Unspoken crime. di d r e e m (/viewuser.php?uid=39619)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Rintocchi dal passato [Prologo] ***
Capitolo 2: *** 2.Ricomincio da t(r)e ***
Capitolo 3: *** 3.Ospite [sei mesi prima] ***
Capitolo 4: *** 4.Ospite ***
Capitolo 5: *** 5.Apprendimento ***
Capitolo 6: *** 6.Controllo [sei mesi prima] ***
Capitolo 7: *** 7.(Sotto)Controllo ***
Capitolo 8: *** 8.Frammenti ***
Capitolo 9: *** 9.Legami [sei mesi prima] ***
Capitolo 10: *** 10.Legami ***
Capitolo 11: *** 11.Chiave ***
Capitolo 12: *** 12. Illuminati ***
Capitolo 13: *** 13.Famiglia ***
Capitolo 14: *** 14.Caccia ***
Capitolo 15: *** 15.Tana ***
Capitolo 16: *** 16.Notte [la morte di Caroline] ***
Capitolo 17: *** 17.Escamotage ***
Capitolo 1 *** 1.Rintocchi dal passato [Prologo] ***
ATTENZIONE:
In
questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti
come demenza mentale, stalking e abuso
di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una
realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la
morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non
si intende assolutamente abuso sessuale.
1.Rintocchi
dal passato [Prologo]
Era
solo una serata come le altre nulla di più. Il crepitio del
fuoco era il suo
unico compagno in quella notte silenziosa, tra i mobili antichi di casa
Salvatore.
Il
vampiro, con un gesto stanco, aprì l’anta del
mobile a vetrinetta e con
accurata scelta tirò fuori una bottiglia di Bourbon
invecchiato. Inspirò a
fondo quasi a voler trattenere il respiro e versò il liquido
ambrato nel
bicchiere cilindrico.
Era
solo, quella sera, e a Stefan non piaceva rimanere solo.
Fissò
per un attimo il liquore nel bicchiere e dopo averlo fatto vorticare
abbastanza
ne bevve un sorso che gli arse la gola.
E’
facile, quando non hai altra compagnia che te stesso, affondare nei
ricordi più
oscuri e pericolosi che la mente può offrirti; i rimorsi si
insinuano piano
come un orrendo serpente pronto a balzare e ad affondare i suoi denti
per
iniettarti il veleno, pronto a spalancare le sue fauci per lasciarti
nell’agonia più assoluta.
Il
pendolo batté le undici e Stefan si ritrovò
seduto sulla poltrona accanto al fuoco.
La luce rossastra gli rimbalzava sul viso pallido e freddo, troppo
rigido e antico
per provare nuove emozioni.
Le
palpebre si chiusero nascondendo gli occhi verdi e Stefan
reclinò la testa
sullo schienale della poltrona in cerca di un sonno ristoratore.
Una
bambina, con le trecce bionde e le guance rigate di lacrime fu tutto
ciò che
gli apparve.
Il
vampiro si alzò di scatto, ansimando, per poi affondare
entrambe le mani nei
capelli. Cosa aveva mai fatto? Quale terribile peccato aveva commesso e
ancora
non riusciva a scontarne la pena?
Aggrottò
le sopraciglia e irrigidì la mascella, devastando quel suo
volto dal dolore più
assoluto. Continuava a sentirle, quelle urla innocenti e piene di
terrore,
quelle lacrime che avrebbero fatto cedere il più crudele tra
gli assassini, ma
non lui. Accecato dalla sete e dalla pazzia, si era spinto a compiere
il gesto
più deplorevole in assoluto, macchiando il candore di
un’ingenua ragazzina.
Si
sentii soffocare in una morsa e non riuscii a frenare un istinto
violento.
Getto il bicchiere e il suo contenuto tra le fiamme roventi e un
barlume di
pazzia mista a odio si fece largo tra i suoi occhi. Doveva placare le
sue
sofferenze, porre fine a quell’agonia ed esisteva un unico
modo.
Un
rumore di tacchi rimbombò per la stanza vuota e Stefan
aguzzò l’udito e
irrigidì i muscoli.
«Vedo
che sei piuttosto malridotto».
Una
voce alle sue spalle lo costrinse a voltarsi e ad abbassare la guardia.
Quella
era un visita del tutto improvvisa e non aveva alcuna voglia di
parlarle,
avrebbe preferito bruciare all’inferno piuttosto che
intraprendere una
conversazione con la vampira più crudele che avesse mai
incontrato.
«Non
sono affari che ti riguardano, Katherine».
La
vampira sorrise beffarda rimirando alcune fotografie appese alle
pareti,
ricoperte di polvere così come il resto della casa, chiusa
da troppo tempo.
«Cosa
ti spinge a crogiolarti così nel tuo dolore?».
Con
uno sguardo attento Katherine era riuscita ad arrivare nella mente di
Stefan e
a capire il suo stato d’animo. Nonostante la stanza semibuia
per via della
fioca luce del camino, lo sguardo della vampira scintillava e appariva
più
malefico e distruttivo di quanto lo fosse alla luce del sole.
Faceva
paura, faceva molta più paura della solitudine
perché Stefan sapeva bene che se
avesse parlato si sarebbe sentito come un assassino che confessa il
proprio
omicidio, e questo non sarebbe riuscito a tollerarlo.
La
vampira avanzò calma attraverso
l’oscurità posizionandosi a pochi passi
dall’uomo dai cui occhi traspariva solo disgusto e profonda
vergogna.
«Non
starai pensando a quella bambina?» sussurrò e con
un veloce scatto all’indietro
evitò il colpo che Stefan si stava preparando a sferrare.
Adesso
era furioso: odio profondo misto a disprezzo si mischiavano in quella
maschera
sfigurata che aveva cancellato il dolce e tenero ragazzo del
diciannovesimo
secolo, quando la sua anima innocente era stata brutalmente indirizzata
verso
morte certa.
«Come
sai di lei?» sputò il vampiro con tutta la ferocia
possibile immobilizzando la
donna al muro.
Katherine
non sembrò intimorita da questo sprazzo di follia
dell’uomo e mantenne quel
sorriso agghiacciante proprio a pochi centimetri da lui.
«So
bene come e cosa hai fatto esattamente undici anni fa qui a Mystic
Falls»
scandì bene le parole e penetrò il suo sguardo
negli occhi vitrei del vampiro
pallido in viso quasi come se avesse visto un fantasma, il suo.
«Non
ne ho parlato con nessuno, eccetto che con…» si
fermò e sgranò gli occhi. Si
umettò le labbra e aggrottò le sopracciglia
tentando di ricordare qualche
misero particolare.
Katherine
lo fissava e il sorriso sembrò trasformarsi in un ghigno e
ampliarsi per tutta
la larghezza della faccia.
«Damon»
concluse Stefan sprofondando nella poltrona nella quale poco prima
sedeva. Il
suo volto era quello di un uomo finito, distrutto, senza più
vita né motivo di
vivere.
«Dimmi
cosa sai di questa storia?» chiese con voce roca pronta a
rompersi in pianto.
Sapeva che stava crollando, ma voleva resistere ora che era arrivata
l’ora del
giudizio.
Katherine
prese posto in una delle tante sedie attorno al fuoco.
Accavallò le gambe e con
un gesto spostò i capelli lisci su una spalla.
«Eri
qui undici anni fa. A quel tempo ti cibavi ancora di sangue umano, ti
rendeva
instabile, pazzo e incredibilmente
forte. Per qualche strano motivo ti balzò in mente
un’idea, la credesti la più
ovvia, la più giusta in assoluto - povero
sciocco. Rubasti una bambina, la consideravi la tua scorta
personale. Eri
ossessionato, da lei e dal suo sangue. Eri sicuro che non
l’avresti uccisa
vedendola così piccola ed indifesa. Invece arrivasti ad un
punto estremo, non
riuscisti a controllarti e in breve tempo ciò che sarebbe
stata la tua salvezza
in realtà diventò la tua rovina.»
La
vampira smise di parlare prolungando la pausa e lasciando a Stefan
tutto il
tempo per poter rielaborare le sue parole.
«Sai
dell’altro?» gracchiò Stefan con lo
sguardo basso pronto a rievocare alla mente
il più doloroso dei ricordi.
Katherine
prolungò l’agonia versandosi un po’ di
liquore in uno dei bicchieri e
assaporando il gusto acre dell’alcol scorrerle giù
per la gola, un sapore amaro
in confronto a quello delizioso del sangue caldo.
«Ti
cibasti di lei, fino all’ultima goccia di sangue, fino a
quando non sentisti il
suo cuore rantolare il suo ultimo battito» concluse fredda. I
suoi occhi ormai
erano macchie di petrolio nell’oscurità
più assoluta della stanza.
«Poni
fine a questa mi agonia» singhiozzò. Stefan non
riuscì a trattenere le lacrime,
gli argini cedettero e il fiume poté trovare un nuovo
percorso da solcare.
Il
fuoco del camino divenne un ammasso di carboni roventi che non
provvedevano ad
illuminare la stanza, impedendo ad entrambi di scrutare i loro visi.
«Se
ti dicessi che è ancora viva?». Il pendolo
batté mezzanotte e quei rintocchi
furono i più potenti in assoluto. Il corpo del vampiro fu
scosso da tremiti e
un’ondata di rabbia accecò l’ormai
annebbiata mente dell’uomo. I suoi occhi si
iniettarono di sangue e rivelò il mostro con il quale aveva
imparato a
convivere per più di un secolo.
«Tu
menti!» gridò e affondò le unghie sul
collo della vampira che un tempo aveva
amato con l’intento di farla tacere per sempre.
Questa
volta Katherine aveva paura, questa volta i suoi occhi roteavano veloci
e le
mani artigliavano i polsi dell’uomo davanti a lei
nell’estremo tentativo di
liberarsi da quella morsa.
«So
il nome-» gracchiò con quel filo di voce che le
rimaneva «- so il nome della
bambina».
Quelle
parole scossero Stefan che lasciò subito la presa. Uno
sguardo vacuo si
impossessò dei suoi occhi e aspettò pazientemente
che la vampira smettesse di
tossire e di riprendere fiato.
«Caroline,
Caroline Forbes» riuscì a dire tra un colpo di
tosse e l’altro, massaggiandosi
la trachea e dove poco prima le dita di Stefan avevano creato un solco
profondo. La vampira strisciò a terra fino a riprendere
completamente il
controllo di se stessa.
«Come
può essere» mormorò a mezza voce il
vampiro ancora incredulo di ciò che aveva
appena scoperto. Aveva passato undici anni a maledirsi e ad odiarsi per
essersi
abbassato a un tal misero livello, aveva passato le notti a piangere
per quella
bambina innocente, a disprezzarsi e a farsi disprezzare da suo
fratello. Ora
era tutto diverso, ora le cose erano cambiate, ma le colpe del passato
non
erano state cancellate: aveva ucciso molti uomini e altrettante donne,
ma non
si era mai perdonato di aver ucciso quella povera bambina che aveva
strumentalizzato e reso vittima di un mostro assassino. Come avrebbe
potuto
rivederla senza che lei provasse ribrezzo nei suoi confronti.
«E’
viva, quindi? E abita ancora qui?» chiese con quel suo tono
sollevato che
Katherine conosceva bene e che non era cambiato nel corso degli anni.
Avrebbe
pensato a rimediare, a parlarle per rassicurarsi che non ricordasse
niente
dell’orrore che aveva dovuto subire, sarebbe stato suo amico
per un po’ di
tempo per poi scomparire e lasciare che la vita seguisse il suo ciclo.
Katherine
mostrò uno dei sorrisi più innocenti che avesse
mai mostrato e il colorito
olivastro della sua pelle venne illuminato dai raggi della luna che si
affacciavano da una delle finestre.
«Vive
ancora qui a Mystic Falls, ma non è più
viva» disse decisa facendo comparire
un’insolita ruga sulla fronte liscia del vampiro di fronte a
lei.
«E’
un vampiro, Stefan. Un vampiro come lo eri tu, come lo sono io, e sai
cosa
hanno bisogno i vampiri?» mostrò i denti
scintillanti che risplendevano anche
nel buio della notte. Stefan non lo avrebbe permesso, non avrebbe
permesso che
quella bambina diventasse ciò che un tempo lui stesso era
stato. Ma come fare?
Come avrebbe potuto aiutarla se il mostro
era proprio lui?
Inarcò
un sopraciglio e spostò lo sguardo su un punto indefinito
della casa ormai
quasi ridotta in macerie. Aprì la bocca quasi come se
volesse parlare ma poi la
richiuse, mordendosi il labbro inferiore. La vampira più
furba e scaltra di lui
lo precedette nella domanda.
«Aiutala
se vuoi, arriverà qui domani. Sta a te scoprire se ricorda o
no» disse flebile
per poi fuggire a grande velocità.
Stefan
ancora in silenzio inclinò la testa avanti e indietro quasi
come se stesse
annuendo ad un interlocutore invisibile: non aveva scelta, non poteva
fare
altrimenti.
Sarebbe
stato tutto come undici anni fa: lui, la piccola Care, e il sangue, tanto sangue.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** 2.Ricomincio da t(r)e ***
ATTENZIONE: In
questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti
narrati sono riportati in una realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena
con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di
Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
[Undici
anni prima]
Caroline
continua a piangere. Gli occhi gonfi e rossi per il pianto. I
singhiozzi le
squarciano il petto e lo stomaco sembra essersi chiuso.
Trema come una
foglia in quello scantinato umido e freddo dove da qualche tempo
è stata
rinchiusa.
Tutto ciò che
vede è sangue. Le
pareti sono macchiate di quel liquido denso che le fa arricciare il
naso e le
fa mancare l’aria; le mattonelle del pavimento sembrano
trasudare sangue che si
addensa diventando scuro, quasi nero, come inchiostro.
E lei,
lei è
putrida, macchiata fino ai capelli di sangue. Si rannicchia su se
stessa e
comincia a dondolarsi in modo continuo, quasi da automa.
Gli occhi fissi
su quella porta scura, in legno di noce, dalla quale da un momento
all’altro
comparirà il mostro.
Spalancherà le sue fauci e la divorerà, facendole
schizzare il sangue,
continuando ad inondarla di quel liquido rossastro e acre che le brucia
le narici
peggio dell’acido muriatico.
Gli
occhi di Caroline
sono vigili e all’erta e ad ogni minimo rumore scatta una
molla dentro di lei
che la costringe ad affondare le unghie nel collo per proteggersi anche
a costo
di farsi male.
Ed ecco che la
porta si spalanca. Caroline sgrana gli occhi e reprime un conato di
vomito.
“Guarda cosa ti
ho portato, piccola Care” dice allegro Stefan rigirandosi tra
le mani un
peluche.
Il sangue
scompare, le pareti e il pavimento si puliscono da ogni sorta di
impurità, la
ferita sembra sanarsi.
Caroline si
guarda attorno con le guance ancora solcate da lacrime e il petto
scosso da
sussulti. Accenna un passo, poi un altro fino a fiondarsi
definitivamente tra
le braccia di Stefan, trovando conforto.
Anche per quel
giorno il mostro
non
era tornato.
2.Ricomincio
da t(r)e
«Vi
siete mai accorti di quanto siete ridicoli?»
Erano queste le parole con cui Damon iniziò il
lunedì mattina della sua ventiseiesima settimana di
convivenza forzata con
Stefan e Caroline.
Il fratello minore girò i pollici e abbassò
adagio
il giornale di Mystic Falls, inarcando un sopraciglio e attendendo che
il
vampiro di fronte a lui continuasse la conversazione dando
delucidazioni a
proposito della sua insinuazione.
Damon prese la caffettiera ancora fumante e versò
il contenuto nella sua tazza di colore blu elettrico. Un risolino gli
comparve
in viso mentre soffiava leggermente sul caffè bollente per
farlo raffreddare.
«Spiegati meglio» tentò di continuare
Stefan ripiegando
il giornale e prestando più attenzione al fratello che
adesso sembrava non
voler più continuare quella conversazione che lui stesso
aveva iniziato.
«Tu e Caroline» decise di puntualizzare Damon
mentre sorseggiava il suo caffè. Stavolta Stefan dovette
aggrottare entrambe le
sopracciglia per sottolineare il senso di confusione che gli aveva
provocato
l’affermazione del fratello.
Non che Damon fosse un tipo particolarmente
loquace, ma ogni qual volta che si degnava di fare
un’osservazione le parole che
gli uscivano erano sempre le più schiette e a volte ricche
di doppi sensi che
quasi sempre il fratello non riusciva a comprenderle a primo impatto.
Non era
un caso che, tra i due, colui che aveva più successo con le
ragazze fosse
sicuramente il fratello dagli occhi blu.
«Andiamo Stefan! Continui a comportarti come se
lei avesse cinque anni e cerchi in tutti i modi di apparire il caro e
bravo
ragazzo - che non sei - mentre lei
è
una spietata assassina, affetta da amnesia e che è
letteralmente cotta di me».
Concluse Damon riponendo la tazza nel lavabo e
aprendo il rubinetto per ripulirla da residui di caffè e
zucchero.
«Io cerco solo di proteggerla e di indirizzarla
verso una via migliore. Toccherà a lei scegliere che strada
intraprendere, con
o senza di me».
Damon chiuse il rubinetto e, una volta asciugatesi
le mani con lo strofinaccio da cucina, pose una mano sul suo torace
all’altezza
del cuore.
«Che parole sagge, mi hai toccato profondamente il
cuore. Visto che sono particolarmente di buon umore stamattina,
eviterò di
piantarti un paletto nel cuore e di svegliare la nostra dolce
coinquilina».
Fece una breve pausa in cui aprì il frigorifero
per preparare tutto il necessario per la colazione della loro
“ospite”, così
come Stefan si ostinava a chiamarla. Damon preferiva maggiormente il
termine
“approfittatrice” visto che viveva da loro da ben
sei mesi e mezzo e non
provvedeva né alla spesa né a tenere in ordine la
casa.
Stefan sospirò agguantando una bottiglia di succo
di frutta e versandone un po’ nel bicchiere.
«Ho una notizia che non ti farà affatto piacere:
il latte è scaduto e la scatola di cornflakes che lei adora
è praticamente
vuota. Preparati ad una bella strigliata» lo
incoraggiò il fratello dandogli un
buffetto sulla spalla e sedendosi nuovamente di fronte a lui.
«Perché sono sempre io quello che ci va di
mezzo?»
proruppe Stefan allargando le braccia e chiedendo una risposta
soddisfacente al
vampiro che non fosse la banale osservazione perché
io sono migliore di te.
«Hai mai provato a parlarle di sesso? Forse
potresti trovare qualche compromesso, cioè siamo da sei mesi
qui da soli, sarà
in astinenza» disse Damon cambiando argomento e incrociando
le braccia al
petto, tentando di sottolineare l’evidenza a Bambi.
Di tutta risposta ricevette uno sguardo torvo e
agghiacciante che rese pienamente soddisfatto Damon: adorava far
perdere le
staffe al fratello.
«Non provare a parlare di questo davanti a lei. E’
un discorso chiuso» pronunciò severo marcando
ancora di più quel suo tono
gesticolando con il dito e puntandolo direttamente sul fratello
trafiggendolo
con gli occhi.
Stefan si alzò e con tutta fretta aprì uno
sportello della dispensa sicuro di trovare un pacco di croissant pronti
da
infornare: erano quelli farciti con la marmellata di pesche, proprio
quella che
piaceva a lei. Ne aprì subito uno e lo posizionò
su un piatto, impostando la
gradazione del forno a microonde.
«Già come se fosse possibile chiuderlo,
fratellino»
ammise allungando il braccio per prendere il giornale.
«Tornerai da me
strisciando e io sarò lieto di scaraventarti fuori dalla
finestra».
Il din del microonde coincise perfettamente con la
sua affermazione e sgranò i suoi occhi azzurri aggiungendo
pensieroso «ovviamente
la finestra deve essere aperta, solo una settimana fa sono arrivati i
vetri
nuovi».
Caroline
dormiva tranquilla nella sua camicia da
notte color pesca. L’aria fresca del mattino penetrava piano
dalla sua finestra
arrivando fino alla punta dei piedi fuori dal lenzuolo.
La risata sfolgorante di Damon la fece svegliare
di soprassalto. Caroline si portò le mani sugli occhi ancora
chiusi per poi
affondarle nei capelli.
Un altro giorno alla pensione Salvatore, un altro
giorno tentando di sopravvivere.
Si massaggiò le tempie premendo le dita in un
movimento circolare. Si decise ad aprire gli occhi e dopo aver
inspirato e
espirato ripetutamente poggiò i piedi a terra con passo
felino.
Si stiracchiò per bene e si avvicinò piano alla
finestra, evitando accuratamente i fasci di luce che provenivano dalle
fessure
delle tende.
Lo odiava, il sole. Un tempo trovava piacevole il
contatto con la luce del sole, rendeva più bella e liscia la
sua pelle.
Katherine glielo aveva spiegato più volte di
tenersi lontana dalla luce del sole e aveva pagato a caro prezzo la sua
disobbedienza. Si ricordò delle sue mani ustionate e un
brivido le percorse la
schiena.
Scostò a malapena le tende per vedere cosa avesse
procurato l’ilarità di uno dei suoi carcerieri.
Notò Stefan in giardino con la maglietta sporca fango e i
capelli pieni di
rugiada caduta da un albero lì vicino. Quella vista le
procurò un leggero
sorriso che le fece dimenticare la sete che le ardeva la gola
più del dovuto.
Stefan si scrollò di dosso il terriccio e alzò lo
sguardo incontrando quello
della vampira. Si immobilizzò di colpo non sapendo cosa dire
e accennò ad un
leggero saluto sollevando la mano destra e abbozzando un sorriso.
«Perdente!». Damon con la sua velocità
gli balzò
alle spalle e lo fece ricadere nuovamente nel fango mostrando un
sorriso
strafottente alla ragazza del piano di sopra.
Il sole scomparve dietro una nuvola grigia e la
bionda poté spalancare le tende.
«Sempre a litigare voi due eh?» chiese
ironicamente, salutandoli entrambi con i gomiti poggiati alla ringhiera
del suo
davanzale.
«Bell’inizio di settimana»
sibilò Stefan rivolgendosi
al fratello assottigliando gli occhi. Poi alzò lo sguardo
non essendo più di
buon umore.
«La colazione è già pronta, quindi vedi
di
sbrigarti» sussurrò appena conscio che la vampira
lo avesse sentito.
Caroline sospirò e si portò nuovamente le dita
sottili sulle tempie.
Ce l’avrebbe fatta, andava tutto
bene.
Si concedette una doccia in cui pulì
minuziosamente ogni parte del suo corpo, cercando di eliminare ogni
traccia di
odore o di sangue che non fosse il suo. Uno
volta che ebbe finito si spazzolò i capelli biondi che le
ricadevano lisci e
morbidi sulle spalle. Una breve occhiata allo specchio e fu pronta per
lasciare
la sua camera e raggiungere la cucina. Ricordava ancora come si era
sentita in
imbarazzo la prima volta quando Katherine l’aveva portata
lì con soli due
giorni di vita.
“Qui e dove
starai per un po’ di tempo, fin quando non ti sarai abituata
a vivere come uno
di loro” aveva detto suonando il campanello e
attendendo che qualcuno al
suo interno aprisse.
Caroline percorse il lungo corridoio che la
portava alle scale: la sua stanza era l’ultima.
“Questa è la
tua stanza” le aveva gentilmente mostrato Stefan
abbassando la maniglia di
quella porta.
Scese le scale piano non volendo sporcare il
vestito pulito e profumato.
“Avrai
fame?”
“Ti nutri di sangue umano?” “Da quanto
tempo sei un vampiro?”
queste parole si erano susseguite nella mente di Caroline: provava
disgusto per
ciò che era diventata e due giorni dopo la trasformazione
non poteva che essere
irritata e instabile dopo tutte quelle domande che le facevano
ricordare il
trauma che l’aveva accompagnata fin da bambina.
Un attimo prima di varcare la soglia della cucina
le labbra di Caroline si tirarono innaturalmente in una sorta di
sorriso
radioso.
«Buongiorno» proruppe con una voce cristallina
pari al suono di tante campanelle.
Damon
non aveva mai avuto un istinto paterno
capace di prendersi cura di altri esseri. Non era riuscito neanche a
provare un
vero e sincero affetto per suo fratello, sangue del suo maledetto
sangue, e nonostante questo era stato costretto da
Katherine a prendersi cura di quella ragazzina e a trasformare la
pensione
Salvatore in uno dei più alti centri di manicomio.
Caroline entrò con un sorriso disarmante e puntò
subito gli occhi in quelli azzurri di Damon. Si avvicinò con
grazia e schioccò
un leggero bacio sulla sua guancia appena rasata.
«Buongiorno papà
Damon – buongiorno mamma
Stefan»
ripeté il bacio anche sulla guancia del vampiro intento a
posizionare piatti e
bicchieri nella lavastoviglie. «Perché devo essere
io la mamma?» chiese Stefan
con un tono lamentoso; non che non gli piacesse essere visto sotto
questo
aspetto da Caroline, ma non riusciva a capacitarsi il perché
continuasse a
preferire Damon e la sua dieta a base di sangue umano piuttosto che lui.
«Perché sei tu quello iperprotettivo»
rispose
Damon accogliendo l’occhiata di assenso della vampira bionda,
provocandone
l’ilarità.
Si sedette poi sul tavolo dove era stata imbandita
una vera e propria colazione con i fiocchi. Caroline storse il naso e
trattenne
un brivido di paura alla vista del frigo macchiato di rosso.
Lo stomaco le si chiuse, ma combatté il suo
istinto primario, voltandosi di scatto, e ingurgitò il cibo
posto sul vassoio
davanti a lei, non distogliendo gli occhi da Damon che continuava a
leggere il
giornale.
Soffiò piano sul croissant che aveva davanti e,
rottone un pezzo, lo portò alla bocca accompagnandolo con un
sorso di succo di
frutta.
«Oggi è proprio una bella giornata»
constatò
Stefan facendosi inondare da un raggio di sole che filtrava dalla
finestra
semiaperta.
Caroline si rabbuiò addentando con più foga il
cornetto.
«Perché non posso uscire come voi?»
chiese la
bionda nonostante sapesse già la risposta che si trovava
tutta nel luccicante
anello coperto da lapislazzuli di entrambi i fratelli: un cimelio di
famiglia, dicono.
«Già, stupenda per andare a caccia di qualche
scoiattolo» commentò il fratello maggiore
scimmiottando il vampiro vegetariano.
«Perché non fai la spesa?» chiese
troncando di
netto quello che poteva scaturire in uno dei soliti litigi.
«Giusto. Tesoro cosa ti va oggi, 0+ o AB?» chiese
rivolgendosi dolcemente a Caroline.
«Nessuno dei due, per oggi credo di saper
resistere» rispose allontanando anche il vassoio ormai vuoto,
deglutendo per
soffocare il fastidioso bruciore alla gola. Le
avrebbe fatto bene un po’ di quello 0+. Sentii i
capillari pulsare e gli
occhi iniettarsi di sangue. Prese un respiro profondo e trattenne
l’aria dentro
i polmoni quanto più poteva. Intorno a lei sia Damon che
Stefan attendevano con
i nervi a fior di pelle, pronti ad intervenire alla vista di una
qualsiasi
reazione aggressiva. Caroline cominciò a contare. Uno, due, tre. Espirò
l’aria trattenuta per troppo tempo e rilassò
i muscoli facciali. Dodici,tredici,
quattordici. Riaprì gli occhi e fu tutto come
prima.
Gli occhi azzurri di Damon la scrutavano, ancora
allarmati mentre la mano di Stefan la tratteneva da qualsiasi altra
azione
imprudente.
«Sto bene» decretò piano la vampira
rassicurando
così i due coinquilini, con la gola che ancora graffiava.
Caroline
si offrì di lavare le poche scodelle,
visto che avrebbe avuto l’intera giornata libera e doveva
impiegarla a fare
qualcosa di utile: magari sport, bucato,
volontariato, puzzle, il tutto
rimanendo confinata all’interno della residenza Salvatore
fino a quando il sole
non fosse tramontato.
Congedò con un sorriso i fratelli Salvatore,
entrambi usciti per occuparsi delle proprie occupazioni. Rimase
sull’uscio ad
osservarli sfrecciare via con le loro macchine per poi richiudere la
porta.
La serratura scattò con un tonfo sordo e le labbra
ritornarono piatte.
Si immobilizzò e chiuse gli occhi prendendo uno
degli ennesimi respiri profondi.
Adesso era sola in casa, adesso era sola a
combattere la sua paura.
Si appoggiò con mano tremante alla parete bianca
camminando a passi lenti verso la cucina adesso silenziosa come non mai.
Deglutì rumorosamente per frenare il desiderio che
ardente le infuriava in gola. Affacciò la testa fino a
scontrare lo sguardo
contro il frigorifero immacolato. Sulla maniglia una grossa macchia
rossastra
rovinava quel candore.
Sentii la schiena arcuarsi e una scossa elettrica
scorrere lungo la colonna vertebrale.
Ce l’avrebbe fatta, andava tutto
bene.
Sentii un qualcosa di viscido tra le dita.
La mano che poco prima era poggiata alla parete bianca
era macchiata di sangue e così le mattonelle e i mobili
della cucina. Un odore
acre le arrivò alle narici e non riuscì a
trattenere l’impeto furioso
che sentiva scorrerle dentro, divorandola e
lacerandole la gola.
Schizzò veloce nella sua camera, in cui si
rinchiuse e da li non uscì fino all’arrivo di
entrambi i fratelli.
Le mattonelle del pavimento erano macchiate del
latte scaduto, delle uova e dei vari alimenti che si trovavano
all’interno del frigorifero
in cucina, divelto a metà e ormai ridotto ad un ammasso di
rottami.
Andava
tutto
bene.
***
Salve
popolo di efp,
eccomi ritornata
con il secondo capitolo di questa
storia assurda. La prima parte il corsivo è ovviamente il
ricordo della
prigionia di Caroline di cui lei però non ricorda assolutamente
niente,
se non che è stata rapita, ma del suo aggressore non sa
niente. Mi è piaciuta
la divisione tra Stefan da sobrio e il mostro:
la bambina continuerà a distinguerli per ancora molto tempo
prima di accorgersi
che sono la stessa persona. La narrazione parte sei mesi e mezzo dopo
le
vicende raccontate nel prologo: Caroline si è inserita
già in casa Salvatore e
il trio convive a volte anche forzatamente
in questa sorta di prigione-casa di cura. Ovviamente Stefan e Damon
sanno
perfettamente il trauma che ha subito la vampira che invece, ignara di
tutto,
continua a non capire da dove possa essere scaturita questa sua malattia. I dettagli verranno
spiegati
in seguito, ma penso già che abbiate capito cha ha a che
fare con il sangue e la repulsione
di quest’ultimo
da parte della bionda. Ancora è tutto particolarmente
confuso ma tramite
flashback riuscirete a capire quali ruoli avranno alcuni personaggi,
specialmente perché Caroline non sa niente del terribile
errore commesso da
Stefan.
Ringrazio tutti
coloro che hanno recensito e hanno
aggiunto la fiction tra le preferite.
Spero che abbia
stuzzicato un po’ la vostra
curiosità.
Un bacio
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** 3.Ospite [sei mesi prima] ***
ATTENZIONE: In questa storia verranno
sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale,
stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono
riportati in una realtà un po’ diversa di The
Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena,
Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
[Undici anni prima.]
“Tu
sai cosa
sono io?”chiede sputando sangue, il suo sangue.
Sembra
non
resistere, è più forte di lui, più
forte di lei. Caroline è immobile in braccio
a lui, gli occhi paralizzati dalla paura su un punto indefinibile di
quella
cella buia e fredda, in mano il peluche che le aveva regalato Stefan.
Li sente,
sente i suoi canini lacerare la carne e il sangue sgocciolare piano
lungo la
sua schiena. “Sei il lupo cattivo” sussurra piano,
il nodo alla gola le
impedisce di parlare chiaramente. Stringe ancora di più il
coniglietto di
peluche al petto, quasi come se si stesse aggrappando a lui. Sarebbe
tornato,
Stefan sarebbe venuto e l’avrebbe portata via. Il mostro si
ferma, sfila i
denti perfetti e l’aria si infetta del suo alito pesante.
Caroline trema, ha
paura che possa continuare a prosciugarle tutto il sangue che ha in
corpo. Si
sente debole, le orecchie le fischiano. “Hai mai provato il
sapore del sangue?”
chiede e lascia cadere la bambina al suolo, inerme, senza
più forza. Caroline
sente un rumore di carne strappata, ma questa volta non è la
sua. Una mano fa
leva nella sua bocca e la spalanca avvicinando i polsi sgorganti di
sangue.
Caroline soffoca un grido, afferra la mano di quel mostro per
allontanarla, ma
niente: deglutisce, inghiotte sangue e lacrime
amare.
3.
Ospite [sei mesi prima]
Avrebbe potuto rimediare al suo sbaglio, ne era
certo.
Stefan si portò alle labbra una bottiglia
contenente un liquido rossastro e la fece aderire perfettamente alla
sua bocca.
Ne bevve un gran lungo sorso per poi leccarsi le
labbra per cancellare gli ultimi residui di sangue di cervo.
Non era nutriente, non era gustoso ma lo manteneva
in vita ed era orgoglioso della
scelta
che era riuscito a compiere.
Avvitò bene il tappo e ripose la bottiglia su uno
scaffale del bancone frigo. Poi aprì un altro scomparto e
con accurata scelta
prelevò una sacca di 0 negativo e chiuse lo sportello.
Rigirò tra le mani quella sacca dal liquido color
rubino e trovò immensamente piacevole la sensazione di
assoluta calma che lo
invase.
Non aveva desiderio, non sentiva la voglia.
Con un sorriso intraprese l’angusto corridoio per
lasciare la cantina ma ad un tratto si bloccò come se una
qualche barriera
invisibile lo ostacolasse. Volse nuovamente gli occhi alla sacca di
sangue che
teneva tra le mani e subito dopo fece dietro-front pronto a riaprire
nuovamente
il frigo.
Riprese in mano la bottiglia dove poco prima aveva
bevuto e guardò entrambe le tipologie di sangue.
Alla
sua piccola
Care sarebbero piaciuti i cervi?
Erano passate trentadue
ore. Trentadue ore e ventisei
minuti da quando era morta.
Ricordava la gita in auto insieme a Matt e Tyler,
lo schianto dell’automobile, l’arrivo
dell’ambulanza. Aveva ancora in fondo
allo stomaco l’angoscia per Tyler, le sue continue urla per
farlo svegliare, i
medici che lo caricavano sulla barella. E poi un capogiro, il nulla, il
vuoto.
Si era risvegliata in ospedale giusto il tempo per apprendere la
notizia che il
suo amico e il suo fidanzato stavano bene, giusto il tempo per veder
sorridere
sua madre un’ultima volta.
Caroline Forbes morì alle ore 01:27 del mattino.
Era tutto ciò che sapeva Caroline e che ricordava
degli ultimi istanti di vita. Perché quella che aveva
intrapreso non poteva
essere definita vita.
«Ricorda quello che ti ho detto riguardo al sole,
non uscire di casa se non la sera ed evita di farti
riconoscere». Katherine
continuava a schiacciare il piede sull’acceleratore e la
macchina scivolava
veloce tra le strade semideserte di Mystic Falls.
Caroline appoggiò la testa sul vetro freddo della
vettura appannandolo leggermente con il suo fiato.
Respirava. Respirava a fatica. Lo stomaco era
ancora contratto e un forte senso di nausea la invadeva fino alla
cavità
toracica. Fiotti di sangue continuavano a risalire lungo
l’esofago pronti per
essere rigettati ma non poteva, non adesso che il sangue era diventato
l’unica
sua fonte di sostentamento. Inspirava. Espirava.
«Dove hai detto che stiamo andando?» chiese
rivolgendo uno sguardo alla vampira al volante.
«Alla pensione Salvatore» rispose leggermente
seccata di dare spiegazioni, non distogliendo gli occhi dalla strada:
non
perché dovesse stare attenta alla guida, ma per non guardare
quel reietto che
aveva voluto trasformare per suo scopo personale. Ovviamente di questo
Caroline
ne era completamente all’oscuro.
«Loro ti aiuteranno con il tuo problema»
continuò
fredda la vampira stringendo ancora di più il volante tra le
sue mani
affusolate. Caroline annuì impercettibilmente per poi far
ricadere i capelli
biondi sullo schienale. Le luci dei lampioni le sferzavano il viso
cereo e le
macchine sfrecciavano veloci da dietro il finestrino leggermente
appannato.
Caroline ebbe un brivido lungo tutta la colonna vertebrale e trattenne
l’ennesimo conato di vomito.
Aveva paura, terribilmente paura: non sapeva chi
fossero questi Salvatore, ma di come ne aveva parlato Katherine
dovevano essere
vampiri da moltissimo tempo, esseri che potevano farla guarire forse da
quell’infermità mentale che non sospettava di
possedere.
«Eccoci arrivati» proruppe Katherine arrestando la
macchina. Un singulto mosse il cuore muto della nuova vampira che volse
lo
sguardo atterrito in direzione di Katherine .
«Tranquilla, non ti faranno del male» sorrise
fintamente
serafica la vampira dai capelli ricci, assottigliando lo sguardo e
pregustando
il sapore dolce della vendetta. Pose una mano su quella di Caroline che
sussultò al contatto.
Inspirò ed espirò più a fondo
trattenendo l’arsura
che aveva in gola.
Quella
sarebbe stata la più atroce delle vendette.
Era sola in quel divano color ocra a tre posti
eppure sembrava di star soffocando, schiacciata da quelle due
opprimenti figure
in quello che risultava essere il salotto di casa Salvatore.
Teneva posto sulle sue ginocchia il bagaglio a
mano che consisteva in una piccola valigia color lime; le unghie ne
artigliavano la superficie ruvida e grattavano la maniglia in plastica,
in preda
ad un profondo nervosismo.
Davanti a lei sedeva tranquilla Katherine con in
mano un calice di puro sangue che sorseggiava, gustando il suo sapore
aspro e invitante. Caroline
distolse lo sguardo
dalla vampira e provò a concentrarsi sugli strani arazzi,
sui quadri, sulle
fotografie di cui erano tappezzate le pareti di quella casa.
Inspirò a fondo
sentendo un buon profumo di sandalo ma anche di polvere e di muffa
provenire
dai mobili, evidentemente molto antichi.
Picchiettò con l’indice sulla superficie della
valigia e si strinse nelle spalle, sentendosi incredibilmente piccola.
Eppure
quella casa, quelle pareti, quell’odore avevano un qualcosa
di familiare che la
sua mente non riusciva a formulare di preciso, come se fossero
appartenuti ad
un epoca remota, un’ epoca spaventosa
e remota.
«Finalmente, mi stavo annoiando» sorrise Katherine
volgendo gli occhi color nocciola sulla porta da cui comparve un
ragazzo poco
più che diciassettenne.
«Scusate per l’attesa» sorrise affabile
Stefan
prima alla vampira per poi intrecciare il suo sguardo con quello di
Caroline.
Stefan si sentì mancare e fu sicuro che il suo volto
già molto pallido fosse
diventato completamente bianco come quello di uno spettro. Avrebbe
riconosciuto
quella chioma bionda ovunque e nonostante adesso si presentasse sotto
forma di
una splendida ragazza quegli occhi erano di certo quelli della piccola
Care.
Stefan sentì il magone aumentare e i sensi di
colpa far capolino nuovamente nella parte più oscura della
sua mente. Non
avrebbe augurato a nessuno il suo destino da vampiro, figurarsi alla
bambina
che era stata quasi dissanguata per opera sua. Caroline dal canto suo
appariva
persa e confusa da quell’attenzione un po’ troppo
insistente che le riservava
quel ragazzo di cui non conosceva completamente niente. Si sentiva a
disagio e
provava un forte fastidio per quello sguardo, quasi desideroso e
possessivo,
come se mille e pungenti aghi le si conficcassero su per la schiena.
Non riuscì
più a trattenersi e lanciò un’occhiata
furente al suo osservatore che colpito
appieno volse lo sguardo altrove.
«Bene Caroline lui è Stefan Salvatore, ti
aiuterà
nel tuo percorso da vampiro» decretò Katherine
reprimendo un sorriso che si
stava facendo largo sul suo volto.
«Piacere di conoscerti Caroline» rispose calmo il
vampiro tendendo una mano nella direzione della bionda. Caroline un
po’
impacciata allungò il braccio intrecciando le sue dita a
quelle di Stefan, così calde che
sembravano quasi umane*.
«Tutto bene?» chiese Stefan affacciandosi alla
porta della stanza della nuova ospite. Caroline sussultò
nonostante avesse
perfettamente udito l’arrivo del Salvatore.
«Sto bene -» asserì la giovane vampira
ripiegando
un maglione in uno dei cassetti e richiudendolo accuratamente senza
fare troppo
rumore. «- cioè sono morta!»
disse e
un sorriso trasparì dalle sue labbra. Era difficile adesso,
ma poterlo dire
sembrava l’unica cosa che la poteva mandare avanti. La sua
fronte si increspò
in un’impercettibile ruga e scostò lo sguardo per
poi continuare a sistemare i
suoi vestiti nella cassettiera della sua nuova camera - della
sua nuova cella.
Il vampiro si mise le mani in tasca e si dondolò
sui talloni, evidentemente in imbarazzo e non sapendo cosa dire.
Il silenzio venne rotto da una curiosità della
bionda.
«Vivi da solo qui o ci sono altri vampiri?» chiese
Caroline piegando per l’ennesima volta un vestito color
lavanda, lisciando le
pieghe e attendendo la risposta di Stefan.
«No, ci siamo solo io e…e te»
spiegò il vampiro
accompagnando la sua risposta con un sorriso imbarazzato che non
sfuggì a
Caroline.
Poi gli occhi della vampira divennero vacui e
stanchi e un sospirò fuoriuscì dalle sue labbra
serrate. Kate non sarebbe tornata.
Era questa la consapevolezza che le
affliggeva il cuore e che non le permetteva di trovare qualche barlume
di
felicità nel suo futuro. Le aveva detto addio per
l’ultima volta e nonostante
la conoscesse da poco più di due giorni era stata una
colonna portante per lei,
che era stata il passatempo di qualche vampiro**, per la sua
trasformazione,
una guida che l’aveva condotta proprio lì.
Stefan si accorse del velo di malinconia che aveva
oscurato i bei occhi color giada di Caroline e pensò che in
fondo la colpa
fosse nuovamente sua. Sospirò e fece un passo indietro
pronto ad imboccare il
corridoio e lasciarla con i suoi pensieri.
«E’ successo tutto così in
fretta» proruppe
Caroline con lo sguardo ancora fisso in una delle pareti vuote della
sua
stanza. Stefan molleggiò sulle caviglie per poi entrare
definitivamente e
chiudersi la porta alle spalle.
«Fino a una settimana fa avevo un ragazzo, degli
amici e una mamma impegnata con il suo lavoro. Anche se la mia vita non
era
perfetta, ero contenta di quello che ero diventata, nonostante la mia infanzia».
Stefan si avvicinò alla vampira bionda e si
sedette sul materasso facendo cigolare le molle del letto. Si sedette
nel lato
opposto, conscio del fatto che qualsiasi tipo di sguardo le avesse
potuto dare
fastidio.
Caroline sentii la presenza del vampiro alle sue
spalle e una sorta di paura incontrollata nacque nell’intimo
del suo animo. Si
irrigidì, ma decise comunque di continuare sopprimendo
quella sensazione.
«Credo che sia giusto che tu sappia ciò che mi
è
successo, Kate mi ha detto che è essenziale
affinché tu mi aiuti». Caroline
prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, così come le
aveva insegnato Katherine:
se chiudi gli occhi e ti concentri sul
buio quando li riaprirai la luce ti sembrerà più
luminosa.
Deglutì e iniziò a raccontare.
«All’età di sei anni venni rapita. Non
ricordo
quasi niente, ero troppo piccola ma quell’episodio
segnò profondamente la mia
esistenza. Ricordo che mi trovavo al parco da sola e un ragazzo si
avvicinò a
me. Mi disse di seguirlo ed io obbedì senza alcun indugio.
Mi tenne prigioniera
per ben quattro mesi in una cantina buia. I miei genitori mi cercarono
a lungo
e la polizia tutt’oggi continua le ricerche del mio rapitore.
Fui ritrovata nei
pressi di un fiume qui vicino, al largo delle cascate che si trovano in
questi
territori. Mi trovarono ricoperta di terriccio e con una ferita
profonda alla
gola, simile ad un morso, opera di qualche orso nei paraggi. Non
ricordo molto
dei mesi di prigionia, ma quando ritornai a casa manifestai dei forti
disturbi
mentali come fobia del buio, della sporcizia e cosa più
importante del sangue.
Dopo tre anni di terapie i medici dissero che ero finalmente guarita ma
a
quanto pare le cose non stanno esattamente così».
Caroline concluse il suo
racconto e rilassò la fronte permettendo così ai
suoi occhi di aprirsi.
Stefan incrociò entrambe le mani e vi poggiò la
testa: era incredibile quanto facesse male anche a distanza di anni.
Ciò che lo
tranquillizzava era la consapevolezza che lei di quegli orribili giorni
non
ricordava quasi niente.
Alzò la testa ed emise un sospiro di sollievo.
«Ti aspetto di sotto, sbaglio o il tuo stomaco sta
brontolando?» cambiò discorso Stefan facendo
comparire un abbozzo di sorriso
nel volto della sua nuova coinquilina.
Caroline osservò il liquido rossastro che le
veniva offerto e non riuscì a trattenere un conato di vomito
che si fece largo
su tutto il suo esofago.
Lasciò cadere il bicchiere che si infranse sul
pavimento macchiando il tappeto di rosso scarlatto.
Si piegò su se stessa per rigettare la bile che
aveva nello stomaco, assaporando il sapore acre e acido del sangue
ingerito e
non ancora del tutto smaltito.
Artigliò il comodino e sembrò che sotto la sua
pressione il legno potesse anche sbriciolarsi.
I capelli le ricadevano in viso e coprivano la
pelle lacerata dai miliardi di capillari che pulsavano frenetici
arrivando ai
suoi occhi, annebbiandole la vista, oscurandole la mente.
I canini rigonfi pungevano sulle sue labbra aperte
al passaggio del vomito misto a sangue. La gola bruciava, come
bruciava, ma
Caroline non avrebbe resistito, non ci sarebbe riuscita.
Stefan le aveva spiegato che esistevano due vie ma
che entrambe erano altrettante scorrette quanto indispensabili
per la sua sopravvivenza. Poteva scegliere di
seguire una dieta a base di sangue umano senza tuttavia uccidere nessun
innocente per soddisfare la propria sete o, come aveva fatto lui,
cibarsi di
sangue animale e rinunciare parzialmente alla natura da vampiro, parzialmente ricominciare a vivere.
Caroline
tossì così da placare il groppo che le opprimeva
il petto e lo stomaco. Stefan
le teneva i capelli e con un panno bagnato tentava di bagnarle la
fronte così
da trovare un po’ di refrigerio.
Caroline era intollerante al sangue, le faceva
terrore e la disgustava profondamente nutrirsi di quel liquido
rossastro, quel
siero che era stato per quattro interminabili mesi su tutto il suo
corpo, il
sangue con cui aveva dovuto imparare a convivere fin da bambina.
Si drizzò in piedi e uno sguardo folle illuminò
il
volto della vampira. Digrignò i denti contro Stefan che
tentava di trattenerla
per i polsi urlando ripetutamente il suo nome. Caroline ansimava, un
rivolo di
sangue le scendeva giù dalla narice destra e i suoi occhi
erano diventati neri
come la pece. La vampira si avventò contro il più
piccolo dei Salvatore,
mordendo ripetutamente le sue mani, strappando la carne così
da potersi
finalmente liberare.
Liberatasi dalla stretta ferrea di Stefan, in un
moto di rabbia improvvisa diede un calcio alla scrivania vicina,
riducendo il
tavolo a metà.
Stefan rimase a terra ad osservare colei che non
poteva essere Caroline, ma un assassina, una vampira malata e con forti
disturbi mentali, la cosa più simile ad una bestia.
Caroline si voltò manifestando ancora una volta la
sua nuova natura di vampiro e non poté non notare la chiazza
marrone scuro sul
tappeto.
«Il sangue…» sussurrò
roteando velocemente gli
occhi.
Pose entrambe le mani all’altezza del proprio
collo, artigliandolo ferocemente.
Stefan la seguì con lo sguardo posando gli occhi
su dove lei rivolgeva l’attenzione.
«E’ ovunque».
E le pareti non furono mai più candide.
* Stefan, bevendo sangue animale,
è molto più
umano rispetto agli altri vampiri, e questo comporta anche una
temperatura
corporea leggermente più “calda” degli
altri. Caroline che si era nutrita di
sangue umano e che è morta da poco nota la differenza
sostanziale tra la sua
temperatura e quella di Stefan.
** Caroline non sa chi sia stato a
trasformarla. Quando
si è risvegliata Katherine l’ha portata via
facendo credere a tutti che era
morta.
Ebbene eccomi ritornata
con il terzo capitolo di
questa storia! Ci tengo a precisare che nella parte in corsivo Stefan
non sta
cercando assolutamente di trasformare Caroline già da
bambina, in un impeto di
follia le fa ingerire il suo sangue, anche per rimetterla in forze il
più
presto possibile (in fondo si preoccupa per lei). Abbiamo fatto un
altro salto
temporale e adesso gli eventi narrati si ambientano il giorno dopo
ciò che è
stato raccontato nel prologo: Caroline giunge per la prima volta a casa
Salvatore. Essendo da vampira da poco più di due giorni,
ancora non sa
trattenersi e perde il controllo facilmente e questo è
sicuramente aggravato da
questo suo rigetto nei confronti del sangue. Spero che da qui si possa
capire perché
i fratelli sono così preoccupati per le crisi di Care e cosa
c’entra Katherine
in tutto questo (vi faccio notare comunque che Caroline adotta il
diminutivo
del suo nome perché la ritiene sua amica). Ad ogni modo vi
avverto che di
questi capitoli con la scritta [sei mesi prima] ce ne saranno altri due
o tre e
che verranno messi a saltare, tanto per fare il paragone della
situazione alla
pensione a distanza di sei mesi. Dai il prossimo capitolo
sarà più divertente
di questo u.u
Ringrazio tutti
coloro che hanno recensito e che
hanno aggiunto la storia ai preferiti e alle seguite ;D
Un bacio grande,
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** 4.Ospite ***
ATTENZIONE:
In
questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti
come demenza mentale, stalking e abuso
di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una
realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la
morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non
si intende assolutamente abuso sessuale.
4.
Ospite
Caroline scoccò
un’occhiata schifata a Damon che
ricambiò senza indugio alla vista dei pop-corn che Stefan
stava portando in una
ciotola color verde mela.
Il vampiro entrò senza accorgersi degli scambi di
sguardi dei due coinquilini e si appollaiò sul divano in
mezzo ai due. Sulle
ginocchia la ciotola che entrambi guardavano con disprezzo.
Stefan si irrigidì avvertendo quegli strani
sguardi rivolti su di lui e inarcò un sopracciglio
incrociando dapprima gli
occhi del fratello e poi della bionda.
«Che c’è?» domandò
riluttante stringendo di più la
ciotola al petto, non capendo cosa ci fosse di sbagliato e assumendo
un’
espressione sempre più interrogativa.
«C’è che sono senza burro, i pop-corn
non possono
essere definiti tali senza burro» sbraitò Caroline
stringendo di più il cuscino
color melanzana al petto e alzando i piedi per portarli sul divano.
Si sistemò sul lato opposto del
bracciolo,fingendosi fintamente offesa e arrabbiata con Stefan.
Damon camuffò un senza speranze sotto un colpo di
tosse, afferrando il telecomando e giovandosi
del fratello che gli riservava stilettate con i suoi occhi ridotti a
due
fessure.
Sospirò e facendo leva sulle gambe si alzò dal
divano per dirigersi in cucina.
Caroline si morse il labbro inferiore per
soffocare una risatina e biascicò un grazie
Stefan poco prima che il vampiro varcasse la soglia del
salone di casa Salvatore.
Damon continuava a cambiare canale e
un’espressione annoiata traspariva dal suo viso stanco mentre
vedeva scorrere
davanti a se i canali, uno dopo l’altro.
Caroline osservò lo spazio vuoto che si estendeva tra
lei e Damon.
Quando era morta
aveva dovuto lasciare Matt. Non sapeva più niente di lui: se
avesse pianto
davanti alla sua tomba vuota, se avesse sentito la sua mancanza, se
adesso dopo
sei mesi cercava di rifarsi una vita. Non le piaceva dirlo ma le
mancavano
tutti gli abbracci e le attenzioni che riceveva dal suo ragazzo.
Prese un respiro profondo così come era solita
fare durante le sue crisi.
Spostò il
cuscino che divideva lei e il maggiore dei fratelli e aiutandosi con le
mani,
molleggiò sul divano fino ad arrivare al punto desiderato.
La vicinanza al braccio di Damon le fece provare
un leggero brivido, quasi come una scossa elettrica che la pervase su
tutto il
corpo.
Damon volse lo sguardo notando la notevole
vicinanza della ragazza. Sollevò il braccio sinistro e cinse
le spalle della
vampira, avvolgendola in uno dei suoi caldi abbracci. Si sporse fino a
lasciarle un lieve bacio in fronte per poi continuare con lo zapping.
Caroline abbassò lo sguardo soffermandosi sulle
pecorelle disegnate sui pantaloni del pigiama azzurrino; poi
studiò con
dettaglio le pieghe del cuscino color prugna che teneva ancora stretto
tra le
braccia; infine si limitò a fissare le mutevoli immagini del
televisore in attesa
di Stefan.
L’odore denso di burro e margarina arrivò alle
narici dei due vampiri prima ancora che Stefan arrivasse in salone,
questa
volta portando due ciotole: una stracolma di pop-corn imburrati,
l’altra di
sfiziose patatine.
«Finalmente! Il microonde ti ha dichiarato guerra
o cosa?» chiese Damon allontanando di scatto il braccio da
Caroline e
aumentando sempre di più la distanza tra loro due.
«La prossima volta vedi tu
di procurare il cibo» dichiarò Stefan sedendosi a
capofitto sul
divano ed emettendo un leggero sospiro.
«Sempre la solita storia il martedì
sera» esordì
Caroline incrociando le gambe sul divano e appropriandosi della ciotola
di
pop-corn.
«Allora che vediamo stasera?» chiese
sgranocchiandone uno e beandosi del sapore imburrato che le invadeva la
bocca.
Il martedì sera era sempre la serata della visione
collettiva di un film. Questo aiutava Caroline a non dimenticare le sue
abitudini
umane nonostante vivesse da quasi sei mesi e mezzo in una sorta di prigione.
Damon allungò svogliatamente il braccio prendendo
un po’ di pop-corn e portandoseli alla bocca.
«C’è la partita dei Lakers oppure una
commedia scadente per famiglie
oppure la partita
dei Lakers. Cosa vuoi vedere?» chiese sollevando un
sopraciglio e tirando
qualche ciocca bionda che era scappata dall’elastico con cui
la vampira aveva
legato i capelli per la notte.
«centocinquanta canali e niente di interessante da
vedere se non una partita?» chiese Stefan incrociando lo
sguardo truce del
fratello: a dividerli fortunatamente
la
testa della bionda.
«Qualcosa in contrario Stef?» gli
domandò senza
guardarlo minimamente in faccia e schiacciando veloce i pulsanti per
arrivare
al canale desiderato.
La mano sottile di Caroline interruppe lo scorrere
dei canali e strappò via il telecomando dalle mani del
vampiro dagli occhi
azzurri.
«Vedo io se c’è qualcosa di
carino» decretò e
cominciò nuovamente a pigiare il pulsante partendo dal primo
canale.
Si bloccò su una commedia romantica appena
iniziata. I titoli di apertura comparivano sullo schermo nero e
Caroline si
aprì in un sorriso radioso non appena lesse il titolo della
commedia.
Posò il telecomando in una piega del divano e si
accoccolò ancora di più sullo schienale morbido,
tenendo tra le braccia il
cuscino e la ciotola di pop-corn. Ne prese un bel po’ e li
portò alla bocca
sgranocchiando piano.
Si voltò di scatto alla sua destra verso Stefan
che come lei recava la ciotola arancione delle patatine, il suo sguardo
perso
in un punto indefinito oltre la finestra.
«Per te va bene Stef?» chiese la vampira
richiamando la sua attenzione.
Stefan sorrise affabile e acconsentì, così anche
Damon che aggiunse un “anche questa volta hai vinto tu,
piccola”
Nonostante i due fratelli non volessero ammetterlo
apertamente facevano di tutto pur di prendersi cura di Caroline e farla
felice.
La sola idea di farle perdere il controllo di se stessa li terrorizzava
a tal
punto da detestare ormai quei martedì sera: la
probabilità di una delle sue
crisi in quelle sere era più alta della norma.
«Spegnete la luce».
Caroline continuava a tenere fisso lo sguardo
sullo schermo, anche se la presa attorno al cuscino si stava facendo
più forte
tanto da deformarlo e da far comparire
all’estremità qualche piuma che
fuoriusciva.
Damon scoccò un’occhiata inquieta al fratello che
di rimando corrugò la fronte e tornò nuovamente a
fissare la vampira.
«Sicura Caroline?» chiese poggiandole una mano
incerta sulla spalla coperta solo da una sottile maglietta di cotone.
La vampira distolse gli occhi dallo schermo e
incrociò quelli di Stefan. Inspirò piano per non
farsi sentire dai due e poi
sussurrò un debole “sicura”.
Ad un cenno del fratello, Damon si alzò per
spegnere le luci.
La stanza cadde nella tenebra più assoluta.
La fioca luce del televisore illuminò poi i volti
dei tre seduti sul divano: Damon e Stefan continuavano a lanciarsi
sguardi
preoccupati in direzione di Caroline, quest’ultima teneva lo
sguardo fisso sul
televisore sperando che la luce la inghiottisse facendole dimenticare
tutto il
resto.
Caroline non aveva mai avuto paura del buio, fin
da quando era piccola ricordava di aver dormito sempre nella
più assoluta
oscurità, ma dopo il suo rapimento
aveva provato un senso di smarrimento e di terrore nel ritrovarsi in
una stanza
buia, con un lieve senso di claustrofobia.
Non ricordava cosa avesse potuto
scatenare quella paura
né se la sua
disavventura fosse l’unica responsabile di questo suo
cambiamento. Sapeva solo
che da quando era diventata vampira, insieme al nero si mischiava anche
il
rosso del sangue.
Caroline deglutì per poi ingurgitare un’altra
manciata di quei pochi pop-corn che erano rimasti nella ciotola. Troppo pochi. Tastò il fondo
della
ciotola ricoperto di sale e quasi inconsapevolmente spostò
gli occhi per
osservarlo.
La luce del televisore faceva si che il fondo della ciotola
apparisse più oscurato a cause delle varie ombre che si
addensavano. Il respiro
della vampira venne mozzato e artigliò la ciotola
distogliendo subito gli occhi.
Essi rotearono veloci verso i due fratelli, entrambi impegnati a
seguire
svogliatamente il film.
Vedendo che non la osservava nessuno, Caroline si
convinse ad abbassare nuovamente lo sguardo questa volta sulle due dita
che
avevano toccato la superficie salata e scura. Chiuse gli occhi
immaginando di
ritrovarsi il liquido denso colare dalle due dita. Le portò
alle labbra con
timore ma si ricredette quando un lieve bruciore si espanse per tutto
il labbro
inferiore e la lingua incontrò il comune gusto salato.
Non c’era alcun segno di
sangue, né all’interno della ciotola né
sul pavimento sottostante così come sul
soffitto.
Rilassò le spalle e strinse il cuscino al ventre.
Si morse il labbro leggermente salato e corrugò la fronte:
non ne era sicura ma
avrebbe giurato che in un passato non molto lontano era già
stata seduta su
quel divano color ocra, avvolta dalla più completa
oscurità, riusciva a
percepire l’odore della tappezzeria simile a quello del suo
ricordo.
L’angoscia
si fece largo nel suo cuore e strizzò gli occhi quando una
fitta al collo la
investì prepotente facendole tendere subito due dita
esattamente sopra la
giugulare. Le unghie iniziarono a graffiare e a grattare quasi come per
aprire
una ferita che non era stata del tutto rimarginata o peggio
che non era stata ancora inferta, ma che le sarebbe stata
presto.
