Unspoken crime.

di d r e e m
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1.Rintocchi dal passato [Prologo] ***
Capitolo 2: *** 2.Ricomincio da t(r)e ***
Capitolo 3: *** 3.Ospite [sei mesi prima] ***
Capitolo 4: *** 4.Ospite ***
Capitolo 5: *** 5.Apprendimento ***
Capitolo 6: *** 6.Controllo [sei mesi prima] ***
Capitolo 7: *** 7.(Sotto)Controllo ***
Capitolo 8: *** 8.Frammenti ***
Capitolo 9: *** 9.Legami [sei mesi prima] ***
Capitolo 10: *** 10.Legami ***
Capitolo 11: *** 11.Chiave ***
Capitolo 12: *** 12. Illuminati ***
Capitolo 13: *** 13.Famiglia ***
Capitolo 14: *** 14.Caccia ***
Capitolo 15: *** 15.Tana ***
Capitolo 16: *** 16.Notte [la morte di Caroline] ***
Capitolo 17: *** 17.Escamotage ***



Capitolo 1
*** 1.Rintocchi dal passato [Prologo] ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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1.Rintocchi dal passato [Prologo]

Era solo una serata come le altre nulla di più. Il crepitio del fuoco era il suo unico compagno in quella notte silenziosa, tra i mobili antichi di casa Salvatore.

Il vampiro, con un gesto stanco, aprì l’anta del mobile a vetrinetta e con accurata scelta tirò fuori una bottiglia di Bourbon invecchiato. Inspirò a fondo quasi a voler trattenere il respiro e versò il liquido ambrato nel bicchiere cilindrico.

Era solo, quella sera, e a Stefan non piaceva rimanere solo.

Fissò per un attimo il liquore nel bicchiere e dopo averlo fatto vorticare abbastanza ne bevve un sorso che gli arse la gola.

E’ facile, quando non hai altra compagnia che te stesso, affondare nei ricordi più oscuri e pericolosi che la mente può offrirti; i rimorsi si insinuano piano come un orrendo serpente pronto a balzare e ad affondare i suoi denti per iniettarti il veleno, pronto a spalancare le sue fauci per lasciarti nell’agonia più assoluta.

Il pendolo batté le undici e Stefan si ritrovò seduto sulla poltrona accanto al fuoco. La luce rossastra gli rimbalzava sul viso pallido e freddo, troppo rigido e antico per provare nuove emozioni.

Le palpebre si chiusero nascondendo gli occhi verdi e Stefan reclinò la testa sullo schienale della poltrona in cerca di un sonno ristoratore.

Una bambina, con le trecce bionde e le guance rigate di lacrime fu tutto ciò che gli apparve.

Il vampiro si alzò di scatto, ansimando, per poi affondare entrambe le mani nei capelli. Cosa aveva mai fatto? Quale terribile peccato aveva commesso e ancora non riusciva a scontarne la pena?

Aggrottò le sopraciglia e irrigidì la mascella, devastando quel suo volto dal dolore più assoluto. Continuava a sentirle, quelle urla innocenti e piene di terrore, quelle lacrime che avrebbero fatto cedere il più crudele tra gli assassini, ma non lui. Accecato dalla sete e dalla pazzia, si era spinto a compiere il gesto più deplorevole in assoluto, macchiando il candore di un’ingenua ragazzina.

Si sentii soffocare in una morsa e non riuscii a frenare un istinto violento. Getto il bicchiere e il suo contenuto tra le fiamme roventi e un barlume di pazzia mista a odio si fece largo tra i suoi occhi. Doveva placare le sue sofferenze, porre fine a quell’agonia ed esisteva un unico modo.

Un rumore di tacchi rimbombò per la stanza vuota e Stefan aguzzò l’udito e irrigidì i muscoli.

«Vedo che sei piuttosto malridotto».

Una voce alle sue spalle lo costrinse a voltarsi e ad abbassare la guardia. Quella era un visita del tutto improvvisa e non aveva alcuna voglia di parlarle, avrebbe preferito bruciare all’inferno piuttosto che intraprendere una conversazione con la vampira più crudele che avesse mai incontrato.

«Non sono affari che ti riguardano, Katherine».

La vampira sorrise beffarda rimirando alcune fotografie appese alle pareti, ricoperte di polvere così come il resto della casa, chiusa da troppo tempo.

«Cosa ti spinge a crogiolarti così nel tuo dolore?».

Con uno sguardo attento Katherine era riuscita ad arrivare nella mente di Stefan e a capire il suo stato d’animo. Nonostante la stanza semibuia per via della fioca luce del camino, lo sguardo della vampira scintillava e appariva più malefico e distruttivo di quanto lo fosse alla luce del sole.

Faceva paura, faceva molta più paura della solitudine perché Stefan sapeva bene che se avesse parlato si sarebbe sentito come un assassino che confessa il proprio omicidio, e questo non sarebbe riuscito a tollerarlo.

La vampira avanzò calma attraverso l’oscurità posizionandosi a pochi passi dall’uomo dai cui occhi traspariva solo disgusto e profonda vergogna.

«Non starai pensando a quella bambina?» sussurrò e con un veloce scatto all’indietro evitò il colpo che Stefan si stava preparando a sferrare.

Adesso era furioso: odio profondo misto a disprezzo si mischiavano in quella maschera sfigurata che aveva cancellato il dolce e tenero ragazzo del diciannovesimo secolo, quando la sua anima innocente era stata brutalmente indirizzata verso morte certa.

«Come sai di lei?» sputò il vampiro con tutta la ferocia possibile immobilizzando la donna al muro.

Katherine non sembrò intimorita da questo sprazzo di follia dell’uomo e mantenne quel sorriso agghiacciante proprio a pochi centimetri da lui.

«So bene come e cosa hai fatto esattamente undici anni fa qui a Mystic Falls» scandì bene le parole e penetrò il suo sguardo negli occhi vitrei del vampiro pallido in viso quasi come se avesse visto un fantasma, il suo.

«Non ne ho parlato con nessuno, eccetto che con…» si fermò e sgranò gli occhi. Si umettò le labbra e aggrottò le sopracciglia tentando di ricordare qualche misero particolare.

Katherine lo fissava e il sorriso sembrò trasformarsi in un ghigno e ampliarsi per tutta la larghezza della faccia.

«Damon» concluse Stefan sprofondando nella poltrona nella quale poco prima sedeva. Il suo volto era quello di un uomo finito, distrutto, senza più vita né motivo di vivere.

«Dimmi cosa sai di questa storia?» chiese con voce roca pronta a rompersi in pianto. Sapeva che stava crollando, ma voleva resistere ora che era arrivata l’ora del giudizio.

Katherine prese posto in una delle tante sedie attorno al fuoco. Accavallò le gambe e con un gesto spostò i capelli lisci su una spalla.

«Eri qui undici anni fa. A quel tempo ti cibavi ancora di sangue umano, ti rendeva instabile, pazzo e incredibilmente forte. Per qualche strano motivo ti balzò in mente un’idea, la credesti la più ovvia, la più giusta in assoluto - povero sciocco. Rubasti una bambina, la consideravi la tua scorta personale. Eri ossessionato, da lei e dal suo sangue. Eri sicuro che non l’avresti uccisa vedendola così piccola ed indifesa. Invece arrivasti ad un punto estremo, non riuscisti a controllarti e in breve tempo ciò che sarebbe stata la tua salvezza in realtà diventò la tua rovina.»

La vampira smise di parlare prolungando la pausa e lasciando a Stefan tutto il tempo per poter rielaborare le sue parole.

«Sai dell’altro?» gracchiò Stefan con lo sguardo basso pronto a rievocare alla mente il più doloroso dei ricordi.

Katherine prolungò l’agonia versandosi un po’ di liquore in uno dei bicchieri e assaporando il gusto acre dell’alcol scorrerle giù per la gola, un sapore amaro in confronto a quello delizioso del sangue caldo.

«Ti cibasti di lei, fino all’ultima goccia di sangue, fino a quando non sentisti il suo cuore rantolare il suo ultimo battito» concluse fredda. I suoi occhi ormai erano macchie di petrolio nell’oscurità più assoluta della stanza.

«Poni fine a questa mi agonia» singhiozzò. Stefan non riuscì a trattenere le lacrime, gli argini cedettero e il fiume poté trovare un nuovo percorso da solcare.

Il fuoco del camino divenne un ammasso di carboni roventi che non provvedevano ad illuminare la stanza, impedendo ad entrambi di scrutare i loro visi.

«Se ti dicessi che è ancora viva?». Il pendolo batté mezzanotte e quei rintocchi furono i più potenti in assoluto. Il corpo del vampiro fu scosso da tremiti e un’ondata di rabbia accecò l’ormai annebbiata mente dell’uomo. I suoi occhi si iniettarono di sangue e rivelò il mostro con il quale aveva imparato a convivere per più di un secolo.

«Tu menti!» gridò e affondò le unghie sul collo della vampira che un tempo aveva amato con l’intento di farla tacere per sempre.

Questa volta Katherine aveva paura, questa volta i suoi occhi roteavano veloci e le mani artigliavano i polsi dell’uomo davanti a lei nell’estremo tentativo di liberarsi da quella morsa.

«So il nome-» gracchiò con quel filo di voce che le rimaneva «- so il nome della bambina».

Quelle parole scossero Stefan che lasciò subito la presa. Uno sguardo vacuo si impossessò dei suoi occhi e aspettò pazientemente che la vampira smettesse di tossire e di riprendere fiato.

«Caroline, Caroline Forbes» riuscì a dire tra un colpo di tosse e l’altro, massaggiandosi la trachea e dove poco prima le dita di Stefan avevano creato un solco profondo. La vampira strisciò a terra fino a riprendere completamente il controllo di se stessa.

«Come può essere» mormorò a mezza voce il vampiro ancora incredulo di ciò che aveva appena scoperto. Aveva passato undici anni a maledirsi e ad odiarsi per essersi abbassato a un tal misero livello, aveva passato le notti a piangere per quella bambina innocente, a disprezzarsi e a farsi disprezzare da suo fratello. Ora era tutto diverso, ora le cose erano cambiate, ma le colpe del passato non erano state cancellate: aveva ucciso molti uomini e altrettante donne, ma non si era mai perdonato di aver ucciso quella povera bambina che aveva strumentalizzato e reso vittima di un mostro assassino. Come avrebbe potuto rivederla senza che lei provasse ribrezzo nei suoi confronti.

«E’ viva, quindi? E abita ancora qui?» chiese con quel suo tono sollevato che Katherine conosceva bene e che non era cambiato nel corso degli anni. Avrebbe pensato a rimediare, a parlarle per rassicurarsi che non ricordasse niente dell’orrore che aveva dovuto subire, sarebbe stato suo amico per un po’ di tempo per poi scomparire e lasciare che la vita seguisse il suo ciclo.

Katherine mostrò uno dei sorrisi più innocenti che avesse mai mostrato e il colorito olivastro della sua pelle venne illuminato dai raggi della luna che si affacciavano da una delle finestre.

«Vive ancora qui a Mystic Falls, ma non è più viva» disse decisa facendo comparire un’insolita ruga sulla fronte liscia del vampiro di fronte a lei.

«E’ un vampiro, Stefan. Un vampiro come lo eri tu, come lo sono io, e sai cosa hanno bisogno i vampiri?» mostrò i denti scintillanti che risplendevano anche nel buio della notte. Stefan non lo avrebbe permesso, non avrebbe permesso che quella bambina diventasse ciò che un tempo lui stesso era stato. Ma come fare? Come avrebbe potuto aiutarla se il mostro era proprio lui?

Inarcò un sopraciglio e spostò lo sguardo su un punto indefinito della casa ormai quasi ridotta in macerie. Aprì la bocca quasi come se volesse parlare ma poi la richiuse, mordendosi il labbro inferiore. La vampira più furba e scaltra di lui lo precedette nella domanda.

«Aiutala se vuoi, arriverà qui domani. Sta a te scoprire se ricorda o no» disse flebile per poi fuggire a grande velocità.

Stefan ancora in silenzio inclinò la testa avanti e indietro quasi come se stesse annuendo ad un interlocutore invisibile: non aveva scelta, non poteva fare altrimenti.

Sarebbe stato tutto come undici anni fa: lui, la piccola Care, e il sangue, tanto sangue.

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Capitolo 2
*** 2.Ricomincio da t(r)e ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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[Undici anni prima]

Caroline continua a piangere. Gli occhi gonfi e rossi per il pianto. I singhiozzi le squarciano il petto e lo stomaco sembra essersi chiuso.
Trema come una foglia in quello scantinato umido e freddo dove da qualche tempo è stata rinchiusa.
Tutto ciò che vede è
sangue. Le pareti sono macchiate di quel liquido denso che le fa arricciare il naso e le fa mancare l’aria; le mattonelle del pavimento sembrano trasudare sangue che si addensa diventando scuro, quasi nero, come inchiostro.
E lei, lei è putrida, macchiata fino ai capelli di sangue. Si rannicchia su se stessa e comincia a dondolarsi in modo continuo, quasi da automa.
Gli occhi fissi su quella porta scura, in legno di noce, dalla quale da un momento all’altro comparirà il
mostro. Spalancherà le sue fauci e la divorerà, facendole schizzare il sangue, continuando ad inondarla di quel liquido rossastro e acre che le brucia le narici peggio dell’acido muriatico.
Gli occhi di Caroline sono vigili e all’erta e ad ogni minimo rumore scatta una molla dentro di lei che la costringe ad affondare le unghie nel collo per proteggersi anche a costo di farsi male.
Ed ecco che la porta si spalanca. Caroline sgrana gli occhi e reprime un conato di vomito.
“Guarda cosa ti ho portato, piccola Care” dice allegro Stefan rigirandosi tra le mani un peluche.
Il sangue scompare, le pareti e il pavimento si puliscono da ogni sorta di impurità, la ferita sembra sanarsi.
Caroline si guarda attorno con le guance ancora solcate da lacrime e il petto scosso da sussulti. Accenna un passo, poi un altro fino a fiondarsi definitivamente tra le braccia di Stefan, trovando conforto.
Anche per quel giorno il
mostro non era tornato.

2.Ricomincio da t(r)e


«Vi siete mai accorti di quanto siete ridicoli?»
Erano queste le parole con cui Damon iniziò il lunedì mattina della sua ventiseiesima settimana di convivenza forzata con Stefan e Caroline.
Il fratello minore girò i pollici e abbassò adagio il giornale di Mystic Falls, inarcando un sopraciglio e attendendo che il vampiro di fronte a lui continuasse la conversazione dando delucidazioni a proposito della sua insinuazione.
Damon prese la caffettiera ancora fumante e versò il contenuto nella sua tazza di colore blu elettrico. Un risolino gli comparve in viso mentre soffiava leggermente sul caffè bollente per farlo raffreddare.
«Spiegati meglio» tentò di continuare Stefan ripiegando il giornale e prestando più attenzione al fratello che adesso sembrava non voler più continuare quella conversazione che lui stesso aveva iniziato.
«Tu e Caroline» decise di puntualizzare Damon mentre sorseggiava il suo caffè. Stavolta Stefan dovette aggrottare entrambe le sopracciglia per sottolineare il senso di confusione che gli aveva provocato l’affermazione del fratello.
Non che Damon fosse un tipo particolarmente loquace, ma ogni qual volta che si degnava di fare un’osservazione le parole che gli uscivano erano sempre le più schiette e a volte ricche di doppi sensi che quasi sempre il fratello non riusciva a comprenderle a primo impatto. Non era un caso che, tra i due, colui che aveva più successo con le ragazze fosse sicuramente il fratello dagli occhi blu.
«Andiamo Stefan! Continui a comportarti come se lei avesse cinque anni e cerchi in tutti i modi di apparire il caro e bravo ragazzo - che non sei - mentre lei è una spietata assassina, affetta da amnesia e che è letteralmente cotta di me».
Concluse Damon riponendo la tazza nel lavabo e aprendo il rubinetto per ripulirla da residui di caffè e zucchero.
«Io cerco solo di proteggerla e di indirizzarla verso una via migliore. Toccherà a lei scegliere che strada intraprendere, con o senza di me».
Damon chiuse il rubinetto e, una volta asciugatesi le mani con lo strofinaccio da cucina, pose una mano sul suo torace all’altezza del cuore.
«Che parole sagge, mi hai toccato profondamente il cuore. Visto che sono particolarmente di buon umore stamattina, eviterò di piantarti un paletto nel cuore e di svegliare la nostra dolce coinquilina».
Fece una breve pausa in cui aprì il frigorifero per preparare tutto il necessario per la colazione della loro “ospite”, così come Stefan si ostinava a chiamarla. Damon preferiva maggiormente il termine “approfittatrice” visto che viveva da loro da ben sei mesi e mezzo e non provvedeva né alla spesa né a tenere in ordine la casa.
Stefan sospirò agguantando una bottiglia di succo di frutta e versandone un po’ nel bicchiere.
«Ho una notizia che non ti farà affatto piacere: il latte è scaduto e la scatola di cornflakes che lei adora è praticamente vuota. Preparati ad una bella strigliata» lo incoraggiò il fratello dandogli un buffetto sulla spalla e sedendosi nuovamente di fronte a lui.
«Perché sono sempre io quello che ci va di mezzo?» proruppe Stefan allargando le braccia e chiedendo una risposta soddisfacente al vampiro che non fosse la banale osservazione perché io sono migliore di te.
«Hai mai provato a parlarle di sesso? Forse potresti trovare qualche compromesso, cioè siamo da sei mesi qui da soli, sarà in astinenza» disse Damon cambiando argomento e incrociando le braccia al petto, tentando di sottolineare l’evidenza a Bambi. Di tutta risposta ricevette uno sguardo torvo e agghiacciante che rese pienamente soddisfatto Damon: adorava far perdere le staffe al fratello.
«Non provare a parlare di questo davanti a lei. E’ un discorso chiuso» pronunciò severo marcando ancora di più quel suo tono gesticolando con il dito e puntandolo direttamente sul fratello trafiggendolo con gli occhi.
Stefan si alzò e con tutta fretta aprì uno sportello della dispensa sicuro di trovare un pacco di croissant pronti da infornare: erano quelli farciti con la marmellata di pesche, proprio quella che piaceva a lei. Ne aprì subito uno e lo posizionò su un piatto, impostando la gradazione del forno a microonde.
«Già come se fosse possibile chiuderlo, fratellino» ammise allungando il braccio per prendere il giornale. «Tornerai da me strisciando e io sarò lieto di scaraventarti fuori dalla finestra».
Il din del microonde coincise perfettamente con la sua affermazione e sgranò i suoi occhi azzurri aggiungendo pensieroso «ovviamente la finestra deve essere aperta, solo una settimana fa sono arrivati i vetri nuovi».

Caroline dormiva tranquilla nella sua camicia da notte color pesca. L’aria fresca del mattino penetrava piano dalla sua finestra arrivando fino alla punta dei piedi fuori dal lenzuolo.
La risata sfolgorante di Damon la fece svegliare di soprassalto. Caroline si portò le mani sugli occhi ancora chiusi per poi affondarle nei capelli.
Un altro giorno alla pensione Salvatore, un altro giorno tentando di sopravvivere.
Si massaggiò le tempie premendo le dita in un movimento circolare. Si decise ad aprire gli occhi e dopo aver inspirato e espirato ripetutamente poggiò i piedi a terra con passo felino.
Si stiracchiò per bene e si avvicinò piano alla finestra, evitando accuratamente i fasci di luce che provenivano dalle fessure delle tende.
Lo odiava, il sole. Un tempo trovava piacevole il contatto con la luce del sole, rendeva più bella e liscia la sua pelle.
Katherine glielo aveva spiegato più volte di tenersi lontana dalla luce del sole e aveva pagato a caro prezzo la sua disobbedienza. Si ricordò delle sue mani ustionate e un brivido le percorse la schiena.
Scostò a malapena le tende per vedere cosa avesse procurato l’ilarità di uno dei suoi carcerieri. Notò Stefan in giardino con la maglietta sporca fango e i capelli pieni di rugiada caduta da un albero lì vicino. Quella vista le procurò un leggero sorriso che le fece dimenticare la sete che le ardeva la gola più del dovuto. Stefan si scrollò di dosso il terriccio e alzò lo sguardo incontrando quello della vampira. Si immobilizzò di colpo non sapendo cosa dire e accennò ad un leggero saluto sollevando la mano destra e abbozzando un sorriso.
«Perdente!». Damon con la sua velocità gli balzò alle spalle e lo fece ricadere nuovamente nel fango mostrando un sorriso strafottente alla ragazza del piano di sopra.
Il sole scomparve dietro una nuvola grigia e la bionda poté spalancare le tende.
«Sempre a litigare voi due eh?» chiese ironicamente, salutandoli entrambi con i gomiti poggiati alla ringhiera del suo davanzale.
«Bell’inizio di settimana» sibilò Stefan rivolgendosi al fratello assottigliando gli occhi. Poi alzò lo sguardo non essendo più di buon umore.
«La colazione è già pronta, quindi vedi di sbrigarti» sussurrò appena conscio che la vampira lo avesse sentito.
Caroline sospirò e si portò nuovamente le dita sottili sulle tempie.
Ce l’avrebbe fatta, andava tutto bene.
Si concedette una doccia in cui pulì minuziosamente ogni parte del suo corpo, cercando di eliminare ogni traccia di odore o di sangue che non fosse il suo. Uno volta che ebbe finito si spazzolò i capelli biondi che le ricadevano lisci e morbidi sulle spalle. Una breve occhiata allo specchio e fu pronta per lasciare la sua camera e raggiungere la cucina. Ricordava ancora come si era sentita in imbarazzo la prima volta quando Katherine l’aveva portata lì con soli due giorni di vita.
Qui e dove starai per un po’ di tempo, fin quando non ti sarai abituata a vivere come uno di loro” aveva detto suonando il campanello e attendendo che qualcuno al suo interno aprisse.
Caroline percorse il lungo corridoio che la portava alle scale: la sua stanza era l’ultima.
Questa è la tua stanza” le aveva gentilmente mostrato Stefan abbassando la maniglia di quella porta.
Scese le scale piano non volendo sporcare il vestito pulito e profumato.

“Avrai fame?” “Ti nutri di sangue umano?” “Da quanto tempo sei un vampiro?” queste parole si erano susseguite nella mente di Caroline: provava disgusto per ciò che era diventata e due giorni dopo la trasformazione non poteva che essere irritata e instabile dopo tutte quelle domande che le facevano ricordare il trauma che l’aveva accompagnata fin da bambina.
Un attimo prima di varcare la soglia della cucina le labbra di Caroline si tirarono innaturalmente in una sorta di sorriso radioso.
«Buongiorno» proruppe con una voce cristallina pari al suono di tante campanelle.

Damon non aveva mai avuto un istinto paterno capace di prendersi cura di altri esseri. Non era riuscito neanche a provare un vero e sincero affetto per suo fratello, sangue del suo maledetto sangue, e nonostante questo era stato costretto da Katherine a prendersi cura di quella ragazzina e a trasformare la pensione Salvatore in uno dei più alti centri di manicomio.
Caroline entrò con un sorriso disarmante e puntò subito gli occhi in quelli azzurri di Damon. Si avvicinò con grazia e schioccò un leggero bacio sulla sua guancia appena rasata.
«Buongiorno papà Damon – buongiorno mamma Stefan» ripeté il bacio anche sulla guancia del vampiro intento a posizionare piatti e bicchieri nella lavastoviglie. «Perché devo essere io la mamma?» chiese Stefan con un tono lamentoso; non che non gli piacesse essere visto sotto questo aspetto da Caroline, ma non riusciva a capacitarsi il perché continuasse a preferire Damon e la sua dieta a base di sangue umano piuttosto che lui.
«Perché sei tu quello iperprotettivo» rispose Damon accogliendo l’occhiata di assenso della vampira bionda, provocandone l’ilarità.
Si sedette poi sul tavolo dove era stata imbandita una vera e propria colazione con i fiocchi. Caroline storse il naso e trattenne un brivido di paura alla vista del frigo macchiato di rosso.
Lo stomaco le si chiuse, ma combatté il suo istinto primario, voltandosi di scatto, e ingurgitò il cibo posto sul vassoio davanti a lei, non distogliendo gli occhi da Damon che continuava a leggere il giornale.
Soffiò piano sul croissant che aveva davanti e, rottone un pezzo, lo portò alla bocca accompagnandolo con un sorso di succo di frutta.
«Oggi è proprio una bella giornata» constatò Stefan facendosi inondare da un raggio di sole che filtrava dalla finestra semiaperta.
Caroline si rabbuiò addentando con più foga il cornetto.
«Perché non posso uscire come voi?» chiese la bionda nonostante sapesse già la risposta che si trovava tutta nel luccicante anello coperto da lapislazzuli di entrambi i fratelli: un cimelio di famiglia, dicono.
«Già, stupenda per andare a caccia di qualche scoiattolo» commentò il fratello maggiore scimmiottando il vampiro vegetariano.
«Perché non fai la spesa?» chiese troncando di netto quello che poteva scaturire in uno dei soliti litigi.
«Giusto. Tesoro cosa ti va oggi, 0+ o AB?» chiese rivolgendosi dolcemente a Caroline.
«Nessuno dei due, per oggi credo di saper resistere» rispose allontanando anche il vassoio ormai vuoto, deglutendo per soffocare il fastidioso bruciore alla gola. Le avrebbe fatto bene un po’ di quello 0+. Sentii i capillari pulsare e gli occhi iniettarsi di sangue. Prese un respiro profondo e trattenne l’aria dentro i polmoni quanto più poteva. Intorno a lei sia Damon che Stefan attendevano con i nervi a fior di pelle, pronti ad intervenire alla vista di una qualsiasi reazione aggressiva. Caroline cominciò a contare. Uno, due, tre. Espirò l’aria trattenuta per troppo tempo e rilassò i muscoli facciali. Dodici,tredici, quattordici. Riaprì gli occhi e fu tutto come prima.
Gli occhi azzurri di Damon la scrutavano, ancora allarmati mentre la mano di Stefan la tratteneva da qualsiasi altra azione imprudente.
«Sto bene» decretò piano la vampira rassicurando così i due coinquilini, con la gola che ancora graffiava.


Caroline si offrì di lavare le poche scodelle, visto che avrebbe avuto l’intera giornata libera e doveva impiegarla a fare qualcosa di utile: magari sport, bucato, volontariato, puzzle, il tutto rimanendo confinata all’interno della residenza Salvatore fino a quando il sole non fosse tramontato.
Congedò con un sorriso i fratelli Salvatore, entrambi usciti per occuparsi delle proprie occupazioni. Rimase sull’uscio ad osservarli sfrecciare via con le loro macchine per poi richiudere la porta.
La serratura scattò con un tonfo sordo e le labbra ritornarono piatte.
Si immobilizzò e chiuse gli occhi prendendo uno degli ennesimi respiri profondi.
Adesso era sola in casa, adesso era sola a combattere la sua paura.
Si appoggiò con mano tremante alla parete bianca camminando a passi lenti verso la cucina adesso silenziosa come non mai.
Deglutì rumorosamente per frenare il desiderio che ardente le infuriava in gola. Affacciò la testa fino a scontrare lo sguardo contro il frigorifero immacolato. Sulla maniglia una grossa macchia rossastra rovinava quel candore.
Sentii la schiena arcuarsi e una scossa elettrica scorrere lungo la colonna vertebrale.
Ce l’avrebbe fatta, andava tutto bene.
Sentii un qualcosa di viscido tra le dita.
La mano che poco prima era poggiata alla parete bianca era macchiata di sangue e così le mattonelle e i mobili della cucina. Un odore acre le arrivò alle narici e non riuscì a trattenere l’impeto furioso che sentiva scorrerle dentro, divorandola e lacerandole la gola.
Schizzò veloce nella sua camera, in cui si rinchiuse e da li non uscì fino all’arrivo di entrambi i fratelli.
Le mattonelle del pavimento erano macchiate del latte scaduto, delle uova e dei vari alimenti che si trovavano all’interno del frigorifero in cucina, divelto a metà e ormai ridotto ad un ammasso di rottami.

Andava tutto bene.

***

Salve popolo di efp,
eccomi ritornata con il secondo capitolo di questa storia assurda. La prima parte il corsivo è ovviamente il ricordo della prigionia di Caroline di cui lei però non ricorda assolutamente niente, se non che è stata rapita, ma del suo aggressore non sa niente. Mi è piaciuta la divisione tra Stefan da sobrio e il mostro: la bambina continuerà a distinguerli per ancora molto tempo prima di accorgersi che sono la stessa persona. La narrazione parte sei mesi e mezzo dopo le vicende raccontate nel prologo: Caroline si è inserita già in casa Salvatore e il trio convive a volte anche forzatamente in questa sorta di prigione-casa di cura. Ovviamente Stefan e Damon sanno perfettamente il trauma che ha subito la vampira che invece, ignara di tutto, continua a non capire da dove possa essere scaturita questa sua malattia. I dettagli verranno spiegati in seguito, ma penso già che abbiate capito cha ha a che fare con il sangue e la repulsione di quest’ultimo da parte della bionda. Ancora è tutto particolarmente confuso ma tramite flashback riuscirete a capire quali ruoli avranno alcuni personaggi, specialmente perché Caroline non sa niente del terribile errore commesso da Stefan.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e hanno aggiunto la fiction tra le preferite.
Spero che abbia stuzzicato un po’ la vostra curiosità.
Un bacio
Sil

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Capitolo 3
*** 3.Ospite [sei mesi prima] ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

http://i52.tinypic.com/3478p6d.jpg

[Undici anni prima.]

“Tu sai cosa sono io?”chiede sputando sangue, il suo sangue.
Sembra non resistere, è più forte di lui, più forte di lei. Caroline è immobile in braccio a lui, gli occhi paralizzati dalla paura su un punto indefinibile di quella cella buia e fredda, in mano il peluche che le aveva regalato Stefan. Li sente, sente i suoi canini lacerare la carne e il sangue sgocciolare piano lungo la sua schiena. “Sei il lupo cattivo” sussurra piano, il nodo alla gola le impedisce di parlare chiaramente. Stringe ancora di più il coniglietto di peluche al petto, quasi come se si stesse aggrappando a lui. Sarebbe tornato, Stefan sarebbe venuto e l’avrebbe portata via. Il mostro si ferma, sfila i denti perfetti e l’aria si infetta del suo alito pesante. Caroline trema, ha paura che possa continuare a prosciugarle tutto il sangue che ha in corpo. Si sente debole, le orecchie le fischiano. “Hai mai provato il sapore del sangue?” chiede e lascia cadere la bambina al suolo, inerme, senza più forza. Caroline sente un rumore di carne strappata, ma questa volta non è la sua. Una mano fa leva nella sua bocca e la spalanca avvicinando i polsi sgorganti di sangue. Caroline soffoca un grido, afferra la mano di quel mostro per allontanarla, ma niente: deglutisce, inghiotte sangue e lacrime amare.

3. Ospite [sei mesi prima]


Avrebbe potuto rimediare al suo sbaglio, ne era certo.
Stefan si portò alle labbra una bottiglia contenente un liquido rossastro e la fece aderire perfettamente alla sua bocca.
Ne bevve un gran lungo sorso per poi leccarsi le labbra per cancellare gli ultimi residui di sangue di cervo.
Non era nutriente, non era gustoso ma lo manteneva in vita ed era orgoglioso della scelta che era riuscito a compiere.
Avvitò bene il tappo e ripose la bottiglia su uno scaffale del bancone frigo. Poi aprì un altro scomparto e con accurata scelta prelevò una sacca di 0 negativo e chiuse lo sportello.
Rigirò tra le mani quella sacca dal liquido color rubino e trovò immensamente piacevole la sensazione di assoluta calma che lo invase.
Non aveva desiderio, non sentiva la voglia.
Con un sorriso intraprese l’angusto corridoio per lasciare la cantina ma ad un tratto si bloccò come se una qualche barriera invisibile lo ostacolasse. Volse nuovamente gli occhi alla sacca di sangue che teneva tra le mani e subito dopo fece dietro-front pronto a riaprire nuovamente il frigo.
Riprese in mano la bottiglia dove poco prima aveva bevuto e guardò entrambe le tipologie di sangue.

Alla sua piccola Care sarebbero piaciuti i cervi? 

 
Erano passate trentadue ore. Trentadue ore e ventisei minuti da quando era morta.
Ricordava la gita in auto insieme a Matt e Tyler, lo schianto dell’automobile, l’arrivo dell’ambulanza. Aveva ancora in fondo allo stomaco l’angoscia per Tyler, le sue continue urla per farlo svegliare, i medici che lo caricavano sulla barella. E poi un capogiro, il nulla, il vuoto. Si era risvegliata in ospedale giusto il tempo per apprendere la notizia che il suo amico e il suo fidanzato stavano bene, giusto il tempo per veder sorridere sua madre un’ultima volta.
Caroline Forbes morì alle ore 01:27 del mattino.
Era tutto ciò che sapeva Caroline e che ricordava degli ultimi istanti di vita. Perché quella che aveva intrapreso non poteva essere definita vita.
«Ricorda quello che ti ho detto riguardo al sole, non uscire di casa se non la sera ed evita di farti riconoscere». Katherine continuava a schiacciare il piede sull’acceleratore e la macchina scivolava veloce tra le strade semideserte di Mystic Falls.
Caroline appoggiò la testa sul vetro freddo della vettura appannandolo leggermente con il suo fiato.
Respirava. Respirava a fatica. Lo stomaco era ancora contratto e un forte senso di nausea la invadeva fino alla cavità toracica. Fiotti di sangue continuavano a risalire lungo l’esofago pronti per essere rigettati ma non poteva, non adesso che il sangue era diventato l’unica sua fonte di sostentamento. Inspirava. Espirava.
«Dove hai detto che stiamo andando?» chiese rivolgendo uno sguardo alla vampira al volante.
«Alla pensione Salvatore» rispose leggermente seccata di dare spiegazioni, non distogliendo gli occhi dalla strada: non perché dovesse stare attenta alla guida, ma per non guardare quel reietto che aveva voluto trasformare per suo scopo personale. Ovviamente di questo Caroline ne era completamente all’oscuro.
«Loro ti aiuteranno con il tuo problema» continuò fredda la vampira stringendo ancora di più il volante tra le sue mani affusolate. Caroline annuì impercettibilmente per poi far ricadere i capelli biondi sullo schienale. Le luci dei lampioni le sferzavano il viso cereo e le macchine sfrecciavano veloci da dietro il finestrino leggermente appannato. Caroline ebbe un brivido lungo tutta la colonna vertebrale e trattenne l’ennesimo conato di vomito.
Aveva paura, terribilmente paura: non sapeva chi fossero questi Salvatore, ma di come ne aveva parlato Katherine dovevano essere vampiri da moltissimo tempo, esseri che potevano farla guarire forse da quell’infermità mentale che non sospettava di possedere.
«Eccoci arrivati» proruppe Katherine arrestando la macchina. Un singulto mosse il cuore muto della nuova vampira che volse lo sguardo atterrito in direzione di Katherine .
«Tranquilla, non ti faranno del male» sorrise fintamente serafica la vampira dai capelli ricci, assottigliando lo sguardo e pregustando il sapore dolce della vendetta. Pose una mano su quella di Caroline che sussultò al contatto.
Inspirò ed espirò più a fondo trattenendo l’arsura che aveva in gola.

Quella sarebbe stata la più atroce delle vendette. 

