L'era dei miracoli

di 365feelings
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il confine ***
Capitolo 2: *** Nessuno mai mi fermerà ***
Capitolo 3: *** La storia si ripete ***
Capitolo 4: *** Il giorno più spaventoso ***
Capitolo 5: *** Calcare ***
Capitolo 6: *** Grandi risate ***
Capitolo 7: *** L'età non è più un problema ***
Capitolo 8: *** Ambientarsi ***
Capitolo 9: *** Dieci, cento, mille ***
Capitolo 10: *** Zaheer ***



Capitolo 1
*** Il confine ***


Titolo: L’era dei miracoli
Personaggi: Aang
Rating: verde
Genere: flash fic
Avvertimenti: introspettivo
Note: (ennesima) raccolta, iniziata per quella genialata dell'Avatar Weekly Fest
. Vi consiglio di partecipare e di leggere le storie delle altre partecipanti, meritano. Quanto alla mia prima flash, lo so, è scontata; ma già avevo cestinato quella su Hiroshi e poi c'era Kuruccha che mi intimava di pubblicare, quindi, trovato finalmente il titolo per la raccolta non ho avuto altre alternative: beccatevi questa cosa su Aang (personaggio che amo - come tutti - ma che non so come gestire) e non uccidetemi.




 
 
01.
Il confine
 
Il confine tra giusto e sbagliato, pensa Aang, non gli è mai sembrato così labile e confuso – solo una linea tracciata sulla sabbia.
Giusto è lottare per ciò che si ama, liberare il mondo dalla tirannia, giusto è divertirsi ogni tanto con i propri amici; sbagliato è scappare dalle proprie responsabilità, sbagliato è litigare ed essere gelosi di Zuko. Istintivamente, Aang ha sempre saputo da quale parte della linea collocare le cose, gli eventi ma in mezzo, né bianco né nero, ora c’è la sconfitta del Signore del Fuoco: Ozai è zona grigia, è il vento che cancella quel labile confine, è il nemico che va sconfitto – ma come?
Perché nonostante il male che ha fatto, nonostante ciò che si meriterebbe, Aang lo sa, che la morte non risolve mai niente, che il sangue chiama altro sangue, che uccidere un uomo porta solo ad uccidere ancora. 

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Capitolo 2
*** Nessuno mai mi fermerà ***


Autrice: kuma_cla
Titolo: L’era dei miracoli
Personaggi: Pema
Rating: verde
Genere: one shot, missing moments
Avvertimenti: introspettivo, sentimentale
Note: eccoci al secondo appuntamento con l'Avatar Weekly Festival. Pema è un personaggio che apprezzo: sta sempre sullo sfondo, ma ha l'aria così simpatica! Mi sono maledetta da sola per il prompt sorteggiato, poiché era uno dei miei. L'avevo proposto pensando a personaggi impulsivi come Korra e Sokka, non certo Pema. Di lei non sappiamo molto, diciamo pure nulla; mi sono basata sulle informazioni di Avatar Wikia e ho avuto la folle idea di partire dalla sua infanzia. Voglio escludere che sia entrata nella comunità dei Nomadi solo per Tenzin (e se così sarà, beh, vuorrà dire che anche le fangirl vengono premiate alla fine - perché Pema fangirl di Tenzin è l'altra immagine che ho di lei), quindi l'ho resa fin da subito un'amante dei Dominatori dell'Aria. Una volta accolita, il suo amore per Tenzin cresce piano piano (niente colpi di fulmine in questa versione) e poi si sa come andrà a finire. Spero di non aver toppato alla grande; forse Pema è venuta fuori un po' OOC per quello che ne sappiamo, un po' troppo simile alle figlie. 






 
02. 
Dove sono io non lo so / Perché va tutto storto non so
Non è il mio posto questo qui / Là fuori il mondo mi aspetta sì
Combatterò e vincerò / E tutta l’anima ci metterò / Nessuno mai mi fermerà
(“Non mi avrai”, Spirit)

Pema ha sette anni e pensa che sarebbe bello vivere sulla cima delle montagne, così in alto da toccare il cielo. Sa che i Monaci dell'Aria ci vivono, in posti simili; lo sa perché glielo ha detto sua nonna e le sue storie, Pema ne è convinta, sono le più belle che abbia mai sentito (e per il momento tutto ciò che ha udito sono i racconti dei bambini del vicinato). Non si può che dire che abbia molta esperienza a riguardo, sua madre non gliene racconta e suo padre è sempre troppo stanco quando rincasa dal lavoro, però è certa che la nonna abbia un grande talento. E le sue preferite, quelle che l'anziana signora racconta meglio, sono proprio quelle che parlano di Dominatori dell'Aria e di Monaci dediti alla meditazione.
 
Pema ha tredici anni quando decide che vuole diventare un'Accolita dei Monaci dell'Aria. Sua madre non è contenta: pensa che sprecherà la sua vita in un tempio sperduto, a fissare il nulla e a curare le rovine di una cultura ormai morta. Non capisce perché sua figlia sia così intenzionata a seguire una strada che non la condurrà da nessuna parte; non è con la meditazione e l'altruismo che si porta a casa il pane. Ma Pema non ha orecchie per i discorsi della madre, non le interessano la ricchezza e la vita in società, non le importa se il suo letto sarà di soffice seta o ruvida paglia: le basta solo essere un po' più vicina al cielo.
E ha quindici anni, quando finalmente veste l'arancione; la stoffa cade morbida sul suo corpo minuto, ancora acerbo, ma lei si guarda allo specchio e si trova bellissima. Sua madre scuote il capo con disappunto e spera che cambierà idea; in fondo è ancora piccola e non bastano qualche frase profonda e dei modi composti per essere grandi. Non ha mai sperimentato l'amore, non è ancora donna, non ha ancora vissuto. Cambierà idea, sì.
La prima notte si sorprende a ridacchiare nel buio, pensando che sua madre si sbagliava: i letti, lì al tempio, sono comodi. Pema si addormenta sognando l’immensità del cielo e si vede volteggiare nell’aria; la terra è solo una macchia verde in lontananza e non c’è nulla che possa turbare la sua felicità.
 
Nelle storie di sua nonna, Aang era molto spesso il protagonista e Pema non avrebbe mai immaginato che un giorno lo avrebbe incontrato. In realtà, per quanto grande fosse il mondo, era un'eventualità piuttosto probabile, dal momento che lui era l'ultimo Dominatore dell'Aria e lei un'Accolita del suo culto.
Il giorno in cui lo vede per la prima volta, lei è intenta a spazzare le pietre del terrazzo con la stessa cura che mette nel preparare i pasti per le sue compagne; non le dispiacciono i lavori manuali ed è convinta che nei piccoli gesti come quelli, nelle attività quotidiane stia la grandezza delle persone - la capacità di prendersi cura degli altri.
Del bambino che sentiva parlare nelle storie di quando era piccola, non è rimasto che un certo luccichio nello sguardo attento; il resto è un uomo che ha vissuto abbastanza per capire cosa davvero sia importante.
Pema in fondo se lo aspettava, che l'Aang di oggi fosse diverso dall'Aang dei racconti di sua nonna; tra l'uno e l'altro sono passate tante cose, molti anni, dolori e gioie. E non è delusa, perché già sa - intuisce - che il tempo cambia ogni cosa.
 
L'Avatar diventa ben presto una presenza familiare: ha molte responsabilità e poco tempo, ma, quando può, passa a controllare la situazione al tempio. Allora è naturale vederlo meditare insieme ai nuovi Accoliti, chiedergli una mano con i secchi dell'acqua o sentirlo parlare di Republic City. Alcune volte si è presentato con la moglie e quando Pema ha visto Katara per la prima volta, è stata certa che anche lei avrebbe voluto un matrimonio come il loro. Non è, poi, stata molto sicura che la sua vita di ascetismo si potesse unire a una vita coniugale, ma non si è crucciata a lungo sul problema - a soli diciassette anni, Pema è la ragazza più gentile e tranquilla, serena e senza passioni, che non siano l'amore per quella cultura in declino, a turbarle l'animo.
 
Più volte, il tempio ha ospitato anche il secondo Dominatore dell'Aria che il mondo abbia mai visto dagli ultimi centocinquant'anni in avanti e anche lui ben presto è diventato consuetudine, volto amico e non leggenda.
Tenzin ha seguito le orme del padre con devozione e rispetto, prendendo sul serio (anche troppo, secondo i fratelli) la propria eredità e Pema in lui vede molto dell'Aang che passeggia nei giardini dei tempio.
Anche se non ha avuto modo di parlarci spesso (in fondo lei è solo una ragazzina), sente che Tenzin è una persona con cui andrebbe d'accordo, con cui potrebbe parlare del cielo - se solo staccasse gli occhi dal suolo.
Ed è così, con il presentimento di un'intesa, che Pema inizia a innamorarsi di lui, piano, senza fretta, con la stessa attenzione che mette in ogni cosa che fa.
 
