. Ero in missione con Altaïr Ibn-La Ahad. Eravamo a Gerusalemme. Ho rivisto Malik, il mio fratellastro. Kadar è morto. L’ha ucciso Altaïr, ma è stato un incidente. L’ho perdonato. Amo Altaïr.

Sento un tonfo forte in lontananza, che mi fa perdere il filo dei pensieri e diversi battiti per il terrore. Non devo distrarmi, non ora. Ricomincio.

... perdonato. Amo Altaïr. Ho visitato la tomba di Kadar... Sono stata rapita.
Le mani presero a tremarmi in modo convulso, ma le strinsi così forte da conficcarmi le unghie nei palmi. Nessuno si stava avvicinando a me.

Mi stanno torturando. Stanno usando un frutto dell’Eden per cercare di confondere i miei ricordi, usando il dolore. Mi hanno picchiata e violentata. Sono in tre: Armand Bouchart, Rinaldo Oberdan... E lui, Roberto Di Sable. Io mi vendicherò. Devo resistere.

Se fossi riuscita a scappare, ovviamente.
E poi? Dopo la vendetta? Non avrei potuto offrire nulla ad Altaïr qualora fossi tornata, se non un corpo profanato, un’anima persa e una mente a pezzi.

Hai ragione, Vega... Ti disprezzerà. Vedrà lo sporco che c’è in te. Tutti lo faranno.
Malik ti ripudierà; Al Mualim ti caccerà dalla Confraternita; Altaïr non ti amerà più.

Dovevo ignorare quel sussurro sibillino, strisciante e allarmante che risuonava continuamente nella mia testa... Dovevo riuscirci o mi sarei spezzata.
E se mi fossi spezzata, davvero non ci sarebbe stato nulla di me da portare indietro.
Cercai di pensare all’ironia della situazione in cui mi trovavo e sentii un sorriso sarcastico nascere sul mio volto. Le guance, gonfie per i ripetuti schiaffi, presero a dolermi.
 Avevo passato tutta la mia breve vita a desiderare qualcosa che annullasse il mio potere.
Pur avendo intuito la sua meravigliosa potenzialità sin da bambina, era un dono che mi aveva impedito di essere a mio agio con conoscenti e amici e che, soprattutto, aveva sempre reso difficile vivere con serenità l’affettuosità della mia famiglia... e di Kadar.
Era difficile godere delle carezze di mia madre, senza percepire ed essere invasa anche da tutte le sue preoccupazioni per il mio addestramento. O continuare a credere agli incoraggiamenti di mio padre e dei miei fratelli durante gli allenamenti quando, se riuscivo a stendere il mio avversario, la loro prima emozione era pura sorpresa.
Una smorfia involontaria di disappunto mi fece nuovamente dolere le guance: Mi avevano sempre e comunque considerata come una donna, nonostante tutto il loro appoggio.
Nonostante tutti i miei sforzi.
Rabbrividii, poi, al pensiero di com’era stata dolorosa ogni perdita o gioiosa ogni buona notizia, considerando che ai miei sentimenti dovevano necessariamente aggiungersi i loro.
E com’era stato imbarazzante convivere con tutte queste persone, sapere cose che loro non avrebbero davvero voluto condividere con me, conoscere i loro segreti, i loro pensieri più cupi o oscuri. Dover stare attenta a non comportarmi in relazione a quella conoscenza, restare al passo della loro voce e non della loro mente.
Loro non avevano mai dimostrato di voler rinunciare a toccarmi, nonostante questo evidente svantaggio, ma ad un certo punto lo avevo ritenuto necessario io stessa. Addio abbracci o strette di mano, solo Kadar continuava imperterrito ad abbracciarmi e accarezzarmi, per non parlare dei baci... Spesso contro la mia volontà (almeno apparentemente).
Vent’anni di vita passati così penosamente, sempre a pregare di essere liberata da questo fardello, senza essere mai esaudita...
Ma, proprio ora che mi sarebbe tornato utile, avevo finalmente trovato una risposta alle mie preghiere e... puff, il mio potere era sparito. Obnubilato da quel Frutto Dell’Eden.
Quando i tre mi torturavano, nulla mi era più chiaro. Riuscivano ad impedirmi di spiare nella loro mente e, contestualmente, a far presa sulla mia, tanto che la realtà mi sembrava sempre più confusa con le loro menzogne.
Tutta questa tortura avrebbe avuto un senso se fossi riuscita, almeno, a carpire informazioni: dove mi trovassi, quali fossero i loro piani, se avessero o meno recuperato la Mela, se Altaïr e Malik stessero bene...

