I need a miracle to make it through

di Princess Kurenai
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Miracle ***
Capitolo 2: *** 2. Come back in my life ***



Capitolo 1
*** 1. Miracle ***


Titolo: I need a miracle to make it through
Titolo del Capitolo: 1. Miracle
Fandom: Pacific Rim
Personaggi: Herc Hansen, Tendo Choi, Chuck Hansen
Genere: Introspettivo, Fluff
Rating: Giallo
Avvertimenti: What if? (E se…)
Conteggio Parole: 1400
Note: 1. Chuck non muore. Tutto qui ù_ù Hansencest feels *muore d’amore*
2. Ispirata a quest’immagine di kaijusizefeels.
3. L’immagine del banner appartiene a rippar.
3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD

Aveva abbandonato presto i festeggiamenti nello Shatterdome, incapace di gioire per davvero dinnanzi a quella sofferta vittoria.
" Un padre non dovrebbe mai seppellire il proprio figlio", si era detto mentre il segnale di Striker Eureka spariva dagli schermi durante la battaglia appena conclusa.
Aveva vacillato ma, assumendo il ruolo di Marshal, era rimasto in piedi fino alla fine per guidare l'ultima speranza della terra. Tutti avevano tenuto duro, trattenendo il fiato fino a quando la Breccia era stata chiusa per sempre.
Avevano vinto e l'orologio di guerra era stato azzerato per l'ultima volta, e mentre lo Shatterdome si riempiva di applausi e festeggiamenti, Hercules Hansen si era invece accucciato per terra per parlare e coccolare Max.
Aveva tenuto la mente occupata fino a quell'istante - teso all’inverosimile a causa dell’incerto esito della missione -, ma era tutto finito.
La popolazione mondiale non avrebbe più dormito con un occhio aperto per timore di un nuovo attacco kaiju… ma lui al contrario non sentiva quella gioia, perché ogni singola cosa che contava per davvero nella sua vita ormai non esisteva più.
Tentò di pensare a qualcos’altro, di concentrarsi su qualsiasi cosa - futile o meno -, o addirittura cercò di tenere la mente vuota.
Ma non poteva. Non ne era in grado.
La parola 'morte' si ripeteva nella sua testa, costringendolo a piegare le spalle sotto il suo peso.
“ Era morto”, sussurrava quella voce.
“ Lo so, ma non voglio dirlo”, ribatteva Herc stringendo le labbra.
Doveva esserci lui su quello Jaeger. Se non fosse stato per il suo braccio forse tutto sarebbe andato diversamente.
Forse non sarebbero dovuti ricorrere alla detonazione del loro carico esplosivo. Forse sarebbero riusciti a spingere la bomba nella Breccia senza alcuna perdita.
Forse... forse doveva semplicemente accettarlo perché poteva farsi anche un migliaio di ipotesi, ma queste non sarebbero mai state in grado di cambiare quanto era accaduto.
Lui era vivo e dalla morte non era possibile tornare indietro.
Chiuse gli occhi, mordendosi le labbra.
« Mi dispiace», mormorò piano, grattando Max dietro le orecchie.
Chiedeva scusa al cane per non aver protetto il suo padroncino, per averlo mandato a combattere in una missione suicida.
La chiedeva allo stesso Chuck. Per non averlo fermato, per non aver preso il suo posto e per non essere stato in grado di salvare anche Angela… per averlo cresciuto da solo e senza una madre.
Per non essere stato un buon padre.
Soprattutto, chiedeva perdono alla sua scomparsa moglie... per tantissime cose. Troppe per un solo uomo, e anche se Chuck ‘sapeva’ quanto fosse grande il suo dispiacere, Herc non poteva fare a meno di mormorare quelle scuse...
Un rumore insistente tuttavia gli fece sollevare il capo verso le apparecchiature che ancora segnalavano le due capsule di salvataggio della signorina Mori e Becket che venivano recuperate insieme ai loro coraggiosi passeggeri.
Si avvicinò al macchinario che continuava ad emettere quel rumore e cercò di comprendere che cosa stesse accadendo.
Almeno si sarebbe distratto, si disse decretando poi un: “ Non si tratta di un allarme kaiju”, tra sé e sé.
Osservò la schermata fino a scorgere la causa di quell'insistente richiamo. Un qualcosa lampeggiava al lato del quadrante, e spostando il campo visivo della mappa riconobbe la natura di quella segnalazione.
Rimase per qualche attimo interdetto - era solo un suo desiderio o era la verità? - poi, a gran voce richiamò Choi, unico in grado di utilizzare al meglio quella tecnologia e di dirgli se la sua era solo un'illusione.
« Tendo! C'é qualcosa!»
L'uomo, bloccato nei suoi festeggiamenti, lo raggiunse preoccupato chiedendogli che cosa fosse accaduto - la Breccia era stata chiusa, che altro doveva esserci?
« Lo... vedi anche tu?», ribatté Herc indicando la schermata senza riuscire a mascherare una nota di incertezza.
« Buon Dio!», esclamò subito dopo Tendo dandogli indirettamente una risposta, prendendo poi posto sulla sua sedia. « È una capsula di sicurezza. Striker Eureka», dichiarò dopo aver individuato il numero di serie e cercando al tempo stesso di rilevare i segni vitali.
Era molto lontana dal luogo della detonazione.
