Il mondo che verrà

di JhonSokew
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 00-Prologo ***
Capitolo 2: *** 01-Il guerriero dal sangue caldo. ***
Capitolo 3: *** 02-Dalle parti di Saigon ***
Capitolo 4: *** 03-Una riunione diversa dall’altre ***
Capitolo 5: *** 04-In viaggio ***
Capitolo 6: *** 05-Testimonianze da Pretoria ***
Capitolo 7: *** 06-Testimonianze dal Vietnam ***
Capitolo 8: *** 07-Show your true colours* ***
Capitolo 9: *** 08-Il tradimento di te stesso ***
Capitolo 10: *** 00.1 - Preludio ***
Capitolo 11: *** 09 - Ricerche tra Africa e Sud-Est Asiatico ***



Capitolo 1
*** 00-Prologo ***


Prologo
 

Avrebbe dovuto prendere qualcosa per dormire.
Un ragazzo affannava nel suo sonno, dalle condizioni del suo letto si poteva  capire che il suo sonno era agitato e non ristoratore.
Pochi minuti dopo il ragazzo si svegliò di colpo, il suo volto era sudato e  pallido.
Il ragazzo strinse il lembo della lenzuola con forza continuando a ansimare, qualunque incubo avesse avuto doveva essere stato orribile.
Quando il suo respiro si regolarizzò il ragazzo non provò a dormire di nuovo, afferrò due cose dal comodino vicino al suo letto.
Una sveglia che gli indicò che erano le quattro del mattino e degli occhiali che indossò poco dopo aver letto l’orario.
Il ragazzo si alzò dal letto e si infilò una semplice maglia con dei jeans chiari.
Poco dopo era nel suo garage a mettere una moto in funzione.
Viaggiò in assoluto silenzio nelle larghissime e infinite strade degli USA, nessuno dei suoi  conoscenti  l’avrebbe riconosciuto in quel  momento … non si era mai visto una espressione così seria sul suo volto.
La riserva di Riserva Hopi, una delle ventitré riserve dello stato d’Arizona. All’entrata della riserva c’era una piccola portineria a cui il ragazzo mostrò il suo distintivo.
- Signor Alfred Jones. Che piacere rivederla - una guardia salutò dall’interno a Alfred che gli  sorrise.
Il distintivo diceva che lui era  lì come studioso ma non era così.
Era arrivato poco dopo l’alba e  alcuni indiani stavano lavorando ma appena  lo videro  passare  chinarono il capo in segno di rispetto.
Il ragazzo alzò il braccio e mosse la mano in cerchio in senso antiorario.
Entrò a testa  china nella capanna  che  stava cercando, sapeva  bene che la persona con cui voleva  disperatamente parlare aveva già captato la sua presenza.
- Benvenuto, Terra - il nativo americano accolse in quel modo il ragazzo e gli indicò  un copricapo piumato.
Il ragazzo si svestì della maglia e degli occhiali e indossò  il copricapo, si sedette a gambe incrociate  e aspettò.
Il nativo indiano era separato da lui da un piccolo fuoco.
La capanna era calda e accogliente.
- Sciamano, vorrei che mi chiamasse Alfred o America -  esitò il ragazzo a quella ultima parola e infatti ebbe ragione,lo sciamano lo guardò collerico per un attimo.
- Nessuno in questo villaggio ti chiamerà mai con quel nome, Terra. Quel nome ti è stato dato dai quei selvaggi oltre mare - spiegò calmo lo sciamano.
- Comprendo, sciamano -  disse America a testa bassa.
- Cosa ti turba, Terra? Oltre il triste pensiero che ti ho fatto evocare su uno di quei selvaggi? -
America lo guardò imbarazzato e tentò di ribattere ma lo sciamano lo batté sul tempo.
-  Anche se tra quei selvaggi c’è ne uno molto buono. Un altro come te. -
America sorrise leggermente e prese un profondo sospiro - C’è un sogno sciamano, anzi un incubo che già mi ha perseguitato per quarto giorni. Credo che voglia dire qualcosa - spiegò Alfred abbassando nuovamente il capo.
Lo sciamano buttò della polvere nel fuoco e la fiamma diventò viola e dopo quel gesto disse - Hai ragione, Terra. Il sogno vuol dire qualcosa. -
America  deglutì nervoso , la sua ansia venne captata dalla fiamma che diventò ancora più viola.
- In questo sogno non mi vedo. Vedo tutto con i miei occhi. C’è un aquila, il mio totem, che mi guarda con i suoi grandi occhi calma ma poi quando mi avvicino per accarezzarla mi becca la mano con violenza e dalla mia mano destra esce del sangue. Prima che posso guardarla di nuovo ,l’aquila è scomparsa dalla mia vista. Alzo gli occhi al cielo e la vedo volare velocemente, le tengo il passo e poi improvvisamente l’aquila scende in picchiata in foresta  e distrugge tutto -
La fiamma della stanza diventò nera e America indietreggiò un po’ a quella vista.
- Sei triste per la foresta? – domandò  allora lo sciamano e America con un’ espressione spaventata sul volto annuì con la testa.
- Sono disperato per quella foresta. -  America distolse lo sguardo e poco dopo  tornò a parlare.
- Poi spunta improvvisamente un orso che mi butta a terra, sono a terra e vedo le sue fauci aprirsi e avvicinarsi verso di me e poi tutto buio. -
Lo sciamano poggiò  le mani nell’alto delle fiamme, alcune di esse si trasformarono in alcune figure di animali che  corsero verso lo sciamano, il quale chiuse gli occhi.
Alfred attese in silenzio e si concentrò sulle fiamme  che ormai, erano tornate di colore normale.
- Le anime animali mi dicono che l’orso è tuo amico - annunciò lo sciamano con voce grave e aprì un occhio per osservare la reazione di “Terra”
America era perplesso, normalmente non oserebbe contraddire qualunque  cosa gli dica lo sciamano ma oggi decise di parlare.
- Le anime animali dicono, che un orso che mi inghiottisce nelle sue fauci è mio amico? - disse calmo sperando di non sembrare troppo sarcastico, altrimenti stava diventando come quel musone di Inghilterra.
- Sì - rispose semplicemente lo sciamano aprendo gli occhi e fissando America.
- Perché l’orso è uno come te - concluse serafico lo sciamano ma Alfred lo guardò senza capire.
- E’ “ Terra” come te - tentò di rispiegare ancora lo sciamano e ovviamente l’altro lo guardò ancora più stralunato.
- E’ … - iniziò lo sciamano e America si  porse verso di lui  interessato: - … un protettore di un popolo e di una terra come te. -
America riuscì a capire cosa gli stava dicendo lo sciamano e assunse un’ espressione certa ma poco dopo, gli sorse un dubbio e domandò - E’ una nazione come me? -
- Sì ,dannazione! - tuonò lo sciamano.
La rabbia e l’irritazione dello sciamano vennero captate dalla fiamma che si colorò  di un violento rosso.
- Allora, grazie sciamano … ma adesso devo andar. – disse tranquillo la nazione mentre si stava rialzando ma lo sciamano lo fulminò con un siediti.
- Le anime animale e IO non abbiamo ancora finito - specificò lo sciamano.
- Stai per andare incontro al tuo destino, Terra. Non sarà facile e tutto quello in cui credi ti tradirà, questo significa l’aquila che ti becca, dovrai aprirti a nuovi pensieri e a un nuovo te stesso -
A quelle ultime parole Alfred distolse lo sguardo e mormorò piano: -  L’Aquila mi distruggerà qualcosa di molto importante,vero? -
Lo sciamano annuì.
- Posso salvarla, cioè posso salvare quel qualcosa? -
Lo sciamano si era avvicinato e prese il viso di Alfred tra le mani, gli occhi del nativo si erano incontrati con quelli della nazione.
- Sì, Alfred. Ma solo se ti alleerai con l’orso -
La giovane nazione americana guardò il nativo e deglutì nervoso e appena lo sciamano liberò il suo viso, lui fece per andarsene ma ancora una volta venne fermato dallo sciamano.
Lo sciamano prese una scodella da poco lontano da lui e tornò dalla nazione.
America riconobbe immediatamente l’odore che proveniva dalla ciotola.
Lo sciamano toccò il contenuto della ciotola e disegnò due segni  sugli zigomi della nazione.
- Sei pronto Terra ad adempiere al tuo destino? -  mormorò alla nazione.
- No -  replicò Alfred sincero.
- Nessuno mai lo è, ma lo sarai – concluse lo sciamano con un sorriso.
La fiamma dietro di loro ridiventò verde.

 

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Capitolo 2
*** 01-Il guerriero dal sangue caldo. ***


Capitolo I: Il guerriero dal sangue caldo.
 

Un ragazzo camminava  lungo le strade  di Kinshasha, la capitale della Repubblica Democratica ex Zaire, con la testa bassa e l’espressione feroce in volto. La macchina fotografica appesa a tracolla che aveva, ritmicamente batteva sul suo fianco.
Qualcuno l’avrebbe scambiato per  un Kuluna, un teppistello di strada con l’età della barba, se non fosse stato per la sua divisa.
Una divisa dell’esercito ufficiale, se si poteva dire che ci fosse qualcosa di ufficiale in quello stato.
No, in  quello stato non c’era nulla di vero nelle parole, mai nulla.
Il ragazzo continuava a camminare stanco, nemmeno il quartiere Gombe lo  consolava con la sua eleganza.
Tutto falso, tutto troppo bello e moderno per potere appartenere alle sue terre.
Guardò in alto e osservò un grattacielo, si ritrovò digrignare i denti: che ipocrisia pensare di poter toccare il cielo quando si è uno stato così povero?
Bastava guardare il suo aspetto, un ragazzino spilungone con un po’di barba per darsi credito: perché quel ragazzino in realtà era la personificazione di Congo Belga.
Per quanto fosse esteso come Stato, lui era solo un ragazzino con una divisa troppo grande e con dei superiori transitori che stavano probabilmente decidendo dove mandarlo a combattere.
Avevano l’imbarazzo della scelta,  c’erano stati combattimenti sia nelle Provincie del Nord, nel Sud di Kivu, nella provincia Orientale e nelle zone di confine di Ruanda e Burundi.
Calciò un sassolino che ostacolava il suo cammino e continuò a camminare finché non sentì una voce canzonatoria da dietro.
-Ehi tu, che stai facendo?-
Congo si voltò e vide tre uomini  con la divisa blu della polizia, Congo capì subito che gli avrebbero rotto le scatole.
Avevano delle facce abbastanza anonime.
-Cosa ci fa un Kulana qui? Spaventi i turisti- continuò il primo che aveva parlato, un uomo dagli occhi viscidi.
- Più che Kulana direi che è un Shegé, bambinetto che ci fa qui?- disse con arroganza un altro dei tre uomini, questo invece era piuttosto tozzo.
Congo si toccò la barba e guardò serio i tre uomini, tra le persone che non voleva incontrare oggi era proprio  dei poliziotti che facevano abuso di potere, i quali con i teppisti creavano sempre di più  micro criminalità.
Decise però di rispondere educatamente, erano i tre e lui non era così scemo da iniziare un combattimento che non poteva vincere- Camminavo, signori-
I tre uomini lo guardarono a lungo e Congo avvertì una sensazione di pericolo imminente, il ragazzo si rese conto che stavano guardando la sua macchina fotografica: avrebbe dovuta nasconderla.
-Dove l’hai presa quella?- infatti gli domandarono.
-Da casa mia.- rispose tranquillo il ragazzo mentre  con gli occhi controllava le vie di fuga, anche se era al centro della capitale e c’era gente, nessuno l’avrebbe aiutato contro la polizia.
E non importava che fosse mattina, episodi di violenza capitavano anche di giorno nei quartieri per bene di Kinshasha.
Uno dei poliziotti guardò con ira il ragazzo- Ma come siamo arroganti. Verrai con noi alla centrale e vedremo se hai ancora voglia di fare lo spiritoso.-
Congo indietreggiò, non sapeva perché ma sentiva che c’era qualcosa di strano.
Non erano solo poliziotti che voleva fare abuso di potere ma voleva portarlo lontano da improbabili occhi indiscreti.
D’accordo che la divisa gli stava un po’ larga ma era pur sempre la divisa dell’esercito regolare e ciò lo teneva lontano da questi problemi.
Chi li aveva mandati? Non potendo fronteggiare tutti e tre decise di essere accomodante, per il momento.
-Va bene.- disse a loro mentre i tre poliziotti si scambiarono un ghigno di soddisfazione.
- Bravo, ragazzo- disse uno dei poliziotti mettendo una mano sulla spalla al ragazzo e quest’ultimo lo lasciava fare tranquillo.
Congo Belga forse non era la persona più calma del mondo ma sapeva che per combattere ci vuole sempre una certa freddezza.
Era un guerriero dal sangue caldo che sapeva essere un animale a sangue freddo.
Nonostante che fossero nel quartiere ricco, la stazione di polizia era in un altro quartiere e ci voleva quindici minuti in auto per arrivarci. L’altra stranezza che notò la nazione e che non l’avevano caricato sulla automobile della polizia.
I poliziotti stavano cercando di non far attirare l’attenzione su di sé?
O in realtà non lo stavano portando alla centrale?
Aveva bisogno di un diversivo.
-Passiamo per il parco- sentì dire da uno degli uomini mentre gli altri due annuivano.
Decisamente era lui il capo ed era anche quello che lo stava  trattenendo per la spalla.
Passarono per il parco e quando Congo vide del terriccio polveroso  pensò  d’aveva trovato ciò che cercava.
Finse di cadere, il capo dei tre uomini rimase inquieto nel non sentire più la presenza del ragazzo sotto la sua mano.
Congo  si era buttato esattamente sul terriccio polveroso.
-Avete visto anche voi- il capo si rivolse direttamente ai suoi uomini- Non gli ho fatto nulla-
Congo si lamentò come meglio poteva e biascicò che aveva già da prima  una storta alla caviglia.
Uno dei uomini si lamentò e sperò  che non li pagassero di meno o che li pagassero affatto per questo problema.
Congo ascoltò per bene quelle parole, quindi stavano facendo il servizio per qualcuno?
-Ci hanno detto di  non maltrattarlo- continuò a dire con tono lamentoso quello tozzo.
Il capo infastidito fece segno di chiudere la bocca mentre si avvicinò al ragazzo.
Congo gli buttò in faccia del terriccio,si alzò rapidissimo e iniziò a correre.
Erano passati prima davanti all’ambasciata canadese, uno delle poche ambasciate che Congo personalmente tollerava la presenza ed era un posto che era stato in via ufficiale  come Nazione: l’avrebbero lasciato entrare nonostante che chiaramente non fosse canadese.
Nelle sue terre erano nati grandi corridoi e Dio voleva che anche Congo fosse molto veloce.
Il capo dei poliziotti  si strofinò gli occhi nel tentativo di togliersi il terriccio dagli occhi urlando ai suoi sottoposti di catturarlo.
Congo gettò un’ occhiata preoccupata e stupita dietro di sé, nel vedere che i due uomini lo stavano semplicemente inseguendo.
Perché non sparavano? Se fosse stata una situazione normale l’avrebbero già fatto.
Congo non le contava più le volte che l’avevano sparato i suoi concittadini o gli stranieri.
Lui invece estrasse la pistola e sparò alle gambe di uno dei due inseguitori.
Lo sparo provocò le urla dei passanti e l’inseguitore non ferito estrasse anche lui la pistola.
Congo vide l’inseguitore puntare la pistola e lui si buttò a terra e gli sparò alle mani facendogli cadere la pistola.
Gran bel spettacolo stava dando ai pochi turisti che erano lì ma a Congo queste cose non importavano, il suo non era un posto per turisti.
Congo non era mai stato uno che ci  andasse leggero e sparò alla gamba dell’inseguitore disarmato.
Accennò a un piccolo inchino ironico e scappò via.
I due uomini a terra imprecavano senza sosta e uno di loro prese la trasmittente e comunicò cosa era successo al capo.
Il capo gli sbraitò che gli avrebbe mandato qualcuno a prendersi cura di loro, anche se erano degli incapaci.
-Da che parte è andato?- domandò per niente gentile il capo.
- E’andato per Avenue Longole!- risposero i due i sottoposti.
- Non vi preoccupate me ne occupo io, intascheremo quei cazzo di soldi!-
Contemporaneamente il capo dei poliziotti aveva preso l’automobile della polizia,che aveva parcheggiato precedentemente vicino al parco, per raggiungere la nazione e stava usando la trasmittente dell’auto per comunicare a un ascoltatore sconosciuto.
-Ha imboccato poco fa l’ Avenue Longole- comunicò il poliziotto- Ci sono due strade che la incrociano, la Avenue Colonel Lukusa e Boulevard Du 30 Juin. Cercherò di bloccare quest’ultima- dichiarò.
Nel frattempo Congo aveva imboccato Boulevard Du 30 Juin e  mancava pochissimo alla meta.
Tenne la pistola nella giacca e prese dolcemente la sua macchina fotografica per controllare i danni che avesse ricevuto nella lotta, notò con dispiace un’ammaccatura ma sembrava ancora funzionante.
Camminò veloce e nel frattempo cercava di togliere la polvere dalle gambe dei pantaloni.
In quella zona c’erano solo pochi condomini con cinque o sei piani e un po’ di gente per strada.
Era al sicuro praticamente o quasi.
Poi  il suo istinto gli suggerì che ancora non era finita, sentì il rumore inconfondibile del motore di una automobile.
Controllò entrambi i lati della strada e vide che ne stavano arrivando altre  due in direzione opposta, si rimise a correre per imboccare l’Avenue Province ma un’altra auto blocco la strada.
Le precedenti auto, tra cui una della polizia, iniziarono a girargli attorno come gli avvoltoi che si vedevano in Kenya.
Conosceva quel trucco, lo spostamento delle auto stava provocando un vortice di polvere in modo di non permettergli di vedere più niente.
Congo prese il respiro e corse verso la terza che bloccava l’Avenue Province, calcolò bene la distanza e riuscì a saltare sul cofano della auto della polizia mentre ancora si muoveva.
Cercò di superare in egual modo la terza automobile ma da essa uscì rapido un uomo di bassissima statura che quasi non notò.
Congo non vide esattamente cosa successe ma sentì i suoi muscoli contrarsi per lo shock, si sentì cadere a terra agonizzante per un dolore allucinante che si era diffuso per tutto il suo  corpo.
L’uomo l’aveva colpito probabilmente con un taser, era tra le armi che Congo aveva sempre cordialmente destato.
Un proiettile è qualcosa che usa un professionista, un taser è un arma di difesa personale che rende l’avversario del tutto inoffensivo.
Cercò di estrarre la pistola ma ovviamente anche quella aveva assorbito la scossa, le mani di Congo si contrarono ulteriormente.
Congo sentì il poliziotto urlare a quelle persone per lui sconosciute di togliergli la pistola- E’ pericoloso, ha sparato a tutte e due miei uomini. E come avevamo promesso noi non gli abbiamo fatto nulla- tenne a precisare.
Una mano guantata  disarmò il ferito  e con la coda dell’occhio Congo vide che era lo stesso uomo di bassa statura di prima, probabilmente un uomo appartenente alla etnia dei pigmei la quale si trovava nel Congo Francese.
Congo gli disse qualcosa di ben poco lusinghiero in uno dei suoi dialetti.
-Fallo stare zitto per favore- sentì una nuova voce la vittima, la nuova voce era stranamente pulita da qualsiasi accento.
Congo sentì la mano guantata del suo aguzzino premere sul suo collo e poi non vide più nulla.
Il pigmeo prese in braccio la giovane vittima e guardò il suo capo discutere con il poliziotto, questo ultimo mimò il numero uno e poi quattro con una mano nascosta dietro la schiena.
14.
Il pigmeo si affrettò a  ubbidire all’ordine appena ricevuto.
Invece l’arroganza del poliziotto era scomparsa, si comportava stranamente servile nei confronti degli sconosciuti e non era per i soldi.
Erano solamente cinque uomini dalla pelle scura, di alcuni probabilmente neri europei o americani ma avevano un qualcosa che faceva capire quanto fossero temibili.
Quel modo di parlare pulito per non risalire alle loro origini, era una delle caratteristiche che avevano in comune,insieme alla strana professionalità che non li faceva assomigliare ai mercenari  dei quelle terre.
L’uomo che aveva ordinato di zittire Congo, era alto e dal viso affilato, ascoltava docilmente ciò che aveva da dire il poliziotto senza accennare a nessuna espressione ironica sul viso.
-Certo che vi pagheremo, è il minino che possiamo fare per i suoi uomini.-
- Ma signore, non abbiamo portato il ragazzo al porto.- replicò sempre titubante il poliziotto.
- Nessuna missione fila liscissima.- disse l’uomo e porse all’uomo una valigetta.
Il poliziotto afferrò la valigetta avidamente e la aprì.
-Dodicimila dollari, come promesso. Può anche controllare- continuò l’uomo con quella voce dolce ma il suo sguardo lo tradiva, era divenuto più duro e sembrava voler dire “ Non ho tempo da perdere”.
Il poliziotto avvertì quella sensazione e disse che li avrebbe controllati dopo con i suoi uomini.
-E ora mi scusi capitano ma io e  miei uomini dobbiamo andare a prendere un aereo. E si ricordi che quei soldi hanno comprato anche il silenzio della stampa- si congedò l’uomo.
Il poliziotto si affrettò a confermare che avrebbe fatto tutto ciò che era nel suo potere e  infatti si mise poco dopo a sistemare la situazione con le persone presenti per la strada, probabilmente con minacce.
L’altro uomo entrò invece entrò nella stessa auto del pigmeo, lasciandosi scappare prima un’ espressione esasperata e disgustata in volto.
L’autista dell’auto si mise subito in moto, accanto a lui c’era il pigmeo mentre sul sedile anteriore era stato adagiato il congolese belga.
-Allora?- domandò l’uomo lanciando una lunga occhiata al giovane rapito a cui erano state ammanettate sia le mani che i piedi. Sulla bocca c’era del nastro adesivo.
-Confermato, Ventuno, è il nostro uomo, Joseph Monsengwo , ha la cicatrice descritta da  ∏(PI) lungo il petto.-
Quei uomini tra di loro usavano dei numeri per chiamarsi.
-E quella? – chiese l'uomo chiamato "ventuno" al suo sottoposto indicando la macchina fotografica che era appartenuta a Joseph.
-E’ una macchina fotografica danneggiata dalla lotta signore, la dobbiamo eliminare?-
-No, ci sarà ∏(PI) sull’aereo, se è possibile ancora recuperare le foto … le vorrà sicuramente studiare per il profilo psicologico.-
I tre uomini rimassero in silenzio e poi il sottoposto di ventuno domandò- Questo ragazzo è veramente il Congo?-
Ventuno annuì.
-Ma sembra un normale ragazzino.-
-Un normale ragazzino non resiste a una scarica di un taser a quel voltaggio, Trentanove.- spiegò pratico il capo.
-Per quanto possa sembrare assurdo, questo ragazzino è una nazione.- e con quelle parole calò nuovamente il silenzio.


 
Aisha Kirkland era una donna dalla pelle nera nella bellezza della gioventù e dalla eleganza innata.
Chiunque rimaneva affascinato quando camminava negli uffici del Parlamento, sia bianchi che neri.
Giravano delle voci su di lei, alcune denigratorie che la credevano l’amante di turno del presidente e altre la credevano la figlia di qualche pezzo grosso.
In quel momento era seduta alla scrivania del suo ufficio con espressione preoccupata in volto.
Lanciò uno sguardo su un orologio che era sulla sua scrivania, erano le otto di sera.
Con un sospiro incominciò a raccogliere le sue cose.
La giornata non era stata per niente facile, c’erano stati problemi di ogni genere sia da dover risolvere nei propri uffici  sia in quelli degli altri.
Aveva praticamente raccolto tutte le sue cose (una borsa, un giubbetto leggero e una ventiquattro ore) quando come uno spettro urlante iniziò a squillare il telefono.
Controllò il display del telefono e dal prefisso si rese conto che la telefonata proveniva dalla Repubblica Democratica del Congo.
-Hi, It’s Aisha Kirkland speaking- rispose la ragazza e dall’altra parte del telefono si presentò un impiegato della ambasciata canadese.
Quel modo di parlare inglese con quello strano accento leggermente francese rendeva un po’ più difficoltosa ad Aisha la comprensione ma per chiamarla a quel ora, non doveva essere un semplice saluto.
Il tono del impiegato era agitato però le spiegò chiaramente che quel giorno in sede dell’ambasciata canadese di Kinshasa avrebbe dovuto esserci un incontro tra i rappresentanti del Congo francese e quello Belga ,ma quest’ultimo non si era presentato.
Era uno dei precisi compiti dell’ambasciata canadese fare da mediazione tra i due stati.
-Joseph non è mai stato una persona molto affidabile, l’avete cercato a casa sua?- domandò la donna dura anche se sentì salire leggermente l’ansia.
Sapeva forse cosa le stavano per dire.
-Sì, signorina Kirkland ma ci sono stati del disordini in mattinata, girano delle voci che sia stato coinvolto il Signor Monsengwo-
La donna annuì e rifletté silenziosamente.
-Abbiamo iniziato a indagare con i nostri uomini e supponiamo che Congo sia stato rapito- continuò l’uomo dall’altra parte del telefono.
-Avete delle prove?-
-Solo supposizioni, signorina. Ma abbiamo voluto comunque avvertirla, come procedura ci hanno detto sempre di rivolgerci a lei.-
Nonostante che l’Africa  avesse una giovanissima unione politica ispirato all’Europa con sede eritrea. Da quando il Sudafrica era diventato tra gli stati più progrediti del continente, le era stato lasciato il ruolo officioso di mediatore neutrale e consulente per tutta l’Africa,anche se a livello politico ufficiale non esisteva nessuna convenzione del genere.
L’impiegato le disse tutte le informazioni che avevano raccolto e, purtroppo ,non era la prima notizia del genere che riceveva Aisha.
-D’accordo, la ringrazio per le preziose informazioni e  se scoprite  qualcosa altro vorrei che mi contattasse sul mio numero privato.-
La nazione africana dettò il suo numero e dopo un convenzionale scambio di saluti terminò la telefonata.
La donna africana si passò le mani sul viso  e poi si guardò attorno con aria afflitta.
Non le era mai piaciuto mettere le persone in allarme senza prove, ma due sparizione di due nazioni era una sufficiente prova per avvertire la necessità di più prudenza.
Uscì dall’ufficio e iniziò a camminare per la strada della capitale legislativa di Città del Capo. Era l’unica nazione a mondo a poter vantare di avere tre capitali di stato.
I  tacchi delle sue scarpe sul asfalto producevano il rumore del passaggio delle tipiche donne eleganti come lei.
Guardò nuovamente il suo orario sul suo orologio da polso che era stato un regalo ricevuto tempo addietro.
Erano le otto e mezza di sera, c’era giusto un’ora di differenza con Greenwich.
Telefonò la persona di cui si fidava più al mondo, Arthur Kirkland.


In quel momento Arthur Kirkland era nei pressi di Liverpool Street, una zona non molto lontana dalla City di Londra, in un bar con tantissimi uomini come lui: uomini in giacca e cravatta che la mattina passavano a parlare d’alta finanza e la sera ,dopo aver comprato un tramezzino dalle catene di supermercati come il Tesco e altre ancora, scialacquavano i soldi in fiumi d’alcolici da bere o da offrire in cambio di sesso a qualche donna con l’autostima sotto zero.
Arthur Kirkland, nonostante che fosse la rappresentazione fisica dell’Inghilterra, non amava molto questo lato di Londra che come diceva suo fratello minore la faceva assomigliare alla città di Roma nel declino imperiale.
Sì, il sesso non era l’articolo più difficile da trovare a Londra e infatti una  ragazza  si era appiccicata ad Arthur come una sanguisuga.
La donna continuava  a farle le solite domande che a lui preferiva non rispondere, come ti chiami, quanti anni hai e che lavoro fai?
Tutte domande che nel corso dei secoli Arthur aveva inventato bugie perfette per rispondere.
La donna si passò  una mano sui capelli color miele tinto  e lanciò l’ennesima occhiata languida all’uomo.
La sua pelle era anormalmente abbronzata, perché il Regno unito non era il posto preferito del Sole, da lampade artificiali  ed era la cosa che più disturbava Arthur.
Per uno che come lui si era abbronzato sulle navi da corsaro, gli sembravo un’ insulto al Sole e al mare … alla vita da marinaio che aveva sempre profondamente amato.
La musica del club era talmente forte che quasi non sentì il cellulare squillare nella tasca della sua giacca, fortunatamente la vibrazione impostata era abbastanza forte invece da far accigliare la biondina.
-Il tuo cellulare- disse incredibilmente irritata.
Arthur le rivolse un sorriso gentile per educazione e guardò il display del cellulare, vedendo il prefisso internazionale capì immediatamente che doveva essere qualcosa di serio.
-Devo rispondere, scusami- fece per prendere la sua roba  ma la bionda lo fermò.
- Posso tenertela d’occhio io. – dichiarò la donna.
Arthur le sorrise ancora più gentilmente di prima- Mi dispiace ma ci vorrà tempo e non voglio darti questo impiccio.- e prese la sua roba: un ‘impermeabile e la ventiquattro ore.
E nella sua testa aggiunse- E vorrei andare in pub tranquillo a godermi uno scotch in santa pace. -
-Ma non hai finito ancora il tuo drink.- obbiettò la donna ma Arthur la salutò con la mano e uscì dal locale con passo affrettato.
Fece appena in tempo a rispondere al telefono prima che scattasse la segreteria telefonica.
-Hi, Arthur Kirkland speaking - rispose
-Alla buon ora Arthur.- il suono della voce di Sudafrica provocò un sorriso a Arthur.
-Alice, piacere di sentirti.-
Arthur si era permesso molto tempo prima di storpiare il nome della ragazza perché aveva qualche difficoltà a pronunciarlo, come ogni buon inglese Arthur non era molto ferrato nello studio delle lingue ma come Nazione conosceva il francese e lo spagnolo, che erano  le altre lingue ufficiali nelle sue terre.
Poi  l’uomo cambiò subito atteggiamento, c’era qualcosa che non andava: non era strano che con Aisha avesse conversazioni telefoniche ma normalmente ciò accadeva sul numero fisso e ,soprattutto, Aisha non l’avrebbe chiamato sul cellulare che lui utilizzava per il lavoro.
-Che cosa è successo Alice?-
- C’è un problema Arthur.- dichiarò la donna e Arthur la sentì chiaramente masticare qualcosa, era un gesto che faceva quando era nervosa, molto nervosa.
L’inglese si messo a camminare finché non si poggiò sul muro di un condominio.
-L’ambasciata canadese mi ha chiamato, stamattina ci sono stati dei disordini un po’ a  Kinshasha-
-Uhm ... - annuì pensieroso Arthur   e notò che il tempo stava peggiorando ma non gli presto più di tanto attenzione.
Non aveva neanche l’ombrello da vero inglese.
C’era un detto in Inghilterra :“ Se non ti piace il clima inglese, aspetta dieci minuti.”
-Nel pomeriggio i due congolesi avrebbero dovuto incontrarsi proprio all’ambasciata e indovina un po’, Joseph non si è presentato.-
-Cosa centrano i disordini con Joseph?- domandò Arthur ma era una domanda più rivolto a se stesso che a lei.
- Sembra che sia stato coinvolto anche lui, alcuni testimoni l’hanno visto scappare da dei poliziotti. E l’ambasciata, poiché aveva questo appuntamento con lui nel pomeriggio e lui si è assentato, pensano che i disordini siano stato una scusa per rapire Joseph. Ci sono troppe coincidenze, no?-
- Ma le prove?- chiese pragmatico l’inglese beccandosi sul viso la prima goccia di pioggia.
-Non ci sono Arthur ma posso dirti che questo non è primo caso di sparizione, anzi che il secondo conferma il primo e viceversa.-
Il viso di Arthur si dipinse di stupore- Chi è l’altra nazione scomparsa?-
- Tegla, cioè Kenya e … - la donna dall’altra parte del telefono fece una pausa per tossire.- Sono passate almeno ventiquattro ore dalla denuncia della ragazza che si occupa della sua casa, Genny. La conosci, no?-
-Sì la ragazzina che Kenya ha tolto dal traffico della prostituzione- rispose pronto l’uomo, anche perché quando l’aveva saputo era rimasto molto colpito dalla generosità di Kenya, era vero che era una  nazione africana abbastanza avanzata ma Kenya viveva modestamente e  la sua casetta non aveva di certo bisogno di una cameriera.
- Prima che tu me lo chieda, ho già provato a contattare i suoi capi … non sanno nulla. Almeno così dicono- il tono della donna divenne tagliente ma Arthur lo percepì come un segno di sconforto.
- Contatterò immediatamente  i membri dell’unione europea. Forse se andiamo noi come rappresentati di Stati più forti ne riusciremmo a ricavare qualcosa altro-
La ragazza annuì.
-E personalmente chiederò aiuto all’Interpool britannico.- poi l’uomo fece un respiro e la sua voce tradì una leggera preoccupazione- Inoltre Alice,sii molto attenta a chi incontri. Cerca di stanziarti in un luogo sicuro. Non mi perdonerei mai se ti accadesse qualcosa-
Aisha rimasse stupita, Arthur non era una persona molta espansiva e quel candore la sorprese.
-Teniamoci in contatto, se sai qualcosa altro avvertimi.- concluse l’uomo.
-Va bene Arthur, spero di vedervi presto.- lo salutò la donna.
Arthur prese il telefono e avvertì l’unica donna che poteva invocare su due piedi una riunione, Belgio.
Non fu una conversazione lunga, Arthur spiegò la situazione e lei gli promise si fare del suo meglio.
La telefonata terminò ma tutta la storia era appena iniziata.
Congo sentiva i suoi occhi pesanti, la testa gli doleva  e le sue mani dovevano essere state legate a lungo, anzi erano ancora legate ed erano a contatto di qualcosa di molto freddo.
Quando i suoi occhi furono abituati nuovamente alla luce, vide le sue  mani separate ma ammanettate a due braccioli di una poltrona, una poltrona piuttosto comoda a dire la verità.
Perplesso Congo si guardò attorno, era in un luogo chiuso, piccolo e rotondo era in un …
-Aereo. Siamo in un aereo Joseph- Congo si voltò verso la voce femminile che aveva appena ascoltato, seppure fosse stato un sussurro l’aveva riconosciuta.
-Tegla!-  esclamò Joseph venendo immediatamente zittito dalla donna, la quale come lui era ammanettata.
Appariva stanca, i suoi capelli normalmente legati erano sciolti liberando i suoi capelli a boccoli.
-Non urlare, altrimenti verrà quello a farti delle domande e ti dico che è meglio non averci a che fare-
-Chi?- domandò Congo che non stava capendo più nulla.
-Quello che ci ha fatto rapire Congo - Kenya sbuffò sonoramente.
-Ci hanno rapiti? Capisco se ci fossi stato solo io, non è la prima volta che mi capita. Tra ribelli e  mercenari ma di solito la mia prigione non è la prima classe di aereo - Congo si guardò attorno, sembrava qualcosa tipo un aereo privato e poi aggiunse - Che cosa centri tu?-
La donna rimase zitta e guardò profondamente il ragazzo- Perché sono una nazione. Ci hanno rapito perché siamo delle nazioni. E tutto quello che so -
-Neanche il perché, gran bella raccolta di informazione hai fatto- disse scettico Congo.
La donna rivolse un’occhiata sdegnata all’altro ma non disse nulla, infatti entrambi si ammutolirono ad ascoltare dei passi che si stavano avvicinando.
Entrò nella sala un uomo di media statura, i caratteri fisici fecero subito capire che apparteneva all’estremo oriente,forse al Giappone.
Si aggiustò gli occhiali con una montatura rossa che indossava e  guardò Congo con tale intensa curiosità, che se fosse stata per la nazione avrebbe indietreggiato.
-Piacere signor Monsengwo Joseph o preferisce che la chiami Congo Belga, Zaire o Repubblica Democratica del Congo?- domandò l’uomo con voce gentile  avvicinandosi a  Joseph, il quale notò delle piccole rughe attorno agli occhi dell’asiatico … non era così giovane come aveva pensato dapprima.
-Se non mi chiami, fai meglio - rispose acido la nazione ma l’uomo non perse quello sguardo curioso e quel modo di fare gentile, estrasse semplicemente dalla giacca quello  che sembrava un note book e scrisse qualcosa sopra.
- Lei invece mi può chiamare ∏(PI). Sono davvero felice di incontrarla. Vorrei complimentarmi per le foto che ha eseguito sui gorilla, davvero molto belle. Dunque in lei non c’è solo il guerriero ma anche l’artista?- domandò l’uomo lasciando scioccato Congo belga, nessuno a parte se stesso aveva visto le foto che faceva e rimase senza parole per quella violazione, più del rapimento.
Finché non sentì Kenya ridacchiare.
-Cosa te ne importa quattrocchi?-  provocò Congo irritato.
L’asiatico segnò qualcosa altro sul taccuino.
Il sorriso però cambiò, divenne più furbo e enigmatico.
-Per farle il profilo psicologico in condizione fisiche normale, quando inizierete a subire gli esperimenti potreste scoprire dei lati molto diversi di voi stessi.-
Non c’era più il sorriso sul viso di quel uomo, il suo sguardo era di una determinazione folle, quasi un avvertimento che le cose non sarebbero andate per meglio, d’ora in poi.
Consapevole di aver procurato qualche turbamento, l’uomo girò le spalle ai due prigionieri e gli augurò buon viaggio.