 
Era sola in quel divano color ocra a tre posti eppure sembrava di star soffocando, schiacciata da quelle due opprimenti figure in quello che risultava essere il salotto di casa Salvatore.
Teneva posto sulle sue ginocchia il bagaglio a mano che consisteva in una piccola valigia color lime; le unghie ne artigliavano la superficie ruvida e grattavano la maniglia in plastica, in preda ad un profondo nervosismo.
Davanti a lei sedeva tranquilla Katherine con in mano un calice di puro sangue che sorseggiava, gustando il suo sapore aspro e invitante. Caroline distolse lo sguardo dalla vampira e provò a concentrarsi sugli strani arazzi, sui quadri, sulle fotografie di cui erano tappezzate le pareti di quella casa. Inspirò a fondo sentendo un buon profumo di sandalo ma anche di polvere e di muffa provenire dai mobili, evidentemente molto antichi.
Picchiettò con l’indice sulla superficie della valigia e si strinse nelle spalle, sentendosi incredibilmente piccola. Eppure quella casa, quelle pareti, quell’odore avevano un qualcosa di familiare che la sua mente non riusciva a formulare di preciso, come se fossero appartenuti ad un epoca remota, un’ epoca spaventosa e remota.
«Finalmente, mi stavo annoiando» sorrise Katherine volgendo gli occhi color nocciola sulla porta da cui comparve un ragazzo poco più che diciassettenne.
«Scusate per l’attesa» sorrise affabile Stefan prima alla vampira per poi intrecciare il suo sguardo con quello di Caroline. Stefan si sentì mancare e fu sicuro che il suo volto già molto pallido fosse diventato completamente bianco come quello di uno spettro. Avrebbe riconosciuto quella chioma bionda ovunque e nonostante adesso si presentasse sotto forma di una splendida ragazza quegli occhi erano di certo quelli della piccola Care.
Stefan sentì il magone aumentare e i sensi di colpa far capolino nuovamente nella parte più oscura della sua mente. Non avrebbe augurato a nessuno il suo destino da vampiro, figurarsi alla bambina che era stata quasi dissanguata per opera sua. Caroline dal canto suo appariva persa e confusa da quell’attenzione un po’ troppo insistente che le riservava quel ragazzo di cui non conosceva completamente niente. Si sentiva a disagio e provava un forte fastidio per quello sguardo, quasi desideroso e possessivo, come se mille e pungenti aghi le si conficcassero su per la schiena. Non riuscì più a trattenersi e lanciò un’occhiata furente al suo osservatore che colpito appieno volse lo sguardo altrove.
«Bene Caroline lui è Stefan Salvatore, ti aiuterà nel tuo percorso da vampiro» decretò Katherine reprimendo un sorriso che si stava facendo largo sul suo volto.
«Piacere di conoscerti Caroline» rispose calmo il vampiro tendendo una mano nella direzione della bionda. Caroline un po’ impacciata allungò il braccio intrecciando le sue dita a quelle di Stefan, così calde che sembravano quasi umane*.

 
«Tutto bene?» chiese Stefan affacciandosi alla porta della stanza della nuova ospite. Caroline sussultò nonostante avesse perfettamente udito l’arrivo del Salvatore.
«Sto bene -» asserì la giovane vampira ripiegando un maglione in uno dei cassetti e richiudendolo accuratamente senza fare troppo rumore. «- cioè sono morta!» disse e un sorriso trasparì dalle sue labbra. Era difficile adesso, ma poterlo dire sembrava l’unica cosa che la poteva mandare avanti. La sua fronte si increspò in un’impercettibile ruga e scostò lo sguardo per poi continuare a sistemare i suoi vestiti nella cassettiera della sua nuova camera - della sua nuova cella.
Il vampiro si mise le mani in tasca e si dondolò sui talloni, evidentemente in imbarazzo e non sapendo cosa dire.
Il silenzio venne rotto da una curiosità della bionda.
«Vivi da solo qui o ci sono altri vampiri?» chiese Caroline piegando per l’ennesima volta un vestito color lavanda, lisciando le pieghe e attendendo la risposta di Stefan.
«No, ci siamo solo io e…e te» spiegò il vampiro accompagnando la sua risposta con un sorriso imbarazzato che non sfuggì a Caroline.
Poi gli occhi della vampira divennero vacui e stanchi e un sospirò fuoriuscì dalle sue labbra serrate. Kate non sarebbe tornata. Era questa la consapevolezza che le affliggeva il cuore e che non le permetteva di trovare qualche barlume di felicità nel suo futuro. Le aveva detto addio per l’ultima volta e nonostante la conoscesse da poco più di due giorni era stata una colonna portante per lei, che era stata il passatempo di qualche vampiro**, per la sua trasformazione, una guida che l’aveva condotta proprio lì.
Stefan si accorse del velo di malinconia che aveva oscurato i bei occhi color giada di Caroline e pensò che in fondo la colpa fosse nuovamente sua. Sospirò e fece un passo indietro pronto ad imboccare il corridoio e lasciarla con i suoi pensieri.
«E’ successo tutto così in fretta» proruppe Caroline con lo sguardo ancora fisso in una delle pareti vuote della sua stanza. Stefan molleggiò sulle caviglie per poi entrare definitivamente e chiudersi la porta alle spalle.
«Fino a una settimana fa avevo un ragazzo, degli amici e una mamma impegnata con il suo lavoro. Anche se la mia vita non era perfetta, ero contenta di quello che ero diventata, nonostante la mia infanzia».
Stefan si avvicinò alla vampira bionda e si sedette sul materasso facendo cigolare le molle del letto. Si sedette nel lato opposto, conscio del fatto che qualsiasi tipo di sguardo le avesse potuto dare fastidio.
Caroline sentii la presenza del vampiro alle sue spalle e una sorta di paura incontrollata nacque nell’intimo del suo animo. Si irrigidì, ma decise comunque di continuare sopprimendo quella sensazione.
«Credo che sia giusto che tu sappia ciò che mi è successo, Kate mi ha detto che è essenziale affinché tu mi aiuti». Caroline prese un respiro profondo e chiuse gli occhi, così come le aveva insegnato Katherine: se chiudi gli occhi e ti concentri sul buio quando li riaprirai la luce ti sembrerà più luminosa.
Deglutì e iniziò a raccontare.
«All’età di sei anni venni rapita. Non ricordo quasi niente, ero troppo piccola ma quell’episodio segnò profondamente la mia esistenza. Ricordo che mi trovavo al parco da sola e un ragazzo si avvicinò a me. Mi disse di seguirlo ed io obbedì senza alcun indugio. Mi tenne prigioniera per ben quattro mesi in una cantina buia. I miei genitori mi cercarono a lungo e la polizia tutt’oggi continua le ricerche del mio rapitore. Fui ritrovata nei pressi di un fiume qui vicino, al largo delle cascate che si trovano in questi territori. Mi trovarono ricoperta di terriccio e con una ferita profonda alla gola, simile ad un morso, opera di qualche orso nei paraggi. Non ricordo molto dei mesi di prigionia, ma quando ritornai a casa manifestai dei forti disturbi mentali come fobia del buio, della sporcizia e cosa più importante del sangue. Dopo tre anni di terapie i medici dissero che ero finalmente guarita ma a quanto pare le cose non stanno esattamente così». Caroline concluse il suo racconto e rilassò la fronte permettendo così ai suoi occhi di aprirsi.
Stefan incrociò entrambe le mani e vi poggiò la testa: era incredibile quanto facesse male anche a distanza di anni. Ciò che lo tranquillizzava era la consapevolezza che lei di quegli orribili giorni non ricordava quasi niente.
Alzò la testa ed emise un sospiro di sollievo.
«Ti aspetto di sotto, sbaglio o il tuo stomaco sta brontolando?» cambiò discorso Stefan facendo comparire un abbozzo di sorriso nel volto della sua nuova coinquilina.

 

 
Caroline osservò il liquido rossastro che le veniva offerto e non riuscì a trattenere un conato di vomito che si fece largo su tutto il suo esofago.
Lasciò cadere il bicchiere che si infranse sul pavimento macchiando il tappeto di rosso scarlatto.
Si piegò su se stessa per rigettare la bile che aveva nello stomaco, assaporando il sapore acre e acido del sangue ingerito e non ancora del tutto smaltito.
Artigliò il comodino e sembrò che sotto la sua pressione il legno potesse anche sbriciolarsi.
I capelli le ricadevano in viso e coprivano la pelle lacerata dai miliardi di capillari che pulsavano frenetici arrivando ai suoi occhi, annebbiandole la vista, oscurandole la mente.
I canini rigonfi pungevano sulle sue labbra aperte al passaggio del vomito misto a sangue. La gola bruciava, come bruciava, ma Caroline non avrebbe resistito, non ci sarebbe riuscita.
Stefan le aveva spiegato che esistevano due vie ma che entrambe erano altrettante scorrette quanto indispensabili per la sua sopravvivenza. Poteva scegliere di seguire una dieta a base di sangue umano senza tuttavia uccidere nessun innocente per soddisfare la propria sete o, come aveva fatto lui, cibarsi di sangue animale e rinunciare parzialmente alla natura da vampiro, parzialmente ricominciare a vivere. Caroline tossì così da placare il groppo che le opprimeva il petto e lo stomaco. Stefan le teneva i capelli e con un panno bagnato tentava di bagnarle la fronte così da trovare un po’ di refrigerio.
Caroline era intollerante al sangue, le faceva terrore e la disgustava profondamente nutrirsi di quel liquido rossastro, quel siero che era stato per quattro interminabili mesi su tutto il suo corpo, il sangue con cui aveva dovuto imparare a convivere fin da bambina.
Si drizzò in piedi e uno sguardo folle illuminò il volto della vampira. Digrignò i denti contro Stefan che tentava di trattenerla per i polsi urlando ripetutamente il suo nome. Caroline ansimava, un rivolo di sangue le scendeva giù dalla narice destra e i suoi occhi erano diventati neri come la pece. La vampira si avventò contro il più piccolo dei Salvatore, mordendo ripetutamente le sue mani, strappando la carne così da potersi finalmente liberare.
Liberatasi dalla stretta ferrea di Stefan, in un moto di rabbia improvvisa diede un calcio alla scrivania vicina, riducendo il tavolo a metà.
Stefan rimase a terra ad osservare colei che non poteva essere Caroline, ma un assassina, una vampira malata e con forti disturbi mentali, la cosa più simile ad una bestia.
Caroline si voltò manifestando ancora una volta la sua nuova natura di vampiro e non poté non notare la chiazza marrone scuro sul tappeto.
«Il sangue…» sussurrò roteando velocemente gli occhi.
Pose entrambe le mani all’altezza del proprio collo, artigliandolo ferocemente.
Stefan la seguì con lo sguardo posando gli occhi su dove lei rivolgeva l’attenzione.
«E’ ovunque».
E le pareti non furono mai più candide.

 

 

 

 

 

* Stefan, bevendo sangue animale, è molto più umano rispetto agli altri vampiri, e questo comporta anche una temperatura corporea leggermente più “calda” degli altri. Caroline che si era nutrita di sangue umano e che è morta da poco nota la differenza sostanziale tra la sua temperatura e quella di Stefan.

** Caroline non sa chi sia stato a trasformarla. Quando si è risvegliata Katherine l’ha portata via facendo credere a tutti che era morta.

 

Ebbene eccomi ritornata con il terzo capitolo di questa storia! Ci tengo a precisare che nella parte in corsivo Stefan non sta cercando assolutamente di trasformare Caroline già da bambina, in un impeto di follia le fa ingerire il suo sangue, anche per rimetterla in forze il più presto possibile (in fondo si preoccupa per lei). Abbiamo fatto un altro salto temporale e adesso gli eventi narrati si ambientano il giorno dopo ciò che è stato raccontato nel prologo: Caroline giunge per la prima volta a casa Salvatore. Essendo da vampira da poco più di due giorni, ancora non sa trattenersi e perde il controllo facilmente e questo è sicuramente aggravato da questo suo rigetto nei confronti del sangue. Spero che da qui si possa capire perché i fratelli sono così preoccupati per le crisi di Care e cosa c’entra Katherine in tutto questo (vi faccio notare comunque che Caroline adotta il diminutivo del suo nome perché la ritiene sua amica). Ad ogni modo vi avverto che di questi capitoli con la scritta [sei mesi prima] ce ne saranno altri due o tre e che verranno messi a saltare, tanto per fare il paragone della situazione alla pensione a distanza di sei mesi. Dai il prossimo capitolo sarà più divertente di questo u.u
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e che hanno aggiunto la storia ai preferiti e alle seguite ;D
Un bacio grande,
Sil

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Capitolo 4
*** 4.Ospite ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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4. Ospite

 

Caroline scoccò un’occhiata schifata a Damon che ricambiò senza indugio alla vista dei pop-corn che Stefan stava portando in una ciotola color verde mela.
Il vampiro entrò senza accorgersi degli scambi di sguardi dei due coinquilini e si appollaiò sul divano in mezzo ai due. Sulle ginocchia la ciotola che entrambi guardavano con disprezzo.
Stefan si irrigidì avvertendo quegli strani sguardi rivolti su di lui e inarcò un sopracciglio incrociando dapprima gli occhi del fratello e poi della bionda.
«Che c’è?» domandò riluttante stringendo di più la ciotola al petto, non capendo cosa ci fosse di sbagliato e assumendo un’ espressione sempre più interrogativa.
«C’è che sono senza burro, i pop-corn non possono essere definiti tali senza burro» sbraitò Caroline stringendo di più il cuscino color melanzana al petto e alzando i piedi per portarli sul divano.
Si sistemò sul lato opposto del bracciolo,fingendosi fintamente offesa e arrabbiata con Stefan.
Damon camuffò un senza speranze sotto un colpo di tosse, afferrando il telecomando e giovandosi del fratello che gli riservava stilettate con i suoi occhi ridotti a due fessure.
Sospirò e facendo leva sulle gambe si alzò dal divano per dirigersi in cucina.
Caroline si morse il labbro inferiore per soffocare una risatina e biascicò un grazie Stefan poco prima che il vampiro varcasse la soglia del salone di casa Salvatore.
Damon continuava a cambiare canale e un’espressione annoiata traspariva dal suo viso stanco mentre vedeva scorrere davanti a se i canali, uno dopo l’altro.
Caroline osservò lo spazio vuoto che si estendeva tra lei e Damon.
Quando era morta aveva dovuto lasciare Matt. Non sapeva più niente di lui: se avesse pianto davanti alla sua tomba vuota, se avesse sentito la sua mancanza, se adesso dopo sei mesi cercava di rifarsi una vita. Non le piaceva dirlo ma le mancavano tutti gli abbracci e le attenzioni che riceveva dal suo ragazzo.
Prese un respiro profondo così come era solita fare durante le sue crisi. Spostò il cuscino che divideva lei e il maggiore dei fratelli e aiutandosi con le mani, molleggiò sul divano fino ad arrivare al punto desiderato.
La vicinanza al braccio di Damon le fece provare un leggero brivido, quasi come una scossa elettrica che la pervase su tutto il corpo.
Damon volse lo sguardo notando la notevole vicinanza della ragazza. Sollevò il braccio sinistro e cinse le spalle della vampira, avvolgendola in uno dei suoi caldi abbracci. Si sporse fino a lasciarle un lieve bacio in fronte per poi continuare con lo zapping.
Caroline abbassò lo sguardo soffermandosi sulle pecorelle disegnate sui pantaloni del pigiama azzurrino; poi studiò con dettaglio le pieghe del cuscino color prugna che teneva ancora stretto tra le braccia; infine si limitò a fissare le mutevoli immagini del televisore in attesa di Stefan.
L’odore denso di burro e margarina arrivò alle narici dei due vampiri prima ancora che Stefan arrivasse in salone, questa volta portando due ciotole: una stracolma di pop-corn imburrati, l’altra di sfiziose patatine.
«Finalmente! Il microonde ti ha dichiarato guerra o cosa?» chiese Damon allontanando di scatto il braccio da Caroline e aumentando sempre di più la distanza tra loro due.
«La prossima volta vedi tu di procurare il cibo» dichiarò Stefan sedendosi a capofitto sul divano ed emettendo un leggero sospiro.
«Sempre la solita storia il martedì sera» esordì Caroline incrociando le gambe sul divano e appropriandosi della ciotola di pop-corn.
«Allora che vediamo stasera?» chiese sgranocchiandone uno e beandosi del sapore imburrato che le invadeva la bocca.
Il martedì sera era sempre la serata della visione collettiva di un film. Questo aiutava Caroline a non dimenticare le sue abitudini umane nonostante vivesse da quasi sei mesi e mezzo in una sorta di prigione.
Damon allungò svogliatamente il braccio prendendo un po’ di pop-corn e portandoseli alla bocca.
«C’è la partita dei Lakers oppure una commedia scadente per famiglie oppure la partita dei Lakers. Cosa vuoi vedere?» chiese sollevando un sopraciglio e tirando qualche ciocca bionda che era scappata dall’elastico con cui la vampira aveva legato i capelli per la notte.
«centocinquanta canali e niente di interessante da vedere se non una partita?» chiese Stefan incrociando lo sguardo truce del fratello: a dividerli fortunatamente la testa della bionda.
«Qualcosa in contrario Stef?» gli domandò senza guardarlo minimamente in faccia e schiacciando veloce i pulsanti per arrivare al canale desiderato.
La mano sottile di Caroline interruppe lo scorrere dei canali e strappò via il telecomando dalle mani del vampiro dagli occhi azzurri.
«Vedo io se c’è qualcosa di carino» decretò e cominciò nuovamente a pigiare il pulsante partendo dal primo canale.
Si bloccò su una commedia romantica appena iniziata. I titoli di apertura comparivano sullo schermo nero e Caroline si aprì in un sorriso radioso non appena lesse il titolo della commedia.
Posò il telecomando in una piega del divano e si accoccolò ancora di più sullo schienale morbido, tenendo tra le braccia il cuscino e la ciotola di pop-corn. Ne prese un bel po’ e li portò alla bocca sgranocchiando piano.
Si voltò di scatto alla sua destra verso Stefan che come lei recava la ciotola arancione delle patatine, il suo sguardo perso in un punto indefinito oltre la finestra.
«Per te va bene Stef?» chiese la vampira richiamando la sua attenzione.
Stefan sorrise affabile e acconsentì, così anche Damon che aggiunse un “anche questa volta hai vinto tu, piccola”
Nonostante i due fratelli non volessero ammetterlo apertamente facevano di tutto pur di prendersi cura di Caroline e farla felice. La sola idea di farle perdere il controllo di se stessa li terrorizzava a tal punto da detestare ormai quei martedì sera: la probabilità di una delle sue crisi in quelle sere era più alta della norma.
«Spegnete la luce».
Caroline continuava a tenere fisso lo sguardo sullo schermo, anche se la presa attorno al cuscino si stava facendo più forte tanto da deformarlo e da far comparire all’estremità qualche piuma che fuoriusciva.
Damon scoccò un’occhiata inquieta al fratello che di rimando corrugò la fronte e tornò nuovamente a fissare la vampira.
«Sicura Caroline?» chiese poggiandole una mano incerta sulla spalla coperta solo da una sottile maglietta di cotone.
La vampira distolse gli occhi dallo schermo e incrociò quelli di Stefan. Inspirò piano per non farsi sentire dai due e poi sussurrò un debole “sicura”.
Ad un cenno del fratello, Damon si alzò per spegnere le luci.
La stanza cadde nella tenebra più assoluta.
La fioca luce del televisore illuminò poi i volti dei tre seduti sul divano: Damon e Stefan continuavano a lanciarsi sguardi preoccupati in direzione di Caroline, quest’ultima teneva lo sguardo fisso sul televisore sperando che la luce la inghiottisse facendole dimenticare tutto il resto.
Caroline non aveva mai avuto paura del buio, fin da quando era piccola ricordava di aver dormito sempre nella più assoluta oscurità, ma dopo il suo rapimento aveva provato un senso di smarrimento e di terrore nel ritrovarsi in una stanza buia, con un lieve senso di claustrofobia.
Non ricordava cosa avesse potuto scatenare quella paura né se la sua disavventura fosse l’unica responsabile di questo suo cambiamento. Sapeva solo che da quando era diventata vampira, insieme al nero si mischiava anche il rosso del sangue.
Caroline deglutì per poi ingurgitare un’altra manciata di quei pochi pop-corn che erano rimasti nella ciotola. Troppo pochi. Tastò il fondo della ciotola ricoperto di sale e quasi inconsapevolmente spostò gli occhi per osservarlo.
La luce del televisore faceva si che il fondo della ciotola apparisse più oscurato a cause delle varie ombre che si addensavano. Il respiro della vampira venne mozzato e artigliò la ciotola distogliendo subito gli occhi. Essi rotearono veloci verso i due fratelli, entrambi impegnati a seguire svogliatamente il film.
Vedendo che non la osservava nessuno, Caroline si convinse ad abbassare nuovamente lo sguardo questa volta sulle due dita che avevano toccato la superficie salata e scura. Chiuse gli occhi immaginando di ritrovarsi il liquido denso colare dalle due dita. Le portò alle labbra con timore ma si ricredette quando un lieve bruciore si espanse per tutto il labbro inferiore e la lingua incontrò il comune gusto salato.
Non c’era alcun segno di sangue, né all’interno della ciotola né sul pavimento sottostante così come sul soffitto.
Rilassò le spalle e strinse il cuscino al ventre. Si morse il labbro leggermente salato e corrugò la fronte: non ne era sicura ma avrebbe giurato che in un passato non molto lontano era già stata seduta su quel divano color ocra, avvolta dalla più completa oscurità, riusciva a percepire l’odore della tappezzeria simile a quello del suo ricordo.
L’angoscia si fece largo nel suo cuore e strizzò gli occhi quando una fitta al collo la investì prepotente facendole tendere subito due dita esattamente sopra la giugulare. Le unghie iniziarono a graffiare e a grattare quasi come per aprire una ferita che non era stata del tutto rimarginata o peggio che non era stata ancora inferta, ma che le sarebbe stata presto.
La consapevolezza le arrivò come un’ondata di acqua bollente che le ustionò la pelle, facendole imperlare la fronte di tante goccioline: lei era già stata su quel divano tanto tempo fa, una vita fa.
Il suo ricordo fu bruscamente interrotto dalla mano di Stefan che premeva forte sulla sua invitandola a smettere di grattarsi. I suoi occhi verdi risplendevano alla fioca luce emanata dalla televisione.
Stefan la scrutò e per un attimo roteò le pupille veloci tentando di capire se quella crisi passeggera fosse passata. Le passò una mano gelata sulla fronte calda e le scostò alcune ciocche di capelli.
«Care tutto bene?» chiese mentre la preoccupazione fuoriusciva dalle sue orbite come una valanga impetuosa.
La vampira mugugnò un vago si prima di sbattere ripetutamente le palpebre per abituarsi alla luce che iridescente si espandeva in tutta la stanza: Damon era accanto all’interruttore.
Stefan teneva ancora saldamente la mano di Caroline, ma non appena vide la bionda spostare lo sguardo su di esse, mollò la presa lasciandola delicatamente cadere sul cuscino.
Damon tornò a sedersi sul divano, il viso palesemente contratto per l’ansia, ma da cui sperava non trapelasse niente di tutto ciò. Si limitò ad accompagnare la testa di Caroline mentre la appoggiava dolcemente sulla sua spalla, rinchiudendola nel suo abbraccio di poco prima.
«Menomale che c’era la pubblicità» borbottò con un tono che fece piegare le labbra della vampira in un sorriso.
Con la mano libera si avvicinò piano a quella di Stefan e ne accarezzò le dita. Il vampiro sorpreso da quel tocco ebbe un brivido e cerco di ritrarre la mano, ma ormai era troppo tardi: le dita sottili di Caroline lo avvolgevano e avevano bisogno di tutto l’aiuto che sembravano richiedere. Ricambiò la presa e guardò fuori dalla finestra reprimendo il sorriso che stava affiorando alle sue labbra.
Il film era iniziato, ma ormai nessuno lo guardava.
Caroline inspirò a fondo tentando di sciogliere ogni fibra del suo essere: sarebbe andato tutto bene, ora che aveva loro accanto.

Anche per quel giorno il mostro non era tornato*.

 

«Ho paura che Caroline stia cominciando a ricordare».
Damon smise di spalmare la marmellata su quella fetta biscottata e guardò distrattamente il fratello appoggiato al ripiano cucina.
Pose accuratamente la fetta biscottata nel piatto e, richiuso il barattolo, incrociò le dita delle mani sulle quali appoggio il mento prestando più o meno attenzione al fratello.
«Illuminami» batté le palpebre curioso di sentire l’ultima paranoia del minore dei Salvatore.
«Hai presente ieri Care quando ha cominciato a grattarsi il collo? Era qualcosa che faceva, o almeno sembrasse che facesse, quando io…beh…perdevo il controllo»
Stefan ripiegò con cura la tovaglietta e fece schioccare la lingua emettendo un sottile sibilo che non sfuggì alle orecchie del fratello.
«Credo che si sia ricordata qualcosa» decretò infine trascinando una sedia da sotto il tavolo per sedersi proprio di fronte al fratello.
«Tecnicamente hai due possibilità: A) Caroline si è ricordata tutto e appena varcherà quella soglia utilizzerà un paletto per porre fine alla tua miserabile esistenza – cosa che le farebbe guadagnare tutta la mia stima; B) Quello di Caroline è solo un ticchio nervoso che ha ripreso a farlo dopo tanto tempo»
Stefan alzò un sopraciglio osservando il vampiro dagli occhi azzurri scribacchiare qualcosa su un foglio che ripiegò accuratamente prima di metterlo nel vassoio, tra il bicchiere colmo di spremuta e il piatto con le fette biscottate.
«Ticchio nervoso?»
«Già. Anche io ne ho uno: torturare la tua vita, solo che io al contrario di lei non l’ho mai perso».
Diede una forte pacca sulla spalla di Stefan che quasi non cadde in avanti. Il suo sguardo si posò sul vassoio riempito di ogni sorta di leccornie: nonostante il cibo non la saziasse, Caroline amava fare colazione.
Il vampiro puntò lo sguardo sul vaso di fiori posto sul tavolinetto vicino alla finestra, perennemente illuminato dal sole; questa volta dal vaso spuntavano piccole margherite gialle, rigide nel loro stelo verde acceso.
Stefan abbandonò il tavolo e ne estrasse una dal mazzo. La annusò e la pose proprio sopra il biglietto che Damon aveva scritto per lei.
«Ti vuoi muovere o devo chiamare il carro attrezzi?» lo chiamò Damon dal fondo del salone.
Benché nessuno sapesse della presenza di Caroline in quella casa, i fratelli Salvatore dovevano mettere in scena la loro vita fasulla per passare inosservati: così Stefan era lo studente modello frequentante il liceo di Mystic Falls e Damon il suo tutore che collaborava con lo sceriffo: era l’unico modo per passare inosservati e per ricevere qualche notizia dall’esterno.
Stefan sbuffò e impugnate le chiavi della macchina, chiuse il grande portone facendo il meno rumore possibile: non voleva ancora ammetterlo, ma se le due ipotesi di Damon erano vere, non avrebbe voluto esserci al risveglio di Care.

 

Buongiorno dormigliona. Se trovi la casa completamente deserta, rilassati, siamo solo usciti un po’ prima del solito! Spero che ti sia svegliata prima dell’orario di pranzo o se no credo che queste schifezze non ti basteranno! Torniamo presto e non uscire fuori. Dam e Stef”.
Caroline si rigirò la lettera tra le mani mentre riponeva quei pochi piatti nella lavastoviglie.
Aveva riempito un bicchiere con dell’acqua e vi aveva inserito la margherita gialla che aveva trovato insieme alla colazione. Non sapeva il perché, ma nonostante a pochi passi da lei ci fosse un vaso stracolmo di quelle margherite, Caroline non riusciva a non pensare che quell’unica margherita fosse più bella, più vera, più reale di quella esposte al sole. Forse perché adesso poteva toccarla.
Sentii la porta aprirsi e richiudersi.
Un po’ troppo presto perché uno dei due fratelli ritornasse a casa.
Saltellò allegramente nel suo piumino color caramello e giunse direttamente all’ingresso principale dove a suo malgrado non trovò nessuno. Eppure le sue orecchie da vampiro non avevano fallito, qualcuno aveva realmente aperto quella porta.
Sentii una presenza alle sue spalle e le si irrigidirono i muscoli.
«Ciao Care» rispose suadente la voce dietro di lei.
La vampira bionda riconobbe quella voce e per qualche strano motivo le si gelò il sangue nelle vene.
«Sono arrivata in città giusto oggi. Non è che avreste una stanza libera? Sai mi fermo per un po’». La sua voce sembrava quasi compiaciuta della reazione che la sua apparizione aveva avuto sulla vampira.
Caroline si girò lentamente avvertendo un forte capogiro e una paura non del tutto comprensibile.
«Kate?».
Katherine piegò le labbra in un sorriso a mezzaluna, scrutando Caroline in ogni piccolo dettaglio e pregustando l’evento che avrebbe modificato le loro vite.
«Usciamo a fare una passeggiata? C’è il sole oggi»
Caroline perse un battito e guardò la sua margherita irradiata adesso da piccoli fasci dorati.

C’è il sole oggi.

***

*Ricollegamento al flashback del capitolo 2 Ricomincio da t(r)e

Eccomi ritornata con la mia strampalata fanfiction! In questo capitolo vediamo il trio di casa Salvatore che si gode una tranquilla serata davanti alla tv. Ovviamente i dissidi tra i due fratelli non potevano mancare! Caroline migliora anche se il trauma che ha dovuto subire è sempre presente; in compenso sta cominciando a ricordare, il suo cervello percepisce odori che purtroppo non riesce a collocare e a ricordare con esattezza. Come vedete questi flash sono repentini e alle volte confondono la nostra vampira. Stefan ha paura di questo perchè non sa come potrebbe reagire e il "ticchio" di Caroline è quello che abbiamo visto nel primo flashback quando da bambina si grattava violentemente il collo per ripararsi dalle zanne del mostro. E con meraviglia ritorna Katherine! Ancora le sue intenzioni sono tutte da vedere ma il suo arrivo darà una svolta cruciale al trio! Penso sia chiaro che Care non può uscire fuori alla luce del sole, perciò cosa vorrà dai Salvatore e da Caroline?Vi informo che sarò assente per tutto il mese d'agosto perciò a questo seguirà soltanto un altro aggiornamento dopodichè per un mese non posterò nuovi capitoli, ma non disperate: continuerò a scrivere lo stesso ;)
Grazie mille per le recensioni!
Un bacio <3

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Capitolo 5
*** 5.Apprendimento ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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5.Apprendimento

Katherine svitò il tappo del bagnoschiuma, facendo ricadere il contenuto denso e oleoso nell’acqua della piccola vasca da bagno in cui era immersa.
«Non c’è niente di meglio di un bagno caldo la mattina, non sei d’accordo piccola Care?» cinguettò la vampira rivolgendosi alla bionda mentre si liberava della bottiglia di bagnoschiuma per munirsi di un calice colmo di un liquido rubino.
Caroline, anche lei immersa nella vasca ma dal lato opposto, represse un conato di vomito e irrigidì le spalle esili e nude alla vista del sangue.
«Scusa, ti dà fastidio forse?» domandò puntando il suo sguardo sul contenuto del bicchiere che stava facendo vorticare. Fece schioccare la lingua e con un sorrisino girò il busto ricoperto di schiuma per riporre il calice su un ripiano, accanto agli asciugamani.
Caroline espirò, rilassando i muscoli e immergendosi nell’acqua bollente fino al collo, inzuppando le ciocche biondastre uscite fuori dal suo chignon.
Il vapore le appannava la vista e le conferiva un senso di tepore che le scioglieva ogni singolo nodo muscolare.
«Voltati che ti lavo la schiena».
Katherine le rivolse un sorriso malizioso che fece raggomitolare le viscere della vampira che si sentii nuovamente rigida come un tronco, incrociando gli occhi color nocciola di lei.
Con docilità quasi stomachevole Caroline obbedì agli ordini ritirando le sottili gambe e voltandosi, mostrando la schiena diafana lungo cui si susseguivano le piccole mezzelune della colonna vertebrale.
Non riusciva a capire da dove provenisse quel profondo timore che in cuor suo nutriva per Katherine: conosceva pochissimo di lei eppure era stata la prima persona di cui si era fidata dopo la sua trasformazione.
Il rumore dell’acqua e della spugna che sfregava al contatto con la sua pelle la chetò un poco, ma il silenzio fu smorzato dalla domanda “Che fine ha fatto il regalo che ti ho portato?”.
A quell’interrogativo, Caroline uscì di scatto la mano da una coltre di schiuma rivelando nell’indice sinistro un piccolo gingillo al cui centro era incastonata una pietra di corallo rosa. Un manufatto proveniente dalla Grecia aveva detto, forgiato secoli prima da una sacerdotessa*.
Ciò che aveva fatto strabuzzare i piccoli occhi di Caroline dalla gioia era stato il venire a conoscenza della sua funzione, identica a quella dei grossi e fuori moda anelli dei fratelli Salvatore.

Katherine, ma cosa diavolo ti è saltato in mente? Aveva ribattuto Damon il giorno prima quando la vampira bionda aveva sciolto il nodo bordò facendolo cadere sul pavimento dalla gioia.
E’ troppo pericoloso per lei adesso uscire, lascia che si stabilizza aveva prontamente puntualizzato Stefan nella speranza di far cambiare idea alla vampira e inondando la bionda di uno sguardo scettico misto a preoccupazione.
Caroline era rimasta irritata da quella loro reazione eccessiva e aveva indossato il suo regalo sotto l’ammirazione commossa della sua amica.
Katherine si sporse oltre la spalla profumata della bionda per osservare l’anello che lei stessa le aveva regalato.
«E’ proprio bello» decretò Caroline che continuava a tenerlo davanti ai suoi occhi, rapita dagli effetti cromatici che la luce a neon riusciva a compiere su quel piccolo gioiello.
«Allora, è da sei mesi che sei rinchiusa a casa Salvatore. Chi dei due ha fatto breccia nel tuo cuore? Il fratello dagli occhioni azzurri o quello con il cuore d’oro?» civettò la vampira con una punta di curiosità sulla lingua che stuzzicava l’animo di Caroline fino al midollo.
La bionda fece emergere le ginocchia dallo strato di schiuma e se le portò al petto. Si morse il labbro inferiore e un lieve rossore sopraggiunse alle guance rendendo più pieni e sporgenti gli zigomi alti.
«Sono due bambini ecco tutto! Sempre a litigare e a prendersi in giro a vicenda. Ma li adoro entrambi! Sono la mia nuova famiglia» pronunciò l’ultima frase quasi con la vergogna tipica di una bambina che rivela che il suo sogno è quello di voler diventare una ballerina.
Katherine artigliò le spalle della bionda premendo in corrispondenza delle scapole sporgenti e si lasciò andare a una risatina stridula.
«Suvvia Care, siamo amiche. A me puoi dire chi è il fortunato» la incoraggiò la vampira la cui curiosità traspariva dai suoi pozzi castani.
Caroline mosse leggermente il collo in modo da poter vedere con la coda dell’occhio l’esile figura alle sue spalle, che attendeva famelica la risposta per saziare la sua sete di sapere. Deglutì rumorosamente e corrugò la fronte liscia concentrando la sua attenzione sui minuscoli fori della soffice schiuma.