Poteva essersi sganciata durante il combattimento ed essersi allontana a causa dell'onda d'urto.
Così come tanti altri pezzi dello Jaeger, si disse Herc.
Non era pronto a darsi false speranze e si ripeteva una dopo l'altra tutte le spiegazioni possibili a quell'assurdo avvenimento... perché alla fin fine poteva essere solo un caso.
« Rilevo delle attività celebrali, deboli ma sono presenti», esclamò con sollievo Tendo, « Herc, è la capsula sinistro. È quella di Chuck», continuò veloce, mettendo da parte ogni grado militare per lasciar trasparire l'entusiasmo ed il sollievo per quel miracolo.
Max, come se fosse a conoscenza di quanto era appena accaduto, iniziò ad abbaiare riscuotendo l'uomo che, muto, continuava a fissare la schermata.
Tutte le sue difese stavano crollando, lasciandolo impreparato a quella notizia.
Pur non volendo dire ad alta voce cosa era accaduto - un modo come un altro per non guardare in faccia la realtà -, in cuor suo aveva accettato la... la sua morte.
Gli aveva detto addio perché entrambi sapevano che quella sarebbe stata una missione suicida.
Sentì quasi distrattamente Tendo avvertire i soccorsi, dando loro le coordinate per il recupero della terza capsula, e l'unica cosa che fu in grado di fare fu prendere in braccio il cane di suo figlio e stringerlo a sé.
I segni vitali erano deboli, ma Chuck era vivo. Non gli importava come, ma era vivo.
Le lacrime che aveva tentato di trattenere tornarono a riempirgli gli occhi e Max, leccandogli il viso, lo fece sorridere.
Non era il momento di piangere, decretò asciugandosi rapidamente il viso. Quello era un momento di gioia.
Rimase allora in impaziente attesa delle informazioni provenienti dai soccorsi, continuando a fissare i parametri vitali nella schermata.
« Recupero della capsula avviato», dichiararono gli uomini sugli elicotteri, continuando poi a commentare le fasi del recupero.
Alcuni si erano calati sulla cupola - « È ridotta male ma integra, signore», avevano dichiarato - per poi aprirne il coperchio con l'apertura manuale.
« È incosciente, signore», spiegò uno dei soccorritori, « ma il battito è presente. Debole ma presente. Carichiamo sull'elicottero per i primi accertamenti»
Herc annuì, anche se era conscio di non essere visto dagli uomini che si occupavano di Chuck. Nella sua mente si ripetevano le loro parole, trovandole immensamente rassicuranti.
« Ritorniamo allo Shatterdome», annunciarono ed Herc, abbandonando i computer, si fece strada tra lo staff in festa per raggiungere l'eliporto, seguito a ruota da Tendo che non poteva fare a meno di definire quella situazione "miracolosa"... ed Herc non poteva che dargli ragione.
Non era un credente, ma quella situazione era così assurda da non avere alcuna spiegazione logica… solo la mano di qualcuno di, beh… più grande, poteva aver salvato suo figlio.
Attese il rientro degli elicotteri scrutando l'orizzonte, e quando vide le loro lontane sagome - seguite subito dall'ormai familiare rumore - trattenne ancora una volta il fiato.
Passarono solo pochi minuti, per Herc infiniti.
Non aveva mai visto un atterraggio così lento - o era la sua impressione? - e quando finalmente toccarono terra i suoi occhi si mossero alla ricerca di novità.
Inconsciamente sperò di vedere Chuck scendere sulle proprie gambe - maledizione, avrebbe buttato tutto al diavolo per abbracciarlo come non aveva mai fatto in quegli ultimi anni -, ma sapeva quanto il suo fosse un desiderio impossibile. Dopo aver individuato Mako e Raleigh - camminavano vicino, sostenendosi a vicenda - scorse anche gli altri soccorritori scaricare una barella.
Corse verso di loro senza nascondere la propria preoccupazione.
« Chuck», il nome del figlio uscì dalle sue labbra senza neanche poterlo fermare quando i suoi occhi si posarono sul volto del ragazzo.
Era pallido ed indossava ancora la tuta. Aveva un’espressione quasi rilassata, come se stesse dormendo, ma quella tuttavia era solo una pace apparente che veniva cancellata dalla presenza di un respiratore che copriva le labbra del ragazzo.
« Marshal», lo salutarono subito i medici senza però arrestare la loro corsa verso l'infermeria - seguiti ovviamente da Herc.
« Datemi ogni dettaglio», ordinò.
« Non riporta gravi danni fisici se non qualche contusione», spiegò uno di loro, « temiamo qualche lesione interna causata dalla detonazione».
« Quanto gravi?»
« Non possiamo averne la certezza», rispose serio il medico, aprendo la porta dell'infermeria dove il resto dell'equipe si mise subito al lavoro spostando il ragazzo dalla barella ad un lettino, « ci occorrono ulteriori accertamenti. Vuole attendere fuori?»
« No», tagliò corto Herc, scuotendo il capo, « resterò qui».
Doveva essere lì quando Chuck si sarebbe svegliato. Quel pensiero però lo tenne ovviamente per sé mentre osservava ancora il viso pallido del ragazzo attaccato al respiratore e tutti i medici che si adoperavano per avere maggiori informazioni sulle sue condizioni.