Note dell'Autrice:
Eccoci qua, nella ff che siamo tanto orgogliosi  io e il mio amico.
Spero che vi sia piaciuta e vi  avvertiamo che l'aggiornamento sarà mensile, salvo imprevisti.
Grazie a tutti!

 

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Capitolo 3
*** 02-Dalle parti di Saigon ***


Okay questo mese tocca a me, la parte maschile del duo denominato JhonSokew!
E a me è stata affidata la prima parte action della fic. Spero che vi piaccia e ci stuzzichi la curiosità necessaria per proseguire nella lettura!
Ci rivediamo in fondo!
 
 
 
 
Capitolo II: Dalle parti di Saigon
 
 
Indipendenza, libertà e felicità*
 
 
La notte era scesa tranquilla sulla città di Saigon.
Perchè quello era il suo nome.
Dopo la riunificazione del paese, le forze del Nord l’avevano ribattezzata Ho Chi Mihn City.
Ma per lei rimaneva e sarebbe sempre rimasta Saigon.
Però in fondo, quello era solo un particolare: tante cose erano cambiate dagli anni ‘70.
 
Nel corso della sua vita aveva assistito a guerre, rivoluzioni, desolazione, morte ed esodi.
Ma era sempre rimasta li. Per il suo paese. Per il suo popolo.
Perchè lei era il popolo.
Perchè lei era la sua terra: tutta la sua terra.
Dalle montagne del Nord, al delta del grande fiume del Sud.
 
Lei era Vietnam e ci sarebbe sempre stata, qualunque cosa fosse accaduta.
 
 
Le guide turistiche che parlavano della sua patria la definivano oramai come un luogo “sicuro”, con una criminalità scarsa e livelli di violenza delinquenziale molto bassi.
E lei, Wang Thi Lan*, avrebbe fatto si che questa nomea venisse mantenuta.
 
Una delle cose che però non erano mai cambiate anche da prima del Grande Ritiro era la sua rete di informatori. E di sostenitori.
Ogni uomo, donna del popolo si trasformava nei suoi occhi e nelle sue orecchie: se c’era qualcosa che non andava come sarebbe dovuta andare, se c’era in atto qualche losca manovra in quel mondo sotterraneo che era composto dalla feccia dell’umanità e che aveva come bersaglio il Vietnam, lei lo avrebbe saputo.
E questo perchè ogni vietnamita sapeva che avrebbe potuto contare su una misteriosa organizzazione che agiva nell’ombra, che aiutava chi ne aveva bisogno, che non era affiliata a niente, che non aveva mani in pasta in nessun traffico, che non pretendeva nessun tributo.
Che non aveva legami apparenti con il governo, il quale peraltro non sembrava esserle affatto ostile.
Una organizzazione, che si era fatta conoscere come Orchidea*, che operava già dai tempi della guerra, che aveva aiutato il paese a rinascere.
Più volte Lan si era domandata come avrebbero reagito, e le facce che avrebbero fatto, se si fosse venuto a sapere che era la loro stessa Patria il capo di quella organizzazione e che il vero motivo per cui il governo non si lamentava era perchè lei sapeva indirizzare gli occhi delle autorità su ben altri problemi.
Forse non gli avrebbe importato dopo tutto: la cosa importante, la cosa fondamentale, era che sapevano che qualcuno sarebbe intervenuto, da un lato o dall’altro, se le voci fossero arrivate alle orecchie giuste.
Come quella notte a Saigon dove una nave era attraccata al molo della città che sarebbe stato il luogo per uno scambio di merci.
Merci particolari.
Avrebbero scaricato droga, e avrebbero caricato donne vietnamite.
E l’epicentro era la China Town della città.
Era una persecuzione: ciclicamente quel posto le dava problemi.
Quei maledetti della Triade continuavano a provare a porre una delle loro basi in quel quartiere, unico di tutto il paese.
Ma quella sera avrebbe risolto i conti una volta per tutte.
 
Era appostata vicino alla banchina e aveva una perfetta visuale della situazione: una decina di guardie e un cinese della Triade stavano scendendo dal pontile e li attendeva un uomo con al seguito un paio di camionette.
Si avvicinò lentamente, silenziosa come una pantera, un lungo bastone legato alla schiena e un cappello a campana di paglia in testa.
I suoi fidi sarebbero intervenuti solo al suo segnale: avrebbero distrutto i lampioni e bloccato gli uomini delle camionette.
Lei avrebbe pensato al resto.
Perchè la sua missione comportava anche questo. Vietnam si sobbarcava i principali rischi, sempre in prima linea, lasciando a persone che godevano della sua fiducia principalmente azioni di supporto.
Lei non mandava avanti dei soldati nella sua guerra. Lei era il corpo d’armata principale.
Proprio mentre i due cinesi stavano iniziando a parlottare concitatamente le luci che illuminavano la zona si spensero in un suono rotto.
Il vociare in mandarino e il rumore dei mitragliatori infransero quello che sarebbe stato un perfetto silenzio nell’oscurità.
Lan lanciò un sasso contro un barile di metallo nella direzione opposta alle camionette e fece un fracasso infernale.
Subito i mitragliatori scaricarono una massiccia dose di proiettili nella direzione da cui avevano sentito il clangore, mandandoli completamente a vuoto.
Il problema con le armi automatiche era che in pochi istanti si poteva finire un intero caricatore senza accorgersene, specie se in preda alla paura.
E quei criminali le parvero abbastanza nel panico.
Ne lanciò ancora uno stavolta più lontano e sempre nella medesima direzione.
Quando sentì il tipico rumore di un caricatore esaurito fece la sua mossa.
Con uno scatto uscì dal suo nascondiglio e abbattè con un paio di colpi al viso e allo stomaco una delle guardie.
Prima che gli altri potessero reagire, Lan era oramai in mezzo a loro: estrasse il bastone e con un rapido movimento circolare colpì al volto ognuno di loro.
Nella piena oscurità sentì di averne mancati un paio.
Erano riusciti a ricaricare e quasi sul punto di fare fuoco.
Quasi per l’appunto.
Per Vietnam quei secondi erano un eternità.
Si avvicinò loro con una spazzata veloce al terreno e quando si trovò ai loro piedi li colpì in rapida successione: il primo al petto, con la punta del bastone, e il secondo colpendolo di piatto sul viso.
All’improvviso i fari della nave si accesero  e il luogo dello scontro fu illuminato a giorno.
Lo sgherro della Triade, un cinese magro, slanciato e con un paio di sottili baffetti, teneva in mano una pistola e guardandosi tremante intorno si vide circondato dai suoi uomini riversi al suolo, privi di sensi o doloranti per i colpi subiti.
Non appena incrociò lo sguardo con colei che era stata la causa di quello sfacelo, una donna vestita di verde armata di un semplice bastone e con il viso coperto da un copricapo di paglia, perse il lume della ragione.
-Sparatele! Sparatele!*- gridò a squarciagola in direzione della nave
Ma nessun rumore provenne da lì.
-Feccia della Triade!*- gli urlò a quel punto la donna
L’uomo se la vide arrivare incontro, un demone dagli occhi di fiamma.
Tentò di spararle più volte ma non gli riuscì.
Era troppo rapida e i proiettili semplicemente li evitava.
Con un affondo disarmò il cinese e afferrategli le dita della mano dolorante gli torse il braccio dietro la schiena.
L’uomo gridò ma Vietnam non se ne curò molto e lo schiantò al suolo.
-Ascoltami bene feccia della Triade. Non vi voglio qui a Saigon. Non vi voglio qui in Vietnam. Se volete spacciare quella roba schifosa che avete sulla vostra nave andate da qualche altra parte. Se volete trafficare con donne o uomini usate i vostri connazionali se ci tenete tanto ma non i vietnamiti. Se vi riesce, certi traffici fateli a Bangkok ma non qui! Non qui!-
Vietnam si avvicinò al suo orecchio per farsi sentire meglio.
-Mi hai capito? Ora noi prenderemo la tua nave e la faremo affondare con tutto quello che c’è dentro. I tuoi amichetti saranno ospiti della prigioni statali per un po’. Mentre tu potrai tornare ad Hong Kong o dove si trovano i tuoi padroni e gli dirai chiaramente che in Vietnam non metteranno mai piede. Non lo hanno fatto in passato e non lo faranno ora, ne mai! Hai capito?!-
Il cinese rantolò e nel farlo riuscì spiccicare un si.
-Perfetto… sii felice, te ne andrai solo con qualche ematoma e due dita rotte… quelle con cui premi il grilletto di quel maledetto arnese che chiami pistola!-
Il suono spezzato si diffuse nella notte seguito da un urlo di dolore.
Gli diede un’ultima percossa alla testa e lo lasciò andare, privo di sensi.
Lan venne poi raggiunta da uno dei suoi uomini che la avvisò che tutto era andato per il meglio.
La nave era stata occupata senza problemi e il loro informatore si era dimostrato veritiero: trecento chili di cocaina e un paio di valigette con dentro i finanziamenti per l’operazione da effettuare li a Saigon.
Lei gli chiese delle camionette.
L’uomo le rispose che c’erano una cinquantina di donne, intorno ai vent’anni e non erano tutte del posto.
Vietnam si morse il labbro inferiore.
Guardò quegli scarti di umanità che giacevano al suolo, inermi: quanto avrebbe voluto continuare a picchiarli.
Respirò a fondo, si ricordò delle parole di Nguyễn Lộc* sulla via che il praticante del Vovinam doveva tenere a mente.
Calmatasi diede al suo sottoposto alcune disposizioni per come portare a termine l’incursione e sostenendo che si sarebbero rincontrati qualche giorno più tardi.
L’uomo assentì con un secco monosillabo.
Soddisfatta Vietnam si dileguò nella notte.
 
 
Lan aveva diversi rifugi sparsi per il paese, anche se ufficialmente aveva residenza nella capitale Hanoi.
Uno di questi si trovava nell’entroterra di Saigon raggiungibile risalendo il fiume; ci aveva impiegato tutta la notte ma alle luci dell’alba era oramai giunta.
Il rifugio era modellato su una vecchio edificio per l’addestramento nelle arti marziali, abbandonato durante la guerra.
Lei ne aveva fatto sua dimora personale per quando cercava la solitudine e la meditazione. Oppure per riposare dopo nottate come quella appena trascorsa.
Aveva curato il giardino interno le mura perchè germogliasse ogni genere di fiore.
Adorava i fiori.
Li considerava i segni più belli della natura, insieme agli animali.
Attraversò il cortile interno beandosi del loro profumo.
Quel luogo poteva metterla in perfetta pace con se stessa.
Ora la aspettava un bagno caldo e un po’ di riposo.
Quella era solo una delle tappe del suo percorso: avrebbe dovuto incontrarsi con i suoi compagni a Nah Trang e poi si sarebbe diretta ad Hanoi la capitale. Sarebbe stato un viaggio lungo e benchè si riprendesse molto facilmente dalla fatica, dalle ferite e sapesse resistere a condizioni estreme, il suo corpo non disdegnava le normali cure quotidiane.
Stava proprio pensando a che tipo di candele usare durante il bagno quando aprì la porta scorrevole dell’edificio centrale.
Non li vide arrivare.
Una ventina di dardi le si conficcarono in tutto il corpo e le trasmisero una scarica elettrica ad alto voltaggio.
Perchè avere sensi superiori non implica per forza una totale copertura: anche il più forte dei guerrieri può essere sconfitto se preso di sorpresa.
Il corpo di Vietnam, paralizzato e in preda agli spasmi, crollò sul pavimento ligneo dell’ingresso.
“Ta-taser*?”
Sentì chiaramente una decina di passi farsi avanti verso di lei, pestando le assi di legno con un fracasso infernale.
Non appena le furono vicini interruppero la scarica e sentì le loro voci anche se leggermente ovattate.
-Qui Squadra Dumas. Preda localizzata e abbattuta, signore-
Uno di loro parlava ad un trasmettitore. Stava comunicando con qualcuno.
-Mandate pure l’elicottero, intanto imballeremo la preda per il trasporto-
Che razza di lingua parlavano? Era inglese, ma non avevano un accento anglosassone… sembrava avere una cadenza francese ma meno fluida… una lingua franca?
L’uomo con in mano la ricetrasmittente la guardò e poi disse –Si, agli ordini signore… datele un’altra scarica per sicurezza-
La scossa elettrica le attraverso nuovamente le carni, facendole sentire come un fuoco che le bruciava da sotto la sua stessa pelle.
“Dannazione!”
La vista le si sfasò di nuovo.
-Eseguito. Passo e chiudo-
L’uomo mise via il comunicatore e si fece avanti verso Lan.
Le tolse il copricapo a campana rivelando il suo volto agli altri uomini.
-Beh? Che ne pensate? È molto meglio dei bersagli precedenti, no?-
Gli altri ridacchiarono.
-Nah, è solo una muso giallo di poco sopra la media, niente di più-
-Ehi, Tredici, bada a quello che dici. Undici si potrebbe arrabbiare se parli in questo modo!-
-Non si preoccupi signore. Io sono di Acapulco e i miei antenati erano giapponesi… questa qui è una stronza vietnamita. A me che mi frega?-
A quell’uscita risero nuovamente.
-Piuttosto… ma non avremo esagerato? Intendo l’abbiamo colpita con una ventina di dardi… non è che le è venuto un colpo?-
-Ma figurati Quindici! L’abbiamo già fatto prima, no? E tutti i soggetti sono sopravvissuti-
-Si ma questo è differente. Abbiamo usato un voltaggio più elevato e da più parti… per due volte-
Un silenzio di tomba calò sul gruppo. Gli occhi di tutti si inchiodarono sul corpo riverso della vietnamita.
Immobile.
Inquietantemente immobile.
-Oh merda-
Il capitano le prese il polso e avvicinò l’orecchio alla bocca della ragazza.
Accadde tutto in un secondo.
La ginocchiata colpì in pieno il casco del capo squadra, rintronandolo.
In seguito a quella spinta di reni micidiale, Lan fece leva sulle braccia e si diede un’ulteriore spinta che la proiettò all’indietro facendola atterrare sul passaggio in ghiaia del cortile.
Lo scatto fu talmente violento e inaspettato che si trascinò dietro anche i taser dei suoi aggressori.
Vietnam si staccò con rabbia i dardi dal corpo mostrandosi insensibile al dolore che quel gesto le provocò e scagliando via quei maledetti aggeggi.
Ora poteva vederli finalmente in faccia i suoi aggressori o meglio poteva vedere le loro divise. E non le riconobbe.
Nessun segno distintivo o altro. Nessun appartenenza precisa.
Non erano truppe regolari.
Erano mercenari.
-Non lasciatela fuggire!- il capo era ancora in se e lo dovette solo al casco e al fatto che lei non fosse nel pieno della forma –Avanti, catturatela!-
Fuggire? Era ovvio che non sapevano con chi avessero a che fare.
I mercenari le si avventarono contro armati di machete, fiduciosi del numero e del fatto che non si trovassero di fronte un avversario in forze.
Vietnam sfilò il suo bastone da dietro la schiena e iniziò a rotearlo come avesse tra le mani un fuscello.
I suoi avversari erano comunque ben addestrati e non dei principianti.
I primi tre riuscì ad abbatterli grazie al fattore sorpresa e perchè due di loro si trovavano sulla stessa traiettoria della sua concatenazione di colpi: il primo lo prese alla mano con uno delle estremità del bastone mentre con l’altra, sfruttando un gioco di gambe, lo colpì sul viso; il secondo venne centrato da un affondo netto e pulito al basso ventre.
Il terzo le tagliò il bastone in due, ma il sorrisetto stampato in volto gli venne cancellato subito, quando Lan usò i due frammenti per percuotergli la faccia.
Gli altri la assalirono in gruppo e dovette affidarsi a tutta la sua abilità per evitare che la affettassero con quegli affari.
Schivava, colpiva, parava . Rispose ad ogni colpo finchè non perdette l’ultimo frammento di ciò che restava della sua arma.
In compenso i suoi avversari erano rimasti solo in due.
Ed erano abili.
Si muovevano con cautela ed erano più attenti degli altri.
Ma Vietnam non si stava solo riprendendo in fretta dalle ferite dei taser e dai deficit che avevano provocato al suo corpo: lei praticava arti marziali da ben prima che i trisavoli dei trisavoli di quei due venissero al mondo.
Come esperienza non vi era il benchè minimo confronto.
Con delle finte li invitava a farsi avanti ma questi non erano per nulla intenzionati a farsi fregare dai suoi trucchetti. Non si accorsero però di essere comunque caduti in trappola.
Nell’eseguire quelle prevedibili finte, Vietnam si stava impadronendo del ritmo del combattimento e pian piano stava imponendo il suo.
Quasi invisibile afferrò il polso della mano con cui il suo avversario teneva il machete e facendo leva su di esso, si proiettò in avanti colpendolo al viso con un fluido manrovescio.
Prima che l’uomo cadesse al suolo gli afferrò il machete e lo lanciò contro l’ultimo avversario. Questo preso alla sprovvista riuscì a mala pena a deviare la lama con la propria ma prima ancora che potesse rimettersi in guardia Vietnam gli era già addosso.
Braccio bloccato, ginocchiata sul fianco, balzo, seguito da calcio alla cima del costato.
Vietnam si rimise subito in guardia onde controbattere qualsiasi reazione ma il mercenario era finito lungo disteso nell’aiuola e non dava segni di ripresa.
Per un secondo fu il silenzio.
Uno sparo lo ruppe e lei cadde in ginocchio.
Il pantalone di lino le si tinse subito di rosso. Il proiettile le aveva traforato la gamba.
Alzò lo sguardo e vide il capitano della squadra puntarle contro una pistola.
Si era scordata che c’era anche lui.
-Maledetto mostro. Sei veramente una creatura ostinata e pericolosa. E quei maledetti hanno avuto anche il coraggio di mandarci qui con armi non letali… fanculo!-
Vietnam si mise ad ascoltare il suo corpo e capì che il proiettile era fuoriuscito, non le era rimasto dentro la gamba.
E questo era già qualcosa.
-Ma sai che ti dico? Per fortuna che faccio di testa mia per quanto mi riguarda e ho portato la mia fidata Beretta*. E ti posso assicurare che se oserai fare qualche altro scherzetto mentre ti prepariamo per il trasporto, ti sparerò all’altra gamba… e allo stomaco. E ti assicuro che li fa davvero male-
Vietnam dovette concentrarsi.
Respirare profondamente, cercare la forza interiore per rimettersi in piedi.
O combatteva o era finita.
E non ci teneva proprio per niente a vedere il tipo di fine che avevano figurato per lei.
Si rimise in piedi e alzò le mani come in segno di resa.
-Ecco da brava così. Sta li, ferma immobile-
Lan focalizzò il suo obbiettivo, si concentrò su di esso, dominò il dolore alla gamba.
E solo allora riprese a combattere, scagliandosi contro il mercenario che imprecando qualcosa a denti stretti, ricominciò a sparare.
La Nazione evitò tutti i proiettili fino a raggiungerlo e non appena gli fu addosso, saltò.
Le sue gambe gli afferrarono la testa con una letale precisione.
Tutto il corpo di Lan si mosse in perfetta sincronia e l’uomo venne proiettato in avanti, finendo schiacciato sulla ghiaia.
Ora si ritrovava a cavalcioni sopra di lui puntandogli in viso la stessa, maledetta, Beretta M9 che l’aveva quasi azzoppata.
-Penso che… abbiamo finito-
La donna aveva il fiatone e l’uomo, per quanto rintronato dall’impatto subito, era ancora abbastanza presente per capire quanto la situazione fosse ormai drasticamente precipitata.
-Già, lo penso anch’io-
Vietnam gli premette contro la guancia la punta incandescente dell’arma strappandogli un grido di dolore
-Brutta…-
-Sta zitto e ascoltami. Ora voglio che tu mi dica che cosa sta succedendo. Come fate ad essere qui? Perchè mi avete aggredita? Chi vi ha mandati?-
Era piena di domande, e attendeva risposte.
E le avrebbe ottenute.
-Sono tutte questioni interessanti…- incominciò lui con una punta di sarcasmo nella voce -ma credo proprio che il mio passaggio sia arrivato-
Fu allora che Vietnam lo sentì.
Un ritmico e assordante rumore.
L’elicottero! Prima avevano parlato di un elicottero!
-Mi sa che sei finita, cagnetta vietnamita-
Per tutta risposta Lan lo colpì al viso con forza e iniziò a correre verso l’edificio centrale.
Anche se la ferita aveva smesso di sanguinare, grazie alla sua particolare costituzione, era ancora grave e in un nuovo scontro poteva solo peggiorare. Non poteva sperare di affrontare una nuova ondata di nemici e un elicottero da guerra insieme, in quelle condizioni.
Ci aveva messo troppo tempo a sistemare quei bastardi.
Ora l’unica opzione era una ritirata strategica.
Raggiunse la camerata centrale, quella che aveva trasformato in camera da letto.
Spostò una grossa cesta di vimini e sotto di essa vi trovò una botola.
La aprì e vi si infilò dentro, rimettendo a posto la cesta prima di scomparire nel passaggio segreto.
Scese una scalinata in pietra e si ritrovò in una galleria sotterranea.
Quel condotto portava ad uno sbocco nella foresta e lì era sicura che avrebbe fatto perdere le sue tracce ai suoi assalitori.
La sua foresta l’avrebbe protetta ancora una volta.
Ma contro questo nuovo nemico non sarebbe bastato.
Non appena fosse giunta in un posto sicuro avrebbe contattato qualcuno.
Qualcuno che poteva aiutarla.
Perchè se quei tizi erano stati in grado di far entrare un elicottero da guerra con un intera squadra di mercenari professionisti al seguito nel suo territorio senza che lei ne fosse venuta a conoscenza, poteva voler dire soltanto una cosa.
Aveva a che fare con un nemico davvero pericoloso.
 
 
-Si, d’accordo… d’accordo non si preoccupi le manderemo subito qualcuno… ci lasci…*-
Galles dovette staccare l’orecchio dalla cornetta.
-Signorina Vietnam deve permetterci di organizzarci, la prego, manderemo qualcuno al più presto… si non si preoccupi, capisco che è un… si, si, certo. Non appena il nostro inviato sarà in volo la contatterò nuovamente. Nel frattempo tenga un basso profilo e non si muova da dove si trova e si circondi di persone fidate.-
Prese un respiro profondo –Le dico questo: non la abbandoneremo. Abbia fiducia in noi… chao*-
James appoggiò la cornetta del telefono e si massaggiò le tempie.
“Devo avvertire subito Inghilterra”
 
 
-What?!-
Arthur Kirkland era talmente scioccato che per poco non fece cadere il bicchiere di brandy che aveva in mano.
Si era appena preso una maledetta pausa dal meeting con le altre Nazioni li a Bruxelles, e ora Galles gli portava altre rogne.
Non ci voleva credere. E ora che diceva agli altri?
-Non ti preoccupare fratello, ci penso io a sistemare la faccenda. Tu resta li a Londra e avverti gli altri… no, no, non preoccuparli troppo; mettili sul chi va là e digli di stare all’erta… potrebbe essere tutto come potrebbe essere niente, a questo punto… perfetto, ci risentiamo. Bye-
Interrotta la chiamata si appoggiò al muro con un braccio e la fronte su di esso, sconcertato e leggermente teso da quelle ultime novità che si aggiungevano ad una situazione di per se già perigliosa.
Aveva detto a Galles che ci avrebbe pensato lui ma gli veniva da star male al solo pensarci.
Trangugiò il resto del brandy in un’unica sorsata e fece quello che andava fatto.
Riprese il telefono e compose quel numero.
Oramai era il caso di coinvolgere anche America… per una volta quel benedetto Patto Atlantico avrebbe facilitato un po’ le cose, come non lo faceva da anni.
 
 
 
 
* Motto nazionale del Vietnam.

* I vietnamiti hanno un cognome e due nomi, uno detto “aggiunto” e uno “principale”. Per il cognome si prende quello del padre, ma dato che Vietnam è stata cresciuta da Cina usa il suo. “Thi” è il nome aggiunto ed è praticamente obbligatorio per le donne (i maschi hanno “Van”, sembra). “Lan” invece è il suo nome proprio.
 
* Orchidea in vietnamita si dice Lan.
 
* Tradotto dal mandarino (cinese)
 
* Anche questo tradotto dal mandarino
 
* Maestro e fondatore del Vovinam Viet vo Dao (arte marziale vietnamita) vissuto nel XX secolo.
                                                                              
* Per chi non lo sapesse (ma chi volete che non lo sappia al giorno d’oggi?) il taser è un dispositivo classificato come arma da difesa "meno che letale" e che fa uso dell'elettricità per far contrarre i muscoli del soggetto colpito. Il taser proietta due piccoli dardi con traiettorie non parallele in modo da aumentare la distanza tra i due, perché l'efficacia aumenta quanto più i dardi sono distanti tra loro. Questi dardi sono collegati tramite dei fili elettrici al resto del dispositivo il quale produce una scarica ad alta tensione e bassa intensità di corrente, che viene rilasciata in brevissimi impulsi (tratto dalla saggia wikipedia)
 
* Tradotto dal vietnamita
 
* Saluto vietnamita per le persone di riguardo.
 
 
 
 
Note dell’Autore:
 
Eccoci qui!
Allora come vi è parso? Sono proprio curioso di saperlo… XD
In ogni caso protagonista assoluta del capitolo è Vietnam che per quanto mi riguarda è la prima volta in cui ho l’occasione di scrivere qualcosa su di lei nonostante sia un personaggio particolarmente intrigante. Noterete però che questa Vietnam è un po’ diversa da quella classica, con un back-ground particolare e inserita in un contesto tutto suo. Ha un bel caratterino non c’è che dire e lo noterete ancora quando si ripresenterà sulle scene.
Bon ancora un paio di cosette e poi vi lascio recensire (XD): nel capitolo vedete un gruppo di mercenari in azione che si fanno chiamare Squadra Dumas (come il celebre scrittore); se volete leggere qualcosa in più su di loro, in attesa che si riprendano dai colpi subiti, andate al terzo capitolo dell’altra nostra fanfic Ogni mondo è una storia a sé.
Seconda cosa: ma avete visto chi ha un brevissimo cameo in questo cap? Galles! Per la gioia di tutti coloro che lo hanno apprezzato incrociandolo nelle mie fic targate JhonSavor XD.
Oh ogni scrittore deve prendersi le sue libertà no? XD Comunque questo non è proprio il solito Galles… è il Galles di Terra-3, tutta un’altra storia.
Bene, finito di sparare minchiate, vi lascio con il prossimo capitolo affidato alla mia collega. Io ritornerò in seguito.
Seguite la storia e non siate pigri recensite! XD
Ciao, ciao!

JS

 

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Capitolo 4
*** 03-Una riunione diversa dall’altre ***


Capitolo II

Capitolo III :Una riunione diversa dall’altre

 

America non amava andare ai meeting politici in altro continente che non fosse il suo.

Si sentiva … a disagio.

Anche se gli piaceva molto Bruxelles, non era una città grande quanto le sue ma aveva un fascino tipicamente europeo.

Era aggraziata e molto chic: aveva un qualcosa che ricordava il pragmatismo tedesco e l’eleganza francese nell’architettura, in effetti quello stile così mescolato creava un’atmosfera divertente e interessante.

Belgio doveva essere davvero fiera di ospitare il Parlamento europeo, ovunque era segnalato che Bruxelles era la base dell’UE, perfino sui cartelli delle strade.

Il parlamento europeo  però non era divertente e rilassante come il resto della città , era una struttura moderna in vetro, bellissima, imponente.

America entrò dalla porta principale,  attraverso un’ immensa porta di vetro, ed  una volta entrato nella hall dovette fare il check in e gli fu controllato il passaporto.

Gli operatori gli rivolsero degli sguardi un po’ perplessi e America potete indovinare i loro pensieri: che ci faceva un americano, che chiaramente non era un turista, lì?

Avrebbe dovuto andare vestito in “borghese”? Si domandò l’americano.

Inghilterra avrebbe avuto sicuramente da ridire sul abbigliamento borghese del americano ma era facile per il primo: l’inglese aveva ,quello che supponeva  Alfred fosse, l’eleganza europea.

Ad America le cose eleganti non stavano bene e non avrebbe mai confessato che a volte la cosa lo scoraggiava.

Passò davanti a uno stand dove c’erano tutte le bandiere degli Stati membri della unione e si fermò a guardarle: era sempre strano vedere tutte quelle bandiere diverse insieme … se si contava che poco meno di un secolo prima, si stavano ancora ammazzando tra di  loro.

-Ciao Alfred, come è andato il volo?-

America si voltò verso la voce che aveva riconosciuto, Belgio in elegante completo da ufficio lo guardava con simpatia.

-Ciao, Emma, sei venuta ad accogliere il grande eroe?- domandò America.

La donna cambiò rapidamente espressione- In realtà sto facendo gli onori di casa e non credo che tu sappia dove è la nostra sala riunioni- la ragazza enfatizzò la parola nostra mentre America tossiva imbarazzato. 

-Che faccia sciupata hai! Chi è lei?- sorrise maliziosa la nazione belga e Alfred sbadigliò involontariamente non avendo il tempo di coprire la bocca.

-Scusa- disse nuovamente imbarazzato America- Nessuna lei comunque. Non ho dormito bene per colpa di un incubo-

-Mi dispiace. In sala abbiamo del caffè, ovviamente- sorrise dolce la ragazza.

America si sentì più a suo agio dopo quel sorriso, normalmente, si sentiva un po’ sotto pressione  con gli europei: si sentiva come se dovesse dimostrare sempre qualcosa.

Il che era ridicolo.

Lui era la potenza mondiale, lui era l’eroe più amato o … no?

Emma gli spiegò rapidamente la discussione che stavano avendo nella sala per una situazione avvenuta sia in Africa e in Asia.

Belgio aprì la porta della sala e America si trovò davanti una stanza poco più grande di un’ aula scolastica con tanto di sedie con tavolini integrati e la sala sembrava ancora più piccola con tutti  i membri dell’unione europea che stavano discutendo animatamente, come al solito.

La nazione belga sorrise imbarazzata- Purtroppo la riunione l’ho dovuta organizzare su due piedi e questa era l’unica stanza disponibile- spiegò

-Accogliente- tentennò nel dire America.

Emma indicò all’americano una sedia non occupata e gli consegnò anche un fascicolo scritto da suo fratello, Lussemburgo, che da sempre era il dattilografo delle riunioni europee.

America sfogliò il fascicolo per farsi una idea più precisa della situazione.

A quanto diceva il fascicolo, si era giunti alla conclusione di dover indagare ma qualcuno aveva espressamente dichiaratamente che era una perdita di tempo.

E uno di quelli stava parlando proprio in quel momento.

Italia Romano era un bel giovane uomo, dalla pelle olivastra e i capelli scuri, si era alzato per parlare e America si mise ad ascoltare cosa avesse da dire.

America lo conosceva da un bel po’ ed Italia Romano era tra le persone più ciniche e sarcastiche che avesse mai conosciuto e furono infatti così le sue parole.

-In questo momento l’Europa non può permettersi di andare a zonzo a fare i cavaliere erranti per qualche altro Stato. Siamo nella merda, abbiamo i nostri problemi da risolvere - dichiarò senza mezzi termini la nazione italiana.

Alfred non era persona che si arrabbiava facilmente ma era un’ idealista e sentire tanto cinismo era orribile per lui.

-Non sono d’accordo!- interruppe l’americano mentre l’italiano lo fulminò con lo sguardo.

Le altre nazione si voltarono ad ascoltare l’imminente battibecco.

-Dobbiamo sempre curarci degli affari degli altri. Andrò io a indagare, se voi europei non potete. Dopotutto sono l’eroe – dichiarò.

Romano lo guardò scioccato e poi sorrise a denti stretti- Non pensi che l’America abbia rovinato molti Stati con il suo “curarsi” dei cazzi degli altri? Noi europei ce la siamo cavati sempre da soli!-

-Ti dimentichi  il dopo guerra della seconda guerra mondiale - disse l’americano duramente.

La nazione italiana alzò un sopracciglio sarcastico- Ti riferisci al piano Marshall? Un chiaro esempio di estorsione a lungo termine- replicò asciutto- E poi lo sappiamo, che siamo stati solo il teatro della tua guerra con Russia per la supremazia.-

America aprì la bocca ma non riuscì a controbattere, percepì un leggero mormorio d’approvazione.

-Allora, se mi permetti. Che cosa dobbiamo fare?- l’americano vide Germania prendere la parola e fissare l’italiano, incredibilmente lo sguardo di quest’ultimo si fece ancora più scuro e duro.

-Niente, per il momento. Se i rapimenti sono di tipo politico  per scatenare qualche guerra in Asia o in Africa, non sono affari nostri. Se invece i rapimenti sono adempiuti  proprio nel minare le nazioni, allora dovremmo pensare al da farsi -

Germania prese un respiro e poi parlò- Come possiamo scoprirlo se non indaghiamo?- replicò pragmatico.

America pensò seriamente che il tedesco avesse zittito l’italiano con quella affermazione, ma non fu così.

-Molto bene- iniziò Italia Romano- Perché non vai tu a indagare? In fin conti sei tra gli stati virtuosi- il tono dell’italiano si fece ancora più cattivo e  continuò con un tono tagliente- Stare un po’ lontano dall’Europa non ti darà problemi. E per la cronaca Veneziano rimane con me -

 L’interessato  guardò confuso il fratello e poi protestò- Ma Lovino … -

-Non mi lasci da solo con quei coglioni, chiaro - rispose al fratello con tono che non ammetteva repliche e poi tornò a parlare con Germania

- Allora che ne dici, crucco?- sfidò Romano l’altra nazione, America percepì chiaramente che non era solo una tensione personale quella che provava l’italiano per il tedesco: era qualcosa di più profondo.

- Per me va bene - rispose il tedesco accentando con lo sguardo la sfida dell’altro.

