Innocence

di ShinigamiGirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Sogni e Complicazioni ***
Capitolo 3: *** Tivresh ***
Capitolo 4: *** Fiamme ***
Capitolo 5: *** Ripensamenti e sofferenze ***
Capitolo 6: *** Decisioni ***
Capitolo 7: *** Elfi, mostri ***
Capitolo 8: *** Inizi ***
Capitolo 9: *** Ombre in azione ***
Capitolo 10: *** Imprevisti ***
Capitolo 11: *** Scappatoie ***
Capitolo 12: *** Udienza ***
Capitolo 13: *** Colpe e paure ***
Capitolo 14: *** Kento ***
Capitolo 15: *** Corsa ***
Capitolo 16: *** Ripresa dalla fuga ***
Capitolo 17: *** Piano B ***
Capitolo 18: *** Ritrovo ***
Capitolo 19: *** Svago ***
Capitolo 20: *** Ibilith ***
Capitolo 21: *** Vie oscurate ***
Capitolo 22: *** Bimba prodigio ***
Capitolo 23: *** Custode ***
Capitolo 24: *** Luna piena ***
Capitolo 25: *** Minacce ***
Capitolo 26: *** Leggende ***
Capitolo 27: *** Compleanno ***
Capitolo 28: *** Poteri e Pugnali ***
Capitolo 29: *** Rioncilio ***
Capitolo 30: *** Confronti ***
Capitolo 31: *** Dragone Ancestrale ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


La luna piena illuminava il cielo stellato, sopra ad Amelia, seduta alla riva del lago.
Guardandosi intorno con sguardo vacuo, la ragazza scorse due figure, che tenendosi per mano passeggiavano di fianco al lago, davanti al quale lei era abbandonata a se stessa.
Li riconobbe quasi subito, erano Kenny e Sifrina, i due promessi sposini che avevano messo in agitazione l’intero villaggio. Sifrina aspettava un bambino da due mesi, perciò avevano deciso di sposarsi il prima possibile.
Gli abitanti erano costantemente presi dai preparativi, e le vecchie comari del paese avevano fatto dei due ragazzi il principale argomento dei loro discorsi.
Amelia li osservò, mentre passeggiavano, mano nella mano, con espressioni serene e tranquille, finché non si inoltrarono nelle case più vicine al lago, sparendo dalla sua vista, lasciandola di nuovo sola con i suoi pensieri. Non avrebbe mai avuto la loro stessa felicità.
Pensandoci, avrebbe fatto meglio a tornare al villaggio anche lei, perché il sole era tramontato, ed era abbastanza lontana dalle case, se fosse stata assalita, nessuno l’avrebbe sentita urlare.
Eppure, nessuna paura attraversava le sue sensazioni, in quel momento provava solo una dolce malinconia e uno strano divertimento nel vedere intorno a se il buio e il silenzio. La notte l’aveva sempre tranquillizzata, anche se in fondo non se ne stupiva.
A causa dei suoi capelli rossi e le pupille bianche come la neve era sempre stata associata al male e al buio.
I suoi genitori la trattavano come una domestica, senza disprezzarla, ma neanche amandola. Ai loro occhi era una ragazza che contribuiva al sostentamento del’abitazione, nulla di più. Aveva un letto, in quella casa, e mangiava insieme ai due fratelli e la sorella minore, ma nessuno la apprezzava davvero, a parte la sorellina.
Lei, d’altro canto, non aveva mai preteso nulla dalla famiglia. Era quasi come se non esistesse, alla fine non era così terribile, la cosa le era pesante solo nel fatto che era sempre sola; non aveva mai giocato coi suoi coetanei e ora, che ormai aveva quindici anni, non si era mai innamorata. Se una vecchia donna del villaggio non si fosse presa la briga di spiegarle come nascessero i bambini, prima di riabbandonarla nella sua solitudine, un anno prima, non avrebbe neanche compreso i mutamenti del suo corpo.
Chiedendosi cosa fosse l’amore che provavano Kenny e Sifrina, Amelia lanciò un sasso nel lago. Il sassolino produsse vari flutti nell’acqua scura. Poi la ragazza si alzò per tornare a casa, sicura che al suo sedicesimo compleanno se ne sarebbe andata da quel villaggio. Mancavano solo due mesi. Camminò di fianco al nero specchio d’acqua, guardando con dolcezza la luna piena, bianca e lucente come i suoi occhi. Arrivò davanti alla prima casa del paese, che aveva pareti grigie e una porta di legno color verde smeraldo.
Aprendola venne investita da odore di polpettone. Kelly, sua sorella minore, stava da vari giorni tentando di cucinare qualcosa di buono. Dall’odore pareva che ci fosse riuscita. Lei era l’unica che voleva bene ad Amelia, sebbene la ragazza parlasse pochissimo e fosse emarginata da tutti gli altri.
Kelly si girò, al sentire i passi di Amelia, e appena la vide le sorrise: -Ce l’ho fatta, Amelia! Ce l’ho fatta! Ho cucinato il polpettone!
La ragazza sorrise. Era abituata a non parlare quasi mai, anche con la sorellina, che non ci badò e le corse incontro, dicendo: -Dormono tutti, ma io sono rimasta sveglia per fare da mangiare. Domani mamma e papà saranno orgogliosi di me!- la abbracciò, poi, staccandosi, con un’espressione preoccupata aggiunse: -Se ti va posso dire che mi hai aiutato, così saranno orgogliosi anche di te.
Amelia, continuando a sorridere, scosse la testa. La preoccupazione di Kelly le aveva sempre fatto piacere, anche se sapeva che non sarebbe mai riuscita a migliorare i rapporti tra lei e i suoi genitori.
La bambina disse: -D’accordo, in fondo dire bugie è sbagliato. Mi aiuti a apparecchiare per domani, prima di andare a letto?
La ragazza annuì. Insieme apparecchiarono la tavola, poi Amelia lavò i piatti e la sorella li asciugava, mettendoli nella credenza. Durante questi lavori domestici la bambina, che aveva da poco compiuto i dieci anni, le raccontò ininterrottamente della sua giornata, della scuola, di quello a cui aveva giocato con le sue amiche e del ragazzino undicenne di cui si era presa una cotta. Solo arrivata a quell’argomento chiese alla sorella: -Amelia, ma tu non sei innamorata di nessuno?
A quel punto la ragazza domandò, perplessa: -Ma Kelly, com’è essere innamorati?
La sorellina rise, e rispose: -Oh Amelia, dovresti essere tu a saperlo meglio di me!
Siccome la ragazza la guardava senza capire, Kelly disse: -Sai, quando sei innamorata, la persona per cui provi qualcosa è molto importante per te, ci tieni molto alla sua incolumità e vorresti stare sempre con lui, e desideri molto che anche lui ti ami e che ti protegga. Capito?
-Forse- rispose la sorella. Kelly le sorrise, vedendo che era ancora perplessa, e la rassicurò: -Capiterà anche a te, e allora capirai. Ma adesso consigliami! Cosa faccio per capire se anche io gli piaccio?
-Credo sia meglio andare a letto, ora.- disse Amelia, sorridendo. La sorellina sbuffò, e acconsentì. Andarono a mettersi la vestaglia, e si coricarono nella stanza che condividevano, non molto grande ma abbastanza da farci stare due letti e uno spazio di due metri quadri circa per muoversi nella camera.
Kelly si addormentò quasi subito, mentre Amelia ripensava al concetto di amore, che, a suo parere, non avrebbe mai trovato, a causa del suo aspetto. Mentre pensava a tutto ciò, afflitta, guardava fuori dalla finestra con tristezza. Da lì vedeva la sponda del lago e parte della foresta. Ad un tratto scorse una figura che usciva dalla foresta.
Spaventata si alzò e si avvicinò alla finestra, per guardare meglio chi fosse. L’individuo si avvicinò al lago. Aveva abiti scuri, era difficile notarlo sullo sfondo buio della notte, ma Amelia aveva sempre avuto una vista più acuta del normale.
Dalle proporzioni la ragazza capì che non poteva essere una donna, e mentre lo scrutava vide che si girò verso la casa. Iniziò a camminare verso l’abitazione e Amelia, presa dal panico, decise di uscire per fermarlo. Attraversò la stanza, in sala prese un coltello e senza riflettere si precipitò fuori.
Lo sconosciuto si faceva sempre più vicino, e la ragazza decise di andargli incontro. L’erba era bagnata e Amelia faceva fatica a non scivolare, a piedi nudi. Si fermò ad un centinaio di metri da casa, entrando nel campo visivo dell’individuo.
Com’era prevedibile lo sconosciuto la osservò, fermandosi qualche secondo. Poi continuò a camminare verso di lei. La ragazza era decisa a fermarlo, se non per i genitori, almeno per la sorellina, l’unica che le stava un po’ a cuore. La figura prese lentamente forma in un ragazzo, a cui Amelia avrebbe dato qualche anno in più di lei, che si fermò a una ventina di metri da lei, sorridendole.
La ragazza rabbrividì, inorridita. Aveva candidi canini come denti, i capelli avevano riflessi blu alla luna, mentre gli occhi erano profondi pozzi neri. Chiedendosi da quale angolo dell’inferno fosse uscito quel tizio, Amelia strinse convulsamente il manico del coltello.
-Non mi farai niente con quello, sai?- disse il ragazzo con inquietante serenità.
-Chi diavolo…?- provò a dire Amelia, ma lui la interruppe subito: -E’ da tanto che ti cerco. Sei sempre stata qui?
Lei rimase immobile. Cosa sapeva quel mostro di lei? Ma soprattutto che cosa voleva? Non ebbe il coraggio di chiederglielo. Semplicemente alzò il coltello verso di lui, gli occhi spalancati dal terrore.
Lui ridacchiò: -Non avere paura, non ho in programma di uccidere nessuno. Voglio solo sapere… Lo sai già?
Amelia lo fissò spaesata: -Cosa dovrei sapere?- sbottò.
Lui parve perplesso: -Quanti anni hai?
-Quindici, quasi sedici. Ma a te cosa importa?- chiese, prendendo coraggio -vuoi sapere l’età delle tue vittime?
-No, affatto- disse lui, ridendo -ma a quanto pare sono in anticipo. Ci rivedremo quando avrai compiuto i sedici anni.
-Te ne stai andando?- chiese lei, cercando di sembrare minacciosa.
-Sì, sì, ora me ne vado. Permettimi solo di salutarti.
Il ragazzo corse verso Amelia, che non fece in tempo a scansarsi e se lo ritrovò addosso. Lui la abbracciò e posò una mano sulla schiena della fanciulla. Fu come sentire fuoco che lacerava la schiena, la ragazza urlò di dolore, e si ribellò alla presa.
Lui la mollò, lasciandola cadere a terra stremata, e continuando a ridere si chinò, sussurrandole: -Ci rivediamo presto, Mhirael.
Lei lo vide correre via, lasciandola sola nella buia notte, sull’erba bagnata e sotto lo sguardo limpido della luna, nel silenzio più totale.





Spazio Autrice

Ciao!
Ho rivisitato questo capitolo perché era inguardabile, anche al confronto del secondo(che non ho cambiato) xD
E così conciato non rispecchiava la vera essenza della storia.
Spero di averlo migliorato… Fatemi sapere la vostra!
Sayonara;)

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Capitolo 2
*** Sogni e Complicazioni ***


 Amelia si svegliò, sentendo uccellini cinguettare sopra di lei. Era l’alba, nessuno nel villaggio era sveglio, ma ben presto la vita avrebbe popolato le case.
La ragazza si sforzò di capire perché e come fosse arrivata sull’erba, ma non ricordava. Poi le ritornò a mente il ragazzo, la conversazione, il dolore. Soprattutto il dolore. Inorridita si alzò e cercò di toccarsi la schiena, dove quell’essere sembrava averla ustionata. Eppure la sua veste era intatta. Amelia era confusa, ma era meglio tornare a casa prima che tutti si svegliassero.
Si alzò, chiedendosi se non fosse sonnambula.
Entrò nell’abitazione e attraversò la stanza ingiallita, che faceva da cucina e salotto. Quando arrivò in camera vide Kelly, che dormiva profondamente, sotto le coperte azzurre come il cielo. Si coricò pensierosa nel letto, pensando a quello che era successo. Era stato un sogno? In qualsiasi caso era palese che ai sedici anni se ne sarebbe dovuta andare, perché se fosse stato reale, l’avvertimento di quell’essere, avrebbe messo in pericolo gli abitanti; se invece fosse stato un sogno, indicava una premonizione, forte e chiara.
Dopo un po’ la madre entrò nella stanza, intimando Kelly ad alzarsi. La bambina scese dal letto, mentre la donna andava a svegliare i fratelli, e disse: -Amelia! Dobbiamo andare a far colazione.
A quel punto Amelia si tirò su con malagrazia, con le ciocche rosse sul viso, fingendo un sonno immenso, facendo ridere la sorellina e riuscendo a nascondere le preoccupazioni a proposito del “sogno”.
Andarono in cucina, dove i fratelli stavano già mangiando il pane con la marmellata.
-Maleducati! Non ci aspettate?- esclamò Kelly, scocciata ma anche divertita.
-Noi andiamo a lavorare, non a scuola come te, perciò facciamo come ci pare- le rispose Derek, il fratello più grande, ridendo di gusto.
Kelly gli fece la linguaccia, poi si sedette davanti a lui. Amelia automaticamente si accomodò davanti a Jay. La ragazza mangiò in silenzio la sua fetta di pane con la marmellata di fragole, mentre i fratelli chiacchieravano e si prendevano in giro.
Derek aveva ormai ventidue anni, era alto e slanciato, con gli occhi grigi ma stranamente affascinanti, lavorava insieme ai boscaioli dai diciotto anni, per procurare la legna.
Jay invece era alto come Amelia, (arrivava quindi al metro e sessantacinque) ma era molto muscoloso, inoltre aveva una folta chioma nera che gli copriva gli occhi e lo rendeva molto misterioso.
Amelia aveva cercato spesso, quando era ancora molto piccola, di giocare insieme a lui, anche perché avevano solo un anno di differenza, ma Jay era molto solitario. Infatti, il lavoro che si era procurato nella miniera non richiedeva molta comunicazione.
La loro madre, Alicya, entrò nel salotto con un secchio pieno di latte appena munto. Ne versò un goccio in ogni bicchiere, esibendo il solito, neutro sorriso ad Amelia.
La ragazza ci si era abituata, col tempo, e aveva imparato anche a sorriderle allo stesso modo.
Finita la colazione, i due ragazzi si alzarono, mettendosi le uniformi per andare a lavoro.
Alicya schioccò un bacio sulla guancia ad entrambi dicendo: -Buon lavoro, state attenti!
-Certo mamma!- risposero i due, come consuetudine.
-A stasera ragazzi!- strillò Kelly con allegria, mentre uscivano. Poi la bambina si voltò e chiese: -Amelia, mi aiuti a prepararmi?
La sorella annuì.
Si alzarono e andarono in camera, dove la ragazza la aiutò a vestirsi e preparare lo zaino. Amelia fece per togliersi la vestaglia e mettersi un vestito per accompagnare Kelly alla scuola, ma d’un tratto sentì la sorellina trattenere un urlo di spavento ed esclamare: -Co… cos’hai fatto lì??
La ragazza si voltò con un’espressione interrogativa, e vide Kelly con gli occhi spalancati che indicava verso la sua pancia. La bambina disse, scioccata: -Sulla schiena!
La sorella fu pervasa dal terrore. Ci mise poco a collegare la schiena al “sogno”. Andò al vecchio specchio nell’angolo e si guardò la schiena. Pian piano il suo volto mutò in una maschera di terrore. Al centro esatto del busto c’era una macchia rossa, tipica di un’ustione, perfettamente tonda, con i bordi confusi, non più grande del palmo di una mano.
Allora… Allora era successo davvero! Le sue gambe cedettero, e cadde a terra, portandosi le mani al viso. Non era possibile.
Kelly le corse incontro spaventata, strillando: -Amelia! Amelia! Stai bene? Cos’hai?
La ragazza ragionò in fretta. Non poteva metterla in pericolo raccontandole tutto, era inammissibile. Così si rialzò, con un’immensa forza di volontà, sorridendo pacificamente, e disse: -Non è nulla, mi ero fatta male, ieri, ma non credevo che mi fossi sfigurata la schiena a tal punto.
La sorellina la guardò negli occhi, scettica.
-Davvero- disse ancora Amelia -ora è meglio che tu finisca di prepararti.
Kelly era preoccupata, glielo si leggeva in faccia, ma Amelia riuscì a farle mettere le scarpe e, continuando a farle domande sugli argomenti più vari, la portò fino al grande edificio di legno spoglio al centro del paese, che si poteva definire come la scuola di quest’ultimo, dove una signora, molto anziana, assai rugosa e dall’aspetto altezzoso, insegnava ai bambini dai cinque ai quindici anni le basi di materie come la matematica e la scrittura.
La ragazza si ricordava molto bene di lei.
La prima volta che si era presentata nella sua classe, ai cinque anni, la signora Rosmarie (così si chiamava) le si era avvicinata dicendo in tono alquanto minaccioso: -Tu! Tu non puoi imparare nulla da me.
Da quell’episodio Amelia non si era mai più presentata alla scuola, invece rimaneva a casa ad aiutare nei lavori domestici.
Ed era quello che la attendeva a casa, dopo aver lasciato la sorellina. Kelly la salutò e corse con entusiasmo verso le sue amichette. Sembrava essersi dimenticata dello spiacevole episodio, a differenza di Amelia, alla quale continuava a tornare in mente, con ostinata e spaventosa frequenza.
I mestieri la tennero occupata per l’intera mattinata. Spazzò il pavimento, lavò i panni al fiume che nasceva dal lago e apparecchiò la tavola per quattro. Per lei, la madre, il padre e Jay.
Derek pranzava con i colleghi nel bosco, mentre Kelly stava alla mensa della scuola.
Il padre, infatti, lavorava alla miniera insieme al figlio, ma essendo Jay un suo sottoposto avevano orari diversi. Stephen andava al lavoro una mezz’ora prima del figlio, a quanto aveva capito Amelia, era per preparare il programma della giornata di ogni minatore.
Quando tutti furono seduti al tavolo la ragazza servì il polpettone di Kelly.
Mangiarono prevalentemente in silenzio, a parte qualche domanda sul procedimento dei lavori, da parte di Alicya.
A fine pasto, Amelia si sentì in dovere di dire: -Il polpettone l’ha fatto Kelly, stasera dovreste esprimerle la vostra gratitudine.
Non ricevette nessuna risposta, ma seppe che avevano recepito il messaggio.
La madre uscì per andare al raduno del cucito, e i due uomini tornarono presto alla miniera.
La fanciulla si ritrovò sola, lavò quindi i piatti, ma quando ebbe finito si ritrovò senza nulla da fare. In situazioni simili generalmente andava a nuotare nel lago, ma ora aveva il terrore di incontrare di nuovo quell’essere. Seduta sulla sedia si tormentava sull’interpretazione del discorso avuto col ragazzo.
Poi, però, non ce la fece più, si disse che era una stupida a credere che sarebbe tornato, in fondo mancava ancora un po’ al suo compleanno.
Uscì di casa, a piedi nudi, e corse lungo la costa del lago. Il sole splendeva nel cielo, era nel pieno della primavera, gli uccellini cantavano spensierati e svolazzavano sopra di lei.
L’erba le solleticava i piedi, quindi iniziò a correre nell’acqua, tenendosi sulla riva. Un paio di uccellini corsero per un pezzo insieme a lei, che iniziò a ridere di cuore, dimenticandosi della ferita alla schiena, dell’essere, della sua emarginazione e della sua intera vita.
Si godette la natura, senza pensieri, con serenità e allegria.
Arrivata abbastanza lontana dal villaggio si tolse il vestito e nuotò nell’acqua limpida.
Proprio nel culmine del pacifico pomeriggio, quando il sole alto nel cielo le scaldava perfettamente la pelle chiara, sentì dietro di se, tra i cespugli, una presenza.
D’istinto uscì dall’acqua e indossò l’abito, che le si incollò al corpo bagnato.
Che fosse l’essere…?
Cercando di non dare le spalle ai folti cespugli, senza dire una parola, indietreggiò lentamente, poi si girò di scatto per correre via, ma una mano le afferrò il braccio destro, arrestando la tentata fuga.
Amelia si girò, pronta a ribellarsi, ma rimase di stucco.
Era faccia a faccia con un ragazzo dai capelli rossi fuoco.

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Capitolo 3
*** Tivresh ***


 Amelia lo scrutava con odio.
Quel ragazzo avrà avuto sì e no la sua età, aveva ricci dall'aspetto morbido, di color rosso fuoco, e occhi di un marrone molto brillante, sul naso fine una spruzzata di lentiggini. Non era molto più alto di lei, ma era riuscito a legarla come un salame, nonostante avesse un fisico piuttosto asciutto.
-Dì qualcosa almeno! Cosa vuoi da me? Mi venderai come schiava?- urlò la ragazza. Aveva tentato di parlarci, un paio di volte, ma lui era rimasto serio, senza profferire parola.
E così fece, ancora una volta.
-Accidenti!- strillò Amelia, seccata -se non mi parli urlerò tutto il tragitto!
Il ragazzo, che fino a quel momento stava sistemando le corde nel suo zaino e riempiendo le borracce d’acqua, avanzò verso di lei e si piegò sulle ginocchia, in modo tale che fossero faccia a faccia. La osservò negli occhi e sussurrò: -Piantala di fingere.
Lei rimase di stucco: -Ma fingere cosa?!- esplose -mi hai legata come una criminale!
-Perché lo sei! Non fare la finta tonta. Tu e la tua gente avete rovinato tutto. E per cosa?
-Non so neanche di cosa diavolo stai parlando! Non ti ho mai visto in vita mia! Il mio villaggio non ha mai fatto niente di male!
-Cosa?!- disse lui alzando la voce -Mi stai dicendo che voi dannati elfi non avete fatto nulla, quando li ho visti distruggere tutto e tutti?! Avrò avuto solo quattro anni, ma ricordo bene.
-Io non sono un elfo! Sono nata così! Guardami le orecchie!- urlò Amelia di rimando, iniziando a piangere.
-Cosa c’entrano le orecchie?- chiese lui infuriato.
-Non le ho a punta!
Il ragazzo si bloccò. Poi, con più calma e il volto dubbioso disse: -Che hai… cos’hai detto?
-Io non ho le orecchie a punta! Perché credi che io sia un’elfa? Per i miei occhi completamente bianchi?- chiese lei singhiozzando. Era stufa di finire nei guai per i suoi stessi occhi.
Lui esitò. Poi disse: -Gli elfi da giovani non hanno orecchie a punta, lo diventano dopo il rito. Ma potresti aver detto così per depistarmi. Non mi lasci altra scelta.
Amelia lo vide andare a prendere lo zaino, abbastanza grande e malconcio, da dove estrasse un coltello. La ragazza, seppur terrorizzata, non fece a meno di ammirare l’arma.
La lama, color argento estremamente chiaro, curvava dalla punta al manico con terrificante eleganza e pareva poter tagliare qualsiasi cosa. L’impugnatura era color zaffiro, con varie decorazioni, varie spirali dalle tonalità azzurre.
Il ragazzo si avvicinò al suo braccio sinistro.
Amelia, riprendendosi dall’adorazione dell’arma, cercò di scansarsi. Aveva un brutto presentimento. Il suo istinto non mentiva mai.
Il giovane affondò il pugnale di due centimetri, nella spalla della ragazza, poi lo fece scendere lentamente, fino a estendere la ferita di una spanna. Amelia urlò di dolore, ma il ragazzo estrasse il pugnale solo quando fu arrivato appena sopra il gomito. Poi si scostò e la osservò.
Amelia era dolorante, si sentì estremamente umiliata, in quel momento desiderava solo mettergli le mani al collo, a quel presuntuoso, che si era permesso di ferirla così, senza motivo.
Il ragazzo si faceva sempre più serio, mano a mano che i minuti passavano, mentre lei tornava lucida.
-Allora? Ti piace torturarmi?- chiese al giovane, con un soffio di voce.
Lui aveva sul volto un’espressione stupita. Inaspettatamente, prese delle bende dallo zaino e iniziò a medicarla. Lei lo lasciò fare, stremata e rassegnata. Quando ebbe finito, prese di nuovo il pugnale, facendo iniziare a tremare Amelia.
-Basta! Basta! Mettilo giù!- lo supplicò, riprendendo a piangere. Ma lui non lo fece.
La ragazza chiuse gli occhi, ma non sentì dolore. Sentì le corde cadere, quando aprì gli occhi scoprì che l’aveva slegata.
-Scusami- disse il ragazzo -i tuoi occhi mi hanno ingannato. Credevo fossi una giovane elfa.
Amelia non rispose. Tentò di alzarsi, con fatica, e il giovane la aiutò.
Quando furono in piedi, l’uno di fronte all’altro, si guardarono negli occhi.
Lei lesse nel suo sguardo una profonda tristezza, ma anche dispiacere, mentre lui scrutava gli occhi bianchi come la neve della ragazza. I bordi dell’iride erano di un grigio chiaro, che permettevano di individuarla nonostante fosse tutto completamente bianco. Lei iniziò a guardarlo storto, perciò lui distolse lo sguardo e si allontanò da lei con un passo: -Scusami ancora.
Amelia sbuffò indispettita: -Almeno mi devi aiutare a tornare a casa. Come minimo.
Lui annuì in silenzio, e si caricò lo zaino sulle spalle. Prima di iniziare a camminare verso il villaggio, però, la ragazza prese il pugnale, dicendo: -Questo lo tengo io. Te lo ridarò quando siamo a casa.
Il ragazzo non rispose.
-A casa mia chi tace acconsente- mormorò Amelia, come avvertimento, ma il giovane non rispose ancora.
Iniziarono a costeggiare la riva del lago, diretti al villaggio. Il silenzio pesava, imbarazzo dalla parte del ragazzo e rabbia della fanciulla.
Amelia, però, voleva saperne di più, sul suo conto, perciò chiese: -Davvero gli elfi non hanno orecchie a punta?
Lui annuì: -Le punte si formano dopo il rito di iniziazione.
-Quale rito?- chiese lei.
-Ogni elfo ha un destino diverso, vengono consacrati a vari animali. Alcuni anche alle piante o agli elementi, come l’aria, l’acqua o il fuoco, ma sono rari. E’ più frequente vederne di consacrati agli animali. E allora l’elfo assume caratteristiche di quest’ultimo, ma sono capaci di nasconderle e tornare normali, tranne le orecchie, che rimangono sempre a punta.
Amelia era un po’ dubbiosa: -Come mai sai tutte queste cose, su di loro, se li odi tanto?
-Per dar loro meglio la caccia.
-Beh allora credo che tu debba fare molte più ricerche. Guarda come mi hai ridotta.
Lui parve imbarazzato, e la ragazza sospirò: -Comunque non importa, se riuscirò a usare ancora il braccio…
-Certo, è una ferita non molto profonda, guarirà presto- si affrettò a dire il ragazzo.
Lei ridacchiò tra se. Il suo imbarazzo la divertiva: -Come ti chiami?- chiese.
Lui esitò, poi disse: - Tivresh.
-Tivresh…?- ripeté la ragazza -Io sono Amelia.
Tivresh la guardò di sottecchi. Non credeva che gli avrebbe detto il suo nome, non a colui che l’aveva per così dire accoltellata.
Lei, invece, pensava ancora agli elfi, e chiese: -Per quale motivo mi hai ferita?
-Vedi, gli elfi hanno un certo tipo di sangue che, al contatto con l’aria, dopo un po’ diventa verde. Non ho ancora capito perché, ma è così.
-Siccome il mio è rimasto rosso mi hai lasciata andare, ma… Solitamente, ecco, cosa succede agli elfi che catturi?
-Li uccido seguendo un preciso procedimento.
-A quale fine?- chiese lei, sconvolta.
-Se permetti, questo non posso dirtelo- disse Tivresh, deciso.
Così la ragazza decise di lasciar perdere.
-Ti avverto, Tivresh- disse Amelia -ti toccherà spiegare cos’è successo, sono un’emarginata, non mi considerano, quindi dovrai arrangiarti, perché finché non guarisco sarai il mio braccio sinistro.
-D’accordo, ma quando sarai guarita me ne dovrò andare- accettò lui.
Arrivarono in vista del villaggio, e Amelia indicò casa sua. Tivresh avrebbe alloggiato nella soffitta, e l’avrebbe aiutata nei mestieri. Gli illustrò la sua giornata tipo, e spiegò cosa non avrebbe potuto fare, come cercare di coinvolgerla nelle conversazioni o rimproverare qualcuno per certi comportamenti: -Abbiamo strane usanze, e io sono stata emarginata da sempre per il mio aspetto. Mi dovrai solo aiutare, non metterti in testa idee su come cambiare la situazione, sono stata chiara?- lo istruì Amelia.
Entrarono in casa e la ragazza lo guidò nella soffitta, dove stesero la paglia e misero sopra una coperta di lana grigia.
Finito il giaciglio scesero per apparecchiare. Il ragazzo era seduto su una sedia, davanti al tavolo, pensieroso. Di lì a breve sarebbero tornati tutti, il sole stava per tramontare, e Amelia cominciò ad avere paura delle reazioni dei famigliari.
Poi sentì la porta d’ingresso cigolare, e Kelly e la madre entrare.
La ragazza si voltò, ansiosa, e vide il volto incuriosito e eccitato della sorellina, mentre Alicya guardava Tivresh stupefatta.