 

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Capitolo 2
*** 2. Come back in my life ***


Titolo: I need a miracle to make it through
Titolo del Capitolo: 2. Come Back in my Life
Fandom: Pacific Rim
Personaggi: Hercules Hansen, Chuck Hansen, Raleigh Becket, Mako Mori
Genere: Introspettivo
Rating: Giallo
Avvertimenti: Leggero Slash, What if? (E se…)
Conteggio Parole: 2430
Note: 1. Chuck non muore. Tutto qui ù_ù Hansencest feels *muore d’amore*
2. Ispirata a quest’immagine di kaijusizefeels. L’immagine in questione la ritroverete anche nel banner ù_ù
3. Se ve lo chiedete... no: non è betata XD

Solo dopo alcune ore di interventi e controlli, i medici permisero ad Herc di avvicinarsi al figlio e di sedersi accanto a lui.
« Dobbiamo portarlo in una struttura specializzata», avevano detto, per illustrargli poi i danni riportati dal ragazzo, « Oltre alle escoriazioni riportate durante in combattimento e durante la detonazione, abbiamo riscontrato alcune lesioni interne. Quali qualche costola incrinata e delle fratture, chiuse e scomposte, nell'avambraccio e nel femore, entrambe nel lato sinistro»
Herc annuì, continuando però ad osservare il volto pallido del ragazzo ed il respiratore che nascondeva le sue labbra.
« Supponiamo che lo shock lo abbia condotto ad un coma forzato, non possiamo dirvi con sicurezza quando riprenderà i sensi», continuò il medico per poi rassicurarlo con un: « ma i suoi paramenti vitali sono stabili».
« Vi ringrazio», rispose l'uomo sincero, prendendo la mano destra del figlio per portarla delicatamente alle labbra.
Era fredda, priva di forza e vita, ma cercò di non pensarci e di concentrarsi solo sul fatto che suo figlio fosse vivo.
C'erano tante cose che desiderava dirgli, cose che con ottime probabilità Chuck già conosceva grazie al drift ma che gli avrebbe ugualmente detto perché non voleva più lasciare niente di incompiuto con lui, non dopo aver ottenuto quella seconda possibilità.
Chiuse gli occhi.
« Torna presto a casa, figliolo», mormorò piano sulla pelle fredda del ragazzo.

