Project Paradox

di eugeal
(/viewuser.php?uid=15798)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dolce Attesa ***
Capitolo 2: *** Fattore R.E.D. ***



Capitolo 1
*** Dolce Attesa ***



1. Dolce Attesa

L'edificio era tutto bianco, candido e immacolato come la neve, ma della neve condivideva solo il colore.
Nei corridoi e nelle stanze luminose non c'era nulla della magia e della bellez­za che i fiocchi riescono a donare a ogni paesaggio dopo una nevicata, ma solo lo squallore freddo di un ambiente sterile ed essenziale.
In quel momento solo poche camere della struttura erano occupate dalle pa­zienti della clinica. In una di esse, una donna dal ventre rigonfio dormiva, rus­sando lievemente.
I suoi capelli erano corti, con un taglio quasi maschile, come se fossero stati accorciati in fretta senza prestare attenzione al lato estetico e attiravano lo sguardo per il colore insolito: un rosso scuro tendente al castano striato di ciocche più chiare che ricordavano il colore del sangue fresco.
La donna si svegliò dal suo sonno pesante nel sentire rumore di passi e aprì gli occhi appena in tempo per vedere gli infermieri che uscivano dalla stanza.
Girò appena la testa e notò che ora il letto accanto al suo era occupato da un'altra gestante.
La osservò: era giovane, ancora una ragazzina, quattordici o quindici anni al massimo e anche lei aveva i capelli del suo stesso colore. L'unica differenza era che quelli della ragazza erano lunghi e lisci e avevano un maggior numero di ciocche più chiare.
La ragazza dormiva e la donna decise di non svegliarla: avrebbero avuto tutto il tempo per parlare e comunque non aveva importanza.
Chiuse di nuovo gli occhi e tornò a dormire anche lei.
Furono i gemiti sommessi della ragazzina a svegliarla nuovamente e la donna grugnì di disappunto.
- Cosa hai da frignare, mocciosa? -
La giovane sussultò per la sorpresa e si voltò a guardarla con gli occhi atterriti di un colpevole colto in fallo, poi le sue gote avvamparono fino a diventare quasi dello stesso colore dei capelli e la ragazzina si morse un labbro per cer­care di trattenere inutilmente le lacrime.
- Ho... ho bagnato il letto. - Ammise a voce bassissima. - Avevo così tanto son­no che non me ne sono accorta e non mi sono svegliata in tempo. -
La donna più anziana scoppiò a ridere sguaiatamente e la ragazza la guardò, sorpresa e offesa da quella reazione allo stesso tempo.
- Cosa c'è da ridere? Erano anni che non mi succedeva, non sono una bambi­na! -
L'altra smise di ridere e la guardò negli occhi con una fissità che inquietò la giovane, poi indicò le lenzuola bagnate con un gesto noncurante.
- Fregatene, ragazzina. Sono cose che capitano. -
- Non a me. -
- Ascolta, piccoletta, sei incinta e già questo non aiuta, poi per trasferirti qui ti hanno sicuramente imbottita di tranquillanti, senza contare tutte le schifezze che ci danno per far procedere questo. - Si indicò il ventre prominente con un'espressione disgustata, poi proseguì. - Se davvero non ti era mai successo prima, sei stata fortunata. E ti dico un'altra cosa, farai meglio ad abituartici perché succederà ancora. -
- Spero di no. È così umiliante... -
- A loro piace umiliarci. Lo vedrai. Chiamerai l'infermiera per farti portare la padella e lei farà apposta ad aspettare, solo per il gusto di torturarti e farti stare male, poi se non riuscirai a resistere ti insulterà trattandoti da idiota. -
La ragazzina si morse un labbro.
- Ma noi siamo importanti per loro... - Sussurrò, scatenando un nuovo accesso di risate folli nella donna.
- Importanti! Noi! A loro servono solo le cose che portiamo nel ventre. Se po­tessero farle crescere in qualche macchinario, io e te saremmo andate a conci­mare la terra subito dopo essere nate, fidati. -