La consapevolezza le arrivò come un’ondata di
acqua bollente che le
ustionò la pelle, facendole imperlare la fronte di tante
goccioline: lei era già stata su
quel divano tanto tempo
fa, una vita fa.
Il suo ricordo fu bruscamente interrotto dalla
mano di Stefan che premeva forte sulla sua invitandola a smettere di
grattarsi.
I suoi occhi verdi risplendevano alla fioca luce emanata dalla
televisione.
Stefan la scrutò e per un attimo roteò le pupille
veloci tentando di capire se
quella crisi passeggera fosse passata. Le passò una mano
gelata sulla fronte
calda e le scostò alcune ciocche di capelli.
«Care tutto bene?» chiese mentre la preoccupazione
fuoriusciva dalle sue orbite come una valanga impetuosa.
La vampira mugugnò un vago si
prima di sbattere ripetutamente le palpebre per abituarsi alla
luce che iridescente si espandeva in tutta la stanza: Damon era accanto
all’interruttore.
Stefan teneva ancora saldamente la mano di
Caroline, ma non appena vide la bionda spostare lo sguardo su di esse,
mollò la
presa lasciandola delicatamente cadere sul cuscino.
Damon tornò a sedersi sul divano, il viso
palesemente contratto per l’ansia, ma da cui sperava non
trapelasse niente di
tutto ciò. Si limitò ad accompagnare la testa di
Caroline mentre la appoggiava
dolcemente sulla sua spalla, rinchiudendola nel suo abbraccio di poco
prima.
«Menomale che c’era la
pubblicità» borbottò con un
tono che fece piegare le labbra della vampira in un sorriso.
Con la mano libera si avvicinò piano a quella di
Stefan e ne accarezzò le dita. Il vampiro sorpreso da quel
tocco ebbe un
brivido e cerco di ritrarre la mano, ma ormai era troppo tardi: le dita
sottili
di Caroline lo avvolgevano e avevano bisogno di tutto l’aiuto
che sembravano
richiedere. Ricambiò la presa e guardò fuori
dalla finestra reprimendo il
sorriso che stava affiorando alle sue labbra.
Il film era iniziato, ma ormai nessuno lo
guardava.
Caroline inspirò a fondo tentando di sciogliere
ogni fibra del suo essere: sarebbe andato tutto bene, ora che aveva
loro
accanto.
Anche
per quel
giorno il mostro non era tornato*.
«Ho paura che Caroline
stia cominciando a
ricordare».
Damon smise di spalmare la marmellata su quella
fetta biscottata e guardò distrattamente il fratello
appoggiato al ripiano
cucina.
Pose accuratamente la fetta biscottata nel piatto
e, richiuso il barattolo, incrociò le dita delle mani sulle
quali appoggio il
mento prestando più o meno attenzione al fratello.
«Illuminami» batté le palpebre curioso
di sentire
l’ultima paranoia del minore dei Salvatore.
«Hai presente ieri Care quando ha cominciato a
grattarsi il collo? Era qualcosa che faceva, o almeno sembrasse che
facesse,
quando io…beh…perdevo il
controllo»
Stefan ripiegò con cura la tovaglietta e fece
schioccare la lingua emettendo un sottile sibilo che non
sfuggì alle orecchie
del fratello.
«Credo che si sia ricordata qualcosa»
decretò
infine trascinando una sedia da sotto il tavolo per sedersi proprio di
fronte
al fratello.
«Tecnicamente hai due possibilità: A) Caroline si
è ricordata tutto e appena varcherà quella soglia
utilizzerà un paletto per
porre fine alla tua miserabile esistenza – cosa
che le farebbe guadagnare tutta la mia stima; B) Quello di
Caroline è solo
un ticchio nervoso che ha ripreso a farlo dopo tanto tempo»
Stefan alzò un sopraciglio osservando il vampiro
dagli occhi azzurri scribacchiare qualcosa su un foglio che
ripiegò
accuratamente prima di metterlo nel vassoio, tra il bicchiere colmo di
spremuta
e il piatto con le fette biscottate.
«Ticchio nervoso?»
«Già. Anche io ne ho uno: torturare la tua vita,
solo che io al contrario di lei non l’ho mai perso».
Diede una forte pacca sulla spalla di Stefan che quasi
non cadde in avanti. Il suo sguardo si posò sul vassoio
riempito di ogni sorta
di leccornie: nonostante il cibo non la saziasse, Caroline amava fare
colazione.
Il vampiro puntò lo sguardo sul vaso di fiori posto sul
tavolinetto
vicino alla finestra, perennemente illuminato dal sole; questa volta
dal vaso
spuntavano piccole margherite gialle, rigide nel loro stelo verde
acceso.
Stefan abbandonò il tavolo e ne estrasse una dal mazzo. La
annusò e la pose
proprio sopra il biglietto che Damon aveva scritto per lei.
«Ti vuoi muovere o devo chiamare il carro
attrezzi?» lo chiamò Damon dal fondo del salone.
Benché nessuno sapesse della presenza di Caroline
in quella casa, i fratelli Salvatore dovevano mettere in scena la loro
vita
fasulla per passare inosservati: così Stefan era lo studente
modello
frequentante il liceo di Mystic Falls e Damon il suo tutore che
collaborava con
lo sceriffo: era l’unico
modo per
passare inosservati e per ricevere qualche notizia
dall’esterno.
Stefan sbuffò e impugnate le chiavi della
macchina, chiuse il grande portone facendo il meno rumore possibile:
non voleva
ancora ammetterlo, ma se le due ipotesi di Damon erano vere, non
avrebbe voluto
esserci al risveglio di Care.
“Buongiorno
dormigliona. Se trovi la casa completamente deserta, rilassati, siamo
solo
usciti un po’ prima del solito! Spero che ti sia svegliata
prima dell’orario di
pranzo o se no credo che queste schifezze
non ti basteranno! Torniamo presto e non uscire fuori.
Dam e
Stef”.
Caroline si rigirò la lettera tra le mani mentre
riponeva quei pochi piatti nella lavastoviglie.
Aveva riempito un bicchiere con dell’acqua e vi
aveva inserito la margherita gialla che aveva trovato insieme alla
colazione.
Non sapeva il perché, ma nonostante a pochi passi da lei ci
fosse un vaso
stracolmo di quelle margherite, Caroline non riusciva a non pensare che
quell’unica margherita fosse più bella,
più vera, più reale di quella esposte
al sole. Forse perché adesso poteva toccarla.
Sentii la porta aprirsi e richiudersi.
Un po’ troppo presto perché uno dei due fratelli
ritornasse a casa.
Saltellò allegramente nel suo piumino color
caramello e giunse direttamente all’ingresso principale dove
a suo malgrado non
trovò nessuno. Eppure le sue orecchie da vampiro non avevano
fallito, qualcuno
aveva realmente aperto quella porta.
Sentii una presenza alle sue spalle e le si
irrigidirono i muscoli.
«Ciao Care» rispose suadente la voce dietro di
lei.
La vampira bionda riconobbe quella voce e per
qualche strano motivo le si gelò il sangue nelle vene.
«Sono arrivata in città giusto oggi. Non
è che
avreste una stanza libera? Sai mi fermo per un
po’». La sua voce sembrava quasi
compiaciuta della reazione che la sua apparizione aveva avuto sulla
vampira.
Caroline si girò lentamente avvertendo un forte
capogiro e una paura non del tutto comprensibile.
«Kate?».
Katherine piegò le labbra in un sorriso a
mezzaluna, scrutando Caroline in ogni piccolo dettaglio e pregustando
l’evento
che avrebbe modificato le loro vite.
«Usciamo a fare una passeggiata? C’è il
sole oggi»
Caroline perse un battito e guardò la sua
margherita irradiata adesso da piccoli fasci dorati.
C’è
il sole
oggi.
***
*Ricollegamento al flashback del
capitolo 2 Ricomincio
da t(r)e
Eccomi ritornata con la
mia strampalata fanfiction! In questo capitolo vediamo il trio di casa
Salvatore che si gode una tranquilla serata davanti alla tv. Ovviamente
i dissidi tra i due fratelli non potevano mancare! Caroline migliora
anche se il trauma che ha dovuto subire è sempre presente;
in compenso sta cominciando a ricordare, il suo cervello percepisce
odori che purtroppo non riesce a collocare e a ricordare con esattezza.
Come vedete questi flash sono repentini e alle volte confondono la
nostra vampira. Stefan ha paura di questo perchè non sa come
potrebbe reagire e il "ticchio" di Caroline è quello che
abbiamo visto nel primo flashback quando da bambina si grattava
violentemente il collo per ripararsi dalle zanne del mostro. E con
meraviglia ritorna Katherine! Ancora le sue intenzioni sono tutte da
vedere ma il suo arrivo darà una svolta cruciale al trio!
Penso sia chiaro che Care non può uscire fuori alla luce del
sole, perciò cosa vorrà dai Salvatore e da
Caroline?Vi informo che sarò assente per tutto il mese
d'agosto perciò a questo seguirà soltanto un
altro aggiornamento dopodichè per un mese non
posterò nuovi capitoli, ma non disperate:
continuerò a scrivere lo stesso ;)
Grazie mille per
le recensioni!
Un bacio <3
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** 5.Apprendimento ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti
narrati sono riportati in una realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena
con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di
Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di
minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
5.Apprendimento
Katherine svitò il tappo
del bagnoschiuma, facendo
ricadere il contenuto denso e oleoso nell’acqua della piccola
vasca da bagno in
cui era immersa.
«Non c’è niente di meglio di un bagno
caldo la
mattina, non sei d’accordo piccola Care?»
cinguettò la vampira rivolgendosi
alla bionda mentre si liberava della bottiglia di bagnoschiuma per
munirsi di
un calice colmo di un liquido rubino.
Caroline, anche lei immersa nella vasca ma dal
lato opposto, represse un conato di vomito e irrigidì le
spalle esili e nude
alla vista del sangue.
«Scusa, ti dà fastidio forse?»
domandò puntando il
suo sguardo sul contenuto del bicchiere che stava facendo vorticare.
Fece
schioccare la lingua e con un sorrisino girò il busto
ricoperto di schiuma per
riporre il calice su un ripiano, accanto agli asciugamani.
Caroline espirò, rilassando i muscoli e
immergendosi nell’acqua bollente fino al collo, inzuppando le
ciocche
biondastre uscite fuori dal suo chignon.
Il vapore le appannava la vista e le conferiva un
senso di tepore che le scioglieva ogni singolo nodo muscolare.
«Voltati che ti lavo la schiena».
Katherine le rivolse un sorriso malizioso che fece
raggomitolare le viscere della vampira che si sentii nuovamente rigida
come un
tronco, incrociando gli occhi color nocciola di lei.
Con docilità quasi stomachevole Caroline obbedì
agli ordini ritirando le sottili gambe e voltandosi, mostrando la
schiena
diafana lungo cui si susseguivano le piccole mezzelune della colonna
vertebrale.
Non riusciva a capire da dove provenisse quel
profondo timore che in cuor suo nutriva per Katherine: conosceva
pochissimo di
lei eppure era stata la prima persona di cui si era fidata dopo la sua
trasformazione.
Il rumore dell’acqua e della spugna che sfregava
al contatto con la sua pelle la chetò un poco, ma il
silenzio fu smorzato dalla
domanda “Che fine ha fatto il regalo che ti ho
portato?”.
A quell’interrogativo, Caroline uscì di scatto la
mano da una coltre di schiuma rivelando nell’indice sinistro
un piccolo gingillo
al cui centro era incastonata una pietra di corallo rosa. Un manufatto
proveniente dalla Grecia aveva detto,
forgiato secoli prima da una sacerdotessa*.
Ciò che aveva fatto strabuzzare i piccoli occhi di
Caroline dalla gioia era stato il venire a conoscenza della sua
funzione,
identica a quella dei grossi e fuori moda anelli dei fratelli Salvatore.
Katherine,
ma
cosa diavolo ti è saltato in mente? Aveva ribattuto Damon
il giorno prima quando la vampira bionda aveva sciolto il nodo
bordò facendolo
cadere sul pavimento dalla gioia.
E’
troppo
pericoloso per lei adesso uscire, lascia che si stabilizza aveva
prontamente puntualizzato Stefan nella speranza di far cambiare idea
alla
vampira e inondando la bionda di uno sguardo scettico misto a
preoccupazione.
Caroline era rimasta irritata da quella loro
reazione eccessiva e aveva indossato il suo regalo sotto
l’ammirazione commossa
della sua amica.
Katherine si sporse oltre la spalla profumata
della bionda per osservare l’anello che lei stessa le aveva
regalato.
«E’ proprio bello» decretò
Caroline che continuava
a tenerlo davanti ai suoi occhi, rapita dagli effetti cromatici che la
luce a
neon riusciva a compiere su quel piccolo gioiello.
«Allora, è da sei mesi che sei rinchiusa a casa
Salvatore. Chi dei due ha fatto breccia nel tuo cuore? Il fratello
dagli occhioni
azzurri o quello con il cuore d’oro?»
civettò la vampira con una punta di
curiosità sulla lingua che stuzzicava l’animo di
Caroline fino al midollo.
La bionda fece emergere le ginocchia dallo strato
di schiuma e se le portò al petto. Si morse il labbro
inferiore e un lieve
rossore sopraggiunse alle guance rendendo più pieni e
sporgenti gli zigomi
alti.
«Sono due bambini ecco tutto! Sempre a litigare e
a prendersi in giro a vicenda. Ma li adoro entrambi! Sono la mia nuova famiglia» pronunciò
l’ultima frase quasi
con la vergogna tipica di una bambina che rivela che il suo sogno
è quello di
voler diventare una ballerina.
Katherine artigliò le spalle della bionda premendo
in corrispondenza delle scapole sporgenti e si lasciò andare
a una risatina
stridula.
«Suvvia Care, siamo amiche. A me puoi dire chi è
il fortunato» la incoraggiò la vampira la cui
curiosità traspariva dai suoi
pozzi castani.
Caroline mosse leggermente il collo in modo da
poter vedere con la coda dell’occhio l’esile figura
alle sue spalle, che
attendeva famelica la risposta per saziare la sua sete di sapere.
Deglutì
rumorosamente e corrugò la fronte liscia concentrando la sua
attenzione sui
minuscoli fori della soffice schiuma.
Damon
è carino
con me e mi fa divertire pensava mentre il silenzio
continuava a farsi sempre più pesante quanto il vapore che
aleggiava in quella
stanza e si dimostra sempre gentile
nonostante
abbia un passato da cattivo ragazzo. Eppure Stefan…
«Non posso negare di avere un’infatuazione
per Damon» confessò Caroline piegando le labbra in
un
leggero sorriso per ciò che aveva appena decretato. In sei
mesi e mezzo di
convivenza non aveva mai dato adito alla sua immaginazione e non si era
mai
soffermata a pensare che i suoi due coinquilini – carcerieri – fossero due
ragazzi e pertanto possibili attrattive.
Erano la sua famiglia e tuttavia si era resa conto di provare un
affetto
maggiore per uno dei due fratelli.
«Ottima scelta» la punzecchiò Katherine
solleticandole
la spalla con uno dei suoi riccioli scuri e lucidi.
«Stefan?» continuò a
chiederle, ma più che una domanda sembrava essere la pretesa
di una risposta la
quale Caroline non poteva non darle se non su un piatto
d’argento.
La vampira bionda si umettò le labbra facendo
sprofondare nuovamente le ginocchia nell’acqua bollente. Quel
gesto fece
traboccare l’acqua che si riversò sul pavimento
con gran parte della schiuma.
Caroline osservò le mani poste in grembo sotto la leggera
opacità dell’acqua e
cominciò a giocherellare con l’anello, tentando di
articolare una risposta.
«Stefan è un caro amico, ma a volte non riesco a
capirlo. E’ dolce e premuroso ma sembra avere paura di me,
come se potessi
ferirlo in qualche modo. Ma come potrei mai? Lui è
l’unica persona nell’intero
universo cui non potrei – e non vorrei
– fare del male. Mi sembra di conoscerlo da
sempre».
Caroline sospirò portandosi una mano sulla schiena
divenuta ormai umida e fredda mentre la vampira seduta dietro di lei
sembrava
avere uno sguardo vitreo e al contempo compiaciuto della rivelazione
appresa.
Inclinò leggermente la testa dipingendo un ghigno
soddisfatto e avvolse le sue braccia attorno al collo di Caroline. La
bionda
ebbe un sussulto mentre due dita strisciavano lungo il profilo del suo
mento,
lisce e squamose quasi come la pelle di un serpente.
«Penso che ci divertiremo, io, tu e i fratelli
Salvatore»
soffiò piano compiaciuta dello sguardo sconvolto, rivoltole
dalla bionda.
«Mie care fanciulle non so cosa possiate fare in
bagno visto che me medesimo non
è con
voi. Vedete di smettere di fare giochetti da lesbiche ed uscite in
fretta!»
Damon bussò sonoramente alla porta e, anche se
cercava di mascherarla al meglio, Caroline si accorse di quella nota
inquietudine nella sua voce che l’aveva accompagnato per il
primo mese di
convivenza, quando bussando alla porta il vampiro dagli occhi azzurri
si
chiedeva se l’avrebbe trovata in un ennesimo stato di crisi.
«Veniamo subito» «Damon sei
seccante». Le voci
delle due vampire si amalgamarono, ma almeno Damon poté
tirare un sospiro di
sollievo.
Caroline uscì veloce dalla vasca da bagno
avvolgendo il proprio corpo con uno dei tanti asciugamani posti vicino
al
calice di sangue e aprì la porta facendo entrare una brezza
fredda in contrasto
con il caldo vapore che occupava la stanza.
Katherine seguì il suo esempio e prendendo
l’asciugamano fece accidentalmente cadere
il calice che macchiò i candidi asciugamani stipati
lì vicino per poi infrangersi
contro il pavimento di porcellana. Katherine fissò le
minuscole schegge di
vetro e inspirò a fondo, inebriandosi dell’odore
di umido e sangue che invadeva
la stanza.
Un altro sorriso le comparve mentre liberava i
riccioli dalla forte stretta del fermaglio.
Il peggio per Caroline doveva ancora iniziare.
«Si
sono rinchiuse in bagno, ancora»
costatò Damon entrando nella stanza da letto del fratello
il quale era intento a scegliere quale maglietta indossare, non
prestando
alcuna attenzione a ciò che aveva detto.
«Non so cosa abbia in mente Katherine, ma nessuno
può manipolare la biondina a parte il
sottoscritto».
Aprì un cassetto rovistando tra la biancheria del
fratello.
«Astuto modo per dire che tieni a lei» lo
punzecchiò il fratello che alla fine aveva optato per la
solita camicia a
scacchi.
«Prova a dirlo un’altra volta e ti faccio ingoiare
i boxer miei che tu
stai indossando»
Stefan inarcò entrambi i sopraccigli schivando di
tanto in tanto gli oggetti non identificati che erano lanciati da Damon
intento
a differenziare accuratamente i suoi boxer dalle mutande
del fratello.
«Care avrà sbagliato nuovamente
a dividere il bucato» osservò il minore dei
Salvatore
raccogliendo per la stanza gli indumenti che Damon lanciava.
«Ora che ha l’anello magico penso che dovremmo
farla uscire - prima che cominci a rovinare anche le mie
camicie».
Stefan si umettò le labbra poggiandosi allo
stipite dell’armadio.
«Credi che sia prudente farla uscire nel suo
stato?»
«Non vedo il motivo per cui debba rimanere
rinchiusa qui! Non è mica Raperonzolo!»
scrollò le spalle Damon che finito di
ispezionare quel cassetto, passò all’armadio
controllando gli altri vestiti.
«Fino a due giorni fa ha avuto una crisi, e se
succedesse di fronte a una folla di gente?» chiese
preoccupato Stefan mentre
Damon richiudeva l’anta dell’armadio e si
affrettava ad uscire a passo svelto
dalla stanza.
«Ti sopporterai tu il broncio della psicopatica
per tutta la settimana, a me semplicemente
non interessa»
Stefan scoccò un’occhiata a Damon che a grandi
falcate
varcava l’uscita: gli importava, eccome se gli importava!
«Non
posso credere che tu mi abbia portato proprio
qui!»
Queste parole, pronunciate con un alto tono di
voce, bastarono per richiamare l’attenzione delle persone
sedute ai tavoli
circostanti della caffetteria in cui Stefan aveva portato Caroline,
come prima
uscita diurna ufficiale.
«Caroline abbassa la voce» le consigliò
caldamente
Stefan incrociando lo sguardo sconcertato della cameriera e del signore
occhialuto seduto al tavolo che stava servendo. Il vampiro
abbassò lo sguardo a
disagio e si rifugiò nella sua tazza colma di
caffè. Entrambi erano seduti
comodamente su un tavolinetto posto sotto uno dei tanti ombrelloni
della
caffetteria.
«Ops, scusa» rispose Caroline soffermando lo
sguardo su ogni persona che continuava a fissarla per poi premere di
più i
bianchi occhiali da sole che avevano il compito, insieme al delizioso
cappello
color lavanda, di farla passare in osservato – e che invece
richiamavano
l’attenzione più del dovuto.
Si morse il labbro inferiore reprimendo il fiume
di parole che nonostante tutta la sua buona volontà
uscì fuori con brio.
«E’ che è la prima volta che mi
allontano da casa
dopo tanto tempo, e questo è il posto che adoro in assoluto,
dopo il Grill
ovviamente, andremo anche lì vero? Devo comprarmi qualche
vestito nuovo e sai
mi sento proprio bene, credo di essere quasi del tutto guarita
e…ti sto
annoiando vero?»
Caroline si portò una mano sul collo imbarazzata,
appoggiando il gomito sul tavolino e mescolando il caffè
nella sua tazza.
Stefan strabuzzò gli occhi.
«No, no dico sul serio è solo che…forse
stai
annoiando loro» disse e
rivolse il
mento verso due clienti seduti alle spalle di Caroline, visibilmente
irritati
dalla vampira logorroica.
Con sua immensa gioia quel giorno i due fratelli
avevano indetto una riunione straordinaria e avevano deciso al 50% di
permettere alla vampira bionda di riprendere i contatti con
l’esterno.
Ovviamente il rimanente 50% contrario era di Stefan che, non ancora
fiducioso
dell’idea, si era offerto di scortarla per le vie di Mystic
Falls.
«Kate ha avuto un pensiero gentile a procurarmi
quest’anello
non trovi?» Sorseggiò il suo caffè
macchiato per poi fare una smorfia schifata per
il gusto amaro e agguantò subito un’altra bustina
di zucchero.
Stefan fermò la tazza a mezz’aria e
sospirò
contrariato dall’ultima affermazione della vampira seduta di
fronte a lui.
Ripose la tazza nel piattino ed intrecciò le dita delle mani
per poi posarvi la
fronte.
«Ti ho fatto arrabbiare?» chiese la bionda in tono
lamentoso corrugando la fronte e aspettando la sentenza del vampiro.
«Certo Care, sono arrabbiato ma solo perché
ritengo che tu non sia ancora del tutto pronta per la vita normale,
qualcuno
potrebbe riconoscerti e tu potresti…» si
bloccò smettendo di far girare il
cucchiaino nella poca quantità di caffè che era
rimasta all’interno della
tazza.
«…perdere il controllo, lo
so» sospirò tornando a sorseggiare il
caffè che era diventato
più freddo di quanto non fosse già. Una volta
finito ripose la tazza nel
piattino producendo un sordo tintinnio e un sorriso radioso le
illuminò il
volto.
«Allora insegnami!».
Stefan alzò un sopracciglio non riuscendo a
comprendere ciò che la vampira intendesse con
quell’affermazione.
«Oh andiamo Stef! Sei quel tipo di persona che sa
perfettamente prendersi cura degli altri – specialmente di me».
A quell’ennesima richiesta Stefan incrociò le
braccia al petto e si massaggiò le meningi con un movimento
circolare. I sensi
di colpa lo invadevano e se da una parte avrebbe voluto realmente
aiutare la
sua piccola Care, dall’altra pensava che il vampiro adatto
non era di certo
lui, lui che non aveva saputo prendersi cura di lei.
«No Caroline, ci sono troppi pericoli e finiresti
col farti del male» concluse Stefan ponendo un punto a quella
che sembrava
essere una discussione conclusa.
Caroline si strappò gli occhiali di dosso e serrò
la bocca in segno di stizza. Scoccò un’occhiata
torva al vampiro e poggiò con
fragore i polsi sul tavolino in ferro battuto macchiandosi la manica
del giubbino
di caffè.
«Sei il vampiro più noioso che io abbia conosciuto
sulla faccia della terra! Cos’è, hai vissuto in un
monastero per caso?»
Quello sfogo strappò a Stefan un sorriso che non
fece altro che irritare maggiormente la vampira, che minacciava di
togliersi
pure il cappello così da rivelare la sua persona -
tecnicamente sepolta nel
cimitero di Mystic Falls da sei mesi e mezzo.
«Lezione numero uno: mai perdere le staffe in
pubblico se si è ancora inesperti!»
Caroline sbatté più volte le palpebre per poi
cinguettare allegramente un “grazie Stefan”
battendo felicemente le mani e
mostrando i piccoli denti bianchi come Stefan ricordava fare da bambina.
«Ma dovrai seguire i miei consigli senza fare
storie» la avvertì prendendo il portafoglio ed
estraendo due banconote che
lascio sotto il posacenere vuoto.
«E tu dovrai smettere di essere il vampiro
super-apprensivo e goderti la vita
da
diciassettenne» disse Caroline puntandogli contro il
cucchiaino e disegnando
cerchi immaginari.
Stefan si arrese mostrando un’occhiata eloquente
alla sua nuova compagna di giochi.
«Allora qual è la lezione numero due?»
Gli occhi azzurri di Damon si
dilatarono mentre le
folte sopracciglia nere si univano in una linea, segno
dell’immenso lavoro
mentale cui si stava sottoponendo.
Si umettò le labbra e scaricò il peso da una
gamba
all’altra, picchiettando l’indice sulla guancia
destra. Il viso gli si illuminò
e un ghigno minaccioso fu il segno che la lampadina del suo cervello si
era
illuminata.
«Torre in C3» disse prendendo, tra
l’indice e il
pollice, la miniatura e collocandola nel posto desiderato.
Katherine sbuffò picchiettando un tacco e
scoccando un’occhiata truce al vampiro.
Dei passi rimbombarono al piano di sopra segno che
uno degli abitanti di casa Salvatore stava scendendo con foga le scale
e per
giunta a piedi nudi.
Una chioma bionda apparve all’orizzonte e fece il
suo ingresso nel salone, dove Damon e Katherine stavano allegramente
giocando a scacchi.
«Dov’è Stefan? E’ quasi
l’ora di pranzo e tocca a
lui cucinare» brontolò la vampira emettendo un
sospiro forzato e dirigendosi
verso la cucina.
I due sembravano essere concentrati sulla loro
attività: ognuno guardava fisso le pedine della scacchiera,
ognuno in attesa
della prossima mossa.
«Chi è che doveva fare la spesa?»
Damon alzò lo sguardo, spezzando il contatto
visivo, e si morse un labbro leggermente divertito.
«Ops colpa mia» sussurrò e un altro
sonoro sbuffo
provenne dalla cucina.
«Ci sono sempre le scorte della cantina»
suggerì Katherine e un’insana
paura si fece largo nell’animo di Damon. La guardò
attentamente con terrore, ma non
ricevette alcuna occhiata da Katherine la quale stava ancora studiando
la
posizione delle pedine. Perché Katherine, che
conosceva parzialmente la storia, stava agendo in quel
modo? A che scopo?**
«Cantina? Non mi avevate detto che ce n’era
una»
rispose paziente la bionda ma dai suoi occhi color giada traspariva una
certa
confusione e un leggero senso di tradimento.
Katherine sorrise e spostò un’altra pedina nella
sua scacchiera, con aria pienamente soddisfatta.
Caroline incrociò gli occhi di Damon vagamente
contrariati e privi di qualsiasi spiegazione esauriente.
La bionda non sapeva dell’esistenza di una cantina
eppure aveva un’immagine nitida nella sua mente di come fare
per arrivarci; il
ricordo sgorgò prepotente dai suoi pensieri fino a farle
mancare il fiato.
«Scacco matto!» annunciò prontamente
Katherine con
un ghigno diabolico in viso.
E Damon capì che Care era come una delle pedine di
quell’enorme scacchiera.
***
* Ovviamente questa è
tutta una menzogna: Caroline non sa dell'esistenza delle streghe tanto
è vero che pensa che gli anelli dei Salvatore siano alcuni
dei tanti gioielli ereditati col tempo. L'anello che le ha portato
Katherine è stato forgiato apposta da una strega di sua
conoscenza.
** Caroline è stata
tenuta prigioniera in cantina e logicamente i fratelli le hanno sempre
tenuto nascosto l'esistenza di quella parte della casa. Katherine era a
conoscenza di tutta la storia e sta sfruttando ciò che sa
per i suoi scopi.
Salve
carissimi,
questo purtroppo
sarà l'ultimo aggiornamento, dopodichè ci
rileggeremo a settembre! Lo so che state stappando le bottiglia di
champagne u.u Ad ogni modo prima della mia partenza vi lascio un
capitoletto del trio - divenuto ora quartetto - in casa Salvatore. Ecco
spiegato perchè Kate nel capitolo precedente aveva invitato
Caroline a fare una passeggiata sotto il sole! Con l'anello magico Care
adesso può uscire anche alla luce del sole, unico problema
è che tutti la credono morta! Sarà difficile
doversi sempre nascondersi senza farsi riconoscere. Kate e Care
affrontano la prima discussione sui bei vampiri e si fa chiaro che Care
è infatuata di Damon. Diciamo che sotto questo aspetto
è ancora la Caroline della prima serie, ma molto
più matura e meno frivola. Ci saranno degli sviluppi sotto
questo punto di vista, ma ripeto non intendo fare il solito triangolo
D/C/S, al contrario! Stefan sarà il maestro di Caroline e
tra loro si consoliderà un legame che prima era ostacolato
dai rispettivi sensi di colpa e dalle paure. Katherine ha degli scopi
ben precisi e li rivela parlando di una certa cantina, tenuta nascosta
alla nostra Barbie! Questo preoccuperà di molto i fratelli
Salvatore o almeno Damon visto che è il primo che ha intuito
qualcosa circa le intenzioni di Kate. Perciò vi lascio con
una Caroline palesemente confusa e curiosa di vedere questa cantina, un
Damon preoccupato e sospettoso che tenterà di risolvere la
cosa a modo suo senza coinvolgere il fratello, uno Stefan che spera in
una remissione dei peccati e una Katherine ambigua e pericolosa i cui
scopi sono tutti da vedere. Vi anticipo che nel prossimo capitolo
faremo nuovamente un salto nel passato per controllare il trio agli
albori di questa convivenza.
Ringrazio tutti coloro
che hanno recensito e che continuano a seguire questa storia.
Ci rileggiamo a
settembre, un bacio
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** 6.Controllo [sei mesi prima] ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti
narrati sono riportati in una realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena
con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di
Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di
minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
6.Controllo
[sei mesi prima]
Damon rise istericamente e la sua voce gorgogliò
per tutto il corridoio semioscurato.
«Hai voluto trasformare la pensione in un centro
di ricovero?»
Stefan roteò gli occhi ed emise l’ennesimo sospiro
esasperato.
Non era stata di certo una meravigliosa
sorpresa ritrovarsi quella mattina suo fratello al
centro del salotto – per di più semidistrutto per
via di Caroline.
«Ti ho già spiegato che ha bisogno del nostro
aiuto per superare questa sua malattia. E’ un vampiro solo da
tre giorni e,
come puoi vedere, è ancora molto instabile – e
comunque sei liberissimo di
andartene così come sei
arrivato».
Damon assottigliò gli occhi di ghiaccio,
rivolgendo un’occhiata non del tutto amichevole al vampiro
seduto in poltrona.
«Peccato che questa sia anche casa mia, ragion per
cui non vedo alcun motivo per andarmene» rispose secco il
maggiore dei
Salvatore non distogliendo lo sguardo da quello di Stefan che lo
guardava di
rimando.
Erano passati anni dall’ultima volta in cui le
loro vite si erano incrociate e ancora la rabbia e l’odio
reciproco albergava
nei loro cuori. Troppi anni di assenza da casa avevano trasformato i
loro
animi, un tempo puri e innocenti, in macchine assassine e bestie
inferocite,
pronti a sbranarsi l’un l’altro per futili motivi
ormai appartenenti al passato
– ma quando hai tutta l’eternità
davanti, il passato può diventare pericoloso.
«Io. Resto» rimarcò precedendo Stefan le
cui
labbra si erano piegate in una forma di diniego.
Gli occhi fermi di Damon non lasciavano trapelare
alcun segno di rinuncia - dopotutto l’intruso
non era lui.
Stefan balzò in piedi e in meno di un nanosecondo
il suo viso era a pochi centimetri dal ghigno feroce di Damon.
Non gli avrebbe permesso di fare del male alla sua
piccola Care, non ora che Katherine gli aveva dato una seconda
possibilità,
un’ancora di salvezza a cui potersi aggrappare e bearsi prima
della dannazione
eterna. La rabbia gli offuscava la vista come una coltre di nube
tossica ed il
sangue iniziava ad ingolfarsi lungo i capillari e le venule intorno
alle cavità
oculari. Digrignò i denti.
«Ho commesso un errore e sto cercando di
ripararlo, quindi non ti azzardare a rivelarle qualsiasi cosa riguardo
undici
anni fa».
Il ghigno ostile di Damon si trasformò in
un’espressione apparentemente divertita, in contrasto con il
rosso cupo e
minaccioso che si addensava tra le sue iridi azzurre.
La mano destra del maggiore dei Salvatore si serrò
attorno al collo niveo di Stefan comprimendolo all’altezza
della trachea.
Di rimando Stefan stritolò il polso di Damon
finché entrambi non furono sbalzati nelle pareti in
direzioni opposte.
«Non provare a darmi degli ordini, fratellino».
E lo scontro poté continuare.
Caroline cacciò un urlo
acuto che si propagò per
tutta la sua stanza.
Le molle del letto cigolarono violentemente mentre
i palmi delle mani rimanevano posati sopra le palpebre serrate e
tremanti.
Era la settima volta che succedeva durante quel
lungo riposo.
Sentiva la gola bruciare, ardere come se le fiamme
dell’inferno la divorassero viva e lei non avesse altra via
d’uscita.
Faceva fatica a deglutire ed ogni fiotto di saliva
che mandava giù aveva l’aspro e tanto desiderato
gusto del sangue.
Ma doveva resistere, ci sarebbe riuscita.
Allontanò piano le mani tremanti dagli occhi
scrutando ogni singolo centimetro di quella pelle che solo la sera
precedente
aveva brutalmente dilaniato con i suoi canini e sulle quali adesso
candide
bende ruvide si intravedevano con il contrasto della sua pelle.
Si accasciò nuovamente nel letto, la fronte
imperlata di sudore freddo, raggomitolandosi attorno al cuscino e
portandolo
alle narici.
Ma l’odore buono di pulito non le bastò per
alleviare il dolore attorno alla trachea, così intenso e
acuto che sembrava
potesse farla soffocare.
Un urto violento contro una parete al piano di
sotto la fece sobbalzare.
D’un tratto si ricordò dei Salvatore e della
pensione che da quel giorno in poi sarebbe diventata la sua nuova casa – se mai avesse avuto una
casa.
Si infilò subito le converse e abbassò lieve la
maniglia fredda della porta della sua stanza.
Sgusciò piano e attraversò il lungo e solitario
corridoio del piano di sopra.
Il rumore dei suoi passi era ovattato a causa del
morbido tappeto, dislocato per tutto il corridoio.
Le gambe di Caroline tremavano così come le mani e
la vista. L’arsura alla gola si faceva più
insistente. Un leggero ronzio si era
impossessato delle sue orecchie e gli occhi erano cerchiati da contorni
violacee.
I rumori continuavano a far tremare le pareti
dell’abitazione così come gli urti che per
Caroline all’improvviso
giunsero come schiaffi e denti in pieno viso*.
«Più che un
vampiro, sembra la fatina di Peter
Pan»
Con queste parole Damon ruppe il silenzio che si
era venuto a creare dopo che la bionda aveva fatto irruzione nel
salotto,
adesso ridotto ad un cumulo di macerie, per fermare la lite dei due
fratelli.
Il trio adesso stava seduto in cucina. Unico
rumore, il ticchettio dell’orologio a pendolo nel corridoio.
«Riesco a sentirti» abbaiò Care
scoccando una
stilettata al vampiro dagli occhi azzurri che era intento a riempire un
bicchiere di ottimo Martini.
Caroline tamburellò sulla superficie lignea del
tavolo da cucina, scoccando varie occhiate prima ad uno e poi
all’altro
fratello, sentendo che l’arsura alla gola aumentava a
dismisura.
Il viso contratto di Stefan e la mascella serrata
facevano intendere che non era per niente soddisfatto della situazione
che si
era venuta a creare.
«E’ quasi l’ora di pranzo»
constatò la vampira
bionda incrociando le caviglie e tirando un lembo della manica del
maglioncino
color blu notte che indossava.
Stefan alzò un sopracciglio, sorpreso da quelle
parole. Si umettò le labbra e si avvicinò alla
vampira con le braccia dietro la
schiena.
«Vedi Caroline, non-» «non
c’è bisogno che io mi nutra di cibo, lo
so. Katherine me l’ha
già spiegato». Un baluginante ricordo
riaffiorò nella sua mente e questo fece
si che la dovuta pausa si prolungasse per un po’ di
più.
I due Salvatore aspettavano pazienti che
continuasse.
«L’essere diventata una vampira non implica per
forza che debba cambiare la mia vita. Vorrei che le piccole cose da
umano
facessero anche parte della mia nuova esistenza».
Stefan non riuscì a sostenere gli occhi color
giada della bionda così annuì impercettibilmente,
non esponendo alcuna critica
al riguardo.
«Ebbene, non vorrai che ti prepariamo anche il
pranzo?»
Damon bevve l’ultimo sorso del suo liquore e
chiuse un occhio portando il bicchiere, leggermente inclinato, sopra di
esso
per controllare se sul fondo fosse rimasta qualche goccia di alcol.
Rivelatosi
inutile tale controllo, lo maneggiò come se fosse una palla
da baseball per poi
lanciare alle sue spalle il bicchiere che si infranse poco lontano in
minuscole
schegge di vetro.
Caroline osservò il vampiro con aria schifata
lasciando però trasparire una certa bramosia per quegli
occhi così azzurri.
«Tanto pulirà Stefan» mimò
con le labbra.
Il suddetto vampiro brontolò qualcosa di
incomprensibile e tirò fuori la testa dal frigo estraendone
una lattuga
malridotta avvolta in un cellophan e tre pomodori che avevano tutta
l’aria di
essere lì dentro da molto tempo.
«E’ tutto quello che abbiamo» si
scusò Stefan sul
quale gli occhi di Caroline erano puntati con un che di accusatorio.
Il dolore alla gola bruscamente si rifece vivo e
il colore rosso acceso dei pomodori le faceva desiderare ardentemente
quel
sangue che, sapeva, le avrebbe fatto nuovamente del male – il
solo pensiero le
rivoltava le viscere dal disgusto.
Piegò le labbra in un sorriso innaturale e con una
voce stridula e gracchiante acconsentì al menù
del pranzo.
Gli occhi di Stefan si illuminarono di una nuova
speranza e si munì subito di un coltello, riponendo i
pomodori nel lavabo sotto
l’acqua corrente.
La fronte di Damon si corrugò appena alla vista
degli occhi lucidi della vampira e del suo sguardo folle reso ancora
più
inquietante dalle notevoli borse che tratteggiavano il contorno di ogni
occhio.
Sfilò dalle mani del fratello il coltello e
agguantò l’altra metà di lattuga
rimasta nel tagliere.
«Non ti ci abituare troppo, principessina.
Questa sarà la prima e ultima volta che prepariamo
da magiare per te».
Le orecchie di Caroline divennero rosse e le
nocche delle mani scrocchiarono, tanto teneva stretti i pugni.
«Chi ti ha dato il permesso di scaraventare le mie
cose fuori dalla mia stanza?»
Il pomodoro dell’insalata che aveva da poco
ingerito le sembrò inacidirsi all’interno del suo
stomaco tanto la rabbia la
stava facendo fermentare.
«Si da il caso che questa sia la mia
di stanza» puntualizzò Damon
lasciando cadere l’ultimo borsone che teneva in bilico tra il
pollice e
l’indice.
La borsa cadde a terra con un tonfo sordo sul
morbido tappeto il che Caroline dovette reprimere l’istinto
di schiaffeggiare
quel vampiro così insolente.
«E tu, che non ti sei neanche presentato, chi
saresti?» ringhiò abbassandosi per recuperare le
borse e i vestiti riversi sul
pavimento.
Le ginocchia stavano per cedere, se lo sentiva.
«Damon Salvatore, purtroppo
fratello del vampiro al piano di sotto»
La valigia color lime sfuggì alla presa ferrea di
Caroline e la stanza cominciò a girarle intorno
vorticosamente: il rosso
mattone dei tappeti diveniva un tutt’uno con il marrone dei
mobili e con l’ocra
della luce proveniente dalle applique poste su tutto il corridoio. Il
fischio
nelle orecchie continuava a cancellare qualsiasi rumore esterno e le
esili
ginocchia sembravano prostrarsi a causa di un fardello troppo pesante.
Batté violentemente le palpebre tentando di
concentrarsi sui ghirigori del tappeto su cui tentavano di rimanere
incollati i
suoi piedi mentre la stretta attorno all’avambraccio sinistro
si faceva sempre
più salda.
La vampira inclinò il viso cereo specchiandosi nei
pozzi azzurri del maggiore dei Salvatore, troppo debole per liberarsi
da quella
presa che sembrava sorreggerla più della forza di
gravità.
«Stai bene? Non sarai letteralmente
già caduta ai miei piedi, spero? Mi lusingherebbe»
scherzò il vampiro sfrontato il quale tuttavia sembrava non
fidarsi del
precario equilibrio della nuova coinquilina.
Caroline inchiodò gli occhi color giada su quelli
del vampiro e con un energico movimento del braccio si
liberò dalla stretta e
continuò a riporre in valigia i vari indumenti che si erano
riversi sul
pavimento.
Il lieve rossore affiorato sulle guance, prima
pallide, della bionda recò un po’ di sollievo a
Damon il quale continuava a
fissare divertito la vampira che non osava spostare lo sguardo.
Fece leva sulle ginocchia e si alzò, caricandosi
la tracolla e la valigia, facendo ondeggiare malamente le ciocche
dorate.
«Hai dimenticato questo»
La bionda coi riflessi pronti scattò in un balzo
afferrando l’oggetto lanciatole da Damon il quale poco dopo
con un sorriso
sardonico in viso richiuse la porta.
Caroline tastò tra le mani il leggero pizzo del
reggiseno color blu cobalto.
Sorrise genuinamente forse per la prima volta da
quando aveva messo piede in quella casa.
Gli occhi vuoti di Caroline erano
rivolti al
soffitto mentre il viso giallastro e smunto assumeva colorazioni
bluastre per
via delle occhiaie che continuavano a invaderle la pelle intorno agli
occhi.
«Oh no! Caroline? Caroline rispondi!»
imprecò a
denti stretti, terrorizzato da ciò che stava vedendo.
Stefan la teneva saldamente a terra e le sollevava
la testa, urlando il suo nome, tentando di rianimarla; lo sguardo,
quello di un
uomo divorato dalle fiamme.
Damon impallidì. Poggiò una mano sullo stipite
della porta per non crollare anche lui a terra. Ne aveva viste tante,
forse
troppe di persone morire, umani o vampiri, alcuni di questi li aveva
uccisi lui
stesso, ma stavolta era diverso, era naturale.
Caroline stava morendo per assenza di sangue**.
«Damon fa qualcosa, vai a prendere le sacche di
sangue nella cantina» lo incitò il fratello che
continuava a tenere ben saldo
il polso muto della vampira tra le sue dita.
Damon rimaneva paralizzato, affascinato da quel
macabro spettacolo, non distogliendo lo sguardo dalla chioma bionda
della
vampira agonizzante.
«Damon» urlò nuovamente Stefan i cui
rimorsi e
sensi di colpa affioravano prepotenti dal suo inconscio facendogli
perdere
lucidità e sangue freddo.
Il maggiore dei Salvatore schizzò via dalla stanza
dirigendosi verso la cantina.
«Non voglio…» un impercettibile sussurro
giunse
dalle labbra ruvide ed esangui di Caroline.
«Devi invece!» la rimbeccò il vampiro
trattenendola per i polsi vedendo che si dimenava.
«Perderò il controllo»
piagnucolò la bionda la cui
voce le si smorzò in gola.
Damon alzò un
sopracciglio e invitò la vampira a
bere dal suo bicchiere.
Caroline storse il naso e piegò la bocca in segno
di disgusto quando l’aroma denso e caldo del sangue umano le
penetrò i polmoni.
«Non fare la bambina» la rimproverò il
vampiro
dagli occhi azzurri avvicinando di più il bicchiere al viso
della bionda che di
tutta risposta voltò il viso malato dalla parte opposta.
«Non farmi perdere la pazienza» ringhiò
aumentando
la presa attorno al bicchiere di vetro.
Il minore dei Salvatore sedeva accanto alla
vampira, le cingeva le spalle e, nonostante il peggio fosse passato,
un’impercettibile ruga di frustrazione era visibile sulla sua
fronte marmorea.
Caroline distolse lo sguardo dal mobiletto in noce
e rivolse un occhiata in tralice al bicchiere scarlatto.
«No, no, no!» Caroline artigliò i
capelli e si
raggomitolò su se stessa portando le ginocchia al petto.
Stefan balzò in piedi
con il timore che quella fosse la genesi di un’altra crisi.
«Caroline, Care ascoltami!» disse scuotendole le
spalle, reclamando la sua attenzione.
Caroline spostò una mano così da avere uno
spiraglio per poter guardare il vampiro di fronte a lei.
«Tu sei forte abbastanza, riuscirai a resistere,
devi semplicemente abbandonare questa tua paura, per sopravvivere
-» «No, no!»
«Si invece! Se perderai il controllo ti aiuteremo io e Damon;
ma io so che non
lo perderai, puoi farcela»
Gli occhi color giada della vampira si schiusero
del tutto e si arrese dal divincolarsi dalla presa di Stefan, divenendo
rigida
e immobile come non lo era mai stata.
Damon scoccò un’occhiata titubante al fratello il
quale prese la mano della bionda che si fece condurre docilmente al
bicchiere
ponendoglielo fra le dita sottili.
Caroline inspirò ed espirò.
Portò alle labbra il liquido denso ed esse si
tinsero di un rosso scarlatto. In poco tempo il sapore di ruggine del
sangue le
invase la lingua e scese sinuoso lungo tutto l’esofago,
rinvigorendola. Ad ogni
sorso Caroline si sentiva come se ingoiasse arsenico e
l’arsura della gola
fosse soppiantata da un senso di nausea e di disgusto che le faceva
rivoltare
lo stomaco che affamato reclamava
ancora più sangue.
Entrambi i fratelli avevano smesso di respirare
assistendo a quell’esperimento.
Un risucchio sordo risuonò per la stanza e
Caroline si accorse di aver finito quando la lingua lisciò
la superficie fredda
e dentellata del bicchiere.
Sentiva il liquido schiumoso affluire lungo
l’esofago tentando di ripercorrere il percorso inverso.
I visi pallidi dei due vampiri manifestavano la
loro preoccupazione tramite la fronte corrugata e attendevano una
qualsiasi
reazione di repulsione.
Care incrociò i loro sguardi carichi di timore e
per rassicurarli regalò ai due vampiri un timido sorriso
reso ancora più acceso
dal colorito roseo che assunsero le sue guance.
Stefan rilassò le spalle marmoree e ricambiò il
sorriso della bionda, fiero e sollevato che la sua Care avesse superato
la sua
paura.
«Grazie» gracchiò la vampira i cui occhi
color
giada si stavano coprendo di una trasparente patina di lacrime che
continuava
ad addensarsi in finissime gocce trattenute dalle lunghe ciglia.
Stefan sentì qualcosa incrinarsi tra un polmone e
l’altro.
Che Stefan vedesse in Caroline ancora quella
bambina di undici anni prima, con una spruzzata di lentiggini sopra il
naso e
le scarpette di raso, questo era palese. Troppo tempo aveva trascorso
nel
rimorso di non averla saputo salvare, vergognandosi di un
così infimo delitto,
troppo crudele per quella parte di lui che aveva imparato a far
emergere col
tempo.
Stefan portò una mano sospesa sopra il capo della
vampira ma si bloccò a pochi centimetri
dall’intrecciare le dita ai capelli di
lei.
Il volto si sfibrò in finissime venule al ricordo di quello
scempio e
ritrasse con violenza la mano, lasciando la stanza a grandi falcate.
Lo scrocchio delle nocche e della mandibola
serrata fu udibile da entrambi i vampiri rimasti in salone.
La bionda, turbata da quel gesto repentino del
vampiro che fino a un minuto prima l’aveva consolata, si
incupì in viso e portò
le gambe sul divano, accoccolando la testa sulle ginocchia sporgenti.
Damon in questo frangente di tempo continuava a inarcare
il sopracciglio destro, facendo scivolare lo sguardo
sull’esile figura di
Caroline.
A
lui quella
convivenza non piaceva per niente.
***
* So bene che non è
chiara la descrizione di
questa scena repentina ma ho adorato quest’ultima frase ad
effetto e ho pensato
di lasciarla. Sostanzialmente Caroline scende le scale incuriosita
dagli strani
rumori provocati dalla lotta dei due fratelli. Fa il suo ingresso nel
salone e
viene coinvolta nello scontro per cui schiaffi
e denti in pieno viso. Caroline è una vampira da
tre giorni ed è ancora
“inesperta” negli scontri e la sua malattia la
rende incapace di essere se
stessa.
** Anche nel telefilm non ho ben
capito se i
vampiri possono morire per assenza di sangue. In questa storia ho
associato anche
il fatto che Caroline è una neovampira quindi ha bisogno di
una quantità
maggiore di sangue. Non so se effettivamente un vampiro potrebbe morire
per
assenza di sangue, ma questo rigetto e repulsione per il sangue e
quindi la sua
mancanza fa parte della malattia di
Care.
Salve
vampirizzati,
No non sono un miraggio,
sono proprio io in carta
e penna!
Vi avevo promesso degli
aggiornamenti flash e
scegliendo tra le due long a cui mi sto dedicando ho deciso di
aggiornare
questa. Come vi avevo anticipato in questo capitolo rivediamo il trio
agli
albori della loro convivenza. Come sempre i flashback non sono il
massimo della
felicità si capisce perfettamente il disagio da parte di
Stefan nel vedere
piombarsi in casa il fratello che odia profondamente; a questa asprezza
da
parte dei fratelli si aggiunge anche l’instabilità
di Caroline la quale deve
convivere con questa sua specie di doppia personalità: da
una parte la sua
natura da vampira la porta a cibarsi di sangue per sopravvivere,
dall’altra lo
shock subito quando era bambina le vieta il solo pensarlo! Situazione
parecchio
complicata che mette in crisi i due Salvatore che decideranno
apparentemente di
mettere da parte le loro divergenze per prendersi cura di questa
vampira
malata. Sembra strano questo loro comportamento visto che siete
abituati a leggerli come se fossero una famigliola del Mulino Bianco!
In verità
non è stato affatto facile e ci sono voluti ben sei mesi per
costruire un
equilibrio che verrà malamente distrutto dalla Kate come
vedremo in seguito. Caroline
dimostra avere una certa attrazione per Damon e su questo punto di
vista mi
sono ispirata un po’ al telefilm ma la
Care
che si invaghisce del vampiro cattivo è la bionda della
seconda stagione, più matura e cresciuta. Ammetto che questo
doveva essere un
capitolo abbastanza tragico ma non potevo
non inserire qualche battutina ancora un po’ acerba ma pur
sempre frizzante al
punto giusto per questo trio. Spero soltanto che tra il caldo afoso, la
spiaggia e il mare sia uscito fuori qualcosa di perlomeno accettabile xD
Ci si rivede a settembre
questa volta,
un bacio
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** 7.(Sotto)Controllo ***
ATTENZIONE: In questa storia verranno
sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale,
stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono
riportati in una realtà un po’ diversa di The
Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena,
Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
[undici anni prima]
La
porta è
aperta.
La fioca luce che proviene dal
corridoio le fa
strizzare gli occhi. Caroline si porta una mano paffutella su di essi
per
stropicciarseli, con l’altra tiene saldamente al petto il
povero Bunny: ha un
orecchio sgualcito e l’ovatta al suo interno è
macchiata di un rosso scuro.
La bambina osserva
la porta, come incantata.
Sarebbe potuta
fuggire, sarebbe potuta fuggire davvero.
Alla fioca luce
delle neon appese al soffitto, il vestito appariva sporco e incrostato
di terra
e di sangue, così come le guance e le treccine ormai
disfatte.
Poi la sente. La
presa forte di Stefan sulle sue braccine le bloccava ogni
possibilità di
salvezza, di fuga, di vita. Stefan la circonda in un abbraccio e Care
stringe
al petto il coniglietto di peluche quasi come se fosse lui quello
bisognoso di
conforto che lei. Poi Stefan, in un gesto inusuale, scosta i piccoli
filamenti
dorati dal collo un tempo niveo della bambina. Aspira profondamente
l’odore del
sangue non ancora rappreso dal suo collo. Spalanca le fauci.
“Mi dispiace
Care, non ce la faccio, non so resistere” reclina il collo
pronto ad affondare
i canini.
“Da solo non ce
la fai, ma io sono qui, in due è più
facile”dice timidamente la bambina facendo
cadere Bunny e irrigidendosi per il sangue che sente sgorgare e
succhiare
avidamente da Stefan.
Dopotutto il
mostro aveva bisogno più aiuto di lei.
7.(Sotto)Controllo
Il legno del parquet scricchiolò piano sotto il
passo felpato della vampira dai capelli biondi. Ondeggiò
piano nel suo
maglioncino verde acqua mentre le pupille roteavano veloci, registrando
qualsiasi rumore sospetto. Le sembrava essere ritornata alle prime
settimane
rinchiusa a casa Salvatore, quando con fare circospetto esplorava ogni
angolo
di quella grande e maestosa casa che le incuteva un certo timore.
Si morse il labbro inferiore al rumore sinistro
che fece la porta appena scattò la serratura. Era strano
come in sei mesi e
mezzo trascorsi in quella casa, Caroline non si fosse mai chiesta cosa
si
celasse dietro quella porta sempre chiusa a chiave, presso cui entrambi
i
fratelli raramente si avvicinavano.
Esultò rapidamente, eccitata all’idea di scoprire
cosa fosse contenuto nella famigerata cantina di cui solo pochi giorni
prima
ignorava l’esistenza. Il buio venne illuminato dalla luce del
sole pomeridiano che
filtrava da una delle due finestre e che irradiava il lungo corridoio
semioscuro.
Gli occhi di Caroline poco prima illuminati di
curiosità e di entusiasmo si spensero sconsolati
così come il sorriso sulle
labbra.
La vampira si portò le mani ai fianchi sbuffando
in segno di stizza. Riconobbe che quel lungo corridoio non era altro
che delle
scale ripide che conducevano ad una porta da cui era possibile notare
un
barlume di luce biancastra.
Caroline rianimata da nuova speranza pose un piede
sul primo gradino facendo scorrere le dita sul passamano arrugginito.
Ogni
gradino più in basso era un gradino in meno verso la porta
ma anche verso l’oscurità.
Roteò le pupille in cerca di qualche traccia di sangue
negli angoli più oscuri di quel seminterrato. Per sua
sfortuna non vi erano
quelle care lampadine fluorescenti per bambini.
Ricordava quando, una delle sue prima sere alla
pensione, Stefan l’aveva seguita in camera sua con entrambe
le mani dietro la
schiena. Gli occhi furbi di Caroline si erano assottigliati mentre
cercava di
sbirciare oltre la spalla del vampiro. Stefan si era arreso e quasi
teneramente
aveva mostrato alla vampira l’oggettino a forma di stella che
aveva poi prontamente
inserito nella presa accanto allo specchio. La lampadina a forma di
stella
illuminava malamente la stanza che tuttavia rimaneva parte in penombra,
ma
Caroline aveva un punto di riferimento, un barlume di luce che la
poteva
distrarre dalle sue crisi notturne.
Staccò la mano dalla barra di ferrò avvertendo il
disgusto per quell’odore così simile a quello del
sangue coagulato.
Si bloccò a pochi metri dalla porta:
l’oscurità
l’aveva inghiottita del tutto.
«Perso la strada di casa, Cappuccetto rosso?»
Le orecchie di Caroline non furono sorprese di
udire la grassa risata del vampiro alle sue spalle, anzi
aggrottò la fronte perfettamente
liscia dimostrando così una certa colpevolezza
nell’azione che stava tentando
di compiere.
Rivolse al vampiro, che la guardava con le braccia
incrociate al petto, un sorriso forzatamente innocente, distendendo gli
zigomi
e piegando le guance così in alto da far apparire due
splendide fossette agli
angoli.
«Volevo controllare la caldaia, l’acqua
è fredda e…sai
che detesto lavarmi i capelli con l’acqua fredda!»
rispose risoluta la vampira
non abbandonando quella sua espressione guardinga come se avesse
commesso un
crimine.
Damon alzò un sopracciglio palesemente divertito
dalla scusa che aveva intavolato al momento la bionda, ma non si
scompose: si
grattò distrattamente una guancia ricoperta da una leggera
peluria con l’indice
destro e piegò le labbra in un complice sorriso.
«Problema già risolto, riccioli
d’oro!» il vampiro
dagli occhi blu fece una riverenza e piegò il braccio destro
tendendo il gomito
verso Caroline. «Il nostro adorato
Stefan sta preparando la cena e non mi fiderei ciecamente: potrebbe
distrattamente avvelenarci con della verbena»
Caroline infilò il braccio nell’incavo vuoto
prendendo sotto braccio Damon e ripercorrendo la scala al contrario.
«Sai bene che Stefan non farebbe mai niente del
genere» cinguettò Caroline con il tono di voce
adatto per spiegare un qualcosa
di ovvio a un bambino di cinque anni.
Il maggiore dei Salvatore la inondò con i suoi
fari azzurri.
«Hai ragione, lo farei io»
La bionda rise divertita, per un momento
dimenticandosi della cantina e del buio e agognando quella luce verso
cui si
stavano avvicinando.
Si arrestò sul terzultimo scalino strattonando la
camicia nera del vampiro.
«Damon…cosa c’è in
cantina?»
La sua fronte era solcata da un’impercettibile
ruga e i suoi occhi color giada, più circospetti che mai,
erano grave fonte di
turbamento per Damon che puntò lo sguardo verso un punto
indefinito oltre la
sua immagine.
La vocina squillante della vampira stava
nuovamente riformulando la domanda pensando che Damon fosse assorto nei
suoi
pensieri quando questo gli fornì la risposta.
«Il lupo
cattivo»*
Quella risposta giunse a Caroline come un colpo in
pieno petto, un fulmine a ciel sereno. Un’incosciente paura
serpeggiò nel suo
cuore mentre la fronte guadagnava un’altra ruga di
frustrazione mista a
curiosità.
Si morse il labbro e voltò il capo per rivolgere
un ultimo sguardo a quella oscurità che incombeva dietro di
lei, smorzata
solamente dalla tenue luce in fondo alla scala.
Nonostante la sua mente fosse consapevole
dell’umorismo adottato poco prima dal vampiro centenario, un
angolo della sua
psiche credeva a quella risposta: che la cantina fosse davvero la
dimora di un mostro.
Katherine
sfilò con i denti l’oliva verde snocciolata,
infilzata nel suo stuzzicadenti, e rivolse lo sguardo al soffitto
all’ennesima
pallina di pane che le balzò davanti agli occhi accompagnata
da delle risatine
sommesse.
Dal canto suo il minore dei Salvatore seduto di
fronte a lei le rivolgeva continuamente delle occhiate esasperate,
impugnando
le posate con fermezza e tagliando la salsiccia fumante che giaceva sul
suo
piatto lucido.
La vampira dagli occhi color nocciola rivolse un
sorriso divertito al povero Stefan, il quale vide rotolare verso di lui
l’ennesima
oliva, frutto di una penosa mira da parte della bionda.
«Siamo alla mensa dell’asilo o cosa?»
sbottò il
vampiro addentando la sua salsiccia e alzando un sopracciglio in
direzione di
Damon e di Caroline.