America era rimasto allibito alla scena (ma rilassato che non si fossero per lo meno pestati) e si rivolse direttamente a Romano- Ma come fai essere tanto cinico? Insomma, neghi il tuo aiuto a un'altra nazione? –

Romano fissò male l’americano- La mia gente si suicida perché non ha lavoro, quasi tutti sono un passo dalla povertà e tra poco probabilmente organizzeranno in Klun Klun Clan per cacciare il nemico in casa. Scusami se penso di avere abbastanza   problemi da strafregarmene di qualcun altro. E sai uno cosa America? Anche tu ti dovresti curare dei tuoi affari visto che sei rovinato esattamente come in Europa!-

America si sentì colpito nell’orgoglio.

Una volta l’americano aveva visitato Roma ed era stato alla Bocca della verità, ovviamente la statua non gli aveva mangiato la mano ma era sicuro che se l’avesse fatto, sarebbe stato meno doloroso delle parole che gli stava rivolgendo l’italiano.

-Ora basta- la voce di Belgio risuonò nella stanza e America la vide con un’espressione furente in volto

- Lovino modera immediatamente i toni!- ordinò la belga mentre l’italiano incrociava le braccia.

La donna belga rilassò l’espressione del volto e riprese a parlare più calma- Ricordatevi per che cosa è stato costruito questo luogo, per discutere pacificamente nonostante le nostre differenze-

Lovino  si scusò e tornò a sedersi al suo posto.

-Qualcuno vuole intervenire contro o favore della dichiarazioni di  Romano?- chiese la donna guardando i presenti della sala.

Inghilterra alzò la mano e Belgio gli diede il permesso di parlare.

Inghilterra si alzò e prese la parola, il suo tono di voce era sicuro come al solito e il modo di parlare conciso come sempre.

-Se qui passeremo tutto il tempo a discutere su torti subiti o su chi può lasciar le cose in sospeso in Europa, non la finiremmo più di discutere. Chi è coperto, come nel mio caso, da altre persone darà la propria disponibilità a viaggiare, a secondo della propria coscienza. Non nego che in questo momento l’Europa è in crisi, come ha detto Romano, e che lasciare il proprio Stato è un’ atto irresponsabile ,però ricordo che se una nazione non è presente sul proprio territorio porta gravi problemi alla propria gente. Non sappiamo cosa sia successo a Congo e a  Kenya ma sappiamo gli effetti devastanti che può portare la loro assenza. Concordo con Germania che abbiamo la necessità di indagare e sono disponibile ad andare in Africa quanto prima - concluse la nazione inglese mentre America sorrideva, meno male che per una volta erano d’accordo.

La donna belga invitò a sedersi l’inglese e guardò le persone davanti a sé, il suo sguardo cambiò in uno di disapprovazione.

-Olanda,qui dentro non si fuma- il tono della donna era ridiventato autoritario e Alfred vide il fratello di quest’ultima spegnere il tabacco della sua pipa e  alzare anche lui la mano,

L’olandese rimase comunque con la pipa in bocca mentre si dichiarava contrario alle ricerche.

-Anche se andassimo a indagare e scopriremmo qualcosa di strano, vi ricordo che non abbiamo più alcun poteri ufficiali se non quelli che ci siamo guadagnati noi con le nostre capacità. Siete tutti partiti con l’idea che Joseph e Tegla siano stati rapiti per la loro natura di nazione, dietro suggerimento delle parole di Vietnam, se così fosse avremmo un minimo di potere per intervenire ma se così non fosse, non potremmo fare nulla. Lasciamo alle nazioni africane le indagini e quando ci saranno abbastanza prove e informazioni interverremmo-

Aveva senso,  il senso pratico di un commerciante ma per Alfred era solo cinismo.

Però l’americano era incuriosito, quali erano state le parole di Vietnam? E le cercò nel fascicolo.

Intervenne questa volta Francia, elegante e splendente come al solito: il ritratto della vanità.

-Caro Olanda, il problema è proprio quello … le nazioni africane ci hanno chiesto una mano perché sanno che noi abbiamo più possibilità di ottenere informazioni rispetto a loro!-

America fu rincorato nel sentire Francia essere d’accordo sull’intervenire e se si considerava che era  addirittura d’accordo con Inghilterra, era qualcosa di miracoloso e decisamente un buon segno. Quando Belgio chiese se qualcuno volesse intervenire l’americano alzò rapidamente  la mano  e altrettanto rapidamente fece uscire dalla sua bocca della parola che avrebbe dovuto tenere per sé.

- Giusto, perché è il nostro destino e l'ha detto anche il vecchio!-

La frase senza senso suscitò un mormorio e America si sentì irrimediabilmente osservato, sapeva che la sala attendeva una spiegazione più dettagliata. E fu costretto a raccontare tutto.

Partì dalle notti insonne fino a finire alle parole del vecchio.

-Anche per questo motivo voglio intervenire.- spiegò Alfred.

 Inizialmente America non sentì nessuno parlare e poi  invece scoppiò qualche piccola risata mal trattenuta.

-Commento interessante America- commentò Belgio con un tono di voce che l’americano non seppe interpretare.

La maggior parte delle nazioni in sala lo guardavano come se fosse impazzito, persino Veneziano che era tra le nazioni più eccentriche, lo guardava stralunato.

Belgio capì la situazione, l’attenzione era irrimediabilmente calata e chiamò ufficialmente una pausa per aiutare tutti a riflettere.

La maggior parte delle nazioni uscì dalla saletta e si imboccarono in una sala adiacente alla prima, dove era stato preparato un piccolo rinfresco.

Avevano dieci minuti di pausa e America era vicino al piccolo rinfresco con un bicchiere di carta in mano  e con l’aria assorta.

Decisamente quella per lui era una giornata no, era stanco e la maggior parte dell’Europa pensava che era uno sciroccato.

Aveva anche letto la teoria di Vietnam che invece confermava le parole del vecchio. Vietnam aveva dichiarato che era stata attaccata per la sua natura di nazione e il vecchio aveva detto che il suo destino riguardava  la sua  natura di Terra.

Bevé un sorso dell’acqua e scacciò i cattivi pensieri pensando che comunque la sua presenza aveva cambiato la situazione.

Avrebbero agito molto presto, se non ci fosse stato lui a scuoterli, chissà quanto ci avrebbero messo!

L’americano gettò uno sguardo sulla sala e vide che si erano formati dei gruppetti i quali stavano discutendo tra loro.

C’era il gruppetto dei membri dell’ex- Urss, Lituania, Polonia e Estonia, che stavano discutendo animatamente con alcuni membri dell’Europa centrale.

Spagna invece stava discutendo animatamente con Francia mentre i fratelli italiani ,insieme a Malta ,stavano discutendo con Grecia.

I membri dell’Ue dell’Europa del nord stavano discutendo  con Inghilterra.

America non era così  ingenuo da credere che stessero parlando solo del argomento del giorno.

Doveva essere dura appartenere all’UE, imparare a capire cosa era il bene della comunità prima  degli interessi personali.

Ma se si faceva troppo il volere dell’UE a svantaggio dei propri cittadini si rischiava fermentare l’odio per l’unione.

America conosceva bene quella situazione, perché era uno Stato federale e non era per niente facile gestire diverse mentalità e pensieri.

L’americano era così distratto dai suoi pensieri da non accorgersi che si era avvicinato Germania al rinfresco.

America l’osservò sott’occhio  e vide il tedesco compiere dei movimenti insolitamente lenti, come se stesse cercando di perdere tempo.

Notò anche che lo teneva a una certa distanza come al solito: anche negli incontri del G8 difficilmente  i due si erano mai trovati vicini.

Germania si era appoggiato al muro vicino al distributore  e  continuava con la sua ostinata lentezza a compiere i suoi gesti.

America lo guardò interrogativo e percependo che il tedesco volesse proprio parlare con lui,  decise di fare la prima mossa

-Come mai non c’è Prussia?- domandò e vide il tedesco voltarsi verso di lui per rispondere pronto.

Decisamente voleva parlare con l’americano.

- Prussia non c’è quasi mai alle riunioni internazionali. Ufficialmente non è più una nazione ma si occupa della politica interna della Germania- rispose il tedesco.

La spiegazione lasciò America leggermente stupito, sinceramente si aspettava che Prussia passasse tutto il suo tempo … a non fare nulla o a vivere una vita normale.

America cercò di immaginarselo con il completo da ufficio mentre  parlava con il Cancelliere ma gli risultava difficile.

-Ammetto che pensarlo come un civile, possa essere un po’ difficile- confermò Ludwig- Ha passato maggior parte della sua esistenza sui campi di battaglia ma è molto bravo, anche se parla alla sua segretaria come se fosse una recluta-

Dal piccolo sorriso che fece il tedesco, America capì che voleva fare una battuta e si finse divertito.

Germania si avvicinò ad America e posò il bicchiere sul tavolo del rinfresco.

-E’ uno dei motivi perché ho deciso di andare in prima persona a indagare. Gilbert è in grado di gestirsi da solo la situazione a casa-

America annuì mentre il tedesco parlò nuovamente- Quindi, lo so che pronunciato da me può sembrare strano ma considerami  tuo alleato per  questa  … - il tedesco non completò la frase perché America gli rubò la parola.

-Crociata della giustizia?- suggerì l’americano.

- La definirei di più ricerca della verità- lo corresse Germania.

America sorrise e gli porse la mano e, nonostante un attimo di incertezza da parte del tedesco, ci fu la stretta.

-Comunque sia … -  iniziò imbarazzato il tedesco -  Credo che dovresti riposarti un po’, dormire bene … -

Germania non concluse la frase ma America capì a che cosa si riferiva, ridacchiò nervoso e lo ringraziò.

Convincere il tedesco a fidarsi  dei nativi d’America sarebbe stata una battaglia persa.

Il tedesco guardò di sfuggita l’orologio che aveva al polso destro.

-Dovremmo rientrare, sono passati i dieci minuti.-

I due improbabilissimi alleati si avviarono insieme versa la stanzetta della riunione ma furono intercettati da Belgio e  gli spiegò che avevano finalmente avuto una sala più grande.

La nuova sala era decisamente migliore, non era solo la grandezza: il tavolo rotondo da conferenza dava più sensazione di serietà  rispetto ai banchetti di scuola della prima.

Era anche aumentato drasticamente il numero delle persone, i membri non appartenenti alla comunità europea erano appena arrivati.

Gli fu spiegato che erano stati invitati anche le nazioni non membri dell’Ue perché era una situazione importante e anomala.

Tra questi America notò Principato di Monaco che aveva conosciuto tempo addietro con il legame che si era creato tra i due Stati tramite il matrimonio tra l’attrice americana Grace Kelly e il principe di Monaco.

America era sempre stato una Repubblica ma vedere una sua cittadina divenire principessa era stato emozionante e  conoscere meglio la  bella Margot era stato molto piacevole.

Salutò la ragazza con una mano e lei con un sorriso raffinato.

-Che donna di classe- pensò America.

Quando si sedettero nuovamente tutti, la riunione ricominciò  ancora più litigiosa di prima.

Probabilmente era dato dalla presenza di altre nazioni burrascose come Svizzera e Turchia, quest’ultimo ogni volta che specificava che era il dovere di tutti farsi i propri affari guardava eloquentemente America.

Ma, dopo una lunga discussione  si era infine concordato  sul dovere di indagare: il problema era mandare chi e dove?

Francia, nonostante che prima di fosse dichiarato disponibile, spiegò bene che in quel momento non poteva mollare tutto perché non aveva nessuno che potesse sostituirlo.

L’inglese aveva le spalle coperte da ben tre fratelli e per cui era disponibile ad andare in Africa quanto prima, specificando di averlo promesso ad Sudafrica.

Germania fu affiancato all’inglese per maggioranza di voti, i due  sarebbero partiti quanto prima.

Rimaneva chi mandare in Vietnam e America con la sua determinazione aveva alla fine convinto le altre nazioni a mandarlo lì, nonostante che molte di esse  avevano mostrato reticenza nella scelta.

Era risaputo che Vietnam non amasse i visitatori occidentali e l’americano non era esattamente nelle sue grazie.

Per cui trovare un compagno per America risultava arduo, dovevano  affiancargli un europeo che non avesse mai avuto interesse in Asia ed erano pochi.

Belgio guardò l’ora e passò una mano tra i capelli leggermente spettinati.

Non voleva sospendere la riunione perché non avevano tempo da perdere, ma vedeva negli occhi delle altre nazioni la  sua stessa stanchezza e così non si poteva lavorare. Forse doveva chiamare un’altra pausa o rimandare la riunione a domani mattina e nel frattempo organizzare il viaggio di Inghilterra e Germania?

Indecisa sul come gestire la riunione, la belga decise che forse una pausa era più necessaria a lei che agli altri.

Decise così di dare altri dieci minuti di pausa e mentre uscivano le nazioni dalla sala, Belgio si sedette sconsolata alla sua postazione.

Si dice che un’idea brillante possa venire anche nel momento dello sfinimento massimo, una sorte di regalo che fa il cervello al proprio possessore.

La sala si era quasi svuotata, quando la belga notò Svizzera insieme alla sua protetta, Liechtenstein, che si stavano allontanando dalla sala.

Belgio stava inconsciamente sperando in un’idea brillante che non le costasse le ultime sue forze.

La belga notò che Svizzera e la sua protetta si erano alzati per ultimi e adesso stavano uscendo.

Gettandogli un’occhiata distratta, Belgio si mise a pensare quale erano le caratteristiche dello svizzero.

Svizzera era ben notò per il carattere bellicoso e per le sue idee pragmatiche, ovviamente durante la riunione si era espresso  più volte sul doversi fare gli affari propri.

Sì, Vash rappresentava appieno la neutralità del suo Stato …

-Svizzera!- lo chiamò la belga alzandosi dalla sedia.

Lo svizzero  e la  sua protetta si voltarono e rimassero fermi sul posto mentre Belgio li raggiunse.

-Vorrei parlare un attimo con te, Svizzera - pronunciò suadente la belga e lo svizzero strinse protettivo la mano di  Liechtenstein.

Il principato guardò rapidamente entrambi, accennò un sorriso e rivolgendosi a Svizzera disse- Vado a chiacchierare con Monaco-  salutò la belga e uscì dalla sala.

Con la voce più gentile che poteva usare lo svizzero, domandò a Belgio cosa volesse e se voleva ancora convincerlo ad entrare nell’UE.

-L’UE non c’entra.- disse la belga agitando la mano nell’aria come se volesse allontanare quel pensiero.

-Vorrei che accompagnasi America in Vietnam- disse la donna  senza tanti giri di parole.

Svizzera lo guardò stranito e poi con il tono burbero, che tutti conoscevano, dichiarò- Io con quello sbarbatello? A che pro? Non sono neanche d’accordo con l’indagare.-

Belgio sospirò pesantemente- E’ già stato deciso che si indagherà e tu sei la nostra soluzione ideale. Sei l’unico europeo che veramente non ha mai avuto interessi in Asia. Vietnam non ti vedrà come l’invasore occidentale e questo equilibrerà la presenza di America - spiegò lentamente Belgio, non perché Svizzera fosse stupido ma una persona piena di pregiudizi può essere altrettanto difficile da trattare.

-Equilibrare in teoria, ma ti ricordo che non sono una persona diplomatica. Non tratto le persone con i guanti, Emma - Svizzera scandì bene quella frase, lui veramente odiava essere coinvolto in cose che non gli interessavano.

-Questo lo so, Vash. E non cambi neanche facilmente idea - disse la belga con tono aspro.

-Però non puoi dirmi che tutto ciò non ti riguarda. Non sappiamo se il prossimo rapimento o sparizione avverrà in Europa – spiegò la donna dura – E non sappiamo neanche se c’entra qualche capo in questa storia- continuò cinica Belgio- Degli umani non sempre ci si può fidare, ti ricordo che stato il tuo altruismo a salvare  Liechtenstein dalla morte -

A quella frase lo svizzero non disse nulla e invece i suoi occhi tradirono una certa sorpresa e imbarazzo.

-Le cose buone si vengono sempre a sapere, Vash - dichiarò la belga con un sorriso malizioso -Per favore dacci una mano - continuò dolce.

Svizzera assunse un’espressione esasperata per nascondere un’ imbarazzata.

-E’ l’unico favore che vuoi da me?- domandò scontroso Svizzera mentre la belga affermava con un cenno di capo.

-Almeno per il momento- disse tra sé Emma.

- Va bene, spero solo che ne varrà la pena. - disse Svizzera determinato mentre Belgio lo guardava divertita, perché tante nazioni maschili fingevano costantemente un atteggiamento a macho?

-Spero solo che non mi mandate la finanza di tutta l’UE mentre sono via. Non potrei tollerarlo- continuò scontroso lo svizzero, Belgio non disse nulla, se avesse potuto era una cosa che avrebbe fatto da tempo.

 -Come vado con lo sbarbatello in Vietnam?- domandò l’uomo.

-In aereo ovviamente- disse scettica la belga che non si accorse di un impercettibile gesto d’ansia da parte dello svizzero.

-Dopo la pausa, ci accorderemmo per queste formalità - spiegò la belga continuando a non accorgersi dei segni d’ansia che aveva procurato nello svizzero.

La piccola pausa era finita proprio a quell’ultima frase e, rientrarono, anche piuttosto rumorosamente, le altre nazioni.

Poco dopo Belgio  mise a corrente l’atto volontario di  Svizzera e si levò un mormorio di sorpresa, che la belga fece cessare con un rimprovero.

Furono anche organizzati i rispettivi viaggi in Africa e Asia e su che cosa dovessero fare i volontari esattamente una volta giunti: interrogare testimoni e  vittime ,tenendo un basso profilo, e controllare i luoghi del rapimento.

La riunione era stata lunga e  estenuante ma aveva raggiunto i propri obiettivi.

 Svizzera si trovò riempito di chiacchiere dal loquacissimo America e pensò che la bella belga l’aveva ingannato.

 

 

NOTA DELL’AUTRICE: Ai tempi che ho scritto questo capitolo, ero in grave crisi come scrittrice… avevo perso lo smalto che avevo ma sono stata aiutata dal mio collaboratore Jhon e per questo voglio ringraziarlo ancora una volta.

Immagino che molti di voi siano un po’ sconvolti del binomio America-Svizzera ma volevamo creare qualcosa di veramente originale e credo che ci siamo riusciti.

Ringraziamo tutte le persone che si stanno seguendo o messo nei preferiti, ci fatte molto piacere. Per chi volesse commentare, sappiate che tutte le recensione sono accolte con entusiasmo, soprattutto quelle costruttive. Qualsiasi dubbio abbiate potete chiedercelo tramite recensione.

 

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Capitolo 5
*** 04-In viaggio ***


Cari lettori e lettrici di Efp, vi porgo i migliori auguri di Buon Natale (anche se un pò in ritardo) e di un Felice Anno Nuovo (anche se leggerissimamente in anticipo almeno nel momento in cui sto scrivendo queste parole).
In generale Buone Feste a tutti da parte del duo JhonSokew!
Bon sciolti i convenevoli passiamo all'introduzione XD.
Per questo capitolo e per i prossimi due, sarò io (JhonSavor) l'autore di riferimento. Sokew tornerà con i successivi.
Spero che i suoi fan si accontentino del qui presente XD.
Questi tre cap sono una sorta di trilogia che vede come protagonisti Germania, Inghilterra, Svizzera, America, Sudafrica e Vietnam e quindi penso che per questo aggiornerò un pò prima del solito ma non troppo (i tempi troppo serrati purtroppo per voi non sono previsti per questa fanfic, per motivi di carattere tecnico-tattico XD).
Perchè una trilogia? Perchè in origine gli eventi narrati dovevano essere condensati in un capitolo solo... mi sono lasciato prendere un tantino la mano? Forse, non dico di no. Ma se l'ho fatto, l'ho fatto per voi carissimi lettori e lettrici, per permettervi una immersione nei rapporti tra i personaggi della storia.
Bene ci risentiamo in fondo. Ancora tanti auguri (una recensione come pensierino di Natale magari? XD)





Capitolo IV: In viaggio.



-Germania-
-Inghilterra-
I due uomini sui strinsero la mano, per una pura forma e abitudine
-Il nostro volo sta per partire, andiamo?- 
-Si-
Si avviarono verso il gate senza dire una parola che fosse una.
Nel silenzio di quella camminata un solo pensiero attraversò la mente delle due nazioni
“Sarà un viaggio molto lungo…”



-Allora Svizzera che ne pensi?-
Vash odiava viaggiare.
O per meglio dire odiava viaggiare in aereo.
E in macchina almeno nei lunghi tragitti.
Insomma, grazie a Dio, una delle poche cose che la cara vecchia Rivoluzione Industriale aveva dato loro e che ancora oggi era li, presente e sempre più moderna, nonostante fossero passati quasi due secoli, era il treno. 
Ecco, il treno era il suo ideale di mezzo di trasporto.
Ti accomodi nella tua cabina, dotata di tutti i comfort che si possa immaginare, sistemi le tue cose come meglio ti aggrada, hai il tuo letto.
Inoltre esiste la cabina ristorante e la sala relax e…
-Preferisco i treni, America, se proprio devo spostarmi-
No, non aveva paura di volare!
-Non era quello che intendevo ma ora che me lo fai notare… cosa ha che non va? Ho fatto tutto nel migliore dei modi!-
Effettivamente una delle cose che inizialmente lo avevano portato a respingere l’offerta di fare da mediatore in quella faccenda era proprio il dover affrontare un viaggio lungo come quello che li attendeva, e doverselo sopportare in un angusto e scomodo sedile, schiacciato, e con un principio di soffocamento in arrivo.
Però dovette ammettere che l’aereo privato che Alfred aveva approntato per l’occorrenza non era niente male: un intera stanza solo per loro, sedili comodi, frigo-bar, cinema e connessione wi-fi.
-Ti dirò la verità: è perfetto, e non ho intenzione di chiederti quanto hai speso per una cosa simile: rischierei l’ulcera. Solo che…-
America lo guardò con un occhiata interrogativa –Solo che?-
Svizzera lo fissò dritto negli occhi, mani intrecciate e sguardo cupo -È una maledetta scatola di metallo che si trova a più di 5000 metri dal terreno, in balia di venti e chissà cos’altro… non mi trovo proprio a mio agio, okay?-
Alfred rimase visibilmente stupito. Poi si trattenne dal ridere.
-Comunque io mi riferivo al motivo per cui stiamo facendo questo viaggio…-
Vash si posizionò il più comodamente possibile sullo schienale della sua postazione e espirò pacato.
-Quindi? Che ne pensi?-
Lo svizzero attese ancora qualche istante –Penso che sarà complicato, spero che ne valga la pena essermi mosso per voi e, con tutto il dovuto tatto, penso che tu sia l’ultima persona che sarebbe dovuta venire con me nel posto in cui stiamo andando, America-
Alfred serrò le dita sui poggioli della postazione ma mantenne un atteggiamento calmo.
-Io…-
-Anzi, scusa la franchezza, tu sei l’ultima persona con cui dovrei viaggiare e non solo in, praticamente, metà del Sud-Est Asiatico ma anche in generale…-
-Sai, neanche tu sei il massimo della compagnia Zwingli… sei un maledetto testardo, arrogante, insofferente e patologicamente neutro per non dire ammorbante, lo sai vero?-
-Ha parlato quello che degli affari altrui deve sempre farne una causa personale… sai bene che non siete poi così amati nel mondo voi americani, si?-
-Io non sono il mio governo Svizzera, non ho condiviso tutte le sue decisioni, però penso che sia sempre meglio agire e fare qualcosa piuttosto che rinchiudermi in un limbo dorato come fai tu-
Vash si alzò e si avviò verso il frigo-bar; prese una bottiglietta d’acqua ne lanciò una ad Alfred 
–No grazie- gli disse rilanciandogliela -per me una coca-
Svizzera sbuffò ma decise di accontentarlo.
-Il problema è che tu… voi, siete un popolo di bambini. Non avete neanche lontanamente la Storia che abbiamo noi… ma è un discorso troppo lungo e non ho voglia di incominciarlo adesso, soprattutto perchè avremmo tutto il tempo per rivangare il passato. E non ne ho voglia-
America si sentì oltraggiato da come quel nanerottolo gli si stava rivolgendo.
Poteva essere anche il ricco e indipendente Svizzera, possessore di banche e produttore di Emmenthal, ma lui era pur sempre il Rappresentate del Mondo Libero, quello che era giunto con le sue armate in Europa per aiutare gli Alleati, quello che aveva combattuto in prima linea una guerra cinquantennale che da soli gli Europei non sarebbero riusciti a vincere.
Doveva dargli atto però che neanche a lui andava di affrontare quell’argomento. Ma questo non gli avrebbe impedito di avere l’ultima parola.
-Strano, pensavo che raccontare per ore e ore antiche storie fosse elemento imprescindibile di voi vecchi… evidentemente mi sbagliavo-
Svizzera sorseggiò la sua acqua fredda, lanciandogli una leggera occhiata.
-Comunque, parlando di Vietnam…-
Mi ha ignorato bellamente…
-Da come mi avete descritto la situazione mi pare che sia un bel problema; se quelle truppe d’assalto sono state assoldate da qualcuno dei suoi vicini, significa che potremmo essere sul punto di una nuova guerra nel Sud-Est Asiatico…-
-Già come se non fosse abbastanza quello che sta succedendo in Africa. Pensi che siano collegate le due cose?-
-Non lo so, io so solo che un Stato che non può fare affidamento sul suo Rappresentante è un Stato debole e un Stato debole è un Stato facilmente attaccabile… inoltre, e con questo non voglio sollevare questione alcuna, dubito che Vietnam sappia delle paure che Sudafrica ha spiegato ad Inghilterra. Vietnam è venuta a chiederci aiuto perchè vuole che l’Unione faccia da eventuale paciere in vista di qualcosa di grosso che potrebbe succedere…-
-Qualcuno vuole scatenare nuovi conflitti, conflitti tra Nazioni minori, magari con l’obiettivo di coinvolgere Nazioni di più grande influenza-
-In ogni caso- Vash fini la sua bottiglietta e lanciò il vuoto in un cestino li affianco –ne saprò di più dopo che l’avrò interrogata-
America annuì e bevve un sorso della sua coca.
-Ah un ultima cosa. Tu non starai nella stanza con noi-
Alfred quasi si strozzò con la bevanda gassata.
-C-che cosa… hai detto?-
-Hai capito benissimo. Quando parlerò con lei tu te ne starai piacevolmente in silenzio fuori dalla stanza-
-Ora BASTA!-
Svizzera rimase seduto al suo posto guardando in segno di sfida il “gigante” americano ergersi di fronte a se
-Ho sopportato fin troppo la tua arroganza Vash! Io sono qui per lo stesso motivo per cui lo sei tu! È stata l’Unione a sceglierti, benchè tu non ne faccia neanche parte…-
-Sono comunque un membro del Consiglio d’Europa- ci tenne a precisare lo svizzero
America non lo calcolò nemmeno -…ma io sono l’altro piatto della bilancia, conto molto più di te! Quando saremo davanti a Lan, io…-
-Ti brucia vero?-
America si bloccò sull’istante.
-Ti brucia il fatto che non sia corsa da te a chiederti aiuto? Il tuo ego non ha fine-
America lo afferrò per il bavero e lo sollevò dal sedile –Ascoltami bene…-
-No, ascoltami tu invece! E levami queste mani di dosso!-
Svizzera si divincolò e si risistemò la camicia.
-Vietnam non ha chiesto aiuto ai suoi vicini perchè non sa di chi fidarsi. Non ha chiesto aiuto all’O.N.U. perchè non vuole gettare benzina sul fuoco. È venuta dall’Europa e non dalla potente America, paladina degli indifesi ma che sta in sella ad un cavallo cieco-
America gli puntò il dito contro –Te l’ho già detto, io…-
-I mie colleghi con la loro Comunità hanno fatto un buon lavoro alla fine, lo devo ammettere. Sono loro i nuovi arbitri a questo mondo dopo un buon mezzo secolo affidato a te. E Vietnam lo sa e si fida di loro-
-L’hanno invasa, e resa una loro colonia!- scoppiò l’americano, come una bomba al tritolo
-E voi l’avete ricoperta di fuoco e fiamme!- esclamò di rimando lo svizzero
Ancora una volta America si zittì e sentì dentro di se una fitta al petto, dolorosa. Come la lama di un coltello affilato.
-Ora capisci perchè mi hanno scelto, America?- gli domandò Vash risedendosi e mantenendo un’espressione corrucciata
-Oltre al fatto che sai usare bene le parole?- domandò lui, tentando di schernirlo 
-È una questione di tatto: io non ho mai avuto alcuno screzio di rilievo con la signorina Wang Thi Lan, lei non mi vedrà come un soggetto ostile-
America fece una smorfia, spostando lo sguardo verso il pavimento.
-È una questione di stile che devi ancora imparare. Anche questo è uno dei vantaggi di essere in là con gli anni…-
Vedendo l’espressione di America farsi abbacchiata Vash sospirò –Se lei te lo concederà potrai restare durante il colloquio… io te l’ho detto nel caso ti facessi venire strane idee su come agiremo una volta là… ma sappi che concedere i propri spazi e arretrare per una volta, può essere visto come un segnale positivo…-
America lo guardò a metà tra l’assenso e il dispiacere… e il desiderio di ricacciargli in gola quella sua dannata spocchia!
Eppure Inghilterra lo aveva anche avvertito.
-Allora che c’è di bello da vedere? Perchè è un bel po’ di tempo che non mi guardo un film-
-Un film, dici?- ridacchiò Alfred di rimando –ne ho quanti ne vuoi-