La ragazzina sospirò, muovendosi a disagio tra le lenzuola bagnate, poi sorri­se, allungando la mano non ammanettata alla sponda del letto a sfiorare la pancia.
- Cos'è quell'espressione ebete? - Chiese la donna più anziana.
- Mi ha dato un calcio. Sento che si muove. -
L'altra roteò gli occhi.
- Per te è la prima volta, eh? -
- Già. - Rispose l'altra, sorridendo ancora.
- Bene. Spero per te che nasca morto. -
La ragazza ansimò per la sorpresa e le rivolse uno sguardo atterrito.
- Cosa dici?! Sono i nostri figli! -
- Sono solo cose, non bambini. Nel migliore dei casi non sopravvivono alla na­scita e così si risparmiano questo schifo di vita. Buon per loro. -
Gli occhi della ragazzina si riempirono di lacrime.
- Come puoi pensarlo? Non lo senti muoversi dentro di te? Non hai mai l'impressione di condividere i sogni con lui? -
- Puoi sentire i sogni del feto? - Chiese la donna e, quando la ragazza annuì con un sorriso, scosse la testa tetramente. - Significa che quello che cresce nel tuo grembo ha qualche traccia di potere. Non è un buon segno. -
- Perché no? Sono sensazioni così dolci. Dorme dentro di me e io lo proteggo. È una bella sensazione. -
- Ascolta ragazza, prima lo capisci meglio è, da noi possono nascere solo tre cose: cadaverini, creature con tracce di potere come noi, e abomini. Spera che sia uno dei primi, ma prega che non sia il terzo. -
La ragazzina la fissò stolidamente.
- Il mio bambino è forte, sopravviverà, ne sono certa. E in ogni caso avrà una bella vita. -
La donna grugnì.
- Bella come la nostra? Siamo solo bestie da riproduzione, carina, fattene una ragione. Vuoi sapere come sarà la tua bella vita d'ora in poi? Una gravidanza dietro l'altra, tutte da passare incatenata a un letto mentre ti imbottiscono di farmaci perché queste cose nella maggior parte dei casi sono troppo deboli per nascere naturalmente, la natura stessa ne ha orrore e cerca di disfarsene. Se sei fortunata abortisci subito e allora, se sopravvivi all'emorragia, hai qual­che mese di riposo prima di ricominciare. Se sei tanto sfortunata da arrivare al termine della gravidanza, dovrai subire il dolore del parto e poi comunque non avrai tuo figlio, te lo strapperanno via in ogni caso e non lo vedrai mai più se non per caso in posti come questo. Chi lo sa, tu potresti essere una delle fi­glie che ho partorito in passato. Tanto a questo sono destinati quelli come noi. -
La giovane aveva iniziato a piangere di nuovo.
- Ma se avesse tutti i poteri, se fosse abbastanza forte da essere uno S.C.A.R.L.E.T.T., allora avrebbe una bella vita, no? -
- Piccoletta, se tuo figlio dovesse nascere coi capelli rossi degli S.C.A.R.L.E.T.T., la cosa migliore che potresti fare sarebbe quella di spezzargli il collo prima che possano prenderlo. Sarebbe un abominio, una strega, un fi­glio del demonio. Ucciderlo sarebbe il dono più grande che puoi fargli. -
- Non ci credo! Loro vogliono che nascano bambini dai capelli rossi! È questo lo scopo delle nostre gravidanze! -
La donna più anziana non rispose. La ragazza era un'illusa e non avrebbe cre­duto alle sue parole per niente al mondo, ma non importava, col passare degli anni avrebbe avuto tutto il tempo per rendersi pienamente conto della sua si­tuazione.
Per quell'epoca lei non sarebbe stata più in circolazione per vederlo, non si fa­ceva troppe illusioni sul destino riservato a quelle come lei una volta concluso il periodo fertile.
Pazienza, era talmente stanca di quella vita che la conclusione sarebbe arriva­ta sempre troppo tardi.
Sentì lo stimolo di urinare, ma non si scomodò nemmeno a suonare il campa­nello per chiamare l'infermiera, si limitò a rilassarsi e a inzuppare le lenzuola, sorridendo lievemente al pensiero del disturbo che avrebbe arrecato alle in­servienti.
La ragazzina continuava a fissarla a occhi sgranati, inorridita.