La bionda maciullò in bocca la sua patatina fritta
scoccando stilettate al minore dei Salvatore che abbassò lo
sguardo
amareggiato, ricompostosi dopo quello sfogo di esasperazione.
Al contrario Damon non si curò dell’ammonizione
del fratello e continuò a tagliare la propria salsiccia,
facendo tintinnare la
forchetta e il coltello a contatto con la superficie liscia del piatto.
«Sono Stefan, il vampiro più noioso della storia
dell’universo e mi comporto da ottantenne» lo
scimmiottò adoperando una certa
enfasi e un tono di voce roco e imponente, calcando le folte
sopracciglia nere
sugli occhi azzurri.
La risata argentina di Caroline tintinnò come
sonagli nella vecchia sala da pranzo della pensione e la sua allegria
contagiò
i presenti che si sentirono più sollevati nel vederla ridere
e scherzare, non
manifestando alcun segno della malattia che dentro la opprimeva.
Il vampiro dagli occhi azzurri si concedette un
buon bicchiere di vino mentre la bionda, portando alla bocca il
pezzettino di
salsiccia, puntò la forchetta contro il minore dei Salvatore
che le rivolse
un’aria interrogativa.
«Ad ogni modo ha ragione: sei noioso! Noi due
avevamo fatto un patto, ricordi?»
Caroline, con la guancia gonfia per via del
boccone che tratteneva tra i denti, scoccò una stilettata al
vampiro il quale
roteò gli occhi, consapevole della promessa che si era
impegnato a mantenere.
«Quale patto?»
Katherine non aveva proferito parola per tutta la
discussione che si era consumata a tavola. Erano rare le occasioni in
cui
poteva assistere allo spettacolo offertole esclusivamente dai fratelli
Salvatore, per cui passavano gli anni ma il carattere rimaneva
immutato. E poi
c’era Caroline, una bambolina di pezza facilmente
maneggiabile da cui avrebbe
tratto i più proficui guadagni.
Tre paia di occhi la fissarono e poté notare da
quelli color giada trasparire un certo disagio mentre quelli dei due
fratelli
la continuavano a guardare con astio.
Il trio aveva vissuto sei lunghi
mesi in comunità e ognuno aveva imparato a convivere e a
rispettare gli altri inquilini della pensione: gli unici testimoni dei
loro
litigi, delle loro risate, dei loro bisbigli erano state le vecchie
mura grigie
e pesanti e i mobili tarlati e antiquati. Era logico che la presenza di
un
quarto individuo aveva rovinato la bella atmosfera che regnava in quel
luogo
prima del suo arrivo. A Katherine sembrò che questo fosse un
ottimo segno.
«Stefan mi sta dando qualche lezione su come
comportarmi quando sono fuori, come mantenere il controllo sulle mie
emozioni e
tutto il resto»
La voce di Caroline si incrinò appena quando rivolse
lo sguardo sugli occhi di ghiaccio del vampiro. Damon non sapeva nulla
riguardo
questo loro piccolo accordo e lei sentiva quasi nell’aria la
disapprovazione
per ciò che il fratello stava facendo nei suoi confronti.
Katherine inclinò la testa invitandola a
continuare e i ricci le molleggiarono pesantemente sulle guance.
«E’ sempre il solito iperprotettivo,
perciò
abbiamo fatto un patto: io seguo ciecamente i suoi consigli e lui deve
lasciarsi andare e divertirsi come un normale diciassettenne»
concluse affondando
la forchetta sull’ultima patatina giacente nel suo piatto e
strappando un
pezzettino di pane che portò alla bocca.
«Interessante Stefan, spero che seguirai il
consiglio di Care! Dopotutto un tempo
eri molto più spensierato» Katherine
sorseggiò quell’ottimo vino dall’aroma
dolce e il contenuto del bicchiere in vetro venne ben presto dimezzato.
Uno strano silenzio adesso li sovrastava, smorzato
solo dal lento masticare della bionda e dal lontano ticchettio
dell’orologio.
La presenza di quella vampira rendeva più difficile il
rapporto di entrambi i
fratelli con la povera Caroline non a conoscenza di quel passato che le
avevano
perentoriamente tenuto nascosto e che adesso scottava come non mai tra
le sue
mani di porcellana.
«A proposito, c’è una fiera qui a Mystic
Falls con
tanto di ruota panoramica. Un ottimo modo per divertirsi»
annunciò Kate con
finto entusiasmo, ma che risultò abbastanza convincente da
far luccicare gli
occhi di Caroline dalla gioia.
«E’ un’idea fantastica! Dovremmo andarci
questa
sera.» Sentenziò la bionda facendo oscillare i
boccoli dorati e scrutando i
visi dei Salvatore.
«E non accetto lamentele!» la vampira
anticipò
prontamente Stefan, additandolo, il quale voleva esporre per
l’ennesima volta i
rischi che avrebbe corso, ma non ne ebbe l’occasione.
Si limitò ad abbassare lo sguardo senza comunque
smettere di riservarle alcune occhiate in tralice: era così
bello vederla
finalmente in viso senza aver paura di scorgere qualche guizzo di
insana pazzia
o ritrovarsi davanti lo spettro del suo passato; un lungo brivido
percorse la
solida colonna vertebrale di Stefan al ricordo del viso scarno e privo
di luce
della sua piccola Care, solcato da livide occhiaie e terrorizzato
all’idea di
rimanere sola.
Un battito di mani riportò alla realtà il giovane
Salvatore che guardò curioso la vampira dai capelli bruni il
cui sguardo si era
illuminato di fanciullesco entusiasmo.
«Lo sapete: io adoro le feste»
Damon trattenne un grugnito mentre i suoi occhi si
incastravano in quelli di Katherine. Dopotutto c’era
un’insolita verità nelle
parole appena pronunciate che avevano irritato il vampiro dagli occhi
azzurri.
Dopotutto quello sarebbe stato l’inizio della sua
festa.
Caroline rivolse uno sguardo
inorridito alla sua
immagine riflessa e un’impercettibile ruga
increspò la sua fronte liscia.
«Perché devo indossare questi ridicoli
vestiti!»
piagnucolò mostrando a Kate il ridicolo cappello a visiera
dentro cui aveva
dovuto raccogliere i suoi capelli.
«Dolcezza, sei morta da almeno sei mesi e alla
fiera ci sarà tutta la città!»
Katherine si posizionò meglio sul letto della
bionda e accavallò le gambe fasciate da jeans attillati che
dal ginocchio in
giù erano ricoperti da stivali in pelle.
La vampira sbuffò sonoramente e tirò su la zip
della felpa grigia di Stefan il quale si era offerto
di fungere da suo accompagnatore per il resto della serata,
offerta che aveva mandato a monte l’idea di un giro sulla
ruota panoramica con
il fratello più grande.
Le dita di Caroline giocherellarono un po’ con uno
dei due laccetti del cappuccio e si morse un labbro assottigliando gli
occhi e
spiando la mora dal riflesso dello specchio.
Un dubbio continuava ad addensarsi nella mente di
Caroline, ma ogni qualvolta sembrava essere vicina alla soluzione
questa
irreparabilmente le sfuggiva e la nebbia continuava a farsi sempre
più fitta
attorno ad essa. Cosa aveva a che fare lei
con i fratelli Salvatore?
Caroline schiuse le labbra lucide per dare sfogo
alla sua forse morbosa curiosità.
«Conosci da tanto tempo i fratelli Salvatore?»
Katherine alzò lo sguardo e gli occhi color
nocciola si posarono sulla magra figura della vampira.
Accennò un sorriso
divertito.
«Abbastanza» Si alzò dal letto e si
avvicinò
cautamente alla bionda che osservava il tutto attraverso lo specchio.
«E come vi siete conosciuti?» chiese Caroline
cercando di controllare il tremito della voce mentre fermava il
cappello alla
testa con un’altra forcina.
Entrambe si osservavano riflesse nello specchio.
«Vivevamo tutti e tre
sotto lo stesso tetto»
Le parole di Katherine sembrarono rimbalzare sulla
superficie liscia dello specchio così da far tremare la
figura pallida della
vampira bionda quando quest’ultima si accorse che era proprio
lei a tremare
impercettibilmente.
Spinse di più la visiera contro la sua fronte e
distolse lo sguardo dallo specchio sentendosi trapanare la schiena da
quegli
occhi color nocciola.
In lei radicò l’idea di poter essere una sorta di rimpiazzo.
In effetti, pensandoci meglio, lo era già.
«Ho
vinto! Qual è il mio premio?»
Katherine esultò eseguendo una piroetta su se
stessa e muovendo il bacino fasciato dall’aderente maglietta
nera. I riccioli
svolazzavano leggeri e letali come tentacoli.
«Purtroppo per te non sono più il tuo
orsacchiotto»
abbaiò Damon alzando gli occhi al cielo e incrociando le
braccia sopra la
giacca di pelle nera.
«Un tempo lo
eri» si imbronciò la vampira guardandolo
con i grandi occhi nocciola che
sfavillavano sotto la luce fluorescente dei vari stand e delle giostre
che si
snodavano su tutto quel piazzale.
«A che gioco stai giocando, Kate?»
Era la terza volta da quando si erano trovati da
soli che Damon chiedeva alla vampira quale fossero le sue vere
intenzioni. Per
sua fortuna sia Stefan che Caroline si erano misteriosamente
persi tra la folla dandogli così
l’opportunità di parlare
faccia a faccia con la manipolatrice
– perché era questo che era. La conseguenza era
che aveva ottenuto ben pochi
risultati.
Katherine allungò il braccio per affondare le dita
nella consistenza morbida e soffice dello zucchero filato tenuto in
mano da un
bambino un po’ troppo distratto.
Ne strappò una soffice nuvola e la fece
volteggiare davanti agli occhi azzurri del vampiro con aria divertita.
«Sto solo aiutando la piccola Care» si difese
prontamente, dividendo lo zucchero filato in due per poi porgerlo a un
Damon
non in vena di divertimento.
«Già e vuoi anche estinguere la fame nel mondo,
non si diventa santi in soli centoquarantacinque anni!»
La fronte di Katherine si increspò e alzò un
sopracciglio palesemente irritata dall’ostinazione del
Salvatore.
Schiuse le labbra e la lingua della vampira
assaporò la soffice nuvola di zucchero che si sciolse.
«E’ vero così come è vero che
tu mi ami ancora» ribatté
felina la vampira che avvicinò l’altra soffice
nuvola di zucchero alla bocca di
Damon il quale si scostò bruscamente afferrandole i polsi e
inchiodandola con
lo sguardo.
«Questo afferma la mia teoria, che sei una
bugiarda!» le ringhiò contro sospingendola verso
il retro buio degli stand.
«Quanto tempo ancora vorrai negare
l’evidenza?» Katherine
gli accarezzò il profilo della mascella contratta mantenendo
perfettamente il
controllo di se stessa.
Uno scintillio affiorò negli occhi profondi della
vampira la quale inclinò il capo arricciando le labbra e
socchiudendo gli
occhi, conscia della prossima mossa del vampiro che imponente la
sovrastava.
Damon le strappò dalle mani il batuffolo di
zucchero filato e lo fece scontrare prepotentemente contro le sue
labbra
serrate, affondandolo fino in mezzo alla perfetta dentatura perlata
della
vampira sbigottita.
«Buon proseguimento di serata, Katherine»
La risata
secca di Stefan risuonò per tutta la
foresta accompagnata da quella argentina della vampira in sua compagnia.
«Non ci posso credere! Sai,
sei…divertente»
confessò Caroline sfregando le mani bianche sulla felpa
grigia per poi affondarle
nell’apposita tasca anteriore posta all’altezza
della pancia.
«Grazie per quel tono di sorpresa»
osservò Stefan alzando
un sopracciglio facendo piegare nuovamente le labbra di Care in un
adorabile
sorriso.
Si erano allontanati dalle luci e dalle musiche
della fiera per provare a cacciare qualche animale ma
l’ilarità e la
spensieratezza non li avevano ancora abbandonati. Eppure Stefan sapeva
bene che
non era prudente passeggiare sotto quelle fronde degli alberi, le
stesse che
undici anni prima avevano riparato dalla pioggia scrosciante lui e una
bambina.
Non era tranquillo Stefan, non era
affatto tranquillo.
«Cioè intendevo dire che pensavo fossi un vampiro
serio e distaccato e che per qualche strano motivo tu avessi paura»
Gli occhi color giada si colmarono di tristezza
pronunciando quelle ultime parole mentre quelli del Salvatore si
accesero di
sorpresa.
Stefan schioccò la lingua e scosse la testa
confuso.
«Paura di cosa?» chiese avanzando a passi lenti
verso la vampira i cui occhi si stavano leggermente arrossando.
«Di me» gracchiò Caroline mantenendo un
lieve
sorriso di imbarazzo, come se quello fosse la confessione di un reato,
quando
invece era l’unica paura che l’aveva accompagnata
da quando era stata
trasformata in vampira: la paura di essere un mostro.
«Non potrei mai avere paura di te, Care, e mi
dispiace che tu abbia, anche per un singolo istante, pensato
che..» Stefan non
riuscì più a proseguire notando che gli argini
dei suoi occhi avevano ceduto e
che adesso sottili gocce rigavano il viso di Caroline ancora illuminato
dal
sorriso rassicurante che aveva imparato da tempo a inscenare.
Il vampiro allargò timoroso le braccia invitando
la bionda a sfogarsi, ma non appena la strinse tra le sue braccia un
forte
odore di sangue umano giunse alle
narici di entrambi.
Caroline si liberò rapidamente dalla stretta e si
addossò contro un albero, con le spalle ben aderenti alla
corteccia, a parecchi
metri di distanza.
«Che cos’è questo odore?»
gridò asciugandosi le
ultime lacrime con il dorso della mano e sentendo aumentare il magone
attorno
alla gola.
«Caroline, corri il più lontano
possibile»
sussurrò Stefan nell’animo del quale una nota
paura si faceva presente scuotendolo
e facendogli rivivere l’orrore della prima volta che
l’aveva incontrata dopo
tanto tempo.
Il volto di Caroline appariva sfigurato in una
smorfia folle in viso, con le labbra sottili tirate
all’inverosimile e le
pupille degli occhi dilatate e iniettate di sangue. La lingua smussava
i canini
rigonfi e pronti ad attaccare.
«Sangue»
fu l’ultima parola che udì il vampiro prima di
vedere Care smaterializzarsi
correndo verso il luogo da cui proveniva l’invitante odore di
sangue umano.
Stefan si lanciò subito all’inseguimento di
Caroline scostando i rami e sentendo a malapena lo scricchiolare del
fogliame
secco sotto il suo passo svelto.
Seguì la scia del sangue e si ritrovò a pochi
metri dalla fiera.
Davanti a lui Caroline osservava bramosa il rivolo
di sangue che colava violento dalla narice destra e da un taglio
profondo sulla
testa di un ragazzo.
Un conato di vomito fece strizzare gli occhi di
Caroline la quale tentò di aggrapparsi all’albero
sotto il quale giaceva il
giovane privo di sensi, apparentemente ubriaco**.
Il forte odore di alcol misto al sangue stordì
Caroline la quale teneva gli occhi scarlatti fissi sulla ferita e sulla
sua
mano imbrattata di rosso.
«Caroline, mantieni il controllo» le
urlò il
Salvatore il cui consiglio non venne ascoltato dalla bionda che
sembrava essere
assorta nei suoi pensieri.
Le viscere andavano contorcendosi e ogni fibra del
suo essere sembrava voler sfuggire a quel rivoltante spettacolo ma
qualcosa in
lei, la sua nuova natura, la
obbligava a cibarsi di quel siero così caldo e pulsante.
«Matt» le sfuggì in un sibilo
accarezzando
teneramente le ispide ciocche biondastre.
Le labbra sembrarono schiudersi contro la propria
volontà e i canini affilati si avvicinarono al collo del
ragazzo inerme.
Mantieni
il
controllo.
Caroline espirò per un’ultima volta.
Era
tutto sotto
controllo.
***
* Penso sia chiaro il
riferimento al flashback del capitolo 3.Ospite in cui Stefan chiede
alla
piccola Care che cosa pensa lui fosse e lei ingenuamente risponde con il lupo cattivo. Damon non è
al corrente
di questo piccolo dettaglio e risponde in quel modo semplicemente per
far
allontanare Caroline dalla cantina non sapendo che invece questo ha le
ha fatto
ricordare un altro frammento del suo passato.
** Il ragazzo (di cui
non faccio il nome perché può darsi che state
leggendo la nota prima di
continuare con la storia) dopo la morte di Caroline si è
abbandonato all’alcol,
sentendosi solo e abbandonato. Questo lo porta ad essere molto spesso
vittima
di ragazzacci che cercano di derubarlo, ferendolo. La sera della fiera
è stato
circondato da un gruppo di balordi e picchiato a sangue. Di questo ne
parlerò
in uno dei prossimi capitoli.
Credo
di essere pienamente soddisfatta di questo capitolo e lo dico io
che continuo a rodermi il fegato perché i capitoli che
scrivo sembrano sempre
così sciocchi e banali. Questo invece mi ha dato piene
soddisfazioni non solo
per come è strutturato ma anche per i momenti che ho
descritto. Partendo dal
principio…Si rientra al presente con un flashback di undici
anni prima dove
sembra evidente Caroline ha finalmente capito che l’amico
Stefan e il mostro
sono un’unica persona ma non è spaventata da
questa scoperta, ma una parte del
suo animo altruista vuole aiutarlo. Nel presente invece avevamo
lasciato una
Care palesemente sbigottita nello scoprire una cantina in casa
Salvatore e qui
vediamo il suo tentativo nell’impresa che, ahimè,
viene sabotato da mister
occhi azzurri il quale tenta da solo di tenere la situazione sotto
controllo ma
non è come lui spera. A tavola poi le cose degenerano con
Katherine che, pezzo
dopo pezzo, improvvisa costruendo il suo piano nei minimi dettagli.
Caroline
viene a scoprire della precedente inquilina dei fratelli Salvatore e
questo non
può che farle insorgere numerose domande sul
perché Kate l’ha mandata lì e se
potrà mai reggere al confronto con la bella vampira bruna.
Alla fiera se da una
parte Damon cerca in tutti i modi di sbrigarsela da solo e far
confessare
Katherine senza però cadere vittima del suo fascino,
dall’altra Stefan e
Caroline aprono i loro cuori e si avvicinano sempre di più
visto che da sempre
c’è stato questa barriera trasparente che li
ostacolava; ma la foresta non è un
luogo sicuro e questo Stefan se lo sentiva! Infatti un forte odore di
sangue
sblocca Caroline e la sua nuova natura prende il sopravvento su
tutto!Avrà
morso Matt o non l’avrà morso? E Damon
continuerà a lavorare per conto proprio?
Che risvolti avranno le informazioni rivelate da Kate? E la cantina
rimarrà
chiusa ancora per molto?
Ringrazio vivamente coloro che continuano a seguirmi per questa storia
nata quasi per gioco!
Un bacio di cuore a tutti ♥
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** 8.Frammenti ***
ATTENZIONE: In questa storia verranno
sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale,
stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono
riportati in una realtà un po’ diversa di The
Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena,
Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale
8.
Frammenti
L’odore energico del
caffè fumante non fu
sufficiente per svegliare il minore dei Salvatore avvolto nella
più completa
oscurità della sua stanza – visto che ancora non
era sorto il sole!
«Stefan! Stef!» sussurrò Damon posando
la solita
tazza verde bottiglia sul comodino in mogano e cercando
l’interruttore della abajoure.
«Fratellino?»
ripeté cantilenando con un tono di voce più alto,
cercando di apparire più
gentile di quanto mai fosse stato in vita sua, ma la risposta che
ricevette fu
un altro nasale rumore di uno
Stefan la
cui testa era affondata nel morbido guanciale color cenere –
e non aveva alcuna
voglia di svegliarsi.
Il vampiro dagli occhi azzurri sospirò, cercando
di non perdere la pazienza e borbottando parole incomprensibili, e si
sedette
sulla cassapanca posta davanti al letto del fratello.
Portò la mano chiusa a pugno a pochi centimetri
dalle labbra e tossicchiò così da schiarirsi la
voce. Inspirò piano e trattenne
il fiato mentre un sorriso beffardo incominciava ad affiorargli in viso.
«Aiuto! Caroline è scappata, ha scoperto
tutto!»
Questa evidente
bugia pronunciata da Damon, il quale aveva portato le mani ai capelli e
aveva
assunto un tono di voce abbastanza stridulo e fintamente allarmato, era
stata
la causa del cattivo risveglio di
Stefan Salvatore.
Il vampiro infatti aveva smesso di russare
placidamente e si era staccato violentemente dal cuscino serrando gli
occhi per
la forte luce artificiale proveniente dalla lampadina.
Mugugnò qualcosa che Damon intuì essere il nome
della vampira bionda per poi portarsi il braccio sopra gli occhi ancora
socchiusi e desiderosi di sonno.
Non era di
certo un bello spettacolo al mattino.
«Cos’è successo a Caroline?»
biascicò mentre si
massaggiava le meningi con un movimento circolare, tentando di
raddrizzarsi e
arrotolando le coperte e il lenzuolo che si riversarono malamente sul
pavimento.
Il vampiro dagli occhi azzurri, che lo guardava
con aria divertita, alzò un sopracciglio e portò
il palmo aperto della mano
contro il torace nudo del fratello per impedirgli di alzarsi.
«Frena Zorro,
la bimba dorme nella stanza accanto»
Stefan, i cui occhi non si erano ancora abituati
al chiarore della stanza, rivolse uno sguardo sollevato al lampadario
della sua
stanza e si passò una mano sul viso pallido e non del tutto
sveglio, per poi
guardare torvamente il vampiro che di tutta risposta gli
offrì la tazza di caffè
fumante con un sorriso convincente.
L’ultima volta che Damon gli aveva portato
il caffè di mattina – se mai
buttarglielo addosso indicasse l’azione del portare
– aveva appena ucciso
accidentalmente il presidente degli Stati Uniti. Cos’altro
poteva aver
combinato adesso?
«Ma che ore sono? Saranno le cinque» proruppe
Stefan spostando lo sguardo oltre le persiane della sua camera.
«Sono le cinque e trentotto minuti per
l’esattezza»
precisò Damon sorseggiando il caffè per poi
passarsi la lingua sulle labbra rosee
per cancellare eventuali residui.
Le palpebre gli si chiusero e Stefan ricadde
pesantemente sul materasso per poi premere il morbido cuscino sulla
propria
faccia.
Non aveva alcuna voglia di sentire un’altra delle
sue malefatte, specialmente non dopo la notte precedente.
«Devo parlarti del nuovo problema Caroline e di un
problema di lunga data: Katherine»
Stefan sospirò da sotto il cuscino e pregò di
riaddormentarsi.
La paura e l’immagine sfigurata di Care si
rifecero nitide nella sua mente così come il sangue impresso
nella sua felpa
grigia e sulle mani diafane di lei.
Stefan
sto bene aveva
detto mentre inspirava ed espirava più volte, serrando le
palpebre e i pugni e
controllando i tremiti che le pervadevano il corpo.
Ce
la posso fare.
Erano
state queste le parole che aveva pronunciato mentre i canini si
rimpicciolivano e lei si accasciava tra il fogliame umido, perdendo i
sensi
mentre cercava di raggiungere la mano del ragazzo.
Io
non sono un
mostro.
Damon scoccò la
lingua non prima di averci
ragionato un po’ su.
«Katherine le vuole far ricordare quello che tu le
hai fatto»
Il vampiro sollevò il guanciale così da poter
osservare il fratello le cui labbra erano ancora attaccate alla tazza e
assaporavano l’aroma della caffeina.
«E a che scopo?»
Damon alzò le sopracciglia contrariato e allargò
le mani in segno di esasperazione facendo vorticare il caffè
all’interno della
tazza – sperando veramente che macchiasse accidentalmente il
fratello.
«E’ Katherine. Adora far soffrire le persone e
questa volta vuole utilizzare Caroline! Cosa ti stupisce?»
«E il problema Caroline?»
Damon si rifugiò nella sua tazza e ingurgitò
l’ultimo sorso di caffè amaro prima di dare
delucidazioni al fratello per cui
l’attesa era snervante.
Lisciò le pieghe del lenzuolo prima di alzare i
suoi occhi azzurri.
«E’ curiosa»
decretò il vampiro non trovando altro termine appropriato.
Stefan alzò un sopracciglio corrugando la fronte e
spostando il cuscino sul petto.
«L’ho trovata a curiosare tra le scale che
conducono alla cantina»
A quelle parole il minore dei Salvatore si
irrigidì, serrando la mascella e rivolgendo uno sguardo
carico di terrore a
Damon.
«Quando l’ho vista sembrava essere molto agitata,
quasi in uno dei suoi soliti stati di crisi. Non ha idea di cosa ci
possa
essere in cantina, quindi non farti venire altre rughe,
fratello».
Damon gli diede una pacca sulla spalla e depositò
tra le mani di Stefan la tazza verde ancora abbastanza calda prima di
sgusciare
via dalla stanza.
Forse avrebbe dovuto essere stato più prudente da
quando la piccola Care aveva varcato per la seconda volta la soglia
della
pensione, pensione le cui mura trasudavano ancora l’orrore
che i suoi occhi
erano stati costretti ad avvertire, i cui pavimenti raccoglievano
ancora le
lacrime e le urla stridule che riecheggiavano come echi nella mente
dismessa
della neovampira.
Quella doveva essere la sua seconda possibilità e
non la sua seconda morte.
Questi pensieri continuavano a imperversare nella
mente di Stefan il quale era rimasto con le spalle nude ricurve e le
gambe a
penzoloni che sfioravano il pavimento.
Prese la tazza e la portò alle labbra ma ciò che
incontrò non fu il caldo aroma del caffè ma il
denso sapore dello zucchero
depositatosi sul fondo e che gli si appiccicò sulle labbra.
Il vampiro aggrottò le sopracciglia e inclinò il
bicchiere osservandone i residui sul fondo e sospirò
tristemente.
Scosse la testa amareggiato e tese l’orecchio in
ascolto dei movimenti degli inquilini di casa Salvatore:
fuorché i passi
felpati di Damon, la pensione era tutto un silenzio smorzato solo dai
respiri
profondi delle due vampire dormienti.
Stefan guardò, oltre le piccole fessure delle
persiane, il cielo che cominciava a schiarirsi e il celeste lasciava il
posto
ad un rosato tenue.
Sbuffò maledicendo il fratello per averlo
svegliato così presto e rigirandosi la tazza fra le mani si
decise ad alzarsi e
ad abbandonare i propri pensieri.
Caroline
ingurgitò un’altra cucchiaiata di
cornflakes tenendo lo sguardo basso e osservando minuziosamente i
cereali che
galleggiavano all’interno della sua ciotola giallo limone.
«Grazie per avermi portato la colazione a letto, è
stato un pensiero gentile»
Stefan aggiunse un’altra ruga sulla sua fronte
marmorea.
La notte non era stata delle più quiete per
Caroline: immagini sopra immagini continuavano a vorticarle in testa,
colori
quasi tutti tendenti al rosso macchiavano i volti delle persone
sconosciute che
le si presentavano in sogno, frasi senza senso, ricordi
di un’altra vita iniziavano a riemergere
dall’abisso in cui
erano stati seppelliti.
Questo fiume impetuoso l’aveva travolta,
tramortendo la vampira così che adesso i suoi occhi
brillavano di una luce un
po’ più intensa, confusa ma pur sempre consapevole
che la sua mente aveva
partorito un qualcosa rimasto in gestazione troppo a lungo.
La bionda piegò le labbra e ripose la ciotola nel
vassoio sopra le sue ginocchia avvolte da una trapunta rosa pesco e con un gesto inconsueto tese
il vassoio in
direzione di Stefan.
Il vampiro accorse in aiuto di Caroline e, seppur
turbato, avvolse le dita su quelle sottili della bionda per afferrare
il
vassoio dagli appositi manici e porlo nel comodino lì vicino.
«C’è qualcosa che ti turba,
Care?» chiese Stefan
timoroso vedendo la vampira scostare veloce il lenzuolo per poi
dirigersi verso
il bagno nel suo solito pigiama azzurrino.
Caroline arrestò i piedi nudi poco prima di
varcare la soglia del bagno e si scostò le ciocche arruffate
davanti agli occhi
color giada.
Appoggiò la mano sullo stipite della porta e volse
uno sguardo in tralice al vampiro che attendeva una risposta rigido in
volto.
Stefan con un certo cipiglio provò ad invitarla a
parlare.
«Sai che puoi fidarti di me»
La bionda impallidì leggermente mordicchiandosi il
labbro.
Si voltò sospirando e affondando le dita sottili
nei suoi capelli dorati portandoli all’indietro e legandoli
con l’elastico che
aveva al polso in una sorta di chignon.
Molleggiò piano sulle ginocchia con le braccia
incrociate al petto fino a raggiungere il letto disfatto.
Incrociò le caviglie e dopo l’ennesimo sospiro si
decise ad alleviare la snervante attesa del vampiro.
«Conosci da tanto tempo Katherine?»
Quella domanda spiazzò Stefan il quale sgranò gli
occhi di fronte alla vampira e schioccò più volte
la lingua non trovando una
risposta adeguata.
Venne anticipato da un’altra domanda dettata forse
da morbosa curiosità.
«E’ vero che un tempo vivevate tutti e tre insieme
come adesso viviamo noi?»
Caroline non riusciva più a trattenere questi
dubbi che le infuriavano in testa. Sembrava trattenesse il respiro e
gli occhi
vigili scrutavano ogni singola reazione del vampiro seduto accanto a
lei.
Stefan si drizzò, avvolse la mano sull’altra
serrata a pugno e vi pose il mento come in contemplazione di qualcosa.
Gli
tornarono alla mente le parole del fratello e della strana influenza
che
Katherine stava avendo sulla piccola Care, ignara del loro losco
passato.
«Si, è vero» dichiarò e
poté vedere la luce negli
occhi di lei affievolirsi fino a scomparire.
Caroline sentì il sangue gelarsi nelle vene e il
cuore se fosse stata ancora viva avrebbe perso un battito. La
consapevolezza di
quella situazione le si rinfacciò nuovamente e sentii un
brivido scenderle
lungo tutta la schiena simile alla paura sviscerante che provava quando
le
sottili mani della vampira dai riccioli lucidi le sfioravano la pelle.
Stefan notò questo repentino cambio cambiò
d’umore
e temendo una possibile crisi si accinse a proseguire oltre.
«Come sai Damon ed io siamo vampiri dal 1864.
Prima della nostra trasformazione nostro padre ospitò una
ragazza che era
rimasta orfana dopo un incendio»
«Katherine» proruppe piano la bionda i cui occhi
rimanevano fissi sulle righe dei pantaloncini del pigiama.
«Già. Katherine visse sotto il nostro stesso tetto
per un po’ proprio come viviamo attualmente noi tre. Ma le
cose si sono
complicate per via di Damon» e qui il Salvatore si
bloccò rimuginando se
continuare il suo racconto con i dovuti dettagli o se ometterli e non
turbare
ancora di più l’animo innocente della bionda.
«Cosa intendi per complicate?»
«Damon si era innamorato perdutamente di Katherine.
E ammetto che anche io sono stato ammaliato da lei. Katherine ci amava
entrambi
o almeno così lei si ostinava a dire. Ciò che non
sapevamo di lei era che era
un vampiro»
Gli occhi di Caroline si ingigantirono a quelle
parole proprio come quelli di una bambina presa dal racconto della
madre.
«Katherine ci trasformò entrambi per poter vivere
per sempre insieme, ma le cose non andarono per il verso giusto e le
nostre
strade si divisero.”
Concluse Stefan alzando le spalle come a non dare
peso a ciò che per molto tempo era stato il rammarico della
sua intera esistenza
– non mai quanto il fratello.
Sapeva bene che Katherine aveva un animo malvagio,
vile e manipolatore ma al contempo non poteva disilludere Caroline nei
riguardi
della sua amica.
Caroline si
morse un labbro e lisciò le pieghe del cuscino che ancora
presentava la forma
della sua testa.
«E’ una storia così triste,
non immaginavo una cosa simile» rispose sinceramente la
bionda con una leggera ruga che solcava la fronte diafana.
Le labbra le si piegarono in un sorriso disarmante
e gli occhi ritornarono a brillare.
«Sono contenta che tu mi abbia raccontato questa
storia»
Stefan sorrise a malapena sollevato dal fatto che
Caroline continuasse a restare ignara di tutte le bugie che si stavano
accumulando.
La bionda allargò timidamente le braccia
slanciandosi verso il vampiro per trovare conforto in un abbraccio. Il
Salvatore seppur turbato non rifiutò il gesto
d’affetto e anche se un po’
goffamente cinse le spalle della giovane vampira ritrovandosi ancora
una volta
sotto il mento i finissimi fili dorati che una volta erano stati sul
capo di un
bambina dall’aria spaurita e terrorizzata.
Caroline si liberò dall’abbraccio e leggera come
una libellula raggiunse nuovamente la porta del bagno spostando il peso
da una
caviglia sottile all’altra.
Si morse il labbro e si accigliò leggermente prima
di far imperlare nuovamente la fronte del Salvatore di sudore freddo.
«Sai Stefan, ti ho sognato questa notte»
Il vampiro serrò la mascella attendendo il resto
del racconto.
«Ci trovavamo nel bosco in cui eravamo ieri sera,
solo che tu eri-» la fronte della bionda si
corrugò a tal punto da unire le due
sopracciglia in un’unica sottile linea.
«- me.
Sembravi essere in preda ad una crisi e avevi il viso sporco di
sangue»
Caroline si fermò sfiorando il pomello lucido
della porta e rallegrandosi tutt’a un tratto.
«Ma è assolutamente
impossibile che questo incubo diventi realtà»
ribatté secca la vampira con una
punta di presunzione scuotendo il capo e sciogliendo il largo chignon
sulla
nuca.
Stefan alzò un sopracciglio in modo interrogativo
tentando di nascondere l’evidente terrore che sfumava nei
suoi occhi
verdognoli.
«Nel sogno tu volevi mordermi,
volevi farmi del male. Non conosco molto di te ma se
c’è
una cosa di cui sono sicura è che non mi faresti mai del
male»
Caroline piegò le labbra in un sorriso e le si
crearono due deliziose fossette all’altezza delle guance
rosee.
La porta del bagno si chiuse con uno scatto e Stefan
affondò il volto pallido più di uno spettro tra
le mani.
«Quindi tu stai tentando di dirmi che Caroline
sta
riacquistando precocemente la memoria, sa del nostro manage-a-trois con
la
vampira stronza e che si fida ciecamente del vampiro che le
rovinò la vita
undici anni fa. Le hai detto anche che Babbo Natale non esiste o
aspetti domani?”
Damon si accigliò alzando gli occhi al soffitto e
svuotando d’un fiato il bicchiere una volta colmo di ottimo
Bourbon.
«Era da un po’ che non bevevi»
evidenziò il minore
dei Salvatore seduto comodamente sulla poltrona in pelle di fronte al
fratello.
«Non tentare di cambiare discorso!»
Damon sapeva bene che prima o poi quel giorno
sarebbe arrivato e c’era stato pure un periodo in cui aveva
atteso con
impazienza il momento in cui lo sguardo della dolce vampira si fosse
ritorto
contro quello tremante del fratello: al solo pensiero di far soffrire
il minore
dei Salvatore un risolino astuto gli compariva in viso.
Eppure Damon sapeva anche che ne avrebbe sofferto,
non come aveva fatto in passato con Katherine, ma le sarebbe mancata
quella sua
buffa e irritante risata e il
prepararle la colazione la mattina, il ritrovarsela fra i piedi la sera
prima
di andare a letto e i suoi continui sbalzi d’umore.
Perché non c’era verso che Damon Salvatore potesse
amare qualcuno, ma forse il tempo l’aveva reso una persona amabile – se si poteva definire
tale.
«Cosa intendi fare ora, Einstein?»
abbaiò il maggiore dei Salvatore con aria annoiata
incrociando le caviglie e poggiando l’intero capo sulla mano
stretta a pugno.
Stefan sbuffò facendo ricadere il capo sullo
schienale della poltrona e alzò le sopracciglia scrollandosi
le spalle
nervosamente.
Damon si drizzò inarcando un sopracciglio.
«Stai scherzando spero» lo supplicò ma
il vampiro
di fronte a lui compì nuovamente il gesto che non lasciava
altro intendere se
non che non aveva un piano pronto per l’uso.
«Alla salute, allora»
Il gorgoglio del bicchiere che veniva riempito
fino all’orlo da Damon si sovrappose al grugnito esasperato
di Stefan.
Il vampiro dagli occhi azzurri avvitò il tappo
della vecchia bottiglia in vetro, ma una volta portato alle labbra il
liquore
non riuscì a berlo.
«Giorno di ferie oggi?»
Caroline stava sulla soglia del salone tenendo
malamente posta sopra un ginocchio una cesta di vimini da cui
traboccavano
jeans, t-shirt e camicie che non aspettavano altro che di essere lavate.
«Giorno di bucato oggi?» constatò Damon
indirizzando lo sguardo su un foulard color ciclamino, che era
scivolato
proprio sotto i piedi di Caroline, da cui si poteva notare la grossa
macchia di
caffè.
La risata della bionda riecheggiò e per un attimo
venne anche accompagnata da Damon il quale successivamente si
sentì trapanare
dallo sguardo affilato di Stefan.
«Sai che odio questo tipo di cose»
farfugliò
mentre con un abile gesto riprendeva il foulard da terra.
«Carina la tua camicia rossa, ti fa sembrare sexy»
Il vampiro trangugiò l’alcol contenuto nel
bicchiere e dimostrò un’occhiata soddisfatta alla
bionda che si aprì in un
sorriso.
«Ehi la faccia
è qui» puntualizzò e, tramite il
sottile dito indice, indicò il visino roseo e
rimarcato dal trucco.
Afferrò la cesta dai entrambi i manici e si avviò
verso la lavanderia facendo oscillare i soffici boccoli dorati.
Il sorriso sereno che aveva caratterizzato poco
prima il viso di Damon lasciò posto ad una sorta di cipiglio
abbandonato prima
dell’arrivo di Care.
«Strano» sillabò lisciandosi il mento
perfettamente rasato.
Stefan rivolse uno sguardo incerto al soffitto.
«Cosa, che tu non te la sia già portata a
letto?»
Damon inclinò la testa in direzione del fratello
incenerendolo con lo sguardo.
«Usare gli occhi per te è un optional,
vero?»
Il minore dei Salvatore fece schioccare la lingua.
«Giusto, dovevo ammirare anche io il fondoschiena
di Care» rispose di rimando incrociando le braccia al petto
come avrebbe fatto
un padre geloso delle attenzioni ricevute dalla propria figlia.
Damon sorrise in modo compassionevole al fratello,
intelletto del quale non riusciva a comprendere cosa il vampiro stesse
tentando
di spiegargli.
«Sei mai stato nella stanza di Caroline?» chiese e
la domanda spiazzò Stefan il quale si decise a prestare
maggior attenzione al
vampiro dagli occhi azzurri.
«Le pareti sono bianche, i mobili sono di un
chiaro color noce, per la stanza non c’è neanche
un singolo oggetto che si
possa avvicinare a colorazioni tendenti al rosso o giù di
lì»
Stefan inghiottì un grumo di saliva: ora iniziava
a capire.
«Caroline non ha mai sopportato il sangue e il
vedere qualsiasi cosa che si possa avvicinare a quel colore la
terrorizza o
almeno la terrorizzava»
Il rumore di un campanello di una bici riempì il
silenzio venutosi a creare dalla dovuta pausa di Damon.
«A cosa pensi sia dovuto?»
Stefan raddrizzò le spalle e inarcò un
sopracciglio in attesa della risposta del fratello.
Damon assottigliò le labbra e il tormento si fece
largo tra le sue iridi azzurre.
«Non lo so, ma giuro che lo scopriremo»
Una voce tintinnò dall’ultimo gradino della scala.
«Cosa scoprirete?»
Katherine fece il suo ingresso, molleggiando nella
suo maglioncino scarlatto come il sangue.
La vampira aprì l’oblò
della lavatrice e un dolce
odore di lavanda e di pulito riempì le sue narici, prima che
la rabbia
cominciasse a ribollirle in testa per il danno appena compiuto.
Aggrottò la fronte artigliando le due magliette i
cui colori, rispettivamente azzurro e rosa, si erano miscelati a dovere
ottenendo così una lieve colorazione lilla con sprazzi di
rosa e fili di
azzurro.
Rigettò il tutto nel cesto e si sedette sul freddo
pavimento con un certo cipiglio che traspariva dai suoi occhi ridotti a
due
fessure.
Che Caroline non fosse una perfetta donna di casa,
questo era più che risaputo: bruciava i toast, a volte
piegava le magliette al
contrario, rovinava il bucato.
Ma quel giorno aveva bisogno di tenere la mente
occupata, di spegnere le luci come le avevano insegnato più
volte i fratelli
Salvatore e di abbandonarsi semplicemente ad esistere.
Immerse le mani nella consistenza fredda del
groviglio di vestiti ancora bagnati e ne estrasse un fagotto grigio. Lo
disfò
potendo così sventolare la felpa grigia di Stefan, rigata da
finissime pieghe
che lungo tutto il tessuto si diffondevano come un reticolato
immaginario.
Caroline puntò lo sguardo sul bordo del colletto e
si dovette appoggiare al bordo della lavatrice per placare il tremore
che lento
era sopraggiunto.
La grossa e vivida macchia incrostata del sangue
di Matt era completamente sparita eppure Caroline sapeva che le fibre
del tessuto
erano ancora impregnate di quel liquido, che ancora emanavano
l’odore del
sangue rappreso.
Espirò piano e riuscì a trattenere il sangue che
veloce stava affluendo agli occhi e alle gengive già gonfie.
Le era bastato pensare al sangue che il suo corpo
si era azionato, come una macchina assassina pronta a nutrirsi ad ogni
suo
comando. Nessun senso di nausea, niente chiazze rossastre comparire
agli angoli
delle pareti.
Forse
sto davvero
guarendo, forse ci sto davvero riuscendo pensava mentre si
apriva in un timido sorriso e i dolci boccoli le ricaddero sulle spalle
mentre
si piegava per raccogliere il resto del bucato.
Alzò un sopracciglio non appena le sue mani
incontrarono il fine pizzo di una delle tante lingerie di Katherine. La
leggerissima e fresca veste nera appariva come una sorta di ragnatela e
il
pizzo trasparente ricordava l’animo indomabile della vampira
dai riccioli
lucidi.
Il ricordo arrivò prepotente come non mai.
Damon
si era
innamorato perdutamente di Katherine.
«Tutto bene?»
Caroline con mossa fulminea scattò in piedi al
richiamo della voce di Stefan raccogliendo il brandello di stoffa
dentro al
pugno nascosto dietro la schiena.
Il vampiro alzò un sopracciglio sorpreso nel
vedere la bionda spaventata dal suo arrivo.
Care accennò un sì con la testa aprendo la mano
libera in direzione della lavatrice.
«Posso aiutarti se vuoi» si offrì Stefan
rimanendo
pur sempre inchiodato sugli scalini ad una debita distanza dalla
vampira.
«Grazie, ma ho quasi finito» balbettò
mantenendo
pur sempre quella voce pacata che fin da piccola l’aveva
caratterizzata quando
le sue labbra pronunciavano qualcosa di non vero.
Gli occhi di Stefan girovagarono un po’ per la
stanza senza focalizzare niente di preciso per poi spingere gli angoli
della
bocca in un sorriso.
La porta si richiuse alle sue spalle.
Il racconto di Stefan continuava a riecheggiarle
in testa insieme ad immagini e ricordi sbiaditi.
C’era qualcosa che le sfuggiva da qualche parte,
qualcosa che per istinto avrebbe dovuto evitare e che continuava ad
ignorare
cosa fosse, preda dei pericoli e delle insidie della sua mente.
La soffice
stoffa cominciava a scottarle in mano quasi come se fosse il
ritrovamento di un
arma del delitto, di un delitto atroce,
mentre un’idea malsana le strisciava in testa come un odioso
serpente.
Per una notte, solo una notte, avrebbe potuto
essere lei la
Katherine di
cui Damon
si era perdutamente innamorato.
Ebbene
mi sono
data latitante per troppo a lungo e oggi ho deciso di aggiornare!
Salve cari
lettori di efp che vi stavate chiedendo che fine avesse fatto questa
storia. Con
l’inizio della scuola non ho avuto un attimo di pace e
nonostante questo
capitolo fosse pronto già da inizio settembre, ho pensato
bene di continuare a
scriverne un altro intuendo già il misero tempo che avrei
avuto e che infatti
ho;
morale della storia: mi sono ritrovata a sbattere la testa per il
prossimo
capitolo intestandomi di postare questo non prima di aver finito
l’altro. E
finalmente ce l’ho fatta! Quindi vi chiedo enormemente scusa
per il ritardo
madornale e da adesso in poi cercherò di velocizzare la
scrittura e il tutto
(sempre scuola permettendo).
Allora dove
eravamo rimasti? Ah giusto le famose domande: 1 Avrà
morso Matt o non l’avrà
morso? Ovviamente la nostra vispa biondina ha avuto il cuore troppo
tenero e ha
lottato contro se stessa e la sua stessa natura facendosi del male pur
di non
mordere Matt (che per inciso rivedrete presto); 2 Damon
continuerà a lavorare
per conto proprio? Certo che no come ci dimostra il primo divertente
episodio
di questo capitolo: Damon alla fine è costretto a raccontare
tutto a Stefan il
quale non sa nemmeno da che parte iniziare per risolvere questo
pasticcio che incomincia
a complicarsi sempre di più. Adoro descrivere sui SalvaBro e
il modo in
cui Damon prende in giro Stefan e il modo di quest’ultimo di
alzare gli occhi
al cielo in senso di disperazione, perciò ne farò
tanti tanti di questi momenti
*-*; 3 Che
risvolti avranno le informazioni rivelate da Kate? Ebbene
ciò che
Caroline ha sentito dire da Kate nel capitolo precedente e da Stefan in
questo
è fin troppo: Caroline si sente essere come un rimpiazzo ma
ascoltando la
storia più o meno vera di Stefan ha capito che non deve
essere stato così
allegro per loro. Ma l’unica idea che sembra frullarle in
testa è il diventare
come Katherine, di emularla in tutto e per tutto indossando pur
indumenti che
lei non avrebbe messo di certo! E ragione più importante,
per far colpo su
Damon. Ormai è logico ciò che la vampira prova
per il maggiore dei Salvatore ma
tale relazione non avrà risvolti positivi, vi avverto...Care
avrà molto da
ripensarci! 4
E la cantina rimarrà chiusa ancora per molto? Purtroppo vi
ho
lasciati a bocca asciutta per quanto riguarda la cantina! Nel capitolo
precedente ho posto le basi per quello che poi diverrà il
problema principale
da cui per adesso ho voluto distogliere un po’
l’attenzione. Nuovi avvenimenti,
incontri e ricordi costringeranno i Salvatore a prendere una decisione
drastica!
Vi anticipo che
il prossimo capitolo sarà l’ultimo dei flashback
contrassegnati con "sei mesi
prima" e che non sarà proprio tanto sereno (anche se
assistiamo al momento in
cui la famigliola si unisce)
Un enorme grazie
a chi ha letto fino a qua (nessuno vero? ._.) e prometto di farmi viva
il più
presto possibile.
Un abbraccio di
cuore
Sil.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** 9.Legami [sei mesi prima] ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti
narrati sono riportati in una realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena
con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di
Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di
minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
9.
Legami [sei mesi prima]
«E’
sua figlia?»
Con queste parole Damon pensò di rompere quel
pesante silenzio che si era venuto a creare tra scaffali impolverati,
computer
e scrivania, in quell’ufficio alla cui porta compariva il
nome Forbes inciso a lettere grandi
in una
lamina di metallo.
La donna alzò gli occhi dalla pratica che stava
finendo di rivedere e anch’ella spostò lo sguardo
sulla fotografia ombreggiata
dall’ingombrante portapenne da cui straboccavano matite varie.
Le sceriffo scoccò la lingua e Damon si preparò
al
peggio.
«Si, lei era
mia figlia» dichiarò la donna e gli occhi le si
velarono di lacrime.
Damon si sentì quasi sciocco nel ritrovarsi in
quell’ufficio solo perché la loro nuova ospite
aveva espressamente richiesto notizie di sua madre e, poiché
tecnicamente lei
era morta e i due fratelli erano arrivati in città da poco,
aveva provato a conciliare
il tutto in una bella visita al commissariato di Mystic Falls con il
semplice
intento di presentarsi all’autorità locale.
Il vampiro spostò gli occhi azzurri sulla donna
per richiamare la sua attenzione e al contempo per ottenere le risposte
che
cercava.
«Cos’è successo?» chiese
facendo comparire una
piccola increspatura sulla fronte, più per la seccatura che
per viva curiosità.
«E’ stato un incidente, ci sono state
complicazioni e lei-» si bloccò deglutendo il
grumo di saliva che si addensava
all’altezza della gola e portandosi due dita sulle labbra
quasi a voler
soffocare i singhiozzi che di lì a poco sarebbero usciti.
«Le mie più vive condoglianze» le venne
in
soccorso Damon il quale poggiò la mano sulla spalla della
donna infondendole un
po’ di conforto per evitare l’allagamento di
quell’ufficio.
Con un lieve cenno del capo lo sceriffo deglutì,
ricomponendosi, e tornò a concentrarsi più sul
suo respiro irregolare che sul
fascicolo sotto il suo naso.
«Sai le saresti piaciuto, aveva gusto per i
ragazzi» gracchiò la Forbes
dietro i suoi occhiali ammiccando alla foto che sembrava essere
partecipe della
loro conversazione.
Damon allungò la mano così da avvicinare a se la
fotografia, in uno scatto così repentino che un semplice
umano avrebbe fatto
barcollare il portapenne se non fargli perdere l’equilibrio.
«Si chiamava Caroline».
Il vampiro fece scorrere gli occhi azzurri
sull’immagine ritratta in quella foto, resa fredda e al
contempo fragile dallo
spesso vetro che divideva la vispa figura della ragazza con il mondo
esterno.
Nonostante il taglio di capelli leggermente diverso e il corpo ancora
non del
tutto maturo di una quindicenne, per il resto la ragazza ritratta con
uno
smagliante sorriso nella sua tenuta da cheerleader era la stessa che,
adesso
vampira, aveva lasciato a casa seduta sull’ultimo scalino, i
cui occhi
guardavano incerti il cielo oltre le sbarre della finestra della sua
nuova
casa.
Damon si convinse a increspare leggermente le
labbra per regalare alla donna una vana speranza di compassione per la
grave
perdita.
Lo sceriffo chiuse il fascicolo con un movimento
veloce del polso e ripose al suo interno un gran numero di scartoffie
stropicciate, macchiate di caffè e logore, che odoravano di
muffa e che secondo l'intuito di Damon dovevano essere abbastanza
vecchie - la più antica portava impresso l'anno 1872.
«Signora Forbes».
Una voce rauca, impastata da una lieve fragranza
di vodka mista alla menta della chewingum nervosamente trattenuta tra i
denti
serrati, giunse alle orecchie del Salvatore che incrinò
leggermente le
sopracciglia roteando gli occhi per osservare a quale disgraziato
appartenesse quella voce.
La bionda seduta comodamente sullo sgabello in
legno volse lo sguardo preoccupato al ragazzo che rimase con i piedi
fissi sul
pavimento, con una mano appoggiato allo stipite della porta e con
l’altra che
tratteneva il peso di uno scatolone sul cui lato era ben in vista la
marca di
un detersivo.
Lo sceriffo guardò nervosamente l’orario sul
display del computer ancora gorgogliante per poi rivolgerlo nuovamente
al
biondino.
«Sei abbastanza in anticipo Matt. Avevi detto che
saresti passato solo alle undici e mezza»
«Mi scusi, ma non riuscivo a tenerli un minuto di
più sul tavolo della cucina» disse avanzando e
tendendo verso la scrivania
quello scatolone apparentemente leggero da cui pendeva da un lato la
testa di
un orsacchiotto azzurro, un po’ troppo grande per starci
tutto lì dentro.
Con un tonfo sordo fece cadere il pesante
scatolone sulla scrivania disordinata e la fronte di Damon
guadagnò un’altra
ruga di odiosa frustrazione per il demenziale spettacolo a cui era
stato
costretto ad assistere. La bambolina non
lo aveva avvertito che il fidanzato ubriaco e disperato era compreso
nel
prezzo.
Matt espirò piano svuotando i polmoni di
quell’aria impregnata ancora d’alcol e
sollevò gli occhiali scuri incastrandoli
tra le ciocche ispide.
Erano passati tre giorni dalla morte della sua
Caroline, solo due dal suo funerale e Matt si era fermato ancora alla
sera dell’incidente,
al loro ultimo bacio in macchina tra una canzone cantata a squarciagola
e una
risata. Era stato lui a posare l’ultimo fiore – una
peonia bianca, la sua
preferita - sopra la terra ancora fresca e umida, al di sotto della
quale non
poteva esserci Caroline. Perchè non
c’era
Caroline là sotto.
Non aveva avuto neanche il tempo di piangere come
avrebbe dovuto fare, ma il desiderio di eliminarlo, quel dolore
opprimente che
gli maciullava il cuore, era così grande che ancora con il
vestito nero aveva
staccato dalla parete le foto, aveva raccolto le magliette che
portavano ancora
l’aroma denso di lei, aveva eliminato ogni traccia del suo
passaggio. Per
sentirsi meglio, per provare meno dolore.
Sapeva che tuttavia sua madre era entrata qualche
volta di nascosto a rovistare in quello scatolone di ricordi,
conservando
qualche brandello di fotografia nella speranza di aiutarlo. Era sicuro
che
Vicky si fosse intrufolata nel ripostiglio rubando qualche ninnolo che
da
sempre le era piaciuto e aveva provato a spostarlo nella sua stanza. In
quello
scatolone, preso vicino al cassonetto del supermercato, c’era
solo la metà
delle cose che appartenevano a Caroline, ma che utilità
potevano più avere.
Tamburellò con il dito sulla superficie ruvida del
cartone e lo porse allo sceriffo i cui occhi tentavano di non
sbirciarne il
contenuto.
Damon pensò che era il momento più patetico che
avesse mai visto nella sua intera vita, sembrava
essere in una di quelle puntate di OC.
A Matt gli tremò la voce – cattivo segno.
«Ne faccia ciò che vuole, li butti, li conservi, a
me – non interessano più».
Fu solo in quel momento che gli occhi iniettati di
sangue e lividi di occhiaie di Matt si scontrarono con i perfetti
zaffiri del
vampiro che a stento riusciva a trattenere le risate. Come avrebbero
reagito se
gli avesse detto che Caroline era viva e vegeta a casa loro?
L’idea lo allettò
per un interminabile minuto, ma lasciò cadere il diversivo,
costretto per una
volta ad eseguire ordini non suoi.
«Credo di dover togliere il disturbo. Sceriffo
Forbes è stato un piacere»
Tese la mano alla donna e la strinse con vigore
tentando per un attimo di soggiogarla, ma anche questa come la
precedente idea
morì sul nascere.
«Chiamami pure Liz» intonò la bionda
piegando le
labbra screpolate in un sorriso del tutto innaturale.
La fronte di Matt si irrigidì appena realizzando
il fatto che lui quell’uomo non l’aveva mai visto
prima.
Damon lasciò scivolare lascivo la mano dentro lo
scatolone e senza indugio ne estrasse un simpatico bracciale di cuoio.
«Non vi dispiace se prendo questo vero?»
Scomparì prima che o Matt o lo sceriffo potessero
aprire bocca.
«Da
quando ti interessi a Shakespeare?»
Il tono con cui Stefan pose tale domanda al
fratello poteva passare per una semplice curiosità ma
c’era un qualcosa, forse
le sue sopracciglia aggrottate o semplicemente le braccia serrate al
petto che
conferivano al semplice quesito la giusta sfumatura di sarcasmo
misto a sorpresa.
Seduto nella comoda poltrona, il maggiore dei
Salvatore non si scomodò ad alzare gli occhi dalle pagine di
quel libro e con
fare del tutto annoiato si umettò l’indice e il
medio della mano destra così da
girare la sottile pagina ingiallita, continuando a leggere –
o meglio ad
ignorare il fratello.
Stefan roteò gli occhi al soffitto preparandosi a
porre l’ennesima domanda a cui non avrebbe ricevuto risposta.
Almeno lui ci provava.
«Come è andata con lo sceriffo?».
Damon come sempre deviò l’argomento.
«A mio parere Macbeth
è l’opera più interessante di
Shakespeare. Streghe, profezie, uccisioni, sangue.
Non hai mai pensato che la bimba
sia - senza giri di parole – pazza?»*
Stefan scoccò la lingua e per poco lo strofinaccio
con cui stava accuratamente pulendo le vetrinette della credenza non
gli sfuggì
dalle dita.
Si umettò le labbra mentre gli occhi del maggiore
dei Salvatore lo guardavano compiaciuti di quante rughe si stavano
accumulando
sulla sua fronte segno ennesimo di quanto fosse riuscito a precederlo
anche in
quel problema.
«No» asserì Stefan scuotendo il capo
come per
scrollarsi dalla mente quella malsana idea.
«Andiamo Stefan, sii realista: abbiamo accolto in
casa una vampira malata, pazza e pericolosa e se non la scarichiamo da
qualche
parte, ci creerà solo problemi» imprecò
Damon a denti stretti provando a far
ragionare il fratello che intanto puliva minuziosamente ogni linea
della
vetrinetta per eliminare quel residuo di sporcizia in quella casa che a
parere
di Care era una topaia.
«E come fa ad uscire alla luce del sole?» chiese
Stefan impugnando l’apposito prodotto e spruzzando un altro
po’ di quel liquido
sulla superficie liscia del vetro. Anche se non lo voleva ammettere, ma
in
parte era d’accordo con suo fratello.
Damon inarcò un sopracciglio e si strinse nelle
spalle.
«Si farà prestare il mantello
dell’invisibilità da
Harry Potter, non lo so! Lei non può rimanere qui,
è pazza!»
Con queste parole Damon sembrò porre fine alla
conversazione ed era particolarmente soddisfatto di aver messo un fermo
a
questa convivenza destinata a non durare più di una
settimana al massimo, ma
osservando la mascella contratta del vampiro davanti a lui si rese
conto che in
fondo il merito di quella reazione non era suo.
Caroline stava ritta nel suo completino turchese,
con le dita che tamburellavano nervosamente lungo la superficie lignea
del
passamano e con i denti che succhiavano avidamente il labbro inferiore,
con lo
sguardo che si depositava dapprima sugli occhi verdi di Stefan e poi su
quelli
azzurri di Damon, trafiggendoli.
«Posso chiedere cosa è successo in commissariato o
devo prima preparare la valigia?»
La voce tagliente della bionda giunse a Stefan
come una coltellata in pieno petto.
La pelle cominciò inevitabilmente a sfibrarsi in
corrispondenza degli occhi e i canini a comparire lievemente sotto le
labbra
rosee.
Risalì le scale a velocità disumana lasciando
dietro di se scaglie di legno che si andavano scheggiandosi sotto la
forza
della sua presa attorno alla sbarra di legno.
Non si era sentita mai così sola come in quel
momento.
La rabbia le offuscava la vista e una sorta di
paura, come una specie di ricordo le faceva sobbalzare il cuore muto in
petto.
Si sentì disprezzata, umiliata, declassata, respinta, sola.
Si sentì macchiare da un liquido denso che
scendeva piano lungo tutto la sua pelle, ungendola di rosso e di pazzia.
Perse la concentrazione e andò a sbattere contro
lo stipite della porta di una camera – non più la sua.
Si portò le mani all’altezza degli occhi e il
terrore le mozzò il fiato in gola.
Le unghie erano incrostate fino all’interno di
sangue grumoso che le imbrattava il braccio.
E più sfregava, più grattava ma la macchia
non se ne andava.
Perché era lei la causa, era lei la vittima, era
da lei che il sangue scaturiva incessabile.
Si aggrappò di più a se stessa per impedire al
siero scarlatto di uscire dai pori della sua pelle, affondando le
unghie,
strappando la carne.
Un urlo disumano simile ad un latrato agonizzante
sgorgò dall’animo della povera vampira e
penetrò nel più profondo angolo della
mente di entrambi i fratelli Salvatore, raggelandoli fin dentro le ossa.
