Il Ritorno della Strega

di Alchimista93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Voci dalle ombre ***
Capitolo 2: *** Duel ***
Capitolo 3: *** Scomode Verità e Dorate Bugie ***
Capitolo 4: *** Ruggito Oceanico ***
Capitolo 5: *** Blasfeme carezze ***



Capitolo 1
*** Voci dalle ombre ***


 
Voci dalle ombre
 
 
Rinoa cadde prona sul pavimento, ansimando pesantemente.
«Ancora!», sbraitò il suo allenatore, agitando il Gunblade per dare maggiore enfasi alle sue parole.
La ragazza emise un mugolio di profondo sconforto, ricadendo sulla schiena.
«Aspetta, lasciami prendere fiato…» fece, quando con la coda dell’occhio vide la lama del Gunblade cercare di abbattersi minacciosamente su di lei. Subito rotolò di lato e l’arma si abbatté con una pioggia di scintille laddove si trovava un attimo prima.
«Seifer, ma sei impazzito?!», esclamò Rinoa sgranando gli occhi e alzandosi repentinamente. Con un ghigno, il giovane si rimise in posizione dinanzi a lei.
«Quante storie, hai visto che ti sei alzata?», replicò con sufficienza. «E ora…DIFENDITI!»
Con uno slancio fulmineo si scagliò contro di lei. Con una capriola Rinoa si portò fuori portata dalla sua arma, le gambe che le tremavano leggermente. Erano mesi che allenava il suo corpo nel Centro di Addestramento del Garden di Balamb. Dopo il divieto di fare Junction con i GF imposto da tutti i Garden, i SeeD si erano dati parecchio da fare per cercare , se non di raggiungere, almeno di assicurare quasi  le stesse prestazioni di prima. Allenamenti doppi per tutti erano state le nuove disposizioni e Rinoa, sebbene fosse solo una civile, aveva deciso che imparare a difendersi sarebbe stato il suo obiettivo nell’immediato futuro. Temendo che Squall potesse in qualche modo inficiare gli allenamenti della giovane, Cid aveva pensato bene di assegnarle come allenatore niente poco di meno che Seifer. “Grandioso», aveva pensato in un primo momento la ragazza, ma si era dovuta ricredere molto rapidamente. Seifer poteva anche essere decisamente duro con lei e non ammetteva pause, ma ci sapeva fare e nell’arco di pochi mesi era riuscita a fare progressi inimmaginabili. Persa nei suoi pensieri, non vide giungere la lama del ragazzo. Un sottilissimo graffio le si disegnò sulla guancia, imperlandosi immediatamente di minuscole goccioline di sangue. Scioccata, la ragazza si portò la mano al viso, ritirandola sporca di sangue.
Tum tum. Tum tum.
Alzò lo sguardo, incrociando gli occhi di Seifer nei quali aleggiava ancora l’alone di divertimento, adombrato, tuttavia, da una leggera preoccupazione nei suoi confronti. Digrignando i denti per il fastidio, Rinoa si lanciò contro Seifer, usando il suo Boomerfritz come se fosse una lama, sferrando ripetuti attacchi in rapida successione. Lui li parò con facilità tutti, giocando di polso, senza quasi muoversi dalla sua posizione. Per quanto potesse essere migliorata, di certo non poteva raggiungere i suoi livelli.
Squall comparve sulla soglia della stanza nella quale si stavano allenando, restando in silenzio ad osservarli. Gli piaceva guardare la sua ragazza – si, suonava strano anche a lui pronunciare quelle parole – allenarsi anche se non poteva impedirsi un certo grado di apprensione. Per un momento Rinoa percepì di essere osservata e quell’attimo le risultò fatale: Seifer vide una breccia nella sua guardia e si apprestò a sferrarle un colpo di piatto sul fianco. Non ce l’avrebbe mai fatta a pararlo in tempo, quindi agì d’istinto: chiuse gli occhi e distese il braccio dinanzi a sé, aspettando di sentire il colpo giungerle sul fianco.
«Ma che diavolo…?», esclamò Seifer sconcertato. Rinoa aprì gli occhi, inorridendo. Dalla punta delle sue dita, una barriera argentea la avvolgeva e per quanto Seifer cercasse di penetrarla, non ci riusciva. Sembrava intessuta di luce, incorporea e tangibile allo stesso tempo. Era bellissima. All’improvviso un vago senso di oppressione al petto la assalì e la barriera svanì così com’era arrivata. Cadde a terra, il cuore che le batteva impazzito, come un cardellino in gabbia, la mano sul suo petto mentre un velo di sudore freddo le bagnò il viso.
Cosa mi sta succedendo?
 «Rinoa!», esclamò Squall correndo verso di lei e inginocchiandosi, scostando Seifer con un gesto brusco. Egli si ritirò in disparte, lo sguardo preoccupato, ma non disse nulla.
«Sto bene, non ti preoccupare…», ribatté lei, cercando di alzarsi.
«Ferma, non ti muovere, vado a chiamare la dottoressa.», disse e fece per alzarsi quando Rinoa gli afferrò la mano con forza, tirandolo nuovamente giù.
«Sto bene, ho avuto solo un capogiro. Tutto qua.»
«Sicura?»
«Sicurissima.», rispose con una risatina leggera, cercando di mostrarsi il più tranquilla possibile. L’ultima cosa che voleva fare era farlo preoccupare inutilmente. Lentamente il cuore prese a battere regolarmente. Scosse il capo, spazzando via gli ultimi residui dell’inquietudine che la avvolgeva.
«Riprendiamo a combattere!», esclamò rimettendosi in posizione con decisione, ma Seifer non si mosse, un’espressione indecifrabile dipinta sul volto.
«Per oggi può bastare, riprenderemo gli allenamento domani», disse e si voltò senza aspettare una risposta da parte dell’allieva che, con profondo fastidio si trattenne dal lanciargli tutta una serie di epiteti davvero poco indicati ad una ragazza. Solo in quel momento Squall si accorse del sottilissimo graffio che le percorreva la guancia.
«Che cos’è successo? Come ti sei ferita?», le domandò apprensivo sfiorandole la ferita delicatamente.
«Ci stavamo allenando e mi sono distratta…», disse con noncuranza la ragazza per poi posare lo sguardo sul viso del suo ragazzo. Era una maschera di rabbia.
«Seifer ti ha fatto questo?», chiese, sforzandosi visibilmente di mantenere il controllo.
Rinoa non rispose, rendendosi conto che Squall avrebbe ammazzato il suo allenatore.
«Squall, aspetta…»
«Seifer!!!»

 
Rinoa si gettò sul letto, esausta. Dopo essere riuscita con estrema fatica a far desistere il giovane dallo sfidare a duello Seifer, era tornata nella sua stanza al Garden, assegnatale dopo la battaglia con Artemisia per permetterle di allenarsi adeguatamente. Che cosa strana che le era successo oggi! Una barriera, non un Protect, ma una vera e propria Barriera nata dalle sue dita. L’effetto sembrava essere lo stesso ottenuto dopo l’assunzione di una Med dell’Eroe, per questo se n’era stupita così tanto.
«Ricordati che non è cosa da tutti riuscire a contenere nel proprio corpo l’anima di una Strega. Lascia sempre degli effetti, ma al momento è impossibile definire quali. Solo il tempo ce lo saprà dire.»
Edea era stata molto chiara in merito. Dopo aver dismesso i panni di “Strega-malvagia-dominatrice-del-mondo» era tornata ad essere la Madre che tutti conoscevano e si era dimostrata molto disponibile nel rispondere alle sue domande in merito al suo status di Strega.
Rinoa si mise a sedere, guardandosi le mani. Era stato stupefacente.
Magari se mi concentrassi un po’…
Stese le mani dinanzi a sé, chiudendo gli occhi, cercando di rievocare le stesse sensazioni che aveva provato in quel momento. Ricordò la rabbia, il sentirsi messa con le spalle al muro, l’ineluttabilità del colpo che l’avrebbe raggiunta e l’istinto che l’aveva guidata. Rinoa sentì un lieve pizzicorino alla punta delle dita ed esultò dentro di sé, sentendo qualcosa fluire dentro di sé, una forza simile al Richiamo dei GF. Tentò di concentrarsi, ma quasi subito sentì il proprio potere sfuggirle di mano, disperso del tutto. Sbuffò, scocciata, mandando mentalmente al diavolo tutta la faccenda della barriera, stendendosi sul letto con un breve slancio e iniziando a dondolarsi, pensierosa.
Improvvisamente una mensola sopra la sua testa cedette di colpo. Rinoa ebbe a stento il tempo di sentire il rumore del legno che si sfibrava che, un istante dopo, la mensola galleggiava nell’aria sopra il suo viso. La ragazza lo guardò, meravigliata, spostandosi appena per guardarla da tutte le angolazioni: era sospesa a mezz’aria a poca distanza dal suo viso, quasi si trovasse nell’acqua.
Wow… E’ belliss–…
Uno schianto terribile si udì per tutto il corridoio, seguito da un lamento di dolore.
 
 
«Ahia!»
«La smetta di muoversi, signorina Heartilly!», replicò per l’ennesima volta la dottoressa con cipiglio severo. «Voi SeeD siete davvero strani! Quando siete feriti gravemente vi limitate a dire che “è solo un graffio», quando è davvero un graffio sembrate in punto di morte!»
Se per lei è un graffio questo…! Una ferita slabbrata, non particolarmente profonda fortunatamente , ma parecchio estesa, le attraversava la parte alta della fronte.
«Ora, mi faccia capire bene, le è caduta una mensola in testa?», chiese la dottoressa Kadowaki aggrottando le sopracciglia, mentre cercava di ripulirle il sangue dalla fronte.
«Si, quante volte gli e lo devo dire, è stato un incidente...», si lagnò la ragazza sussultando a contatto con il batuffolo di cotone che stava usando la dottoressa.
«La smette di muoversi?». Era visibilmente irritata e sembrava che la volesse strozzare da un momento all’altro.
«Ma fa male!»
«Sicura che non ci sia Seifer di mezzo?», le chiese ancora, fissandola intensamente.
Rinoa sbuffò. Perché tutti quanti pensavano che Seifer c’entrasse qualcosa con ogni guaio che le potesse capitare? D’accordo, l’aveva spinta tra le braccia di Artemisia e aveva cercato di farla ammazzare, inoltre  aveva tentato in tutti i modi di mettere i bastoni tra le ruote a lei e ai suoi amici ogni momento che gli era risultato possibile… Ok, avevano ottime ragioni per dubitare di lui. Ma lei lo conosceva e sapeva che non avrebbe mai potuto farle ancora del male, non più.
«No, questa volta è solo colpa della mia goffaggine, non si preoccupi.»
La dottoressa sembrò sollevata e finì di fasciarle la fronte, nascondendole sotto strati di garza una brutta ferita slabbrata. A quanto pare non era una brava telecineta e i suoi poteri avevano sostenuto quel dannato ripiano solo per mezzo minuto, dopodiché l’angolo della mensola si era abbattuto sulla sua fronte violentemente.
Se mi vedesse Squall…
«Rinoa? Ma che ti è successo?», esclamò una voce che conosceva particolarmente bene.
Ecco, appunto…
Squall, che l’aveva vista di sfuggita dalla soglia della porta, entrò velocemente, guardandola con fare apprensivo. Era visibilmente agitato e come potergli dare torto: due incidenti nello stesso giorno erano un po’ troppi anche per lui.
«Niente, disastri casalinghi, solite cose.», si affrettò a spiegare, enfatizzando il discorso con un gesto noncurante della mano. Cercò di alzare le sopracciglia per darsi un tono, ma desistette subito con una smorfia di dolore. La ferita le tirava e le faceva molto male.
«Non è stato Seifer, vero?».
Rinoa alzò gli occhi, scocciata, lampi di rabbia che dardeggiavano assassini negli occhi del suo ragazzo.
«Ma perché se succede qualcosa di brutto pensate subito a Seifer?!», replicò innervosita, le guance imporporate di collera. Non che ci tenesse a quello stupido con il cervello delle dimensioni di una noce, ma era una questione di principio.
«Ecco, appunto, perché date sempre la colpa a me?», fece l’interessato, sentendosi chiamato in causa, dando distrattamente un’occhiata agli astanti. Per un momento, a Rinoa sembrò di scorgere un’espressione di sincera preoccupazione passare negli occhi del ragazzo. Ma durò così poco che si convinse di esserselo immaginato. Dopotutto era Seifer Almasy.
Fortunatamente non entrò nella stanza, ma si limitò solamente a commentare al suo passaggio dinanzi all’infermeria con la sua solita espressione beffarda in viso, lasciandola con i suoi dubbi.

Rinoa e Squall erano distesi sul letto della camera del Comandante, abbracciati l’uno all’altro. Dopo un iniziale periodo di reciproco imbarazzo, durante il quale anche solo farsi vedere mano nella mano li metteva a disagio, i due si erano presto abituati agli sguardi che venivano loro lanciati e alle risatine soffocate per godere in tutta tranquillità della reciproca presenza.
«Com’è andata la tua giornata?», chiese distrattamente la ragazza, giocherellando con gli anelli gemelli che portava al collo. Era diventato un vizio ormai, quando aveva dei pensieri che la turbavano.
«Bene, nulla di nuovo. Ho supervisionato gli allenamenti nel Centro. Stiamo procedendo più spediti di quanto pensassi ed entro breve potremo riprendere le missioni quasi con la stessa efficienza di prima. Ovviamente non potrà sostituire il contributo dato dai Gf, ma…», iniziò il giovane, descrivendo nei minimi particolari tutti gli aspetti positivi dello Junction con i GF e mettendoli a confronto con quelli negativi. Rinoa si perse già dopo il primo elenco, rimuginando sugli accadimenti della giornata. Erano mesi che i poteri di Strega non rispondevano al suo richiamo, da quando erano riusciti a sconfiggere Artemisia. Perché, allora, si erano riattivati, per di più senza avere alcuna magia assimilata? 
«Rinoa, mi stai ascoltando?», chiese Squall, alzando un sopracciglio, lievemente irritato.
«Eh?», fece la ragazza, cadendo dalle nuvole.
Ah, cavolo e ora che ha detto?
«Tutto bene?», le domandò aggrottando la fronte. Era raro che la ragazza non lo ascoltasse, anzi, era sempre molto disponibile.
«Si, si, tutto bene. Sono solo un po’ stanca», rispose con uno sbuffo. Non che non si fidasse di Squall, tutt’altro, dopotutto era il suo Cavaliere, ma non voleva farlo impensierire più di quanto già non facesse. “Forse è meglio che vada a riposare.»
«Forse è meglio che interrompa i tuoi allenamenti…», riprese lui, piccatamente.