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Capitolo 4
*** Fiamme ***


 Alicya e Kelly erano sulla soglia di casa, guardavano Tivresh, aspettando una spiegazione, probabilmente.
La madre era rimasta di stucco, evidentemente non si aspettava che la figlia potesse avere conoscenti. Il ragazzo, seduto davanti al tavolo, le guardava con timore.
Amelia, capendo che serviva un segnale per far svegliare quell’imbranato, gli lanciò uno sguardo significativo, che lui colse al volo.
Si alzò e disse, schiarendosi la voce: -Mi chiamo Tivresh, sono qui perché questo pomeriggio ho aggredito e ferito Amelia, pensando che fosse mia nemica. Con vostro permesso, chiedo di aiutarla finché non guarirà dalle ferite che gli ho inferto, mi ha detto che posso alloggiare in soffitta.
Kelly lo guardò con occhi sgranati e gli corse incontro, afferrandogli il pantalone e iniziando a parlare a raffica: -Io sono Kelly, ho dieci anni, sono sua sorellina! Certo che puoi stare da noi, ma non dovete nascondervi dietro un dito, so che siete fidanzati, ma non lo volete ammettere! Ma sappi che non ti lascerò il mio letto, vi è andata male, piccioncini!
Amelia mise una mano sulla spalla della sorella, imbarazzata, e sussurrò: -Mi ha ferita davvero, se non fosse per questo l’avrei già sbattuto fuori casa, Kelly.
La bambina non l’ascoltò, rise maliziosa e iniziò a canticchiare canzoncine su innamorati che passeggiavano per il bosco dandosi “tanti bacini”.
Amelia arrossì, ma Alicya intervenne, con tono bonario: -Kelly, abbi un po’ di rispetto. Bel giovanotto, puoi stare qui, non abbiamo problemi, se è una questione tra te e…- fece una pausa, in cui Amelia strinse i denti. Era una madre gelida, non pronunciava quasi mai il nome della figlia. Cincischiò un poco e poi concluse: -Insomma, tra voi due. Come hai detto di chiamarti?
Tivresh le ripeté il suo nome, mentre rientravano anche gli uomini di casa, a cui venne prontamente esposta la situazione e accolsero calorosamente il nuovo inquilino.
Naturalmente, tutti meno Kelly continuarono, come sempre, a ignorare Amelia, e anche se Tivresh voleva parlarle, fece come lei aveva richiesto e non la coinvolse in alcuna conversazione.
Finita la cena Amelia sparecchiò, mentre tutta la famiglia continuava a raccontare, al nuovo arrivato, episodi più o meno divertenti, successi tutti prevalentemente nell’infanzia dei bambini.
In seguito Amelia si preparò per andare alla riva del lago. Tivresh, vedendola uscire, la fermò dicendo: -Dove vai te viene anche il braccio sinistro, aspettami.
La ragazza si era voltata verso di lui, che era in mezzo ai suoi famigliari. Si potevano scambiare per una vera famiglia: lui, in quel momento, aveva il ruolo che la ragazza non aveva mai avuto fin dalla nascita, in mezzo ai fratelli in allegria. Lei non gli rispose, ma annuì col capo. Il ragazzo si alzò, scusandosi, e prendendo il mantello nero uscì dalla porta con Amelia.
La fanciulla camminò perlopiù in silenzio, osservando il cielo stellato e la luna, che ora stava decrescendo.
Tivresh, però, non ammirava il panorama, anzi, decise di affrontare il discorso che avrebbe voluto iniziare in casa: -La tua famiglia… Non credevo fosse a tal punto…
La ragazza sospirò: -I capelli rossi, nelle donne, indicano il demonio, così dice la nostra cultura, e i miei occhi non mi hanno certo aiutata.
Lui non seppe cosa dire, poi esclamò: -Non possono evitarti per sempre. Sei la loro figlia! Tuo padre neanche ti guarda in faccia, tua madre non pronuncia il tuo nome. Non ti fa male?
Amelia scoppiò a ridere. Rise come non aveva mai fatto. Rise di disprezzo e tristezza. Forse Tivresh se n’era accorto, perché la guardava preoccupato. Lei, trattenendo le risate, disse: -Oh mio Dio! Come può farmi male la mancanza di qualcosa che non ho mai provato? Se all’inizio mi avessero amata, ti darei ragione, ma loro sono stati sinceri fin dal principio. E poi come mai ti interessi tanto di me, ora?
-Semplicemente perché non ho mai visto una discriminazione di tale portata- disse, serio.
Amelia non rise più, ma esclamò: -Purtroppo è così, l’ho accettato. Tra un mese e qualche settimana avrò i sedici anni, me ne andrò da questo villaggio e mi rifarò una vita.
Questa volta fu Tivresh a ridere, dicendo: -Perché aspetti i sedici? Anche io ne ho quindici, ma ho iniziato a viaggiare un anno fa. Non era certo l’età a comandare la mia vita.
-Diversi paesi, diverse usanze- commentò lei -ora però voglio che tu mi chiarisca tutti i dubbi.
-Poi tu i miei?- chiese lui.
-Andata- disse la ragazza, prima di chiedere: -Che elfi erano quelli che hanno ucciso i tuoi?
-Elfi vari, credo- disse lui, cercando di essere neutro -quello che ha dato loro il colpo di grazia era un elfo consacrato all’orso.
Lei rabbrividì, non aveva mai visto un orso, ma sapeva che erano molto grandi e pericolosi.
Poi lui domandò: -Come fai a vivere così?
-Vivo, mangio e dormo in quella casa, poi quando ho tempo libero faccio una passeggiata… Ma in realtà non è questo che vuoi sentire, vero?
Lui annuì, così Amelia disse: -All’inizio è stato difficile, non lo nego. Poi ho capito perché mi isolavano e ho, pian piano, accettato la cosa. Quando è nata Kelly io mi tenevo alla larga, ma lei mi cercava, mi ha preso a cuore perché era piccola, non capiva le differenze tra avere occhi così o normali. Anche ora cerca di farmi integrare, ma gli altri non cambiano opinione così facilmente.
-Ma che problema hai, a parte i capelli e gli occhi?
-Nessuno… Ma è la tradizione.
-Che tu sia così discriminata? Questa non è una tradizione, ma una condanna.
Si erano fermati, e si guardavano con sfida.
Il vento scompigliava le loro chiome rosse, che frastagliavano i loro visi.
Se fosse passato qualcuno, li avrebbe scambiati per fantasmi.
Secondo dopo secondo, Amelia scrutava quello strano ragazzo, ostile come lei ma allo stesso tempo in maniera differente, mentre Tivresh la guardava con compassione e rispetto, provando una strana sensazione di doverla proteggere.
Dopo un po’ la ragazza sbuffò, divertita, mentre lui sorrideva lievemente, e riprese a passeggiare con tranquillità: -Andiamo…
Camminarono per un po’, poi, mentre tornavano indietro, Amelia si chiese, guardando nel vuoto, se non potessero diventare amici, durante quello strano periodo, ma poi scosse la testa.
Lei non poteva avere amici.
D’un tratto si sentì afferrare il polso, e vide Tivresh che correva, trascinandola lontano dal villaggio che, in lontananza, era illuminato dalle fiamme di un incendio tremendo.
Amelia spalancò gli occhi dal terrore, poi oppose resistenza a Tivresh, urlando: -Kelly! Kelly!
-Non possiamo! Moriremo!- urlò lui di rimando.
-Non me ne frega! Almeno lasciami, bastardo!- strepitò dimenandosi, accecata da una furia nera.
La presa al polso sfuggì e Amelia iniziò a correre verso il villaggio a velocità massima. Tivresh imprecò e le corse dietro, ricordandosi che, dopotutto, le sue attrezzature erano nella casa.
La ragazza arrivò nei pressi di casa sua, dove vide degli animali che le fecero gelare il sangue nelle vene.
Il più vicino, una specie di enorme lupo dalla schiena larga e ricurva, stava facendo a pezzi un corpo. Sangue scuro schizzava dai brandelli di carne strappati e quando gli staccò la testa, che rotolò verso Amelia, se ne aprì un lago. Lei la guardò con orrore mentre rotolava e riconobbe i lineamenti di suo padre.
Il ragazzo la raggiunse, con un'espressione seria sul viso.
-Dobbiamo entrare senza farci vedere o sentire- le sussurrò all’orecchio.
Lei, seppur terrorizzata, annuì col capo.
Andarono sul retro, dove le fiamme stavano per raggiungere la casa, e entrarono con passo svelto e felpato. Appena dentro videro Derek e Kelly, sotto il tavolo del corridoio, sporchi e spaventati. Tivresh corse verso le scale, deciso a recuperare la sua attrezzatura, mentre Amelia, che non si chiese nemmeno il motivo delle sue azioni, andò verso i fratelli esclamando: -Derek! Kelly! Dove sono Jay e Alicya?
Kelly, piangendo, si voltò e vedendola strillò: -Amelia! Amelia!
Derek invece disse: -Li hanno portati via, non sappiamo dove!
Era la prima volta che Derek le rispondeva, ma la ragazza non ci fece caso, e ordinò: -Dobbiamo andarcene, subito!
Tivresh spuntò da dietro di lei, urlando: -Stanno per arrivare, dobbiamo scappare, sono troppi!
-Questo è per difenderti- disse poi dando il pugnale a Amelia, poi prese per mano Kelly e corse fuori, seguito da Derek.
La ragazza uscì dall’abitazione, seguendo il fratello, e si inoltrarono tra gli alberi. Mentre correvano nel bosco, uno di quegli sproporzionati animali li intercettò e si lanciò al loro inseguimento. Amelia sentì una vibrazione salirle dal braccio destro, col quale teneva il pugnale, e sentendo l’animale, ormai a un passo dietro di loro, si voltò per affrontarlo.
-AMELIA!- sentì urlare Tivresh, ma ormai era troppo tardi.
Il puma che li inseguiva le era già addosso.
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Innanzitutto, se siete giunti fino a questo quarto capitolo, lasciatevi dire che vi meritereste un grosso abbraccio e un enorme GRAZIE per aver deciso di seguire/recensire/leggere questa storia uscita dalla mia mente non poco malata, direi. Ho intenzione di continuare questo racconto per un po’, perciò spero che continuerete a seguirla, amarla e, perché no, anche criticarla se vi va. A presto!



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Capitolo 5
*** Ripensamenti e sofferenze ***


 Aprì gli occhi, con una grande confusione in testa.
-Ti sei svegliata!- esclamò Tivresh.
Amelia guardò intorno, tirandosi su a fatica. Erano in una grotta, umida e scura, la luce filtrava dai cespugli che ne coprivano l’entrata. Appena si sedette, la ragazza notò che le estremità dell’abito erano ridotte davvero male, strappate e sporche. Anche il resto del vestito era sporco, macchiato di… Sangue?
-Cosa…? Non stavamo fuggendo dal villaggio? Come mi sono addormentata?
-Beh- disse Tivresh -hai dato prova di essere molto veloce, anche se ti ha presa con qualche artigliata sei riuscita a ucciderlo a colpi di pugnale. Pensa, ti si vedeva sfocata, mentre correvi, talmente eri veloce.
Amelia si bloccò: -Allora non era un sogno? Quel puma l’ho fatto fuori davvero? Credevo di sognare.
-Sì, sei svenuta subito dopo, per le ferite che è riuscito a farti prima di morire. Ma non era un semplice puma.
-Ovviamente! Da quando in qua sono così grossi e deformati?- chiese lei. Le era capitato di vedere un puma, da lontano, poiché erano molto tipici delle loro foreste, ma era completamente diverso da quello che aveva ucciso.
-Era un elfo- annunciò Tivresh, freddo.
La ragazza spalancò gli occhi. No. Non era possibile: -Perché?- chiese -Perché hanno attaccato?
Tivresh, rassegnato, rispose: -Non lo so. Ma nessuno è sopravvissuto, tranne te, Kelly e Derek.
-Dove sono ora?
-Dormono in quell’angolo- disse il ragazzo, indicando un angolo buio dove due corpi giacevano l’uno accanto all’altro, per tenersi caldo.
-Io… Non ho mai combattuto. Perché sono stata capace di fare una cosa simile?
Il giovane, stringendo le labbra come disappunto, rispose: -Il mio pugnale, credo sia stato lui. Gira una leggenda, che narra di due pugnali che scelgano i loro padroni, dandogli capacità di combattimento sovrumane. Quello che avevi in mano tu è uno dei due.
-Mi ha scelta?
-Credo di sì, perciò sarò costretto a cedertelo.
-Oh… Cosa faremo ora? Dobbiamo andarcene, verso un altro villaggio.
-Esattamente. Vi accompagnerò, stai tranquilla.
Lei ridacchiò. Poi, vedendo Tivresh sconcertato, disse: -Come faccio a non essere tranquilla, se ora, grazie a un pugnale, sarò una perfetta combattente?
-Attenta, ci sono molte leggende che girano, può darsi che si leghino in maniera terribile. Io non me ne vanterei, soprattutto con l’aspetto che ti trovi. Senza offesa.
Lei lo guardò in cagnesco, ma comprese il ragionamento di Tivresh, soprattutto le ultime frasi, così annuì.
-Vado a recuperare un po’ di roba nel bosco, riesci a stare sveglia di guardia?- le chiese.
-Sì. Passa dal villaggio, recupera dei soldi, o non andremo da nessuna parte.
-E’ quello che avevo intenzione di fare, dopo aver riempito le borracce- disse lui uscendo attraverso i cespugli.
Amelia rimase sola con i suoi pensieri.
Ricordava perfettamente il puma, anzi, l’elfo, che le si lanciava addosso, mentre lei correva sotto di lui per rialzarsi di scatto e pugnalarlo alle spalle. Infastidito e ferito, lui si era girato e l’aveva artigliata, ma lei aveva iniziato a balzare dalla destra alla sinistra dell’animale, compiendo salti di due metri a una velocità pazzesca, per confonderlo. Alla fine, mentre l’elfo tirava zampate nell’aria cercando di colpirla, Amelia gli era arrivata addosso, sulla schiena, piantandogli il pugnale nel cranio, da dove era iniziato a sgorgare sangue.
Poi, buio.
Probabilmente era allora che era svenuta.
Pregò con tutta se stessa che Kelly non avesse assistito alla scena. Sarebbe potuta rimanere traumatizzata, dopo aver perso i genitori e un fratello, non era il massimo vedere la sorella compiere un assassinio.
Eppure… Era davvero soddisfatta di se stessa. Aveva salvato la sorellina da morte certa.
Ma d’altro canto, un pugnale l’aveva “scelta”, per coinvolgerla in leggende e mostruosità, di cui avrebbe preferito fare a meno. Era un mostro da quando era nata, ora lo era ancora di più.
Passò un’ora a fantasticare su come sarebbe stato bello essere una normale ragazza, prima che Tivresh facesse ritorno, con due sacchi di monete d’oro e d’argento, un paio di vestiti per ciascuno e provviste per il viaggio.
Si svegliarono anche Kelly e Derek, che si cambiarono con i nuovi vestiti, poi la bambina pianse tra le braccia della sorella, mentre Tivresh spiegava la situazione al ragazzo.
Lui ascoltò pensieroso, poi chiese: -Lei sarebbe invincibile, ora, con quel pugnale?
-Sì, lo abbiamo scoperto per caso, ma comunque sarà un vantaggio per il nostro viaggio.
-Non credo ci siano alternative, allora- disse Derek.
Tivresh fece un sorriso amaro: -Vedo che capisci al volo. Partiremo fra mezz’ora, il tempo che ho per recuperare altra acqua e cibo, mentre voi mangiate.
-Tu non mangi?- chiese Amelia.
Il ragazzo le sorrise: -Ho avuto molto tempo per mangiare, stanotte, mentre vi vegliavo.
Amelia arrossì, ricordandosi che era di fianco a lei, al risveglio.
Tivresh porse della frutta a Derek, presa dallo zaino, poi uscì con una spada e le borracce vuote.
Il ragazzo si avvicinò a Kelly, dandole qualche frutto, poi ne lasciò cadere qualcuno di fianco ad Amelia, che li prese da terra. La sorellina esplose: -Basta!
-Kelly, che ti prende?- chiese Derek, preoccupato, togliendola dalle braccia della sorella.
La bambina si scrollò le mani di dosso e urlò: -Smettila! Smettila!
Il fratello la lasciò andare, confuso, dicendo: -Ma perché…
-Sono stufa di vederti trattare male Amelia! Ieri ci ha salvati, e tu le lanci il cibo come fosse un animale! Cos’ha di diverso da me, a parte il colore degli occhi?
Lui rimase basito. La sorellina non gli diede tempo di rispondere e riprese: -Anche Tivresh ha capelli rossi, ma con lui ti comporti normalmente! La tratti male solo per gli occhi? Sei perfido! Anche mamma e papà lo erano, non le hanno mai dato neanche un bacio! Neppure quello della buonanotte! Io… Io…
Kelly ricominciò a piangere, senza riuscire a dar parole alla sua sofferenza.
Derek disse: -Non dire queste cose… Mamma e papà non erano perfidi, forse parli così per quello che è successo…
-No.
Il ragazzo si bloccò. Era stata Amelia a parlare.
Si voltò e la guardò negli occhi, occhi incolori pieni di lacrime pronte a scendere.
La ragazza tremava. Le parole di Kelly, associate a quelle di Tivresh la sera prima, l’avevano riscossa. Aveva capito che si era rassegnata al destino, ma poteva ancora cambiarlo, non l’aveva mai accettato, in realtà.
-Non dire baggianate, Derek- disse con una certa freddezza -abbi la decenza di non negare l’ovvio.
-Come ti permetti?!- esclamò lui, sorpreso.
La ragazza scoppiò a ridere, mentre le lacrime le rigavano le guance: -Mi permetto eccome! Sono mai stata qualcosa per voi? No! Sono stata esclusa da tutto! Se non ti vergogni di come mi hai trattato, almeno abbi le palle per dire le cose come stanno!
Il suo sguardo era furioso, nonostante stesse piangendo come una bambina.
Derek abbassò lo sguardo, poi, cadde in ginocchio, facendo cadere tutti i frutti in mano, davanti alle due sorelle in lacrime.
-Perdonami. Non mi ero mai reso conto di tutto questo… Perdonami- supplicò, con sguardo colpevole.
Amelia lo guardò, con un misto di disprezzo e compassione, poi sussurrò: -Fai come meglio credi. D’ora in poi, sarà come se non fosse successo nulla, ma attento alle azioni che farai in futuro.
Gli porse una mela, tra quelle cadute per terra. Lui l’afferrò, poi abbracciò entrambe le sorelle, piangendo insieme a loro.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice

Konichiwa a tutti i lettori!(se ci sono...:p)
Ancora una volta vi ringrazio (ARIGATOU!!! ^w^) di seguire questa storia un po’ scontata, fatta da una ragazza patita di shinigami, nutella e fantasy.
Spero che continuiate a seguire le avventure di Amelia, che avranno ancora molti colpi di scena.
A presto! Sayonara!

Ps: Si, oggi sono molto “japanese style” xD

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Capitolo 6
*** Decisioni ***


 Tivresh stava riempiendo l’ultima borraccia d’acqua, al fiume, proprio quello che scorreva verso il lago del villaggio che gli elfi avevano distrutto la sera prima.
Mentre l’acqua cristallina gli bagnava le mani, rifletteva. Che gli elfi l’avessero trovato? Che avessero capito le sue intenzioni?
Era davvero una brutta situazione. Se avessero scoperto i suoi piani, non avrebbe potuto fare più nulla, era spacciato.
Si alzò, chiudendo il recipiente pieno, e diede un calcio ad un sassolino dalla frustrazione. Ora che Amelia era stata scelta dal pugnale, non avrebbe potuto fare altro che portarsela dietro.
Il sole, sorto da un paio d’ore, illuminava il bosco pieno di vita. Non si sarebbe mai detto che delle creature così mostruose vi abitassero. Eppure era così, Tivresh lo sapeva bene, anche fin troppo.
Si voltò, pronto a tornare alla caverna dove aveva lasciato Derek e le due sorelle.
Mentre camminava, pensava a una scusa per portare Amelia nel suo viaggio. Se Kelly non l’avesse amata così tanto, non sarebbe stato difficile.
Aveva poche alternative: poteva uccidere Derek e Kelly, facendole credere che erano stati gli elfi, ma scartò l’idea sul nascere. Andava contro i suoi stessi ideali.
Poteva fingere di amarla, chiedendole di viaggiare insieme con la scusa dell’amore, ma anche quello andava contro il suo buon senso.
L’ultima alternativa era raccontarle tutto, svelarle i suoi piani, ma comportava una totale fiducia, che lui ancora non provava nei suoi confronti.
Inciampò in una radice, imprecò, ma con un mezzo salto riuscì a rimanere in piedi e continuò a camminare nella fitta e sgargiante boscaglia.
Seguendo gli alberi che aveva segnato con la spada, giunse ai cespugli che nascondevano la grotta.
Appena entrò Kelly gli corse incontro: -Tivresh! Tivresh! Com’è andata? Stai bene?
-Certo! E’ tutto a posto! Se anche non mi maciulli il braccio…
La bambina si era infatti aggrappata al braccio del ragazzo, ma a quella frase si staccò col sorriso sulle labbra.
-Siete pronti, piuttosto?- chiese allora.
-Si. Ci siamo preparati, ma ci stavamo giusto chiedendo, tu sai qual è il villaggio più vicino?- domandò Kelly.
Tivresh spiegò: -In realtà non ci sono villaggi, o almeno non sono visibili sulla mappa. Però siamo a due giorni di distanza di una cittadina, chiamata Yostrid. Ve la sentite?
Amelia annuì, e così fece anche Derek, mentre Kelly lo guardava a occhi spalancati.
-Qualcosa non va?- le chiese allora Tivresh, e lei, terrorizzata, rispose: -Non riuscirò a camminare per due giorni, per tutto il giorno!
Derek scoppiò a ridere, e disse: -Tranquilla, quando sarai stanca, ti porterò sulle spalle.
La sorellina gli si lanciò addosso, ringraziandolo animatamente.
Successivamente presero ciascuno il proprio zaino (recuperati tutti da Tivresh, fra le macerie del villaggio) e partirono.
Amelia seguiva Tivresh, in testa al gruppetto, e aveva dietro di se Kelly e Derek.
La bambina, mentre camminava, recitava le filastrocche che si ricordava, incitando Derek a cantare insieme a lei.
La boscaglia era tutta uguale, piena di vita e dai colori fluorescenti, ma la ragazza seguiva Tivresh con fiducia. Fu una camminata faticosa, in salita, e Kelly fu presto stanca. Come promesso, il fratello la portò sulle spalle, dando ad Amelia il suo zaino, in modo tale da trasportarla meglio.
Si fermarono a metà giornata per mangiare, Amelia e Derek si offrirono per recuperare nuove provviste.
Appena tornarono, ripresero la camminata.
Prima che il sole tramontasse trovarono una strada sterrata, probabilmente quella che percorrevano i mercanti per andare al villaggio. Percorrendola inversamente sarebbero giunti a Yostrid.
Quando tramontò il sole, però, dovettero allontanarsi dal sentiero per trovare un riparo.
Un albero dal tronco enorme e cavo fece a caso loro.
Kelly e il fratello, stremati, si addormentarono appena posarono il capo a terra.
Anche Amelia era stanca, ma non riuscì a prendere sonno. Continuava a pensare all’essere che le aveva marchiato la schiena, agli elfi che avevano attaccato la città e all’incidente avuto con Tivresh.
Qualcosa non tornava.
Ma non sapeva cosa.
Tivresh le si avvicinò: -Non dormi?
-Non riesco. Sono successe molte cose, troppe, non riesco a metabolizzarle.
-Ti capisco. Ma ci sarebbe una questione più urgente che devo risolvere.
Lei lo guardò senza capire. Cosa avrebbe mai potuto avere di urgente? E perché mai parlarne proprio a lei?
-Dovrei metterti al corrente di alcune cose, ma devi fidarti di me.
Amelia si fece attenta: -Cosa devi dirmi?
Lui sospirò. Poi disse: -Devo compiere una missione. Una missione molto importante, in cui il pugnale che porto con me è di vitale importanza. Non posso dirti ulteriori dettagli, poiché non ci conosciamo abbastanza, ma mi serve assolutamente che tu venga con me, per cercare l’altro pugnale e trovare l’altra persona destinata ad utilizzarlo. Mi dispiace dovertelo chiedere così, su due piedi, ma dovrai decidere entro il nostro arrivo a Yostrid.
Amelia rimase di stucco: -E Kelly? Non la vedrò mai più? E perché?
-Sarò sincero a dirti che non so se potrai rivederla, ma il perché di questa richiesta te lo spiegherò più avanti. Sappi solo che ne va della vita e dell’esistenza di tutti, anche della tua sorellina.
La ragazza non reagì. Disse: -Ci… Ci devo… Lasciami riflettere.
Tivresh acconsentì: -Prenditi tutta la notte, se necessario, ma pensaci bene, prima di rifiutare.
Poi il ragazzo si alzò, per andare all’esterno del tronco a fare la guardia, ma Amelia lo fermò, dicendo: -Oggi veglio io, tanto devo ragionare sulla mia decisione.
Il giovane la guardò con i suoi occhi nocciola, che al buio sembravano pozzi neri, e annuì col capo.
La ragazza uscì dall’albero e si sedette, col pugnale in mano, davanti al tronco.
Un altro avvenimento del cavolo. Ora sì che era nei pasticci… Cosa avrebbe dovuto fare?
Rifiutando, sarebbe vissuta con Kelly e Derek, a Yostrid, avrebbe curato la casa e non avrebbe mai più avuto a che fare con Tivresh.
Però… Lei era diversa. Sarebbe stata discriminata ancora, nonostante avesse deciso di non farsi più trattare male. Avrebbe dovuto tenere con se il pugnale, e sarebbe stata vista come un’assassina.
E poi si ricordò dell’essere. “Ci rivediamo presto, Mhirael” le aveva detto.
No. Non poteva mettere in pericolo a quel modo Kelly. Tivresh sarebbe riuscito a affrontarlo, invece.
Appoggiando la schiena alla radice dell’albero, guardando le stelle, Amelia capì che sarebbe stato stupido rifiutare, anche perché se davvero ne andava della vita di tutti…
Chiuse gli occhi, assonnata, promettendosi di non addormentarsi, ma era tutto così tranquillo che il suo respiro si regolarizzò, e cadde nel mondo dei sogni.
 
Una donna piangeva. Il marito urlava: -Come è potuto succedere? Se solo ci fossi stato io…
Erano di schiena, Amelia non riusciva a capire chi fossero.
-Mi ha violentata, non è colpa tua… Il problema è che l’ostetrica dice che sono gemelli- singhiozzò la donna.
-Ne terremo uno, per far finta che fosse nostro figlio, ma l’altro non lo accetto!- urlò l’uomo.
-Diamoli via entrambi, ti prego- supplicò la donna, con voce strozzata -saranno dei mostri, metà elfi e metà umani!
-Non possiamo, o la gente penserà che abbiamo commesso un infanticidio.
La donna annuì, singhiozzando, e si voltò. Era Alicya.
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Salve a tutti!
Mi ci è voluta una notte insonne per capire come impostare il capitolo, spero di aver risvegliato il vostro lato da “Sherlock Holmes”, pagherei oro colato per vedere come vi scervellate per collegare gli avvenimenti.
Spero anche che vi sia piaciuto.
Ci vediamo nel prossimo capitolo!