Dodici ore di viaggio.
Dodici. Per raggiungere Pretoria.
Un supplizio atroce, ed erano appena partiti.
Inghilterra e Germania erano seduti l’uno affianco all’altro ai loro posti di prima classe, ma nonostante tutti i comfort presenti, non riuscivano a sentirsi a proprio agio.
L’atmosfera iniziava a farsi pesante e un certo imbarazzo si aggirava intorno a loro.
Nessuno dei due sapeva come iniziare una conversazione.
D’altro canto non erano le persone più socievoli al mondo, anzi: il primo era fortemente selettivo con le persone e bisognava necessariamente prenderlo per il verso giusto se si voleva avere un qualsiasi rapporto con lui (a meno che non fosse lui a farsi avanti per primo di sua iniziativa).
Insomma un uomo socialmente… difficile.
Il secondo, per formazione oltre che per una personale questione di carattere, era poco predisposto a socializzare e basta.    
In una situazione normale, se si fossero trovati per caso, avrebbero scambiato giusto due parole di cortesia e sarebbe finita lì. Avrebbero potuto ordinare da bere, schiacciare un sonnellino, fatto le parole crociate o semplicemente fissare fuori dall’oblo, ma di fatto si sarebbero ignorati.
Ma quella non era una situazione normale. Nossignore.
Era in missione, stavano andando dall’altra parte del mondo per ottenere informazioni riguardo ad un possibile nuovo conflitto che avrebbe potuto lacerare il ventre dell’Africa. Come se già di norma non fosse un luogo travagliato.
La voce dell’hostess arrivò come un petardo –Gradite qualcosa da bere?-
-Sì!-
La risposta unanime e quasi urlata dei due la lasciò un po’ stordita
Inghilterra e Germania si scambiarono uno sguardo veloce leggermente imbarazzati.
-Prego scegli prima tu-
-Ci mancherebbe Beilschmidt chiedi tu per primo-
-No, davvero insisto-
-Ma ti pare, non farti problemi-
-Davvero, perchè non è un problema per me…-
-Ti assicuro nessun problema-
-Kirkland…-
-Guarda se continui, allora mi rifiuto di prendere da bere-
-Allora sta pur certo che non prenderò da bere neanch’io se la metti su questo piano-
-Che piano?-
-Quello delle minacce-
Inghilterra lo guardò male –E quando mai ti avrei minacciato?-
Germania assottigliò lo sguardo -Lo hai appena fatto dicendo che preferiresti non bere-
-E se non volessi davvero qualcosa da bere?-
-E allora perchè lo hai chiesto prima?-
-Potrebbe essermi passata! Sai dopo tutto è stato solo mezz’ora fa-
-Proprio dopo tutto questo parlare dovrebbe esserti seccata la gola-
L’hostess li guardò scambiarsi occhiatacce, completamente basita: “Ma che problemi hanno questi due?”
-Ehm… quindi?-
La tensione parve allentarsi.
-Ce li ha degli alcolici in quel carrello?- chiese l’inglese
Il viso del tedesco si distese
-Si ci sono, cosa vuole?-
-Dello scotch, senza ghiaccio e una bottiglia di acqua fredda-
Germania lo guardò strano.
-Ecco a lei- a quel punto la ragazza si rivolse a Ludwig –e per lei invece?-
-Una birra per me, grazie… ce l’ha tedesca?-
Lei annuì e gli versò una Beck’s in un bicchiere.
-Danke, fraülein… anche per aver aspettato che ci muovessimo a decidere-
-Si figuri- e con un ultimo sorriso proseguì oltre.
Il tedesco bevve un sorso della sua bevanda e lanciò uno sguardo al compagno di viaggio.
Lo vide versare dell’acqua nel whisky.
-Che strano, di solito non ci va del ghiaccio dentro?-
L’inglese gli rispose giusto prima di poggiare le labbra al bicchiere –Nah, per gustare appieno uno scotch non bisogna fare come in quei filmacci americani… il ghiaccio impedisce al whisky di rilasciare il suo gusto vero e pieno mentre un sorso d’acqua fresca ne libera il sapore- 
-Ah capisco-
Dopo aver bevuto Arthur fu visivamente soddisfatto.
-Scusa per prima- l’inglese lo guardò di sottecchi -non era mia intenzione mettermi a discutere per chi dovesse ordinare per primo-
Inghilterra bevve un altro sorso -Figurati, se avessi semplicemente scelto subito avremmo perso meno tempo, quindi siamo pari se proprio-
-Potevamo evitare però-
-Questo è vero-
Scese il silenzio per qualche secondo.
-Come sta Galles?-
Inghilterra inarcò un sopracciglio –Bene, gli hanno riconfermato la cattedra di Lettere a Oxford-
Germania sorrise compiaciuto –Ne sono felice, mi aveva parlato della sua passione per l’insegnamento-
-Non mi ricordo di averlo visto così contento da anni a pensarci bene… ma perchè questa domanda?-
Il tedesco bevve la sua birra –Era da un po’ che non lo vedevo alle riunioni del Comitato e volevo sapere come se la passasse-
-Uhm- grugnì l’inglese in un cenno di assenso
-Sai, James mi ha aiutato molto in passato- continuò Ludwig -Ho un debito di gratitudine con lui*-
Arthur fissò intensamente il liquido ambrato nel suo bicchiere come se si aspettasse che cambiasse colore all’improvviso. Poi se n’è uscì con una frase che colse di sorpresa il tedesco.
-Penso che Galles sia la persona che più mi conosca a questo mondo-
Germania percepì una strana atmosfera, di quelle che si formano quando qualcuno è sul punto di rivelare un qualche segreto. E si sentì a disagio.
Cercò di dire qualcosa per cambiare discorso ma l’inglese aveva oramai incominciato a parlare.
-Anch’io gli sono debitore. Nonostante il mio caratteraccio e il mio pessimo vizio del bere, mi è sempre stato accanto anche nei momenti peggiori. È sempre stato il mio braccio destro; quando in famiglia c’erano dei dissensi lui cercava sempre di raffreddare gli animi. Sul campo di battaglia ci siamo parati la schiena a vicenda e in più di un occasione la sua abilità di analisi mi è stata di grande aiuto. Probabilmente è il fratello che tutti vorrebbero avere-
Germania lo ascoltava in silenzio non sapendo che dire.
-Poche volte l’ho visto perdere le staffe- Arthur riprese a parlare dopo aver bevuto un altro sorso del su whisky –e, questo lo devo proprio dire, quando succedeva qualcosa di brutto ad ognuno di noi, lui c’era. Non che io non abbia mai provato ad essere un buon fratello, solo che avevamo ruoli diversi, io, Irlanda e quel testardo di Scozia. Galles invece c’era sempre e anche nel caso ti volesse fare la paternale, prima verificava che fosse tutto a posto-
Oramai il whisky era scomparso e dopo uno schiocco di lingua sul palato si rivolse a Germania puntandogli un dito contro (e facendogli venire quasi un colpo).
-Ah! Voi credete che oggi io beva tanto ma non mi avete visto un secolo e mezzo fa in che condizioni vessavo! Era un periodo davvero tremendo quello per il mio fegato e le quantità di alcool che ingurgitavo erano tali che – a quel punto abbassò la voce per far si che ad ascoltarlo fosse solo Germania -alle volte mettevo alla dura prova il mio stesso potere di rigenerazione-
Il tedesco lo guardò accigliato. Dovette ammettere che la situazione lo stava incuriosendo.
-So cosa stai pensando: ma è impossibile, e invece è vero. Noi- e dicendolo indicò sia lui che Ludwig –siamo immuni alle sostanze che creano dipendenza. Potremmo fumare tranquillamente tutte quelle erbacce che girano ad Amsterdam e non sentire quasi niente, se non una strana sensazione di rigetto, no? Eppure vi sono alle volte che anche noi possiamo stare male, per un po’ almeno. Lo sapevi questo?-
Germania negò con la testa.
-Beh io sono la prova vivente di questo fatto-
Germania cercò di intervenire ma fu tutto inutile.
-Era un giovedì sera mi pare. Ed ero sceso, in incognito ovviamente, in una bettola affacciata sul Tamigi. Bevo, bevo e bevo rum come fosse acqua. Non mi ricordo neanche come iniziò il tutto. Fatto sta che mi ritrovai preso in mezzo ad un gara di bevute con tutta quella plebaglia insolente. Non credevano che io avessi conosciuto Orazio Nelson e che avessi combattuto con lui ad Abukir e a Trafalgar-
-Hai combattuto ad…-
-Te lo racconto un’altra volta, ora ascolta: dovevamo essere intorno al trentesimo bicchiere di quel giro infatti il tizio davanti a me, ne sono sicuro, aveva cambiato faccia almeno quattro volte, ad un certo punto un marinaio offese la sorella di non so chi e scoppiò una rissa tale da fracassare l’intero stanzone della bettola. Un tipo tra l’altro venne scagliato anche contro la finestra che dava sulla via e la ridusse in mille pezzi-
Germania cercò di tirare le fila del discorso: aveva Inghilterra davanti a se e, nonostante l’andazzo del discorso sembrasse uscire dal repertorio di un beone incallito, sapeva che era perfettamente sobrio. Gli stava confidando aspetti della sua vita passata che probabilmente pochi altri avevano mai sentito e lui non era intenzionato a chiedergli di più di quello che già gli stava raccontando, dato che in quel frangente era assai probabile che si stesse soltanto sfogando: non sia mai che poi lo accusasse di ficcare il naso dove non dovrebbe!
-Ma tutto questo che c’entra con…-
Inghilterra lo interruppe di nuovo –Adesso ci arrivo: dopo un epica scazzottata con una decina di loro, il mio stomaco mi tradì. Caddi in ginocchio rigurgitando… non scendo nei particolari perchè non fu un bello spettacolo. Comunque ad un certo punto mi afferrarono per il pastrano che avevo addosso, mi sollevarono di peso e mi gettarono nel Tamigi-
Germania lo fissò leggermente allibito.
Inghilterra dal canto suo gli rispose con una occhiata neutra –Era un brutto periodo. La guerra, i disordini, il Grande Ritiro… ma a dire il vero, il bere mi è sempre piaciuto. È solo che in certi periodi bevevo più del solito-
-E dimmi come hai fatto a cavartela?-
-Beh, sarei potuto tranquillamente finire in mare aperto e poi tormarmene a Londra a nuoto… sai quante volte in passato ho raggiunto la terraferma in questo modo attraversando la Manica? Ma fui più fortunato. A neanche pochi metri dal punto in cui mi avevano buttato, Galles saltò nel fiume e mi tirò a riva-
-Davvero?- Germania era davvero colpito -Galles ha fatto questo?-
-Certamente. O meglio, rischiammo l’affogamento un paio di volte, dato che come nuotatore non è mai stato alla mia altezza, però lo fece. Mi portò a casa tramite una carrozza pubblica e mi mise a letto. Fu una nottataccia quella. L’unica cosa che ricordo con chiarezza fu l’urlo di mrs Mildred quando ci vide sulla porta di casa che mi perforò la testa come se mi fosse esplosa accanto una granata-
-Fatto sta che James vegliò su di me tutta la notte e quando ripresi conoscenza mi chiese come mi sentivo, se vedevo doppio o altre cose così. Quando gli chiesi che era successo mi disse solo di pensare a riprendermi alla svelta. Perchè non se la sentiva di farmi un predicozzo nelle condizioni in cui ero. Disse che sarebbe stato come infierire su di una bestia già ferita. E poi non voleva vedermi così. Non voleva vedere suo fratello in quelle condizioni-
Arthur chiuse gli occhi per un istante rivedendo dentro di se gli attimi di quel frangente.
Si rese conto di aver ammazzato un po’ l’atmosfera con quel suo racconto. Doveva dire qualcosa per ravvivare un po’ la situazione o per lo meno non terminare il tutto con quell’uscita melodrammatica.
Si voltò verso Germania e lo trovò con il viso appoggiato sulle mani intrecciate. Una strana luce negli occhi.
Ahia, questo è male…
-Ehi, a dirla tutta non finì proprio così. A titolo di cronaca mi diede anche una testata subito dopo avermi detto quelle cose…-
-Inghilterra…-
L’inglese degluttì a vuoto. Il tedesco aveva uno strano e inquietante tono solenne nella voce.
-Sono profondamente commosso-
Inghilterra si sarebbe aspettato di tutto ma non una risposta del genere.
What the Hell?!
-Dico davvero. Non mi sarei mai aspettato che tu fossi in grado di aprirti così con qualcun altro!-
-Ma io veramente…-
-E pensare che tutti ti ritengono una persona chiusa, insofferente e costipata-
Arthur si sentì come se gli avessero dato una mazzata alla nuca.
-Chi diavolo ha detto che sarei un costipato?!-
-Ja! E dire che io non sono stato in grado di pensare a niente anche solo per intavolare una discussione formale. Sono un vero inetto-
Inghilterra sentiva che la situazione gli stava sfuggendo di mano: lui non voleva aprirsi proprio per niente! Non sapeva neanche perchè si era messo a raccontargli quella storia, ma diavolo, se avesse saputo che gli avrebbe causato eccessi simili ne avrebbe fatto anche a meno!
-Quindi per ricambiare la tua gentilezza…-
-Ma non c’è ne bisogno…-
-Ti racconterò qualcosa di mio-
Basta, aveva perso l’occasione di evitare la cosa.
Era fregato.
-Acqua in bocca però- disse facendosi serio -Esattamente come quello che mi hai raccontato non uscirà dalla mia, quello che sto per dirti dovrà restare tra noi due. D’accordo?-
Non fosse che avrebbe preferito altrimenti, quelle precauzioni accesero un bagliore di attenzione negli occhi di Arthur. 
Giusto una fioca fiammella.
-Si-
-Giuralo-
L’inglese roteò gli occhi al cielo –Te lo prometto, hai la mia parola-
-Molto bene- Germania si schiarì leggermente la voce per poi iniziò a parlare –è successo tutto una trentina di anni fa. Avevo chiesto ad Italia di raggiungermi per l’Octoberfest di quell’anno poiché gliene avevo decantato le lodi e il divertimento che avrebbero arricchito Monaco in quell’occasione-
Inghilterra cercò di mascherare il suo scetticismo ma Germania lo intuì lo stesso –Feliciano aveva fatto la tua stessa espressione. Ed io ero più che risoluto a fargli cambiare idea. D’altro canto sarai d’accordo con me che una festa è tale solo quando si può bere un vigoroso boccale di questa, vero?- 
Mentre parlava alzò leggermente il bicchiere di birra che aveva vicino a se, ammiccandogli un gesto con il capo.
Inghilterra non metteva minimamente in dubbio quel fatto. Solo gli riusciva difficile pensare a Ludwig Beilschmidt in modalità “spasso & divertimento”. 
-Beh per farla breve siamo andati in giro per la città e abbiamo provato tutte le qualità di birra disponibili. Più e più volte. Penso dieci litri per ognuna-
Arthur aveva vagamente presente cosa fosse un Octoberfest alla tedesca ma ciò che gli appariva strano era una altra cosa
-Non ce lo vedo Italia a bere così tanta birra-
-Oh, non aveva scuse. Offrivo io quel giorno-
Non penso che sia questo il punto…
-Fatto sta che spinti dall’euforia abbiamo continuato a bere tutta la notte. Solo che ad un certo punto fu il buio-
Inghilterra inarcò un sopracciglio –Il buio?-
-Si, il buio. Non ricordo precisamente che cosa accadde ad un certo punto. I miei ricordi si fermano a quando ci siamo aggregati ad un gruppo di altri festaioli. Erano un membri di un circolo di amanti della birra… aspetta com’è che si chiamavano? Ah sì, Gli Amici del Luppolo o Přátelé Chmele in ceco-
-Il nome è tutto un programma- sogghignò sarcastico l’inglese
Il tedesco non trattenne un sorriso –Vero?-
-Va beh, vi siete uniti a questo gruppo e avete fatto festa. Non ti ricordi niente per via della sbronza- Arthur non volle dire che gli pareva strano o impossibile che Germania non ricordasse assolutamente niente, perchè per il loro sistema immunitario bastava una presa di coscienza per espellere qualsiasi sostanza annebbiante nel giro di pochi minuti. Con i ricordi ci voleva più tempo forse ma ciò non toglie che sia fattibile: evidentemente il tedesco non voleva scendere nei particolari –non ci vedo nulla di eccezionale, almeno per me. Non ti ho forse detto che mi hanno gettato nel Tamigi?-
-Ti ho detto che non ricordo niente di quella notte. Non del mattino successivo-
Il tono di Germania si era fatto velatamente tragico.
-E quindi? Che è successo il mattino dopo?-
-Non lo immagini?-
Inghilterra non capiva, poi finalemente ebbe un illuminazione.
-Oh-
-Già, oh-
Arthur iniziò a mettere insieme i pezzi: sarà successo un qualche casino di sicuro, si disse.
-Mi sono risvegliato in un letto non mio, in quella che sembrava una suite d’albergo. Ed ero nudo-
Inghilterra esitò un momento ma dovette dire che si stava incuriosendo –E va beh, eri nudo e quin...-
L’inglese si fermò immediatamente, un lampadina accecante accesa nel cervello.
-Ti sei ritrovato con una perfetta sconosciuta nel letto?-
Germania annuì, leggermente arrossito in volto –Non era proprio una sconosciuta... era una del gruppo che ti ho detto...-
Arthur si mise una mano sul volto. 
Poi iniziò a sogghignare.
Poi lo sghignazzo si trasformò in risata.
La risata sfociò in riso convulso, tanto che alcuni dei viaggiatori vicini guardarono nella loro direzione confusi.
Germania, che non si aspettava certo quella reazione, lo scosse e gli urlò contro a bassa voce in tedesco
-Eh?- tra un getto di risa e l’altro Arthur riuscì ha formulare la frase -Che hai detto?-
-Che caspita ridi?! Kretin!-
-Questa l’ho capita-
Inghilterra gli tirò un pugno sulla spalla, che probabilmente il tedesco neanche sentì –Brutto bastardo! So che quello che ti sto per dire suona un pò da Francia, ma sei un maledetto fortunato! Dovresti bere più spesso, almeno hai la scusa per scioglierti un pò!-
Ludwig abbozzò un sorriso stentato.
L’inglese voleva chiedergli che tipa fosse, che aspetto avesse, ma si rese conto di quanto inopportune potessero essere quelle domande.
Diavolo, non voleva passare per pettegolo o peggio per un arrapato malizioso come chi sapeva lui...
Decise di puntare a qualcosa di più soft.
-Però non capisco, scusa. Hai avuto l’occasione di fare una... a-ehm, avventura completa, cosa che di solito non ti capita perchè sei sempre li rigido come un manico di scopa...-
-Ehi!- lo rimproverò lui
-Che cosa c’è che ti turba?-
-Niente. Solo che il racconto non è ancora finito-
Inghilterra smise subito di ridacchiare.
-Dopo aver assimilato la cosa, sentii il bisogno di prendere una boccata d’aria e uscii dalla mia stanza con addosso un accappatoio che avevo trovato nel bagno. Indovina chi mi vidi arrivare nella direzione opposta?-
Gli rispose con un sorriso sulle labbra –Italia-
-Jahwol. E portava con se un vassoio con su due bottiglie d’acqua e un paio bicchieri-
-Ah! Ha rimorchiato anche lui-
Poi il sorriso gli morì sul viso vedendo l’espressione del tedesco.
-Germania...-
Ludwig riprese serafico il discorso -Quando mi passò di fianco dopo avermi salutato cordialmente, gli chiesi nel tentativo di fare dell‘ironia, anche se mi uscì in maniera piuttosto stupida a dire il vero, se per caso avesse ancora sete nonostante i bagordi del giorno passato. E sai che mi ha risposto?-
-Non lo so. Che ti ha detto?-
-Testuali parole: Io? Per niente. Ma le ragazze avevano sete quindi ho pensato di portare loro dell’acqua-
La mascella di Inghilterra si abbassò vertiginosamente.
-E ha continuato: Sai Germania, mi devo ricredere. Questo Octoberfest è proprio divertente, si incontrano persone interessanti. Magari l’anno prossimo lo rifacciamo, che ne dici?-
Inghilterra sembrava avere una paresi alla suddetta mascella. Ma Germania sembrava non avere ancora finito
-Ragazze? gli feci io. Si, le due gemelle polacche che abbiamo conosciuto ieri sera, non ricordi? Molto simpatiche e sapessi che trucchetti conoscono da quelle parti...; poi senza darmi neanche il tempo di replicare si infilò nella sua camera, che era dirimpetto alla mia, venendo salutato giovialmente in polacco e chiudendomi la porta in faccia-
Germania si sentì come libero da un peso. 
Rivolse un occhiata al suo vicino e quasi gli scappò di ridere: Inghilterra era rimasto completamente di sale.
Arthur si risedette composto al suo posto, intrecciò le dita e si mise a pensare profondamente, senza pronunciare una sola parola o fare il ben che minimo rumore.


-Germania?-
-Si?-
-Al prossimo Octoberfest andiamo insieme, d’accordo? Sarò il tuo secondo in comando-
Ludwig non potè che annuire con una certa decisione.
-D’accordo. Ma non ti posso promettere niente-






* Per chi ne volesse sapere di più cerchi la fanfic di JhonSavor Germania dimmi… chi vuoi essere?; ovviamente essendo quella storia ambientata su Terra-1 va leggermente adattata al contesto di Terra-3, però l'essenza del discorso resta.




Angolo dell'Autore:

Okay avete il diritto di spararmi virtualmente delle offese se volete XD.
Questa prima parte di tre è essenzialmente introduttiva, avendo mostrato aspetti di queste quattro Nazioni che in se non hanno mai interagito più di tanto tra loro. è stato divertente tratteggiare i rapporti tra Alfred-Vash e Arthur-Ludwig sopratutto mostrando alcuni lati caratteriali che sono di queste loro versioni di Terra-3.
Svizzera è quello che mi ha dato maggiori soddisfazioni in generale e spero che possa piacere anche a voi.
Il viaggio è appena iniziato e se ne vedranno delle belle d'ora in poi.
Perchè le Nazioni pensano di sapere le regole del "gioco", ma si accorgeranno che non avranno tutti i pezzi migliori della scacchiera.

Eheheheheheh...

Comunque spero vi sia piaciuto. Ci rileggiamo al prossimo cap il cui titolo sarà Testimonianze da Pretoria e vi rammento sempre la fanfic parallela Ogni mondo è una storia a sè.
Bon, buone feste ancora e tanti auguri!


JS
 

 

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Capitolo 6
*** 05-Testimonianze da Pretoria ***


Rieccoci tutti qui dopo neanche venti giorni... stiamo migliorando! XD
Okay come saprete/spero vi ricordiate sarò con voi ancora per questa volta e la successiva per questo arco narrativo uno-in-tre (in origine dovevo scrivere tutto in un capitolo, ma ne sono saltati fuori tre...) poi la palla toccherà nuovamente a Sokew86 (salutatela!).
Vi faccio il punto per chi si sia perso qualcosa per strada: Siamo su Terra-3. Quello che significa davvero questa denominazione lo capirete meglio con il passare della storia.

Ad un certo punto le Nazioni Europee ricevono una richiesta da parte di Sudafrica riguardo alla sparizione di due suoi colleghi del Continente Africano e poco tempo dopo pure Vietnam li contatta in seguito ad una feroce aggressione (per chi si sia perso quei tragici momenti, è pregato di andarsi a rileggere il capitolo due). Gli Europei, bloccati dalla più potente di tutte le minacce globali (la burocrazia) decidono di inviare quattro di loro ad incontrare le due Rappresentanti: Inghilterra Germania verso la punta meridionale dell'Africa, mentre Svizzera America 
(si è aggiunto per via della piega che la situazione ha preso) nel Sud-Est Asiatico.

Nello scorso capitolo li abbiamo visti interagire tra loro arrivando a duri confronti ma anche a sconvolgenti rivelazioni (chiedete ad Arthur).
Che accadrà in questo cap? Beh il titolo è tutto un programma no? Ci vediamo di sotto!





Capitolo V: Testimonianze da Pretoria

 
 
Aeroporto di Hanoi.
 
-Non chiedere di calmarmi. Ti avverto-
Svizzera aveva mosso qualche passo sul suolo vietnamita giusto da un paio di minuti e solo alla candida domanda di America “Allora come facciamo a raggiungere Vietnam?”, Vash si rese conto che non aveva idea di dove si dovessero dirigere.
Quando gli avevano detto che, dato che non si fidava di nessuno, Lan era andata a rifugiarsi in una delle sue basi segrete, la sua conclusione era stata che aveva fatto bene, che era stata una buona mossa.
E non gli era balzato minimamente al cervello di domandare dove si era nascosta.
Ed ora era li al telefono mentre Alfred si occupava dei bagagli, a parlare con Galles per cercare di risolvere la cosa
-Non te l’ho chiesto, ma dovresti. Avere scatti d’ira nuoce alla salute non lo sapevi?-
Humour inglese, come lo detesto
-Ti ricordo che sono gallese, io. Le terribili freddure le lascio a mio fratello-
Svizzera guardò stupidamente lo schermo del suo smartphone con espressione basita.
-Che fai ora? Leggi nel pensiero?-
-No. Semplicemente ho tirato a indovinare-
-Senti ho girato intorno al mondo su un maledetto aereo per venire qui e solo per farvi un favore… quindi vedi di non farmene pentire-
-E di questo ti siamo grati Svizzera-
Dal tono capì che era sincero. Come ce la si poteva prendere con uno così?
-Non ti abbiamo informato prima perchè onestamente neanche noi sapevamo dove la signorina Lan si era nascosta-
-Significa che ora lo sapete? Dove si è cacciata Vietnam?-
-Si e no… è complicato-
Svizzera roteò gli occhi –Falla semplice-
-Poche ore fa abbiamo ricevuto la chiamata dalla signorina Lan. Grazie a lei sappiamo dirvi cosa dovete fare per raggiungerla-
-E quindi?- nonostante tutto forse la pazienza poteva perderla comunque –Stringi Galles, arriva al sodo. Cosa dobbiamo fare?-
-Usciti dall’aeroporto dovreste imbattervi in negozio di fiori. Andate li e comprate un orchidea ciascuno-
Svizzera pensò di aver capito male.
-Come?-
-Non ho finito. Al momento del pagamento la fiorista vi chiederà se sono per qualcuno in particolare e tu dovrai rispondere “Sono per una splendida donna dai capelli color dell’ebano. È solita indossare un cappello a campana. È forte e fiera. Rispecchia a pieno questo paese”-
Vash stava iniziando a credere che lo stesse prendendo per i fondelli.
-Stai scherzando vero?-
-Detto ciò- la voce di James era imperturbabile -le mostrerai il nostro sigillo di riconoscimento e lei saprà che siete quelli giusti. Da lì in poi riceverete altre istruzioni-
Svizzera si mise una mano sugli occhi.
Iniziò a venirgli un principio di emicrania e sapeva benissimo che il jet-lag non c’entrava assolutamente niente.
-Hai capito?-
-Si ho capito… ma dimmi perchè diavolo dobbiamo fare tutto questo spettacolino?-
-Ci sono vari motivi legati alla sicurezza questo è certo… e poi perchè vuole che le portiate delle orchidee-
-Giusto- dopo molto tempo Svizzera sentì il bisogno di fare del sarcasmo –stupido io a non pensarci. E perchè dovremmo portargliele?-
Vash non potè dirlo ma era sicurissimo che Galles stesse sorridendo, seduto dietro alla sua scrivania a Londra.
-Ma per renderle omaggio, no?-
 
America arrivò, con due semplici valige a tracolla, proprio nel momento in cui Svizzera interruppe la chiamata.
-Allora Vash, che ti hanno detto?-
L’interpellato lo fulminò con lo sguardo –Taci e seguimi, Jones. Non sono proprio in vena di scherzare-
-Brrr, che paura- lo sfottò l’americano –Lo sai che essere costantemente nervosi e agitati fa male alla salute?
 
 
 
Pretoria: sala d’attesa dell’ufficio di Aisha Kirkland, Sudafrica
 
Inghilterra e Germania erano giunti li direttamente dall’aeroporto di Pretoria.
Non si erano concessi pause o altro, se non un breve caffè mentre aspettavano l’arrivo dei bagagli.
Dopo dodici ore seduti, la voglia di muoversi e di tornare al lavoro li spingeva a non perdere tempo inutilmente.
Giunti al palazzo del Governo, superarono tutti i blocchi di sicurezza mostrando solo il Sigillo.
Una volta dimostratane l’autenticità, praticamente per le guardie quei due sarebbero potuti anche andare a sedersi direttamente sulla poltrona del Presidente.
Non che loro potessero davvero farlo, i due Rappresentanti lo sapevano bene, ma l’importante era che quelle persone lo pensassero.
O lo temessero…
Fatto sta che la loro corsa si fermò davanti alla porta laccata dell’ufficio della sorella di Arthur, che si trovava in riunione, e dovettero così attendere sulle solite scomode seggioline che si trovano sempre fuori dalla porta di qualche pezzo grosso.
Se non altro la segretaria di Sudafrica era davvero carina…
-Smettila-
Germania si voltò verso il suo collega
-Di fare cosa?-
-Di guardare la segretaria di Sudafrica-
Il tedesco impallidì –E cosa ti fa pensare che…?-
-Te lo si legge negli occhi. Ed è pure maleducazione-
-Ma smettila!-
-Ma smettila tu! Damn, dopo aver scoperto che razza di mandrillo sei devo evitare che tu vada a provocare casini internazionali…-
-Inghilterra, ricorda che hai promesso…-
-È mio dovere vigilare sulle povere donzelle del Commonwealth-
-Sei ridicolo-
-Neanche più di tanto-
Inghilterra guardò divertito il voltò visivamente seccato del tedesco e con un sospiro ammise –Sto scherzando Germania. Cielo, quanto sei serio-
Ludwig gli lanciò un leggero ghigno –È proprio vero che voi inglesi avete un pessimo senso dell’umorismo, perchè non avresti fatto ridere nessuno… allora è probabile che anche l’altra voce sia vera alla fine…-
Arthur lo guardò piccato –E sarebbe?-
-Che hai fornelli fate pena-
Inghilterra iniziò a dare fuoco e fiamme –Ma sarete bravi voi! I migliori chef sono i nostri-
Germania lo guardò serissimo, come se stessero discutendo di una questione di stato –Le guide gastronomiche dicono il contrario-
-Go to Hell, tu e le guide gastronomiche del…-
Due colpi di tosse si fecero sentire dall’altro capo della stanza.
I due si voltarono.
La segretaria fece cenno loro di stare calmi, di abbassare la voce, e di rimettersi seduti.
Ora!
Con un colpo di tosse Inghilterra si rimise seduto al suo posto, mentre Germania ridacchiava sotto i baffi.
-Stavo scherzando Inghilterra-
-Uhm, non proprio temo…-
Germania lo vide chiudere gli occhi e mettersi a braccia incrociate. Così impettito sembrava voler trasmettere un immagine altera di se.
-Comunque…-
-Cosa?-
Inghilterra parlò a voce talmente bassa che quasi Germania non lo sentì
-La segretaria di Alice è molto carina-
 
 
-Signori, mi scuso per avervi fatto attendere più del dovuto…-
Sudafrica, Aisha Kirkland, sorella adottiva di Inghilterra aveva appena fatto la sua entrata in scena in completo da ufficio.
Era una splendida donna africana, slanciata, con i capelli ricci tenuti corti e un sorriso radioso. O almeno quest’ultimo era stato detto tale in circostanze più gioiose di quelle che stavano vivendo in quel momento. E non era solo per il mistero della scomparsa di due suoi “colleghi”.
-…ma la riunione si è protratta più a lungo del previsto. Jala, vedi di non fare entrare nessuno. Fin tanto che questi due signori saranno qui sono impossibilitata a incontrare chiunque-
Per Germania quella era una delle poche volte che aveva avuto l’occasione di parlare a tu per tu, o quasi, con Sudafrica. In più di due secoli le volte in cui i loro cammini si erano incrociati potevano essere enumerate sulle dita di una mano.
Onestamente non la conosceva più di tanto, se non per le solite voci di corridoio, e che facesse Kirkland di cognome perchè più di un secolo e mezzo fa Arthur l’aveva presa con sè.
-Non devo far entrare proprio nessuno Aisha?-
La donna rimase per un secondo in silenzio –Solo nel caso riguardasse Madiba, d’accordo?-
Ludwig pensò di essersi perso qualcosa e chiese a sottovoce a Arthur –Chi sarebbe Madiba?-
L’inglese alzò gli occhi al cielo come in segno di sconforto –Sta parlando di Mandela-
Ah, si disse, e come potevo saperlo?
Detto questo Sudafrica si voltò verso di loro e con un gesto elegante indicò la porta del suo ufficio.
-Prego venite. Abbiamo molte cose di cui parlare-
 
 
 
Da qualche parte nelle foreste del Vietnam settentrionale
 
-No davvero, sei incredibile-
Svizzera sentiva che non sarebbe tornato a casa vivo.
Ma se nel caso ci fosse riuscito, al diavolo l’Europa, nulla l’avrebbe più schiodato dalla frescura dei suoi monti alpini.
Messisi in contatto con i sottoposti di Vietnam, i due occidentali erano stati fatti uscire di nascosto da Hanoi e portati in aperta campagna.
Arrivati presso uno villaggio sperduto nel verde, vennero caricati su uno scassato camioncino che probabilmente aveva visto giorni migliori, ma erano quasi certi, o almeno America lo aveva fatto notare, che potesse essere un loro coetaneo.
Lo scassone li trasportò fino alle propaggini di una mulattiera che si andava ad immergere nelle rigogliose e profonde foreste vietnamite.
Svizzera ebbe quasi un mancamento quando vide che ad aspettarli c’era una nuova guida e un paio di muli.
E non perchè non fosse abituato a luoghi impervi o a cavalcare in groppa a quadrupedi di bassa lega, lui che di stretti passaggi inerpicati su per i monti se intendeva più di tutti, ma per il fatto che il loro viaggio si stava trasformando in una vera odissea.
Le misure di sicurezza e le precauzioni che Lan aveva imposto intorno a se lo misero in allarme. Erano segnali inequivocabili di come il loro contatto fosse in preda ad un profondo timore, ai limiti della paranoia.
E fu così che si incamminarono lungo quel nuovo ostacolo.
Lui. America. E tre ceste di orchidee.
-A te che importa, Svizzera?- gli rispose Jones che camminava affianco al suo mulo, occupato a trasportare le ceste –Dei due sono io quello che se la fa a piedi, quindi non ti preoccupare-
-Ti dico solo che sei un maledetto esagerato-
Svizzera si mise le mani sugli occhi… ma perchè non lo aveva fermato?
 
-Scusa, ma perchè abbiamo comprato queste orchidee?-
I due erano fuori dal negozio ognuno con la sua brava pianta in mano.
-A detta di Galles servono per “rendere omaggio”-
-A chi?-
-Ma a Vietnam, no?- gli rispose spazientito
America si irrigidì e in quel momento arrivò la macchina che li avrebbe scortati fuori città, come la fioraia gli aveva detto.
-Aspetta un attimo qui-
Svizzera lo vide rientrare nel negozio e, sbuffando, pensò bene di entrare nella macchina preferendo aspettarlo seduto.
Dopo pochi istanti la portiera si riaprì e una valanga di orchidee invase i sedili posteriori, sconcertando il biondo.
-Che cavolo significa questo?!-
Alfred si posizionò davanti vicino all’autista, che dal canto suo era allibito come lo svizzero –Lo hai detto tu, no?-
-Io? Cosa avrei detto io?-
America si mise la cintura.
-Sono un omaggio-
Svizzera si arrese abbandonandosi sul suo sedile. 
Ma perchè aveva detto di sì a Belgio?
 
Vash evitò volutamente di continuare a rimuginare. C’erano già troppe domande dal tono lamentoso che iniziavano con un Ma perchè… per i suoi gusti.
E lui non era il tipo che si lamentava per nulla.
In quel momento poi sapeva pure di poterselo permettere e non lo faceva lo stesso.
Era una cosa che non sopportava in sè e per sè.
-Senti Svizzera…-
L’interpellato voltò la testa e abbassò lo sguardo –Che c’è?-
America camminava impettito e con lo sguardo fisso davanti a sé –Non ti sembra strano tutto ciò?-
Vash inarcò un sopracciglio –Che intendi? Il fatto che stiamo seguendo un percorso segreto in mezzo alla jungla per raggiungere il rifugio di Vietnam?-
A pensarci gli faceva un po’ effetto. Non erano state poi molte le volte in cui aveva visitato luoghi tanto esotici.
-No non quello. Mi sto domandando chi siano queste persone. Insomma non hanno per niente l’aria di agenti del governo vietnamita e per di più ci stiamo muovendo in tutti i modi per non dare nell’occhio… inizio a pensare che i capi di Lan non sappiano che siamo qui-
Svizzera ebbe un leggero sussulto.
-Sarebbe alquanto irregolare…-
-Cosa?-
Ma il biondo sembrava parlare tra sé e sé.
-… specie dopo il Grande Ritiro…-
America lo guardò strano –Svizzera?-
-Potrebbero… potrebbero essere una specie di unità personale di Vietnam…-
America non potè che guardarlo storto -Parli di persone che sanno chi è lei in realtà e che non sono del governo? Sarebbe molto irregolare, non solo alquanto-
-Già. Che gli sarà venuto in mente a Vietnam?-
Svizzera si prese il mento con una mano e si fece meditabondo.
I suoi pensieri vennero nuovamente interrotti dall’americano -Ehi Vash... potresti dimenticarti quello che ti ho detto?-
Il biondo si voltò guardando la Nazione Americana come se avesse appena detto una cosa irripetibile
-Che dici?-
-Ti chiedo di non metterlo nel tuo rapporto… rischieremmo semplicemente di alzare un polverone inutile, specie in un momento delicato come questo-
Lo svizzero rimase leggermente stupito
-Uhm…-
-Anche perchè… non è l’unica ad avere certi segreti…-
Il pensiero di Alfred andò ad una certa riserva indiana, ad un vecchio nativo che ben conosceva.
Vedendolo così serio Svizzera si lasciò andare ad un sorrisetto.
-Non dirò niente se lo farai anche tu…-
America si voltò verso di lui, guardandolo con riconoscenza.
-D’altro canto chi non ha mai intrecciato rapporti con civili dopo il Grande Ritiro?-
-Già… pensa che mio fratello Australia convive con una ragazza di origini aborigenee che ha conosciuto a Sidney-
-Davvero?-
Questa non l’aveva ancora sentita.
-Oh sì. Sapessi le berciate di Galles quando lo ha saputo…-
A quel punto pensò di aver capito male –E perchè scusa? Non approva forse il fatto che stiano insieme?-
-Ma no figurati… è solo che se l’è presa perchè non si sono ancora sposati!-
 
 
 