Il suo mondo è diventato quel tempio; Pema non ha rimpianti e non desidera aver dato retta alla madre, è felice, lo può dire con certezza. Ma nelle lunghe assenze di Tenzin inizia a chiedersi cosa ci sia fuori da lì. Ha messo piede in quel luogo sacro a quindici anni, è stata una delle Accolite più giovani (e segretamente questo è un suo vanto, l'unico) e il suo percorso spirituale non è ancora concluso; i Monaci anziani la ritengono un elemento indispensabile per la comunità e lo stesso Aang, in un'occasione, ha dato prova di ricordarsi di lei.
Ora, però, le piacerebbe vedere ciò che vede Tenzin, le piacerebbe vederlo con lui - e nel pensarlo arrossisce.
 
Lin Bei Fong è un nome importante, un nome che sa contare molto per il figlio di Aang, un nome a cui per molto tempo non ha mai associato un volto - e forse era meglio così.
Lin ha fatto visita al tempio in due occasioni e Pema è certa che non le dimenticherà mai.
La prima volta che la vede pensa che se sorridesse sarebbe più bella.
Dalla madre ha ereditato gran parte di quello che è, ma è certa che non si sia lasciata sopraffare dal peso del proprio cognome, né che abbia deluso le aspettative della gente.
Un po' se lo aspettava, che Tenzin avrebbe scelto una compagna come lei - forte, determinata, con un'eredità in comune.
È austera e schietta, Lin, ha la durezza della terra; non la conosce, ma sa che è una bella persona - Tenzin non la avrebbe scelta altrimenti.
 
Ha diciannove anni, Pema, e a mala pena sa di essere innamorata, non ha conoscenza dei suoi sintomi e non ha idea di cosa sia la gelosia, quindi si convince che sia giusto così: Tenzin con Lin e lei con i suoi studi. L'importante è che lui sia felice, pensa con ingenuità, e questo le permette di continuare i suoi esercizi spirituali.
 
Quando le propongono di svolgere alcuni compiti fuori dal tempio, Pema accetta. Un po' perché le pare scortese rifiutare l'incarico, un po' perché è curiosa e un po' perché potrebbe incontrarlo - ma questo non lo ammette. Tenzin ormai non torna più al tempio da molti mesi, trattenuto a Republic City da affari di stato e di cuore; Pema lo capisce e c'è rassegnazione nella sua consapevolezza, quindi riempie la sua sacca soffocando sotto i vestiti e le pergamene il desiderio di vederlo.
 
Republic City è una città grandiosa, lo ha pensato quando l'ha vista per la prima volta da piccola (e ne serba il ricordo di vetro acciaio che si fondono insieme per creare qualcosa di stupefacente) e lo pensa ora che la rivede dopo anni. È il risultato della fatica e dell'impegno dei suoi abitanti, è quanto di meglio gli uomini possono creare: un luogo comune, una città per tutti. Non è così sprovveduta da non sapere che esistono problemi e difficoltà, ma Pema è una di quelle persone che vedono il lato buono di ogni cosa, che colgono la bellezza e la grandezza di ciò che hanno davanti.
 
Forse è stato un caso, forse lo ha cercato, ma alla fine si sono incontrati, lei e Tenzin. Lo ha trovato stanco, lo sguardo di chi sta soffrendo e cerca di non darlo a vedere, e non se lo aspettava. È il suo ruolo, che lo sta logorando, pensa, si illude; ed è quello che le dice anche lui quando si vedono e si parlano. Ma Pema, in cuor suo, sa.
 
Dopo il loro primo fortuito incontro in centro, chissà come, chissà perché finiscono con il vedersi più spesso di quanto non facessero quando ad avvicinarli c'era un tempio. Ed proprio come pensava, come aveva intuito: c'è sintonia, tra loro, c'è un legame si fa strada piano, tra saluti di cortesia e convenevoli.
È felice ed è triste, aspetta con ansia di parlargli e teme che lui si allontani, spera ritorni felice e perché questo accada deve lasciare Lin e lei si sente egoista e crudele. Non sa cosa le stia accadendo, ma sa che il suo turbamento non può, non deve durare a lungo. Basterebbe declinare i suoi inviti, non essere più disponibile, ma Pema proprio non c'è la fa e soffre, soffre perché non può stargli lontano e nemmeno vicina come vorrebbe.
 
Un giorno assiste per caso alla fine di un litigio tra Tenzin e Lin; passava davanti al municipio con la speranza di vederlo, ma senza volerlo finisce per sentirlo litigare.
Lin è furiosa e terribile e Tenzin per la prima volta, da che lo conosce, ha perso la calma.
All'improvviso Pema ha paura: non sa nulla della vita, non dovrebbe essere lì, i suoi sentimenti stanno offuscando la ragione e l'intera situazione è sbagliata. Ma poi Tenzin la vede e lei balbetta delle scuse, non sa nemmeno perché si stia scusando (per essere lì probabilmente) e l'uomo, dopo essersi calmato, fraintende (crede che lei pensi di essere il motivo del litigio). Ed è per via di un fraintendimento che alla fine Tenzin fa una cosa che non aveva mai fatto con nessuno: si confida.
Per il resto della giornata Pema ascolta la voce profonda del Dominatore, lo ascolta rivelarle le incertezze del suo rapporto con Lin, lo ascolta e basta, dimostrandosi ancora una volta più matura della sua età.
Quando finisce di parlare è ormai il tramonto e Pema è certa come non mai che sua lui l'uomo che amerà per sempre, quindi, ricordando le strofe di una canzone, prende la sua decisione - quella che ha sempre rimandato.
 
Soggiornare in una metropoli come Republic City ha risvegliato in lei un lato del suo carattere che la tranquillità e la sicurezza del tempio non avevano mai permesso di venire a galla; lì, tra le strade trafficate e le piazze gremite di gente, Pema ha scoperto di non essere solo una grande lavoratrice, tranquilla, come il padre, ma di aver ereditato anche la stessa praticità della madre e, in parte, la stessa parlata schietta.
 
«Non sei felice con lei, Lin non è quella giusta» le parole escono da sole, mentre nella mente risuona con insistenza il motivetto della canzone ("Combatterò e vincerò E tutta l’anima ci metterò Nessuno mai mi fermerà") «Io ti amo, non l'ho capito subito e all'inizio credevo di poter gestire questo sentimento, ma io ti amo, è questa la verità e non posso vederti trascorrere la vita con un'altra donna. Quindi scegli me».
 
È stato folle e molto stupido, se aveva acquistato punti con la sua aria tranquilla e matura molto probabilmente li ha persi; un'altra persona avrebbe riso, ma Tenzin è troppo educato, quindi ha taciuto.
La strofa è svanita dalla sua mente non appena ha chiuso la bocca ( “Combatterò e vincerò E…com’è che faceva?”) e con essa è sparito tutto il suo coraggio: all'improvviso si è sentita molto stupida e immatura, solo una ragazzina che gioca a fare la donna e dice cose che non sa. Non si era mai sentita così prima e nemmeno la vista del cielo che abbraccia il mare riesce a consolarla.
 
«Ho...sì, io ho lasciato Lin» le dice un po' di tempo dopo, impacciato e l'imbarazzo gli dona, lo ringiovanisce «Ci tenevo che lo sapessi da me, ecco».
 
Adesso Pema ha trentacinque anni e le racconta lei le favole.
E contro ogni aspettativa, la sua stessa vita (dopo un matrimonio, quattro figli, un Avatar e una rivoluzione) è una storia.

 

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Capitolo 3
*** La storia si ripete ***


Autrice: kuma_cla
Titolo: L’era dei miracoli
Personaggi: Amon/Noatak, Korra
Rating: verde
Genere: flash fic
Avvertimenti: introspettivo, malinconico
Note: terzo appuntamento con l’Avatar Weekly Fest. Il prompt usato è “La storia si ripete”. Mentre dai 500 themes spunto dalla lista: "135. Ci sarà sempre un mostro". Spero di non essere andata troppo fuori tema usando anche Korra, ma quando penso ad Amon di riflesso penso all’Avatar.





 

03.
La storia si ripete


C'è una lezione che Amon e Korra hanno imparato sulla propria pelle, su quel campo di battaglia che è la loro vita.
La storia si ripete.

Noatak lo ha intuito tra i ghiacci della sua terra, in una notte di luna piena, quando il dominio si fa più forte e il sangue ribolle nelle vene. E non è giusto, ha pensato.
A Korra è stato detto, insegnato, ripetuto - parole che si sono perse nel vento freddo e mescolate alla neve. Ma è ancora piccola, capirà - dovrà capire.

La storia si ripete.

Noatak ne è stato lucidamente consapevole nel momento esatto in cui ha calato la maschera sul suo volto ed è diventato Amon.
La storia si ripete, pensa, ma per un'ultima volta.