Non hai i tuoi poteri, ora, Vega.
E, evidentemente, non sei nemmeno abbastanza forte da difenderti.
Né abbastanza furba da riuscire a scappare.
Non hai più alcuna utilità, sei peggio del nulla.

No!
Svia questi pensieri.
Cercai di cambiare posizione, per dare sollievo al mio corpo:
Avevo dormito poggiandomi sul busto chiazzato di lividi, ma messo meglio della schiena dove tanti squarci si incastravano tra di loro a formare una lugubre ragnatela rossa.
Era il bruciore, però, a mangiarmi viva: quello del sangue incrostato, il pizzicore dei lividi, l’umidità sulla ferite fresche... e il dolore nelle mie carni intime.
Poche lacrime (tutta quella perdita di sangue provava fortemente la mia idratazione) cominciarono a bagnarmi gli occhi, non tanto per il dolore fisico (anche se era devastante), quanto per la ferita emotiva.
Non solo la mia sensibilità era a pezzi, ma anche il mio orgoglio.
Avrebbero abusato in tal modo di un Assassino?
Ero pronta a subire qualsiasi tortura fisica, era prevista nella mia formazione anche l’idea di essere catturata e martoriata per ricevere informazioni: ero stata preparata a resistere, come un uomo. E come un uomo ero sempre stata trattata, anche dai Templari.
Non si risparmiavano nel combattere, quando e se capivano che ero una donna.
Mentirei se dicessi che, nel mio sentirmi uomo, non avessi avuto paura dello stupro. Ma non l’avevo mai veramente preso in considerazione:
Ero talmente spietata, così fredda, letale... Mascolina.
Mi trattavano da uomo e io mi sentivo uomo. La violenza... la violenza era intollerabile per entrambe le mie facciate.
Una ferita nell’orgoglio. Un oltraggio imperdonabile.
Vi ucciderò. Vi ucciderò tutti.

Trenta giorni. Non credevo di poter resistere tanto prima di morire.
Il tempo tra una tortura e l’altra era straziante tanto quanto i momenti della tortura stessa.
Attendevo, con ansia e paura, il prossimo sopruso.  Durante quei periodi riflettevo sul perché di quello che mi stava accadendo.
Era chiaro che volessero deviare i miei ricordi, traviare la mia mente.₂
Non facevano che torturarmi fisicamente, associando quel dolore ad immagini spietate su Altaïr e la Confraternita, generate da quello strano frutto dell’Eden a forma di scettro₃
.
Ma perché?
Per piegare la mia lealtà al Credo e portarmi dalla loro parte?
O, più probabilmente, per... oh!
Lo si stavano concentrando su Altaïr. Il loro obiettivo era lui!
Era lui che complottava con Al Mualim per uccidermi. Lui che mi picchiava, lui che abusava di me. Era Altaïr a riempirmi di schiaffi, lui a squarciare la mia intimità, lui ad aprirmi ferite nella carne. E poi c’era l’omicidio di Kadar.
L’avevo vissuto in così tante prospettive, l’avevo visto uccidere Kadar, il mio Kadar, in così tanti modi che mi sembrava di avervi assistito realmente. Avevo visto quelle mani sporche del suo sangue. Lo sguardo famelico e omicida.
Solo a ripensarci...  Lui me l’aveva portato via!
Un campanello d’allarme risuonò nella mia testa e sentii un fremito percorrermi la schiena. Altaïr era cambiato.

Ma la colpa è sua. E’ così prepotente, così marcio dentro.
Uccidilo, Vega.

Tremai così forte che sentii le costole, chissà in quale condizione pietosa, prendere fuoco e dilaniarmi dall’interno. Il desiderio di togliergli la vita era così bruciante che mi veniva da vomitare. Era tutta colpa sua se ero rimasta sola al mondo, se ero stata rapita.
No, non cedere, Vega.  Non cedere.
Cominciò a mancarmi il fiato.

Mi chiamo Vega Al Sayf. Ho vent’anni. Sono nata a...

 
 

Se solo non ti avessi lasciata sola.
Se solo l’avessi seguita, anche da lontano... se mi fossi accorto prima che era passato troppo tempo... se non ci fosse stata nessuna tomba sui cui andare a piangere...
Cinquanta giorni.
Ed era solo colpa mia.
Mi sembrava che il petto potesse esplodere per il dolore. E che la mia integrità mentale fosse stata fatta a pezzettini. Non capivo più nulla, volevo solo trovarla. Viva. Salvarla.
Non potevo neanche chiudere gli occhi e abbandonarmi per qualche ora all’incoscienza, perché le immagini raccapriccianti che mi figuravo da sveglio comparivano anche nei sogni.
Cosa le stava succedendo? Era ancora viva?
Oh Vega, hayete...