Rinoa.


«Smettila!!»
L’urlo della ragazza lo lasciò senza parole. Non era mai successo che lei alzasse la voce.
«Smettila di dirmi cosa devo o non devo fare, ho diciott’anni, so benissimo cosa è meglio per me!», continuò, furiosa. Sentiva un fuoco arderle dentro e ottenebrarle la mente. Sapeva che si sarebbe pentita di quelle parole, che Squall lo diceva solo perché si preoccupava per lei, ma non le importava. “Non sono un SeeD, non sono un tuo sottoposto e, soprattutto, non ho bisogno di essere difesa da te!»
Squall non disse nulla, guardandola ammutolito. Ma cosa diavolo le era preso? E che era quello sproloquio al quale aveva appena assistito?
«Rinoa, calmati…» iniziò, ma le parole gli morirono in gola quando vide i suoi occhi dardeggiare furiosi. Mai e poi mai dire ad una donna di calmarsi.
«Non dirmi di calmarmi! Da quando è finita la guerra mi hai sempre trattata come se fossi fatta di porcellana, ORA BASTA.» Non riusciva a fermarsi. Assisteva sgomenta alla scena, quasi spettatrice della vicenda e non attrice.
«Ora stai esagerando», replicò il ragazzo con una nota di durezza nella voce. Era pur sempre il Comandante, nonché il suo fidanzato e Rinoa stava davvero superando il limite.
«No, tu stai esagerando». Gli piantò un dito sul petto per poi girarsi e andare via a grandi passi da quella stanza.
«Dove stai andando?»
«Non sei il mio guardiano!», gli urlò dietro senza voltarsi, correndo verso le sue stanze. Una parte di lei avrebbe voluto che lui la inseguisse, come in un assurdo film romantico, ma subito scacciò via il pensiero: Squall non era certo il tipo che pregava le persone a parlare. Per un attimo fu quasi vinta dall’impulso di tornare da lui e chiedergli perdono per tutte le parole che gli aveva rivolto, ma ancora una volta allontanò da sé quell’idea. Era troppo orgogliosa per fare tutto questo. Ora che iniziava a pensare più lucidamente ricordava alcuni strani pensieri che le erano sopraggiunti, ma aveva appena iniziato a cercare di darci un senso, quando, improvvisamente, una fitta le trapassò la testa e cadde in ginocchio, nel bel mezzo del corridoio, gemendo di dolore. Respirava con affanno e un velo di sudore le imperlò la fronte mentre portava le mani alla testa, il cuore che batteva irregolare. Il dolore era lancinante, sembrava come se qualcuno le stesse pugnalando il cranio più e più volte. Non aveva idea di quanto tempo fosse trascorso: pochi secondi, minuti, ore, aveva perso totalmente la cognizione del tempo.
«Rinoa!»
Il dolore svanì così come era arrivato. La ragazza voltò piano il capo in direzione della voce, stordita. Seifer si chinò affianco a lei.
«Cosa è successo?», le chiese guardandosi attorno, il Gunblade stretto nella mano, pronto a rivolgerlo verso chi le aveva fatto del male.
«Niente, ho avuto un mancamento, sto bene…», rispose la ragazza scuotendo il capo, nel tentativo di scrollarsi di dosso gli ultimi accenni dell’esperienza appena vissuta. Non aveva idea di quante volte avesse dovuto ripetere quel giorno che stava bene. Cercò di alzarsi, ma le gambe rifiutarono di risponderle. Dopo qualche tentativo, riuscì a rimettersi in piedi, ma non appena tentò di fare un passo le gambe le cedettero, tremanti. Seifer lasciò immediatamente il Gunblade che cadde al suolo con un forte fragore metallico, cingendole il fianco prontamente.
«Ma che ti sta succedendo?», le chiese sgomento, trattenendola quasi completamente di peso  con le braccia. Non l'aveva mai vista così debole, neppure dopo lo scontro con Artemisia.
Stavolta Rinoa non rispose. Aveva paura. Non lo aveva ammesso fino a quel momento, ma dinanzi all’evidenza delle cose era stata costretta ad ammetterlo almeno con se stessa. A parte sporadici episodi di febbre passeggera e di qualche raffreddore di troppo non aveva mai avuto problemi di salute.
E se avessi qualcosa di serio?
«Devi farti vedere dalla dottoressa», disse guardandola intensamente negli occhi, una vena di inquietudine che gli attraversava la voce. Si era sempre sentita a disagio quando lui la osservava, anche quando erano fidanzati. Quello sguardo, così penetrante, sembrava attraversarle l’anima, facendola sentire a disagio, come in quel momento.
La ragazza annuì rapidamente, cercando di liquidare la cosa con una smorfia tentando di sciogliersi dalla sua presa, ma il ragazzo non la lasciò muovere neppure di un millimetro.
«Cosa vuoi, Seifer?», replicò irritata, gli occhi ridotti a due fessure.
«Dico sul serio. Devi farti fare una visita, non ti ho mai vista in questo stato.» Nelle sue parole non c’era traccia della solita vena beffarda o di sufficienza.
«E’ stata solo una giornata impegnativa, non preoccuparti», replicò deglutendo, nervosa per la vicinanza tra i loro corpi.
Lui non disse nulla, limitandosi a guardarla per lunghi momenti, cercando di scorgere dentro di lei tracce della debolezza che l’aveva assalita poco prima, ma, non trovandone, si tranquillizzò e la lasciò andare.
«Riguardati», disse soltanto, riprendendo i soliti atteggiamenti freddi e distaccati, gettandosi in spalla il Gunblade. Poi si voltò, avviandosi verso i suoi appartamenti con passo svelto, quasi nervoso, lasciandola in piedi in mezzo al corridoio, confusa.
Ma che gli è preso?
Rinoa decise che un buon sonno ristoratore sarebbe stato l’ideale e, pertanto, si diresse verso la sua stanza il più velocemente possibile. Era una stanza abbastanza ampia, con un letto singolo accostato al muro e un comodino affianco. Di fronte, quella che un tempo era una scrivania era ingombra di vestiti e di carte sparse. Devo ricordarmi di riordinare questa stanza…, si appuntò mentalmente, svestendosi e gettando la divisa sul cumulo di altri vestiti. Si mise rapidamente il pigiama e si infilò nel letto con uno sbadiglio. Non si era resa davvero conto di quanto fosse stanca prima di essersi distesa e doveva ammettere di essere distrutta. Forse aveva ragione Squall quando diceva che aveva bisogno di una pausa. Già, Squall… Lo aveva trattato davvero malissimo. Un profondo senso di colpa le strinse il cuore, promettendosi che il giorno dopo sarebbe andata a scusarsi con lui. Nei pochi attimi di lucidità prima di addormentarsi, si accorse di una cosa a cui fino a quel momento non aveva badato molto. Un particolare insignificante, forse, ma che la turbò per un momento prima di perdersi nella grazia dell’incoscienza.
Per un attimo le era parso di sentire un’altra voce sovrapporsi alla sua.
 
 
 
Ciao a tutti, questa è la mia prima storia a capitoli J Vorrei davvero sapere la vostra opinione, anche solo un “Mi piace» o un “Non mi piace», in modo da poter migliorare :D Detto questo, spero di non avervi annoiato, vi assicuro che ci saranno “sorprese» moooolto interessanti! A presto!
 
 
 

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Capitolo 2
*** Duel ***


Duel




 
 