Il donnone dai capelli biondi camminava ciabattando lungo il corridoio, spin­gendo svogliatamente il carrello delle pulizie.
In quel periodo non c'erano molte pazienti in quel reparto perché la maggior parte delle fattrici aveva finito per perdere il feto prima del tempo. Dalle voci di corridoio che le erano giunte, tra l'altro pareva che nessuno di quei moccio­si fosse destinato a diventare uno S.C.A.R.L.E.T.T., erano tutti embrioni deboli e difettosi.
In un paio di casi erano state anche le fattrici a lasciarci le penne, ma alla don­na delle pulizie importava poco. Quelle donne gravide erano tutte poco più che bestie da allevamento e alla fine meno ne restavano nel reparto, meno doveva faticare lei per pulire le stanze.
Strascicò i piedi fino alla porta di una delle tre stanze ancora occupate e la aprì. Guardò la ragazzina che dormiva con le guance umide di lacrime e la donna più anziana che la fissava con uno sguardo di sfida, poi notò che en­trambe avevano sporcato il letto e sibilò una bestemmia.
- Stupide vacche... - Borbottò con disprezzo mentre tornava in corridoio per prendere la biancheria pulita dal carrello.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Fattore R.E.D. ***




2. Fattore R.E.D.

Il silenzio del corridoio era spezzato dalle grida laceranti di una donna, ma il suono di quelle urla non era sufficiente a far affrettare il passo dei due uomini.
Uno indossava un completo verde da sala operatoria e aveva i capelli coperti da una cuffietta di stoffa, mentre l'altro indossava un abito dal taglio elegante, come se fosse appena uscito da una riunione di affari e non avesse avuto il tempo di indossare qualcosa di più adatto a quel luogo.
- Quando è iniziato il travaglio? - Chiese quest'ultimo e, prima di rispondere, il medico controllò un dettaglio della cartella clinica sullo schermo del dispositi­vo che aveva in mano.
- Circa tredici ore fa, ma abbiamo aspettato a contattarvi finché la dilatazione non è aumentata. Queste cose possono andare per le lunghe, specialmente se è il primo parto. -
L'uomo annuì e controllò anche lui lo schermo del proprio dispositivo.
- Ah, è una delle nuove allora. Spero che stavolta i risultati siano migliori. -
- Stiamo facendo del nostro meglio perché lo siano, Supervisore. - Disse il me­dico, mascherando il disappunto dietro a una maschera di umiltà.
- Lo spero, perché perdere otto embrioni su dieci non è affatto un buon risulta­to. E voglio anche sperare che almeno uno dei due rimasti sia uno S.C.A.R.L.E.T.T. Continuiamo a investire fondi per la ricerca, ma non mi sem­bra che finora siamo stati ripagati. -
- Non è possibile prevedere prima della nascita se un embrione svilupperà il fattore R.E.D.. Come dice il nome stesso, Random ESP DNA, il fattore si presen­ta in modo apparentemente casuale. Con le nostre ricerche siamo riusciti ad aumentare le possibilità di ottenere un bambino con le doti di S.C.A.R.L.E.T.T., ma non possiamo avere garanzie di successo. Purtroppo le alterazioni geneti­che spesso finiscono per produrre embrioni deboli o malformati. -
- Dovete impegnarvi di più. Abbiamo solo undici S.C.A.R.L.E.T.T. e non sono sufficienti. -
- Stiamo studiando una terapia per accorciare i tempi tra una gravidanza e l'altra per le fattrici che subiscono un aborto. Se tutto andrà come previsto, potrebbero essere fecondate con successo già poche settimane dopo aver per­so il feto. Tra l'altro tende ad aumentare leggermente la sopravvivenza degli embrioni nelle gravidanze successive. Ci sono effetti collaterali piuttosto pe­santi però. -
- Effetti che possono compromettere l'embrione? -
- No, solo sulla salute delle madri. Nausee molto più forti del normale, dolore, perdita di tono muscolare, incontinenza... -
L'altro lo interruppe alzando una mano.
- Le fattrici non sono importanti. Se questa terapia può aumentare il numero delle gravidanze andate avanti. -
Parlando, i due uomini erano giunti davanti alla porta dalla quale provenivano le urla.
Un'infermiera si avvicinò con deferenza al Supervisore per porgergli un camice da indossare sopra gli abiti prima di entrare nella stanza.
- Come procede? - Chiese il dottore, varcando la porta che l'infermiera aveva tenuto aperta per lui.
Uno dei suoi assistenti indicò la ragazza stesa sul letto da parto con un gesto indifferente.
- Grida tanto, ma ancora non è pronta. Ci vorrà ancora un po'. -
Il medico guardò la partoriente con malcelato disprezzo: era giovane e forse anche graziosa, ma i suoi lineamenti erano contorti e disfatti dal dolore, il viso arrossato e chiazzato di lacrime e muco e i capelli incollati alla testa dal sudo­re.
Ogni tanto lanciava un grido straziante ed era chiaramente in preda al pa­nico, ma nessuno faceva il minimo sforzo per tranquillizzarla o consolarla.
Il medico si avvicinò per controllare la situazione e si trovò d'accordo con la stima del proprio assistente, mancava ancora un po' di tempo.