Tornai alla Dimora che era ormai l’alba.
Il mio ennesimo giro di perlustrazione era stato del tutto inutile, di nuovo.
Aprii la grata dorata del tetto e mi calai dentro per inerzia, provocando un tonfo sordo inaccettabile per un Maestro Assassino. Non che me ne fregasse qualcosa.
Tale rumore richiamò Malik nel piccolo ingresso con solerzia, la sua faccia era provata  dall’assenza di sonno e dalla disperazione. Probabilmente la mia espressione non era eco della sua perché, qualsiasi cosa lui stesse provando, io mi sentivo peggio.
-Sei tornato- biascicò –Vieni, vieni a rifocillarti, ho qualcosa pronto- e tornò indietro sui suoi passi, rapido come era stato nell’arrivare.
Lo seguii arrancando e senza una vera pulsione, ma feci come mi aveva detto e mi sedetti sui cuscini, pronto a mangiare e a rimettermi in forze.
La stanchezza di quegli ultimi cinque giorni di viaggio mi sembrava irrisoria rispetto alla voglia che avevo di ripartire per cercarla in un altro luogo.
In qualche posto deve trovarsi, mi ripetevo, non cercarla significa perderla in partenza.
Questo pensiero ossessivo mi stava tenendo in piedi; questo e il non pensare al fatto che c’erano infiniti modi in cui lei poteva non essere da nessuna parte. Nella mia anima non prendevo in considerazione quelle ipotesi, o semplicemente non ce l’avrei fatta.
Sospirai, buttando la testa all’indietro, sperando che quei pensieri molesti uscissero immediatamente dal mio corpo.
Malik ritornò con un piatto pieno di cibo nell’unica mano che ancora gli rimaneva, non mi sforzai nemmeno di capire cosa mi stesse servendo, un pasto era uguale all’altro purché mi rimettesse abbastanza in forze da ripartire. Tra il busto e il moncherino, invece, tratteneva una grande pergamena arrotolata che poggiò accanto al piatto.
Prima ancora di mangiare, srotolai la mappa della regione e segnai una nuova “x” sulla pianura desertica che circondava Damasco. Ormai c’erano più posti segnati che zone rimaste incontrollate, ma non mi lasciavo scoraggiare nemmeno da questo pensiero. Potrebbero averla portata nei loro paesi natii: nelle Gallie, nella penisola italica, in Britannia... mi sarei spinto ovunque, per cercarla.
Malik fissava quella x fatta di semplice inchiostro come avrebbe fatto con una presenza demoniaca, solitamente era ansioso di sentire i miei piani per la prossima perlustrazione, pieno di idee e consigli e soprattutto di incoraggiamenti e ammonizioni sul fatto che, se avessi perso anche sua sorella, non avrei trovato rifugio dalla sua ira anche se mi fossi nascosto sotto uno sasso ubicato mille metri sotto il mare.
Nonostante la velata, seppur ironica, minaccia, la sua vicinanza mi era risultata di conforto ed era stata la mia unica altra forza oltre la negazione... mi sentii in dovere di fare altrettanto per quel suo momento di sconforto.
-Non importa dove, ma la ritroverò, Malik...- dissi, mettendogli una mano sulla spalla, sperando di non esagerare –Non prendo nemmeno in considerazione l’idea di arrendermi finché non la ritroverò-.
Il petto del Rafiq ebbe un singulto e i suoi occhi si inumidirono, eppure annuì con fervore ricambiando la stretta.
-Io...- biascicò, mentre mi faceva segno di mangiare –Mi accontenterei anche di sapere cosa le sia successo, a questo punto. Sai, per trovare un po’ di pace-.
Il boccone mi si incastrò in gola per quella frase, ma lo ricacciai giù immediatamente: non dovevo dare spazio a supposizioni e frasi di quel genere o non sarei servito più a nulla.
Mantenni una espressione moderata e fiduciosa –Sarà lei a raccontarti cosa le è capitato quando la riporterò qui- sussurrai, evitando quegli occhi così scuri e profondi di disperazione –Malik, non smettere di credere in me, io..-
Un urlo mi interruppe -Malik! Rafiq!-.
Ci avviammo entrambi verso l’ingresso del Covo, per capire chi stesse cercando il Rafiq con così tanta esuberanza ed urgenza da urlare (incautamente) per attirare l’attenzione.
Quando vidi che si trattava solo di un Novizio un po’ impanicato che cercava a tutti i costi di entrare, persi anche quel minimo interesse che era nato in me e la stanchezza prese il sopravvento sulle mie membra.
Mi girai, pronto a trangugiare velocemente quello che rimaneva del piatto per poi infilarmi subito in un pagliericcio ma, di nuovo, fui trattenuto.
-C’è anche lei, Maestro Altaïr. Fantastico!- il ragazzo, una volta entrato nel Covo, doveva avermi riconosciuto anche se gli davo le spalle –Io devo parlarvi, Maestro. Vedete...-
Lo troncai sul nascere, alzando una mano a mezz’aria –Nulla di cui tu possa voler parlare mi interesserebbe, ora- biascicai, sentendomi andare a pezzi –Per cui, se vuoi scusarmi....-
Il ragazzo deglutì rumorosamente –Si tratta della Maestra Vega-
Malik perse la presa sulla boccetta dell’inchiostro, che cadde e si frantumò in mille piccole schegge con un sonoro crash.
Crash, i vetri sparpagliati per tutta la stanza. Un lago nero d’inchiostro sotto.
-.... quindi ammetto di essere stato colto impreparato: Quei templari mi hanno stordito e portato in questa capanno rudimentale, nel sottobosco di Gerusalemme. Lei era lì, maestro-
Crash, più o meno il tonfo sordo del mio cuore.
-...  mi è sembrata così deperita e ferita, incatenata nell’altra stanza. Abbiamo parlato attraverso quel buco nella parete durante le ore in cui sono stato lì. Mi ha detto che mi avevano rapito per errore, di stare tranquillo...-
Crash, il suono delle loro ossa quando li avrei trovati.
-...
mi avrebbero riportato indietro, senza permettermi di riconoscere la strada, ma lei la sapeva. Mi ha detto di correre da voi, di riferirvi il cammino e che voi avreste fatto il resto. Ad ovest della cattedrale, superata la valle del Kidron, prima di arrivare al gat šemanîm... un sentiero, un’ora a cavallo... Sono lì!-
Crash, il rumore della grata che si richiudeva con uno schiocco dietro di me.