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Capitolo 7
*** Elfi, mostri ***


 -Ehi, bella addormentata! E’ mattina.
Amelia aprì gli occhi, venendo subito accecata dal sole, appena sorto. Tivresh la sovrastava, con un sorriso malizioso sulle labbra.
La ragazza strillò: -Oddio! Scusa! Credo di essermi addormentata!
Lui rise. Poi la tranquillizzò: -Ho notato che ronfavi alla grande, stanotte, così sono uscito io a fare la guardia.
Amelia si maledisse. Un’altra notte con quel tipo di fianco. Chissà quanto l’aveva fissata, e che cosa aveva visto… Dopo il sogno ambiguo che aveva fatto, era sicura di essersi agitata.
-Beh- disse allora -mi riscatterò andando a recuperare dell’acqua.
-Ti accompagno- si offrì Tivresh -così potremo parlare.
La ragazza annuì seria. Allora era davvero importante per lui, quella risposta. Si alzò e annunciò a Derek, che vegliava Kelly, addormentata, della loro spedizione.
Fatto ciò prese con la mano destra il pugnale e seguì Tivresh.
-Il bosco è così luminoso… Non sembrerebbe proprio che ci siano dei mostri- gli disse.
Il ragazzo fece una ristata sarcastica: -Eh già, peccato che non sia così.
Lui rallentò il passo, fino a trovarsi al fianco della ragazza. Le chiese, serio: -Ci hai pensato?
-Sì- rispose lei -e non ho nulla da ridire. Non voglio rendere difficile la vita di Kelly, standole a fianco potrei crearle dei problemi. Ti seguirò, a patto che mi rivelerai presto tutti i tuoi segreti, nei minimi dettagli.
-Sarà fatto. Grazie. Hai reso le cose molto più semplici- disse, riconoscente.
-Quanto è lontana la fonte?
-Un po’. Intanto, hai voglia di chiacchiere? Se vuoi posso iniziare a dirti qualcosa, purché non sia sulla mia missione.
La ragazza pensò al sogno, agli elfi, e colse la palla al balzo: -Parlami degli elfi. Non sono pacifici?
-Da come hai notato, no- disse Tivresh, scansando qualche ramo -o almeno, non lo sono con quelli che sentono loro nemici. Generalmente sono classificati “nemici” quelli che li uccidono, che non rispettano la natura o ostacolano le loro intenzioni. Io non sono ancora nella lista nera, sono stato molto attento, perciò non capisco perché abbiano distrutto il tuo villaggio, oltretutto quando non ero lì. Non è nel loro stile.
Amelia ascoltava, in silenzio. Poi chiese: -Dimmi del rito, me l’avevi accennato…
-Va bene- rispose lui -dunque… All’età di sedici anni gli elfi vengono lasciati nella foresta, da soli, con un manufatto di cui non so molto. So solo che è grazie a quell’oggetto che l’animale, la pianta o l’elemento a cui dovranno consacrarsi, si avvicinerà, con un simbolo luminoso impresso dalla magia, che appare anche sul dorso delle mani dell’elfo in questione. Dopodiché l’elfo si taglia il braccio, e pratica un taglio anche sulla pianta o sull’animale, poi facendo combaciare le ferite mischia il loro sangue. Dopo che le ferite si saranno emarginate, l’elfo sarà in grado di prendere la forma dell’animale, ma per riconoscimento del rito compiuto le orecchie saranno a punta.
-Se l’elfo è consacrato ad una pianta, che poteri ha?- domandò la ragazza.
-Può, se non erro, far ricrescere i suoi stessi arti, crearne in più e sviluppare radici e frutti. Alcuni tipi di elfi di questo genere riesce a scagliare spine e ad avvelenare, ma tutti quelli di questo genere sanno comandare le piante a cui sono consacrati.
Amelia rimase in silenzio dallo stupore. Poi disse: -E se sono consacrati ad un elemento?
-Lì è meno complicato- disse Tivresh -l’elemento in questione entra nel corpo dell’elfo, dalle narici e dalla bocca suppongo, e poi l’individuo saprà comandare l’elemento a suo piacimento. So che è un rito estremamente doloroso. Questi elfi però sono molto rari… Oh, ecco la sorgente.
I due ragazzi, interrompendo la conversazione, presero le borracce e le riempirono dall’acqua che sgorgava da sottoterra, dalla parete di un dirupo, facendo nascere un torrente che si faceva strada tra gli alberi rumorosamente.
Quando finirono, tornarono indietro, ma non affrontarono di nuovo quel discorso.
Amelia era rimasta scioccata dalla cultura elfica, ora più che mai ne provava paura.
Ne aveva ucciso uno, certo, ma come avrebbe potuto ucciderne un altro, a cui ricrescevano gli arti? Erano davvero mostruosi. E lei che credeva che fossero creature mistiche, meravigliose e pacifiche.
Il ritorno, tutto in discesa, fu breve rispetto all’andata. Quando arrivarono all’albero trovarono Kelly che giocava con i fiori primaverili, facendo collane e ghirlande.
Derek ne era ricoperto, aveva tre collane floreali di tre tipi di fiori, bianchi, rossi e viola, e una margherita infilata nei capelli castani.
La bambina, con suo solito modo eccitato, corse verso di loro, armata di due collane di fiori, urlando: -Bentornati!
Fece cenno ad Amelia di chinarsi, poi le mise in testa una ghirlanda di fiori azzurri. Porse quella di margherite a Tivresh, che se la mise come collana, ridendo.
-Vi piacciono? Quanto vi piacciono?
-Davvero tanto- le disse il ragazzo
-Sì, sono davvero stupende- confermò Amelia.
Distribuirono le borracce, poi si prepararono e si diressero verso il sentiero.
Lo percorsero per tutta la giornata e, come da programma, arrivarono presso Yostrid al tramonto.
Amelia era preoccupata. Avrebbe dovuto salutare Kelly, forse per sempre. Prima di arrivare alle prime case, si avvicinò a Tivresh, attenta a non farsi sentire, e gli chiese: -Quando dobbiamo partire, noi?
-Domani, possibilmente- sussurrò lui di rimando.
Lei annuì con sconforto.
Entrarono nella cittadina, che aveva prevalentemente abitazioni in pietra, così come le strade.
Balconi decorati da fiori rosa e bianchi davano una sensazione di allegria, e i bambini giocavano con dei palloni per le strade, ridendo e urlando.
C’era molta gente in giro, anziane signore filavano la lana davanti alla propria casa, mentre donne e uomini andavano a far spese per i negozi.
Amelia, Kelly e Derek rimasero a bocca aperta. Niente a che vedere con il loro tranquillo villaggio, dove al massimo c’era il ritrovo del cucito o i bambini che andavano e venivano dal bosco.
Tivresh si fermò da una signora che filava la lana, spettegolando con la sua vicina.
-Mi scusi gentile signora- disse -saprebbe indicarmi una locanda dove poter passare la notte?
La vecchietta, rugosa ma dai candidi capelli bianchi, disse: -Ma certo, bel giovanotto! Andando avanti per la strada, davanti alla panetteria, c’è un locale chiamato “Il cinghiale arrosto”. Il proprietario, il vecchio Mario, sarà felice di ospitarvi, è da parecchio che non si vedono turisti!
-La ringrazio, è stata molto d’aiuto- disse il ragazzo.
-E’ un piacere dare una mano a un così bravo ragazzo, soprattutto vedendo la bellezza della tua amica!- disse la donnina, indicando Amelia.
Lei arrossì, poi disse: -Grazie, nessuno mi aveva mai fatto un complimento.
La vecchietta, inorridita, esclamò: -Caspiterina, è una cosa strana questa! Non sarà mica per i tuoi occhi!
-Credo di sì- sussurrò Amelia.
La signora sospirò: -Quanta discriminazione, al mondo. Tranquilla, qui sarai trattata con rispetto.
La vicina annuì, dicendo: -Abbiamo già affrontato il problema, in passato, ora qui accettiamo tutti senza eccezioni.
-Davvero? E’ una cosa molto ammirevole. Grazie mille, spero di rincontrarvi- disse Amelia, congedandosi.
-Buon soggiorno!- le augurarono le donnine, prima i riprendere a chiacchierare.
Il gruppetto andò alla locanda, seguendo le indicazioni ricevute.
Davanti alla panetteria c’era, in effetti, un locale con l’insegna “Il cinghiale arrosto”. Aveva una grande porta di legno e tre piani. Le pareti, anch’esse di pietra come il resto della cittadina, erano più scure delle abitazioni e non c’erano balconi.
Appena entrarono, furono investiti da un odore di carne.
Tivresh affittò due stanze, e, dopo aver mangiato, andò a dormire con Derek al secondo piano, mentre Amelia e Kelly andarono al terzo.
Quando le sorelle furono sole, Amelia capì che era venuto il momento tanto temuto.
-Kelly- chiamò.
-Sì, che c’è?
-Ascolta, ho una cosa molto triste ma importante da dirti.
La sorellina, davanti al letto, si girò di scatto verso di lei, con gli occhi tristi e spalancati, lasciando cadere la ghirlanda di fiori che aveva in mano.
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Konichiwa!
In questo capitolo ho cercato di descrivere meglio gli elfi, spero vi siano piaciuti.
Se avete delle domande, se non sono stata chiara o se vi ho annoiato, fatemi sapere.
Spero leggerete anche il prossimo capitolo.
Bye Bye!<3

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Capitolo 8
*** Inizi ***


 -Kelly, non fare così.
-Cosa devi dirmi, sorellina? Perché dici che è una cosa triste?- disse la bambina, avvicinandosi ad Amelia e prendendola per mano.
-Perché so che non è bella per me, ma per te, credo di sì. Capisci?
Kelly la guardò, con gli occhi angosciati.
-Ascolta- le disse -Tivresh mi ha detto che dobbiamo compiere una missione. Sono stata scelta, il modo in cui ti ho difesa dal… Puma, ne è la prova. Ti devo lasciare.
-No! No! Non puoi!
-Kelly…
-No! Non ora, che abbiamo trovato un paese dove ti accettano, no!
Scoppiò in pianto e lacrime di rabbia, frustrazione e tristezza le rigarono le guance.
Amelia sentì un velo coprirle gli occhi. Vederla in quello stato le spezzava il cuore: -Sorellina, lo sai che ti voglio tanto bene, in questo momento non desidererei altro che poter restare qui con te, vederti crescere e…- un singhiozzo le mozzò il fiato. Anche lei iniziò a piangere, poi riprese: -Vederti crescere, innamorarti ancora e cucinare per me e Derek. Purtroppo io non ci sarò, darei la vita per te, ed è quello che sto per fare. Questa missione è davvero importante, ma ti giuro che appena posso tornerò. Capito?
Kelly cercava di pulirsi il viso con le mani strette a pugni: -Ma… Co-come faccio… Io…
-Ce la puoi fare, sei una ragazzina forte, determinata, e la miglior sorella che abbia mai potuto avere- esclamò Amelia, stringendola a sé con un abbraccio.
-Prometti… Tornerai!- sussurrò Kelly, tra le braccia della sorella.
La ragazza annuì vigorosamente col capo, incapace di rispondere, soffocata dalle lacrime.
Restarono strette l’una all’altra per lunghi istanti.
-Mi… Mi hai chiamata ragazzina! Allora mi consideri cresciuta!- disse poi Kelly, staccandosi dalla sua spalla e sorridendole, col volto impiastricciato di lacrime.
Amelia, davanti al contrasto tra l’ovvietà dell’affermazione della sorellina e le sue stesse lacrime, rise di cuore, seguita subito dopo dalla bambina.
Andarono avanti così per un po’, prima di coricarsi, piangendo e ridendo allo stesso tempo.
In quel momento, entrambe si sentirono sorelle più che mai.
La mattina dopo, Amelia si svegliò prima di Kelly, e restò un po’ a guardarla mentre dormiva, distesa nel letto matrimoniale, accanto a lei.
La ragazza, afflitta dal doverla lasciare, osservò le pareti scure della stanza, illuminate dalla luce del sole che entrava dalla finestra. Non c’erano molte decorazioni, a parte un armadio e un paio di comodini ai lati del letto.
Si alzò per cambiarsi d’abito, il pugnale, appoggiato sul comodino, attirò la sua attenzione.
Non aveva un fodero, avrebbe dovuto pensarci prima di lasciare il villaggio. In previsione della lunga camminata, osò infilarsi un paio di pantaloni, trovato tra i vestiti recuperati da Tivresh, che trovò sorprendentemente comodi.
Per il sopra, indossò uno dei corpetti con le spalline, che metteva sotto gli abiti, con sopra una giacchetta di pelle, che le copriva le spalle. Nulla da fare per la scollatura, non molto profonda, ma pur sempre una scollatura.
Così però, si sentiva davvero comoda. Guardandosi in uno specchio della stanza, trovato nascosto da un telo, vide una figura slanciata e decisamente affascinante. I capelli rossi fuoco cadevano fino alla vita, lisci come l’olio, dando un tocco di vitalità all’abbigliamento prevalentemente scuro.
-Amelia…
La ragazza si voltò di scatto, sentendosi chiamare dalla sorellina, con tono sorpreso.
Kelly la guardava, con misto di confusione e profonda ammirazione, la piccola bocca aperta in una perfetta forma ovale.
-Sei bellissima!- esclamò, dando gridolini di apprezzamento.
Amelia arrossì, borbottando: -Via, non essere sciocca…
Kelly rise, poi tornò seria: -Sei pronta per andare?
-Sì. E tu?
La sorellina annuì.
Amelia la aiutò a prepararsi, poi scesero per fare colazione.
Bevvero entrambe una spremuta di mele, a quanto pare la specialità del posto, poi chiesero delle fette di pane con la marmellata, che il vecchio proprietario Mario fu felice di servirgli.
A metà pasto, videro Derek e Tivresh scendere dalle scale, e Kelly agitò le braccia per farsi vedere.
I due, appena la videro, le raggiunsero al loro tavolo.
-Gliel’hai già detto?- chiese Tivresh alla ragazza, dubbioso. Poi si bloccò, vedendo com’era vestita, e restò lì a fissarla, mentre lei mangiava la fetta di pane, ignara della sua sorpresa.
-Sì, e tu l’hai detto a Derek?- chiese lei di rimando. Non ricevendo risposte, alzò lo sguardo, e beccò in pieno il ragazzo che la fissava. Distolse lo sguardo, imbarazzata, e vide che anche Derek la guardava sconcertato.
-E piantatela… Non sono mica un fenomeno da baraccone…
I due ragazzi si sedettero, guardando altrove.
-Allora?- incalzò Amelia.
-Ehm… No, pensavo avresti voluto dirglielo tu- le rispose Tivresh.
-Derek- cominciò allora la ragazza -credo che tu e Kelly ve la possiate cavare da soli, giusto? Io devo lasciarvi, per la storia del pugnale lui ha bisogno di me.
Derek rimase spiazzato: -Che cosa? E io come tiro avanti? Non ho soldi!
-Ti lasceremo tre quarti del denaro che abbiamo- disse il ragazzo, con calma -basta che voi non facciate parola a nessuno, né di quello che sapete, né del fatto che mi avete conosciuto.
Kelly annuì seria.
Derek esitò, poi accettò il compromesso: -Vi rivedremo?
-Non ne sono…
-Certamente, in futuro!- esclamò Amelia, bloccando la risposta di Tivresh e lanciandogli un’occhiataccia, senza farsi vedere da Kelly.
Derek capì al volo: -D’accordo, allora tornate presto a trovarci!
La ragazza annuì, con sguardo riconoscente. Non voleva dire alla sorellina che il loro futuro era incerto.
-Allora noi andiamo. Abbiate cura di voi- disse Tivresh, alzandosi.
Kelly gli si buttò addosso, abbracciandolo e dicendogli: -State attenti!
Amelia abbracciò Derek, si diedero uno sguardo d’intesa, poi strinse forte la sorellina, sussurrandole: -Fai strike, ragazzina. Sempre.
La bambina, eccitata dall’essere ancora chiamata “ragazzina”, esclamò: -Agli ordini! Ti voglio bene!
-Anche io, tanto.
Lasciarono i soldi a Derek, che promise di cercare un lavoro, e poi uscirono dalla locanda.
Amelia sospirò.
Tivresh la guardò, poi disse: -Mi dispiace, non avrei mai voluto dividervi.
-Destino. Ah, dobbiamo comprare un fodero per il pugnale.
-Ce l’ho già, scusami se non te l’ho dato prima.
Le porse un fodero nero, che lei si appese alla cintura dei pantaloni.
Ora si sentiva pronta.
Iniziarono a camminare per la strada, diretti alla fine della cittadella.
Amelia guardò un ultima volta i balconi, decorati da moltissimi fiori, e pregò affinché Kelly vivesse felicemente e venisse trattata bene dagli abitanti.
Arrivarono presto alle ultime case, dove ricominciava il bosco.
Si inoltrarono tra gli alberi, entrambi immersi nei loro pensieri.
Fu per questo che nessuno dei due notò la figura, che, da dietro gli alberi, cominciò a seguirli.
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Ciao a tutti quelli che seguono questa storia!
Scusate se pubblico il capitolo a quest’ora, ma all’ispirazione non si comanda.
E’ un capitolo con pochi avvenimenti, ma questo, significa solo che li ho riservati tutti per il prossimo;)
Spero vi sia piaciuto comunque, se avete qualche dubbio o domande non esitate a scrivere.
Alla prossima!

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Capitolo 9
*** Ombre in azione ***


 Era nervoso.
Camminando per il palazzo macabro, l’elfo cercava il modo migliore per fare rapporto al suo signore.
Dopo infinite ricerche, aveva trovato i gemelli, la minaccia che secondo i grandi stregoni avrebbero distrutto l’impero elfico, ma erano molto lontani dalla reggia, avrebbe dovuto catturarli entro qualche settimana.
-Stephen!
L’elfo si voltò. Marie, mentre spazzava il corridoio, lo guardava sogghignando.
-Hai fallito ancora?
-Non sono affari di una domestica, lo sai- rispose seccato. Quell’elfa aveva troppa curiosità per i suoi gusti.
Lei rise, poi lo informò, con una certa arroganza: -Il padrone si aspetta buone notizie, stai attento a quello che dici, potrebbe costarti la vita.
L’elfo fece una smorfia di disprezzo, poi si voltò e continuò a camminare verso la sala del trono. Gli sarebbe costata la vita? Sciocchezze. Il suo signore aveva bisogno di lui, molto più di qualsiasi altro servo.
Quando arrivò ai portoni neri come la pece, gridò: -Stephen, consacrato al lupo, chiede udienza. Aprite!
I portoni restarono immobili, poi si aprirono lentamente, con un rumoroso cigolio.
L’elfo entrò, tenendo un atteggiamento determinato e cercando di dare un’impressione di sicurezza.
-Stephen. Finalmente.
Sul trono, decorato da oro e velluto rosso, stava un elfo dalla chioma così rossa da sembrare una fiamma vivente. Stephen si inginocchiò: -Sire, sono venuto il prima possibile.
La sua risposta rimbombò nella stanza, dove c’era soltanto un tavolo enorme e un tappeto cremisi che portava al trono, in contrasto con l’oscurità dell’intera sala. Le guardie erano disposte a semicerchio vicino all’entrata.
-Cosa hai combinato, per metterci così tanto?- chiese il padrone, accarezzando la tigre bianca e deformata che stava di fianco a lui.
-Ho trovato i gemelli. Mhirael ha già risposto al suo pugnale, mentre Lathos lo sta ancora cercando. Entro qualche settimana saranno al suo cospetto, sire.
Il re guardò Stephen con i suoi occhi neri, poi disse: -Sei fortunato, non posso farti mangiare da Sephora, quindi vedi di darti una mossa.
Stephen lanciò uno sguardo alla tigre, che si era irrigidita, dicendo: -Ai suoi ordini. Chiedo di congedarmi.
-E sia. Tra tre settimane, se non sarai tornato, te ne farò pentire.
L’elfo annuì, poi uscì dalla sala. Diede le spalle al re, ma solo quando le guardie chiusero, silenziose, il portone dall’interno.
Stephen sospirò. Doveva assolutamente catturarli.
-Oh, sei ancora vivo.
Lui sorrise sprezzante, voltandosi per guardare Marie col suo sguardo più truce: -Che ti aspettavi?
La donna si avvicinò di qualche passo, con un andamento sensuale.
-Stammi lontana, non avresti neanche il diritto di parlarmi.
Lei sorrise, sorniona: -Hai già inviato la tua squadra, immagino.
-Ovviamente. Sono in azione da parecchio tempo, provvedendo alla distruzione di elementi superflui alla missione.
La donna, mentre lui parlava, aveva continuato ad avanzare, fino ad accarezzare il petto del giovane e i capelli neri dai riflessi blu, poi, con eleganza, portò una mano sul suo fondoschiena.
-Ah, sei disgustosa!- esclamò Stephen con disprezzo, scansandola -Dovrei staccarti le braccia solo per questo.
L’elfa si allontanò ridendo: -Freddo come sempre, vero?
Il ragazzo camminò per il corridoio, ignorandola. Era convinto che il re si divertisse parecchio con quella sgualdrina, come aveva fatto in passato con altre donne. Era un peccato che Sephora non potesse ribellarsi, sbranandole tutte, re compreso.
Si diresse ai sotterranei.
La stanza delle Ombre era affollata, erano appena arrivati i novizi. Moltissime figure incappucciate e completamente vestite di nero bisbigliavano tra loro, ma quando lui entrò, calò un silenzio tombale.
-Ombre, ascoltatemi. I vostri compagni sono già all’opera, voi dovrete semplicemente raggiungerli e aiutarli. Questa è la più importante delle missioni, perciò ci andranno solo coloro che hanno già almeno tre anni d’esperienza come Ombre. Avete capito? I dettagli alla prossima seduta, stanotte, al solito orario.
Le Ombre annuirono, portandosi la mano sinistra al centro del petto.
L’elfo uscì quindi dalla stanza buia e andò dagli stregoni. Ora più che mai doveva ricevere assolutamente delle notizie dalle Ombre inviate al pedinamento di Mhirael e Lathos.
La stanza degli stregoni, anch’essa nei sotterranei, puzzava d’incenso e aveva pareti ricoperte da teli viola.
Stephen trovò Prospero intento a trasformare una biscia in un cobra, probabilmente per vedere se era praticabile anche sugli elfi consacrati ad essi.
Lo stregone, vecchio e dalla lunga barba grigia, poteva sembrare un uomo che non aveva più nulla da dare all’innovazione, ma l’apparenza inganna. Era il miglior mago della reggia.
-Stephen, come vedi sono impegnato- lo avvertì, con il suo solito modo di fare seccato e sbrigativo.
-Beh, ho più bisogno io di una biscia. Ti devo ricordare chi sono?
-No, no- fece il vecchio, interrompendo la magia e agitando una mano per scacciare l’animale.
Quello strisciò giù dal tavolo di marmo e si infilò nella gabbia per terra.
-Cosa vuoi?- chiese lo stregone.
-Devo comunicare con le Ombre. Subito.
Il mago prese quindi una sfera d’ambra, iniziando a cantilenare nella lingua elfica più antica.
La pietra tremolò, come se fosse fatta d’acqua, poi comparve l’immagine di un individuo incappucciato, che disse: -Avete chiamato?
-Sì- rispose Stephen -ho necessità di sapere le ultime novità.
-Abbiamo tutto sotto controllo. Ci servono solo rinforzi, e poi saremo in grado di entrare in azione per la seconda fase del piano.
-Anche per Lathos?
-Sì, è stato più semplice di quanto sembrasse- disse l’Ombra, con tono sereno.
-Perfetto. Invierò presto a voi altre Ombre. State pronti- disse Stephen.
L’Ombra annuì, mettendo la mano sinistra sul petto. Poi la figura scomparve, e la sfera tornò normale.
Prospero borbottò: -Soddisfatto?
-Certamente- esclamò l’elfo, sorridendo.
Il mago, davanti alla chiostra di canini, non riuscì a trattenere un brivido che gli corse lungo la schiena.
 
 
Spazio Autrice
 
Konichiwa!
Forse, dalla fine del precedente capitolo, un seguito del genere ve l’aspettavate, vero?
Comunque, su questo capitolo non darò spiegazioni (o ne darò poche), perché si capirà tutto un po’ più avanti.
Sayonara, alla prossima;)

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Capitolo 10
*** Imprevisti ***


 Tivresh cadde a terra rovinosamente, tra le risate di Amelia.
Si stavano allenando, dopo aver mangiato, nell’arte del combattimento. Entrambi erano provvisti di un bastone, ma la ragazza, dall’esperienza tratta dal pugnale, era in netto vantaggio.
Il giovane era costretto a subire, una sera dopo l’altra, colpi e sconfitte, ma ammetteva che gli erano molto utili per migliorare la sua tecnica.
Erano poco più di due settimane che viaggiavano verso le montagne Torth, dove secondo Tivresh c’era una grande possibilità che si celasse il secondo pugnale.
In quel periodo Amelia non era riuscita a scoprire nulla di più sul suo compagno di viaggio, e il fatto la mandava in bestia. Era intenzionata a chiedergli più dettagli, prima di giungere alle montagne, ma era timorosa riguardo la reazione che poteva avere Tivresh.
In fondo, le giornate e le chiacchierate con lui erano piacevoli, sarebbe stato un peccato sciupare tutta quell’atmosfera pacifica, nonostante la gravità della missione.
Quel ragazzo le stava molto simpatico, era premuroso ma non troppo, con la capacità di farla sorridere in qualsiasi momento. Era quasi il Derek, o il Jay, che non aveva mai avuto. Un fratello maggiore che le dava una mano. Non voleva rovinare il rapporto, affrettando le cose.
-Dannazione, sei sempre tu a vincere!- esclamò il ragazzo, con una nota di rabbia.
-Beh, è normale. Il pugnale mi ha passato molte conoscenze, oltre ad un fisico più predisposto al combattimento.
-Sembra che tu abbia assunto dieci anni di allenamento di un giorno!
Lei rise.
-Davvero! E poi, col pugnale in mano, superi addirittura il potere degli elfi. Mi chiedo solo se la magia sia utilizzabile, contro di te, o se tu ne sia immune.
-Nel secondo caso, sarei inarrestabile- mormorò lei, sovrappensiero.
Il giovane approfittò della distrazione e colpì le gambe della ragazza, che cadde di lato.
Amelia, con agilità, non si scoraggiò e rotolò lontana da Tivresh, finendo vicino al fuoco, tirandosi poi in piedi dando leva sulle spalle e facendo un piccolo salto.
Poi volteggiò e puntò l’estremità del bastone al centro del petto del ragazzo.
Si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
Lui sbuffò, poi tolse il bastone dal petto e si alzò dicendo: -Ok, sono stremato. Rimandiamo a domani?
-D’accordo.
Buttarono i bastoni, poi Amelia si preparò una coperta sul terreno, e disse: -Svegliami a metà notte, per il cambio. Se domani mattina mi alzo scoprendo che hai vegliato tutta la notte, ti faccio nero.
-Ok, non voglio essere picchiato ulteriormente- rispose lui, ridendo.
La ragazza sorrise e si distese, addormentandosi quasi subito.
Tivresh la guardò per un po’, alla luce rossa del fuoco, chiedendosi quando avrebbe dovuto svelarle tutto. Era meglio farlo prima di trovare il pugnale.
Annuì fra sé. L’indomani avrebbe dovuto affrontare il discorso, erano a un passo dalla montagna più alta della catena montuosa Torth, dove presumeva si trovasse il pugnale. Passò l’intero turno di guardia a tormentarsi su come trovare il prescelto del secondo pugnale: non sarebbe stato per niente facile.
Aveva bisogno di Kento, al più presto.
Ormai a notte fonda, Tivresh svegliò Amelia per farsi dare il cambio.
La ragazza si alzò subito, vegliando con attenzione i dintorni. Quello che non notò, è che Tivresh non chiuse occhio per tutta la notte, preoccupato per le rivelazioni da darle l’indomani.
L’alba arrivò calma sul bosco, meno colorato di quello vicino a Yostrid, poiché erano in altitudine e vi erano alti pini di un verde scuro, oltre a un terreno frastagliato da pietre che spuntavano irregolari.
Vi erano comunque molti uccellini che, puntualmente, all’alba cominciavano a cinguettare con allegria. I due ragazzi, qualche giorno prima, avevano addirittura avvistato una volpe, dal pelo rosso mattone, che non osò neanche stare lì a guardarli: scappò non appena li vide da lontano.
Quando il sole fu completamente sorto Amelia pensò a Kelly, che aveva lasciato poco più di due settimane prima. Chiese agli dei, se esistevano, di assisterla. Poi rise di se stessa. Non aveva mai creduto in una esistenza vera e propria degli dei, le sembrava molto strano l’essersi apprestata a chiedergli aiuto dopo anni di totale mancanza di religione.
Era meglio svegliare Tivresh, invece di preoccuparsi di simili sciocchezze.
Si voltò e sporse la mano a scuotergli il braccio. Lui si girò, guardandola storto.
Lei, in tutta risposta, esibì un innocente sorriso: -E’ mattina.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sforzandosi poi di alzarsi.
Mangiarono un paio di frutti per colazione, poi spensero il fuoco e partirono.
Erano ad un passo dallo scalare la montagna, perciò Amelia chiese: -Hai una corda?
-No, ma non dovremo salire molto per trovare la cascata.
Le previsioni di Tivresh si rivelarono veritiere.
Andando avanti c’era sempre meno vegetazione, ma iniziarono a sentire lo scrosciare dell’acqua.
Trovarono presto il corso di un grande fiume, e dopo aver fatto scorta d’acqua seguirono il corso inversamente, giungendo infine ad un’altissima cascata.
Tivresh fermò Amelia, che stava già avvicinandosi alla destinazione del loro viaggio.
La ragazza si voltò di scatto, con un’espressione di stupore dipinta in volto.
-Devo dirti alcune cose, prima. Ad esempio cosa farò con i possessori dei pugnali.
-Ah… Sono tutta orecchi- disse Amelia, girandosi completamente verso di lui.
-Dunque… Sarò sincero, ti riferirò solo ciò che è strettamente legato alla missione.
La ragazza annuì, comprensiva.
Lui riprese: -Inizio col dirti che gli elfi sono estremamente coinvolti in questa vicenda. I loro stregoni hanno predetto la loro disfatta tramite queste due armi, perciò ci daranno la caccia con molta probabilità, dopo che le avremo entrambe.
-Cosa dobbiamo fare, oltre a trovare il secondo prescelto?
-Una leggenda narra di un mostro che attaccherà il mondo, dopo un sonno di migliaia di anni. Non dice né cosa sia, né da dove verrà. Si sa solo che arriverà nel tempo dell’allineamento del mondo con gli altri pianeti, e secondo vari astrologi ciò avverrà nella prossima primavera. Abbiamo un anno per cercare i prescelti, che devono fermarlo, anche se non si sa come.
La fanciulla spalancò gli occhi, terrorizzata.
-Io dovrei fermare un mostro?! Ma sei impazzito?!- gridò, sconvolta.
-Ehi, calma! Tu ne hai il potere. E anche il tuo futuro compagno, o compagna.
Amelia fece una risata isterica e nervosa: -Certo, certo! Come se potessi ammazzare mostri da un giorno all’altro!
Tivresh le afferrò le spalle, poi la guardò dritta negli occhi: -Ti aiuterò. Ora calmati: là dietro c’è il prossimo passo per la nostra missione.
-N-nostra?
Lui annuì. Si staccarono, continuando a guardarsi negli occhi. Amelia provò molta riconoscenza verso il ragazzo, che aveva deciso di condividere con lei la sua missione.
Poi entrambi si voltarono, andando verso la cascata.
Amelia ebbe un brutto presentimento, e fece per toccare il braccio a Tivresh.
Tutto accadde in fretta.
Una rete cadde addosso i due ragazzi, la ragazza tentò di prendere il pugnale, ma qualcuno lo rubò da sotto la sua mano e venne avvolta da pesanti catene di metallo.
Figure nere e incappucciate stavano legando anche Tivresh.
Erano stati presi.
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Saaaaaalve:)
Questo capitolo spiega un bel po’ di cosettine.
Dubbi? Critiche? Scrivete pure.
Voglio essere magnanima e comunicarvi apertamente che domani sarò a casa da scuola, perciò aspettatevi un altro capitolo.
A prestooooo!!!