 

Erano passati sette giorni dalla definitiva chiusura della Breccia ed Herc, nonostante i suoi obblighi, non aveva mai abbandonato il capezzale del figlio ancora in coma.
Per la prima volta nella sua vita, Hercules Hansen voleva essere egoista e dire: la famiglia prima di tutto.
Infatti, aveva scelto di non partecipare ai funerali dei ranger caduti, ne tanto meno alle numerose rassegne stampa per illustrare l'Operazione Pitfall.
Anni prima aveva dovuto fare una scelta nella quale aveva messo l'esercito davanti ai suoi obblighi familiari, e quando aveva creduto di aver perso Chuck, era stato solamente in grado di comprendere quale fosse il suo vero posto.
Aveva quindi delegato ogni potere a Tendo Choi e ai dottori Newton Geiszler ed Hermann Gottlieb affinché facessero le sue veci insieme alla signorina Mori e a Raleigh, e si era tagliato volontariamente fuori dal mondo.
Il suo nuovo mondo era quella stanza di ospedale, che sarebbe stata anonima e spoglia se non fosse stato per il letto occupato da Chuck - sfortunatamente ancora attaccato alle macchine - e da Max che, paziente, era rimasto accoccolato ai piedi del suo padroncino.
Il cane, sconsolato, avvertiva tanto quanto lui la mancanza di Chuck, e quando non uggiolava alla ricerca di attenzioni, dormiva cone in quel momento.
Sospirò e si passò una mano sulla faccia, sfregando poi le dita sugli occhi mentre l'altra restava ancora appesa al suo petto - inerme, come il suo braccio in lenta guarigione.
Quasi invidiava la capacità di Max di dormire, perché lui non lo faceva decentemente da quando erano giunti in quella camera, partendo dall'infermeria dello Shatterdome.
I controlli continuavano a rilevare dei valori stabili ed era rassicurante sapere che il ragazzo fosse in buone condizioni - nonostante i danni causati dalla detonazione -, ma per quanto la situazione fosse sotto controllo, Chuck sembrava non volersi svegliare.
I medici tuttavia continuavano ad essere abbastanza positivi per quanto riguardava la sua ripresa - un po' meno riguardo alla presenza di Max - e più volte avevano tentato di spingere Herc ad abbandonare la stanza, ma l'uomo era irremovibile.
Lui ed il cane non si sarebbero mossi da quel luogo.
Nonostante quella sua ferrea decisione, si era ovviamente concesso delle brevi pause per mangiare - ben poco, giusto per non collassare -, ed andare in bagno e prendersi cura del cane, ma non si era mai allontanato troppo.
Doveva essere lì, accanto a Chuck, quando questo si sarebbe svegliato... e sperava accadesse presto.
Si mosse un poco sulla sedia - la schiena gli faceva male a causa della posizione -, poi dei passi lo costrinsero a tendere le orecchie e a tirarsi quasi su.
« Signor Hansen?», si voltò lentamente verso l'infermiera, pronto a declinare l'ennesima proposta di andare a casa, « Ha delle visite»
Non era la prima volta che riceveva visite.
Sciacalli - o più comunemente noti come 'giornalisti' - che cercavano notizie ed indiscrezioni sulla salute di Chuck.
« Non desidero ricevere visite», rispose calmo - aveva più volte mandato via quelle persone: non voleva ripetersi.
« Ma signore...», la giovane donna esitò, incerta se continuare o meno, « Sono la signorina Mori e il signor Backet».
L'espressione di Herc mutò all'istante facendosi più rilassata nel sentire quei nomi.
« Allora può farli entrare», rispose, aggiungendo poi un: « grazie», per congedare l'infermiera.
Fissò la porta, accennando un piccolo sorriso quando vide i apparire i familiari visi di Mako e Raleigh.
« Salve, signore!», lo salutò Becket con un ampio sorriso, puntando però subito gli occhi sul letto e sulla figura immobile di Chuck.
« Ragazzi», rispose Herc, alzandosi per accoglierli.