Rinoa aprì gli occhi, sonnolenta.
Ma che ore sono?, pensò con uno sbadiglio, stiracchiandosi. Il sole splendeva alto nel cielo, illuminando piacevolmente la stanza.  Rinoa adorava la luce del sole, la metteva di buon umore.
Sole…?
Gettò uno sguardo perplesso alla sveglia che, soddisfatta, dichiarava che fossero le “12.30 a.m.” in punto.
Oh, cielo, sono in ritardissimo!
Immediatamente si alzò dal letto, inciampando nelle coperte per la fretta e cadendo al suolo con un tonfo sordo. Tra qualche lamento di dolore, si affrettò a prepararsi e a correre fuori dalla stanza. Dei pensieri incoerenti che aveva formulato la sera prima non ricordava granché, ma di una cosa era certa: doveva scusarsi con Squall. In poco tempo si ritrovò dinanzi alle stanze del Comandante, a bussare insistentemente per farsi aprire, ma non ricevette risposta. Accostò l’orecchio alla porta, ma non sentì nulla.
Che stupida che sono!, pensò dandosi una manata sulla fronte e rimproverandosi subito per averlo fatto: la ferita le doleva parecchio e quel gesto inconsulto non le aveva certo fatto bene. Squall sarà sicuramente a mensa con gli altri!
Tornò sui suoi passi e svoltò rapidamente l’angolo, ma subito urtò contro qualcosa, rovinando al suolo.
Ma che cos…?
Una ragazza – una SeeD a giudicare dalla divisa – era caduta anch’ella spargendo sul pavimento i numerosi libri che portava con sé.
«Sta più attenta! », esclamò malevola, piantandole addosso i suoi occhi verdissimi per poi iniziare a raccogliere le sue cose, stizzita.
«Mi dispiace, non ti ho visto…», cercò di giustificarsi, chinandosi per aiutarla, ma l’altra scosse il capo, facendo danzare i suoi riccioli biondi attorno al viso.
«Non m’interessano le tue scuse. Ricorda che essere la fidanzata del Comandante non ti da il diritto di comportarti come vuoi», sussurrò con freddezza, prendendo l’ultimo libro e ricomponendosi.
Rinoa sentì evaporare tutto il desiderio di aiutarla, sconcertata dalla reazione eccessiva della ragazza.
«Lo so perfettamente», replicò altrettanto freddamente. La SeeD fece una risatina leggera, girandosi e andandosene, il rumore dei tacchi che riecheggiava nel corridoio.
«A proposito…»
Rinoa si voltò. La ragazza era ricomparsa alla fine del corridoio, un sorriso malevolo dipinto sul volto.
«Evita di sfigurare quel tuo bel faccino. Squall potrebbe decidere di intrattenersi con qualcun’altra, altrimenti, come ha fatto stanotte…» disse scuotendosi i riccioli biondi, per poi andarsene definitivamente.
Quel rumore di tacchi la assordava e le riempiva la testa, mentre sentiva lacrime di rabbia pizzicarle gli occhi. Ma chi era quella stronza? E soprattutto, perché le aveva detto quelle cose? Stava sicuramente mentendo… o forse no? Dopotutto lo aveva trattato davvero malissimo la sera prima… Rinoa scosse il capo, cercando di liberarsi dai pensieri molesti che le affollavano la mente. Doveva trovare Squall il prima possibile. Si diresse, pertanto verso la mensa, affrettando il passo.
Prima ancora di vederlo, Rinoa ne sentì la voce: era impossibile non farci caso, tanto era squillante.
Le si strinse il cuore non appena lo vide. Zell era in fila, come al solito, per quei panini della mensa che tanto adorava, sbracciandosi per farsi vedere dalla signora Margaret. Rimase ferma per lunghi momenti ad osservarlo, la mano sul cuore, mentre un misto di dolcezza e di amarezza si faceva largo dentro di lei. Era sempre il solito Zell, esuberante, amico con tutti, sempre pronto a menar le mani prima ancora di parlare per risolvere i problemi, ma era ugualmente triste vederlo così. 
«Ehi Rinoa! », la salutò Zell con un gran sorriso.
«Ciao, Zell! »
«Guarda cos’ho imparato a fare!”, esclamò euforico, roteando la sedia a rotelle restando in equilibrio solo sul bordo inferiore delle ruote. «Forte, eh?»
Gli sorrise. «Si, lo è. », rispose semplicemente, anche se ciò che avrebbe voluto dire era “ Si, lo sei”. Lui era forte, lui e la sua incredibile voglia di vivere. Molti altri nella sua condizione avrebbero smesso di sorridere, ma lui no. Dopo aver perso l’uso delle gambe vi era stato un primo periodo durante il quale non aveva voluto vedere nessuno, sconvolto com’era. Poi un giorno aveva chiamato la dottoressa Kadowaki e le aveva chiesto di rendere la sua vita il più normale possibile considerata la sua nuova condizione. Il giorno dopo, gli aveva portato una sedia a rotelle, intimandogli, tuttavia, di riposarsi il più possibile, ma Zell non aveva voluto sentir ragioni. Il giorno stesso, a cena, aveva sfoggiato il suo nuovo veicolo tutto coperto di stickers e di scritte, con un enorme sorriso sulle labbra. E da allora nessuno gli e l’aveva più tolto.
«Quante volte glielo devo ripetere signor Dincht? », proruppe la dottoressa Kadowaki comparsa all’improvviso alle sue spalle. Enfatizzò le sue parole con una energica tirata d’orecchi ignorando deliberatamente i suoi lamenti di dolore. «Non si gioca con la sedia a rotelle! La usi in modo appropriato o lo riferirò al Comandante!»
Al sentir menzionare il rigido Squall, Zell impallidì annuendo vigorosamente. Mai e poi mai si sarebbe voluto sorbire la ramanzina dell’amico: sapeva essere fin troppo prolisso quando ci si metteva. Rinoa rise, divertita per quella scenetta che si ripeteva con regolarità quasi ogni giorno dato che Zell trovava sempre nuovi modi per usarla in modo inappropriato.
«Ha visto il Comandante per caso?», chiese la ragazza, le nubi del turbamento che tornarono ad adombrarle il viso. Doveva assolutamente parlargli.
«No, mi dispiace, non l’ho visto, signorina Hearthilly. Credo che sia impegnato nella preparazione dei moduli di iscrizione all’esame SeeD. Ormai sono imminenti», risposa l’altra, professionale come sempre. «Con permesso…» e si congedò dai ragazzi, imboccando la strada per l’Infermeria.
«’Noa vieni al tavolo con noi!», esclamò Zell indicando un punto imprecisato in fondo alla mensa. «Irvine sta cercando di attaccare bottone con due ragazze del secondo anno, è uno spasso!»
Rinoa alzò gli occhi al cielo, scuotendo il capo con rassegnazione, le mani sui fianchi. Quell’Irvine era proprio un Don Giovanni.
«Veramente sto cercando Squall…», fece, cercandolo speranzosa con lo sguardo. Non che fosse davvero convinta che potesse essere lì dopo quanto aveva detto la dottoressa, ma tentar non nuoce. Dopotutto anche i Comandanti hanno bisogno di mangiare!
«Squall è impegnato con gli esami, ma possiamo andare a trovarlo nel pomeriggio, quando farà la dimostrazione pratica con gli allievi al Centro d’Addestramento. Ci andiamo insieme dopo pranzo, anch’io devo parlargli», rispose l’amico rabbuiandosi in volto. Rinoa lo guardò interrogativamente, ma lui scosse il capo con noncuranza, tornando al sorriso di sempre. «E dai, ‘Noa! »
«D’accordo, disgraziato, ma sappi che mi devi un favore», replicò scoccandogli un’occhiata fintamente truce. Zell finse di morire sul colpo, per poi scoppiare a ridere all’unisono con lei.
«Affare fatto!» fece, con l’espressione soddisfatta di chi è convinto di aver concluso un buon affare.
La mensa era gremita di persone, perciò non fu facile per Rinoa arrivare fino al tavolo. Probabilmente sarebbe stato più facile sconfiggere un RumBum Dragon. Mentre chiedeva per l’ennesima volta scusa ad uno dei tanti ragazzi che era riuscita ad urtare, vide che Zell era già arrivato e stava parlando animatamente con Quistis.
Ma come diavolo ha fatto ad arrivarci prima di me con tutto l’ingombro della sedia a rotelle?
 Infine riuscì ad emergere dalla marea di persone che affollavano la mensa, scorgendo i suoi amici intenti a chiacchierare tra di loro; tutti eccetto Irvine che, a quanto pare, si stava vantando con due ragazze che lo guardavano con occhi pieni di ammirazione.
«… e Bang! Mi sono fermato a sparare solo quando anche l’ultima Antenna di Molboro è caduta al suolo. Le sue compagne erano così spaventate che non si sono più fatte vedere per un bel pezzo! », stava dicendo mimando i gesti con un fucile immaginario. «Oh! », fecero in coro le due, mentre altre ragazze, che avevano ascoltato la vicenda, si stavano avvicinando.
«Ovviamente il fatto che le Molboro siano creature molto rare da incontrare non c’entra nulla, vero?», disse Quistis, piccata, le braccia incrociate al petto.
«Ovviamente no, ma chèri», rispose lui calcandosi il cappello sul capo con fare misterioso. Le ragazze andarono in visibilio.
L’altra schioccò la lingua, ma non replicò, giocherellando con i lunghi capelli biondi che aveva deciso da qualche tempo di lasciare sciolti. Aveva un aspetto decisamente meno da “professoressa”.
Chiacchierarono amabilmente per un po’ di tempo e Rinoa riuscì perfino a dimenticare temporaneamente i propri affanni trascinata nel turbine dei loro discorsi e delle loro risate. Selphie era partita da tempo per il Garden di Trabia per aiutare nella ricostruzione, anche se da allora nessuno aveva più avuto sue notizie. Non si preoccupavano, tuttavia: con un Garden distrutto, la mancanza di comunicazioni era il minimo.
Quando, infine, Margaret fece loro segno di alzarsi, Rinoa si rese conto che il tempo era volato e che, ormai, non vi era più nessuno. Si affrettarono pertanto ad uscire mentre il gruppetto si separava: Quistis e Irvine si diressero verso le aule dei professori – non prima che Quistis ebbe cacciato con malagrazia quella folla di ragazzine adoranti – mentre Zell e Rinoa rimasero da soli.
«Andiamo, ‘Noa»
Durante il tragitto, Zell rimase insolitamente silenzioso, ma la ragazza non ci fece caso, persa nei propri pensieri. Ma la vera tragedia si sarebbe consumata di lì a poco: quando giunsero dinanzi al Centro d’Addestramento si rese conto di non aver ancora elaborato esattamente cosa dirgli e quando lesse le parole “Centro d’Addestramento”, in lettere un po’ sbiadite, realizzò di non avere la più pallida idea di come scusarsi, ma fu solo quando si ritrovò a varcare la porta che capì che la voce si era defilata insieme alla sua capacità di pensiero, quasi fosse sotto l’effetto di un Novox. Un gruppetto di ragazzi era riunito intorno ad una persona, all’ingresso del Centro, ed ascoltava visibilmente annoiato la lezione del suo fidanzato. 
«… E questo è il modo migliore per affrontare un FungOngo. Potete andare.», terminò una voce meravigliosamente familiare. Una voce che le faceva battere forte il cuore ogni volta.
«Finalmente…»
«Che barba!»
«Era ora che finisse…!»
«Che ci vuole ad affrontare un FongOngo, non ci serviva certo una lezione!»
In men che non si dica, i ragazzi uscirono dal luogo, commentando aspramente quanto fosse stata “assolutamente la peggiore ora della loro vita”. Squall poteva anche essere un eccezionale guerriero, ma di certo non aveva velleità da insegnante.
«Pensavo stessi facendo l’esame pratico, non teorico», osservò Zell cercando di evitare le erbacce e i rametti secchi che gli ostruivano la strada.
«Supplenza. Non c’era nessuno che potesse sostituire l’insegnante e così l’ho fatto io», rispose il ragazzo vedendoli entrare. Stava rimettendo a posto un libro abbandonato su un tronco e altre carte e fogli sparsi. «Che ci fate qui?»
«Dobbiamo parlarti, capo!», esclamò Zell mimando il saluto da SeeD. Non usavano certo questo genere di formalità tra amici. Squall alzò un sopracciglio, ma non disse nulla, facendo loro segno di accomodarsi.
«Fai tu Rinoa, io devo ancora pensare a cosa dire… Sai come sono», borbottò l’amico allontanandosi in tutta fretta da loro due.
Che reazione strana… da quando Zell ha bisogno di… “pensare”? Rinoa alzò lo sguardo: Squall la stava guardando interrogativamente e a buon ragione. Non aveva ancora aperto bocca da quando era entrata nel Centro. Ma cosa mai gli avrebbe potuto dire? Scusami, sono stata una stupida, non ho la minima idea di cosa mi preso? Sentivo le parole sfuggirmi, ma non ne avevo il controllo? Non volevo intendere quello che ho detto, veramente non volevo neppure dire quello che ho detto, ma…
«Devi dirmi qualcosa? » La voce di Squall le giunse, inaspettata, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Sembrava un po’ teso, anche se vedeva gli sforzi che faceva per mantenere la calma.
«Io…», mormorò, incapace di formulare alcunché.
«Allora?» Sembrava impaziente, come se avesse fretta per qualcosa. Rinoa rimase sconcertata.
«Hai… ehm… da fare?», balbettò lei vedendolo riporre rapidamente un libro nella borsa.
«Devo incontrarmi con una persona, quindi dimmi pure, ma fa in fretta». Non sembrava infastidito, né era stato freddo, ma ugualmente la ferì. Che cavolo, era o no la sua ragazza?
«Niente di importante, va pure al tuo appuntamento…», replicò lei marcando bene la parola “appuntamento”, voltandosi per andarsene, addolorata.
Una mano le afferrò il polso.
«Non è come credi»
Era troppo. Rinoa si gettò tra le sue braccia, nascondendo la testa sul suo petto.
«Mi dispiace…», disse piangendo, la voce che giungeva attutita. «Io non…»
«Sssh…», la zittì dolcemente, accarezzandole piano i capelli. «Non dire niente…»
«Ma…», tentò di scusarsi, cercando il suo sguardo, ma lui le posò due dita sulle labbra, facendola tacere nuovamente. La guardò per un lungo istante, i suoi occhi azzurri persi nei suoi. «Sei la cosa più preziosa che ho», le disse in un soffio, il viso vicinissimo al suo. Rinoa sentiva il suo respiro sulle labbra e questo la faceva letteralmente impazzire. L’attesa, straziante e infinitamente dolce prima di un bacio le faceva quasi venir voglia di porci fine il prima possibile. Quasi. Le sfiorò le labbra con le sue, dapprima deliberatamente lento, per poi annullare la distanza tra di loro con decisione, stringendola a sé. La ragazza sobbalzò per la sorpresa, lasciandosi andare, ricambiando il bacio con passione. Era incredibile come le sue labbra combaciassero perfettamente con le sue, plasmandosi ad ogni bacio, ad ogni sospiro. Rinoa intrecciò le dita ai suoi capelli, schiudendo le labbra in un tremito, il cuore che le martellava nel petto.
Sarà mio.
Una fitta, terribile e allucinante la colse all’improvviso, facendola scostare con un grido di dolore. Portò le mani alla testa, le unghia conficcate nel capo per riflesso, gemendo.
«Rinoa, Rinoa!»
«Vado a chiamare la dottoressa, tu resta con lei! »
Il mondo prese a girarle vorticosamente tanto che fu costretta a serrare le palpebre. Perse l’equilibrio, ma qualcuno la afferrò prontamente, dicendole parole che non comprese, poi perse conoscenza.
 
Tu sarai mia.
“Chi sei? Lasciami stare!”
Non potrai resistermi a lungo.
“Ma io ti conosco…! tu sei…”
 


Eeeeeee u.u mistero! Vi lascio con questo meraviglioso mistero mentre io riprendo a studiare xD So che questo capitolo è più corto del precedente( circa due pagine in meno), tuttavia, ho preferito pubblicarlo piuttosto che lasciarlo così dato che nel prossimo avverrà altroJ 
p.s. Avete capito il perché del titolo? :P
p.p.s Fatemi sapere cosa ne pensate, davvero, non limitatevi solo a leggere, adoro le critiche costruttive! :D
p.p.p.s Un grazie ENORME a tutte le persone che mi hanno letta, ai miei due recensori e ad una persona che ha inserito la storia addirittura tra i seguiti *ç*Alla prossima, tautau!

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Capitolo 3
*** Scomode Verità e Dorate Bugie ***