Korra lo ha imparato con la forza, nel mezzo della battaglia - più dei libri, su di lei ha sempre potuto la dura realtà.
Non è la prima guerra che mondo ha affrontato, non è la prima volta che qualcuno si è innalzato sopra gli altri imponendo la sua volontà. E poi, in ogni generazione, un Avatar.
Ora che tocca a lei, guarda la maschera di un uomo che è diventato la speranza più grande e il terrore più profondo della stessa città; guarda il simbolo del suo fallimento e ha paura. Perché nello sguardo di Amon coglie la scintilla di chi ha capito tutto, di chi ha trovato la soluzione.
La storia non si ripeterà più.
Il futuro assume le tinte di un mondo senza domini, di un mondo senza Avatar ed è terribile, è il sogno distorto di un uomo che ha rinnegato se stesso.


Ma alla fine la maschera si è crepata: Noatak, un sorriso ad increspare il vero volto, è tornato alla luce sotto un cielo azzurro e terso, in mezzo a un mare che non ha confini. Alle spalle, un fratello sacrificato per la sua causa e ora ritrovato.
Di Amon resta l'ideale, il progetto per un mondo migliore, la voglia di realizzare qualcosa di grande e di giusto. Di impossibile.

Quando la barca esplode, Noatak sta ancora sorridendo.
C'è una lezione che ha appreso ancora molti anni prima, che Amon si è illuso di poter cambiare, che senza volerlo ha insegnato a Korra.
La storia si ripete, sempre.
Anche se le armi sono state riposte e la rivolta sedata, tutto questo (la pace, la felicità, la convivenza) non durerà a lungo.
Amon infesta ancora i sogni del giovane Avatar, rende amare le sue veglie. I fantasmi del passato non se ne andranno mai - stanno lì, in attesa, aspettano un corpo in cui reincarnarsi. I fantasmi come Amon non verranno mai sconfitti - Korra lo apprende con un brivido lungo la schiena, è questa la lezione che Noatak le ha lasciato - perché ci sarà sempre un idealista o un mostro e ci sarà sempre un Avatar.

 

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Capitolo 4
*** Il giorno più spaventoso ***


Autrice: kuma_cla
Personaggi: Korra, Tonraq, Naga
Rating: verde
Genere: avventura (?)
Avvertimenti: flash fic, slice of life, head canon
Note: non ho mai partecipato a una caccia alle foche leone e non ho mai avuto modo di trovarmi su una lastra di ghiaccio, tuttavia in Balto accade una cosa simile e sì, lo so, è un cartone, ma sembra piuttosto realistico.
Dopo aver letto la storia di Tera per l’ottavo turno dell’Avatar Weekly Fest ho deciso di correggere il tiro, perché la sua è una commedia, mentre la mia era una cosa tristissima e deprimente. Quindi ho deciso di far affogare Naga, che tra tutte le cose tristi che avevo scritto beh, era la meno triste.




 
04.
Il giorno più spaventoso
 
 
Korra ha fatto meno rumore possibile, eppure lei e suo padre non sono neanche a venti metri dalle foche leone che queste, con un colpo di pinna, scompaiono nell’acqua.
La bambina fissa il punto in cui si trovavano con disappunto (tutta quella fatica per niente) e un po’ di tristezza (che avesse fatto qualcosa di sbagliato?); Tonraq lo nota e cerca di rincuorarla, ci saranno tantissime altre occasioni.
Poi lo sentono anche loro, quello che evidentemente le foche leone hanno avvertito in anticipo: alle loro spalle, a una decina di metri, il ghiaccio si rompe con un sibilo sordo.
Non ci sarebbe nulla di strano, lì accadono sempre cose simili ed è per questo che è pericoloso allontanarsi dal villaggio; anche il cacciatore più esperto non può dirsi mai sicuro di ciò che calpesta sotto la neve.
Ma Korra si accorge subito che qualcosa non va: per un istante, nell’aria fredda e silenziosa del Polo Sud, riecheggia il guaito spaventato di un cucciolo e poi più nulla. Il pensiero corre a Naga, a cui aveva promesso di accompagnarla alla caccia, ma che poi aveva dovuto lasciare a casa perché secondo suo padre era troppo pericoloso per lei.
Tonraq sembra avere lo stesso pensiero della figlia e cerca di fermarla, prima che faccia qualche pazzia, ma la mano inguantata afferra il nulla, perché Korra si è già messa a correre, dimentica di tutti gli insegnamenti.
È faticoso muoversi velocemente con tutti quei vestiti che sua madre le ha fatto indossare e non ha percorso neanche cinque metri che è sudata e ansimante, il ghiaccio che scricchiola pericolosamente sotto i suoi stivali, ma non si ferma. Ha davanti gli occhi l’immagine di un palla di pelo bianco che li segue a debita distanza: lei se n’era accorta e sotto la sciarpa aveva sorriso — perché l’occhio allenato di suo padre non lo aveva notato e tra sé e sé aveva perfino commentato che Naga non era addestrata, ma era comunque più brava di tanti altri cani. All’inizio, ogni tanto, si era girata a controllare che il suo cucciolo di polar bear dog ci fosse ancora (perché contro ogni previsione, a dispetto del chiasso che faceva al villaggio, era incredibilmente silenziosa lì tra la neve), poi, più si avvicinavano alle foche leone, se ne è dimenticata.
E ora, dal buco nel ghiaccio riesce a vedere un muso bianco che spunta, delle zampe dello stesso colore che annaspano per restare a galla.
Ha gli occhi che le pizzicano e inizia a gridare Naga a gran voce, sperando che questo le faccia capire che sta arrivando: il cucciolo guaisce più forte per qualche secondo, poi non si sentono più rumori.
Quando la raggiunge, un sottile strato di ghiaccio ha già iniziato a riformarsi, richiudendo la spaccatura: Korra chiama suo padre, piangendo.
Tonraq la raggiunge per un’altra strada, attento a non ripercorre il sentiero di sua figlia per non aggravare la situazione; sottili crepe si sono formate laddove la bambina è passata e altre se ne formeranno quando inizierà a rompere il ghiaccio con il giavellotto. Non c’è dubbio che la lastra su cui si trovano collasserà.
«Allontanati» le dice «Raggiungi quel cumulo di neve».
«No, io resto qui. Naga!»
Ma l’uomo le ripete l’ordine, perentorio e Korra non può far altro che ubbidire al padre e allontanarsi — ha già combinato abbastanza guai.
Neanche cinque minuti dopo (i cinque minuti più lunghi e terribili della sua vita), Naga riemerge dall’acqua e subito Tonraq si allontana dalla zona, mentre sinistri scricchiolii li levano alle sue spalle, anticipando il ghiaccio che si rompe un’altra volta.
«Via, via, via di qui» le grida e questa volta gli dà subito retta.
Quando suo padre la raggiunge, un braccio zuppo e il cucciolo mezzo annegato in mano, Korra lo abbraccia, sussurrando una cosa che suona come un «Ho avuto tanta paura». L’uomo sospira e pensa che ci sarà il pomeriggio per sgridarla e farle capire quanto è stato grave il suo comportamento irresponsabile (anche se un po’ crede l’abbia capito da sola); per il momento la stringe a sé e le porge Naga. Forse, regalarle un polar bear dog non è stata l’idea più geniale che gli sia venuta, non tanto per sua figlia, quanto per l’animale e tutto ciò che dovrà passare con la padroncina scalmanata che si ritrova.
Ma quando il cucciolo fiuta Korra, cerca subito la sua guancia per una leccata umida che porta via le lacrime.
«Dai, torniamo a casa, la caccia per oggi è finita».
Senza protestare, la bambina segue suo padre e non ha la minima intenzione di lasciar andare Naga.
«Ti bagnerai tutta e ti stancherai».
«Non importa» risponde «È il minimo che mi merito».
 
Accanto il fuoco, la sera, Korra tiene ancora in braccio Naga, ormai completamente asciutta e per nulla traumatizzata dall’avventura. Sua madre e suo padre le hanno fatto una bella ramanzina, decidendo che per un po’ non ci sarà nessuna caccia alle foche leone per lei.
Le emozioni della giornata hanno però la meglio e non ha nemmeno la forza di dispiacersi per la punizione; sarà per questo, forse, che è stata così buona e silenziosa mentre la sgridavano — ma non troppo, in effetti, perché sembra davvero che abbia imparato la lezione e sia dispiaciuta.
Non sono neanche le otto, ma il calore del fuoco e la stanchezza la fanno appisolare subito dopo cena, con Naga stretta al petto.
«È stato il giorno più spaventoso» bisbiglia a sé stessa o forse al cucciolo prima di addormentarsi.