Quando Stefan raggiunse la stanza di Care, il
sangue era veramente dappertutto.**
Caroline
strinse i denti e anche quell’ultima
scheggia di legno venne estratta dalla mano minuziosa di Stefan.
«Cosa c’è che non va in lui?»
borbottò a mezza
voce stringendosi maggiormente attorno al cuscino azzurrino e
osservando
inorridita i brandelli e i pezzi legnosi che il Salvatore aveva riposto
accuratamente nella bacinella. Ce n’erano tanti, forse fin
troppi.
«Cosa c’è che non va in me?»
Stefan posò la pinzetta sul comodino e ripassò
per
l’ennesima volta il panno ormai tinto di un leggero rosato,
niente a che vedere
con il rosso acceso di qualche ora prima.
Per tutto il corridoio segni rossi imbrattavano i
muri, impronte di mani e unghie si susseguivano come una pittura naif,
come un
murales macabro e inquietante.
Stefan aggrottò leggermente le sopracciglia.
«Damon è sempre stato così, ma col
tempo
riusciremo a cambiarlo vedrai» spiegò
improvvisando un sorriso che tuttavia non
arrivò alla bionda.
«Credi che io sia pazza?»
La voce di Caroline risuonò flebile e rotta, ma
gli occhi rimanevano asciutti e sicuri, due specchi di giada
incastonati
all’altezza degli occhi.
Si torturò per un po’ le sottili dita,
intrecciandole più volte sul ventre e scostando di tanto in
tanto i ciuffi
ribelli che le sfuggivano dalla treccia improvvisata e che le ricascava
goffamente sulla spalla sinistra.
Il giovane vampiro aspettò ancora qualche minuto
poi rispose.
«Credo che tu sia semplicemente Caroline. Sei
spaventata, confusa, le tue emozioni, le tue frustrazioni sono
aumentate a
dismisura. E’ normale. Sei normale.
Non sei pazza, ne sono sicuro»
Era strano come quelle parole all’improvviso
fossero scaturite così
semplicemente dall’animo introverso e alquanto provato del
Salvatore.
Era in parte colpa sua se si trovava in quella
situazione, se Caroline era malata, era stato lui ad averla quasi
uccisa.
Eppure sentiva che se c’era qualcuno che la poteva
curare, quel qualcuno era proprio lui.
Poi redimere i suoi peccati non sarebbe bastato
più e lui avrebbe potuto dannarsi per
l’eternità all’inferno.
Le labbra di Caroline si stropicciarono appena e
un fugace sorriso cominciò a soppiantare
l’espressione afflitta e
apparentemente immusonita di poco prima.
«So che ti manca la tua mamma, i tuoi amici, la
tua vita. Ma la cosa migliore per te è rimanere qui, alla
pensione. Sarà
difficile ai primi tempi ma ti prometto faremo di tutto per instaurare
un
legame. Siamo noi adesso la tua famiglia» concluse Stefan il
quale aveva quasi
inconsapevolmente appoggiato la mano sul morbido braccio della vampira.
Quel tocco riuscì a bruciarlo più della verbena e
allontanò quasi subito la mano dalla soffice pelle di lei
che osservava il
minore dei Salvatore serrare tale mano a pugno e una ruga solcare la
fronte
poco prima liscia e priva di increspature.
Una paura sopita crebbe nell’animo di Stefan e
dopo essersi posizionato alcuni centimetri più distanti
dall’esile figura di
lei si schiarì la voce.
La bionda inarcò lievemente un sopracciglio.
«Hai ricordato niente durante la tua crisi?»
domandò con fare incerto.
Dal momento in cui aveva intrecciato la sua mano
con quella di Stefan, Caroline aveva capito che non era un vampiro come
gli
altri: non era per via del tepore che sprigionava il suo corpo,
né per il suo
essere metodico ma era qualcosa di occulto, celato
all’interno del suo essere
che lo rendeva diverso, come se il ragazzo con cui stava parlando fosse
la
pallida imitazione del vampiro che era dentro di lui, sopito e
irrequieto al
contempo.
Caroline si domandò come mai volesse reprimere
così tanto la sua natura, ma si preoccupò
più di rispondere alla domanda del
vampiro e non alla sua.
«Niente. Solo sangue» espirò e quasi le
si
accartocciò lo stomaco per via del ricordo.
Stefan non rispose, annuì solamente con un
monotono cenno del capo.
Lasciò silenzioso la stanza di Caroline
augurandole di riposare un poco per riprendere le forze.
La vampira osservò malinconica i movimenti di
Stefan e quando la porta si richiuse alle sue spalle la stanza
sembrò più
grande più vuota di quanto le fosse sembrata la prima volta.
Aveva passato diciassette anni della sua vita ad
instaurare legami con le persone, adesso si sarebbe dovuta accontentare
di un’eternità
per imparare a sopravvivere con
quella che di certo non poteva essere la sua nuova famiglia.
«Desmond?»
chiese timidamente Caroline dal posto accanto al fuoco sul quale era
seduta. Il
vampiro inarcò il sopracciglio per la trentesima volta in
quella giornata.
«Mi chiamo Damon. D, A, M…»
Caroline gli scoccò un’occhiataccia fulminea.
«E’ uguale!» asserì
trangugiando un toast che
aveva trovato già pronto nel ripiano della cucina. Dopotutto quella convivenza poteva anche funzionare.
Damon impugnò il telecomando e pigiò uno dei
tanti
pulsanti dando vita alla televisione che non sapeva di preciso da
quanto tempo
non veniva accesa.
La bionda si ripulì il muso con il tovagliolino di
carta, tenendo in bilico sul suo ginocchio il piatto arancione
portatore adesso
di molliche e fili di lattuga che ricordavano quella che era stata la
sua cena.
«Cosa guardi?» chiese trattenendo tra i denti
l’ultimo boccone, allungando il collo per osservare lo
schermo illuminato al di
dietro della testa del vampiro.
Damon avanzò tra i canali non trovando niente di
interessante da vedere.
Poi la serratura della porta scattò e uno Stefan
pieno di buste fece il suo ingresso nell’ampio ingresso di
casa Salvatore.
«Ciao» proruppe la bionda con una
tonalità di voce
pari a un tintinnio di una campana. Il vampiro non avanzò
più di un passo.
Lo stesso Damon si voltò dal divano stranito da
quel gesto così inusuale osservando al meglio la scena e
l’intreccio di sguardi
che si stava venendo a creare tra i due.
Care ci riprovò ancora.
«Bentornato» balbettò appena sbalzando
le pupille
da un lato all’altro della stanza, sentendo pesare su di lei
l’attenzione dei
due fratelli.
Stefan cercò di eliminare quel senso di rigidità
che lo aveva inchiodato al pavimento e implorò la bocca
perché si decidesse ad
aprirsi.
Boccheggiò per un attimo e a Caroline parve tanto
buffo.
«Grazie» si decise a dire stranito anche lui da
quel gesto così antico, così autentico. Erano
forse passati secoli da quando
qualcuno lo aveva accolto con un sorriso appena ritornato a casa.
La vampira di rimando si allargò in un raggiante
sorriso – storpiato solo dalle seppur tenue occhiaie
trasparenti.
Damon si riposizionò meglio sul divano
dileguandosi da quella sdolcinata corrispondenza di sguardi e sorrisi. Non si potevano proprio guardare.
La bionda si accorse della reazione del vampiro
dagli occhi azzurri e storcendo il naso e la bocca posò il
piatto sul
tavolinetto e molleggiò sulle sue gambe sottilissime fino a
raggiungere il
divano a tre posti sul quale stava sdraiato il Salvatore.
«Damon?» provò a chiedere spostando gli
ingombranti scarponi del vampiro dal bracciolo del divano e
posizionandosi in
un angolino, schiacciata tra un cuscino e l’altro.
Il vampiro dagli occhi azzurri voltò il capo
sfoggiando un sorriso disarmante.
«Hai imparato il mio nome dopo solo quarantotto
volte? Che genio!» asserì ma non ebbe il tempo di
compiacersi che la bionda gli
aveva lanciato un cuscino in pieno viso provocando al contempo la sua
ilarità.
La risata cristallina di Caroline risuonò per
tutte le pareti e la casa sembrò riprendere vita come i
mobili del resto dopo
tanti anni di grigiore e di silenzio.
Damon le indirizzò un’occhiata stucchevole,
architettando nella sua mente una degna punizione per quella sua
marachella da
quattro soldi.
«Allora che cosa vuoi?»
Care riprese fiato.
«Cosa voglio io?» richiese increspando
l’ampia
fronte risaltata dalla fascia verde che le portava i capelli indietro.
Damon si umettò le labbra e riservò un nervoso
sguardo al corridoio dal quale a suo malgrado sperava sarebbe sbucato
ben
presto Stefan.
«E’ tutto il pomeriggio che mi chiami - sbagliando
il mio nome - per poi mettere il muso e fare finta come se niente
fosse. Cosa
vuoi che ti dica?»
Caroline fossilizzò lo sguardo sulle immagini in
movimento della televisione giocherellando con i laccetti dei
pantaloncini.
Poi uno strano cipiglio di sfida si manifestò nel
suo volto.
«Voglio che mi dici cosa è successo in
commissariato» decretò mugugnando e assumendo il
tono di una bambina di cinque
anni. Perché era così che si sentiva in quel
preciso istante.
Damon roteò gli occhi e in un moto di stizza
afferrò la fascia ben fissata in testa con apposite forcine
e gliela abbassò
sugli occhi, arruffandole i capelli mentre le labbra del vampiro si
allineavano
in una sorta di sorriso quasi burlesco.
«No» fu la risposa secca e decisa che
riuscì a
formulare Damon in preda ad un’ilarità interiore.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma
manipolare e stuzzicare la vampira psicopatica non gli dispiaceva
più di tanto.
Caroline ebbe un brivido lungo la schiena al sol
vedere l’oscurità invaderla del tutto e trattenne
il respiro fra i denti.
Impose subito alle sue mani di spostare il sottile strato di stoffa
prima che
il rosso la accecasse nuovamente. Stropicciò un
po’ gli occhi non appena rivide
la luce e il peggio poté considerarsi passato.
L’espressione di Damon adesso era cambiata, non
era più il perfetto ritratto del ragazzo dispettoso, adesso
le finissime rughe
che si intelaiavano nella sua fronte erano la prova della sua seppur
impercettibile preoccupazione.
Infilò una mano nella tasca della giacca posata
sul bracciolo vicino ed estrasse il braccialetto della mattina.
Lo allungò sotto gli occhi di una Caroline stupita
e attonita.
«Ho fatto qualche visita e ti ho portato un
ricordino della tua vecchia vita. Ti prego solo niente lacrime, ne ho
viste
abbastanza» la supplicò il vampiro centenario e
Caroline trattenne il magone in
gola.
Sfiorò con le dita il laccetto di cuoio un po’
sfibrato per poi incontrare la superficie seghettata della lamina di
metallo in
cui era incisa in bella calligrafia l’iniziale del suo nome.
La fronte della bionda si increspò così come
qualche lacrima scese dai suoi occhi serrati. Costrinse le dita a
serrarsi
attorno al braccialetto e chiuse la mano a pugno, così forte
da imprimere quasi
a pelle l’iniziale di quel nome.
Gli occhi attoniti di Damon osservarono il
movimento fulmineo della neo vampira che scostando i cuscini si
ritrovò in meno
di un secondo di fronte al fuoco dove aveva già lanciato il
laccetto in pelle e
che adesso stava irrimediabilmente bruciando, distorcendo la forma
della grande
lettera maiuscola.
Caroline agguantò il polso della mano destra con
la sinistra e con estenuante calma osservò il minuscolo
bassorilievo.
contornato da rilievi violacei, che ogni secondo che passava lasciava
il posto
ai centimetri di pelle che ritornavano al loro posto.
Il vampiro alzò un sopracciglio.
«Se non ti piaceva potevi dirlo».
La bionda si aprì in un sorriso amaro e distolse
lo sguardo dal fuoco e dal palmo della sua mano.
«Che mi piaccia o no, non potrò più far
parte
della mia vecchia vita. Non voglio qualcosa che me la faccia ricordare.
Il mio
posto è qui» spiegò dondolandosi sui
talloni fasciati da un paio di calzette.
Il Salvatore alzò entrambe le sopracciglia in
segno di comprensione – forse.
«Fai come vuoi» riuscì a concludere
mentre faceva
il suo ingresso in sala uno Stefan alquanto turbato dalla situazione
precedente
e che adesso avanzava circospetto con entrambe le mani in tasca.
Caroline approfittò del momento di silenzio per
accoccolarsi nuovamente tra i cuscini del grande divano il cui ultimo
spazio
venne occupato dalla figura del vampiro dagli occhi verdi.
La mano della vampira si allungò per entrare in
possesso del telecomando ma questo venne agguantato dal vampiro alla
sua
destra.
«Lo stavo prendendo io!» si lamentò
riducendo i
due splendidi occhi color giada a due fessure.
Damon espose il suo solito ghigno.
«Benvenuta in casa Salvatore!»
Stefan roteò gli occhi e di rimando acconsentì al
broncio che comparve quasi subito nel volto di Care.
Poi una scintilla guizzò tra i suoi occhi.
«Che ne dite di organizzare qualche serata in
famiglia?»
La sua voce cristallina e esultante sfregiò
l’animo solidissimo dei due fratelli – fratelli di
fatto, perché oltre ad un
legame di sangue, nient’altro legava più quei due
vampiri.
Il minore dei Salvatore alzò un sopracciglio con
fare interrogativo ma venne preceduta dalla vampira.
«Potremmo magari guardare la televisione tutti e
tre insieme, per passare un po’ il tempo visto che abbiamo
tutta l’eternità
davanti» spiegò indicando le
immagini mutevoli della televisione a schermo piatto.
«Vedremo Caroline, vedremo» fu la risposta accorta
di Stefan per il quale ancora la vicinanza con la piccola Care faceva
un certo
effetto.
«Non prenderò mai parte a un’idiozia del
genere»
borbottò Damon rigirandosi fra le mani il telecomando senza
comunque utilizzarlo.
Caroline pensò che forse era solamente una sua
sensazione, ma aveva come l’impressione che quel divano fosse
stato costruito
su misura per loro tre, come se fosse rimasto lì insieme
alla polvere ad
attendere quel momento.
Due furbe fossette si crearono agli angoli della
bocca della bionda.
«Vedremo Damon, vedremo» puntualizzò
Stefan con un
sorriso tirato.
Forse
non sono i
legami di sangue a formare una famiglia
diceva la voce in
sottofondo del telefilm.
Gli occhi verdi del vampiro si sollevarono fino a
congiungersi con il soffitto.
Forse
sono
quelle persone che sanno i nostri segreti e ci amano comunque,
così che
possiamo finalmente essere noi stessi.***
Caroline
sbirciò con fare guardingo l’espressione
del maggiore dei Salvatore – nonostante tutto anche lui
continuava a sorridere.
*Per
chi non fosse a conoscenza del contenuto di Macbeth, l'allusione di
Damon si riferiva a una dei personaggi dell'opera, Lady Macbeth, la
quale perseguitata dal senso di colpa per l'omicidio commesso, diventa
pazza e il continuo gesto di lavarsi le mani per pulirle dal sangue -
inesistente - non fa altro che ricordarle la propria colpa.
**Caroline
ha una delle sue solite crisi ed essendo
ancora una neovampira esse sono molto più cruenti e quasi
continue. La mente di
Caroline si ritrova a pensare a sensazioni ed emozioni molto
più grandi di
quelle pensate dalla mente umana e di conseguenza il dolore, la paura,
le
reazioni sono molto più distruttive. In questa crisi Care ha
associato il
sangue alla sua persona credendo che fosse esso a sgorgarle dai pori
della
pelle. Il risultato è che Caroline, spinta dalla convinzione
di essere
macchiata di sangue, si ritrova ad essere quasi scorticata e il sangue
stavolta
è reale.
***
Frase aggiunta ormai a capitolo ultimato.
Tratta da Gossip Girl mi sembrava appropriata alla situazione narrata
per cui
immaginatevi il trio seduto in poltrona a guardare GG!
Salve
carissimi
miei,
Come promesso mi
sono fatta sentire presto questa volta (o almeno un mese non
è ancora passato
u.u) Come vi avevo preannunciato questo è l’ultimo
capitolo che completa la
serie di capitoli contrassegnati da [sei mesi prima]. E così
si conclude il
lungo flashback relativo agli albori di questa loro convivenza: come
avete
visto, non è stato affatto facile accettare prima di tutto
l’arrivo di Caroline
da parte di entrambi i fratelli, ma anche la biondina non ha dimostrato
di
essere particolarmente entusiasta all’idea di vivere in una
prigione; le
continue crisi non fanno altro che peggiorare la situazione e mettere a
dura
prova i nervi di Damon. Vi avevo promesso che vi avrei riparlato di
Matt,
purtroppo è distrutto per la morte di Caroline e non
è facile rimettersi in
sesto ma si riprenderà vedrete ;) ho intenzione di farlo
comparire in un altro
capitolo ma chissà, presente o passato? ;D Ad ogni modo
mentre Stefan si presta
da buona donna di casa a fare le pulizie, Damon approfondisce
Shakespeare e
prova a dare una sua interpretazione della malattia della vampira!
Caroline non
sembra essere molto convinta di questa sua sistemazione e nonostante le
parole
di conforto di Stefan, non si sente completamente a casa. Il tutto
cambia la
sera e, si, avete forse intuito bene, è proprio il giorno in
cui è stata
istituita la famosa serata in famiglia, con tanto di popcorn e patatine
per il
futuro xD Damon è contrario a tutto, ma il sorriso notato da
Care alla fine è proprio
la testimonianza che quel trio, in maniera strana, funziona e anche se
ci vorrà
del tempo troveranno un loro equilibrio – come già
sapete.
Ricordo che vi
avevo lasciati in sospeso…beh, nel prossimo capitolo ci
saranno molte svolte che intralceranno i
piani di
qualcuno e l’arrivo di un nuovo personaggio
aiuterà i fratelli Salvatore a non
perdere la bussola e a controllare meglio le crisi della biondina.
Grazie mille a
tutti coloro che recensiscono, è un sempre piacere leggere i
vostri pareri *-*
Al prossimo
aggiornamento,
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** 10.Legami ***
ATTENZIONE: In questa storia verranno
sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale,
stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono
riportati in una realtà un po’ diversa di The
Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena,
Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
[undici anni prima]
Le
scarpette di vernice blu lucide fanno male, ma a Caroline non
importa.
Le fa oscillare avanti e indietro notando con soddisfazione il
luccichio della lampada a neon riflettersi sulle sue scarpe.
Le manine stringono il coniglietto di peluche che sembra stare
comodamente seduto sulla sua nuova gonnellina a jeans: purtroppo lui
è ancora
quello di prima. Accarezza il sudicio pupazzo, senza più un
orecchio, e tenta
di far rientrare l’ovatta grigiastra all’interno
dello strappo.
Canticchia Caroline, sembra felice. Le righe blu e bianche della
maglietta nascondono i lividi violacei delle braccia e delle spalle,
fingono di
essere dei semplici ornamenti, insieme alle bretelle che sembravano
sostenere
il suo peso di carta.
Ha un cerotto la piccola Care, di quelli grandi e spessi
all’altezza
del collo, le fa prurito ma non si lamenta. Aspetta tranquilla, pulita
e
profumata, sulla panca della cella, ormai diventata da più
di quattro mesi la
sua unica dimora.
“Caroline ti piace il vestitino nuovo?”chiede
Stefan dalla soglia della
porta.
La bimba oscilla le codine ben pettinate e manifesta i denti piccoli e
candidi, lisciando le pieghette della gonna evitando di sporcarla.
Continua a sfregarsi le mani, continua a pulirle e a lavarle, continua
a odorare di borotalco ma il tanfo del sangue rappreso sul panciotto di
Bunny è
molto più forte – lei lo sa, lui lo sa.
Stefan sospira e impreca e Caroline interrompe la sua
attività
maniacale, intreccia le mani dietro la schiena, sospira anche lei. Lo
guarda.
Ma la ferita torna a bruciarle, a pruderle, di più sempre di
più.
“Si torna a casa, piccola Care”dice e le scarpette
lucide come
per
magia si
macchiano anch’esse di rosso*.
10.
Legami
Del tipo che Caroline in quel letto
troppo grande
ci stava davvero stretta – specialmente con Damon accanto.
«Damon, aspetta» annaspò appena
compressa sotto il
peso dell’imponente vampiro, frenando così la
lingua di lui che continuava a
modellare il collo stuzzicando di tanto in tanto il lobo ipersensibile
della
bionda.
Il Salvatore si bloccò e schioccando la lingua
mise in mostra tutto il suo disappunto all’interruzione di
quel piacevole
momento. Alitò piano a pochi centimetri dal viso
incredibilmente pallido di
Caroline, ma più che un invito sensuale a voler continuare
somigliava ad un
latrato roco e secco, come un rimprovero, e questo a Care non
sfuggì per
niente.
Con un colpo di reni Damon liberò la vampira dalla
morsa soffocante nella quale l’aveva intrappolata per
assaporare meglio il
gusto del momento, e si lasciò cadere pesantemente sul
cuscino sottile color
fumo al suo fianco, osservando il soffitto con minuziosa attenzione e
con un
severo cipiglio.
Caroline artigliò il lenzuolo più vicino al petto
leggermente scoperto e si morse il labbro inferiore.
Era
stata
davvero una pessima idea.
Lo aveva intuito quando,
cinta solo dalla sottile
lingerie di Katherine, le sue nocche avevano bussato alla porta della
camera
del vampiro, luogo in cui soleva entrare solo raramente e forse per
emergenze,
senza mai interrompere la privacy del Salvatore.
Eppure ricordava l’arredamento dei mobili in ogni
singolo dettaglio, della macchia sul tetto che aveva irrimediabilmente
sporcato
una domenica mattina mentre curiosava tra le stanze, del libro con una
pagina
strappata quando nei primi tempi Damon glielo aveva strappato dalle
mani e la
sua stretta un po’ troppo forte sulla pagina aveva sgualcito
il fine foglio,
persino ricordava l’asimmetria del letto in ferro battuto e
dell’avvallamento
sul materasso duro che aveva provveduto a riempire con soffici piume.
La porta quindi si era aperta piano e aveva
spianato la strada ai profumi e al lieve vapore che usciva dalla doccia
ancora
bagnata, intorpidendola prima del tempo.
E a quel punto l’aveva spenta, la ragione, e
notando il sorrisetto compiaciuto che si estendeva da un capo
all’altro del
volto del vampiro dagli occhi azzurri, lo sbalzò sul letto
ancor prima che la
porta si richiudesse.
La
bimba è
cresciuta le
era riuscito a dire nonostante la lingua
aggrovigliata mentre le sue mani febbricitanti modellavano ogni singolo
centimetro ruvido del sottile indumento. Il resto era venuto da se.
Non che Caroline si fosse pentita di ciò che aveva
fatto, ma semplicemente - che ci pensasse razionalmente
o irrazionalmente - il suo corpo si
rifiutava di reagire ai tocchi magnetici
del vampiro.
La bionda avvicinò le sottili dita al bicipite
ancora contratto di Damon il quale sembrava non avere più
alcuno interesse
verso di lei.
Caroline rotolò fino a premere il naso freddo e
nascondere gran parte del volto dietro il braccio profumato del vampiro.
«Scusa»
I polmoni di Damon si svuotarono con un ennesimo
sospiro.
«Quale parte della parola preliminari
non ti è chiara? Eppure non dovresti essere alle prime
armi» abbaiò mantenendo pur sempre lo sguardo
fresco e limpido fisso sul
lampadario.
La bionda ridacchiò appena al di sotto del braccio
e con mano tremante si avvicinò alla fronte del vampiro
intrecciando le sottili
dita ai folti capelli color pece che gli ricadevano disordinati sulla
fronte.
Con l’indice premette la fronte leggermente aggrottata e i
lineamenti delle
labbra, del mento e della rigida e perfetta mascella.
Lo aveva desiderato per parecchio tempo e
altrettanto ce ne era voluto per stringere un nodo tra le loro persone,
i loro
animi così opposti, e per vivere semplicemente sotto lo
stesso tetto. Aveva
immaginato di passare l’eternità con lui, in
quella bella casa, o magari
viaggiare – Parigi, Londra, Vienna - e Stefan col tempo
avrebbe trovato anche
lui una compagna con cui trascorrere la sua non
vita.
Ma in quel momento Care, tra le lenzuola ancora
calde e i riccioli disfatti, non riusciva a vedere Damon se non come un
fratello.
Più volte durante la sua vita aveva desiderato
avere un fratello più piccolo, uno di quei minuscoli esseri
a cui dare la colpa
quando si combinava qualche marachella, qualcuno con cui poter litigare
per
l’ultimo biscotto del barattolo, qualcuno da poter
abbracciare quando fuori
c’erano i tuoni. C’era stato un tempo che aveva
fatto da baby-sitter al piccolo
Jeremy, un bimbo che abitava nel suo quartiere, ma adesso anche lui era cresciuto e lei non aveva più nessuno – sia da
umana che da vampira.
«Hai ragione» asserì Caroline
riemergendo dai suoi
pensieri e pungolando il torace nudo del vampiro, tentando di far leva
su uno
gomito.
Damon le artigliò i polsi e la compresse
maggiormente al materasso sperando
che quello fosse il segnale per poter continuare da dove avevano
lasciato.
Non riuscì neanche ad incollare nuovamente le
labbra alle sue che gli occhi della bionda si ridussero a due fessure e
sbuffando sonoramente si liberò con un colpo secco dalle
grinfie del vampiro
centenario invertendo le posizioni e sedendosi a cavalcioni su di lui,
avvolgendosi intorno il lenzuolo ormai disfatto.
«Qual è il tuo problema?»
Il sopracciglio di Damon si incrinò leggermente
verso l’alto.
La vampira cominciò a sudare freddo.
«Damon, tu mi piaci molto e ammetto che ci sia
questa tensione sessuale tra noi due. Ma è sei mesi e mezzo
che viviamo
insieme, tu e Stefan mi avete aiutato tanto, siete stati sempre con me.
Damon
tu sei mio fratello e non posso
farlo, non ci riesco. L’ho voluto, credimi, ma il mio corpo
non reagisce»
Il vampiro dagli occhi azzurri giocherellò con un
ricciolo biondo distogliendo lo sguardo dagli occhi grandi e spauriti
di
Caroline che continuava a succhiare avidamente il labbro inferiore
stando
attenta a non lasciare che i denti strappassero la carne facendo
fuoriuscire il
suo di sangue.
Damon sapeva che il corpo di Care non funzionava
bene, che qualche cosa in lei non si era mai sanato da quando Stefan
l’aveva
rapita: Caroline era rotta e non se ne
spiegava il motivo.
Se fosse stata ancora umana probabilmente, a quel
netto rifiuto, avrebbe spalancato le fauci, lacerando la pelle del
collo e
nutrendosi di lei fino allo stremo, fino a prosciugarla.
Ma era pur sempre la sua schizzata,
nevrotica, irritante coinquilina – non l’avrebbe
mai
ammesso ma questo sua lo turbava, lo turbava parecchio.
«Allora sorellina
la prossima volta non ti presentare mezza nuda davanti la mia porta,
potrei
fraintendere» sillabò il maggiore dei Salvatore
solleticando il lembo di pelle
che fuoriusciva da una delle pieghe del lenzuolo.
«Affare fatto» squittì la bionda facendo
esplodere
il suo entusiasmo in un sorriso disarmante che schiarì la
stanza offuscata
dalla luce del camino.
Caroline liberò il vampiro dalla sua presa, non
prima di avergli scoccato un bacio a fior di labbra, e
molleggiò sul materasso
così da poggiare le punte dei suoi piedi sul pavimento
freddo.
Li lasciò penzolare per un po’ e
osservò i
minuziosi disegni delle piastrelle del pavimento, mentre una ruga di
perplessità increspava la pelle della fronte.
Damon roteò gli occhi.
«C’hai ripensato?» cantilenò
il vampiro
incrociando le mani dietro la nuca.
Caroline boccheggiò, strizzando gli occhi per
trovare una risposta adeguata.
«E se dormissi con te per una notte? – intendo dormire» sottolineò
Caroline
gesticolando con la punta del lenzuolo che teneva fra le mani.
A Damon ci vollero ben sette secondi per formulare
una frase sensata, evitando possibili parole offensive.
«Eri solita rompere le scatole alla gente quando
eri in vita o è un’abitudine che hai acquisito da
vampira?»
Il vampiro la attirò a se premendo leggermente con
la mano la testa della bionda che si accoccolò sopra il suo
torace.
Damon le si avvicinò all’orecchio.
«Ora dormi, prima che cambi idea»
sussurrò con una
punta di ironia che Caroline purtroppo non condivise insieme a lui.
Qualcosa avrebbe turbato il sonno della vampira e
lui non l’avrebbe cacciata via dalla sua stanza.
La verità era che Caroline non voleva raggiungere
la sua camera passando di fronte alla porta del fratello
poiché, come lei,
Damon sapeva: Stefan aveva il sonno leggero e l’udito
finissimo.
«Me lo vuoi dare o ti
devo piantare un paletto nel
cuore?»
Che Stefan quando era felice fosse tutt’altro che tranquillo, questo era più che
risaputo,
specialmente perché erano più uniche che rare le
volte in cui si poteva
definire il minore dei Salvatore di ottimo umore; ma quando
disgraziatamente
succedeva, ci si poteva aspettare di tutto – ma proprio di
tutto - dal vampiro
solitamente pacifico.
Quello
era uno
di quei giorni!
«Stefan!»
lo ammonì Caroline, con la bocca ancora
impastata di marmellata, la quale continuava a sporgersi e ad allungare
non
solo le braccia ma tutto il corpo tentando per l’ennesima
volta di afferrare il
cerchietto trattenuto stretto tra le mani di Stefan a qualche
centimetro di
distanza dal naso della bionda.
Stefan ridacchiò di gusto mentre trascinava
Caroline in ogni suo movimento come un burattinaio con le sue
marionette e
facendo oscillare il sottile oggetto in plastica proprio sopra la testa
della
vampira.
Spostò il peso da un piede all’altro, continuando
a muoversi, fino a ritrovarsi le spalle a contatto con la superficie
fredda del
frigorifero.
Caroline si slanciò verso il Salvatore.
«Non mettersi mai contro Caroline Forbes»
decretò
decisa la vampira rigirandosi orgogliosa fra le mani il cerchietto per
poi
riporlo comodamente tra le ciocche bionde sparse disordinate sul capo.
Stefan alzò le mani in segno di resa e sembrò che
il sole fosse sorto solo in quel momento e la piccola cucina di casa
Salvatore
si fosse ritrovata inondata di uno spettacolo di luce intenso.
«Vi comportate come degli adolescenti»
Con queste parole Damon spezzò il momento di calma
e serenità che si era appena creato facendo alzare le
sopracciglia di uno e
allargando il sorriso dell’altra.
Il vampiro dagli occhi azzurri fece capolino da
dietro il quotidiano completamente aperto e squadrò i due
con aria leggermente
compassionevole.
«Ma noi siamo
degli adolescenti» sbottò Caroline che si era
nuovamente seduta composta sulla
sua sedia e stava aprendo malamente una confezione di yogurt,
sporcandosi
l’indice e il pollice del sottile strato di bianco dolce.
A volte a Damon sfuggiva il piccolo particolare
cronologico, ovvero che suo fratello avesse in teoria ancora
diciassette anni –
in pratica era tutto
un’altra cosa!
Il minore dei Salvatore la imitò e, anche lui
sedutosi, si versò un altro po’ di
caffè ancora tiepido nella sua solita tazza
verde mela, trattenendo pur sempre un sorriso sardonico in viso.
A Damon la questione puzzava più di quanto avesse
immaginato.
«Come mai tutta questo buon’umore improvviso?
Cos’è, hai trovato la mia scorta di sangue AB nel
vaso cinese?»
«Giusto anche io me lo stavo chiedendo»
rincarò la
dose la bionda mentre tratteneva fra i denti il cucchiaino di acciaio e
guardando Stefan obliquamente.
Stefan non poté far altro che sorridere – per la
ventisettesima volta in quella mezz’ora.
«Vedrete presto perché sono particolarmente felice
oggi» concluse sparecchiando il suo lato di tavolo e
riponendo le carte delle
varie vivande ormai consumate nella pattumiera.
D’un tratto alzò un sopracciglio e gli occhi di
Damon si scontrarono con quelli verdi del fratello.
«Conservi una scorta di sangue dentro il vaso di
Hong Kong?» domandò e il suo sopracciglio si
incrinò ancora più in alto se è
possibile.
Di tutta risposta Damon riaprì il giornale
rifugiandosi al suo interno e facendo finta di non aver sentito la
domanda.
«Casa Salvatore è nettamente migliorata
dall’ultima volta in cui ci sono entrata. Avete riverniciato
le pareti o è solo
perché avete tolto la polvere inquietante?»
esordì una voce oltre la porta
della cucina e Caroline strabuzzò gli occhi –
più per il fastidio che per la
sorpresa.
Una ragazza fece il suo ingresso nella stanza
camminando disinvolta come se quella fosse casa sua.
Scivolò tra le figure dei due vampiri, Caroline e
Damon, per poi scrollarsi dalle spalle la lunga treccia bionda e
posizionarsi
di fronte al vampiro dagli occhi verdi.
La vampira – perché questo doveva essere
– tese le
labbra carnose in un sorriso, facendo alzare gli zigomi pieni e
rimpicciolendo
gli occhi nocciola già leggermente a mandorla di natura.
Estrasse dalla giacca delle chiavi munite di un
rudimentale fiocco e le fece oscillare a pochi centimetri dal naso del
Salvatore.
«Che sia chiaro, la mia macchina vale molto di più
di quel catorcio d’epoca, perciò trattala bene mi
raccomando» asserì con aria
grave per poi abbandonarsi in uno stretto abbraccio con Stefan.
La fronte di Caroline si increspò definitivamente
di finissime rughe e gli occhi continuavano a brancolare tra
l’astio che
traspariva dagli occhi di Damon al sorriso rassicurante dipinto sul
volto di
Stefan.
«Bentornata Lexi»
Non che qualcuno – compreso Stefan - sapesse
dell’arrivo improvviso della vampira, perché era
impossibile prevedere quando arrivasse.
La chiamata al cellulare di Stefan alle tre del mattino era stata
più
sufficiente che mai.
«Cos’è, hai portato il tuo cagnolino a spasso per una
vacanza?» domandò Damon digrignando i
denti e incrociando le braccia al petto, palesemente irritato dalla
presenza
della vampira.
«Si, Damon, anche io non sono contenta di
rivederti» rispose con puntiglio facendo oscillare i lunghi
orecchini pendenti
e incenerendolo con lo sguardo.
Stefan rivolse lo sguardo verso il tetto per poi
posarlo sulla vampira dai riccioli biondi ancora seduta e confusa. Il
suo
sguardo si illuminò.
«Caroline questa è Lexi. Lei è la mia
migliore
amica» spiegò con un movimento della mano facendo
scontrare per la prima volta
lo sguardo delle due vampire.
Lexi si aprì in un sorriso furbo e tese la mano
adornata con braccialetti svariati verso quella minuta di Care.
«Piacere di conoscerti Caroline - bella gonna»
mimò
le ultime due parole e Caroline si decise ad intrecciare la sua mano a
quella
di lei.
«Caroline è diventata una vampira da solo sei mesi
e abbiamo deciso di tenerla con noi per proteggerla
e fare in modo che viva tranquilla e serena»
Lo sguardo del Salvatore divenne tutt’a un tratto
nervoso ed incontrò i due occhi color giada della vampira
altrettanto spauriti.
Lexi percepì nell’aria un lieve sentore di bugia,
ma si limitò a scrutare gli occhi del minore dei Salvatore.
Dopotutto aveva
capito tutto già dall’incrinatura della voce.
«Ma che bel quadretto»
Katherine arrivò in sala, molleggiando come una
pantera, con le gambe sinuose e i riccioli lucidi e indomabili che le
fasciavano le guance.
Non era stato quello di quella mattina un
piacevole risveglio: le urla isteriche di Caroline che rincorreva
qualcuno al
piano di sopra le avevano trapanato le orecchie e disturbato il suo
quieto
sonno; aveva addirittura impiegato un po’ troppa forza nel
calzare lo stupendo
paio di scarpe in vernice spezzando irrimediabilmente il tacco della
scarpa
destra; infine, ma non meno importante, si era imbattuta in lei.
Una smorfia di disgusto diede il cambio al sorriso
radioso che poco prima aveva invaso il viso della vampira appena
arrivata.
Squadrò la vampira dai folti ricci in ogni
possibile angolazione e in ogni minimo particolare, ma non
riuscì a tornare
all’aria serena di qualche minuto prima.
Osservò attentamente i pesanti stivali in pelle, i
cui tacchi tentavano di trapanare il pavimento sottostante tanto erano
fini e
appuntiti, i pantaloni neri che fasciavano le cosce della vampira, la
grossa e
appariscente cintura, il corsetto verde petrolio, il tutto rifinito
dalla
catenina magica che portava al collo.
«Non ti ho mai vista prima, ma devi essere
Katherine» asserì schifata la vampira bionda
incrociando le braccia al petto,
facendo tintinnare i numerosi bracciali.
Kate si aprì in un sorriso diabolico e per la
prima volta Caroline sudò freddo a sol vederla.
«Lieta di rivederti Lexi»
La stanza sembrò immergersi nel gelo più totale
tanto era freddo lo sguardo della vampira dagli occhi nocciola; il
freddo
penetrava fin dentro le ossa e nei cuori muti di ogni vampiro brulicava
una
cattiva sensazione, come una scintilla che avesse dato il via
all’imminente
disfacimento del tutto.
Care si strinse di più nel suo dolcevita lilla.
«Caroline sto andando a fare acquisti fuori città,
mi faresti compagnia?» le chiese con un sorriso quasi
infantile inclinando
leggermente il capo così da rivolgere lo sguardo solo ed
esclusivamente alla
bionda.
La vampira mordicchiò l’ultima fetta biscottata e
si sfregò le mani lasciando cadere le briciole sul
vassoietto, affrettandosi a
sparecchiare così da poter raggiungere Katherine la quale
attendeva ciondolando
sulla soglia della cucina.
«Prendo la giacca e andiamo» cinguettò
Caroline
che non avrebbe mai rifiutato l’invito ad un’uscita
alla luce del sole – la sua
ora d’aria.
Uscire la faceva sentire normale,
non dover più passeggiare tra le vie affollate della sua
città di nascita un po’ meno.
Quasi strappò il finissimo giubbino
dall’attaccapanni, si annodò la sciarpetta di
flanella attorno al collo e un soave
Damon, Stefan noi andiamo
riecheggiò
tra le mura di ingresso della pensione.
A quel punto Damon si sentì davvero di troppo in
quella stanza.
«Non mi avevi informato che avevate una nuova
coinquilina così carina, ha l’aria decisamente infantile» decretò
Lexi che aveva preso posto sul ripiano cucina
lasciando le gambe a penzoloni e arricciando il naso intenerita dai
comportamenti della bionda appena uscita.
«E’ tutta tua se vuoi, basta che te ne vai ed in
fretta» sentenziò il maggiore dei Salvatore il
quale non ci mise niente a
capire che avrebbe passato la maggior parte della sua allegra mattinata
tra i
banconi del Mystic Grill – ovunque pur di non trovarsi
coinvolto in un
abbraccio di gruppo in memoria dei vecchi tempi.
Abbandonò il giornale stropicciato e voltò le
spalle ai due vampiri avendo come prima destinazione la sua autovettura.
Lexi scoccò un’occhiata interrogativa a Stefan il
quale si strinse nelle spalle.
«Centoquarantacinque anni e non è cambiato di una
virgola, continua sempre a darmi sui nervi»
Con uno slancio la vampira abbandonò il ripiano
cucina e si avvicinò al vampiro dagli occhi verdi ancora
seduto comodamente
sulla sua sedia.
«Penso che dovresti aggiornarmi» disse schioccando
la lingua e artigliando un fianco con la mano.
Stefan non riuscì a sostenere il suo sguardo – non
c’era mai riuscito, non con lei.
Seguì con gli occhi le finisse linee lignee del
tavolo sottostante per poi arrendersi e scoccare un’occhiata
in tralice alla
sua amica.
«Aggiornarti su cosa?» osò chiedere,
tentando di
ignorare il sudore freddo lungo tutta la colonna vertebrale.
«Perché hai paura di lei Stef? Perché
non riesci a
guardarla negli occhi così come guardi me?»
sussurrò dolce la vampira, la cui
rabbia e senso di rimprovero svanirono, accarezzando lieve la guancia
del
Salvatore con gli occhi sbarrati.
Irrigidì la mascella e Lexi si convinse a nutrire
nel profondo una certa preoccupazione.
«Tu non sai quanto io abbia sofferto ogni singolo
giorno, quanto abbia dovuto mentire e avvelenarmi l’anima
vedendo ogni giorno
il terrore di lei nei suoi occhi, il suo viso pallido, sentire le sue
urla
agghiaccianti nella notte, tutto di lei mi spaventa perché
sono io la causa dei
suoi mali più violenti»
Lexi sentì affondare le dite affusolate del
vampiro sull’incavo della clavicola, premere forte ma non
abbastanza da farle
del male.
La vampira inclinò lievemente il capo come per
scrutare meglio il volto afflitto del suo amico da
un’angolazione migliore.
«Hai sentito tutte queste cose e non ti sei andato
a mettere sopra le rotaie di un treno, questo è
già un gran passo avanti» tentò
di sdrammatizzare inarcando le sottili sopracciglia e giocherellando
con la
treccia ciondolante sul suo petto.
Stefan fece ricadere le braccia pesantemente lungo
il suo fianco ed espirò tutta l’aria che
tratteneva nei polmoni.
La vampira bionda si sedette comodamente sulla
sedia, accavallando le gambe e attendendo, con il mento poggiato sulla
mano
destra, che il Salvatore si decidesse a sfogarsi una volta per tutte.
«Da dove devo cominciare?» domandò con
noncuranza azionando
la lavastoviglie e ripulendo il tavolo dai residui della colazione.
«Dall’inizio Stefan,
dall’inizio» lo incoraggiò,
entrambi ignorando i lamenti provenienti dal garage sul retro di un
Damon
alquanto furibondo.
L’hanno
presa,
la mia macchina
imprecava a denti stretti.
Katherine sorrise, premette
sull’acceleratore e la
macchina scivolò sinuosa nel buio della notte lungo
l’autostrada tra le altre
vetture.
«E poi, seriamente, chi si credeva di essere?»
esordì
Caroline i cui fari delle macchine che le sorpassavano, illuminavano il
suo
viso roseo e leggermente contratto.
«Non era per niente sexy! L’ho ignorato per tutto
il tempo al negozio di scarpe e per fortuna ha perso le mie tracce
quando sono
entrata in quel ristorante. Non sai quanto mi mancava parlare con una
ragazza
di queste cose! Ah, poi alla fine ho comprato la cintura, quella
abbinata a
quel completino scozzese, ricordi? Ci sta un incanto»
Con queste parole la vampira bionda terminò il
lungo soliloquio, rovistando e controllando tra le spesse buste di
cartone i
nuovi acquisti.
«Vedo che sei di ottimo umore di questi tempi»
pronunciò Katherine dando un rapido sguardo alla bionda
seduta accanto a lei.
Questa di tutta risposta le scoccò un sorriso a trentadue
denti che purtroppo
marcò le occhiaie olivastre che già accennavano a
ricomparire. Aveva sete, la piccola Care.
«Non pensi che Damon si sia arrabbiato non
trovando la macchina in garage?» chiese ingenuamente Caroline
mentre osservava
scrupolosamente la sua immagine riflessa nello specchietto,
ravvivandosi i
capelli e massaggiandosi gli zigomi tirati e leggermente screpolati a
causa
dell’arsura alla gola che aveva tentato più volte
in quel pomeriggio di
alleviare con bibite e frullati.
Katherine si fermò allo stop e il viso irritato
del Salvatore nell’aprire la porta del garage e trovarlo
completamente vuoto le
balenò in testa, increspandole le labbra in un sorriso
diabolico.
«Tesoro, quando una donna vuole qualcosa la
ottiene sempre, con o senza il consenso degli uomini»
Caroline sembrò non ascoltarla, poggiò la fronte
sul finestrino freddo e incollò lo sguardo
sull’asfalto buio e sul paesaggio
che scorreva veloce al di fuori dell’auto.
Chissà come, ma tutto sembrava essere identico
alla sera di quasi sette mesi prima, quando Katherine l’aveva
accompagnata alla
pensione: stessa strada, stessa sete disgustosamente incessante, stessa
paura.
«Stai pensando alla conversazione della
caffetteria?» provò ad indovinare Kate, rompendo
quel silenzio che si stava
instaurando all’interno dell’abitacolo della
macchina.
La vampira bionda irrigidì la colonna vertebrale e
sentì il buio invaderla completamente.
I
Salvatore
lavorano in due, Caroline: uno mente, l’altro lo aiuta le
aveva sillabato Katherine seduta comodamente sul divanetto di nera
pelle della
caffetteria.
Perché
mai mi
dovrebbero mentire? aveva ribattuto contrariata,
gesticolando con la
mano destra e sporcando il tavolinetto di frullato al cioccolato.
«Non sei una Salvatore, Caroline. Qualunque legame
tu possa instaurare con loro non durerà affatto. Io lo
so.»
La luce, seppur soffusa, delle neon dell’entrata
della città le sferzò il viso e la fece
stropicciare gli occhi che si erano
ormai abituati, seppur a malincuore, all’oscurità
della galleria.
«Non stanno mentendo. Non mi
mentirebbero mai»
La voce le si incrinò impercettibilmente. Care se
n’era accorta, Kate se n’era accorta!
La vampira dai capelli ricci mise la freccia a
destra, pronta a svoltare per immettersi lungo il viale in cui era
situata la
pensione.
Caroline cominciò a contare i respiri.
«Allora perché non vogliono dirti cosa
c’è in
cantina?» sputò e le sue parole tagliarono lo
spazio tra di loro come coltelli
affilatissimi.
Katherine frenò bruscamente e il cemento
dell’asfalto scricchiolò appena lungo il vialetto
di casa Salvatore.
Caroline trattenne un singulto al cuore mentre
sentiva i capillari pulsare violentemente e ardere, così
come la gola.
Sembrava di sentirle, quelle fredde maniglie a cui
ricordava essersi aggrappata per piangere, sentiva sotto la pelle il
legno
ruvido e pungente del sedile su cui era certa aver dormito
più notti, e
l’abitacolo di quella macchina era gelido e buio
così come ricordava essere
stati i suoi giorni di prigionia: sprazzi di buio e macchie rossastre.
Caroline si strappò la cintura di dosso, si
aggrappò
alla maniglia e con forza uscì dall’auto
masticando aria fresca e agognando così
sollievo per la sua gola.
Serrò le palpebre e per un istante la sete
sviscerante e il sangue divennero oggetto del suo ricordo, di quel
frammento di
passato che continuava a graffiarle in testa, tentando di uscire con le
unghie
e con i denti. Denti.
Il rumore metallico della chiusura del bagagliaio
bloccò quella connessione e Caroline si ritrovò
ad ansimare senza un motivo ben
valido.
Sulla soglia, entrambi i fratelli la aspettavano
con le braccia serrate al petto – brutto segno.
«Sembra essere
come dopo averle detto quella cosa
che non le dovevamo dire, avevamo detto»
farfugliò il minore dei
Salvatore, assottigliando gli occhi e non distogliendo lo sguardo dal
sorriso
poco rassicurante della bionda e dalla mano lasciata sospesa in aria.
Damon schioccò la lingua.
«Ripeti o riformula» marcò alzando gli
occhi verso
la luce al neon che dava cenno di fulminarsi.
Caroline mugolò un sorriso e distolse lo sguardo
rimanendo pur sempre in ascolto – la sete incessante aveva
amplificato i suoi
sensi da vampiro.
«Forse le ha detto qualcosa» sospirò
spostando il
peso dal ginocchio destro a quello sinistro, tamburellando le dita
sulla
superficie liscia della porta di casa.
«Sorridi fratello, sorridi e sopravvivrai anche
stanotte» disse a denti stretti il vampiro dagli occhi
azzurri notando
l’avvicinarsi delle due vampire.
A Caroline le si velarono gli occhi di sangue e di
lacrime.
La vampira bionda avanzò calma nelle sue ballerine
color panna e le sembrò quasi che il rumore dei suoi passi
ricordasse quello
che un tempo era stato il ticchettio frenetico del suo cuore.
Accennò
un
passo, poi un altro fino a fiondarsi definitivamente tra le braccia di
Stefan,
trovando conforto**.
«Ho sete,
Stefan» piagnucolò facendosi avvolgere dalle
braccia forti e preoccupate del
Salvatore.
Ma i canini affilati miravano al cuore***.
***
*Con l'espressione come per magia
voglio sottolineare l'ingenuità tipica dei bambini di
rapportare ogni singolo evento fuori dal normale alla magia. Ovviamente
Caroline incomincia a manifestare i primi disturbi mentali vedendo
macchiarsi di rosso e quindi di sangue le scarpette pulite. L'idea e la
paura del sangue è così viva in lei che la porta
ad avere illucinazioni che rimarranno semisopite fino alla sua
trasformazione in vampira.
** Riferimento al flashback [undici
anni prima] del capitolo 2.Ricomincio da t(r)e
*** Espressione con cui ho voluto
concludere e che potrebbe sembrare un po' ambigua. A voi la scelta del
significato.
Salve miei
cari lettori,
lo so che avevo promesso che avrei aggiornato più spesso ma
la scuola uccide e
tra interrogazioni e compiti ho dovuto rinviare giorno per giorno la
pubblicazione del capitolo. La volta precedente avevate ammirato la
conclusione
pressocchè positiva del trio che aveva deciso di coabitare
alla pensione e di
provare a bilanciare questa simbiosi, dopo continui litigi e problemi.
Adesso
si ritorna al presente da dove vi avevo lasciato in sospeso ovvero la
questione
Damon e Caroline. Ammetto che questo comportamento di Care è
leggermente
anormale rispetto al personaggio che sto presentando, ma la Caroline
che sto
prendendo in esame è in una situazione diversa rispetto a
quella del telefilm
per cui perdonatemi se sembra leggermente OOC. Caroline
è rotta, Damon
lo sa ed è per questo che accetta consapevolmente la scelta
della biondina.
Questa cotta che Caroline aveva per Damon non era altro che una forma
di amore
fraterno, e tale amore l'ha spinta a capire che lui in
realtà è più un fratello.
Ora non giudicatemi visto che, nonostante affermino di essere come
fratelli, si
baciano o soddisfano i propri bisogni perchè tecnicamente
non è incesto, non
sono legati da legami di sangue nè tanto meno per via
legali, quindi spero
vivamente che la questione non turbi molti di voi. Invece passiamo
all'arrivo
di un nuovo personaggio, Lexi! Ho sempre desiderato far incontrare
Caroline e
Lexi e finalmente l'evento è accaduto - nonostante i
continui brontolii di
Damon. Katherine sente che la situazione le sta sfuggendo di mano e
tenta di
velocizzare il tutto arrivando subito al sodo: i fratelli Salvatore
mentono e
la questione-cantina. Caroline si sente confusa, spiazzata ma non
può far altro
che fidarsi delle parole di Kate - e delle sue orecchie che hanno
sentito tutta
la conversazione finale. Per cui con la morte nel cuore è
costretta ad
accettare questa triste verità, ma le sue domande non sono
di certo state
soddisfatte: cosa c'è in cantina di
così tanto pericoloso? La frase
finale la lascio a libera interpetrazione, scriverò il
giusto significato nel
commento del prossimo capitolo.
So che alla Lau piacerà questo capitolo
per la piccola citazione
Jeroline (si tesoro, mi hai influenzato e l'ho
voluto aggiungere solo
solo per te ♥)
Ringrazio tutti coloro che seguono la fic, e che recensiscono, non
finirò mai
di dirvi grazie.
A presto (relativamente pralando)
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** 11.Chiave ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti
narrati sono riportati in una realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena
con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di
Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di
minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
[Undici anni prima]
Un
altro lampo e Caroline trattiene il respiro.
Un'altra insistente goccia di pioggia perfora la parete ormai zuppa e
macchiata di umido, e Stefan digrigna i denti.
Avvicina Bunny al viso, lo rassicura, gli dice che presto sarebbero
tornati a casa e avrebbero fatto merenda con latte e biscotti.
Gli occhi vitrei del pupazzo scucito sembrano osservare angosciosamente
Caroline immobile, con le guance pallide e il viso smunto. Tremano le
ginocchia
della piccola Care.
Un tuono rimbomba minaccioso sopra di lei, al di fuori della cella buia
e maleodorante.
Le manine coprono le orecchie di pezza di Bunny, il cuore le gonfia il
petto, il mostro si
avvicina.
“Andiamo
Care, è il momento”sputa con astio, il viso quello
di un
demone in cerca di redenzione.
Strattona la bimba, imprime le sue impronte nell’esile
avambraccio
ossuto e denutrito.
E Caroline si alza, muove le ginocchia di pastafrolla, inciampa in
quelle sue scarpette un po’ troppo strette, non ce la fa.
“Ma
piove…e ci sono i tuoni” snocciola attorcigliando
di più la mano
sudata a quella di Bunny.
Sta già correndo Caroline, su per delle scale ignote.
“Bunny” grida e osserva il coniglietto ruzzolare
malamente cinque
gradini più in basso.
Gli occhi le si gonfiano di lacrime, la manina tenta di afferrare l’amico
ma ormai è troppo lontano, il sangue
ribolle e frigge sulle pareti di quello stretto cunicolo.
Un
altro strattone, più violento, disumano,
e Caroline è fuori dal buio.
Anche
Stefan se
n’era andato.
11.
Chiave
Damon scoccò un’occhiata di sfida al fratello, con
l’aria visibilmente assente, e si trincerò dietro
l’anta del frigorifero
metallizzato per poi estrarne due uova.
Schioccò la lingua con aria di disappunto.
«Ti rendi conto della gravità della situazione o
ti devo fare un disegnino?».
Con queste parole Damon iniziò quella domenica
mattina assolutamente penosa sia a
causa delle pessime condizioni meteorologiche, sia per il problema che
– ci
teneva tanto a sottolineare - aveva combinato lui
e che da un momento all’altro si sarebbe svegliato, per fare
colazione con uova e pancetta.
Stefan mugugnò qualcosa di incomprensibile dalla
sommità del suo sgabello per poi affondare nuovamente nel
suo – avrebbe
aggiunto solito - stato apatico che
tanto lo caratterizzava.
«E’ inutile Damon che insisti, vi ho già
detto
qual è la cosa migliore da fare. E lui farà come
dico io» strimpellò Lexi dal
ripiano cucina facendo ciondolare le caviglie e osservando il maggiore
dei
Salvatore mentre si chinava per cercare la padella.
«Nessuno ti ha interpellato» abbaiò
Damon con
un’evidente increspatura nella fronte corrucciata,
minacciando la vampira con
la padella che aveva appena agguantato.
Lexi lo guardò di rimando, mantenendo intatto quel
suo sorriso sardonico, e con un semplice gesto serrò la
propria mano sul polso
del vampiro dagli occhi azzurri, torcendoglielo e spezzandoglielo con
un
sinistro rumore di ossa rotte.
Damon irrigidì la mascella e i muscoli facciali,
con una scarsa riuscita nel suo intento di mascherare
l’evidente dolore
provocatogli dalla bionda, la quale aveva già recuperato la
padella, prima che
avesse toccato terra, e ora si accingeva a prestarsi ai fornelli.
«Il prossimo sarai tu se non ti decidi a
svegliarti».
Stefan sospirò a quell’ennesimo litigio. Ennesimo, perché non era il
primo di
quella lunga mattina.
Che fra Damon e Lexi esistesse un’impossibile
alchimia, questo era ben chiaro, ciò che ancora sfuggiva
alla mente
scrupolosamente indagatrice del più piccolo dei fratelli
Salvatore era la loro
cecità davanti all’evidente problema che
accomunava tutti i vampiri presenti in
quella casa, primo fra tutti lui.
Stefan tamburellò l’indice sullo zigomo destro e
incrociò le caviglie, come se il cambiamento di posizione
potesse aiutarlo
meglio nel risolvere quell’intricato rompicapo.
La cucina si inebriò del caldo e invitante odore
di pancetta rosolata.
L’idea
di Lexi
sembrerebbe la più ovvia: nascondere la chiave della cantina
in modo tale da
impedire a Care di verificare i suoi dubbi pensò
rigirandosi tra le mani il grosso e ingombrante anello, rassicurandosi
per
l’assenza di raggi solari quel giorno.
Damon si rigirò il polso facendo scrocchiare le
ossa che si erano risanate mentre mandava stilettate omicide alla
vampira,
roteando di tanto in tanto gli occhi azzurri come in cerca di qualche
segno di
vita da parte del fratello immerso nei suoi crogiolamenti.
Ma
come dice
Damon, non è sicuro lasciare la chiave, anche se nel posto
più introvabile al
mondo, con Katherine ancora qui.
Schioccò la lingua e infilò la mano nella tasca
anteriore dei jeans estraendovi una chiave spessa e arrugginita.
La bordatura in ferro sembrava scottargli le mani
e l’odore metallico e insistente dell’ottone gli
bruciava le narici peggio
dell’acido muriatico.
Quella chiave costituiva l’unico ostacolo per la
continuazione della sua esistenza, l’unico rischio in cui
poteva incorrere per
non liberare il mostro rinchiuso
dentro di lei, attendendo famelico e feroce una mossa sbagliata per
scatenare
la sua ira.
Caroline avrebbe permesso al mostro di prevalere?
Stefan, nonostante tutto, covava ancora qualche dubbio.
Lisciò le pieghe e gli spuntoni, leggermente
smussati, della grande chiave, umettandosi le labbra e corrugando
nuovamente la
fronte, come a volerne analizzare ogni minimo particolare.
Quella chiave doveva proprio sparire.
«Penso che la soluzione più giusta sia affidare la
chiave a qualcuno».
La vampira fece tintinnare i suoi orecchini
pendenti e strapazzò ancora un po’
l’uovo insieme alla pancetta.
«Lexi» designò Stefan con un lieve cenno
della
testa, mettendo in bella mostra la chiave – che se solo
avesse voluto si
sarebbe sbriciolata sotto il suo tocco.
Damon inarcò un sopracciglio contrariato.
Non che fosse un’idea stupida quella di Lexi di
affidare la chiave a qualcuno, semplicemente non trovava logico il
nascondere
qualcosa che Katherine avrebbe comunque trovato.
Lo alquanto deliziava l’idea di vedere i suoi
occhi nocciola indispettirsi di fronte alla loro falsa noncuranza e
come le sue
labbra si sarebbero arricciate controllando l’ennesimo
centimetro quadro di
quella casa.
Ma del resto Damon non poteva non pensare che il
rivelare tutta la verità a Caroline fosse un’idea
così totalmente
sbagliata, il che predisponeva la vampira riccioluta a
voler agire in buona fede, ciò che lo preoccupava era lo scopo per cui Katherine stava facendo
tutto questo.
Che la vedesse o meno sotto più punti di vista,
quella per Damon rimaneva pur sempre una brutta faccenda.
«Giusto, complichiamo la situazione. Lasciamo che
sia Wonderwoman a
sacrificarsi»
sbriciolò Damon con un’insolita punta di acido
sarcasmo, evidente sintomo della
sua smodata irritazione nei confronti della vampira.
Lexi corrugò le spesse sopracciglia e fece
ricadere il bollente e scricchiolante miscuglio di uovo sbattuto e
pancetta sul
piatto rosso di porcellana, facendo attenzione a non sporcare
più del dovuto la
cucina in acciaio.
Sembrò osservare la pietanza ancora fumante e dopo
aver infilzato la forchetta trafiggendo irrimediabilmente un trancio di
bacon
si voltò piena di entusiasmo.
«Non devi darla a me la chiave, Stefan»
spiegò la
vampira provocando lo stupore del giovane Salvatore di fronte a se.
«Sarà Damon a custodirla».
Il picchiettio lento, ma al contempo frenetico
della pioggia riempì le orecchie dei tre vampiri, impedendo
all’una di
procedere con il motivo della sua scelta, agli altri di spronarla a
continuare.
Il grumo di saliva trattenuto in gola dal vampiro
centenario fu la palese risposta del turbamento che aveva inferto la
vampira
alle menti dei giovani Salvatore.