Scomode Verità e Dorate Bugie
 

Troppa luce. Questa fu la primissima sensazione che Rinoa provò quando riprese conoscenza. La stanza bianca dell’infermeria era troppo luminosa, i raggi del sole che entravano dalla finestra le ferivano gli occhi appena dischiusi.
Sono in infermeria…
Cercò di tirarsi su a sedere, ma le braccia le cedettero e ricadde pesantemente distesa. Si guardò: indossava uno di quegli orribili camicioni da ospedale, bianchi e verdi, con solo l’intimo sotto. Le scarpe erano accanto al suo letto. Almeno quelle gliel’avevano lasciate.
Che cosa mi sta succedendo…?
La ragazza ebbe l’impressione di stare dimenticando qualcosa… uno di quei particolari che in apparenza sembrano così insignificanti, ma che in realtà sono la chiave di tutto. Perché sono qui? Stava iniziando a riallacciare il filo dei suoi ricordi, quando udì delle voci concitate fuori della porta. Rinoa alzò un sopracciglio, incuriosita. Cercò nuovamente di alzarsi, stavolta con successo, gettando i piedi oltre il bordo del letto. Forse troppo velocemente, perché immediatamente le gambe non la sorressero, piegandosi come burro e facendola rovinare al suolo. Lamentandosi a denti stretti, gattonò fino alla porta, nutrendo ben poca fiducia nel suo precario equilibrio, e accostando un orecchio alla porta. Era ben conscia che origliare non fosse affatto una azione per cui ricevere una targhetta o un encomio di qualche tipo, tuttavia accantonò i suoi sensi di colpa per un secondo momento. Le era sembrato di udire la voce del suo ragazzo, quindi era più che giustificata.
Si, certo come no… Rinoa non c’è bisogno che cerchi altre scuse, origlia e basta!
Due voci: Squall e Zell. Rinoa restò alquanto perplessa: non li aveva mai sentiti alzare la voce a quel modo l’uno nei confronti dell’altro.
«Ci dev’essere un altro modo!», stava dicendo Zell, esasperato.
«Abbassa la voce, Zell, Rinoa potrebbe sentirci.»
Rinoa rimase sconcertata e per un attimo si scostò dalla porta, quasi disgustata. Squall le stava tenendo qualcosa nascosto? Dopo tutto quello che avevano passato? Scosse la testa per scacciare i pensieri, tornando ad origliare. Ben presto avrebbe scoperto quello che le stavano nascondendo.
«… Sto facendo tutto il possibile…», stava replicando con voce grave il Comandante.
«Me l’avevi promesso, Squall! », replicò con rabbia il maestro di arti marziali.
«Lo so, ma le circostanze sono cambiate»
Un sospiro.
«La Custode riacquisterà i suoi ricordi tra sei mesi, se tutto va bene, e allora potremo…»
«Sei mesi “se tutto va bene”?! », lo interruppe Zell furioso. «E’ quasi un anno che aspetto! Hai idea di cosa significhi essere bloccato su questa dannata sedia a rotelle?! » Un forte rumore metallico. Rinoa pensò che l’amico si fosse sfogato dando un sonoro pugno a qualcosa, come faceva sempre. «E la prossima volta cosa succederà, eh?! Cos’altro accadrà?! »
 «Zell, calmati…»
«Non dirmi di stare calmo, accidenti! »
«Zell non ti muovere così, cadr-…» Uno schianto fortissimo riecheggiò per il corridoio, seguito da uno scalpiccio di piedi lungo il corridoio. Rinoa non riuscì a trattenersi e cercò di sbirciare dalla serratura della porta. Riuscì soltanto a distinguere la sagoma di un’infermiera che si chinava su Zell, disteso sul pavimento, la sedia a rotelle rovesciata prima che la porta le sbattesse in faccia.
«Rinoa? », esclamò il suo ragazzo con espressione preoccupata. “Cosa diavolo sarà riuscita a sentire, adesso?”
«Ehm… Ciao Squall», replicò la giovane massaggiandosi la fronte imbarazzata. Il numero di incidenti che le capitavano ogni giorno era superiore a quello di qualsiasi altro essere vivente – e non – sulla faccia della Terra, ma Rinoa da tempo aveva smesso di cercare di capire il perché. «Che… che cosa ci fai qui? »
«Sei in Infermeria, Rinoa, piuttosto sarebbe anormale se io non ci fossi», ribatté Squall scuotendo il capo con un sospiro mentre si passava una mano sul viso. «Tu, piuttosto, che ci fai a terra? »
La ragazza avvampò.
«Sono caduta, non riuscivo a reggermi in piedi…», disse con una smorfia di fastidio. Cercando di riunire quel po’ di dignità che le era rimasta, Rinoa si alzò in piedi, le gambe leggermente tremanti, ma perfettamente in grado di sostenerla sotto lo sguardo interrogativo di Squall. Dannate…
«Prima non mi reggevano! », esclamò lei, ormai rossa come un peperone.
«Io non ho detto nulla», le disse con molta calma, anche se si vedeva che stava facendo un enorme sforzo per evitare di riderle in faccia. La ragazza lo soppesò con lo sguardo, poi decise di lasciar cadere il discorso, abbandonandosi sul letto con un sospiro. Senza una parola, le si avvicinò, sedendosi su una sedia al suo fianco.
«Come stai? », le chiese di punto in bianco, le braccia incrociate al petto.
«Bene, direi.», rispose, sorpresa dalla sua domanda. «Ma perché mi trovo in Infermeria?»
«Non ricordi cosa è successo? ». La guardò sinceramente stupito.
Rinoa scosse la testa. «Non ricordo nulla solo…» “…solo quella voce.” Ecco cos’era. C’era qualcuno che le stava parlando, ma chi? Eppure era sicura di averla già sentita quella voce… Ma dove?
«Solo? »
«Niente. Che mi è successo? »
«Sei svenuta», iniziò a spiegare, irrequieto, iniziando a gesticolare. Rinoa non l’aveva mai visto così, in genere era sempre molto composto e non c’era praticamente nulla che riuscisse a fargli perdere la sua proverbiale calma. Praticamente. «Gridavi frasi sconnesse e ti reggevi la testa come se ti stesse per esplodere. Non sapevamo cosa fare e così ti ho portato in Infermeria. » Si interruppe, la bocca improvvisamente riarsa, distogliendo lo sguardo da lei, sconvolto.
«Squall? », lo chiamò sfiorandogli lievemente il braccio facendolo sobbalzare.
«Scusami, è che non è stata una bella esperienza neppure per me. » Dopo una breve pausa, le strinse la mano tra le dita. Erano gelide, ma la ragazza non vi diede peso: voleva sapere cosa lo aveva sconvolto a tal punto. «Sei stata tre giorni sospesa tra la vita e la morte, Rinoa. Il tuo cuore ha smesso di battere un’infinità di volte e altrettante volte il team medico è riuscito a riportarti in vita. Non riuscivamo a capire la causa. A parte la febbre alta, non avevi assolutamente niente che non andasse. Il terzo giorno sono riusciti a salvarti dall’ennesimo arresto cardiaco, ma solo dopo enormi difficoltà. E’ stato allora che la dottoressa Kadowaki mi ha detto che non saresti sopravvissuta ad un altro attacco…» Squall nascose il viso nella mano, negli occhi l’eco del dolore che aveva patito in quei momenti e che fece rabbrividire la ragazza. Gli accarezzò appena il volto, con la punta delle dita. Il Comandante riemerse con un sorriso amaro, annuendo. « E’ stato allora che ho pregato la Custode di rompere il Sigillo di Leviathan»
Rinoa trattenne il fiato, sgranando gli occhi. Da quando era stato proibito l’uso dei G.F. a causa delle gravi conseguenze che aveva sulla memoria a lungo termine, ogni persona che ne avesse assimilato il potere era stata individuata e obbligata a rimuovere la Junction in modo permanente. I G.F. originali erano poi stati rinchiusi in bare di cristallo e poste in luoghi sconosciuti. Nonostante vi fossero numerose congetture sulle loro possibili ubicazioni, la realtà era avvolta nel mistero.
«Tu sai dov’è Leviathan? », gli chiese in un soffio. “Quante cose mi hai tenuto nascosto?”
Squall annuì. «Come sai, le Custodi non sono sottoposte a nessuna giurisdizione e rispondono alle preghiere che vengono loro poste senza essere obbligate ad esaudirle tutte. Anzi, questa è la seconda preghiera che ha esaudito. Quando siamo arrivati in Infermeria stavi delirando e mormoravi parole come “è tornata”“ La guardò interrogativamente, ma Rinoa scosse il capo. Non ricordava proprio nulla.
«Comunque, la Custode si è messa subito all’opera e, grazie al cielo, ti ha salvata. Hai dormito tranquillamente tutta la notte e stamattina, a quanto pare, ti sei svegliata», concluse con un ampio sorriso sulle labbra, abbracciandola e stringendola a sé delicatamente. Rinoa si abbandonò tra le sue braccia, tuttavia non riusciva a scacciare la sensazione che ci fosse qualcosa che non le aveva detto. Lo vide nei suoi occhi, sfuggenti ed esitanti, nel suo abbraccio poco convinto…
«C’è altro che dovrei sapere? », gli chiese improvvisamente, il viso ancora premuto contro il suo petto. Lo sentì irrigidirsi per un istante, e il cuore battere forsennatamente, ma la giovane non disse nulla, aspettando.
«No.»
Rinoa non pensava che una semplice parola di due lettere potesse farle così male, e invece sentì distintamente il crack del suo cuore che si scheggiava sotto il peso di quella che sapeva essere per certo una bugia. Squall…
La ragazza alzò lo sguardo, un sorriso dolcissimo disegnato sul volto nel tentativo di nascondere le lacrime che le pizzicavano all’angolo degli occhi.
«Ho una fame! Andiamo a mangiare!», esclamò con voce forzatamente entusiasta, forse troppo, ma Squall sembrò non notarlo. Le parve quasi di vedere un sospiro di sollievo e i suoi sospetti furono confermati.
Sorrideva falsamente lei, mentiva con gli occhi lui mentre annuiva piano col capo.

 

 
Rinoa toccò a malapena il cibo della mensa, lo stomaco chiuso per la tensione. Zell non si era presentato a pranzo quel giorno – forse era stato trattenuto dalla dottoressa Kadowaki per altri accertamenti – tuttavia non riusciva a tranquillizzarsi dopo quanto era accaduto. Squall rise e scherzò con gli altri, un piacevole cambiamento al quale si era abituata nell’ultimo periodo della loro relazione. Sembrava che la sua presenza lo rendesse molto più tranquillo di quanto non fosse mai stato. Dopo la guerra contro Artemisia si respirava un’aria molto più distesa e serena, di pace finalmente. La ragazza giocherellò con il cibo nel piatto, la mente che vagava altrove. Come aveva potuto…? Avevano viaggiato per tutto il mondo, combattuto migliaia di battaglie e superato centinaia di ostacoli. Perché ora le stava mentendo? Perché ora non si fidava di lei?
«Rinoa, stai bene?», la voce di Quistis la interruppe, distaccata come al solito. Ultimamente i rapporti tra le due ragazze non erano dei più felici senza la presenza mitigatrice di Selphie – le loro personalità erano troppo diverse per poter funzionare – ma ciò che avevano passato le aveva avvicinate, per lo meno. «Non hai toccato cibo…»
Rinoa sorrise, cercando di spazzare via il turbamento dal proprio viso. «Si, sto bene. Non ho molta fame oggi, tutto qui.»
Squall e quel suo onnipresente, ed alquanto irritante, sguardo preoccupato tornarono alla carica. Dopo numerosi “Si, sto bene” e “No, non devo riposare” si convinse dell’integrità fisica della propria ragazza – .
Grazie al cielo!”
La campanella suonò, annunciando l’inizio delle lezioni e tutti si affrettarono ad andare nelle rispettive aule. Squall le donò un lieve bacio sulla guancia sussurrandole un: «Io vado, ci vediamo stasera.» e sorridendole per poi allontanarsi rapidamente alla volta delle aule.
Rinoa rimase ferma per lunghi istanti, dondolandosi da un piede all’altro, cercando di decidersi sul da farsi. E ora? Cosa posso fare?
Un lampo di genio.
Zell! Devo assolutamente parlare con Zell!
Subito la ragazza avanzò decisa verso l’Infermeria, i pensieri che galoppavano troppo velocemente per poter acquisire una forma. Solo quando si ritrovò dinanzi alla porta della stanza si fermò con la mano ancora sospesa a mezz’aria, incerta su cosa gli avrebbe detto. Dopo essersi arrovellata per alcuni minuti, mangiandosi le unghie per l’agitazione, cacciò un “Chissenefrega” a mezze labbra ed entrò. La luminosità abbacinante della stanza la colse in pieno, insieme ad una serie di urla e di improperi provenienti da dietro una delle tendine.
«Stia fermo, signor Dincht!»
«Mi lasci andare, sto benissimo!»
«Non prima di essermene assicurata!»
La ragazza udì un borbottio sommesso seguito da uno schiaffo, poi la testa della dottoressa Kadowaki emerse da dietro la tendina.
«Signorina Heartilly», esclamò sinceramente sorpresa. «Non mi aspettavo di rincontrarla così presto. Non si sente bene?»
Rinoa scosse la testa in segno di diniego. «Sono venuta a trovare Zell»
Subito la dottoressa si rabbuiò in volto, visibilmente infastidita. «Quel ragazzo! Mi ha fatto passare le pene dell’inferno per somministrargli un antidolorifico! Vai pure, magari riesci a calmarlo un po’»
Rinoa sorrise. Zell aveva la testa più dura del carapace di un Adamanthart, non avrebbe mai ascoltato nessuno. Mosse qualche passo ed entrò nella stanza dell’amico.
Era steso sul letto, immerso in candide e fresche lenzuola pulite mentre i raggi del sole gli baciavano il viso e gli sfioravano i capelli illuminandoli di caldi riflessi dorati. Era una visione alquanto diversa di quello che era il maestro di arti marziali e la ragazza rimase per qualche secondo ferma sulla soglia senza dire nulla.
«Rinoa? Che ci fai qui? », le chiese Zell, stupito vedendola entrare.
«Ho sentito che eri in Infermeria, così ho pensato di passare a trovarti», rispose con un sorriso, le mani congiunte dietro la schiena. «Come stai?»
«Sto benissimo!», replicò lui con un gesto noncurante della mano. «Quella strega mi vuole tenere ancora qua per “ulteriori accertamenti”», disse, scimmiottando le ultime parole e mimando le virgolette con le dita.
Rinoa rise. Era sempre il solito. Prese una sedia e si sedette affianco al letto. Quella scena la le riportò alla mente la mattina appena trascorsa, quando Squall aveva compiuto lo stesso gesto per porsi al suo fianco. Una stretta al cuore la colpì e, di riflesso, si mise a giocherellare con gli anelli gemelli che portava al collo, restando in silenzio per alcuni momenti, lo sguardo che seguiva i movimenti delle dita.
«Zell?», fece all’improvviso, il capo ancora chino.
«Si?»
«Cos’è successo quando sono stata in coma?»
Un silenzio rotto soltanto dal canto degli uccellini riempì la stanza mentre l’aria si faceva più tesa di una corda di violino.
«Squall non ti ha detto nulla?», replicò bruscamente incrociando le braccia al petto.
«Si, mi ha detto che sono stata in bilico tra la vita e la morte per tre giorni e che solo l’intervento di Leviathan mi ha salvato», mormorò guardandolo di sottecchi per vedere la sua reazione. Al sentir menzionare il G.F. si era irrigidito appena, ma subito dopo era tornato il solito Zell di sempre. «Ma mi sta nascondendo qualcosa e non capisco perché. Per favore, dimmi la verità. Cos’altro è successo?»
Zell sospirò, lo sguardo perso fuori della finestra, restando in silenzio per alcuni minuti. Quando Rinoa stava iniziando a pensare che non le avrebbe risposto, ecco che iniziò a parlare.
«Ricordi quando mi sono fatto male?», le chiese debolmente, indicando le proprie gambe che giacevano sul letto, abbandonate a loro stesse.
Rinoa annuì gravemente. Era stata una tragedia. La stessa Selphie non riusciva più a guardarlo negli occhi dopo quanto era successo. Ecco perché aveva deciso di dedicare anima e corpo alla ricostruzione di Trabia, dove le linee di comunicazione erano inesistenti ancora e non avrebbe dovuto accampare scuse per evitare di chiamare i suoi amici. Rinoa sentiva molto la mancanza dell’amica, ma sapeva che ne aveva bisogno, quindi non si era opposta. Sperava solo che stesse migliorando, in modo tale da poterla rivedere quanto prima.
«Un anno… Ho provato di tutto quest’anno, lo sai. Fisioterapia, chirurgia. Non c’è stato niente da fare. E’ “troppo grave”, mi ha detto ripetutamente ogni medico che ho consultato. Neppure il dottor Odine è stato in grado di aiutarmi…», si fermò brevemente, la bocca che era diventata improvvisamente secca. Afferrò rapidamente il bicchiere d’acqua posto sul comodino e lo bevve tutto d’un fiato, soppesandolo tra le mani, seguendo i giochi di luce che il sole creava sulla sua superficie per alcuni istanti, per poi proseguire. «Quando i Garden si sono riuniti per discutere del destino dei G.F., come ben sai, molti si sono opposti, altri hanno proposto di distruggerli, altri ancora di nasconderli allo sguardo e di lasciare che il loro potere ritornasse al mondo, come era giusto che fosse. Questa linea prevalse e i Comandanti dei Garden, insieme ai Presidenti e Governatori delle varie città, ebbero il compito di nascondere i G.F.. Un G.F. per ogni città, in modo tale che se fosse accaduto ancora che uno qualsiasi dei Garden o delle città avesse deciso di dichiarare guerra alla pace, avrebbe avuto a disposizione solo il potere di un G.F. e le altre, insieme, avrebbero potuto contrastarla. Ecco perché siamo riusciti a mantenere la pace così a lungo senza problemi.”
Rinoa non riusciva a capire. Dove voleva andare a parare?
«Mi stai impartendo una lezione di storia? Queste cose le so già, perché me le ripeti?», replicò spazientita, battendo il piede al suolo, irritata. Zell non si lasciò impressionare e proseguì imperterrito.
«Squall fu incaricato di nascondere Leviathan – la sua ubicazione è ovviamente sconosciuta – e così fece ed incaricò la Custode di vegliare su di lui. Vedi, solo alle Custodi è concesso di utilizzare il potere dei G.F. e solo raramente per via della perdita di memoria. Nessuno dovrebbe dimenticare il proprio passato, neppure una Custode. Il dottor Odine è convinto che se si usa un G.F. solo raramente i ricordi possono riaffiorare e non sono perduti per sempre. E’ l’uso ravvicinato dei G.F. che ci fa perdere la memoria. Sei mesi dopo l’incidente, dopo aver consultato ogni medico esistente sulla faccia della Terra, mi sono recato al Chiostro della Custode per pregarla di guarirmi. Dapprincipio non mi ha risposto, ma non volevo arrendermi. Mi sono recato da lei ogni giorno per sei mesi. Quattro giorni fa mi ha risposto. E ha deciso di accettare la mia preghiera.»
Quattro giorni…
«E’ stato il giorno in cui siamo andati al Centro d’Addestramento, vero?», gli chiese cercando di ristabilire l’ordine cronologico degli avvenimenti.
Zell annuì tristemente. Rinoa fece due più due, le tessere del puzzle che tornavano lentamente al loro posto.
«Era quello il motivo per cui volevi parlare con Squall… Volevi dirgli della Custode», disse con un filo di voce. Finalmente iniziava a capire.
Zell le rivolse un sorriso amaro, eludendo il suo sguardo. «Si. Gli volevo riferire della Grazia della Custode sia perché è il mio migliore amico… e sia perchè ogni Graziato deve riferire la benevolenza della Custode al proprio Comandante. Quel giorno, tuttavia, sei anche caduta in coma.»
Rinoa sbarrò gli occhi.
«Leviathan…», sussurrò appena.
«Squall ha pregato la Custode e lei ha risposto alla sua richiesta…»
“E’ stato allora che ho pregato la Custode di rompere il Sigillo di Leviathan»
«Ma così facendo ha impedito che potesse aiutare me. Ho ceduto volentieri la mia preghiera per te, ovviamente, ‘Noa: stavi morendo e sarebbe stato mille volte peggio perderti che restare paralizzato a vita. Tuttavia, quando mi ha detto che avrei dovuto aspettare sei mesi prima di poter anche solo tornare a pregarla… Non ce l’ho fatta, ho perso la testa. Scusami è che… ero tornato a sperare, capisci?», fece con un sorriso tirato, tormentandosi le mani.
«Mi dispiace, Zell… Dico davvero…», mormorò guardandolo, gli occhi lucidi. Era stata indirettamente la causa del fallimento delle sue preghiere e non poteva sopportarlo.
«Non preoccuparti, ‘Noa. Tra sei mesi ricomincerò da capo e vedremo se quella brutta Custode non mi ridarà le mie gambe!”, le rispose strizzando l’occhio e sferrando un sonoro pugno sul comodino, la sua solita espressione sprezzante sul viso. La brocca dell’acqua e le svariate medicine tremarono visibilmente, ma per chissà quale grazia divina restarono al loro posto. Rinoa sorrise debolmente per poi congedarsi da lui con la scusa di avere molte cose da fare. Lui annuì e sbraitò qualcosa contro la dottoressa circa l’impossibilità di seguire la partita dei Chocobo United bloccato in quel letto, ma ormai la mente di Rinoa già galoppava lontano. Perché lei sapeva cosa avrebbe fatto così come sapeva che i suoi piedi la stavano conducendo al Giardino, dove era consapevole che avrebbe trovato Squall nel pieno dell’addestramento delle nuove reclute.
Avrebbe restituito a Zell l’uso delle proprie gambe, e non tra sei mesi “forse”, ma subito, non importa cosa le sarebbe costato.