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Capitolo 5
*** Calcare ***


Autrice: kuma_cla
Personaggio: Tahno
Rating: verde
Genere: malincinico, triste
Avvertimenti: flash fic, missing moments
Prompt: calcare, per gentile concessione di Kuruccha <3
Note: tralasciando che come ho visto il prompt ho pensato al verbo e non alla reazione chimica (o quello che è) come invece intendeva Kuruccha, il prompt mi ha ispirato l'ambientazione sofferente della storia. Era da un po' che volevo scrivere su Tahno dopo l'incontro con Amon e "calcare" inteso come verbo mi ha evocato l'immagine di lui sciupato (Tahno sciupato è canon) che si guarda allo specchio e rifiuta la realtà. Sì, non chiedetemi come funziona la mia mente, non lo so nemmeno io.
La cosa del bollitore temo sia da spiegare: tutto nasce dal fatto che quando faccio io il the, a mia madre non va bene perché lascio troppo a bollire l'acqua/lascio troppo il the in infusione/metto troppo poco zucchero. Ho pensato che Tahno abbia delle preferenze come mia madre, che come Watarbender sappia riconoscere da sé quando è il momento di staccare il fuoco per avere il the che gli piace, che senza dominio non riesca più nemmeno a fare una cosa così semplice (da qui anche la sfasatura tra il timer e il bollitore che fischia - ah, confermatemi che il bollitore fischi perché la santa donna di mia madre lo tiene solo per bellezza).
Tra l'altro questa atmosfera mi fa pensare all'altra mia storia, Radio rossa (panta rei), in cui è Korra a restare senza domini: è una situazione che mi ispira un sacco, soprattutto se vista come definitiva. Alla fine del Book 1 vediamo che Lin torna ad essere una Earthbender, quindi immagino lo stesso per Tahno. Ma chissà. Cioè, Korra si è messa a ridare i domini ad uno ad uno?
E ora la smetto perché sto diventando prolissa e i miei sproloqui non interessano a nessuno.




 
05.
Calcare


Tahno non riconosce il volto nello specchio.
Non si tratta di una rivelazione giunta all'improvviso, quanto piuttosto di una verità che ha appreso subito, quando per la prima volta dopo quello che è successo (lui non parla mai di Amon) si è alzato presto come tutte le mattine (è importante mantenere la routine) e si è visto allo specchio — diverso, mutato, senza dominio.
Anche adesso, a distanza di diciassette giorni (li ha contati, steso a letto, la notte, li ha contati), l'immagine riflessa gli appare estranea.
Quando l'acqua nel bollitore è pronta, dalla cucina arriva un fischio che lo ridesta, accompagnato poco dopo dal suono del timer; senza accorgersene, è rimasto chino sul lavandino a fissare il ragazzo nello specchio.
Il rumore che non cessa lo infastidisce: perché non la smette, ma soprattutto perché sta perforando il silenzio dell'appartamento? Poi sembra ricordare che ormai non è più un dominatore e che certe cose non le sente più — come la temperatura ideale dell'acqua per il the. All'inizio ha provato a fare come faceva di solito, ad aspettare, convinto che lo avrebbe capito da solo quando spegnere il fuoco, che avrebbe saputo riconoscere il momento in cui l'acqua è pronta. La prima volta ha atteso troppo, la seconda troppo poco; alla fine si è arreso e ha impostato il timer, ma non è la stessa cosa, suona sempre con qualche secondo di ritardo rispetto al fischio del bollitore e alla fine il the non ha più il sapore che aveva quando certe cose le sentiva sotto pelle.
Nonostante sia passato quasi un mese, Tahno non si è abituato a quella nuova quotidianità, ai nuovi rumori della sua casa e pensa non si abituerà mai.
Un conto è nascere senza; non puoi sentire la mancanza di ciò che non hai.
Un conto, invece, è basare un'intera vita sul tuo dominio — perché nessuno te lo potrà mai portare via, no? Ma lo specchio gli dice il contrario, gli mostra una realtà in cui non domina più l'acqua, in cui non la dominerà mai più.
Più guarda quel volto pallido, le labbra screpolate e le occhiaie, più si guarda, meno gli piace ciò che vede; di riflesso stringe la presa sulla ceramica del lavandino, quindi storna lo sguardo.
Il calcare ha iniziato a mangiare la superficie interna del lavabo; lo nota quasi per caso, con un certo fastidio — perché prima non sarebbe mai accaduto e adesso non sa cosa fare, come farlo, non ne ha nemmeno la voglia. Prima era tutto così semplice, prima era Tahno il dominatore dell'acqua, capitano dei White Falls WolfbatsPrima l'arena e il pro-bending erano la sua vita, insieme alle donne, alle feste, alle luci di Republic City. Adesso non resta niente, solo un'esistenza silenziosa (niente più applausi e flash dei fotografi), un futuro vuoto e un passato che non smetterà mai di ricordargli cos'ha perso. Ma non è stata colpa sua, non è stata colpa sua!
Dalla cucina continua a provenire il rumore del timer; è fastidioso, gli sta facendo venire il mal di testa. Lo va a spegnere.

 

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Capitolo 6
*** Grandi risate ***


Autrice: kuma_cla
Pairing: Sokka/Suki
Rating: arancione
Genere: uhm, commedia?, sentimentale
Avvertimenti: flash fic, missing moment
Prompt: grandi risate
Note: ambientata dopo la fine di ATLA, quando Suki con le altre Guerriere è la guardia del corpo di Zuko e Republic City è un progetto ancora da concretizzare.
Lo so, di grandi risate ce ne sono poche. Oltretutto è la prima volta che scrivi di Sokka >____<




06.
Grandi risate



Con Sokka si finisce sempre per ridere ed è uno degli aspetti di lui che più ama. Questa e l'energia che profonde in ogni cosa: dai suoi disegni, all'organizzazione di Republic City, ai giochi che inventa per Bumi.
E il modo in cui la bacia — ama il modo in cui la bacia, come se tutto il resto non importasse più, come se il mondo si fermasse solo per lei.

All'inizio, quando si dava arie da gran uomo di mondo e poi si scopriva che era al suo stesso livello, le risate erano soprattutto imbarazzate; lui era decisamente impacciato e timido nel momento in cui bisognava venire al sodo e non era che lei fosse poi meglio.
La prima volta che hanno provato a fare l'amore, se lo ricorda ancora bene (e non potrebbe mai dimenticarsene; se non l'ha raccontato a Katara è solo perché lei è Sokka sono fratelli), è finita con una tenda in fiamme, una prestazione imbarazzante e un gran dolore. Stesi a letto, su quello che è stato il loro campo di battaglia (quasi più periglioso dello scontro in cielo tra le navi del Signore del Fuoco), sono rimasti a fissare il soffitto con molto interesse. Poi Sokka ha iniziato a parlare, perché stare in silenzio non è da lui neanche in certe occasioni.
«Non è andata male» ha azzardato, probabilmente per non ferirla, perché se lui non si era rivelato così esperto, lei non poteva dire di essere stata più brava.
«No, affatto» gli ha risposto, mordendosi un labbro.
Poi si sono guardati: per un lungo istante hanno atteso che uno di loro dicesse qualcosa e alla fine sono scoppiati a ridere fino alle lacrime.
«Credo sia stata la peggior prima volta di tutta la storia» ammette lei senza troppi giri di parole «Non riuscivi a spogliarmi e poi sei inciampato».
Se non continua è solo perché le manca il fiato.
«Hey» la riprende «Mi hai tirato tante di quelle gomitate che mi resteranno i lividi».
«E le tue candele hanno dato fuoco alla tenda».
«Perché tu, con i tuoi movimenti leggiadri, le hai fatte cadere» le ricorda, la risata in gola «Possiamo sempre ritentare».
«Ma non adesso» gli risponde, terrorizzata, tirando il lenzuolo fin sopra la testa.

«A che pensi?» le chiede, disegnando arabeschi sul suo fianco nudo. Nonostante il lavoro e gli anni, Suki continua ad avere la stessa pelle morbida di quando l'ha accarezzata per la prima volta. Gli viene voglia di fare l'amore di nuovo, anche se quello è solo un ritaglio di tempo che si sono presi a forza, tra un impegno e l'altro, e lei tra poco dovrà rivestirsi per raggiungere le altre guerriere, mentre lui ha delle scartoffie noiosissime da firmare.
«A quando abbiamo perso la verginità» ammette candidamente, l'ombra di un sorriso nel ricordare quella notte.
«Ne ho fatta di strada da allora» commenta, baciandole la spalla e spostando la mano calda tra le gambe, accarezzandola «Ne abbiamo fatta».
Suki annuisce distrattamente, ricambiando un bacio che si interrompe per scendere sul collo e proseguire sul suo seno. Sotto il tocco dell'uomo, geme e inarca la schiena; ormai sa come muoversi — niente più gesti bruschi e gomitate, solo i loro corpi che sembrano nati per combaciare tra di loro. È un incastro di bocche e braccia, di gambe che si allacciano intorno la schiena dell'uomo, di mani che si perdono tra i capelli, mentre l'orgasmo arriva per entrambi e li lascia ansimanti tra le lenzuola sfatte di un letto che non è nemmeno il loro.
A distanza di anni stanno ancora fissando il soffitto, ma questa volta non c'è alcun imbarazzo, solo un piacevole torpore.
«Credi che Zuko sappia cosa facciamo?» 