Non era nelle sue condizioni migliori, ma non gli importava granché.
« Come state?», chiese.
« Stanchi ma siamo qui», rispose Raleigh, continuando poi con un: « Lei invece? Ci sono novità?», mentre gli stringeva la mano, imitato subito da Mako, ben più silenziosa.
« Ha subito alcuni traumi nella detonazione. Per ora i valori stabili però, anche se non si è ancora svegliato», iniziò Herc, « i medici almeno sono abbastanza positivi».
« È una fortuna», mormorò Mako, chinandosi per coccolare Max, attratto a sua volta da quei visi familiari.
L'uomo la seguì con lo sguardo, incapace di ignorare l'ombra di tristezza che le velava gli occhi.
« Mi dispiace per Stacker», esordì piano, « era un mio buon amico», continuò incrociando le iridi scure della ragazza.
Sapeva di essere stato un egoista quando aveva deciso di non partecipare al funerale del ranger caduti.
Tra quelli c'era anche Stacker Pentecost. Un suo amico oltre che padre adottivo di Mako. Colui che, probabilmente, aveva anche salvato Chuck.
La sua scelta, che poteva anche essere definita 'mancanza di rispetto', aveva ancora una volta fatto soffrire qualcuno.
La ragazza però sorrise appena.
« Lo so», rispose, « ma non deve farsene una colpa», precisò sincera, cancellando i dubbi ed i pensieri di Herc, che era quasi arrivato a credere che la giovane potesse aver pensato: "Perché lui e non Stacker?"
« Saremo voluti passare prima», riprese Mako, « ma siamo sempre molto occupati».
« Posso comprendere. Siete degli eroi», rispose Herc un poco rincuorato, « ultimamente però non ho seguito i notiziari», ammise poi.
« Non si è perso niente», ribatté il giovane uomo, « interviste. Vogliono fare un 'tour della vittoria'».
« Sì?»
« Ma vogliamo che siano tutti presenti», concluse Raleigh, guardando di nuovo Chuck.
« Intanto sono già in corso delle opere di ricostruzione», continuo Mako.
« Tendo se la sta cavando da solo?», li interrogò Herc.
« Alla grande. Anche se deve combattere con Newt ed il Dottor Gottlieb. Ha accettato questa pausa con molta gioia», ridacchiò Raleigh, diventando poi serio di punto in bianco, « E se mi permette, signore, credo che anche lei abbia bisogno di una pausa».
« No», rispose prontamente Herc.
« So che vuole restare qui. Ma dovrebbe ugualmente mangiare e dormire».
« È fuori discussione, non posso lasciarlo», tagliò corto.
Era abituato ad affrontare quel discorso e sapeva benissimo come controbattere.
« A Chuck farebbe piacere vederla in forma e non in queste condizioni», gli fece presente Mako ed Herc, nonostante la sua ostinazione, non poté che darle ragione.
Chuck era così orgoglioso che non avrebbe mai accettato l'idea di vederlo in quello stato.
« Ma non posso lasciarlo solo», sospirò.
« Resto io», rispose gentile Raleigh, « giusto il tempo per farvi riposare, signore».
« Io posso occuparmi di Max, vorrà tanto fare una passeggiata all'aria aperta», propose Mako e l'uomo trasse l'ennesimo sospiro.
« E... se si svegliasse?»
« Sareste il primo ad essere avvertito», rispose Raleigh.
« La vostra visita era mirata a questo?», chiese poi, cercando ancora di rifiutare quella proposta.
« No», la ragazza scosse il capo, « l'infermiera ci ha solo illustrato le vostre condizioni, signore».
Herc annuì piano, ancora incerto.
« Herc», riprese Raleigh con più confidenza, « lo sai meglio di me quanto Chuck è orgoglioso. Se ti vedesse in questo stato si arrabbierebbe»
E l'uomo sapeva di dovergli dare ragione.
« D'accordo», assentì, « Ma solo per qualche ora...», precisò.
« Affare fatto», esclamò Raleigh soddisfatto, ed Herc, voltandosi verso Chuck, non riuscì a trattenersi dal baciargli la fronte.
« Torno presto, figliolo», mormorò sulla sua pelle, rivolgendogli poi l'ennesima muta richiesta nella quale lo pregava di svegliarsi.