 

 
Tra le ombre del corridoio, una figura la osservò uscire dall’Infermeria, richiudersi la porta alle proprie spalle con un gesto secco e avanzare rapidamente alla volta del Giardino, sul viso una espressione determinata.
Con una smorfia sul volto, la figura si voltò e ritornò sui propri passi, il solo rumore dei tacchi che riecheggiava nel corridoio come unica traccia del suo passaggio.

 

 
Salve a tutti, anche questo capitolo è finito e spero che non vi abbia annoiato :) Ero tentata di unire questo capitolo con il prossimo, tuttavia ho deciso di non lasciarvi per troppo tempo senza un aggiornamento, quindi eccomi qua! piano piano state scoprendo sempre di più sul mondo in cui adesso vivono i nostri eroi :D Posso avvisarvi che il prossimo capitolo sarà il capitolo decisivo di questa storia, che cambierà ogni cosa… per sempre. Quindi… alla prossima! :D

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Capitolo 4
*** Ruggito Oceanico ***


Ruggito Oceanico
 

 
Tum tum, tum tum.
Tum tum, tum tum.
Rinoa sentiva distintamente il suo cuore martellare per l'agitazione, battere forte ed intensamente, come se cercasse una via di fuga dal suo petto. Sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi così, che avrebbe dovuto cercare di controllarlo, tuttavia quel segreto che Squall le aveva tenuto nascosto, la sua bugia… Ogni volta che ci pensava sentiva la rabbia montarle nel petto e i pensieri annebbiarsi. Nei pochi attimi di lucidità percepiva che quella collera cieca non poteva appartenerle, non era da lei arrabbiarsi a questo modo, tuttavia non riusciva a calmarsi, così come non riusciva a fermare i suoi passi che, uno dopo l’altro, la portavano sempre più vicina alla fonte della sua furia.
“Rinoa, calmati!”
Una voce limpida e cristallina le invase la mente, paralizzandola sul posto per un lungo istante. Quella voce… Ellione!
Rabbia.
“Rinoa fermati!”
Fermarsi? Come avrebbe potuto fermare i propri passi? C’era mai stato un momento in cui era stata immobile? Rinoa non lo ricordava più.
Odio.
“Perderai te stessa, devi lottare!”
Lottare per cosa? Era già perduta, Rinoa lo sapeva. Lo sentiva dalla gelida morsa della mano che si avvolgeva intorno al suo cuore, stringendolo tra le dita; lo capiva dalla sgradevole sensazione di non essere più in grado di controllare i propri movimenti, ma soprattutto lo percepiva dentro. La ragazza cadde nel bel mezzo del corridoio deserto con un grido di dolore, annaspando, cercando disperatamente di respirare, ma invano. Sentiva i polmoni non obbedirle, il petto restare abbassato mentre il cuore le batteva così rapidamente che temeva che sarebbe morta da un momento all’altro se avesse continuato.
Poi smise di battere del tutto.
 
Tum.
 
Tum.
 
Rinoa si alzò lentamente dal pavimento, reggendosi sulle gambe malferme, la mente come avvolta da morbida ovatta. Ondeggiava vistosamente a capo chino, i capelli corvini che le ricadevano dinanzi al viso, celandone in gran parte i lineamenti. Lentamente ricominciò a camminare, dapprima incerta, poi sempre più sicura sulle proprie gambe, riprendendo ad avanzare minacciosamente nel corridoio con i pugni serrati e la mascella contratta, scansando le ragazzine ridacchianti appena uscite dalla mensa.
E non riusciva a fermarsi.
Rinoa schioccò la lingua, gli occhi ridotti a due fessure, spingendo da parte con malagrazia un ragazzino che stava facendo jogging. Questo la guardò sorpreso, ma non disse nulla, scostandosi impaurito e scappando via nella direzione opposta. Rinoa rise appena, sfiorando casualmente una piantina che si trovava al lato del corridoio, giungendo dinanzi al Giardino. Quindi senza indugio entrò, iniziando a scendere rapidamente le scale, gettando appena uno sguardo al luogo con profondo disprezzo.
 
“Fithos”
 
L’albero di quercia secolare troneggiava nel mezzo del Giardino gettando una fresca ombra nel luogo, ma lei non ci badò, continuando a scendere le scalette fino a che non lo vide. Una rabbia cieca la invase. Squall era in piedi dinanzi ad un gruppetto di studenti seduti sul palco utilizzato tempo prima da Selphie per organizzare il concerto a cui far assistere Squall a Fisherman’s Orizon. Agitava il Gunblade per dar enfasi al discorso, come soleva fare quando un argomento gli stava particolarmente a cuore, mentre parlava concitatamente. Vide gli allievi disporsi ordinatamente dinanzi a lui, l’uno di fronte all’altro, le armi in mano e in posizione da combattimento, seguendo gli ordini impartiti dal proprio Comandante, allenandosi per quella che sarebbe stata la prova finale del loro esame SeeD. Ben presto l’aria fu piena del rumore delle loro armi che cozzavano l’una contro l’altra e delle raccomandazioni del Comandante urlate da un capo all’altro del gruppo.
«Rinoa!», esclamò Squall notandola, stupito. Diede l’incarico ad uno dei cadetti più anziani di fare le sue veci temporaneamente, dirigendosi verso di lei rapidamente. «Sai bene che sto facendo lezione, è successo qualcosa»
La ragazza non rispose, oscillando appena da un piede all’altro, lo sguardo perso nel vuoto.
 
Squall! Aiutami!
 
«’Noa?»
«Dov’è?», chiese la ragazza in un sussurro mantenendo lo sguardo basso, rivolto ad un punto non precisato del suolo, e le braccia abbandonate lungo i fianchi.
«Dov’è cosa?». Squall sgranò gli occhi, guardandola interrogativamente. Non riusciva a capire il perché del suo comportamento, specie nell’ultima settimana. Era dall’ultimo allenamento con Seifer che aveva iniziato a comportarsi in modo sempre più strano, portandolo quasi all’esasperazione.
«Lo sai. Leviathan. Dove lo hai nascosto?», fece ancora in un sibilo, la voce che non sembrava neppure appartenerle.
«Rinoa! Ma cosa diavolo di prende?!», ribatté lui afferrandola per un braccio e scuotendola appena.
 
“Lusec”
 
Con un ringhio ferino, Rinoa si divincolò dalla sua presa, sferrandogli un pugno dritto nello stomaco per poi sgusciare via alle sue spalle con un unico fluido movimento. Squall incassò il colpo piegandosi in due per il dolore, un ronzio sordo nelle orecchie. Cosa stava succedendo?
Fu un sibilo ad avvertirlo e con un balzo si gettò di lato appena in tempo per evitare il Boomerfritz di Rinoa che si abbatté al suolo con una pioggia di scintille. I cadetti, non appena videro la situazione precipitare, non rimasero a guardare, ma si prepararono a fronteggiare il nemico correndo verso di lei, ignorando totalmente gli ordini del Comandante che intimava loro di farsi da parte.
Rinoa li guardò con un sorriso malevolo, i capelli corvini che le frustavano il volto come scossi da un vento invisibile.
«Ali di fata», sussurrò lei, un ghigno malvagio che le distorceva i lineamenti delicati. Un paio di eteree ali d’argento le si disegnarono sulla schiena avvolgendola di una fredda luce metallica.
Squall sentì distintamente un brivido lungo la schiena guardandola confusamente per poi sbarrare gli occhi.
«Via! Andate via!», urlò ai ragazzi, ma questi non gli diedero ascolto. Uno di questi si lanciò contro la strega, il Gunblade alto sulla sua testa, pronto a sferrare un fendente. Il colpo, tuttavia, non giunse mai a destinazione, bloccato da una barriera azzurrina che la avvolgeva. Per un lunghissimo istante, la strega e il cadetto rimasero fermi a pochissima distanza l’una dall’altro, guardandosi negli occhi: puro compiacimento lei, orrore lui, per poi essere sbalzato via con una forza inaudita contro il palco. Con un orrendo crack si accasciò al suolo e non si mosse più. I suoi compagni rimasero immobili, paralizzati dal terrore, per poi lanciarsi tutti insieme addosso alla ragazza. Con una risata agghiacciante, ella schioccò le dita ed un alto cerchio di fiamme divampò tutt’intorno a lei e Squall, impedendo loro di raggiungerli.
«Adesso basta!», urlò Squall scagliandosi addosso alla sua ragazza con un fendente nel tentativo di renderla inoffensiva. Rinoa deviò il suo colpo con facilità, sfruttando il bracciale d’acciaio della sua arma come se fosse uno scudo, poi gli scivolò affianco e gli fece uno sgambetto che il giovane evitò con un agile balzo. Squall cercò di sfruttare la sua minuta struttura fisica per farle perdere l’equilibrio con un montante diretto alle gambe, ma una barriera invisibile si frappose tra la sua arma e lei per un istante, esplodendo in una pioggia di schegge di luce. “Dannata magia di strega!”
«Levita!»
Squall sentì distintamente i propri piedi abbandonare il suolo e il corpo alzarsi a mezz’aria per poi essere sbattuto violentemente al suolo con un unico gesto della mano di Rinoa. Squall sentì il sapore del sangue invadergli la bocca mentre si rialzava tremante, cercando di pensare rapidamente a qualcosa, qualsiasi cosa che gli avrebbe permesso di metterla fuori combattimento. Cercò di sferrarle un colpo di piatto sfruttando il suo fianco scoperto, ma lei mormorò qualcosa a mezze labbra, sbalzandolo via e facendolo nuovamente rovinare sul pavimento del Giardino. Ebbe a stento il tempo di prendere fiato che il freddo acciaio del Boomerfritz giunse inaspettato, conficcandosi in profondità nella spalla. Stringendo i denti per il dolore, si alzò faticosamente e tentò l’ennesimo assalto, la presa sull’arma non più salda come poco prima. Con un sorrisetto di profonda soddisfazione, Rinoa agitò appena la mano scagliando il Gunblade lontano, fuori dal cerchio di fiamme, irrecuperabile per lui.
Per la prima volta in vita sua, Squall ebbe davvero paura. Non aveva avuto davvero paura neppure di Artemisia. Sapeva che l’avrebbe sconfitta perché c’era lei al suo fianco. Lei, Rinoa, la ragazza che gli aveva sussurrato di amarlo dopo aver sconfitto Artemisia, la stessa con la quale aveva condiviso ogni giorno fino a quel momento e che ora lo stava inesorabilmente facendo a pezzi. Per la prima volta ebbe paura nel vero senso della parola.
Rinoa avanzò verso di lui lentamente, la veste azzurra che seguiva i suoi passi con morbido volteggiare.
«Blizzaga», sussurrò, facendo seguire le sue parole ad un ampio gesto della mano. In un attimo Squall si ritrovò ad agognare il caldo terribile del cerchio di fuoco mentre il ghiaccio gli avvolgeva le gambe per poi risalire lungo il busto, lasciandogli libero solo il capo. Un freddo intenso gli si insinuò nel corpo, bruciandogli la pelle come se fosse fuoco e non ghiaccio. Cercò di muoversi, ma era tutto inutile. Quando alzò lo sguardo si ritrovò a ricambiare con orrore uno sguardo dorato terribilmente familiare.
Quegli occhi…
«Artemisia!», esclamò Squall sconvolto. Come diavolo era riuscita a prendere il controllo di Rinoa? Era…
«…morta?», fece la ragazza con un sorriso maligno. Si destò leggermente i capelli, come soleva fare di solito la sua Rinoa. Era un abominio che quella cosa potesse anche solo somigliare a ‘Noa. «No, non direi a quanto pare. E ora dimmi: dov’è Leviathan?»
«Non lo saprai mai, strega!», sputò Squall guardandola rabbiosamente. Si sentiva impotente, anzi era impotente! Si agitò ancora nella sua prigione di ghiaccio, ma senza successo.
«Dimmelo!», ringhiò lei dandogli un forte manrovescio dritto in volto, spaccandogli il labbro. Lui ridacchiò scuotendo il capo. Sorrise, gemendo appena perché ciò gli procurava dolore, ma non se ne curò.
«Povera Artemisia… E’ tutto qui quello che sai fare? Ecco perché siamo riusciti ad ucciderti una volta, allora…», mormorò con una risata a mezze labbra. Artemisia si irrigidì visibilmente, i muscoli tesi per la collera repressa, per poi indietreggiare di un passo, senza mai smettere di guardarlo.
«Bene… Se le cose stanno così non mi sei di alcun aiuto…» Stese una mano contro di lui mentre i capelli e la veste iniziarono a volteggiare intorno a lei scossi dal vento dell’incantesimo di Morte che stava generando. «Ad-…»
 
“NO!”
 