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Capitolo 7
*** L'età non è più un problema ***


Autrice: kuma_cla
Pairing: Aang/Katara
Rating: forse arancione
Genere: sentimentale
Avvertimenti: one shot, het, missing moment
Prompt: l'età non è più un problema
Note: ho scritto la mia prima Kataang per il p0rn fest, devo ancora rendermene davvero conto, e con questa sono a quota quattro storie su Avatar partecipanti all'iniziativa, per un totale di ben otto fanfiction contando gli altri fandom: non avevo mai fillato e adesso chi mi ferma più, aiuto.
Non ricordo se Katara aprirà come Toph una scuola in cui insegnare il suo dominio; canon o non canon, comunque è una cosa citata nella storia di Tera/SunlitDays che vi consiglio di leggere (qui).
Spero di non aver stravolto i personaggi e di aver scritto qualcosa di passabile, come primo tentativo.
In ogni caso dedico la storia a Tera e a Kuruccha, amanti come me della coppia <3




07.
L'età non è più un problema


A diciotto anni, l'Avatar è finalmente alto quanto il Signore del Fuoco e ne è fiero. Aang ha sempre fatto punto d'onore colmare quella decina di centimetri che per diverso tempo lo hanno fatto sembrare più innocuo di quanto non fosse.
Pensa che Katara non sia a conoscenza di quella infantile sfida assolutamente a assenso unico, ma la giovane donna ha un luccichio divertito nello sguardo e gli angoli della bocca che faticano a restare abbassati. Neanche un'ora prima erano in visita al vecchio amico, per un'occasione ufficiale in cui certamente non ci si aspettava di vedere Aang impaziente di affiancare Zuko per mostrare a tutti quanto fosse cresciuto in quegli ultimi anni — sul volto un'espressione di puro compiacimento davvero poco consona alle circostanze.
Adesso che sono in camera, il dominatore sembra essersi calmato, anche se, affacciato in terrazzo, le sta raccontando con voce entusiasta di quel progetto su cui lui e Sokka hanno iniziato a lavorare e che quella sera finalmente esporrà anche a Zuko. Katara ascolta paziente, anche se quelle cose già le sa, perché le fa piacere vederlo così preso da qualcosa che lo rende felice, tuttavia un piccola parte di lei preferirebbe che il suo ragazzo la smettesse di parlare, la baciasse e magari la raggiungesse nel letto.
In realtà dovrebbero alloggiare in due stanze separate, in due zone differenti del Palazzo del Signore del Fuoco perché non sono sposati, lei è in età da marito, lui ormai è sufficientemente grande per poter scegliere una compagna e per gli aristocratici della Nazione del Fuoco sembra già abbastanza scandaloso che abbiano viaggiato per tutto il mondo quando erano solo dei ragazzini in groppa ad bisonte alato in assoluta e inammissibile promiscuità. Lei, inoltre, è arrivata con qualche giorno di anticipo e avrebbe dovuto essere sistemata nel padiglione femminile. Ma né Zuko e né Mai sembravano aver guardato alle formalità, non quella volta almeno, quando hanno accontentato la sua richiesta di assegnarle una stanza vicina a quella che stavano preparando per l'Avatar.
Aang la sta ancora mettendo al corrente dei suoi progetti quando si gira e la trova distesa sul letto; pensa che forse, in quelle ore che rimangono prima di cena, potrebbe fare altro piuttosto che parlare della città che a distanza di qualche anno diventerà Republic City. Come chiederle com'è andato il suo viaggio o come sta procedendo la sua scuola per dominatori dell'acqua. O, ancora meglio, raggiungerla tra le lenzuola. In assoluto, quella gli sembra l'idea migliore, soprattutto perché sono stati lontani per settimane e per tutto quel tempo distanti non ha fatto altro che pensare a lei.
Katara intuisce le sue intenzioni e gli sorride, soddisfatta della piega che sta assumendo il pomeriggio, e quando la bacia (non quel casto sfiorarsi di labbra che si sono concessi appena incontrati) si lascia sfuggire un sospirato «Finalmente».
«Mi sei mancata» le dice, guardandola negli occhi e facendola arrossire, non tanto per la frase in sé, quanto piuttosto per l'intensità. Per Aang esprimere a voce alta quello che prova (soprattutto se la riguarda) è sempre stato facile, mentre a lei ci è voluto più tempo e anche adesso non ha la sua stessa disinvoltura e naturalezza nell'ammettere che quelle settimane senza di lui sono state frustranti.
«Ti amo» continua e, senza darle il tempo di dire o fare nulla, la bacia ancora, accarezzandole i fianchi e cercandole la pelle calda.
I vestiti si fanno improvvisamente inutili e d'impaccio, un ostacolo di cui disfarsi al più presto e quando entrambi rimangono nudi, Katara non può fare a meno di pensare che, in fondo, è felice di quei centimetri di altezza conquistati dal ragazzo, che si sono accompagnati ad una muscolatura più robusta. Aang non ha più niente che ricordi un bambino, se non la risata che spesso e volentieri scoppia fragorosa e contagiosa e la facile tendenza ad entusiasmarsi per qualsiasi cosa. Ma la dominatrice è ancora più felice del fatto che l'età non abbia cancellato l'Aang di cui si è innamorata anni prima, quell'Aang che ha seguito per tutto il mondo e non certo solo perché era l'Avatar. È lieta nel constatare che le carezze che la fanno gemere e inarcare la schiena, non hanno cancellato l'Aang insicuro che l'ha amata per la prima volta. 
Entra in lei piano, sempre preoccupato di farle male, ma quando la sente allacciare le gambe alla sua schiena, inizia a muoversi, tornando a baciarla e ad assaggiare la sua pelle.
L'età ormai non è più un ostacolo, anche se, ripensando alla prima volta che l'ha vista e tutto quello che hanno affrontato insieme, forse non lo è mai stato.

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Capitolo 8
*** Ambientarsi ***


Autrice:kuma_cla 
Personaggi: Korra, Mako, Bolin, Tenzin&figli, Tahno, Asami, Tarrlock 
Rating: verde 
Genere: introspettivo, commedia
Avvertimenti: one shot, Camp Half Blood!AU
Note: URGONO SPIEGAZIONI
Sono in fissa con Percy Jackson, se non si fosse capito dagli ultimi aggiornamenti o da questa storia. Non ho potuto resistere e ho reso Korra una figlia di Poseidone (riprendendo il giuramento dei Tre Pezzi Grossi di non fare figli), Mako e Bolin figli Ermes, Asami di Efesto e Tahno di Nemesi. Tenzin ricopre il ruolo di Chirone, seppur adattato alla sua indole che nell’inizio ho voluto marcare, sperando di non essere andata troppo OOC, mentre Tarrlock di Mr. D.
Ho voluto mantenere il richiamo delle Tribù dell’Acqua alle popolazioni come gli Eschimesi, rendendo Senna una cittadina americana residente in Alaska. Ma da The Lost Hero sappiamo che quella regione è mortale per i semidei, da qui il suo dover star lontano da casa. Ho scelto poi le Hawaii perché mi piacciono e perché tutti, almeno una volta, hanno pensato che Korra sarebbe una bravissima surfista. Qui incontrano Katara, che ha accompagnato (e poi sposato) il semidio figlio di Eolo, Aang, nella sua impresa. Siccome Poseidone ha infranto il giuramento con Korra, Katara non è anche lei sua figlia, ma una sua discendente. Poi che altro? Chiunque abbia visto il film può comprendere la storia.
Volevo inserire anche Naga, in forma umanizzata, una sorta di Grover, diciamo, ma non è entrata nella trama: sarà per la prossima volta.
 