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Capitolo 11
*** Scappatoie ***


 -Bene. Mettiamoci subito in viaggio, la reggia è lontana- disse una figura incappucciata, molto esile rispetto alle altre.
Gli altri annuirono.
-Lasciatemi! Subito!- urlò Amelia, dimenandosi invano, cercando di togliersi le catene di dosso.
Un pugno la colpì sulla fronte, facendola cadere a terra: -Zitta! Non sei nella posizione di controbattere.
Amelia, stordita, desiderò con tutta se stessa di poter essere libera. In quel caso, avrebbe staccato tutti gli arti di quel tizio e l’avrebbe torturato finché non fosse morto dissanguato. Stranamente, l’idea non le faceva per niente schifo.
-Lasciatela stare!- gridò Tivresh, che ricevette un calcio nel fianco non appena aprì bocca.
-L’ho trovato!
Tutti si voltarono. Una figura incappucciata era uscita da dietro la cascata, con in mano un fodero nero, da cui spuntava il pugnale. Tivresh imprecò fra sé.
-Perfetto- rispose la figura più esile, che a quanto pare sembrava il capo -con questo il nostro padrone sarà più soddisfatto del solito.
La ragazza ragionò in fretta. Se fossero riusciti a portarli a destinazione, sarebbe finita. Se invece fosse riuscita a far scappare almeno Tivresh, la cosa si sarebbe potuta risolvere, d’altronde, sembravano molto interessati ai pugnali, con cui il ragazzo, fuggendo, non avrebbe avuto molto a che fare.
Doveva soltanto liberare Tivresh. E allora, ci sarebbe stata una speranza.
Amelia capì che più ne sapeva, meglio era, perciò chiese: -Chi siete? Cosa volete?
La figura più esile le si avvicinò, dicendo: -Siamo le Ombre. Vogliamo i prescelti, per impedirgli di distruggere il nostro impero. Non era ovvio?
La voce era molto soave e la fanciulla capì che si trattava di una ragazza, ed ora era assolutamente certa che fossero tutti elfi.
Tivresh era impallidito. Amelia gli lanciò uno sguardo interrogativo, e la ragazza davanti a lei rise, allontanandosi: -Il tuo amico ha capito che siete davvero nei guai. Dopotutto, non abbiamo una bella reputazione, come assassini personali del re. Comunque è ora di andare, basta con i convenevoli.
Varie Ombre tirarono su di peso i ragazzi, portandoli in spalla come delle prede di caccia.
Attraversarono il passo della montagna, in salita, arrivando in mezzo alle cime della catena Torth.La valle era desolata, la vegetazione era poca e prevalentemente cespugli, mentre gli animali erano del tutto assenti, fatta eccezione per qualche aquila che Amelia sentì emettere un grido nel cielo.
Viaggiarono per tutto il giorno, Tivresh e la ragazza iniziarono presto a sentire dolore ai punti di sfregamento delle catene, dove erano appoggiati sulle spalle delle Ombre.
Intanto, Amelia escogitava il piano che avrebbe salvato il suo compagno.
Al tramonto si fermarono per accendere un fuoco, i ragazzi videro le figure incappucciate mettersi in cerchio, intorno alle fiamme.
La ragazza-capo delle Ombre, divertita dalle espressioni spaventate dei prigionieri, si avvicinò loro, prima di unirsi ai compagni, dicendo: -Siete fortunati ad assistere a questo rito.
Ridacchiò e, tramontato il sole, si sedette di fianco ai compari.
I due giovani guardavano con orrore le figure intorno al fuoco, chiedendosi cosa diavolo avessero in programma di fare. Amelia seppe che sarebbe stata l’unica opportunità.
-Ombre- cominciò la ragazza-capo -oggi abbiamo compiuto il nostro dovere in modo eccellente. Dobbiamo esserne orgogliosi.
Tutti rimasero immobili.
-Tuttavia, come sapete, non bisogna cantar vittoria finché non li avremo uccisi, e per nostra sfortuna ci è stato ordinato di portarli a palazzo vivi, chiunque fosse stato in mezzo.
Amelia ringraziò il fatto di aver abbandonato Kelly.
-Perciò dovremo fare il rito con sangue nostro, poiché il nostro dio non attende le morti, quando ha sete. Quindi, per questa volta, come già successo in precedenza, saremo noi a dissetarlo. Siate timorosi, perché la sua ira è implacabile, siate sereni, poiché questo gesto vi farà entrare nel suo corpo.
-Ira implacabile e sete di sangue, questo è il destino di Mentraf- risposero tutti all’unisono.
Alzarono le maniche nere, lasciando scoperte le braccia.
Avevano vari tagli, che si erano probabilmente procurati in riti precedenti.
L’esile figura incappucciata sembrava l’unica femmina fra le Ombre. Fu la prima che, col coltello, praticò sul braccio un taglio, da cui fuoriuscì sangue che venne raccolto in una bacinella, davanti a lei.
Poi ogni Ombra, a turno, si tagliò il braccio versando sangue nella bacinella.
Quando ebbero finito, la ragazza-capo prese la bacinella e ne bevve un sorso. Amelia sentì Tivresh rabbrividire, ma lei non ebbe nessuna reazione. Era concentrata in quello che stava per fare.
Tutte le Ombre bevvero il sangue, poi iniziarono a cantare una litania agghiacciante, in una lingua sconosciuta, gli occhi chiusi per maggior concentrazione.
-Tivresh- sussurrò Amelia -ascoltami bene. Ora io ti libero e tu vai a cercare aiuto.
-Non vedo come potresti riuscire a liberarmi…
-Là c’è il mio pugnale- disse, indicando col mento una casacca nera da cui spuntava il manico blu dell’arma -tu ci dovresti arrivare, col piede.
Tivresh si fece serio. Si piegò di lato e allungò le gambe legate alla casacca, mentre Amelia osservava attenta le mosse delle Ombre.
Ci vollero un paio di minuti, ma il giovane riuscì a far cadere fuori il pugnale, iniziando a tirarlo verso di sé.
Amelia era sempre più in ansia, ma alla fin il pugnale fu sotto le loro grinfie. La ragazza si piegò e afferrò il manico di fianco alle gambe di Tivresh.
Vibrazione. Potere.
Le catene si schiantarono sotto la pressione delle sue braccia e fu libera. Spezzò quelle intorno al ragazzo e gli elfi si interruppero, alcuni imprecarono e le corsero addosso.
-Vai!- sussurrò a Tivresh, prima di gettarsi nella mischia.
Il ragazzo afferrò un mantello nero fra le casacche, mettendolo addosso corse via dal campo. Gli elfi, non riuscendo più a vederlo a causa del buio, si lanciarono tutti contro Amelia, mutando in spaventosi lupi neri.
La ragazza schivava e feriva gli animali, volteggiano da un lupo all’altro, ma poi, l’unico lupo bianco la buttò a terra mentre stava cadendo sopra un suo compagno, e le morse la coscia.
Amelia urlò di dolore, lasciando cadere di mano il pugnale.
Il potere svanì, e le Ombre tornarono in forma di elfo.
La ragazza era tanto stremata da non riuscire a vederli bene in volto, ma quando il lupo bianco mutò in una figura dalle forme femminili ebbe paura.
L’elfa le sputò addosso, dicendo: -Piccola stronza! Non credevo fossi così furba, ti ho sottovalutata!- poi, ansimante, aggiunse -Ma tu hai sottovalutato me.
Amelia svenne, mentre la risata di quell’elfa le rimbombava nelle orecchie.
 
 
 
Spazio Autrice
 
Buondì!
Non riesco neanche a uscire di casa da quanto è alta la neve xD
Spero che questo capitolo non sia stato troppo scontato…
Fatemi sapere cosa ne pensate, soprattutto a proposito delle Ombre.
A presto!

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Capitolo 12
*** Udienza ***


 Amelia, ormai, non capiva più nemmeno dov’era.
Le Ombre le facevano bere qualcosa, ad una certa ora del giorno (o della notte) che lei non riconosceva neanche più.
Non capiva neanche quanto tempo fosse passato, dalla fuga ben riuscita di Tivresh, se l’avessero preso oppure no.
Sapeva solo che veniva trasportata e nutrita.
Non riusciva a ragionare, semplicemente ricordava avvenimenti già successi, senza poterli commentare o pensarci su.
I ricordi partirono da quando era molto piccola, quando gli altri bambini le dicevano: -Perché hai quegli occhi?
-Perché sei strana?
-Sei veramente sua figlia?
Quelle domande l’avevano tormentata, torturata, distrutta.
Poi, l’arrivo di Kelly. Quel fagottino così caldo e delicato, che le tenevano lontano, per paura. Alla fine, Amelia aveva avuto paura di se stessa. Scappava al lago, e quando era abbastanza lontana dal villaggio si metteva ad urlare.
Non diceva nulla, gridava, con la sua voce che nessuno mai ascoltava, urla dirette e senza parole, che esprimevano tutto il disprezzo, l’orrore e la paura che aveva per tutti, anche per lei stessa. Gridava accucciata a terra, con la testa tra le mani, che tiravano i capelli rossi che tanto odiava.
Kelly intanto crebbe, iniziando a interessarsi alla sorella che mai si avvicinava.
Amelia ebbe paura, di farsi toccare, di farle del male.
La bambina però, determinata a conoscere quella sorella che tutti ignoravano, entrò poco alla volta nella sua vita.
Cominciò a stare nella sua stessa stanza, senza dire nulla che potesse spaventare Amelia, senza fare rumore.
Poi, un giorno, Kelly correva per la casa e urtò un tavolino. Un vaso stava per caderle addosso, ma Amelia la buttò di lato, finendo sotto la traiettoria del recipiente, al posto della sorellina.
Nessuno si preoccupò di curarla, dovette far tutto da sola, sotto gli occhi increduli di Kelly.
Mentre puliva le ferite dal sangue, la bambina bagnò un panno, poi lo porse ad Amelia.
Fu così che iniziarono i veri rapporti tra le due sorelle.
Amelia inoltre si ricordò di tutte le giornate vuote, senza andare a scuola.
Rammentò il periodo in cui era affetta dall’autolesionismo, tre anni prima, prima che Kelly la scoprisse e la curasse, alla sola età di sette anni. Ancora non si spiegava come avesse fatto. Ricordava solo che alla fine lei, la maggiore, era scoppiata in lacrime tra le sue piccole braccia, e da allora non si era più ferita.
Poi vide gli ultimi periodi: la creatura del lago, Tivresh, la distruzione del villaggio e la missione.
Qualcuno la scosse violentemente, poi, non ottenendo risposta, le gettò addosso dell’acqua gelata. Amelia si alzò, tossendo violentemente. Era in una cella buia, illuminata solo da una fiaccola.
Davanti a sé vide un vecchio elfo dalla faccia irritata, con una lunga barba grigia e un vestito di sacco indosso.
-Alzati, avanti, non ho tempo da perdere!- esclamò con voce seccata.
Sbalordita, la ragazza si tirò su da terra, accorgendosi di avere catene solo a mani e piedi, non su tutto il corpo.
Le catene erano in mano al vecchio, che tirò a sé la ragazza con rozzezza.
Amelia per poco non inciampò.
-Dove sono?- chiese.
-Non posso dirtelo ora, muoviti o non avrò il tempo necessario per i miei esperimenti!
La fanciulla lo seguì, rassegnata.
Il vecchio la trascinò per il corridoio dei prigionieri, e lì alcuni carcerati, vedendola passare, emettevano fischi di ammirazione.
Era vestita con pantaloni e corpetto, gli avevano tolto la giacca.
La ragazza si sentì umiliata, desiderò strozzare quei prigionieri e far morire quei fischi nella loro gola. Passando, poté solo guardarli in cagnesco.
Alla fine delle prigioni salirono strette scale, che sfociarono in un corridoio ampio e cupo, illuminato solo da un tappeto cremisi.
Ad attenderli, le Ombre.
-Consegnacela- disse l’elfa incappucciata, ma Amelia la riconobbe lo stesso. Era quella che comandava la squadra.
Il vecchio le lanciò l’estremità della catena, che lei prese al volo, dicendo: -Ma ti sei rimbecillito? Sarebbe potuta scappare! Sei proprio un vecchiaccio del malaugurio!
-Grazie del complimento, Slina- fece lui, seccato, per poi voltarsi e tornare ai sotterranei.
-Prospero! Non ti azzardare mai più a pronunciare il mio nome!- urlò lei minacciosa, ma il vecchio era già scomparso giù per scale.
L’elfa imprecò, poi disse: -Forza, sgualdrina, devo portarti dal padrone, muoviti!
Amelia venne portata attraverso i corridoi, fino ad arrivare ad un portone nero.
Le Ombre abbassarono i cappucci, mentre la ragazza li fissava con odio represso.
Erano tutti elfi che dimostravano al massimo trent’anni, con tatuata una zampa di lupo nera sullo zigomo destro. L’unica elfa, che comandava la combriccola, aveva il tatuaggio bianco e corti capelli del medesimo colore, ma aveva occhi color del ghiaccio.
Tutti dissero a gran voce: -Le Ombre chiedono udienza a sua maestà, aprite!
Sotto lo sguardo stupefatto di Amelia, il portone si aprì veramente e lei ebbe paura.
Entrarono nella sala, dove il tappeto rosso terminava il suo percorso davanti ad un trono, dove la ragazza vide un’enorme tigre bianca, presumibilmente un elfo, che stava sdraiata ai piedi del re.
-Vostra Altezza- disse Slina, inchinandosi e tirando le catene, per far cadere Amelia in ginocchio -vi abbiamo portato Mhirael.
-Molto bene- disse il re, alzandosi dal trono e avvicinandosi.
La fanciulla, caduta a terra, alzò lo sguardo con arroganza, per vedere in faccia colui che avrebbe fatto a pezzi non appena fosse stata liberata, e rimase di stucco.
L’elfo che si avvicinava a lei aveva capelli simili ad una fiamma vivente, non troppo lunghi, di color rosso e riflessi arancioni, e occhi neri come la pece.
Quando se lo trovò davanti, osservò il suo fisico, che non aveva nulla da invidiare al più grande dei guerrieri.
Lui si chinò, prendendole il mento con due dita e alzandole la testa, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.
-Mhirael, ti sei fatta proprio bella! Come tuo padre, d’altronde.
-Non mi chiamo Mhirael! E poi che ne sai tu di mio padre? E’ morto- sibilò lei, continuando a fissarlo negli occhi.
Il re rise, poi chiese: -Ne sei sicura?
-E’ successo davanti ai miei occhi, come potrei non esserne sicura?
Il re si irrigidì appena, poi continuò mellifluo: -Hai proprio gli occhi di tua nonna. Sei una meraviglia.
Si alzò, lasciando la presa al mento della ragazza.
-Slina- chiamò.
-Sì, sire?
-Cosa mi dici di Lathos?
L’elfa esitò: -Non so nulla, non era compito della squadra di Menth?
Il re la guardò, poi annuì fra sé: -In effetti era una sua responsabilità. Sephora, moglie mia.
La tigre ruggì, sapendo già il seguito della frase.
-Puoi sbranarti Menth. Ora portate via Mhirael, non me ne faccio nulla di lei, se non ho anche Lathos.
Mentre la trascinavano fuori dalla sala, Amelia pregò che Tivresh avesse trovato aiuto.
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Ciao lettori!
Per questo capitolo ho dovuto usare quasi tutto il pomeriggio, perciò spero non l’abbia utilizzato inutilmente e che vi sia piaciuto, anche se ha, come dire, una nota di tristezza!
Cos’altro posso dirvi… Fatemi sapere cosa ne pensate;)
Ciauuuuuu<3

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Capitolo 13
*** Colpe e paure ***


Slina si stava allenando, da sola, nel bel mezzo della notte, nello stesso posto dove qualche sera prima aveva sentito le urla di Menth, mentre veniva sbranato dalla regina.
Era nel cortile della reggia, dove c’era un bersaglio.
Era buio, ma i suoi coltelli si conficcavano sempre l’area rossa del bersaglio. Al centro.
Si respirava aria fresca, da quel lato delle montagne, anche grazie alla presenza del lago con la cascata. Lo scrosciare dell’acqua rimbombava nel silenzio, mettendo a tacere il senso di colpa della giovane.
Ad un tratto sentì qualcuno alle sue spalle e, senza dire nulla o compiere gesti bruschi, continuò a lanciare coltelli come se nulla fosse.
Poi si voltò di scatto e ne scagliò uno da dove aveva sentito il fruscio.
Stephen le comparve davanti, con il coltello in mano: -Attacchi un tuo superiore, Ombra?
-No, chiedo venia- disse lei, inginocchiandosi e levandosi il cappuccio nero.
Lui sorrise, mostrando i canini splendenti nella notte.
-Qual buon vento vi porta alla vostra sottoposta?- chiese Slina.
-Nessuno, in realtà… Volevo sapere com’è andata dal re, qualche giorno fa- rispose lui, con sguardo innocente e sarcastico.
-Gli abbiamo portato Mhirael, lui è rimasto soddisfatto.
-Capisco… Le ha detto qualcosa di particolare?
-Solo che è diventata bella come suo padre, nulla di più.
Stephen si irrigidì. Poi, sbottò: -Come immaginavo.
Slina osò chiedere: -Non vi farete vedere dalla ragazza?
L’elfo si girò di scatto, prendendole il collo con una mano e sollevandola da terra, poi, con gli occhi neri pieni di furia, esclamò: -Non hai il diritto di sapere nulla! Devi solo eseguire gli ordini, mi hai capito?
L’assassina annuì, tossendo, e il giovane la lasciò cadere a terra stremata.
Poi si chinò su di lei e le bisbigliò: -Ti senti in colpa, vero? Consolati: molte Ombre sono morte al posto mio, ma non ho mai provato sensi di colpa, perché loro sanno fin dal principio di essere qui per conto mio.
-Ma Menth…
-Menth avrebbe dovuto sorvegliarti, invece di fregarsene e tornare nel regno elfico a divertirsi. E’ colpa sua.
La giovane sospirò, guardando Stephen negli occhi, poi annuì convinta.
-Bene- disse lui -ora puoi tornare ad allenarti. Per la prossima missione voglio Lathos, e il re è impaziente, come sai.
L’Ombra annuì, portando la mano sinistra al petto.
Quando alzò lo sguardo, l’elfo se n’era già andato. Lo rispettava, era, mettendo da parte i suoi titoli, un elfo molto determinato e spietato.
Slina riprese ad allenarsi, con ancora le urla di Menth nella testa.
Stephen, scendendo le scale per andare da Prospero, pensava a quanto disprezzava le Ombre, Slina in particolare. Non sopportava che si atteggiasse come un’assassina, se poi non sapeva reggere l’uccisione di un compagno con cui aveva parlato sì e no due volte.
Per non parlare degli assassini al completo… Veneravano un’entità che si dissetava di sangue, perciò dovevano berne in modo tale da sfamarlo, tramite i loro stessi corpi… Una cosa deplorevole, contro natura, che però il re sopportava con un poco di ammirazione, tutto pur di avere quegli elfi a sua disposizione.
Arrivò alla stanza dei maghi, odorante di incenso come al solito, dove il vecchio stregone leggeva con attenzione maniacale un libro di antiche magie elfiche.
-Prospero, che diavolo stai facendo?
Il mago alzò lo sguardo seccato, squadrandolo con i suoi occhi castani: -Cerco una formula per quell’incapace di Pryc, che non sa fare neanche una magia ed è diventato stregone per sport!
Stephen sghignazzò: -Perché rompe le scatole a te? Non lo sa che potrei arrabbiarmi anche io come te, se non sei a mia disposizione?
-E’ uno nuovo, lascialo stare ragazzo. Col tempo imparerà le regole.
-Allora non ti dà poi così tanto fastidio…
-Invece sì, è solo che me l’hanno rifilato come allievo e per non fare figure del cavolo lo devo istruire come si deve!
L’elfo annuì, comprensivo, poi il vecchio gli chiese: -E tu invece come mai vieni a disturbarmi?
-Per Mhirael… Com’è?
Il vecchio lo guardò negli occhi, con serietà: -Di cosa hai paura? Che prenda il tuo posto?
Stephen scoppiò a ridere, dicendo: -Non dire sciocchezze! Lei non potrebbe avere il mio titolo, neanche se passasse dalla nostra parte! Ora, dimmi com’è.
Prospero disse: -Capelli rossi, lunghi e lisci fino in vita, fisico appropriato ad una ragazza, occhi bianchi…
-Non intendevo in quel senso, lo sai benissimo- lo interruppe Stephen seccato.
-Oh oh, vuoi sapere cosa ho letto nei suoi occhi?- chiese il vecchio, con un ghigno dipinto in faccia.
-Ovvio.
-Dolore. Rabbia. E anche desiderio di sfogarsi- disse il mago, diretto.
Seguì una pausa di silenzio, in cui Stephen attendeva ulteriori dettagli: -Nient’altro?
-I suoi occhi non mi permettono di leggere nulla di più, solo le sensazioni che prova in quel preciso momento.
-Perché?
-Non lo so, dannazione!- esclamò seccato Prospero -può darsi che sia stato il pugnale, eppure qualcosa non mi torna. I suoi occhi sono totalmente bianchi, neppure la pupilla è nera, come se fosse completamente pura, ma d’altro canto i suoi sentimenti sono malefici…
Il vecchio si perse nelle sue affermazioni, e si zittì.
Stephen intanto rifletteva. Non sapeva che pensare, a dir la verità, non era mai successo che Prospero, detto anche l’Hatrev, ovvero lettore delle anime in antico elfico, non riuscisse a leggere l’animo di qualcuno.
Quella ragazza era un problema. Di solito, i problemi li faceva fuori, ma quella volta non poteva.
Uscì dalla sala dei maghi, irritato.
Andò verso le prigioni, chiedendo se l’unica ragazza prigioniera fosse sveglia. La guardia gli disse che le avevano somministrato un soporifero.
Sentito ciò, l’elfo andò alla sua cella. Mhirael dormiva, distesa a terra. La ragazza aveva davvero un bel fisico, come aveva detto Prospero, le ciocche rosse, color del fuoco, erano sparse sotto di lei mettendo in risalto la pelle pallida.
Sapere che di lì a un paio di settimane avrebbe compiuto sedici anni non aiutava. Dovevano recuperare assolutamente Lathos.
Stephen colpì le sbarre con violenza, frustrato, facendo un baccano pazzesco.
La ragazza nella cella si agitò nel sonno, e l’elfo ritenne opportuno andarsene, prima che la voglia di ucciderla l’assalisse.




Spazio Autrice

Che noia sto’ capitolo!
Mi sa che non se lo leggerà nessuno :p
Mi scuso ufficialmente, in caso tu, lettore dall’aureola sulla testa, abbia letto tutto questo capitolo un po’ noioso xD
Il prossimo sarà più interessante, promesso! *saluto militare*
Ciao belli e belle<3

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Capitolo 14
*** Kento ***


-Kento, non ti ho ancora ringraziato.
-Non devi, figurati, a cosa servono gli amici?
Tivresh annuì, sdraiato sul letto, col torace fasciato. Dopo essere fuggito, era riuscito ad andare da Kento, il suo unico amico elfo, nonché esperto di magia.
-Ancora non capisco- disse l’elfo, sovrappensiero -per quale ragione voi umani non riusciate a utilizzare la magia.
-Voi siete ciò che è più vicino alla natura, mi sembra normale.
Kento ridacchiò, poi chiese: -Allora, le tue ferite?
-Guarite completamente, grazie al tuo incantesimo.
Ci fu una pausa di silenzio, in cui l’elfo trafficava con varie ampolle e Tivresh lo guardava, rapito dai colori delle pozioni.
Kento aveva diciassette anni, capelli di un biondo scuro e occhi verdi, ed era stato consacrato alla Cicuta, una pianta velenosa molto diffusa, soprattutto nella parte nordica del regno elfico. L’elfo era figlio di contadini e aveva sentito le crudeltà del re nel peggiore dei modi, perciò si rifiutò di servirlo, scatenano l’ira del sovrano.
Era allora che Tivresh l’aveva trovato, un anno prima. In quel periodo il ragazzo aveva appena iniziato a viaggiare, e stava per uccidere Kento, ma lui gli curò le ferite procuratosi nell’ultimo scontro con un elfo e i due strinsero amicizia.
Avevano trovato insieme il primo pugnale e Kento aveva scoperto il luogo dove si trovava il secondo, grazie alle arti magiche che aveva imparato di nascosto da un vecchio del suo villaggio, quando era ancora bambino.
E ora, dopo che Tivresh era andato a prenderlo da solo, tornato alla capanna senza successo, Kento era stato messo al corrente di tutto, e anche se dava un’impressione di serenità mentre sistemava i suoi intrugli, il ragazzo sapeva che l’amico ci stava riflettendo molto.
-Senti, Tivresh- disse l’elfo -cosa pensi di fare ora?
-Non ho molte possibilità… Mi devo intrufolare a palazzo e recuperare i due pugnali, oltre ad Amelia.
-Quella ragazza… Da quello che mi hai raccontato è molto coraggiosa. Cosa sai di lei, oltre al villaggio dove viveva e del legame con la sorellina?
-Nulla, credo. I suoi genitori, come ti ho detto prima, non le parlavano mai, lei era, come dire, abituata a queste relazioni senza affetto.
-I suoi occhi non mi convincono… Gli elfi hanno occhi strani, a volte anche gli umani, ma non ho mai sentito di occhi completamente bianchi. Qualcosa non mi torna.
-Kento, ora non abbiamo tempo di preoccuparci di questi dettagli. Devo liberarla, e anche presto.
-Lo so… Dobbiamo andare in due, però, o non riuscirai a far altro che farti catturare un’altra volta.
-Ha ha, che spiritoso- commentò Tivresh con sarcasmo.
Kento sogghignò, poi annunciò: -Partiremo domani mattina, ok?
-D’accordo. Sto facendo aspettare Amelia anche troppo, è da una settimana che sono qui da te senza avere sue notizie… Potrebbero averla uccisa.
-No, non possono… Se le nostre previsioni sono corrette, il re non lo farà.
-Ovvio, ma rimane sempre il dubbio- sospirò Tivresh.
-Anche te, non potevi chiederle in che giorno preciso compierà sedici anni?
-Scusami, ma francamente me ne sono dimenticato, ha solo accennato che li compierà presto.
-Allora a maggior ragione, dobbiamo partire al più presto, ora riposati- disse Kento.
Tivresh annuì, tirandosi su le coperte e chiudendo gli occhi.
Kento finì di sistemare le ampolle, preoccupato. Non avevano molto tempo.
Guardò l’amico, chiedendosi se fosse opportuno metterlo a conoscenza di quello che sapeva. Prima o poi l’avrebbe scoperto, ma forse era meglio non dirgli tutto, non sapeva che reazione avrebbe potuto avere.
Sospirò, afflitto. Avrebbe dovuto fingere di non sapere nulla, finché non l’avesse scoperto da solo. Si maledisse per tradire così un’amicizia, la più preziosa che aveva, ma non aveva scelta.
Prese il libro viola che stava sula scrivania e uscì dalla capanna, nel bel mezzo del bosco. Arrivò ad una radura, dove una quercia enorme cresceva e sovrastava tutti gli altri alberi.
Andò davanti alla quercia, che era l’albero più antico della foresta, dove posò il libro e chiamò: -Fros!
Dopo qualche secondo il tronco tremolò, come se fosse fatto d’acqua, e ne uscì la figura di un omino dai capelli color acquamarina, la pelle diafana e due occhi che parevano gemme azzurre, che disse: -Kento. Cosa ti spinge a invocarmi?
-Dovresti saperlo, folletto.
-Amelia, vero?
-Già. Si può sapere cosa diavolo devo fare? E’ lei! Gli occhi sono inconfondibili, ed è stata scelta da un pugnale, spiegami come è potuto succedere!
-Non lo so- disse Fros, con calma.
-Come non lo sai?! Dannazione! E’ una cosa contro natura!
-Anche tu lo sei, allora.
Kento si zittì, guardando altrove.
-Vedi- cominciò il folletto, con pacatezza -in realtà non esiste qualcosa contro natura. Siete voi che la fate diventare così, con le vostre sciocche convinzioni. Madre Natura sa quello che fa, ogni sua azione vuole insegnarci qualcosa. Dovresti saperlo, Kento. Gli elfi si stanno facendo aggressivi e gli umani schivi, forse la Madre vuole riportarci ai rapporti iniziali.
-Gli elfi, io compreso, sono ormai perduti, venduti a Mentraf. Dimmi come potrebbe questo farci tornare come prima.
-Non lo so. Ma ricordati che Madre non crea nulla che non abbia un preciso scopo.
L’elfo annuì, perplesso.
-Ora mi ritiro, sto sprecando troppe energie. Buona fortuna per il viaggio- disse Fros.
-Come lo sai?!
Il folletto fece una risatina simile a un tintinnio di campanelli, dicendo: -Noi folletti parliamo sempre, ricordatene, ti tornerà utile.
Kento lo vide rientrare nella quercia, per poi scomparire dalla sua vista.
L’elfo non seppe far altro che rassegnarsi e tornare alla capanna, col cuore in gola.
Dormì senza sogni, e il giorno dopo si alzò all’alba, svegliando anche Tivresh. L’amico si tirò su dal letto con facilità e togliendosi le bende ormai inutili.
Presero delle provviste e Kento applicò vari incantesimi alla capanna, affinché chiunque ci entrasse la vedesse senza mobili e piena di sterco. Questo avrebbe dovuto tenere lontani i curiosi.
Partirono spediti, ognuno concentrato nei suoi obiettivi.





Spazio Autrice

Konichiwa!
Spero che questo capitolo abbia stuzzicato la vostra fantasia ;)
Voglio assolutamente sapere cosa ne pensate di Kento e del folletto, le vostre supposizioni sui discorsi che sono stati affrontati e le vostre idee su come è stato impostato il capitolo u.u
Nel prossimo capitolo (MINI-SPOILER) si torna a palazzo, reggetevi forte!
Sayonara!<3

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Capitolo 15
*** Corsa ***


Amelia aprì gli occhi, nella cella che la ospitava da vari giorni.
Davanti a sé vide Slina, col cappuccio abbassato. La guardava in cagnesco, con i suoi occhi di ghiaccio, coperti da vari ciuffi dei capelli bianchi.
La ragazza tremò di paura, chiedendosi cosa volesse da lei quel mostro.
Non ebbe bisogno di chiederlo, l’elfa, non appena la vide strisciare lontana da lei, le schiacciò la gamba col piede, bloccandola, poi le disse: -Fra poco è il tuo compleanno, vero?
Amelia non rispose, continuando a fissarla con gli occhi spalancati.
L’Ombra sogghignò, soddisfatta dal terrore che invadeva la fanciulla a causa sua.
-Sai- continuò l’elfa -tuo fratello sarà catturato presto, non sarai più sola. Insieme, servirete il nostro re in maniera impeccabile, consegnandogli tutto l’impero e le terre remote.
-Mai!
L’assassina rise di gusto: -Lo vedremo, sgualdrina! Sei proprio disgustosa, mi irrita il fatto che sarete voi i prediletti del mio sovrano, anzi, che lo siate già ora.
-Non vedo come potrei esserlo, in questo momento- commentò Amelia, che aveva riconquistato un po’ di coraggio.
Slina la guardò con disprezzo, senza chinarsi, come se la ragazza non ne fosse degna, e fece pressione col piede, sulla sua gamba. La giovane trattenne un urlo di dolore, mordendosi il labbro.
-Sei patetica, Mhirael, lo sai?
La ragazza ansimò forte, incapace di rispondere.
L’Ombra tolse il piede, indietreggiando di qualche passo: -Non puoi liberarti, i pugnali sono stati portati in un’altra sede, non hai speranze, anche se i nostri stregoni ti hanno curato tutte le ferite che avevi. Non vedo l’ora di vedere la tua sottomissione. Mancano due settimane al tuo compleanno. Alla tua fine, all’inizio.
Così dicendo uscì dalla cella, ridendo.
-Il mio nome è Amelia, non Mhirael!- le urlò dietro la fanciulla, ma Slina non la degnò di uno sguardo.
Amelia era confusa. Come poteva essere, lei, la prediletta del re? Cosa significava il suo compleanno per quegli stupidi elfi? E perché avrebbero catturato Derek? La ragazza era perplessa, quando ad un tratto le venne in mente una cosa che la fece inorridire.
Kelly.
Se avessero puntato a Derek, avrebbero preso anche lei. Nel peggiore dei casi, l’avrebbero anche uccisa. Amelia imprecò sottovoce. Non poteva fare niente, in quel momento. Era una prigioniera, e senza pugnale anche la forza acquisita non serviva assolutamente a nulla. Tivresh doveva muoversi e fare qualcosa, in qualsiasi luogo si trovasse, altrimenti, nemmeno lei avrebbe potuto prevedere cosa sarebbe successo.
La ragazza si stupì di come la sua vita, fino a un mese prima inutile, fosse diventata così movimentata. Non che le sarebbe piaciuto tornare alla vita precedente, dove era rifiutata, ma rivoleva la tranquillità di quei periodi, il modo in cui dava per scontate molte cose, che ora le mancavano.
Come il cibo. Le portavano un tozzo di pane alla mattina e alla sera, con un po’ d’acqua, ed era costretta a liberarsi dai liquidi corporei in una stanzetta in fondo alle prigioni, accompagnata da una guardia; il che la faceva sentire parecchio umiliata, peggio delle discriminazioni al villaggio.
Era tormentata da quello che avrebbero potuto farle e che cosa sarebbe successo.
Dopo quella spiacevole visita da parte di Slina, non seppe far altro che cercare di dormire, con la scusa di avere piene energie nel caso fosse riuscita a escogitare la propria fuga.
Dentro di sé, però, sapeva che c’erano poche speranze.