Damon è carino con me e mi fa divertire pensava mentre il silenzio continuava a farsi sempre più pesante quanto il vapore che aleggiava in quella stanza e si dimostra sempre gentile nonostante abbia un passato da cattivo ragazzo. Eppure Stefan…
«Non posso negare di avere un’infatuazione per Damon» confessò Caroline piegando le labbra in un leggero sorriso per ciò che aveva appena decretato. In sei mesi e mezzo di convivenza non aveva mai dato adito alla sua immaginazione e non si era mai soffermata a pensare che i suoi due coinquilini – carcerieri – fossero due ragazzi e pertanto possibili attrattive. Erano la sua famiglia e tuttavia si era resa conto di provare un affetto maggiore per uno dei due fratelli.
«Ottima scelta» la punzecchiò Katherine solleticandole la spalla con uno dei suoi riccioli scuri e lucidi. «Stefan?» continuò a chiederle, ma più che una domanda sembrava essere la pretesa di una risposta la quale Caroline non poteva non darle se non su un piatto d’argento.
La vampira bionda si umettò le labbra facendo sprofondare nuovamente le ginocchia nell’acqua bollente. Quel gesto fece traboccare l’acqua che si riversò sul pavimento con gran parte della schiuma. Caroline osservò le mani poste in grembo sotto la leggera opacità dell’acqua e cominciò a giocherellare con l’anello, tentando di articolare una risposta.
«Stefan è un caro amico, ma a volte non riesco a capirlo. E’ dolce e premuroso ma sembra avere paura di me, come se potessi ferirlo in qualche modo. Ma come potrei mai? Lui è l’unica persona nell’intero universo cui non potrei – e non vorrei – fare del male. Mi sembra di conoscerlo da sempre».
Caroline sospirò portandosi una mano sulla schiena divenuta ormai umida e fredda mentre la vampira seduta dietro di lei sembrava avere uno sguardo vitreo e al contempo compiaciuto della rivelazione appresa.
Inclinò leggermente la testa dipingendo un ghigno soddisfatto e avvolse le sue braccia attorno al collo di Caroline. La bionda ebbe un sussulto mentre due dita strisciavano lungo il profilo del suo mento, lisce e squamose quasi come la pelle di un serpente.
«Penso che ci divertiremo, io, tu e i fratelli Salvatore» soffiò piano compiaciuta dello sguardo sconvolto, rivoltole dalla bionda.
«Mie care fanciulle non so cosa possiate fare in bagno visto che me medesimo non è con voi. Vedete di smettere di fare giochetti da lesbiche ed uscite in fretta!»
Damon bussò sonoramente alla porta e, anche se cercava di mascherarla al meglio, Caroline si accorse di quella nota inquietudine nella sua voce che l’aveva accompagnato per il primo mese di convivenza, quando bussando alla porta il vampiro dagli occhi azzurri si chiedeva se l’avrebbe trovata in un ennesimo stato di crisi.
«Veniamo subito» «Damon sei seccante». Le voci delle due vampire si amalgamarono, ma almeno Damon poté tirare un sospiro di sollievo.
Caroline uscì veloce dalla vasca da bagno avvolgendo il proprio corpo con uno dei tanti asciugamani posti vicino al calice di sangue e aprì la porta facendo entrare una brezza fredda in contrasto con il caldo vapore che occupava la stanza.
Katherine seguì il suo esempio e prendendo l’asciugamano fece accidentalmente cadere il calice che macchiò i candidi asciugamani stipati lì vicino per poi infrangersi contro il pavimento di porcellana. Katherine fissò le minuscole schegge di vetro e inspirò a fondo, inebriandosi dell’odore di umido e sangue che invadeva la stanza.
Un altro sorriso le comparve mentre liberava i riccioli dalla forte stretta del fermaglio.
Il peggio per Caroline doveva ancora iniziare.

 

«Si sono rinchiuse in bagno, ancora» costatò Damon entrando nella stanza da letto del fratello il quale era intento a scegliere quale maglietta indossare, non prestando alcuna attenzione a ciò che aveva detto.
«Non so cosa abbia in mente Katherine, ma nessuno può manipolare la biondina a parte il sottoscritto».
Aprì un cassetto rovistando tra la biancheria del fratello.
«Astuto modo per dire che tieni a lei» lo punzecchiò il fratello che alla fine aveva optato per la solita camicia a scacchi.
«Prova a dirlo un’altra volta e ti faccio ingoiare i boxer miei che tu stai indossando»  
Stefan inarcò entrambi i sopraccigli schivando di tanto in tanto gli oggetti non identificati che erano lanciati da Damon intento a differenziare accuratamente i suoi boxer dalle mutande del fratello.
«Care avrà sbagliato nuovamente a dividere il bucato» osservò il minore dei Salvatore raccogliendo per la stanza gli indumenti che Damon lanciava.
«Ora che ha l’anello magico penso che dovremmo farla uscire - prima che cominci a rovinare anche le mie camicie».
Stefan si umettò le labbra poggiandosi allo stipite dell’armadio.
«Credi che sia prudente farla uscire nel suo stato?»
«Non vedo il motivo per cui debba rimanere rinchiusa qui! Non è mica Raperonzolo!» scrollò le spalle Damon che finito di ispezionare quel cassetto, passò all’armadio controllando gli altri vestiti.
«Fino a due giorni fa ha avuto una crisi, e se succedesse di fronte a una folla di gente?» chiese preoccupato Stefan mentre Damon richiudeva l’anta dell’armadio e si affrettava ad uscire a passo svelto dalla stanza.
«Ti sopporterai tu il broncio della psicopatica per tutta la settimana, a me semplicemente non interessa»
Stefan scoccò un’occhiata a Damon che a grandi falcate varcava l’uscita: gli importava, eccome se gli importava!

 

«Non posso credere che tu mi abbia portato proprio qui!»
Queste parole, pronunciate con un alto tono di voce, bastarono per richiamare l’attenzione delle persone sedute ai tavoli circostanti della caffetteria in cui Stefan aveva portato Caroline, come prima uscita diurna ufficiale.
«Caroline abbassa la voce» le consigliò caldamente Stefan incrociando lo sguardo sconcertato della cameriera e del signore occhialuto seduto al tavolo che stava servendo. Il vampiro abbassò lo sguardo a disagio e si rifugiò nella sua tazza colma di caffè. Entrambi erano seduti comodamente su un tavolinetto posto sotto uno dei tanti ombrelloni della caffetteria.
«Ops, scusa» rispose Caroline soffermando lo sguardo su ogni persona che continuava a fissarla per poi premere di più i bianchi occhiali da sole che avevano il compito, insieme al delizioso cappello color lavanda, di farla passare in osservato – e che invece richiamavano l’attenzione più del dovuto.
Si morse il labbro inferiore reprimendo il fiume di parole che nonostante tutta la sua buona volontà uscì fuori con brio.
«E’ che è la prima volta che mi allontano da casa dopo tanto tempo, e questo è il posto che adoro in assoluto, dopo il Grill ovviamente, andremo anche lì vero? Devo comprarmi qualche vestito nuovo e sai mi sento proprio bene, credo di essere quasi del tutto guarita e…ti sto annoiando vero?»
Caroline si portò una mano sul collo imbarazzata, appoggiando il gomito sul tavolino e mescolando il caffè nella sua tazza.
Stefan strabuzzò gli occhi.
«No, no dico sul serio è solo che…forse stai annoiando loro» disse e rivolse il mento verso due clienti seduti alle spalle di Caroline, visibilmente irritati dalla vampira logorroica.
Con sua immensa gioia quel giorno i due fratelli avevano indetto una riunione straordinaria e avevano deciso al 50% di permettere alla vampira bionda di riprendere i contatti con l’esterno. Ovviamente il rimanente 50% contrario era di Stefan che, non ancora fiducioso dell’idea, si era offerto di scortarla per le vie di Mystic Falls.
«Kate ha avuto un pensiero gentile a procurarmi quest’anello non trovi?» Sorseggiò il suo caffè macchiato per poi fare una smorfia schifata per il gusto amaro e agguantò subito un’altra bustina di zucchero.
Stefan fermò la tazza a mezz’aria e sospirò contrariato dall’ultima affermazione della vampira seduta di fronte a lui. Ripose la tazza nel piattino ed intrecciò le dita delle mani per poi posarvi la fronte.
«Ti ho fatto arrabbiare?» chiese la bionda in tono lamentoso corrugando la fronte e aspettando la sentenza del vampiro.
«Certo Care, sono arrabbiato ma solo perché ritengo che tu non sia ancora del tutto pronta per la vita normale, qualcuno potrebbe riconoscerti e tu potresti…» si bloccò smettendo di far girare il cucchiaino nella poca quantità di caffè che era rimasta all’interno della tazza.
«…perdere il controllo, lo so» sospirò tornando a sorseggiare il caffè che era diventato più freddo di quanto non fosse già. Una volta finito ripose la tazza nel piattino producendo un sordo tintinnio e un sorriso radioso le illuminò il volto.
«Allora insegnami!».
Stefan alzò un sopracciglio non riuscendo a comprendere ciò che la vampira intendesse con quell’affermazione.
«Oh andiamo Stef! Sei quel tipo di persona che sa perfettamente prendersi cura degli altri – specialmente di me».
A quell’ennesima richiesta Stefan incrociò le braccia al petto e si massaggiò le meningi con un movimento circolare. I sensi di colpa lo invadevano e se da una parte avrebbe voluto realmente aiutare la sua piccola Care, dall’altra pensava che il vampiro adatto non era di certo lui, lui che non aveva saputo prendersi cura di lei.
«No Caroline, ci sono troppi pericoli e finiresti col farti del male» concluse Stefan ponendo un punto a quella che sembrava essere una discussione conclusa.
Caroline si strappò gli occhiali di dosso e serrò la bocca in segno di stizza. Scoccò un’occhiata torva al vampiro e poggiò con fragore i polsi sul tavolino in ferro battuto macchiandosi la manica del giubbino di caffè.
«Sei il vampiro più noioso che io abbia conosciuto sulla faccia della terra! Cos’è, hai vissuto in un monastero per caso?»
Quello sfogo strappò a Stefan un sorriso che non fece altro che irritare maggiormente la vampira, che minacciava di togliersi pure il cappello così da rivelare la sua persona - tecnicamente sepolta nel cimitero di Mystic Falls da sei mesi e mezzo.
«Lezione numero uno: mai perdere le staffe in pubblico se si è ancora inesperti!»
Caroline sbatté più volte le palpebre per poi cinguettare allegramente un “grazie Stefan” battendo felicemente le mani e mostrando i piccoli denti bianchi come Stefan ricordava fare da bambina.
«Ma dovrai seguire i miei consigli senza fare storie» la avvertì prendendo il portafoglio ed estraendo due banconote che lascio sotto il posacenere vuoto.
«E tu dovrai smettere di essere il vampiro super-apprensivo e goderti la vita da diciassettenne» disse Caroline puntandogli contro il cucchiaino e disegnando cerchi immaginari.
Stefan si arrese mostrando un’occhiata eloquente alla sua nuova compagna di giochi.
«Allora qual è la lezione numero due?»


 

Gli occhi azzurri di Damon si dilatarono mentre le folte sopracciglia nere si univano in una linea, segno dell’immenso lavoro mentale cui si stava sottoponendo.
Si umettò le labbra e scaricò il peso da una gamba all’altra, picchiettando l’indice sulla guancia destra. Il viso gli si illuminò e un ghigno minaccioso fu il segno che la lampadina del suo cervello si era illuminata.
«Torre in C3» disse prendendo, tra l’indice e il pollice, la miniatura e collocandola nel posto desiderato.
Katherine sbuffò picchiettando un tacco e scoccando un’occhiata truce al vampiro.
Dei passi rimbombarono al piano di sopra segno che uno degli abitanti di casa Salvatore stava scendendo con foga le scale e per giunta a piedi nudi.
Una chioma bionda apparve all’orizzonte e fece il suo ingresso nel salone, dove Damon e Katherine stavano allegramente giocando a scacchi.
«Dov’è Stefan? E’ quasi l’ora di pranzo e tocca a lui cucinare» brontolò la vampira emettendo un sospiro forzato e dirigendosi verso la cucina.
I due sembravano essere concentrati sulla loro attività: ognuno guardava fisso le pedine della scacchiera, ognuno in attesa della prossima mossa.
«Chi è che doveva fare la spesa?»
Damon alzò lo sguardo, spezzando il contatto visivo, e si morse un labbro leggermente divertito.
«Ops colpa mia» sussurrò e un altro sonoro sbuffo provenne dalla cucina.
«Ci sono sempre le scorte della cantina» suggerì Katherine e un’insana paura si fece largo nell’animo di Damon. La guardò attentamente con terrore, ma non ricevette alcuna occhiata da Katherine la quale stava ancora studiando la posizione delle pedine. Perché Katherine, che conosceva parzialmente la storia, stava agendo in quel modo? A che scopo?**
«Cantina? Non mi avevate detto che ce n’era una» rispose paziente la bionda ma dai suoi occhi color giada traspariva una certa confusione e un leggero senso di tradimento.
Katherine sorrise e spostò un’altra pedina nella sua scacchiera, con aria pienamente soddisfatta.
Caroline incrociò gli occhi di Damon vagamente contrariati e privi di qualsiasi spiegazione esauriente.
La bionda non sapeva dell’esistenza di una cantina eppure aveva un’immagine nitida nella sua mente di come fare per arrivarci; il ricordo sgorgò prepotente dai suoi pensieri fino a farle mancare il fiato.
«Scacco matto!» annunciò prontamente Katherine con un ghigno diabolico in viso.
E Damon capì che Care era come una delle pedine di quell’enorme scacchiera.

***

* Ovviamente questa è tutta una menzogna: Caroline non sa dell'esistenza delle streghe tanto è vero che pensa che gli anelli dei Salvatore siano alcuni dei tanti gioielli ereditati col tempo. L'anello che le ha portato Katherine è stato forgiato apposta da una strega di sua conoscenza.

** Caroline è stata tenuta prigioniera in cantina e logicamente i fratelli le hanno sempre tenuto nascosto l'esistenza di quella parte della casa. Katherine era a conoscenza di tutta la storia e sta sfruttando ciò che sa per i suoi scopi.

Salve carissimi,
questo purtroppo sarà l'ultimo aggiornamento, dopodichè ci rileggeremo a settembre! Lo so che state stappando le bottiglia di champagne u.u Ad ogni modo prima della mia partenza vi lascio un capitoletto del trio - divenuto ora quartetto - in casa Salvatore. Ecco spiegato perchè Kate nel capitolo precedente aveva invitato Caroline a fare una passeggiata sotto il sole! Con l'anello magico Care adesso può uscire anche alla luce del sole, unico problema è che tutti la credono morta! Sarà difficile doversi sempre nascondersi senza farsi riconoscere. Kate e Care affrontano la prima discussione sui bei vampiri e si fa chiaro che Care è infatuata di Damon. Diciamo che sotto questo aspetto è ancora la Caroline della prima serie, ma molto più matura e meno frivola. Ci saranno degli sviluppi sotto questo punto di vista, ma ripeto non intendo fare il solito triangolo D/C/S, al contrario! Stefan sarà il maestro di Caroline e tra loro si consoliderà un legame che prima era ostacolato dai rispettivi sensi di colpa e dalle paure. Katherine ha degli scopi ben precisi e li rivela parlando di una certa cantina, tenuta nascosta alla nostra Barbie! Questo preoccuperà di molto i fratelli Salvatore o almeno Damon visto che è il primo che ha intuito qualcosa circa le intenzioni di Kate. Perciò vi lascio con una Caroline palesemente confusa e curiosa di vedere questa cantina, un Damon preoccupato e sospettoso che tenterà di risolvere la cosa a modo suo senza coinvolgere il fratello, uno Stefan che spera in una remissione dei peccati e una Katherine ambigua e pericolosa i cui scopi sono tutti da vedere. Vi anticipo che nel prossimo capitolo faremo nuovamente un salto nel passato per controllare il trio agli albori di questa convivenza.
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito e che continuano a seguire questa storia.
Ci rileggiamo a settembre, un bacio
Sil

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Capitolo 6
*** 6.Controllo [sei mesi prima] ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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6.Controllo [sei mesi prima]

 
Damon rise istericamente e la sua voce gorgogliò per tutto il corridoio semioscurato.
«Hai voluto trasformare la pensione in un centro di ricovero?»
Stefan roteò gli occhi ed emise l’ennesimo sospiro esasperato.
Non era stata di certo una meravigliosa sorpresa ritrovarsi quella mattina suo fratello al centro del salotto – per di più semidistrutto per via di Caroline.
«Ti ho già spiegato che ha bisogno del nostro aiuto per superare questa sua malattia. E’ un vampiro solo da tre giorni e, come puoi vedere, è ancora molto instabile – e comunque sei liberissimo di andartene così come sei arrivato».
Damon assottigliò gli occhi di ghiaccio, rivolgendo un’occhiata non del tutto amichevole al vampiro seduto in poltrona.
«Peccato che questa sia anche casa mia, ragion per cui non vedo alcun motivo per andarmene» rispose secco il maggiore dei Salvatore non distogliendo lo sguardo da quello di Stefan che lo guardava di rimando.
Erano passati anni dall’ultima volta in cui le loro vite si erano incrociate e ancora la rabbia e l’odio reciproco albergava nei loro cuori. Troppi anni di assenza da casa avevano trasformato i loro animi, un tempo puri e innocenti, in macchine assassine e bestie inferocite, pronti a sbranarsi l’un l’altro per futili motivi ormai appartenenti al passato – ma quando hai tutta l’eternità davanti, il passato può diventare pericoloso.
«Io. Resto» rimarcò precedendo Stefan le cui labbra si erano piegate in una forma di diniego.
Gli occhi fermi di Damon non lasciavano trapelare alcun segno di rinuncia - dopotutto l’intruso non era lui.
Stefan balzò in piedi e in meno di un nanosecondo il suo viso era a pochi centimetri dal ghigno feroce di Damon.
Non gli avrebbe permesso di fare del male alla sua piccola Care, non ora che Katherine gli aveva dato una seconda possibilità, un’ancora di salvezza a cui potersi aggrappare e bearsi prima della dannazione eterna. La rabbia gli offuscava la vista come una coltre di nube tossica ed il sangue iniziava ad ingolfarsi lungo i capillari e le venule intorno alle cavità oculari. Digrignò i denti.
«Ho commesso un errore e sto cercando di ripararlo, quindi non ti azzardare a rivelarle qualsiasi cosa riguardo undici anni fa».
Il ghigno ostile di Damon si trasformò in un’espressione apparentemente divertita, in contrasto con il rosso cupo e minaccioso che si addensava tra le sue iridi azzurre.
La mano destra del maggiore dei Salvatore si serrò attorno al collo niveo di Stefan comprimendolo all’altezza della trachea.
Di rimando Stefan stritolò il polso di Damon finché entrambi non furono sbalzati nelle pareti in direzioni opposte.
«Non provare a darmi degli ordini, fratellino».
E lo scontro poté continuare.

 

Caroline cacciò un urlo acuto che si propagò per tutta la sua stanza.
Le molle del letto cigolarono violentemente mentre i palmi delle mani rimanevano posati sopra le palpebre serrate e tremanti.
Era la settima volta che succedeva durante quel lungo riposo.
Sentiva la gola bruciare, ardere come se le fiamme dell’inferno la divorassero viva e lei non avesse altra via d’uscita.
Faceva fatica a deglutire ed ogni fiotto di saliva che mandava giù aveva l’aspro e tanto desiderato gusto del sangue.
Ma doveva resistere, ci sarebbe riuscita.
Allontanò piano le mani tremanti dagli occhi scrutando ogni singolo centimetro di quella pelle che solo la sera precedente aveva brutalmente dilaniato con i suoi canini e sulle quali adesso candide bende ruvide si intravedevano con il contrasto della sua pelle.
Si accasciò nuovamente nel letto, la fronte imperlata di sudore freddo, raggomitolandosi attorno al cuscino e portandolo alle narici.
Ma l’odore buono di pulito non le bastò per alleviare il dolore attorno alla trachea, così intenso e acuto che sembrava potesse farla soffocare.
Un urto violento contro una parete al piano di sotto la fece sobbalzare.
D’un tratto si ricordò dei Salvatore e della pensione che da quel giorno in poi sarebbe diventata la sua nuova casa – se mai avesse avuto una casa.
Si infilò subito le converse e abbassò lieve la maniglia fredda della porta della sua stanza.
Sgusciò piano e attraversò il lungo e solitario corridoio del piano di sopra.
Il rumore dei suoi passi era ovattato a causa del morbido tappeto, dislocato per tutto il corridoio.
Le gambe di Caroline tremavano così come le mani e la vista. L’arsura alla gola si faceva più insistente. Un leggero ronzio si era impossessato delle sue orecchie e gli occhi erano cerchiati da contorni violacee.
I rumori continuavano a far tremare le pareti dell’abitazione così come gli urti che per Caroline all’improvviso giunsero come schiaffi e denti in pieno viso*.
 

«Più che un vampiro, sembra la fatina di Peter Pan»
Con queste parole Damon ruppe il silenzio che si era venuto a creare dopo che la bionda aveva fatto irruzione nel salotto, adesso ridotto ad un cumulo di macerie, per fermare la lite dei due fratelli.
Il trio adesso stava seduto in cucina. Unico rumore, il ticchettio dell’orologio a pendolo nel corridoio.
«Riesco a sentirti» abbaiò Care scoccando una stilettata al vampiro dagli occhi azzurri che era intento a riempire un bicchiere di ottimo Martini.
Caroline tamburellò sulla superficie lignea del tavolo da cucina, scoccando varie occhiate prima ad uno e poi all’altro fratello, sentendo che l’arsura alla gola aumentava a dismisura.
Il viso contratto di Stefan e la mascella serrata facevano intendere che non era per niente soddisfatto della situazione che si era venuta a creare.
«E’ quasi l’ora di pranzo» constatò la vampira bionda incrociando le caviglie e tirando un lembo della manica del maglioncino color blu notte che indossava.
Stefan alzò un sopracciglio, sorpreso da quelle parole. Si umettò le labbra e si avvicinò alla vampira con le braccia dietro la schiena.
«Vedi Caroline, non-» «non c’è bisogno che io mi nutra di cibo, lo so. Katherine me l’ha già spiegato». Un baluginante ricordo riaffiorò nella sua mente e questo fece si che la dovuta pausa si prolungasse per un po’ di più.
I due Salvatore aspettavano pazienti che continuasse.
«L’essere diventata una vampira non implica per forza che debba cambiare la mia vita. Vorrei che le piccole cose da umano facessero anche parte della mia nuova esistenza».
Stefan non riuscì a sostenere gli occhi color giada della bionda così annuì impercettibilmente, non esponendo alcuna critica al riguardo.
«Ebbene, non vorrai che ti prepariamo anche il pranzo?»
Damon bevve l’ultimo sorso del suo liquore e chiuse un occhio portando il bicchiere, leggermente inclinato, sopra di esso per controllare se sul fondo fosse rimasta qualche goccia di alcol. Rivelatosi inutile tale controllo, lo maneggiò come se fosse una palla da baseball per poi lanciare alle sue spalle il bicchiere che si infranse poco lontano in minuscole schegge di vetro.
Caroline osservò il vampiro con aria schifata lasciando però trasparire una certa bramosia per quegli occhi così azzurri.
«Tanto pulirà Stefan» mimò con le labbra.
Il suddetto vampiro brontolò qualcosa di incomprensibile e tirò fuori la testa dal frigo estraendone una lattuga malridotta avvolta in un cellophan e tre pomodori che avevano tutta l’aria di essere lì dentro da molto tempo.
«E’ tutto quello che abbiamo» si scusò Stefan sul quale gli occhi di Caroline erano puntati con un che di accusatorio.
Il dolore alla gola bruscamente si rifece vivo e il colore rosso acceso dei pomodori le faceva desiderare ardentemente quel sangue che, sapeva, le avrebbe fatto nuovamente del male – il solo pensiero le rivoltava le viscere dal disgusto.
Piegò le labbra in un sorriso innaturale e con una voce stridula e gracchiante acconsentì al menù del pranzo.
Gli occhi di Stefan si illuminarono di una nuova speranza e si munì subito di un coltello, riponendo i pomodori nel lavabo sotto l’acqua corrente.
La fronte di Damon si corrugò appena alla vista degli occhi lucidi della vampira e del suo sguardo folle reso ancora più inquietante dalle notevoli borse che tratteggiavano il contorno di ogni occhio.
Sfilò dalle mani del fratello il coltello e agguantò l’altra metà di lattuga rimasta nel tagliere.
«Non ti ci abituare troppo, principessina. Questa sarà la prima e ultima volta che prepariamo da magiare per te».

 

 
Le orecchie di Caroline divennero rosse e le nocche delle mani scrocchiarono, tanto teneva stretti i pugni.
«Chi ti ha dato il permesso di scaraventare le mie cose fuori dalla mia stanza?»
Il pomodoro dell’insalata che aveva da poco ingerito le sembrò inacidirsi all’interno del suo stomaco tanto la rabbia la stava facendo fermentare.
«Si da il caso che questa sia la mia di stanza» puntualizzò Damon lasciando cadere l’ultimo borsone che teneva in bilico tra il pollice e l’indice.
La borsa cadde a terra con un tonfo sordo sul morbido tappeto il che Caroline dovette reprimere l’istinto di schiaffeggiare quel vampiro così insolente.
«E tu, che non ti sei neanche presentato, chi saresti?» ringhiò abbassandosi per recuperare le borse e i vestiti riversi sul pavimento.
Le ginocchia stavano per cedere, se lo sentiva.
«Damon Salvatore, purtroppo fratello del vampiro al piano di sotto»
La valigia color lime sfuggì alla presa ferrea di Caroline e la stanza cominciò a girarle intorno vorticosamente: il rosso mattone dei tappeti diveniva un tutt’uno con il marrone dei mobili e con l’ocra della luce proveniente dalle applique poste su tutto il corridoio. Il fischio nelle orecchie continuava a cancellare qualsiasi rumore esterno e le esili ginocchia sembravano prostrarsi a causa di un fardello troppo pesante.
Batté violentemente le palpebre tentando di concentrarsi sui ghirigori del tappeto su cui tentavano di rimanere incollati i suoi piedi mentre la stretta attorno all’avambraccio sinistro si faceva sempre più salda.
La vampira inclinò il viso cereo specchiandosi nei pozzi azzurri del maggiore dei Salvatore, troppo debole per liberarsi da quella presa che sembrava sorreggerla più della forza di gravità.
«Stai bene? Non sarai letteralmente già caduta ai miei piedi, spero? Mi lusingherebbe» scherzò il vampiro sfrontato il quale tuttavia sembrava non fidarsi del precario equilibrio della nuova coinquilina.
Caroline inchiodò gli occhi color giada su quelli del vampiro e con un energico movimento del braccio si liberò dalla stretta e continuò a riporre in valigia i vari indumenti che si erano riversi sul pavimento.
Il lieve rossore affiorato sulle guance, prima pallide, della bionda recò un po’ di sollievo a Damon il quale continuava a fissare divertito la vampira che non osava spostare lo sguardo.
Fece leva sulle ginocchia e si alzò, caricandosi la tracolla e la valigia, facendo ondeggiare malamente le ciocche dorate.
«Hai dimenticato questo»
La bionda coi riflessi pronti scattò in un balzo afferrando l’oggetto lanciatole da Damon il quale poco dopo con un sorriso sardonico in viso richiuse la porta.
Caroline tastò tra le mani il leggero pizzo del reggiseno color blu cobalto.
Sorrise genuinamente forse per la prima volta da quando aveva messo piede in quella casa.

 

Gli occhi vuoti di Caroline erano rivolti al soffitto mentre il viso giallastro e smunto assumeva colorazioni bluastre per via delle occhiaie che continuavano a invaderle la pelle intorno agli occhi.
«Oh no! Caroline? Caroline rispondi!» imprecò a denti stretti, terrorizzato da ciò che stava vedendo.
Stefan la teneva saldamente a terra e le sollevava la testa, urlando il suo nome, tentando di rianimarla; lo sguardo, quello di un uomo divorato dalle fiamme.
Damon impallidì. Poggiò una mano sullo stipite della porta per non crollare anche lui a terra. Ne aveva viste tante, forse troppe di persone morire, umani o vampiri, alcuni di questi li aveva uccisi lui stesso, ma stavolta era diverso, era naturale.
Caroline stava morendo per assenza di sangue**.
«Damon fa qualcosa, vai a prendere le sacche di sangue nella cantina» lo incitò il fratello che continuava a tenere ben saldo il polso muto della vampira tra le sue dita.
Damon rimaneva paralizzato, affascinato da quel macabro spettacolo, non distogliendo lo sguardo dalla chioma bionda della vampira agonizzante.
«Damon» urlò nuovamente Stefan i cui rimorsi e sensi di colpa affioravano prepotenti dal suo inconscio facendogli perdere lucidità e sangue freddo.
Il maggiore dei Salvatore schizzò via dalla stanza dirigendosi verso la cantina.
«Non voglio…» un impercettibile sussurro giunse dalle labbra ruvide ed esangui di Caroline.
«Devi invece!» la rimbeccò il vampiro trattenendola per i polsi vedendo che si dimenava.
«Perderò il controllo» piagnucolò la bionda la cui voce le si smorzò in gola.

 

Damon alzò un sopracciglio e invitò la vampira a bere dal suo bicchiere.
Caroline storse il naso e piegò la bocca in segno di disgusto quando l’aroma denso e caldo del sangue umano le penetrò i polmoni.
«Non fare la bambina» la rimproverò il vampiro dagli occhi azzurri avvicinando di più il bicchiere al viso della bionda che di tutta risposta voltò il viso malato dalla parte opposta.
«Non farmi perdere la pazienza» ringhiò aumentando la presa attorno al bicchiere di vetro.
Il minore dei Salvatore sedeva accanto alla vampira, le cingeva le spalle e, nonostante il peggio fosse passato, un’impercettibile ruga di frustrazione era visibile sulla sua fronte marmorea.
Caroline distolse lo sguardo dal mobiletto in noce e rivolse un occhiata in tralice al bicchiere scarlatto.
«No, no, no!» Caroline artigliò i capelli e si raggomitolò su se stessa portando le ginocchia al petto. Stefan balzò in piedi con il timore che quella fosse la genesi di un’altra crisi.
«Caroline, Care ascoltami!» disse scuotendole le spalle, reclamando la sua attenzione.
Caroline spostò una mano così da avere uno spiraglio per poter guardare il vampiro di fronte a lei.
«Tu sei forte abbastanza, riuscirai a resistere, devi semplicemente abbandonare questa tua paura, per sopravvivere -» «No, no!» «Si invece! Se perderai il controllo ti aiuteremo io e Damon; ma io so che non lo perderai, puoi farcela»
Gli occhi color giada della vampira si schiusero del tutto e si arrese dal divincolarsi dalla presa di Stefan, divenendo rigida e immobile come non lo era mai stata.
Damon scoccò un’occhiata titubante al fratello il quale prese la mano della bionda che si fece condurre docilmente al bicchiere ponendoglielo fra le dita sottili.
Caroline inspirò ed espirò.
Portò alle labbra il liquido denso ed esse si tinsero di un rosso scarlatto. In poco tempo il sapore di ruggine del sangue le invase la lingua e scese sinuoso lungo tutto l’esofago, rinvigorendola. Ad ogni sorso Caroline si sentiva come se ingoiasse arsenico e l’arsura della gola fosse soppiantata da un senso di nausea e di disgusto che le faceva rivoltare lo stomaco che affamato reclamava ancora più sangue.
Entrambi i fratelli avevano smesso di respirare assistendo a quell’esperimento.
Un risucchio sordo risuonò per la stanza e Caroline si accorse di aver finito quando la lingua lisciò la superficie fredda e dentellata del bicchiere.
Sentiva il liquido schiumoso affluire lungo l’esofago tentando di ripercorrere il percorso inverso.
I visi pallidi dei due vampiri manifestavano la loro preoccupazione tramite la fronte corrugata e attendevano una qualsiasi reazione di repulsione.
Care incrociò i loro sguardi carichi di timore e per rassicurarli regalò ai due vampiri un timido sorriso reso ancora più acceso dal colorito roseo che assunsero le sue guance.
Stefan rilassò le spalle marmoree e ricambiò il sorriso della bionda, fiero e sollevato che la sua Care avesse superato la sua paura.
«Grazie» gracchiò la vampira i cui occhi color giada si stavano coprendo di una trasparente patina di lacrime che continuava ad addensarsi in finissime gocce trattenute dalle lunghe ciglia.
Stefan sentì qualcosa incrinarsi tra un polmone e l’altro.
Che Stefan vedesse in Caroline ancora quella bambina di undici anni prima, con una spruzzata di lentiggini sopra il naso e le scarpette di raso, questo era palese. Troppo tempo aveva trascorso nel rimorso di non averla saputo salvare, vergognandosi di un così infimo delitto, troppo crudele per quella parte di lui che aveva imparato a far emergere col tempo.
Stefan portò una mano sospesa sopra il capo della vampira ma si bloccò a pochi centimetri dall’intrecciare le dita ai capelli di lei.
Il volto si sfibrò in finissime venule al ricordo di quello scempio e ritrasse con violenza la mano, lasciando la stanza a grandi falcate.
Lo scrocchio delle nocche e della mandibola serrata fu udibile da entrambi i vampiri rimasti in salone.
La bionda, turbata da quel gesto repentino del vampiro che fino a un minuto prima l’aveva consolata, si incupì in viso e portò le gambe sul divano, accoccolando la testa sulle ginocchia sporgenti.
Damon in questo frangente di tempo continuava a inarcare il sopracciglio destro, facendo scivolare lo sguardo sull’esile figura di Caroline.

A lui quella convivenza non piaceva per niente.

 

 ***

* So bene che non è chiara la descrizione di questa scena repentina ma ho adorato quest’ultima frase ad effetto e ho pensato di lasciarla. Sostanzialmente Caroline scende le scale incuriosita dagli strani rumori provocati dalla lotta dei due fratelli. Fa il suo ingresso nel salone e viene coinvolta nello scontro per cui schiaffi e denti in pieno viso. Caroline è una vampira da tre giorni ed è ancora “inesperta” negli scontri e la sua malattia la rende incapace di essere se stessa.

 

** Anche nel telefilm non ho ben capito se i vampiri possono morire per assenza di sangue. In questa storia ho associato anche il fatto che Caroline è una neovampira quindi ha bisogno di una quantità maggiore di sangue. Non so se effettivamente un vampiro potrebbe morire per assenza di sangue, ma questo rigetto e repulsione per il sangue e quindi la sua mancanza fa parte della malattia di Care.

 

Salve vampirizzati,
No non sono un miraggio, sono proprio io in carta e penna!
Vi avevo promesso degli aggiornamenti flash e scegliendo tra le due long a cui mi sto dedicando ho deciso di aggiornare questa. Come vi avevo anticipato in questo capitolo rivediamo il trio agli albori della loro convivenza. Come sempre i flashback non sono il massimo della felicità si capisce perfettamente il disagio da parte di Stefan nel vedere piombarsi in casa il fratello che odia profondamente; a questa asprezza da parte dei fratelli si aggiunge anche l’instabilità di Caroline la quale deve convivere con questa sua specie di doppia personalità: da una parte la sua natura da vampira la porta a cibarsi di sangue per sopravvivere, dall’altra lo shock subito quando era bambina le vieta il solo pensarlo! Situazione parecchio complicata che mette in crisi i due Salvatore che decideranno apparentemente di mettere da parte le loro divergenze per prendersi cura di questa vampira malata. Sembra strano questo loro comportamento visto che siete abituati a leggerli come se fossero una famigliola del Mulino Bianco! In verità non è stato affatto facile e ci sono voluti ben sei mesi per costruire un equilibrio che verrà malamente distrutto dalla Kate come vedremo in seguito. Caroline dimostra avere una certa attrazione per Damon e su questo punto di vista mi sono ispirata un po’ al telefilm ma la Care che si invaghisce del vampiro cattivo è la bionda della seconda stagione, più matura e cresciuta. Ammetto che questo doveva essere un capitolo abbastanza tragico ma non  potevo non inserire qualche battutina ancora un po’ acerba ma pur sempre frizzante al punto giusto per questo trio. Spero soltanto che tra il caldo afoso, la spiaggia e il mare sia uscito fuori qualcosa di perlomeno accettabile xD
Ci si rivede a settembre questa volta,
un bacio
Sil

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Capitolo 7
*** 7.(Sotto)Controllo ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

http://i52.tinypic.com/3478p6d.jpg 

[undici anni prima]

La porta è aperta.
La fioca luce che proviene dal corridoio le fa strizzare gli occhi. Caroline si porta una mano paffutella su di essi per stropicciarseli, con l’altra tiene saldamente al petto il povero Bunny: ha un orecchio sgualcito e l’ovatta al suo interno è macchiata di un rosso scuro.
La bambina osserva la porta, come incantata.
Sarebbe potuta fuggire, sarebbe potuta fuggire davvero.
Alla fioca luce delle neon appese al soffitto, il vestito appariva sporco e incrostato di terra e di sangue, così come le guance e le treccine ormai disfatte.
Poi la sente. La presa forte di Stefan sulle sue braccine le bloccava ogni possibilità di salvezza, di fuga, di vita. Stefan la circonda in un abbraccio e Care stringe al petto il coniglietto di peluche quasi come se fosse lui quello bisognoso di conforto che lei. Poi Stefan, in un gesto inusuale, scosta i piccoli filamenti dorati dal collo un tempo niveo della bambina. Aspira profondamente l’odore del sangue non ancora rappreso dal suo collo. Spalanca le fauci.
“Mi dispiace Care, non ce la faccio, non so resistere” reclina il collo pronto ad affondare i canini.
“Da solo non ce la fai, ma io sono qui, in due è più facile”dice timidamente la bambina facendo cadere Bunny e irrigidendosi per il sangue che sente sgorgare e succhiare avidamente da Stefan.
Dopotutto il mostro aveva bisogno più aiuto di lei.