«Mi lusinga molto sapere di essere il prescelto
per la missione, ma non ci tengo ad essere il Frodo
della situazione» mugugnò il vampiro sarcastico
dagli occhi
azzurri, serrando le braccia al petto e appoggiando la schiena al
frigorifero interposto
tra il fratello e Lexi.
«E così torniamo al punto di partenza»
constatò
Stefan facendo combaciare le dita delle mani, ripetendo il movimento
quasi come
a voler imitare il ticchettio dell’orologio a pendolo del
salone adiacente.
Damon inarcò un sopracciglio e si umettò le
labbra
tentando di dar sfogo alle sue supposizioni.
«Vuoi forse farmi credere che sei d’accordo con
questa psicopatica?».
Damon additò la vampira la quale lo guardò in
cagnesco – se avesse voluto, avrebbe potuto digrignare i
denti come un lupo.
Stefan sospirò e ruotò leggermente il busto
così
da rivolgersi meglio al fratello palesemente stupito.
«Non sto dicendo che sia una buona idea, ma
prendila come una soluzione temporanea»
Damon si limitò ad arricciare il labbro superiore
e a rivolgere lo sguardo contrariato verso il piatto ancora leggermente
fumante
sul quale giaceva un uovo sbattuto - più crudo che cotto - e
due invitanti
fette di pancetta bruciacchiate ai bordi.
Alzò lo sguardo e gli occhi incredibilmente seri
del vampiro si scontrarono con quelli altrettanti preoccupati del
fratello.
«E chi ti dice che sarei disposto a farlo?»
sputò
con astio aggrottano la fronte fino a incresparla del tutto con piccoli
e
profondi solchi.
Stefan scattò in piedi, facendo leva sulle sue
ginocchia, e annullando la distanza fra lo sgabello, sua postazione, e
il
frigorifero al quale era appoggiato Damon.
«Perché sei pur sempre mio fratello e ti conosco e
so che, per quanto tu non voglia
ammetterlo, lo farai per lo stesso motivo che mi ha spinto a fidarmi di
te»
scoccò Stefan a pochi centimetri dal viso del fratello,
incastonando i suoi
occhi verdi leggermente screziati di azzurro – quello stesso
azzurro presente
nello sguardo di Damon – con quelli del vampiro centenario di
fronte a lui.
A Damon quel tono assunto dal fratello non piaceva
per niente: gli ricordava quello sibilante e maligno assunto la notte
che
scelse definitivamente di tramutarsi in un mostro, di abbandonare
l’unica e
temibile verità della vita per brancolare in un
eternità infinita e tetra,
senza alcuna possibilità di salvezza. Che avesse scelto o
meno di nutrirsi del
sangue di quella ragazza, che sgorgava fluido e invitante dal suo collo
niveo,
ormai non aveva più alcuna importanza. Ma le parole
tentatrici del fratello,
quell’ultima supplica egoisticamente diabolica pur di farlo
rimanere
avvinghiato a lui per l’eternità, quelle parole
continuavano a serpeggiare
lungo tutta la colonna vertebrale di Damon, continuavano a tentarlo e a
convincerlo
che anche questa volta non aveva più alcuna
possibilità di salvezza.
Digrignò i denti e imprecò in combutta con se
stesso e per quello che ancora una volta stranamente si accingeva a
fare.
Avvertì la presa di Stefan sulla sua spalla
destra.
«Mi fido di te Damon, non dimenticartene»
mormorò
il minore dei Salvatore facendo lentamente fuoriuscire la chiave
nascosta
dentro il suo pugno e mostrandola agli occhi di Damon, come si mostra
l’arma
del delitto ad un complice.
La presa si allentò appena e Damon approfittò di
tale momento per strappare con foga la chiave dalle mani del fratello e
riporla
accuratamente nella tasca posteriore dei jeans.
«Va
all’inferno» sillabò con un
ghigno malefico per poi spintonare il fratello
e dirigersi verso l’uscita di quella stanza.
La chiave ancora bruciava tra le mani vuote di
Stefan.
«Proteggeremo Caroline, a qualunque costo»
decretò
la vampira richiamando l’attenzione del Salvatore, facendolo
annuire con poca
convinzione mentre la fronte si stava inevitabilmente aggrottando per
lo
scetticismo.
La voce di Caroline d’improvviso risuonò in cucina
come il tintinnio di tante campanelle.
«Buongiorno – ammesso che lo sia veramente
perché
ne dubito» borbottò con un insolito sorriso
smagliante che andò pian piano
scemando notate le innumerevoli gocce di pioggia che sfregiavano il
vetro della
finestra della cucina seminascosta da due deliziose tendine giallo ocra
– uno
dei tanti ritocchi che Caroline aveva preteso una volta ambientatasi
alla
pensione.
«Buongiorno dolcezza – uova e pancetta?»
le
rispose la vampira dai lunghi capelli biondi adoperando la stessa dose
di
entusiasmo utilizzata poco prima da Care la quale continuava a
rimuginare
puntando lo sguardo oltre la finestra, in un’espressione
pressoché imbambolata
e alquanto annoiata.
Poggiò la guancia destra sul palmo della sottile
mano, ma il dolce profumo delle uova e del bacon messole sotto il naso
da Lexi
le fece stropicciare gli angoli della bocca e tornare il buonumore.
«Tutto bene Stef?» chiese Caroline con noncuranza
facendo rotolare nel piatto una pallina di uovo e cercando di spaziare
la
poltiglia grumosa e informe che era diventata la sua colazione.
«Si, è solo – la pioggia»
balbettò appoggiando i
gomiti sul tavolo e osservando la sua piccola Care annuire comprensiva,
ignara
degli oscuri e tristi ricordi che offuscavano la mente del vampiro a
pochi
centimetri da lei.
Pioveva
anche quel giorno.
Caroline si artigliò la
pancia dolorante e scalciò
due o tre volte i piedi in aria tentando di riempire i polmoni con
altra inutile
aria.
«E non è finita qui! Vuoi che ti racconti di
quella volta che in preda all’euforia di un concerto si
è lanciato sulla folla
in delirio e nessuno lo ha preso?» esclamò Lexi
molleggiando sul letto di
Caroline, con le caviglie incrociate e i piedi sulla trapunta verde
oliva.
La vampira bionda si asciugò con il dorso della
mano le piccole lacrime che si erano addensate agli angoli degli occhi
e
rilassò gli zigomi ancora tirati in un sorriso a trentadue
denti.
Non era stato facile, non era stato per niente
facile spegnere i pensieri che l’avevano perseguitata per
tutta la notte.
Frammenti di ricordi, immagini spezzate e
aggrovigliate come in una vecchia pellicola di un film in bianco e
nero,
ricordi bisunti che riaffioravano senza un motivo ben preciso e sussurri, parole e suoni irriconoscibili
ma che la sua mente aveva perfettamente registrato.
E li sentiva di tanto in tanto picchiettare in
testa, sbattere contro le dure inferriate della sua coscienza per
uscire e
ruzzolare libere tra i corridoi della sua psiche.
Ma c’era qualcosa che impediva loro di uscire,
qualcosa che continuava a sfuggire tra le mani sudate
della giovane Care, uno scoglio a cui aggrapparsi, un
anestetico per placare il gorgoglio rumoroso all’interno
della sua mente e che
aumentava d’intensità minuto dopo minuto.
E a quel punto aveva deciso di soffocare quel
lamento, a suon di risate e ricordi felici. Ma per sua sfortuna,
dettagli e
ricordi estranei e confusi continuavano ad affiorare e lei non poteva
impedirlo.
«Pronto? C’è qualcuno in casa?»
La voce di Lexi riuscì a ridestarla e la vampira
sbatté due o tre volte le palpebre arricciando il naso e le
labbra in un
adorabile sorriso.
«Scusa, parlare di Stefan mi ha distratta»
cantilenò piano la giovane vampira e arricciò
dietro l’orecchio destro un
nastro dorato che le era sfuggito dalla crocchia sulla nuca.
Lexi schioccò la lingua e si spostò accanto a
Caroline con un tintinnio di bracciali.
Le immagini, i sussurri, i colori che si
intrufolavano nella mente di Care, li vedeva anche lei, li deviava lei, li spezzava così
da non poter mai permettere al mostro
di emergere. Ma ormai il danno era stato fatto e, per Lexi, era solo
questione
di giorni – forse di minuti, di secondi – e
Caroline avrebbe ricordato, avrebbe
messo insieme i dettagli e avrebbe dato un nome al volto che la
terrorizzava
tanto da farle risalire il cuore in gola.
«Ascoltami bene, Caroline. Sai cos’è la
cosa più
brutta dell’essere vampiri?»
Gli occhi color giada della vampira si socchiusero
e tra le sopracciglia comparve una lieve increspatura.
«Andare dal dentista?*» cinguettò
inarcando un
sopracciglio e abbozzando un sorriso di sdrammatizzazione, in forte
contrasto
con l’espressione seria del volto di Lexi.
«Ricordare: come ci si è sentiti la prima volta
quando i canini hanno lacerato la carne di un innocente, ricordare in
ogni
dettaglio i momenti più oscuri e insignificanti della nostra
esistenza e
rivederli, rivederli all’infinito quasi come se la nostra
testa si fosse
allargata e contenesse adesso più cassetti e tutti aperti
contemporaneamente.
Prova a lasciarlo andare, quel ricordo,
prova a cacciarlo via, perché se se ne va, non
ritornerà più».
Lexi poggiò la sua mano su quella minuta e fredda
di Caroline e per un minuto, solo un minuto, desiderò tanto
che quella creatura
non avesse dovuto subire simili crudeltà, ma si concesse
solo un minuto, poi
tornò dell’idea che, per quanto avesse vissuto, da
umana o da vampira, la sua
non sarebbe stata affatto una vita semplice –
perché la vita non è mai
semplice.
Per qualche sciocco motivo, Lexi in cuor suo
sapeva che Caroline era la chiave
per
sbloccare l’intricata serratura che impediva i Salvatore di
spingersi l’uno all’altro,
quel pezzo mancante che per anni aveva cercato di far emergere nella
più tetra
oscurità di Stefan, senza riuscirci.
Tutto – il dolore, l’odio, la sofferenza, la gioia
– dei due Salvatore confluiva in un unico essere: lei.
La vampira ritrasse la mano come pervasa da
un’immensa scossa elettrica e si tastò le dita,
corrucciando le sottili
sopracciglia e emettendo un pesante sospiro.
«Io non posso dimenticare, Lexi. Ci sono troppe
cose che non riesco a capire, che mi fanno del male, e io ho bisogno di
queste
cose, degli incubi. So che sarebbe più semplice in quel
modo, ma non lo lascerò
andare via. Dopotutto, si chiamano ricordi
perché non devono essere dimenticati, giusto?».
Caroline si alzò la bretella della sua canotta
color zenzero e gattonò fino al cuscino sul quale
sprofondò la testa,
impigliando ai capelli le forcine e disfacendo l’accurata
acconciatura.
«Disturbo?»
Stefan stava ritto davanti alla porta con le
nocche che sfioravano la superficie lignea della porta semiaperta
– segno che
il Salvatore era stato in dubbio se entrare o meno – ma a
questo Caroline non
ci fece caso. Dondolò un paio di minuti davanti alla porta,
evidentemente in
conflitto con se stesso e a disagio.
Che Care ricordasse, Stefan era sempre
stato a disagio in sua presenza.
«E’ una riunione tra ragazze e tu - non sei
invitato» sbottò Lexi agguantando un cuscino e
lanciandolo in faccia al minore
dei Salvatore.
Stefan con abili riflessi scansò il cuscino e le
sue labbra si tirarono in un sorriso sbieco, quasi come stupito dal
gesto della
vampira, sua amica.
Con passi lenti e cadenzati si avvicinò alle due
ragazze adagiate sul letto senza mai spostare lo sguardo dagli occhi
color
nocciola di Lexi.
«Tu mi hai lanciato questo cuscino?»
domandò con
un espressione seria in viso, inarcando un sopracciglio e rigirandosi
tra le
mani il leggero oggetto quasi come se fosse stato una bomba ad
orologeria.
La vampira bionda inclinò il capo e guardò il
Salvatore dal basso con aria di sfida.
Fu solo un secondo ed entrambi si ritrovarono a
terra, ridacchiando e scalciando in aria.
Un Basta
Stefan sommesso incuriosì Caroline che quasi con
la vivace curiosità di un
bambino si sporse oltre il bordo del letto.
Stefan col fiato corto si alzò ridendo a tratti e
tese un braccio alla vampira bionda che lo afferrò
aggrappandosi per ritornare
in posizione eretta.
«Hai firmato la tua condanna a morte»
sillabò la
vampira sistemandosi la corta maglietta verde militare e incrociando le
braccia
al petto scoccando all’amico un’occhiata fintamente
truce.
«Sei stata tu che mi hai provocato»
asserì Stefan
alzando entrambe le mani in segno di innocenza.
Trotterellò fino alla porta, ma, prima di varcare
la soglia ed immettersi verso il corridoio semibuio a causa della
pioggia,
voltò il capo con ancora una vivida scintilla tra gli occhi
verdi.
«Stasera ordiniamo la pizza, per voi va bene?»
chiese sbalzando lo sguardo da una vampira all’altra.
«Mi sembra una splendida idea» squittì
Caroline
battendo vivacemente le mani e la preoccupazione di Stefan
svanì quasi del
tutto.
«Affare fatto! Ma il fattorino
è mio» pronunciò Lexi fiondandosi
nuovamente sul letto di
Care e portandosi le ginocchia al petto.
Il Salvatore alzò gli occhi al cielo e si chiuse
la porta in legno di noce alle spalle, aspettando, prima di lasciare la
maniglia, che la serratura scattasse e che il corridoio si riempisse di
un tetro silenzio.
Poggiò la nuca sulla superficie liscia e rimase ad
ascoltare ancora un po’ le risate delle due vampire al di
là della porta.
Forse Lexi aveva ragione, forse ancora si poteva
rimediare. Caroline non avrebbe mai trovato la chiave. Il mostro non
sarebbe
più ritornato.
«Hai mai provato a
cercarti un hobby? Collezionare
francobolli, ricamo, golf…?»
Katherine scoccò una stilettata al vampiro,
disteso comodamente sul suo letto a tre piazze, che di tutta risposta
girò
un’altra pagina del libro che aveva appena iniziato a leggere.
«Ti sembro una che ha molto tempo libero?»
mugugnò
Kate frugando fra i ninnoli e i soprammobili posti nella stanza di
Damon.
Katherine Pierce non era mai stata paziente, non
era una di quelle qualità da poter attribuire alla sua
persona. Fin da bambina
con i suoi fratelli non giocava mai ad uno stesso gioco due volte di
seguito, non
era nel suo stile, non era nella sua natura. A Katherine piacevano quei
giochi
a sorpresa in cui lei era la sola a sapere in anticipo chi avrebbe
vinto, in
cui lei giocava sapendo con esatta precisione la prossima mossa del suo
avversario.
Ecco, a Katherine quel gioco adesso
non piaceva per niente. Era stata alquanto
allettante l’idea di trovare quella bambina, adesso vampira,
e di
utilizzarla per
giocarci come una delle
tante bamboline di pezza, adagiate sul davanzale della sua vecchia casa.
Ma adesso la bambola era sfuggita al suo
controllo, i fili con cui manovrava l’ignara marionetta erano
stati recisi e
adesso la vampira dai folti riccioli bruni si trovava senza un piano
ben
preciso, senza uno scopo e questo non faceva altro che stizzirla fino
alla
morte.
«Certo che no, miss Katherine» sussurrò
Damon con
voce stridula imitando il tono di uno dei tanti servi che non solevano
mai
contraddirla. Ma quello era il 1864, e Katherine ancora non se ne
rendeva
conto.
La vampira scoccò la lingua e diede un fugace
sguardo al Salvatore mentre lasciava le impronte dei tacchi a spillo
sul
tappeto a fantasia, dirigendosi su un altro lato della stanza.
«Invece tu? Che fine ha fatto il vecchio Damon,
mister non metterò mai la testa a
posto?»
lo provocò portando all’orecchio una scatolina
sigillata in legno intarsiato,
scuotendola e imponendo al cervello di riconoscere dal suono cosa
avrebbe
potuto contenere.
«Ce l’hai proprio davanti agli occhi»
esordì Damon
con tono visibilmente annoiato aprendo le mani in un gesto plateale e
reprimendo l’istinto di lanciarle il libro che teneva in mano.
«Non credo proprio, caro il mio Damon. Stare
rinchiuso qui, in questa orrenda cittadina, a preparare la colazione,
fingendo di
vivere come un’allegra famigliola. Non è da te,
Damon».
La vampira si piegò sulle ginocchia, nonostante i
jeans stretti e attillati, e iniziò a curiosare tra i
cassetti del vecchio
mobile, frugando tra i vari indumenti senza comunque distruggere il
perfetto
ordine – sicuramente frutto di una maniacale attenzione della
vampira dai
riccioli biondi.
«Imburro il pane, cucino la pasta, faccio la
spesa, prendo in giro Stefan, odio te
e tento di non far commettere un plurime omicidio ad una pazza invasata
che probabilmente
ci ucciderà tutti, una volta scoperta la verità.
No, non me la passo così male».
La vampira sospirò pesantemente e le sue mani
continuarono ad affondare nella consistenza morbida dei vestiti fin
quando i
suoi occhi non scintillarono di luce propria e le labbra si storpiarono
in un
sorriso serafico.
«Non c’è, Katherine»
spiegò il vampiro scattando
in piedi e un risolino lungo tutta la guancia destra si fece largo sul
suo
volto, mentre con le braccia serrate strette all’ampio torace
assumeva la posizione
quasi statuaria di un uomo compiaciuto della propria vittoria
– la vittoria di
una battaglia, non della guerra.
Kate agguantò l’oggetto che aveva trovato in fondo
ad una pila di vestiti e i suoi occhi color nocciola si assottigliarono.
Adesso il gioco si stava facendo più interessante.
«Non c’è cosa?»
domandò con innocenza infantile mentre i lunghi riccioli
lucidi le ricadevano
lungo la schiena fasciata da una deliziosa camicia nera.
«La chiave, è ovvio. Entri nella mia stanza,
frughi tra la mia roba. E’ dura da ammettere, ma stavolta
abbiamo vinto noi!»
rifletté e i suoi occhi azzurri si fecero ancora
più grandi e trionfanti,
sprizzando derisione e compiacimento e indirizzandola verso la vampira stranamente non imbronciata.
Katherine inclinò il capo e un ricciolo si infilò
all’interno del colletto della camicia, solleticandole il
seno leggermente
scoperto.
Strano.
Molto strano. Che Katherine Pierce fosse un passo avanti a tutti,
questo era
ben noto a tutti – ai vivi e ai morti – ma questa
volta faceva sul serio,
questa volta il gioco era stato ben predisposto e, annoiata
dall’attesa, si era
lasciata un po’ andare, lasciando che gli eventi prendessero
vita e forma da
soli, scansandosi dai riflettori e concentrandosi di più al
dopo e al come
consumare tranquillamente la piccola fetta di vendetta che avrebbe
gustato
sicuramente ben presto.
Che la chiave fosse un qualcosa di concreto o di
astratto, non era a quello che mirava la mente diabolica della vampira.
Mirava
più in alto, molto più in alto.
Kate si aprì in un sorriso e lasciò che il
contenuto ambrato della bottiglia di whiskey invecchiato vorticasse
così che il
gorgoglio arrivasse alle orecchie supersensibili del vampiro di fronte
a lei.
«Ero venuta per questa» miagolò svitando
il tappo
e lasciando che l’odore forte dell’alcol le
arrivasse alle narici.
Damon schioccò la lingua e in quel momento l’idea
di picchiarsi da solo sembrava la più convincente tra le
varie opzioni.
Ma non si fidava, altroché non si fidava.
«Dovevi proprio cercarla bene, perché di solito
nascondo bene ciò che voglio non sia mai
trovato» alitò Damon a pochi centimetri dal suo
viso con un ghigno non molto
convincente.
La vampira bevve un lungo sorso dalla bottiglia
dal ventre rigonfio e una volta staccate le sue labbra
dall’orlo la rivolse in
direzione di Damon che la accettò senza problemi.
«Ce l’ho, un hobby intendo» disse facendo
scorrere
le dita sottili sul colletto blu della camicia del Salvatore e
giocherellando
con i bottoni scuri e lucidi.
«E sarebbe?» provò Damon a farla
continuare, ma
già le sue mani stavano esplorando il corpo di lei con
vorace voglia.
La vampira dischiuse le labbra e la mano di Damon
si intrecciò ai sottili riccioli sparsi sulla nuca di
Katherine per avvicinarla
di più alla sua bocca.
Era in un posto sicuro la chiave, ed era ciò che
più importava.
Era in buone mani, la chiave.
Il suo cuore,
un po’ meno.
Lo scricchiolio del parquet rendeva
l’atmosfera
ancora più agghiacciante, ma questo a Caroline non
interessava di certo.
I piedi nudi aderivano perfettamente alla
superficie liscia del pavimento e le gambe fasciate dal sottile tessuto
del
pigiama si muovevano in fretta e leggere.
La pizza ingurgitata la sera prima non l’aveva
saziata a dovere anche se la piccola Care sapeva che il nodo alla gola
non era
dovuto alla fame.
Scese velocemente le scale e il salone di casa
Salvatore apparve deserto e muto quasi come se fosse stato un cimitero:
il
divano, dove solo qualche ora prima erano stati comodamente seduti, era
perfettamente in ordine così come i cuscini che Damon aveva
tirato addosso a
Stefan; la televisione, lasciata per tutto il corso della serata accesa
senza
che nessuno la sentisse, era una finestra verso
l’oscurità più assoluta; il
pendolo con i suoi ticchettii lenti e sommessi falciava il tempo,
segnando le
quattro meno un quarto del mattino e scrollando sulle spalle della
giovane
vampira un’ansia e una paura che lei ben conosceva.
Espirò a tratti e si massaggiò le tempie
accantonando le stesse immagini che si erano fatte vive per tutto il
tempo e a
cui non era riuscita a conferire un significato logico.
Tese il braccio verso l’abajour e, con le dita che
tremavano, azionò il pulsante così che la stanza
venne divelta dalla luce
artificiale.
Caroline rilassò la fronte contratta e poté
proseguire la sua gita notturna in casa Salvatore.
Si riempì un bicchiere di acqua e bevve avidamente,
sorso dopo sorso, fino a sentire che l’arsura alla gola era
lievemente scesa.
Ripose il bicchiere nel lavabo e dopo essersi con
il dorso della mano stropicciata gli occhi, vigili e senza alcun minimo
segno
di sonnolenza, si diresse nuovamente verso le scale, pronta a far
ritorno alla
propria camera.
Non fece in tempo a salire completamente il primo
gradino che una strana sensazione l’avvolse incutendole una
sviscerante paura che
la fece intorpidire fino alle punte dei piedi.
Caroline cominciò a sudare freddo e corrucciò
lievemente le finissime sopracciglia dando un fugace sguardo
all’imponente
rampa di scale che si estendeva davanti a se.
Non sarebbe riuscita a chiamare Stefan.
Damon non sarebbe accorso per lei.
Eppure Care sentiva che non era una delle sue
solite crisi dovute al buio, non
era
il sangue adesso il nemico che
avrebbe dovuto affrontare.
Era un qualcosa dietro di lei che sembrava
gorgogliare, sbattere violentemente con l’intenzione di
attirare la sua
attenzione.
La bionda boccheggiò un attimo e contò
– uno, due,
tre, quattro, cinque - prima di reprimere quell’istinto che
la costringeva a
fuggire, a chiudere gli occhi e soffocare un urlo.
Voltò il capo con una lentezza innaturale mentre
le sue pupille dilatate sbalzavano verso i vari angoli della stanza
pronti a
fronteggiare macchie di sangue inesistenti.
Nessuna traccia rossa, nessun rivolo scarlatto,
solo la porta di quella cantina
tanto
odiata quanto desiderata che la osservava dall’alto della sua
sommità quasi
facendosi beffe di lei e protraendosi verso di lei, verso
l’oscurità che
incombeva.
Caroline divaricò le gambe, osservò in tralice la
porta e la sua fronte si imperlò di sudore freddo.
Non riusciva a spiegarselo bene, ma aveva come
l’impressione che la porta si sarebbe spalancata da un
momento all’altro, con i
suoi sinistri cigolii.
E il mostro
sarebbe uscito, avrebbe spalancato le sue possenti fauci, e per
Caroline
sarebbe stata la fine.
La vampira si avvicinò cautamente alla cantina,
così come un bambino si avvicina tremante e colmo di povero
coraggio verso
l’anta semiaperta del suo armadio.
Il fiato le si era mozzato in gola e i denti
trattenevano il labbro inferiore mentre le spalle nude e ricurve della
vampira
sembravano farsi più esili e trasparenti alla lieve luce del
lampione nella
veranda che si insinuava attraverso i vetri delle finestre.
Lo sguardo rotolò lungo l’imponente porta,
concentrandosi sulla minuscola fessura della serratura da cui
fuoriusciva una
curiosa chiave in ottone, che, Caroline ne era sicura, non
c’era mai stata.
Ricordava ancora l’aria austera e di forte
rimprovero che assumeva Stefan ogni qual volta gli occhi color giada di
lei
indugiavano più volte in quella direzione, di come Damon
continuava a sviarla e
a ripeterle che, per il suo bene, era meglio non sapere cosa
custodissero là
sotto.
E Caroline aveva annuito - sarebbero serviti solo
pochi minuti per distrarla e farla ritornare alle sue occupazioni -,
aveva
voltato le spalle e aveva promesso
che non avrebbe mai disubbidito loro.
Ma le dita dietro la schiena risultavano sempre
incrociate.
Forse che quella, quindi, era un'altra immagine
distorta regalatole dalla sua mente insana?
Le mani diafane della vampira armeggiarono per
afferrare bene il bizzarro oggetto e Caroline contrasse le labbra in
una
smorfia di stupore nello scoprire il freddo e ruvido contatto con
quella chiave
così reale.
Con una decisa e secca rotazione del polso, fece
scattare la serratura.
La porta si aprì con un sinistro stridio provocato
molto probabilmente dai vecchi e arrugginiti cardini, spessi e neri.
Gli occhi di Caroline si accesero di curiosità,
come la prima volta che aveva tentato invano di perlustrare quella
celata parte
della casa, e con un macigno in petto sbirciarono oltre la sottile
fessura,
inghiottendo solo oscurità e nient’altro.
E’
solo una
cantina continuava
a ripetersi per farsi coraggio,
nonostante le ginocchia stessero per cedere.
Una remota paura prese possesso del suo cuore e
non se ne spiegò il motivo.
Poi un guizzo, tra la folta oscurità, un tonfo di
passetti leggeri e una chioma biondastra si fecero vive tra le tenebre
grigiastre – il buio adesso non faceva più
così paura.
La figura minuta e preziosa fece oscillare lieve
la sua gonnellina di pizzo blu e rivolse un timido e perfetto sorriso
alla
vampira, inorridita e alquanto turbata della scena a cui stava
assistendo.
Le unghie artigliarono uno stipite della porta e
Caroline inarcò un sopracciglio.
Che i Salvatore tenessero davvero rinchiusa una
bambina in quell’orrenda cantina?
Una molla scattò in Caroline, che mosse il piede e
dopo l’altro, abbracciando definitivamente
quell’oscurità, con un alto tasso di
eccitazione alimentato dall’accesa curiosità di
raggiungere quella bambina in
quell’antro oscuro.
La porta le si richiuse alle spalle, sigillando e
celando agli ignari vampiri dormienti nella pensione della
trasgressione della
bionda.
Che ci credesse o meno, Caroline sapeva che se il mostro
non fosse venuto da lei, sarebbe
stata lei a raggiungere se stessa
–
là sotto, in profondità.
* battuta penosa quella di
Caroline, ma non ho
saputo trovare di meglio. L’unica allusione che sono riuscita
a formulare è
quella della lunghezza maggiore dei canini e quindi della richiesta di
un
dentista. Lo so, perdonatemi!
Salve
miei cari,
come vedete prima di Natale il tanto atteso momento è
arrivato: Caroline entra
in cantina. Ma andiamo con ordine analizzando per intero le vicende
raccolte in
questo capitolo. Il titolo racchiude il vero significato di questa
parte
importante della storia, appunto la chiave che darà una
svolta alle vicende che
coinvolgono i tre coinquilini. Il flashback contrassegnato come [undici
anni
prima] è la prima parte della notte in cui Stefan pensa di
aver ucciso
Caroline, in modo particolare questa è la parte in cui
Caroline esce dopo
quattro mesi dalla cella, è spaventata, confusa e
l’assenza del suo migliore
amico – Bunny – la rende triste non solo
perché ha perso il suo peluche ma perché
insieme ad esso anche Stefan si è perso, la sua parte umana
e quindi quella che
a Caroline piace ricordare.
Ma tornando al
presente, come avrete notato non scorre buon sangue tra Damon e Lexi ma
alla
fine nonostante le lamentele del maggiore dei Salvatore viene approvata
l’idea
della vampira con la sola eccezione che sarà Damon a
custodire la chiave. Questo
è uno dei momenti più significativi e profondi
che ci saranno tra i fratelli
Salvatore e a cui farà capo solo un altro (che ho
già in mente e a cui tengo
particolarmente). Stefan ripone tutta la sua fiducia in Damon, un
qualcosa che
non aveva mai fatto prima (vi ricordo che la trama è
distaccata dal telefilm
per cui gli eventi di questa storia incidono sul carattere dei
personaggi in
maniera diversa) e Damon ovviamente si sente turbato e in lotta con se
stesso
visto che, a dirla tutta, non sa se è veramente in grado di
mantenere tale
fiducia. E’ un momento complesso che avrà delle
ripercussioni interessanti nei
fatti del prossimo capitolo! Caroline continua ad avere visioni,
immagini e
ricordi a cui non riesce a dare una spiegazione ben logica.
Teoricamente lei
non ha perso la memoria, ha semplicemente omesso dai suoi ricordi tutta
quella
parte della sua prigionia e nonostante le numerose sedute psichiatriche
niente
è riuscito a farle riacquistare la memoria semplicemente
perché nessuno poteva
mai immagina ciò che aveva passato e quindi ricreare gli
eventi. Ora che è
vampira molte cose sono più chiare e con il continuo
incitamento di Katherine
questo processo del ricordare si è accelerato. E Lexi per
aiutare Stefan si
intrufola nella mente della biondina e devia ogni immagine che potrebbe
farla
ricordare – vi ricordo che Caroline non è
totalmente a conoscenza del grande
controllo mentale che possono avere i vampiri.
Katherine e
Damon. Forse vi starete chiedendo come ho fatto mai a scrivere di un
Damon così
facilmente persuadibile, semplicemente Damon non ha Elena come
distrazione e
quindi subisce ancora un certo fascino da Katherine, ma non
è nulla di serio
fidatevi. In fin dei conti lui stesso pur avendo la chiave afferma che
la
soluzione migliore sia spiegare tutto alla sorellina. Ecco
la chiave. Vi starete chiedendo chi ce l’avrà
mai messa lì? Questo si capirà meglio nel
prossimo capitolo perché ovviamente
si affronterà il discorso! La bambina che Caroline vede
è proprio lei da
bambina, forse un po’ inquietante ma è il frutto
del suo subconscio che tenta
di condurla dove lei stessa sa che ci sono delle risposte.
Concludo il mio sermone
con lo spiegarvi cosa intendessi dire con “Ma
i canini affilati miravano al cuore”
del capitolo precedente: avete risposto in maniera differente e sono
felicissima che tutte l’abbiate pensato diversamente; secondo
la mia interpretazione,
i canini e il cuore non erano del tutto reali, ma per canini intendevo
la bella
vampira riccioluta che con quel discorso a Caroline aveva solo iniziato
ad
infliggere il male che stava da tempo progettando e che quello stesso
male non
era indirizzato solo alla vampira bionda ma all’intero cuore
per cui anche ai
due fratelli Salvatore. E’ un po’ intricato come
ragionamento ma era giusto che
sapeste ciò che avevo intenzione di comunicare.
Quindi:
cosa
succederà in cantina e come farà Care a ricordare? Vi anticipo che il prossimo capitolo
sarà molto crudo e il faccia a faccia
tra Stefan e Caroline sarà il cuore di tutto il capitolo.
Grazie
ancora
per le splendide recensioni ♥
A presto,
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** 12. Illuminati ***
ATTENZIONE: In questa storia verranno
sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale,
stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono
riportati in una realtà un po’ diversa di The
Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la
morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i
fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena,
Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
[Undici anni prima]
I
piedi di
Caroline sono tutti bagnati e c’è del fango sul
suo vestito di pizzo blu.
Continua a
camminare la bimba, in silenzio, la sua mano è strettamente
serrata a quella di
Stefan.
Il bosco
gorgoglia in modo strano, le ombre degli alberi appaiono cupe e
minacciose ad
ogni lampo, ad ogni tuono. Si scuotono, ringhiano ferocemente.
Le labbra rosse
di Caroline tremano, un po’ per il freddo, un po’
per il terrore.
Cade la piccola
su un letto di foglie marce: vuole andare a casa, vuole andare davvero a
casa.
Stefan
la
strattona per la gonna, la scuce, la trascina per quasi mezzo metro.
Caroline si
rialza, zoppica, la pioggia e il fango le offuscano la vista.
“Perché mi fai
questo?” urla, piange, ma la bestia
continua a camminare.
Il
cielo sbuffa
minaccioso e gli alberi si sradicano per il forte vento, si spezzano,
urtano le
guance scarne della povera Care. Gli arbusti come artigli le graffiano
le
gambette già rigate di rosso, sguardi cupi e minacciosi
sembrano riservarle le
cortecce rugose degli alberi.
“Cammina! Devo
portarti a casa” ringhia Stefan. I suoi occhi sono rossi come
il sangue.
Ma
Caroline non
obbedisce, ha paura, vuole scappare, da lì, dal mostro.
Affonda
le
unghie nel terreno nero e maleodorante. Stefan la strattona
più forte.
Le avrebbe
potuto rompere il braccio, se solo avesse voluto.
Caroline
grida,
spera che qualcuno la possa sentire. Grida fin tanto da non riuscire
più a
sentire le sue urla.
Stefan molla la
presa sul polso ossuto di Caroline.
Ma lei scivola,
una scarpetta consumata vola per aria, sbatte la testa.
Il sangue denso
e caldo sgorga dalla tempia, scivola fino alla sua guancia, macchia
alcune
foglie, si deposita tra le dita di Stefan.
La bimba apre
gli occhi, arriccia il naso. Stefan
piange.
“Non
lo capisci
piccola Care? E’ il sangue che mi rende così. Ho
paura di quello che potrà
capitarti stanotte”
Stefan
l’accarezza, la culla, la fa sentire al sicuro, la ripara
dalla pioggia e dalle
paure.
“Anche io ho paura
del sangue, proprio come te. Siamo simili” balbetta sottile
la bimba
aggrappandosi ad un lembo della sua giacca.
Ma Stefan non la
sta più a sentire, le sfiora il collo pulsante e Caroline si
rannicchia su se
stessa, scava la terra, cerca un riparo.
Era tornato insieme al sangue. Era tornato per
il sangue.
I
denti sfilzano
la carne, le narici dilatate assaporano il liquido, le mani premono sul
corpo martoriato
di Care.
Un altro lampo e
tutto ciò che Caroline vede è bianco.
12.
Illuminati
Suddenly
my eyes are opened
Everything
comes into focus
We’re
all illuminated, lights
are shines on our faces – blinding.
(Illuminated – Hurts)
Era molto più grande di
quel che sembrava. La cantina.
Caroline non avrebbe mai immaginato che sotto il
già immenso pensionato Salvatore si potesse snodare una
fitta rete di cunicoli,
stanze e celle.
Il già sottile sopracciglio si era inarcato
scettico più di una volta alla vista di quelle stanze vuote
con le sbarre alle
minuscole aperture che fungevano da finestre.
Possibile che in sette mesi non avesse notato
niente?
La vampira aveva sceso i gradini attutendo i passi
e facendo scorrere la mano lungo la ringhiera arrugginita.
Aveva strizzato un po’ gli occhi, sicura che al
successivo battito di ciglia la bambina sarebbe scomparsa e la stanza
avrebbe
assunto tonalità tendenti al rosso.
Invece la piccola figura trotterellava di fronte a
lei, arrestava il passo in attesa che la raggiungesse, sbadigliava e
mormorava.
Canticchiava
la
bambina, sembrava felice *.
«Vuoi dirmi chi
sei?» aveva chiesto indispettita,
ma le labbra erano diventate subito sottili, già pentitesi
di aver posto quella
domanda a quello che Caroline sapeva essere il perfetto nulla.
La vergogna le era salita alle guance senza che
esse si tingessero di rosa pesco come solevano fare quand’era
umana.
Erano esattamente centoventitre i gradini che
occorreva scendere per giungere in cantina e Caroline era stata ritta
precisamente
sopra il centoventiduesimo.
Con mano tremante aveva tastato la parete ruvida e
spigolosa sotto lo sguardo vigile e attento della bimba, la quale
osservava
Care con i suoi grandi occhi verdognoli.
Le dita della vampira avevano intercettato
qualcosa di metallico e duro e, con solo una maggiore pressione, la
galleria si
era illuminata di una fioca, ma pur sempre efficace, luce
al neon proveniente dal soffitto
incrostato di ragnatele.
La bimba aveva riso e, sbattendo le lunghe ciglia,
fremeva dalla voglia di aprire quella porta, come se al suo interno si
celasse
una fabbrica di caramelle.
E Caroline aveva sbuffato, aveva portato un ciuffo
ribelle dietro l’orecchio e aveva aperto la porta metallica
accondiscendendo ai
capricci dell’infante.
Non che Caroline avesse meno voglia di scoprire
cosa ci fosse in cantina, anzi la sua curiosità era
nettamente quintuplicata, ma la
presenza di quella
vaga allucinazione – sempre se quello era – la
metteva a disagio e la induceva
a riguardarsi dal proseguire o meno.
La bionda fece scivolare le mani sopra le fredde e
rigide lastre di metallo delle celle e continuò il suo
percorso, con al seguito
la bimba scorrazzante.
Magari in quel momento non l’avrebbe ammesso, ma
in cuor suo Care si stava divertendo: la paura stava lasciando posto al
suo
spirito fanciullesco e, così come quella bambina, trovava
divertente sporgere
la testa dietro i teloni bianchi, dentro i cartoni accatastati in
qualche angolo, curiosare tra le anguste strettoie e i cunicoli
impolverati.
Probabilmente uno spettatore estraneo avrebbe
fatto fatica a comprendere chi delle due fosse la bambina.
La vampira s’imbatté in quello che ad occhio e
croce doveva essere un bancone-frigo, simile a quelli che si trovano ai
supermercati e in cui Caroline di solito stava tre buoni quarti
d’ora per
scegliere il gusto del gelato.
Ma non c’erano gelati per Caroline questa volta,
non lì.
La bionda incollò le sue labbra al palmo aperto
sul suo volto con la giusta intenzione di non lasciar trapelare alcun
centimetro cubo di aria. Deglutì e le orecchie fischiarono
per la forte pressione
mentre un reflusso esofageo si sforzava di risalire lungo la sua gola.
Era sangue,
tanto sangue, un po’ conservato in bottiglia e stipato
secondo la propria
annata e la provenienza, un po’ congelato in sacche che
riportavano ancora
l’indirizzo e il nome dell’ospedale di Mystic Falls.
Era uno spettacolo raccapricciante di cui la
bambina sembrava non curarsene: la sua mente e i suoi desideri erano
altrove.
Le spalle di Care si alzarono ritmicamente e
l’odore raggelante del ghiaccio e del sangue represso le
otturò le narici.
Il ronzio
frenetico del motorino non le permetteva di ragionare lucidamente e fu
tentata
di dare un calcio a quell’ammasso di ferraglia, ma la
risposta al perché i due
fratelli Salvatore non le avevamo permesso di raggiungere la cantina
adesso a
Caroline appariva tanto semplice quanto sciocca, tanto da farla
sorridere di
quell’orrendo spettacolo.
Che Stefan fosse altamente premuroso con lei,
questo l’aveva sempre saputo. Ciò che non si
sarebbe mai aspettata era che
anche Damon, così poco incline a seguire le regole, avesse
deciso di appoggiare
il fratello e di costruire quella – era proprio il caso di
dirlo – storiella
del mostro.
Eppure continuava a prenderla quella paura
sviscerante tanto da farle corrugare la fronte alla vista del broncio
modellato
sul viso della bambina.
Caroline inarcò severa un sopracciglio quasi come
a voler dire ebbene che altro
c’è ancora?
Ma teneva nascosta la mano tremante e leggermente sudata ancora
avvinghiata
alla maniglia del bancone.
Un formicolio la prese all’altezza della nuca e fu
costretta a mordersi l’interno della guancia destra per non
recidere l’incrocio
di sguardi che si era venuto a creare fra lei e quella bambina
– fra lei e lei.
Guardandola per bene, Caroline era certa che
assomigliasse tantissimo a lei.
Non che Care ricordasse molto della sua infanzia,
sia pur questa prima o dopo il rapimento, ma quelle ciocche biondastre
e quelle
scarpette blu la inducevano a credere che fosse realmente lei.
La bimba accennò due o tre passi e poi saltellò
in
direzione di uno stretto cunicolo, ridendo gaudente.
La vampira schioccò la lingua indispettita dalla
tanta vivacità della piccola e si decise a proseguire nella
sua stessa
direzione.
L’avrebbe giurato Caroline, ma, nonostante il
momento non propriamente adeguato, poteva sentire perfettamente la voce
alquanto ironica e tagliente del maggiore dei Salvatore che la
richiamava dalle
sue fantasie fanciullesche. Le avrebbe detto la
tana del Bianconiglio è dall’altra parte, Alice
o qualcosa di
quel genere e lei avrebbe fatto una smorfia simile ad un sorriso,
trattenendosi
dal fare una linguaccia al vampiro centenario.
Ma in quel momento Damon non c’era e non le
avrebbe più impedito di arrivare alla destinazione da lei
prefissata.
Arrestò i propri passi non appena varcò la soglia
dell’ennesima cella e il sorriso le si ghiacciò in
volto.
Un’atmosfera tetra, quasi lugubre, aleggiava in
quella stanza, compressa tra le quattro mura sgretolate e impregnate di
sudiciume.
Una brezza leggera filtrava dalle sbarre, corrose
dalla ruggine, e spirava fresca e umida facendo rabbrividire la bionda.
La minuscola sbarra in legno era fissata alla
parete da due catene spesse e nere e presentava lungo tutta la sua
superficie
segni di graffi, morsi, incisioni, macchie.
A Caroline le si rivoltò lo stomaco e le si
accapponò la pelle ma non se ne spiegò il motivo.
Due ciuffi giallastri intravide nel bel mezzo
della semioscurità vegliante, un muso sporco e due orecchie
logore.
La vampira allungò la mano e la sentii scottare,
friggere a quel tocco.
La stanza iniziò a vorticare e la luce del primo
mattino a farsi largo in quella cella umida e sporca – la sua!
Caroline premette forte le dita all’altezza delle
meningi e un dolore lancinante iniziò a fasciarle la testa,
annebbiandole la
vista, storpiando le immagini e i suoni.
Ricordava quelle mura frastagliate e vittime di
tanti graffi e pugni; ricordava il pavimento trasudante sangue, polvere
e
sporcizia che le si intrufolava e si incrostava nelle unghie delle
mani;
ricordava quell’asse di legno martoriato su cui aveva
reclinato troppe volte il
capo permettendo al mostro di cibarsi di lei; ricordava le crepe sul
soffitto e
i lineamenti discordi delle ragnatele così simili alle
ustioni e ai graffi che
portava sulla pelle ancora vergine; ricordava ogni foro sulla sua pelle
– nel
collo, nei polsi, sulle spalle – e ogni livido bluastro, ce
n’erano tanti, troppi;
ricordava il volto del suo
assassino, le iridi del mostro feroce, i lineamenti della mascella e
dei canini
aguzzi e poi ricordava degli abbracci – caldi,
quasi umani* -, delle carezze e
Bunny.
Nonostante la discordanza dei pensieri che si
susseguivano nella sua mente, Caroline ricordava,
nulla avrebbe potuto rimediare a ciò.
Barcollò e sembrò aggrapparsi a quello che era
stato per quattro interminabili mesi il suo amico più caro e
di cui adesso
rimaneva solo la carcassa dismessa del pupazzo.
Lo portò al petto e le sembrò che il cuore le
pompasse il sangue in testa, tanto le pulsava.
Sangue,
sangue,
sangue.
«Care»
Un rantolio lieve si fece largo attraverso la
cella, ma la vampira individuò quel suono come un qualcosa
di reale,
percepibile quasi a pelle.
Il collo della vampira ruotò e così fecero il
busto e le gambe.
Bunny cadde a terra e l’ovatta grigiastra e
ridotta quasi a fuliggine fuoriuscì dal petto.
Il volto di Stefan era il pallido riflesso del
volto di uno spettro: così rigido nella mascella,
così arso all’altezza degli
occhi.
E un ringhio cupo e minaccioso nacque dalle
viscere più insite della vampira.
A casa Salvatore non era una
novità non dormire la
notte. Le poche volte che tutti gli inquilini del grande pensionato
rimanevano chiusi
nelle loro camere abbandonati nelle braccia di Morfeo erano
più uniche che
rare.
A volte qualcuno rimaneva sveglio fino all’alba a
fissare il crepitio del fuoco con un bicchiere di Brandy colmo fino
all’orlo; a
volte qualcuno rimaneva a contemplare le stelle, seduto sul davanzale
della
finestra con le gambe a penzoloni; a volte qualcuno rimaneva
e basta e richiudeva per l’ennesima volta le valigie vuote
da tanto tempo.
Ma mai come quella notte casa Salvatore era stata
così sveglia e Damon lo percepiva fin dentro le ossa
centenarie.
Il vampiro spostò dal suo torace il braccio bruno
di Katherine la quale posava placidamente la testa sopra la sua
clavicola
destra.
Era straziante vedere come quell’essere, così
malvagio e calcolatore da sveglio, durante il sonno si tramutava in
un’innocua
bimba dai riccioli leggermente disfatti. Per Damon, che fosse sveglia o
nel più
tranquillo dei sogni, quella rimaneva pur sempre Katherine ed essendo
Katherine
sarebbe stato meglio non farsi trovare nel suo letto al sorgere del
sole.
La maniglia di qualche porta si abbassò e Damon
corrugò le folte sopracciglia, curioso
di sapere chi fra i tanti coinquilini non si fosse concesso ad un sonno
ristoratore e quali fossero i problemi che lo avevano costretto a
rimanere
sveglio fino a tarda ora.
Ad ogni modo Damon sperava che i problemi del
presunto vegliante fossero decisamente
più gravi dei suoi.
Si raddrizzò sul materasso incurante della vampira,
dormiente sul suo petto, la quale al suo repentino movimento
scivolò cauta sul
cuscino sottostante rotolando poi con le lenzuola al seguito.
Il maggiore dei Salvatore tastò il pavimento
trovando la cinghia dei suoi pantaloni e il tappo della bottiglia di
Whiskey.
Gli ci vollero ben venti minuti per ritrovare i
suoi indumenti – compresi i suoi boxer ritrovati
chissà come ciondolanti sul
lampadario – e quando finalmente si richiuse la porta alle
spalle, chi si trovò
davanti non fu esattamente chi si sarebbe aspettato.
«Pocahontas?»
disse non riuscendo a nascondere la sua aria alquanto stupita.
Lexie roteò gli occhi maledicendosi per aver fatto
così troppo rumore – o forse per aver accettato la
camera adiacente a quella
del vampiro dagli occhi azzurri.
«Non si riesce a dormire in questa casa, troppo rumorosa» sputò
sarcastica rigirandosi
fra le mani le trecce biondo cenere.
Damon inarcò un sopracciglio non ancora ripresosi
dal sonno, dalla sorpresa – e forse anche dalla sbornia.
La vampira incrociò le braccia al petto,
visibilmente indispettita, e stranamente preoccupata stava di fronte a
quella
che Damon si accorse poco dopo essere la stanza di suo fratello.
«Bussi tu o busso io?» domandò alla
bionda che nel
bel mezzo dell’oscurità lo trucidò con
lo sguardo tanto da far indietreggiare
impercettibilmente il maggiore dei Salvatore.
«Non riesco a trovare Caroline» spiegò e
il
sorriso di Damon scemò fino a scomparire nel nulla.
Come faceva a non trovare Caroline? Lei non era un
dannatissimo oggetto dimenticato nel
fondo della borsa o sperduto in qualche cassetto.
E a dirla tutta, Damon riconosceva il fatto che
non era possibile non trovare Care – lei si faceva trovare,
in qualunque posto
ella fosse.
«Allora bussa tu» si limitò a dire con
un leggero
ghigno dipinto in volto, questa volta pregustando parte del panico e
della colpa
che suo fratello avrebbe addossato a lei – per poi accusare
lui, ma dettagli!
«Che è successo?»
La voce di Stefan fece sobbalzare i due
cospiratori e uno sguardo piuttosto confuso si delineò sul
volto del Salvatore,
vestito di tutto punto.
A Damon sembrò che le sopracciglia del fratello si
sarebbero potute unire in una linea continua tanto la fronte era
aggrottata.
«Che cos’è una riunione di
condominio?» abbaiò
Damon, fintamente ignaro, lanciando sguardi dispersivi e molto spesso
non colti
da Lexie la quale continuava a sbalzare le pupille color verde oliva da
un
Salvatore all’altro.
Stefan - che emanava un lieve sentore di coniglio
misto a qualche altra bestiola selvatica – serrò
le braccia al petto non
riuscendo a cogliere il significato di quel teatrino inscenato dai due
vampiri
che, c’avrebbe messo la mano sul fuoco, non avrebbero mai
collaborato e che
invece lo stavano escludendo da una conversazione di sguardi a lui non
indirizzata.
Damon ci rinunciò: la situazione stava diventando
patetica.
«Abbiamo perso qualcosa»
si sforzò di rimarcare l’ultimo termine al fine di
far accendere la lampadina
che il fratello aveva evidentemente spento da tempo immemorabile.
Stefan inarcò un sopracciglio attendendo una
spiegazione esauriente al messaggio criptico del vampiro di fronte a
lui.
«Caroline è scomparsa» tagliò
corto la vampira
ricevendo due o tre paia di stilettate da parte di Damon il quale si
maledisse
di non avere un paletto a portata di mano.
Ebbero appena il tempo di scorgere lo sgomento del
minore dei Salvatore trasparire dai suoi occhi verdi, che Stefan era
già in
corsa giù per le scale.
Il luogo, facile da intuire.
«La chiave è al sicuro vero?»
Gli occhi di Lexie si assottigliarono divenendo
quasi due fessure mentre con mano veloce artigliava il collo ben
tornito del
Salvatore sbattendolo contro la parete grigia.
In effetti, ora che Damon ci pensava meglio e
senza essere sotto l’effetto dell’alcol,
l’idea di nascondere la chiave proprio
dove nessuno l’avrebbe mai cercata, ovvero
all’interno della toppa della porta
non appariva più come la più astuta
delle idee.
«Ciao Care»
Erano queste le uniche due parole che le labbra rigide
e sottili di Stefan riuscivano a mimare – non pronunciare
– con estrema
difficoltà.
Gli occhi erano costretti ad assistere ad uno
spettacolo già visto, ma a cui questa volta Stefan non aveva
nessuna voglia di
partecipare: Caroline stava ritta dinanzi la panca dove più
volte aveva usato
nascondersi – come se un pezzo di legno sopra la testa
l’avrebbe potuta
proteggere -, le pupille dilatate e lucide di conoscenza le rendevano
gli occhi
ancora più grandi di ciò che erano e i muscoli
delle gambe – quasi elastiche - erano
contratti, per sgusciare via e scappare il più lontano
possibile.
Ciò che frenava Caroline e la tratteneva inchiodata
al pavimento era la consapevolezza di non avere alcun posto dove andare.
Si sentiva in trappola proprio come undici anni
prima.
«Sta lontano da me» grugnì la vampira
distendendo
i tendini e sentendo la pelle intorno al viso accartocciarsi e bruciare
violentemente.
Era lui, il mostro. Era Stefan.
Qualcosa in fondo allo stomaco continuava a
risalirle in gola e le riempiva la bocca di disprezzo e di odio nei
confronti
di quell’essere che aveva creduto essere amico.
Ma ciò che più non riusciva a rigettare, che le
scorticava le viscere, era la delusione, la più totale e
completa delusione nel
riscontrare che in quel reietto di vampiro non vi era più
traccia dell’essere
spregevole e meschino che un tempo le aveva fatto vivere i suoi
peggiori incubi.
Stefan indietreggiò e posò le mani di fronte al
viso, come un delinquente all’arresto, perché in
fin dei conti era questo che
era: un assassino.
Pregò intensamente che il pavimento cedesse in
quel preciso istante facendolo sprofondare agli inferi, ma nonostante
le continue
implorazioni i due rimanevano immobili, gli occhi dell’uno
infilzati in quelli
dell’altro.
Qualcosa si mosse tra le due costole del vampiro,
ma non era il cuore. Era codardia la sua, codardia allo stato puro.
«Caroline, ascoltami io-» tentò di
sminuzzare
Stefan ma la vergogna e il ripudio per se stesso lo sovrastavano tanto
da non
riuscire a pensare lucidamente.
«Come hai potuto: rubare una bambina,
rinchiuderla, abusare di lei, cibarti di lei, ferirla.» La
voce di Caroline
aumentava di tono ad ogni parola sputata di fronte al vampiro la cui
distanza
si annullava sempre di più. «I buoni propositi,
tutte le regole, la questione
sui sentimenti delle persone, il non aggredire umani, il controllo,
tutte
menzogne, tutto è andato a puttane?»
Gli occhi di Caroline si accesero di ira e non
riuscì a vedere che rosso per un raggio di circa dieci metri.
Le nocche di Stefan divennero quasi bianche e le
orecchie si sentirono frustate di ricevere quegli insulti - come denti in pieno viso*.
La vergogna e il disprezzo andarono scemando e
Stefan fu tratto in salvo da qualcosa che egli riconobbe come orgoglio,
il
medesimo che molto spesso aveva calpestato. In verità la
forza che riusciva a
mandarlo avanti anche sull’orlo del precipizio era la paura
insostenibile del
male che Care si sarebbe procurata inconsciamente e senza nessun freno.
Dopotutto Stefan era sempre stato schifosamente
altruista, anche nei suoi
periodi più bui.
«No Caroline! La verità è che questo sono io! Il mostro di undici anni
fa è parte di me ma ciò non
significa che sia stata una mia scelta»
Gli occhi di Stefan ardevano di luce proprio
mentre la stanza sembrava essere avvolta dalle fiamme
dell’alba del nuovo
giorno.
Le guance di Caroline si gonfiarono di rossore e i
canini affilati sgusciarono via dalle labbra, dischiuse in un ringhio,
mentre
una scarica di adrenalina le percorreva l’intera spina
dorsale. Serrò i pugni
e, nonostante l’abitudine alla sua velocità
vampiresca, si accorse di essersi
avventata sul vampiro solo quando le mani si scontrarono violentemente
contro
la mascella marmorea del Salvatore scaraventandolo fuori dalla cella
per circa
metà corridoio.
«Non è stata una tua scelta? Mi fai schifo, per il
semplice fatto che fingi di essere ciò che non sei. Tu, come
me, come Damon,
come tutti i vampiri di questo dannatissimo universo sei un assassino,
ti nutri
di sangue, ti sei nutrito del mio
sangue» sputò Caroline, gli occhi densi e rossi
non lasciavano trapelare nulla
delle iridi color giada e le increspature lungo i due zigomi le
deturpavano il
volto.
«Non capisci. Ero schiavo del sangue umano, non
resistevo, ne avevo bisogno sempre di più. Avevo pensato che
trovando un essere
capace di suscitare la mia compassione forse sarei potuto
guarire»
Stefan strisciava ormai, il volto rigonfio e
macchiato di sangue.
Care non ne fu certa se fosse la visione del
sangue o di quelle parole e darle il voltastomaco.
«Ciò che ha fatto Damon in passato non
è niente in
confronto a te» sentenziò acida la bionda
avanzando a grandi falcate in
direzione del vampiro agonizzante.
«Caroline, anche io ho paura del sangue. Siamo
simili io e te» esordì il minore dei Salvatore e
la vampira bionda arrestò il
proprio pugno e ripiegò le fauci ancora aperte pronte ad
affondare i propri
denti.
Uno strano senso di dejavu la colse inaspettata e
tutta la sua insicurezza, la sua frustrazione, il suo malessere si
riversarono
su di lei, sommergendola.
Caroline lasciò andare il colletto della maglietta
del vampiro e le ginocchia barcollarono, giusto il tempo di crollare
sulla
superficie piatta del pavimento.
«Perché mi hai fatto questo?»
Questa volta più che un’accusa alle orecchie del
Salvatore sembrò essere una supplica.
La bionda continuava con colpi secchi e decisi a
trapanare il torace del vampiro, ancora, ancora più forte.
Ma l’odio spariva, il rancore si sgretolava e
Caroline voleva spegnerlo per sempre il suo cuore, cavarselo dal petto
ed
ignorarlo per il resto della sua esistenza.
Due braccia l’avvolsero e nonostante il ripudio,
il disgusto, l’orrore che la spingeva a morderle, a lacerare
la carne e a
ridurla a brandelli, non ebbe altra scelta di infilzare le sue unghia
su quelle
braccia, di graffiare il suo petto con i canini affilati, di abbracciarlo e di fargli del male, tanto
male perché ora riconosceva che la storia si sarebbe
ripetuta.
In fondo si facevano male e bene allo stesso tempo
e in egual misura.
«Il sangue» tremò la voce di Caroline e
gli occhi
inorridirono alla vista del liquido appartenente a Stefan sulle sue
dita e
sulla sua guancia.
«Stefan, il sangue» urlò ma
già la trasformazione
stava avvenendo.
Il mostro
aveva di nuovo fame di lei.
Stefan deglutì rumorosamente e si avventò sulla
bionda, bloccandole i polsi e tentando di costringerla a fermarsi e a
non
dimenarsi.
I capelli biondi oscillavano e le si
ingarbugliavano in viso come tentacoli viscidi e le gambe calciavano in
aria
con la stessa velocità di un cavallo imbizzarrito.
«Caroline, va tutto bene, va tutto bene. Non
succederà niente, te lo prometto» continuava a
ripetere il vampiro come un
ossesso mirando a suo malgrado la sua piccola Care vittima della sua
innata
pazzia.
Una svista e Stefan si ritrovò con il collo
pendente tra le fauci della vampira la quale si ritorse con le labbra
grondanti
di sangue.
Il Salvatore non diede peso alla sua maglietta
rigata di sangue né a quello invitante
sulle labbra della vampira: doveva salvarla, da se stessa.
La strinse a se, le sue braccia fasciarono la vita
sottile della bionda la quale non demordeva dal difendersi.
Caroline
soffocò un grido, afferrò la mano di quel mostro
per allontanarla,
ma niente: deglutiva, inghiottiva sangue e lacrime
amare*.
«Caroline, guardami: io
non ti farò del male, nessuno vuole fartene»
Stefan accolse la testa
di Care tra le sue mani ripulendola dallo sporco e dai fili dorati che
le
intralciavano la vista.
«Non mi farai del male»
masticò la vampira in preda al terrore, ma le sue parole
risuonarono false
anche per le sue povere orecchie.
Gli occhi verdi e
brillanti si accesero di luce intensa e le increspature sulle guance si
stirarono.
Stefan fu tentato di
piegare gli angoli della bocca in un sorriso, ma il cipiglio evidente
sul viso
della bionda lo fece tremare più del dovuto.
«Ma questa non è più
casa mia» decretò e quelle parole freddarono il
vampiro più di un proiettile di
legno in pieno petto.
Stefan lasciò andare i
suoi polsi ossuti e reclinò il capo evitando di farsi
trafiggere ancora una
volta dal suo sguardo.
«Allora vai, Caroline»
Un fruscio d’aria e
Caroline scomparve molto più in fretta di quanto Stefan
avesse mai osato
immaginare.
Il sole spingeva
prepotente contro le inferriate delle celle circostanti inondando il
corridoio
di un denso color giallo oro.
Stefan pianse mentre le
fiamme dell’inferno lo avvolgevano.
Caroline non aveva mai
utilizzato appieno i suoi poteri da vampira.
La forza disumana,
l’ipersensibilità uditiva, la velocità
fulminea erano tutti optional che aveva
dovuto arrecare a se una volta che aveva affondato i denti nel collo
della
prima persona.