- A che punto è l'altra fattrice? - Chiese il Supervisore. - Se non ricordo male dovrebbe mancare poco anche per lei. -
Il medico annuì.
- Anche lei è quasi al termine. Se vuole posso mostrarvela, la sua stanza è in fondo al corridoio. Anche questa era in quella stanza, è stata spostata qui ap­pena è iniziato il travaglio. -
Il medico inviò i dati delle cartelle cliniche direttamente al dispositivo del Su­pervisore e quest'ultimo li lesse velocemente.
- Ah, l'altra ha già avuto parecchi parti, vedo. -
- Nessuno S.C.A.R.L.E.T.T. però. Solo altri potenziali riproduttori o aborti. Non so quante altre gravidanze potrà avere ancora, non è più giovane e il suo cor­po comincia a deteriorarsi. -
I due uomini si avviarono verso la porta, senza nemmeno accennare ad allun­gare una mano per aprirla, consapevoli che una delle infermiere lo avrebbe fatto per loro. Una di esse e uno degli assistenti si accodarono a loro, seguen­doli fino all'altra stanza.
Avvicinandosi alla camera dell'altra gestante, si udì un gemito soffocato, se­guito immediatamente dall'inconfondibile pianto di un neonato che si interrup­pe bruscamente dopo pochi secondi.
Il medico iniziò a correre e spalancò la porta, irrompendo nella stanza. In un solo istante colse l'insieme di ciò che stava succedendo: la donna amma­nettata al letto doveva essere entrata in travaglio qualche tempo prima, ma non aveva avvisato nessuno e aveva partorito da sola, soffocando i gemiti di dolore, poi aveva preso il cuscino con la mano libera e lo stava premendo sul neonato, con lo sguardo esaltato di una folle.
Il medico agì istantaneamente: corse verso il letto e spinse via la donna con violenza, facendola cadere a terra oltre la sponda. Il polso ammanettato si spezzò con un rumore secco, ma nemmeno allora la donna gridò.
- L'ho ucciso! - Disse concitatamente, la voce arrochita dal dolore. - Ho ucciso l'abominio e vi ho fregati! -
Poi scoppiò in una risata agghiacciante.
Il medico l'aveva ignorata, concentrandosi sul neonato: dopo aver gettato via il cuscino, aveva sollevato tra le mani il corpicino immobile nel tentativo di riani­marlo, concedendosi un sorriso nel capire che non era troppo tardi.
La madre non aveva avuto il tempo di soffocare il neonato e al medico furono sufficienti un paio di pacche sulla schiena per farlo riprendere.
La risata folle della donna si interruppe di colpo nel sentire i vagiti del neona­to e si trasformò in un accesso di urla isteriche intervallate da oscenità e mi­nacce.
Il Supervisore aveva assistito impassibile alla scena e fissò il proprio sguardo sulla donna che si dibatteva a terra, poi si rivolse al medico.
- Quante altre gravidanze potrebbe avere? -
- Non molte. Una o due, tre al massimo. Anche se tutto quel sangue mi fa pen­sare che l'utero potrebbe aver subito un danno... -
Il Supervisore annuì, poi infilò una mano sotto al camice per estrarre una pi­stola dalla tasca dell'abito, la puntò alla testa della donna e fece fuoco una sola volta.
L'infermiera e l'assistente sussultarono, mentre il medico era rimasto impassi­bile, ancora chino sul letto a prendersi cura del neonato.
- Una fattrice che cerca di uccidere il figlio avrebbe dovuto passare la prossi­ma gravidanza completamente immobilizzata. - Spiegò il medico, rivolgendosi all'assistente. - E sarebbe uno spreco di tempo e denaro. Una giovane può ri­pagare l'investimento, ma con questa non ne valeva la pena. E poi, - si inter­ruppe con un sorriso trionfante – sarebbe praticamente impossibile che la stessa madre possa avere due figli con il fattore R.E.D.! -
Il Supervisore mostrò un accenno di emozione per la prima volta da quando era arrivato.
- Vuol dire che il neonato è uno S.C.A.R.L.E.T.T.?! -
- Una S.C.A.R.L.E.T.T., è una femmina. -
Il medico gli porse la bambina avvolta in un asciugamano e il Supervisore poté constatare che i capelli della piccola erano di un inequivocabile rosso sangue.
La prese tra le braccia e sorrise.
- Bene. - Disse lentamente. - Benvenuta S.C.A.R.L.E.T.T. numero dodici. -
Un rumore di passi affrettati si avvicinò lungo il corridoio e un assistente ir­ruppe nella stanza, trafelato.
Il giovane spalancò gli occhi nel vedere il cadavere che giaceva sul pavimento in maniera scomposta, ma gli sguardi glaciali del medico e del Supervisore gli impedirono di fare domande.
- Cosa vuoi? - Gli chiese il dottore, bruscamente. - Chi ti ha autorizzato a veni­re qui? -
- Signore, il bambino sta nascendo! -
- Non sarà né il primo né l'ultimo, potete cavarvela benissimo da soli. La nuo­va S.C.A.R.L.E.T.T. ha la priorità. - Intervenne il Supervisore, fulminandolo con lo sguardo.
L'assistente fissò la bambina, incredulo.
- Ma signore, anche l'altro neonato ha i capelli rossi! Anche lui è uno S.C.A.R.L.E.T.T.! -

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2203491