 
7.(Sotto)Controllo

 
Il legno del parquet scricchiolò piano sotto il passo felpato della vampira dai capelli biondi. Ondeggiò piano nel suo maglioncino verde acqua mentre le pupille roteavano veloci, registrando qualsiasi rumore sospetto. Le sembrava essere ritornata alle prime settimane rinchiusa a casa Salvatore, quando con fare circospetto esplorava ogni angolo di quella grande e maestosa casa che le incuteva un certo timore.
Si morse il labbro inferiore al rumore sinistro che fece la porta appena scattò la serratura. Era strano come in sei mesi e mezzo trascorsi in quella casa, Caroline non si fosse mai chiesta cosa si celasse dietro quella porta sempre chiusa a chiave, presso cui entrambi i fratelli raramente si avvicinavano.
Esultò rapidamente, eccitata all’idea di scoprire cosa fosse contenuto nella famigerata cantina di cui solo pochi giorni prima ignorava l’esistenza. Il buio venne illuminato dalla luce del sole pomeridiano che filtrava da una delle due finestre e che irradiava il lungo corridoio semioscuro.
Gli occhi di Caroline poco prima illuminati di curiosità e di entusiasmo si spensero sconsolati così come il sorriso sulle labbra.
La vampira si portò le mani ai fianchi sbuffando in segno di stizza. Riconobbe che quel lungo corridoio non era altro che delle scale ripide che conducevano ad una porta da cui era possibile notare un barlume di luce biancastra.
Caroline rianimata da nuova speranza pose un piede sul primo gradino facendo scorrere le dita sul passamano arrugginito. Ogni gradino più in basso era un gradino in meno verso la porta ma anche verso l’oscurità.
Roteò le pupille in cerca di qualche traccia di sangue negli angoli più oscuri di quel seminterrato. Per sua sfortuna non vi erano quelle care lampadine fluorescenti per bambini.
Ricordava quando, una delle sue prima sere alla pensione, Stefan l’aveva seguita in camera sua con entrambe le mani dietro la schiena. Gli occhi furbi di Caroline si erano assottigliati mentre cercava di sbirciare oltre la spalla del vampiro. Stefan si era arreso e quasi teneramente aveva mostrato alla vampira l’oggettino a forma di stella che aveva poi prontamente inserito nella presa accanto allo specchio. La lampadina a forma di stella illuminava malamente la stanza che tuttavia rimaneva parte in penombra, ma Caroline aveva un punto di riferimento, un barlume di luce che la poteva distrarre dalle sue crisi notturne.
Staccò la mano dalla barra di ferrò avvertendo il disgusto per quell’odore così simile a quello del sangue coagulato.
Si bloccò a pochi metri dalla porta: l’oscurità l’aveva inghiottita del tutto.
«Perso la strada di casa, Cappuccetto rosso?»
Le orecchie di Caroline non furono sorprese di udire la grassa risata del vampiro alle sue spalle, anzi aggrottò la fronte perfettamente liscia dimostrando così una certa colpevolezza nell’azione che stava tentando di compiere.
Rivolse al vampiro, che la guardava con le braccia incrociate al petto, un sorriso forzatamente innocente, distendendo gli zigomi e piegando le guance così in alto da far apparire due splendide fossette agli angoli.
«Volevo controllare la caldaia, l’acqua è fredda e…sai che detesto lavarmi i capelli con l’acqua fredda!» rispose risoluta la vampira non abbandonando quella sua espressione guardinga come se avesse commesso un crimine.
Damon alzò un sopracciglio palesemente divertito dalla scusa che aveva intavolato al momento la bionda, ma non si scompose: si grattò distrattamente una guancia ricoperta da una leggera peluria con l’indice destro e piegò le labbra in un complice sorriso.
«Problema già risolto, riccioli d’oro!» il vampiro dagli occhi blu fece una riverenza e piegò il braccio destro tendendo il gomito verso Caroline. «Il nostro adorato Stefan sta preparando la cena e non mi fiderei ciecamente: potrebbe distrattamente avvelenarci con della verbena»
Caroline infilò il braccio nell’incavo vuoto prendendo sotto braccio Damon e ripercorrendo la scala al contrario.
«Sai bene che Stefan non farebbe mai niente del genere» cinguettò Caroline con il tono di voce adatto per spiegare un qualcosa di ovvio a un bambino di cinque anni.
Il maggiore dei Salvatore la inondò con i suoi fari azzurri.
«Hai ragione, lo farei io»
La bionda rise divertita, per un momento dimenticandosi della cantina e del buio e agognando quella luce verso cui si stavano avvicinando.
Si arrestò sul terzultimo scalino strattonando la camicia nera del vampiro.
«Damon…cosa c’è in cantina?»
La sua fronte era solcata da un’impercettibile ruga e i suoi occhi color giada, più circospetti che mai, erano grave fonte di turbamento per Damon che puntò lo sguardo verso un punto indefinito oltre la sua immagine.
La vocina squillante della vampira stava nuovamente riformulando la domanda pensando che Damon fosse assorto nei suoi pensieri quando questo gli fornì la risposta.
«Il lupo cattivo»*
Quella risposta giunse a Caroline come un colpo in pieno petto, un fulmine a ciel sereno. Un’incosciente paura serpeggiò nel suo cuore mentre la fronte guadagnava un’altra ruga di frustrazione mista a curiosità.
Si morse il labbro e voltò il capo per rivolgere un ultimo sguardo a quella oscurità che incombeva dietro di lei, smorzata solamente dalla tenue luce in fondo alla scala.
Nonostante la sua mente fosse consapevole dell’umorismo adottato poco prima dal vampiro centenario, un angolo della sua psiche credeva a quella risposta: che la cantina fosse davvero la dimora di un mostro.

 

Katherine sfilò con i denti l’oliva verde snocciolata, infilzata nel suo stuzzicadenti, e rivolse lo sguardo al soffitto all’ennesima pallina di pane che le balzò davanti agli occhi accompagnata da delle risatine sommesse.
Dal canto suo il minore dei Salvatore seduto di fronte a lei le rivolgeva continuamente delle occhiate esasperate, impugnando le posate con fermezza e tagliando la salsiccia fumante che giaceva sul suo piatto lucido.
La vampira dagli occhi color nocciola rivolse un sorriso divertito al povero Stefan, il quale vide rotolare verso di lui l’ennesima oliva, frutto di una penosa mira da parte della bionda.
«Siamo alla mensa dell’asilo o cosa?» sbottò il vampiro addentando la sua salsiccia e alzando un sopracciglio in direzione di Damon e di Caroline.
La bionda maciullò in bocca la sua patatina fritta scoccando stilettate al minore dei Salvatore che abbassò lo sguardo amareggiato, ricompostosi dopo quello sfogo di esasperazione.
Al contrario Damon non si curò dell’ammonizione del fratello e continuò a tagliare la propria salsiccia, facendo tintinnare la forchetta e il coltello a contatto con la superficie liscia del piatto.
«Sono Stefan, il vampiro più noioso della storia dell’universo e mi comporto da ottantenne» lo scimmiottò adoperando una certa enfasi e un tono di voce roco e imponente, calcando le folte sopracciglia nere sugli occhi azzurri.
La risata argentina di Caroline tintinnò come sonagli nella vecchia sala da pranzo della pensione e la sua allegria contagiò i presenti che si sentirono più sollevati nel vederla ridere e scherzare, non manifestando alcun segno della malattia che dentro la opprimeva.
Il vampiro dagli occhi azzurri si concedette un buon bicchiere di vino mentre la bionda, portando alla bocca il pezzettino di salsiccia, puntò la forchetta contro il minore dei Salvatore che le rivolse un’aria interrogativa.
«Ad ogni modo ha ragione: sei noioso! Noi due avevamo fatto un patto, ricordi?»
Caroline, con la guancia gonfia per via del boccone che tratteneva tra i denti, scoccò una stilettata al vampiro il quale roteò gli occhi, consapevole della promessa che si era impegnato a mantenere.
«Quale patto?»
Katherine non aveva proferito parola per tutta la discussione che si era consumata a tavola. Erano rare le occasioni in cui poteva assistere allo spettacolo offertole esclusivamente dai fratelli Salvatore, per cui passavano gli anni ma il carattere rimaneva immutato. E poi c’era Caroline, una bambolina di pezza facilmente maneggiabile da cui avrebbe tratto i più proficui guadagni.
Tre paia di occhi la fissarono e poté notare da quelli color giada trasparire un certo disagio mentre quelli dei due fratelli la continuavano a guardare con astio.
Il trio aveva vissuto sei lunghi mesi in comunità e ognuno aveva imparato a convivere e a rispettare gli altri inquilini della pensione: gli unici testimoni dei loro litigi, delle loro risate, dei loro bisbigli erano state le vecchie mura grigie e pesanti e i mobili tarlati e antiquati. Era logico che la presenza di un quarto individuo aveva rovinato la bella atmosfera che regnava in quel luogo prima del suo arrivo. A Katherine sembrò che questo fosse un ottimo segno.
«Stefan mi sta dando qualche lezione su come comportarmi quando sono fuori, come mantenere il controllo sulle mie emozioni e tutto il resto»
La voce di Caroline si incrinò appena quando rivolse lo sguardo sugli occhi di ghiaccio del vampiro. Damon non sapeva nulla riguardo questo loro piccolo accordo e lei sentiva quasi nell’aria la disapprovazione per ciò che il fratello stava facendo nei suoi confronti.
Katherine inclinò la testa invitandola a continuare e i ricci le molleggiarono pesantemente sulle guance.
«E’ sempre il solito iperprotettivo, perciò abbiamo fatto un patto: io seguo ciecamente i suoi consigli e lui deve lasciarsi andare e divertirsi come un normale diciassettenne» concluse affondando la forchetta sull’ultima patatina giacente nel suo piatto e strappando un pezzettino di pane che portò alla bocca.
«Interessante Stefan, spero che seguirai il consiglio di Care! Dopotutto un tempo eri molto più spensierato» Katherine sorseggiò quell’ottimo vino dall’aroma dolce e il contenuto del bicchiere in vetro venne ben presto dimezzato.
Uno strano silenzio adesso li sovrastava, smorzato solo dal lento masticare della bionda e dal lontano ticchettio dell’orologio. La presenza di quella vampira rendeva più difficile il rapporto di entrambi i fratelli con la povera Caroline non a conoscenza di quel passato che le avevano perentoriamente tenuto nascosto e che adesso scottava come non mai tra le sue mani di porcellana.
«A proposito, c’è una fiera qui a Mystic Falls con tanto di ruota panoramica. Un ottimo modo per divertirsi» annunciò Kate con finto entusiasmo, ma che risultò abbastanza convincente da far luccicare gli occhi di Caroline dalla gioia.
«E’ un’idea fantastica! Dovremmo andarci questa sera.» Sentenziò la bionda facendo oscillare i boccoli dorati e scrutando i visi dei Salvatore.
«E non accetto lamentele!» la vampira anticipò prontamente Stefan, additandolo, il quale voleva esporre per l’ennesima volta i rischi che avrebbe corso, ma non ne ebbe l’occasione.
Si limitò ad abbassare lo sguardo senza comunque smettere di riservarle alcune occhiate in tralice: era così bello vederla finalmente in viso senza aver paura di scorgere qualche guizzo di insana pazzia o ritrovarsi davanti lo spettro del suo passato; un lungo brivido percorse la solida colonna vertebrale di Stefan al ricordo del viso scarno e privo di luce della sua piccola Care, solcato da livide occhiaie e terrorizzato all’idea di rimanere sola.
Un battito di mani riportò alla realtà il giovane Salvatore che guardò curioso la vampira dai capelli bruni il cui sguardo si era illuminato di fanciullesco entusiasmo.
«Lo sapete: io adoro le feste»
Damon trattenne un grugnito mentre i suoi occhi si incastravano in quelli di Katherine. Dopotutto c’era un’insolita verità nelle parole appena pronunciate che avevano irritato il vampiro dagli occhi azzurri.
Dopotutto quello sarebbe stato l’inizio della sua festa.

 

Caroline rivolse uno sguardo inorridito alla sua immagine riflessa e un’impercettibile ruga increspò la sua fronte liscia.
«Perché devo indossare questi ridicoli vestiti!» piagnucolò mostrando a Kate il ridicolo cappello a visiera dentro cui aveva dovuto raccogliere i suoi capelli.
«Dolcezza, sei morta da almeno sei mesi e alla fiera ci sarà tutta la città!»
Katherine si posizionò meglio sul letto della bionda e accavallò le gambe fasciate da jeans attillati che dal ginocchio in giù erano ricoperti da stivali in pelle.
La vampira sbuffò sonoramente e tirò su la zip della felpa grigia di Stefan il quale si era offerto di fungere da suo accompagnatore per il resto della serata, offerta che aveva mandato a monte l’idea di un giro sulla ruota panoramica con il fratello più grande.
Le dita di Caroline giocherellarono un po’ con uno dei due laccetti del cappuccio e si morse un labbro assottigliando gli occhi e spiando la mora dal riflesso dello specchio.
Un dubbio continuava ad addensarsi nella mente di Caroline, ma ogni qualvolta sembrava essere vicina alla soluzione questa irreparabilmente le sfuggiva e la nebbia continuava a farsi sempre più fitta attorno ad essa. Cosa aveva a che fare lei con i fratelli Salvatore?
Caroline schiuse le labbra lucide per dare sfogo alla sua forse morbosa curiosità.
«Conosci da tanto tempo i fratelli Salvatore?»
Katherine alzò lo sguardo e gli occhi color nocciola si posarono sulla magra figura della vampira. Accennò un sorriso divertito.
«Abbastanza» Si alzò dal letto e si avvicinò cautamente alla bionda che osservava il tutto attraverso lo specchio.
«E come vi siete conosciuti?» chiese Caroline cercando di controllare il tremito della voce mentre fermava il cappello alla testa con un’altra forcina.
Entrambe si osservavano riflesse nello specchio.
«Vivevamo tutti e tre sotto lo stesso tetto»
Le parole di Katherine sembrarono rimbalzare sulla superficie liscia dello specchio così da far tremare la figura pallida della vampira bionda quando quest’ultima si accorse che era proprio lei a tremare impercettibilmente.
Spinse di più la visiera contro la sua fronte e distolse lo sguardo dallo specchio sentendosi trapanare la schiena da quegli occhi color nocciola.
In lei radicò l’idea di poter essere una sorta di rimpiazzo.
In effetti, pensandoci meglio, lo era già.

 

«Ho vinto! Qual è il mio premio?»
Katherine esultò eseguendo una piroetta su se stessa e muovendo il bacino fasciato dall’aderente maglietta nera. I riccioli svolazzavano leggeri e letali come tentacoli.
«Purtroppo per te non sono più il tuo orsacchiotto» abbaiò Damon alzando gli occhi al cielo e incrociando le braccia sopra la giacca di pelle nera.
«Un tempo lo eri» si imbronciò la vampira guardandolo con i grandi occhi nocciola che sfavillavano sotto la luce fluorescente dei vari stand e delle giostre che si snodavano su tutto quel piazzale.
«A che gioco stai giocando, Kate?»
Era la terza volta da quando si erano trovati da soli che Damon chiedeva alla vampira quale fossero le sue vere intenzioni. Per sua fortuna sia Stefan che Caroline si erano misteriosamente persi tra la folla dandogli così l’opportunità di parlare faccia a faccia con la manipolatrice – perché era questo che era. La conseguenza era che aveva ottenuto ben pochi risultati.
Katherine allungò il braccio per affondare le dita nella consistenza morbida e soffice dello zucchero filato tenuto in mano da un bambino un po’ troppo distratto.
Ne strappò una soffice nuvola e la fece volteggiare davanti agli occhi azzurri del vampiro con aria divertita.
«Sto solo aiutando la piccola Care» si difese prontamente, dividendo lo zucchero filato in due per poi porgerlo a un Damon non in vena di divertimento.
«Già e vuoi anche estinguere la fame nel mondo, non si diventa santi in soli centoquarantacinque anni!»
La fronte di Katherine si increspò e alzò un sopracciglio palesemente irritata dall’ostinazione del Salvatore.
Schiuse le labbra e la lingua della vampira assaporò la soffice nuvola di zucchero che si sciolse.
«E’ vero così come è vero che tu mi ami ancora» ribatté felina la vampira che avvicinò l’altra soffice nuvola di zucchero alla bocca di Damon il quale si scostò bruscamente afferrandole i polsi e inchiodandola con lo sguardo.
«Questo afferma la mia teoria, che sei una bugiarda!» le ringhiò contro sospingendola verso il retro buio degli stand.
«Quanto tempo ancora vorrai negare l’evidenza?» Katherine gli accarezzò il profilo della mascella contratta mantenendo perfettamente il controllo di se stessa.
Uno scintillio affiorò negli occhi profondi della vampira la quale inclinò il capo arricciando le labbra e socchiudendo gli occhi, conscia della prossima mossa del vampiro che imponente la sovrastava.
Damon le strappò dalle mani il batuffolo di zucchero filato e lo fece scontrare prepotentemente contro le sue labbra serrate, affondandolo fino in mezzo alla perfetta dentatura perlata della vampira sbigottita.
«Buon proseguimento di serata, Katherine»

 

La risata secca di Stefan risuonò per tutta la foresta accompagnata da quella argentina della vampira in sua compagnia.
«Non ci posso credere! Sai, sei…divertente» confessò Caroline sfregando le mani bianche sulla felpa grigia per poi affondarle nell’apposita tasca anteriore posta all’altezza della pancia.
«Grazie per quel tono di sorpresa» osservò Stefan alzando un sopracciglio facendo piegare nuovamente le labbra di Care in un adorabile sorriso.
Si erano allontanati dalle luci e dalle musiche della fiera per provare a cacciare qualche animale ma l’ilarità e la spensieratezza non li avevano ancora abbandonati. Eppure Stefan sapeva bene che non era prudente passeggiare sotto quelle fronde degli alberi, le stesse che undici anni prima avevano riparato dalla pioggia scrosciante lui e una bambina. Non era tranquillo Stefan, non era affatto tranquillo.
«Cioè intendevo dire che pensavo fossi un vampiro serio e distaccato e che per qualche strano motivo tu avessi paura»
Gli occhi color giada si colmarono di tristezza pronunciando quelle ultime parole mentre quelli del Salvatore si accesero di sorpresa.
Stefan schioccò la lingua e scosse la testa confuso.
«Paura di cosa?» chiese avanzando a passi lenti verso la vampira i cui occhi si stavano leggermente arrossando.
«Di me» gracchiò Caroline mantenendo un lieve sorriso di imbarazzo, come se quello fosse la confessione di un reato, quando invece era l’unica paura che l’aveva accompagnata da quando era stata trasformata in vampira: la paura di essere un mostro.
«Non potrei mai avere paura di te, Care, e mi dispiace che tu abbia, anche per un singolo istante, pensato che..» Stefan non riuscì più a proseguire notando che gli argini dei suoi occhi avevano ceduto e che adesso sottili gocce rigavano il viso di Caroline ancora illuminato dal sorriso rassicurante che aveva imparato da tempo a inscenare.
Il vampiro allargò timoroso le braccia invitando la bionda a sfogarsi, ma non appena la strinse tra le sue braccia un forte odore di sangue umano giunse alle narici di entrambi.
Caroline si liberò rapidamente dalla stretta e si addossò contro un albero, con le spalle ben aderenti alla corteccia, a parecchi metri di distanza.
«Che cos’è questo odore?» gridò asciugandosi le ultime lacrime con il dorso della mano e sentendo aumentare il magone attorno alla gola.
«Caroline, corri il più lontano possibile» sussurrò Stefan nell’animo del quale una nota paura si faceva presente scuotendolo e facendogli rivivere l’orrore della prima volta che l’aveva incontrata dopo tanto tempo.
Il volto di Caroline appariva sfigurato in una smorfia folle in viso, con le labbra sottili tirate all’inverosimile e le pupille degli occhi dilatate e iniettate di sangue. La lingua smussava i canini rigonfi e pronti ad attaccare.
«Sangue» fu l’ultima parola che udì il vampiro prima di vedere Care smaterializzarsi correndo verso il luogo da cui proveniva l’invitante odore di sangue umano.
Stefan si lanciò subito all’inseguimento di Caroline scostando i rami e sentendo a malapena lo scricchiolare del fogliame secco sotto il suo passo svelto.
Seguì la scia del sangue e si ritrovò a pochi metri dalla fiera.
Davanti a lui Caroline osservava bramosa il rivolo di sangue che colava violento dalla narice destra e da un taglio profondo sulla testa di un ragazzo.
Un conato di vomito fece strizzare gli occhi di Caroline la quale tentò di aggrapparsi all’albero sotto il quale giaceva il giovane privo di sensi, apparentemente ubriaco**.
Il forte odore di alcol misto al sangue stordì Caroline la quale teneva gli occhi scarlatti fissi sulla ferita e sulla sua mano imbrattata di rosso.
«Caroline, mantieni il controllo» le urlò il Salvatore il cui consiglio non venne ascoltato dalla bionda che sembrava essere assorta nei suoi pensieri.
Le viscere andavano contorcendosi e ogni fibra del suo essere sembrava voler sfuggire a quel rivoltante spettacolo ma qualcosa in lei, la sua nuova natura, la obbligava a cibarsi di quel siero così caldo e pulsante.
«Matt» le sfuggì in un sibilo accarezzando teneramente le ispide ciocche biondastre.
Le labbra sembrarono schiudersi contro la propria volontà e i canini affilati si avvicinarono al collo del ragazzo inerme.

Mantieni il controllo.
Caroline espirò per un’ultima volta.

Era tutto sotto controllo.

 

***

 

* Penso sia chiaro il riferimento al flashback del capitolo 3.Ospite in cui Stefan chiede alla piccola Care che cosa pensa lui fosse e lei ingenuamente risponde con il lupo cattivo. Damon non è al corrente di questo piccolo dettaglio e risponde in quel modo semplicemente per far allontanare Caroline dalla cantina non sapendo che invece questo ha le ha fatto ricordare un altro frammento del suo passato.

 

** Il ragazzo (di cui non faccio il nome perché può darsi che state leggendo la nota prima di continuare con la storia) dopo la morte di Caroline si è abbandonato all’alcol, sentendosi solo e abbandonato. Questo lo porta ad essere molto spesso vittima di ragazzacci che cercano di derubarlo, ferendolo. La sera della fiera è stato circondato da un gruppo di balordi e picchiato a sangue. Di questo ne parlerò in uno dei prossimi capitoli.

 

Credo di essere pienamente soddisfatta di questo capitolo e lo dico io che continuo a rodermi il fegato perché i capitoli che scrivo sembrano sempre così sciocchi e banali. Questo invece mi ha dato piene soddisfazioni non solo per come è strutturato ma anche per i momenti che ho descritto. Partendo dal principio…Si rientra al presente con un flashback di undici anni prima dove sembra evidente Caroline ha finalmente capito che l’amico Stefan e il mostro sono un’unica persona ma non è spaventata da questa scoperta, ma una parte del suo animo altruista vuole aiutarlo. Nel presente invece avevamo lasciato una Care palesemente sbigottita nello scoprire una cantina in casa Salvatore e qui vediamo il suo tentativo nell’impresa che, ahimè, viene sabotato da mister occhi azzurri il quale tenta da solo di tenere la situazione sotto controllo ma non è come lui spera. A tavola poi le cose degenerano con Katherine che, pezzo dopo pezzo, improvvisa costruendo il suo piano nei minimi dettagli. Caroline viene a scoprire della precedente inquilina dei fratelli Salvatore e questo non può che farle insorgere numerose domande sul perché Kate l’ha mandata lì e se potrà mai reggere al confronto con la bella vampira bruna. Alla fiera se da una parte Damon cerca in tutti i modi di sbrigarsela da solo e far confessare Katherine senza però cadere vittima del suo fascino, dall’altra Stefan e Caroline aprono i loro cuori e si avvicinano sempre di più visto che da sempre c’è stato questa barriera trasparente che li ostacolava; ma la foresta non è un luogo sicuro e questo Stefan se lo sentiva! Infatti un forte odore di sangue sblocca Caroline e la sua nuova natura prende il sopravvento su tutto!Avrà morso Matt o non l’avrà morso? E Damon continuerà a lavorare per conto proprio? Che risvolti avranno le informazioni rivelate da Kate? E la cantina rimarrà chiusa ancora per molto?
Ringrazio vivamente coloro che continuano a seguirmi per questa storia nata quasi per gioco!
Un bacio di cuore a tutti ♥
Sil

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Capitolo 8
*** 8.Frammenti ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale

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8. Frammenti

 

L’odore energico del caffè fumante non fu sufficiente per svegliare il minore dei Salvatore avvolto nella più completa oscurità della sua stanza – visto che ancora non era sorto il sole!
«Stefan! Stef!» sussurrò Damon posando la solita tazza verde bottiglia sul comodino in mogano e cercando l’interruttore della abajoure.
«Fratellino?» ripeté cantilenando con un tono di voce più alto, cercando di apparire più gentile di quanto mai fosse stato in vita sua, ma la risposta che ricevette fu un altro nasale rumore di uno Stefan la cui testa era affondata nel morbido guanciale color cenere – e non aveva alcuna voglia di svegliarsi.
Il vampiro dagli occhi azzurri sospirò, cercando di non perdere la pazienza e borbottando parole incomprensibili, e si sedette sulla cassapanca posta davanti al letto del fratello.
Portò la mano chiusa a pugno a pochi centimetri dalle labbra e tossicchiò così da schiarirsi la voce. Inspirò piano e trattenne il fiato mentre un sorriso beffardo incominciava ad affiorargli in viso.
«Aiuto! Caroline è scappata, ha scoperto tutto!»
Questa evidente bugia pronunciata da Damon, il quale aveva portato le mani ai capelli e aveva assunto un tono di voce abbastanza stridulo e fintamente allarmato, era stata la causa del cattivo risveglio di Stefan Salvatore.
Il vampiro infatti aveva smesso di russare placidamente e si era staccato violentemente dal cuscino serrando gli occhi per la forte luce artificiale proveniente dalla lampadina.
Mugugnò qualcosa che Damon intuì essere il nome della vampira bionda per poi portarsi il braccio sopra gli occhi ancora socchiusi e desiderosi di sonno.
Non era di certo un bello spettacolo al mattino.
«Cos’è successo a Caroline?» biascicò mentre si massaggiava le meningi con un movimento circolare, tentando di raddrizzarsi e arrotolando le coperte e il lenzuolo che si riversarono malamente sul pavimento.
Il vampiro dagli occhi azzurri, che lo guardava con aria divertita, alzò un sopracciglio e portò il palmo aperto della mano contro il torace nudo del fratello per impedirgli di alzarsi.
«Frena Zorro, la bimba dorme nella stanza accanto»
Stefan, i cui occhi non si erano ancora abituati al chiarore della stanza, rivolse uno sguardo sollevato al lampadario della sua stanza e si passò una mano sul viso pallido e non del tutto sveglio, per poi guardare torvamente il vampiro che di tutta risposta gli offrì la tazza di caffè fumante con un sorriso convincente.
L’ultima volta che Damon gli aveva portato il caffè di mattina – se mai buttarglielo addosso indicasse l’azione del portare – aveva appena ucciso accidentalmente il presidente degli Stati Uniti. Cos’altro poteva aver combinato adesso?
«Ma che ore sono? Saranno le cinque» proruppe Stefan spostando lo sguardo oltre le persiane della sua camera.
«Sono le cinque e trentotto minuti per l’esattezza» precisò Damon sorseggiando il caffè per poi passarsi la lingua sulle labbra rosee per cancellare eventuali residui.
Le palpebre gli si chiusero e Stefan ricadde pesantemente sul materasso per poi premere il morbido cuscino sulla propria faccia.
Non aveva alcuna voglia di sentire un’altra delle sue malefatte, specialmente non dopo la notte precedente.
«Devo parlarti del nuovo problema Caroline e di un problema di lunga data: Katherine»
Stefan sospirò da sotto il cuscino e pregò di riaddormentarsi.
La paura e l’immagine sfigurata di Care si rifecero nitide nella sua mente così come il sangue impresso nella sua felpa grigia e sulle mani diafane di lei.

Stefan sto bene aveva detto mentre inspirava ed espirava più volte, serrando le palpebre e i pugni e controllando i tremiti che le pervadevano il corpo.
Ce la posso fare. Erano state queste le parole che aveva pronunciato mentre i canini si rimpicciolivano e lei si accasciava tra il fogliame umido, perdendo i sensi mentre cercava di raggiungere la mano del ragazzo.
Io non sono un mostro.
Damon scoccò la lingua non prima di averci ragionato un po’ su.
«Katherine le vuole far ricordare quello che tu le hai fatto»
Il vampiro sollevò il guanciale così da poter osservare il fratello le cui labbra erano ancora attaccate alla tazza e assaporavano l’aroma della caffeina.
«E a che scopo?»
Damon alzò le sopracciglia contrariato e allargò le mani in segno di esasperazione facendo vorticare il caffè all’interno della tazza – sperando veramente che macchiasse accidentalmente il fratello.
«E’ Katherine. Adora far soffrire le persone e questa volta vuole utilizzare Caroline! Cosa ti stupisce?»
«E il problema Caroline?»
Damon si rifugiò nella sua tazza e ingurgitò l’ultimo sorso di caffè amaro prima di dare delucidazioni al fratello per cui l’attesa era snervante.
Lisciò le pieghe del lenzuolo prima di alzare i suoi occhi azzurri.
«E’ curiosa» decretò il vampiro non trovando altro termine appropriato.
Stefan alzò un sopracciglio corrugando la fronte e spostando il cuscino sul petto.
«L’ho trovata a curiosare tra le scale che conducono alla cantina»
A quelle parole il minore dei Salvatore si irrigidì, serrando la mascella e rivolgendo uno sguardo carico di terrore a Damon.
«Quando l’ho vista sembrava essere molto agitata, quasi in uno dei suoi soliti stati di crisi. Non ha idea di cosa ci possa essere in cantina, quindi non farti venire altre rughe, fratello».
Damon gli diede una pacca sulla spalla e depositò tra le mani di Stefan la tazza verde ancora abbastanza calda prima di sgusciare via dalla stanza.
Forse avrebbe dovuto essere stato più prudente da quando la piccola Care aveva varcato per la seconda volta la soglia della pensione, pensione le cui mura trasudavano ancora l’orrore che i suoi occhi erano stati costretti ad avvertire, i cui pavimenti raccoglievano ancora le lacrime e le urla stridule che riecheggiavano come echi nella mente dismessa della neovampira.
Quella doveva essere la sua seconda possibilità e non la sua seconda morte.
Questi pensieri continuavano a imperversare nella mente di Stefan il quale era rimasto con le spalle nude ricurve e le gambe a penzoloni che sfioravano il pavimento.
Prese la tazza e la portò alle labbra ma ciò che incontrò non fu il caldo aroma del caffè ma il denso sapore dello zucchero depositatosi sul fondo e che gli si appiccicò sulle labbra.
Il vampiro aggrottò le sopracciglia e inclinò il bicchiere osservandone i residui sul fondo e sospirò tristemente.
Scosse la testa amareggiato e tese l’orecchio in ascolto dei movimenti degli inquilini di casa Salvatore: fuorché i passi felpati di Damon, la pensione era tutto un silenzio smorzato solo dai respiri profondi delle due vampire dormienti.
Stefan guardò, oltre le piccole fessure delle persiane, il cielo che cominciava a schiarirsi e il celeste lasciava il posto ad un rosato tenue.
Sbuffò maledicendo il fratello per averlo svegliato così presto e rigirandosi la tazza fra le mani si decise ad alzarsi e ad abbandonare i propri pensieri.