Care aveva deciso di
continuare a vivere come se niente fosse successo, facendo trasparire
ogni
singola emozione, difetto o pregio di cui soleva essere fatta da umana.
Ma gambe umane non
avrebbero retto il peso dei ricordi che brutalmente le offuscavano la
vista.
Risalì in fretta
Caroline quelle stesse scale che aveva tentato per ben due volte di
scendere e
di ispezionare: come se ne pentiva!
Sentì il passamano
freddo e rigido incrinarsi sotto la sua salda presa e la porta sbalzare
velocemente una volta che le ebbe dato un calcio.
Il tappeto ricamato sotto
di lei si arrotolò piegandosi in ampie onde e la vampira
perse l’equilibrio
scivolando malamente sul parquet.
Le sue mani non più
bianche si trattennero alla cassettiera e con uno slanciò
riuscì a riprendere
la corsa.
Stava scappando, ma da chi?
Due abili braccia la
fermarono costringendola a volgere lo sguardo
all’insù.
«Cos’è successo
Caroline?» chiese Damon i cui occhi traboccavano della
medesima paura e
vergogna intravisti in quelli del fratello.
«Cristo, Caroline
rispondi!» le urlò in faccia strattonandola e
convincendola a parlare, ma la
bionda era scossa da spasmi convulsi.
Lexi gridò il suo nome
imitando Damon ma la vampira manteneva un’espressione vuota e
pressoché
estranea alla realtà circostante.
Le sue narici erano
impregnate dell’odore nauseante del sangue.
«Caroline»
Una voce più acuta e
pari al miagolio di un gatto sovrastò le urla e i rimproveri
dei due vampiri
sovrastanti tanto che Caroline sbatté nuovamente le ciglia
dopo un periodo di
tempo lungo forse cent’anni – forse un secondo.
Katherine con le
braccia aperte, fasciata da una sottile vestaglia di raso bianco,
scoccava a
Caroline occhiate dolci e rassicuranti porgendole la tanto agognata
ancora di
salvezza.
Gli occhi azzurri di
Damon si assottigliarono quasi simultaneamente a quelli di Lexie non
appena la
vampira si scrollò di dosso le loro braccia e si
rifugiò tra le grinfie del
falso agnello.
Il sorriso diabolico
dipinto sul viso della vampira dai capelli simili a serpenti
segnò la fine di
quella battaglia persa sin dall’inizio: aveva vinto
Katherine, aveva vinto
davvero!
«Spero che tu sia consapevole
che la colpa di tutto questo è solamente tua»
ringhiò Lexi picchiettando l’indice accusatore sul
braccio di Damon.
Il Salvatore digrignò i
denti e per un minuto i due si guardarono in cagnesco come due felini
estranei
e in disaccordo.
Damon affilò gli
artigli.
«Sbaglio o è stata tua
la brillante idea di coinvolgere
anche me in questa causa? Mi hai detto di custodire la chiave e io
l’ho
inserita in quella maledetta porta perché era giusto che
fosse così! Sapevate
che non ero d’accordo, sapevate tutti
che la cosa più giusta da fare era dirle tutta la
verità ma non mi avete ascoltato
- io non vengo mai ascoltato - per
cui non lamentatevi adesso se ho mandato al diavolo la nostra allegra famigliola, piuttosto
ringraziatemi che siete ancora vivi e non vittime di quella pazza
assassi-”
Damon non aveva ancora
concluso lo sproloquio che gli occhi della vampira si sbarrarono
intercettando
la presenza di un terzo individuo nella stanza.
Fu questione di un
istante perché qualcosa di pesante e molto doloroso si
abbatté sulla tempia del
maggiore dei Salvatore facendolo sbalzare contro le vetrinette della
cristalliera , cozzandole e infrangendole violentemente con le spalle.
Si udì solo l’urlo insolito
di Lexie prima che il presunto aggressore si avventasse nuovamente su
di lui.
*Le parole e le frasi
contrassegnate da questo asterisco si riferiscono a citazioni e a
momenti dei
capitoli precedenti, un po’ per sottolineare che niente
è scritto per caso ma
ogni parola ha un peso fondamentale all’interno della
narrazione.
***
Buongiorno
miei cari lettori e buon anno!
Con l’inizio del 2012 ritorna Unspoken crime con il capitolo
che molti
di voi (spero) attendavate con ansia: quello della resa dei conti. Il
capitolo
si apre con l’ultimo flashback relativo
all’infanzia di Caroline e che
racconta, mi duole dirlo, la tragica fine delle sue sofferenze, ma non
disperate: Caroline nel presente è viva per cui
sarà successo qualcosa nel
passato che verrà ulteriormente raccontato nei capitoli
seguenti. Ho pensato di
introdurre una colonna sonora almeno per questo capitolo e la mia
scelta è
caduta su Illuminated: trovo che sia una canzone eccezionale e se non
sbaglio
fa parte della colonna sonora del telefilm, inoltre il testo
rappresenta
appieno il momento drammatico che si sta vivendo in casa Salvatore. Per
cui
Caroline entra in cantina e nonostante la sua prima impressione
riguardo la
storia del mostro alla fine deve ammettere a se stessa che è
tutto vero e che
si trova nella stessa cella di undici anni prima; Caroline ricorda e
tutto
questo grazie al ritrovamento del pupazzo lasciato involontariamente da
lei
quando era bambina: come spesso accade il ritrovamento di un oggetto a
cui si
era particolarmente legati fa scattare la molla per far fuoriuscire i
ricordi
che sembravano compressi e persi. Per quanto riguarda la questione
Damon e
Katherine penso che li vedrete assieme dal prossimo capitolo, in un
rapporto di
amore e odio che li caratterizza ma che è destinato a finire
in tragedia: lui
valuta i piani della vampira e se c’è qualcosa che
provoca dolore a Caroline – perché
è evidente che lui nonostante la chiami pazza assassina
tiene a lei - non
desiste a rivoltarsi contro Kate. Stefan è alle prese con il
suo senso di colpa
e tenta di spiegare il perché lo ha spinto a rapire una
bambina ma ovviamente non
viene ascoltato e anzi rischia di essere ucciso dalla furia assassina
della
bionda, vittima di violenti sbalzi d’umore. Quando Care
sembra essersi calmata
informa il Salvatore della sua decisione e quindi di non voler
più rimanere in
quella casa, non più sua. E’ sconvolta ancora e
troppo scossa e trova in
Katherine l’unica figura di appoggio, l’unica di
cui potersi fidare perché è
stata lei a metterla in guardia. Damon e Lexie, due
personalità troppo
identiche per poter andare d’accordo, non fanno altro che
discutere su chi dare
la colpa la quale sembrerebbe ricadere tutta su Damon. Ammetto che
forse ho un
po’ esagerato (?) ma Damon aveva nobili intenzioni, aveva
pensato astutamente
che l’unico posto in cui Katherine non avrebbe mai guardato
era proprio la
toppa della porta visto che era un luogo troppo banale in cui cercare,
ma
evidentemente non aveva fatto i conti con le gite notturne della
biondina. Il
tutto si conclude con l’inizio di una rissa inevitabile, e il
mistero su chi
possa essere il presunto aggressore visto che più di una
persona avrebbe i
motivi adatti per schiaffeggiare Damon.
Vi consiglio solo di non scoraggiarvi e di attendere a momenti
più
belli e spensierati che arriveranno, ma bisognerà passare
attraverso quelli più
brutti. Dopotutto ci stiamo avviando alla fine di questa storia, pochi
capitoli
e si riveleranno i vostri quesiti!
Grazie mille per le recensioni, ho notato che sono calate e di molto
per cui mi appello a voi lettori e vi invito a scrivere eventuali
lamentele che
volete fare riguardo lo sviluppo di questa storia.
Dimenticavo di dirvi che ultimamente è stato il mio
compleanno e ho
ricebuto moltissimi regali annessi a Unspoken crime, per cui ringrazio la Lau per la copertina
lassù *.* e la Ale per il bellissimo
lavoro
grafico! E ovviamente a tutte le ragazze del forum <3
Al prossimo aggiornamento,
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** 13.Famiglia ***
13.Famiglia
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti
narrati sono riportati in una realtà un po’
diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti
eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena
con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di
Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di
minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
13.Famiglia
I calci di Damon andavano a vuoto
così come i
pugni che tentava di sferrare e che, in cambio, riceveva inerme e
incassava,
rendendolo ancora più irritato.
Non era di certo da Damon lasciarsi pestare senza
reagire, eppure per la prima volta nella sua lunga esistenza Damon si
sentiva disorientato, aveva perso
la bussola e
tutto ciò a cui era rimasto legato per troppo tempo sembrava
essere rovinato
per sempre.
E questo gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
«Stefan fermati!» ringhiò Lexie furiosa
tentando
di afferrare il minore dei Salvatore dal colletto sgualcito e macchiato
di
sangue della maglietta, ma un colpo repentino del vampiro la fece
allontanare,
facendola sbattere contro lo stipite della porta.
Un altro colpo secco al di sotto delle costole e
Damon tossicchiò piano strizzando gli occhi e aprendone il
destro per osservare
il suo carnefice.
Affondò le dita sul collo contratto e ingrossato
del fratello e lo strappò a forza da lui, giusto il tempo di
poter rizzare la
schiena e sputare il grumo di sangue che aveva in bocca.
Stefan aveva gli occhi rossi che trasudavano odio,
misto a lacrime e a tristezza, che lo rendevano alquanto instabile e
profondamente pericoloso.
Dal ringhio cupo che proveniva quasi come un
rantolo dal suo petto, Damon intuì che Stefan era
decisamente più che arrabbiato.
«Tu...hai fatto questo…a Caroline»
abbaiò furioso
caricando un altro pugno in mancanza di oggetti di legno abbastanza
appuntiti
da poter trafiggere il cuore di Damon per sempre – se mai
avesse avuto un
cuore!
Il vampiro dagli occhi azzurri questa volta fu
preparato all’attacco di Stefan e con un solo semplice gesto
spedì il fratello
a sbattere la nuca tra lo spigolo del tavolo e la libreria facendo
cadere con
un doloroso crepitio i vari fascicoli e volumi che riempivano la ben
fornita
libreria Salvatore.
Fu un secondo e i due tornarono a guardarsi in
cagnesco a pochi centimetri dai loro ghigni malvagi e furenti.
«Forse faresti meglio ad andartene, non sei più il
benvenuto qui» sputò fuori Stefan.
Damon represse un sorriso e, se non fosse stato per
l’odio accecante che nutriva in quel momento nei confronti
del fratello,
avrebbe ribadito riesumando la questione della proprietà di
quella casa e del
testamento che ovviamente garantiva i beni posseduti al maggiore dei
figli, ma
optò per rispondere a quella provocazione con un pugno in
piena faccia sperando
di procurargli la rottura del setto nasale.
«Non sono io lo stronzo che undici anni fa le ha
rovinato la vita» esordì acido Damon.
Lo sguardo, quello del demone che era stato
assopito in lui per tanto tempo.
«Ho detto basta» li rimproverò
nuovamente una
Lexie esasperata tentando di interporsi tra le due bestie inferocite,
ma un
gesto avventato di Stefan la costrinse a spostarsi per lasciare campo
libero ai
due.
Le guance della vampira si imporporarono di
stizza.
«Fate come volete, bastardi!»
esordì secca dileguandosi a velocità vampiresca e
lasciando i due vampiri insolitamente silenziosi e concentrati
l’uno sugli
occhi dell’altro.
Un latrato acuto e gorgogliante si levò per tutta
la stanza e i due fratelli passarono a demolire la camera adiacente al
salone.
Per quella notte, del pensionato Salvatore
sarebbero rimaste solo rovine.
Caroline
alzò un
sopracciglio infastidita e mostrò i canini ben luccicanti al
vampiro che con
mossa azzardata aveva afferrato incurante un biscotto
dall’elegante vassoio.
“Un giorno di
questi te le taglio quelle mani” abbaiò la bionda
gettando le presine da forno
sul ripiano cucina e artigliando furiosamente un fianco mentre con
l’altra mano
indicava il maggiore dei Salvatore con un che di accusatorio.
Damon sbaragliò
il suo sorriso più bastardo, mettendo in evidenza le
briciole che gli
contornavano le labbra dell’angolo destro della bocca.
“Piuttosto da quand’è
che fai la pasticciera?” chiese ironico il Salvatore
trangugiando un altro dei
biscotti e facendo emettere alla vampira un altro sospiro seccato.
Non che Caroline
fosse particolarmente interessata alla cucina o ad alcun tipo di
carriera come
pasticciera, anzi Stefan e Damon le avevano raccomandato più
volte di stare
lontano da pentole e padelle, cucinando loro al posto suo,
semplicemente in
quel pomeriggio della sua sesta settimana a casa Salvatore aveva
sentito il
bisogno impellente di fare qualcosa per i suoi coinquilini.
La verità era
che a Caroline mancava la sua famiglia.
“E’ una ricetta
di nonna Forbes. Da bambina me li preparava sempre quando andavo a
trovarla.” cinguettò
Care con aria sbarazzina dando ai biscotti l’ultima
spolverata di cannella.
“Dopo il
rapimento, i miei genitori non mi hanno più permesso di
andarla a trovare”
concluse diminuendo il tono di voce e sfregandosi le mani per eliminare
residui
di polvere o di briciole di cui era ricoperto il tavolo.
Gli occhi di
Damon si posarono sulla tenera figura di Caroline ed ebbe il fremito di
voltare
le spalle e lasciare la loro coinquilina in preda ai fantasmi del
passato, ma
alla fine roteò gli occhi cosciente dell’azione
decisamente disdicevole che
stava per compiere.
“E se ci
aggiungessimo dello zenzero? O scorza d’arancia? Giusto per
cambiare” esordì il
vampiro facendo roteare un biscotto – il terzo per
la precisione – davanti al naso di
Caroline ch,e con un sopracciglio inarcato, attendeva una spiegazione a
quell’aggiunta di ingredienti del tutto incomprensibile.
“Perché
mai
dovrei cambiare la ricetta di nonna Forbes?” sputò
indispettita la vampira
allontanando il vassoio dalla portata di mano del vampiro di fronte a
lei.
Il Salvatore
corrugò la fronte e schioccò la lingua.
“Sei sotto il tetto
di casa Salvatore, bimba. Per
cui cerca di creare una ricetta che sia degna di questo nome”
abbozzò Damon
sporgendosi verso il volto di Caroline per poi addentare furbescamente
il
biscotto, sbriciolandolo un po’.
Alla
vampira si
colorarono le guance di un lieve rossore o
almeno così avrebbe voluto Damon che fosse, visto che
l’imbarazzo le si poteva
leggere in volto.
“Perfetto!
Allora cominciamo” tintinnò la bionda facendo
ondeggiare morbidamente i folti
riccioli e tendendo la mano per aprire l’anta della credenza
e prendere
nuovamente il necessario – zucchero, farina, scodella, latte,
controllo.
“Mi
rincresce
dirtelo ma non sono qui né per aiutare un’insulsa
vampira maniaca del controllo
né tantomeno per cucinare biscotti”
latrò secco Damon e il viso di Caroline
s’incupì in un broncio fanciullesco.
“Sicuramente il
mio caro fratellino sarà felice di darti una mano”
intonò Damon rivolgendo uno
sguardo al soffitto, segno che era sua intenzione quella di
interpellare
volontariamente il minore dei Salvatore.
Il vampiro
ghignò impercettibilmente e si diresse verso il salone dove
lo stava attendendo
la sua adorata poltrona, lasciando la bionda fremente con il pacchetto
di
farina tra le sottili dita.
Una porta al
piano di sopra si richiuse e lo scricchiolio delle scale fece indurre
Caroline
a pensare ad un effettivo soccorso da parte di Stefan.
Ad ogni modo,
nonostante il tono sgarbato e burbero con cui Damon l’aveva
trattata, Caroline
non poteva non pensare che il vampiro celasse, dietro quelle parole,
buone intenzioni.
“Buoni?” sentì
dire da uno Stefan più che raggiante alla vista di Damon
sgranocchiare un altro
di quei sfiziosi biscotti.
E a Caroline
affiorò un sorriso alla vista del vassoio di trentasei
biscotti dal quale
mancava proprio il trentaseiesimo – il quarto -
rubato chissà quando dal vampiro
decisamente troppo goloso – e forse anche buono - quel giorno.
«Posso venire con
te?»
Anche se a fatica, con queste parole Caroline
spezzò il lungo silenzio che aveva ottenebrato
l’intero momento durante il quale
Katherine con fare quasi materno aveva pettinato delicatamente i suoi
boccoli
setosi e profumati.
Non aveva fatto domande, Kate, non l’aveva
sgridata, l’aveva semplicemente condotta nella sua camera,
svestita togliendole
quei rivoltanti e sudici vestiti di dosso uno alla volta,
finché non era
rimasta nuda e sporca.
Katherine aveva aperto il rubinetto della vasca da
bagno, facendo scorrere l’acqua grassa e calda che in breve
tempo avrebbe
sanato le cicatrici presenti nel suo corpo sottile.
Caroline si era immersa in quel vapore liquido, si
era illusa che l’acqua avesse potuto lacerarle la carne e
corroderla fino alle
ossa, aveva soffocato le urla agghiaccianti nell’acqua calda,
mischiando le
lacrime al sapone.
Katherine osservava; l’aveva avvolta in una candida
asciugamano e frizionato i capelli.
Aveva tirato fuori dall’armadio un grazioso
vestito lilla a balze con un adorabile cintura di cuoio, grande
abbastanza da
fasciarle la vita e lo stomaco.
E Caroline si era lasciata vestire, pettinare,
truccare quasi come se fosse stata una bambola. Non una di quelle
bambole dai
capelli setosi e il sorriso delizioso, con gli occhi grandi e la pelle
morbida.
Si sentiva come una bambola di pezza, dalle cuciture troppo grandi e
troppo
spesse, con la bocca storta e i capelli di lana, i bottoni al posto
degli
occhi: una bambola malata.
«Posso venire con te?» chiese Caroline
giocherellando con le setole appuntite della sua spazzola.
Katherine le sciolse uno dei tanti nodi che si
erano formati nei suoi capelli, fece una smorfia simile ad un sorriso e
posò la
spazzola in legno sul comodino.
La bionda le riservò un’occhiata in tralice
attendendo, con la fronte madida di sudore, una risposta.
«E dove vorresti andare?» domandò
divertita la
vampira capricciosa puntando gli occhi color nocciola sullo specchio
all’altezza di quelli color giada della sua interlocutrice.
«A casa.
Avrai un posto in cui tornare» balbettò Care
mordendosi il labbro inferiore con
un brivido di ribrezzo quando le dita sottili della vampira le
modellarono la
clavicola sinistra.
Katherine si aprì in un enigmatico sorriso a
mezzaluna, fece scorrere le dita lungo tutto il collo niveo da cui
sporgevano
le piccole fossette della trachea fino ad arrivare a contornare il
mento e le
sue labbra di cartapesta.
La bionda la guardava disorientata, come la preda
di un cacciatore troppo vile per ucciderla subito, che prima di
mostrare il
pugnale la guardava in ogni sua singola forma, ammirando la stazza e la
qualità
della sua vittima.
«Ma io sono già a casa, Caroline. Questa
è casa mia» soffiò e il volto
le
si tramutò in una diabolica maschera di ribrezzo, accentuata
dal sottile
sorriso dal quale trasparivano, come frecce da scoccare, i canini
scintillanti.
Caroline si sentì oppressa sotto il pesante ego
della vampira di fianco a lei tanto che ebbe l’impressione
che il pavimento
potesse cedere da un momento all’altro e che una voragine la
potesse
inghiottire così da obliare la sua esistenza
dall’intero universo.
Poteva sentire le sbarre di legno della sedia
comprimersi e scheggiarsi sotto il peso delle sue dita.
Ma c’era un qualcosa nella mente di Care, un
fotogramma quasi stropicciato e corroso dal tempo e
dall’usura.
Era riemerso dalla fitta foresta di immagini e di
dati che adesso affollavano la sua psiche rendendola un terreno
impervio e
scosceso, privo di quelle fenditure che per anni non avevano fatto
altro che
alleggerirle la coscienza, ciò che la bionda scherzosamente
più volte aveva riconosciuto
come il peso dei ricordi.
Adesso quel ricordo galleggiava in quella materia
inconsistente di sentimenti, come le assi di legno che placide vengono
trasportate dalla corrente dopo un naufragio. Non era il suo posto
quello, non
faceva parte della vasta gamma di sensazioni, odori, suoni, immagini
connessi
al periodo di prigionia con Stefan – il solo pronunciare quel
nome le faceva
male.
Quel ricordo era diverso, era più tetro e
soffocante quasi come la presenza della vampira alle sue spalle.
Nonostante la pelle perfettamente pulita e priva
di ogni sporcizia, si sentì viscida come la pelle di un
serpente, come quel
ricordo che le cingeva la testa e che le incuteva un terrore che covava
fin
dalle viscere del suo essere.
Se Caroline fosse stata ancora umana avrebbe
collegato quell’infausta sensazione al brivido di morte.
Si aprì in lei allora una gelida consapevolezza: non
era tutto finito, c’era qualcosa che ancora il suo passato
non le permetteva di
rigettare del tutto, il cosa era
stato di lei dopo il crudele agguato del suo carnefice.
E l’odore del sangue putrefatto tornò a spirare
insistentemente
attraverso le sue cavità nasali.
Non che Lexie fosse quel tipo di
vampiro
autoritario e di umore intrattabile, semplicemente sentiva la
necessità di farsi
rispettare.
Il picchiettio dei suoi tacchi sembrava essere
l’unico rumore fuoriposto in quella casa che, più
che una casa, la vampira la
stava sempre più considerando come un fronte di guerra.
Lexie aveva assistito a tante guerre, a rumori di
fucili e armi da fuoco, cannoni e tintinnio di spade sbaragliate, era
stata
attenta ai sibili delle bombe e delle mine vaganti.
Ne aveva visti tanti, forse troppi di uomini
morire a causa della guerra e adesso sembrava che il conflitto si fosse
insinuato anche tra le mura di casa Salvatore, vittima e spettatrice
inconsapevole della lotta che si consumava ormai da anni tra i suoi due
abitatori.
«Lexie, sei tu?»
La voce flebile di Caroline fece arrestare i passi
della vampira e al contempo ribollire la rabbia che ancora le offuscava
la
vista e non le permetteva di ragionare lucidamente.
La bionda espirò a lungo, chiudendo gli occhi
contornate da lunghe ciglia, per poi liberare una spalla dal peso
opprimente
dei capelli e decidersi a compiere quattro passi indietro
così da ritrovarsi
esattamente di fronte alla porta semiaperta della camera di Care.
Gli occhi grandi e spauriti, contornati da due
profonde occhiaie, sembravano chiedere appello al carattere forte e
deciso di
Lexie, tanto che la vampira a quella vista le si strinse il cuore, per
la prima
volta durante la sua lunga esistenza.
Caroline era seduta sul letto a due piazze,
trincerata dietro le due sottili gambe, e la schiena di cartapesta,
ricurva su
se stessa, la rendeva minuta ed estremamente effimera, come se qualcosa
la
stesse divorando dall’interno.
Il viso pallido e smunto agli occhi di Lexie appariva
quasi grigio e la sua esile figura sembrava perdersi tra le pieghe si
quel
vestito color lilla.
«Tutto bene?» chiese la vampira dai boccoli dorati
e la voce le si incrinò appena insieme alla fronte solcata
da leggere rughe.
Le labbra
della vampira dalla lunga treccia si stropicciarono appena e
molleggiò appena
sui talloni richiudendosi per bene la porta alle sue spalle.
«Che strano. Ti stavo per fare la stessa domanda»
esordì Lexie inarcando le sopracciglia e raggiungendo la
postazione della
vampira.
Caroline emise un sospiro che voleva essere quasi
uno sbuffo divertito, ma che in realtà celava al suo interno
l’immenso disagio
che avvertiva.
«Adesso ricordo. So cosa mi ha fatto Stefan e non
c’è più motivo per me di stare
qui».
Lexie poggiò la mano contornata di bracciali
scintillanti sul ginocchio ossuto di Caroline la quale alzò
lo sguardo,
assaporando il tepore di quel contatto.
Gli occhi color nocciola di Lexie si ingigantirono
ammaliando quelli color giada di Caroline la quale si sentì
penetrare da una
forza esterna, come se qualcuno stesse affondando le proprie mani in
quella
massa informe che era la sua mente ponendole dietro gli occhi immagini,
colori,
figure.
Era vivido in Lexie il ricordo dello squartatore
che Stefan era stato un tempo, le miriadi di corpi che continuava a
prosciugare
uno dopo l’altro, le urla di donne innocenti, le ossa divelte
di uomini
impotenti, il sangue che sorso dopo sorso lo nutriva fino allo stremo.
Quei
ricordi adesso erano anche di Caroline così come il profondo
orrore che denso
continuava a segnare ogni singola immagine, mentre nelle orecchie
rimbombavano
le lacrime inutili delle prede.
«Basta Lexie» mormorò appena portandosi
le dita
sulle tempie e arricciando gli occhi e il naso come per scacciare via
quei
pensieri, quel sangue, quello
Stefan
crudo e cinico che come una macchina impazzita perdeva i suoi
ingranaggi uno
dopo l’altro.
Ma la vampira continuava, il suo sguardo era acuto
e deciso.
E le immagini si susseguivano, si stracciavano, si
storpiavano ma dopo tutto quel sangue, quei graffi e lividi appariva il
volto
scarno e spiritato del Salvatore.
La mente di Caroline non poteva più reggere.
«Basta ho detto!» la ammonì alzando il
tono di
voce e questa volta artigliando ferocemente i capelli così
da comprimere meglio
le tempie e le orecchie.
Per un attimo il buio tornò a ricoprire lo strato
di ricordi della vampira, come se qualcuno avesse spento
l’interruttore della
corrente.
Le rughe sulla fronte si stirarono quando un
abbozzo di sorriso, simile ad una minuscola luce in mezzo a tutto quel
buio,
emerse nella mente di Caroline.
Lexie inclinò leggermente le labbra carnose al
pensiero di quei ricordi buffi, sani e genuini, ricordi di uno Stefan
che
nonostante tutto gli era mancato, di crisi, di scommesse, di litigi, di
risate,
di grande impegno e grande forza di volontà.
Erano ricordi soffusi, lievi, ma nonostante questo
Caroline associava quella miriade di sensazioni a dei colori,
tonalità di
arancione e di verde, di azzurro cielo o di bianco panna.
Lexie non era mai stata brava con le parole,
avrebbe potuto recidere il legame che aveva instaurato con la vampira
che le si
trovava di fronte se solo avesse tentato di spiegarle a voce.
Caroline aprì gli occhi e il tutto fu più chiaro
e
più luminoso.
«Devo rimanere qui e continuare quello che hai
fatto tu per lui. Giusto?» chiese quasi timidamente
rivolgendo lo sguardo alle
mani intrecciate al ventre.
Lexie inarcò un sopracciglio quasi pensierosa.
«Diciamo che quel vampiro è un vero disastro in
fatto di donne e serve qualcuno come me – e come te – a tirarlo su.
Andata?»
La vampira stese il braccio in direzione della
bionda che osservò i ciondoli del bracciale torturandosi il
labbro inferiore.
«Cos’è un’assunzione di
lavoro?» domandò
aggrottando la fronte, divertita.
Caroline tese la mano minuta e intrecciò le dita
sottili con quelle di Lexie.
Un boato sordo e duro si fece largo per tutto il
corridoio e Lexie poté giurare che anche le pareti avevano lievemente
ondeggiato al contatto con
il pesante urto.
«Cos’è stato?» chiese Care
artigliando le lenzuola
celesti e rivolgendo occhiate preoccupate alle pareti nude e grigiastre
della
sua camera, quasi con il terrore che si potessero sgretolare da un
momento
all’altro tanto fossero sottili e traballanti – ma
non era colpa delle pareti.
Lexie deglutì e sbuffò pesantemente gonfiando le
guance dal nervosismo: la sua mente aveva per un momento omesso il
piccolo
particolare della guerra che si stava consumando oltre quelle quattro
mura.
Poi un qualcosa fece scattare gli ingranaggi del
suo cervello.
«Ascoltami Caroline. Damon e Stefan hanno
intenzione di uccidersi a vicenda, nessuno li può fermare,
c’ho provato io
stessa ma è inutile. Ma tu, tu sei ciò che li
tiene uniti. Poni fine a questa
guerra. Ti prego»
Le parole sgorgavano intense e cariche di emozioni
dalle labbra di Lexie mentre la stretta delle sue mani aumentava
attorno ai
polsi di Caroline la quale guardava inorridita e con occhi sbarrati
tentando di
riformulare al meglio quelle parole che la fecero tremare fin dentro le
ossa.
Dagli occhi della vampira centenaria traballava un
lieve segno di paura mista a ricordi, anni e anni di faide e di lotte
che non
avevano prodotto altro che ulteriori divisioni e separazioni.
«Vai Caroline» ribatté Lexie con voce
decisa, ma i
piedi della bionda già si stavano muovendo veloci
giù per le scale di casa
Salvatore.
La desolazione del loro salotto, proprio come un
campo di battaglia al fine dello scontro, le provocò un
tremendo tuffo al
cuore: quella – si disse – era davvero una guerra.
“Se
non fossimo
dei vampiri crudeli e assetati di sangue, penserei di vivere insieme ad
Hansel
e Gretel nella casetta di Marzapane”
Damon non aveva
tutti i torti esclamando quelle esatte parole dopo solo undici
settimane da
quando la neovampira aveva deciso di coabitare sotto il loro stesso
tetto.
Caroline
varcando la soglia del grigio pensionato Salvatore aveva apportato
modifiche
alla disposizione dei mobili e alla pulizia della casa, così
da creare un
ambiente confortevole e adatto alla sua ubicazione forzata in quella
sorta di
reggia. Inutile dire che tali modifiche erano state apportate con il
pieno consenso
di Stefan e questo al maggiore dei Salvatore non garbava di certo.
Il vampiro
sorseggiò in pace il suo caffè bollente e si
beò della densa caffeina che
cominciava a defluire lungo le sue vene, donandogli quel tepore che il
sangue
in quel frangente non poteva purtroppo dargli.
La quiete venne
bruscamente interrotta dall’arrivo irruento in cucina della
loro nuova ospite
con al seguito uno Stefan a dir poco impacciato.
Damon soffiò
piano sul suo caffè ridendo sotto i baffi alla goffaggine
del fratello nel
rincorrere quello spiritello biondo.
“Caroline” la
ammonì allungando il braccio e tentando di acciuffare il
prezioso oggetto che
possedeva la vampira tra le mani e che con un furbesco sorriso lo
allontanava
dalla presa del Salvatore.
Care sorvolò il
ripiano della cucina con agilità e si rifugiò
dietro la figura imponente di
Damon il quale alzando gli occhi al soffitto pensò bene di
bere l’ultimo sorso
di caffè per poi adagiare la tazza blu nel lavabo.
Sospirò e
ruotandosi con gran velocità rubò tra le mani di
una sorpresa e stizzita
Caroline l’oggetto tanto conteso dai due vampiri.
“Vi state
rincorrendo per tutta la casa per questa?”
chiese Damon aggrottando la fronte e
inarcando le folte sopracciglia rigirandosi tra le mani il pesante
oggetto in
metallo: una Polaroid del 1976. A Stefan però, nonostante
l’evidente imbarazzo,
non poté che sfuggire un sorriso.
Caroline
allungò
il braccio, sbuffando per spostare un ciuffo ribelle
dall’occhio destro.
“L’ho trovata
mentre sistemavo i vestiti nel vostro armadio. Ho sempre desiderato
vederne
una” cinguettò contenta, impossessandosi
nuovamente della vecchia macchina
fotografica.
Non che Stefan
fosse così particolarmente legato a quell’oggetto
- che per di più il tempo
aveva fatto in modo che se ne dimenticasse – ciò
che lo inquietava
particolarmente era la vivida curiosità della vampira che la
spingeva giorno
dopo giorno a scoprire un nuovo particolare di quella casa che, il
Salvatore
sapeva bene, essere contenitore di oscuri e loschi ricordi.
La bionda aggirò
la marmorea figura del Salvatore e si riappropriò della
macchina fotografica
alitando sulla superficie metallizzata per spolverarla dalla leggera
patina di
grigiore di cui era ricoperta.
Il suo viso si
illuminò di un sorriso disarmante.
“Perché non ci
facciamo una foto?” esordì Caroline e Stefan per
poco non si strozzò con il
caffè che aveva cominciato a sorseggiare, emettendo
gorgoglii divertenti. Damon
si limitò semplicemente a mettersi lo strofinaccio sulla
spalla destra e ad
abbandonare quella conversazione.
Era passato del
tempo da quando entrambi i fratelli Salvatore erano stati immortalati
insieme,
in qualche ritratto o semplicemente visti in pubblico insieme. Per loro
appariva
qualcosa di innaturale. Ad essere sinceri, non ricordavano
più l’ultima volta
da umani che
avevano sorriso davanti l’obbiettivo di un’antica e
mal funzionante macchina
fotografica. Per loro dopo Katherine il tutto aveva perso significato e
non aveva
più senso indossare un sorriso di plastica che poi sarebbe
vissuto, in qualche
fotografia ingiallita, per sempre – del resto, come loro.
Il
vampiro dagli
occhi azzurri rivolse un’occhiata in tralice alla vampira il
cui sorriso
sembrava essersi incrinato appena, ben mascherato dalla cascata di
capelli
biondi che le circondava il volto.
Stefan rivolse
uno sguardo allarmato al pavimento per non incrociare gli occhi
indagatori del
fratello a pochi metri da lui.
Che Care avesse
potuto ricordare qualcosa da un momento all’altro, per Stefan
appariva sempre
tra le peggiori e più inquietanti delle
probabilità ogni qual volta che si
avvicinava anche di un solo centimetro alla sua esile figura. Eppure
non
avrebbe mai potuto negarle qualcosa, non adesso che finalmente,
chissà con
quale grazia, aveva ricevuto la possibilità di rimediare ai
suoi errori.
Schioccò la
lingua come a voler parlare, ma il braccio di Damon attorno alle
morbide spalle
della vampira gli fecero mancare nuovamente le parole.
“L’hai sentita? Renditi
utile e fai funzionare questo macinino”
Damon piegò gli
angoli della bocca in un sorriso e sulle guance di Caroline si
formarono due
splendide fossette, nonostante la rigida postura assunta a causa della
vicinanza del Salvatore.
Il minore dei
Salvatore non fece in tempo di riprendersi del tutto che già
i due si erano
spostati dalla cucina dirigendosi verso l’ampio salone.
“No aspetta -
Damon” aveva farfugliato Stefan nella vana speranza che il
fratello lo potesse
sentire – o meglio lo potesse ascoltare.
Caroline
si
posizionò sul divano a gambe incrociate e guardò
con occhi impazienti e carichi
di ansia i due coinquilini che tuttavia continuavano a guardarsi in
cagnesco.
Si rabbuiò.
“Ma è solo una
foto” provò a dire increspando la fronte diafana e
corrucciando le fini
sopracciglia.
“Stefan, per
favore” continuò con sguardo supplicante e in
quegli occhi color giada Stefan
rivide la stessa bambini di solo undici anni prima. Il terrore del
ricordo lo
fece deglutire rumorosamente.
Sospirò
arrendendosi e quel gesto fece tornare il sorriso alla vampira.
Damon si adagiò
sul divano e a Stefan non rimase altro che azionare quella vecchia
Polaroid a
fotografie istantanee.
“E mi raccomando
sorridete” li ammonì la bionda un secondo prima
che la macchina immortalasse le
loro espressioni per sempre.
Le mani di
Caroline erano strettamente intrecciate a quelle dei due fratelli che
seppur
titubanti avevano acconsentito a quel contatto.
Nonostante la
foto leggermente annerita e non perfettamente lucida come quelle
moderne, Caroline
era pur certa che tutti loro sorridevano. Almeno in foto, erano felici.
Le schegge di legno si conficcavano
all’interno
della suola delle scarpe di Caroline e ogni passo corrispondeva un
nuovo tipo
di urlo, di grugnito, di chissà quale orribile smorfia di
dolore.
Le aveva già sentite quelle urla, aveva già
percorso lunghi corridoi con le orecchie otturate e gli occhi
socchiusi,
attendendo che il silenzio ritornasse a piombare tra le fredde mura
della sua
casa – della sua vecchia
casa.
Caroline ricordava i litigi prolungati di sua
madre, gli oggetti lanciati, le urla e le parole sputate in piena
faccia. Aveva
ascoltato in silenzio, le gambe a penzoloni tra le sbarre della scala,
il petto
troppo vuoto senza qualcosa da stringere, senza qualcuno
a cui aggrapparsi.
E adesso a distanza di anni dalla separazione dei
suoi genitori si rivedeva in quella bambina, una bambina la cui
famiglia si era
rotta così come può rompersi un piatto del
servizio o un vaso di porcellana.
Niente più colazione insieme, niente più baci
prima di addormentarsi da mamma e papà, niente
più l’odore di dopobarba misto
al profumo della mamma. Niente, solo echi profondi. Ma adesso Caroline
era
diversa, era cresciuta e non era più una bambina –
ma faceva comunque male.
La vampira piombò nella sala dove si stava
consumando la feroce battaglia che vedeva entrambi i fratelli a terra,
martoriati e ricoperti l’uno del sangue dell’altro.
La polvere si addensava come nebbia in quello che
fino a poche ore prima era stato il salone della loro casa: la libreria
era
divelta e le pagine dei libri svolazzavano come anime dannate, il
divano era
stato sbalzato all’indietro e parte
dell’imbottitura usciva da una delle tante
fenditure, le pareti erano graffiate e lacerate dai continui tonfi a
cui
avevano dovuto opporsi.
Caroline raggelò alla vista di quel triste
scenario e le salirono le lacrime agli occhi nonostante cercasse di
localizzare
da quale parte di quel rastrellamento provenissero i mugolii.
«Smettetela, sembrate due ragazzini» li
rimproverò,
ma la sua voce, nonostante fosse carica di ammonimento,
risultò flebile alle
orecchie dei Salvatore che malconci a terra continuavano a combattere a
suon di
pugni e calci.
La bionda non ricevette una risposta verbale ma il
vampiro che venne sbalzato dall’altra parte della parete fu
di certo una delle
più esaurienti delle risposte attese.
Damon si portò il dorso della mano alle labbra per
pulirsi dal sangue che inevitabilmente era sgorgato dalla narice
sinistra. Gli
occhi ancora grandi e lucidi di rabbia ardevano quasi quanto la luce
intensa e
sfavillante delle luci guizzanti delle fiamme del camino ancora acceso.
Sputò a
terra e si portò le mani ai capelli tamponandosi la fronte
madida di sudore con
le dita delle mani ancora frementi e pronte a chiudersi a pugno.
«Stanne fuori Caroline, è una questione tra me e
lui» ringhiò il maggiore dei Salvatore ancora
ricurvo su se stesso e con il
fiato pesante.
Stefan tossicchiò strisciando sul pavimento,
anch’egli ricoperto da linee di sangue lungo la tempia
sinistra.
Avrebbe dovuto ripudiarlo, Caroline, avrebbe
dovuto sputargli in faccia e lasciarlo lì a marcire tra le
spesse mattonelle
fredde del pavimento, ma Care non era mai stata una persona egoista e
nonostante il disprezzo e l’odio che ancora covava nei suoi
confronti non
riuscì a trattenere a lungo lo sguardo su quella scena.
«Ha ragione Damon, vattene Caroline»
balbettò il
vampiro con voce rauca facendo leva sugli avambracci per riuscire ad
alzare lo
sguardo, stanco e spaesato, e intercettare due occhi color giada.
La bionda sbatté più volte le palpebre con un
groppo alla gola, scuotendo i folti riccioli biondi come per convincere
più se
stessa che i due fratelli che non fosse la cosa più giusta
da fare.
«Io non andrò da nessuna parte, mi dispiace per
voi» ammise e le nocche delle mani sbiancarono violentemente.
Damon arricciò le labbra in una smorfia di ira.
«Non sarà più come prima, niente
sarà più come
prima. Non saremo mai la famiglia che volevi tanto che fossimo, non
ricominceremo
tutto da capo. Tu sei quella bambina che undici anni fa il coglione di
mio
fratello ha torturato, perciò smettila di far finta che non
ti importa,
smettila di fare la bambina”
Il Salvatore si avventò su Caroline vomitandole
addosso parole fredde e crudeli tanto che la bionda dovette chinare la
testa
mentre lacrime amare venivano intrappolate dalle lunghe ciglia nere.
«Mi importa invece, ma non voglio di nuovo perdere
tutto» gracchiò
Caroline aumentando
il tono di voce e riuscendo finalmente a sovrastare le imprecazioni del
vampiro
dagli occhi di ghiaccio.
«Smettila Damon, ora stai esagerando» lo
ammonì
Stefan che barcollante era riuscito a reggersi in piedi trattenendosi
saldamente alla parete.
«No Stefan, sei tu che hai esagerato»
abbaiò il
Salvatore tentando di liberarsi dalle mani di Caroline che gli
impedivano di
avventarsi nuovamente contro il fratello.
In un momento la vampira si ritrovò compressa dai
toraci marmorei di entrambi i fratelli.
Un tonfo sordo e secco.
Caroline neanche si accorse di aver preparato la
mano che già le sue dita segnavano quattro scottanti segni
sulla guancia del
minore dei Salvatore il cui viso adesso pallido e assorto era rivolto
verso le
lingue di fuoco del camino.
Care strinse le labbra e aggrottò la fronte
mantenendo solido lo sguardo sulla figura di Stefan quasi come se
volesse
intercettare ogni sua singola mossa.
Damon assisteva alla scena da dietro i boccoli di
Caroline.
«Me ne vado -» annunciò il Salvatore e i
suoi
occhi azzurri si sgranarono mentre rivolgeva uno sguardo esausto al
soffitto «-
come avrei dovuto fare ben sette mesi fa»
A Caroline tornò in mente la figura di suo padre,
le valigie stipate sull’uscio di casa, lo stesso tono di
qualcuno non più
desiderato. A Caroline tremarono le ginocchia.
«No, se c’è qualcuno che se ne deve
andare quello
sono io»
Lo sguardo di Stefan era impotente e privo di
alcuna scintilla vitale, congelato di fronte al viso di porcellana
della
vampira dallo sguardo spaurito e all’aria di profondo astio
che gli riservava
il fratello.
La bionda ordinò alla mano destra di alzarsi, di
afferrare la camicia del vampiro nella speranza di trattenerlo e di
farlo
rimanere, ma quando la mano rispose al suo comando ciò che
Caroline stava
trattenendo era soltanto aria.
La vampira si mosse veloce dal posto in cui era, i
suoi piedi sembravano così leggeri – d'altronde
come il resto del corpo.
Lo stridio della cerniera abbottonata di tutta
fretta della giacca del Salvatore le consentì di arrivare
appena in tempo di
fronte alla porta di casa prima che questa venisse lasciata malamente
aperta
dal vampiro.
Caroline si spinse avanti fino ad apparire sulla
soglia della pensione, la linea di confine tra la sua prigione e il
mondo
esterno, un mondo che non era più suo.
Si umettò le labbra screpolate seguendo con lo
sguardo la figura del Salvatore che tra l’oscurità
del tardo pomeriggio si
allontanava sempre di più, tra il grigiore del nevischio.
E si sentì impotente, priva di scelta e inchiodata
alle assi di legno di quella casa.
Se n'era andato, suo fratello
se n'era andato.
Udì una presenza alle sue spalle e si irrigidì
premendo maggiormente le dita sulla superficie in legno della porta.
«E ora? Che cosa
faremo?»
Damon poggiò la mano
sulla spalla della vampira dalle braccia ben strette al petto - forse
con la
paura che anche lei potesse scappare.
«Continueremo a vivere,
Caroline» sussurrò deciso aumentando la stretta
attorno alle esili spalle della
vampira.
Per Damon non era di
certo la prima e l’ultima volta che la sua famiglia si
disgregava, per lui che
anche quando c’era stata non ne aveva mai avuta una.
Caroline digrignò i
denti alla parola vivere.
«Continueremo e basta»
ammise stanca la vampira richiudendo la porta della sua nuova prigione.
Ma il mostro non se n'era andato:
era ancora lì, dentro casa.
***
Eccomi
ritornata miei cari, innanzitutto vorrei scusarmi per il tremendo
ritardo nell'aggiornare il capitolo ma è stato
particolarmente difficile e non ne sono affatto pienamente soddisfatta
ma ahimè non potevo lasciarvi senza ancora per un altro
mese! Riprendiamo da dove eravamo rimasti: Caroline che aveva scoperto
tutto, la discussione con Stefan e la sua decisione di andarsene da
casa Salvatore. La scena in questo capitolo di riapre con la lotta tra
i due fratelli, litigio che era scaturito da una frase di troppo da
parte di Damon. Alla situazione attuale ho pensato che sarebbe stato
carino un contrasto con flashback delle settimane di convivenza del
trio e quindi focalizzare l'attenzione sul concetto di famiglia,
proprio come nel primo flashback. Si ritorna dunque al presente con
Kate che si occupa di Caroline quasi come se fosse davvero una bambina
e Care, in un tentativo disperato, le chiede di poter andare via con
lei ma la Petrova la stupisce dicendole che quella è casa
sua, aspetto che si risolverà quanto prima nei prossimi
capitoli finali, così come i residui di ricordi ancora
presenti nella mente di Caroline; e tra rimbombi e urti, le riflessioni
di Lexie erano doverose, e in questo frangente l'ho immaginata quasi
come una soldatessa, una marine per rendere l'idea, dalla disciplina
severa ma anche spaventata, stroncata a metà dall'ennesima
guerra; quindi tenta di far capire a Caroline con i ricordi che Stefan
ha bisogno di lei per non tornare ad essere quello di un tempo, Lexie
glielo chiede quasi come un favore personale, e all'ennesimo urto la
vampira affida alle mani di Care la situazione perchè
è lei la sola che può porre fine alla guerra. E
dopo il flashback, tenero a dir la verità con come
protagonista indiscussa la Polaroid del 1976, si passa al momento
più crudo e triste che ho dovuto scrivere: il litigio
definitivo tra i fratelli e Caroline. Credetemi è stato
davvero difficile trovare le parole adatte e spero vivamente che
abbiate capito un po' il senso e che non sia stato quindi soltanto uno
spreco di tempo. Stefan decide di abbandonare il tetto della pensione e
Caroline non può fare altro che assistere impotente alla
scena rimanendo in casa con Damon, Lexie e a suo malgrado Katherine che
è ,penso sia facile da intuire, il mostro della situazione.
Quindi adesso l'unica domanda è: per cosa Katherine si vuole
vendicare e in cosa consisterà la sua vendetta? La
situazione a casa Salvatore cambierà con l'assenza di Stefan
e il tutto prenderà una piega negativa che
porterà inevitabilmente allo scontro finale. Grazie ancora
per chi legge e nonostante questa storia non sia segnalata per le
preferite, non abbia tantissime recensioni, io la considero la mia
piccola operetta ed è stata resa tale solo grazie a voi.
Spero di poter aggiornare presto.
Un bacio,
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14.Caccia ***
UCCC
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
14.
Caccia
Il gorgoglio insistente della caffettiera e il
tanfo di caffè bruciato inebriò
l’intera cucina di casa Salvatore tanto che
Lexi si chiese come mai i sensori antincendio non si fossero ancora
attivati.
Con passo altisonante fece il suo ingresso facendo
sfavillare i bracciali d’acciaio sotto l’orrenda
luce a neon della cucina.
«Buongiorno» esordì Katherine moscia dal
suo alto
piedistallo sorseggiando una tazza ben colma di B negativo, sicuramente
corretto
con qualche superalcolico.
La vampira bionda gonfiò le guance ricoperte di
fondotinta.
«Ti turba effettuare due metri e mezzo e spegnere
il gas della caffettiera?» chiese artigliando i fianchi e
scoccando un’occhiata
omicida a Kate la quale, con gesto fanciullesco, tirò fuori
la lingua per poi
portare nuovamente alle labbra il bicchiere di cristallo – la
sua colazione.
La vampira bionda sbuffò maledicendo persone e
cose non definite mentre le mani armeggiavano con lo strofinaccio per
ripulire
il ripiano cucina dai residui di caffè bruciati e oramai
incrostati sulla
ceramica.
«Buongiorno signore»
Damon varcò la soglia della cucina, inclinando
leggermente il capo in segno di saluto e occupando come sempre la
seconda sedia
alla destra del tavolo – la sua postazione.
Stirò il braccio così da raggiungere e agguantare
il quotidiano spiegazzato posto sopra la cesta da cui solitamente
traboccavano
fette biscottate e biscotti e da cui invece quel giorno si vedevano
solo
briciole e il triste candore del tovagliolo.
Le lunghe ciglia della vampira mora di alzarono
leggermente giusto per dare il tempo agli occhi di osservare
l’umore del
Salvatore quella mattina.
«Come siamo di buon’umore oggi»
cinguettò lasciva
allontanando il bicchiere mezzo vuoto di sangue e facendo diventare il
disturbare il vampiro di fronte a lei la sua unica occupazione.
La fronte di Damon si stropicciò così come gli
angoli della sua bocca sebbene gli occhi azzurri rimanevano incollati
alle
minuscole lettere nere e grigie del giornale.
«Ogni giorno la tua capacità di capire esattamente
l’opposto di ciò che sono mi stupisce sempre di
più. E’ un dono che non tutti
hanno»
Il sorriso sornione e sfacciato di Damon fu
sufficiente per far si che l’espressione della vampira dai
vaporosi riccioli
scuri mutasse da un allegro e sbarazzino sorriso a un broncio ostile e
accusatore.
Solo questioni di minuti e il tavolo della cucina,
così finemente intarsiato e sul quale erano appoggiati i
gomiti del maggiore
dei Salvatore, sarebbe stato scaraventato contro le pareti malridotte
della
povera pensione.
Solo questione di minuti.
Lexi aveva già incominciato il conto alla
rovescia.
Non era un semplice litigio quello di quella
mattina, ma a parere di Damon quella sceneggiata si susseguiva ogni
giorno con
una periodicità di sei ore e che portava inevitabilmente
alla distruzione di
qualche oggetto della casa, di qualunque genere –
frigorifero, lampadario,
televisore, specchio.
Questo
a parere di Damon.
Secondo Lexi invece quello era la nuova attività
fedelmente di appartenenza del Salvatore per far trascorrere
velocemente il
tempo, nella speranza che non sopraggiungesse la noia.
Ma la verità era che a tutti in quella casa mancava
Stefan, e Katherine questo lo sapeva, lo sapeva eccome.
«Potresti essere più gentile, dopotutto sono
ancora le nove di mattina e lei
ancora non è scesa» latrò la vampira
dagli occhi nocciola, picchiettando le
unghie contro la superficie legnosa e affogando facilmente
l’impeto di
sferrargli un pugno, impedendo così che si compisse il
rituale litigio
mattutino.
Gli occhi azzurri di Damon si screziarono di rosso
giusto il tempo di scoccare un’occhiata assassina alla
suddetta vampira per poi
spostarsi alla ricerca del volto alquanto rabbuiato di Lexi.
«Lei dov’è?» chiese e senza
accorgersene aveva
inserito nel suo tono di voce più preoccupazione di quanto
effettivamente
voleva far trasparire.
La bionda si rifiutò di rispondere e al contrario
si torturò il labbro inferiore, lasciando che il silenzio
inghiottisse vivi i
presenti in quella sala.
Il Salvatore socchiuse maggiormente gli occhi e
inarcò un folto sopracciglio nero lasciando che una vena
pulsasse vivacemente
sulla tempia sinistra.
«Dimmelo, Lexi» ordinò nuovamente,
questa volta
mostrando un po’ più di contegno.
A Katherine sfuggì un sorriso per quello sforzo
effettuato dal Salvatore.
Lexi sospirò, allacciando le braccia al petto e
sentendo lo sguardo furente del vampiro di fronte a lei farsi sempre
più insistente
ed irritato.
«Nella sua stanza» annunciò e vide un
leggero
tentennamento nell’espressione arcigna di Damon.
«Come ieri del resto» aggiunse Kate puntualizzando
la situazione.
Il vampiro si tamponò la fronte con le dita, si
umettò le labbra e incrociò le caviglie sfiorando
appena il duro anello in
ottone che aveva sull’indice sinistro.
«Sta bene, vero?» chiese guardandola di sottecchi
e ignorando i commenti poco opportuni di Katherine che nonostante tutto
non
aveva abbandonato la sua postazione, quasi come se quella scena
così delicata
fosse così importante da prenderne parte.
Lexi cominciò a sudare freddo.
«E’ malata, Damon» disse stringendosi
nelle spalle
e puntando i suoi occhi verdi oliva in quelli del vampiro,
profondamente scosso
da quella costatazione.
«No, ti sbagli. E’ solo triste -»
pronunciò prima
di bloccare la mano a mezz’aria e rendersi conto della
veridicità delle proprie
parole «- beh, non che sia meglio di una malattia, sempre
meglio del cancro
comunque» concluse inarcando un sopracciglio e scoccando
un’occhiata alquanto
perplessa alla vampira dai lunghi capelli biondi.
Un boato sopraggiunse dal piano superiore e le
pareti tremarono a tal punto che dal soffitto poco stabile cadde
qualche
calcinaccio frantumandosi inevitabilmente sulle mattonelle scheggiate
del
pavimento.
Il Salvatore roteò gli occhi e con un gesto stanco
avvicinò a se il bicchiere ancora colmo di sangue rifiutato
precedentemente da
Katherine.
Un altro rumore metallico e questa volta anche
rumore di vetri rotti – quanti altri specchi avrebbe potuto
rompere?
Un’occhiata eloquente di Damon bastò a Lexi per
capire che anche quella volta sarebbe toccato a lei risolvere la
situazione.
«Vado io. Per questa volta» borbottò
mentre si
dirigeva a passo spedito verso le ampie scale secondarie che
l’avrebbero
condotta più velocemente alla stanza di Care –
sempre se fosse stata ancora
nella sua stanza.
La cucina adesso sembrava un luogo ancora più
solitario solo con Damon e Katherine.
«Adesso puoi anche permetterti di essere un po’
più
gentile» ammiccò la vampira sgusciando tra le
sedie posizionandosi sempre più
vicino al Salvatore.
La sua risposta fu l’alone di caffè che si
formò
sulla parete bianca al seguito del lancio della caffettiera bollente da
parte
del vampiro furibondo.
“Signor
Salvatore dovete prendermi se volete vincere al gioco”
Era più che raro per Stefan sognare, per di più
negli ultimi mesi era diventato quasi impossibile a causa dei pesanti
sensi di
colpa che gravavano sulle sue spalle, tenendolo insonne per parecchie
notti
sotto il tetto incurante del pensionato.
Eppure la sua mente stava vagando in un remoto
passato senza una ragione alcuna.
“Non
è consono
per una signorina bella come voi correre e sciuparsi il
vestito”
Katherine
arrestò i suoi passi e con le guance leggermente
rosate appoggiò le dita sottili sulla corteccia ruvida della
quercia che aveva
di fronte. Un sorriso leggero e sbarazzino a spiegazzarle il viso.
“E’
così bello
il vostro giardino” disse accompagnando le parole con
un ampio gesto
della mano destra mentre con la sinistra lisciava le pieghe della gonna
di seta
blu.
Stefan sorrise obliquamente e avanzò con le mani
intrecciate dietro la schiena, scansando con gli stivali i mucchi di
foglie
gialle che erano rimaste incastrate tra le spesse radici
dell’imponente albero.
“Vi
confesso che
sono lieto che mio padre abbia deciso di prendersi più cura
di questa parte dei
nostri possedimenti. Un giardino pulito è sinonimo di
bellezza e raffinatezza”
Il Salvatore tese la mano
munita di un soffice
guanto bianco e sfiorò la superficie legnosa e si
beò del tepore che la pianta
emanava, quasi come se fosse propria di vita.
E nella profondità dei suoi occhi Katherine vi si
immerse, beandosi dopo secoli di quella brezza autunnale che le
solleticò la
nuca resa libera dai riccioli raccolti e cascanti sulla spalla destra.
Stefan sollevò lo sguardo e puntò gli occhi color
giada su quelli della vampira che rispose a quell’attenzione
con un sorriso
genuino, prima di continuare il suo discorso.
“Ma
non solo di
questo, signor Salvatore. Un giardino ben curato è anche lo
specchio della
nobiltà di una persona, della purezza, della sua stessa
anima”
La fronte di Stefan si
corrugò impercettibilmente,
ma di questo Katherine non se ne accorse, troppo intenta a rimirare i
finissimi
nodi che si intrecciavano nel corpo curvilineo dell’albero.
“Se
fosse così,
questo giardino sarebbe il suo. Solo lei può avere
un’anima candida, e pura, e
bella quanto lo è questo prato” sussurrò lieve e con
l’indice le sfiorò le labbra fino a ricongiungersi
con il mento e sollevare i
suoi occhi color nocciola dal tappeto di foglie rosse e gialle
sottostanti.
“Mi
credete solo
degna di questo giardino? Ma la vostra casa e il vostro giardino sono
due
luoghi troppo distanti. Come le nostre due anime, in fondo”
Katherine portò
le due dita a cingere le pieghe
del vestito e con l’altra si aggrappò al braccio
del suo accompagnatore
implicitamente invitandolo ad incamminarsi sulla via del ritorno.
“Non
dovete
pensarla così, signorina Pierce” la ammonì Stefan con
tono
quasi paterno, volgendo lo sguardo più sul profilo di Kate
che al terreno
impervio sul quale camminavano.
“Casa
Salvatore
è un luogo chiuso, austero, tenebroso. Non si addice a uno
spirito libero come
il vostro. Voi avete bisogno dell’aria, del vento, di spazi
aperti per poter
sopravvivere. Lo sapete, Katherine.”
Un lieve senso di vertigine
si impossessò della
vampira tanto da farle aumentare la stretta attorno al braccio del
Salvatore.
C’era un qualcosa nei modi di fare di
quell’individuo, nei gesti semplici e nobiliari, da vero
gentiluomo del Sud,
che facevano vacillare l’animo di per se oscuro di Katherine.
Non si trattava di debolezza dovuta alla sete di
sangue, ma di un senso di benessere che sgorgava dal suo essere, solo
ed
esclusivamente quando era accanto a Stefan.
Lo aveva represso più volte, aveva premuto
l’interruttore così da rinchiudere quel sentimento
nascente, ma a volte lo
lasciava facilmente perforarle la pelle e attraversarle quel che ne era
rimasto
della sua anima. Ma Katherine non era fatta per ricevere amore, questo
l’avrebbe solo uccisa.
“E
se lo
volessi, Stefan? Se desiderassi con tutto il mio cuore di non essere un
giardino ma di essere una casa - la vostra casa - mi portereste con
voi?”
Stefan piantò
gli stivali sul terreno ricoperto di
foglie autunnali e Kate sciolse morbidamente la mano
dall’incavo del braccio
del suo accompagnatore.
Dagli occhi del Salvatore, Katherine poté già
gustare sulla punta della lingua il sapore dolce della vittoria
premeditata e
già ottenuta.
“Vi
giuro Katherine,
sulla mia vita, che quella casa sarà vostra, e solo
vostra”
puntualizzò Stefan allungando il braccio per solleticare la
pelle della guancia
leggermente olivastra della vampira la quale, nonostante la fiducia
sconfinata
che riponeva in lui, aguzzò gli occhi color cioccolato
desiderosa di avere
conferma dal suo interlocutore. Dopotutto più che un
giuramento, quello suonava
essere un accordo.
“State
attento,
signor Salvatore. Una promessa si mantiene, un accordo si rispetta. E
io non
intendo rammaricarmi per una vostra dimenticanza”
annunciò Katherine con una punta di finta arroganza sebbene
sapesse che niente
avrebbe potuto intralciare i suoi piani.
Non che Katherine avesse realmente il desiderio di
dimorare presso casa Salvatore per sempre, semplicemente il capriccio
di
intrufolarsi all’interno delle loro vite era così
grande a tal punto da
escogitare quella richiesta.
In fondo, una casa le sarebbe sempre tornata utile
in futuro.
“Non
potrei accogliere nessun altro a parte
voi” concluse il minore dei Salvatore allargando il
sorriso così da
ottenere un’espressione serena e rilassata, la cui durata
però non fu delle
migliori.