 

Da quel giorno era passata quasi un'altra settimana ed Herc, nonostante l'ormai costante presenza di Raleigh e Mako - che si presentavano quasi ogni giorno da lui per 'dargli il cambio' o per tenergli compagnia -, stava lentamente iniziando a perdere le speranze.
Anche se restava stabile, Chuck sembrava non voler dare segni di ripresa ed Herc iniziava a temere che non sarebbe mai più stato in grado di abbracciarlo, né di sentire la sua voce ed il profumo.
Che tutto sarebbe lentamente sparito, lasciandolo con quel vuoto nel cuore.
Neanche i sogni riuscivano ad aiutarlo, perché il suo sonno - quello che si concedeva durante le poche ore in cui Mako o Raleigh prendevano il suo posto - era privo di sogni.
La preoccupazione lo sfiancava, e quando chiudeva gli occhi gli sembrava di non aver minimamente riposato nonostante l'orologio segnasse un orario diverso. Ma, d'altro canto, era meglio che fosse così.
Lui voleva Chuck. Non dei ricordi o dei sogni.
Sospirò, carezzando ancora la mano del figlio inerme tra le sue.
« Come al solito, vuoi fare la prima donna e farti attendere, eh Chuck?», mormorò, cercando di sorridere.
Attese inutilmente una risposta - avrebbe anche accettato un « smettila di comportarti come una femminuccia, vecchio» - e, chiudendo gli occhi, si sistemò meglio sulla sedia con le orecchie tese.
Si concentrò sui regolari rumori dei macchinari per tenere la sua mente sgombra da ogni pensiero negativo... ma non era semplice.
Giorno dopo giorno la paura di dimenticare ogni cosa cresceva insieme alle sue speranze che si assottigliavano.
Avrebbe mai più sentito la voce di Chuck? Baciato le sue fossette? Ispirato il profumo della sua pelle?
Erano tutte cose che aveva sempre dato per scontate. Ed ormai gli restava solo il silenzio e la voglia di dirgli che era fiero di lui, che gli dispiaceva per aver sbagliato tanto nei suoi confronti... che lo amava più di qualsiasi altra cosa al mondo.
« Non ne hai bisogno».
Sussultò stupito, aprendo gli occhi di scatto per incrociare quelli di Chuck, ancora disteso sul letto.
Tremò, senza essere in grado di muoversi o di emettere anche un solo suono.
Sognava?
« Chuck...», esalò, riuscendo ad allungare la mano per stringere quella del ragazzo.
La sentiva: pelle contro pelle.
Qualcosa parve quasi spezzarsi, e senza pensarci due volte le sue braccia corsero a cingere il corpo di Chuck.
« Non devi dire niente. Lo so. L'ho sempre saputo», continuò il ragazzo, ricambiando per qualche attimo l'abbraccio.
« Pensavo di averti perso», dichiarò l'uomo, sentendo Chuck rilassarsi lentamente tra le sue braccia.
Gli parve quasi di sentire un sospiro di sollievo abbandonare le tue labbra, come se anche lui avesse sentito quella stessa paura.
« Sono un Hansen», iniziò Chuck dopo quel breve attimo di silenzio, allontanandosi per poter guardare il padre in volto, « Gli Hansen non muoiono così facilmente», concluse con un ghigno che venne subito coperto dalle labbra di Herc.
Gli era mancata quella sua espressione - quella che trovava irresistibile ed irritante al tempo stesso.
Aveva sentito la necessità delle sue battutine ed il suo carattere complicato.
Gli era mancato Chuck, e non era stato in grado di trattenersi dall'assaggiare ancora quelle labbra.
Lo baciò lentamente, senza fretta, godendosi quel momento con la chiara intenzione di non farlo finire.
Lo aveva baciato tante volte in vita sua, ma gli sembravano improvvisamente così poche da perdere quasi significato davanti a quell'unico momento.