 

 

Caroline ingurgitò un’altra cucchiaiata di cornflakes tenendo lo sguardo basso e osservando minuziosamente i cereali che galleggiavano all’interno della sua ciotola giallo limone.
«Grazie per avermi portato la colazione a letto, è stato un pensiero gentile»
Stefan aggiunse un’altra ruga sulla sua fronte marmorea.
La notte non era stata delle più quiete per Caroline: immagini sopra immagini continuavano a vorticarle in testa, colori quasi tutti tendenti al rosso macchiavano i volti delle persone sconosciute che le si presentavano in sogno, frasi senza senso, ricordi di un’altra vita iniziavano a riemergere dall’abisso in cui erano stati seppelliti.
Questo fiume impetuoso l’aveva travolta, tramortendo la vampira così che adesso i suoi occhi brillavano di una luce un po’ più intensa, confusa ma pur sempre consapevole che la sua mente aveva partorito un qualcosa rimasto in gestazione troppo a lungo.
La bionda piegò le labbra e ripose la ciotola nel vassoio sopra le sue ginocchia avvolte da una trapunta rosa pesco e  con un gesto inconsueto tese il vassoio in direzione di Stefan.
Il vampiro accorse in aiuto di Caroline e, seppur turbato, avvolse le dita su quelle sottili della bionda per afferrare il vassoio dagli appositi manici e porlo nel comodino lì vicino.
«C’è qualcosa che ti turba, Care?» chiese Stefan timoroso vedendo la vampira scostare veloce il lenzuolo per poi dirigersi verso il bagno nel suo solito pigiama azzurrino.
Caroline arrestò i piedi nudi poco prima di varcare la soglia del bagno e si scostò le ciocche arruffate davanti agli occhi color giada.
Appoggiò la mano sullo stipite della porta e volse uno sguardo in tralice al vampiro che attendeva una risposta rigido in volto.
Stefan con un certo cipiglio provò ad invitarla a parlare.
«Sai che puoi fidarti di me»
La bionda impallidì leggermente mordicchiandosi il labbro.
Si voltò sospirando e affondando le dita sottili nei suoi capelli dorati portandoli all’indietro e legandoli con l’elastico che aveva al polso in una sorta di chignon.
Molleggiò piano sulle ginocchia con le braccia incrociate al petto fino a raggiungere il letto disfatto.
Incrociò le caviglie e dopo l’ennesimo sospiro si decise ad alleviare la snervante attesa del vampiro.
«Conosci da tanto tempo Katherine?»
Quella domanda spiazzò Stefan il quale sgranò gli occhi di fronte alla vampira e schioccò più volte la lingua non trovando una risposta adeguata.
Venne anticipato da un’altra domanda dettata forse da morbosa curiosità.
«E’ vero che un tempo vivevate tutti e tre insieme come adesso viviamo noi?»
Caroline non riusciva più a trattenere questi dubbi che le infuriavano in testa. Sembrava trattenesse il respiro e gli occhi vigili scrutavano ogni singola reazione del vampiro seduto accanto a lei.
Stefan si drizzò, avvolse la mano sull’altra serrata a pugno e vi pose il mento come in contemplazione di qualcosa. Gli tornarono alla mente le parole del fratello e della strana influenza che Katherine stava avendo sulla piccola Care, ignara del loro losco passato.
«Si, è vero» dichiarò e poté vedere la luce negli occhi di lei affievolirsi fino a scomparire.
Caroline sentì il sangue gelarsi nelle vene e il cuore se fosse stata ancora viva avrebbe perso un battito. La consapevolezza di quella situazione le si rinfacciò nuovamente e sentii un brivido scenderle lungo tutta la schiena simile alla paura sviscerante che provava quando le sottili mani della vampira dai riccioli lucidi le sfioravano la pelle.
Stefan notò questo repentino cambio cambiò d’umore e temendo una possibile crisi si accinse a proseguire oltre.
«Come sai Damon ed io siamo vampiri dal 1864. Prima della nostra trasformazione nostro padre ospitò una ragazza che era rimasta orfana dopo un incendio»
«Katherine» proruppe piano la bionda i cui occhi rimanevano fissi sulle righe dei pantaloncini del pigiama.
«Già. Katherine visse sotto il nostro stesso tetto per un po’ proprio come viviamo attualmente noi tre. Ma le cose si sono complicate per via di Damon» e qui il Salvatore si bloccò rimuginando se continuare il suo racconto con i dovuti dettagli o se ometterli e non turbare ancora di più l’animo innocente della bionda.
«Cosa intendi per complicate
«Damon si era innamorato perdutamente di Katherine. E ammetto che anche io sono stato ammaliato da lei. Katherine ci amava entrambi o almeno così lei si ostinava a dire. Ciò che non sapevamo di lei era che era un vampiro»
Gli occhi di Caroline si ingigantirono a quelle parole proprio come quelli di una bambina presa dal racconto della madre.
«Katherine ci trasformò entrambi per poter vivere per sempre insieme, ma le cose non andarono per il verso giusto e le nostre strade si divisero.”
Concluse Stefan alzando le spalle come a non dare peso a ciò che per molto tempo era stato il rammarico della sua intera esistenza – non mai quanto il fratello.
Sapeva bene che Katherine aveva un animo malvagio, vile e manipolatore ma al contempo non poteva disilludere Caroline nei riguardi della sua amica.
Caroline si morse un labbro e lisciò le pieghe del cuscino che ancora presentava la forma della sua testa.
«E’ una storia così triste, non immaginavo una cosa simile» rispose sinceramente la bionda con una leggera ruga che solcava la fronte diafana.
Le labbra le si piegarono in un sorriso disarmante e gli occhi ritornarono a brillare.
«Sono contenta che tu mi abbia raccontato questa storia»
Stefan sorrise a malapena sollevato dal fatto che Caroline continuasse a restare ignara di tutte le bugie che si stavano accumulando.
La bionda allargò timidamente le braccia slanciandosi verso il vampiro per trovare conforto in un abbraccio. Il Salvatore seppur turbato non rifiutò il gesto d’affetto e anche se un po’ goffamente cinse le spalle della giovane vampira ritrovandosi ancora una volta sotto il mento i finissimi fili dorati che una volta erano stati sul capo di un bambina dall’aria spaurita e terrorizzata.
Caroline si liberò dall’abbraccio e leggera come una libellula raggiunse nuovamente la porta del bagno spostando il peso da una caviglia sottile all’altra.
Si morse il labbro e si accigliò leggermente prima di far imperlare nuovamente la fronte del Salvatore di sudore freddo.
«Sai Stefan, ti ho sognato questa notte»
Il vampiro serrò la mascella attendendo il resto del racconto.
«Ci trovavamo nel bosco in cui eravamo ieri sera, solo che tu eri-» la fronte della bionda si corrugò a tal punto da unire le due sopracciglia in un’unica sottile linea.
«- me. Sembravi essere in preda ad una crisi e avevi il viso sporco di sangue»
Caroline si fermò sfiorando il pomello lucido della porta e rallegrandosi tutt’a un tratto.
«Ma è assolutamente impossibile che questo incubo diventi realtà» ribatté secca la vampira con una punta di presunzione scuotendo il capo e sciogliendo il largo chignon sulla nuca.
Stefan alzò un sopracciglio in modo interrogativo tentando di nascondere l’evidente terrore che sfumava nei suoi occhi verdognoli.
«Nel sogno tu volevi mordermi, volevi farmi del male. Non conosco molto di te ma se c’è una cosa di cui sono sicura è che non mi faresti mai del male»
Caroline piegò le labbra in un sorriso e le si crearono due deliziose fossette all’altezza delle guance rosee.
La porta del bagno si chiuse con uno scatto e Stefan affondò il volto pallido più di uno spettro tra le mani.

 


«Quindi tu stai tentando di dirmi che Caroline sta riacquistando precocemente la memoria, sa del nostro manage-a-trois con la vampira stronza e che si fida ciecamente del vampiro che le rovinò la vita undici anni fa. Le hai detto anche che Babbo Natale non esiste o aspetti domani?”
Damon si accigliò alzando gli occhi al soffitto e svuotando d’un fiato il bicchiere una volta colmo di ottimo Bourbon.
«Era da un po’ che non bevevi» evidenziò il minore dei Salvatore seduto comodamente sulla poltrona in pelle di fronte al fratello.
«Non tentare di cambiare discorso!»
Damon sapeva bene che prima o poi quel giorno sarebbe arrivato e c’era stato pure un periodo in cui aveva atteso con impazienza il momento in cui lo sguardo della dolce vampira si fosse ritorto contro quello tremante del fratello: al solo pensiero di far soffrire il minore dei Salvatore un risolino astuto gli compariva in viso.
Eppure Damon sapeva anche che ne avrebbe sofferto, non come aveva fatto in passato con Katherine, ma le sarebbe mancata quella sua buffa e irritante risata e il prepararle la colazione la mattina, il ritrovarsela fra i piedi la sera prima di andare a letto e i suoi continui sbalzi d’umore.
Perché non c’era verso che Damon Salvatore potesse amare qualcuno, ma forse il tempo l’aveva reso una persona amabile – se si poteva definire tale.
«Cosa intendi fare ora, Einstein?» abbaiò il maggiore dei Salvatore con aria annoiata incrociando le caviglie e poggiando l’intero capo sulla mano stretta a pugno.
Stefan sbuffò facendo ricadere il capo sullo schienale della poltrona e alzò le sopracciglia scrollandosi le spalle nervosamente.
Damon si drizzò inarcando un sopracciglio.
«Stai scherzando spero» lo supplicò ma il vampiro di fronte a lui compì nuovamente il gesto che non lasciava altro intendere se non che non aveva un piano pronto per l’uso.
«Alla salute, allora»
Il gorgoglio del bicchiere che veniva riempito fino all’orlo da Damon si sovrappose al grugnito esasperato di Stefan.
Il vampiro dagli occhi azzurri avvitò il tappo della vecchia bottiglia in vetro, ma una volta portato alle labbra il liquore non riuscì a berlo.
«Giorno di ferie oggi?»
Caroline stava sulla soglia del salone tenendo malamente posta sopra un ginocchio una cesta di vimini da cui traboccavano jeans, t-shirt e camicie che non aspettavano altro che di essere lavate.
«Giorno di bucato oggi?» constatò Damon indirizzando lo sguardo su un foulard color ciclamino, che era scivolato proprio sotto i piedi di Caroline, da cui si poteva notare la grossa macchia di caffè.
La risata della bionda riecheggiò e per un attimo venne anche accompagnata da Damon il quale successivamente si sentì trapanare dallo sguardo affilato di Stefan.
«Sai che odio questo tipo di cose» farfugliò mentre con un abile gesto riprendeva il foulard da terra.
«Carina la tua camicia rossa, ti fa sembrare sexy»
Il vampiro trangugiò l’alcol contenuto nel bicchiere e dimostrò un’occhiata soddisfatta alla bionda che si aprì in un sorriso.
«Ehi la faccia è qui» puntualizzò e, tramite il sottile dito indice, indicò il visino roseo e rimarcato dal trucco.
Afferrò la cesta dai entrambi i manici e si avviò verso la lavanderia facendo oscillare i soffici boccoli dorati.
Il sorriso sereno che aveva caratterizzato poco prima il viso di Damon lasciò posto ad una sorta di cipiglio abbandonato prima dell’arrivo di Care.
«Strano» sillabò lisciandosi il mento perfettamente rasato.
Stefan rivolse uno sguardo incerto al soffitto.
«Cosa, che tu non te la sia già portata a letto?»
Damon inclinò la testa in direzione del fratello incenerendolo con lo sguardo.
«Usare gli occhi per te è un optional, vero?»
Il minore dei Salvatore fece schioccare la lingua.
«Giusto, dovevo ammirare anche io il fondoschiena di Care» rispose di rimando incrociando le braccia al petto come avrebbe fatto un padre geloso delle attenzioni ricevute dalla propria figlia.
Damon sorrise in modo compassionevole al fratello, intelletto del quale non riusciva a comprendere cosa il vampiro stesse tentando di spiegargli.
«Sei mai stato nella stanza di Caroline?» chiese e la domanda spiazzò Stefan il quale si decise a prestare maggior attenzione al vampiro dagli occhi azzurri.
«Le pareti sono bianche, i mobili sono di un chiaro color noce, per la stanza non c’è neanche un singolo oggetto che si possa avvicinare a colorazioni tendenti al rosso o giù di lì»
Stefan inghiottì un grumo di saliva: ora iniziava a capire.
«Caroline non ha mai sopportato il sangue e il vedere qualsiasi cosa che si possa avvicinare a quel colore la terrorizza o almeno la terrorizzava»
Il rumore di un campanello di una bici riempì il silenzio venutosi a creare dalla dovuta pausa di Damon.
«A cosa pensi sia dovuto?»
Stefan raddrizzò le spalle e inarcò un sopracciglio in attesa della risposta del fratello.
Damon assottigliò le labbra e il tormento si fece largo tra le sue iridi azzurre.
«Non lo so, ma giuro che lo scopriremo»
Una voce tintinnò dall’ultimo gradino della scala.
«Cosa scoprirete?»
Katherine fece il suo ingresso, molleggiando nella suo maglioncino scarlatto come il sangue.

 

 
La vampira aprì l’oblò della lavatrice e un dolce odore di lavanda e di pulito riempì le sue narici, prima che la rabbia cominciasse a ribollirle in testa per il danno appena compiuto.
Aggrottò la fronte artigliando le due magliette i cui colori, rispettivamente azzurro e rosa, si erano miscelati a dovere ottenendo così una lieve colorazione lilla con sprazzi di rosa e fili di azzurro.
Rigettò il tutto nel cesto e si sedette sul freddo pavimento con un certo cipiglio che traspariva dai suoi occhi ridotti a due fessure.
Che Caroline non fosse una perfetta donna di casa, questo era più che risaputo: bruciava i toast, a volte piegava le magliette al contrario, rovinava il bucato.
Ma quel giorno aveva bisogno di tenere la mente occupata, di spegnere le luci come le avevano insegnato più volte i fratelli Salvatore e di abbandonarsi semplicemente ad esistere.
Immerse le mani nella consistenza fredda del groviglio di vestiti ancora bagnati e ne estrasse un fagotto grigio. Lo disfò potendo così sventolare la felpa grigia di Stefan, rigata da finissime pieghe che lungo tutto il tessuto si diffondevano come un reticolato immaginario.
Caroline puntò lo sguardo sul bordo del colletto e si dovette appoggiare al bordo della lavatrice per placare il tremore che lento era sopraggiunto.
La grossa e vivida macchia incrostata del sangue di Matt era completamente sparita eppure Caroline sapeva che le fibre del tessuto erano ancora impregnate di quel liquido, che ancora emanavano l’odore del sangue rappreso.
Espirò piano e riuscì a trattenere il sangue che veloce stava affluendo agli occhi e alle gengive già gonfie.
Le era bastato pensare al sangue che il suo corpo si era azionato, come una macchina assassina pronta a nutrirsi ad ogni suo comando. Nessun senso di nausea, niente chiazze rossastre comparire agli angoli delle pareti.

Forse sto davvero guarendo, forse ci sto davvero riuscendo pensava mentre si apriva in un timido sorriso e i dolci boccoli le ricaddero sulle spalle mentre si piegava per raccogliere il resto del bucato.
Alzò un sopracciglio non appena le sue mani incontrarono il fine pizzo di una delle tante lingerie di Katherine. La leggerissima e fresca veste nera appariva come una sorta di ragnatela e il pizzo trasparente ricordava l’animo indomabile della vampira dai riccioli lucidi.
Il ricordo arrivò prepotente come non mai.

Damon si era innamorato perdutamente di Katherine.
«Tutto bene?»
Caroline con mossa fulminea scattò in piedi al richiamo della voce di Stefan raccogliendo il brandello di stoffa dentro al pugno nascosto dietro la schiena.
Il vampiro alzò un sopracciglio sorpreso nel vedere la bionda spaventata dal suo arrivo.
Care accennò un sì con la testa aprendo la mano libera in direzione della lavatrice.
«Posso aiutarti se vuoi» si offrì Stefan rimanendo pur sempre inchiodato sugli scalini ad una debita distanza dalla vampira.
«Grazie, ma ho quasi finito» balbettò mantenendo pur sempre quella voce pacata che fin da piccola l’aveva caratterizzata quando le sue labbra pronunciavano qualcosa di non vero.
Gli occhi di Stefan girovagarono un po’ per la stanza senza focalizzare niente di preciso per poi spingere gli angoli della bocca in un sorriso.
La porta si richiuse alle sue spalle.
Il racconto di Stefan continuava a riecheggiarle in testa insieme ad immagini e ricordi sbiaditi.
C’era qualcosa che le sfuggiva da qualche parte, qualcosa che per istinto avrebbe dovuto evitare e che continuava ad ignorare cosa fosse, preda dei pericoli e delle insidie della sua mente.
La soffice stoffa cominciava a scottarle in mano quasi come se fosse il ritrovamento di un arma del delitto, di un delitto atroce, mentre un’idea malsana le strisciava in testa come un odioso serpente.
Per una notte, solo una notte, avrebbe potuto essere lei la Katherine di cui Damon si era perdutamente innamorato.
 

 

Ebbene mi sono data latitante per troppo a lungo e oggi ho deciso di aggiornare!
Salve cari lettori di efp che vi stavate chiedendo che fine avesse fatto questa storia. Con l’inizio della scuola non ho avuto un attimo di pace e nonostante questo capitolo fosse pronto già da inizio settembre, ho pensato bene di continuare a scriverne un altro intuendo già il misero tempo che avrei avuto e che infatti
ho; morale della storia: mi sono ritrovata a sbattere la testa per il prossimo capitolo intestandomi di postare questo non prima di aver finito l’altro. E finalmente ce l’ho fatta! Quindi vi chiedo enormemente scusa per il ritardo madornale e da adesso in poi cercherò di velocizzare la scrittura e il tutto (sempre scuola permettendo).
Allora dove eravamo rimasti? Ah giusto le famose domande: 1 Avrà morso Matt o non l’avrà morso? Ovviamente la nostra vispa biondina ha avuto il cuore troppo tenero e ha lottato contro se stessa e la sua stessa natura facendosi del male pur di non mordere Matt (che per inciso rivedrete presto); 2 Damon continuerà a lavorare per conto proprio? Certo che no come ci dimostra il primo divertente episodio di questo capitolo: Damon alla fine è costretto a raccontare tutto a Stefan il quale non sa nemmeno da che parte iniziare per risolvere questo pasticcio che incomincia a complicarsi sempre di più. Adoro descrivere sui SalvaBro e il modo in cui Damon prende in giro Stefan e il modo di quest’ultimo di alzare gli occhi al cielo in senso di disperazione, perciò ne farò tanti tanti di questi momenti *-*; 3 Che risvolti avranno le informazioni rivelate da Kate? Ebbene ciò che Caroline ha sentito dire da Kate nel capitolo precedente e da Stefan in questo è fin troppo: Caroline si sente essere come un rimpiazzo ma ascoltando la storia più o meno vera di Stefan ha capito che non deve essere stato così allegro per loro. Ma l’unica idea che sembra frullarle in testa è il diventare come Katherine, di emularla in tutto e per tutto indossando pur indumenti che lei non avrebbe messo di certo! E ragione più importante, per far colpo su Damon. Ormai è logico ciò che la vampira prova per il maggiore dei Salvatore ma tale relazione non avrà risvolti positivi, vi avverto...Care avrà molto da ripensarci! 4 E la cantina rimarrà chiusa ancora per molto? Purtroppo vi ho lasciati a bocca asciutta per quanto riguarda la cantina! Nel capitolo precedente ho posto le basi per quello che poi diverrà il problema principale da cui per adesso ho voluto distogliere un po’ l’attenzione.
Nuovi avvenimenti, incontri e ricordi costringeranno i Salvatore a prendere una decisione drastica!
Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà l’ultimo dei flashback contrassegnati con "sei mesi prima" e che non sarà proprio tanto sereno (anche se assistiamo al momento in cui la famigliola si unisce)
Un enorme grazie a chi ha letto fino a qua (nessuno vero? ._.) e prometto di farmi viva il più presto possibile.
Un abbraccio di cuore
Sil.

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Capitolo 9
*** 9.Legami [sei mesi prima] ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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9. Legami [sei mesi prima]

«E’ sua figlia?»
Con queste parole Damon pensò di rompere quel pesante silenzio che si era venuto a creare tra scaffali impolverati, computer e scrivania, in quell’ufficio alla cui porta compariva il nome Forbes inciso a lettere grandi in una lamina di metallo.
La donna alzò gli occhi dalla pratica che stava finendo di rivedere e anch’ella spostò lo sguardo sulla fotografia ombreggiata dall’ingombrante portapenne da cui straboccavano matite varie.
Le sceriffo scoccò la lingua e Damon si preparò al peggio.
«Si, lei era mia figlia» dichiarò la donna e gli occhi le si velarono di lacrime.
Damon si sentì quasi sciocco nel ritrovarsi in quell’ufficio solo perché la loro nuova ospite aveva espressamente richiesto notizie di sua madre e, poiché tecnicamente lei era morta e i due fratelli erano arrivati in città da poco, aveva provato a conciliare il tutto in una bella visita al commissariato di Mystic Falls con il semplice intento di presentarsi all’autorità locale.
Il vampiro spostò gli occhi azzurri sulla donna per richiamare la sua attenzione e al contempo per ottenere le risposte che cercava.
«Cos’è successo?» chiese facendo comparire una piccola increspatura sulla fronte, più per la seccatura che per viva curiosità.
«E’ stato un incidente, ci sono state complicazioni e lei-» si bloccò deglutendo il grumo di saliva che si addensava all’altezza della gola e portandosi due dita sulle labbra quasi a voler soffocare i singhiozzi che di lì a poco sarebbero usciti.
«Le mie più vive condoglianze» le venne in soccorso Damon il quale poggiò la mano sulla spalla della donna infondendole un po’ di conforto per evitare l’allagamento di quell’ufficio.
Con un lieve cenno del capo lo sceriffo deglutì, ricomponendosi, e tornò a concentrarsi più sul suo respiro irregolare che sul fascicolo sotto il suo naso.
«Sai le saresti piaciuto, aveva gusto per i ragazzi» gracchiò la Forbes dietro i suoi occhiali ammiccando alla foto che sembrava essere partecipe della loro conversazione.
Damon allungò la mano così da avvicinare a se la fotografia, in uno scatto così repentino che un semplice umano avrebbe fatto barcollare il portapenne se non fargli perdere l’equilibrio.
«Si chiamava Caroline».
Il vampiro fece scorrere gli occhi azzurri sull’immagine ritratta in quella foto, resa fredda e al contempo fragile dallo spesso vetro che divideva la vispa figura della ragazza con il mondo esterno. Nonostante il taglio di capelli leggermente diverso e il corpo ancora non del tutto maturo di una quindicenne, per il resto la ragazza ritratta con uno smagliante sorriso nella sua tenuta da cheerleader era la stessa che, adesso vampira, aveva lasciato a casa seduta sull’ultimo scalino, i cui occhi guardavano incerti il cielo oltre le sbarre della finestra della sua nuova casa.
Damon si convinse a increspare leggermente le labbra per regalare alla donna una vana speranza di compassione per la grave perdita.
Lo sceriffo chiuse il fascicolo con un movimento veloce del polso e ripose al suo interno un gran numero di scartoffie stropicciate, macchiate di caffè e logore, che odoravano di muffa e che secondo l'intuito di Damon dovevano essere abbastanza vecchie - la più antica portava impresso l'anno 1872.
«Signora Forbes».
Una voce rauca, impastata da una lieve fragranza di vodka mista alla menta della chewingum nervosamente trattenuta tra i denti serrati, giunse alle orecchie del Salvatore che incrinò leggermente le sopracciglia roteando gli occhi per osservare a quale disgraziato appartenesse quella voce.
La bionda seduta comodamente sullo sgabello in legno volse lo sguardo preoccupato al ragazzo che rimase con i piedi fissi sul pavimento, con una mano appoggiato allo stipite della porta e con l’altra che tratteneva il peso di uno scatolone sul cui lato era ben in vista la marca di un detersivo.
Lo sceriffo guardò nervosamente l’orario sul display del computer ancora gorgogliante per poi rivolgerlo nuovamente al biondino.
«Sei abbastanza in anticipo Matt. Avevi detto che saresti passato solo alle undici e mezza»
«Mi scusi, ma non riuscivo a tenerli un minuto di più sul tavolo della cucina» disse avanzando e tendendo verso la scrivania quello scatolone apparentemente leggero da cui pendeva da un lato la testa di un orsacchiotto azzurro, un po’ troppo grande per starci tutto lì dentro.
Con un tonfo sordo fece cadere il pesante scatolone sulla scrivania disordinata e la fronte di Damon guadagnò un’altra ruga di odiosa frustrazione per il demenziale spettacolo a cui era stato costretto ad assistere. La bambolina non lo aveva avvertito che il fidanzato ubriaco e disperato era compreso nel prezzo.
Matt espirò piano svuotando i polmoni di quell’aria impregnata ancora d’alcol e sollevò gli occhiali scuri incastrandoli tra le ciocche ispide.
Erano passati tre giorni dalla morte della sua Caroline, solo due dal suo funerale e Matt si era fermato ancora alla sera dell’incidente, al loro ultimo bacio in macchina tra una canzone cantata a squarciagola e una risata. Era stato lui a posare l’ultimo fiore – una peonia bianca, la sua preferita - sopra la terra ancora fresca e umida, al di sotto della quale non poteva esserci Caroline. Perchè non c’era Caroline là sotto.
Non aveva avuto neanche il tempo di piangere come avrebbe dovuto fare, ma il desiderio di eliminarlo, quel dolore opprimente che gli maciullava il cuore, era così grande che ancora con il vestito nero aveva staccato dalla parete le foto, aveva raccolto le magliette che portavano ancora l’aroma denso di lei, aveva eliminato ogni traccia del suo passaggio. Per sentirsi meglio, per provare meno dolore.
Sapeva che tuttavia sua madre era entrata qualche volta di nascosto a rovistare in quello scatolone di ricordi, conservando qualche brandello di fotografia nella speranza di aiutarlo. Era sicuro che Vicky si fosse intrufolata nel ripostiglio rubando qualche ninnolo che da sempre le era piaciuto e aveva provato a spostarlo nella sua stanza. In quello scatolone, preso vicino al cassonetto del supermercato, c’era solo la metà delle cose che appartenevano a Caroline, ma che utilità potevano più avere.
Tamburellò con il dito sulla superficie ruvida del cartone e lo porse allo sceriffo i cui occhi tentavano di non sbirciarne il contenuto.
Damon pensò che era il momento più patetico che avesse mai visto nella sua intera vita, sembrava essere in una di quelle puntate di OC.
A Matt gli tremò la voce – cattivo segno.
«Ne faccia ciò che vuole, li butti, li conservi, a me – non interessano più».
Fu solo in quel momento che gli occhi iniettati di sangue e lividi di occhiaie di Matt si scontrarono con i perfetti zaffiri del vampiro che a stento riusciva a trattenere le risate. Come avrebbero reagito se gli avesse detto che Caroline era viva e vegeta a casa loro? L’idea lo allettò per un interminabile minuto, ma lasciò cadere il diversivo, costretto per una volta ad eseguire ordini non suoi.
«Credo di dover togliere il disturbo. Sceriffo Forbes è stato un piacere»
Tese la mano alla donna e la strinse con vigore tentando per un attimo di soggiogarla, ma anche questa come la precedente idea morì sul nascere.
«Chiamami pure Liz» intonò la bionda piegando le labbra screpolate in un sorriso del tutto innaturale.
La fronte di Matt si irrigidì appena realizzando il fatto che lui quell’uomo non l’aveva mai visto prima.
Damon lasciò scivolare lascivo la mano dentro lo scatolone e senza indugio ne estrasse un simpatico bracciale di cuoio.
«Non vi dispiace se prendo questo vero?»
Scomparì prima che o Matt o lo sceriffo potessero aprire bocca.

 

«Da quando ti interessi a Shakespeare?»
Il tono con cui Stefan pose tale domanda al fratello poteva passare per una semplice curiosità ma c’era un qualcosa, forse le sue sopracciglia aggrottate o semplicemente le braccia serrate al petto che conferivano al semplice quesito la giusta sfumatura di sarcasmo misto a sorpresa.
Seduto nella comoda poltrona, il maggiore dei Salvatore non si scomodò ad alzare gli occhi dalle pagine di quel libro e con fare del tutto annoiato si umettò l’indice e il medio della mano destra così da girare la sottile pagina ingiallita, continuando a leggere – o meglio ad ignorare il fratello.
Stefan roteò gli occhi al soffitto preparandosi a porre l’ennesima domanda a cui non avrebbe ricevuto risposta. Almeno lui ci provava.
«Come è andata con lo sceriffo?».
Damon come sempre deviò l’argomento.
«A mio parere Macbeth è l’opera più interessante di Shakespeare. Streghe, profezie, uccisioni, sangue. Non hai mai pensato che la bimba sia - senza giri di parole – pazza?»*
Stefan scoccò la lingua e per poco lo strofinaccio con cui stava accuratamente pulendo le vetrinette della credenza non gli sfuggì dalle dita.
Si umettò le labbra mentre gli occhi del maggiore dei Salvatore lo guardavano compiaciuti di quante rughe si stavano accumulando sulla sua fronte segno ennesimo di quanto fosse riuscito a precederlo anche in quel problema.
«No» asserì Stefan scuotendo il capo come per scrollarsi dalla mente quella malsana idea.
«Andiamo Stefan, sii realista: abbiamo accolto in casa una vampira malata, pazza e pericolosa e se non la scarichiamo da qualche parte, ci creerà solo problemi» imprecò Damon a denti stretti provando a far ragionare il fratello che intanto puliva minuziosamente ogni linea della vetrinetta per eliminare quel residuo di sporcizia in quella casa che a parere di Care era una topaia.
«E come fa ad uscire alla luce del sole?» chiese Stefan impugnando l’apposito prodotto e spruzzando un altro po’ di quel liquido sulla superficie liscia del vetro. Anche se non lo voleva ammettere, ma in parte era d’accordo con suo fratello.
Damon inarcò un sopracciglio e si strinse nelle spalle.
«Si farà prestare il mantello dell’invisibilità da Harry Potter, non lo so! Lei non può rimanere qui, è pazza
Con queste parole Damon sembrò porre fine alla conversazione ed era particolarmente soddisfatto di aver messo un fermo a questa convivenza destinata a non durare più di una settimana al massimo, ma osservando la mascella contratta del vampiro davanti a lui si rese conto che in fondo il merito di quella reazione non era suo.
Caroline stava ritta nel suo completino turchese, con le dita che tamburellavano nervosamente lungo la superficie lignea del passamano e con i denti che succhiavano avidamente il labbro inferiore, con lo sguardo che si depositava dapprima sugli occhi verdi di Stefan e poi su quelli azzurri di Damon, trafiggendoli.
«Posso chiedere cosa è successo in commissariato o devo prima preparare la valigia?»
La voce tagliente della bionda giunse a Stefan come una coltellata in pieno petto.
La pelle cominciò inevitabilmente a sfibrarsi in corrispondenza degli occhi e i canini a comparire lievemente sotto le labbra rosee.
Risalì le scale a velocità disumana lasciando dietro di se scaglie di legno che si andavano scheggiandosi sotto la forza della sua presa attorno alla sbarra di legno.
Non si era sentita mai così sola come in quel momento.
La rabbia le offuscava la vista e una sorta di paura, come una specie di ricordo le faceva sobbalzare il cuore muto in petto. Si sentì disprezzata, umiliata, declassata, respinta, sola.
Si sentì macchiare da un liquido denso che scendeva piano lungo tutto la sua pelle, ungendola di rosso e di pazzia.
Perse la concentrazione e andò a sbattere contro lo stipite della porta di una camera – non più la sua.
Si portò le mani all’altezza degli occhi e il terrore le mozzò il fiato in gola.
Le unghie erano incrostate fino all’interno di sangue grumoso che le imbrattava il braccio.
E più sfregava, più grattava ma la macchia non se ne andava.
Perché era lei la causa, era lei la vittima, era da lei che il sangue scaturiva incessabile.
Si aggrappò di più a se stessa per impedire al siero scarlatto di uscire dai pori della sua pelle, affondando le unghie, strappando la carne.
Un urlo disumano simile ad un latrato agonizzante sgorgò dall’animo della povera vampira e penetrò nel più profondo angolo della mente di entrambi i fratelli Salvatore, raggelandoli fin dentro le ossa.
Quando Stefan raggiunse la stanza di Care, il sangue era veramente dappertutto.**

 

Caroline strinse i denti e anche quell’ultima scheggia di legno venne estratta dalla mano minuziosa di Stefan.
«Cosa c’è che non va in lui?» borbottò a mezza voce stringendosi maggiormente attorno al cuscino azzurrino e osservando inorridita i brandelli e i pezzi legnosi che il Salvatore aveva riposto accuratamente nella bacinella. Ce n’erano tanti, forse fin troppi.
«Cosa c’è che non va in me
Stefan posò la pinzetta sul comodino e ripassò per l’ennesima volta il panno ormai tinto di un leggero rosato, niente a che vedere con il rosso acceso di qualche ora prima.
Per tutto il corridoio segni rossi imbrattavano i muri, impronte di mani e unghie si susseguivano come una pittura naif, come un murales macabro e inquietante.
Stefan aggrottò leggermente le sopracciglia.
«Damon è sempre stato così, ma col tempo riusciremo a cambiarlo vedrai» spiegò improvvisando un sorriso che tuttavia non arrivò alla bionda.
«Credi che io sia pazza?»
La voce di Caroline risuonò flebile e rotta, ma gli occhi rimanevano asciutti e sicuri, due specchi di giada incastonati all’altezza degli occhi.
Si torturò per un po’ le sottili dita, intrecciandole più volte sul ventre e scostando di tanto in tanto i ciuffi ribelli che le sfuggivano dalla treccia improvvisata e che le ricascava goffamente sulla spalla sinistra.
Il giovane vampiro aspettò ancora qualche minuto poi rispose.
«Credo che tu sia semplicemente Caroline. Sei spaventata, confusa, le tue emozioni, le tue frustrazioni sono aumentate a dismisura. E’ normale. Sei normale. Non sei pazza, ne sono sicuro»
Era strano come quelle parole  all’improvviso fossero scaturite così semplicemente dall’animo introverso e alquanto provato del Salvatore.
Era in parte colpa sua se si trovava in quella situazione, se Caroline era malata, era stato lui ad averla quasi uccisa.
Eppure sentiva che se c’era qualcuno che la poteva curare, quel qualcuno era proprio lui.
Poi redimere i suoi peccati non sarebbe bastato più e lui avrebbe potuto dannarsi per l’eternità all’inferno.
Le labbra di Caroline si stropicciarono appena e un fugace sorriso cominciò a soppiantare l’espressione afflitta e apparentemente immusonita di poco prima.
«So che ti manca la tua mamma, i tuoi amici, la tua vita. Ma la cosa migliore per te è rimanere qui, alla pensione. Sarà difficile ai primi tempi ma ti prometto faremo di tutto per instaurare un legame. Siamo noi adesso la tua famiglia» concluse Stefan il quale aveva quasi inconsapevolmente appoggiato la mano sul morbido braccio della vampira.
Quel tocco riuscì a bruciarlo più della verbena e allontanò quasi subito la mano dalla soffice pelle di lei che osservava il minore dei Salvatore serrare tale mano a pugno e una ruga solcare la fronte poco prima liscia e priva di increspature.
Una paura sopita crebbe nell’animo di Stefan e dopo essersi posizionato alcuni centimetri più distanti dall’esile figura di lei si schiarì la voce.
La bionda inarcò lievemente un sopracciglio.
«Hai ricordato niente durante la tua crisi?» domandò con fare incerto.
Dal momento in cui aveva intrecciato la sua mano con quella di Stefan, Caroline aveva capito che non era un vampiro come gli altri: non era per via del tepore che sprigionava il suo corpo, né per il suo essere metodico ma era qualcosa di occulto, celato all’interno del suo essere che lo rendeva diverso, come se il ragazzo con cui stava parlando fosse la pallida imitazione del vampiro che era dentro di lui, sopito e irrequieto al contempo.
Caroline si domandò come mai volesse reprimere così tanto la sua natura, ma si preoccupò più di rispondere alla domanda del vampiro e non alla sua.
«Niente. Solo sangue» espirò e quasi le si accartocciò lo stomaco per via del ricordo.
Stefan non rispose, annuì solamente con un monotono cenno del capo.
Lasciò silenzioso la stanza di Caroline augurandole di riposare un poco per riprendere le forze.
La vampira osservò malinconica i movimenti di Stefan e quando la porta si richiuse alle sue spalle la stanza sembrò più grande più vuota di quanto le fosse sembrata la prima volta.
Aveva passato diciassette anni della sua vita ad instaurare legami con le persone, adesso si sarebbe dovuta accontentare di un’eternità per imparare a sopravvivere con quella che di certo non poteva essere la sua nuova famiglia.