 
 
Collina Mezzosangue, Farm Road 3141, Long Island, New York 11954
 
Tenzin, quel Tenzin, figlio di Aang, sì proprio quell’Aang, ha preso la parola almeno venti minuti prima e da allora Korra sta facendo di tutto per non sbadigliare; sua madre le ha raccomandato di comportarsi educatamente e, sebbene Senna non sia presente per accertarsene, si sta davvero sforzando. Nemmeno lei vuole fare brutta figura il suo primo giorno al Campo, ma è bloccata su una sedia da quando ha messo piede lì e Tenzin, beh, non è come se lo aspettava. Suo padre è stato un grande eroe, l’ultimo da almeno cent’anni, e ha salvato il mondo che era solo un bambino: tutti lo conoscono, tutti vorrebbero diventare come Aang. Lei per prima vorrebbe una grande impresa e un team con cui affrontare i nemici: duelli all’ultimo sangue, gesta eroiche e il proprio nome scolpito nel tempo. Pensava che il figlio gli somigliasse, pensava che essere ricevuta da Tenzin in persona fosse un grande onore, che avrebbe potuto chiedergli qualcosa sulle avventure di suo padre, qualche dettaglio sconosciuto ai più, ma l’uomo non fa altro cha parlare e parlare da quando è arrivata ed è ormai certa che sia la persona più noiosa che abbia mai incontrato: persino Tarrlock, il direttore del Campo che siede davanti a lei, sembra stanco di tutto quel chiacchiericcio.
Tenzin le ha fatto un discorso sulle responsabilità e i rischi dell’essere un semidio, le ha illustrato la politica del Campo e ha iniziato a snocciolarle una lunga lista di divieti che Korra sa già non rispetterà. Forse è legato alla sua natura, ma non ha mai amato sentirsi dire che non può fare qualcosa, vedersi imposto dei limiti: l’acqua non accetta confini. Tarrlock la guarda come se la capisse e in questo momento poco importa se il suo sorriso un po’ la inquieta, sa di avere un alleato.
Quando Tenzin finalmente termina il discorso, Korra ringrazia gli Dei e si alza immediatamente: un minuto di più su quella sedia e sarebbe esplosa, al diavolo le buone maniere.
 
Le sue guide, al Campo, sono tre bambini che dal padre per fortuna hanno preso ben poco: Jinora le sta indicando l’Arena con aria professionale (deve aver preso sul serio il suo ruolo), mentre Ikki le sta dicendo il numero esatto di alberi presenti (un po’ inquietante). Meelo, beh, Meelo si sta scaccolando in assoluta tranquillità, per nulla toccato dalla situazione.
«E queste sono le Cabine» spiega la maggiore dei figli di Tenzin; per sua fortuna ha una voce pacata e flautata e non si dilunga in discorsi noiosi «Una per ogni divinità dell’Olimpo».
«Quella è la nostra, quella è la nostra, quella è la nostra» strilla con entusiasmo Ikki, indicando una struttura bianca con un drappo giallo su cui spicca il simbolo di Eolo.
«Questa, invece, è la tua» conclude Jinora, fermandosi dinnanzi una costruzione bassa, di pietra grigia incastonata di conchiglie; dall’interno si sente l’odore salmastro del mare e accanto l’ingresso ci sono dei vasi ricolmi d’acqua su cui galleggiano anemoni e altre piante fosforescenti che non ha mai visto.
Attraversando la zona su cui sorgono le Cabine, Korra ha notato che da tutte c’è un gran via vai di gente: un sacco di ragazzi di tutte le età che entrano ed escono salutando altri compagni e ridendo, tra le mani armature o pergamene. Ma le Cabine di Zeus, Era, Poseidone, Ade e Artemide sono avvolte nel silenzio. Per quanto riguarda la Regina degli Dei e la Dea Cacciatrice, la ragazza comprende il motivo dell’assenza dei suoi figli, una è la Dea del matrimonio e l’altra ha fatto voto di castità. Ma per le altre, si chiede perché non ci sia nessuno — le pare di ricordare qualcosa, ma non è sicura.
«Quindi questa è la mia nuova casa» inizia «E i miei compagni di stanza dove sono? I miei fratelli e le mie sorelle, intendo. Perché ci sono, vero? Insomma, non sono da sola».
«Non c’è assolutamente nessuno, zero semidei figli di Poseidone da molti anni» risponde Ikki, allungando la o di molti.
«I Tre Pezzi Grossi non fanno più figli» aggiunge Meelo.
«Nessun fratello e nessuna sorella, Korra, mi dispiace» interviene Jinora, più dolcemente «Ci sei solo tu, la Cabina è tutta tua. Il lato positivo è che puoi leggere fino a notte fonda senza che nessuno di chieda di spegnere la luce».
«Esatto, puoi fare a cuscinate fino al mattino!» si intromette il bambino, senza essere d’aiuto.
«Sì, sì, puoi fare tutto quello che vuoi» esclama Ikki saltellando «Ti prego, posso stare con te? Eh Jiniora, posso dormire con lei?»
«Lo sai che non si può cambiare Cabina» le risponde la sorella.
«Come non si può cambiare Cabina?!»
«Nostro padre non te lo ha detto?» chiede Jinora, sorpresa «Tra le regole del Campo…»
«Ehm, forse non sono stata troppo attenta su questo passaggio» ammette Korra, in imbarazzo, ma la bambina le rivolge uno sguardo che potrebbe suonare come “Lo so che papà a volte è un po’ noioso, ma è una brava persona” e le risponde che non c’è problema, quindi afferra per la collottola il fratello che cerca di mettere la testa nei vasi, prende per mano la sorella e la lascia alla sua nuova casa.
Korra entra nella Cabina con la stessa circospezione che userebbe nell’entrare nella grotta del nemico, ma dentro non c’è davvero nessuno.
Le muore un “Permesso” sulle labbra e si dà della stupida, non ci sono altri figli di Poseidone.
Si guarda intorno, registrando ogni dettaglio (dalle pareti scintillanti alle lenzuola di seta) e ambientandosi, quindi si sceglie un letto (pensa proprio che lo cambierà ogni notte) e si siede, la sacca con le sue cose sulle gambe.
«Sembra proprio che sarò da sola, ancora una volta».
 
Caccia alla Bandiera sembra essere il tipo di attività che fa per lei — se solo avesse dei compagni.
Korra, imitando i movimenti di alcuni ragazzi, indossa le protezioni sentendosi un po’ ridicola, ma quando prende dalla rastrelliera una spada e prova qualche fendente, scopre che i suoi movimenti non vengono limitati.
Si guarda intorno cercando il suo posto: gli altri semidei si stanno raggruppando in due grandi squadre, mentre lei se sta a bordo campo attendendo non sa nemmeno cosa.
Tra tanta gente, lo sguardo si sofferma su un ragazzo alto, con una sciarpa rossa attorno al collo e i capelli neri. È di spalle e sembra essere un leader, si comporta con grande calma e sicurezza e attorno a lui si sta formando un campanello di persone.
«Sei nuova? Non ti ho mai visto prima».
A parlare è un ragazzo robusto, dai grandi occhi verdi e l’aria affabile.
«Sì, sono arrivata stamattina e non ho idea di cosa fare» ammette, felice di parlare con qualcuno.
«Benvenuta al Campo Mezzo Sangue, allora! Io sono Bolin, figlio di Ermes. Puoi stare in gruppo con noi…»
«Korra» risponde con entusiasmo (che si stia facendo il primo amico?) «Figlia di Poseidone».
Il ragazzo sgrana gli occhi, quindi le chiede di ripetere.
«Hey, Mako!» chiama, rivolgendosi al semidio che aveva adocchiato prima e che ora li raggiunge.
«Cosa c’è Bolin? Un’altra delle tue fangirl?»
Se a prima vista Korra lo aveva trovato innanzi tutto carismatico e poi anche bello (molto molto troppo affascinante), adesso pensa che sia anche antipatico.
«No! Lei è Korra» gli risponde, come se questo spiegasse tutto; poi sussurra «La figlia di Poseidone».
Mako la guarda davvero adesso, registrando tutti quei dettagli che sembrava aver perso con la sua prima superficiale occhiata che la aveva innervosita: gli occhi azzurri, la pelle ambrata, gli abiti sui toni del blu sotto le protezioni. Cosa stia cercando, Korra non lo sa. Un po’ la mette a disagio, con i suoi bellissimi occhi, ma non è il momento di pensare a certe cose: petto in fuori e mani sui fianchi, si lascia esaminare con aria di sfida. Spero ti piaccia quello che vedi, pensa con una punta di acidità.
«Dovresti indossare la maglia del Campo» le dice semplicemente e continua, rivolgendosi a Bolin «Non so se sia una buona idea».
 