-Amelia, svegliati dannazione!
La ragazza aprì gli occhi, mentre qualcuno le scuoteva il braccio con insistenza.
Davanti a lei c’era un elfo dai capelli corvini, che la guardava preoccupato con occhi color nocciola e stranamente familiari.
-Chi sei? Che vuoi?- disse lei.
L’elfo la zittì, sussurrando: -Fai piano, o la tua fuga non riuscirà! Sono Tivresh.
-Tivresh? Da quando in qua sei un elfo?
-Magia di travestimento, ma ora muoviti, la polvere soporifera non durerà a lungo!
Amelia si guardò intorno. Tutti i carcerati, guardie comprese, erano stesi a terra, dando l’impressione di dormire profondamente.
Si fece improvvisamente seria. Se anche quell’elfo non fosse stato davvero Tivresh, avrebbe comunque dovuto sfruttare l’opportunità per scappare.
Si alzò, scoprendo che l’elfo l’aveva liberata dalle catene.
Tivresh iniziò a farle strada, corsero silenziosamente per il corridoio delle prigioni e salirono le scale che portavano ai corridoi del palazzo. Li percorsero velocemente, Amelia seguiva l’elfo senza capire che direzioni prendevano: quel castello aveva tanti corridoi da far invidia ad un labirinto.
Giunsero in una grandissima sala, dove vari domestici erano stesi a terra, profondamente addormentati come il resto delle guardie. Tivresh spalancò i portoni di legno rosso mattone, che davano su un cortile ben mantenuto.
Attraversarono il giardino, seguendo la strada sterrata, e arrivarono ad un cancello di ferro battuto, dove un elfo biondo li attendeva.
-Kento, muoviamoci!- urlò Tivresh, e l’elfo annuì.
Iniziò a pronunciare delle parole in una lingua sconosciuta, ma che suonava molto familiare ad Amelia, e il cancello si spalancò di botto.
Amelia si sentì afferrare la mano e quando guardò verso l’elfo dai capelli corvini rimase sconcertata: al suo posto c’era Tivresh, il vero Tivresh.
La trascinò fuori dal cancello, che si chiuse non appena furono fuori.
I tre fuggirono dal palazzo, attraverso il bosco che lo circondava, Amelia non si voltò nemmeno per vedere in che razza di posto era stata chiusa fino a qualche minuto prima, correva attraverso la vegetazione, seguendo di qualche passo Tivresh e lo strano elfo di nome Kento.
Prima di iniziare a domandarsi chi fosse, tirò un sospiro di sollievo.
Era libera.




Spazio Autrice

Capitoletto alquanto movimentato, non vi pare?
Il re non sarà affatto contento, no no.
Beh, se volete conoscere la prossima mossa su questa intricata scacchiera di cui non si conoscono neppure tutte le pedine, leggete anche il prossimo capitolo!
A presto:3

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Capitolo 16
*** Ripresa dalla fuga ***


-Siamo al sicuro ora?- chiese Tivresh, ansimando.
-Si, ho eretto tutte le barriere- confermò l’elfo.
Amelia, stremata dalla corsa senza pause, respirava forte in un angolo della casetta abbandonata in cui si erano rifugiati.
Tivresh si lasciò andare in una risata liberatoria. Amelia sorrise lievemente, mentre pian piano si riprendeva dalla corsa. Poi, con un po’ più di fiato, disse: -Mi dovresti… Presentare… Al tuo amico, Tivresh…
Lui rise, poi disse: -E’ Kento, uno di cui ci si può fidare.
-Ah, beh, piacere…- esclamò la ragazza.
L’elfo le sorrise, guardandola negli occhi.
Amelia distolse lo sguardo, un po’ infastidita, chiedendo: -Come hai imparato a fare queste magie? E che lingua era quella? Mi era familiare…
Kento esitò, poi disse: -Era antico elfico… Mi pare molto strano che ti sia familiare, nessun umano o elfo che non abbia studiato l’arte della magia sa lontanamente cosa sia…
-Ah… Quindi tu hai studiato magia?
-Sì, da un vecchio del mio villaggio.
Amelia lo guardò meglio. Era proprio un bel ragazzo, nonostante fosse un elfo. I suoi occhi le sembravano due smeraldi, catturavano continuamente il suo sguardo. La ragazza si sforzò di guardare altrove, imbarazzata.
Tivresh la salvò, richiamando la sua attenzione: -Allora, che mi dici dei pugnali?
Lei sospirò: -Mi hanno detto, per scherno, che non sarei riuscita a scappare perché erano stati portati in un’altra sede. Non so quanto sia attendibile questa informazione, però…
-Capisco.
-Come siete riusciti a farmi scappare?
-Ho applicato una magia di travestimento a Tivresh, trasformandolo in una copia di una guardia che avevamo intravisto da fuori, poi sono riuscito, dopo un paio di giorni, ad abbattere le difese del palazzo e praticare una magia soporifera che vi ha permesso di fuggire- spiegò Kento.
-Io ero entrato appena la magia di travestimento ha fatto effetto, ma ho dovuto aspettare che Kento facesse addormentare tutti.
Amelia annuì col capo. Erano stati geniali.
Grosse lacrime iniziarono a scenderle sulle guance, prima che avesse il tempo di dire qualcosa. Tivresh le corse dinnanzi, asciugandole il viso e cercando di tranquillizzarla: -E’ tutto finito, calma, non ci possono raggiungere qui, non piangere.
La abbracciò, e lei pianse sulla sua spalla tutta la rabbia e la paura che l’avevano invasa durante la prigionia. Poi, in mezzo ai singhiozzi, disse: -Hanno intenzione di catturare Derek… Non so perché… Dobbiamo proteggerlo… E anche Kelly…
-Ehi, ehi, tranquilla, ci penseremo noi, capito?
Amelia fece sì col capo, affondando il viso nella spalla di Tivresh. Stranamente, le ricordò di quando Kelly le piangeva tra le braccia. Il pensiero della sorellina le fece aumentare lo sconforto, gettandola in un pianto silenzioso e disperato.
Era una delle poche volte in cui mostrava le sue debolezze a qualcuno, eppure, tra le braccia di Tivresh si sentiva al sicuro.
Il ragazzo, dal canto suo, era pervaso da un senso di protezione per quella ragazza, così fece cenno a Kento di andare a prendere delle provviste, mentre sollevava Amelia da terra.
L’amico capì al volo e uscì, mentre Tivresh metteva la ragazza stesa in un letto di fianco ad un armadio.
-Senti- le disse il ragazzo -ora devi riprenderti, riposati, ci aspetta un lungo viaggio per andare alla base, dall’altra parte delle montagne, ora siamo in una casa abbandonata e non è il luogo adatto in cui fermarsi. Ce la fai a dormire un po’, o almeno a calmarti stando sdraiata?
Amelia annuì, singhiozzando.
-Io rimarrò qui, al tuo fianco, non me ne vado, capito?
-Sì…
Tivresh mantenne la promessa. Amelia aveva dormito molto nelle prigioni, perciò non riuscì a prendere sonno, nonostante fosse quasi il tramonto. Sentì la presenza del ragazzo tutto il tempo, mentre cercava di farsi entrare in zucca che era libera e avrebbe potuto proteggere Kelly.
Quando Kento rientrò, dopo il tramonto, lei si alzò, scoprendo che Tivresh si era addormentato, seduto di fianco al letto. L’elfo ridacchiò, poi salutò la ragazza, dandole una mela.
Amelia si alzò dal letto, andando a mangiare il frutto di fianco a Kento. Anche lui stava mangiando, perciò per un po’ rimasero in silenzio, gustandosi la cena, anche se un po’ in ritardo. Quando ebbero finito, la ragazza osò chiedere: -Come siete diventati amici?
-All’inizio eravamo due ragazzi che avevano in comune soltanto la rabbia che ci consumava da dentro- rispose l’elfo -poi, prima che mi uccidesse, sentii il bisogno di compiere qualche azione utile prima di morire, e gli curai le ferite. Lui all’inizio rimase sorpreso e sospettoso, ma poi decise di graziarmi e liberarmi. Gli chiesi come mai ce l’avesse con gli elfi, e dopo avermi raccontato la sua storia, io gli raccontai la mia, e ci mettemmo al lavoro per trovare i due pugnali.
-Come mai lo aiuti?
-Io voglio distruggere l’impero elfico. Mi rifiutai di servire il re, dopo il rito di iniziazione, perché aveva reso la vita dei miei genitori un inferno, con tasse altissime e vari sequestri di raccolti. Hanno ucciso la mia famiglia solo per spronarmi a servire il re, minacciando che avrei fatto la stessa fine. Li odio.
-Perché ti vuole? Hai forse qualche segno particolare?
Lui esitò, poi disse: -Sono consacrato ad una pianta velenosa, di elfi come me ce ne sono pochi. Inoltre sono abbastanza bravo con la magia. Credo siano questi i motivi principali.
Rimasero in silenzio. Amelia capiva perfettamente ciò che provava Kento, era lo stesso odio che si portava dietro anche Tivresh. La ragazza provava quell’astio per tutti quelli che l’avevano discriminata e umiliata.
Tre ragazzi, con passati e modi di pensare differenti, ma con lo stesso odio dentro di loro.
Amelia annuì fra sé, determinata. Loro ce l’avrebbero fatta. Avrebbero fatto subire a tutti quegli stupidi elfi quello che loro erano stati costretti a sopportare.
Si sentiva sporca a pensare una cosa simile, ma era convinta di essere nel giusto.
Guardò fuori dalla finestra, dove il buio della notte circondava le stelle, avendo su di lei il solito effetto calmante che la fece tranquillizzare.
Osservando gli astri, rimase incantata da due stelle in particolare, una grande e una piccola, che sembrava nascondersi dietro l’altra.
Le venne in mente la sorellina.
-Kento, tu riusciresti a proteggere Kelly?
-Kelly? Tua sorella?
-Sì. Gli elfi hanno detto di voler catturare mio fratello, ed è con lui che lei vive ora. Ho molta paura per le loro sorti, certamente saresti più utile qui con noi, ma mi sentirei molto più sollevata sapendoli affiancati da te.
Kento rifletté per qualche minuto, poi disse: -Per me andrebbe bene, non ho nulla in contrario, potrei lasciarvi delle pozioni, che sostituirebbero le mie magie. Non sarà come avermi a fianco, ma è già qualcosa. Dobbiamo solo chiedere a Tivresh.
Amelia annuì, libera dal peso che si portava dalla fuga dal palazzo.
Sperò soltanto che Tivresh non tradisse le sue aspettative.
-Amelia, vuoi andare a dormire?
-In realtà no, se vuoi posso fare io da sentinella.
Kento acconsentì, andando a sdraiarsi sul letto, mentre la ragazza si metteva davanti alla porta, a gambe incrociate.
La notte si prospettava lunga.





Spazio Autrice

Arigatou per aver letto fino al sedicesimo capitolo! Yuuuu ^__^

La battaglia è appena iniziata. Le pedine iniziano a muoversi.
Sapranno i nostri eroi prevedere le mosse dei nemici?
Scopritelo nel prossimo capitolo di “Innocence”!

…Ok questa me la potevo risparmiare xD
Comunque fatemi sapere che ne pensate, le vostre previsioni ecc… Sono curiosa!
Alla prossima<3

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Capitolo 17
*** Piano B ***


 -Siete degli inetti! Come diavolo si sono introdotti, perché non li avete riconosciuti?!
Il re urlava nella sala del trono, dinnanzi a tutti gli stregoni della reggia e alle Ombre.
Erano ormai due ore che si erano svegliati proprio tutti, e il sovrano li aveva convocati. Mancava poco all’alba, e Stephen guardava la scena con disprezzo, vicino al trono, con Sephora sdraiata di fianco a lui.
Prospero, tra i maghi, tremava dal nervosismo.
Se Stephen era sicuro di qualcosa, era che quel vecchio non avrebbe retto una punizione nei suoi confronti, e solo lui avrebbe avuto il fegato di fare qualcosa. Così fu.
-Senti, Alisten- cominciò lo stregone, facendo due passi avanti -io non c’entro nulla, non era mio compito sorvegliare la reggia, non ti azzardare a tirarmi dentro!
-Prospero, il tuo vizio di chiamare le persone col proprio vero nome mi innervosisce, lo sai bene.
-Io faccio ciò che più mi aggrada, me lo permette l’esperienza e l’età, anche tu l’hai ammesso.
Il re, già più tranquillo, rimase in silenzio, e annuì.
Il vecchio dichiarò: -E’ stato un errore imperdonabile farsi sfuggire Mhirael, avremmo dovuto prevedere un attacco simile, ma anche io mi domando chi sia stato. Come ben sappiamo, gli umani non possono utilizzare la magia, e i nemmeno coloro che non sono stati istruiti. Dobbiamo quindi tenere presente che potremmo essere stati traditi, o supporre dell’intervento di altre razze.
Un mormorio preoccupato attraversò la sala, ma il re urlò: -Silenzio, subito!
-Questo è quanto avevo da dirvi. Ora mi tolgo dai piedi- così dicendo Prospero diede le spalle al sovrano e uscì dalla stanza, senza degnare nessuno di uno sguardo.
Alisten si voltò verso Stephen, lanciandogli un’occhiata d’intesa.
-Piano alternativo, sire?- chiese il ragazzo.
-Sì. Non ammetto errori, Stephen.
-Non ce ne saranno, mio signore.
Sephora sbadigliò, dando mostra della chiostra di canini che possedeva.
Poi un fascio di luce la avvolse, trasformandola in una bellissima elfa, sdraiata di fianco al trono, dai lunghi capelli blu e gli occhi neri come il carbone.
Si alzò con grazia, esibendo le sue generose forme con vanità.
-Dove vai, Sephora?- chiese il re.
-A fare due passi, Alisten. Sono stanca di rimanere chiusa qui, devo sgranchirmi le gambe. Chiamami quando devo sbranare qualcuno.
Il sovrano ridacchiò divertito, mentre la donna usciva dalla stanza, seguita dallo sguardo di quasi tutti i presenti.
Le uniche ragazze e donne presenti, infatti, avevano continuato a guardare il re, per rispetto. Tra di esse stava Slina, a volto scoperto e con grande disagio.
Era preoccupata.
Se Stephen partecipava alla missione, significava che lei era fuori gioco.
Cosa le sarebbe successo?
Il re richiamò l’attenzione dei convocati, battendo due volte le mani.
Tutti si ricomposero, pronti a subire le successive ire del loro signore.
-Dunque, Ombre, cosa dovrei fare con voi? Stando ai miei ordini, non era vostro compito recuperare i gemelli? Si faccia avanti un portavoce.
Nessuno mosse un passo. Slina deglutì, terrorizzata. Toccava a lei farsi avanti? Non seppe rispondersi, ma fece comunque un  timoroso passo avanti.
Mentre compiva quel semplice passettino, si ricompose. Se doveva finire sbranata, doveva esserlo con l’orgoglio di essere stata un’Ombra spietata e senza paure. Smise di tremare, decisa.
-Slina… Ero sicuro che saresti stata tu- commentò il re, compiaciuto.
Lei alzò lo sguardo, mentre si inginocchiava: -Sì, sire.
-Cosa devo fare, dunque?
-Non è di mia competenza dirvi cosa dovete fare, altezza- detto ciò, decise di fare come Prospero, e aggiunse -era di mia competenza solo far arrivare a palazzo Mhirael per consegnarvela. Le Ombre non dovevano fare altro. Le prigioni erano sotto sorveglianza delle guardie che voi avete già fatto divorare alla regina, se dovete chiedere qualcosa dovreste rivolgervi ai maghi che si occupano delle barriere magiche, dato che Prospero sostiene che siano state effettuate magie.
Il re rifletté per un paio di minuti, poi ordinò: -Alzati, Ombra. Tu e i tuoi compagni siete liberi di andare, e così anche i maghi. Rimangano solo quelli addetti alle barriere.
Le Ombre alzarono i cappucci sul capo, posarono la mano sinistra al petto e uscirono silenziosi, seguiti dai maghi risparmiati.
Slina ghignò, soddisfatta del suo operato.
Stephen, intanto, era andato da Prospero, che gli aveva dato le pozioni e le informazioni per mettere in atto il suo piano.
-Spero tu risolva tutto questo casino, ragazzo- disse il vecchio, acido, mentre gli porgeva le ultime pozioni con veloci gesti.
Il giovane elfo rise tra sé, prima di dire: -Che altro ti aspetteresti? Risolverò tutto, mi pare ovvio.
Prospero rise, guardandolo negli occhi: -Hai una fifa del diavolo! Non dire baggianate!
Stephen si fece serio, con aria minacciosa.
Il vecchio cambiò atteggiamento, smettendo di deriderlo. Disse: -Comunque sappi che le pozioni di travestimento durano solo una settimana, le restanti quarantotto ore.
Il ragazzo annuì, poi si voltò per andarsene.
Prospero, rabbrividendo, si lasciò cadere sulla sua poltrona, mentre Stephen usciva dalla stanza.
-Quel tipo mi ucciderà, prima o poi- borbottò, prima di mettersi a sghignazzare.
Come poteva quell'inesperto uccidere il più grande mago del mondo elfico? Era assurdo. Il pensiero gli tornò ai suoi esperimenti, e riominciò a lavorare con fretta e precisione.
Intanto, Stephen valutava la paura che celava nel più profondo angolo del suo cuore. Di cosa aveva paura lo sapeva benissimo, ma non sapeva come bloccare questo stupido sentimento.
Uscì da palazzo con la casacca in spalla, piena di pozioni e un cambio di vestiti.
In cortile, vide Sephora strappare con rabbia fiori neri dalle aiuole, mentre l’alba iniziava ad illuminarla tra le foglie degli alberi.
-Regina- disse, inchinandosi.
Lei si voltò, squadrandolo con sospetto: -Che ci fai qui? Mi hai seguita?
-Niente del genere, altezza. Sto partendo per recuperare Mhirael.
-Ah, quella mocciosa… Vorrei tanto sbranarla. Come te.
Stephen rise, dicendo: -Non sarebbe meglio sbranare il problema principale, il re?
-Alisten… Anche con lui potrebbe essere divertente, vedere come urla, mentre gli stacco la testa. Lui, e tutte quelle sgualdrine che prende al mio posto.
Il ragazzo la osservò, mentre sradicava un altro fiore e gli staccava i petali neri con rabbia. Era una bellissima donna, il meglio delle fantasie che un elfo possa crearsi, ma per qualche strana ragione il re non si accontentava di lei.
I capelli blu le scendevano sulle generose e armoniose forme, che Stephen evitava di guardare.
-Bene, io devo congedarmi, con vostro permesso.
Sephora, senza neppure voltarsi, disse: -Vai, vai, mio piccolo suddito, e soddisfa il desiderio di quel mio marito bastardo di avere quella ragazzina. Tanto, la sua disfatta non potrà essere cambiata, perché le previsioni dei maghi si avverano sempre, anche se cerchi in tutto e per tutto di sfuggire al destino.
Stephen se ne andò, lasciando la regina seduta in mezzo ai fiori.
La sua missione non poteva fallire, nonostante le parole veritiere e piene di rabbia della sua sovrana.
E questo era di vitale importanza.
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Rieccomi, miei adorati lettori, vi voglio così tanto bene!
Ho voluto “approfondire”(si fa per dire xD) un po’ Sephora, visto che è piaciuta molto come personaggio.
Cosa ne pensate di questo seguito? Fatemi sapere! Sono molto ansiosa di avere un vostro parere!
A presto<3

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Capitolo 18
*** Ritrovo ***


 -Tivresh! Ti sei fatto male?
Il ragazzo rise, sdraiato in mezzo al muschio: -No, non avevo visto quella radice…
Amelia, che aveva visto la patetica scena da dietro, era immersa in un mare di risate, mentre Kento lo aiutava a rialzarsi.
-Hai finito di ridere delle disgrazie altrui?- chiese il giovane, seccato.
Amelia, con le lacrime agli occhi, disse: -Non puoi… Neanche immaginare come sia stato…
Le risate la bloccarono, e non riuscì a finire la frase.
Anche Kento iniziò a sghignazzare sotto i baffi, contagiato, ma Tivresh lo beccò in pieno, guardandolo con finta delusione.
La ragazza smise pian piano di ridere, e Tivresh sospirò: -Ma guarda con chi mi ritrovo…
-Su, non fare lo stupido, stai meglio? Dobbiamo riprendere il cammino, manca poco a Yostrid- disse Amelia.
Lui annuì, e ripresero la marcia.
Stavano andando a Yostrid, dove risiedevano Derek e Kelly, per lasciarvi Kento, una protezione in caso dell’arrivo delle Ombre.
Era da molto che camminavano, si erano fermati per pranzare qualche ora prima. Amelia era molto più serena, da quando anche Tivresh aveva acconsentito alla protezione di suo fratello, e quindi anche di Kelly.
Nonostante fosse più felice, i sogni strani continuavano a tormentarla.
La sera prima aveva sognato di trovarsi in una valle desolata, grigia, con davanti molte persone che le gettavano addosso delle pietre e le urlavano: -Impura!
Si era svegliata sudata e terrorizzata, ma non aveva raccontato nulla né a Kento né a Tivresh.
L’elfo, che aveva il turno di guardia, si era comunque preoccupato e aveva fatto dei controlli per verificare che nessuno l’avesse coinvolta in qualche magia, scoprendo così la bruciatura sulla schiena.
Tivresh dormiva ancora, e la ragazza lo pregò di non farne parola con lui, anzi, con nessun altro. Gli aveva raccontato della creatura, e Kento era rimasto in silenzio, per riflettere.
-Purtroppo non ne so nulla, in futuro però, se ti capiterà di incontrare altre creature o elfi più esperti di me in magia, devi assolutamente fargliela vedere- aveva detto.
-Altre creature?- aveva chiesto lei, sconcertata.
-Beh, Amelia, non esistono solo gli elfi e gli umani, in queste terre.
Quando Tivresh si era svegliato, avevano taciuto completamente dell’argomento, ma la ragazza pensava ancora alle “altre creature”. Fate? Gnomi? Folletti? O forse draghi? Ora poteva aspettarsi di tutto.
La boscaglia si era fatta coloratissima e fitta, segno che erano vicini alla cittadina. La giovane se la ricordava bene, e non vedeva l’ora di rivedere la sorellina.
-Ecco!- esclamò Tivresh, in testa al trio.
Amelia, emozionata, superò di corsa Kento e Tivresh, e si fermò ad ammirare la città.
Alla fine della discesa, rivide le stesse case di pietra dai balconi fioriti che l’avevano incantata la prima volta. Gli abitanti erano in giro, e un chiacchiericcio allegro arrivava alle orecchie dei tre ragazzi.
Sul volto della fanciulla fiorì un dolce sorriso, rivolto ai pensieri per Kelly.
-Andiamo!- disse, correndo in discesa per raggiungere le case.
Dietro di sé sentì i due ragazzi che correvano insieme a lei, e rise di cuore. Attraversò la strada tra le prime case sempre correndo, poi rallentò e aspettò i due compagni.
Tivresh, vedendo che si era bloccata, chiese: -Ehi, come mai non corri più?
-Mi sono appena accorta che non so dove abitano, ora…- disse Amelia, un po’ triste.
L’amico rise di gusto, poi disse: -Possiamo sempre chiedere, no?
La ragazza arrossì, imbarazzata, e per riscattarsi riprese a correre, gridando: -Vado a chiederlo a quella signora dell’altra volta!
I ragazzi, questa volta, la seguirono passeggiando, con calma, mentre lei correva verso la casa della vecchietta. La trovò che filava davanti alla porta, con di fianco la vicina.
Smise di correre e si diresse a passo deciso davanti alla casetta.
La signora, voltandosi, la vide ed esclamò: -Oh, guarda chi si rivede! Bella ragazza, dov’è il tuo amico?
-Salve! E’ rimasto indietro, io aveva un po’ di fretta.
-Di cosa, mia bella fanciulla? Volevi chiedermi qualcosa?
-Sì, se non sono indiscreta…- rispose lei, portando una mano dietro la nuca.
La vecchietta ridacchiò divertita: -Dimmi pure, non essere timida!
-Lei sa dove si trovano mio fratello e la mia sorellina? Erano insieme a me e il mio amico, l’altra volta.
La signora, afflitta, disse: -Mi dispiace, ma non ne so nulla… Ogni tanto la bambina viene a farmi compagnia, ma non ho idea di dove abitino… Tu ne sai qualcosa, Letizia?- chiese, rivolta alla vicina.
L’amica ci pensò su, poi rispose: -Se non erro abitano vicino al fioraio, che si trova in piazza.
Amelia sorrise sollevata, e disse: -Grazie, grazie, grazie! Grazie mille, davvero!
Le vecchiette risero, facendole segno di correre dalla sorellina.
La ragazza, senza smettere di ringraziare, corse via verso la piazza, che aveva attraversato prima, per giungere dalla vecchietta.
Kento e Tivresh stavano per uscire dalla piazza, quando Amelia li travolse, afferrandoli per le braccia e trascinandoli indietro, dicendo: -Vicino al fioraio, al fioraio!
Rise delle facce sorprese dei due compagni, e si diresse verso un negozio che aveva molte bancarelle piene di fiori davanti.
-Ehi Amelia! Non sarebbe meglio entrare nel negozio, per chiedere più precisamente dove sono?- cercò di dire Kento, mentre la ragazza lo trascinava.
Lei si bloccò, e acconsentì.
Appena varcarono la soglia del negozio, li investì un dolce profumo di rosa.
-Benvenuti!- disse una voce fin troppo familiare.
Amelia si voltò e rimase di stucco. Derek, in piedi davanti ai fiori, con un sorriso ebete stampato in faccia, la guardava stupito.
-Derek! Come stai?- chiese la ragazza, senza muoversi.
-Bene, voi?- rispose il fratello, anch’egli senza muovere un solo passo.
-Bene, bene… Kelly?
Non appena pronunciò il suo nome, la bambina entrò dalla porta principale del negozio e le corse incontro, lanciando gridolini di gioia.
Amelia la sollevò da terra, facendola girare sopra di sé, per poi abbracciarla forte.
-Amelia, Amelia, Amelia! Sei tornata!
Quando la posò di nuovo a terra, la ragazza notò altre due bambine sulla soglia in compagnia di due ragazzini.
Intanto, Kelly saltò addosso a Tivresh e si presentò a Kento.
Poi, tornò dalla sorella e le tirò la manica, dicendo: -Posso presentarti i miei amici? Vieni a fare un giro con noi? Ti prego, ti prego!
Amelia rise, annuendo: -Prima devo dire un paio di cose a Tivresh, ok? Intanto tu preparati.
Kelly strillò di gioia e corse a posare lo zainetto.
La ragazza guardò l’amico e Kento, e disse: -Lo dite voi a Derek?
-Certo, tu vai pure- rispose l’elfo.
Kelly tornò alla velocità della luce, col sorriso sulle labbra, afferrando la mano della sorella e trascinandola fuori con i suoi amici.
Amelia la seguì, divertita.
Ora sì che era al sicuro.
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Il ritorno di Kelly!
Hahahah spero non sia stato scontato questo capitolo…
Ma non temete, gli imprevisti stanno arrivando, dovete solo dargli tempo!
A presto, un bacio dalla vostra ShinigamiGirl!<3<3

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Capitolo 19
*** Svago ***


-Allora!- strillò Kelly, per chiedere silenzio agli amichetti -Lei è la mia sorella maggiore Amelia, presentatevi e siate cordiali! D’ora in avanti lei sarà un membro effettivo della nostra banda!
Erano in una casetta di legno, nel bosco, poco distante dalle abitazioni. Era abbastanza piccola, sufficiente per contenere un massimo di dieci persone, Amelia la paragonò quasi subito alla stanza che condivideva con Kelly al villaggio, tempo prima.
A quanto aveva capito la ragazza, era la “base”, dove la sorellina e gli amici si trovavano dopo la scuola.
-Io sono Lilith, piacere- disse una delle due ragazzine, guardandola con occhi celesti pieni di curiosità.
Amelia le sorrise, mentre l’altra ragazzina, dagli esuberanti ricci neri, esclamava: -Io invece mi chiamo Sophie!
-Il piacere è tutto mio- rispose timida la ragazza. Non sapeva bene cosa fare, si sentiva un po’ in imbarazzo.
Kelly finì le presentazioni: -Loro invece sono Daniel- disse, indicando uno dei due maschi -e Rother!- facendo cenno verso l’altro ragazzino, meno slanciato del primo, ma sempre magrolino e dai capelli scuri.
Amelia si chiese, terminate le presentazioni, cosa avrebbero fatto. La sorellina, però, aveva già in mente come occupare il tempo fino alla cena, e non se lo fece nemmeno chiedere, partendo in quarta con le proposte: -Dunque, potremmo giocare a obbligo o verità, oppure potremmo farle delle domande a cui, sono sicura, mia sorella risponderà volentieri!
-Sembra più interessante l’opzione numero due- commentò Daniel, portandosi dietro le orecchie i ciuffi di capelli castani.
Lilith e Sophie acconsentirono con entusiasmo, e Rother annuì con serietà.
Non sembrava essere molto coinvolto, ma nessuno si preoccupò di chiedergli se gli andava davvero, quel passatempo.
I ragazzini fecero la conta, per decidere chi avrebbe rivolto la prima domanda, poi partirono.
Sophie, che era uscita prima, chiese: -Chi è il tuo ragazzo tra i due che ti hanno accompagnata?
-A dir la verità, nessuno dei due- rispose Amelia, portando una mano dietro la nuca.
La bambina sospirò delusa: -Ma uno che ti sta più simpatico ci sarà, no?
-Non saprei, Tivresh forse, lo conosco da più tempo…
-Qual è dei due?- insistette Sophie.
Kelly intervenne: -Quello coi capelli rossi! Comunque adesso tocca a Daniel!
Il ragazzino rifletté per un po’, poi chiese: -Tua sorella ci ha spesso raccontato di te, dicendo che sei molto bella. Tu credi di esserlo?
La ragazza, presa alla sprovvista, disse: -Beh, non lo so… Non credo di essere orribile, ma neanche così bella, forse una via di mezzo.
-Ehi! Tu sei bellissima, vorrei diventare come te, da grande!- protestò Kelly.
Tutti quanti scoppiarono a ridere.
Amelia, nell’ora successiva, fu sommersa di domande. Le chiesero com’era viaggiare, cosa voleva diventare da grande, come avrebbe chiamato i suoi figli, i fiori che preferiva e molto altro. Rother, seppure fosse sembrato poco interessato, fece domande molto particolari: chiese di che colore avrebbe voluto gli occhi, se avesse potuto cambiarli, domandò se aveva mai pensato al senso della vita e se credeva negli dei.
Sembrava quasi il filosofo del gruppo, e la fanciulla iniziò a provare simpatia per quel ragazzino silenzioso e pensieroso.
Il tramonto colorò di arancio il bosco, e quando Sophie stava per fare l’ennesima domanda, Kelly la bloccò: -Mi dispiace, ma è ora.
-Oh caspita- esclamò l’altra -è già così tardi? Vabbè, continueremo un altro giorno. E’ stato un piacere, Amelia.
La ragazza rispose: -Il piacere è mio, siete davvero simpatici, grazie per esservi presi cura di Kelly, mentre non c’ero…
Il gruppetto scoppiò a ridere, mentre Kelly li guardava storto.
-Certe volte è davvero esplosiva, ma è un’ottima amica- disse Lilith.
Tornarono al villaggio con allegria, ma Amelia si chiedeva, con un po’ di angoscia, come avrebbe reagito Derek alla situazione critica in cui erano. Avrebbe accettato l’aiuto di Kento? O si sarebbe rifiutato e sarebbe scappato portandosi Kelly appresso?
La seconda possibilità lasciava poche alternative alla ragazza. Non avrebbe mai permesso che il fratello mettesse la sorellina in pericolo a quel modo.
Gli amici di Kelly salutarono Amelia e si divisero, augurandosi buon appetito e correndo nelle varie stradine della cittadella. La sorellina prese la mano della ragazza e iniziò a correre verso la piazza, dal fioraio. Mentre correvano, la fanciulla chiese: -Ma dove abitate ora?
-Di fianco al negozio, Derek ci lavora tutto il giorno!- urlò di rimando la bambina, senza interrompere la corsa.
Arrivate dal fioraio, Amelia venne trascinata nell’abitazione di fianco, che aveva una porta di legno colorata di giallo.
Dentro, si trovarono in un delizioso salotto, decorato da vari vasi di fiori, con un divano e un tavolo. La cucina era piccola, con un muro che la divideva dalla sala, sulla destra, c’erano poi delle scale, alla sinistra, che presumibilmente portavano alle camere da letto.
Al tavolo, che aveva sei posti, erano già seduti Tivresh e Kento, mentre si sentiva provenire dalla cucina un buon odorino di carne.
Kelly, come al solito, si catapultò addosso ai due ragazzi, salutandoli con entusiasmo. Solo allora, abbracciando anche Kento, notò le orecchie a punta, e rimase bloccata.
Amelia, sapendo cosa sarebbe successo, si avvicinò e prese la sorellina da dietro, poi la fece voltare verso di sé. Si chinò e la guardò negli occhi.
-Amelia…- chiamò la bambina, con il pianto in gola.
-Ehi, tranquilla- disse la ragazza, con voce calma -se non fosse stato buono, non sarebbe qui, credimi.
-Ma… Il villaggio… L’hanno distrutto loro…
-Lui è diverso, capito? Come i cagnolini del villaggio, ricordi?- si riferiva ad una cesta di cagnolini trovata due anni prima, al confine del villaggio -Alcuni mordevano, ma altri erano mansueti, per questo li avevano tenuti.
Kento, intanto, dispiaciuto di aver fatto star male la bimba, si chinò e le mise la mano davanti, rivolta verso l’alto. Dal palmo, con stupore generale, nacque un germoglio, che crebbe velocissimo fino ai venti centimetri, poi si bloccò.
Kelly lo fissò a bocca aperta, e guardò l’elfo negli occhi.
-Scusami- gli disse -sono stata un po' cattiva a fare pregiudizi.
L’elfo sorrise, mentre il germoglio decresceva fino a scomparire: -L’importante è che tu non abbia pianto. Mi prometti che non piangerai?
-Certo!- acconsentì Kelly.
Derek spuntò dalla cucina, con aria spaesata: -Ah, siete arrivate!
La bambina gli corse incontro, mentre Amelia si chiedeva cosa avesse potuto fare quel ritardato, con la loro sorellina, se fossero scappati da soli, lui e lei.
Ad un tratto sentirono bussare alla porta.
Kelly corse all’entrata, urlando, anche se non necessario: -Apro io!
La porta si aprì cigolando, e Amelia scorse un ragazzo alto e smilzo con una fitta chioma di capelli neri e occhi azzurri che disse: -Scusatemi, avreste un posto per la notte? La locanda è piena, sto facendo il giro della città per chiedere ospitalità.