Pretoria, ufficio di Aisha “Alice” Kirkland, Sudafrica
 
Sudafrica chiuse la porta dietro di sè. Ora potevano parlare liberamente.
-Innanzitutto, grazie per essere venuti-
Germania le strinse la mano che gli stava tendendo –È un piacere per me conoscerla, fraülein Kirkland. Sono Ludwig von Beilschmidt, il Rappresentante della Germania-
-Piacere mio conoscerla. Non penso di aver mai avuto l’occasione di parlare direttamente con lei, sa?-
-Ja. Non abbiamo mai avuto modo di conoscerci-
Aisha era rincuorata dallo scoprire che Ijalimani* fosse una persona così a modo. 
Le voci che circolavano sul conto suo e del fratello non erano sempre state lusinghiere: un eredità degli anni quaranta, mia cara Alice le disse una volta Inghilterra.
Già, la guerra. Il Nazismo. I campi.
Aisha ne aveva incontrati di uomini, e donne, che occultavano la loro vera natura con una facciata di persone per bene. 
Sapeva che era dietro i sorrisi che talvolta si nascondono i pugnali.
Però più lo guardava e meno riusciva a identificare quell’uomo secondo questo criterio.
Le trasmetteva uno strano senso di rigore e disciplina, nei modi in cui si poneva, la schiena eretta e composta, l’estrema cura della sua persona...
Che fosse quella la cosiddetta marzialità tedesca?
-Ehi, sorellina, vedo che ti tratti bene! Non eri tu quella che diceva che non beveva?-
Le due Nazioni si voltarono e videro Inghilterra nell’atto di versarsi un pò di Cognàc che aveva trovato su un tavolino affianco alla parete.
-Brother!-
Quella invece non doveva per niente essere la tanto decantata etichetta inglese.
-Uhm...- mugugnò Arthur dopo essersi bagnato le labbra -davvero ottimo! Germania vuoi che te ne versi un pò?-
Inghilterra tutto preso, non si rese probabilmente conto che Ludwig in quel momento avrebbe preferito che la terra lo inghiottisse per l’imbarazzo. Essendo la cosa fisicamente impossibile non potè fare altro che mettersi una mano sugli occhi, sconfortato.
-Fratello! Ma ti pare il modo di comportarsi!?-
La donna gli arrivò praticamente sotto gli occhi, guardandolo severo.
Lui le ricambiò lo sguardo, il bicchiere appoggiato alle labbra, con un sopracciglio alzato.
Inghilterra sorrise leggermente, appoggiò il bicchiere sul tavolino; prese poi la mano di sua sorella e gliela baciò con affetto.
-Ti chiedo scusa Alice. Volevo solo vedere come avresti reagito-
Germania lo guardò leggermente allibito, anche se meno di come lo sarebbe stato solo fino al giorno prima: aveva capito come il carattere di Arthur fosse composto da sfumature particolari, come se fossero a volte immerse in una nebbia. 
In una fitta nebbia londinese.
Aisha all’inizio non rispose alle parole di scuse del fratello, ma all’improvviso lo strinse forte a sè.
-Alice...-
-Sei un cretino. Ci vediamo dopo tutto questo tempo, e in un momento delicato per di più, e ti metti a fare stupidi scherzi... you idiot-
Inghilterra ricambiò l’abbraccio e le mise una mano sulla testa –Andrà tutto bene vedrai. Si sistemerà tutto-
Germania sentì quasi di essere di troppo.
Ma alla fine si ricordò il vero motivo per cui avevano fatto tutta quella strada.
-Ah-ehm-mm...- borbottò con una certa carica nella voce.
Attirata l’attenzione dei due Kirkland, riprese a parlare –Non credete che sia meglio iniziare? Come lei ha puntualmente ricordato, fräulein Südafrika, ci sono molte cose di cui discutere-
La Nazione africana sciolse l’abbraccio e si diresse verso la sua scrivania –Ha perfettamente ragione, è meglio se iniziamo subito… prego sedetevi-
Quando ciascuno raggiunse il proprio posto, e Arthur finì il proprio liquore, Aisha iniziò a raccontare.
-Tutto è iniziato in seguito ad una serie di conflitti scoppiati nella zona equatoriale e che avevano come epicentro l’Uganda; le Nazioni circostanti, dal Congo al Sudan alla Tanzania erano già a loro volta coinvolti in conflitti tribali o tra eserciti regolari e forze secessioniste. Insomma è tuttora una delle regioni più infuocate dai conflitti ed è una situazione che si protrae dalla metà degli anni ’80. Nonostante tutto l’Uganda era il paese che più gettava benzina sul fuoco-
-E Uganda ha avuto qualche ruolo in tutto ciò?- chiese Germania
Sudafrica sospirò –Lui è al comando di un suo plotone all’interno dell’esercito regolare. Ma non ha un ruolo gerarchico alto… e nessun aggancio politico. È schierato con il suo paese, non può far altro-
Inghilterra proseguì serafico –Pensavo che ci avessi chiamato per discutere di Kenya e Congo che sono scomparsi… che c’entra Uganda?-
-Niente… o forse tutto-
I due europei si guardarono negli occhi, per poi riportarli su Sudafrica.
-Spiegati- le chiese il fratello
-La prima ad essere scomparsa è stata Kenya*. Tegla è stata la prima ad uscire dalla brutta situazione in cui si era venuta a trovare e dopo le elezioni di alcuni anni fa*, è anche la Nazione con maggiore stabilita politica. Grazie al suo impegno all’interno del governo si è fatta al contempo promotrice di un ravvicinamento diplomatico per chiudere i vari conflitti. E infatti, sono un po’ diminuiti d’intensità-
-Verdammt! Che coraggio questa Tegla, deve essere una donna davvero in gamba- proclamò Germania con una certa ammirazione nella voce.
-Io l’ho conosciuta all’epoca del colonialismo e devo dire che questo è tipico di lei- ammise sorridendo Inghilterra.
-Fatto sta che il progetto ha richiesto anni e non è ancora concluso. Poi qualche tempo fa scompare nel nulla-
-In etwas?-
I due Kirkland lo guardarono all’unisono con un certo stupore.
Germania resosi conto di aver parlato in tedesco si corresse –Scusate, volevo dire “nel nulla?”-*
-Si. Sul momento non stupì nessuno. Tegla non era la prima volta che si assentava e poi tutti noi abbiamo una certa mobilità, no?-
-Già. Mio fratello Gilbert per esempio gestisce un attività tutta sua oltre a darmi una mano al Reichstag-
-E saprai bene che nostro fratello ha una cattedra ad Oxford*- aggiunse Inghilterra.
-Quindi non vi è difficile immaginare perchè sia passato un po’ di tempo prima che la cosa iniziasse a far insospettire almeno me. Poi ecco che qualche giorno fa Congo rimane coinvolto in uno scontro a fuoco e scompare nel nulla. E questo l’ho scoperto tramite i funzionari dell’ambasciata canadese, pensate un po’-
-Insomma quello che ci stai dicendo, in soldoni, è che qualcuno avrebbe rapito due Nazioni fortemente coinvolte in un conflitto che stava finalmente per giungere al termine…-
-Già e penso proprio che l’epicentro di tutto sia in Uganda. Anzi vi dirò di più, ho l’impressione che siano coinvolte anche fazioni all’interno dei governi colpiti e che abbiano favorito gli eventi-
Inghilterra, a braccia incrociate, non potè evitare di guardare scettico la sorella, mentre Germania sembrava immerso nei suoi pensieri.
-Lo sai vero che stai facendo delle accuse terribilmente pesanti e che se si rivelassero sbagliate avrebbero le ripercussioni di un ciclone?-
-Le avrebbero comunque. Per questo ho contattato voi e non i miei vicini. Potreste agire come osservatori esterni e scoprire cosa c’è sotto-
La donna si fermò un momento riprendendo fiato –Dobbiamo trovarli Arthur-
-Quindi non prendi neanche in considerazione l’altra ipotesi?-
Germania aveva nuovamente catalizzato su di se tutta l’attenzione.
-E sarebbe?- domandò Sudafrica
Inghilterra parve capire –È una cosa di cui abbiamo discusso durante il summit a Bruxelles…-
-Ovvero che Congo e Kenya possano essere stati rapiti in quanto Nazioni… e non solo perchè importanti pedine all’interno di un conflitto, che per quanto terribile a quanto ci dici, è pur sempre regionale-
Aisha rimase colpita dall’affermazione del tedesco. Ma non seppe dirsi se per la nuova ipotesi che le aveva proposto oppure per il modo in cui gliel’aveva detta. 
-Mi scusi se l’ho scomodata per parlare di “questioni regionali”, ma pensavo che fosse nell’interesse di tutti noi che la cosa fosse discussa-
-Non mi fraintenda la prego- le rispose il tedesco prontamente –stavo semplicemente constatando a livello generale. Ma ha ragione ho usato parole sbagliate, quindi la prego di accettare le mie scuse-
Sudafrica fece un leggero cenno di assenso e lo invitò a proseguire.
Assistendo a quel teatrino al limite del formalismo, Inghilterra non potè che alzare gli occhi al cielo.
-Quello che intendevo dire è che potrebbe benissimo trattarsi di qualcosa di molto più grande-
-Sta cercando di dirmi che qualcuno ci starebbe dando la caccia?-
-Non ho detto questo-
-Ma lo pensa-
-Manco per sogno-
Sudafrica si voltò verso Inghilterra –Allora sei tu che lo pensi?-
-Hai chiesto al fratello sbagliato-
La donna alzò un sopracciglio -Gal…?-
-America-
-Oh-
In un silenzio carico di significati, Aisha preferì non esplorare l’argomento e riportò lo sguardo sul tedesco –Avanti continui-
-La cosa è nata perchè mentre ci trovavamo al summit europeo, prima che Inghilterra decidesse di coinvolgere anche America, abbiamo ricevuto un’altra chiamata di aiuto proveniente da Vietnam-
A sentire quelle parole gli occhi di Sudafrica si spalancarono stupiti mostrando gli le iridi color nocciola –Vietnam? Che è successo nel Sud-Est Asiatico?-
-È stata assalita- si intromise Inghilterra –A quanto sembra, qualcuno ha inviato una squadra d’assalto per rapirla e da quanto ha visto pensa che fossero mercenari altamente addestrati-
Questa Aisha non se l’aspettava.
-Un momento- fece ordine nella sua mente per assimilare le ultime novità –ma questo cosa c’entra? No, intendiamoci, sono preoccupata per la signorina Lan però…-
-Però cosa?- le domandò Germania
-Non penserete che siano collegate, le due cose, cioè la questione di rapimenti e quello che è successo in Vietnam, vero?-
-È, come ho detto prima, una possibilità che abbiamo discusso- Inghilterra incrociò le braccia -il Consiglio è più o meno spaccato in due tra chi sostiene che sono solo casi isolati, e di cui quindi dovrebbero occuparsene coloro che sono del posto, e quelli che guardano con sospetto la strana coincidenza, e che di conseguenza si rivelerebbe come una minaccia comune…-
Sudafrica sembrò parecchio scettica –E che tipo di minaccia sarebbe? Cosa la renderebbe una “minaccia comune”, oltre a voler scatenare conflitti in zone sensibili?-
-Una guerra in larga scala per esempio- 
Germania si pronunciò con una serietà tale che per un attimo Sudafrica fu portata a prenderlo sul serio. Ma solo per un attimo.
-Ma scusate, se ciò fosse vero, non vedete una contraddizione di fondo? Passi per il mio continente, ma in Vietnam non vi è una situazione tale da far scatenare un conflitto. Se qualcuno volesse fare una cosa come dite voi, perchè non colpire direttamente in un punto nevralgico come, che so, Israele?-
Il ragionamento della donna era liscio e chiaro.
-Ha ragione, e probabilmente se si fossero rivelati atti terroristici li avremmo trattati come tali. Avremmo contattato i Servizi Segreti e avremmo lasciato il compito a loro. Ma il fatto è che nessuno ha ancora rivendicato niente-
-E inoltre sono stati coinvolti dei nostri simili- aggiunse Inghilterra -Lei era l’obbiettivo. E comunque tu la voglia mettere, uno Stato senza il suo Rappresentante è uno Stato debole e…-
-…uno Stato debole è uno Stato facilmente attaccabile- concluse Aisha per lui
-Esattamente-
Per alcuni istanti fu il silenzio.
Un silenzio carico di elettricità.
-Capisco quello che intendete… converrete con me però che la teoria di un complotto che penda sulle nostre teste è quantomeno ridicolo, giusto?-
-Certamente- le risposero all’unisono
-Capisco la preoccupazione bellica- aggiunse -ma che qualcuno rapisca i Rappresentanti per via della loro natura… è un idiozia no?-
Inghilterra sghignazzò –Una di quelle idee bislacche che potremmo trovare in un romanzo d’avventura-
-O in un fumetto per ragazzini- gli fece eco Germania
Aisha sorrise compiaciuta –Tornando su questioni serie, mi darete una mano per ritrovare Joseph e Tegla? Ne va della sicurezza dell’Africa Orientale-
-Faremo il possibile. Assicuraci però la tua collaborazione nel caso di Vietnam e penseremo ad un modo per risolvere la situazione-
-Ci mancherebbe. Come avete deciso di muovervi con Vietnam?- chiese incuriosita
-Abbiamo mandato Svizzera a compiere un indagine per noi- affermò piatto Inghilterra
-Svizzera? Zwingli si è fatto coinvolgere?-
-… e America è andato con lui- continuò Germania
Aisha sentì la bastonata chiara e forte sulla nuca
-America?! Avete mandato Jones in Vietnam? Ma che vi passa per la testa?-
-Si è offerto volontario-
Quella schiettezza aveva un che di disarmante e infatti Sudafrica sentì all’improvviso il bisogno di un bicchierino. 
E questo si che era strano.
-Spero che sappiate ciò che state facendo- disse loro alzandosi e dirigendosi verso il tavolinetto dei liquori.
Tremo al pensiero di cosa stia accadendo in questo momento in Vietnam…
 
 


 
 
* Germania in lingua Zulu. Tecnicamente in Sudafrica esistono 11 lingue diverse. Le più diffuse sono lo Zulu, Xhosa e Africaans, anche se tecnicamente quest’ultima copre un area maggiore a livello territoriale, nonostante sia la terza in ordine numerico. Aisha le ha imparate tutte e ciò fa di lei una delle nazioni maggiormente poliglotte al mondo e probabilmente seconda solo ad India, escludendo l’area europea.
 
* Per chi volesse sapere cos'è accaduto veramente, il capitolo 3 di Ogni mondo è una storia a sè esaudirà i vostri desideri ;)

* Se vi interessa leggete Kenya su Wikipedia.
 
* Tutti e tre stanno parlando in inglese non dimentichiamolo
 
* Di che fratello starà parlando? XD



Angolo dell'Autore:

Okay lo so, sono un bastardo. Vi ho lasciati con il finale tronco su come va a finire la missione di Svizzera e America.
Ma almeno sono stato esaustivo per quello che è successo in Africa no?
Questo è il cap centrale e avvengono un bel pò di cose.
Essenzialmente è meta-realistico (come piace a me :D) ci sono sia fatti reali che fatti inventati di sana pianta e spero davvero che vi sia piaciuto.
Vi aspetto al prossimo e conclusivo cap.
Ah un ultima cosa (anzi due) la questione di Mandela: il cap l'ho scritto quando lo storico leader era ancora vivo anche se gravemente ammalato. Prendiamola come una connotazione temporale e un piccolo cameo alla sua persona.
Seconda cosa i ringraziamenti a tutti quelli che ci leggono e a coloro che ci preferiscono (Callidea virgi_chan_12) e che ci seguono (HorealadyanarchicaSachi93Yuki_987). E un sincero grazie all'anima pia di IMmatura che ci recensisce: ti ringrazio a nome di tutti e due e sono contento che ti piaccia la storia e le nostre (folligeniali) trovate. Spero ti sia piaciuto anche questo!

A risentirci tutti alla fine del mese/inizio Febbraio!
Ciao,ciao!
JS

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Capitolo 7
*** 06-Testimonianze dal Vietnam ***


Ben ritrovati!
Però c'è da dire che Gennaio è passato in fretta, nevvero?
E finalmente siamo giunti alla fine della mia gestione dei cap (per il momento XD); e stavolta sarà tutto incentrato sull'improbabile trio di Vietnam, Svizzera e America. Elettrizati?
Beh io un pò lo ero quando l'ho scritto e devo dire che mi è piaciuto anche perchè ho potuto riutilizzare le lingue straniere. Avete presente nei film quando in certi passaggi lasciano la lingua originale e mettono i sottotitoli? Penso che siano incredibilmente belli e interessanti e diano maggiore significato alla scena.
Ecco in questo cap ho cercato di riprodurre questo metodo :)
Buona lettura!




Capitolo VI: Testimonianze dal Vietnam

 
 
Da qualche parte nelle foreste del Vietnam settentrionale, presso una scalinata in pietra
 
-Prego, salite questi gradini fino in cima. La troverete il rifugio della Bà*-
Svizzera scese dal mulo e con un inarcata fece scrocchiare un paio di vertebre, sentendo subito un certo sollievo.
Il viaggio non era stato il più comodo che avesse fatto ma neanche il peggiore.
Diede una rapida occhiata alla scalinata che si inerpicava su per il crinale del monte.
“Ma dove diavolo si è andata a nascondere quella là? Anche se devo ammettere che nessuno riuscirebbe a trovarla senza un qualche aiuto”
-Però che salita- fu l’affranto commento di America –se non altro siamo quasi arrivati-
-Già…- gli rispose il Svizzera iniziando la salita
Ad un tratto Alfred lo vide rivolgersi verso di lui –Non sperare che ti aiuti a portare le ceste. Tua l’idea, tue le responsabilità-
Gli sbuffò contro, seccato –Tranquillo, ce la faccio. Non ci contavo sul tuo aiuto, comunque-
La scalata durò una trentina di minuti ma fu impervia.
I gradini erano alti e stretti, e nonostante mostrassero una antica buona lavorazione, ora erano per lo più vittime dello scorrere del tempo.
L’incuria era visibile e in alcuni vi erano addirittura spaccature.
America, che dei due era quello che portava più peso, rischiò un paio di volte di perdere l’equilibrio mentre Vash si era chiuso in se stesso ignorando i tentativi di conversazione del compagno.
Era concentrato. Oramai mancava poco e finalmente avrebbe potuto portare a termine la missione che si era, anche se in maniera riluttante, preso la briga di intraprendere.
Svizzera era così.
Potevano anche essere cose che non gli andassero particolarmente a genio, ma quando prendeva una decisione, una linea di demarcazione o anche dover portare a buon fine una trattativa, con lui si poteva andare sul sicuro. Avrebbe risolto la questione con la massima concentrazione e prontezza di spirito.
Perchè lui era fatto così. Era una persona seria e professionale.
Sapeva trasmettere una certa sicurezza e affidabilità.
Era dovuto diventare così.
-Finalmente siamo arrivati-
America lo sorpassò divorando letteralmente l’ultima decina di scalini e una volta arrivato in cima, depose le ceste sul pavimento in pietra con un sospiro di sollievo.
“Dovevano iniziare a pesargli… bah, affari suoi”
Svizzera si guardò intorno: ero giunti in una altura pianeggiante e un sentiero lastricato conduceva la cima della scalinata alle porte di una cinta muraria.
Guardando oltre si poteva scorgere il rosso tetto spiovente di un edificio.
-Forza andiamo-
I due occidentali arrivarono fino al portone d’ingresso e con un leggero sforzo aprirono uno dei battenti.
America notò che benchè i cardini fossero ben oliati, quei battenti erano abbastanza pesanti perchè ci volessero almeno quattro persone per essere aperti.
L’interno di quella struttura isolata dal mondo, era particolare e curato.
Da una parte il giardino era tenuto come un aiuola ricca di fiori, dall’altra c’era uno spiazzo in terra battuta dove alcuni uomini e donne si stavano allenando nei Taolu, cioè nelle forme, di una qualche arte marziale.
-Viet vo Dao- affermò America.
Lo svizzero lo guardò con un sopracciglio inarcato.
-È la loro arte marziale. Anche se non saprei dirti quale corrente in particolare-
Vash annuì, quando vide che tutti si erano fermati e che ora li stavano fissando
Fu una situazione alquanto strana.
Loro due fermi e immobili davanti alla porta.
Il gruppo di vietnamiti fermo e immobile dall’altra parte del giardino.
Entrambi i gruppi si fissavano, gli uni non sapendo bene che fare, gli altri inespressivi come statue di cera.
America pensò che fosse il caso di smuovere le acque ma ancora una volta Svizzera lo anticipò.
-Nous sommes invités que votre Bà est en attente. Nous aimerions parler avec vous bientôt. Et si vous avez indiqué où nous pouvons le trouver, il serait beaucoup obligé(1)-
America dovette ammettere con un po’ di vergogna di non aver capito assolutamente niente di quello che Svizzero era aveva appena detto a quelle persone.
Sapeva solo che era francese, ma per lui poteva tanto aver offeso il buon nome dei loro nonni quanto avergli chiesto se quello era un centro benessere.
-Non pensi che sarebbe meglio…- gli bisbigliò
-Cosa, usare l’inglese?- gli domandò secco Svizzera, mettendosi una mano all’interno della giacca -Con quelli che, per quel che ne so, potrebbero essere dei nazionalisti xenofobi che si tramandano di generazione in generazione reliquie e cimeli delle guerre contro i giapponesi? No, non credo proprio*-
Svizzera stava per sfoderare le sue “credenziali” dal taschino interno, quando le porte del complesso principale si aprirono e una figura leggiadra dai capelli color dell’ebano raccolti in una lunga treccia, fece la sua apparizione avvolta in un Áo dài* bianco con ricami floreali di seta sopra un pantalone di seta verde.
Nessuno dei due europei la vedeva da mesi, Svizzera probabilmente da molto più tempo, ma ciò non aveva alcuna importanza. Perchè quella donna possedeva l’indistinguibile aurea, o sensazione come taluni preferiscono dire, di un Rappresentante.
Come se già l’incredibile carisma, l’autorità ferma ma soave che sapeva trasmettere ai suoi sottoposti, la delicatezza e la bontà di cuore che traspariva dalla sua persona non solo nei gesti convenzionali ma anche da quelli più naturali, elementi che ne manifestavano il suo possesso fin dalla nascita e non solo per educazione, non fossero già sufficienti segnali che indicassero Vietnam, Wang Thi Lan, come una donna straordinaria.
Una donna che sapeva essere sia un capo che una signora, una guerriera e una dama insieme, dalla femminilità prorompente.
-You have arrived at the end- disse con un tono compiaciuto nel quale, colse lo svizzero, vi era anche una punta di sollievo.
Scrutando i due, gli occhi di Lan incontrarono quelli di America e il tono della sua voce cambiò subito -At the proper time…(2)-
Nonostante tutto, Lan non era perfetta. Era una donna che poteva piacere, farsi piacere, oppure no.
Come tutti del resto. Ed è un fatto che in molti tendono a dimenticare.
Il gruppo di discepoli mostrò la sua reverenza a lei inchinandosi profondamente, ricevendo in risposta alcune parole in vietnamita che fecero riprendere loro gli allenamenti.
Svizzera e America le andarono incontro, sollevati di essere giunti finalmente alla loro meta.
-E quelle?- domandò la donna ai due indicando le ceste –che cosa sarebbero?-
America non trovò evidentemente le parole adatte e fu allora che, con un leggero sbuffo, Svizzera le porse l’orchidea che aveva comprato al negozio.
-Sono il nostro omaggio nei tuoi confronti, “splendida donna, forte e fiera, specchio di questo paese”- concluse con una punta d’ironia
Vietnam prese il fiore che l’europeo le porgeva e si ritrovò a fare i confronti con la quantità… esagerata che l’altro aveva portato con sè.
-Bene potete portatele dentro con voi. Venite, abbiamo molto di cui discutere-
 
Una volta dentro Vietnam li aveva fatti accomodare nella sala principale, offrendo loro cibo e bevande con cui riassestarsi dal lungo viaggio.
L’ospitalità venne molto apprezzata dall’americano mentre lo svizzero accettò solo del tè verde.
-Grazie per la tua gentilezza e il desiderio di metterci a nostro agio, ma sono qui con uno scopo ben preciso-
Le due Nazioni si guardarono attentamente, e Vietnam si ritrovò ad acconsentire –Penso che tu abbia ragione, Svizzera, e ti sono riconoscente per questo. Conosco di fama la tua tendenza a non immischiarti negli affari altrui e sono consapevole quindi di quanto questo tuo gesto valga. Te ne sono infinitamente grata-
Vash fece un leggero sbuffo: era la seconda persona che gli diceva quanto il suo impegnarsi in quella vicenda li rendesse molto riconoscenti nei suoi confronti. L’aveva già provata in passato ma gli faceva ancora uno strana effetto.
A quel punto Alfred non potè evitare una precisazione –Siamo qui con uno scopo ben preciso-
Vietnam gli lanciò un occhiataccia ma non disse niente.
-Ovviamente…- Svizzera non aveva intenzione di far degenerare la questione in alcun modo –sono i miei colleghi del Consiglio Europeo che dovresti ringraziare. Loro mi hanno affidato l’incarico, ma di fatto sono loro che hanno risposto alla tua chiamata-
-Bien sûr- gli rispose con la più assoluta naturalezza -Dès que je peux les remercier en personne(3)-
Il cambio di idioma lasciò i due al quanto basiti ma cercarono di non darlo a vedere, pensando che volesse farlo solo per ripicca nei confronti di Alfred.
Ma lei continuò imperterrita.
-Eh bien, monsieur, n'êtes-vous pas venu ici pour prendre mon témoignage, oui? (4)-
America serrò le dita della mano  in una presa d’acciaio e Svizzera non potè che stare al gioco. Lui era li per un unico e solo motivo, dopotutto.
E vi avrebbe adempiuto.
-Mais certainement(5)-
Sfilò un taccuino dall’interno della giacca e prese una penna che era infissa in una fibbia.
-Allora Vietnam…*-
-Chiamami pure Lan-
Gli occhi del biondo si spostarono in una frazione di secondo da quelli profondi e scuri della donna alla mano serrata dell’americano di fianco a lui.
A quelle occhiate lei reagì mettendosi semplicemente più comoda sul proprio cuscino –Se dobbiamo stilare un rapporto è meglio farlo senza gli impicci del formalismo, per di più se terremo la nostra conversazione in francese-
Svizzera sentì la malinconia per le sue montagne farsi più forte che mai.
-D’accordo Lan, ma gradirei che tu mi chiamassi Zwingli-
-Vash penso che vada meglio… è più semplice-
Svizzera sentiva America fremere nella sua postazione.
Tutto ciò era ridicolo.
All’improvviso, i tratti del viso della donna si fecero più seri e il tono della sua voce si fece freddo –Tutto è accaduto una settimana fa in una località nel Sud del paese. Mi stavo allontanando da Saigon dopo aver… compiuto alcuni affari in città-
Svizzera fu compiaciuto dal cambio di tono. Finalmente si faceva sul serio –E dove ti stavi dirigendo?-
-Verso Nord per ritornare alla capitale. Solo che decisi di fare una sosta a metà strada, in una delle mie… proprietà, simile a quella in cui ci troviamo ora-
-Eri sola? E perchè?-
-Volevo passare del tempo con me stessa, per rinfrancarmi. Sai, mi trovavo in una zona di campagna, tranquilla, vicina ai corsi del fiume-
-Capisco-
La donna si sporse in avanti attirando ancora di più gli occhi su di sé -Ed è lì che è accaduto-
Svizzera colse il riferimento –In quanti erano?-
-Una decina. Attrezzati di armi non letali, come i taser-
-Ma erano militari, giusto? Li avrai riconosciuti dalle divise immagino-
La donna negò con il viso –Erano mercenari. Non c’era niente, nessun simbolo, nessun segno che indicasse la loro appartenenza a qualche fazione militare o a qualche esercito regolare. Inoltre non saprei neanche dirti di dove fossero-
Svizzera smise di scrivere –In che senso?-
-Parlavano una lingua franca, a metà tra l’inglese e il francese… forse è un loro codice oppure provengono da una determinata area che ha portato ad un miscuglio linguistico non saprei-
Svizzera vergò una parola sul suo taccuino e poi iniziò a tamburellarsi il mento con la penna –Non posso negare che sia curioso come particolare, ma non credo che sia un elemento così importante. In ogni caso hai fatto bene a dirmelo-
Lanciò uno sguardo veloce ad America e lo vide più nervoso che mai, ancor più di prima.
-Lo sai che lo stai umiliando, vero?-
Vietnam non cambiò espressione –Non è rilevante adesso-
-Se è per questo neanche questo tuo comportamento è idoneo, Lan-
Al sentire nuovamente quel nome, anche se pronunciato in una lingua che non capiva, fece perdere le staffe all’americano
-Bạn không nghĩ rằng đó là thích hợp để hoàn thành nó, Lan? (6)- domandò serafico e a bassa voce
La donna gli rivolse uno sguardo stupito mentre Svizzera smise letteralmente di pensare per alcuni istanti.
Sentendo uscire quelle parole dalla bocca di America, il primo pensiero che gli venne in mente fu che era stato posseduto. Oppure che si trovava in piena crisi epilettica.
Alla fine si diede semplicemente dello stupido.
-Để làm gì? (7)- gli rispose lei ripresasi dallo stupore
America le si avvicinò, chinandosi in avanti –Cư xử theo cách này. Cố gắng để loại trừ tôi như thể tôi là không ở đây (8)-
-Bạn không nên ở đây- la risposta fu secca ed immediata -Tôi đã không yêu cầu sự giúp đỡ từ bạn(9)-
-Nhưng tôi đang ở đây, và thực tế là bạn bỏ qua tôi, nó làm tổn thương tôi(10)-
Se gli sguardi potessero uccidere… pensò Svizzera, che non aveva capito un accidenti ed era ancora mezzo sconvolto dallo scoprire che America sapesse parlare il vietnamita.
Ma come diavolo gli funzionava il cervello a quello? Si dimenticava di una lingua relativamente semplice come il francese e intanto sapeva parlare fluentemente un idioma orientale, che probabilmente nessuno spiccicava al di fuori dei confini di Stato, immigrati vietnamiti esclusi? E sorvolando ovviamente su un gallese di sua conoscenza…
Davvero, com’è che ragionava Alfred F. Jones?
-Làm bạn tổn thương? Những gì, niềm tự hào của bạn?(11)-
I suoi occhi si fecero lucidi, ma solo un po’.
-Có, nhưng không chỉ…(12)-
Un silenzio glaciale scese nella stanza.
Svizzera non se la sentì di romperlo. Era una questione tra loro due.
America si mise una mano sugli occhi sollevando gli occhiali nel farlo.
-Lan đã được một thời gian dài- America prese a parlare in maniera più scandita e con più foga, come se volesse liberarsi di un peso - bạn biết tôi như thế nào xin lỗi vì chuyện đã xảy ra như họ đã làm. Tôi biết bạn ghét tôi trong thời gian đó, nhưng điều quan trọng bây giờ là hiện tại. Và hôm nay tôi ở đây chỉ như Alfred. Như bạn đồng(13)-
Svizzera vide una piega sul viso di Vietnam, e capì anche senza capire.
-Hãy để tôi giúp bạn, ít nhất là thời gian này- le parole di America si erano fatte una dopo l’altra più pesanti -Sau đó, bạn sẽ được tự do trở lại ghét tôi, nếu bạn thích(14)-
Vash comprese che aveva terminato, ora toccava a Vietnam.
La donna rimase in silenzio per un istante, un istante che sembrò durare un eternità.
Prese la sua tazza di tè e ne bevve un lungo sorso ad occhi chiusi.
Dopo di che la rimise al suo posto, si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e riprese a parlare…
-D’accordo…-
…e stavolta la sua lingua si era tinta d’inglese.
-Mi rendo conto che in un momento del genere si debbano appianare le divergenze per il bene comune. Accetto il tuo appoggio America-
Gli occhi dell’uomo si illuminarono, ma lei non ci mise molto a smontargli l’entusiasmo.
-Ma sia ben chiara una cosa!-
Lo svizzero notò che in quel momento Vietnam avesse assunto una particolare aria, un non so ché di solenne -È Svizzera l’incaricato a cui devo rivolgermi, il Rappresentante che le Nazioni Europee hanno ritenuto essere il più adatto a tale scopo, ed è solo a lui che riconoscerò tale autorità! Tu sei qua solo in funzione di… di…-
I due europei la guardarono schioccare le dita con una certa curiosità.
-… external officer!- proclamò infine, leggermente imbarazzata.
Svizzera cercò di ignorare il più possibile l’espressione afflitta del suo compagno di viaggio.
Le sue montagne innevate gli stavano nuovamente tornando alla mente –Allora, se le trattative si possono dire concluse, dove eravamo rimasti?-
Il tono velatamente sarcastico non sfuggì a nessuno dei due
-Ti stavo spiegando che i miei assalitori parlavano una lingua franca…-
-Giusto- confermò lui rileggendo i suoi appunti
-Piuttosto mi pare di capire che il vero problema è come sia arrivato un plotone di mercenari in quella che era, è inutile che lo neghi Lan, una delle tue basi segrete, tale presumo addirittura al tuo governo-
L’intervento di America la fece rimanere di sale –Come fai a…-
Gli occhi le caddero sul taccuino aperto di Svizzera, che la guardò di sottecchi –Gli ho permesso di sbirciare mentre scrivevo… sono comprensivo fino ad un certo punto-
Un sorrisetto strafottente si formò sul viso di America e Vietnam dovette fare buon viso a cattivo gioco.
-In sostanza il problema è il seguente: questi uomini erano perfettamente addestrati, parlavano in codice ed erano esperti in azioni furtive. Sono penetrati nel mio paese in una decina senza destare il minimo sospetto e senza sollevare alcun polverone. Inoltre si sono portati dietro un elicottero da guerra!-
A quell’uscita i due occidentali pensarono di aver capito male.
-Come? Un elicottero da guerra?- le domandò Vash
Vietnam assentì con il capo –Sono penetrati in casa mia. Dopo avermi assalita li ho sentiti comunicare con dei loro compagni di venirci a prelevare in elicottero. E quello alla fine è arrivato davvero!-
-E come diavolo avrebbero fatto? E in quanti sanno di questo?- domandò America
-Nessun’altro a parte noi Nazioni e i miei aiutanti più stretti… che per inciso no, non sono del governo-
-Mi stai dicendo che una task force è entrata, ha fatto mezzogiorno di fuoco e se ne andata senza che nessuno si sia accorto di nulla?-
-Esatto-
America era letteralmente indignato –Mi stai prendendo in giro-
-È la pura verità ti dico-
-Allora ammettilo- Svizzera se n’era stato zitto fino quel momento, a pensare, a riflettere –dì veramente che cosa ne pensi di tutto questo-
Per avere un mosaico completo gli servivano tutti i pezzi e l’opinione dell’assalita era uno di questi.
Vietnam gli rispose senza mezze misure –Sento che c’è un complotto in atto. Qualcuno sta tramando qualcosa. Qualcosa di grosso. Ed è per questo che ho richiesto il vostro aiuto-
Svizzera la fissò più serio che mai –Temi la guerra?-
-Non è quello. Prima di contattarvi ho smosso un po’ le acque e non ho ottenuto niente. Nessuna rivendicazione terroristica. Nessuna sacca violenta. Nessuna manovra militare presso i miei vicini. Nulla di nulla-
-Il che ci porta a due considerazioni: la prima è che far scoppiare una guerra non era nelle intenzioni dei tuoi nemici. La seconda è che ci troviamo di fronte a qualcuno in grado di occultare le sue mosse in maniera perfetta, che sa come non far “cantare” i suoi subordinati coprendosi in modo sicuro le spalle-
-C’è n’è anche un’altra se vogliamo- aggiunse America -Non vuole qualcosa di convenzionale-
-Quegli uomini volevano me- Vietnam sfregò le mani sulle proprie braccia, sentendo la pelle d’oca –è da quando è successo che mi sento costantemente in pericolo. Sento come degli sguardi invisibili su di me, come se qualcuno mi fissasse in continuazione. Ho dovuto abbandonare Hanoi, rifugiarmi qui, in segreto. E la cosa terribile è che questo è la mia Patria. Come possiamo noi Nazioni sentire paura in quella che è la nostra casa?-
I due potevano solo immaginare il suo stato d’animo.
Svizzera si fece animo e afferrò le mani di Vietnam che erano fredde come la neve.
-Andrà tutto bene Vietnam. Non voglio mentirti, la situazione è grave ma faremo in modo che si risolva per il meglio. D’accordo?-
In quel momento si sarebbero potute usare parole di circostanza o le solite frasi che si dicono quando si vuole tranquillizzare qualcuno perchè non se ne trovano di migliori e più profonde.
Vash invece era andato al contempo dritto al sodo, alla verità dietro le parole, e le aveva pronunciate con una serietà tale negli occhi che nessuna delle due altre Nazioni pensò che fossero prive di sincerità.
-M-merci- balbettò la vietnamita.
Svizzera le sorrise incoraggiante
America lo guardò con la coda dell’occhio e si ritrovò a pensare che forse Svizzera era stata davvero la scelta migliore per quella missione. Nonostante la sua tendenza alla neutralità stava dimostrando una grande partecipazione alla cosa.
Forse non era così male come persona, se si grattava la superficie, la sua prima difesa contro il mondo.
Bussarono alla porta e uno dei seguaci di Vietnam apparve per comunicare qualcosa alla sua Bà.
-Che succede?- domandò il biondo
La donna si alzò –Mi hanno avvisato che il sole sta tramontando. Potrete restare qui per la notte e continueremo domani-
-Si- continuò lui deciso, rialzandosi da terra -Ho ancora molte cose da domandarti-
Si tastò i pantaloni sentendo nella sua tasca il telefono –C’è campo qui? Dovrei fare una chiamata-
-Segui pure Khiêm, ti mostrerà la nostra sala comunicazioni-
Alfred la guardò sorpreso
-Avete una stanza comunicazioni… qui?- domandò gesticolando
-Certamente. Come credi che abbia mantenuto i contatti, da quando mi ci sono rifugiata?-
 
Una volta che Svizzera fu uscito, Vietnam vide America sorridere con un’aria stranamente compiaciuta.
-Che hai da mostrare quel sorriso ebete?-
-Niente… stavo solo pensando che erano letteralmente decenni che non mi ritrovavo a dormire in questa terra… per di più sotto il tuo stesso tetto-
Lan voltò lo sguardo stizzita e si avviò verso l’uscita
-Se non fosse per i miei doveri di ospite ti farei dormire fuori al freddo… quindi vedi di non seccarmi troppo a cena-
 
 
 
 
 
 
* Signora in Vietnamita

(1) Siamo gli ospiti che la vostra Bà sta aspettando. Vorremmo parlare con lei al più presto. E se ci indicaste dove possiamo trovarla, ve ne saremmo molto obbligati

* uhm… è una mia impressione o Vash è un tantinello paranoico?

* tipico vestito tradizionale vietnamita

(2) “Alla buon ora…”

(3) “Senza dubbio-…-Non appena potrò li ringrazierò di persona”

(4) “Bene, signore, non siete forse venuto qui per prendere la mia testimonianza, si?”

(5) “Ma certamente”

* Stanno sempre parlando in francese

(6) “Non pensi che sia il caso di finirla, Lan?”

(7) “Di fare che cosa?”