D’un tratto il giallo e l’arancione delle foglie
si tramutò in rosso scarlatto, delineando una scia macabra
la quale gli occhi
del Salvatore furono costretti a tracciare, aumentando il disgusto e il
ribrezzo laddove il sangue si addensava maggiormente.
“Vi
amo, Stefan.
Ricordatelo”
Il sussurro di Katherine
divenne sottile,
ovattato, quasi come se la sua immagine stesse scomparendo, quasi come
se non
fosse fatta altro che di fumi e nebbia.
Come un dipinto ad acquerello, i colori del
giardino cominciarono a mescolarsi, la linea rossa a farsi sempre
più marcata,
l’aria a tappezzarsi di pietre grigie e il prato a
irrigidirsi al di sotto dei
piedi del Salvatore attonito.
E fu quasi come se a Stefan avessero strappato via
la felicità senza mai più ritrovarla.
Si sentiva in gabbia - e non era l’unico.
“Voglio
tornare
a casa”
I singhiozzi
dell’esile figura che chiudeva il suo
campo visivo gli penetrarono in testa solcando rughe profonde sulla sua
fronte.
Le guance rigonfie della bambina dai capelli
biondi e disfatti erano violacee e rigate da copiose lacrime.
“Posso
venire a
casa con te?” chiese e gli occhi color giada
della Caroline
bambina rubarono solo per un secondo l’attenzione del
Salvatore.
C’era una strana sensazione che gli pervadeva il
corpo - e non era solo nel sogno.
Il terreno sembrava trasudare quel siero,
imbrattando di rosso tutto ciò che incontrava.
C’era un pregnante odore di ruggine tra le pareti di
casa Salvatore, sui vestiti candidi di Stefan.
C’era del sangue sul collo niveo di Caroline,
tanto sangue sulle labbra a mezza luna di una Katherine moderna.
E poi c’era il mostro
e con esso anche la fame – di lei.
E con quell’immagine raccapricciante il Salvatore
aprì gli occhi in quella mattina piovosa, speranzoso di
risvegliarsi nella sua
camera alla pensione, ma tutto ciò che sentì
sotto il peso del suo corpo fu la
fredda brandina e le lenzuola ruvide e marce
dell’appartamento squallido che
ormai da tre giorni era diventato la sua dimora.
Per quanto avesse cercato di allontanarsi da
Mystic Falls, di fuggire in altri paesi – Georgia, Messico,
Maine – c’era
qualcosa che lo sospingeva sempre più a nord, sempre
più vicino a casa.
Stefan si tamponò la fronte madida di sudore e
boccheggiò l’aria malsana di quella mattina,
strizzando gli occhi cerulei e
cercando di placare il tremore delle mani.
Stava lottando con il suo istinto di ritornare
alla pensione, di presentarsi di fronte alla porta di una casa in cui
non era
più il benvenuto.
Nonostante la consapevolezza che quello fosse solo
un incubo, in cuor suo il Salvatore nutriva un’incondizionata
paura: che il
cattivo in fin dei conti non fosse solo Katherine.
Con abile maestria Damon fece
entrare l’ultimo
bottone all’interno dell’asola della sua camicia
nera.
Un sorriso soddisfatto a dipingergli il viso
nonostante i turbamenti che gli flagellavano l’anima.
«Fuori piove. Dove hai intenzione di andare?»
chiese Katherine frizionandosi i capelli con un morbido asciugamano del
medesimo colore di quello che le fasciava il corpo sinuoso.
«A comprare le sigarette» rispose in maniera
sarcastica roteando gli occhi fino a incrociarli con il soffitto.
«Non vorrei che qualcuno entrasse e ci trovasse in
condizioni come dire indecenti»
cercò
di spiegare il maggiore dei Salvatore indicando il sottile strato di
cotone che
rivestiva la pelle della vampira e inarcando leggermente un
sopracciglio.
Kate emise un risolino che più che una risata
sembrava uno sbuffo.
«Oh Damon. Non cambi mai» mugolò con
un’aria di
superiorità la vampira che scomparì nuovamente
oltre la porta del bagno.
«Potrei dire la stessa cosa di te»
borbottò il
vampiro a voce bassa.
Non che a Damon facesse piacere quella malsana
relazione che aveva riallacciato con la vampira centenaria,
semplicemente gli
eventi dell’ultimo mese lo avevano talmente irritato da
decidere di abbandonare
i suoi sani principi e di ripercorrere la strada della perdizione che,
non
aveva detto a nessuno, ma tanto gli era mancata.
Perché Damon Salvatore non poteva permettersi il
lusso di apparire buono quando in lui di buono non ce n’era
molto.
«Vado da lei»
La frase spezzò il silenzio spettrale che si era
venuto a creare tra le pareti della stanza del Salvatore e solo il
rumore
ovattato dell’asciugacapelli oltre la porta del bagno
sembrava consolarlo di
non essere da solo ma in compagnia.
Che quelle parole che aveva appena pronunciato
suonassero come già dette in passato, questo Damon se ne
rese conto solo dopo
una manciata di secondi.
Non a caso il sorriso amaro che gli stropicciò le
labbra era proprio legato a questo. Ricordava il tono preoccupato ma
stanco con
cui il fratello soleva informarlo la sera prima di andare a dormire,
quando le
tenebre scendevano su casa Salvatore e il pericolo di una sua crisi si
faceva
più imminente.
Damon a quel tempo era solito roteare gli occhi al
cielo, apostrofare il fratello con qualche battuta sarcastica, o
semplicemente
annuire incurante, come se la questione non gli riguardasse.
A distanza di mesi adesso era lui a pronunciare
quelle parole e se avesse potuto si sarebbe preso a calci da solo tanta
era la
rabbia verso se stesso.
Non era da lui quel comportamento, non era da lui
e basta. Ma qualcuno doveva pur farlo.
«Non penso sia una buona idea» annunciò
Kate,
roteando il pomello della porta del bagno e dirigendosi verso
l’armadio in
cerca dei suoi vestiti.
Damon fece per andarsene quando il rielaborare
quella frase lo fece desistere dall’idea di abbandonare la
stanza.
«Da quando ti preoccupi della mia vita?»
ribatté
con tono non troppo meravigliato, inarcando spazientito un sopracciglio
e
inchiodando lo sguardo sulle spalle nude e ricurve della vampira.
Katherine si alzò, facendo ciondolare i boccoli
setosi e che profumavano ancora di bagnoschiuma.
«E’ pericolosa, Damon. E’ un aborto della
natura»
Il tono tagliente con cui la vampira aveva sputato
quelle parole non intimorì Damon né lo fece
vacillare. Kate continuò.
«Ho fatto in modo che Stefan se ne andasse. Ora è
al sicuro. Tu, no»
«A te è sempre importato solo di Stefan.
Perché
dovrei credere che questa volta sia diverso?»
abbaiò Damon avvicinandosi
lentamente alla vampira il cui volto era anch’esso segnato da
un profondo
cipiglio.
«Sta soffrendo. E’ pazza, malata, pericolosa. Il
suo esistere ti creerà solo problemi».
Gli occhi color nocciola della vampira di
ridussero a due fessure quasi come se volessero incidere maggiormente
quelle
parole sulla mente del vampiro di fronte a lei.
Non a caso Katherine aveva utilizzato quelle
parole. Damon ricordava che un tempo erano state sulla sua stessa
bocca, che
quel pensiero gli aveva tarlato la mente diventando una sorta di chiodo
fisso,
una faccenda in sospeso che da troppo tempo doveva concludere.
Damon allargò le braccia in un gesto di esasperazione
alzando gli occhi al soffitto mentre una roco risolino sembrava
solleticargli
la gola.
«E cosa vuoi che faccia, che la uccida?»
latrò
ironico inclinando il capo e indirizzando alla vampira
un’occhiata che
manifestava tutta l’impossibilità
dell’idea che per un attimo gli aveva
sfiorato il cervello.
Katherine non rideva, il viso di granito non
lasciava trasparire alcun accenno di ilarità ne di risposta
al sarcasmo
adottato poco prima dal vampiro. C’era in lei una smoderata
convinzione di non
agire male.
Per quanto Damon volesse rigirare e rigirare la
frittata, sapeva che non c’era soluzione migliore di quella
avanzata dalla
vampira.
E che lui, a suo malgrado, condivideva.
Caroline osservò la
chiazza di sangue che giaceva
rappresa sul tappeto del bagno color giallo ocra mentre la bocca le si
riempiva
dell’ennesimo grumo di sangue che il suo stomaco tentava
invano di rigettare.
Gemette, artigliando ferocemente il porta
asciugamani alla sua destra, frenando i tremiti che come spilli le
pervadevano
la colonna vertebrale.
Tossì osservando i fili scarlatti che si
depositavano sul fondo del water e strizzando gli occhi dal disgusto.
Si portò due dita a raccogliere dietro l’orecchio
le ciocche dorate che le cascavano sulle guance e preso un ultimo
respiro
profondo tirò lo sciacquone, segno che anche
quell’ennesima crisi era
finalmente giunta al termine.
Che Caroline fosse stata sempre un po’ testarda
questo ne era consapevole, tuttavia per quanto ci avesse provato a
nutrirsi di
sangue – poco importava se umano o di animale – il
suo corpo si rifiutava di
accogliere quel siero dentro di lui, corrodendole le viscere e
permettendo alla
sua mente malata di perdere il controllo.
Eppure non poteva far altro che ritentare.
Lexi le portava giornalmente una o due sacche di
sangue che sistematicamente rifiutava di bere, facendo perdere il
più delle
volte la pazienza alla povera vampira. E così gonfiate le
guance di stizza,
Lexi gettava la spugna e si richiudeva la porta dietro di se furiosa e
avvilita, lasciando le sacche di sangue in balia della pura mente
contorta
della vampira dai boccoli biondi.
Caroline storse il naso alla vista della sacca di
sangue quasi del tutto vuota.
Ma lei era pur un vampiro e il sangue era la sua
sirena che giammai avrebbe dovuto ascoltare.
Si portò due dita sporche di rosso sulle labbra
rosee e soffrì in silenzio al ripiegamento innaturale della
pelle attorno alle
sue cavità oculari.
Avrebbe riprovato di nuovo. Un po’
alla volta.
Il sangue le penetrò in bocca mischiandosi con la
saliva e in un battito di ciglia il malessere di poco prima
tornò a farsi
sentire più irruento che mai.
In un moto di rabbia Caroline cacciò un urlo
disintegrando la sottile sacca e scaraventandola contro la finestra
rompendone
un vetro.
Un grido profondo le uscì dal petto tanto da farle
tremare la gabbia toracica, e le mani artigliarono subito gli occhi e
il viso
impedendo alle lacrime di attraversare il loro corso naturale.
Sarebbe scivolata giù, sempre più giù
se non
avessero trovato un rimedio a questa malattia.
Sarebbe morta un
po’ alla volta – lei che morta lo era
già.
Non che bastasse soltanto un
po’ di sangue freddo
per uccidere la coinquilina con cui si è vissuti insieme per
circa sette mesi –
e che più volte aveva ribadito il fatto di essere una
famiglia – semplicemente
Damon credeva che questo fosse l’unico modo per risolvere i
suoi malesseri.
In fondo l’avrebbe aiutata, glielo doveva.
Damon percorse il corridoio dal quale solo qualche
ora prima provenivano urla acute e pianti isterici. Adesso solo il
silenzio
sembrava regnare sovrano.
Damon arrestò i suoi passi e il paletto in legno
di noce sembrò diventare enormemente pesante alla vista
della stanza
semiaperta, abbandonata dal fratello, entro la quale Stefan non avrebbe
più
fatto ritorno.
Scosse il capo quasi come a scrollarsi di dosso i
rimproveri che il minore dei Salvatore gli avrebbe fatto se solo fosse
stato
presente in quel momento.
Nessun rumore proveniva dalla stanza di lei, solo
il suo respiro stanco e irregolare sembrava essere unico segno della
sua
presenza.
Gli occhi di Damon balzarono sulla figura minuta e
ricurva che con le gambe incrociate giaceva sul letto disfatto.
Le iridi chiare della vampira dai capelli biondi
osservavano la parete di fonte a se con sguardo vacuo e assorto.
La posizione innaturale tenuta dalla bionda fece
vacillare un tenero sorriso sulle labbra di Damon, memore delle idee
pazzoidi
della coinquilina tra le quali vi era stato il pretesto di imparare
yoga con
tanto di rifiuto da parte di Stefan e derisione da parte del maggiore
dei Salvatore.
Le spalle spigolose sembravano essere troppo
minute per la maglietta rosa che indossava così come i
pantaloni della tuta,
troppo larghi, nei quali si perdevano le due sottilissime gambe.
Di fronte a quello spettacolo Damon non sembrava
essere più convinto di quanto lo fosse stato dieci minuti
prima.
Il vampiro si umettò le labbra e si schiarì la
voce.
«Ciao raggio di luna» salutò e la
vampira sobbalzò
interrompendo il contatto visivo con la parete e rivolgendo gli occhi
cupi al
Salvatore.
Il viso, prima smunto e grigiastro sembrò
illuminarsi di nuovo dopo tanto tempo.
«Ah, Damon, sei tu» sussurrò Caroline la
cui voce
uscì limpida e cristallina e al miglioramento del colorito
del viso si associò
anche la vitalità che riprese a danzare vivamente nei suoi
occhi.
«Sembri sorpresa. Se vuoi me ne vado»
ribatté
Damon con fare sarcastico mentre si stringeva per le spalle in segno di
andarsene.
Caroline rise e quasi la sua gola non ne risentì a
causa dell’incendio che stava dilagando al suo interno.
«Coraggio, entra. Siedi un po’ con me»
tintinnò la
vampira tamburellando la mano sulla porzione intatta di piumoncino
color verde
mela.
Damon non se lo fece ripetere due volte e
assicuratosi di aver chiuso accuratamente la porta si sedette sul
morbido
materasso.
La vampira in un gesto del tutto innaturale
allacciò le mani a quelle del Salvatore che offrì
la sua spalla come ottimo
cuscino sul quale accoccolare la cascata di boccoli dorati –
ma che purtroppo
risentivano dello stress e dell’insana pazzia.
«Perché non sei venuto prima a
trovarmi?» gracchiò
Caroline sfiorando con la punta delle dita i finissimi disegni
tratteggiati
sull’anello di Damon, concentrandosi affondo
affinché non incrociasse lo
sguardo del vampiro.
«Potrei farti la stessa domanda. Perché non sei
voluta più scendere?»
Il rimprovero di Damon sembrò mettere in
difficoltà la bionda la quale desistette per qualche secondo
prima di
rispondere al quesito del vampiro.
«Io non volevo che lui se ne andasse»
La vampira sussultò appena e il sospiro di Damon
arrivò
perfettamente alle sue orecchie poggiate sopra la gabbia toracica del
Salvatore.
«Sai com’è Stefan. Quando si sente di
troppo
preferisce levare le tende. Non sei stata tu, Caroline»
cercò di spiegare Damon
ma nella sua mente continuava a persistere quell’idea che
l’aveva spinto a
raggiungere la camera della vampira bionda.
Il paletto sembrò farsi incredibilmente
ingombrante sotto la manica destra della camicia un po’
troppo larga che quel
giorno Damon indossava.
Caroline roteò gli occhi e sbuffò stizzita
dall’asserzione del vampiro accanto a lei e in un moto di
impazienza si alzò
dal letto ponendosi di fronte ad un Damon alquanto sconcertato.
«Ero io quella che se ne doveva andare, non lui.
Questo non è affatto il mio posto. Io…»
Le guance della vampira cominciarono a tingersi di
una strana tonalità violacea mentre lacrime di nervosismo
tentavano di pungerle
gli occhi rossi e cerchiate da occhiaie.
Il Salvatore le bloccò le mani tremanti e i polsi
ossuti e Caroline aggrottò la fronte, colpita da quel gesto.
Damon fece leva sulle sue ginocchia e tese una
mano ad accarezzare il viso della bionda e a spostare le finissime
ciocche
dagli occhi lucidi.
«Ehi, se vuoi puoi lasciare questa casa, va bene
basta che me lo chieda» disse inarcando un sopracciglio e
piegando le labbra in
un sorriso che nonostante la fronte corrugata fece rilassare la
vampira,
animandola di antico entusiasmo.
«Ma mi servirà un nuovo nome, dei nuovi documenti.
Potremo vivere a New York o a Boston, lontano da qui. Io e te»
Le labbra della vampira si muovevano troppo
velocemente e il panico misto alla curiosità straripava dai
suoi occhi ancora
incredibilmente impauriti e debilitati.
«Frena, Magellana. Non ho detto che andremo insieme»
Gli occhi della vampira si strabuzzarono nel
sentire il mancato sarcasmo nelle parole del Salvatore tanto che una
scia di
sudore freddo sembrò scenderle lungo le spalle.
Inarcò un sopracciglio e inclinò la testa e Damon
poté leggervi tutta la confusione che in quel momento
albergava nella sua
mente.
Meglio
pensò se ne sarebbe andata senza capirlo
veramente.
Che poi da quando Damon Salvatore si preoccupava
di come uccidere una persona?
«Cosa significa?» snocciolò la vampira
bionda
assottigliando gli occhi e corrucciando sempre più le
finissime sopracciglia
cercando di ritrovare un barlume di allegria tra i vividi occhi azzurri
del
Salvatore di fronte a lei.
Damon si umettò le labbra e un sorriso tra lo
sbruffone e l’amaro gli si dipinse in viso inarcando
volutamente le
sopracciglia.
«Significa che questo è un addio, Care»
mormorò e
gli occhi della bionda si ingigantirono ancora colmi di
perplessità, ma se
c’era una cosa che Caroline aveva capito è che da
quello – che avesse creduto
realmente alle sue parole o meno - non poteva scaturire niente di buono.
Damon distese il braccio fino ad artigliare le
spalle morbide della bionda al cui contatto sussultò
portandosi le mani sulle
labbra quasi come a volerne placare il tremore.
Che Caroline fosse particolarmente ingenua, i
Salvatore lo avevano capito già da tempo. Tuttavia non erano
del tutto sicuri
se quello fosse il comportamento naturale della vampira dalle mille
idee e dai
messaggi subliminali che più volte nascondeva sotto una
risata cristallina o in
mezzo ai boccoli dorati. Di tutto i fratelli avrebbero potuto dubitare
meno
della sua, evidente o meno, dose di furbizia che tanto la
caratterizzava.
Ma il punto era che a Care l’amore l’aveva resa
cieca e non ci sono occhi che tengono a confronto.
L’animo di Care fu mosso da una speranza
sconfinata di non agire male, di abbracciare il vampiro che aveva di
fronte.
Ma fu solo una svista a far desistere la vampira
dal compiere quel suo gesto.
Con abile maestria Damon estrasse dalla manica il
paletto di legno e con un veloce movimento del polso lo
impugnò quasi come se
fosse stato un pugnale.
Gli occhi, seppur afflitti, puntavano dritti al
cuore.
Un affondo, deciso, lento segnò la fine di battiti
ancora per lui sconosciuti.
Il Salvatore premette ancora più affondo e non fu
soddisfatto fino a che non sentì il legno solleticare la
parete del cuore della
sua vittima fino a trafiggerla del tutto.
Eppure c’era un qualcosa che non andava e a Damon
quella consapevolezza non piacque affatto.
Al posto di due splendidi occhi giada, due
scintille verde oliva sembravano graffiare quelli del vampiro i quali si sbarrarono per
l’amara sorpresa.
Alzò gli occhi appena un po’ sopra la sua visuale
per ricongiungersi con la minuta figura di Caroline che con sua
meraviglia
risultava essere perfettamente integra ma scioccata dal delitto
commesso.
«Sei solo un bastardo» gorgogliò la fine
voce
della vampira dalla lunga treccia bionda sui cui zigomi incominciavano
ad
apparire evidenti le rigide increspature così come le labbra
carnose sfiorivano
lasciando posto ad una innaturale fuliggine tra le pupille quasi
bianche.
Il corpo di Lexi si fece incredibilmente pesante e
Damon non riuscì a reggerne il peso.
Cadde a terra con un sordo tonfo contro le assi
del parquet inclinando la testa obliquamente in modo tale che Caroline
potesse
sentirsi osservata dalla vampira esanime la quale aveva sacrificato la
sua vita
per salvarla – da cosa, Caroline lo doveva ancora digerire.
La vampira mimò qualcosa con le labbra mentre gli
occhi ancora sbarrati si riempivano di paura e orrore per il triste
avvenimento.
Si portò una manica a tamponare la bocca, tentando
di diminuirne il tremore e il mugolio insistente che le gorgogliava in
petto
scosso da sussulti.
Poi guardò Damon e vide la sua immagine riflessa
nei suoi stessi occhi.
Il Salvatore osservò l’amica del fratello distesa
a terra assottigliando gli occhi nella regione del cuore in cui aveva
conficcato il paletto.
Strabuzzò gli occhi e la fronte gli si riempì di
impercettibili rughe mentre digrignando i denti imprecava per il suo
errore
fatale.
Poi guardò Caroline e un barlume di lucidità
sembrò squarciargli la mente.
«Corri, Caroline» disse piegandosi per estrarre
l’arma dal petto della giovane vampira.
La bionda indietreggiò di un passo.
«Corri» sillabò il Salvatore dai cui
occhi azzurri
straripava tutta la voglia e l’adrenalina che per tanto tempo
gli erano
mancate.
Un altro passo indietro e Caroline era già in
corsa verso una meta sconosciuta.
Damon sorrise al lieve fastidio dovuto al pulsare
del sangue intorno alle palpebre.
Per dirla alla Katherine, a occhio e croce, la caccia
era iniziata.
***
Salve popolo di Efp,
non sono morta o finita in coma tranquillizzatevi, semplicemente avevo
perso la mia ispirazione riguardo questa storia o forse ad essere
sinceri non sapevo affatto come continuare questo capitolo che
è
dal mese di febbraio che è rimasto fermo al terzo rigo. Ma
adesso tra un impegno e l'altro mi sono messa di impegno e finalmente
riesco a pubblicarlo.
Prima di iniziare tengo a informarti che ho aperto un account su
facebook Dreem L. Efp
per cui chi volesse aggiungermi per sapere novità suelle mie
storie può anche farlo.
Dunque,
dove eravamo rimasti? Giusto Stefan che abbandona la pensione Salvatore
e che Caroline è ancora in balia del mostro. In questo
capitolo
vediamo come si è evoluta la situazione nell'arco di una
settimana: casa Salvatore ormai è ridotta quasi in rovina,
almeno all'interno, e i suoi abitandi desidererebbero uccidersi a
vicenda ma reprimono i loro istinti e continuano semplicemente a
vivere. La tensione è alle stelle specialmente tra Damon e
Katherine che all'insaputa di tutti hanno instaurato una relazione.
Questo avvicinamento di Damon verso Kate non deve essere visto come un
qualcosa di serio, semplicemente il bel vampiro dagli occhi azzurri
è ancora attratto dal fascino di Katherine (più o
meno il Damon sella prima stagione) e sta cercando di darle una seconda
possibilità, e poi è Damon! Caroline è
ancora alle prese con i suoi mutamenti di umore e le sue crisi
insistenti che la stanno divorando dall'interno. Sta diventando
pericolosa e irascibile tanto che Katherine mette la pulce
nell'orecchio di Damon e lo convince che l'unica soluzione è
quella di ucciderla. Anche Damon è d'accordo visto che
all'inizio della loro pseudoconvivenza aveva pensato di abbandonarla o
addirittura ucciderla quindi questa idea, nonostante il legame che ha
instaurato con la bionda, sembra allettarlo, spinto dal pensiero di
farle solo del bene. Damon cerca di non ammetterlo a se stesso ma
è profondamente addolorato per ciò che deve
compiere e questo suo dolore è manifestato dai tristi
ricordi della vampira durante la loro convivenza. Il momento Daroline
è uno dei miei preferiti perchè sembra essersi
instaurato il legame fraterno, nonostante comunque ciò che
compirà successivamente il vampiro. Infatti Damon raccoglie
il suo coraggio ed è pronto ad uccidere Caroline ma qualcosa
va storto e a lasciarci la vite è in realtà Lexi
che era accorsa in suo aiuto. E così Caroline è
costretta a correre, a nascondersi da Damon al fine di non diventare la
preda di questa caccia ideata dai due vampiri. Tengo a sottolineare che
Damon non è stato affatto pilotato da Katherine ma
è sempre stata una sua idea sin dal principio, un'idea che
adesso gli sembrerà sbagliata. Altra situazione è
quella di Stefan e del sogno-ricordo! Nel prossimo capitolo vedremo
come Caroline cercherà di sfuggire a Damon e come si
evolveranno le cose all'interno dell'ormai in rovina casa Salvatore. E
Caroline capirà chi è realmente il nemico che
deve combattere.
Spero di poter aggiornare presto, in fondo la scuola sta finendo e
presto tornerò a postare nuove cose sul sito.
Grazie a tutti coloro che si sono ricordati che tra tutte queste storie
c'è anche la mia,
un bacio,
Sil
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** 15.Tana ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
Riassunto
dei capitoli
precedenti:
Caroline,
ragazza di Mystic Falls dal passato
apparentemente semplice, è affetta da una strana sindrome
davvero insolita per
un neovampiro come lei: ha la fobia del sangue. Questa paura dipendeva
da un
episodio infantile: all’età di circa sei anni
Caroline era stata rapita per
capriccio di un essere mostruoso e aveva trascorso più di
nove settimane
rinchiusa in una cantina buia e sporca dove alle continue e
terrificanti visite
del mostro, durante le quali si nutriva di lei schizzandola di sangue,
si
alternavano le visite di un volto amico che la coccolava e la
rassicurava. A
più di dieci anni dall’accaduto Care si ritrova
trasformata in vampiro e
Katherine la conduce alla pensione Salvatore affidandole alle cure di
Stefan. Ma
Caroline non sa, Caroline non ricorda: quello è proprio il
suo aguzzino nonché mostro
della sua terribile infanzia. Stefan dal canto suo non sa come
rimediare per
quel terribile misfatto, tanto che pensava addirittura che la bambina
fosse
morta, ma adesso non ha alcuna intenzione di fare del male a Caroline,
con la
paura però che lei possa ricordare qualcosa. A compromettere
la loro convivenza
vi è il ritorno di Damon il quale sapendo il segreto del
fratello accondiscende
a stare zitto impegnandosi anche lui alla salvaguardia della vampira a
dir poco
malata. Caroline infatti è affetta da crisi, momenti di
panico, perde il controllo
e distrugge ciò che trova alla semplice vista del sangue;
è gracile perché il
suo corpo si rifiuta di assumerlo. Ogni
giorno di quei
sei mesi di convivenza con i due Salvatore, Caroline aveva incominciato
a
ricordare qualcosa, tassello dopo tassello, allarmando i due vampiri.
L’arrivo
di Katherine complica la situazione visto che Caroline lega uno stretto
rapporto con lei, fidandosi ciecamente. Alla pensione giunge anche
Lexi, amica
di Stefan, e cerca di metterla in guardia nei confronti del suo passato
e della
paura incondizionabile che le genera. C’è una
porta. La cantina. Caroline non
sa perché ma sente che vi sia rinchiuso qualcosa dentro. Una
bestia. Un mostro.
E così scopre il suo passato, ricorda la cella e il luogo,
rivede il volto del
suo aguzzino e rivede Stefan. Tra i due scoppia una profonda lite che
porta
anche allo sfaldamento del rapporto tra i due fratelli. Dopo una breve
battaglia Damon decide di andarsene ma, fermato da Caroline
segretamente
innamorata di lui, alla fine è Stefan ad andarsene,
lasciando la pensione. Il
crimine è stato scoperto ma non è finita. Il
mostro è ancora dentro casa pronto
a escogitare la prossima mossa del piano per sbarazzarsi della vampira.
Katherine
dopo aver sedotto Damon lo convince che la soluzione migliore sia
uccidere la
vampira. Così armato di paletto entra in camera di Caroline,
la quale viene
prontamente salvata dall’intervento di Lexie che muore sul
colpo. A Caroline
non resta altro che scappare.
15.
Tana
«Bambolina,
dove sei?»
Con queste parole Damon si aggirava per la casa
deserta da più di un quarto d’ora e ogni
scricchiolio di scarponcino era una
nuova goccia di sudore freddo che imperlava la fronte di una Caroline
quasi
inesistente e terribilmente silenziosa.
Che si fosse tramutata in aria o che fosse
diventata invisibile erano due ipotesi che il cervello del vampiro
avevano
rifiutato sin dal principio eppure ad ogni nuovo nascondiglio sventato
e
trovato vuoto, quelle due ipotesi tornavano prepotentemente a bussare
all’uscio
della mente del Salvatore.
«Conto fino a cinquanta - ma tanto so che ci sei»
proruppe esasperato il giovane Salvatore, ma l’unico
risultato fu il
ripercuotersi delle sue parole sulle pareti inanellate di crepe della
pensione.
Damon odiava giocare a nascondino. Non che odiasse
di per se il gioco, anzi i ricordi più felici legati alla
sua infanzia erano
proprio le ore trascorse nel giardino paterno con il fratello a
rincorrersi e a
cercarsi a vicenda, ciò che lo tediava era quella ricerca
assurda e abnorme che
lo strascicava avanti e indietro da almeno due ore lungo tutto il
corridoio che
si snodava al primo piano della casa.
Aveva cercato sotto i divani incrostati di muffa e
sudiciume, aveva scosto i vestiti tra le ante degli armadi, aveva
aperto ogni
sorta di botola arrotolando accuratamente tappeti variopinti, ma ad
ogni
tentativo arricciava il naso e assottigliava gli occhi.
Come avrebbe voluto che Caroline avesse quel
minimo di ingenuità! Così come l’aveva
il fratello il quale, nei lunghi
pomeriggi assolati del diciannovesimo secolo, non aveva mai vinto una
partita
di nascondino: eppure si intrufolava ben bene, si ricopriva con foglie
o si
arrampicava sugli alberi, eppure gli occhi del Salvatore dai ciuffi
corvini
ribelli lo acciuffavano subito e indugiavano sul da farsi, se finire
presto
quella sceneggiata o continuare a giocare, facendo finta di non
scorgerlo,
bighellonando sotto le fronde delle querce e dei faggi.
Forse anche Caroline avrebbe fatto così, si
sarebbe nascosta, accucciandosi con le ginocchia contro il petto, nei
luoghi
più disparati ma che i fratelli Salvatore sarebbero riusciti
a trovare perché
la conoscevano fin troppo bene.
Ma in casa Salvatore non si giocava a nascondino,
se ci si nasconde da qualcosa è perché non si
vuol essere trovati.
E per Caroline quel nascondiglio era la garanzia
per la sua sopravvivenza.
«Mi sembra quasi impossibile che una bambinetta
del genere ti sia sfuggita da sotto il naso» si
sbilanciò la vampira mora e con
quelle parole provenienti tra il diciannovesimo e il ventesimo scalino,
annunciò la sua presenza attorcigliando attorno
all’indice una ciocca di
capelli, quasi come se quella fosse il filo di un telefono degli anni
‘Ottanta.
Il ricordo di quel buffo particolare la fece sorridere di gusto e data
un’occhiata fugace al ricciolo del tutto privo di doppie
punte, tornò ad
occuparsi di una faccenda alquanto più importante, sfregando
con il
polpastrello il pomello di legno con cui terminava il passamano della
sontuosa
scala, così come sfregava con gli occhi la figura del
Salvatore a pochi passi
da lei.
Damon roteò gli occhi visibilmente stanchi e
scostò per l’ennesima volta la tenda giallo ocra
facendo passare tra le dita il
tessuto ruvido del lino lavorato. Niente, neanche lì.
Kate arricciò il naso solleticato da una nota di
divertimento che derivava dal continuo cercare del Salvatore che a
intervalli
regolari continuava a rovistare sempre negli stessi nascondigli, come
se solo
cinquantotto minuti prima non avesse adocchiato un particolare
importante, come
se Caroline fosse lì nascosta e lui non l’avesse
vista.
«Evidentemente qui non c’è»
costatò la vampira
indicando con l’indice l’ennesima stanza che Damon
stava mettendo a soqquadro.
Il Salvatore chiuse gli occhi tanto da far unire
le sopracciglia e si portò l’indice e il pollice
della mano destra tra le due
palpebre serrate, quasi per frenare l’impeto di friggere la
vampira nell’olio
bollente e per riacquistare quella lucidità mentale che
– sapeva bene – tra meno
di dieci minuti si sarebbe esaurita.
Emise uno sbuffo seccato e si rivolse alla
vampira, assumendo un’espressione ironica e aprendo il palmo
della mano come se
stesse contando qualcosa.
«Ho cercato giù in cantina, tra le celle, in ogni
singolo angolo della cucina, in salone, dentro la canna fumaria del
camino, in
garage, in bagno, in ogni camera di questa casa; a meno che non sia
diventata
la donna invisibile, dove potrebbe essere?» chiese sarcastico
socchiudendo gli
occhi, enumerando tutti i potenziali nascondigli, per poi dipingersi in
viso
un’aria interrogativa aspettando che la lampadina della
vampira di fronte a lui
si illuminasse perché la sua si era quasi sicuramente
fulminata.
Damon venne investito da un’occhiata omicida
proveniente direttamente dagli occhi della vampira la quale
però dopo pochi
secondi si illuminò.
«Questa pensione è provvista di porte e finestre,
mai pensato che Pollyanna potesse fuggire?»
domandò la vampira dall’aria di chi
la sapeva fin troppo lunga e si precipitò giù per
le scale seguendo il
Salvatore al pari della sua ombra, non volendo perdersi per nulla al
mondo
l’espressione avvilita del vampiro quando il suo cervello
avesse assimilato
l’ipotesi da lei appena proposta.
Ma con sua grande sorpresa sulle labbra di Damon
era sbocciato un sorriso malinconico e quasi antico, mentre apriva le
ante
della credenza della cucina martoriata, agguantando una tazza beccata.
«Pollyanna può essere frivola, superficiale, a
volte impulsiva, ma non stupida: le avevamo severamente vietato di
uscire fuori
da sola e per di più nella sua città, per quanto
impaurita potesse essere non
ci avrebbe mai disobbedito, ne va della sua stessa vita»
puntualizzò il
Salvatore trangugiando quel caffè amaro e freddo di un
giorno e rigettandolo
senza alcun contegno sul pavimento scheggiato, brontolando qualcosa che
la
vampira si arrese a non capire.
L’amaro in bocca fece ricordare a Damon di Lexie,
la quale stava adagiata morta sulla dura pietra di una delle tante
celle della
cantina. Al Salvatore quel sapore acre e freddo sembrava essere uno dei
tanti
rimproveri rivolti dalla vampira bionda. Era come se la sentisse quella
sua
voce antipatica e ridondante: già
che ci
sei perché non le fai scegliere il colore della lapide?
«Come se non stessimo cercando di ucciderla!»
sbottò Katherine eliminando dalla maglietta i residui di
caffè che Damon le
aveva letteralmente sputato addosso.
Il vampiro scoccò la lingua intorpidita, alzò un
sopracciglio scettico e rimuginò sopra la costatazione di
Kate: in effetti loro
stavano certamente cercando di ucciderla e per di più per un
motivo che, ora
che Damon ci pensava bene, era totalmente campato in aria.
Il Salvatore alzò lo sguardo sulle crepe e un
cruccio gli sopravvenne in testa.
«Katherine, potresti avere la grazia di informarmi
circa le motivazioni che ci hanno spinto a demolire – e
sottolineo la parola demolire
– casa mia?” si rivolse alla vampira
visto che per almeno tre quarti la colpa era la sua.
Kate alzò lo sguardo al soffitto e i suoi occhi si
soffermarono su certe impronte tra le assi di legno, opera sicuramente
non di
semplici topi.
«Perché in casa avete accolto una vampira pazza e
squilibrata che al momento opportuno perderà la testa e ci
ritroveremo tutti
con un’assassina in circolazione. Devo anche ricordarti che
la colpa è di tuo
fratello o quel particolare te lo ricordi?»
blaterò artigliandosi i fianchi.
A Damon quella situazione puzzava e non era solo
il tanfo che si era venuto a creare in cucina di sangue rappreso,
polvere e
caffè bruciato: era che Caroline per quanto insana di mente
potesse essere non
era così grave da attentare alle loro vite.
«E perché ti sta tanto a cuore questa situazione
che riguarda me e mio fratello?» domandò
sventolando l’indice evitando di
indicarla direttamente.
Katherine inghiottì il groppo di stizza che le si
era formato in fondo alla gola, temendo che Damon avesse potuto intuire
qualcosa circa le sue reali intenzioni.
«E tu perché fai tutte queste domande? Sbaglio o
sembra che non vuoi più ucciderla?»
rincarò la dose e avendo agguantato uno
strofinaccio a scacchi per ripulirsi le dita, lo sventolò
davanti al naso del
vampiro dagli occhi blu, quasi come se fosse un guanto di sfida.
«Touche»
ammise di controvoglia Damon il quale era sempre più
propenso a credere che
l’idea – o meglio il piano – che fino a
quel momento aveva perseguito era
assolutamente da cambiare.
Kate sorrise di rimando e, direttasi verso
l’androne della pensione, armeggiò contro una
cassetta in legno dentro la quale
ticchettò un paio di mazzi di chiavi dalla fattura lucente e
argentea.
«Cerca meglio in garage, io salgo al piano di
sopra»
Gli occhi di Katherine si affusolarono pronti a
cogliere una qualsiasi impercettibile indecisione da parte del
Salvatore
contando le finissime goccioline di sudore che si andavano addensando
nella
cavità del collo ricoperto leggermente di peluria.
Ad un’occhiata la vampira lanciò le chiavi che
Damon prese al volo.
«Ricevuto, miss Katherine» brontolò il
Salvatore
rigirandosi tra le mani le chiavi leggere, pur avendo in mente
tutt’altro da fare
che continuare a dar la caccia alla povera Caroline.
La vampira riccioluta tese ogni singolo centimetro
di fibra muscolare finché non udì la porta
richiudersi alle spalle del maggiore
dei Salvatore che – lei sapeva già – non
sarebbe stato più suo alleato.
Contrariamente a ciò che avrebbe mai sognato di
fare, Damon era arrivato alla conclusione che quello fosse il momento più
adatto per attuare il piano Salvatore
che consisteva, come prima
fase del piano, il ritrovo di suo fratello.
Bill
Cleverstone, 1847 - 1898
Erano queste le parole
incise sulla grossolana
pietra sepolcrale che giaceva simile alle altre nel cimitero di Mystic
Falls.
Stefan spolverò la dicitura in basso rilievo per
poi scontrare una mano all’altra per eliminare i residui di
terriccio e polvere
dalle sue dita.
A differenza del fratello, il quale non vi si
recava quasi mai, al minore dei Salvatore era sempre piaciuto
gironzolare per
il camposanto, sin dai tempi quando, accompagnato
dall’arcigno padre o in
compagnia della balia, andava a far visita alla madre defunta. Lo
attiravano
soprattutto quei nomi e le date incise sul marmo che nascondevano
chissà quali
storie e quali famiglie, i visi paffuti degli angeli dai riccioli ben
marcati o
i fiori scolpiti e così realistici da sembrare imbalsamati.
Ma quello era un tempo ormai fin troppo lontano.
Per Stefan recarsi al cimitero nel ventunesimo
secolo era sinonimo di ricordi e di rimorsi, della consapevolezza che
poteva –
doveva – esserci anche lui tra quelle tombe, tra i compagni
del suo secolo.
Il Salvatore si rizzò in piedi facendo leva sulle
ginocchia e dopo aver dato un fugace sguardo alla tomba che conteneva
l’ennesimo conoscente dei secoli passati, affondò
le mani nelle tasche dei
jeans facendo scricchiolare i suoi scarponcini sul selciato rovente del
cimitero.
Paradossalmente a ciò che aveva temuto, nulla si
era mosso dal fronte Caroline e, benché avesse la netta
sensazione che prima o
poi avrebbe ricevuto qualche malcapitata notizia dalla sua amica Lexie,
era più
che deciso di non mettere più piede alla pensione almeno per
i prossimi
cinquant’anni, ne andava della vita della sua Care.
Stefan aggrottò la fronte arrestando il suo
strascichio lento e continuo dei suoi passi alla vista di un ragazzo
del suo
stesso istituto.
Non che Stefan fosse propriamente stupito
dell’incontro con quel ragazzo giacché aveva avuto
modo di incontrarlo in
diversi luoghi lì a Mystic Falls; ciò che
più lo stupiva era sorprenderlo di
fronte a quella che ad occhio e croce doveva essere la tomba di
Caroline.
«Ciao» salutò il ragazzo dai capelli
scuri e
ispidi così come gli occhi non appena si accorse del
Salvatore il quale
gentilmente rispose al saluto sentendosi impacciato per la prima volta
in
centosessantaquattro anni.
«Devi essere Stefan Salvatore, del terzo anno,
dico bene?» chiese il ragazzo affondando le mani dentro le
tasche della giacca
di pelle nera.
Il vampiro dagli occhi verdi annuì e la lingua
limò il suo interno guancia quasi come a manifestare il suo
lento frugare tra
le scartoffie della sua mente alla ricerca di
un’identità che Stefan conosceva
fin troppo bene.
«Esatto. E tu devi essere Tyler Lockwood del
quinto anno, il figlio del sindaco, dico bene?» lo
scimmiottò lievemente e
Tyler si aprì in un sorriso a trentadue denti che in
realtà era carico di amarezza
e irritazione.
Stefan conosceva i Lockwood del diciannovesimo
secolo e il loro temperamento irruento, per cui era più che
convinto che non
dovevano essere cambiati di molto.
Il Salvatore affilò lo sguardo per un momento per
poi posarlo sulla lapide.
Caroline
Forbes,
1994 - 2011
«La ragazza morta
quest’estate. La conoscevi?»
chiese Stefan giocherellando con la cerniera del suo giubbotto, gli
occhi fissi
su Tyler.
Il ragazzo tirò un sospiro amaro e Stefan
irrigidì
la mascella, sentendosi ingiustamente responsabile per
l’accaduto.
«Si. Ero con lei e il suo ragazzo quando ha avuto
l’incidente. Guidavo io. Stavamo tornando da una festa e non
so cosa sia potuto
accadere ma ho perso il controllo dell’auto. Quando mi sono
svegliato mi sono
ritrovato soltanto un taglio alla tempia. Lei, un trauma
cranico».
Si umettò le labbra non distogliendo lo sguardo
dalla terra umida come se lì distesa vi fosse Caroline, con
lo sguardo attento
e un po’ corrucciato. Ma Stefan sapeva che la sua Care non si
trovava lì
sottoterra: era nella sua stanza alla pensione Salvatore, servita e
riverita,
con un peso in meno dal cuore ora che il mostro finalmente era uscito
dalla sua
vita.
Poi riprese.
«I medici sostenevano che non ce l’avrebbe fatta,
che il trauma era stato troppo forte e che poteva compromettere alcune
funzioni. Sapevamo del rapimento di Caroline da bambina e anche delle
sue fobie
che nel tempo si erano affievolite, eravamo pronti ad accettarle e a
debellarle
qualora si fossero ripresentate. Invece no, Caroline il giorno dopo si
svegliò
con il sorriso raggiante, borbottando di aver fame, spulciando le
riviste di
moda che io e il suo ragazzo le procuravamo. Sembrava andare tutto per
il
meglio quando-»
La sua voce si smorzò e digrignò i denti con gli
occhi inondati di lacrime represse e di cui – il Salvatore
pensò – solo la
lapide ne era a conoscenza.
Stefan deglutì in attesa del seguito di quella
storia.
«Quando l’infermiera ci informò che era
morta nel
sonno e che non avevano potuto far niente per lei. Nessuno la vide
più o almeno
io non la vidi più. Era come se qualcosa mi proibisse di
guardarla per
un’ultima volta»
Il Salvatore riassestò col piede un ramoscello che
contorcendosi stava arrampicandosi su per la pietra.
Non che non fosse evidente che Tyler - così come i
restanti amici di Caroline presenti in ospedale – fosse stato
soggiogato, ciò
che più crucciava la mente del giovane Salvatore
è quale vampiro sano di mente
avrebbe voluto trasformare un’umana per suo capriccio.
In realtà di vampiri capricciosi ce n’erano
parecchi
e lui guarda caso ne conosceva proprio uno.
«Il fatto è che quella stessa notte io
l’ho vista,
era viva-» sbottò il ragazzo rivolgendo i suoi
occhi grandi contro uno Stefan
alquanto scosso dal racconto ma al contempo curioso di sapere quel
dettaglio,
forse vitale per raccapezzarsi in quella storia.
«-ed era con tuo fratello»
Caroline strizzò gli
occhi e sperò con tutto il
cuore che il ragno avvinghiatosi ai suoi capelli fosse scivolato via e
l’avesse
lasciata in pace.
La soffitta Salvatore non era di certo il sinonimo
della pulizia ma era il miglior luogo per nascondersi quando non si
voleva
essere trovati.
A Care ricordava tanto la soffitta nella vecchia
casa di nonna Forbes, quando, lasciando in casa le urla di mamma e
papà e i
piatti rotti, si arrampicava sulla scala a chiocciola con la gonna che
le si
arrotolava tutta. Stava lì in mezzo a due o tre cappelli
fuori moda, fotografie
impolverate e vecchi gatti impagliati che con i loro occhi vuoti le
facevano
rizzare le codine bionde.
La vampira si osservò la ciabattina superstite con
cui era scappata dalla sua stanza, l’altra sua omologa
sarà andata perduta
durante la fuga. Si sgranchì le dita dei piedi facendo
ondeggiare le righe
verdi e azzurre della calza destra ricoperta di fuliggine e sporcizia.
A quella vista la bionda si intristì
all’improvviso: la consapevolezza che Damon, il ragazzo che
aveva amato e che
adesso considerava quasi come un fratello, volesse ucciderla le faceva
decisamente male.
Aveva ancora riflessa negli occhi verdi la morte
di Lexie, il tonfo sordo del suo corpo ormai vuoto. Era la prima volta
che
vedeva qualcuno morire, umano o vampiro che fosse, e ora poteva pure
giurarlo:
era uno spettacolo semplicemente orrendo.
Come
se non
stessimo cercando di ucciderla! La voce leggermente
stizzita della sua amica vampira dai riccioli castani
solleticò le sue orecchie
già particolarmente sensibili nell’udire ogni qual
tipo di rumore sospetto.
Le labbra screpolate le si tesero
impercettibilmente impedendo ai canini di fuoriuscire dalle gengive
estremamente rigonfie e si accorse di tale reazione solo quando i denti
le
maciullarono parte del labbro inferiore, quando il sapore del suo
sangue le
incrostò le papille gustative.
La bionda ebbe subito un motivo di ribrezzo che le
fece accapponare la pelle delle braccia sotto la sottile maglia di
cotone.
Caroline non aveva mai provato l’ebbrezza della
caccia, il macabro rumore di una carotide pulsante pronta per essere
dilaniata
dai suoi denti: all’infuori dell’infausto incontro
ravvicinato con Matt, non
aveva mai divorato nessuno, o almeno che lei ricordasse.
Era la rabbia non la sete che le innestava quelle
reazioni inattese, come un effetto domino che perduta la
lucidità era tutto un
susseguirsi di gesti automatici e incontrollati, visti e imitati da
chissà
quale genere di mostro e che lei ripeteva con minuziosa attenzione nei
dettagli.
Era la rabbia che adesso le ribolliva nelle vene
ma, per quanto fosse incandescente, la paura spargeva acqua sul fuoco,
rilassava i muscoli, ritirava gli artigli. Dopotutto codarda
c’era sempre stata
anche d’umana.
Caroline protese il busto in avanti e accostò
l’orecchio all’asse malconcia del pavimento
butterato e divorato dalle termiti.
Non che ne avesse realmente motivo date le sue capacità
sopraffine, ma era
un’abitudine alla quale faticava rinunciare.
Devo
anche
ricordarti che la colpa è di tuo fratello o quel particolare
te lo ricordi?
Katherine rispose a quella che la bionda percepì come una
domanda alla quale
non aveva prestato attenzione e si infuriò contro se stessa
per non aver
origliato per bene. Ma l’argomento Caroline, sebbene non
avesse udito il resto
della conversazione, l’aveva indovinato già da
tempo e il solo ritorno di
quella sensazione le provocò un rigurgito di sangue che le
impiastricciò la
bocca di bile amara e sangue putrefatto.
Era più che logico che si trattasse di Stefan e
del suo inconfessabile misfatto per cui Care continuava a sentire
bruciare i
morsi e le cicatrici come se fossero stati inferti sul momento.
Ciò di cui non
riusciva a maturare la completa accettazione era l’idea che
avesse realmente
intenzione di farle del male. Per quanto le loro menti fossero
realmente
affette da chissà quale pazzia interiore, non erano poi
così malvagie da
garantire la morte dell’altro.
Non come la mente lucida e senza scrupoli di
Damon.
E
perché ti sta
tanto a cuore questa situazione che riguarda me e mio fratello?
Intonò il Salvatore con voce rauca e ovattata dallo spesso
strato di legno che
divideva la soffitta al corridoio sottostante.
Quelle poche parole bastarono a rianimare la
speranza della povera Caroline la quale sfregando le unghie contro le
assi di
legno si prospettava una scena ben diversa dalla realtà con
un Damon persuaso
dall’idea di ucciderla e una Katherine seriamente preoccupata
per la sua scomparsa.
Se li immaginava battibeccare lì sotto di lei a
pochi metri di distanza, con gli sguardi assassini che rimbalzavano tra
le
pareti e imprecazioni dette a mezz’aria. E magari sarebbe
potuta scendere,
avrebbe potuto distendere le braccia e le gambe intorpidite, avrebbe
potuto
rimuovere il sottile strato di cenere dai capelli annodati, e magari li
avrebbe
trovati in cucina con una tazza di caffè in mano pronti ad
accoglierla e a
sgridarla per la marachella che aveva commesso. Ma Caroline sapeva bene
che
quei giorni erano finiti, che il tempo dei sorrisi e dei rimproveri era
già
scaduto da un pezzo. Il loro era un gioco perverso a cui lei stava
imparando a
giocare seppur a sue spese.
Un nuovo bisbiglio e la bionda tese ancora le
orecchie avvertendo il fruscio di tende e lo strascichio di mobili.
Sbaglio
o sembra
che non vuoi più ucciderla? Le arrivò
all’orecchio
la voce ovattata di Katherine e per poco non graffiò
l’asse di legno sulla
quale era premuta la mano leggermente sudata.
Si sentì solleticare il collo da qualcosa di
sottile e di viscido e si tappò la bocca ricacciando
l’urlo stridulo che sapeva
avrebbe emesso alla vista di quell’orrendo millepiedi.
Strizzò gli occhi colta
alla sprovvista da un moto di disgusto ma che in fin dei conti non era
poi così
tremendo paragonato alla sensazione del sangue e del sapore della
ruggine in
bocca.
Afferrò tra le dita quel minuscolo essere e lo
fece ruzzolare due o tre scatoloni più in là. Poi
si prese i capelli biondi fra
le mani sudice e con fare frenetico li torturò, le pupille
grandi e lucide
roteavano velocemente come se da qualche angolo buio dovesse apparire
una nuova
bestiola pronta a mettere a repentaglio ancora di più la sua
vita.
Colta dalla veridicità di quel pensiero, Caroline
pose nuovamente attenzione alla conversazione che si stava svolgendo a
pochi
metri sotto di lei.
Mantenne il fiato ben stretto tra la faringe e il
palato e assottigliò lo sguardo come se questo le avesse
consentito di
registrare meglio perfino gli ultrasuoni.
Ciò che la povera Care riuscì a percepire fu il
ronzio monotono e quasi stanco di una mosca a pochi metri da lei. Poi
il
cigolare della porta di ingresso e lo scatto metallico della serratura.
Passi
che si allontanavano.
Se n’erano realmente andati?
La vampira non ebbe il coraggio di rispondersi ma
ugualmente svuotò i polmoni dell’ossigeno ormai
ristagnato e rasserenò le
spalle che ormai avevano assunto un aspetto granitico.
Evitò di mordicchiarsi il labbro inferiore anche
se il movimento ad intermittenza della palpebra destra mostrava tutto
il suo
nervosismo. Sgusciò veloce tra gli scatoloni evitando di
fare il minimo rumore
– cosa sicuramente non facile date le assi di legno marce e
non molto stabili
che regalavano bubbolii sinistri ad ogni peso che vi si poggiava.
La vampira tirò su la maniglia della botola che
collegava direttamente la soffitta al corridoio del primo piano
sottostante. Le
scivolò dalle mani sudate e la botola si richiuse producendo
un tonfo sordo che
ammutolì il cuore di Caroline.
Rimase senza respirare cinque forse dieci minuti
prima di ricominciare a battere le ciglia, a respirare regolarmente, a
sentire
i nervi delle sue gambe allentarsi e formicolare.
Contò mentalmente fino a tre come quando da
bambina aspettava con ansia e paura che il dentista gli togliesse un
dente,
quando si corrucciava gli occhi e prometteva di non mangiare
più caramelle.
Contò mentalmente fino a tre e aprì la botola
fiondandosi sul pavimento sottostante coprendosi istintivamente gli
occhi e il
viso come se da un momento all’altro dovesse uscire un mostro
pronto a
infliggerle del male, ma tutto ciò che ritrovò ad
osservarla furono le tendine
giallo ocra e il tappeto a lei tanto familiare.
Si stava nascondendo da- quanto? Mezz’ora, tre
ore- o forse erano giorni? Il tempo non le era sembrato mai
così assente come
in quel momento. Fatto sta che Caroline, confusa o meno che fosse,
ritrovava
gli oggetti di quella casa come antichi e non più
riconoscibili come quelli che
avevano accompagnato le sue giornate durante il soggiorno alla pensione.
La vampira allungò il collo e si accertò che non
sbucasse alcuna ombra sospetta dalle scale.
Una minuscola speranza si insinuò nel cuore di
Caroline tale da rianimarle gli occhi opachi e le guance smunte. Si
precipitò
al piano di sotto e nonostante il forte capogiro che avvertì
e che fece ruotare
la casa come una giostra cercò di mettere in ordine le idee
e concentrarsi su
ciò che avrebbe dovuto fare. Non ebbe bene il tempo di
pensare al da farsi che
le sue gambe l’avevano trascinata in cucina alla ricerca di
qualche brandello
di cibo così da tamponare la fame straziante che la
corrodeva da ormai non
sapeva quanto.
Setacciò gli scaffali e ogni anta della credenza
immaginandosi
qualche biscotto ammuffito in qualche angolo o delle fette biscottate
sbriciolate nel fondo di qualche cassetto.
Ma non appena gli occhi della bionda
rintracciarono un misero pacchetto di cracker invece di brillare di
felicità si
ingrigirono dalla paura.
«Caroline?»
Una voce dietro di lei le impose a rimanere
immobile come se il semplice fatto di non respirare l’avrebbe
potuta rendere
invisibile.
Katherine sulla soglia della cucina attendeva una
risposta da parte della sua coinquilina.
Care si voltò temendo il peggio.
Gli occhi di Katherine leggermente lucidi erano
affranti e al contempo gioiosi per la scoperta che avevano fatto, le
labbra
erano semiaperte lasciando fuoriuscire un flebile sospiro di sollievo,
le
braccia tese fremevano nella voglia di un abbraccio.
«Oh Care, temevo che ti avesse già
trovata»
esclamò e annullò la distanza tra i loro corpi,
accogliendo tra le sue braccia
una Caroline confusa ma al contempo grata per quella accoglienza.
«Kate perché mi vuole fare questo?»
piagnucolò
Caroline lasciando andare i nervi che avevano ormai oltrepassato il
limite del
sopportabile.
Katherine slegò le braccia attorno le spalle della
vampira e le prese le mani, continuando a guardarla negli occhi color
giada.
«Chi ti vuole fare del male?» chiese la vampira
riccioluta cantilenando, assottigliando gli occhi e irrigidendo
leggermente la
mascella.
Caroline singhiozzò.
«Damon»
Allora gli occhi di Kate si affilarono e una luce
particolare tornò a illuminarle il viso olivastro.
«Oh piccola Care, ma Damon non ti vuole fare del
male» cantilenò posando l’indice lungo
il profilo delle guance della bionda.
Fu allora che si ripresentò prepotentemente quel
senso di malessere, quella paura sviscerante e senso di oppressione che
si
manifestava ogni qual volta riceveva un contatto da Katherine. Non era
una
semplice sensazione, era un avvertimento, era pericolo.
La vampira mora si aprì in un ghigno mentre
Caroline poggiava un piede dietro di lei, pronta ad imboccare
l’uscita.
«Quella sono io»
Il tempo che intercorse tra la scarica di
adrenalina che investì le vene di Caroline e il lancio del
coltello da cucina
contro il petto di una Katherine famelica fu minimo.
La vampira bionda abbandonò veloce la cucina e a
grandi falcate si diresse verso l’ingresso. Cacciò
uno sguardo veloce verso le
scale ma scartò subito l’opzione di nascondersi
nuovamente in soffitta
dopotutto non avrebbe potuto rimanere nascosta in qualche buco per
sempre.
Katherine si sfilò velocemente il coltello che si
era ben incastrato tra la quinta e la sesta costola destra e gettata
lontano
l’arma si mosse con tutta tranquillità. I suoi
passi picchiettarono contro il
parquet e Caroline riuscì a malapena a deglutire.
Gli occhi color giada fermi sull’unica via
d’uscita disponibile in quel momento: la porta
d’ingresso.
Fu uno scatto e Caroline era fuori.
La luce calda e densa del sole la colpì in pieno
viso, sulle guance, sulla sommità del collo, lungo le
braccia scoperte, i
polsi, le mani e le dita – dita sprovviste di
quell’oggetto magico e prezioso
che l’abitudine aveva fatto dimenticare a Caroline di averlo.
«Tana libera Caroline» squillò la voce
inquietante
della vampira dai riccioli morbidi i cui occhi si stavano
inevitabilmente
accartocciando.
Ma Care non ascoltava.
Caroline era in fiamme.
***
Chiedo
venia, ve
ne prego! So bene che ho lasciato questa storia praticamente a se
stessa, senza
una fine dignitosa e senza rivelarvi il mistero che si cela alla fine,
ma,
sapete, il blocco dello scrittore prima e la maturità poi mi
ha portato a
trascurare di molto questa fan fiction. Ringrazio già ora
tutti quelli che
avete provato nostalgia per questa storiella e che vi siete
interessati. Che vi
avevo detto, sarei tornata no? E guarda caso oggi è proprio
il primo luglio! Ad
ogni modo dopo il breve riassunto che ho posto all’inizio, il
capitolo inizia
proprio come era finito quello procedente: Lexi è morta,
Damon e Katherine sono
alleati, Caroline è in pericolo, Damon deve uccidere
Caroline. E così il
Salvatore fruga negli angoli più nascosti della casa per
trovare la vampira dai
riccioli biondi anche se evidentemente quella ricerca non lo soddisfa
molto,
mentre Katherine è impaziente che Damon faccia il lavoro
sporco per lei. Damon
non è assoggettato a Katherine o cose simili, ma le parole
della vampira erano
state così convincenti che ci ha creduto. Dopotutto sappiamo
di cosa è fatta
Kate! Ma effettivamente Damon dopo una prima sbandata ritrova la
lucidità e
molla tutto alla ricerca del fratello. Stefan d’altro canto
è all’oscuro di
ogni cosa, come è solito si martirizza credendosi il
colpevole di turno e
guarda caso durante una passeggiata al cimitero incontra Tyler. Non so
voi, ma
a me questa interazione con i personaggi del telefilm un po’
fuori dal comune
mi piace e molto. Spero vivamente di non aver reso Ty oc. Comunque il
Lockwood
informa Stefan di un dettaglio importantissimo: Damon era con Caroline
la sera
in cui è stata trasformata. Questo cosa può
significare? Caroline si nasconde
in soffitta e sì, l’aspetto fanciullesco lo
vedrete ancora per poco: Care è più
forte e più matura di ciò che sembra anche se lei
stessa non se ne accorge. E
comunque ingenuamente dopo aver origliato tre quarti di conversazione
scende di
sotto e incontra niente poco di meno che Katherine. Finalmente Care
capisce chi
è il nemico, ma ormai è troppo tardi. E come se
non bastasse Katherine in
quell’abbraccio con Caroline ha trovato il modo di sfilare
l’anello magico alla
vampira sotto proprio la luce del sole. Vi anticipo già che
il prossimo
capitolo (in fase di completamento state tranquilli) è un
flashback ma questa
volta non contrassegnato da [sei mesi prima] ma sarà il
fatidico flashback
della notte in cui è morta Caroline. Finalmente scoprirete
chi ha trasformato
Caroline e come siano state le sue prime ore da vampira.