Korra si sente osservata e la cosa la innervosisce.
Che avete da guadare, vorrebbe dire, poi si ricorda che sta accanto a Tenzin, al centro esatto tra le due squadre, e che l’uomo la sta presentando come la figlia di Poseidone.
«Con noi» esclama Bolin non appena il maestro smette di parlare «Korra è in squadra con noi!»
Si levano delle obiezioni, volano insulti: sembra che anche l’altra metà del Campo la voglia, ma il ragazzo non demorde e insiste, fino a vincere.
Mako non sembra entusiasta, ma Korra decide che non le importa. Anzi, con un moto di irritazione, decide che contraddirlo sarà la sua attività preferita.
«Mentre tu» le dice (e ancora una volta si è persa un discorso – ma non è colpa sua, se la gente è talmente noiosa quando parla), indicando i figli di Tenzin «Stai con loro, nelle retrovie».
«Scusa?»
Non ha alcuna intenzione di restare nelle retrovie con dei bambini: lei è Korra, figlia di Poseidone, non una babysitter.
«Ho detto che resterai…»
«Ho capito cosa hai detto» lo interrompe «E non lo accetto».
Mako inarca un sopracciglio, l’espressione di chi non è abituato a sentirsi contraddire e che di certo non permetterà a una ragazza spuntata dal nulla di mettergli i piedi in testa.
«Non hai esperienza, non intendo mettere a rischio il successo».
«Cosa?!»
«Che succede qui?» si intromette Bolin, fiutando tempesta.
«Succede che tuo fratello» e dice fratello come se fosse un insulto «È il più grande idiota che abbia mai conosciuto» tralascia il fatto che non abbia avuto modo di conoscere molti idioti in vita sua «Vuole che stia nelle retrovie!»
Trovandosi tra due fuochi, il ragazzo si maledice per essersi messo in mezzo: i due si conoscono da quanto, una manciata di minuti?, e già desiderano farsi lo scalpo. Borbotta qualcosa di non troppo convincente sul quieto vivere e le opportunità da cogliere, discorsi che non sembrano calmare gli animi, anzi.
Bolin davvero ringrazia il segnale di inizio, che gli permette di svignarsela, seguito dal fratello.
«Tu resta qui» le intima Mako e prima di sparire tra gli alberi si rivolge ai figli di Tenzin «Tenetela d’occhio».
 
Il suo primo giorno al Campo si sta rivelando davvero entusiasmante, così tanto che se ne tornerebbe a casa subito. Ma non può e questo la rende ancora più di cattivo umore.
Le manca sua madre, le manca da morire.
Credeva che si sarebbe fatta finalmente degli amici (ha sempre desiderato avere degli amici: non è mai stata nello stesso posto abbastanza a lungo per poter stringere dei veri legami, fatta eccezione per Naga, ovvio) e che questo le avrebbe tenuto la mente occupata, invece riesce solo a pensare che sua madre adesso è sola a Honolulu (e a Mako, ovviamente).
L’ha lasciata perché la sua presenza metteva in pericolo anche lei: un semidio attira tutti i Mostri possibili e immaginabili, un semidio figlio di Poseidone è la peggior calamità in circolazione a quanto pare. È stata con lei più che ha potuto, combattuta tra il desiderio di esplorare il mondo e il senso di colpa per il pensiero di abbandonarla.
Poseidone, prima di lasciarla, ha avuto l’accortezza di avvisarla che l’Alaska, la terra natia di sua madre, è la morte per un semidio. Così Senna si è presa cura di lei da sola (fino a quando, alcuni anni prima, hanno trovato Katara, sì, quella Katara — o forse è stata lei a trovare loro, non lo sa bene), senza una famiglia alle spalle, lontana da casa. Ha fatto tutti i lavori possibili e immaginabili pur di assicurare alla figlia un tetto e del cibo; quanto all’istruzione, Korra si è sforzata di non farsi espellere da tutte le scuole a cui era stata iscritta e a prendere bei voti, senza alcun successo. Per diversi anni si è sentita una delusione: con tutte le difficoltà a cui doveva far fronte sua madre, una figlia dislessica e iperattiva non aiutava. Poi Katara è entrata nelle loro vite: è accaduto una decina di anni fa, Senna aveva annunciato che si sarebbero trasferite a Honolulu e una volta arrivate, ad aspettarle, c’era un’anziana signora dal sorriso gentile. All’epoca Korra già sapeva chi era (lo ha sempre saputo, sua madre non le ha mai mentito), ma del suo mondo sapeva ciò che Senna le poteva raccontare, cioè ben poco. Katara le ha ospitate e le ha aiutate, quindi è diventata la sua prima Maestra. Le manca molto anche lei e, al pensiero, si ricorda che ora si trova con i suoi nipoti.
Jinora si è portata un libro, mentre Ikki e Meelo dominano svogliatamente il loro elemento: Korra rimanda a più tardi i complimenti per quei trucchi (in vita sua ha conosciuto solo due semidee, se stessa e Katara) e si appresta a spiegare il suo geniale piano di rivolta contro il dispotico potere di Mako.
 
È caduta in una trappola, ovvio. Non poteva andare diversamente, ma non ha alcuna intenzione di ammetterlo, sebbene Mako la stia guardando a metà tra l’infuriato e il te lo avevo detto.
Tahno, giusto il tempo di batterli, ha scalato la classifica di gente che non sopporta e ha conquistato la vetta. Qualsiasi cosa dica, per il fatto stesso che è lui a dirla, la fa arrabbiare: se solo potesse, lo prenderebbe a pugni.
«Ti avevo detto di restare nelle retrovie» sibila Mako.
«Stacci tu nelle retrovie» ribatte.
«Hai lasciato la bandiera incustodita!»
«Sì beh, al momento mi è sembrata l’idea migliore».
«Le tue idee fanno schifo».
La sua nuova persona meno preferita (anche se Mako non scherza) ride e la sua è una risata fastidiosa, falsa.
«Non ho ancora fatto niente e voi già state litigando, siete davvero divertenti».
«Figlio di Nemesi, Dea della Discordia» spiega sbrigativamente Bolin, ricevendo, per avere parlato, un colpo non troppo gentile con il piatto di una spada.
«Sai Mako, ho sempre saputo di essere il migliore e che la vittoria sarebbe stata mia a prescindere. Certo, avere con voi la nuova arrivata vi dava un notevole vantaggio, o così sembrava. Sono così felice che il tuo stupido fratello abbia insistito per averla in squadra. Il pensiero che se fosse stata dalla mia parte, ora la mia bandiera sarebbe rimasta scoperta, beh, mi mette i brividi. Non li mette anche a te, Mako?»
Korra vorrebbe davvero poterlo gonfiare di botte come nessuno deve aver mai fatto: a questo tipo serve una lezione, pensa. Come si permette di parlare in quel modo? Di insultare Bolin e Mako? Li conosce da meno di mezz’ora e il secondo non le piace nemmeno un po’, ma Tahno le piace ancora meno.
«E tu, tu saresti davvero la figlia di Poseidone?»
Decisamente, merita una lezione, e Korra è intenzionata ad essere lei a dargliela.
Ancora qualche minuto e la squadra di Tahno raggiungerà la bandiera rossa che avrebbe dovuto proteggere, perderanno la sfida, Mako e Bolin la odieranno a vita e la sua permanenza al Campo sarà un supplizio che le farà desiderare la morte eroica in un’impresa.
Ora o mai più, pensa.
Quindi chiude gli occhi, c’è un ruscello a qualche metro da lei, lo sente, lo invoca, lo chiama a sé.
Il resto è un’onda che si abbatte su Tahno e i suoi compagni.
 
Tiene tra le mani un arrosto e un po’ le dispiace doverlo sacrificare, ma sono le regole.
Lo getta tra le fiamme ringraziando un padre che non ha mai conosciuto e che le ha creato più problemi che altro.
Quando siede al suo tavolo, si sente nuovamente sola, come se quel pomeriggio non avesse fatto vincere la sua squadra, diventando improvvisamente la più benvoluta del Campo.
Jinora, Ikki e Meelo occupano un tavolo con Tenzin, gli unici discendenti Eolo viventi e Korra si sente vicina a loro più di quanto pensasse; e anche un po’ in colpa per aver messo nei guai i tre bambini — i due fratelli più piccoli avevano accolto il suo piano con fin troppo entusiasmo.
Mako e Bolin, invece, siedono con i loro compagni: i figli di Ermes, insieme a quelli di Afrodite e Apollo sono i più numerosi. Ridono e parlano con i loro amici, mangiano con gusto, si divertono. Persino Mako pare più rilassato.
Al tavolo di Nemesi, Tahno sembra voler incenerire tutti e la cosa la fa sorridere.
Tra i figli di Efesto, invece, nota Asami, una bellissima ragazza che aveva visto più volte con Mako (no, non è gelosa, assolutamente no) e che credeva appartenesse alla Cabina di Afrodite.
Una volta finita la sua solitaria cena, Korra è pronta per affrontare la sua prima altrettanto solitaria notte al Campo. Decisamente, non è come se lo aspettava: farsi degli amici sembra essere più complicato di quanto pensasse. Ma è anche decisa a non arrendersi.
Immersa nei suoi pensieri, non si accorge nemmeno che Mako si è avvicinato.
Alla luce delle torce, le ombre che si allungano e giocano con i suoi lineamenti, le fiamme che si riflettono nel suo sguardo, il ragazzo è ancora più bello, ma Korra scaccia subito il pensiero.
«Ti devo delle scuse» le dice senza giri di parole.
Chissà quanto gli è costato ammetterlo, è così orgoglioso.
«Anch’io» gli risponde con la stessa sincerità «Immagino di aver desiderato troppo a lungo di far parte di qualcosa, di arrivare al Campo e avere un ruolo, mettermi in gioco, che ho perso di vista la realtà» continua, senza sapere perché lo sta dicendo proprio a lui «Sono l’ultima arrivata, non ho il diritto di fare quello che voglio, avrei dovuto ascoltare chi ha più esperienza».
«All’inizio non è mai facile, trovare il proprio posto, farsi degli amici, ambientarsi, ma non può che migliorare» la rassicura «Tutto sommato non è andata poi così male, ci hai fatti vincere».
«Oh, beh, sì» borbotta, senza davvero sapere che altro dire: non si aspettava che Mako le rispondesse.
Lo saluta, imbarazzata e fa per andarsene, quando lo sente aggiungere: «Se ti servisse qualsiasi cosa, io e Bolin siamo, beh, lo sai».
Korra lo ringrazia con un sorriso luminoso e una volta a letto, ripensandoci, può giurare di averlo visto arrossire prima si andarsene.
Un altro sorriso le increspa le labbra, mentre il sonno le ruba i sensi.
Domani devo chiedergli come posso dire a mamma che va tutto bene.