I sette templari a guardia di quella rudimentale abitazione giacevano morti davanti a me, alcuni ridotti piuttosto male, quando non ero riuscito a trattenere la rabbia.
Dalla casa, nessun rumore, nessun verso di speranza o di aiuto.
Il Novizio l’aveva descritta come deperita e ferita... forse non avevo fatto in tempo e avrei trovato solo il suo cadavere, ad attendere.
Cinquantacinque giorni.
Cosa avrei trovato? Chi avrei trovato?
Io, se fossi stato in lei, probabilmente non avrei perdonato tutta quella attesa, passata tra chi sa quali sofferenze. Vega era buona, meravigliosamente buona e piena di fiducia in me, ma non meritavo nessuno dei suoi buoni sentimenti, per tante ragioni.
Improvvisamente, tutta la smania che avevo avuto di entrare, quel furore cieco e bruciante che mi aveva reso facile brutalizzare quegli uomini pur di vederla subito, era completamente sparito.
Per la prima volta sperimentai quella apatheia di cui i maggiori filosofi dell’antichità avevano parlato.
Riuscii a svuotarmi di qualsiasi cosa:
Da una parte, il mio lato umano era fossilizzato dalla paura, non volevo provare niente. Qualsiasi emozione mi avrebbe sconvolto. Vedere Vega in qualsiasi stato, mi avrebbe ucciso in ogni caso, di gioia e pena. Avevo davvero paura di incontrarla.
Dall’altra, il mio lato da fida’ī era in completo allarme: quale trappola poteva celarsi per me, lì? Magari non c’era Vega, ma Di Sable pronto a mozzarmi la testa. Oppure avrebbero catturato me. Perché avevano, improvvisamente, reso così facile trovarla...?
Tutti questi misteri urlavano “Precauzione!” e, di conseguenza, era richiesta  la più completa freddezza da parte mia.

 Anche se, molto probabilmente, avevo appena ritrovato l’amore della mia vita.

Con questi pensieri, cercando di mantenere quello stato di catatonica pace nella mia mente, avevo mosso quei pochi passi che mi separavano dalla casa buia e silenziosa.
Da una prima occhiata alla finestra, sembrava tutto assolutamente calmo e privo di vita. C’era una catena attaccata alla parete di fondo. Era, con ogni probabilità, quella a cui era stato attaccato il Novizio.
Basta tergiversare. Entra in questa maledetta casa, Altaïr.
Entrai.