Con questo vi
saluto e spero di aver evitato i pomodori!
Ad ogni modo per
qualsiasi cosa mi trovate su face book Dreem L. Efp
Grazie mille per
la lettura,
baci.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** 16.Notte [la morte di Caroline] ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
16.Notte
[la morte di Caroline]
Caroline
non era assolutamente certa se fossero
cinque o sei i bicchieri che aveva mandato giù a quella
festa clandestina
organizzata dalla scuola in un capannone in mezzo ai boschi a venti
minuti da
Mystic Falls, ciò di cui era relativamente certa era che se
avesse provato a
camminare sui suoi tacchi probabilmente non avrebbe retto
più di dieci secondi.
«Alza il volume della radio, Matt, non la sento»
biascicò tentando di mantenere inalterato il sorriso a
trentadue denti che
aveva tirato su all’inizio di quella serata e che adesso
minacciava di non
andarsene più comportando un intorpidimento dei muscoli
facciali con relativa
paralisi.
Matt roteò gli occhi aggrappandosi maggiormente al
volante e cercando di guidare con una velocità sostenuta.
Matt non era il tipo da festa, basicamente nei
suoi diciassette anni non era riuscito a divertirsi pienamente, a
godersi le
feste di compleanno dei compagni di scuola, a uscire con gli amici il
venerdì
sera, ad andare con la sua ragazza ad una festa. C’era sempre
qualcosa che lo
frenava prima di qualunque tipo di divertimento, come se da un momento
all’altro un agente di polizia dovesse sbucare fuori e
avvertirlo che sua madre
era stata trovata ubriaca in qualche angolo della strada o che sua
sorella
Vicki fosse dietro le sbarre in attesa che venisse pagata la cauzione.
E Matt viveva con l’ansia, sapendo di per sé che
ogni divertimento era motivo di preoccupazione.
Tyler fece capolino tra i due sedili anteriori e
tenendosi saldamente allo schienale del conducente allungò
il braccio fino a
raggiungere il bottone dello stereo.
La musica ad alto volume inondò l’abitacolo della
macchina sovrastando il rumore delle ruote e dei freni mal ridotti.
La bionda batté le mani squittendo dalla felicità
provocata dal gesto dell’amico, anche lui un po’
brillo, ma sicuramente più
lucido della Forbes.
«Ty non ti ci mettere anche tu, non la assecondare»
borbottò Matt scoccando attraverso lo specchietto
retrovisore un’occhiataccia
all’amico che occupava il sedile posteriore il cui volto era
illuminato da
balzi di luci provenienti dai lampioni che si susseguivano per un buon
tratto
della carreggiata.
Tyler serrò le labbra rimanendo indeciso per una
buona manciata di secondi se rimanere zitto e inghiottire il groppo o
sputare
l’indignazione anche a costo di mandare a quel paese il suo
migliore amico.
Alla fine la parte meno lucida ebbe la meglio.
«Sai che ti dico? Che hai passato un’estate intera
peggio di una mamma iperprotettiva, sempre a preoccuparti per gli
altri, a rimanere
sempre vigile e all’erta» sbottò tutto
d’un tratto il ragazzo dai capelli
corvini e Matt arricciò lievemente il naso per il tanfo di
birra misto ad alcol
che proveniva dall’amico il quale gli stava alitando quelle
parole a pochi
centimetri dal suo orecchio.
«E’ tardi,
andiamo a casa. No, stasera non bevo.
Non me lo posso permettere. Questa
è
la nostra ultima estate prima del diploma, manca solo un mese
all’inizio
dell’ultimo anno e io non intendo affatto
sprecarlo!» Tyler prese a
scimmiottarlo con il suo tipico modo di fare con il quale Matt aveva
imparato a
conviverci da quando entrambi avevano il sorriso bucherellato di spazi
neri e
le ginocchia sbucciate.
Il biondo s’impuntò sul freno e le ruote della
macchina stridettero contro l’asfalto umido delle quattro del
mattino.
Caroline, che apparentemente sembrava essere stata
assorbita dalla musica tanto da non prestare attenzione alla
conversazione dei
due ragazzi, inclinò leggermente il capo così da
mettere maggiormente a fuoco
la figura del suo ragazzo e, con gli occhi contornati di mascara,
rivolse uno
sguardo anche a Tyler il quale non
era
ben sicuro di ciò che stesse per fare l’amico.
Matt portò il pollice alla labbra torturandosi con
gli incisivi la pelle spessa del dito mentre gli occhi rimbalzavano
nervosamente da una parte all’altra della strada quasi come
se fossero dei
tergicristalli. Caroline alzò curiosamente un sopracciglio
non spiegandosi lo
strano comportamento del ragazzo.
Gonfiò le guance.
«Ok, volete dirmi che cosa mi sono persa? Matt che
succede?» esordì la bionda ritrovando precocemente
l’uso della mano e alzandola
dal vestito di seta verde che le arrivava un po’ sopra la
coscia per posarla
sopra i jeans strappati di Matt il quale muoveva nervosamente la gamba.
Quel tocco provocò in Matt un senso di torpore e
di sicurezza. Era quel gesto timido e inconsueto che Caroline, ragazza
espansiva e dagli abbracci facili, si risparmiava di fare solo in
intimità,
quando erano da soli, quando bastava quel tocco leggero per dire ci sono io con te.
Matt sospirò, estrasse le chiavi dal cruscotto
davanti agli occhi di un Tyler leggermente confuso e gliele
lanciò.
«Sai, forse hai ragione. Non puoi sprecare
quest’ultima estate prima del diploma e io per quanto ti
voglia bene non sono
tua madre. Quindi guida tu, io mi voglio godere solo il viaggio di
ritorno».
A quelle parole la mandibola del Lockwood si aprì
di poco meno quarantacinque gradi e gli occhi lievemente lucidi
osservavano la
figura zigrinata delle chiavi della macchina con tensione mista a
desiderio.
Il moro deglutì di botto il grumo di saliva che
gli si era addensato sotto la lingua e puntò lo sguardo
sugli occhi azzurri
appena accennati di rosso dell’amico il quale stava esibendo
un sorriso
furbesco seppur rassegnato.
Dopotutto Tyler era un po’ ubriaco, come poteva
non ammetterlo, e l’idea di sedersi al volante a guidare non
lo allettava di
certo, non dopo il ritiro della patente avvenuto solo un mese prima che
gli era
costato una discussione violenta con il padre e le crisi isteriche
della madre.
Tyler guardò l’amico e un moto di euforia gli
straripò dagli occhi tramutandosi in un urlo amichevole, di
quelli buoni, che
scosse l’abitacolo della macchina e i suoi viaggiatori. Matt
diede una leggera
pacca sulla spalla dell’amico e in un batter di ciglio
invertirono i ruoli,
facendo passare Tyler di fronte al volante al fianco di Caroline e Matt
scaraventandosi sul sedile posteriore ormai rassegnato a
quell’idea.
La bionda si sbrogliò dalla morsa della cintura e
si protese all’indietro per scoccare un bacio al suo ragazzo
mantenendo un
sorriso genuino che continuò a persiste anche nei successivi
venti minuti di
viaggio in auto.
Solo che accadde qualcosa, un tintinnio simile ad
un antifurto, simile al gesso raschiato sulla lavagna, un fischio, un
sibilo.
«Che ti succede Ty?» chiese Matt scostando lo
sguardo dal display illuminato del cellulare. Erano le 4:38.
«N-non lo sentite questo rumore?» chiese il
giovane mantenendo saldamente le mani al volante, con il collo
imperlato di
sudore per quello strano ronzio che, seppur lieve, lo infastidiva.
«Saranno i freni, alza la musica per non sentirlo»
concluse spicciola la bionda e Tyler
seguì il suo consiglio alzando notevolmente il volume dello
stereo. Ma mentre
Tyler combatteva con quel fischio persistente che gli pungeva i nervi
uno ad
uno, Caroline si rilassò contro lo schienale del sedile,
stanca e soddisfatta
della serata. Pensava a cosa avrebbe fatto una volta a casa, come si
sarebbe
tolta le scarpe per raggiungere in punta di piedi la sua camera.
Probabilmente
sua madre non c’era, ma lei lo avrebbe fatto comunque,
adorava quel genere di
azioni, l’entrare di soppiatto, come se ci fosse stato
qualche genitore
arrabbiato che, in giacca da camera, la stesse aspettando con tanto di
punizioni e sequestro del cellulare. Ma la sua casa era vuota, e di
genitori
non se ne vedeva neanche l’ombra.
Il picchiettio dei tasti del cellulare di Matt si
fece molto più acuto, segno che probabilmente stava
massaggiando con la
sorella, ancora sveglia a quell’ora.
Ad un certo punto Care affilò lo sguardo. Non ne
era completamente sicura ma ciò che vedeva erano due
lucciole. Probabilmente si
erano posate sul vetro ed erano rimaste incollate. La bionda sorrise
meravigliandosi di quello spettacolo.
«Oh le lucciole» mormorò ma nessuno
sembrò badare
alle sue parole. Eppure quelle lucciole si facevano sempre
più grandi, si
ingigantivano fino a diventare delle vere palle al neon. Caroline non
aveva mai
visto una razza simile di lucciole. Emettevano luce bianca, chiara, e
sembravano avvicinarsi sempre di più.
«Ma che…» borbottò qualcosa
Tyler che, così come
lei, si stava strofinando insistentemente gli occhi annebbiati dai fumi
dell’alcol.
«Dove sono le lucciole?» chiese Matt avendo
finalmente finito di mandare messaggi e alzando lo sguardo insonnolito.
E di lucciole e lampadine vide solo i fari del
camion.
Il dito tremante sembrava non avere
alcuna intenzione
di pigiare il bottone del caffè espresso che lo sceriffo
Forbes richiedeva da
quel distributore posto nel corridoio dell’ospedale adiacente
alla camera della
figlia la quale era ancora in bilico tra la vita e la morte.
Elisabeth tirò un sospiro nervoso e si tamponò le
meningi e gli occhi stanchi e iniettati di miriadi di capillari, segno
di notti
insonne e ipertensione alle stelle.
Ci provò di nuovo e questa volta si tenne ben
stretto il polso sottile, ma una voce alle sue spalle le fece cambiare
traiettoria
con il risultato di pigiare un bottone sbagliato e di un odore
nauseante di
limone e tè liofilizzato.
Lo sceriffo imprecò per quel misero tè
– per
giunta deteinato – e per il dollaro che aveva sprecato, ma
alla fine riprese il
controllo e si voltò per esaminare chi e cosa
l’avesse disturbata.
Una timida infermiera dai capelli neri raccolti in
una coda bassa e una voglia sotto il mento squadrò Lizzie
con fare
compassionevole notando i contorni violacei sotto gli occhi e il
colorito cereo
che la confondeva con il colore dei capelli, mal curati e di uno spento
giallo
paglierino.
Non appena mise a fuoco la figura minuta
dell’infermiera di fronte a lei, la Forbes
perse un battito e sentì le ginocchia cedere.
«Sceriffo Forbes?» chiese l’infermiera
rivolgendosi
allo sceriffo, non tanto per verificare l’identità
della donna, di quello ne
era certa, quanto più per accertarsi delle sue effettive
condizioni visti gli
occhi sbarrati e l’aria assente.
«Si, sono io» riuscì a mormorare, ma
sembrava che
il tremore della mano si fosse diffuso in tutto il corpo raggiungendo
la sua
lingua, intorpidita e anestetizzata dai troppi caffè.
L’infermiera le sorrise con un sorriso che sapeva
di madre e Lizzie si sentì semplicemente rincuorata prima
ancora di udire le
parole della donna.
Per tre giorni aveva aspettato tra i corridoi
dell’ospedale, dietro quei muri che odoravano di
disinfettanti e di malati.
Prima aveva aspettato che Caroline uscisse dalla sala operatoria ed
erano state
ore di ansia, ore di scuse da parte di Tyler, ore di bestemmie, di
litigi, di
lacrime, di paura. Poi quando finalmente aveva visto sua figlia passare
sulla
barella, con i punti ancora freschi sotto il mento e macchie blu al
posto del
rosa delle guance, aveva aspettato che la sua bambina si svegliasse e
attendeva
una notizia, un segno che vedeva in ogni dottore, in ogni infermiera
che in
camice rigorosamente blu le passava accanto. A volte le fermava, a
volte
rimaneva seduta. Adesso aspettava soltanto che qualcuno le dicesse che
cosa ci
facesse ancora lì.
Il tocco leggero dell’infermiera sulle dita, che
ancora artigliavano il bicchiere di carta con un tè ormai
freddo, risvegliò
nuovamente lo sceriffo.
«Sua figlia si è svegliata, può andare
a vederla»
annunciò e teneramente tolse dalle mani il bicchiere
riversando il contenuto in
una pianta lì vicino.
Lizzie fu come rianimata da quella notizia e le
ore di sonno perse, la fame, la stanchezza, lo stress evaporarono come
acqua
sotto il sole cocente.
Si drizzò sulle ginocchia allontanandosi da quelle
sedie bianche e troppo scomode e si lasciò guidare
dall’infermiera nella camera
d’ospedale dove riposava la sua Caroline.
Notò l’esile figura di sua figlia adagiata sulle
lenzuola grigiastre attraverso le veneziane che ricoprivano la porta a
vetri
della stanza. Per un attimo si pentì di non aver risposto
alla chiamata di Bill
e cacciò indietro quel pensiero mordicchiandosi il labbro
inferiore. Era suo
padre dopotutto.
Sospirò lievemente ancora indugiando su quel
pensiero, ma non si accorse che la sua mano si era già mossa
e si era
aggrappata alla maniglia facendo scattare la serratura.
Si sentì il passo troppo pesante, così come
quando,
ancora giovane e con i capelli lunghi, sbirciava la sua bambina, di
pochi mesi
e ancora infagottata, da un lato della culla ed aveva il cuore in gola,
come se
la sua piccola fosse munita di un udito fuori dal normale e sentisse lo
strascichio lento delle scarpe. E così Lizzie era entrata,
senza fare rumore
come se fosse tornata indietro di diciassette anni, come se
lì in quel letto ci
fosse la sua Caroline appena nata.
Un respiro forse troppo affrettato e la massa di
capelli color paglia si mosse e con lei anche i due piccoli occhi giada
appena
stropicciati dal sonno.
«Mamma?» gracidò lievemente muovendo
appena le
labbra, senza sorridere perché i punti tiravano ancora.
Lo sceriffo si sciolse nel vedere la sua creatura
in quello stato: la fronte pallida ricamata dai punti che si
estendevano lungo
tutto il sopracciglio destro per poi scendere fino al mento, le labbra
striminzite, le guance prive di spessore. Notò poi quelle
piccole cose che solo
una mamma sarebbe stata in grado di vedere: la spalla destra era
leggermente
scoperta e se qualcuno non le avesse rimboccato subito le coperte
avrebbe preso
sicuramente freddo dato il sistema di condizionamento presente nella
struttura;
dalla posizione rigida della mascella stava sicuramente scomoda con
quei tre
cuscini sotto la nuca, ma essendo troppo pigra e stanca probabilmente
non aveva
fatto nulla per sistemarsi meglio; negli occhi aveva ancora la paura di
quella
notte infernale.
«Ehi Care» rispose Lizzie aprendosi in un sorriso
e adagiando la mano su quella della figlia. Caroline si
sentì subito a casa.
Sbatté le ciglia intorpidite dalle troppe ore di
incoscienza e di brancolamenti nel buio e provò a
localizzare tutte le parti
del proprio corpo: a parte qualche muscolo indolenzito e la testa in
fiamme,
stava bene.
Fu la prima volta che Caroline Forbes si reputò
davvero essere una ragazza fortunata: fin da bambina era solita mettere
il
broncio crogiolandosi nella propria condizione di sfortuna, ma una
volta
cresciuta aveva imparato a tenerlo nascosto, a ingoiare
quell’odiato rospo e a
far finta di niente, ma lo sapeva, non era mai stata fortunata, non era
mai
stata la prima.
Caroline strapazzò le labbra in un sorriso che si
rivelò essere un vano tentativo data la smorfia di dolore
che se ne causò.
«Mi dispiace davvero tanto» mugugnò e
Lizzie si
sentì pungolare gli angoli degli occhi.
La madre la guardò con occhi colmi di gioia e non
trovò il coraggio di rimproverarla, di dirle che non sarebbe
dovuta andare a
quella festa, ma le parole si erano perse.
«Anche a me» si limitò a dire come se
avesse anche
lei qualcosa per cui farsi scusare – e in fondo lo sapeva che
era vero.
Naftalina. C’era odore di
naftalina in quella
camera d’ospedale dove Caroline stava trascorrendo
l’ennesima notte. Il letto
sembrava essere rovente tanto che la bionda si rigirava convulsamente
tra le
lenzuola, con gli occhi socchiusi – anzi sbarrati.
Lo vedeva, vedeva continuamente quel camion venire
verso di lei, le luci smettere di brillare, i vetri scartavetrarle il
viso e le
ossa piegarsi quasi come se fossero diventate di gomma. Risentiva
l’odore della
benzina, l’acre tanfo della miscela misto al sangue che
giù dal sopracciglio le
impiastricciava la faccia e i capelli.
Da tempo non si era sentita così: sporca, sudicia.
E più ripensava a quella sensazione più si
sentiva accapponare la pelle e la
bile rivoltarsi dall’interno.
La bionda si alzò a sedere e la lotta contro il
cuscino troppo alto fece cadere sul pavimento la rivista di gossip che
Care
aveva dimenticato aperta. La vista di quelle lettere colorate, i volti
conosciuti e invidiati delle star televisive le fece pensare a qualche
ora
prima quando Matt e Tyler erano venuti a salutarla e a tenerle
compagnia, insieme
a Victoria che si era sforzata quanto meno di essere gentile con lei.
Erano
state ore di risate, di scherzi, di luce dato il sole che
prepotentemente
entrava attraverso le finestre di quella stanza.
Ora che Caroline la osservava meglio di notte
quella stanza non era poi così accogliente come appariva di
giorno: le pareti
erano alte e avrebbe potuto giurare che in un angolo si fosse
incrostata della
muffa.
La bionda si slanciò per raccogliere la rivista,
ma il cigolio dell’asta con la flebo la fece desistere.
Scoccò un’occhiataccia
a quell’arnese e fissò per una quindicina di
secondi le finissime gocce del
farmaco che attraverso il tubicino di gomma sarebbe arrivato alla sua
vena
azzurrognola che risaltava tra le altre lungo il suo braccio sinistro.
Sospirò e arresasi dal prendere la rivista per
ingannare un po’ il tempo, cercò con lo sguardo
l’orologio le cui lancette
segnavano l’una e quattro minuti.
Si tirò su la coperta di lino grigio e sprofondò
la testa dentro il cuscino mettendo in moto il cervello per trovare
idee
allettanti da poter mettere in atto in quel frangente, almeno
finché
l’infermiera del turno delle tre non sarebbe entrata per
cambiarle la flebo.
Decise allora di concentrarsi sulla spia rossa ad
intermittenza dell’allarme antincendio posto sopra la porta.
Eppure più la
guardava più le spalle si irrigidivano, le pupille si
dilatavano: le tornava
alla mente la luce del camion, travisata a causa dei fumi
dell’alcol. Scosse la
testa cacciando via quel pensiero e allo stesso tempo biasimando se
stessa –
che idiota che era stata per l’aver confuso il faro di una
macchina, per giunta
di un camion, con delle lucciole.
Ma c’era qualcos’altro che le ricordava quella
spia rossa e oltre a lei se n’erano accorte le sue spalle e
soprattutto il suo
collo. Le mani cominciarono a formicolare e Caroline pensò
bene di mettersele
in bocca e morderle pur di non grattarsi quella zona vicino alla
giugulare. Il mostro non sarebbe
venuto, no? Di mostri
che poi neanche esistono.
E intanto Caroline inspirava ed espirava, non si
ricordava più l’ultima volta che aveva avuto una
crisi del genere, si ricordava
però che ancora doveva prendere lo sgabello per rifugiarsi
nel ripiano alto
dell’armadio, nascosta, in silenzio, al sicuro dal suo
carnefice.
Uno,
due, tre,
quattro.
Anche chiudendo gli occhi quella luce continuava
a lampeggiare, sempre più forte, penetrandole nelle cornee. Centosessantatre, centosessantaquattro,
centosessantacinque.
Solo a centosessantacinque le rughe di troppo che solcavano la fronte
di
Caroline scomparvero così come la sua paura.
Riempì i polmoni d’aria arricciando il naso per
l’odore persistente di naftalina che le stava facendo venire
il capogiro. Si
rimise nuovamente seduta, arrotolando le coperte fin sotto le ginocchia.
Qualcosa catturò il suo sguardo alla sua sinistra.
Lanciò un’occhiata in tralice all’ombra
dell’asta
con la flebo e le sembrò tutto normale. Aguzzò
meglio la vista e quando si rese
conto di cosa fosse anomalo in quella situazione si cacciò
una mano sulla bocca
per soffocare il grido di disgusto che la stava pervadendo.
La sacca conteneva un liquido, liquido scarlatto
che continuava il suo lento fluire attraverso tutto il tubicino che
conduceva
direttamente al suo polso.
Era sangue.
Quando e come fosse stato inserito all’interno
della sua flebo poco importava, ciò che più
allarmava Care era la vicinanza di
quel siero.
Un brivido sconvolse la bionda e con le mani
sudaticcie provò a staccare il cerotto dal sottile strato di
pelle, grattò con
le unghie la colla che saldava per bene l’ago alla garza.
Un rumore. Caroline smise di respirare.
«Chi c’è?» balbettò
ma ciò che ottenne fu il
rimbalzare della sua voce tra le pareti.
Il suo cuore batteva ad un ritmo irregolare, un
ritmo ben conosciuto.
Le pupille schizzarono veloci all’orologio.
Erano le 01:27*, troppo presto per la visita
notturna dell’infermiera.
Un’ombra e Caroline soffocò le urla addentando il
cuscino.
Fino a che il suo cuore non si zittì.
Di tutti i luoghi pubblici presenti
in un qualsiasi
luogo abitato – che esso fosse una piccola cittadina o una
grande metropoli –
di sicuro gli ospedali erano i preferiti di Damon. Persone che
nascevano,
persone che morivano. Il ciclo della vita era tutto concentrato in
quelle
stanze. E poi c’erano i sopravvissuti,
coloro che erano stati a un passo dalla morte ma grazie ai miracoli
della
medicina avevano continuato a percorrere la strada della vita.
Patetico.
Damon non riusciva a trovare un aggettivo migliore per la loro
condizione di
precaria esistenza.
Ma il motivo – se mai ce ne fosse stato uno – per
cui il Salvatore si trovasse lì nel parcheggio di
quell’ospedale a distanza di
sicurezza dal lampione della luce a neon non è che fosse
così chiaro anche per
un vampiro come lui.
Non aveva ancora intenzione di rivelare la sua
presenza lì a Mystic Falls ben che meno a suo fratello il
quale continuava a
crogiolarsi nel suo dolore nella loro vecchia casa, creduta disabitata
dalla
maggior parte degli abitanti del quartiere.
«Oh beh tanto vale aspettare qualche infermiera»
mugugnò il Salvatore fra sé e sé
infilandosi le mani nelle tasche anteriori dei
jeans logori e appoggiando la nuca sul tabellone pubblicitario dietro
le sue
spalle.
Dopotutto aveva un certo languorino.
Cacciò veloce lo sguardo in direzione del cielo
stellato e per un attimo si beò di quel cielo scuro e denso
come l’inchiostro,
che non regalava la ben che minima luce se non una falce sottilissima
di
bagliore lunare.
«No»
Un lamento. Anzi più che un lamento a Damon parve
un rantolo di non sapeva quale specie di animale.
Il vampiro corrugò la fronte in direzione
dell’oscurità ancora più tetra alla sua
destra a una decina di metri dal
lampione a cui era distante solo di qualche centimetro.
Ora che ci pensava per bene, vi era un non so che
di spettrale quella sera.
Damon fece schioccare violentemente la lingua e si
sarebbe dato volentieri un pugno in faccia per quelle insolite paure
che
nient’affatto lo caratterizzavano.
«Respira, Caroline. Non sta succedendo per davvero».
Una voce strozzata da due o tre singulti prima di
sprofondare in quella sorda litania che Damon si accorse lo stava
accompagnando
già da una buona mezz’ora.
Il Salvatore si morse la lingua, ma dopo averci
riflettuto un po’ su roteò gli occhi e
girò i tacchi deciso a farsi avvolgere
dalle tenebre puntando a quello che senza alcun dubbio doveva essere un
essere
ferito.
Per quella notte le infermiere potevano stare
tranquille. Aveva trovato la sua cena.
«Ti consiglio di vedere qualche psicanalista,
amico. Sai, non è che sia così normale parlare da
solo» sbottò Damon con una
linea marcata di sarcasmo sottolineando l’ultima parola,
tentando di conferire
un non so che di macabro.
La sua vittima trasse un sospiro di paura appoggiandosi
al cassonetto della spazzatura accanto a lei ma dopo aver messo di
respirare
per ben dieci secondi l’aria tornò a riempirle i
polmoni.
«Non sono sola. Sto aspettando una persona» disse
la sagoma nera allacciando velocemente le braccia al petto, avendo
intuito le
intenzioni di quello sconosciuto.
«E comunque non mi serve uno psicanalista»
continuò con una punta di irritazione.
A detta di Damon quella voce acuta e sottile
poteva appartenere solo a una donna, ad una ragazza per la precisione
dato
anche il corpo snello e slanciato che si poteva intravedere dalla luce
soffusa
del lampione alle sue spalle.
Il Salvatore inarcò un folto sopracciglio nero e
per poco non si aprì in un sorriso data
l’insolenza – e stupidità - di quella
ragazza.
«E perché non aspetti quella persona sotto la
luce?» chiese avanzando di un passo ma non notò
alcuna reazione di paura da
parte della ragazza e questo lo incuriosì molto. Sembrava
piuttosto
infastidita.
«Perché quella dannata luce è
decisamente troppo
forte che per poco non accecava i miei occhi. Ma dico, con che diamine
di neon
li fanno queste insegne? Sono così luminose
che mi danno un fastidio assurdo» sbottò
più che irritata e calciò il bidone
alla sua sinistra il cui contenuto maleodorante si riversò
sull’asfalto del
parcheggio dell’ospedale.
In quel preciso istante Damon si pentì di essere
venuto in quel luogo.
Stava per ribattere e affilare i canini così da
chiudere quella bocca pronta solo a sputare malcontenti, ma ancora una
volta la
lingua veloce della ragazza lo precedette.
«E poi ho una gran sete.
Ho la gola letteralmente in fiamme» pronunciò con
voce roca
trattenendosi la trachea con le dita affusolate.
A Damon quella situazione non piaceva, non piaceva
per niente specialmente perché se i suoi calcoli fossero
stati giusti – e di
rado si sbagliava – in città c’era un
nuovo vampiro in circolazione.
Il vampiro si preparò al momento cruciale della
rivelazione.
«E’ naturale, principessa.
Il tuo corpo ha smesso di funzionare, il tuo cuore di battere per un
po’ e abracadabra hai
bisogno di sangue per
sopravvivere. Se la vie».
Caroline strabuzzò gli occhi ponderando le strane
parole che quel perfetto sconosciuto le aveva appena rivelato.
Katherine, la ragazza che aiutava la madre
all’ospedale, l’aveva trovata ancora in stato
confusionale e profondamente
scossa. Le aveva detto di vestirsi, di prendere la propria roba e di
aspettarla
sul retro. Non sapeva il perché le avesse dato ascolto,
sapeva solo che lei era
a conoscenza di cosa le era realmente successo e aveva dato tutta
l’impressione
di sapere anche come curarla.
Aveva semplicemente detto che aveva bisogno di
sangue, le stesse parole che quell’uomo ora le stava dicendo.
Forse che avevano
scoperto qualche strano farmaco a base di sangue? Il solo pensiero le
arroventava la gola e le faceva accapponare la pelle.
«In che senso il mio cuore ha smesso di battere?»
Adesso Damon aveva voglia di lanciare un bel
gancio sinistro a quel musetto sprovvisto di alcuna materia grigia.
«C-come? Ricordo di aver visto del sangue nella
flebo, un rumore e poi qualcuno mi ha messo un cuscino in faccia
e-» blaterò la
ragazza non riuscendo a leggere l’ovvietà delle
sue stesse parole.
Una macchina svoltò l’angolo e i fari inchiodarono
i due sul posto, illuminandoli a giorno.
Un ragazzo li squadrò con aria sbigottita ma
entrambi non se ne curarono.
Il Salvatore scoccò un’occhiata obliqua alla
ragazza: era poco più giovane di lui, con una cascata di
capelli biondi, ma non
riuscì a scorgere il viso.
«Sono morta?» chiese nervosamente portandosi una
mano davanti agli occhi. Stava soffrendo e anche parecchio.
Damon scrollò le spalle come per volersi scrollare
quel problema di dosso.
«Decisamente»
concluse franco lasciando la neo-vampira al suo triste destino.
Se mai ne avesse avuto uno.
*
Riferimento al
capitolo 3.Ospite
[sei mesi prima] riguardo all’ora del
decesso di Caroline.
***
Salve
miei cari
lettori,
come avevo
promesso ho fatto presto presto ad aggiornare! Ormai stiamo giungendo
al
termine e un po’ mi dispiace dovermi intrufolare in queste
situazioni un po’
brutte, ma la resa dei conti è più che vicina.
Dunque come vi avevo anticipato
già la volta scorso questo capitolo è un altro
dei tanti flashback solo che a
differenza degli altri contrassegnati con il [sei mesi prima]
questa tratta esclusivamente la notte dell’incidente
e la notte della morte di Caroline. Ammetto che i parallelismi con il
telefilm
era doveroso farli quindi ho inquadrato i tre adolescenti come di
ritorno da
una festa e come sempre il più responsabile è
Matt. Forse ho un po’
estremizzato i vari personaggi ma rendetevi conto che ho cercato di
descriverli
come dei ragazzi normalissimi pronti a fare stupidaggini e anche un
po’ brilli.
Mi sono calata nei personaggi e ho cercato di vedere il mondo da
“ubriaca” ecco
il perché delle lucciole viste da Caroline e del fatto che
invece erano i fari
di un camion. Anche Tyler che sente quel rumore, non ha nulla a che
vedere con
la licantropia o cose del genere, è tutto frutto di
allucinazioni uditive a
causa dell’alcol. Andando avanti, ci tenevo a ritagliarmi uno
spazietto per
Lizzie Forbes e per il suo lato materno. Quando Care ha avuto
l’incidente nel
telefilm ce l’hanno fatta vedere pochissimo così
mi sono cimentata anche in lei
e a sentire un po’ come una mamma in trepidazione per sua
figlia. La notte in
cui è morta Caroline è stata anche la notte in
cui la paura del sangue ha
cominciato a riaffacciarsi e questo l’ha turbata moltissimo.
Anche qui è morta
per soffocamento ma il sangue di vampiro le è stato
direttamente iniettato
nelle vene attraverso la flebo. Chi sarà stato? La risposta
sembra più che
logica anche se chissà…potrebbe essere Katherine
così come potrebbe essere
qualche altro vampiro, lascio il beneficio del dubbio a voi. E alla
fine chi
poteva esserci se non quel muso duro del Salvatore dagli occhi blu.
Come si
suol dire, si è trovato nel posto sbagliato al momento
sbagliato e il fatto che
era particolarmente buio ha impedito al vampiro di vedere chi fosse la
sua cena
alias interlocutrice. La macchina che ha illuminato i due come potete
immaginare è quella di Tyler, ecco perché afferma
di aver visto Caroline con
Damon. Ma Damon effettivamente non ricorda chi fosse o se
l’è tenuto per sé? E
vi lascio un po’ in sospeso così.
Il
prossimo
capitolo è quasi pronto quindi penso che la prossima
settimana mi vedrete di
nuovo qui. Sarà un capitolo molto amaro, con le urla di
Caroline a tutto spiano
ma anche momenti divertenti per i fratelli Salvatore. Si
intitolerà Escamotage:
secondo voi che cosa si
inventeranno per salvare la bionda?
Grazie mille per
le bellissime recensioni che mi lasciate, dico davvero.
Un bacio,
Sil.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** 17.Escamotage ***
ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*)
per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
17.
Escamotage
Il piede di
Stefan si mosse leggermente andando a
cozzare con il semaforo al di sotto di lui e facendo oscillare la
precaria
struttura in metallo giallo sulla quale era rimasto appollaiato per
più di tre
ore.
Cosa ci facesse lì non è che gli fosse ben
chiaro,
semplicemente era giunto alla conclusione che avrebbe avuto bisogno di
tempo e
soprattutto spazio per rimuginare
sulle parole che aveva appreso quel pomeriggio al cimitero di Mystic
Falls.
Il Salvatore cacciò uno sguardo verso le gambe
fasciate dai jeans scoloriti e al paio di
mocassini che aveva ai piedi che galleggiavano nel vuoto
più assoluto
senza il ben che minimo senso di paura o vertigine da parte del vampiro.
La luce gialla del
semaforo smise di lampeggiare e passò ad un verde acceso
dando la possibilità
alle macchine di passare; ma di macchine in quella notte buia non ce
n’era
neanche l’ombra.
«Non sapevo che Tarzan
fosse arrivato in città»
La voce del fratello
ridestò Stefan dai suoi pensieri e con aria di sufficienza
scoccò una mezza
occhiata là sotto dove, con aria sogghignante, lo osservava
Damon con le
braccia strette al petto.
Il Salvatore sospirò
roteando gli occhi.
«Cosa vuoi, Damon?»
chiese quasi senza aspettarsi una risposta concreta. Dopotutto era di
Damon che
si stava parlando.
Il vampiro dagli occhi
azzurri schioccò la lingua indignato dalle parole del
fratello e allargò le
braccia in un gesto plateale facendo tintinnare le chiavi della
macchina riposte
nella tasca del giubbotto.
Stefan mormorò in tono
lamentoso un ora incomincia e si
preparò al peggio.
«Non mi sembra il
trattamento più opportuno da darmi dopo che non ti fai
sentire da un’intera
settimana e dopo che mi hai abbandonato – che ci
hai abbandonato – lasciando la pensione e una Caroline
– e
sottolineo Caroline, non so se ti
dice qualcosa questo nome? – completamente in lacrime; e
adesso tutto ciò che
hai da dirmi è un cosa vuoi, Damon»
concluse scimmiottando il fratello ed esprimendo la sua indignazione
calciando
il palo giallo sulla cui sommità stava Stefan, come un
monellaccio di strada
calcia un sassolino.
«Per non parlare del
grugno che ti sta comparendo in faccia. Hai mangiato tassi di recente?
No, sai
perché ho notato che nutrirsi di sangue animale ti porta a
comportarti come un
animale» sproloquiò il Salvatore
senza che facesse intendere a Stefan dove
volesse andare a parare. Non che Damon lo sapesse, comunque.
Stefan, anche se di malavoglia, sottostette al
gioco.
Si umettò lievemente le labbra e intrecciò le
dita
delle mani, con i gomiti poggiati sopra le ginocchia e le gambe ancora
a
penzoloni e poi cominciò.
«Perdonami per la mia incresciosa dimenticanza, ma
se non ti dispiacerebbe informarmi sulle cause che ti hanno spinto qui
all’incrocio tra la…7th Street e New Road, te ne
sarei davvero grato».
Così facendo, Stefan puntualizzò ruotando il capo
per accertarsi della corretta collocazione geografica e infine, con
aria
visibilmente più serena e meno cupa e austera, rivolse un
sorriso strafottente
al vampiro sottostante al quale la nota divertita del fratello non era
visibilmente piaciuta.
«Ti preferivo di più quando somigliavi ad un
tasso»
sputò con astio e scoccò una stilettata verso
l’alto del semaforo.
Basicamente Damon non sapeva del perché avesse
scelto di ritrovare suo fratello.
In effetti non che gli mancasse tanto, né tanto
meno Caroline si era disperata così come lui stesso aveva
raccontato. Anzi a
dire la verità l’ultima volta che aveva avuto un
rapporto ravvicinato con la
vampira stava tentando di ucciderla.
Ecco, quello
era il punto.
Uccidere Caroline.
Katherine.
Altre cose che urgevano la presenza di Stefan
Salvatore.
Quanto
odiava
ammetterlo.
Il Salvatore con un balzo raggiunse l’asta
orizzontale sulla quale era seduto il fratello pochi metri
più in là. Lo
squilibrio del peso maggiore che si andava ad aggiungere alla precaria
struttura fece oscillare il semaforo che tentennò sul verde
e sul giallo.
Per quel che importava a Stefan, quel semaforo
sarebbe potuto anche cadere, tanto di macchine per quella sera non ne
sarebbero
passate – almeno sperava.
Damon si acquattò non mostrando minimamente segni
di vertigine o di mancanza di equilibrio e con tutta calma
scrutò il fratello
con gli occhi azzurri che si ritrovava, forse un po’ rossi
per via dello stress
e della stanchezza in quei giorni.
Damon lo guardò come uno di quei barboni che si
guardano per strada, con sospetto, come se in realtà dietro
a tutta quella
messinscena vi fosse un’altra persona.
Stefan si lasciò guardare per poi farsi coraggio e
affrontare lo sguardo del fratello, inchiodando gli occhi a quelli del
Salvatore.
«Perché non torni a casa, fratello?»
mormorò con
tutta serietà Damon e Stefan fu costretto a tirare un
pesante sospiro, incapace
di poter esprimere a parole quello che aveva passato in quei sei giorni.
La luce verde del semaforo gli solleticò la gamba
e rischiarò un po’ il viso pallido rivolto verso
la carreggiata buia e deserta.
«Perché me l’hai detto tu di
andartene» si decise
a confessare, ma l’occhiata furente di Damon gli fece
intendere che la sua
copertura non era stata abbastanza, non per uno come Damon.
«Piantala di essere così melodrammatico.
Sai bene che io non ti ho detto di andartene, sei
stato tu che l’hai
fatto» sputò con
astio il vampiro fulminandolo con lo sguardo e allungando la mano per
afferrargli il colletto della maglietta grigia.
Stefan si lasciò strapazzare inerme pur non
abbassando la guardia e mantenendo sempre viva quella dose di orgoglio
tra gli
occhi verde cupo.
«Lei me
l’ha detto» buttò lì il
Salvatore e l’animo inquieto di Damon si placò per
un
minuto.
Abbandonò la presa intorno alla maglietta e si
passò una mano affrettata sopra gli occhi e poi sulle labbra
come se stesse
riflettendo su qualcosa. Poi facendo leva sulle ginocchia si
alzò e come un
bravo equilibrista si acquattò nuovamente questa volta per
sedersi al lato del
fratello, con un piede penzoloni e un’anca portata contro il
torace.
Il Salvatore dagli occhi blu si umettò le labbra e
schioccò più volte la lingua indeciso su come
iniziare il discorso. Che gli
mancassero le parole era un’idea che Stefan prese in
considerazione più volte
dati i vani tentativi del fratello di controbattere alla sua frase. Era
da
tempo che non lo vedeva così in difficoltà e
nonostante facesse di tutto per
non farlo notare era davvero esausto, i nervi tesi, i riflessi pronti.
Come se
stesse percorrendo una strada minata e ogni passo leggero avrebbe
significato
la morte o la vita.
C’era qualcosa che terrorizzava Damon al punto da
venire a cercarlo.
Nostalgia per loro era una parola sconosciuta.
«Quindi- se non fosse per lei ritorneresti a casa»
esordì finalmente Damon riuscendo a pronunciare quelle
quattro parole che per
tutto quel tempo aveva soppesato, calibrando
l’intensità e la pronuncia.
Adesso, ripetendoli ad alta voce non avevano
affatto quel tono rassicurante che Damon si era immaginato durante
tutto quel
tragitto per arrivare lì.
Adesso avevano un non so che di lugubre, come se
la lei in questione fosse il
carnefice quando in realtà era la vittima.
Stefan strinse forte la mascella.
«Non ritornerei a casa comunque, con lei o senza
di lei. E’ l’unico rifugio che ha e non le
permetterò di andarsene solo
perché…»
Quelle sue parole rimasero lì sospese, tra la 7th
Street e New Road, e dovettero scattare ben tre rossi prima che Damon
risollevasse gli occhi dall’asfalto nero come petrolio.
Inspirò nervosamente ed espirò con stizza,
scoccando stilettate verso il cielo buio, in direzione di un qualche
dio con
cui il Salvatore aveva a che fare in una maniera insolitamente
taciturna e
priva di bestemmie.
Doveva fare qualcosa per riportarlo indietro, per
convincerlo a tornare a casa.
L’immagine di Katherine famelica gli si arrampicò
per la mente.
«Perché cosa?» lo provocò a
quel punto il fratello
tanto da far tremare la precaria struttura in ferro.
Questa volta erano gli occhi verdi di Stefan ad
essersi staccati dalla strada sottostante.
«Perché ci sono io? Perché con me in
giro lei
potrebbe essere in pericolo? Dillo Stefan, dillo che sono un pessimo
soggetto
per lei, perché è questo che sono! Dici che
potrei ucciderla? Bene penso
proprio che questa volta tu abbia ragione»
Stefan assottigliò gli occhi interrompendo
perentoriamente il soliloquio del vampiro dagli occhi azzurri.
«Cosa intendi per questo?»
Damon boccheggiò per un secondo indeciso se
confessare il suo crimine o metterlo a tacere.
«Che c’ho provato! Ho provato ad ucciderla
perché
era questo che dovevamo fare, fin dal principio. Abbiamo accolto una
psicopatica in casa invece di eliminarla e tu…»
continuò Damon allungando il
braccio e puntando il fratello con un dito. Aveva del sapore amaro in
bocca, ma
era semplicemente il gusto di accuse e parole trattenute dentro per
troppi
anni, parole che nel corpo di un morto non possono far altro che
imputridire a
sua volta.
«Tu l’hai creata. Sei tu il mostro,
ma sai che ti dico, eh? Sai cosa ti dico fratellino, che
adesso i mostri sono due perché a te potrà pure
odiarti, certo, ma sono io
quello che l’ha abbracciata mentre cercava di piantargli un
paletto nella
schiena!»
Damon non riuscì a completare per intero la frase
che si ritrovò sbalzato dal semaforo, spinto
dall’urto del fratello e dai suoi
canini ben tesi a manifestare la furia cieca che albergava
nell’animo del
Salvatore.
Entrambi i vampiri ruzzolarono sull’asfalto rugoso
e ruvido e Damon non poté non lasciarsi scappare un sorriso
di sbieco notando
con tanta fierezza l’effetto che le sue parole avevano avuto
sulla personalità
del fratello, effetto che era riuscito a far destare Stefan dal suo
stato di
apatia mentale e di commiserazione.
Il vampiro strinse i pugni e un rumore di nocche
non fu sufficiente a far intendere al maggiore dei Salvatore gli
intenti del
suo avversario.
Stefan picchiò forte, duro, un colpo secco e
deciso che fece rivoltare il viso di Damon di lato sulla carreggiata
che si
macchiò dello sputo di sangue che il vampiro
gorgogliò dalla bocca.
«Coraggio, picchia. Sfogati» tossì
alzando la voce
gracchiante per incitare il fratello a continuare, ad affrontare la
situazione.
«Sei stato tu? Sei stato tu a trasformarla?»
latrò
ricordando le parole di Tyler e il racconto di quella notte
d’ospedale,
racconto che vedeva suo fratello al centro della scena.
Damon tossì evitando di slegarsi dalla presa
ferrea del fratello e pensò velocemente ad
un’idea, un escamotage che avrebbe
garantito la salvezza della vita: sua e di Caroline.
«Se ti fa piacere pensarlo sono stato io. Ma sappi
che non ho la più pallida idea di cosa tu stia
blaterando» dichiarò con voce
roca e strizzò gli occhi, pronto a ricevere un altro colpo.
Invece Stefan si bloccò. Il petto ansante, ma
privo di qualsiasi ringhio cupo era la conferma del ritorno di
lucidità del
vampiro così come il suo viso privo di
capillarità e i suoi occhi ritornati di
un verde acquoso.
Abbassò il pugno ed emise un ultimo sospiro, prima
di procedere con la spiegazione dati gli occhi leggermente sorpresi e
fuori
dalle rispettive cavità orbitali del fratello – il
quale non riusciva a capire
le intenzioni del fratello.
«Lei non può scappare dal mostro»
decretò il
Salvatore rigirandosi sull’asfalto bagnato e sentendo i
minuscoli cocci di
cemento conficcarsi dentro la schiena.
Damon distolse lo sguardo dal cielo notturno e
ruotò il capo fino a intercettare la sagoma del fratello a
pochi centimetri da
lui.
Il giallo del semaforo lampeggiò sopra di loro
ancora una volta e il cielo sembrò tramutarsi in chiarore
pallido e assolato.
«Quale mostro?» chiese il vampiro aggrottando le
sopracciglia nere e attendendo una spiegazione plausibile da Stefan,
dato che a
rigor di logica il fratello era totalmente all’oscuro della
condizione della
bionda alla pensione Salvatore e dei folli piani omicidi di Katherine.
Stefan non si scompose, fece una breve pausa e
Damon sudò freddo.
«Se stessa»
Socchiuse gli occhi e le immagini gli ritornarono
vivide in mente: i canini sporgenti, gli occhi neri e privi di luce, la
pazzia,
il terrore e la brava del sangue, il conflitto con se stessa, le unghie
affilate, il vomito.
Era lei il mostro da cui non sarebbe mai potuta
scappare e per quanto gli dispiacesse aver fatto parte del lavoro, la
colpa
della sua natura non poteva essere di certo attribuita totalmente a lui.
Lui non
l’aveva trasformata.
Damon si alzò a carponi e si passò il dorso della
mano per ripulirsi del sangue incrostato sul labbro. Il sapore del suo
sangue
gli faceva ribrezzo, era amaro ma la ferita non faceva male. Se la
meritava
anche se non era niente paragonato al male che in quei sei mesi si
erano fatti
a vicenda in silenzio sotto gli occhi insicuri di Caroline.
Per vincere quella partita a scacchi aveva bisogno
di un escamotage e il suo era Stefan.
«Torna a casa, fratello» buttò
lì il Salvatore
tendendo un braccio verso il fratello accovacciato sulla striscia
bianca di
mezzeria, quasi come se fosse in bilico su un filo. Era in bilico tra
il
passato e il futuro.
«Da lei?» chiese un po’ titubante
sollevando gli
occhi verdi arrossati, gonfi e annebbiati su quelli di Damon.
Il fratello deglutì come a voler inghiottire le
lacrime che Stefan avrebbe di lì a poco pianto. Fiumi di
orrori che gli
sarebbero scivolati via dagli occhi e avrebbero risanato qualche
brandello di
vita ancora in lui.
Come quando da bambini si sbucciavano un ginocchio
e la balia li lavava con acqua fresca.
Ma non ci sarebbe stata nessuna balia adesso,
nessun padre scorbutico e seccato dalle loro marachelle, solo lui, suo
fratello.
Damon inchiodò di rimando lo sguardo su Stefan e
aggrappò la mano del fratello risollevandolo
dall’asfalto fino a che non si
decise a mormorare
«Da me»
Rimasero lì abbracciati a consolarsi, a ritrovare
il loro legame tra fratelli per non seppero mai quanto tempo, fino a
che la
pallida luce verde del semaforo guasto non si spense del tutto.
Lo scricchiolio secco
dell’ennesima falange che si
spezzava indusse Caroline a distogliere per un momento
l’attenzione dalla sua
pelle delle spalle ustionata e contornata da piaghe rosso sangue mentre
la
pelle del viso era solleticata da una pianta dalle foglie e dai fiori
azzurrognoli i quali le procuravano scottature e scie di fuoco bollenti.
Un urlo durato chissà quanto tempo si smorzò
all’improvviso quasi come se la povera vampira bionda fosse
diventata atona,
quasi come se si fosse strappata le corde vocali
dall’interno. E l’avrebbe
fatto Caroline sul serio, si sarebbe cavata di dosso lingua, denti,
occhi,
faringe se quel mutilamento avrebbe garantito almeno
l’arresto del dolore
insopportabile che si espandeva in tutto il corpo a velocità
disumana e che
stava prosciugando ogni grammo di energia vitale contenuta nel suo
corpo.
«Scommetto che non sai neanche che cos’è
questa»
puntellò Katherine piegandosi sulle ginocchia esili e
maneggiando tra l’indice
e il pollice un ramoscello di quella pianta così tanto
attraente e così letale
agli occhi iniettati di sangue di Care.
La bionda tentò nuovamente di liberarsi dalle
manette che la tenevano incollata all’inferriata della
finestrella che si
apriva dietro di lei e che inondava la cella della luce densa del primo
mattino. All’ennesimo strattone però il polso di
Caroline cedette spezzandosi
irrimediabilmente e facendole digrignare i denti indolenziti.
Caroline per la sessantatreesima volta si arrese.
«Che cos’è?» chiese con un
filo di voce
gracchiante e la bocca completamente asciutta, non potendo far altro
che
sottostare al gioco malato della vampira malvagia.
Kate scoccò uno sguardo prima alla pianta e poi
alle goccioline di sudore che imperlavano la fronte e il collo della
vampira
fino all’incavatura del seno ansimante.
«Verbena definita in parole povere l’arma di
distruzione di massa per vampiri»
Caroline sgranò gli occhi con una punta di terrore
e all’ennesimo tocco di quelle foglie sulle sue guance le
urla si triplicarono,
tentando in tutti i modi possibili di allontanarsi dalle grinfie di
Katherine.
Bruciava. Caroline era in fiamme e non soltanto
per le spalle cotte dal sole e marchiate di strisce rosse e
sanguinolenti, né
per il viso escoriato da visibili piaghe rosse che le accartocciavano
la pelle
e le sfibravano i muscoli rendendola sempre più debole.
Bruciava dentro. Si
sentiva la bocca della stomaco arrovellarsi quasi come in un forno e la
gola,
già martoriata dalle grida, spessa e calda tanto che ogni
grumo di saliva che
inghiottiva era come un fiotto di lava e sangue che mandava
giù senza che la
sete fosse completamente saziata.
All’ennesimo dolore insostenibile la bionda cacciò
un urlo e piegò innaturalmente
la mano
destra tanto da far schioccare il mignolo spezzando la falange e
incurvandolo
quanto più poteva verso l’esterno.
«Per favore, smettila!» urlò non
riuscendo più a
sostenere, il dolore, il bruciore, la sete, la fame, le lacrime.
Katherine la guardò curiosamente lasciando
scivolare lo sguardo dapprima sulla fronte sudaticcia e livida di
Caroline e
poi sulle mani martoriate e ruvide.
«Non ti facevo così autolesionista»
constatò la
vampira inarcando un finissimo sopracciglio e facendo scorrere le dita
sottili
su quelle sformi della bionda.
Quel tocco fu sufficiente per spossare la povera
Caroline la quale reclinò il capo in avanti e le ciocche
color grano le
scivolarono intorno agli zigomi. Era esausta, ogni boccata di ossigeno
era una
nuova fitta di dolore che per le sue costole, per i muscoli ancora
tesi, per i
nervi ormai a fior di pelle. Si umettò le labbra indurite
come cartavetrata con
la lingua spessa e asciutta ma non ne trasse alcun giovamento. Per un
momento
se lo chiese, si chiese se fosse arrivata davvero la sua ora, se fosse
stato
possibile morire due volte. Ma c’era un piccolo pensiero che
le ronzava in
testa, complici anche le meningi che non cessavano il loro continuo
pulsare.
Che fosse dovuto al mal di testa, al senso di vertigini o no, Caroline
aveva un
quesito che non riusciva a risolvere e che si era presentato
prepotentemente in
lei già dal primo tocco di quella tortura da parte di
Katherine: cosa aveva
fatto per meritarsi questo? Più ci pensava più il
suo cervello andava in fiamme
e così la sua schiena frustata dai raggi solari ad
intermittenza.
Cosa aveva fatto per meritarsi questo?
Cosa?
E perché?
Perché?
Perché?
«Perché mi stai facendo questo?» chiese
con un filo
di voce riducendo gli occhi a due misere fessure, un po’ per
spossatezza un po’
per rabbia, quella stessa rabbia che le era ribollita dentro mentre
stava
acquattata in un angolo della soffitta buia.
Katherine volse il capo verso di lei e la guardò
incuriosita come se stesse guardando un animale da circo che
all’improvviso
avesse fatto uso della parola. Seppur con la vista annebbiata e i
capelli
davanti al viso Caroline riuscì a scorgere una Kate diversa,
non sadica ed
estremamente maligna che fino a poco prima l’aveva torturata
brutalmente, ma la
vampira che vedeva adesso aveva dipinto sul volto uno sguardo a dir
poco vitreo
a metà tra il terrorizzato e il compassionevole,
così come anche le labbra
gonfie semi socchiuse.
In effetti Katherine era da sempre stata
caratterizzata da questi violenti sbalzi, non che non fosse coerente
con se
stessa, semplicemente la sua personalità era quanto di
più simile ad un cubo di
Rubik, tante facce, tanti colori, tante combinazioni e nessuno riusciva
quantomeno a risolverne una. Era come se a volte venisse risucchiata
dai suoi
pensieri, come se si ritirasse in una stanza dentro di sé e
dietro quelle
quattro pareti pensava e rimuginava, attendendo il momento buono per
uscire
allo scoperto come una donnola. Era una parte piccola, forse anche
lontana
all’interno della sua mente, la sua tana.
La vampira riccioluta sbatté le folte ciglia come
se non avesse capito cosa Caroline intendesse dire. Per cui
sorvolò la sedia e
si posizionò davanti al corpo martoriato della bionda
intenzionata a sedersi
sulle gambe di Caroline per scrutarla meglio da vicino.
Emise un risolino che somigliava più un latrato e
Care si accorse che Katherine era tornata nuovamente allo scoperto.
«Ma come, dolce Caroline, non ti ricordi cosa ti
ho raccontato quella mattina quando eravamo nella vasca da bagno?
Eppure quella
storia sembrava averti turbato così tanto che temevo avessi
già intuito
qualcosa»
Si costruì un broncio in piena regola mentre gli
ingranaggi del cervello di Caroline cominciavano a mettersi in moto,
andando
indietro con i giorni fino a visualizzare quell’immagine
nitida nella sua
mente.
Il bagnoschiuma. Il vapore denso. L’acqua
bollente.
Penso
che ci
divertiremo, io, tu e i fratelli Salvatore.
Le ritornò in
mente la voce un po’ civettuola di Katherine
e il tono di voce le sembrò adesso cupo e minaccioso.
Ma i ricordi le rimbalzarono indietro e la scena
mutò velocemente, questa volta si trattava di Stefan e di
quando le aveva
raccontato del loro passato nel 1864.
E’
vero che un
tempo vivevate tutti e tre insieme come adesso viviamo noi?
La verità sopraggiunse dalla sua stessa domanda
fatta quel giorno di poche settimane prima al minore dei Salvatore.
Le pupille tremarono lievemente e la bionda
dovette ingoiare quel groppo amaro di stizza mista a terrore.
Un dito sottile aveva sfiorato mollemente il
profilo della mascella di Care per poi posarsi sulle labbra ruvide e
livide, un
po’ dischiuse.
Katherine si posizionò meglio sulle gambe della
vampira bionda e con fare lascivo avvicinò furtivamente le
proprie labbra all’incavo
della bocca di Caroline e il sospiro caldo e profumato fece irrigidire
la
bionda, accelerando i battiti cardiaci.
Kate le sfiorò la pelle con fare delicato
lasciando un lieve bacio sulla guancia unta e rigata di lacrime di
Caroline,
percorrendo poi all’incontrario la pelle del collo fino a
raggiungere
l’orecchio destro.
«Esatto mia piccola, Care. Tu, io e i fratelli
Salvatore. E questa grande casa. Sarei tornata molto volentieri a
vivere qui
come nel 1864.» Bisbigliò contro
l’orecchio di Caroline e un risolino acuto
seguì le sue parole mentre ritraeva le labbra dal lobo e
tornava a guardare la
vampira negli occhi. Caroline di tutta risposta le scoccò
uno sguardo torvo.
«Ma torno e cosa trovo? Stefan che si dispera per
una come te. E di me cosa restava? Non restava neanche un misero
ricordo.
Neanche quel pazzo di Damon.»
Schioccò furiosamente la lingua e le carezze e i
tocchi gentili lasciarono posto a una presa ferrea della mandibola.
Caroline
sentiva che le avrebbe potuto perforare le guance con le dita se solo
avesse
voluto.
La vampira bionda
scivolò dalla sua stretta e si
sporse in avanti sentendo la pelle sfibrarsi e i capillari intorno agli
occhi
pulsare così come le gengive esplodere e i canini fremere.
Spalancò la bocca
come un cane furioso a pochi centimetri dal viso della mora la quale
tuttavia
sembrò non destare il ben che minimo interesse alla furia.
Un ringhio cupo sgorgò dal petto di Caroline e
sembrò che qualcosa si fosse sbloccato. Si
ricordò di quando era bambina, la sensazione
nuova di essere ricoperti da una montagna di lenzuola, stracci,
piumoni,
coperte di ogni tipo in quelle lunghe e gelide notti
d’inverno, di come si era
sentita soffocare, pressare dal peso di quell’ammasso di
tessuti e poi la
leggerezza, il riaffiorare tra i cuscini e la sensazione che ogni cosa
che si
guarda sia diversa. Anche l’aria sembra essere più
buona.
Così si era sentita Caroline, schiacciata da un
immondo ammasso di ricordi, paure, manipolazioni, sentimenti, legami e
il tutto
avrebbe finito per farla soccombere se lei non fosse riuscita ad
evadere, con
le unghie e con i denti a scostare definitivamente la tenda che aveva
reso il
mondo così ovattato.
Katherine attorcigliò le sue dita attorno alle
ciocche bionde di lei e tirò forte affinché il
viso della bionda fosse rivolto
verso i suoi occhi.
«Ti piace farti del male vero?» sputò
alludendo
alle falangi rotte che in quel lasso di tempo si erano finalmente
ricostruite.
Puntò gli occhi nocciola su quelli color giada di
Care e le pupille si dilatarono a dismisura facendo in modo che
l’ordine
radicasse nella più profonda voragine della sua psiche.
«Ti romperai volontariamente ogni osso del tuo
corpo fino allo sfinimento» decretò Kate lasciando
andare i capelli della
vampira.
Quel giorno le urla di Caroline nello scantinato
della pensione raggiunsero persino l’ufficio dello sceriffo
Forbes.
***
Salve
caro popolo di efp,
è vero avevo
detto di aggiornare presto eppure non
l’ho fatto. Tuttavia spero che accettiate comunque il
capitolo che vi ricordo essere
il penultimo prima della fine e dell’epilogo – sob.
Ad ogni modo, in questo
capitolo mi sono voluta concedere un sano momento Salvatore anche se
non
sappiamo fin quando può durare questa tregua tra fratelli
(vi ricordo che
ancora Damon non ha confessato interamente le sue malefatte al fratello
– vedasi
morte di Lexi) ma per adesso cooperano per un fine comune che
è quello di
salvare Caroline dalle grinfie di Katherine. Alla fine Stefan si
aggrappa al
fratello perché è di questo che ha bisogno e
tutto succede lì in quell’incrocio
come a voler simboleggiare una pausa da tutto il resto. Per quanto
riguarda
Caroline è stata straziante descriverla in quelle condizioni
e so bene che l’odio
nei confronti di Katherine sta crescendo sempre di più, ma
per lo meno si è
scoperto cosa vuole la vampira e cioè casa Salvatore
avvalendosi di quella
promessa che Stefan gli aveva fatto a suo tempo. Caroline sebbene sia
nel suo
momento peggiore è riuscita a ripescare la forza e la
sicurezza che aveva
perso, è come se fosse uscita dal suo bozzolo e adesso fosse
pronta alla sua
nuova vita da vampiro. In parole povere è la metamorfosi che
la Caroline del telefilm ha
avuto un po’ di tempo fa e che nella storia avete visto in
maniera graduale e
introspettiva.
Cosa avranno in mente i
due fratelli per salvare
Caroline? E la nuova Caroline come sosterrà il tutto e
soprattutto come
ripagherà la sua vecchia amica Katherine?
Non posso credere di
essere arrivata alla fine
della storia.
Vi ringrazio per averla
seguita dall’inizio fino
alla fine (spero).
Un bacio e alla prossima.
Sil
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=740890
|