Chuck però lo scostò di nuovo, fissandolo con un'espressione seria.
« Devi svegliarti», dichiarò.
« Cosa?»
« Svegliati, vecchio», insistette Chuck.
« È un... sogno allora», constatò Herc restando quasi senza parole ed assaporando quell'amara verità.
Era così disperato da essersi rifugiato in quel sogno così reale e al tempo stesso crudele?
Si morse l'interno della guancia, incapace di ignorare l'improvvisa necessità che avvertiva di non riaprire più gli occhi.
Aveva detto di non voler vivere di ricordi ma... non si sentiva poi così certo.
« Svegliati», ripeté Chuck nervoso.
« No», Herc scosse il capo.
« Devi svegliarti. Fallo per me, maledizione!»
L'uomo distolse lo sguardo, come se non volesse mostrare al figlio la sua sconfitta.
« Non voglio stare in un mondo dove non ci sei», rispose con decisione.
« Papà! Svegliati maledizione!»
L'esclamazione di Chuck, più alta delle altre, lo fece balzare sulla sedia, ed il rumore un tempo ritmico dei macchinari suonò alle sue orecchie ormai fuori controllo.
Non pensò al sogno, ma solo al fatto che stava accadendo qualcosa e che doveva chiamare i dottori.
Agì istintivamente, premendo l'interruttore sopra al letto ed accostandosi al ragazzo come per verificare che stesse bene.
« Chuck?», lo chiamò, notando come l'espressione un tempo rilassata del figlio fosse diventata più dura, quasi sofferente.
Ripeté ancora il suo nome, rifiutando poi di scostarsi anche quando arrivarono i dottori.
« Devi essere tu a svegliarti ora! Fallo per me», dichiarò agitato, mentre un medico riusciva a farlo allontanare di qualche metro per permette agli altri di fare i loro controlli.
Le macchine suonavano ancora impazzite e la sua testa vorticava lasciandolo come in preda alla nausea, ma tutto parve fermarsi quando qualcuno - Chuck! - iniziò a tossire e a lamentarsi.
« Pa... pà».
Il dottore quella volta non riuscì a fermare Herc, che tornando al capezzale del figlio incrociò finalmente gli occhi del figlio.
Erano socchiusi - faticava a tenerli aperti - ma era lì, sveglio.
Stentava a crederci.
« Chuck... sei qui...»
Il ragazzo lo fissava senza parlare o muoversi. Sembrava debole, ma era sveglio e lo stava guardando.
Herc sentì le lacrime pungergli gli occhi insieme alla voglia di gridare, di alzare le mani al cielo in segno di vittoria e liberazione.
Era anche pronto ad imitare Max, che felice tentava di arrampicarsi sul letto.
Suo figlio era tornato da lui, si disse sorridendo in direzione del ragazzo.
« Signor Hansen dobbiamo fare delle visite», lo riprese il dottore ed Herc, riportato alla realtà, fu costretto a farsi da parte senza allontanarsi però troppo dal campo visivo di Chuck.
L'uomo non sapeva esattamente quanti minuti passarono, ma dopo tutto quel tempo, quell'attesa gli sembrò quasi nulla quando poté finalmente abbracciare delicatamente il suo ragazzo.
« Chuck...»
Lo strinse piano per non ferirlo - non poteva dimenticare le costole ed il braccio fuori uso -, emettendo un sospiro sollevato.
« I suoi parametri sono stabili», esordi un medico, iniziando poi ad illustrare le varie analisi che dovevano fare da lì a breve, ma Herc lo ignorava.
Non sentiva proprio le sue parole.
Sentiva solo il corpo di Chuck debole per quella lunga degenza, ancora incapace di muoversi come desiderava o di parlare chiaramente... ma era premuto contro il suo e nient'altro aveva più importanza.
« Ben tornato a casa, Chuck».

 

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