Mi ero ripromesso di sopprimere qualsiasi mia reazione.
Qualunque fosse stato il suo pietoso stato, o per quanto grande sarebbe stata la mia gioia, io sarei dovuto rimanere impassibile, in modo tale da poterla osservare in modo critico e poterla aiutare fisicamente senza essere incauto emotivamente.
Eppure, quando la vidi, ogni mio argine si ruppe per il soffocante sollievo che provai.
Persi ogni controllo, ogni mio freno venne completamente sbaragliato e i muri costruiti per proteggere i miei sentimenti crollarono come sabbia al vento. Il petto mi esplose nel vederla, anche se rannicchiata in posizione fetale, emaciata e quasi del tutto immobile, se non per il ritmico alzarsi e abbassarsi del suo torace che, ineludibilmente, mi confermava che fosse viva.
-Habeebti- sussurrai, sopraffatto da tutto, buttandomi verso il suo corpo.
Volevo solo abbracciarla e abbracciarla ancora mentre la baciavo.
Vega si girò verso di me, come per accogliermi e il mio cuore perse un battito per la gioia.
Poi ne persi qualche altro, mentre la sua lama celata si conficcava nel mio petto.







****
1) Il mio amato Peter Gabriel accompagna questo nuovo capitolo. Darkness è una canzone dell'album "Up" (2002), in cui l'artista sperimenta questi suoni "audaci" molto sintetizzati. L'atmosfera altalenante fra confusione e placida calma ha ispirato molto l'andazzo di questo capitolo. Non è proprio un facile ascolto, ma spero vi piaccia.
Come al solito, vi consiglio di leggere il resto di questa nota dopo aver letto l'intero capitolo.
Dalle mie parti, chiameremmo questo un "Ritorno col botto". Anche se nei piani originali ci sarebbe dovuto essere un capitolo mediano, ho preferito rilanciarvi un po' nella fase attiva della storia. Forse un po' troppo attiva, considerato che manca ormai poco alla conclusione. Questa volta Di Sable se l'è pensata molto bene, vero?
Ci tengo a chiarire che, sì, in AC1 è detto chiaramente che Altair è immune al potere psichico della Mela, ma non a quello fisico. Essendo Vega una discendente della Prima Civilizzazione, come lui, la cosa dovrebbe valere anche per lei... Quindi com'è che l'hanno accoppata così bene? Mi riservo di spiegare tutto nei successivi capitoli.
Spero di non avervi bistrattato troppo con questo triste destino per il nostro affascinante Assassino.

2)
Mi è sembrato di dover camminare un po' sulle uova per scegliere i termini da far usare a Vega per descrivere quello che le stava succedendo. Di certo, il termine "Lavaggio del Cervello" non era contemplato all'epoca ma, d'altra parte, parlare di "indottrinamento" mi sembrava esagerato. Se vi dovesse risultare inappropriato, mi appello al famoso aspetto del Traduttore dell'Animus che traduce tutto in un linguaggio più corrente in modo tale che tutto sia più comprensibile.

3) Di questo particolare Frutto Dell'Eden si fa menzione in AC2, in uno dei documenti del Soggetto 16 e, inoltre, Rodrigo Borgia ne fa uso in una battaglia. Mi sono presa la libertà di averlo fatto appartenere ai Templari da quei tempi. Non tutti i Frutti hanno gli stessi poteri, in Bloodlines si fa menzione al fatto che i Templari fossero in possesso di diversi Manufatti meno potenti di quello posseduto da Altair.

4)
Kidron/ Gat šemanîm: La Valle del Cedron, è una valle situata tra la Città Vecchia di Gerusalemme e il Monte degli Ulivi, che prende il nome dal torrente Cedron che vi scorre vicino. E' inevitabile passarci per arrivare al Getsemani, il famoso piccolo Oliveto in cui Gesù pregò prima di essere arrestato. Il Getsemani si trova sul Monte Degli Ulivi. Mi è piaciuta molto l'idea di far muovere Altair in questi posti "biblici".

5) Apatheia: Virtù imprescindibile di qualunque filosofo Stoico dell'antichità, l'Apatia (non clinica) è la completa mancanza di "passioni", quei sentimenti troppo forti e dannosi, poiché obnubilano la razionalità, il più grande bene dell'uomo. Altair dice proprio "Fanculo" all'apatheia. 
 

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