 

«Desmond?» chiese timidamente Caroline dal posto accanto al fuoco sul quale era seduta. Il vampiro inarcò il sopracciglio per la trentesima volta in quella giornata.
«Mi chiamo Damon. D, A, M…»
Caroline gli scoccò un’occhiataccia fulminea.
«E’ uguale!» asserì trangugiando un toast che aveva trovato già pronto nel ripiano della cucina. Dopotutto quella convivenza poteva anche funzionare.
Damon impugnò il telecomando e pigiò uno dei tanti pulsanti dando vita alla televisione che non sapeva di preciso da quanto tempo non veniva accesa.
La bionda si ripulì il muso con il tovagliolino di carta, tenendo in bilico sul suo ginocchio il piatto arancione portatore adesso di molliche e fili di lattuga che ricordavano quella che era stata la sua cena.
«Cosa guardi?» chiese trattenendo tra i denti l’ultimo boccone, allungando il collo per osservare lo schermo illuminato al di dietro della testa del vampiro.
Damon avanzò tra i canali non trovando niente di interessante da vedere.
Poi la serratura della porta scattò e uno Stefan pieno di buste fece il suo ingresso nell’ampio ingresso di casa Salvatore.
«Ciao» proruppe la bionda con una tonalità di voce pari a un tintinnio di una campana. Il vampiro non avanzò più di un passo.
Lo stesso Damon si voltò dal divano stranito da quel gesto così inusuale osservando al meglio la scena e l’intreccio di sguardi che si stava venendo a creare tra i due.
Care ci riprovò ancora.
«Bentornato» balbettò appena sbalzando le pupille da un lato all’altro della stanza, sentendo pesare su di lei l’attenzione dei due fratelli.
Stefan cercò di eliminare quel senso di rigidità che lo aveva inchiodato al pavimento e implorò la bocca perché si decidesse ad aprirsi.
Boccheggiò per un attimo e a Caroline parve tanto buffo.
«Grazie» si decise a dire stranito anche lui da quel gesto così antico, così autentico. Erano forse passati secoli da quando qualcuno lo aveva accolto con un sorriso appena ritornato a casa.
La vampira di rimando si allargò in un raggiante sorriso – storpiato solo dalle seppur tenue occhiaie trasparenti.
Damon si riposizionò meglio sul divano dileguandosi da quella sdolcinata corrispondenza di sguardi e sorrisi. Non si potevano proprio guardare.
La bionda si accorse della reazione del vampiro dagli occhi azzurri e storcendo il naso e la bocca posò il piatto sul tavolinetto e molleggiò sulle sue gambe sottilissime fino a raggiungere il divano a tre posti sul quale stava sdraiato il Salvatore.
«Damon?» provò a chiedere spostando gli ingombranti scarponi del vampiro dal bracciolo del divano e posizionandosi in un angolino, schiacciata tra un cuscino e l’altro.
Il vampiro dagli occhi azzurri voltò il capo sfoggiando un sorriso disarmante.
«Hai imparato il mio nome dopo solo quarantotto volte? Che genio!» asserì ma non ebbe il tempo di compiacersi che la bionda gli aveva lanciato un cuscino in pieno viso provocando al contempo la sua ilarità.
La risata cristallina di Caroline risuonò per tutte le pareti e la casa sembrò riprendere vita come i mobili del resto dopo tanti anni di grigiore e di silenzio.
Damon le indirizzò un’occhiata stucchevole, architettando nella sua mente una degna punizione per quella sua marachella da quattro soldi.
«Allora che cosa vuoi?»
Care riprese fiato.
«Cosa voglio io?» richiese increspando l’ampia fronte risaltata dalla fascia verde che le portava i capelli indietro.
Damon si umettò le labbra e riservò un nervoso sguardo al corridoio dal quale a suo malgrado sperava sarebbe sbucato ben presto Stefan.
«E’ tutto il pomeriggio che mi chiami - sbagliando il mio nome - per poi mettere il muso e fare finta come se niente fosse. Cosa vuoi che ti dica?»
Caroline fossilizzò lo sguardo sulle immagini in movimento della televisione giocherellando con i laccetti dei pantaloncini.
Poi uno strano cipiglio di sfida si manifestò nel suo volto.
«Voglio che mi dici cosa è successo in commissariato» decretò mugugnando e assumendo il tono di una bambina di cinque anni. Perché era così che si sentiva in quel preciso istante.
Damon roteò gli occhi e in un moto di stizza afferrò la fascia ben fissata in testa con apposite forcine e gliela abbassò sugli occhi, arruffandole i capelli mentre le labbra del vampiro si allineavano in una sorta di sorriso quasi burlesco.
«No» fu la risposa secca e decisa che riuscì a formulare Damon in preda ad un’ilarità interiore. Non l’avrebbe mai ammesso, ma manipolare e stuzzicare la vampira psicopatica non gli dispiaceva più di tanto.
Caroline ebbe un brivido lungo la schiena al sol vedere l’oscurità invaderla del tutto e trattenne il respiro fra i denti. Impose subito alle sue mani di spostare il sottile strato di stoffa prima che il rosso la accecasse nuovamente. Stropicciò un po’ gli occhi non appena rivide la luce e il peggio poté considerarsi passato.
L’espressione di Damon adesso era cambiata, non era più il perfetto ritratto del ragazzo dispettoso, adesso le finissime rughe che si intelaiavano nella sua fronte erano la prova della sua seppur impercettibile preoccupazione.
Infilò una mano nella tasca della giacca posata sul bracciolo vicino ed estrasse il braccialetto della mattina.
Lo allungò sotto gli occhi di una Caroline stupita e attonita.
«Ho fatto qualche visita e ti ho portato un ricordino della tua vecchia vita. Ti prego solo niente lacrime, ne ho viste abbastanza» la supplicò il vampiro centenario e Caroline trattenne il magone in gola.
Sfiorò con le dita il laccetto di cuoio un po’ sfibrato per poi incontrare la superficie seghettata della lamina di metallo in cui era incisa in bella calligrafia l’iniziale del suo nome.
La fronte della bionda si increspò così come qualche lacrima scese dai suoi occhi serrati. Costrinse le dita a serrarsi attorno al braccialetto e chiuse la mano a pugno, così forte da imprimere quasi a pelle l’iniziale di quel nome.
Gli occhi attoniti di Damon osservarono il movimento fulmineo della neo vampira che scostando i cuscini si ritrovò in meno di un secondo di fronte al fuoco dove aveva già lanciato il laccetto in pelle e che adesso stava irrimediabilmente bruciando, distorcendo la forma della grande lettera maiuscola.
Caroline agguantò il polso della mano destra con la sinistra e con estenuante calma osservò il minuscolo bassorilievo. contornato da rilievi violacei, che ogni secondo che passava lasciava il posto ai centimetri di pelle che ritornavano al loro posto.
Il vampiro alzò un sopracciglio.
«Se non ti piaceva potevi dirlo».
La bionda si aprì in un sorriso amaro e distolse lo sguardo dal fuoco e dal palmo della sua mano.
«Che mi piaccia o no, non potrò più far parte della mia vecchia vita. Non voglio qualcosa che me la faccia ricordare. Il mio posto è qui» spiegò dondolandosi sui talloni fasciati da un paio di calzette.
Il Salvatore alzò entrambe le sopracciglia in segno di comprensione – forse.
«Fai come vuoi» riuscì a concludere mentre faceva il suo ingresso in sala uno Stefan alquanto turbato dalla situazione precedente e che adesso avanzava circospetto con entrambe le mani in tasca.
Caroline approfittò del momento di silenzio per accoccolarsi nuovamente tra i cuscini del grande divano il cui ultimo spazio venne occupato dalla figura del vampiro dagli occhi verdi.
La mano della vampira si allungò per entrare in possesso del telecomando ma questo venne agguantato dal vampiro alla sua destra.
«Lo stavo prendendo io!» si lamentò riducendo i due splendidi occhi color giada a due fessure.
Damon espose il suo solito ghigno.
«Benvenuta in casa Salvatore!»
Stefan roteò gli occhi e di rimando acconsentì al broncio che comparve quasi subito nel volto di Care.
Poi una scintilla guizzò tra i suoi occhi.
«Che ne dite di organizzare qualche serata in famiglia?»
La sua voce cristallina e esultante sfregiò l’animo solidissimo dei due fratelli – fratelli di fatto, perché oltre ad un legame di sangue, nient’altro legava più quei due vampiri.
Il minore dei Salvatore alzò un sopracciglio con fare interrogativo ma venne preceduta dalla vampira.
«Potremmo magari guardare la televisione tutti e tre insieme, per passare un po’ il tempo visto che abbiamo tutta l’eternità davanti» spiegò indicando le immagini mutevoli della televisione a schermo piatto.
«Vedremo Caroline, vedremo» fu la risposta accorta di Stefan per il quale ancora la vicinanza con la piccola Care faceva un certo effetto.
«Non prenderò mai parte a un’idiozia del genere» borbottò Damon rigirandosi fra le mani il telecomando senza comunque utilizzarlo.
Caroline pensò che forse era solamente una sua sensazione, ma aveva come l’impressione che quel divano fosse stato costruito su misura per loro tre, come se fosse rimasto lì insieme alla polvere ad attendere quel momento.
Due furbe fossette si crearono agli angoli della bocca della bionda.
«Vedremo Damon, vedremo» puntualizzò Stefan con un sorriso tirato.

Forse non sono i legami di sangue a formare una famiglia diceva la voce in sottofondo del telefilm.
Gli occhi verdi del vampiro si sollevarono fino a congiungersi con il soffitto.

Forse sono quelle persone che sanno i nostri segreti e ci amano comunque, così che possiamo finalmente essere noi stessi.***
Caroline sbirciò con fare guardingo l’espressione del maggiore dei Salvatore – nonostante tutto anche lui continuava a sorridere.

 

*Per chi non fosse a conoscenza del contenuto di Macbeth, l'allusione di Damon si riferiva a una dei personaggi dell'opera, Lady Macbeth, la quale perseguitata dal senso di colpa per l'omicidio commesso, diventa pazza e il continuo gesto di lavarsi le mani per pulirle dal sangue - inesistente - non fa altro che ricordarle la propria colpa.


**Caroline ha una delle sue solite crisi ed essendo ancora una neovampira esse sono molto più cruenti e quasi continue. La mente di Caroline si ritrova a pensare a sensazioni ed emozioni molto più grandi di quelle pensate dalla mente umana e di conseguenza il dolore, la paura, le reazioni sono molto più distruttive. In questa crisi Care ha associato il sangue alla sua persona credendo che fosse esso a sgorgarle dai pori della pelle. Il risultato è che Caroline, spinta dalla convinzione di essere macchiata di sangue, si ritrova ad essere quasi scorticata e il sangue stavolta è reale.

 

*** Frase aggiunta ormai a capitolo ultimato. Tratta da Gossip Girl mi sembrava appropriata alla situazione narrata per cui immaginatevi il trio seduto in poltrona a guardare GG!

 

Salve carissimi miei,
Come promesso mi sono fatta sentire presto questa volta (o almeno un mese non è ancora passato u.u) Come vi avevo preannunciato questo è l’ultimo capitolo che completa la serie di capitoli contrassegnati da [sei mesi prima]. E così si conclude il lungo flashback relativo agli albori di questa loro convivenza: come avete visto, non è stato affatto facile accettare prima di tutto l’arrivo di Caroline da parte di entrambi i fratelli, ma anche la biondina non ha dimostrato di essere particolarmente entusiasta all’idea di vivere in una prigione; le continue crisi non fanno altro che peggiorare la situazione e mettere a dura prova i nervi di Damon. Vi avevo promesso che vi avrei riparlato di Matt, purtroppo è distrutto per la morte di Caroline e non è facile rimettersi in sesto ma si riprenderà vedrete ;) ho intenzione di farlo comparire in un altro capitolo ma chissà, presente o passato? ;D Ad ogni modo mentre Stefan si presta da buona donna di casa a fare le pulizie, Damon approfondisce Shakespeare e prova a dare una sua interpretazione della malattia della vampira! Caroline non sembra essere molto convinta di questa sua sistemazione e nonostante le parole di conforto di Stefan, non si sente completamente a casa. Il tutto cambia la sera e, si, avete forse intuito bene, è proprio il giorno in cui è stata istituita la famosa serata in famiglia, con tanto di popcorn e patatine per il futuro xD Damon è contrario a tutto, ma il sorriso notato da Care alla fine è proprio la testimonianza che quel trio, in maniera strana, funziona e anche se ci vorrà del tempo troveranno un loro equilibrio – come già sapete.
Ricordo che vi avevo lasciati in sospeso…beh, nel prossimo capitolo ci saranno molte svolte che intralceranno i piani di qualcuno e l’arrivo di un nuovo personaggio aiuterà i fratelli Salvatore a non perdere la bussola e a controllare meglio le crisi della biondina.
Grazie mille a tutti coloro che recensiscono, è un sempre piacere leggere i vostri pareri *-*
Al prossimo aggiornamento,
Sil

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Capitolo 10
*** 10.Legami ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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[undici anni prima]

Le scarpette di vernice blu lucide fanno male, ma a Caroline non importa.
Le fa oscillare avanti e indietro notando con soddisfazione il luccichio della lampada a neon riflettersi sulle sue scarpe.
Le manine stringono il coniglietto di peluche che sembra stare comodamente seduto sulla sua nuova gonnellina a jeans: purtroppo lui è ancora quello di prima. Accarezza il sudicio pupazzo, senza più un orecchio, e tenta di far rientrare l’ovatta grigiastra all’interno dello strappo.
Canticchia Caroline, sembra felice. Le righe blu e bianche della maglietta nascondono i lividi violacei delle braccia e delle spalle, fingono di essere dei semplici ornamenti, insieme alle bretelle che sembravano sostenere il suo peso di carta.
Ha un cerotto la piccola Care, di quelli grandi e spessi all’altezza del collo, le fa prurito ma non si lamenta. Aspetta tranquilla, pulita e profumata, sulla panca della cella, ormai diventata da più di quattro mesi la sua unica dimora.
“Caroline ti piace il vestitino nuovo?”chiede Stefan dalla soglia della porta.
La bimba oscilla le codine ben pettinate e manifesta i denti piccoli e candidi, lisciando le pieghette della gonna evitando di sporcarla.
Continua a sfregarsi le mani, continua a pulirle e a lavarle, continua a odorare di borotalco ma il tanfo del sangue rappreso sul panciotto di Bunny è molto più forte – lei lo sa, lui lo sa.
Stefan sospira e impreca e Caroline interrompe la sua attività maniacale, intreccia le mani dietro la schiena, sospira anche lei. Lo guarda.
Ma la ferita torna a bruciarle, a pruderle, di più sempre di più.
“Si torna a casa, piccola Care”dice e le scarpette lucide
come per magia  si macchiano anch’esse di rosso*.

10. Legami

 

Del tipo che Caroline in quel letto troppo grande ci stava davvero stretta – specialmente con Damon accanto.
«Damon, aspetta» annaspò appena compressa sotto il peso dell’imponente vampiro, frenando così la lingua di lui che continuava a modellare il collo stuzzicando di tanto in tanto il lobo ipersensibile della bionda.
Il Salvatore si bloccò e schioccando la lingua mise in mostra tutto il suo disappunto all’interruzione di quel piacevole momento. Alitò piano a pochi centimetri dal viso incredibilmente pallido di Caroline, ma più che un invito sensuale a voler continuare somigliava ad un latrato roco e secco, come un rimprovero, e questo a Care non sfuggì per niente.
Con un colpo di reni Damon liberò la vampira dalla morsa soffocante nella quale l’aveva intrappolata per assaporare meglio il gusto del momento, e si lasciò cadere pesantemente sul cuscino sottile color fumo al suo fianco, osservando il soffitto con minuziosa attenzione e con un severo cipiglio.
Caroline artigliò il lenzuolo più vicino al petto leggermente scoperto e si morse il labbro inferiore.

Era stata davvero una pessima idea.
Lo aveva intuito quando, cinta solo dalla sottile lingerie di Katherine, le sue nocche avevano bussato alla porta della camera del vampiro, luogo in cui soleva entrare solo raramente e forse per emergenze, senza mai interrompere la privacy del Salvatore.
Eppure ricordava l’arredamento dei mobili in ogni singolo dettaglio, della macchia sul tetto che aveva irrimediabilmente sporcato una domenica mattina mentre curiosava tra le stanze, del libro con una pagina strappata quando nei primi tempi Damon glielo aveva strappato dalle mani e la sua stretta un po’ troppo forte sulla pagina aveva sgualcito il fine foglio, persino ricordava l’asimmetria del letto in ferro battuto e dell’avvallamento sul materasso duro che aveva provveduto a riempire con soffici piume.
La porta quindi si era aperta piano e aveva spianato la strada ai profumi e al lieve vapore che usciva dalla doccia ancora bagnata, intorpidendola prima del tempo.
E a quel punto l’aveva spenta, la ragione, e notando il sorrisetto compiaciuto che si estendeva da un capo all’altro del volto del vampiro dagli occhi azzurri, lo sbalzò sul letto ancor prima che la porta si richiudesse.

La bimba è cresciuta le era riuscito a dire nonostante la lingua aggrovigliata mentre le sue mani febbricitanti modellavano ogni singolo centimetro ruvido del sottile indumento. Il resto era venuto da se.
Non che Caroline si fosse pentita di ciò che aveva fatto, ma semplicemente - che ci pensasse razionalmente o irrazionalmente - il suo corpo si rifiutava di reagire ai tocchi  magnetici del vampiro.
La bionda avvicinò le sottili dita al bicipite ancora contratto di Damon il quale sembrava non avere più alcuno interesse verso di lei.
Caroline rotolò fino a premere il naso freddo e nascondere gran parte del volto dietro il braccio profumato del vampiro.
«Scusa»
I polmoni di Damon si svuotarono con un ennesimo sospiro.
«Quale parte della parola preliminari non ti è chiara? Eppure non dovresti essere alle prime armi» abbaiò mantenendo pur sempre lo sguardo fresco e limpido fisso sul lampadario.
La bionda ridacchiò appena al di sotto del braccio e con mano tremante si avvicinò alla fronte del vampiro intrecciando le sottili dita ai folti capelli color pece che gli ricadevano disordinati sulla fronte. Con l’indice premette la fronte leggermente aggrottata e i lineamenti delle labbra, del mento e della rigida e perfetta mascella.
Lo aveva desiderato per parecchio tempo e altrettanto ce ne era voluto per stringere un nodo tra le loro persone, i loro animi così opposti, e per vivere semplicemente sotto lo stesso tetto. Aveva immaginato di passare l’eternità con lui, in quella bella casa, o magari viaggiare – Parigi, Londra, Vienna - e Stefan col tempo avrebbe trovato anche lui una compagna con cui trascorrere la sua non vita.
Ma in quel momento Care, tra le lenzuola ancora calde e i riccioli disfatti, non riusciva a vedere Damon se non come un fratello.
Più volte durante la sua vita aveva desiderato avere un fratello più piccolo, uno di quei minuscoli esseri a cui dare la colpa quando si combinava qualche marachella, qualcuno con cui poter litigare per l’ultimo biscotto del barattolo, qualcuno da poter abbracciare quando fuori c’erano i tuoni. C’era stato un tempo che aveva fatto da baby-sitter al piccolo Jeremy, un bimbo che abitava nel suo quartiere, ma adesso anche lui era cresciuto e lei non aveva più  nessuno – sia da umana che da vampira.
«Hai ragione» asserì Caroline riemergendo dai suoi pensieri e pungolando il torace nudo del vampiro, tentando di far leva su uno gomito.
Damon le artigliò i polsi e la compresse maggiormente al materasso sperando che quello fosse il segnale per poter continuare da dove avevano lasciato.
Non riuscì neanche ad incollare nuovamente le labbra alle sue che gli occhi della bionda si ridussero a due fessure e sbuffando sonoramente si liberò con un colpo secco dalle grinfie del vampiro centenario invertendo le posizioni e sedendosi a cavalcioni su di lui, avvolgendosi intorno il lenzuolo ormai disfatto.
«Qual è il tuo problema?»
Il sopracciglio di Damon si incrinò leggermente verso l’alto.
La vampira cominciò a sudare freddo.
«Damon, tu mi piaci molto e ammetto che ci sia questa tensione sessuale tra noi due. Ma è sei mesi e mezzo che viviamo insieme, tu e Stefan mi avete aiutato tanto, siete stati sempre con me. Damon tu sei mio fratello e non posso farlo, non ci riesco. L’ho voluto, credimi, ma il mio corpo non reagisce»
Il vampiro dagli occhi azzurri giocherellò con un ricciolo biondo distogliendo lo sguardo dagli occhi grandi e spauriti di Caroline che continuava a succhiare avidamente il labbro inferiore stando attenta a non lasciare che i denti strappassero la carne facendo fuoriuscire il suo di sangue.
Damon sapeva che il corpo di Care non funzionava bene, che qualche cosa in lei non si era mai sanato da quando Stefan l’aveva rapita: Caroline era rotta e non se ne spiegava il motivo.
Se fosse stata ancora umana probabilmente, a quel netto rifiuto, avrebbe spalancato le fauci, lacerando la pelle del collo e nutrendosi di lei fino allo stremo, fino a prosciugarla.
Ma era pur sempre la sua schizzata, nevrotica, irritante coinquilina – non l’avrebbe mai ammesso ma questo sua lo turbava, lo turbava parecchio.
«Allora sorellina la prossima volta non ti presentare mezza nuda davanti la mia porta, potrei fraintendere» sillabò il maggiore dei Salvatore solleticando il lembo di pelle che fuoriusciva da una delle pieghe del lenzuolo.
«Affare fatto» squittì la bionda facendo esplodere il suo entusiasmo in un sorriso disarmante che schiarì la stanza offuscata dalla luce del camino.
Caroline liberò il vampiro dalla sua presa, non prima di avergli scoccato un bacio a fior di labbra, e molleggiò sul materasso così da poggiare le punte dei suoi piedi sul pavimento freddo.
Li lasciò penzolare per un po’ e osservò i minuziosi disegni delle piastrelle del pavimento, mentre una ruga di perplessità increspava la pelle della fronte.
Damon roteò gli occhi.
«C’hai ripensato?» cantilenò il vampiro incrociando le mani dietro la nuca.
Caroline boccheggiò, strizzando gli occhi per trovare una risposta adeguata.
«E se dormissi con te per una notte? – intendo dormire» sottolineò Caroline gesticolando con la punta del lenzuolo che teneva fra le mani.
A Damon ci vollero ben sette secondi per formulare una frase sensata, evitando possibili parole offensive.
«Eri solita rompere le scatole alla gente quando eri in vita o è un’abitudine che hai acquisito da vampira?»
Il vampiro la attirò a se premendo leggermente con la mano la testa della bionda che si accoccolò sopra il suo torace.
Damon le si avvicinò all’orecchio.
«Ora dormi, prima che cambi idea» sussurrò con una punta di ironia che Caroline purtroppo non condivise insieme a lui.
Qualcosa avrebbe turbato il sonno della vampira e lui non l’avrebbe cacciata via dalla sua stanza.
La verità era che Caroline non voleva raggiungere la sua camera passando di fronte alla porta del fratello poiché, come lei, Damon sapeva: Stefan aveva il sonno leggero e l’udito finissimo.
 

«Me lo vuoi dare o ti devo piantare un paletto nel cuore?»
Che Stefan quando era felice fosse tutt’altro che tranquillo, questo era più che risaputo, specialmente perché erano più uniche che rare le volte in cui si poteva definire il minore dei Salvatore di ottimo umore; ma quando disgraziatamente succedeva, ci si poteva aspettare di tutto – ma proprio di tutto - dal vampiro solitamente pacifico.

Quello era uno di quei giorni!
«Stefan!» lo ammonì Caroline, con la bocca ancora impastata di marmellata, la quale continuava a sporgersi e ad allungare non solo le braccia ma tutto il corpo tentando per l’ennesima volta di afferrare il cerchietto trattenuto stretto tra le mani di Stefan a qualche centimetro di distanza dal naso della bionda.
Stefan ridacchiò di gusto mentre trascinava Caroline in ogni suo movimento come un burattinaio con le sue marionette e facendo oscillare il sottile oggetto in plastica proprio sopra la testa della vampira.
Spostò il peso da un piede all’altro, continuando a muoversi, fino a ritrovarsi le spalle a contatto con la superficie fredda del frigorifero.
Caroline si slanciò verso il Salvatore.
«Non mettersi mai contro Caroline Forbes» decretò decisa la vampira rigirandosi orgogliosa fra le mani il cerchietto per poi riporlo comodamente tra le ciocche bionde sparse disordinate sul capo.
Stefan alzò le mani in segno di resa e sembrò che il sole fosse sorto solo in quel momento e la piccola cucina di casa Salvatore si fosse ritrovata inondata di uno spettacolo di luce intenso.
«Vi comportate come degli adolescenti»
Con queste parole Damon spezzò il momento di calma e serenità che si era appena creato facendo alzare le sopracciglia di uno e allargando il sorriso dell’altra.
Il vampiro dagli occhi azzurri fece capolino da dietro il quotidiano completamente aperto e squadrò i due con aria leggermente compassionevole.
«Ma noi siamo degli adolescenti» sbottò Caroline che si era nuovamente seduta composta sulla sua sedia e stava aprendo malamente una confezione di yogurt, sporcandosi l’indice e il pollice del sottile strato di bianco dolce.
A volte a Damon sfuggiva il piccolo particolare cronologico, ovvero che suo fratello avesse in teoria ancora diciassette anni – in pratica era tutto un’altra cosa!
Il minore dei Salvatore la imitò e, anche lui sedutosi, si versò un altro po’ di caffè ancora tiepido nella sua solita tazza verde mela, trattenendo pur sempre un sorriso sardonico in viso.
A Damon la questione puzzava più di quanto avesse immaginato.
«Come mai tutta questo buon’umore improvviso? Cos’è, hai trovato la mia scorta di sangue AB nel vaso cinese?»
«Giusto anche io me lo stavo chiedendo» rincarò la dose la bionda mentre tratteneva fra i denti il cucchiaino di acciaio e guardando Stefan obliquamente.
Stefan non poté far altro che sorridere – per la ventisettesima volta in quella mezz’ora.
«Vedrete presto perché sono particolarmente felice oggi» concluse sparecchiando il suo lato di tavolo e riponendo le carte delle varie vivande ormai consumate nella pattumiera.
D’un tratto alzò un sopracciglio e gli occhi di Damon si scontrarono con quelli verdi del fratello.
«Conservi una scorta di sangue dentro il vaso di Hong Kong?» domandò e il suo sopracciglio si incrinò ancora più in alto se è possibile.
Di tutta risposta Damon riaprì il giornale rifugiandosi al suo interno e facendo finta di non aver sentito la domanda.
«Casa Salvatore è nettamente migliorata dall’ultima volta in cui ci sono entrata. Avete riverniciato le pareti o è solo perché avete tolto la polvere inquietante?» esordì una voce oltre la porta della cucina e Caroline strabuzzò gli occhi – più per il fastidio che per la sorpresa.
Una ragazza fece il suo ingresso nella stanza camminando disinvolta come se quella fosse casa sua.
Scivolò tra le figure dei due vampiri, Caroline e Damon, per poi scrollarsi dalle spalle la lunga treccia bionda e posizionarsi di fronte al vampiro dagli occhi verdi.
La vampira – perché questo doveva essere – tese le labbra carnose in un sorriso, facendo alzare gli zigomi pieni e rimpicciolendo gli occhi nocciola già leggermente a mandorla di natura.
Estrasse dalla giacca delle chiavi munite di un rudimentale fiocco e le fece oscillare a pochi centimetri dal naso del Salvatore.
«Che sia chiaro, la mia macchina vale molto di più di quel catorcio d’epoca, perciò trattala bene mi raccomando» asserì con aria grave per poi abbandonarsi in uno stretto abbraccio con Stefan.
La fronte di Caroline si increspò definitivamente di finissime rughe e gli occhi continuavano a brancolare tra l’astio che traspariva dagli occhi di Damon al sorriso rassicurante dipinto sul volto di Stefan.
«Bentornata Lexi»
Non che qualcuno – compreso Stefan - sapesse dell’arrivo improvviso della vampira, perché era impossibile prevedere quando arrivasse. La chiamata al cellulare di Stefan alle tre del mattino era stata più sufficiente che mai.
«Cos’è, hai portato il tuo cagnolino a spasso per una vacanza?» domandò Damon digrignando i denti e incrociando le braccia al petto, palesemente irritato dalla presenza della vampira.
«Si, Damon, anche io non sono contenta di rivederti» rispose con puntiglio facendo oscillare i lunghi orecchini pendenti e incenerendolo con lo sguardo.
Stefan rivolse lo sguardo verso il tetto per poi posarlo sulla vampira dai riccioli biondi ancora seduta e confusa. Il suo sguardo si illuminò.
«Caroline questa è Lexi. Lei è la mia migliore amica» spiegò con un movimento della mano facendo scontrare per la prima volta lo sguardo delle due vampire.
Lexi si aprì in un sorriso furbo e tese la mano adornata con braccialetti svariati verso quella minuta di Care.
«Piacere di conoscerti Caroline - bella gonna» mimò le ultime due parole e Caroline si decise ad intrecciare la sua mano a quella di lei.
«Caroline è diventata una vampira da solo sei mesi e abbiamo deciso di tenerla con noi per proteggerla e fare in modo che viva tranquilla e serena»
Lo sguardo del Salvatore divenne tutt’a un tratto nervoso ed incontrò i due occhi color giada della vampira altrettanto spauriti.
Lexi percepì nell’aria un lieve sentore di bugia, ma si limitò a scrutare gli occhi del minore dei Salvatore. Dopotutto aveva capito tutto già dall’incrinatura della voce.
«Ma che bel quadretto»
Katherine arrivò in sala, molleggiando come una pantera, con le gambe sinuose e i riccioli lucidi e indomabili che le fasciavano le guance.
Non era stato quello di quella mattina un piacevole risveglio: le urla isteriche di Caroline che rincorreva qualcuno al piano di sopra le avevano trapanato le orecchie e disturbato il suo quieto sonno; aveva addirittura impiegato un po’ troppa forza nel calzare lo stupendo paio di scarpe in vernice spezzando irrimediabilmente il tacco della scarpa destra; infine, ma non meno importante, si era imbattuta in lei.
Una smorfia di disgusto diede il cambio al sorriso radioso che poco prima aveva invaso il viso della vampira appena arrivata.
Squadrò la vampira dai folti ricci in ogni possibile angolazione e in ogni minimo particolare, ma non riuscì a tornare all’aria serena di qualche minuto prima.
Osservò attentamente i pesanti stivali in pelle, i cui tacchi tentavano di trapanare il pavimento sottostante tanto erano fini e appuntiti, i pantaloni neri che fasciavano le cosce della vampira, la grossa e appariscente cintura, il corsetto verde petrolio, il tutto rifinito dalla catenina magica che portava al collo.
«Non ti ho mai vista prima, ma devi essere Katherine» asserì schifata la vampira bionda incrociando le braccia al petto, facendo tintinnare i numerosi bracciali.
Kate si aprì in un sorriso diabolico e per la prima volta Caroline sudò freddo a sol vederla.
«Lieta di rivederti Lexi»
La stanza sembrò immergersi nel gelo più totale tanto era freddo lo sguardo della vampira dagli occhi nocciola; il freddo penetrava fin dentro le ossa e nei cuori muti di ogni vampiro brulicava una cattiva sensazione, come una scintilla che avesse dato il via all’imminente disfacimento del tutto.
Care si strinse di più nel suo dolcevita lilla.
«Caroline sto andando a fare acquisti fuori città, mi faresti compagnia?» le chiese con un sorriso quasi infantile inclinando leggermente il capo così da rivolgere lo sguardo solo ed esclusivamente alla bionda.
La vampira mordicchiò l’ultima fetta biscottata e si sfregò le mani lasciando cadere le briciole sul vassoietto, affrettandosi a sparecchiare così da poter raggiungere Katherine la quale attendeva ciondolando sulla soglia della cucina.
«Prendo la giacca e andiamo» cinguettò Caroline che non avrebbe mai rifiutato l’invito ad un’uscita alla luce del sole – la sua ora d’aria.
Uscire la faceva sentire normale, non dover più passeggiare tra le vie affollate della sua città di nascita un po’ meno.
Quasi strappò il finissimo giubbino dall’attaccapanni, si annodò la sciarpetta di flanella attorno al collo e un soave Damon, Stefan noi andiamo riecheggiò tra le mura di ingresso della pensione.
A quel punto Damon si sentì davvero di troppo in quella stanza.
«Non mi avevi informato che avevate una nuova coinquilina così carina, ha l’aria decisamente infantile» decretò Lexi che aveva preso posto sul ripiano cucina lasciando le gambe a penzoloni e arricciando il naso intenerita dai comportamenti della bionda appena uscita.
«E’ tutta tua se vuoi, basta che te ne vai ed in fretta» sentenziò il maggiore dei Salvatore il quale non ci mise niente a capire che avrebbe passato la maggior parte della sua allegra mattinata tra i banconi del Mystic Grill – ovunque pur di non trovarsi coinvolto in un abbraccio di gruppo in memoria dei vecchi tempi.
Abbandonò il giornale stropicciato e voltò le spalle ai due vampiri avendo come prima destinazione la sua autovettura.
Lexi scoccò un’occhiata interrogativa a Stefan il quale si strinse nelle spalle.
«Centoquarantacinque anni e non è cambiato di una virgola, continua sempre a darmi sui nervi»
Con uno slancio la vampira abbandonò il ripiano cucina e si avvicinò al vampiro dagli occhi verdi ancora seduto comodamente sulla sua sedia.
«Penso che dovresti aggiornarmi» disse schioccando la lingua e artigliando un fianco con la mano.
Stefan non riuscì a sostenere il suo sguardo – non c’era mai riuscito, non con lei.
Seguì con gli occhi le finisse linee lignee del tavolo sottostante per poi arrendersi e scoccare un’occhiata in tralice alla sua amica.
«Aggiornarti su cosa?» osò chiedere, tentando di ignorare il sudore freddo lungo tutta la colonna vertebrale.
«Perché hai paura di lei Stef? Perché non riesci a guardarla negli occhi così come guardi me?» sussurrò dolce la vampira, la cui rabbia e senso di rimprovero svanirono, accarezzando lieve la guancia del Salvatore con gli occhi sbarrati.
Irrigidì la mascella e Lexi si convinse a nutrire nel profondo una certa preoccupazione.
«Tu non sai quanto io abbia sofferto ogni singolo giorno, quanto abbia dovuto mentire e avvelenarmi l’anima vedendo ogni giorno il terrore di lei nei suoi occhi, il suo viso pallido, sentire le sue urla agghiaccianti nella notte, tutto di lei mi spaventa perché sono io la causa dei suoi mali più violenti»
Lexi sentì affondare le dite affusolate del vampiro sull’incavo della clavicola, premere forte ma non abbastanza da farle del male.
La vampira inclinò lievemente il capo come per scrutare meglio il volto afflitto del suo amico da un’angolazione migliore.
«Hai sentito tutte queste cose e non ti sei andato a mettere sopra le rotaie di un treno, questo è già un gran passo avanti» tentò di sdrammatizzare inarcando le sottili sopracciglia e giocherellando con la treccia ciondolante sul suo petto.
Stefan fece ricadere le braccia pesantemente lungo il suo fianco ed espirò tutta l’aria che tratteneva nei polmoni.
La vampira bionda si sedette comodamente sulla sedia, accavallando le gambe e attendendo, con il mento poggiato sulla mano destra, che il Salvatore si decidesse a sfogarsi una volta per tutte.
«Da dove devo cominciare?» domandò con noncuranza azionando la lavastoviglie e ripulendo il tavolo dai residui della colazione.
«Dall’inizio Stefan, dall’inizio» lo incoraggiò, entrambi ignorando i lamenti provenienti dal garage sul retro di un Damon alquanto furibondo.

L’hanno presa, la mia macchina imprecava a denti stretti.


 

Katherine sorrise, premette sull’acceleratore e la macchina scivolò sinuosa nel buio della notte lungo l’autostrada tra le altre vetture.
«E poi, seriamente, chi si credeva di essere?» esordì Caroline i cui fari delle macchine che le sorpassavano, illuminavano il suo viso roseo e leggermente contratto.
«Non era per niente sexy! L’ho ignorato per tutto il tempo al negozio di scarpe e per fortuna ha perso le mie tracce quando sono entrata in quel ristorante. Non sai quanto mi mancava parlare con una ragazza di queste cose! Ah, poi alla fine ho comprato la cintura, quella abbinata a quel completino scozzese, ricordi? Ci sta un incanto»
Con queste parole la vampira bionda terminò il lungo soliloquio, rovistando e controllando tra le spesse buste di cartone i nuovi acquisti.
«Vedo che sei di ottimo umore di questi tempi» pronunciò Katherine dando un rapido sguardo alla bionda seduta accanto a lei. Questa di tutta risposta le scoccò un sorriso a trentadue denti che purtroppo marcò le occhiaie olivastre che già accennavano a ricomparire. Aveva sete, la piccola Care.
«Non pensi che Damon si sia arrabbiato non trovando la macchina in garage?» chiese ingenuamente Caroline mentre osservava scrupolosamente la sua immagine riflessa nello specchietto, ravvivandosi i capelli e massaggiandosi gli zigomi tirati e leggermente screpolati a causa dell’arsura alla gola che aveva tentato più volte in quel pomeriggio di alleviare con bibite e frullati.
Katherine si fermò allo stop e il viso irritato del Salvatore nell’aprire la porta del garage e trovarlo completamente vuoto le balenò in testa, increspandole le labbra in un sorriso diabolico.
«Tesoro, quando una donna vuole qualcosa la ottiene sempre, con o senza il consenso degli uomini»
Caroline sembrò non ascoltarla, poggiò la fronte sul finestrino freddo e incollò lo sguardo sull’asfalto buio e sul paesaggio che scorreva veloce al di fuori dell’auto.
Chissà come, ma tutto sembrava essere identico alla sera di quasi sette mesi prima, quando Katherine l’aveva accompagnata alla pensione: stessa strada, stessa sete disgustosamente incessante, stessa paura.
«Stai pensando alla conversazione della caffetteria?» provò ad indovinare Kate, rompendo quel silenzio che si stava instaurando all’interno dell’abitacolo della macchina.
La vampira bionda irrigidì la colonna vertebrale e sentì il buio invaderla completamente.