(8) “Di comportati in questo modo. Di cercare di escludermi come se non fossi qui”

(9) “Tu non dovresti essere qui. Non ho chiesto aiuto a te”

(10) “Ma sono qui, e il fatto che tu mi ignori, mi ferisce”

(11) “Ti ferisce? Cosa, il tuo orgoglio?”

(12) “Si, ma non solo...”

(13) “È passato tanto tempo Lan. E tu sai quanto mi dispiace che le cose siano andate come sono andate. So che mi odi per quel periodo, ma ciò che conta adesso è l'oggi. E oggi sono qui solo come Alfred. Come tuo simile”

(14) “Permettimi di aiutarti, almeno stavolta. Poi sarai libera di tornare ad odiarmi, se lo vorrai”



Angolo dell'Autore:
Ed eccoci alla fine (spero che qualcuno si sia arrischiato ad arrivare fino a qui in fondo...).
Spero che vi sia piaciuto e che vi abbia interessato/preso/nonammorbato, come preferite voi XD, come lo è stato per me scriverlo.
L'interazione tra questi tre personaggi è inusuale e strana o meglio lo è essenzialmente per la presenza di Svizzera, dato che tra gli altri due personaggi in gioco, stiamone pur certi, qualsiasi universo volessimo considerare, esiste più di un conto in sospeso, attrito o attrazione.
Al di là degli stessi trascorsi bellici a mio dire. Hanno molto in comune ma sono anche molto diversi, anche semplicemente alla base essendo Alfred un Occidentale e Vietnam una Orientale. E questo per dei Rappresentanti può voler dire molto di più di quello che sembra.
Comunque a risentirci presto.

Ah! Dato che questo è il capitolo finale, mi lascereste un commento di commiato? Anche solo per sentirvi tirare le fila dei tre cap? Lo apprezzerei molto! 
Okay, grazie a tutti!
JS


 

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Capitolo 8
*** 07-Show your true colours* ***


7

                       Capitolo  VII- Show your true colours*

 

 

Sarebbe stato tutto molto più facile , se il luogo dove li detenevano fosse stato scuro e sporco. Almeno, così la pensava Joseph guardando attorno a sé.

La sua prigione non era una di quelle a cui era abituato, le pareti erano imbottite e dal colore chiaro, il pavimento era caratterizzato dal freddo tepore del marmo, il piccolo letto non era un giaciglio di pietra ma un vero letto ,nonostante le dimensioni, e c’erano dei servizi igienici  ben  nascosti e sempre puliti.

Non  c’era nessuna fessura per guardare l’esterno, eri obbligato alla totale sottomissione delle pareti.

Era tutto sbagliato, a Joseph quella stanza ricordava  le stanzi di isolamento dei pazzi .

Joseph osservò le lunghe ferite sulle sue braccia, quasi del tutto cicatrizzate … se non glie le avessero riaperte di nuovo.

Sentì il suo cuore battere più velocemente, senza un motivo apparente ma la nazione  sapeva, nonostante che non potesse sentire nessun rumore dall’esterno, che stavano per venirlo a prendere.

La porta  della sua prigione si aprì e due uomini in divisa militare entrarono facendo segno a Joseph di seguirli.

Uscendo nel corridoio il congolese , per un attimo, riuscì a scorgere Tegla scortata da altri due uomini: la Rappresentante del Kenya aveva un’ espressione stanca, quasi distrutta.

Joseph cercò di rimanere indifferente a quella vista, sapeva benissimo che erano tecniche per indurre pressione psicologica ma lui era un osso duro.

Però sentì  che stava deglutendo a vuoto come se ci fosse stato nella sua gola un boccone amaro.

Incamminandosi con i due uomini arrivò nei laboratori di quella strana base segreta, dove altri uomini che indossavano dei camici contrassegnati dall’alfabeto greco  erano intenti a scambiarsi informazioni.

I mercenari lo lasciarono lì, in balia degli eventi.

Dietro di Joseph si era chiusa un’ enorme porta vetrata e la nazione guardò apatico le persone davanti a sé.

Era meglio mostrare apatia alla paura pensò la nazione, ma era anche vero che  non sapeva cosa fare per uscire da quella situazione.

La sentì arrivare, il rumore dei suoi tacchi sul pavimento era diventato per Joseph una sorte di allarme antiaereo a cui non poteva sfuggire.

Era davanti a lui con altri due uomini in camice.

α (Alfa), così si faceva chiamare quella persona, era una donna di mezz’età che però mascherava con la pelle nera la sua vera età, i suoi capelli erano rasati e gli occhi scuri, intelligenti e gelidi.

Quegli occhi  fissarono Joseph e poi Alfa gli domandò senza nessuna inflessione nella voce- Non cerchi di scappare?-

Joseph la fulminò con lo sguardo- Non potrei comunque superare tutte quelle guardie nel corridoio-.

-Non sono un supereroe- ammise sconfitto.

Alfa sembrò interessata a quella reazione e sussurrò qualcosa agli altri due uomini.

Il congolese osservò la scena, aveva già capito che quella donna era il capo: le lettere dei camici indicavano il nome e soprattutto il grado dell’organizzazione.

La nazione africana non sapeva come usare quell’informazione a suo vantaggio, aveva l’impressione che se anche avesse usato Alfa come ostaggio per crearsi una via di fuga … probabilmente la donna non avrebbe battuto ciglio e avrebbe continuato a coordinare gli uomini.

-Allora, seguici – disse Alfa  e nel frattempo i due uomini si posizionarono dietro a Joseph  e quest’ultimo iniziò a  camminare.

 I colleghi di Alfa  erano entrambi molto alti, dall’aspetto occidentale ma il prigioniero non era in grado di identificare la provenienza.

Joseph entrò per l’ennesima volta all’interno dei laboratori della base, in una sala dalle pareti trasparenti ed era lì che veniva studiato da mille occhi, i quali  Joseph non poteva vedere perché protetti dall’anonimato di quegli specchi speciali.

Fu costretto a sedersi e fu immediatamente ammanettato alla sedia ma con cura, la circolazione sanguigna non doveva essere compromessa.

-Oggi preleveremo una sacca di sangue dal soggetto- annunciò autoritaria Alfa, rivolgendosi ai suoi sottoposti.

Da quel momento nessuno avrebbe più rivolto la parola a Joseph.

Da quel momento diveniva un oggetto e come tale sarebbe stato trattato.

Usato con foga  ma non troppo, per non distruggerlo.

Riparato per essere agibile in un secondo momento.

Joseph chiuse gli occhi e pregò Iddio di aiutarlo quando sentì l’ago confiscarsi nel braccio.

Dopo un’ora, il congolese fu riportato nella sua cella e poco dopo gli fu portata una fetta di carne rossa per riprendersi dal prelevamento del sangue.

La nazione si sentiva stanca e le girava la testa e ,anche se non avesse voluto , mangiò la carne.

Non era il momento di fare i testardi: Joseph non si era  ancora arreso e per scappare doveva rimanere in forze, doveva solo trovare il modo di contattare Tegla.

Nonostante che si sentisse vulnerabile, era ancora determinato e sperava ardentemente che Tegla condividesse i suoi stessi sentimenti.

Nei piani superiori della base Alfa ,con aria critica, osservava dei fascicoli tabulando le dita infastidita sulla  sua scrivania. La donna sentì bussare e invitò chiunque fosse ad entrare freddamente.

Era ∏ Pi  con i suoi occhiali  dalla montatura rossa che Alfa segretamente detestava e ,a dire la verità, Alfa detestava e  non tanto segretamente anche Pi. O meglio quelli come Pi, i letterati, quelli che non capivano nulla di scienza ma lo storico era necessario all’organizzazione.

Nonostante la repulsione di Alfa ad ammetterlo anche la Storia era una scienza: erano l’unica materia letteraria che pretendeva prove.

Ed era grazie ad Pi che riuscivano a trovare quegli individui che rispondevano al nome di nazione, poiché la scienza non aveva ancora trovato nulla che potesse testimoniare la loro diversità dagli essere umani, soprattutto qualcosa che li differenziasse a colpo d’occhio.

Invece con delle piccole tracce lasciate nel tempo riuscivano a rintracciarli.

Osservò nuovamente critica i fascicoli, i due soggetti mostravano delle caratteristiche simili tra loro: il loro sangue aveva un’ottima capacità di coagulare e perciò rimarginavano più velocemente le ferite, erano immuni  alle sostanze  stupefacenti e  le loro cellule si riproducevano più lentamente rispetto alle velocità umana.

Ma avevano un difetto, un difetto enorme.

-I due soggetti sono sterili. Penso che l’hai saputo Pi- disse la donna asciutta rivolgendosi allo storico che si era seduto di fronte alla bella scrivania di Alfa.

- Avevo già avuto il sospetto. Dalle tracce che ho non ho mai trovato indizi che avessero potuto avere degli eredi- rispose Pi.

La donna annuì pensierosa, questa era un grosso problema: il  miglior modo che la natura permette uno scambio genetico era tramite  la riproduzione, la riproduzione  permette di trasmettere le caratteristiche migliori della generazione precedente soprattutto se c’è di mezzo l’unione di due diverse la razza.

Per questo motivo, ad esempio un uomo mulatto risultava non solo più bello ma anche con un miglior patrimonio genetico rispetto a un  classico uomo di colore o un bianco.

-I nostri finanziatori pretendono e per il momento l’unica cosa veramente utile  che ci hanno dimostrata questi soggetti è la repulsione alle sostanze stupefacenti. Una spia che riesce a resistere a tutti i tipi di droghe è qualcosa di straordinario- spiegò Alfa con il suo solito tono neutro però era una considerazione fatta ad alta voce e basta, piuttosto che una spiegazione per Pi.

-Non può isolare il gene del DNA o qualcosa del genere e impiantarlo negli esseri umani?- domandò l’uomo.

Alfa lo guardò come se fosse stato un insetto- Siamo del 21° secolo, non è così facile studiare un intero DNA , trovare un gene e  impiantarlo in un corpo. Il miglior modo di trasmettere qualcosa  è  la riproduzione-**

La donna sbuffò- Per questo detesto i letterati, pensate che la Scienza può fare qualsiasi cosa come fatte voi scrivendo- dichiarò facendo anche un gesto sdegnato.

Non che non fosse possibile ma ci sarebbe voluto un po’ troppo  tempo e non ne avevano.

-Cosa hai scoperto dal punto di vista mentale-  domandò la donna a Pi.

-Hanno un’intelligenza vivace  ma deriva probabilmente  dalla lunga esperienza di vita- Non hanno poteri mentali o simili- spiegò il letterato guardando i suoi appunti

-Credo che le capacità sia fisiche e mentali aumentano con l’età dell’individuo- espose lo storico.

-Al contrario di noi. Questo è interessante per i finanziatori che vogliono combattere le malattie senile o ottenere stupidaggini come l’immortalità- la scienziata sbadigliò a quell’affermazione.

Alfa fissò Pi e ordinò- Voglio che mi trovi qualcun altro di questi individui, che non rappresenti una Nazione importante e deve essere più vecchio di quelli attuali-

-Chiaro, nessuna Nazione troppo potente- disse Pi aggiustandosi gli occhiali.

-Quei due … - disse la donna riferendosi ad Joseph e  Tegla- Non  sembrano tanto diversi dai normali esseri umani, se non fosse che le loro cellule si riproduco molto più lentamente: è quello che gli permette di non invecchiare  ma non ho capito come funziona. -

Pi alzò la mano e prese la parola- Credo che lei stia sottovalutando il fattore storico, questi individui sono legati a una terra e una popolazione, soprattutto a una popolazione. Se la popolazione è evoluta, nel senso sociale del termine … l’aspetto dell’individuo è un giovane adulto.-

- Come è dimostrabile?-chiese Alfa.

Pi ,senza chiedere nessun permesso, appoggiò sulla scrivania del capo una serie d’appunti che aveva precedentemente  studiato e da lì iniziò una lunga  conversazione su come alcuni documenti avevano testimoniato che l’andamento dei secoli cambiava l’aspetto dei soggetti. Soprattutto gli avvenimenti storici rilevanti davano una certa spinta alla crescita. Pi mostrò una serie di ritratti e foto estratta  da cerimonie ufficiali, rivelando di aver scoperto che quegli individui erano sempre presenti. Mostrò il ritratto di un adolescente biondo con la barbetta in un dipinto di chiara appartenenza  al medioevo e  in un altro dipinto ,appartenente a inizio settecento, la stessa persona aveva l’aspetto di un giovane adulto, massimo di venti anni.

Pi indicò il viso del biondo- Il computer ha confermato che è la stessa persona dai lineamenti. Il suo nome è Francis Bonnefoy. Lui è la Francia- dichiarò Pi sicuro- Come vedi l’aspetto è mutato nel tempo molto lentamente ma …- mostrò un altro ritratto datato 1780 in cui Francia appariva appena ventenne e Pi lo confrontò con l’altro ritratto datato 1792- … avvenimenti storici molto importanti come la Rivoluzione Francese accelerano la crescita, come vedi l’aspetto in questo dipinto di fine settecento è di un quasi trentenne-

Pi sembrava molto eccitato della cosa ma Alfa borbottò qualcosa e poi parlò- Facciamo finta che è come dici tu, ai fini pratici non vedo ancora qualcosa di vendibile per i finanziatori- spiegò pragmatica.

Pi pensò silenziosamente che era  Alfa a doversi occupare di trovare qualcosa da vendere ai finanziatori, lui era lì per trovare i soggetti e farne il profilo psicologico.

-Abbiamo bisogno di altri soggetti- disse la donna dopo un po’-Quegli incapaci si sono fatti massacrare da una donna, era un soggetto perfetto­: abbastanza vecchio e appartenente a una diversa razza- continuò la donna ripensando alla missione fallita dei mercenari in Asia.

- Mai sottovalutare uno Stato contadino che ha massacrato i potenti Stati Uniti- commentò l’uomo grave.

La donna si alzò e fissò Pi –Ti do 48 ore per trovarmi un soggetto più decente- ordinò Alfa mentre Pi  annuì e uscì dalla stanza velocemente, Alfa non era una donna incline a tollerare le perdite di tempo e fallimenti.

Lei voleva solo successi e a qualsiasi costo.

Si alzò e andò nei laboratori, pronta a lavorare su quel poco che aveva.

 

Nella capitale governativa della Repubblica di Sudafrica, Pretoria, era mattino presto e il rappresentate delle terre anglosassoni, Inghilterra, e quello delle terre germaniche, Germania, erano  all’aeroporto.

Apparivano entrambi stanchi ma quello più sciupato era forse Inghilterra: aveva avuto una lunga conversazione sia con Sudafrica che con Germania e si erano concordati alla fine che la loro missione non poteva finire così.

A Germania non era piaciuta la cosa, gli ordini che avevano ricevuti erano stati chiari: dovevano indagare insieme ma Inghilterra aveva insistito sul separarsi.

Germania sarebbe tornato in Europa mentre Inghilterra sarebbe andato a indagare in Kenya, precisamente avrebbe parlato con la domestica di Kenya e con i suoi superiori.

La sua giustificazione era stata che un inglese avrebbe dato meno dell’occhio di un tedesco.

Germania, allora, si era  offerto  per andare indagare  in Congo Francese ma come gli aveva fatto notare l’inglese non aveva abbastanza contatti per rimanere sotto copertura.

Si erano infatti separati all’aeroporto- Ricordati di far smuovere  il francesino per andare in  Congo- aveva dichiarato con sarcasmo l’inglese, Germania aveva annuito non troppo sicuro del cambio dei piani.

Germania non amava le soprese preferiva di gran lunga l’organizzazione e le strutture fisse, Inghilterra invece riusciva anche a rompere gli schemi se era necessario: questa era la fondamentale differenza tra un popolo wannabe un impero, da uno che lo era stata davvero.

Si salutarono con molto meno disagio, rispetto a quello che avevano provato all’inizio.

Germania lasciò la mano di Inghilterra e si avviò ai gate salutando l’altra nazione, Inghilterra gli concesse un piccolo sorriso.

Appena vide scomparire la nazione tedesca, Arthur iniziò a mettersi all’opera.

Entrò uno dei bagni degli uomini e si diede una sistema all’inverso.

Si tolse la giacca e la cravatta e le ripiegò con cura nella valigia a mano e si mise all’opera per darsi l’aspetto più trasandato che potesse ottenere.

Sbottonò la camicia più del dovuto e ne arrotolò le maniche, tolse la cintura dai pantaloni e sembrò subito che gli stessero per cadere dal  corpo.

I capelli li spettinò e fissò con dello gel scadente che aveva comprato di proposito e l’effetto fu immediato, i suoi capelli sembravano unti di secoli sporcizia.

Inghilterra fissò l’immagine riflessa in quel momento e  lasciò  andare un sospiro di sollievo- Fortunatamente nessuno che conosco mi vedrà.-

Uscì dai bagni e si diresse alla biglietteria, camminando in modo sguaiato e molto lontano dall’eleganza che possedeva di solito.

La bigliettaia che dovette servirlo, aveva gli occhi sbarrati dal disgusto il quale venne sostituito dal panico quando Inghilterra iniziò a parlare con l’accento mancuniano più forte che avesse.

La povera donna dovette richiedere più di una volta di farsi ripetere ciò che diceva.

Alla fine Inghilterra ottenne un biglietto turistico per Il Kenya  il prima possibile e continuò ad atteggiarsi da bifolco per tutto il tempo, non era impazzito, ovviamente, ma se c’era qualcosa che aveva imparato nei secoli era il viaggiare sicuro sotto copertura: non bastavano i documenti falsi, i contanti per non farti rintracciare ma dovevi fare il modo che nessuna persona vivente ti potesse mai riconoscere.

E’ quale era il modo migliore di nascondere una persona come Arthur Kirkland ,che faceva pensare a un uomo d’affari inglese che abitava nella City di Londra, se non farlo atteggiare in un bifolco di Manchester?

Cinque ore di viaggio occorsero a Inghilterra per arrivare in Kenya, precisamente a Nairobi, ed era decisissimo a continuare la farsa fino a quando non avesse incontrato la domestica di Kenya.

Non l’aveva avvertita e forse non era  stata una  buona idea, probabilmente la ragazza era già agitata di suo.

Tegla abitava vicino l’University of Nairobi, in un piccolo appartamento in un palazzo moderno. Inghilterra ci arrivò tramite il taxi.

Solo a quel punto decise di chiamare Genny ,la domestica di Tegla, dopo una lunga conversazione riuscì a convincere la donna  della sua identità. Anche se appena lo vide rimasse abbastanza sconvolta e agitò la scopa  a mo’ di arma.

Fu soltanto  quando gli mostrò il sigillo e il passaporto  che la donna si convisse che fosse Inghilterra.

-Perché si è conciato in questo modo?- domandò la ragazza, la quale aveva i capelli rasati, grandi occhi nocciola e la pelle scura di un bel colore.

-Camuffamento- spiegò l’uomo tranquillo.

Genny lo scrutò a lungo come se stesse ancora decidendo se era veramente Inghilterra, dopodiché gli disse aspra- Va a farsi una  doccia e si ricomponga, non posso assolutamente vedere un Rappresentate in questo modo-

Arthur sbuffò piano, non aveva la più pallida idea che Genny avesse quel caratterino.

Ci impiegò una ventina di minuti per ricomporsi, come aveva detto la ragazza, e quando uscì si rese conto che la ragazza stava cucinando di tutta lena.

Quando lo vide, fece una smorfia- Come è magro ma dalle sue parti non si mangia?- chiese scettica.

-Un rappresentante deve essere in buona forma fisica- disse Arthur con un sorrisetto irritato, anche se non sembrava … ci teneva abbastanza alla sua forma fisica e sapeva di essere magrino se faceva il confronto con i suoi fratelli.

-Lo diceva anche Tegla- disse con un tono improvvisamente triste la ragazza abbassando gli occhi, Inghilterra ebbe un tuffo a cuore: non aveva mai amato vedere le persone piangere.

L'uomo si avvicinò piano e le mise una mano sulla spalla, la ragazza alzò gli occhi lentamente.

-Che ne dice di mangiare in fretta e poi di portarmi nel luogo che è stata presa Tegla? Sono qui per aiutare-

Genny ammise che non sapeva da che parte andare, sapeva soltanto che era dal dieci settembre che non vedeva Kenya, aveva denunciato la sua scomparsa dopo ventiquattro ore. Sapeva che era andata via con un’auto governativa ma non era stata ritrovata.

Arthur annuiva lentamente pensando sul da farsi, alla fine quando la ragazza finì il suo racconto, chiese il numero della polizia. L’agente della polizia fu stranamente abbastanza accomodante a rispondere alle domande dell’inglese, anche perché quest’ultimo nei secoli aveva imparato a porre  domande senza farle sembrare tali.  Arthur domandò se c’erano stati dei brutti incidenti negli ultimi dieci giorni e l’agente gli rispose- Non hanno segnalato nulla di particolare tranne un brutto incidente finito male di un Ugandese-.

L’inglese sentì una strana sensazione alla schiena, gli succedeva sempre quando il suo istinto gli suggeriva qualcosa, ringraziò l’agente e si rivolse a Genny che la guardava interrogativa.

-Ha sentito parlare di un incidente finito male di un Ugandese?-

La cameriera si sforzò di ricordare ma ammise che effettivamente aveva letto qualcosa su un giornale.

-Cosa c’entra con Tegla?- domandò pronta la donna.

-Forse nulla o tutto. Se Tegla è stata rapita proprio durante il giorno dell’incidente dell’Ugandese, può darsi che ci siano buone possibilità che sia una falsa pista dei rapitori-.

-Però non so bene dove è avvenuto quell’incidente- confessò la domestica- Dovremmo fare una ricerca su internet-

Così fecero, trovarono l’articolo sulla cronaca locale, il quale diceva effettivamente dove fosse avvenuto l’incidente. Con il permesso di Genny, Arthur stampò rapidamente il documento e disse alla ragazza che era il momento di andare a vedere il luogo.

La ragazza si voltò a guardare verso la finestra-Farà presto buio … è poi lei è stanco- Genny lasciò in sospeso la frase ma Arthur sapeva cosa in realtà volesse intendere, in quasi tutte le nazioni dell’africa era sconsigliato ai bianchi di guidare dopo il tramonto.

-L’incidente dell’Ugandese è avvenuto di notte. Una ragione in più per andare al buio, dobbiamo ricostruire la situazione e, da quello che mi ha detto Sudafrica, non abbiamo molto. Non si preoccupi della mia incolumità-

La domestica annuì guardando decisa l’uomo- Poi andrà a parlare con i capi di Tegla domani mattina?-.

-Sì, era mia intenzione farlo domani mattina, anche se non sarebbe un’idea malvagia svegliarli nel bel mezzo della notte e pretendere risposte. Ma opterò per una linea diplomatica-

Genny guardò l’uomo ancora più determina e gli disse- La porto dove vuole Rappresentante-.

Non era ancora buio totale ma Genny guidava la sua piccola auto rossa con attenzione, era usata e Kenya gliela aveva regalata … aveva detto che poteva essere utile non affidarsi sempre alle automobili del governo.

Inghilterra gli sedeva di fianco, leggermente preoccupato.

Genny sembrava davvero affezionata a Tegla, era da parecchio tempo che non vedeva un essere umano tanto affezionato a un Rappresentante … i rappresentati non avevano il potere di farsi amare da un proprio concittadino, si doveva guadagnare l’affetto come tutti ed era chiaro che Tegla ci fosse riuscita benissimo con Genny.

Questo lo preoccupava, se non avessero ritrovato Tegla? Che fine avrebbe fatto Genny? Inghilterra non era un pessimista ma sapeva che la situazione da qualunque angolatura si guardasse era grave: un rappresentante era scomparso o probabilmente rapito e questo avrebbe causato problemi.

-Siamo quasi arrivati, signor Kirkland- disse la ragazza premendo leggermente l’acceleratore come se fosse improvvisamente impaziente di visitare la scena del “crimine”.

Era una strada statale un po’ buia e anche piuttosto solitaria, si fermarono come meglio potevano tenendo accese tutte le luci della vettura.

Inghilterra si guardò un po’ intorno e si sentì un po’ sperduto- Dove era diretta Tegla?- domandò a Genny che subito assunse un’espressione in pena e prese a cingere con la mano destra il polso sinistro.

-Non lo so. Mi ha detto solo che andava a fare il bene del suo paese-.

Inghilterra rimasse in silenzio aspettando che la ragazza si spiegasse meglio.

-Tegla non diceva mai a nessun cosa faceva e nonostante che mi si possa considerare la sua donna di fiducia, non lo diceva neanche a me. Aveva paura-

-Di che cosa?-

-Che potessero prendersela con me pensando che mi avesse confidato chissà quale segreto di stato- spiegò la ragazza-Era molto frustante non sapere dove andasse, ma dovevo avere fiducia in lei, perché alla fine tornava sempre-

-Quindi eri abituata a vederla sparire?- domandò forse un po’ troppo bruscamente l’uomo.

Sembrò, infatti, che la ragazza rimasse ferita dall’affermazione, infatti, girò la testa come se non sopportasse più la vista di Arthur poi, lo tornò a guardare con espressione colpevole- Sì, è vero in un certo senso-.

-E’ la sua domestica, non è possibile che abbia lasciato qualche nota scritta delle sue intenzioni?- domandò l’inglese.

La domestica disse indicandosi la testa- No, Kenya aveva sempre tutto in mente quello che doveva fare-.

Alla faccia della segretezza o della paranoia, pensò l’inglese ma si costrinse a tenere la bocca chiusa.

La strada statale aveva due corsie ed era concepita con la guida all’inglese, per cui la corsia di destra era di sorpasso.

Inghilterra guardò sull’asfalto e vide chiaramente dei segni di un’auto di grossa dimensione verso la corsia di sinistra, come se il conducente avesse deciso improvvisamente di tagliare la strada a chicchessia.

Genny fece segnò a Inghilterra di seguirla e lo portò su uno spiazzale di terreno a sinistra della statale c’era uno strano e grande buco.

-Lì hanno trovato l’auto. Era completamente bruciata- spiegò la domestica quasi singhiozzando.

Inghilterra non disse nulla ma estrasse dalla tasca il suo cellulare e fotografo delle impronte quasi scomparse sul terreno, più che impronte erano segni di trascinamento.

Il Rappresentante aveva già fatto mentalmente la sua supposizione, probabilmente Kenya stava tranquillamente guidando quando un’auto di grossa dimensione le era venuta addosso con tutta la forza e, la pesantezza del mezzo, l’auto di Kenya era volata al di fuori della statale rovesciata … e Tegla era rimasta scioccata dal colpo, poi dall’automobile pirata erano usciti i suoi rapitori e l’avevano portata via.

Rimaneva il fatto che l’auto era stata bruciata e che la targa non corrispondeva a nessuna automobile ufficiale del governo e, soprattutto, al posto di guida era stato trovato un cadavere di uno spacciatore Ugandese.

L’intera faccenda gli puzzava, la nazione stava iniziando a sospettare che qualcuno sapesse esattamente dove stesse andando Tegla o che avesse fornito i suoi rapitori di un’occasione e che questi ultimi si fossero ingegnati a fare perdere le tracce o di non far dare troppa pubblicità all’accaduto, infatti, anche l’articolo che aveva stampato, era molto vago.

 Gettò un’occhiata a Genny, a lui sembrava pulita e che la sua pena fosse sincera ma la gente mentiva, lui stesso lo faceva continuamente e sapeva che alcuni umani potevano addirittura battere le sue capacità di bugiardo.

Fece un altro giro intorno per vedere se trovava qualcosa di utile, ma non trovò nulla d’interessante e così disse a Genny che era ora d’andare.

Appena i due entrarono in auto ne apparve un’altra, in cui il conducente iniziò a suonare il clacson ossessivamente e Arthur guardando l’orologio si rese conto che erano passati venticinque minuti da quando erano arrivati e non era passato nessuno.

In venticinque minuti i rapitori avrebbero avuto tutto il tempo di fare l’incidente, rapire Kenya e far perdere le tracce.

Genny era chiaramente delusa, Arthur aveva solamente confermato il modo operandi che anche la polizia del Kenya aveva auspicato, la donna forse sperava che la vista del Rappresentante avesse potuto vedere un qualche nuovo indizio, indispensabile per trovare Kenya.

Arthur sentiva la delusione della ragazza che gli era di fianco, come Rappresentante aveva comunque una sensibilità maggiore rispetto agli esseri umani, ma non tentò né di giustificarsi né di incoraggiarla.

Si era fatto la sua idea sulla situazione ma non era così sciocco da esporla senza una prova e per cui le disse solo- Domani mattina andrò a parlare con i capi di Kenya, spero di trovare qualcosa di utile ma sennò entro domani mattina dovrò ritornare in Inghilterra-.

Genny che stava guidando, lasciò perdere la strada, e si voltò a guardare l’inglese sbalordita e quasi con rabbia-.

-Lasceresti il Kenya in questa situazione?- domandò con voce aspa per poi borbottare qualcosa nella madrelingua e se anche Arthur non seppe cosa disse, la intuì.

-Non è così. Devi fidarti- l’inglese fu serio nel dire quelle parole alla ragazza abbandonando le formalità- Devi fidarti, esattamente come faresti con Tegla-

Genny osservò il viso dell’uomo e annuì pesantemente, più di una volta Tegla le aveva spiegato che i Rappresentanti non avevano poteri mentali, ma la donna in quel momento si sentiva leggermente costretta a ubbidire all’inglese come se lui potesse controllare con la sua mente.

In realtà, semplicemente, i Rappresentanti nei secoli avevano imparato a capire l’animo umano e sapevano come imporsi, perché nei secoli avevano accumulato quella forza d’animo che un normale essere umano desidera ardentemente, quella forza che ti permettere di rimanere fermi nelle proprie convinzioni senza alzare mai la voce.

Genny perciò decise di fidarsi.

Il giorno seguente per Inghilterra non fu dei migliori, riuscì a parlare con i capi di Kenya e nonostante che ogni azione e disagio di questi gli confermava un possibile coinvolgimento nella questione, non ricavò che un buco nella tela di un ragno.

Perciò il giorno seguente si avviò all’aeroporto.

L’aeroporto era affollato come al solito, c’era il solito fermento dovuto dallo stress dei viaggiatori.

Arthur gironzolò nei negozi e nei bar dell’aeroporto, finché non chiamarono più di una volta il check-in del suo volo.

L’inglese vide un paio di passeggeri correre come gli ossessi verso il gate ma lui non accennò a smuoversi dalla sua sedia.

Quando finalmente il volo partì, si alzò dalla sedia del bar in cui stava sorseggiando un forte caffè (lui di solito beveva tè, ma sapeva che era meglio non berlo in nazioni in cui non era la bevanda preferita della popolazione per non farsi etichettare come straniero).

Gli scappò un sorriso, da quando gli arei erano stati inventati, gli erano capitate pochissime volte di perdere un volo e mai volutamente.

Andò a cercare un telefono pubblico e quando finalmente lo trovò, iniziò il suo piano.

La linea di massimo effettuare una telefonata intercontinentale è difficoltosa ma farlo addirittura da una cabina telefonica è quasi impossibile.

Inghilterra tenne duro e digitò un numero a memoria sulla tastiera del telefono.

Rispose una voce maschile che ben conosceva Inghilterra.

-Francis, voglio essere aggiornato sulla situazione-

-Bon jour Angletter, acido dal mattino …- rispose una voce molto dolce e bassa, alcuni avrebbero definito conturbante.

Inghilterra ignorò il commento, se si metteva a litigare con Francia … avrebbe occupato la cabina telefonica per ore.

Brutalmente e per niente gentile gli domandò se Germania era rientrato e se lui era pronto ad andare in Congo.

-Certamente Inghilterra, dovrei partire fra tre ore-

-Bene, ti spiego cosa sto facendo qui. Ho fatto credere alla domestica di Kenya di essere partito ma sarò qui a tenere d’occhio i palazzi governativi, non ho nessuna prova ma ti posso dire che tra i capi di Kenya c’è qualcuno che puzza. Li terrò sotto controllo e se trovò qualcosa, ti chiamerò e faremo cantare la talpa-.

Francia, giustamente, domandò cosa lo rendesse così sicuro che ci fosse qualcosa di sbagliato nei capi di Tegla e Arthur gli raccontò per filo e per segno la ricostruzione del rapimento dell’africana.

Il francese dall’altra parte del telefono annuiva appena ma era ben attento ad ascoltare l’inglese e quando questo finì, concordò- Hai ragione, c’è qualcosa che non va. Mantieni un basso profilo, non vorrei che ti scoprissero o rapissero anche te-.

Francis non poteva vedere il viso di Inghilterra ma lo sentì chiaramente ghignare.

-Non mi sono fatto prendere dall’Inquisizione, non mi faccio prendere da un paio di teppistelli- dichiarò sarcastico l’inglese.

Francia sospirò, quando si trattava di fare azioni sotto copertura non proprie pulite, Inghilterra era uno dei migliori.

Il francese si domandava spesso se l’aver passato troppo tempo come corsaro/pirata avesse veramente “ aiutato” la psiche dell’inglese.

Ma doveva fidarsi d'Inghilterra era senza altro migliore di lui in quel tipo di faccende.

-Va bene. Arrivederci, allora-

Inghilterra agganciò la cornetta e andò a prepararsi in bagno per camuffarsi.

Entrò uno degli abitacoli e lì dentro appoggiò la valigia sulla tavola del gabinetto. Dalla valigia, da una tasca interna, estrasse un passaporto dalla copertina rigida blu che recitava “ Passport-United States of America”.

Indossò delle cose che normalmente non avrebbe mai messo al di fuori di casa sua, cioè una vecchia felpa scolorita e dei jeans non proprio belli.

Passando davanti allo specchio tirò i capelli all’indietro e indossò degli occhiali dalla montatura blu un po’ pacchiani.

L’inglese aprì il passaporto e confrontò la foto su di esso con il riflesso allo specchio e trovandolo somiglianti, decise di poter uscire dall’aeroporto, senza dimenticare di estrarre dalla valigia un bel po’ di contante in dollaro americano che portava sempre sé nel caso avesse mai avuto problemi con la carta di credito o se non volesse essere rintracciato.

Uscì dall’aeroporto di Nairobi con una nuova missione e nuova identità fornito dal passaporto, da quel momento era John Grey.

 

Salve a tutti, questa volta il capitolo è mio (Sokew86), spero che vi sia piaciuto, scrivere di Arthur in questo modo è stato divertentissimo e anche canonico? (Anche l’autore lo mostra abile nei travestimenti)

*Show your true colours: è un’espressione inglese che letteralmente significa “ mostra I tuoi veri colori” : in italiano corrisponde a “ gettare la maschera”.

**Il DNA non è facile da trattare come pensano tutti. In questo secolo si è soltanto riusciti a decifrare completamente  il genoma umano a capire ma non significa che siamo  in grado di modificarlo a nostro piacimento. Attualmente ci stiamo ancora lavorando perché così un giorno saremmo in grado di guarire le malattie genetiche riuscendo ad aggiustare direttamente la parte del DNA malata.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** 08-Il tradimento di te stesso ***


08

 

L’ASEAN a cui ci siamo ispirati

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Capitolo VIII- Il tradimento di te stesso

 

L’acqua fredda scorreva lungo il corpo sinuoso della giovane vietnamita, la donna rabbrividì ma mantenne quella temperatura per lavarsi. I muscoli delle gambe ,intorpiditi dagli allenamenti che Lan era solita a fare, necessitavano di quel trattamento.

La nazione vietnamita uscì tremando dalla doccia, le sue terre erano considerate calde in quel periodo ma lei essendosi rifugiata in montagna  aveva a che fare con un clima totalmente diverso: meno umido ma più freddo.

Si tamponò in fretta con un asciugamano i lunghi capelli scuri che, nonostante non lo mostrasse apertamente, erano l’unica vanità della ragazza: una vera guerriera li avrebbe portati corti ma lei non avrebbe mai avuto il coraggio di tagliarli.