Rinoa si chinò su se stessa, le mani intrecciate ai propri capelli, tremando. Per un attimo Squall sembrò intravedere il caldo marrone cioccolato dei suoi occhi tra le screziature dorate di Artemisia, tuttavia fu solo un momento prima che la strega si drizzasse nuovamente e gli rivolgesse uno sguardo carico d’odio.
«A quanto pare la tua fidanzatina è più potente di quanto immaginassi…», sussurrò, quasi rivolta a sé stessa, per poi rivolgergli un sorriso falsamente innocente sotto lo sguardo sconcertato di Squall. Rinoa schioccò nuovamente le dita e le fiamme tutt’intorno a loro si dissolsero così come erano arrivate.
«Non potrò uccidere te, Cavaliere – non ancora – ma posso uccidere loro!», esclamò ridendo con occhi spiritati stendendo le braccia contro il gruppo di studenti che erano rimasti bloccati fuori dal cerchio di fuoco.
«Firaga!», urlò ancora contro di loro ed in brevissimo tempo il Giardino fu pervaso dalle grida disumane dei ragazzi del Garden in preda alle fiamme. Si gettavano a terra nel tentativo, invano, di estinguere il fuoco o si agitavano impazziti dal dolore. Questo era l’effetto devastante di “Ali di Fata”: anche la magia più comune diventava letale, figuriamoci un “Firaga”. “Incantesimi circa quindici volte più potenti del normale”, aveva detto Cid dopo aver analizzato la potenza delle magie scagliate e Squall dovette ammettere che aveva ragione, tossendo a causa dell’ acre odore di capelli e pelle bruciata che permeava il luogo. Si dibatté ancora nel ghiaccio il quale era rimasto sorprendentemente intatto nonostante l’inferno che si stava scatenando dinanzi a sé, ma era tutto inutile. Vide e udì ogni cosa senza poter fare assolutamente nulla: il fuoco che bruciava la loro pelle, le grida strazianti di quei ragazzi che non sarebbero mai diventati SeeD, ma soprattutto vide il viso della sua Rinoa completamente trasfigurato in una maschera di pura malvagità mentre i bagliori delle fiamme le si riflettevano negli occhi dorati donandole una luce folle. Rinoa gli rivolse un sorriso a dir poco inquietante e gli si avvicinò con deliberata lentezza…
… lo guardò…
… e posò le labbra sulle sue. Dapprincipio Squall rimase paralizzato dalla sorpresa, poi si ritrovò in qualche modo a ricambiare il bacio nonostante fosse ben conscio del fatto che fosse solo Artemisia. Rinoa schiuse appena le labbra, sfiorandogli la lingua con la propria, assaggiando il suo sangue con avidità. Forse fu questo a fargli voltare il capo disgustato, rifuggendo quel bacio che sapeva di morte, o forse semplicemente si era reso conto che, neppure con quei gesti, Artemisia sarebbe mai stata in grado di imitare la sua Rinoa. Qualunque fosse la ragione che lo aveva spinto ad allontanarsi da lei, la strega non ne sembrò molto contenta. Si scostò da lui con le labbra contratte mentre degli strani tatuaggi dorati – terribilmente simili a quelli delle Streghe che avevano affrontato –  si andavano delineando sul suo volto.
«La tua ragazza è perduta, ormai, Squall. Rassegnati», mormorò con voce quasi impercettibile, per poi voltarsi ed uscire dal Giardino con passi leggeri, lasciando dietro di sé una scia di fiamme e morte.
La magnifica quercia che un tempo troneggiava nel Giardino era ormai ridotta ad un mucchio di legna bruciata. Squall guardò quello scempio con occhi sgranati: solo una settimana prima addestrava le reclute dell’ultimo anno per l’esame SeeD e ora… ora non c’erano neppure delle reclute dell’ultimo anno. L’incantesimo lentamente si sciolse, lasciandolo tremante in preda a brividi di freddo. Cercò di sfregarsi la pelle ustionata dal ghiaccio, tuttavia desistette subito a causa del dolore lancinante. Il rumore dei suoi passi malfermi era l’unico udibile nel luogo: le urla degli studenti erano cessate e regnava solo un silenzio innaturale, un silenzio che sapeva di morte e disperazione. Si inginocchiò accanto ad una delle ragazze, cercandone il polso. Restò in febbrile attesa per alcuni istanti mentre il corpo era scosso da brividi inconsulti di freddo. Niente, non sentiva niente.
“Maledizione!”. Sentiva le palpebre cercare di chiudersi, di farlo riposare, ma non si dette pace ed esaminò ogni studente accasciato sul pavimento. La speranza di trovarne uno vivo incominciò ad affievolirsi dopo il quarto ragazzo privo di battito. Aveva ormai perso ogni speranza quando ecco… tum… lunga pausa… tum… Era debolissimo, tuttavia c’era. Squall non perse tempo e subito si issò la ragazza in questione sulla schiena, ignorando il dolore che la pelle congestionata gli rimandava e cercò di avanzare il più rapidamente possibile verso l’Infermeria, un po’ zoppicando e un po’ trascinandosi. Tentò di non badare al sangue che gli scendeva copioso dalle ferite fino a che la stanchezza non lo colse e cadde riverso al suolo. Nel suo quadro visivo vide entrare un paio di tacchi vertiginosi e sentì una voce dirgli concitatamente qualcosa, ma non riuscì a distinguere nulla.
«Salvatela…», mormorò in un soffio, prima che il sonno dell’ incoscienza lo cogliesse.
 

 
Rinoa dischiuse le palpebre lentamente. Era stesa “da qualche parte” mentre un fastidioso ronzio risuonava debolmente intorno a lei.
“Ma dove sono?”
Si guardò attorno: era… nell’ascensore?! Perplessa, Rinoa si alzò in piedi, scuotendosi la fuliggine – fuliggine?! – dalle vesti. Provò a spingere il tasto “1” per andare al primo piano in modo tale da poter capire come mai Squall le avesse mentito. Doveva avere per forza una ragione valida e lei aveva bisogno di conoscerla.
L’ascensore non si mosse. Premette ancora e ancora, più forte, irritata fino a che non sferrò un calcio contro le pareti lasciandosi sfuggire un’imprecazione dalle labbra. Fu allora che notò una cosa che prima le era sfuggita: una piccola chiave dorata era infilata in una toppa nella parete. Alzò un sopracciglio, per poi capire: il fastidioso ronzio era il rumore dei cavi dell’ascensore che stava scendendo.
“Dove sto andando?”
Rimase in attesa ancora per un paio di minuti, giocherellando con gli anelli gemelli che portava al collo, fantasticando di come lei e Squall avrebbero fatto pace dopo aver risolto la questione. E fu con il suo sorriso che si aprirono le porte, lasciandola stupefatta da ciò che vide: era nei Sotterranei, dove avevano messo fine al dominio dispotico di Norg, ma allo stesso tempo sembrava totalmente un altro luogo. Un grande tendone azzurro occupava la maggior parte dell’ambiente illuminato dalle luci blu di una mezza dozzina di torce appese alle pareti.
“Fiamme blu?”
Rinoa avanzò di qualche passo, incerta sul da farsi, osservando da vicino la fiamma di una delle torce ad occhi socchiusi per non rimanerne accecata: un minuscolo pezzo di roccia scura era posto alla sua base e sembrava sprigionare scintille di quando in quando. Una salmodia melodiosa, proveniente dall’interno della tenda, attirò la sua attenzione. Silenziosamente, accostò un occhio ad uno degli strappi nel tessuto; la stanza sembrava molto più piccola rispetto a quanto potesse sembrare dall’esterno, forse a causa della mole enorme di cianfrusaglie, monili e oggetti di ogni tipo che erano stipati all’interno. Vi erano cuscini ovunque e veli impalpabili erano appesi al soffitto donando nel complesso un’atmosfera alquanto esotica al luogo. Un enorme specchio apparentemente molto antico era addossato lungo una delle “pareti”, riflettendo l’immagine di una ragazzina, avvolta in veli bianchi e celesti seduta su un’enorme cuscino. Sembrava che stesse cantando qualcosa a bassa voce sgranando i grani di una collana. Tuttavia, aldilà del disordine che sembrava regnare sovrano, la cosa che più la colpì furono i draghi: erano ovunque! Statuette di draghi di bronzo, medaglioni, ciondoli e candelabri, persino le decorazioni sui cuscini raffiguravano tutte draghi.
«Vuoi entrare o resterai lì a spiare tutto il tempo?»
La voce sottile della ragazzina la colse impreparata, come se le avessero appena versato una secchiata di acqua gelida in testa, mentre un rossore diffuso le imporporò le guance. Prendendo il coraggio a due mani, scostò il lembo della tenda ed entrò. L’ambiente le diede subito una sensazione di soffocamento e di claustrofobia, come se le pile di ciarpame potessero da un momento all’altro crollarle addosso. Rinoa si guardò attorno, affascinata e al tempo stesso infastidita dalla quantità esorbitante di oggettini tutti sparsi in giro.
«Dove sono?», chiese esitante, posando lo sguardo su quella che, da vicino, sembrava essere una bambina. Doveva essere davvero molto giovane, a giudicare dalla sua voce infantile. Non aveva a disposizione altri dati per giudicare la sua vera età, dato che era avvolta in candidi veli abbastanza spessi da lasciar intravedere solo gli occhi di un azzurro quasi bianco. Quegli stessi occhi che, tremendamente attenti, la scrutavano e guizzavano sul suo aspetto, trasmettendole un senso di soggezione con la sua sola presenza. Un brivido le risalì lungo la schiena.
«Siete nel Chiostro della Custode. Parlate e l’oceano vi ascolterà»>, disse con voce argentina e delicata. Le mani erano congiunte in preghiera dinanzi a sé.
«Voi siete la Custode…?» Si morse la lingua non appena si rese conto della stupidità della domanda.
La bambina rise e, sebbene fosse in tutto e per tutto identica a quella di mille altri bambini, Rinoa si sentì gelare il sangue. Era come se fosse stata perfettamente modulata per sembrare una normale risata. Ed era altrettanto innaturale il modo in cui riusciva a restare perfettamente immobile: sembrava una statua, quasi omologata a quelle che affollavano il suo rifugio.
«Sono Yeshua, la Custode di Leviathan», rispose con un sorrisetto furbo.
«Ho bisogno che accogliate una preghiera», mormorò con voce esitante. La Custode sembrava quasi penetrarle l’animo con quei suoi occhi di ghiaccio.
«Mi dispiace, ma non posso perpetrare la vostra richiesta, poiché poco tempo fa già un’altra è stata accolta dal Drago delle Acque». La sua affettazione, come poco prima, stonava terribilmente.
«Ma ci dev’essere un modo! », esclamò Rinoa, iniziando a perdere le staffe. Doveva fare qualcosa per il suo amico, non poteva lasciarlo così ancora per tanto tempo.
«Quando i ruscelli saranno aridi e i fiumi si seccheranno, allora potrete tornare e potrò prendere in considerazione la vostra preghiera. Fino ad allora, non mi è possibile.»
“Quando i ruscelli saranno aridi e i fiumi si seccheranno? Ma che sono questi enigmi?”. Memore di quanto le aveva detto Squall, fece due conti: l’estate sarebbe giunta in capo a sei mesi. Proprio come le aveva detto il Comandante. Dannato… hai sempre ragione.
«Non si può proprio fare nulla?», chiese ancora speranzosa, il cuore che iniziava a martellarle nel petto.
«Come vi ho già detto, prenderò in considerazione la vostra preghiera quando…», ripeté con lo stesso tono fintamente accorato di prima. Era a dir poco snervante la totale artificiosità del suo comportamento. Non sembrava affatto una bambina, eppure doveva avere all’incirca otto anni.
«… i ruscelli saranno aridi e i fiumi si seccheranno, si ho capito», la interruppe Rinoa infastidita. Rimase in silenzio per alcuni istanti, poi ricevette l’illuminazione.
«Fatemi vedere dov’è Leviathan», disse con voce dura e decisa. La Custode sobbalzò leggermente, segno che quella sua maschera stava iniziando ad incrinarsi.
«Ciò non è possibile» Anche nella sua voce, le sembrò di notare un accenno di durezza.
«Bene, lo cercherò da sola», ribatté e, detto ciò, si diresse verso un punto imprecisato del tendone a grandi passi, per quanto potesse riuscire a fare grandi passi mentre era tutta impegnata ad evitare i cuscini giganti e altre soffici diavolerie sparse in giro. Riuscì a fare solo qualche passo che una mano la agguantò per il braccio, facendole venire la pelle d’oca. Era bagnata e… viscida come la pelle di un serpente. Rinoa cercò di ritrarsi, disgustata, ma la presa era ferrea, sorprendente per una bambina, ma comprese ben presto che anche quella doveva essere una facciata. Dalle sue dita partirono scariche di elettricità blu che la paralizzarono sul posto, incapace di muoversi o di dire alcunché per lunghi attimi.
«Lo sapevo! Sapevo che c’era qualcosa di malvagio in te!», esclamò orgogliosamente la Custode. Il dolore iniziò a scemare mentre lentamente riprese le sue capacità motorie.
«Cosa… cosa stai dicendo?», chiese incespicando nelle parole, ancora stordita dalla scarica, abbandonando ogni formalità.
«Guardati, Strega!», sputò fuori la bambina indicandole lo specchio.
Rinoa rimase impietrita. Uno dei suoi occhi era dorato, lo stesso dorato delle Streghe malvage che avevano affrontato e sconfitto mentre sul viso le si andavano delineando gli stessi tatuaggi maledetti, già visti, già battuti. Rimase per un tempo indefinito a guardare quei cambiamenti che si facevano sempre più evidenti man mano che passava il tempo. Una manciata di secondi? Pochi minuti? Non seppe definirlo, ma quando infine si scostò provò ribrezzo per se stessa.
 