Spazio Autrice

Konichiwa!!!
Vi ho fatto aspettare un po’ per questo capitolo, gomenasai!
Sono quindi ansiosa di avere un vostro parere, mi raccomando, anche se si tratta di recensioni critiche non importa, in fondo così potrò migliorare! Fatevi avanti, non vi mangio mica l’anima, anche se sono una ShinigamiGirl xD
Alla prossima miei cari lettori!

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Capitolo 20
*** Ibilith ***


 Stavano mangiando in un silenzio religioso, e Amelia guardava di sottecchi il tizio che suo fratello aveva accettato di ospitare.
Aveva detto di chiamarsi Jek, e aveva offerto un po’ di soldi, pur di essere ospitato. I vestiti, prevalentemente scuri, erano vagamente eleganti, nonostante fossero decisamente sporchi. Il ragazzo mangiava la carne come se fosse a digiuno da parecchio, ma il suo fisico non dava segni di aver sofferto la mancanza di cibo. Ad Amelia sembrava che anche lui la guardasse, ogni tanto, come se la stesse tenendo d’occhio.
-Quando avete intenzione di ripartire?- chiese Derek, bloccando i suoi pensieri.
-Non so- disse la ragazza -dipende… Credo sia meglio discuterne più tardi, io e te dobbiamo parlare a quattr’occhi, visto che non ne abbiamo avuto l’occasione, questo pomeriggio.
Il fratello annuì, con sguardo serio. In realtà, era abbastanza preoccupato.
Kelly, terminata la sua porzione di carne, come prevedibile iniziò a fare domande a raffica, soprattutto al nuovo arrivato: -Da dove vieni di preciso?
-Da molto lontano, da un piccolo villaggio in prossimità della foresta Ubith.
-E perché viaggi?
-Mio padre, quando ero molto piccolo, andava per il mondo in cerca di tesori, e un giorno non tornò più. Io voglio ritrovarlo, per questo ho iniziato a viaggiare anche io.
-Ce l’hai la fidanzata?
A questa domanda il ragazzo scoppiò a ridere: -No, e tu?
Kelly arrossì: -No, ma perché ridi?- chiese, mettendo il broncio.
-Vedi- disse Jek -rido perché ora tu sei nell’età in cui è giusto pensare a queste cose, e questo mi ha fatto tornare in mente com’ero da piccolo.
La bambina annuì, poi annunciò, alzandosi: -Io vado a lavarmi.
Amelia ridacchiò fra sé. La sorellina era molto suscettibile su quell’argomento.
Finirono di mangiare, poi Amelia trascinò fuori casa Derek per potergli parlare, lasciando Tivresh, Kento e Jek nel salotto. Lui era nervoso dai piedi fino alla punta dei capelli.
-Allora, te l’hanno già detto?
-Che degli elfi mi vogliono catturare? Beh, si! E non lo trovo affatto piacevole- rispose il ragazzo.
Amelia sbuffò di fastidio.
-Ti andrebbe bene- gli chiese -se lasciassimo qui con te Kento, mentre io e Tivresh risolviamo la cosa?
-Me l’hanno già proposto- disse Derek.
-E qual è la tua risposta?
-Ovviamente accetto! Anche se preferisco decisamente di più l’idea di fuggire, magari anche con il vostro amico elfo.
Amelia si sentì sollevata, ora era certa che Kelly sarebbe stata al sicuro: -Bene. Questo lo deciderete voi tre, quando io e Tivresh ci saremo tolti di torno. E mi raccomando, devi stare attento a qualsiasi straniero, che arriva in città, con le orecchie a punta o meno, ok?
Derek annuì.
-Ora rientriamo- disse lei -o potrebbero iniziare a preoccuparsi.
Appena varcarono la soglia scoprirono che Jek si era già ritirato nella sua stanza, a quanto pare era molto stanco.
Anche Amelia decise di andare a dormire, d’altronde aveva intenzione di andarsene il prima possibile, in modo tale da non attirare troppo l’attenzione sulla cittadina. Kelly non ne sarebbe stata affatto contenta, ma per lei era meglio così.
Quando la ragazza giunse nella camera, vide la sorellina sdraiata nel letto, avvolta da un asciugamano.
-Che fai lì, Kelly?- chiese.
-Ti aspettavo. E’ da tanto che nessuno mi spazzola i capelli, mi tocca farlo sempre da sola- disse lei, tirandosi su a sedere.
Amelia allora le spazzolò i capelli, poi Kelly insistette per pettinarle la chioma rossa. Fece un po’ di fatica, la ragazza, infatti, dopo la prigionia non si era curata molto del suo aspetto e si erano formati un po’ di nodi.
Quando ebbero finito si misero le vestaglie e si addormentarono nel letto matrimoniale, l’una accanto all’altra.
La casa era tranquilla e silenziosa, e le sorelle dormirono beatamente.
Kento, intanto, si era coricato in un’altra stanza con Tivresh. Non si era addormentato. Aveva una cosa importante da fare.
Uscì di nascosto, nel bel mezzo della notte. Il vento leggero gli faceva gelare il sangue nelle vene, come un brutto presagio. Si diresse nella foresta, con una sfera di luce sulla mano, per illuminare la strada. Nell’altra mano, il libro con cui chiamava i folletti. Dopo cinque minuti di camminata, giunse al cospetto di un enorme albero. Posò ai suoi piedi il volume, poi disse: -Folletto, esci dalla tua dimora!
La superficie del tronco tremolò, e ne uscì una folletta dai capelli quasi trasparenti e gli occhi cristallini.
-Cosa cerchi, Kento?- gli chiese.
L’elfo esitò. Come conosceva il suo nome?
La folletta, vedendo la sua espressione angosciata, disse semplicemente: -Gli alberi chiacchierano.
-La bambina- disse il giovane, riprendendosi -ho percepito qualcosa.
-Sì, ti do ragione. E’ una ragazzina particolare, quasi come la sorella, quasi come te.
Kento fece una smorfia: -Voglio sapere cosa è in grado di fare.
-Non lo so, quello di cui sono certa è che quella bambina sotto le tue direttive farà grandi progressi- rispose la creatura.
-Voi non sapete mai nulla!- esplose l’elfo -Parlate, parlate, ma non fate mai nulla e niente di ciò che dite è in qualche modo utile! Dì quello che sai in modo chiaro, dannazione!
La folletta lo guardò dall’alto in basso, aspettando che il giovane si calmasse. Quando il suo respiro tornò regolare, disse: -Sai che ti ho detto ciò che so. Devi essere paziente, e prendere così come sono le informazioni che hai a disposizione. Sai quanto darebbe Mhirael per sapere solo la metà di ciò a cui tu sei a conoscenza?
Kento annuì a malincuore. Si sentì un bambino in ascolto della predica materna.
-Ora sono stanca. Rientro nella mia abitazione, se avrai bisogno di me, dovrai chiamarmi col mio nome, ovvero Ibilith.
Non aspettò alcuna risposta, e rientrò subito nel tronco dell’albero. La luce nel palmo si spense, e il ragazzo si ritrovò solo, nel buio della foresta.
Il mattino dopo, quando Tivresh si svegliò, vide Kento dormire profondamente, e non osò svegliarlo. Aveva il presentimento che avesse passato una nottataccia, per qualche strano motivo.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Perdonatemi se mi son fatta attendere negli ultimi tempi, ma la scuola è una costante macchina dispensatrice di compiti che non mi lascia molta tregua e mi prosciuga di creatività.
Spero vi sia piaciuto il capitolo, nonostante tutto;)
Ehi, è il ventesimo capitolo, e credo sia venuto il momento di ringraziare le persone che hanno contribuito alla crescita di “Innocence” :)
Ringrazio chi ha messo la storia nei preferiti, ovvero Daniawen, Giuggiole, Giuliacardiff, Red_Roses, Tata103, Tenshi No Yume, _Ida_, HarukaCchan.
Ringrazio chi ha messo la storia nelle seguite, ovvero Alera di Hytanica, birri, Black98, Hoshi98, Jane Austen, LoveForHachi, Achiko e ancora _Ida_ e Daniawen.
Ringrazio anche AfterTheTempestTheSun, che ha messo la storia nelle ricordate.
Ringrazio inoltre Stefyc17 e TheNaiker che nonostante non abbiano aggiunto la storia nelle loro liste hanno avuto la gentilezza di lasciarmi delle recensioni.
Ringrazio anche tutte le persone che non sono iscritte a EFP ma leggono con costanza la storia.
Senza tutti voi, “Innocence” non sarebbe nulla.
Vi voglio bene<3
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 21
*** Vie oscurate ***


Amelia si caricò sulla spalla la bisaccia piena di provviste, il nuovo cambio di pantaloni e un pugnale appena acquistato. Non era la sua vera arma, ma meglio che essere senza e indifesa.
Kelly la guardava imbronciata, seduta sulla sedia, e disse: -Devi proprio andare a recuperare quel pugnale?
-Sì, era un regalo di Tivresh, era dei suoi genitori e per lui è molto prezioso- rispose la sorella, esibendo un perfetto sorrisino di scuse.
Aveva mentito a Kelly, di nuovo, e stava male per questo, ma continuava a dirsi che in fondo era per il suo bene.
La sorellina emise un lamento di sconfitta, e corse addosso ad Amelia, abbracciandola.
-Tornerai a trovarmi, vero?- chiese, col viso schiacciato contro la pancia della sorella.
-Ma certo- la rassicurò la ragazza -intanto sarà Kento a tenerti d’occhio, fai la brava.
Kelly si staccò e annuì vigorosamente.
La ragazza sentì il cuore stringersi in una morsa di tenerezza. Prese la sorellina e iniziò a farla volteggiare per aria, poi se la strinse a sé. Kelly rideva come una pazzerella, e dopo un po’ anche Amelia iniziò a ridere con lei.
Videro Kento entrare dalla porta principale, e la ragazza lasciò andare la sorellina.
-Sei pronta?- chiese, rivolto alla fanciulla.
-Certo- rispose lei -Tivresh è già fuori?
-Sì, credo sia ora…
I tre uscirono dalla casa.
Il ragazzo era fuori, osservava la gente che passeggiava per la piazza, comprando pane e cibarie di vario tipo. Amelia si avvicinò e gli diede un pugnetto alla spalla.
-Allora, andiamo?- chiese.
Il ragazzo annuì, con un mezzo sorriso.
-Aspettate!- sentirono, d’un tratto.
Si voltarono e videro Jek che correva verso di loro, col fiatone, i capelli neri scompigliati dal vento e gli occhi azzurri illuminati.
Giunse fino a loro, poi si piegò per riprendere fiato, reggendosi con le mani sulle ginocchia.
-Ehi, che c’è Jek?- gli chiese Amelia.
-Vedi…- disse lui, ansimando un po’ -Volevo chiedervi in che direzione volevate incamminarvi… Per vedere se avremmo potuto fare un po’ di strada insieme…
-Noi andiamo a nord- disse Tivresh.
Lo sguardo di Jek si illuminò: -Bene! Anche io dovrei andare a nord… Che ne dite se mi unissi a voi?
Amelia si accigliò, mantenendo un’espressione composta.
Qualcosa in lui non la convinceva… Sentiva che avrebbero dovuto rifiutare…
-Certo- disse il suo compagno.
Fu come se la ragazza fosse stata fulminata. Ma cosa gli prendeva a Tivresh?
-Amelia, c’è qualcosa che non va?- chiese, con un’aria da angioletto.
-No, nulla- minimizzò lei. Altro che nulla. Dopo gli avrebbe fatto una paternale… Intanto, per mascherare il tutto, rivolse a Jek un ampio sorriso, che lui ricambiò volentieri.
-Derek?- chiese Kelly, con un tono ansioso.
-Sarà in negozio- le rispose Kento.
Lei annuì, prendendogli la mano.
Amelia, vedendo quei due così affiatati, non poté fare a meno di gongolare fra sé. Era davvero felice che l’elfo si fosse reso disponibile a proteggere Kelly, e non sapeva come sdebitarsi. Gliene aveva già parlato, quella mattina, e Kento aveva semplicemente risposto: -Lo faccio perché è giusto, non hai bisogno di ringraziarmi. E poi non si rifiuta mai la chiamata d’aiuto di un’amica.
La ragazza si era quasi commossa a quelle parole, e l’aveva abbracciato.
-Eccomi! Scusate, c’erano un paio di clienti!
La voce di Derek la riportò al presente. Gli andò incontro e lo strinse a sé, a dir la verità con un po’ di imbarazzo.
-Grazie- gli sussurrò all’orecchio, prima di staccarsi e guardarlo in volto. Il fratello gli sorrideva benevolo.
Mentre Tivresh lo salutava, Amelia abbracciò Kento e Kelly, raccomandandogli loro di stare bene. I due sorrisero e le augurarono lo stesso, poi la ragazza, Jek e Tivresh partirono, mentre i tre li salutavano dall’entrata del negozio.
Uscirono dalla cittadina, carichi di energia e buona volontà.
 
*
 
Prospero era davanti al re, e si contorceva le mani, nervoso.
-Dunque non sai quando ti contatterà…
-No- rispose il vecchio, seccamente -ma di certo non di giorno.
-E’ da un po’ che il sole è tramontato- osservò sua maestà -ed è passata una settimana. Io pretendo di sentire un rapporto della situazione.
Il mago percepì una vibrazione, e sorrise.
-Appena in tempo- mormorò.
Invocò l’incantesimo di contatto, tirando fuori dalla tasca la sua sfera di madreperla in miniatura. Comparve il viso di Stephen, che subito ordinò: -Portami dal re, Prospero.
-Siamo già nella sala del trono- replicò il vecchio, seccamente. Tuttavia andò verso il trono per porgere la sfera al re, ma si bloccò dopo un paio di metri: Sephora aveva iniziato a ringhiargli contro, minacciosa.
Decise di non darle peso, e si avvicinò ulteriormente, borbottando fra sé: -Tigre isterica…
Sephora, per tutta risposta, ruggì furiosa.
Non appena il re afferrò la sfera, la tigre si lanciò contro il vecchio, ma con un incantesimo la scagliò contro la parete della sala, facendole emettere un ringhio acuto di dolore mentre cadeva sul pavimento.
Sephora tornò a sdraiarsi di fianco al trono zoppicando, con la coda fra le gambe, ma non rinunciò nel ringhiare ancora una volta contro Prospero.
Il re ridacchiava divertito: -Moglie mia, devi essere un po’ più paziente- disse.
La tigre rimase impassibile, guardando fuori da una delle grandi finestre della sala, nonostante la coda andasse a scatti dalla rabbia.
-Vostra Altezza?- disse Stephen, confuso.
-Non è successo nulla di importante- minimizzò il re -ora fammi rapporto.
-Certo. Tutto procede secondo i piani, sono riuscito a completare la prima fase, e pian piano completerò anche la seconda.
-Quindi le Ombre dovranno stare a riposo ancora per un po’, immagino…
-Sì. E non so se riuscirò a portarvi Mhirael e Lathos entro il loro preciso giorno di compleanno, purtroppo- ammise l’elfo.
Il re si accigliò un poco, ma disse: -Non importa. Il rito si può celebrare anche dopo il giorno esatto, l’importante è che non superino i sedici anni.
Stephen annuì.
-Intanto hai scoperto qualcos’altro?- gli chiese ancora.
-Solo che non sa chi è Lathos… E’ convinta che sia il fratellastro. A quanto pare loro non hanno vissuto insieme da piccoli…- confessò Stephen.
-Bene, allora glielo riveleremo noi, prima di ucciderli.- disse il re -Ora è meglio che tu vada.
-Sì, altezza- disse Stephen, sparendo dalla sfera.
La pietra tornò normale, e sua maestà andò dallo stregone, restituendogli la sfera.
-Puoi andare- gli disse.
Prospero sorrise soddisfatto, andandosene sbrigativo verso i suoi amati esperimenti.
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Saaalve a tutti^^
Spero che a voi vada tutto bene, i miei ultimi due giorni sono stati perfetti, e li coronerò ulteriormente pubblicando questo capitolo!!
Sono sinceramente curiosa di sapere cosa pensate di Jek, e le vostre previsioni sul seguito della storia… Molti sanno già che mi diverto molto leggendo le ipotesi dei miei lettori…
Se ne avete, non esitate a scrivermene qualcuna!:)
Ci vediamo settimana prossima, un bacione a tutti quelli che leggono questa storia!!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 22
*** Bimba prodigio ***


 Kelly guardava Kento con una faccia annoiata.
-Perché continui a guardare quel libro?- chiese, indicando il volume viola sul tavolo, da cui l’elfo non si staccava mai.
-E’ prezioso, non so che farei se me lo rubassero, impazzirei, probabilmente- le rispose lui.
-Non puoi metterlo giù e giocare un po’ con me?
-In realtà…
-Dai Kento! Per favore!
L’elfo rifiutò prontamente.
La bambina si innervosiva sempre di più. Era così che si curava la sorella di un’amica? Secondo lei no. Erano passati un paio di giorni dalla partenza di Amelia, la sua bella, forte e coraggiosa sorella, ma Kento non aveva mai giocato con lei e non era nemmeno voluto andare alla base, nella casetta.
Ora la graziosa bimba era completamente seccata, voleva assolutamente che Kento si staccasse da quel libro così inutile e stesse un po’ con lei.
-Io sono una persona reale, quello è solo un insieme di cartaccia!- esclamò.
-Sarà anche cartaccia per te, ma per me vale moltissimo. Inoltre devo studiare, quindi va’ di tuoi amici, Kelly.
La ragazzina non andò dai suoi amici, non si mosse minimamente.
Perché?
Per un ovvio motivo: era sera, ma Kento era tanto preso dallo studio di quei libri, che aveva sempre in mano, che non se n’era accorto.
Sbuffò apertamente e afferrò il libro viola sul tavolo, senza pensarci, per poi correre fuori dalla casa, con Kento che la inseguiva.
-Kelly! Restituiscimi il libro!- lo sentì urlare.
Ma lei non se ne curò. Era così felice che non si ingobbisse sui libri a studiare che continuò a correre, andando nella foresta.
Per qualche strano motivo, qualcosa in lei le diceva di correre nella fitta boscaglia, anche se era il tramonto e non si fosse mai azzardata a fare qualcosa di simile in precedenza.
Kento la chiamava, mentre la seguiva da lontano.
Grazie ad un incantesimo, sapeva sempre dove si trovasse il libro.
L’elfo si chiese cosa passasse per la mente a Kelly, solitamente era una bambina dolce, che non disobbediva facilmente.
Pensò subito a quello che gli aveva detto Ibilith.
“E’ una ragazzina particolare, quasi come la sorella, quasi come te”.
Se fosse stata come Amelia, sarebbe stata una tragedia. Un problema irrisolvibile che avrebbe portato il mondo ad un declino totale.
Ma se era come lui…
Allora cosa avrebbe dovuto fare? Addestrarla?
Scacciò quei pensieri e riprese a correre, accorgendosi con orrore di aver rallentato la corsa.
Intanto Kelly si era fermata. Quel qualcosa, dentro di lei, l’aveva fatta fermare. Percepì un senso di tensione all’altezza del petto.
Quando abbassò lo sguardo, vide che il libro e le sue mani si erano illuminate.
Fece cadere il volume, cacciando un urlo di spavento, ma la luce non scomparve. Incuriosita, si guardò meglio le mani: non erano proprio illuminate, erano dei segni comparsi sulla pelle a illuminarsi. Sembravano quasi dei tatuaggi, e la stessa fantasia era sulla copertina del libro.
L’albero che aveva davanti tremolò, e ora che lo guardava meglio era davvero enorme.
Dal tronco comparve una figura minuta, una fanciulla in miniatura dai capelli semi trasparenti e due occhi che parevano gocce di rugiada.
Sembrava fatta di vetro e porcellana, due materiali che Kelly aveva visto ben poche volte, ma che l’avevano affascinata fin da subito.
-Che bella che sei!- disse, con un sorriso.
La creatura le sorrise di rimando, poi disse: -Allora, hai scoperto i tuoi poteri, finalmente.
La ragazzina la guardò con aria interrogativa, ma Kento piombò nella radura, interrompendo quasi l’aura incantata che sprigionava la creatura uscita dall’albero.
-Guarda Kento! Guarda! Una fatina!- esclamò Kelly, indicando la “fatina” e guardando l’elfo con occhi illuminati di stupore e meraviglia.
-Io non sono una fata- la contraddisse la creatura, con gentilezza -io sono una folletta. Le fate furono sterminate migliaia di anni fa, se esistono ancora, pochi sanno dove si trovano.
Kento rimase a bocca aperta.
-Ibilith! Come ha fatto a invocarti!?- esclamò, rivolto alla folletta.
-Non ho fatto nulla, lei è spuntata quando mi sono comparsi i tatuaggi!- rispose allegra Kelly, in attesa della gioiosa reazione di Kento.
L’elfo non sembrò affatto gioioso.
-C’è qualcosa che non va?- chiese la ragazzina, con un tono deluso.
-No! Sono solo… Sollevato. E stupito- le rispose l’elfo, con un finto sorriso.
-Ascoltatemi- li interruppe Ibilith, con tono severo -ora che i suoi poteri sono sorti, devi insegnarle la magia. Sai cosa la attende, fra un po’.
Kento annuì, sconvolto.
-Ora torno nella mia casa, le energie che ho sono poche.
Detto questo, la folletta fece un inchino in direzione di Kelly, le sorrise mandandole un bacio e tornò nel tronco dell’albero, che tremolò e tornò normale.
L’elfo non credeva ai propri occhi.
Kelly raccolse il libro, restituendoglielo.
-Scusa se te l’ho rubato- disse, con aria colpevole -mi insegnerai lo stesso la magia?
Kento annuì.
La prese per mano e la riportò a Yostrid.
La bambina non aveva la minima idea di cosa l’aspettava, purtroppo.
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Salve! Perdonatemi se pubblico un capitolo così corto, ma ho un sacco di verificheeeeee D:
Cercherò comunque di pubblicarne uno a settimana…
Fatemi sapere che ne pensate, a presto^^
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 23
*** Custode ***


-Kento! Ho ancora i tatuaggi!- esclamò Kelly, prima che potessero mettere piede a Yostrid.
L’elfo si bloccò. Era così scioccato che non se n’era nemmeno accorto.
I simboli luminosi apparsi sulle braccia, le mani e la fronte della bambina erano sicuramente meno luminosi di qualche minuto prima, ma ancora visibili.
Si chinò, osservando i tatuaggi, tastandoli con diffidenza.
-Aspettami qui, vado a prendere una cosa- le disse, correndo via e lasciandola al confine tra il bosco e le case.
Kelly, sentendosi ancora in colpa per aver rubato il libro, si sedette obbediente sotto un albero.
Pensò a Ibilith. Era così bella… Ma aveva detto che le fate erano state sterminate. Però… Se i folletti erano così belli, forse non sarebbe stato un peccato non poter vedere nessuna fata.
La bambina, d’un tratto, si chiese che tipo di poteri si fossero svegliati in lei. E poi, cosa la aspettava? Perché doveva imparare la magia?
Forse era speciale. Forse, era proprio come Amelia, una persona destinata a grandi cose, bella e forte.
Sorrise fra sé.
-Eccomi- sentì. Quando si voltò, vide Kento che la sovrastava, con in mano un’ampolla dal contenuto violetto.
-La devo bere?- chiese la ragazzina, con aria un poco timorosa.
-Beh, mi dispiace, ma sì, devi berla- le rispose l’elfo, aiutandola ad alzarsi e porgendole la pozione.
La bambina la prese, con entrambe le mani, guardando nervosamente il contenuto. Avvicinò la punta del naso all’estremità del recipiente, annusando lievemente.
Sentì un odore fresco e leggero, ma storse comunque il naso.
-Di cosa sa?- chiese, con un tono un po’ lamentoso.
-E’ dolce, ma non ha un sapore preciso. Dovrebbe nascondere i tatuaggi, sarà come avere una pelle normale.
Kelly sospirò.
Gettò indietro la testa, chiudendo gli occhi, e bevve d’un fiato la pozione. In effetti, era molto dolce, ma anche fresca, con un retrogusto di menta.
Si sentì rabbrividire e le venne la pelle d’oca, ma quando aprì gli occhi, i tatuaggi erano spariti. Guardò stupita l’elfo, che le sorrise.
-Dovrai berla ogni due giorni, mi raccomando.
Lei annuì, ancora meravigliata.
Andarono a casa, dove trovarono Derek che cucinava.
-Ehi, dove eravate?- chiese.
-A giocare- rispose Kento, disinvolto. La ragazzina capì che doveva stare al gioco.
-Mi ha stracciata a campana! Cosa c’è da mangiare?- esclamò, con energia.
Il fratello non sospettò nulla, a quella risposta, e servì ancora fumante una minestra di erbe.
Kelly si gettò con entusiasmo sul piatto, capendo che avrebbe potuto discutere con l’elfo solo il giorno dopo. Non aveva voglia di aspettare, ma qualcosa in lei, la stessa cosa che l’aveva spinta verso la radura, le diceva che era meglio non dire nulla all’ignaro Derek.
Dopo cena quindi andò a lavarsi, per poi coricarsi.
Kento, intanto, si era ripreso dallo shock.
Mentre Kelly e Derek dormivano, quando la luna venne scoperta dalle nuvole, nel bel mezzo della notte, prese il libro. Doveva vederci chiaro, una buona volta. Ibilith di certo se n’era andata subito perché non voleva parlare davanti alla bambina. Giunse all’albero che faceva da dimora alla folletta e la chiamò, posando il tomo davanti al tronco.
La creatura comparve subito, illuminando la radura con una luce azzurrognola, con aria seria e decisa.
-So cosa cerchi, Kento, ma preferirei non dirti troppe cose- disse Ibilith, con la sua voce delicata ma severa.
-Io invece, per istruire un’umana nella magia, ho bisogno di sapere. Innanzitutto, da quando in qua gli umani possono invocare i folletti e praticare magia? Non eravamo solo noi elfi, a poter usare la magia?- domandò Kento.
-In realtà, lei è una Custode. E le Custodi, lo sai, non si incarnano sempre egli elfi. L’ultima, lo ammetto, era un’elfa, ma prima c’è stata una spiritella, e prima ancora una gnoma. Quindi suppongo che la razza sia indifferente, poi, in queste circostanze, non mi stupisco di una simile scelta.
-Ma… Lei dovrà affrontare Prysma. Lei! Una bambina che ama la sorella più di ogni altra cosa al mondo!
-Sì, dovrà- lo interruppe la folletta -e tu la aiuterai, che ti piaccia o no, deve imparare le arti magiche! Io non posso fare nulla, ma tu sì!
-Perché, perché non puoi fare mai nulla in mio aiuto?- chiese l’elfo, spazientito.
-Le Custodi hanno immensi poteri, tra cui quello di far fare ciò che vogliono alle Creature Incantate. E come tu ben sai, le Creature Incantate sono ninfe, fate e…
-Folletti- concluse Kento, con un sospiro.
-Esatto. Perciò, devi convincerla a usare i suoi poteri nel modo più appropriato, per la sopravvivenza di tutti.
-Ma Prysma…
-Lo so, Kento, lo so. Non si sa ancora perché, Madre Natura non ha mai fallito, eppure… Tutto ciò è molto complicato. Ne abbiamo parlato anche con le ninfe, ma neppure loro hanno idea della motivazione.
L’elfo guardò gli occhi cristallini della folletta, rassegnato.
-D’accordo- disse -le insegnerò, non ho altra scelta…
Ibilith sorrise, rasserenata, come se si fosse finalmente tolta un peso, e la corteccia tremolò, risucchiandola nel tronco.
Prima che sparisse, l’elfo sentì un sussurro: -Grazie…
La radura si oscurò.
Kento si apprestò a tornare a Yostrid il più in fretta possibile, e quando arrivò a casa vide che non si erano accorti della sua piccola fuga.
Andò nella sua stanza, dove si buttò nel letto, sfinito. Ancora non ci poteva credere, ma il giorno dopo avrebbe dovuto essere pronto.
Doveva assolutamente istruire Kelly.
Quando la ragazzina si svegliò, il giorno dopo, non poté fare a meno di esaminarsi le braccia e il viso. Non c’era traccia dei tatuaggi. Aveva sognato? Forse, non si ricordava bene. Ad un tratto, però, un movimento nell’angolo della stanza catturò la sua attenzione.
Si chinò, e si bloccò, meravigliata.
Nell’angolo, seduta su una biglia di vetro con cui Kelly giocava spesso, stava una creatura piccolissima, che pareva fatta di gocce d’acqua condensata, e gli occhi erano due gocce rosse.
-Chi sei?- sussurrò la ragazzina, rivolta alla creaturina.
La piccola figura ridacchiò.
Ciao.
Kelly sussultò. Eppure la creatura non aveva aperto bocca.
-Come fai a parlare senza aprire la bocca?
Anche tu, se pensi le risposte, puoi farlo.
La ragazzina lo guardò un po’, poi pensò: Ok, allora mi senti?
Certo.
Ecco… Che cosa sei?
Uno spiritello. Tu puoi parlarmi perché sei una Custode… Ma dove sono i Tukné?
Kelly lo guardò sconcertata: I… I Tukné?
I simboli luminosi.
Oh, quelli… Li ho nascosti con una pozione, ma… Cos’è una Custode?
Te lo dirà Kento. Ora devo andare, ci vediamo presto, e ricordati, il mio nome è Logres.
La creaturina si volatilizzò, lasciando la ragazzina sola e con molte nuove domande in testa.
Doveva assolutamente parlare con Kento.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Ciaoo!
Pausa da scuola, era ora^^!!!!!
Però devo studiare, torno già mercoledì prossimo e ho 3 verifiche, mercoledì e due venerdì T-T
Perché, perché!!!!
Comunque, grazie per aver continuato a leggere fino a qua, colgo l’occasione per ringraziare:
-Achiko
-Alera di Hytanica
-birri
-Black98
-Daniawen
-Hoshi98
-Juliette98
-LoveForHachi
-May Des
-_Ida_
-AfterTheTempestTheSun
-Den94
-Federicadream
-CrissyCchan
-Giuggiole
-Giuliacardiff
-Red_Roses
-Tata103
-Tenshi No Yume
-Stefyc17
-TheNaiker
-Tutti coloro che mi seguono senza essere iscritti a EFP o senza aver aggiunto la storia in nessuna lista e senza lasciare recensioni 
GRAZIE!!!!
 