Scartò l’idea di lasciarli asciugare all’aria, ci avrebbe impiegato  troppo  e lei aveva solo un’ora e mezza di tempo prima dell’arrivo di altri ospiti, questa volta non così forestieri.

Dopo essersi vestita  con un Áo dài  azzurro cielo e pantaloni neri , lasciò  i capelli  sciolti concedendosi un fermaglio dalla forma felina elegante come decorazione.

Entrò nella sala comunicazione che aveva fatto usare precedentemente a Svizzera e America, pronta a  mettersi in  contatto con l’Europa quando vide un tentativo di comunicazione proprio da quest’ultima .

Era Galles e Vietnam ascoltò attentamente cosa avesse da dirle a seguito sulla riunione che era avvenuta nel vecchio continente europeo dopo il ritorno delle squadre. La conversazione fu lunga e sofferta, spesso e volentieri  Galles dovette fare appello alla sua diplomazia, i dubbi della vietnamita erano più che plausibili e dovuti.

Il gallese le spiegò cosa aveva deciso l’Europa: era stata appoggiata la presenza di  Inghilterra in Kenya a controllare la situazione mentre Francia e Belgio avrebbero raggiunto, in tempo breve, la Repubblica Democratica del Congo.

Per quanto riguardava l’Asia, stavano partendo per controllare la situazione due degli europei più abili militarmente e, soprattutto, prontissimi a sporcarsi le mani, letteralmente.

La paura stava facendo muovere gli europei, per una volta non si sarebbero comportati come gli egoisti che erano, per cui la vietnamita poteva ritenersi soddisfatta.

-D’accordo- fu l’unica parola d’ approvazione che concesse la vietnamite al gallese, quando finì la loro telefonata. 

 Ma era incuorata di ciò che le era stata detto,  per cui Vietnam decise  di rilassarsi un po’ prima dell’arrivo degli ospiti.

Nella calma di quel momento camminando nel suo giardino, scelse di concedersi del tempo per pensare agli ultimi giorni trascorsi.

Due  dei suoi uomini nel vederla passare, la salutarono toccandosi il capello mentre la donna rispondeva con un sorriso. Le ci vollero un paio di minuti per capire che stava facendo lo stesso percorso fatto con Svizzera pochi giorni prima.

Vietnam sorrise a quel ricordo, era stato uno dei ricordi più piacevoli di quella strana visita, le piaceva Svizzera era una persona seria e realista.

L’esatto contrario di America.

-Non ti sembra di parlare con un bambino?- aveva chiesto Vietnam allo Svizzero  durante quella passeggiata.

Si ricordava che lo svizzero le era di fianco senza  riuscire a  troneggiare a causa della sua bassa struttura , e ,forse, era stato proprio quella caratteristica a spingerla ad affrontare quella conversazione con uno sconosciuto  il quale avrebbe probabilmente rincontrato tra un secolo o  due o alla fine del mondo.

Svizzera l’aveva guardato leggermente sorpreso e aveva scrutato attorno  per controllare che Alfred non fosse nei paraggi in quella strana conversazione. Ma in quel momento America aveva chiesto di usare la sala di comunicazione per uno scopo privato, Vietnam glie l’aveva concesso  solo perché aveva capito che l’americano volevo contattare il fratello: aveva sentito l’americano scusarsi  per essersi dimenticato di chiamare e  l’aveva lasciato stare.

Un piccolo sorriso ironico era apparso sul viso dell’asiatico, in quel momento erano tutti intenti in una chiacchera senza pensieri  e la sua domanda aveva distrutto l’atmosfera

- Una strana domanda, vero?- lo sguardo di Lan si era fatto più duro- Rimarrà tra noi- aveva detto  con tono di comando a Svizzera.

Svizzera la osservò silenzioso, quella donna voleva parlare e decise di lasciarla parlare.

-Cosa intendi?- domandò l’europeo.

L’asiatica respirò profondamente- E’ così ingenuo-

-Rappresenta il suo popolo, gli americani sono dei bamboccioni- commentò secco lo Svizzero accennando un piccolo sorriso comprensivo.

-Coma fa ad esser un Rappresentante ingenuo? In un Rappresentante è una debolezza imperdonabile, non permette la visione globale delle cose- disse la vietnamita mentre lo svizzero la ascoltava con attenzione.

Facendo segno di seguirla, si appoggiarono sotto un albero, Vietnam era accanto a Svizzera ma non era lì, i suoi occhi erano vuoti come quelli di una bambola.

Vash guardò quello sguardo riconoscendolo tra mille, lo sguardo di un Rappresentate che ricorda una battaglia.

Uno sguardo che lui stesso non aveva voluto  mai più avere: non gli importava se il mondo lo considerasse un usurario neutrale … quello sguardo lui non  voleva mai più avere!

Un piccolo tremolio soggiunse nel corpo della asiatica e Svizzera preoccupato posò una mano sulla spalla dell’asiatica ,non ottenendo  nulla si permise di scuoterla leggermente- Lan? Mi senti?-

La mente dell’asiatica era tornata a quella battaglia , durante la guerra in Vietnam, in cui  Lan aveva creduto di aver aperto gli occhi all’americano.

Quando gli aveva messo tra le braccia una bambina e gli aveva gridato- Ecco il tuo pericoloso comunista!-

Attorno a loro c’era soltanto morte e distruzione, entrambi avevano le divise strappate e il viso deturpato dalla fatica. Il ricordo di quella scena era ancora nitido nella mente e nel cuore della donna.

America aveva tenuto tra le braccia quel cadavere con gli occhi di chi vede la verità, contro chi era veramente quella guerra e chi, soprattutto, chi ci andava a guadagnare?

Di certo non loro che erano sporchi di sangue e morte.

America si era accasciato sulle ginocchia e aveva appoggiato delicatamente la bambina a terra, chinando  il capo  e aveva lasciato le sue lacrime scendere dal suo viso.

In quel momento Vietnam avrebbe potuto imprigionarlo o addirittura ucciderlo, per quanto era difficile uccidere un Rappresentate era possibile per un suo pari.

Eppure non l’aveva fatto, aveva tenuto la mira del fucile per  non sparare, alla fine.

Perché aveva capito che quel uomo era un ingenuo e lei non aveva mai incontrato un Rappresentante  ingenuo, sarebbe stato molto più facile avere a che fare con  un qualcuno che sapeva quello che faceva.

Gli aveva fatto pena e rabbia quella ingenuità e lo faceva tutt’ora.

-Lan, mi senti?-

La voce dello svizzero venne appena percepita dall’asiatica ma le permise di riprendere coscienza di sé.

Guardò lo Svizzero imbarazzata- Scusami, quando vedo lui, certi ricordi mi riaffiorano nella mente senza che io possa fermarli. Per questo non sopporto vederlo- disse irritata la donna, aggiustandosi i capelli seccata.

Svizzera annuì comprensivo, anche lui possedeva quel genere di ricordi e sapeva quanto fosse difficile di trattenerli avvolte, specialmente se vedeva la persona che glieli aveva procurati.

Rimassero in silenzio per un lungo momento, la notte con i suoi rumori iniziava a sorgere al posto del giorno, lo svizzero fissò la donna negli occhi e ,come se avesse riflettuto a lungo sulla domanda che gli aveva posto in precedenza,   le disse- Credo che un Rappresentante può essere ingenuo se è fiducioso negli esseri umani. La maggior parte di noi smette di credere nella loro sanità mentale molto presto-

Vietnam ascoltò la risposta sbalordita, non l’aveva mai pensato in quella maniera …era così facile giudicare una persona come una sciocca per non ammettere la nostra invidia alla sua speranza.

Forse era  veramente invidiosa di quel candore che sembrava possedere ancora l’americano.

Vietnam lentamente si era spostata dall’albero e si era posta davanti a Svizzera e si chinò verso di lui con inchino in segno di ringraziamento.

-Grazie Vash, mi ha mostrato che anche un europeo può essere saggio-

Svizzera, ovviamente, si  imbarazzò subito non era riuscendo a comportarsi bruscamente come avrebbe voluto.

Rosso in viso ammise di essere un vecchio malusamene e che quindi un po’ di cose nei secoli le aveva imparate, un po’ di saggezza era d’obbligo, no?

Era così finita quella strana conversazione tra due Rappresentato così diversi e lontani ma ognuno di loro avrebbe portato con sé quello che avevano imparato dall’un altro.

L’indomani sia l’americano che lo svizzero partirono e Vietnam si era sentita, per la prima volta, fiduciosa verso qualcun altro che non fosse se stessa.

Rallegrata di quel ricordo  tornò al presente, a quella realtà che era sempre dura: decise che era il momento di tornare in  casa a controllare la situazione.

Guardando l’orologio si rese conto che mancava appena mezz’ora all’arrivo del primo ospite.

Entrò nella cucina e diede una mano al suo collaboratore, anche se quest’ultimo non amava molto che venisse toccata la sua cucina, alla fine cedette permettendo alla ragazza un minimo di libertà di movimento.

Non parlarono molto, il cuoco era uno scorbutico di professione e per lui la cucina e parlare non legavano affatto.

Ma Lan preferì essere in silenzio con qualcuno ad essere completamente sola.

La mezz’ora passò velocemente e  Vietnam ricevette il primo ospite, una ragazzina con  i capelli legati in una corta coda di cavallo.

-Filippine- le disse con un sorriso Vietnam mentre la più giovane nazione dell’ASEAN l’ aveva già iniziato  a riempire di chiacchiere.

Vietnam si limitò ad annuire, incapace ,dopo appena due minuti, di seguire il flusso di pensieri della giovane ma riuscì ad invitarla a sedersi nel soggiorno, dove un enorme vaso di orchidee faceva la sua bella figura.

Filippine si sedette molto pesantemente sulle sedie del soggiorno di Vietnam ma improvvisamente, quasi come se quel gesto le avesse dato tempo di pensare, assunse un tono serio e chiese all’altra nazione come stesse.

-Sto bene, quindi immagino che hai saputo?- domandò la vietnamita sedendosi accanto a lei.

-Fai delle cose pericolose ed è ben risaputo nell’ASEAN- rispose la ragazzina.

L’asiatica anziana si accarezzò i capelli e sentì  il bisogno di doverli legare ma lasciò perdere.

Poco dopo arrivarono anche gli altri membri dell’ ASEAN e Vietnam fu non poco stupita che fossero riusciti tutti loro a trovare così facilmente il suo nascondiglio, forse non era così ben nascosto.

I membri dell’ASEAN erano dieci: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Tailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania, Cambogia.

L’ASEAN era stata fondata nel 1967 con lo scopo principale di promuovere la cooperazione e l'assistenza reciproca fra gli stati membri per accelerare il progresso economico e aumentare la stabilità della regione. Le nazioni che ne fanno parte si incontrano annualmente, nel mese di novembre, in un vertice.

-Oggi è il 27 settembre. Una riunione fin troppo anticipata- commentò seccatamente Singapore- Spero che sia davvero importante, Vietnam-

La vietnamita osservò l’uomo che le aveva rivolto quelle parole.

Singapore era un giovane uomo dagli occhiali spessi e l’espressione seria, lui era stato uno degli stati fondatori dell’ASEAN però, per qualche motivo sconosciuto a Vietnam, negli anni aveva perso l’interesse e sembrava più allettato a cavarsela da solo che con gli altri.

Dall’altra parte l’ASEAN era ancora più incasinata dell’unione europea, i vari membri avevano diversa economia, ordinamento politico, religione, lingua e  soprattutto grado di corruzione.

-Molto importante Singapore- rispose asciutta Vietnam- Ma non è abitudine asiatica discutere prima del tempo di questione spinose. Dopo cena avremmo il tempo di parlare e ovviamente potrete alloggiare qui. L’ospitalità è la prima virtù in un asiatico-

Vietnam sapeva di aver colpito Singapore, vide il suo volto rabbuiarsi ma soffocare in  sé quello che volesse dire e limitarsi a seguire la vietnamita nella camera da pranzo

La troppa occidentalizzazione di Singapore era uno dei motivi perché Vietnam e lui non andavano d’accordo, secondo la donna  il singaporiano aveva perso da tempo le virtù dell’Asia.

Quale nazione a mondo permette la vendita degli organi, legalmente?

La bella Indonesia fece da paciere tra i due e alleggerì la situazione con una battuta, era una donna diplomatica abituata al commercio internazionale ad avere a che fare con  chiunque

- E’ bello per una volta non utilizzare casa mia e fare gli onori di casa a Giacarta- sorridendo continuò- Spero che ci sarà un ottimo tè, il tuo giardino è splendido- disse ammirata la donna facendo sciogliere un sorriso a Vietnam.

La nazione indonesiana amava molto la natura e per numero di biodiversità era seconda soltanto al Brasile, avrebbe voluto che la sua politica fosse più attenta all’ambiente ma non erano lì per parlare di natura.

La cena fu tranquilla soprattutto per la presenza di Tailandia, Filippine, Indonesia e Birmania che erano delle persone molto calme e gentili, che al contrario degli altri in sala sapevano essere meno duri se era necessario.

A fine cena si concessero un tè nel soggiorno di Vietnam.

La vietnamita iniziò a raccontare cosa era accaduto in quei giorni e ignorò deliberatamente  gli sguardi accigliati di Malesia e Singapore o quello preoccupato di Tailandia.

 Vietnam spiegò anche che cosa avessero deciso in Europa, le due squadre erano tornate a Bruxelles con due idee completamente diverse dalla situazione. Dall’Africa era arrivata l’idea che i rapimenti fossero di natura politica mentre Vietnam era riuscita a convincere che gli attacchi fossero diretti ai  Rappresentanti. Anche se Galles aveva riassunto in poche parole, era ovvio che entrambi i gruppi avessero cercato di portare le proprie scoperte come unica verità assoluta.

-In Kenya è rimasto Inghilterra a indagare. Mentre in Congo Francese  sono  arrivati da un paio di giorni  Francia e Belgio- spiegò Vietnam.

-Cosa faranno per l’Asia?- domandarono quasi in contemporanea Cambogia e Laos, il primo era un giovane uomo dal sorriso serafico mentre il secondo aveva i capelli più lunghi e legati e lo sguardo più serio ma comunque gentile.

-Manderanno due rappresentanti in Tailandia, vogliono focalizzare la ricerca sul famoso elicottero- spiegò Vietnam-

Tailandia che era normalmente era una persona calma e paziente si accigliò  e cercando di mantenere un tono neutro domandò- Perché in Tailandia, cosa centrano le mie terre?-

-La direzione che ha preso l’elicottero era verso l’est. Probabilmente verso il triangolo della droga. Il tuo governo è molto instabile negli ultimi tempi- spiegò pragmatica Vietnam mentre Tailandia protestava.

- Non sono l’unico ad avere un governo instabile- disse il tailandese-  E non sono l’unico vertice della droga…- insinuò.

Birmania e Laos a quelle parole, scattarono.

-Se fosse arrivato un elicottero nelle MIE terre l’avrei saputo. Il mio governo è molto stabile e non credo che hanno nulla a che fare con l’elicottero. Non c’è nessuna battaglia per qualche terra o ingovernabilità- dichiarò Laos.

Laos si riferiva al fatto che nelle province tailandesi di Si Sa Ket c’erano dei disordini ed anche  in prossimità del confine tra la Tailandia e Cambogia era ancora accesa una disputa di confine tra i due. Nelle terre di Birmania  c’erano degli scontri tra gruppi musulmani e buddisti.

Birmania prese anche lui il  coraggio di contrattaccare- Il mio governo è in una delicata fase ma non centra nulla con l’elicottero, sono stato con i miei governanti giorno e notte e so che non stanno facendo nulla di illecito e abbiamo altre occupazioni più importanti. A meno che non vogliate diffamare la mia parola-

Brunei intervenne, era giovane d’aspetto ma molto calcolatore- I tuoi superiori potrebbero ordinarti di mentirci o ometterci qualcosa. Puoi dichiararci pubblicamente che non potrebbero mai farlo?-

Birmania guardò confuso Brunei, quest’ultimo lo fissava serio sostituendo lo sguardo finto dolce che aveva di solito.  La domanda fu più che legittima e mise in difficolta il birmano, omettere per ordine di un superiore era una situazione che avveniva spesso con il tipo di politica che riversava il tutto il continente asiatico.

Stranamente, un pseudo aiuto per Birmania  venne da Malesia  che interruppe Brunei rivolgendosi bruscamente verso Vietnam- Lan, non capisco perché hai contatto gli europei prima di noi. Hai  gettato del fango direttamente su alcuni membri dell’ASEAN con le tue congetture e quelle degli europei, dell’un altro dovremmo fidarci sempre-

Quasi come se stessero seguendo un copione, Singapore aggiunse- Questo non è molto coerente, da una persona che non fa altro che accusare di occidentalizzazione gli altri. Ti fidi di più di loro che di noi?-

Vietnam guardò i due uomini sapendo di essere giudicata e anche molto duramente e  nonostante che Tailandia fosse suo amico, anche lui l’osservava  irritato … in effetti andare a piangere dagli europei poteva essere considerato un vero tradimento.

Neanche il suo governo era pulito, eppure non aveva esitato a buttare fango sugli altri Rappresentanti.

Le parole gli morirono in gola.

-Basta!- gridò la giovane Filippine facendo voltare gli sguardi verso di lei, il suo aspetto era quello di una ragazzina ma era un Rappresentate in tutto e per tutto e come tale aveva diritto di parola anche su persone che sembravano più grandi di lei- Non siamo qui per colpevolizzare Vietnam!-

- Se Vietnam ha contattato  gli europei ha avuto le sue ragioni. Non intendeva di certo buttare fango su di noi, certo è stata un po’ sgarbata nelle sue supposizioni e questo può essere risolto con  una sentita scusa- dichiarò Indonesia venendo in aiuto alla vietnamita.

Vietnam guardò sorpresa l’altra donna e questa continuò- Cara, devi ammettere che accusare i governi di qualcun altro non è stata una mossa intelligente, qualcuno potrebbe pensare che il tuo ha qualcosa da nascondere-

Brunei commentò a bassissima voce- Che pessima diplomatica- ma non disse una parola, sapeva che meno diceva e meno potevano attaccarlo.

Vietnam boccheggiò ma poi fu costretta a scusarsi con i vertici del triangolo della droga cioè Tailandia, Laos e Birmania , se però avesse dovuto scusarsi con Singapore sarebbe morta dalla vergogna.

- Avrei dovuto essere più saggia- disse in tono basso.

Singapore ridacchiò a bassa voce e per poco, con il solo sguardo, Vietnam non lo fulminò con gli occhi.

Decise  di andare avanti la conversazione il birmano e rivolgendosi a  Vietnam le chiese nel suo tono serafico- Hai detto che ci sono due teorie dei  rapimenti. La prima che di natura politica a scopo di scatenare qualche guerra, cosa che potrebbe avere del vero in Africa. La seconda teoria è che i rapimenti sono per la natura dei rappresentanti e tu credi in questa teoria, se ho capito bene-

Vietnam annuì e cingendo un braccio iniziò ad accarezzarlo con l’altra mano- Certe cose  mi hanno detto quei mercenari non si scordano facilmente. Mi hanno chiamato mostro, quindi sapevano benissimo che non ero umana. Non capisco come mai i Rappresentanti europei non sostengano questa teoria, cosa altro vogliono aver di conferma? - domandò Vietnam.

I Rappresentati dell’ASEAN si guardarono l’uno con l’altra, nonostante gli anni di colonizzazione loro non capivano gli europei, trovavano così strana la loro mentalità.

Singapore parlò improvvisamente. La sua voce era leggermente sprezzante.

- Tutto questo non sarebbe successo se tu ti fossi tenuta al tuo posto- si rivolse a Vietnam che presa contropiede iniziò a lisciarsi i capelli nervosa.

-In che senso?- domandò Vietnam.

Il singaporiano piegò la testa e assunse un’espressione seria.

- Sei un Rappresentante , il tuo compito non è fare la paladina a punire la criminalità, esiste la polizia per quello. Devi tenere un profilo basso-

Vietnam lo rifulminò con  lo sguardo- Son affari miei, quello che faccio nelle mie terre. Tra l’altro  anche tu dovresti tenere un profilo più basso. Mi sembra che c’era la tua firma nell’ultima ricerca scientifica avvenuta a Singapore-*

-Il mio pseudonimo, al contrario di qualcuno, non spiattello il mio nome così facilmente in giro-

I due avrebbero continuato all’infinito se Malesia, evidentemente irritato da quel battibecco inutile, domandò rozzamente cosa volessero quei mercenari da Vietnam. Malesia non era abituato ad essere gentile, era una persona introversa e che per di più si irritava facilmente e già il battibecco di prima l’aveva messo in cattivo umore.

-Perché qualcuno dovrebbe rapirci?- domandò Malesia- Potrei capire un rapimento con riscatto ma da quello che ci ha detto Vietnam nessuno ha ancora rivendicato nulla-

I membri dell’ASEAN rimassero in silenzio, forse per capire qualcosa di quella storia si doveva appunto capire il perché.

Singapore si tolse gli occhiali e iniziò a pulirli con una piccola pezza che aveva nel taschino della camicia.

Filippine cercò rifugio nelle mani di Indonesia.

Le altre nazioni rimassero in attesa.

-Per fare degli esperimenti, qualcuno deve aver scoperto che siamo una specie diversa  dagli esseri umani- dichiarò Singapore.

-Specie?- domandò perplesso Tailandia- Non siamo semplicemente una personificazione di un concetto?- La dichiarazione di Singapore lo sconvolse tanto da dimenticare ,per un attimo, le accuse che gli erano state rivolte prima.

Singapore negò con la testa e Vietnam vide negli occhi di questi una luce che le parve sinistra.

-Sono anni che effettuo ricerche su me stesso e sono giunto alla  conclusione che possiamo considerarci una specie in tutto e per tutto-

Gli altri membri dell’ ASEAN guardarono Singapore come si fosse ammattito.

-Sapete, ovviamente quale è la definizione di specie?-

E senza aspettare riposta, Singapore spiegò  che  con il termine "specie" si indicava l'insieme di esseri viventi con caratteristiche simili in grado di accoppiarsi e generare prole feconda. In poche parole un qualcosa che nasce, cresce, genera figli e muore.

La definizione portò subito le proteste da parte degli altri membri del ASEAN.

-Noi non cresciamo- obbiettò Filippine.

-Non abbiamo figli, soprattutto fecondi- obbiettò Tailandia.

E continuarono le proteste.

Singapore prese nuovamente la parola, chiaramente risentito- Non mi sembra che nessuno in questa stanza abbia la stessa età, giusto. E potete dirmi senza nessun ombra di dubbio che siete gli stessi di duecento anni fa, fisicamente?- sfidò il singaporiano.

-Ammetto che non sono ancora riuscito a capire come funziona  il nostro modo di crescere, comunque ho dovuto riconoscere che siamo legati in qualche modo agli avvenimenti delle nostre terre. Ma posso dirvi che nei momenti di calma storica, le nostre cellule si riproducono lentamente impedendoci di invecchiare come un normale essere umano-

Qualcuno nella stanza provò ad alzare la mano ma Singapore ignorò deliberatamente qualsiasi distrazione e  continuò spedito il suo monologo- Invece dei periodi di fermento storico,  come durante la guerra mondiale, avrete notato che molti di voi hanno quasi avuto la crescita umana, che siete cresciuti almeno di due anni o tre-

-Non spiega la riproduzione. Siamo sterili ed è stata la tua adorata Scienza a dimostrarlo- disse secco Cambogia a discapito della sua natura mite, l’argomento lo toccava: tra i membri dell’ ASEAN era quello che desiderava di più un figlio.

-Le nazioni antiche in Europa spiegano la riproduzione- rispose asciutto Singapore.

-Non capisco- commentò Malesia che si stava iniziando a irritare, non gli piacevano le cose complicate.

- So che c’era una certa somiglianza tra Impero Romano e i suoi nipoti, ad esempio- Singapore interruppe subito le prime lamentele- Oppure tra Antico Egitto e Egitto-

-So che cosa state per dire, non sono discendenti diretti… non sono i figli. Ma la somiglianza fisica c’è  e questo fa dedurre che  le nazioni antiche con quelle moderne abbiano dei geni in comuni. Sono i loro discendenti senza essere i figli  esistente dunque una discendenza genetica. Tra l’ altro le nazioni antiche sono morte e questo chiude il ciclo della specie. Probabilmente quando i tempi sono maturi, avremmo anche noi dei discendenti, magari un solo rappresentante per continente, e moriremo-

-Hai delle prove su questa discendenza genetica, seppure indiretta? Mi sembra solo una supposizione quello che hai detto- domandò Birmania riuscendo a interrompere nuovamente il singaporiano.

-Scientifiche no. Volevo fare un confronto genetico tra la mummia di Antico Egitto e Egitto  ma questo ultimo  si è rifiutato. Di Impero Romano purtroppo non è rimasto nulla con cui fare dei confronti genetici: come sapete i Romani bruciavano i cadaveri e quindi non  ho nulla su lavorare-

Nella testa dei membri dell’ASEAN passò l’ennesimo pensiero disgustati – Chissà perché Egitto si è rifiutato! E poi, secondo te, i fratelli Vargas ti avrebbero dato il permesso di usare il cadavere del nonno?-

-Quindi no … non ho prove … per il momento- concluse Singapore tristemente e la luce sinistra nei suoi occhi scomparve, almeno in quel momento.

-Le ricerche che fai, le effettui da solo e su stesso, giusto?-domandò titubante Vietnam a Singapore , il quale  rispose duro- Da solo, mi piacerebbe coinvolgere qualche altra mente brillante ma ,nell’eventualità di qualche talpa, ho sempre lasciato perdere-

Un mormorio nacque della stanza, ambiguo e conclusivo: l’ASEAN aveva finito la riunione.

Berlino è considerata da molti una Londra germanica ma più economica  e meno stressante. E’ conosciuta per il suo clima internazionale e variopinto il quale attira tantissimi giovani che non sono spaventati dalla lingua tedesca.

A Berlino di birrerie ce ne sono tante, la Germania è orgogliosa della sua cultura in fatto di birra, per cui dove un Rappresentante tedesco inviterebbe a discutere un altro suo pari?

Il barista guardò con simpatia il giovane che era appena entrato.

Era un uomo dalla bellezza molto particolare, i capelli erano biondissimi tanto da sembrare bianchi quasi come la neve, i suoi occhi erano di una particolare sfumatura di blu che sembrava viola.**

Ma non era un belloccio, il viso era duro e la mascella pronunciata quanto le sue spalle: il tutto dava la sensazione di un combattente, era il sorriso beffardo sulla bocca ad alleggerire la sensazione.

Il barista e l’uomo si salutarono e quest’ultimo chiese se la sua ospite era già arrivata.

Il barista smise di sorridere, i suo baffi già striati di bianco divennero più spioventi di un tetto.

-Se ti riferisci a una ragazza molto bella ma altrettanto pericolosa … sì, è arrivata-

L’uomo sorrise alla descrizione, coincideva perfettamente.

-Gilbert, ti piacciono le donne toste?- domandò invadente il barista mentre Gilbert alzava le spalle come per dire “ Che vuoi farci?”.

Il tedesco gettò un’occhiata alla sala e vide nell’angolo la famosa donna che cercava.

Rimase un attimo ad ammirarla, cercando guardarla con gli occhi di una persona normale.

Era molto bella e anche sexy ( un termine che Gilbert non avrebbe mai usato davanti a  costei), ovviamente non tedesca.

Alta per una donna, slanciata, con  pelle diafana risaltata da un vestito scuro che le fasciava perfettamente il corpo formoso.

Gilbert si incamminò verso di  lei scatenando un piccolo mormorio di protesta da quella parte della sala che stava fantasticando come spogliarla la  straniera.

-Se sapessero come stanno le cose- pensò divertito Gilbert mentre sentiva accrescere il mormorio.

Quando fu praticamente davanti alla ragazza, costei lo squadrò per un attimo e poi guardò l’orario su un piccolo orologio  da polso e gli disse tagliente in tedesco - Sei in orario-

-Deduco che sei in anticipo-le rispose in russo lui, una lingua che non amava molto  usarla ma era un buon modo di mettere a suo agio la donna-

-Sarebbe stato più carino se tu fossi arrivato in anticipo- concluse la donna.

-E’ sempre un piacere parlare con te Natalia- rispose Gilbert  questa volta in inglese.

Natalia si lisciò le balza della gonna chiaramente infastidita-Quale è la nostra storia?- domandò in inglese, si erano finalmente messi d’accordo su qualcosa.

-Giovane coppia sposata in luna di miele, in Tailandia- spiegò Gilbert che nel frattempo si era seduto.

A quelle parole il viso algido di Natalia mostrò irritazione, un attimo di rammarico e poi tornò freddo.

Gilbert potete indovinare i suoi pensieri però si tenne per sé le considerazioni, con tutto il tempo che erano passati insieme dall’altra parte del muro aveva imparato molte cose di quella strana ragazza che rappresentava la Bielorussia. 

-Come mai la Tailandia?- domandò la donna.

-Mi deludi Natalia, sai bene che i criminali sanno sempre tutto rispetto alle persone che lavorano nei governi. In Tailandia c’è un famoso trafficante, il permesso di  far passare un elicottero devono averlo chiesto a lui- spiegò ironico il tedesco.

La donna non rispose alla provocazione del tono ironico, fissò indifferente l’uomo e chiese-Quando partiamo?-

-Tra sei ore, sai bene che cosa dobbiamo fare?- Gilbert nel frattempo ordinò  due birre al barista con dei gesti.

Natalia a tutta risposta fece scattare qualcosa, Gilbert avvertì una sensazione di freddo vicino alla coscia: aveva passato troppo tempo sui campi di battaglia per non capire che era un pugnale.

Un sorriso sbieco e ironico accompagnarono le parole- Più o meno. Ma in particolare dovremo indagare-

Un piccolo sorriso apparve sulle labbra ben fatte di Natalia, forse quella missione la divertiva di più di quello che sembrava.

Quando arrivarono le due birre, Gilbert non si stupì nel vedere nel vedere la ragazza bere un bel po’ del suo boccale: probabilmente lei la mattina beveva Vodka assoluta.

-Allora , come ti devo chiamare Gilbert? Passerotto mio?- chiese ironica Natalia- Marito mio? Sappi che mi rifiuto di chiamarti il Magnifico-

 

 

NOTE DELL’AUTRICE

*Ebbene Singapore l’abbiamo descritto come il classico scienziato pazzo, credo che la più grave mancanza in questo manga sia proprio la mancanza di questo stereotipo(infatti nelle mie ff c’è Antartide in questo ruolo anche se non è ancora apparsa). Perché Singapore? Perché li hanno costruito il più grande centro scientifico del mondo e gli scienziati sono molto più liberi e protetti da molte persone che a parlano a sfavore della ricerca.

 

**L’aspetto originario di Gilbert nel manga è questo, l’aspetto dell’anime da albino lo trovo leggermente assurdo soprattutto se considerate che durante la seconda guerra mondiale i tedeschi pretendevano la perfezione fisica della razza ariana, un albino non avrebbe fatto la sua bella figura nell’esercito tedesco e credo che avrebbe rischiato il lager.

 

 

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Capitolo 10
*** 00.1 - Preludio ***


Allora cari lettori e care lettrici dopo una pausa estiva che ha tenuto impegnate le nostre forze (mi sono laureto fate un pò voi XD) vi annuncio che a breve riprenderà la pubblicazione mensile della fanfic qui presente. Nel frattempo per darvi la possibilità di riprendere la lettura con il giusto animo, posto questo capitolo che riprende l'inizio della nostra storia (capitolo che tra l'altro avevo già pubblicato altrove ma almeno do la possibilità a chi non l'abbia letto o ai nuovi lettori di farsi una idea più precisa e lineare del tutto).
Ricordo una cosa importante: questa storia di Hetalia è derivata dalla collaborazione mia (JhonSavor
) e di Sokew86, e vede mescolate le  nostre due differenti visioni riguardanti il soggetto Hetalia. "Il mondo che verrà" è infatti ambientata su quella che ci piace chiamare Terra-3 in relazione ai nostri rispettivi universi narrativi che sono Terra-1 e Terra-2. Mi piacerebbe star qui a raccontare le differenze ma andrei fuori tema e non è il caso XD.
Per ogni vostra domanda siamo a disposizione, come pure per rispondere alle vostre recensioni: ne approfitto per ringraziare tutti coloro che ci hanno letto e seguito fin qui sperando che lo facciano ancora! Buon lettura!
JS



Prima decade del XXI secolo.

 
 
Sul far della sera, Kenya aveva lasciato la sua casa a Nairobi con la automobile che il governo gli aveva messo a disposizione per i suoi spostamenti.
Era partita senza informare nessuno di dove stesse andando e di cosa volesse fare.
Aveva solo lasciato detto: “A fare il bene per il paese”
Che per i politici kenioti voleva dire tutto o niente.
Tegla usava sempre quella risposta quando volevo lasciare un discorso in sospeso, quando voleva spostarsi per un motivo preciso e che per il momento voleva tenere per se.
Per qualsiasi altra cosa era schietta e diretta. Perchè lei odiava mentire. Non le riusciva.
Neanche quando era una colonia inglese.
Cosa strana per una politico, dicono sempre i più cinici quando vengono a sapere questa sua particolarità.
Fatto sta che negli ultimi trent’anni ogni qual volta Kenya diceva quella frase, dei fatti positivi iniziavano a manifestarsi: diminuzione delle tensioni lungo i confini, appianamenti diplomatici, accordi conclusi in tempi brevi quando i presupposti ne avrebbero detto il contrario.
Quella frase, criptica non si poteva dire di no, aveva iniziato ad essere percepita come un buon presagio: significava che Tegla stava portando avanti un qualche suo progetto e che fosse sul punto di metterlo in atto, mancavano solo alcuni particolari che doveva visionare personalmente.
E il motivo di questo viaggio era proprio finalizzato per uno di essi.
Kenya sapeva che questa sua politica non era sempre ben apprezzata.
Non era il Presidente, non era un ministro.
Il Trattato le imponeva di agire nell’ombra.
Ma questo era il suo Paese. Questa era la sua casa. Il suo popolo.
E lei avrebbe fatto di tutto per far si che la situazione migliorasse.
Avevano fatto alcuni passi avanti nel corso degli anni. E non tutti erano dovuti a lei.
Non si prendeva meriti che non fossero i suoi.
Se la situazione in Kenya era migliorata non era solo perchè il suo Rappresentante faceva il lavoro degli altri.
C’erano molte persone che valevano. Molti suoi compatrioti che facevano del bene, bilanciando i dati negativi.
Ma come direbbero alcuni, i tempi non erano ancora maturi per rilassarsi.
Lei si sarebbe impegnata più che mai per far si che quella fiamma di speranza continuasse a bruciare.
E con l’aiuto di Dio, si sarebbero finalmente scrollati di dosso quel loro terribile passato… era un dovere verso le future generazioni.
A tutto questo Kenya stava pensando mentre guidava.
C’era un dannato buio nero come la pece. Doveva tenere accesi gli abbaglianti per poter fendere quell’oscurità oppressiva ed evitare che ci fossero degli ostacoli inattesi.
Le strade in fondo non sono mai sicure al cento per cento.
Ad un certo punto attraverso lo specchietto retrovisore vide una veicolo, un grosso hummer per la precisione, farsile sempre più vicino.
Alla fine le arrivò praticamente attaccata al paraurti e nonostante tutto non voleva staccarsi.