I Salvatore lavorano in due, Caroline: uno mente, l’altro lo aiuta le aveva sillabato Katherine seduta comodamente sul divanetto di nera pelle della caffetteria.
Perché mai mi dovrebbero mentire? aveva ribattuto contrariata, gesticolando con la mano destra e sporcando il tavolinetto di frullato al cioccolato.
«Non sei una Salvatore, Caroline. Qualunque legame tu possa instaurare con loro non durerà affatto. Io lo so.»
La luce, seppur soffusa, delle neon dell’entrata della città le sferzò il viso e la fece stropicciare gli occhi che si erano ormai abituati, seppur a malincuore, all’oscurità della galleria.
«Non stanno mentendo. Non mi mentirebbero mai»
La voce le si incrinò impercettibilmente. Care se n’era accorta, Kate se n’era accorta!
La vampira dai capelli ricci mise la freccia a destra, pronta a svoltare per immettersi lungo il viale in cui era situata la pensione.
Caroline cominciò a contare i respiri.
«Allora perché non vogliono dirti cosa c’è in cantina?» sputò e le sue parole tagliarono lo spazio tra di loro come coltelli affilatissimi.
Katherine frenò bruscamente e il cemento dell’asfalto scricchiolò appena lungo il vialetto di casa Salvatore.
Caroline trattenne un singulto al cuore mentre sentiva i capillari pulsare violentemente e ardere, così come la gola.
Sembrava di sentirle, quelle fredde maniglie a cui ricordava essersi aggrappata per piangere, sentiva sotto la pelle il legno ruvido e pungente del sedile su cui era certa aver dormito più notti, e l’abitacolo di quella macchina era gelido e buio così come ricordava essere stati i suoi giorni di prigionia: sprazzi di buio e macchie rossastre.
Caroline si strappò la cintura di dosso, si aggrappò alla maniglia e con forza uscì dall’auto masticando aria fresca e agognando così sollievo per la sua gola.
Serrò le palpebre e per un istante la sete sviscerante e il sangue divennero oggetto del suo ricordo, di quel frammento di passato che continuava a graffiarle in testa, tentando di uscire con le unghie e con i denti. Denti.
Il rumore metallico della chiusura del bagagliaio bloccò quella connessione e Caroline si ritrovò ad ansimare senza un motivo ben valido.
Sulla soglia, entrambi i fratelli la aspettavano con le braccia serrate al petto – brutto segno.
«Sembra essere come dopo averle detto quella cosa che non le dovevamo dire, avevamo detto» farfugliò il minore dei Salvatore, assottigliando gli occhi e non distogliendo lo sguardo dal sorriso poco rassicurante della bionda e dalla mano lasciata sospesa in aria.
Damon schioccò la lingua.
«Ripeti o riformula» marcò alzando gli occhi verso la luce al neon che dava cenno di fulminarsi.
Caroline mugolò un sorriso e distolse lo sguardo rimanendo pur sempre in ascolto – la sete incessante aveva amplificato i suoi sensi da vampiro.
«Forse le ha detto qualcosa» sospirò spostando il peso dal ginocchio destro a quello sinistro, tamburellando le dita sulla superficie liscia della porta di casa.
«Sorridi fratello, sorridi e sopravvivrai anche stanotte» disse a denti stretti il vampiro dagli occhi azzurri notando l’avvicinarsi delle due vampire.
A Caroline le si velarono gli occhi di sangue e di lacrime.
La vampira bionda avanzò calma nelle sue ballerine color panna e le sembrò quasi che il rumore dei suoi passi ricordasse quello che un tempo era stato il ticchettio frenetico del suo cuore.

Accennò un passo, poi un altro fino a fiondarsi definitivamente tra le braccia di Stefan, trovando conforto**.
«Ho sete, Stefan» piagnucolò facendosi avvolgere dalle braccia forti e preoccupate del Salvatore.
Ma i canini affilati miravano al cuore***.

***

*Con l'espressione come per magia voglio sottolineare l'ingenuità tipica dei bambini di rapportare ogni singolo evento fuori dal normale alla magia. Ovviamente Caroline incomincia a manifestare i primi disturbi mentali vedendo macchiarsi di rosso e quindi di sangue le scarpette pulite. L'idea e la paura del sangue è così viva in lei che la porta ad avere illucinazioni che rimarranno semisopite fino alla sua trasformazione in vampira.

** Riferimento al flashback [undici anni prima] del capitolo 2.Ricomincio da t(r)e

*** Espressione con cui ho voluto concludere e che potrebbe sembrare un po' ambigua. A voi la scelta del significato.

Salve miei cari lettori,
lo so che avevo promesso che avrei aggiornato più spesso ma la scuola uccide e tra interrogazioni e compiti ho dovuto rinviare giorno per giorno la pubblicazione del capitolo. La volta precedente avevate ammirato la conclusione pressocchè positiva del trio che aveva deciso di coabitare alla pensione e di provare a bilanciare questa simbiosi, dopo continui litigi e problemi. Adesso si ritorna al presente da dove vi avevo lasciato in sospeso ovvero la questione Damon e Caroline. Ammetto che questo comportamento di Care è leggermente anormale rispetto al personaggio che sto presentando, ma la Caroline che sto prendendo in esame è in una situazione diversa rispetto a quella del telefilm per cui perdonatemi se sembra leggermente OOC. Caroline è rotta, Damon lo sa ed è per questo che accetta consapevolmente la scelta della biondina. Questa cotta che Caroline aveva per Damon non era altro che una forma di amore fraterno, e tale amore l'ha spinta a capire che lui in realtà è più un fratello. Ora non giudicatemi visto che, nonostante affermino di essere come fratelli, si baciano o soddisfano i propri bisogni perchè tecnicamente non è incesto, non sono legati da legami di sangue nè tanto meno per via legali, quindi spero vivamente che la questione non turbi molti di voi. Invece passiamo all'arrivo di un nuovo personaggio, Lexi! Ho sempre desiderato far incontrare Caroline e Lexi e finalmente l'evento è accaduto - nonostante i continui brontolii di Damon. Katherine sente che la situazione le sta sfuggendo di mano e tenta di velocizzare il tutto arrivando subito al sodo: i fratelli Salvatore mentono e la questione-cantina. Caroline si sente confusa, spiazzata ma non può far altro che fidarsi delle parole di Kate - e delle sue orecchie che hanno sentito tutta la conversazione finale. Per cui con la morte nel cuore è costretta ad accettare questa triste verità, ma le sue domande non sono di certo state soddisfatte: cosa c'è in cantina di così tanto pericoloso? La frase finale la lascio a libera interpetrazione, scriverò il giusto significato nel commento del prossimo capitolo.
So che alla Lau piacerà questo capitolo per la piccola citazione Jeroline (si tesoro, mi hai influenzato e  l'ho voluto aggiungere solo solo per te ♥)
Ringrazio tutti coloro che seguono la fic, e che recensiscono, non finirò mai di dirvi grazie.
A presto (relativamente pralando)

Sil

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Capitolo 11
*** 11.Chiave ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

[Undici anni prima]

Un altro lampo e Caroline trattiene il respiro.
Un'altra insistente goccia di pioggia perfora la parete ormai zuppa e macchiata di umido, e Stefan digrigna i denti.
Avvicina Bunny al viso, lo rassicura, gli dice che presto sarebbero tornati a casa e avrebbero fatto merenda con latte e biscotti.
Gli occhi vitrei del pupazzo scucito sembrano osservare angosciosamente Caroline immobile, con le guance pallide e il viso smunto. Tremano le ginocchia della piccola Care.
Un tuono rimbomba minaccioso sopra di lei, al di fuori della cella buia e maleodorante.
Le manine coprono le orecchie di pezza di Bunny, il cuore le gonfia il petto, il
mostro si avvicina.
“Andiamo Care, è il momento”sputa con astio, il viso quello di un demone in cerca di redenzione.
Strattona la bimba, imprime le sue impronte nell’esile avambraccio ossuto e denutrito.
E Caroline si alza, muove le ginocchia di pastafrolla, inciampa in quelle sue scarpette un po’ troppo strette,
non ce la fa.
“Ma piove…e ci sono i tuoni” snocciola attorcigliando di più la mano sudata a quella di Bunny.
Sta già correndo Caroline, su per delle scale ignote.
“Bunny” grida e osserva il coniglietto ruzzolare malamente cinque gradini più in basso.
Gli occhi le si gonfiano di lacrime, la manina tenta di afferrare
l’amico ma ormai è troppo lontano, il sangue ribolle e frigge sulle pareti di quello stretto cunicolo.
Un altro strattone, più violento, disumano, e Caroline è fuori dal buio.
Anche Stefan se n’era andato.

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11. Chiave

 
Damon scoccò un’occhiata di sfida al fratello, con l’aria visibilmente assente, e si trincerò dietro l’anta del frigorifero metallizzato per poi estrarne due uova.
Schioccò la lingua con aria di disappunto.
«Ti rendi conto della gravità della situazione o ti devo fare un disegnino?».
Con queste parole Damon iniziò quella domenica mattina assolutamente penosa sia a causa delle pessime condizioni meteorologiche, sia per il problema che – ci teneva tanto a sottolineare - aveva combinato lui e che da un momento all’altro si sarebbe svegliato, per fare colazione con uova e pancetta.
Stefan mugugnò qualcosa di incomprensibile dalla sommità del suo sgabello per poi affondare nuovamente nel suo – avrebbe aggiunto solito - stato apatico che tanto lo  caratterizzava.
«E’ inutile Damon che insisti, vi ho già detto qual è la cosa migliore da fare. E lui farà come dico io» strimpellò Lexi dal ripiano cucina facendo ciondolare le caviglie e osservando il maggiore dei Salvatore mentre si chinava per cercare la padella.
«Nessuno ti ha interpellato» abbaiò Damon con un’evidente increspatura nella fronte corrucciata, minacciando la vampira con la padella che aveva appena agguantato.
Lexi lo guardò di rimando, mantenendo intatto quel suo sorriso sardonico, e con un semplice gesto serrò la propria mano sul polso del vampiro dagli occhi azzurri, torcendoglielo e spezzandoglielo con un sinistro rumore di ossa rotte.
Damon irrigidì la mascella e i muscoli facciali, con una scarsa riuscita nel suo intento di mascherare l’evidente dolore provocatogli dalla bionda, la quale aveva già recuperato la padella, prima che avesse toccato terra, e ora si accingeva a prestarsi ai fornelli.
«Il prossimo sarai tu se non ti decidi a svegliarti».
Stefan sospirò a quell’ennesimo litigio. Ennesimo, perché non era il primo di quella lunga mattina.
Che fra Damon e Lexi esistesse un’impossibile alchimia, questo era ben chiaro, ciò che ancora sfuggiva alla mente scrupolosamente indagatrice del più piccolo dei fratelli Salvatore era la loro cecità davanti all’evidente problema che accomunava tutti i vampiri presenti in quella casa, primo fra tutti lui.
Stefan tamburellò l’indice sullo zigomo destro e incrociò le caviglie, come se il cambiamento di posizione potesse aiutarlo meglio nel risolvere quell’intricato rompicapo.
La cucina si inebriò del caldo e invitante odore di pancetta rosolata.

L’idea di Lexi sembrerebbe la più ovvia: nascondere la chiave della cantina in modo tale da impedire a Care di verificare i suoi dubbi pensò rigirandosi tra le mani il grosso e ingombrante anello, rassicurandosi per l’assenza di raggi solari quel giorno.
Damon si rigirò il polso facendo scrocchiare le ossa che si erano risanate mentre mandava stilettate omicide alla vampira, roteando di tanto in tanto gli occhi azzurri come in cerca di qualche segno di vita da parte del fratello immerso nei suoi crogiolamenti.

Ma come dice Damon, non è sicuro lasciare la chiave, anche se nel posto più introvabile al mondo, con Katherine ancora qui.
Schioccò la lingua e infilò la mano nella tasca anteriore dei jeans estraendovi una chiave spessa e arrugginita.
La bordatura in ferro sembrava scottargli le mani e l’odore metallico e insistente dell’ottone gli bruciava le narici peggio dell’acido muriatico.
Quella chiave costituiva l’unico ostacolo per la continuazione della sua esistenza, l’unico rischio in cui poteva incorrere per non liberare il mostro rinchiuso dentro di lei, attendendo famelico e feroce una mossa sbagliata per scatenare la sua ira.
Caroline avrebbe permesso al mostro di prevalere? Stefan, nonostante tutto, covava ancora qualche dubbio.
Lisciò le pieghe e gli spuntoni, leggermente smussati, della grande chiave, umettandosi le labbra e corrugando nuovamente la fronte, come a volerne analizzare ogni minimo particolare.
Quella chiave doveva proprio sparire.
«Penso che la soluzione più giusta sia affidare la chiave a qualcuno».
La vampira fece tintinnare i suoi orecchini pendenti e strapazzò ancora un po’ l’uovo insieme alla pancetta.
«Lexi» designò Stefan con un lieve cenno della testa, mettendo in bella mostra la chiave – che se solo avesse voluto si sarebbe sbriciolata sotto il suo tocco.
Damon inarcò un sopracciglio contrariato.
Non che fosse un’idea stupida quella di Lexi di affidare la chiave a qualcuno, semplicemente non trovava logico il nascondere qualcosa che Katherine avrebbe comunque trovato.
Lo alquanto deliziava l’idea di vedere i suoi occhi nocciola indispettirsi di fronte alla loro falsa noncuranza e come le sue labbra si sarebbero arricciate controllando l’ennesimo centimetro quadro di quella casa.
Ma del resto Damon non poteva non pensare che il rivelare tutta la verità a Caroline fosse un’idea così totalmente sbagliata, il che predisponeva la vampira riccioluta a voler agire in buona fede, ciò che lo preoccupava era lo scopo per cui Katherine stava facendo tutto questo.
Che la vedesse o meno sotto più punti di vista, quella per Damon rimaneva pur sempre una brutta faccenda.
«Giusto, complichiamo la situazione. Lasciamo che sia Wonderwoman a sacrificarsi» sbriciolò Damon con un’insolita punta di acido sarcasmo, evidente sintomo della sua smodata irritazione nei confronti della vampira.
Lexi corrugò le spesse sopracciglia e fece ricadere il bollente e scricchiolante miscuglio di uovo sbattuto e pancetta sul piatto rosso di porcellana, facendo attenzione a non sporcare più del dovuto la cucina in acciaio.
Sembrò osservare la pietanza ancora fumante e dopo aver infilzato la forchetta trafiggendo irrimediabilmente un trancio di bacon si voltò piena di entusiasmo.
«Non devi darla a me la chiave, Stefan» spiegò la vampira provocando lo stupore del giovane Salvatore di fronte a se.
«Sarà Damon a custodirla».
Il picchiettio lento, ma al contempo frenetico della pioggia riempì le orecchie dei tre vampiri, impedendo all’una di procedere con il motivo della sua scelta, agli altri di spronarla a continuare.
Il grumo di saliva trattenuto in gola dal vampiro centenario fu la palese risposta del turbamento che aveva inferto la vampira alle menti dei giovani Salvatore.
«Mi lusinga molto sapere di essere il prescelto per la missione, ma non ci tengo ad essere il Frodo della situazione» mugugnò il vampiro sarcastico dagli occhi azzurri, serrando le braccia al petto e appoggiando la schiena al frigorifero interposto tra il fratello e Lexi.
«E così torniamo al punto di partenza» constatò Stefan facendo combaciare le dita delle mani, ripetendo il movimento quasi come a voler imitare il ticchettio dell’orologio a pendolo del salone adiacente.
Damon inarcò un sopracciglio e si umettò le labbra tentando di dar sfogo alle sue supposizioni.
«Vuoi forse farmi credere che sei d’accordo con questa psicopatica?».
Damon additò la vampira la quale lo guardò in cagnesco – se avesse voluto, avrebbe potuto digrignare i denti come un lupo.
Stefan sospirò e ruotò leggermente il busto così da rivolgersi meglio al fratello palesemente stupito.
«Non sto dicendo che sia una buona idea, ma prendila come una soluzione temporanea»
Damon si limitò ad arricciare il labbro superiore e a rivolgere lo sguardo contrariato verso il piatto ancora leggermente fumante sul quale giaceva un uovo sbattuto - più crudo che cotto - e due invitanti fette di pancetta bruciacchiate ai bordi.
Alzò lo sguardo e gli occhi incredibilmente seri del vampiro si scontrarono con quelli altrettanti preoccupati del fratello.
«E chi ti dice che sarei disposto a farlo?» sputò con astio aggrottano la fronte fino a incresparla del tutto con piccoli e profondi solchi.
Stefan scattò in piedi, facendo leva sulle sue ginocchia, e annullando la distanza fra lo sgabello, sua postazione, e il frigorifero al quale era appoggiato Damon.
«Perché sei pur sempre mio fratello e ti conosco e so che, per quanto tu non voglia ammetterlo, lo farai per lo stesso motivo che mi ha spinto a fidarmi di te» scoccò Stefan a pochi centimetri dal viso del fratello, incastonando i suoi occhi verdi leggermente screziati di azzurro – quello stesso azzurro presente nello sguardo di Damon – con quelli del vampiro centenario di fronte a lui.
A Damon quel tono assunto dal fratello non piaceva per niente: gli ricordava quello sibilante e maligno assunto la notte che scelse definitivamente di tramutarsi in un mostro, di abbandonare l’unica e temibile verità della vita per brancolare in un eternità infinita e tetra, senza alcuna possibilità di salvezza. Che avesse scelto o meno di nutrirsi del sangue di quella ragazza, che sgorgava fluido e invitante dal suo collo niveo, ormai non aveva più alcuna importanza. Ma le parole tentatrici del fratello, quell’ultima supplica egoisticamente diabolica pur di farlo rimanere avvinghiato a lui per l’eternità, quelle parole continuavano a serpeggiare lungo tutta la colonna vertebrale di Damon, continuavano a tentarlo e a convincerlo che anche questa volta non aveva più alcuna possibilità di salvezza.
Digrignò i denti e imprecò in combutta con se stesso e per quello che ancora una volta stranamente si accingeva a fare.
Avvertì la presa di Stefan sulla sua spalla destra.
«Mi fido di te Damon, non dimenticartene» mormorò il minore dei Salvatore facendo lentamente fuoriuscire la chiave nascosta dentro il suo pugno e mostrandola agli occhi di Damon, come si mostra l’arma del delitto ad un complice.
La presa si allentò appena e Damon approfittò di tale momento per strappare con foga la chiave dalle mani del fratello e riporla accuratamente nella tasca posteriore dei jeans.
«Va all’inferno» sillabò con un ghigno malefico per poi spintonare il fratello e dirigersi verso l’uscita di quella stanza.
La chiave ancora bruciava tra le mani vuote di Stefan.
«Proteggeremo Caroline, a qualunque costo» decretò la vampira richiamando l’attenzione del Salvatore, facendolo annuire con poca convinzione mentre la fronte si stava inevitabilmente aggrottando per lo scetticismo.
La voce di Caroline d’improvviso risuonò in cucina come il tintinnio di tante campanelle.
«Buongiorno – ammesso che lo sia veramente perché ne dubito» borbottò con un insolito sorriso smagliante che andò pian piano scemando notate le innumerevoli gocce di pioggia che sfregiavano il vetro della finestra della cucina seminascosta da due deliziose tendine giallo ocra – uno dei tanti ritocchi che Caroline aveva preteso una volta ambientatasi alla pensione.
«Buongiorno dolcezza – uova e pancetta?» le rispose la vampira dai lunghi capelli biondi adoperando la stessa dose di entusiasmo utilizzata poco prima da Care la quale continuava a rimuginare puntando lo sguardo oltre la finestra, in un’espressione pressoché imbambolata e alquanto annoiata.
Poggiò la guancia destra sul palmo della sottile mano, ma il dolce profumo delle uova e del bacon messole sotto il naso da Lexi le fece stropicciare gli angoli della bocca e tornare il buonumore.
«Tutto bene Stef?» chiese Caroline con noncuranza facendo rotolare nel piatto una pallina di uovo e cercando di spaziare la poltiglia grumosa e informe che era diventata la sua colazione.
«Si, è solo – la pioggia» balbettò appoggiando i gomiti sul tavolo e osservando la sua piccola Care annuire comprensiva, ignara degli oscuri e tristi ricordi che offuscavano la mente del vampiro a pochi centimetri da lei.

Pioveva anche quel giorno.

 

Caroline si artigliò la pancia dolorante e scalciò due o tre volte i piedi in aria tentando di riempire i polmoni con altra inutile aria.
«E non è finita qui! Vuoi che ti racconti di quella volta che in preda all’euforia di un concerto si è lanciato sulla folla in delirio e nessuno lo ha preso?» esclamò Lexi molleggiando sul letto di Caroline, con le caviglie incrociate e i piedi sulla trapunta verde oliva.
La vampira bionda si asciugò con il dorso della mano le piccole lacrime che si erano addensate agli angoli degli occhi e rilassò gli zigomi ancora tirati in un sorriso a trentadue denti.
Non era stato facile, non era stato per niente facile spegnere i pensieri che l’avevano perseguitata per tutta la notte.
Frammenti di ricordi, immagini spezzate e aggrovigliate come in una vecchia pellicola di un film in bianco e nero, ricordi bisunti che riaffioravano senza un motivo ben preciso e sussurri, parole e suoni irriconoscibili ma che la sua mente aveva perfettamente registrato.
E li sentiva di tanto in tanto picchiettare in testa, sbattere contro le dure inferriate della sua coscienza per uscire e ruzzolare libere tra i corridoi della sua psiche.
Ma c’era qualcosa che impediva loro di uscire, qualcosa che continuava a sfuggire tra le mani sudate della giovane Care, uno scoglio a cui aggrapparsi, un anestetico per placare il gorgoglio rumoroso all’interno della sua mente e che aumentava d’intensità minuto dopo minuto.
E a quel punto aveva deciso di soffocare quel lamento, a suon di risate e ricordi felici. Ma per sua sfortuna, dettagli e ricordi estranei e confusi continuavano ad affiorare e lei non poteva impedirlo.
«Pronto? C’è qualcuno in casa?»
La voce di Lexi riuscì a ridestarla e la vampira sbatté due o tre volte le palpebre arricciando il naso e le labbra in un adorabile sorriso.
«Scusa, parlare di Stefan mi ha distratta» cantilenò piano la giovane vampira e arricciò dietro l’orecchio destro un nastro dorato che le era sfuggito dalla crocchia sulla nuca.
Lexi schioccò la lingua e si spostò accanto a Caroline con un tintinnio di bracciali.
Le immagini, i sussurri, i colori che si intrufolavano nella mente di Care, li vedeva anche lei, li deviava lei, li spezzava così da non poter mai permettere al mostro di emergere. Ma ormai il danno era stato fatto e, per Lexi, era solo questione di giorni – forse di minuti, di secondi – e Caroline avrebbe ricordato, avrebbe messo insieme i dettagli e avrebbe dato un nome al volto che la terrorizzava tanto da farle risalire il cuore in gola.
«Ascoltami bene, Caroline. Sai cos’è la cosa più brutta dell’essere vampiri?»
Gli occhi color giada della vampira si socchiusero e tra le sopracciglia comparve una lieve increspatura.
«Andare dal dentista?*» cinguettò inarcando un sopracciglio e abbozzando un sorriso di sdrammatizzazione, in forte contrasto con l’espressione seria del volto di Lexi.
«Ricordare: come ci si è sentiti la prima volta quando i canini hanno lacerato la carne di un innocente, ricordare in ogni dettaglio i momenti più oscuri e insignificanti della nostra esistenza e rivederli, rivederli all’infinito quasi come se la nostra testa si fosse allargata e contenesse adesso più cassetti e tutti aperti contemporaneamente. Prova a lasciarlo andare, quel ricordo, prova a cacciarlo via, perché se se ne va, non ritornerà più».
Lexi poggiò la sua mano su quella minuta e fredda di Caroline e per un minuto, solo un minuto, desiderò tanto che quella creatura non avesse dovuto subire simili crudeltà, ma si concesse solo un minuto, poi tornò dell’idea che, per quanto avesse vissuto, da umana o da vampira, la sua non sarebbe stata affatto una vita semplice – perché la vita non è mai semplice.
Per qualche sciocco motivo, Lexi in cuor suo sapeva che Caroline era la chiave per sbloccare l’intricata serratura che impediva i Salvatore di spingersi l’uno all’altro, quel pezzo mancante che per anni aveva cercato di far emergere nella più tetra oscurità di Stefan, senza riuscirci.
Tutto – il dolore, l’odio, la sofferenza, la gioia – dei due Salvatore confluiva in un unico essere: lei.
La vampira ritrasse la mano come pervasa da un’immensa scossa elettrica e si tastò le dita, corrucciando le sottili sopracciglia e emettendo un pesante sospiro.
«Io non posso dimenticare, Lexi. Ci sono troppe cose che non riesco a capire, che mi fanno del male, e io ho bisogno di queste cose, degli incubi. So che sarebbe più semplice in quel modo, ma non lo lascerò andare via. Dopotutto, si chiamano ricordi perché non devono essere dimenticati, giusto?».
Caroline si alzò la bretella della sua canotta color zenzero e gattonò fino al cuscino sul quale sprofondò la testa, impigliando ai capelli le forcine e disfacendo l’accurata acconciatura.
«Disturbo?»
Stefan stava ritto davanti alla porta con le nocche che sfioravano la superficie lignea della porta semiaperta – segno che il Salvatore era stato in dubbio se entrare o meno – ma a questo Caroline non ci fece caso. Dondolò un paio di minuti davanti alla porta, evidentemente in conflitto con se stesso e a disagio.
Che Care ricordasse, Stefan era sempre stato a disagio in sua presenza.
«E’ una riunione tra ragazze e tu - non sei invitato» sbottò Lexi agguantando un cuscino e lanciandolo in faccia al minore dei Salvatore.
Stefan con abili riflessi scansò il cuscino e le sue labbra si tirarono in un sorriso sbieco, quasi come stupito dal gesto della vampira, sua amica.
Con passi lenti e cadenzati si avvicinò alle due ragazze adagiate sul letto senza mai spostare lo sguardo dagli occhi color nocciola di Lexi.
«Tu mi hai lanciato questo cuscino?» domandò con un espressione seria in viso, inarcando un sopracciglio e rigirandosi tra le mani il leggero oggetto quasi come se fosse stato una bomba ad orologeria.
La vampira bionda inclinò il capo e guardò il Salvatore dal basso con aria di sfida.
Fu solo un secondo ed entrambi si ritrovarono a terra, ridacchiando e scalciando in aria.
Un Basta Stefan sommesso incuriosì Caroline che quasi con la vivace curiosità di un bambino si sporse oltre il bordo del letto.
Stefan col fiato corto si alzò ridendo a tratti e tese un braccio alla vampira bionda che lo afferrò aggrappandosi per ritornare in posizione eretta.
«Hai firmato la tua condanna a morte» sillabò la vampira sistemandosi la corta maglietta verde militare e incrociando le braccia al petto scoccando all’amico un’occhiata fintamente truce.
«Sei stata tu che mi hai provocato» asserì Stefan alzando entrambe le mani in segno di innocenza.
Trotterellò fino alla porta, ma, prima di varcare la soglia ed immettersi verso il corridoio semibuio a causa della pioggia, voltò il capo con ancora una vivida scintilla tra gli occhi verdi.
«Stasera ordiniamo la pizza, per voi va bene?» chiese sbalzando lo sguardo da una vampira all’altra.
«Mi sembra una splendida idea» squittì Caroline battendo vivacemente le mani e la preoccupazione di Stefan svanì quasi del tutto.
«Affare fatto! Ma il fattorino è mio» pronunciò Lexi fiondandosi nuovamente sul letto di Care e portandosi le ginocchia al petto.
Il Salvatore alzò gli occhi al cielo e si chiuse la porta in legno di noce alle spalle, aspettando, prima di lasciare la maniglia, che la serratura scattasse e che il corridoio si riempisse di un tetro silenzio.
Poggiò la nuca sulla superficie liscia e rimase ad ascoltare ancora un po’ le risate delle due vampire al di là della porta.
Forse Lexi aveva ragione, forse ancora si poteva rimediare. Caroline non avrebbe mai trovato la chiave. Il mostro non sarebbe più ritornato.

 

«Hai mai provato a cercarti un hobby? Collezionare francobolli, ricamo, golf…?»
Katherine scoccò una stilettata al vampiro, disteso comodamente sul suo letto a tre piazze, che di tutta risposta girò un’altra pagina del libro che aveva appena iniziato a leggere.
«Ti sembro una che ha molto tempo libero?» mugugnò Kate frugando fra i ninnoli e i soprammobili posti nella stanza di Damon.
Katherine Pierce non era mai stata paziente, non era una di quelle qualità da poter attribuire alla sua persona. Fin da bambina con i suoi fratelli non giocava mai ad uno stesso gioco due volte di seguito, non era nel suo stile, non era nella sua natura. A Katherine piacevano quei giochi a sorpresa in cui lei era la sola a sapere in anticipo chi avrebbe vinto, in cui lei giocava sapendo con esatta precisione la prossima mossa del suo avversario.
Ecco, a Katherine quel gioco adesso non piaceva per niente. Era stata alquanto allettante l’idea di trovare quella bambina, adesso vampira, e di utilizzarla  per giocarci come una delle tante bamboline di pezza, adagiate sul davanzale della sua vecchia casa.
Ma adesso la bambola era sfuggita al suo controllo, i fili con cui manovrava l’ignara marionetta erano stati recisi e adesso la vampira dai folti riccioli bruni si trovava senza un piano ben preciso, senza uno scopo e questo non faceva altro che stizzirla fino alla morte.
«Certo che no, miss Katherine» sussurrò Damon con voce stridula imitando il tono di uno dei tanti servi che non solevano mai contraddirla. Ma quello era il 1864, e Katherine ancora non se ne rendeva conto.
La vampira scoccò la lingua e diede un fugace sguardo al Salvatore mentre lasciava le impronte dei tacchi a spillo sul tappeto a fantasia, dirigendosi su un altro lato della stanza.
«Invece tu? Che fine ha fatto il vecchio Damon, mister non metterò mai la testa a posto?» lo provocò portando all’orecchio una scatolina sigillata in legno intarsiato, scuotendola e imponendo al cervello di riconoscere dal suono cosa avrebbe potuto contenere.
«Ce l’hai proprio davanti agli occhi» esordì Damon con tono visibilmente annoiato aprendo le mani in un gesto plateale e reprimendo l’istinto di lanciarle il libro che teneva in mano.
«Non credo proprio, caro il mio Damon. Stare rinchiuso qui, in questa orrenda cittadina, a preparare la colazione, fingendo di vivere come un’allegra famigliola. Non è da te, Damon».
La vampira si piegò sulle ginocchia, nonostante i jeans stretti e attillati, e iniziò a curiosare tra i cassetti del vecchio mobile, frugando tra i vari indumenti senza comunque distruggere il perfetto ordine – sicuramente frutto di una maniacale attenzione della vampira dai riccioli biondi.
«Imburro il pane, cucino la pasta, faccio la spesa, prendo in giro Stefan, odio te e tento di non far commettere un plurime omicidio ad una pazza invasata che probabilmente ci ucciderà tutti, una volta scoperta la verità. No, non me la passo così male».
La vampira sospirò pesantemente e le sue mani continuarono ad affondare nella consistenza morbida dei vestiti fin quando i suoi occhi non scintillarono di luce propria e le labbra si storpiarono in un sorriso serafico.
«Non c’è, Katherine» spiegò il vampiro scattando in piedi e un risolino lungo tutta la guancia destra si fece largo sul suo volto, mentre con le braccia serrate strette all’ampio torace assumeva la posizione quasi statuaria di un uomo compiaciuto della propria vittoria – la vittoria di una battaglia, non della guerra.
Kate agguantò l’oggetto che aveva trovato in fondo ad una pila di vestiti e i suoi occhi color nocciola si assottigliarono.
Adesso il gioco si stava facendo più interessante.
«Non c’è cosa?» domandò con innocenza infantile mentre i lunghi riccioli lucidi le ricadevano lungo la schiena fasciata da una deliziosa camicia nera.
«La chiave, è ovvio. Entri nella mia stanza, frughi tra la mia roba. E’ dura da ammettere, ma stavolta abbiamo vinto noi!» rifletté e i suoi occhi azzurri si fecero ancora più grandi e trionfanti, sprizzando derisione e compiacimento e indirizzandola verso la vampira stranamente non imbronciata.
Katherine inclinò il capo e un ricciolo si infilò all’interno del colletto della camicia, solleticandole il seno leggermente scoperto.

Strano. Molto strano. Che Katherine Pierce fosse un passo avanti a tutti, questo era ben noto a tutti – ai vivi e ai morti – ma questa volta faceva sul serio, questa volta il gioco era stato ben predisposto e, annoiata dall’attesa, si era lasciata un po’ andare, lasciando che gli eventi prendessero vita e forma da soli, scansandosi dai riflettori e concentrandosi di più al dopo e al come consumare tranquillamente la piccola fetta di vendetta che avrebbe gustato sicuramente ben presto.
Che la chiave fosse un qualcosa di concreto o di astratto, non era a quello che mirava la mente diabolica della vampira. Mirava più in alto, molto più in alto.
Kate si aprì in un sorriso e lasciò che il contenuto ambrato della bottiglia di whiskey invecchiato vorticasse così che il gorgoglio arrivasse alle orecchie supersensibili del vampiro di fronte a lei.
«Ero venuta per questa» miagolò svitando il tappo e lasciando che l’odore forte dell’alcol le arrivasse alle narici.
Damon schioccò la lingua e in quel momento l’idea di picchiarsi da solo sembrava la più convincente tra le varie opzioni.
Ma non si fidava, altroché non si fidava.
«Dovevi proprio cercarla bene, perché di solito nascondo bene ciò che voglio non sia mai trovato» alitò Damon a pochi centimetri dal suo viso con un ghigno non molto convincente.
La vampira bevve un lungo sorso dalla bottiglia dal ventre rigonfio e una volta staccate le sue labbra dall’orlo la rivolse in direzione di Damon che la accettò senza problemi.
«Ce l’ho, un hobby intendo» disse facendo scorrere le dita sottili sul colletto blu della camicia del Salvatore e giocherellando con i bottoni scuri e lucidi.
«E sarebbe?» provò Damon a farla continuare, ma già le sue mani stavano esplorando il corpo di lei con vorace voglia.
La vampira dischiuse le labbra e la mano di Damon si intrecciò ai sottili riccioli sparsi sulla nuca di Katherine per avvicinarla di più alla sua bocca.
Era in un posto sicuro la chiave, ed era ciò che più importava.
Era in buone mani, la chiave.
Il suo cuore, un po’ meno.