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Capitolo 9
*** Dieci, cento, mille ***


Autrice: kuma_cla
Titolo: L'era dei miracoli
Personaggi: Korra
Rating: verde
Genere: introspettivo, malinconico
Avvertimenti: flash fic
Prompt: non lo posso svelare, era una canzone comunque(festeggiate anche voi il compleanno dello Pseudopolis Yard)
Note: che cos'è questa cosa?! Era da un po' che rimuginavo sul finale del Book 2 e finalmente ci ho scritto qualcosa. Temo di essere andata un po' OOC, però è anche vero che nell'ultima puntata Korra appare molto più mogia, alla fine soprattutto. La voce o le voci che le sembra di sentire prima di addormentasi può essere l'eco di un legame che non può davvero essere spezzato o una suggestione nata dalla stanchezza che ha comunque il potere di tranquillizzarla.




Korra osserva la folla acclamare il suo nome e applaudire. Sei l'Avatar, lo sai tu cosa è meglio per noi, ci fidiamo, è questo che sembra dirle la moltitudine di persone riunitasi per ascoltare il suo discorso e che ora tende le mani per poterla anche solo sfiorare. Quante sono, dieci, cento, mille, ha perso il conto.
Vorrebbe poter rispondere che non sa cosa è meglio per lei, figuriamoci per il mondo intero, che ha sempre desiderato essere l'Avatar ma che è stato un fallimento in tutto quello che ha fatto, ma continua a sorridere e a ricambiare strette, cercando di non pensare al silenzio che in realtà avverte.
Non ci ha mai fatto caso, non ha mai saputo ascoltare, ma dentro di sé ha sempre avuto un coro di voci, un lieve brusio, una sensazione che non l'ha mai fatta sentire sola. E ora, anche sforzandosi, non avverte più nulla.
Stringe altre dieci, cento, mille mani.
Deve avere l'aria stanca, perché ad un certo punto suo padre le passa un braccio attorno alle spalle e quel gesto suona più forte di tutte le parole che potrebbe mai dire. Ora basta, devi riposare, andiamo a casa. Anche il Presidente sembra comprendere e la folla si ricorda che il suo Avatar è solo un'adolescente; piano piano si ritira e la lascia passare.

Stesa a letto, Korra ripensa alla giornata e poi agli avvenimenti delle ultime settimane; sono così tante cose per una ragazza di soli diciassette anni. Ma Aang non era forse più ben più giovane quando ha salvato il mondo? E lei, lo ha salvato il mondo o lo ha condannato? Si ritrova ancora una volta a vivere in mezzo a tanti se e si chiede se anche Aang abbia mai provato le stesse emozioni, avuto gli stessi dubbi; sono entrambi umani, no? Nemmeno un mese prima, grazie agli allenamenti con Tenzin, avrebbe potuto domandarglielo di persona. Adesso al suo richiamo risponde solo il vuoto di un legame spezzato.
Ora più che mai vorrebbe poter parlare con il suo predecessore o con una qualsiasi delle sue vite passate e confidarsi, liberarsi di tutti quei dubbi che la assillano. Così tanti interrogativi e nessuna risposta.
Si chiede se il destino abbia già scelto per lei, se gli errori compiuti li ha commessi perché è stata inesperta e immatura o se qualcuno prima o poi avrebbe dovuto sbagliare. Dovrà parlarne con qualcuno, forse Tenzin o magari Katara. Loro sapranno confortarla e guidarla.
Nel frattempo prova ad immaginare cosa le risponderebbe Aang ad un simile quesito e lentamente scivola nel sonno; ma poco prima di perdere i sensi le pare di sentire una voce (o forse dieci, cento, mille) dirle «Questa è un'ottima domanda».
Sì, davvero un'ottima domanda.

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Capitolo 10
*** Zaheer ***


Autrice: kuma_cla
Titolo: L'età dei miracoli
Personaggi: Zaheer, Korra, Loto Rosso
Rating: verde
Avvertimenti: flash fic, spoiler
Genere: angst, introspettivo
Note: ecco la seconda storia scritta per La settimana dell'Avatar, una sfida proposta da Alexiel Mihawk al mio team Avatar (di cui fa parte anche lei insieme a Kuruccha, Nocturnia e SunlitDays). LEGGETE LE SUE SOKKA/TOPH!
È evidente che non sono capace di trattare un villain di questa serie senza tirare in ballo Korra. Spero di non aver scritto una schifezza totale, è la prima volta che uso come protagonista Zaheer e devo ancora prenderci la mano.
Nel mio headcanon (perché mi pare che nel cartone non abbiano detto nulla a riguardo) Zaheer prima della convergenza aveva le stesse abilità di Ty Lee e dei Pacificatori. La scena del rapimento me la sono inventata; è Zaheer a trasportare Korra perché immagino che sia stato il Loto Rosso a creare un diversivo.



Ad ogni passo che compie lo scarpone sprofonda di almeno un metro nella neve e la strada è ancora lunga. Talmente lunga che sarebbe molto più facile liberarsi del fagotto che tiene sulle spalle e proseguire senza la bambina, tanto più che il Loto Bianco sarà già sulle loro tracce, tormenta di neve o meno. Ne vale davvero la pena? Mettere a repentaglio la sua vita, quella di P'Li?
Ad ogni passo che compie il vento ruggisce più forte e il fagotto si fa più pesante. È come se la sua stessa terra stesse cercando di proteggerla. 
Sei certo di potercela fare? Potrebbe essere tua figlia.
Ad ogni passo che compie, tuttavia, la tenda in cui lo aspettano i suoi compagni si fa più vicina. E quando finalmente la raggiunge, il vento ulula impetuoso e scuote la pelle di foca come se volesse strapparla da terra, ma ormai è dentro e la prima parte del piano è andata a buon fine.
«Adesso ce ne andiamo, vero?» chiede Ghazan e sotto la pelliccia non sembra nemmeno lui «Questo è un posto dimenticato dagli Spiriti, senza offesa Ming-Hua».
Zaheer annuisce, riprendendo fiato, e P'Li gli è accanto con una coperta; le mani della donna sulle sue spalle lo scaldano più di qualsiasi fuoco.
«È questo?» chiede Ming-Hua, allungando il collo per poter vedere chi — cosa — contiene il fagotto deposto a terra. Dalle pelli spunta il cappuccio blu di un parka e sotto un volto arrossato dal freddo e assopito. La bambina si è addormentata durante la fuga, dopo essersi dimenata e aver gridato come un'ossessa. L'ha dovuta prendere a sua madre e la giovane donna ha lottato, non è stato bello; ma non hanno strappato alle braccia di sua madre anche P'Li? Non deve essere stato bello nemmeno allora, eppure in quella notte di tanti anni fa nessuno è intervenuto, nessuno ha detto nulla.
È solo una bambina. Sei disposto ad andare fino in fondo?
«È l'Avatar» conferma senza emozione nella voce «Ora è il turno di Unalaq, spetta a lui portarci via di qui».

Korra lo guarda dritto negli occhi — rabbia, rancore, disperazione — e cerca di liberarsi dalle catene; arrendersi non é mai stata una possibilità. In questo la ammira.
Nemmeno lui si è mai arreso e ora è pronto a portare a termine ciò che ha iniziato tredici anni prima. Ci sono voluti tempo e sacrifici, ma questa volta non ci sarà alcun Loto Bianco, nessuno giungerà in tempo a salvarla. Questa volta l'Avatar cadrà.
Ha tutta la vita davanti a lei, sei davvero pronto a spezzarla?
Korra sarà un eco nella storia, nient'altro che un ricordo destinato a svanire; è questo l'ordine naturale delle cose, è così che deve andare.
È il sacrificio necessario.
«Ora! Distruggete l'Avatar!»

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