"Wecos"
 
Rinoa cacciò un urlo nell’udire quella voce terribile invaderle la mente, scompigliandole i pensieri. Le sembrò di impazzire mentre affondava le unghia nel capo.
«Devo… trovare Leviathan… Devo…», mormorò in stato totalmente confusionario.
«Non uscirai viva di qui, Strega!», le urlò la Custode con occhi spiritati illuminati di una luce inquietante. Stese un braccio verso di lei sussurrando: «Gravity!»
Immediatamente la ragazza si sentì attrarre dal suolo e venne schiacciata contro la superficie del tappeto. Cercò di muoversi, ma fu tutto inutile.
«Lasciami andare!»
«Questo posto lo lascerai solo da morta! Assaggerai la forza del Ruggito Oceanico! Vieni a me, Leviathan!», gridò la bambina, e quel grido non fece altro che sembrare ancora più agghiacciante del solito. La tenda tremò visibilmente e le innumerevoli statuine rovinarono al suolo con tonfi leggeri, attutite dai cuscini. Una luce blu si illuminò in un angolo della tenda, andando oltre lo spesso drappo che la ricopriva mentre raffiche di vento scossero la tenda, portandole alle narici l’odore salmastro del mare. Come diavolo è possibile? Il mare è lontano da qui! E’ tutto frutto della magia di Leviathan… Il drappo scivolò via dal suo supporto, rivelando un bellissimo drago di marmo bianco, intagliato con perfezione quasi maniacale. La luce blu proveniva dall’interno della statua. Con uno schianto terrificante, la pietra venne sbalzata via, rivelando le forme di un sinuoso drago azzurro che, con un ruggito terribile, si liberò definitivamente dalla sua prigione di pietra. Aveva grandi ali membranose che agitava con fierezza mentre delle spine ossee ai lati del capo gli conferivano un aspetto alquanto minaccioso. Ruggì ancora, ergendosi in tutta la sua possanza, guardandola con i suoi occhi grigi come la tempesta. Le scaglie sul suo corpo cambiavano colore ogni volta che venivano battute dalla luce e Rinoa ne rimase così estasiata che rimase a guardarlo a lungo, fino a quando non aprì le sue fauci, rivelandole una chiostra di denti affilati come rasoi. Quello fu il momento in cui si rese conto che c’era qualcosa di incredibilmente inquietante nel modo in cui la bellezza di un G.F. era in grado di ammaliarti a tal punto da dimenticare di difenderti.
Era ancora bloccata a terra con la guancia premuta contro la stoffa del tappeto e si era fatta distrarre. Cercò di divincolarsi dalla presa gravitazionale della Custode, ma, come prima, non ottenne risultati. L’acqua la travolse prima di riuscire a formulare un pensiero coerente, iniziando a riempire la stanza ad una velocità spaventosa. Ben presto si ritrovò boccheggiante, schiacciata al suolo contro la sua volontà. Trattenne quel poco fiato che le era rimasto sentendo i suoi polmoni bruciare per mancanza di ossigeno, ma si trattenne dal respirare.
Oddio, sto morendo… Sto annegando, maledizione!
Si trattenne ancora per qualche altro secondo, poi sentì l’acqua entrarle nel naso e nella bocca, invadendole i polmoni. Involontariamente continuò a respirare acqua, mentre sentiva il suo corpo reclamare aria, aria! Altri fiotti le penetrarono le vie respiratorie, soffocandola.
Leviathan! Leviathan aiutami!
Ma il drago non rispose al suo richiamo. Lentamente si sentì scivolare nell’incoscienza, annegando sotto la forza di Leviathan.
“E’ stato allora che ho pregato la Custode di rompere il Sigillo di Leviathan”
“C’è altro che dovrei sapere?”
“No.”
“No.”
“No.”
 
"Vinosec"
 
“NO!”
Con un ringhio, Rinoa constatò che riusciva a muoversi. Si alzò immediatamente, tossendo e sputando acqua, mentre l’aria – fresca, dolce aria! – le invadeva i polmoni dolorosamente, ma non le importò. Inspirò grandi boccate di ossigeno, nonostante le ferisse il petto in modo a dir poco atroce, felice di non essere annegata, felice di essere VIVA!
«Non è possibile… come hai fatto a liberarti dal controllo della mia magia?!>>, le sbraitò contro la Custode visibilmente sorpresa e sconvolta dalla piega che avevano preso gli eventi.
Rinoa non le rispose, ma si limitò a incrociare lo sguardo di Leviathan. Tempesta e oro si incontrarono e danzarono pericolosamente, poi la ragazza gli si avvicinò con passi tremanti, posandogli una mano sul muso.
Esaudisci la mia preghiera, Leviathan. Guarisci il mio amico.
Il drago sembrò annientarla per lunghi istanti con la sola forza del suo sguardo, poi si lanciò contro di lei. Rinoa chiuse gli occhi attendendo un impatto che non giunse mai. Il corpo di Leviathan si liquefaceva a contatto con il suo e lei sentì distintamente le sue membra trovare nuova energia, mentre il drago si avvolgeva in morbide spire di acqua intorno al suo braccio, fino a solidificarsi in fredda agata blu. Attorno all’arto, un serpente azzurro con le fauci spalancate si attorcigliava sinuosamente fino al suo dito medio.
“Avrai la mia forza, Strega. Ma sappi che avrà un prezzo”. La voce del drago le risuonò nella mente e, in essa, Rinoa riuscì a percepire tutta l’atavica forza del G.F., l’energia e il vigore del mare tutte condensate in un’unica frase.
“Pagherò qualsiasi prezzo sarà necessario pagare”
“Questo sarà il primo, giovane Strega”
Rinoa cadde al suolo reggendosi il petto, laddove il cuore batteva furiosamente, sentendo il respiro venirle meno. Gemette e chiuse gli occhi e per un secondo interminabile il dolore fu così insopportabile che credette di impazzire.
Poi lentamente dischiuse le palpebre sotto lo sguardo terrorizzato della Custode.
Due occhi dorati si rivelarono al mondo.



Eccomi tornata miei cari lettori, chiedo umilmente perdono per l'eeeeenorme ritardo di aggiornamento, ma, purtroppo, ero in forte periodo di esami! Però spero di essermi fatta perdonare con un capitolo più lungo del solito ^^ Avevo pensato di suddividerlo in due capitoli più piccoli, ma molte - troppe! - cose sarebbero rimaste in sospeso, quindi, detto questo, vi lascio, alla prossima! <3
p.s. vorrei ringraziare particolarmente i miei cari lettori che hanno inserito la mia storia nelle seguite o nei preferiti ** Vi adoro, davvero ** e anche quei lettori silenziosi che, nonostante non dicano nulla, mi fanno comprendere che mi seguono, a loro modo... :D Gradirei tanto sapere la vostra opinione, quindi... Sotto con i commenti!! :D

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Capitolo 5
*** Blasfeme carezze ***


Blasfeme carezze
 


Quando sentì un dolore lancinante alle gambe, Zell pensò di stare sognando. Dolore… meraviglioso, delizioso dolore! Da quanto non percepiva qualsiasi cosa…? Non riusciva neppure a ricordare, oramai, cosa significasse sentire dolore alle gambe. E adesso, invece, lo percepiva con ogni fibra del suo essere, quasi che tutta la sofferenza, che i suoi arti insensibili non avevano più provato da mesi, giungesse di colpo. Sembrava che i 10.000 aghi di Kyactus gli si stessero conficcando nella pelle, ma non era triste.
Lacrime gli solcavano le guance, brillando come pallide perle, ma un sorriso di pura gioia gli illuminava il viso mentre si tastava le gambe un tempo inerti.
Avrebbe camminato. Avrebbe camminato davvero! E anche Selphie sarebbe potuta tornare!
Cacciò un urlo di assoluta contentezza e immediatamente cercò di alzarsi dal letto al quale la dottoressa Kadowaki lo aveva confinato, ma non riuscì a reggersi in piedi dopo tutto il tempo in cui era stato costretto all’immobilità. Come prevedibile, cadde lungo disteso sul freddo pavimento della sua stanza in Infermeria, tuttavia rise, ebbro di felicità, ubriaco di vita.
Sarebbe potuta essere una scena decisamente idilliaca, tipica di qualche romanzetto al femminile, se non ci fosse stata una inaspettata e alquanto insolita scossa di…

«terremoto?!», esclamò Zell sentendo il pavimento tremare sotto di lui. Puntellandosi con i gomiti pavimento, tentò di mettersi in posizione seduta, ma un particolare apparentemente insignificante gli fece gelare il sangue nelle vene. La sua mano si trovava in una pozza d’acqua che proveniva da sotto la porta e che non faceva altro che allargarsi mano a mano che passava il tempo. Anzi, altro che pozza, qua si stava allagando la stanza!
«Ma che diavolo sta succedendo?!»
 
»2 ore prima«
 
Bip.
“Adesso basta con questo lazzaretto. Prima Zell, poi Rinoa, ora anche io!”
Bip.
“Artemisia… Credevo l’avessimo sconfitta per sempre e invece…”
Bip.
“E fate tacere questo dannato suono!”
Quando Squall rinvenne, il sole era ormai calato sul Garden e la bianca luce artificiale della lampada illuminava la stanza dell’Infermeria nella quale si trovava. Buttò i piedi oltre il bordo del letto portandosi una mano alla testa nel tentativo di ricordare l’accaduto, ma i pensieri sembravano sfuggirgli tanto più cercava di concentrarsi.
Bip.
Con uno scatto rabbioso, Squall si strappò di dosso gli elettrodi che lo collegavano alla macchina che rilevava le pulsazioni del suo cuore.
Beeeeeeeeeee…

«Ora basta!», esclamò adirato, cercando con lo sguardo il suo Gunblade per fare a pezzi quel dannato aggeggio.
«Signor Leonheart!», fece la dottoressa Kadowaki entrando precipitosamente nell’infermeria con occhi sbarrati. «Torni immediatamente a letto, lei non si è ancora ripreso!»
Squall la ignorò completamente, alzandosi con una smorfia di dolore. Ogni singolo muscolo del corpo gli doleva da impazzire. «Dov’è Rinoa?»
«Non si sa, ancora.»
La risposta lapidaria e priva di contenuti lo convinse ancor di più ad alzarsi dal letto. Trovò il suo Gunblade sotto il letto in un tentativo, forse, da parte della dottoressa di nasconderglielo.
«Se dovesse vederla mandi qualcuno ad avvisarmi», disse frettolosamente ed uscì dalla stanza non badando alle proteste che avanzava la donna circa il carattere terribile del Comandante. L’infermeria sembrava essere diventata un vero e proprio ospedale: lamenti di dolore e pianti si udivano alti nell’aria provenienti da numerose donne e uomini; studenti e membri del corpo insegnanti erano stesi sulle barelle, chi con ustioni, chi con svariati tagli su tutto il corpo, tutti affidati alle cure della dottoressa e ad un paio di volontarie dall’aria sperduta. Corse per il corridoio, ma si fermò dopo pochi passi guardando con occhi sgranati lo spettacolo che gli si parava dinnanzi: studenti in preda al panico correvano per i corridoi, ignorando bellamente gli ordini impartiti dagli insegnanti mentre una colonna di fuoco e fumo si innalzava al centro del piano. I SeeD più anziani avevano formato una catena umana armata di secchi nel tentativo di estinguere le fiamme, ma era tutto inutile: senza nessuna magia di acqua non era possibile contrastare quel fuoco. Squall ebbe la certezza che questa fosse stata opera di Rinoa e ciò lo spinse a riaversi dallo sconcerto. Subito, iniziò a chiedere a tutti coloro che incontrava – e che riusciva a fermare – se avessero visto la sua ragazza, ma tutti scuotevano la testa. Urla altissime si levarono quando l’ascensore cedette con uno schianto, precipitando al piano inferiore con una pioggia di detriti proprio nelle vicinanze. Squall si coprì gli occhi con una mano per evitare il polverone che si innalzò dopo l’incidente.
«Rinoa!», gridò, lo sguardo che la cercava in preda alla disperazione.
«Squall!», si sentì chiamare e subito si girò, il cuore gonfio di speranza. Le spalle si abbassarono dalla delusione quando vide Quistis avvicinarglisi trafelata. Aveva i capelli arruffati in testa e numerose ciocche le sfuggivano dallo chignon.
«Abbiamo perso i contatti con il secondo piano poco prima dello schianto dell’ascensore! C’era Cid sul ponte di comando!» spiegò concitatamente.
«Mi stai dicendo che Cid è disperso?!», replicò lui rabbioso riprendendo ad avanzare ancor più velocemente, se possibile, scrutando il luogo speranzoso di trovarla, ma allo stesso tempo di non ritrovarla, non sotto quel cumulo di macerie.
«Era insieme ad Edea e stava cercando di far fermare il Garden per evitare di schiantarci contro la montagna, ma qualcosa è andato storto e il generatore ha ceduto, interrompendo del tutto le già precarie comunicazioni con il secondo piano.»
«E i SeeD si sono fatti prendere dal panico per un incendio?!»
Quistis scosse il capo. «A quanto pare sembra che un drago stia cercando di distruggere una delle fiancate del Garden. Un’intera sezione è totalmente crollata…»
«Un drago?!», la interruppe sbigottito, fermandosi un istante per guardarla negli occhi. «E cosa aspettavi a dirmi che c’è un drago che sta demolendo mezzo Garden?!»
Quistis arrossì violentemente, schiarendosi la gola, ma Squall non aveva tempo per queste sceneggiate. Doveva trovare Rinoa e subito.
«Cerca di rimetterti in contatto con Cid e Edea, raduna un gruppo di quattro-cinque persone ed avvia una missione di recupero il prima possibile. Il piano potrebbe cedere da un momento all’altro, non c’è tempo da perdere», ordinò con fredda mente calcolatrice. Era subentrato il Comandante a Squall.
«Sissignore!» Quistis fece il saluto dei SeeD. «Ma dove stai andando?»
«A cercare Rinoa, ho già perso fin troppo tempo>>, replicò bruscamente facendo per voltarsi e andare via quando la mano della professoressa lo agguantò nuovamente. Era evidente che l’aveva ferita con quelle parole, ma non aveva tempo di preoccuparsi di lei in quel momento. Dietro di loro un palo cedette schiantandosi con una pioggia di scintille.
«Che c’è?»
«A proposito di Rinoa… Il drago… non era da solo.»
«Come sarebbe a dire che non era solo?». Squall aggrottò le sopracciglia, sbuffando per l’impazienza. «Quistis, parla chiaramente!»
«Sul suo dorso è stata vista una ragazza, la cui descrizione corrisponde a Rinoa, mentre lanciava degli incantesimi contro la struttura del Garden.»
Squall rimase impietrito per un attimo, le parole che gli riecheggiavano nella mente, ma si costrinse ad agire con fredda lucidità. Scostò la mano di Quistis e le fece un cenno di assenso col capo, per poi correre verso i dormitori. Era quasi arrivato quando, con uno schianto terribile, nella struttura a cupola sul lato nord si aprì uno squarcio e una pioggia di detriti e calcinacci gli piovve addosso, seguita da quello che sembrava essere un vero e proprio torrente d’acqua.
Acqua?! Rinoa, ma cosa diavolo stai facendo?”
«terremoto?!», esclamò Zell sentendo il pavimento tremare sotto di lui. Puntellandosi con i gomiti pavimento, tentò di mettersi in posizione seduta, ma un particolare apparentemente insignificante gli fece gelare il sangue nelle vene. La sua mano si trovava in una pozza d’acqua che proveniva da sotto la porta e che non faceva altro che allargarsi mano a mano che passava il tempo. Anzi, altro che pozza, qua si stava allagando la stanza!
«Ma che diavolo sta succedendo?!>>
Squall fece appena in tempo a scostarsi con una capriola prima che il cumulo di macerie lo colpisse in pieno. Si guardò attorno: le vie di accesso al dormitorio sembravano bloccate.
“Maledizione!”