Non vuole mollare la presa il cafone…

Poi si rese conto di trovarsi sulla corsia di sorpasso e si diede della scema: quel tipo aveva fretta e lei gli stava bloccando il passaggio.
Mise la freccia, cambiò corsia e decise di accendere la radio per ascoltare qualcosa, per ammazzare il tempo durante il tragitto.
La radio non fece neanche in tempo ad accendersi che uno terribile scossone fece sbandare l’auto.
Tegla in preda al panico cercò di mantenere la guida ma il pericolo era ancora li: l’hummer di prima le stava venendo addosso!
Stavolta il colpo fu tale da far uscire la vettura di strada che si ribaltò a testa in giù per poi ritornare normale.
Il parabrezza in frantumi, la portiera semi-sfondata e ammaccature di ogni sorta decoravano ora la carrozzeria.
Tegla si sentiva intorpidita, l’airbag l’aveva protetta almeno un po’, ma era ancora completamente scombussolata.
Con estrema fatica si liberò della cintura di sicurezza e aprì la portiera.
Cercò di uscire dall’abitacolo ma l’impatto le aveva reso le gambe di burro e cadde al suolo sull’erba.
La testa le batteva forte “C-che diavolo…? Ma chi era quel fottuto stronzo?”
Provò a rialzarsi ma riuscì solo a mettersi a gattoni.
Pensando di avere le allucinazioni, nella completa oscurità iniziò a vedere alcuni puntini rossi sul suo corpo.
Poi alcuni velocissimi sprazzi di luce.
Cinque o sei dardi le si conficcarono nelle carni e una scossa elettrica attraversò il corpo della keniota.
Tegla pensò che il suo corpo stesse prendendo fuoco.
Si sentiva sempre più debole ma riuscì ad alzare la testa e a distinguere cinque figure nell’ombra.
Non li aveva sentiti arrivare, l’avevano presa alla sprovvista.
E ora se non si dava una mossa, lei…
Due dardi le si conficcarono in fronte, scaricandole addosso altro elettricità.
Per finire qualcuno la colpì alla mascella con il calcio di un fucile e l’oscurità fu completa.
 
 
-Comandante Dumas!-
I cinque uomini che presiedevano la carcassa dell’auto e il corpo svenuto della Nazione keniota, si rizzarono sull’attenti.
Il nuovo venuto, illuminato dalle torce elettriche dei caschi, fece cenno loro di rilassarsi –Comodi, comodi. Allora come è andata, tutto come previsto?-
-Sissignore, la preda è stata colpita e resa inoffensiva, signore-
-Molto bene. Undici, Tredici, Quindici venite avanti-
Al suo cenno altri tre uomini sbucarono dalle ombre sorreggendo qualcosa di pesante.
-Ora voi tre vi occuperete della macchina, mentre voi cinque- e indicò il gruppetto di assalitori –verrete con me sull’hummer per il trasporto della preda-
-Signorsì!- esclamarono gli otto all’unisono
Il corpo di Tegla venne sollevato da terra e trasportato verso la strada.
-Non appena saremo sul mezzo, imbottitela come ci hanno consigliato, non voglio scherzi-
-Con tutto il rispetto comandante- proruppe uno del suo seguito –non credo che avremo problemi-
-Già, proprio così- disse quello che teneva la vittima tra le braccia.
Uno dei restanti si voltò verso i tre che erano rimasti alla vettura.
Vide che uno stava armeggiando con la targa del paraurti mentre gli altri due sistemavano il vano guidatore.
-Comandante, scusi la domanda… chi è il tizio che Undici, Tredici e Quindici stanno mettendo al posto di guida?-
Il capo-squadra non si voltò neanche –Uno spacciatore ugandese… nessuno di cui qualcuno sentirà la mancanza, e che soprattutto non attirerà più di tanto l’attenzione della polizia locale-
Un rumore crepitante divampò all’improvviso alle loro spalle: i tre uomini avevano dato fuoco alla vettura.
Ora si che la missione si poteva definire a buon punto.






Ci rileggiamo tra pochi giorni con il capitolo ambientato nel presente!
Ultime note. Se volete leggere l'altra fanfiction di nostra collaborazione: Ogni mondo è una storia a sè 
Se invece siete curiosi di leggere i nostri rispettivi lavori:
JhonSavor Sokew86

 

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Capitolo 11
*** 09 - Ricerche tra Africa e Sud-Est Asiatico ***


Capitolo IX: Ricerche

 

 

In una camera d’albergo a Phnom Penh, capitale della Cambogia

 

-Allora che cosa dice il rapporto di Svizzera?-

Natalia Braginsky stava percorrendo a larghe falcate l’intera area della suite che avevano prenotato, osservando e toccando con mano ogni suppellettile o pezzo di mobilio che trovasse.

-Un po’ di cose…- Gilbert la fissava dubbioso dal divano su cui si era stravaccato non appena erano entrati, reggendo tra le mani una cartella portadocumenti gialla -ma non te lo hanno inviato?-

Senza interrompere minimamente la sua esplorazione, Bielorussia gli rispose con sufficienza -Gilbert sono qui solo perché l’Unione è riuscita a convincere mio fratello che ha convinto il suo presidente che ha fatto “formale richiesta” al mio presidente affinchè ti affiancassi in questa trasferta… cosa ti dice questo?-

-Che dovreste mandare al macero il vostro sistema ed entrare a far parte dell’Unione- le rispose roteando gli occhi, con una punta di ironia -Si risparmierebbero un sacco di soldi in bollette telefoniche, se non altro-

-Kretyn- fu il suo unico commento

-Il fatto è che Zwingli è stato molto esaustivo ma a parte un punto di partenza ottimale non ci ha fornito niente di particolare-

-Ovvero?-

-Che l’attacco sembra essere partito dalla Cambogia, per la precisione da una di queste province meridionali: Svay Rieng, Prey Veng, Kampong Cham, Kracheh-

Bielorussia si era appena chinata per guardare sotto un comodino, e ancora una volta gli rispose dandogli le spalle

-Beilschmidt se stessimo parlando di qualsiasi altro argomento quei nomi per me avrebbero avuto lo stesso valore. Arriva al nocciolo della questione, vuoi?-

Gilbert stava incominciando ad innervosirsi –Frau, si può sapere che diamine stai combinando? È da quando siamo entrati in questa stanza che non sei stata ferma un secondo per controllare se c’è polvere sui mobili, e hai anche il coraggio di dirmi come spiegarti come stanno le cose?-

A quell’uscita Natalia si fermò e per la prima volta si voltò a guardarlo. E i suoi occhi erano serissimi

-Scusa, deformazione professionale da ex-agente del KGB. Sto controllando che non ci siano microfoni, cimici o altra forma di ricetrasmittente-

Gilbert non seppe dire se nella sua voce si nascondeva del sarcasmo o meno.

-Microfoni? Qui? E di grazia chi ci dovrebbe spiare? Per le autorità di questo paese siamo una coppia di sposini novelli che è venuta in luna di miele. Perché dovrebbero pedinarci?-

-Forse non lo sai ma la Cambogia è tra i paesi più corrotti del mondo. Qui politici, poliziotti e trafficanti frequentano gli stessi club a momenti. E il loro Rappresentante sa che siamo qui. O per lo meno sa che dobbiamo venire-

-Beh Vietnam ha fatto una riunione con i suoi colleghi dell’Ansean per avvertirli di un pericolo che è in agguato nell’ombra- le fece notare -Ha voluto proteggerli-

-È stata una mossa stupida- sentenziò

-Si è sentita in dovere verso di loro. Teufel(1), stando a quanto scrive Svizzera Vietnam ha un forte senso di responsabilità. Se qualcuno dei membri dell’Ansean fosse scomparso perché non li aveva avvisati in tempo, se ne sarebbe data la colpa-

-Ci mancava una paladina. Eccellente-

Gilbert la guardò di sottecchi –Forse alcuni di noi dovrebbero prenderla ad esempio…-

Bielorussia si voltò nuovamente verso il tedesco e gli puntò il dito contro –Sentimi bene Prussia…-

-Non dire quel nome-

Il tono profondo e secco con cui Gilbert pronunciò quella frase prese Natalia in contropiede.

-Non usare impropriamente certe parole, Bielorussia- si alzò dal divano e si avvicinò piano alla donna –Non rievocare nomi che non sono più di questo mondo-

Era ad un passo da lei, in tutta la sua altezza e i suoi profondi occhi blu violacei –Se non vuoi chiamarmi con il mio nome di battesimo, chiamami Brandeburgo oppure semplicemente Osten(2) se preferisci-

I due erano davvero vicini tanto che Natalia sentì forte il suo respiro sul viso. Odorava di zenzero.

-Ma non chiamarmi, mai, più, Prussia. Siamo d’accordo?-

Era una di quelle affermazioni a cui non si poteva replicare alcunché se non semplicemente -Dobra(3)-

Rimasero a fissarsi per alcuni secondi ancora, immobili l’uno di fronte all’altra.

Poi Gilbert le mise in mano con un gesto brusco la cartella portadocumenti –Sono stanco, penso che andrò a farmi una doccia-

E senza aggiungere altro si diresse verso il bagno.

Natalia non era una donna che si impressionava facilmente. Difatti aveva retto lo sguardo del tedesco e non era minimamente arretrata quando lui le si era fatto vicino. Anche perché se avesse osato sfiorarla conosceva diversi modi per difendersi, anche da un suo pari. E nell’ordine delle decine.

Ma c’era stato un momento, un momento soltanto, in cui davvero la Nazione decaduta le aveva trasmesso una forte pressione. A riprova che nonostante avesse perso il suo status da quasi settant’anni, lui esisteva ancora.

La sua forza era ancora presente .

Bielorussia fece un breve sospiro e aprì la cartella: aveva molto da leggere.

 

 

Brazzaville, Repubblica del Congo

 

Francis stava sorseggiando un caffè in tutta tranquillità su un tavolinetto fuori da un piccolo bar nel centro della capitale congolese.

Era amarissimo ma non gli dispiacque più di tanto. Forse perché era troppo intento ad osservare il panorama.

Il Rappresentante francese aveva molti volti lo riconosceva lui stesso. Il suo carattere aveva varie sfumature, infatti amava al tempo stesso la vita all’aria aperta e quella cittadina.

Gli piaceva osservare tanto i vigneti carichi d’uva, i campi di grano, le colline baciate dal sole o lavate dalla pioggia quanto la gente che passeggiava per le strade, che scorrazzava in macchina, che entrava e usciva dai negozi o nei mercati. Gli piaceva vedere i palazzi sia antichi che moderni.

Quindi l’aspettare per lui non era mai un problema. C’era sempre qualcosa da osservare.

Per esempio, quella bella ragazza in jeans e maglietta ferma al semaforo…

-Monsieur Bonnefoy?-

Francis si voltò nella direzione da cui proveniva il richiamo

Si ritrovò di fronte un congolese alto, abbastanza magro, dai capelli ricci e corti, vestito con un completo d’ufficio grigio e una cravatta rossa a rombi blu. Sembrava leggermente nervoso.

-Oui?-

-Vous êtes Louis Bonnefoy?(4)-

-Oh mais bien sûr!- Francis si alzò in piedi e gli strinse la mano -Et vous devez être Ndinga Manuel, non? Comment va votre père? Et votre grand-père?(5)-

-Ils sont tous très bien, même si le grand-père a un principe de la goutte(6)-

-Eh, on m'a dit que c'était un grand buveur- il francese lo invitò a sedersi al suo tavolino -Vous devriez lui dire de baisser la boisson que vous connaissez?(7)-

Manuel con una leggera alzati di spalle rispose imbarazzato -A son âge, qui veut avoir le courage de lui dire quelque chose(8)-

Francis dovette constatare che aveva ragione anche lui -Cela est également vrai...(9)-

Il nuovo venuto era visivamente sul chi va là e Francia cercò di metterlo a suo agio.

-Vuoi qualcosa? Un caffè, un succo d’arancia? Una birra?-

Manuel mise avanti le mani con in modo impacciato ma garbato gli rispose –No, no, no, grazie sono a posto così-

Ma il francese insisté –Vuoi qualcosa da mangiare? Chiedo se hanno qualcosa-

-No, no davvero monsieur, sono a posto così, grazie-

A quel punto Francis alzò le mani in finta rassegnazione con un sorrisetto sulle labbra.

Per alcuni istanti scese il silenzio. Una pausa che Francia impiegò per riprendere a bere il suo caffè amaro.

-Io…- iniziò il congolese -ecco… è un onore per me incontrarla monsieur Louis. La sua famiglia ha fatto tanto per la mia in passato specialmente suo nonno Francis che ci aiutò durante la guerra e anche dopo-

Francia annuì –Beh mio nonno ve lo doveva, la tua famiglia si schierò subito con i membri della Francia Libera e anche successivamente avete cercato sempre di operare per il bene del vostro paese… mio nonno apprezzava gli uomini d’onore e io lo stesso-

A quelle parole Manuel abbassò lo sguardo e iniziò a tamburellare le dita sul tavolo.

-È per questo che… insomma, quello che mi ha chiesto di fare è stato piuttosto strano e contro ogni regola di sicurezza-

Francis abbozzò un sorriso -Non hai fatto niente di illegale Manuel. Vedi, le informazioni che ti ho chiesto di portarmi le avrei potute recuperare andando semplicemente all’ambasciata e richiederle. Come mio nonno, anch’io sono un ambasciatore, ho seguito le sue orme… è una cosa di famiglia potremmo dire. Solo che non volevo che nessun altro sapesse che ho richiesto quelle informazioni. Deve restare segreto-

Il congolese fece per aggiungere qualcosa ma venne anticipato dal francese –Se temi che qualcuno possa scoprirti e farti passare dei guai, non temere. Mi prenderò tutta la responsabilità e tu non avrai alcun problema. In fondo non mi stai consegnando segreti del tuo paese. Come ti ho già spiegato, ho agito così solo per discrezione-

-Insomma…- Manuel si guardò intorno e poi ripose nuovamente lo sguardo su Francis –niente cose che possano… ecco, portare a…-

Francia alzò il sopracciglio non capendo e il congolese si toccò la tempia con due dita -Pam!-

-Mon Dieu, no!- esclamò sorpreso -Tranquillo Manuel niente del genere, te l’assicuro!-

Quell’affermazione lo rassicurò facendogli tirare un lungo sospiro.

-Allora, ora che ti sei calmato, vuoi darmi ciò che ti ho chiesto, o vuoi aspettare ancora un po’?-

Manuel si mise una mano in tasca e vi prese una chiavetta usb –Qui ci sono tutte le informazioni. Spero che le siano di aiuto, quanto non danneggino me-

Francia la prese e la chiuse nel suo pugno –Come ti ho detto non hai di che preoccuparti. Questo è solo un pezzo di un puzzle che io e altri stiamo cercando di mettere insieme-

A quel punto gli porse la mano –Ti ringrazio. Saprò sdebitarmi, vedrai-

Manuel gliela strinse vigorosamente –Si figuri, è stato un piacere, nonostante tutto. E in effetti ci sarebbe qualcosa che forse lei potrebbe fare-

Francis lo guardò incuriosito –Sono tutto orecchi, Manuel. Se è qualcosa che posso fare, chiedimi pure-

-Ecco, vede io ho una figlia. Vorrei che potesse studiare come si deve e purtroppo l’unico modo sicuro è quello di mandarla in una scuola privata. Ma non credo che con il mio stipendio e quello di mia moglie sia possib…-

-Non aggiungere altro Manuel. Pagherò io ciò che serve per tua figlia-

-Davvero? Le restituirò tutto, glielo prometto e…-

-Non mi devi niente Manuel. I giovani sono il futuro, no? E inoltre mi sto solo sdebitando per un disturbo che ti ho procurato-

Il congolese era incerto –Non mi sembra corretto. La sua famiglia…-

-Ora non farti prendere dall’orgoglio. Entrambi stiamo agendo per una buona causa quindi non ti dare problemi-

Conclusa la discussione sul nascere, i due si strinsero la mano e Manuel Ndinga si congedò.

-La ringrazio mille volte, monsieur Louis. Arrivederci-

Francis lo salutò cordiale.

Quando vide che si era allontanato abbastanza, aprì la sua mano e fissò la chiavetta.

Sia lui che Inghilterra avevano una certa abilità nel campo dello spionaggio, o per lo meno nell’arte di farsi passare per qualcun altro. Solo che a differenza dell’inglese, che amava le trovate macchinose e, a suo dire, abbastanza estroverse, lui preferiva quando l’efficacia sposava la semplicità.

E il farsi passare per “Louis Bonnefoy” era esattamente quello che intendeva quando parlava di tale connubio.

-Garçon? Mi porti dell’altro caffè e un croissant, s'il vous plaît-

 

 

Alcuni giorni dopo nella provincia di Kampong Cham, Cambogia

 

-Gilbert-

-Natalia?-

Le due Nazioni svettavano solitarie sotto la pioggia di fronte all’ingresso di un giardino murato, al cui interno si poteva scorgere un edificio fatiscente.

-Ci dobbiamo proprio entrare?-

-Anch’io eviterei, ma l’informatore che ci hanno indicano per questa zona della provincia si trova qui-

La slava si sistemò la frangia e si voltò verso il tedesco -Ma è possibile che esistano “canarini” informati solo per le loro province? Anzi per i loro distretti! Che cosa dovrebbe essere? Un campanilismo della mala stile cambogiano?-

Gilbert rise –Esistono “canarini” piccoli e “canarini” grandi, mia cara Natalia dovresti saperlo-

Lei di rimando gli lanciò un’occhiataccia –Si ma non ne ho mai visti così. Se uno è un pesce piccolo non lo consideri. Lo tieni sotto controllo, gli chiedi piccole cose per sapere che diavolo succede nei bassifondi ma quando ti serve qualcosa di importante, è ai pesci grossi che ti rivolgi-

Gilbert la guardò con un’occhiata stupita –Hai mai fatto caso che alle volte in questo mestiere usiamo metafore tratte dal mondo animale per riferirci a persone o a cose?-

L’ultima volta che aveva visto uno sguardo così tagliente era stato quando aveva fatto un commento poco appropriato su un quadro esposto in una galleria di arte moderna. E il patrocinatore della galleria era affianco a lui.

-Evidentemente cara Weißrussland- riprese più seriamente –in questo paese non è consigliato essere un “canarino” troppo grosso, a meno che non si abbia le spalle abbastanza coperte. Si potrebbe entrare nel mirino di belve affamate-

Bielorussia si tolse dell’acqua dal viso - È la terza provincia che visitiamo Gilbert, e lo stiamo facendo di persona. Non passiamo di certo inosservati e se ci identificassero? O per lo meno diffondessero informazioni su di noi?-

-Siamo stati accorti Natalia. Ogni volta usavamo identità diverse, motivazioni differenti e all’occorrenza ci camuffavamo un po’-

-E secondo me ci siamo andati anche troppo leggeri alle volte. Saremmo potuti andare dritto al sodo e strizzare le informazioni che ci servono-

Il tono della voce della donna si era fatto molto vicino al nevrastenico, avrebbe detto il tedesco, e sentendo il tuono rombare non riuscì a trattenersi –Sei meteoropatica per caso?-

Ulteriore occhiataccia. Un junker prussiano sa quando è il caso di battere in ritirata.

-Dai entriamo, forza-

I due si avviarono. Oltrepassarono l’ingresso della cinta e si diressero verso il portone dell’edificio attraversando il giardino. La fitta pioggia impediva di notare distintamente le sue forme ma anche con il sole non ci avrebbero fatto più di tanto caso.

Gilbert bussò alla porta e dopo poco gli venne aperto. Non una voce ma solo un braccio fuoriuscì dall’incavo invitandoli ad entrare.

I due si guardarono come a sincerarsi la presenza dell’uno di fianco all’altra e oltrepassarono la soglia.

Entrarono in un ambiente riscaldato, quasi afoso, in netto contrasto con le intemperie dell’esterno.

E, contro ogni previsione, l’interno era molto più colorato e ben tenuto rispetto all’esterno. E molto più… vistoso.

Le due nazioni notarono che era stata una giovane donna vestita alla cinese, e se non lo era lo ricordava moltissimo, ad aprire loro la porta.

Questa si rivolse loro in khmer, la lingua locale ma i due fecero subito intendere di non comprendere la lingua.

La cambogiana colse al volo il problema e fece loro cenno di aspettare. Con un sorriso che le andava da una guancia all’altra si congedò e si allontanò con rapidi ma aggraziati passi.

E fu allora che Gilbert notò che il Cheongsam* della donna aveva la parte inferiore corta. Molto corta. Estremamente corta. Da lasciarle nude completamente le gambe fin quasi sotto i glutei.

Bielorussia gli tirò un pizzicotto e lui si ricompose subito.

-Di tutti i posti… - commentò acida la slava –in una maledetta casa a luci rosse dovevamo finire…-

Gilbert fece dei brevi colpi di tosse per ridarsi un tono –Beh ho letto che più di cinquantamila donne vengono sfruttate nel circolo della prostituzione locale-

-Vergognoso. E degradante-

-La penso esattamente come te-

Lo guardò con una strana occhiata –Si, intanto hai allungato lo sguardo-

Gilbert arrossì leggermente –Mi sono fatto cogliere di sorpresa-

-Immagino…-

-Sento il tuo sarcasmo Natalia-

-In realtà mi domandavo se tu avessi mai…-

-Non mi pare che siano affari tuoi. E vogliamo davvero parlare di questo?-

-No figurati… non sono affatto curiosa di sapere della tua vita privata-

In quel momento arrivò un'altra donna.

Nonostante non dimostrasse una età maggiore di quella che li aveva accolti, si percepiva dallo sguardo e dall’andatura che era più esperta.

-Benvenuti alla Lanterna Rossa- si espresse in un fluente inglese con giusto una leggera inflessione –Siamo al vostro servizio. Avete qualche richiesta particolare?-

Gilbert prese la parola –Ecco noi veramente…-

-Oh siete una coppia?- li guardò con un certo interesse -Perché se lo siete abbiamo diverse opzioni-

Gilbert impallidì mentre Natalia avrebbe voluto girare i tacchi e andarsene

-No, no, ecco noi…-

-Abbiamo giusto un paio di stanze comunicanti nel caso voleste fare esperienze in solitario oppure posso vedere se darvi la stanza grande per le…-

La slava la bloccò a metà –Non. Siamo. Una. Coppia-

Sul viso della cambogiana si dipinse un lungo sorriso –Siete solo amici, quindi-

Il tedesco sembrò riprendersi un attimo e vedendo Bielorussia sbuffare, decise di rispondere per lei –Beh non proprio amici stretti ma…-

-Che fortuna- rispose la donna mettendosi le mani sul petto e respirando a fondo –Non avete idea di quanto sia problematico organizzare quel tipo di serate. A questo punto posso darvi una stanza a testa e mand…-

Bielorussia venne trattenuta da Gilbert prima che potesse lanciarsi sulla poveretta che era di fronte a loro.

-A dire il vero vorremmo vedere la tua signora, Madame Kunthea. Vorremmo parlare con lei di una questione urgente-

-Oh- fu l’unico suono che uscì dalla bocca della donna.

I due europei si scambiarono un occhiata di sbieco –C’è qualche problema?-

-Effettivamente si- rispose lei cortesemente congiungendo le mani –Madame solitamente non riceve se non per appuntamento… dicendo così intendo che è lei ad organizzare l’incontro, ovviamente-

Gilbert mise una mano nella tasca dei pantaloni –Non è una che ama ricevere visitatori, eh?-

Natalia sentì un fruscio familiare provenire dalla tasca e subito la mano del tedesco ne fuoriuscì tenendo tra le dita una banconota che venne subito messa di fronte al viso della cambogiana.

-E se io ti… chiedessi gentilmente di annunciarci, dicendo che siamo in cerca di affari particolari? E che il denaro non ci manca?-

La donna deglutì abbastanza sonoramente –Ecco io…-

-Questi sono per il disturbo…- ne estrasse un’altra e la affiancò a quella di prima a mo’di ventaglio –e questi altri per assicurarmi che tu sia celere ed efficace, okay?-

Bielorussia non poté fare a meno di notare l’occhiolino che Gilbert aveva aggiunto come culmine alla domanda.

La donna prese le due banconote e dopo un leggero inchino di diresse con passo corto ma molto veloce nella medesima direzione da cui era provenuta, lasciando i due nuovamente soli nel corridoio d’entrata.

Passarono alcuni minuti nel silenzio che venne rotto dalla donna

-Gilbert?-

-Si?-

-Hai appena dato duecento euro a una donnaccia? E solo per farci incontrare l’informatore. O non conosci il valore del denaro oppure ne hai talmente tanto da permetterti di buttarlo via così-

-Si chiamo “scambio equo”-

A quell’uscita Natalia non rispose alcunché così il tedesco accennò vago –Cosa c’è? Avresti preferito che glieli avessi dati per i servizi che fa? Ti sarebbe andato bene?-

Natalia non si stancava di certo di lanciargli occhiatacce al vetriolo –Se ci tieni, dopo l’incontro con l’informatore potresti anche fermarti qui. Tanto per come stanno andando le cose avremo solo informazioni frammentate che non ci porteranno a niente se non ad un altro buco nell’acqua…-

Gilbert si mise una mano in tasca, per prendere una gomma da masticare –Non essere così negativa… e comunque non lo farei mai- aggiunse in un sibilo.

Bielorussia sentì quell’ultima affermazione distintamente e in un primo momento fu tentata di chiedergli che intendesse dire ma alla fine decise di lasciar perdere.

Il silenzio ritornò tra loro e stavolta venne interrotto solo dal ritorno della cambogiana.

-Madame vi sta aspettando nei suoi appartamenti privati. Vogliate seguirmi-

La donna li condusse per i corridoi di quello che la signorilità di Natalia e il senso morale di Gilbert avrebbero definito come “un’alcova di lussuria e perdizione”.

Passarono vari piani dell’edificio che simbolicamente andavano ad indicare la diversa qualità del servizio: stanze piccole, alle volte con semplici tendaggi a celare l’interno, altre senza neppure quelle, lasciavano spazio a stanze più grandi dotate di vere porte che con il procedere del loro cammino iniziarono a caratterizzarsi per la differente fattura e colore.

I due intravidero involontariamente clienti e prostitute nella loro “intimità” oppure uomini e donne intenti nel fumare oppio e perdersi nei loro sogni vaporosi.

Il tedesco non potè fare a meno di notare che le scale conducevano anche al di sotto del piano terra e non volle immaginare il tipo di condizioni in cui vessava la gente di laggiù.

La slava invece serrava i pugni e stentava a contenersi: fosse stato per lei quel posto sarebbe potuto anche andare a fuoco.

Mentre si apprestavano a salire l’ultima rampa i tre vennero raggiunti da un fischio acuto e si fermarono. Un cliente soddisfatto se ne stava andando e la loro guida si voltò verso di lui dicendogli qualcosa con il sorriso sulle labbra.

Le due Nazioni furono contenti di non capire la lingua locale, per non dover cogliere dettagli scabrosi che evidentemente i due si stavano scambiando. Prima di andarsene, l’uomo si voltò verso Natalia e lanciò un fischio anche a lei ricevendo in contraccambio la solita occhiata che gli fece imboccare le scale più velocemente di quanto avrebbe gradito.

-Scusate l’interruzione. Le regole riguardo i clienti dei piani alti mi imponevano un intrattenimento di cortesia e…-

-Poche chiacchiere. Andiamo- la zittì Bielorussia.

Gilbert combinò un cenno di scuse con lo sguardo ad uno di sollecito con la mano e il terzetto ripartì raggiungendo l’ultimo piano.

Fuori pioveva ancora forte e il rumore dei tuoni si faceva sentire.

La differenza anche solo tra il vestibolo degli appartamenti privati di Kunthea e il resto dell’edificio era palpabile. Una tappezzeria di buona fattura ma non lussuosa ornava le pareti, accompagnata da vasi ricolmi di fiori e incensieri. Chissà come doveva essere l’interno, si domandò il tedesco.

La loro guida bussò alla porta e solo dopo un comando in cambogiano fece loro cenno di entrare.

-Non vieni con noi?-

-Oh no! Non ho il permesso di entrare. A nessuno è concesso se non per ordine di Madame. Adesso me ne torno ai piani inferiori, perché ho altri compiti che mi attendono-

E con un breve inchino si ritirò.

Bielorussia aprì la porta: la stanza era enorme. Ricopriva l’intera area del piano ed era ornata con un gusto oltremodo estroverso e variegato. Porcellane, stampe, pezzi di arredamento di vari stili e correnti sia occidentali che orientali si mischiavano tutti insieme in un armonioso caos.

Nessuno dei due se ne intendeva davvero di come dovesse venir arredata una casa, di cosa stonasse e cosa no in elazione ad altre, però l’effetto che trasmetteva quella stanza era a dir poco straniante.

Una voce suadente li richiamò all’ordine -Eccovi qui finalmente-

Madame Kunthea dava loro le spalle, intenta nel versarsi del liquore in un bicchiere. Vestiva solo di una lunga vestaglia verde smeraldo su cui si posavano i lunghi capelli neri come la pece. Il suo accento era perfetto.

-Gradite qualcosa da bere? O preferite passare subito agli affari?-

Voltandosi potè mostrare alle due Nazioni il suo viso. Madame Kunthea era una donna sulla quarantina ma non li dimostrava affatto. Non era neanche eccessivamente truccata ma aveva un che di magnetico nello sguardo. Un qualcosa dal quale uomini di poca fibra venivano certamente soggiogati.

Gilbert dovette però ammettere che, almeno in quella mise, Kunthea non aveva alcun bisogno dello sguardo per soggiogare qualcuno…

Bielorussia si fece avanti e nel farlo pestò accidentalmente il piede al collega che dovette trattenere un grido di dolore –Gradiremmo non perdere tempo, quindi rifiutiamo l’offerta-

La maitresse indicò un paio di sedie poste davanti alla sua scrivania, anch’essa arricchita da orpelli di ogni genere.

Una volta che tutti ebbero preso posto Kunthea riprese a parlare –Mi hanno detto che siete in cerca di tutt’altro che dei piaceri della mia casa… informazioni-

I due assentirono quasi all’unisono.

-E immagino che voi sappiate che ogni informazione ha un prezzo…-

-Ci risparmi la commedia- Bielorussia era decisa a non andare per il sottile –siamo qui per sapere se è a conoscenza di alcuni strani movimenti che possono essere accaduti in questa regione nelle ultime due settimane-

Non più di tanto indispettita, Kunthea bevve un sorso del suo liquore –Succedono così tante cose in questo paese… dovreste essere più precisi-

-Mi riferisco a soldati. Guerriglieri. Mezzi militari-

A quelle parole lo sguardo della cambogiana si incupì –Non so niente di ciò. Sta per scoppiare una guerra per caso?-

-Non lo so, me lo dica lei-

Bielorussia non le dava tregua e Kunthea cercò di rapportarsi con Gilbert per vedere se poteva trovare in lui un interlocutore più malleabile, o più circuibile, dipendeva dai casi –Lei non ha niente da domandarmi?-

-Che dovrei aggiungere? La mia collega sembra aver tutto sottocontrollo, non le pare?-

Il sarcasmo dell’uomo era tagliente e strappò una risatina alla maitresse che si coprì le labbra con una mano. Natalia dal canto suo avrebbe voluto prenderlo a calci.

Gilbert intuì i pensieri della compagna con uno sguardo e decise che forse era il caso che dicesse qualcosa di più costruttivo.

-Non vorrei che lo prendesse come un offesa, ma come lei ha ammesso, oltre a gestire la sua… ehm, attività- Gilbert sottolineò il termine roteando gli occhi intorno a sé -si occupa anche della compravendita d’informazioni. E come lei ha ricordato esse hanno un prezzo. Quanto valgono esattamente, le sue?-

Kunthea soffermò il suo bicchiere di brandy sulle labbra, per poi sorseggiarne una lacrima.

-La prego di essere più chiaro. Siete ospiti in casa mia e finora mi sembra di essere stata solo attaccata e accusata… più che una transazione mi sembra un interrogatorio-

I tre si fissarono reciprocamente negli occhi.

Madame Kunthea era una donna forte, abituata a trattare con uomini di ogni tipo, abile nell’uso della parola. Forse era il caso di forzare un po’ la mano.

-Come la mia collega le ha già in parte riferito, un paio di settimane fa è avvenuto un raid in territorio vietnamita che ha visto l’utilizzo di un elicottero da guerra- Gilbert congiunse le mani poggiando i gomiti sul tavolo –non siamo agenti segreti, ma questo gesto ha molto preoccupato parecchie persone, madame. Sappiamo che il raid è partito da qui, dal sud della Cambogia. Ci manca da identificare solo il punto preciso da cui tutto è partito-

Detto ciò fu il silenzio. Fuori la pioggia continuava a cadere e ad infrangersi sui vetri delle finestre.

-Può aiutarci? Lei ha parlato di una possibile nuova guerra… in sincerità la cosa potrebbe essere più complessa, ma si… stiamo cercando di evitare che un nuovo conflitto scoppi come una bomba sotto i piedi di innocenti-

In quel momento il rombo di un tuono fece sentire tutto il suo fragore sopra le loro teste: la maitresse ebbe un sussulto e per un momento le parve che gli occhi dei suoi due clienti brillassero di una strana luce.

-Forse…- la sua voce si fece esitante –forse so qualcosa-

L’attenzione delle due Nazioni venne subito colta. Finalmente dopo giorni la speranza di una vera pista si presentava loro.

-Ma vi costerà-

Bielorussia ebbe un fremito. Sentiva che non sarebbe stata in grado di trattenersi ancora per molto. Già sentiva una repulsione quasi fisica verso quel luogo, ed ora quell’ultima affermazione stava facendo traboccare il vaso della sua pazienza.

Gilbert le afferrò la mano stretta pugno e con uno sguardo le fece intendere di stare calma.

-Colgo il tuo disappunto donna- le si rivolse Kunthea –ma ciò che vi dirò potrebbe mettermi nei guai. E penso che un risarcimento mi sia doveroso, non credi?-

Bielorussia la osservò dura, mentre Gilbert le rispose –Mi sembra giusto. Ma prima vorrebbe darci un anticipo? Qualcosa che possa farci capire che sia ciò che cerchiamo?-

Madame Kunthea terminò il suo drink e parlò in modo molto spiccio –In un bordello si ha la possibilità di sentire le cose più disparate. Curiosità, segreti, informazioni… questo posto si regge ancora in piedi anche grazie a certe… confidenze che ho avuto modo di riportare e di tenere per me-

-Circa due settimane fa ricevemmo la visita di un nostro cliente abituale, un piccolo contrabbandiere che fa il lavoro pesante per uomini molto più potenti di lui che stanno altrove, in un’altra provincia. Era particolarmente agitato e dopo essersi scaricato ed aver assunto un po’ di oppio ha cominciato a raccontare una storia assurda. Una storia talmente assurda che diedi subito l'ordine di trascriverla senza dare nell’occhio-

-E di cosa parlava questa storia?- le domandò Gilbert

-Di come avesse dovuto fare da scorta ad una decina di uomini armati e intenzionati ad attraversare il confine senza farsi vedere ne localizzare…-

Kunthea si avvicinò loro chinando avanti la schiena e fissando Gilbert nei suoi occhi blu gli disse ciò che le due Rappresentanti stavano cercando da giorni –Gli avevano messo particolarmente timore. Aveva compreso che quegli uomini non erano razziatori o killer su commissione. Perché non aveva mai visto nessuno adoperare un elicottero da guerra per qualcosa del genere-

 

 

 

(1) Diavolo in tedesco

 

(2) Est in tedesco

 

(3) Bene in bielorusso

 

(4) Voi siete Louis Bonnefoy?

 

(5) Oh ma certo! E tu devi essere Manuel Ndinga, giusto? Come sta tuo padre? E tuo nonno?

 

(6) Stanno tutti benissimo, anche se il nonno ha un principio di gotta.

 

(7) Eh, mi hanno detto che era un forte bevitore. Dovreste dirgli di diminuire il bere sai?

 

(8) Alla sua età chi vuole che abbia il coraggio di dirgli qualcosa.

 

(9) Anche questo è vero...

 

* Tipico abito cinese

 

 

Note dell'autore:

 

Na-na-na-naaa!

Ci leggiamo alla prossima!

 

JS

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