Alla prossima:3
ShinigamiGirl

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Capitolo 24
*** Luna piena ***


Amelia guardò verso il cielo.
Era notte, da vari giorni camminavano senza sosta, verso il regno elfico, eppure Jek non aveva ancora preso un’altra direzione.
La fanciulla se ne chiedeva spesso il motivo, anche se non ci dava troppo peso. Nonostante quel sentimento ostile, che provava verso di lui per istinto, doveva ammettere che era un ragazzo simpatico e giudizioso.
Aveva raccontato a lei e Tivresh la sua infanzia, e di come suo padre scomparve.
Gli occhi del ragazzo, a quel racconto, si erano fatti lucidi, e Tivresh era intervenuto dicendo: -Amico, se ti fa star male, non è necessario che ce lo racconti. Anche noi abbiamo avuto brutti ricordi, e non serve esternarli, perché ci capiamo a vicenda già abbastanza.
Amelia aveva ammirato quel modo di rassicurare, quel tono di voce calmo e deciso. Provava grande ammirazione nei confronti di Tivresh, non l’aveva mai negato a se stessa, ma quella saggezza le pareva molto strana.
Non poteva essere nata così, per caso. Tivresh doveva aver passato dei terribili momenti, da bambino, e la ragazza era decisa a volergliene parlare.
Guardò ancora qualche minuto le nuvole che coprivano la luna piena, e le venne in mente una cosa.
Mancavano tre giorni al suo compleanno.
Scosse la testa, cercando di scacciare quello spaventoso pensiero. Dalla prigionia al castello elfico aveva iniziato a temere l’arrivo del giorno della sua nascita: non sapeva cosa sarebbe successo, e la cosa la terrorizzava.
Si sporse a scuotere lievemente la spalla di Tivresh. Lui si stiracchiò e si sedette, stropicciandosi gli occhi: -Tocca a me per la sentinella?
-No, non ancora, ma volevo parlarti di una cosa- sussurrò lei di rimando.
Il ragazzo aggrottò la fronte, chiedendosi che cosa volesse mettere in discussione quella strana ragazza per cui provava affetto e protezione.
-Ecco- cominciò lei -mi chiedevo se… Insomma, se ti andasse di parlarmi del tuo passato. Sembri averne passate tante, e vorrei che mi raccontassi tutto, dato che saremo una squadra per un po’…
Tivresh si irrigidì, come Amelia temeva.
Strinse i pugni, dicendo: -E’ stato un periodo della mia vita molto buio, non ne ho mai parlato con nessuno, al di fuori di Kento.
-Quindi non ti va di parlarmene?
-E’ che con Kento è stato diverso… Gliel’ho raccontato perché siamo amici molto intimi…
-Non è così, fra di noi?- bisbigliò Amelia, quasi fra sé.
La ragazza si pentì quasi subito di aver detto una cosa simile. Lei non provava nulla per Tivresh, oltre a un affetto fraterno, e non voleva che lui andasse oltre a quel sentimento.
Lui però non fece nulla di avventato.
-Amelia, per te, provo qualcosa di diverso, qualcosa come… Ehm… Beh, hai presente l’affetto che hai verso Kelly, il voler sempre il suo bene e cose simili?
-Sì…
-Io provo la stessa cosa. Non so spiegarmelo, ma è così.
-E per proteggermi mentiresti come io faccio con Kelly?
Lui ci rifletté qualche secondo, a testa bassa, poi disse: -Se fosse necessario, probabilmente sì.
-Anche io ti considero un fratello maggiore...- ammise Amelia, sorridendo lievemente.
Il vento scompigliò i suoi lunghi capelli rossi, che Tivresh seguì con lo sguardo, mentre ondeggiavano sinuosi nell’aria.
Poi, ad un tratto, le iridi di Amelia brillarono di rosso fuoco, e la ragazza urlò.
-Amelia, che cos’hai?- quasi gridò lui, prendendola prima che cadesse sull’erba.
La fanciulla però non riusciva a rispondere.
La schiena le bruciava da matti, vedeva tutto rosso e la luna, sopra di lei, finalmente scoperta dalle nuvole, sembrava che le ghignasse contro.
Boccheggiò, tentando di dire qualcosa, qualunque cosa pur di sfuggire a quell’atroce dolore, ma non usciva alcun suono dalla sua bocca. Era in preda agli spasmi, con la schiena inarcata, tra le braccia di Tivresh.
Intanto, Jek si era svegliato, e guardava la scena con un misto di stupore e shock sul volto.
Dopo vari tentativi, Amelia riuscì a dire, fra un gemito e l’altro: -La… Schiena!
Tivresh, allora, con mano sicura, le alzò il corpetto fin sotto il seno, e la sdraiò su un fianco, a terra. Dove un tempo c’era una bruciatura che Amelia aveva sottovalutato, in quel momento c’era un cerchio a spirale, rosso sangue, con simboli sconosciuti al suo interno.
Tivresh imprecò.
-Non so che fare, dannazione!- esclamò.
Jek arrivò di corsa di fianco a lui, dicendo: -Mettila supina, subito!
Tivresh era tanto in preda al panico da non riflettere molto sulla richiesta del giovane, e girò subito l’amica, senza far troppe discussioni.
Jek versò il contenuto di una borraccia nella bocca della ragazza, che ansimò sempre più piano, fino a respirare regolarmente, ad occhi chiusi.
Allora Tivresh capì.
-Cosa le hai fatto?- esclamò, prendendolo per la maglia e buttandolo a terra.
-Le ho dato un sonnifero! Stai calmo!
-Come fai ad avere un sonnifero? Sei un mago?
Jek era terrorizzato: -Le ampolle le ho comprate, non ho fatto nulla di male!
Tivresh lo lasciò andare, senza avere più forze in corpo. Si era preso un bello spavento.
-Ne riparleremo più tardi…
Jek annuì, riprendendo fiato.
-Scusa, amico, mi son fatto prendere dal panico- disse Tivresh, con la testa fra le mani.
-Non importa, spero solo che Amelia non abbia nulla di grave.
Tivresh guardò il cielo, chiedendosi cosa diavolo fosse quel simbolo sulla schiena dell’amica, che ora dormiva sull’erba, scossa da piccoli spasmi, come se stesse ancora soffrendo.
 
Amelia si guardò intorno, terrorizzata.
La bruciatura sulla schiena le doleva ancora, ma non più come prima. Si trovava in una landa buia, desolata e piena di cadaveri.
Iniziò a correre, senza sapere neanche dove fosse diretta.
I corpi che ricoprivano completamente il suolo le rendevano difficile la corsa, ma continuò senza badare a dove mettesse i piedi.
Ad un tratto cadde, ma il tonfo non arrivò mai.
Continuò a cadere nel vuoto, e a urlare dalla disperazione.
Due occhi rossi comparvero nell’oscurità, e una voce buia disse: -Sangue e morte, questo è il tuo destino!
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Spero abbiate passato delle buone vacanze!
Eccomi di ritorno con un nuovo ed emozionante (ma dove…? ndlettori) capitolo!
Si torna dalla protagonista, dal passato e dalla bruciatura che le era stata fatta al primo capitolo…
Prego affinché vi sia piaciuto ^__^
Cercherò di aggiornare almeno una volta a settimana, ma non prometto nulla, la scuola è tiranna! Sicuramente i lettori alunni mi capiranno U_U
Alla prossima!!!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 25
*** Minacce ***


Slina si stava allenando, come suo solito, nel bel mezzo della notte, sotto la luna piena.
L’albina guardò l’astro nel cielo, abbassando il cappuccio del mantello e ostentando tranquillità.
Il coltello le partì di mano, andando a conficcarsi nell’albero più sottile, a circa una decina di metri da lei.
-Ehi!
-Ti avevo detto che non volevo essere disturbata- disse la ragazza, con serietà e malcelata minaccia.
Seth spuntò dall’oscurità, con un lieve sorriso sulle labbra, e gli occhi blu coperti da ciuffi di capelli castani. Era da poco Ombra, e tendeva a cercare sempre l’approvazione di Slina, in ogni cosa facesse.
-Andiamo, devo convocarti, il re ha detto di volerti parlare- disse, con un sospiro.
Slina aggrottò la fronte.
Era da qualche giorno che si erano trasferiti in un palazzo poco più distante dal principale, dove custodivano i pugnali, mentre il sovrano era rimasto al castello.
La giovane alzò il cappuccio, incamminandosi verso Seth.
-Fammi strada- ordinò.
Il ragazzo la portò nella fortezza, guidandola al salone del trono. Era molto spoglio, in quanto non era presente il re, e c’era un forte odore di muffa che impregnava i muri grigiastri.
Slina notò la sfera d’ambra posta sul trono, perciò si avvicinò, riuscendo finalmente a scorgere la figura del suo sovrano, e si inginocchiò.
-Vostra altezza, eccomi.
-Slina- disse Alisten, attraverso la sfera -era ora. Ho notizie molto importanti e particolari da darti.
-Attendo ordini, sire- rispose lei, con fare diligente.
-Stephen mi ha comunicato che il sigillo ha funzionato.
Slina alzò il capo di scatto, con gli occhi spalancati, sconvolta. No, non era possibile…
-Ma lei ha usato il pugnale! L’ho vista! Non è possibile!- esclamò, fuori di sé.
Il re, attraverso la sfera, aveva un volto altrettanto scioccato, ma anche rassegnato. Sembrava che si fosse arreso.
-Mi dispiace, Ombra, ma questo è stato il rapporto di Stephen, e Prospero ha confermato di aver sentito l’azione di una sua magia, qualche mezz’ora fa. Ciò significa che il suo filtro ha fatto effetto, e Stephen ha solo confermato l’affermazione del nostro mago- spiegò il re -ora, quello che possiamo fare è uccidere i gemelli il prima possibile. Vale a dire, entro la prossima primavera.
-Abbiamo tempo, quindi- disse Slina, speranzosa.
-Purtroppo, andando avanti col tempo, la ragazza si renderà sempre più consapevole di quello che è. Comincerà ad utilizzare i poteri paranormali, e a quel punto dovremo, anzi, potremo solo giocarci Stephen. E’ per questo che vi ordino di partire subito per dare loro la caccia, in modo tale da fermarli il prima possibile.
Slina aveva molti pensieri che le frullavano per la testa, ma ritenne più opportuno annuire docilmente col capo, senza dire nulla.
-Partirete domani, iniziate a fare i preparativi.
L’Ombra portò la mano sinistra al petto: -Agli ordini, vostra altezza.
La comunicazione si interruppe, e Slina si alzò bruscamente, turbata. Si voltò, scoprendo che Seth aveva assistito alla scena e attendeva spiegazioni, a giudicare dall’espressione del volto.
-Hai sentito? Avverti tutte le reclute del tuo dormitorio, subito!- gli ordinò.
-Cosa vuol dire che la magia ha avuto effetto? Dimmelo- disse Seth, con fare deciso.
-Nulla a che vedere con il tuo compito, stupido. Non perderò tempo a spiegarti tutto, sappi solo che se non partiamo subito e non ammazziamo Mhirael, quella bastarda potrà ucciderci con un solo battito di ciglia. Anzi, conoscendo la sua natura sadica, ci farà patire le pene dell’inferno, ridendo della nostra impotenza.
A quelle parole, il ragazzo rimase bloccato dallo stupore.
-Che aspetti? Muoviti!- gli sibilò Slina.
Allora lui scattò ai dormitori, per avvertire tutti dell’imminente partenza, mentre la ragazza si incamminava alle stanze delle Ombre più anziane, di cui lei faceva parte, nonostante la sua giovane età.
Spalancò la porta di botto, senza riguardo di chi dormiva sui letti di pagliericcio.
-Il re ha ordinato di uccidere i gemelli, subito! Partiamo fra poche ore, all’alba!- quasi gridò.
Tutte e nove le Ombre presenti si alzarono, confuse.
-Il motivo?- chiese Bard, un uomo sulla quarantina. Uno dei più anziani.
-Il sigillo in Mhirael si è attivato- annunciò macabra Slina.
Un mormorio di stupore e incredulità attraversò la stanza. Tutti non potevano pensare che fosse reale, una cosa del genere.
-Zitti!- urlò la ragazza -E’ tutto vero, sbrigatevi e fate i bagagli! Non voglio crepare, né per mano di Sephora e tantomeno ammazzata da quella sgualdrina! Prendete anche i pugnali, ce ne serviremo per compiere il rito.
-Slina, dannazione, non è possibile, quella ragazza non può…
-E invece sì! La Natura ha fatto un errore, capita, d’altronde lei è una mezzosangue!
Tutti si zittirono, e Slina si rese conto con orrore di quello che aveva detto. Nessuno si era mai azzardato a dire che Madre Natura avesse sbagliato. Madre Natura non sbaglia mai, e insultarla era molto grave.
-Ok, sono fuori di me, come potete vedere- disse la giovane, con più calma -ora però fate i bagagli. Domani si parte.
Tutti annuirono, mentre Slina usciva dalla sala confusa.
Aveva bisogno di tempo per digerire quelle notizie ed essere un buon capo delle Ombre.
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Capitolo cortino, ma ne ho un altro già pronto che pubblicherò domani o dopodomani;)
Ringrazio tutti quelli che mi seguono, vi voglio tanto bene, grazie per aver apprezzato il mio lavoro fin’ora.
Per domande, critiche, o anche solo salutarmi, recensite o mandatemi un messaggio. Mi rendereste la ragazza più felice al mondo.
A kiss
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 26
*** Leggende ***


 Kelly guardò imbronciata la sfera d’acqua che aleggiava sopra la mano di Kento.
-Non ci riesco! Uffa!- si lamentò.
-Andiamo, provaci ancora… Se ti arrendi così, non ti insegnerò altro.
-Ok, ok…
La bambina fece un respiro profondo, poi pronunciò una formula in antico elfico, stendendo la mano sopra la bacinella d’acqua. Il liquido tremolò, mentre la ragazzina lo fissava concentrata, e se ne staccò una sfera deformata. Kelly girò il palmo lentamente verso l’alto, ma a metà percorso la sfera si disfò e cadde sulle sue scarpe, bagnandola tutta.
-Accidenti!- esclamò lei, esasperata.
Kento rise sotto i baffi, lasciando cadere dolcemente la sua sfera nella bacinella, poi la tranquillizzò: -E’ normale all’inizio. Inoltre credo che l’assenza dei simboli sulla tua pelle diminuisca le tue capacità magiche. Ora prenditi una pausa.
La ragazzina si sedette sull’erba, posando le mani sul visino.
Erano ormai un paio di settimane che si esercitava con scarsi risultati. Inoltre, il giorno dopo sarebbe stato il compleanno di Amelia, e la cosa la rendeva meno allegra del solito. Avrebbe voluto essere a festeggiare i sedici anni della sorellona insieme a lei, ma dopo tutto quello che era successo…
Inoltre, continuava a vedere spiritelli ovunque.
Anche quando andava a fare il bagno, c’erano gli spiritelli dell’acqua, che spuntavano da tutte le parti. Le prime volte si era imbarazzata tantissimo, ma poi, loro le avevano rivelato di aver visto moltissime persone andare a fare il bagno o i propri bisogni. Non che la cosa la tranquillizzasse, ma almeno non aveva motivo di avere pudore, se l’avevano già vista.
Non ne aveva ancora parlato con Kento, a proposito di quelle creaturine. Aveva paura che potesse fare loro del male, quando invece la aiutavano continuamente.
Anche a scuola, le suggerivano le cose che non sapeva, e la aiutavano quando giocava a nascondino con i suoi amici.
Per lei, gli spiritelli erano diventati ormai dei compagni di vita abituali e molto importanti.
In quel momento però, si rese conto che doveva scoprire di più, e l’elfo avrebbe potuto aiutarla più di quanto potesse immaginare, se solo avesse avuto coraggio di raccontargli tutto, e soprattutto di chiedergli cosa fosse una Custode.
E secondo te, cosa devo fare? Pensò, rivolta allo spiritello verdognolo che giocherellava dondolandosi appeso a un filo d’erba, di fianco a lei.
Lui si voltò, e rispose: Devi dirglielo, o non saprai mai qual è il tuo vero compito.
La bambina annuì, sorridendogli.
La creaturina sorrise di rimando, e riprese a dondolarsi allegramente.
-Kento?- chiamò quindi la bimba, facendosi coraggio.
Lui stava trafficando con il libro di magia, e si voltò incuriosito.
-Kento, tu sai cosa sono le Custodi?
L’elfo, da tranquillo che era, si irrigidì, avvicinandosi lentamente a Kelly.
-Chi te ne ha parlato?- chiese, a muso duro.
-Ecco, non so se mi crederai, ma io vedo delle creaturine piccolissime che si chiamano spiritelli, ma non ti arrabbiare con loro! Mi hanno detto che i tatuaggi si chiamano Tukné, e che io sono una Custode, e che tu mi avresti spiegato!
La ragazzina stava per mettersi a piangere, impotente, e l’elfo cercò di addolcire la voce.
-Ho capito. Scusami, è che questa informazione è molto… Delicata, e non si dovrebbe dire con tanta leggerezza.
-Ma me lo spiegherai?
-Credo che ora non possa più nascondertelo- sospirò Kento -ecco, ogni certi periodi di tempo una creatura chiamata Prysma nasce in un essere sulla Terra. Prysma è come un’entità malefica, l’opposto di Madre Natura, che veniva chiamata Raismo. Però entrambi hanno all’interno un po’ di buono e un po’ di male.
-Quindi Madre Natura è un po’ cattiva e Prysma è un po’ buono?- domandò Kelly.
-Sì.
-Ma cosa c’entrano con me?
Kento esitò, poi, con un sospiro, ricominciò a raccontare.
-All’inizio di tutto esistevano solo Prysma e Raismo, che vivevano completandosi l’un l’altra. Poi Prysma iniziò a degenerare, e la sua piccola parte buona in lei se ne rese conto. Colei che chiamiamo Madre Natura creò il mondo, e le razze. Prysma si addormentò nelle creature del pianeta per non causare altri danni, e Madre Natura diede parte del suo essere alle Creature Incantate, che misero l’animo di Madre Natura in ballottaggio tra varie razze. Le prescelte, di razze diverse, vennero chiamate Custodi. Le Custodi hanno il compito di reprimere il corpo in cui Prysma rinasce prima che il suo lato malvagio abbia il sopravvento, e si manifestano ogni volta in differenti persone. Solitamente le Custodi sono i prescelti dei pugnali e una in più.
-Io quindi sono… Quella in più?- chiese la ragazzina.
-Sì, credo di sì.
-Io… Devo uccidere una persona? Chi?- esclamò, agitata.
-Non lo so, ma Tivresh e Amelia ci aiuteranno, ne sono certo- mentì Kento.
La bambina si tranquillizzò, ancora scossa dalle rivelazioni ricevute. Evidentemente iniziava a sentire il carico, il peso di questo compito. L’elfo si sentì in colpa per le bugie che le stava dicendo, ma d’altronde, non poteva certo dirle la verità, o avrebbe rifiutato di imparare ad utilizzare i suoi poteri, se non addirittura allontanare completamente il compito che le spettava.
Kelly era, in cuor suo, molto preoccupata, ma in piccola parte emozionata, soprattutto del fatto di avere parte dell’anima di Madre Natura in sé.
Come ogni bambina che si rispetti, fantasticò molto su cosa avrebbe potuto fare… Se solo quei poteri non fossero stati un segreto.
Ricominciò ad esercitarsi con Kento negli incantesimi, sovrappensiero. Non riusciva a togliersi dalla testa l’idea che avrebbe potuto sfruttare i poteri per qualsiasi cosa… D’altronde, lei era una prescelta. Chi le sarebbe andato contro?
Non puoi usare i poteri per qualcosa di personale… Disse una vocina femminile.
Kelly si guardò intorno, e vide uno spiritello fatto di vortici di vento, che svolazzava sopra di lei.
Il tuo compito le disse ancora è molto importante, Custode. Non farci pentire della scelta.
Non lo farò, ma vorrei aiutare le persone povere, non solo fermare questa o questo Prysma!
Ne avrai tanto di tempo, dopo la sua sconfitta. Così dicendo la spiritello se ne andò, leggiadra, sulle ali del vento.
Kelly la osservò allontanarsi, con un lieve sorriso sulle labbra.
No, non avrebbe deluso nessuno, anzi. Avrebbe reso orgogliosi tutti, e si sarebbe impegnata al massimo.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Hello!
Non ho molto da dire, spero che vi sia piaciuta la leggenda ^____^
Per commenti, critiche, pareri, suggerimenti, attendo recensioni o anche messaggi privati, mi fanno sempre piacere: )
Ringrazio tutti i lettori<3
Al prossimo capitolo!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 27
*** Compleanno ***


Jek continuava a bagnare il panno d’acqua fresca, mentre Tivresh lo guardava preoccupato e irritato.
-E’ da un giorno e mezzo che dorme. Le hai dato troppa pozione- disse, rimproverando Jek.
-Scusa! Non sono esperto, te l’ho detto. Quell’ampolla ce l’avevo con me solo per sicurezza, che ne sapevo quanta ne bisognava usare?- ribeccò con fare aggressivo il giovane.
Sembrava che si sentisse in colpa anche lui della situazione, ma Tivresh non si scusò, né ritirò le parole dette. Semplicemente sospirò, guardando l’amica che dormiva, stesa sul letto di muschio che avevano improvvisato sul terreno scosceso della montagna.
Amelia non dava segni di sofferenza, ma il simbolo era rimasto, come un tatuaggio indelebile, sulla sua schiena.
Tivresh si era chiesto, in quelle ore, dove diavolo se lo fosse procurato. Sperò che si svegliasse presto, dato che voleva, anzi, doveva sapere come stava. Il ragazzo guardò il sole che tramontava, e si addormentò così, tormentandosi sullo stato fisico e morale dell’amica.
Era notte inoltrata quando la ragazza aprì gli occhi, anzi, era quasi mattino. Il sole stava sorgendo, tingendo di rosa il cielo.
La prima cosa che vide fu Jek, sopra di lei, che la guardò con un mezzo sorriso di sollievo.
-Stai meglio?- le chiese.
Amelia si scompigliò i capelli, grattandosi il capo, rispondendo: -Più o meno…
Cercò di alzarsi, ma la schiena le faceva ancora male, e non appena si sedette sentì un crampo, dove, prima, c’era la bruciatura.
La fanciulla fece una smorfia: -Jek, mi fai un favore?
Lui si avvicinò, come in attesa di ordini.
-Alza il mio corpetto e dimmi cos’ho sulla schiena- disse la ragazza.
-A dir la verità posso dirtelo senza guardare. Hai dormito per un bel po’, quasi due giorni, quindi abbiamo scoperto da noi cos’avevi.
Lei lo guardò con aria interrogativa.
-Vedi- le disse lui -hai uno strano simbolo rosso sangue sulla schiena. L’altra sera si illuminava se esposto alla luna. E’ una specie di cerchio con strani disegni all’interno… E avevi anche gli occhi rossi.
-Gli occhi… Rossi?- chiese Amelia, un po’ turbata.
-Già.
-Oddio… Non… Non so che mi succede. Oh merda- disse la ragazza, iniziando ad ansimare forte, spalancando gli occhi.
Jek le posò timidamente la mano sulla spalla, cercando di consolarla un poco.
-Sistemeremo tutto, tranquilla, vedrai che…- il ragazzo si interruppe. Sotto il suo tocco, Amelia era diventata rigida, e stava guardando nel vuoto, davanti a sé, come se fosse caduta in trance.
-Oggi- disse, con voce d’oltretomba -è… il mio compleanno.
-Davvero? Beh, auguri! Non c’è bisogno di dirlo con un tono così lugubre!- esclamò Jek, grattandosi la nuca.
Lui non poteva capire, ma Amelia ormai aveva collegato tutto. Lo sconosciuto del lago gliel’aveva detto, che si sarebbero rivisti, che le sarebbe successo qualcosa al suo sedicesimo compleanno. Doveva scoprire cosa la attendeva… Il suo destino.
Erano davvero sangue e morte, come aveva sognato? Che fosse il suo inconscio a parlarle?
Il sole fu completamente sorto da dietro le colline, e Amelia fece l’enorme errore di alzarsi e guardare nella direzione della luce.
La ragazza rimase illuminata per qualche istante dal sole, poi, sentì qualcosa percorrerla da testa a piedi… Qualcosa che aveva represso… Qualcosa a cui non aveva mai dato vera importanza.
Un sentimento con cui aveva vissuto per anni.
Una rabbia omicida.
Successe in fretta. Vide tutto rosso, rosso sangue, come la sua furia e la sua cattiveria. Una strana forza la attraversò, facendole lanciare un grido disumano misto a un ringhio, dal piacere che provò sentendo quell’energia.
Fiutò odore di sangue, e si voltò di scatto verso il più vicino, Jek, poco distante da lei.
L’altro sangue che percepiva era decisamente più appetitoso, sembrava di enormi animali che avevano a che fare con la magia, ma Jek era meno distante.
Stava per saltargli addosso e strappargli la carne di dosso con la sua stessa bocca, quando vide Tivresh.
Smise di ansimare come un animale, tornò a vedere a colori, e l’olfatto si fece meno acuto.
Sbatté le palpebre, confusa e terrorizzata.
Gemette, in preda al panico.
-Cosa diavolo mi sta succedendo!?- quasi urlò.
Si afferrò la testa tra le mani, accucciandosi a terra, come faceva da piccola, mettendosi a gridare per scacciare tutto ciò che la circondava. In quel momento, però, non urlò. Cercò di isolarsi da tutto senza emettere alcun suono.
Dal simbolo, dalla rabbia, dal sangue, dal pugnale, e persino da Tivresh e Jek.
Si sentì abbracciare da qualcuno, e non seppe rifiutarsi, ricambiando l’abbraccio.
Tivresh la stringeva con fare protettivo, e lei si sentì a casa, seppur spaventata e tremante, fra le sue braccia.
-Calmati. Non devi preoccuparti, troveremo una soluzione, te lo prometto- le disse, con tono autorevole.
Una lacrima rigò la guancia di lei, prima che aprisse gli occhi, di nuovo bianchi.
-Siamo in pericolo- sussurrò la ragazza.
Pochi istanti dopo, vari lupi enormi li circondarono ringhiando minacciosi.
Amelia riconobbe il grande lupo bianco dagli occhi di ghiaccio, che la puntava minacciosa.
Slina.
Li avevano raggiunti, alla fine.
Le Ombre avevano assistito alla mutazione della ragazza, e ora, essendo tornata normale, potevano sconfiggerla come se niente fosse.
Perciò la ragazza Ombra aveva ordinato di attaccare in quel momento.
La lupa bianca latrò, e alcuni lupi si gettarono contro Amelia e Tivresh, ancora abbracciati a terra. Il giovane si buttò verso la sua spada, e respinse un lupo colpendogli il muso con la lama, aprendogli una ferita da cui sgorgò sangue a fiotti.
Qualcuno colpì alla testa Amelia, che cadde confusa a terra mentre cercava di raggiungere un’arma fra gli zaini.
La ragazza percepì una piccola lotta, poi il nulla.
Prima di perdere i sensi, aprì gli occhi, e scorse qualcosa di molto strano.
Un drago blu notte, lungo e sinuoso, dalle squame lucenti e le zanne affilate, teneva Slina, o meglio, la forma lupo di Slina per il collo, sospesa in aria, con la zampa artigliata e squamosa.
La ragazza sentì una voce che ispirava antichità e potenza, che diceva: -Nessuno vi ha detto di intervenire. Avevo tutto sotto controllo! Andatevene!
Dopo queste parole, Amelia vide il drago scagliare a terra la lupa, che guaì.
Poi, tutto si fece buio.
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Ehm… Piaciuto??
Boh, fatemi sapere. Mi fido completamente di voi. Ringrazio tutti coloro che continuano a leggere “Innocence”. Tranquilli, alla fine dirò anche perché l’ho intitolato così ;)
A kiss
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 28
*** Poteri e Pugnali ***