«Kzzz… Qualcuno riesce a sentirmi? Kzzz…»
Squall cercò la fonte di quel suono tra le macerie. Sembrava una voce conosciuta, ma in qualche modo… filtrata elettronicamente.
« Aiut-…Kzzz… Sono…Kzzz… intrappola-…»
Sbarrò gli occhi riprendendo a cercare furiosamente. Oh, cielo, non dirmi che… Un sorriso trionfante gli illuminò il viso quando riuscì a trovare il walkie-talkie.
«Zell! Sei tu?!»
«Squall! Grazie al… Kzzz…». Il sollievo dell’amico era evidentissimo anche attraverso un walkie-talkie mezzo rotto.
«Zell, dove sei?»
«Sono nella… Kzzz… acqua… Kzzz…uscire!»
«Zell, ci sono interferenze, dove sei?». Lentamente iniziava a percepire il panico strisciare dentro di lui, ma lo ricacciò con rabbia.
«…Kzzz…camera… Kzz… Aiut-… Kzzzzzzzz…»Un suono metallico fortissimo gli fece quasi cadere l’aggeggio di mano.
«Zell?»
Nessuna risposta.
«Zell!», lo chiamò ancora, invano.
«Dannazione!», proruppe scaraventando il walkie-talkie contro le macerie per la frustrazione.
“Ok, ora calmati ed esamina la situazione.”
L’accesso ai dormitori, sia dall’ingresso principale che dal giardino era bloccato dai detriti. Forse avrebbe potuto rimuoverli se avesse avuto tempo, ma al momento non era una soluzione praticabile. Strinse l’elsa del Gunblade digrignando i denti, mentre camminava avanti e indietro con fare febbrile.
 

«Squall? Squall! Merda!!», esclamò Zell lasciando andare di scatto la presa dal walkie-talkie che aveva appena iniziato a mandare scintille e piccole scariche di elettricità. Cadde dritto in una pozza d’acqua, decretando la fine della propria triste esistenza con alcuni sbuffi di fumo grigiastro. Il ragazzo lanciò una lunga sequela di improperi mentre l’acqua iniziava a riempire la stanza.
«Uno: calmarsi.»
Al contrario di quanto auspicava, Zell si agitò, cercando di inspirare e di espirare profondamente, specie quando un getto d’acqua, proveniente da un buco nella parete, gli inondò il viso quasi beffandosi di lui.
«Aaaaah, ok, saltiamo la parte del calmarsi e cerchiamo di tappare questi buchi!!»
Con alcuni vestiti arrotolati e pezzi di metallo strisciò fino al muro e li infilò nella cavità premendo forte. Il flusso d’acqua si ridusse a un misero rivoletto innocuo.
«Ahah! Chi è forte adesso, eh?», disse agitando le mani per fare dei gestacci. L’acqua iniziò ad entrare più rapidamente da sotto la porta. Con una smorfia, Zell strappò altri vestiti e cercò di incastrarli per fermare il flusso d’acqua che ormai aveva raggiunto quasi il bacino, ma invano. Per quanti vestiti ci apponesse l’acqua continuava ad entrare, più lentamente rispetto a poco prima, ma non si arrestava. Zell cercò nuovamente di alzarsi dal pavimento, ma senza successo: le gambe non lo reggevano ancora. Non si era mai sentito così impotente! La finestra era lì, l’avrebbe potuta raggiungere facilmente con un salto, se avesse riavuto le proprie gambe, ed uscire dalla stanza, ma quelle dannate non avevano nessuna intenzione di sorreggerlo.
«…aspetta! Ma io posso raggiungerla!», esclamò trionfante, strappando via gli abiti che aveva usato per cercare di limitare l’ingresso dell’acqua nella stanza. A fiotti, questa riprese ad entrare. «L’acqua mi farà raggiungere la finestra e mi basterà buttarmici fuori!».
Con un sorriso incrociò le braccia al petto ed aspettò, non sapendo che, oltre la finestra dai vetri scuri, lo aspettava una montagna di macerie.

«Mi avevi promesso che non ci sarebbero state vittime al Garden!»
«Davvero? Non ricordo…», ribatté Rinoa con un sorrisetto maligno. «Chiamali danni collaterali allora, a me non importa.»
«A me si, invece! E non osare fare del male a Squall o giuro che ti…»
«…si? Tu cosa? Mi ucciderai?» Rinoa afferrò il collo della figura con uno scatto fulmineo sollevandola in aria apparentemente senza peso per poi scaraventarla sul pavimento. «Tu non sei in grado di fare niente, sei l’inutilità fatta persona, piccola stupida. Ora, scusami, ma ho un appuntamento col mio Cavaliere.» E detto ciò avanzò rapidamente nel corridoio, lasciando che le grandi ali nere sfiorassero i calcinacci con blasfeme carezze.
 

Squall aggirò i massi, pensando febbrile ad un modo per arrivare alla camera di Zell, imprecando quando l’ennesima pioggia di sassi colpì il posto dove si trovava esattamente un secondo prima.
La mensa! Forse riuscirò ad accedere al dormitorio passando per il cortile interno!
Senza perdere neppure più un attimo, corse via più veloce che poté. Il giovane, tuttavia, era totalmente ignaro che quella parte del Garden gli avrebbe riservato non poche sorprese.

 

«Tutti ai propri posti, presto!», gridò Quistis ad un gruppetto di Veterani. Sebbene non fosse ordinata come suo solito, Miss Perfettina conservava ancora la sua autorevolezza, infatti i soldati non se lo fecero ripetere due volte. Si erano disposti tutt’intorno all’ascensore crollato, cercando di ripararsi come meglio potevano dai crolli che continuavano a verificarsi in quel punto dopo l’incursione di Rinoa e del suo “drago”. Probabilmente stava cedendo qualche colonna portante, ma non avevano un secondo da perdere, specie perché sembrava che i due si fossero allontanati verso la zona dei dormitori. Dovevano assolutamente approfittare della situazione.
«Ricordatevi: recuperare e portare al sicuro il preside Cid è la nostra priorità ASSOLUTA! Attenti ai crolli e state allerta! La strega e il drago potrebbero tornare in ogni momento. E ora, andiamo!»
I soldati scattarono immediatamente in avanti, dividendosi in quattro gruppi: due gruppi cercavano di guadagnare l’accesso al secondo piano arrampicandosi lungo le pareti del primo con rampini e funi di acciaio, mentre gli altri due gruppi cercavano di scalare il cumulo di mattoni intorno all’ascensore crollato. Quistis li capeggiava ed era in prima linea per osservare e avvertirli nel caso avvistasse detriti in caduta libera dall’alto o per dare disposizioni di sorta. Alzò lo sguardo e vide una feritoia all’interno dell’ascensore dalla quale si intravedeva il secondo piano.
«Devo entrare là dentro», disse lapidaria, spostando un masso che cadde al suolo con un tonfo sordo. «Voi cercate di spostare i detriti alla base, o il preside non sarà in grado di uscire una volta recuperato. Alla base, non dall’interno dell’ascensore, o potreste farmi crollare tutto addosso!»
«Ma, professoressa, è troppo pericoloso! E se ci fosse un crollo mentre siete ancora dentro? Sareste in trappola!», protestò uno dei soldati, ma lei non gli badò e lo liquidò con un gesto infastidito della mano.
«Fate come vi ho detto», tagliò corto, e si infilò nella tromba dell’ascensore attraverso il piccolo pertugio appena creato in una delle pareti dello stesso.
Si era aspettata di sentire lo schianto dei sassi che cadevano e si infrangevano sul pavimento, le urla e i pianti delle persone e ogni altro rumore amplificato all’interno, invece tutto appariva molto più silenzioso ed ogni suono infinitamente lontano e ovattato, come se si fosse trovata sott’acqua. Lentamente, iniziò la sua scalata. A quanto pare si era sbagliata su tutta la  linea. Il percorso sembrava più agevole visto dall’esterno di quanto non lo fosse in realtà: i detriti avevano lasciato solo uno strettissimo passaggio attraverso cui riusciva a passare a stento, spingendo e facendo forza sulle braccia. Azzardò un’occhiata in basso: i suoi uomini stavano eseguendo gli ordini, sebbene procedessero con lentezza quasi esasperante. Riprese a strisciare nel condotto puntellandosi sui gomiti e graffiandosi i palmi delle mani, ma non se ne curò. Era a circa metà strada quando sentì un boato tremendo scuotere l’interno dell’ascensore. Alzò il capo e vide con orrore che le stava precipitando addosso una enorme pioggia di detriti.
"Oh, merda!"
Fece appena in tempo a prendere qualcosa dalla tasca della giacca che l’impatto la colpì in pieno. Quistis emise un rantolo soffocato per poi crollare esanime sulle rocce.

 
 ∞
 
Seifer agitò il Gunblade per incitare un gruppetto di studenti a non farsi prendere dal panico.
«Forza, mammolette, datevi da fare!!», sbraitò nuovamente al loro indirizzo, facendoli fuggire verso l’atrio. «Tsk, dilettanti.»
«Seifer!», sentì gridare alle sue spalle. Si voltò con sguardo interrogativo. Rajin stava correndo scompostamente nella sua direzione, accompagnato da Fujin.
«Che succede?»
«Mostri. Centro d’addestramento. Fuga», rispose Fujin con il suo solito modo di esprimersi per singole parole.
«I mostri del Centro d’Addestramento stanno fuggendo! Hanno trovato un’apertura e si stanno riversando nella Mensa!», spiegò senza fiato Rajin poggiandosi sulle ginocchia e ansimando pesantemente. Chissà da quant’è che lo stavano cercando.
«Dannazione, voi restate qui e impedite agli studenti di accedere al Centro, devo evitare che i mostri continuino ad uscire!», ringhiò loro e, senza neppure attendere una replica, scavalcò un cumulo di macerie ed entrò nel Centro.
Lì dentro il caos era, se possibile, decuplicato. La gente non riusciva a fuggire, bloccata com’era dai mostri scappati dalle gabbie e cercava di combattere come meglio poteva. I mostri, tuttavia, erano in numero soverchiante: i Grat si erano disposti tutt’intorno a piccoli gruppetti di studenti, accerchiandoli. Senza perdere altro tempo, Seifer prese la rincorsa e si gettò a capofitto sul primo gruppo di Grat. Ne abbatté due nell’atterraggio, facendoli contorcere al suolo come piantine appassite, per poi menare un paio di fendenti a quelli rimasti. In poco tempo, i corpi dei mostri giacquero al suolo privi di vita.

«Andate via, presto!», sbraitò, dato che gli studenti non si erano ancora mossi, paralizzati com’erano dalla paura. Subito si riscossero e corsero via il più rapidamente possibile.
Eccone altri, pensò vedendo alcuni ragazzi addormentati tra le piante e circondati dai Grat. Uno dopo l’altro stavano usando il loro Acido per non svegliarli, pregustando già un delizioso pasto a base di carne fresca.
Seifer ne uccise uno d’impatto, prendendolo alle spalle, ma non ebbe la stessa fortuna di prima. Immediatamente, le altre rimaste lo circondarono, colpendolo con gli stami. Riuscì a scansare i primi, tranciandoli di netto con la lama del Gunblade, ma gli altri gli si gettarono addosso facendogli perdere l’equilibrio. Una di queste colpì il Gunblade che si conficcò al suolo a svariati metri di distanza.
"Oh, merda!"
Fece appena in tempo a vedere lo sfavillio violaceo di uno dei Grat prima che un Morfeo lo addormentasse nel bel mezzo della battaglia.
 
 
«Seifer»
Quella voce…
«Seifer, svegliati»
Una carezza, leggera come una piuma, gli bruciò il viso.
Seifer aprì gli occhi. Una figura era china su di lui, vicinissima al suo volto.

«Rinoa?»


Perdonate il ritardo mostruoso, ma sono stata piena zeppa di esami ( e lo sono ancora tra l'altro xD ). Spero che vi piaccia il nuovo capitolo e se vedete degli errori non esitate a dirmeli dato che non l'ho riletto con attenzione per la fretta di pubblicarlo ^_* A presto!

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