Amelia si svegliò, spossata.
Era in una caverna, abbastanza illuminata e afosa.
Cercò di tirarsi su a sedere, con un po’ di fatica. Le faceva male la testa, pulsava ad ogni battito del suo cuore. Chiuse gli occhi, maledicendo il lupo che l’aveva colpita e pregando affinché il dolore passasse presto.
Quando li riaprì, vide davanti a sé Tivresh e Jek, sporchi e feriti, sdraiati sulla pietra, come lo era lei prima.
Si avvicinò ai compagni, preoccupata. Tivresh non sembrava soffrire molto, nonostante avesse uno squarcio che gli apriva il fianco. La ferita si era rimarginata un minimo, ma era ancora grave. Jek presentava invece solo qualche ammaccatura, evidentemente era riuscito a evitare i lupi.
La ragazza non riuscì a trattenere la propria rabbia. Era inconcepibile che per colpa di stupidi elfi presuntuosi, fossero finiti in quelle condizioni.
Cominciò a tremare di furia, le nocche sbiancarono, e sul delizioso volto si dipinse una smorfia orrenda.
In quel momento voleva che tutti stessero meglio, solo per inseguire quei bastardi e ammazzarli. La ragazza posò una mano sul fianco straziato di Tivresh, piena di rabbia. Voleva convincersi che con quel gesto, piccolo e insignificante, potesse risparmiargli il dolore.
Ad un tratto sentì una strana energia percorrerla, un’energia infinitamente potente, che traeva potenza da quella sua cattiveria improvvisa, da quella sua furia omicida.
In un attimo la stanza si illuminò, e la ragazza inorridì, al pensiero della sete di sangue che percepì, in quei pochi istanti.
Amelia si accasciò a terra, pronta a lottare contro se stessa, per non far del male a nessuno.
Non successe nulla.
La fanciulla alzò lo sguardo, stupita. La rabbia era scomparsa.
In compenso, anche il mal di testa era solo uno spiacevole ricordo. Stupefatta, Amelia guardò il fianco di Tivresh. Era completamente guarito, così come Jek, che era di nuovo pulito, senza graffi e lividi.
Amelia sorrise fra sé.
Iniziò a ridacchiare, piano, della situazione in cui si trovava. La risata si fece sempre più alta e frenetica, fino a divenire una risata nervosa e malvagia.
Ad un tratto si bloccò.
Che diavolo le stava succedendo? Non era da lei mettersi a ridere, neppure a quel modo. Il suo sguardo si fece cupo, mentre sentiva qualcuno muoversi.
Tivresh si alzò, stiracchiandosi le gambe.
-Che cos’è successo?- chiese, con voce roca.
-Io… Ecco, credo che le Ombre se ne siano andate- gli rispose Amelia, con tono neutro, ancora sovrappensiero per le cose che aveva appena compiuto.
Lui rimase sconcertato: -Mi avevano ferito…
-A quanto pare un drago ci ha difesi, ma non ho idea di cosa fosse, l’ho solo intravisto. Probabilmente ci ha anche guariti.
Anche Jek si destò dal suo sonno, confuso.
-Ah… Ragazzi… Sono sfinito… Cosa… Cos’è successo?- disse, passandosi una mano fra i capelli neri come la pece.
-Un drago ci ha difesi… Questo è quello che sappiamo…- ripeté Amelia.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, stupito, mentre Tivresh guardava un punto fisso, fuori dalla grotta. Amelia seguì il suo sguardo con curiosità. E rimase di stucco.
Sotto il sole di mezzogiorno, appena fuori dalla grotta, stavano due foderi di pugnale.
Uno di loro era blu, con delle spirali color oro.
Sì, era decisamente il pugnale di Amelia, mentre l’altro doveva essere per forza il secondo pugnale… Era rosso scuro, con gli stessi ornamenti d’oro.
La ragazza e Tivresh si scambiarono un’occhiata fugace.
Possibile che non fossero un’illusione? Possibile che le Ombre li avessero lasciati davvero lì? Forse quel drago li aveva sottratti agli elfi. Quel drago di cui non conoscevano l’identità…
Amelia si alzò, correndo verso i pugnali.
Li afferrò, constatando che non erano un’illusione, erano veri foderi.
Ammirò per qualche secondo quello blu, con aria sognante. Finalmente l’aveva ritrovato… Avrebbe potuto compiere le sue missioni, ora.
Sfilò la lama del pugnale lentamente, ammirandone la lucentezza e il filo tagliente, mentre un’energia piacevolmente benefica la attraversava.
Sorrise.
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla, così si voltò, vedendo Tivresh col suo stesso sorriso dipinto in volto.
-Sono loro?- le chiese il giovane.
-Sì, quelli autentici!- rispose lei, eccitata -Ora cosa dobbiamo fare?
L’amico smise di sorridere.
Amelia rimase un po’ turbata, e cercò di coinvolgerlo un po’: -Ehi, siamo a un passo dalla vittoria!
-No, non lo siamo. Manca ancora tanta strada…
-Cosa intendi dire?- domandò la ragazza, spaesata.
-Vedi… Dovremo realizzare tutte le profezie, nessuna esclusa. E in questo ci serve Kento, io non le conosco tutte, so solo che dovremo uccidere il re degli elfi, Aster.
-Capisco… Quindi dobbiamo tornare a Yostrid?
-Sì, pregando che le Ombre non ci abbiano preceduti- annuì Tivresh -ora tieni i pugnali con te, sei la più forte del gruppo, dopotutto. Dobbiamo muoverci.
Il ragazzo corse a prendere l sue cose, mentre Jek li guardava, in attesa di spiegazioni.
Amelia decise di prendersi quell’ingrato compito.
-Jek, senti- cominciò -ci dispiace di averti scombussolato un po’ la vita, ultimamente. Ora dobbiamo tornare a Yostrid, dovrai proseguire il viaggio da solo.
-Perché? Voglio… Voglio accompagnarvi. Vi prego, ho le pozioni, la sfera, potreste parlare già ora col vostro amico!- tentò di dire il ragazzo.
La rossa stava già per rifiutare, ma Tivresh la bloccò, uscendo dalla caverna e dicendo: -Jek, è pericoloso stare con noi. Lo sai?
-Sì, ho visto tutto con i miei occhi e… Credo che mio padre sarà più felice se aiuterò voi, prima di andare a cercarlo. Mi sentirei solo in colpa, se me ne andassi- rispose lui, con convinzione.
Tivresh guardò l’amica per qualche secondo.
-D’accordo. Una mano in più non può darci che sollievo- acconsentì la ragazza, a malincuore.
Jek sorrise, con uno sguardo di sfida.
-Non deluderò le vostre aspettative. Mi renderò utile!- così dicendo afferrò lo zaino di pelle, pieno di ampolle e abiti.
Tivresh si immedesimò in un capo. Ordinò: -Andiamo, subito. Ci aspetta un lungo viaggio.
I tre si avviarono per la discesa scoscesa della montagna, diretti alla cittadina di Yostrid.
Uno spiritello dell’aria, formato da soli vortici di vento, li guardò partire da sopra un albero, col visino pieno di disappunto. Di fianco a lui, anche una piccola spiritello dell’albero seguì con lo sguardo il gruppo, assieme all’altro spiritello.
Non finirà bene, questa storia dei pugnali… Disse la spiritello fatta di fogliame.
Tranquilla, certamente Madre Natura ha previsto tutto. Non devi essere incerta. Le rispose l’altro.
Sarà, ma non mi convince…
Neanche a me, ma dobbiamo avere fiducia nella potenza di Madre. La Custode promette bene, a differenza dei due prescelti dei pugnali.
Lo so disse la spiritello ma non posso fare a meno di essere preoccupata.
Già, vedremo molto dolore e molta distruzione. Ammise lo spiritello dell’aria, prima di andarsene, seguito dalla compagna.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Ciao gente!
E’ incredibile quanti capitoli si possa sfornare, ascoltando i Nickelback!
E anche grazie all’influenza dell’amore… Ora sì che rimpiango i periodi in cui non andavo dietro a nessuno. Bei tempi.
Grazie a tutti, siete da stimare, per il solo fatto che leggete questa storia! <3
Giovedì è il mio compleanno :D…. Non ve ne frega niente, eh? Lo sapevo xD
Piuttosto… Avete domande? Critiche? Suggerimenti? Pareri personali sulla trama? Fatemi sapere, se vi va ^___^
Al prossimo capitolo gente!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 29
*** Rioncilio ***


Kento osservava Kelly con attenzione.
I tatuaggi risplendevano lucenti sugli arti della ragazzina, mentre cercava di applicare una magia.
Stava cercando di unire tutte le gocce di rugiada in un’unica sfera d’acqua.
Pronunciò in modo perfetto la formula in antico elfico, mentre la rugiada iniziava a tremolare. L’elfo guardò speranzoso la sua allieva, concentrata al massimo.
Alla fine, ce la stava facendo.
Dopo qualche secondo di preparazione, Kelly iniziò a far fluire l’energia nata dalla formula, alzando la mano col palmo verso l’alto. Le gocce iniziarono a fluttuare verso di lei, unendosi in una sfera perfettamente tonda, che aleggiò sopra la manina della ragazzina.
Aprì gli occhi, con timore, ma la sfera rimase dov’era, con suo grande sollievo.
Anche Kento era molto soddisfatto, si avvicinò alla ragazzina con un enorme sorriso sulle labbra.
-Ottimo lavoro, Kelly- le disse.
-Visto? Visto? Alla fine anche io sono capace di fare queste cose!- rispose lei, emozionata.
Pronunciò un’altra formula e scagliò la sfera contro l’elfo, che si sarebbe bagnato tutta la maglietta se non l’avesse arrestata con un’ennesima formula magica.
Rimase qualche secondo a rimirare l’acqua, prima di lasciarla cadere dolcemente a terra.
-Ah, accidenti! Prima o poi ti fregherò!- esclamò Kelly, scherzosa, facendo una linguaccia.
L’elfo rise, accarezzandole la testa.
-Ce ne vorrà di tempo, prima che tu riesca a fare una cosa del genere!
-Vedremo.
-Ora devi bere la pozione, non vorrai rientrare al villaggio con i tatuaggi- la ammonì Kento.
La ragazzina annuì, facendo un saluto militare, prima di andare a recuperare l’ampolla nella casacca.
Stava chiudendo la borsa, quando lo notò.
Uno spiritello di rugiada che la guardava con un’espressione preoccupata.
Logres, sei tu? Gli chiese, riconoscendo la creaturina.
Sì.
Come mai sei qua? Perché hai quell’espressione preoccupata?
Devi dirglielo, dei dubbi che ti porti dietro. Rispose lui.
Kelly lo guardò spalancando gli occhi.
Ho paura, non so come potrebbe reagire!
Tranquilla, Custode. Non può fare del male a nessuno, e come tuo educatore deve essere a conoscenza di ogni tuo dubbio, e saperti consolare e spiegare ogni cosa. Le disse lo spiritello.
La ragazzina annuì, con sguardo d’intesa.
La creaturina aveva ragione, in fondo. Non poteva tenergli nascosta una cosa simile.
Si alzò, decisa.
-Kento, posso dirti una cosa?- disse.
Vide l’elfo girarsi verso di lei, guardandola con curiosità: -Dimmi pure.
-Io… Ho pensato molto a quello che devo fare. Anche grazie agli spiritelli… E volevo sapere come mai vedo quelle creature, mentre mia sorella no. Anche tu, perché non li vedi? Cosa posso fare, con i miei poteri? Vorrei che tu me lo spiegassi bene, per favore.
Kento rimase un po’ sorpreso. Quel discorso non sembrava essere uscito da una ragazzina di dieci anni. Evidentemente, il peso della missione che l’aspettava l’aveva fatta riflettere parecchio.
-Non posso spiegarti proprio tutto, ma vedrò di accontentarti- acconsentì lui.
-D’accordo.
-Dunque- cominciò Kento -la Custode in più vede gli spiritelli, perché attraverso la loro magia puoi comandare a tuo piacimento le Creature Magiche.
-Le… Creature Magiche?
-Sì, ovvero fate, ninfe e folletti. Come già sai, le fate si sono estinte, se ne esistono ancora certamente non si faranno vedere. E’ importante però che la terza Custode sappia governare completamente la magia, perché dovrai rinnovare un incantesimo di grande potenza, insomma, l’aveva creato Madre Natura.
-Ovvero Raismo, giusto?- domandò Kelly.
-Esatto. Tu, in effetti, potresti comandare i folletti e le ninfe, che persone normali non vedono, come gli spiritelli.
-Quindi gli spiritelli sono i più potenti…
-Sì, stanno alla base della magia stessa- disse Kento -noi elfi siamo vicini alla natura, poiché ci trasformiamo, ma gli spiritelli, come le Creature Magiche, sono ciò che è più vicino alla natura, quindi a Raismo.
Fece una pausa. Kelly aveva sul visino un’espressione perplessa.
-Cosa non ti è chiaro?- le chiese.
-Se solo io potrei vederli… Perché tu vedi i folletti?
L’elfo rimase in silenzio.
La bambina iniziò a preoccuparsi. Che Kento avesse fatto qualcosa di brutto? Impossibile. Ma allora per quale ragione esitava così tanto in una risposta del genere?
-Kento- gli disse -non hai fatto nulla di male, vero?
L’elfo sembrò riprendersi.
-No di certo!- esclamò -E’ che il motivo è difficile da dire… C’entra molto con la mia infanzia, e preferirei parlartene fra un po’ di tempo.
Kelly annuì col capo, comprensiva.
Forse era successo qualcosa di simile a ciò che era successo a lei, col villaggio, e lo capiva. Era difficile parlare del proprio passato, quando c’era di mezzo la morte dei propri genitori.
Ad un tratto si sentì chiamare da lontano.
Inizialmente pensò a qualche spiritello burlone, ma poi lo sentì di nuovo, chiaro e nitido.
-Kelly!
In preda al panico, la ragazzina bevve d’un fiato la pozione, che fortunatamente ebbe effetto in pochi secondi.
Kento si guardava intorno, per capire da dove proveniva quella voce.
Da un lato della radura sbucò di corsa una giovane dalla chioma color rosso vivo, lunga fin sotto la vita, con un enorme sorriso sulle labbra e due iridi bianche.
La bambina spalancò gli occhi, sorpresa e felicissima.
Corse incontro alla sorella, che la prese e la strinse a sé con foga.
-Kelly! Tesoro come stai?
-Bene! E tu sorellona?
Amelia, per tutta risposta, scoppiò in un’allegra risata.
-Ora che son qui con te, va tutto alla grande.
-Amelia! Dov’è Tivresh?- chiese Kento, a qualche passo da loro.
-Sono qui, stupido elfo che non sei altro!- esclamò il rosso, uscendo dal fogliame sorridendo, seguito da un ragazzo dai capelli neri.
Kento lo riconobbe quasi subito, era il giovane che aveva chiesto ospitalità da Derek e che era partito con i suoi due amici.
-‘Sera Tivresh! Ciao Jek! Come te la passi?
Il moro lo guardò un po’ timoroso.
-Bene, grazie.
Ci furono vari convenevoli, prima che Kelly proponesse di andare in città.
La bambina era molto preoccupata.
Aveva paura di come potesse reagire Amelia, alla notizia della sua recente acquisizione di poteri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
Hello!
Spero di aver chiarito i dubbi sulla posizione di Kelly come Custode.
In compenso, ne ho aggiunti altri su Kento… Eheheh… Lo so. Sono sadica.
Dubbi? Critiche? Consigli? Fatemi sapere. Non può farmi altro che piacere.
Ringrazio tutti coloro che leggono la mia fic. Vi voglio bene!
A presto!
 
ShinigamiGirl

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Capitolo 30
*** Confronti ***


Derek fu entusiasta di rivedere Amelia e Tivresh.
Jek fu il benvenuto, insieme ai due altri ragazzi, nonostante l’avessero conosciuto ben poco. Cenarono con allegria, parlando dell’andatura del negozio di fiori e dei voti molto positivi di Kelly, a scuola. La piccola, molto fiera di sé, non mancò a far vedere i propri quaderni e tutti i voti positivi ad Amelia, che si congratulò molto con la sorellina.
La serata, dunque, fu abbastanza tranquilla.
Finché, ovviamente, non venne il momento per Tivresh di prendere parola e raccontare cosa fosse successo in precedenza.
Kento ascoltò con attenzione ogni sua parola, e strabuzzò gli occhi quando, nel racconto, il ragazzo descrisse cosa fosse successo ad Amelia al suo compleanno.
Tivresh vide il suo sconcertamento, e chiese: -Kento, è possibile che sia una maledizione o qualcosa del genere?
-E’ possibile- ammise l’elfo, con un tono incerto -ma ne dubito… Dovrei esaminare questo famoso simbolo. Poi potrei dire con certezza se lo è o no.
Amelia annuì, abbastanza preoccupata.
Derek era in silenzio, ascoltava senza profferire parola, mentre Kelly si torturava le mani dal nervosismo.
Un paio di spiritelli giravano sul tavolo, ridacchiando spensierati, mentre la bambina guardava Kento, con sguardo significativo.
L’elfo notò la sua occhiata e annuì.
Era ora di informare tutti di Kelly e dei suoi poteri.
-C’è una cosa importante che dovete sapere- iniziò con tono serio.
Tivresh e Amelia si sporsero attenti.
-Abbiamo trovato la terza Custode.
La ragazza aggrottò la fronte, con sguardo interrogativo, mentre l’amico spalancò gli occhi dalla sorpresa.
-Davvero? E di chi si tratta? Temevo che non l’avremmo trovata in tempo!- esclamò Tivresh.
-Ecco… Sono io- disse Kelly, con tono impaurito.
Il rosso si girò di scatto verso di lei, strabuzzando gli occhi.
Amelia continuò a non capire, mentre Kento diceva: -So che sembra impossibile… Ma a quanto pare…
-E’ impossibile!- ribatté Tivresh, sconvolto.
-Scusate!- esclamò Amelia -Vorrei capire anche io. Kelly, cosa significa tutto questo?
La bambina d’un tratto si trovò con tutta l’attenzione della stanza addosso. Si sentì a disagio e batté qualche volta le palpebre, prima di allontanare il piatto d’innanzi a sé e iniziare a parlare.
-Io sono la terza Custode, vedo gli spiritelli, le fate, i folletti e le ninfe. A quanto mi ha spiegato Kento, devo saper padroneggiare la magia per sconfiggere la forma di Prysma che arriverà tra non molto, sopprimerla con l’aiuto degli altri due Custodi, i prescelti dai pugnali.
Ci fu una pausa di silenzio, in cui Amelia realizzava ciò che aveva appena sentito, insieme a Derek, e Jek osservava il viso della bambina sorridendo lievemente.
-Cosa?!- gridò Amelia, alzandosi di scatto -La mia sorellina dovrebbe aiutare me e l’altro prescelto a sconfiggere il male… Prysma? Voi… Siete pazzi!
-E’ successo, non ci si può più far nulla. Calmati- le disse Kento, guardandola negli occhi.
La ragazza lo osservò con odio, iniziando a respirare forte.
-No!
Tivresh si girò verso di lei, e vide tutto.
Vide i suoi occhi iniettarsi di sangue, mentre faceva una smorfia orribile, mostrando i denti.
-Lei non andrà incontro a nessuna guerra, sono stata chiara?- sibilò Amelia contro Kento, pestando le mani sul tavolo.
L’elfo la guardò terrorizzato, alzandosi esclamò, cercando di difendersi: -Non arrabbiarti così, non è colpa mia! Lo decide Madre Natura, chi sono i Custodi!
-Non glielo permetterò!- gridò lei, ringhiando ferocemente.
-Sorellina calmati!- intervenne Kelly, correndo dalla sorella e prendendole il corpetto, tirandone la stoffa.
Amelia si voltò di scatto verso di lei, con sguardo truce, ma poi vide la bambina, i suoi occhioni spaventati…
E qualcosa in lei scomparve. I suoi occhi tornarono bianchi, mentre si calmava.
-Io… Kelly, scusami- disse addolorata, abbracciando la sorellina.
-Non fa niente, è colpa mia- disse lei, scoppiando a piangere.
-Non è vero… Tranquilla- cercò di dire Amelia.
La bambina continuò a singhiozzare, e poi riuscì a dire: -Scusa! Io non sarei voluta diventarlo, e ora tu stai diventando cattiva per colpa mia!
-Non è così… Non è colpa tua- disse la rossa, stringendo Kelly a sé.
Le due sorelle rimasero così per un po’, prima che la bambina si calmasse.
Jek intanto andò a dormire, con un’aria strana.
Probabilmente, come pensò Amelia, aveva anche lui ricevuto davvero troppe informazioni in troppo poco tempo.
Andarono tutti a dormire abbastanza spossati, stanchi, dovevano riflettere sull’accaduto.
La notte fu abbastanza tranquilla, la luna stava nel cielo, piena e bianchissima.
Sotto la luna, nel bosco, una figura camminava con fare tranquillo.
I capelli scuri riflettevano bagliori blu, nella notte, e i canini stavano fissi nel suo sorriso inquietante.
L’individuo prese in mano la sfera e pronunciò la formula.
Nella pietra apparve un vecchio elfo, dall’aria aspra e cocciuta, che stava componendo una pozione, molto concentrato.
-Prospero, sono io.
Il vecchio elfo guardò verso la sfera e sghignazzò.
-Stephen, era ora che ti facessi sentire. Mi hanno detto, le Ombre- rispose Prospero.
L’elfo sorrise ancor di più, mettendo in mostra la chiostra di canini.
-Porto buone nuove… Ho scoperto che la terza Custode si è risvegliata. Confido nel catturarla presto, insieme ai gemelli Mhirael e Lathos.
-Bene, informerò il re- disse il vecchio.
Così dicendo, la chiamata magica terminò.
L’elfo dai capelli blu iniziò a ridere con crudeltà, nel bel mezzo della foresta.
Presto, li avrebbe presi tutti, e nessuno l’avrebbe più fermato.










Spazio Autrice

Dopo un lungo periodo di revisione, in cui, lo ammetto, avevo pensato di cancellare la storia, la riprendo più carica di prima.
Ho rivisto molti punti e cercato di organizzarmi al meglio.
Chiedo scusa per il periodo di mesi di assenza, ma necessitavo di questa pausa, per riflettere sul destino della storia.
Ho deciso che non potevo buttarla all'aria... E' la prima storia che ho pubblicato su EFP e ha molto significato per me.
Spero che mi perdonerete...
Grazie, grazie, grazie a chi continuerà a leggere nonostante tutto, e chi ha letto fin qua.
Un bacione,

ShinigamiGirl

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Capitolo 31
*** Dragone Ancestrale ***


Slina camminava con aria accigliata tra i suoi sottoposti, che rimanevano rigidi e immobili, temendo gli scoppi d’ira dell’elfa.
Accampate in una grotta, le Ombre attendevano nuove direttive dal re da ormai quasi due ore.
Seth guardava l’elfa camminare nervosamente, e si azzardò a dire qualcosa: -Dobbiamo…
Non fece in tempo a finire di parlare che un coltello si piantò a un millimetro dal suo orecchio, nella pietra, e Slina lo stava fulminando con sguardo truce.
-Zitto- sibilò -Non accetto nessun suggerimento, nessuna parola sull’accaduto. Sono stata umiliata, davanti a tutta la formazione delle Ombre, non è abbastanza?
Lui la guardò negli occhi, poi bisbigliò: -Siamo stati umiliati tutti, non solo tu.
Il ragazzo si sentì afferrare di scatto dal bavero e sollevare da terra.
-Ho detto zitto!- gli urlò in faccia Slina, con una smorfia orribile dipinta sul viso, prima di scaraventarlo a terra.
L’elfa non gli diede tempo di rialzarsi, perché gli schiacciò il collo con il piede, chinandosi un poco verso di lui, e lo osservò con gli occhi glaciali.
-Non sono tua superiore per caso- lo informò, minacciosa -se dico una cosa, esigo che vada rispettata! Ed ora, se non vuoi che io inizi a sfogare le mie frustrazioni su di te, è meglio che tu ti sieda e stia muto.
Seth le afferrò la caviglia e la alzò, sbilanciando l’equilibrio della giovane, che cadde di schiena, mentre lui si alzava tenendo la presa. Slina smise di avvertire, e passò all’azione. Mutò in lupa bianca, alzandosi e liberandosi dalla presa dell’elfo.
Per tutta risposta, anche lui si trasformò in lupo, ma era decisamente più piccolo della stazza di Slina. Lei gli si gettò addosso, puntando ad azzannargli il collo, mentre Seth la intercettava azzannandole la zampa.
Ciò però non le impedì di raggiungere il suo cranio, e le fauci si chiusero su metà muso, prendendogli orecchio, occhio e lato destro della bocca.
Lui guaì, mollando la presa dalla zampa e cercando di spostarla agitandosi, ma Slina non aprì la bocca. Quando lo fece, fulminea, con le zampe anteriori spinse giù la spalla e la schiena dell’avversario, gettandolo a terra.
Seth, a terra, guardò impaurito il muso dell’elfa, bianco e puro, con le fauci sporche del suo sangue. Ringhiava minacciosa, pronta ad azzannare ancora.
Il giovane tornò elfo, restando a terra, per dichiarare la propria resa.
Slina però non aveva ancora finito. L’aveva fatta arrabbiare, e doveva pagare.
Posò la zampa sulla coscia dell’elfo, e iniziò a esercitare peso. Lui cacciò un grido di dolore, a cui l’elfa rispose latrando soddisfatta. Non si fermò finché si sentirono distintamente le ossa schioccare e rompersi.
Seth continuò a urlare finché la lupa non tolse la zampa. Poi Slina mutò di nuovo in elfa e ordinò: -Verrai lasciato così finché non ripartiremo. A quel punto, un’Ombra stregone ti guarirà, ma fino ad allora, soffrirai.
Detto ciò, prese il suo mantello e si ricompose.
Nella stanza si erano tutti raggelati dalla paura, e l’elfa ne fu pienamente soddisfatta. Dopo l’umiliazione ricevuta, era bene che tutti tornassero a rispettarla.
Poco dopo, prese una sfera d’ambra e chiamò Prospero. Purtroppo, doveva fare rapporto.
Il vecchio stregone stava studiando un nuovo libro di magia, quando percepì una chiamata premergli sulla coscienza. Afferrò la sua sfera e disse qualche parola in antico elfico, facendo apparire Slina sulla pietra.
-Che vuoi?- le chiese seccato.
-Devo fare rapporto, vecchio. Alza le tue chiappe rugose e portami dal re!- gli ordinò lei.
-Modera il linguaggio, mocciosetta, altrimenti passerai il resto della tua vita come una salamandra!
La minaccia non sembrò spaventarla, e Prospero, non ricevendo alcuna risposta, si alzò e andò nella sala del trono.
Sua maestà era molto assorto nel panorama che si godeva dalla finestra, e si voltò poco dopo l’entrata del vecchio stregone.
Si avvicinò a lui, e vide Slina attraverso la sfera magica.
-Ombra, devi fare rapporto?
-Sì, mio sovrano. Le cose non sono andate come volevamo…
Il re si accigliò, e Slina ebbe paura, ma continuò nel suo racconto.
-Li abbiamo attaccati, avevamo tutto in pugno, ma siamo stati bloccati dal Dragone Ancestrale.
-Che cosa?!- quasi gridò lui.
-Ha detto che aveva tutto sotto controllo e che noi dovevamo toglierci di mezzo…- spiegò l’elfa -In compenso, sappiamo dove sono e che Stephen è alle loro costole. Non so che tecnica di cattura abbia adottato, ma credo che sappia ciò che sta facendo…
-Mi ha detto di aver trovato anche la terza Custode, ma non credevo che la vostra avanzata fosse stata bloccata.
Slina rimase in silenzio, pronta ad assumersi le colpe.
-Comunque- aggiunse il re -mi sta bene così. State vicini a Stephen, senza farvi notare da lui, in modo tale da essere a lui supporto in caso di bisogno. Ora vattene.
-Sì, mio signore- disse l’elfa con voce flebile, portandosi la mano al petto e abbassando lo sguardo.
Dopo qualche istante, l’immagine di Slina tremolò e scomparve.
Prospero iniziò a ridacchiare.
-Perché ridi, Prospero?- domandò il re, perplesso.
-Il Drago Ancestrale inizia a dare problemi- commentò il vecchio, continuando a sghignazzare.
-Non darà problemi- sibilò.
-Le leggende parlano chiaro- disse Prospero.
-Anche su Mhirael e Lathos, ma noi li fermeremo. Siamo la razza superiore, in vera simbiosi con la natura. Solo noi possiamo permetterci di fare ciò che vogliamo!
-Vedremo- disse il vecchio, andandosene ingobbito dalla sala del trono.
Sephora, sdraiata in forma animale di fianco al trono, fissava suo marito con tiepida soddisfazione.
Nessuno sfugge al fato, al destino e alle leggende. Si avverano tutte.
E lei non vedeva l’ora di vedere il re morto ai suoi piedi.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio Autrice
 
La scuola ricomincia, e così anche la mia altissima incostanza nel pubblicare!
La mancanza di ispirazione contribuisce al complotto contro di me…
Cercherò di pubblicare almeno un capitolo al mese, almeno uno lo devo fare!
Spero vi sia piaciuto, grazie mille a tutti coloro che seguono ancora!
Un bacio,
 
ShinigamiGirl

 

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