 

Lo scricchiolio del parquet rendeva l’atmosfera ancora più agghiacciante, ma questo a Caroline non interessava di certo.
I piedi nudi aderivano perfettamente alla superficie liscia del pavimento e le gambe fasciate dal sottile tessuto del pigiama si muovevano in fretta e leggere.
La pizza ingurgitata la sera prima non l’aveva saziata a dovere anche se la piccola Care sapeva che il nodo alla gola non era dovuto alla fame.
Scese velocemente le scale e il salone di casa Salvatore apparve deserto e muto quasi come se fosse stato un cimitero: il divano, dove solo qualche ora prima erano stati comodamente seduti, era perfettamente in ordine così come i cuscini che Damon aveva tirato addosso a Stefan; la televisione, lasciata per tutto il corso della serata accesa senza che nessuno la sentisse, era una finestra verso l’oscurità più assoluta; il pendolo con i suoi ticchettii lenti e sommessi falciava il tempo, segnando le quattro meno un quarto del mattino e scrollando sulle spalle della giovane vampira un’ansia e una paura che lei ben conosceva.
Espirò a tratti e si massaggiò le tempie accantonando le stesse immagini che si erano fatte vive per tutto il tempo e a cui non era riuscita a conferire un significato logico.
Tese il braccio verso l’abajour e, con le dita che tremavano, azionò il pulsante così che la stanza venne divelta dalla luce artificiale.
Caroline rilassò la fronte contratta e poté proseguire la sua gita notturna in casa Salvatore.
Si riempì un bicchiere di acqua e bevve avidamente, sorso dopo sorso, fino a sentire che l’arsura alla gola era lievemente scesa.
Ripose il bicchiere nel lavabo e dopo essersi con il dorso della mano stropicciata gli occhi, vigili e senza alcun minimo segno di sonnolenza, si diresse nuovamente verso le scale, pronta a far ritorno alla propria camera.
Non fece in tempo a salire completamente il primo gradino che una strana sensazione l’avvolse incutendole una sviscerante paura che la fece intorpidire fino alle punte dei piedi.
Caroline cominciò a sudare freddo e corrucciò lievemente le finissime sopracciglia dando un fugace sguardo all’imponente rampa di scale che si estendeva davanti a se.
Non sarebbe riuscita a chiamare Stefan. Damon non sarebbe accorso per lei.
Eppure Care sentiva che non era una delle sue solite crisi dovute al buio, non era il sangue adesso il nemico che avrebbe dovuto affrontare.
Era un qualcosa dietro di lei che sembrava gorgogliare, sbattere violentemente con l’intenzione di attirare la sua attenzione.
La bionda boccheggiò un attimo e contò – uno, due, tre, quattro, cinque - prima di reprimere quell’istinto che la costringeva a fuggire, a chiudere gli occhi e soffocare un urlo.
Voltò il capo con una lentezza innaturale mentre le sue pupille dilatate sbalzavano verso i vari angoli della stanza pronti a fronteggiare macchie di sangue inesistenti.
Nessuna traccia rossa, nessun rivolo scarlatto, solo la porta di quella cantina tanto odiata quanto desiderata che la osservava dall’alto della sua sommità quasi facendosi beffe di lei e protraendosi verso di lei, verso l’oscurità che incombeva.
Caroline divaricò le gambe, osservò in tralice la porta e la sua fronte si imperlò di sudore freddo.
Non riusciva a spiegarselo bene, ma aveva come l’impressione che la porta si sarebbe spalancata da un momento all’altro, con i suoi sinistri cigolii.
E il mostro sarebbe uscito, avrebbe spalancato le sue possenti fauci, e per Caroline sarebbe stata la fine.
La vampira si avvicinò cautamente alla cantina, così come un bambino si avvicina tremante e colmo di povero coraggio verso l’anta semiaperta del suo armadio.
Il fiato le si era mozzato in gola e i denti trattenevano il labbro inferiore mentre le spalle nude e ricurve della vampira sembravano farsi più esili e trasparenti alla lieve luce del lampione nella veranda che si insinuava attraverso i vetri delle finestre.
Lo sguardo rotolò lungo l’imponente porta, concentrandosi sulla minuscola fessura della serratura da cui fuoriusciva una curiosa chiave in ottone, che, Caroline ne era sicura, non c’era mai stata.
Ricordava ancora l’aria austera e di forte rimprovero che assumeva Stefan ogni qual volta gli occhi color giada di lei indugiavano più volte in quella direzione, di come Damon continuava a sviarla e a ripeterle che, per il suo bene, era meglio non sapere cosa custodissero là sotto.
E Caroline aveva annuito - sarebbero serviti solo pochi minuti per distrarla e farla ritornare alle sue occupazioni -, aveva voltato le spalle e aveva promesso che non avrebbe mai disubbidito loro.
Ma le dita dietro la schiena risultavano sempre incrociate.
Forse che quella, quindi, era un'altra immagine distorta regalatole dalla sua mente insana?
Le mani diafane della vampira armeggiarono per afferrare bene il bizzarro oggetto e Caroline contrasse le labbra in una smorfia di stupore nello scoprire il freddo e ruvido contatto con quella chiave così reale.
Con una decisa e secca rotazione del polso, fece scattare la serratura.
La porta si aprì con un sinistro stridio provocato molto probabilmente dai vecchi e arrugginiti cardini, spessi e neri.
Gli occhi di Caroline si accesero di curiosità, come la prima volta che aveva tentato invano di perlustrare quella celata parte della casa, e con un macigno in petto sbirciarono oltre la sottile fessura, inghiottendo solo oscurità e nient’altro.

E’ solo una cantina continuava a ripetersi per farsi coraggio, nonostante le ginocchia stessero per cedere.
Una remota paura prese possesso del suo cuore e non se ne spiegò il motivo.
Poi un guizzo, tra la folta oscurità, un tonfo di passetti leggeri e una chioma biondastra si fecero vive tra le tenebre grigiastre – il buio adesso non faceva più così paura.
La figura minuta e preziosa fece oscillare lieve la sua gonnellina di pizzo blu e rivolse un timido e perfetto sorriso alla vampira, inorridita e alquanto turbata della scena a cui stava assistendo.
Le unghie artigliarono uno stipite della porta e Caroline inarcò un sopracciglio.
Che i Salvatore tenessero davvero rinchiusa una bambina in quell’orrenda cantina?
Una molla scattò in Caroline, che mosse il piede e dopo l’altro, abbracciando definitivamente quell’oscurità, con un alto tasso di eccitazione alimentato dall’accesa curiosità di raggiungere quella bambina in quell’antro oscuro.
La porta le si richiuse alle spalle, sigillando e celando agli ignari vampiri dormienti nella pensione della trasgressione della bionda.
Che ci credesse o meno, Caroline sapeva che se il mostro non fosse venuto da lei, sarebbe stata lei a raggiungere se stessa – là sotto, in profondità.

 

* battuta penosa quella di Caroline, ma non ho saputo trovare di meglio. L’unica allusione che sono riuscita a formulare è quella della lunghezza maggiore dei canini e quindi della richiesta di un dentista. Lo so, perdonatemi!

 

Salve miei cari, come vedete prima di Natale il tanto atteso momento è arrivato: Caroline entra in cantina. Ma andiamo con ordine analizzando per intero le vicende raccolte in questo capitolo. Il titolo racchiude il vero significato di questa parte importante della storia, appunto la chiave che darà una svolta alle vicende che coinvolgono i tre coinquilini. Il flashback contrassegnato come [undici anni prima] è la prima parte della notte in cui Stefan pensa di aver ucciso Caroline, in modo particolare questa è la parte in cui Caroline esce dopo quattro mesi dalla cella, è spaventata, confusa e l’assenza del suo migliore amico – Bunny – la rende triste non solo perché ha perso il suo peluche ma perché insieme ad esso anche Stefan si è perso, la sua parte umana e quindi quella che a Caroline piace ricordare.
Ma tornando al presente, come avrete notato non scorre buon sangue tra Damon e Lexi ma alla fine nonostante le lamentele del maggiore dei Salvatore viene approvata l’idea della vampira con la sola eccezione che sarà Damon a custodire la chiave. Questo è uno dei momenti più significativi e profondi che ci saranno tra i fratelli Salvatore e a cui farà capo solo un altro (che ho già in mente e a cui tengo particolarmente). Stefan ripone tutta la sua fiducia in Damon, un qualcosa che non aveva mai fatto prima (vi ricordo che la trama è distaccata dal telefilm per cui gli eventi di questa storia incidono sul carattere dei personaggi in maniera diversa) e Damon ovviamente si sente turbato e in lotta con se stesso visto che, a dirla tutta, non sa se è veramente in grado di mantenere tale fiducia. E’ un momento complesso che avrà delle ripercussioni interessanti nei fatti del prossimo capitolo! Caroline continua ad avere visioni, immagini e ricordi a cui non riesce a dare una spiegazione ben logica. Teoricamente lei non ha perso la memoria, ha semplicemente omesso dai suoi ricordi tutta quella parte della sua prigionia e nonostante le numerose sedute psichiatriche niente è riuscito a farle riacquistare la memoria semplicemente perché nessuno poteva mai immagina ciò che aveva passato e quindi ricreare gli eventi. Ora che è vampira molte cose sono più chiare e con il continuo incitamento di Katherine questo processo del ricordare si è accelerato. E Lexi per aiutare Stefan si intrufola nella mente della biondina e devia ogni immagine che potrebbe farla ricordare – vi ricordo che Caroline non è totalmente a conoscenza del grande controllo mentale che possono avere i vampiri.
Katherine e Damon. Forse vi starete chiedendo come ho fatto mai a scrivere di un Damon così facilmente persuadibile, semplicemente Damon non ha Elena come distrazione e quindi subisce ancora un certo fascino da Katherine, ma non è nulla di serio fidatevi. In fin dei conti lui stesso pur avendo la chiave afferma che la soluzione migliore sia spiegare tutto alla sorellina.  Ecco la chiave. Vi starete chiedendo chi ce l’avrà mai messa lì? Questo si capirà meglio nel prossimo capitolo perché ovviamente si affronterà il discorso! La bambina che Caroline vede è proprio lei da bambina, forse un po’ inquietante ma è il frutto del suo subconscio che tenta di condurla dove lei stessa sa che ci sono delle risposte.
Concludo il mio
sermone con lo spiegarvi cosa intendessi dire con “Ma i canini affilati miravano al cuore” del capitolo precedente: avete risposto in maniera differente e sono felicissima che tutte l’abbiate pensato diversamente; secondo la mia interpretazione, i canini e il cuore non erano del tutto reali, ma per canini intendevo la bella vampira riccioluta che con quel discorso a Caroline aveva solo iniziato ad infliggere il male che stava da tempo progettando e che quello stesso male non era indirizzato solo alla vampira bionda ma all’intero cuore per cui anche ai due fratelli Salvatore. E’ un po’ intricato come ragionamento ma era giusto che sapeste ciò che avevo intenzione di comunicare.
Quindi: cosa succederà in cantina e come farà Care a ricordare? Vi anticipo che il prossimo capitolo sarà molto crudo e il faccia a faccia tra Stefan e Caroline sarà il cuore di tutto il capitolo.
Grazie ancora per le splendide recensioni ♥
A presto,
Sil

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Capitolo 12
*** 12. Illuminati ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

http://localhostr.com/file/8DYT3SG/unspoken%20crime.png 

[Undici anni prima]

 I piedi di Caroline sono tutti bagnati e c’è del fango sul suo vestito di pizzo blu.
Continua a camminare la bimba, in silenzio, la sua mano è strettamente serrata a quella di Stefan.
Il bosco gorgoglia in modo strano, le ombre degli alberi appaiono cupe e minacciose ad ogni lampo, ad ogni tuono. Si scuotono, ringhiano ferocemente.
Le labbra rosse di Caroline tremano, un po’ per il freddo, un po’ per il terrore.
Cade la piccola su un letto di foglie marce: vuole andare a casa, vuole andare
davvero a casa.
Stefan la strattona per la gonna, la scuce, la trascina per quasi mezzo metro.
Caroline si rialza, zoppica, la pioggia e il fango le offuscano la vista.
“Perché mi fai questo?” urla, piange, ma la
bestia continua a camminare.
Il cielo sbuffa minaccioso e gli alberi si sradicano per il forte vento, si spezzano, urtano le guance scarne della povera Care. Gli arbusti come artigli le graffiano le gambette già rigate di rosso, sguardi cupi e minacciosi sembrano riservarle le cortecce rugose degli alberi.
“Cammina! Devo portarti a casa” ringhia Stefan. I suoi occhi sono rossi come il
sangue.
Ma Caroline non obbedisce, ha paura, vuole scappare, da lì, dal mostro.
Affonda le unghie nel terreno nero e maleodorante. Stefan la strattona più forte.
Le avrebbe potuto rompere il braccio,
se solo avesse voluto.
Caroline grida, spera che qualcuno la possa sentire. Grida fin tanto da non riuscire più a sentire le sue urla.
Stefan molla la presa sul polso ossuto di Caroline.
Ma lei scivola, una scarpetta consumata vola per aria, sbatte la testa.
Il sangue denso e caldo sgorga dalla tempia, scivola fino alla sua guancia, macchia alcune foglie, si deposita tra le dita di Stefan.
La bimba apre gli occhi, arriccia il naso.
Stefan piange.
“Non lo capisci piccola Care? E’ il sangue che mi rende così. Ho paura di quello che potrà capitarti stanotte”
Stefan l’accarezza, la culla, la fa sentire al sicuro, la ripara dalla pioggia e dalle paure.
“Anche io ho paura del sangue, proprio come te. Siamo simili” balbetta sottile la bimba aggrappandosi ad un lembo della sua giacca.
Ma Stefan non la sta più a sentire, le sfiora il collo pulsante e Caroline si rannicchia su se stessa, scava la terra, cerca un riparo.
Era tornato
insieme al sangue. Era tornato per il sangue.
I denti sfilzano la carne, le narici dilatate assaporano il liquido, le mani premono sul corpo martoriato di Care.
Un altro lampo e tutto ciò che Caroline vede è
bianco.

 

12. Illuminati

 

Suddenly my eyes are opened
Everything comes into focus
We’re all
illuminated, lights are shines on our faces – blinding.
(Illuminated – Hurts)

 

Era molto più grande di quel che sembrava. La cantina.
Caroline non avrebbe mai immaginato che sotto il già immenso pensionato Salvatore si potesse snodare una fitta rete di cunicoli, stanze e celle.
Il già sottile sopracciglio si era inarcato scettico più di una volta alla vista di quelle stanze vuote con le sbarre alle minuscole aperture che fungevano da finestre.
Possibile che in sette mesi non avesse notato niente?
La vampira aveva sceso i gradini attutendo i passi e facendo scorrere la mano lungo la ringhiera arrugginita.
Aveva strizzato un po’ gli occhi, sicura che al successivo battito di ciglia la bambina sarebbe scomparsa e la stanza avrebbe assunto tonalità tendenti al rosso.
Invece la piccola figura trotterellava di fronte a lei, arrestava il passo in attesa che la raggiungesse, sbadigliava e mormorava.

Canticchiava la bambina, sembrava felice *.
«Vuoi dirmi chi sei?» aveva chiesto indispettita, ma le labbra erano diventate subito sottili, già pentitesi di aver posto quella domanda a quello che Caroline sapeva essere il perfetto nulla.
La vergogna le era salita alle guance senza che esse si tingessero di rosa pesco come solevano fare quand’era umana.
Erano esattamente centoventitre i gradini che occorreva scendere per giungere in cantina e Caroline era stata ritta precisamente sopra il centoventiduesimo.
Con mano tremante aveva tastato la parete ruvida e spigolosa sotto lo sguardo vigile e attento della bimba, la quale osservava Care con i suoi grandi occhi verdognoli.
Le dita della vampira avevano intercettato qualcosa di metallico e duro e, con solo una maggiore pressione, la galleria si era illuminata di una fioca, ma pur sempre efficace,  luce al neon proveniente dal soffitto incrostato di ragnatele.
La bimba aveva riso e, sbattendo le lunghe ciglia, fremeva dalla voglia di aprire quella porta, come se al suo interno si celasse una fabbrica di caramelle.
E Caroline aveva sbuffato, aveva portato un ciuffo ribelle dietro l’orecchio e aveva aperto la porta metallica accondiscendendo ai capricci dell’infante.
Non che Caroline avesse meno voglia di scoprire cosa ci fosse in cantina, anzi la sua curiosità era nettamente quintuplicata, ma la presenza di quella vaga allucinazione – sempre se quello era – la metteva a disagio e la induceva a riguardarsi dal proseguire o meno.
La bionda fece scivolare le mani sopra le fredde e rigide lastre di metallo delle celle e continuò il suo percorso, con al seguito la bimba scorrazzante.
Magari in quel momento non l’avrebbe ammesso, ma in cuor suo Care si stava divertendo: la paura stava lasciando posto al suo spirito fanciullesco e, così come quella bambina, trovava divertente sporgere la testa dietro i teloni bianchi, dentro i cartoni accatastati in qualche angolo, curiosare tra le anguste strettoie e i cunicoli impolverati.
Probabilmente uno spettatore estraneo avrebbe fatto fatica a comprendere chi delle due fosse la bambina.
La vampira s’imbatté in quello che ad occhio e croce doveva essere un bancone-frigo, simile a quelli che si trovano ai supermercati e in cui Caroline di solito stava tre buoni quarti d’ora per scegliere il gusto del gelato.
Ma non c’erano gelati per Caroline questa volta, non lì.
La bionda incollò le sue labbra al palmo aperto sul suo volto con la giusta intenzione di non lasciar trapelare alcun centimetro cubo di aria. Deglutì e le orecchie fischiarono per la forte pressione mentre un reflusso esofageo si sforzava di risalire lungo la sua gola.
Era sangue, tanto sangue, un po’ conservato in bottiglia e stipato secondo la propria annata e la provenienza, un po’ congelato in sacche che riportavano ancora l’indirizzo e il nome dell’ospedale di Mystic Falls.
Era uno spettacolo raccapricciante di cui la bambina sembrava non curarsene: la sua mente e i suoi desideri erano altrove.
Le spalle di Care si alzarono ritmicamente e l’odore raggelante del ghiaccio e del sangue represso le otturò le narici.
Il ronzio frenetico del motorino non le permetteva di ragionare lucidamente e fu tentata di dare un calcio a quell’ammasso di ferraglia, ma la risposta al perché i due fratelli Salvatore non le avevamo permesso di raggiungere la cantina adesso a Caroline appariva tanto semplice quanto sciocca, tanto da farla sorridere di quell’orrendo spettacolo.
Che Stefan fosse altamente premuroso con lei, questo l’aveva sempre saputo. Ciò che non si sarebbe mai aspettata era che anche Damon, così poco incline a seguire le regole, avesse deciso di appoggiare il fratello e di costruire quella – era proprio il caso di dirlo – storiella del mostro.
Eppure continuava a prenderla quella paura sviscerante tanto da farle corrugare la fronte alla vista del broncio modellato sul viso della bambina.
Caroline inarcò severa un sopracciglio quasi come a voler dire ebbene che altro c’è ancora? Ma teneva nascosta la mano tremante e leggermente sudata ancora avvinghiata alla maniglia del bancone.
Un formicolio la prese all’altezza della nuca e fu costretta a mordersi l’interno della guancia destra per non recidere l’incrocio di sguardi che si era venuto a creare fra lei e quella bambina – fra lei e lei.
Guardandola per bene, Caroline era certa che assomigliasse tantissimo a lei.
Non che Care ricordasse molto della sua infanzia, sia pur questa prima o dopo il rapimento, ma quelle ciocche biondastre e quelle scarpette blu la inducevano a credere che fosse realmente lei.
La bimba accennò due o tre passi e poi saltellò in direzione di uno stretto cunicolo, ridendo gaudente.
La vampira schioccò la lingua indispettita dalla tanta vivacità della piccola e si decise a proseguire nella sua stessa direzione.
L’avrebbe giurato Caroline, ma, nonostante il momento non propriamente adeguato, poteva sentire perfettamente la voce alquanto ironica e tagliente del maggiore dei Salvatore che la richiamava dalle sue fantasie fanciullesche. Le avrebbe detto la tana del Bianconiglio è dall’altra parte, Alice o qualcosa di quel genere e lei avrebbe fatto una smorfia simile ad un sorriso, trattenendosi dal fare una linguaccia al vampiro centenario.
Ma in quel momento Damon non c’era e non le avrebbe più impedito di arrivare alla destinazione da lei prefissata.
Arrestò i propri passi non appena varcò la soglia dell’ennesima cella e il sorriso le si ghiacciò in volto.
Un’atmosfera tetra, quasi lugubre, aleggiava in quella stanza, compressa tra le quattro mura sgretolate e impregnate di sudiciume.
Una brezza leggera filtrava dalle sbarre, corrose dalla ruggine, e spirava fresca e umida facendo rabbrividire la bionda.
La minuscola sbarra in legno era fissata alla parete da due catene spesse e nere e presentava lungo tutta la sua superficie segni di graffi, morsi, incisioni, macchie.
A Caroline le si rivoltò lo stomaco e le si accapponò la pelle ma non se ne spiegò il motivo.
Due ciuffi giallastri intravide nel bel mezzo della semioscurità vegliante, un muso sporco e due orecchie logore.
La vampira allungò la mano e la sentii scottare, friggere a quel tocco.
La stanza iniziò a vorticare e la luce del primo mattino a farsi largo in quella cella umida e sporca – la sua!
Caroline premette forte le dita all’altezza delle meningi e un dolore lancinante iniziò a fasciarle la testa, annebbiandole la vista, storpiando le immagini e i suoni.
Ricordava quelle mura frastagliate e vittime di tanti graffi e pugni; ricordava il pavimento trasudante sangue, polvere e sporcizia che le si intrufolava e si incrostava nelle unghie delle mani; ricordava quell’asse di legno martoriato su cui aveva reclinato troppe volte il capo permettendo al mostro di cibarsi di lei; ricordava le crepe sul soffitto e i lineamenti discordi delle ragnatele così simili alle ustioni e ai graffi che portava sulla pelle ancora vergine; ricordava ogni foro sulla sua pelle – nel collo, nei polsi, sulle spalle – e ogni livido bluastro, ce n’erano tanti, troppi; ricordava il volto del suo assassino, le iridi del mostro feroce, i lineamenti della mascella e dei canini aguzzi e poi ricordava degli abbracci – caldi, quasi umani* -, delle carezze e Bunny.
Nonostante la discordanza dei pensieri che si susseguivano nella sua mente, Caroline ricordava, nulla avrebbe potuto rimediare a ciò.
Barcollò e sembrò aggrapparsi a quello che era stato per quattro interminabili mesi il suo amico più caro e di cui adesso rimaneva solo la carcassa dismessa del pupazzo.
Lo portò al petto e le sembrò che il cuore le pompasse il sangue in testa, tanto le pulsava.

Sangue, sangue, sangue.
«Care»
Un rantolio lieve si fece largo attraverso la cella, ma la vampira individuò quel suono come un qualcosa di reale, percepibile quasi a pelle.
Il collo della vampira ruotò e così fecero il busto e le gambe.
Bunny cadde a terra e l’ovatta grigiastra e ridotta quasi a fuliggine fuoriuscì dal petto.
Il volto di Stefan era il pallido riflesso del volto di uno spettro: così rigido nella mascella, così arso all’altezza degli occhi.
E un ringhio cupo e minaccioso nacque dalle viscere più insite della vampira.

 

A casa Salvatore non era una novità non dormire la notte. Le poche volte che tutti gli inquilini del grande pensionato rimanevano chiusi nelle loro camere abbandonati nelle braccia di Morfeo erano più uniche che rare.
A volte qualcuno rimaneva sveglio fino all’alba a fissare il crepitio del fuoco con un bicchiere di Brandy colmo fino all’orlo; a volte qualcuno rimaneva a contemplare le stelle, seduto sul davanzale della finestra con le gambe a penzoloni; a volte qualcuno rimaneva e basta e richiudeva per l’ennesima volta le valigie vuote da tanto tempo.
Ma mai come quella notte casa Salvatore era stata così sveglia e Damon lo percepiva fin dentro le ossa centenarie.
Il vampiro spostò dal suo torace il braccio bruno di Katherine la quale posava placidamente la testa sopra la sua clavicola destra.
Era straziante vedere come quell’essere, così malvagio e calcolatore da sveglio, durante il sonno si tramutava in un’innocua bimba dai riccioli leggermente disfatti. Per Damon, che fosse sveglia o nel più tranquillo dei sogni, quella rimaneva pur sempre Katherine ed essendo Katherine sarebbe stato meglio non farsi trovare nel suo letto al sorgere del sole.
La maniglia di qualche porta si abbassò e Damon corrugò le folte sopracciglia,  curioso di sapere chi fra i tanti coinquilini non si fosse concesso ad un sonno ristoratore e quali fossero i problemi che lo avevano costretto a rimanere sveglio fino a tarda ora.
Ad ogni modo Damon sperava che i problemi del presunto vegliante fossero decisamente più gravi dei suoi.
Si raddrizzò sul materasso incurante della vampira, dormiente sul suo petto, la quale al suo repentino movimento scivolò cauta sul cuscino sottostante rotolando poi con le lenzuola al seguito.
Il maggiore dei Salvatore tastò il pavimento trovando la cinghia dei suoi pantaloni e il tappo della bottiglia di Whiskey.
Gli ci vollero ben venti minuti per ritrovare i suoi indumenti – compresi i suoi boxer ritrovati chissà come ciondolanti sul lampadario – e quando finalmente si richiuse la porta alle spalle, chi si trovò davanti non fu esattamente chi si sarebbe aspettato.
«Pocahontas?» disse non riuscendo a nascondere la sua aria alquanto stupita.
Lexie roteò gli occhi maledicendosi per aver fatto così troppo rumore – o forse per aver accettato la camera adiacente a quella del vampiro dagli occhi azzurri.
«Non si riesce a dormire in questa casa, troppo rumorosa» sputò sarcastica rigirandosi fra le mani le trecce biondo cenere.
Damon inarcò un sopracciglio non ancora ripresosi dal sonno, dalla sorpresa – e forse anche dalla sbornia.
La vampira incrociò le braccia al petto, visibilmente indispettita, e stranamente preoccupata stava di fronte a quella che Damon si accorse poco dopo essere la stanza di suo fratello.
«Bussi tu o busso io?» domandò alla bionda che nel bel mezzo dell’oscurità lo trucidò con lo sguardo tanto da far indietreggiare impercettibilmente il maggiore dei Salvatore.
«Non riesco a trovare Caroline» spiegò e il sorriso di Damon scemò fino a scomparire nel nulla.
Come faceva a non trovare Caroline? Lei non era un dannatissimo oggetto dimenticato nel fondo della borsa o sperduto in qualche cassetto.
E a dirla tutta, Damon riconosceva il fatto che non era possibile non trovare Care – lei si faceva trovare, in qualunque posto ella fosse.
«Allora bussa tu» si limitò a dire con un leggero ghigno dipinto in volto, questa volta pregustando parte del panico e della colpa che suo fratello avrebbe addossato a lei – per poi accusare lui, ma dettagli!
«Che è successo?»
La voce di Stefan fece sobbalzare i due cospiratori e uno sguardo piuttosto confuso si delineò sul volto del Salvatore, vestito di tutto punto.
A Damon sembrò che le sopracciglia del fratello si sarebbero potute unire in una linea continua tanto la fronte era aggrottata.
«Che cos’è una riunione di condominio?» abbaiò Damon, fintamente ignaro, lanciando sguardi dispersivi e molto spesso non colti da Lexie la quale continuava a sbalzare le pupille color verde oliva da un Salvatore all’altro.
Stefan - che emanava un lieve sentore di coniglio misto a qualche altra bestiola selvatica – serrò le braccia al petto non riuscendo a cogliere il significato di quel teatrino inscenato dai due vampiri che, c’avrebbe messo la mano sul fuoco, non avrebbero mai collaborato e che invece lo stavano escludendo da una conversazione di sguardi a lui non indirizzata.
Damon ci rinunciò: la situazione stava diventando patetica.
«Abbiamo perso qualcosa» si sforzò di rimarcare l’ultimo termine al fine di far accendere la lampadina che il fratello aveva evidentemente spento da tempo immemorabile.
Stefan inarcò un sopracciglio attendendo una spiegazione esauriente al messaggio criptico del vampiro di fronte a lui.
«Caroline è scomparsa» tagliò corto la vampira ricevendo due o tre paia di stilettate da parte di Damon il quale si maledisse di non avere un paletto a portata di mano.
Ebbero appena il tempo di scorgere lo sgomento del minore dei Salvatore trasparire dai suoi occhi verdi, che Stefan era già in corsa giù per le scale.
Il luogo, facile da intuire.
«La chiave è al sicuro vero?»
Gli occhi di Lexie si assottigliarono divenendo quasi due fessure mentre con mano veloce artigliava il collo ben tornito del Salvatore sbattendolo contro la parete grigia.
In effetti, ora che Damon ci pensava meglio e senza essere sotto l’effetto dell’alcol, l’idea di nascondere la chiave proprio dove nessuno l’avrebbe mai cercata, ovvero all’interno della toppa della porta non appariva più come la più astuta delle idee.

 

«Ciao Care»
Erano queste le uniche due parole che le labbra rigide e sottili di Stefan riuscivano a mimare – non pronunciare – con estrema difficoltà.
Gli occhi erano costretti ad assistere ad uno spettacolo già visto, ma a cui questa volta Stefan non aveva nessuna voglia di partecipare: Caroline stava ritta dinanzi la panca dove più volte aveva usato nascondersi – come se un pezzo di legno sopra la testa l’avrebbe potuta proteggere -, le pupille dilatate e lucide di conoscenza le rendevano gli occhi ancora più grandi di ciò che erano e i muscoli delle gambe – quasi elastiche - erano contratti, per sgusciare via e scappare il più lontano possibile.
Ciò che frenava Caroline e la tratteneva inchiodata al pavimento era la consapevolezza di non avere alcun posto dove andare.
Si sentiva in trappola proprio come undici anni prima.
«Sta lontano da me» grugnì la vampira distendendo i tendini e sentendo la pelle intorno al viso accartocciarsi e bruciare violentemente.
Era lui, il mostro. Era Stefan.
Qualcosa in fondo allo stomaco continuava a risalirle in gola e le riempiva la bocca di disprezzo e di odio nei confronti di quell’essere che aveva creduto essere amico.
Ma ciò che più non riusciva a rigettare, che le scorticava le viscere, era la delusione, la più totale e completa delusione nel riscontrare che in quel reietto di vampiro non vi era più traccia dell’essere spregevole e meschino che un tempo le aveva fatto vivere i suoi peggiori incubi.
Stefan indietreggiò e posò le mani di fronte al viso, come un delinquente all’arresto, perché in fin dei conti era questo che era: un assassino.
Pregò intensamente che il pavimento cedesse in quel preciso istante facendolo sprofondare agli inferi, ma nonostante le continue implorazioni i due rimanevano immobili, gli occhi dell’uno infilzati in quelli dell’altro.
Qualcosa si mosse tra le due costole del vampiro, ma non era il cuore. Era codardia la sua, codardia allo stato puro.
«Caroline, ascoltami io-» tentò di sminuzzare Stefan ma la vergogna e il ripudio per se stesso lo sovrastavano tanto da non riuscire a pensare lucidamente.
«Come hai potuto: rubare una bambina, rinchiuderla, abusare di lei, cibarti di lei, ferirla.» La voce di Caroline aumentava di tono ad ogni parola sputata di fronte al vampiro la cui distanza si annullava sempre di più. «I buoni propositi, tutte le regole, la questione sui sentimenti delle persone, il non aggredire umani, il controllo, tutte menzogne, tutto è andato a puttane?»
Gli occhi di Caroline si accesero di ira e non riuscì a vedere che rosso per un raggio di circa dieci metri.
Le nocche di Stefan divennero quasi bianche e le orecchie si sentirono frustate di ricevere quegli insulti - come denti in pieno viso*.
La vergogna e il disprezzo andarono scemando e Stefan fu tratto in salvo da qualcosa che egli riconobbe come orgoglio, il medesimo che molto spesso aveva calpestato. In verità la forza che riusciva a mandarlo avanti anche sull’orlo del precipizio era la paura insostenibile del male che Care si sarebbe procurata inconsciamente e senza nessun freno.
Dopotutto Stefan era sempre stato schifosamente altruista, anche nei suoi periodi più bui.
«No Caroline! La verità è che questo sono io! Il mostro di undici anni fa è parte di me ma ciò non significa che sia stata una mia scelta»
Gli occhi di Stefan ardevano di luce proprio mentre la stanza sembrava essere avvolta dalle fiamme dell’alba del nuovo giorno.
Le guance di Caroline si gonfiarono di rossore e i canini affilati sgusciarono via dalle labbra, dischiuse in un ringhio, mentre una scarica di adrenalina le percorreva l’intera spina dorsale. Serrò i pugni e, nonostante l’abitudine alla sua velocità vampiresca, si accorse di essersi avventata sul vampiro solo quando le mani si scontrarono violentemente contro la mascella marmorea del Salvatore scaraventandolo fuori dalla cella per circa metà corridoio.
«Non è stata una tua scelta? Mi fai schifo, per il semplice fatto che fingi di essere ciò che non sei. Tu, come me, come Damon, come tutti i vampiri di questo dannatissimo universo sei un assassino, ti nutri di sangue, ti sei nutrito del mio sangue» sputò Caroline, gli occhi densi e rossi non lasciavano trapelare nulla delle iridi color giada e le increspature lungo i due zigomi le deturpavano il volto.
«Non capisci. Ero schiavo del sangue umano, non resistevo, ne avevo bisogno sempre di più. Avevo pensato che trovando un essere capace di suscitare la mia compassione forse sarei potuto guarire»
Stefan strisciava ormai, il volto rigonfio e macchiato di sangue.
Care non ne fu certa se fosse la visione del sangue o di quelle parole e darle il voltastomaco.
«Ciò che ha fatto Damon in passato non è niente in confronto a te» sentenziò acida la bionda avanzando a grandi falcate in direzione del vampiro agonizzante.
«Caroline, anche io ho paura del sangue. Siamo simili io e te» esordì il minore dei Salvatore e la vampira bionda arrestò il proprio pugno e ripiegò le fauci ancora aperte pronte ad affondare i propri denti.
Uno strano senso di dejavu la colse inaspettata e tutta la sua insicurezza, la sua frustrazione, il suo malessere si riversarono su di lei, sommergendola.
Caroline lasciò andare il colletto della maglietta del vampiro e le ginocchia barcollarono, giusto il tempo di crollare sulla superficie piatta del pavimento.
«Perché mi hai fatto questo?»
Questa volta più che un’accusa alle orecchie del Salvatore sembrò essere una supplica.
La bionda continuava con colpi secchi e decisi a trapanare il torace del vampiro, ancora, ancora più forte.
Ma l’odio spariva, il rancore si sgretolava e Caroline voleva spegnerlo per sempre il suo cuore, cavarselo dal petto ed ignorarlo per il resto della sua esistenza.
Due braccia l’avvolsero e nonostante il ripudio, il disgusto, l’orrore che la spingeva a morderle, a lacerare la carne e a ridurla a brandelli, non ebbe altra scelta di infilzare le sue unghia su quelle braccia, di graffiare il suo petto con i canini affilati, di abbracciarlo e di fargli del male, tanto male perché ora riconosceva che la storia si sarebbe ripetuta.
In fondo si facevano male e bene allo stesso tempo e in egual misura.
«Il sangue» tremò la voce di Caroline e gli occhi inorridirono alla vista del liquido appartenente a Stefan sulle sue dita e sulla sua guancia.
«Stefan, il sangue» urlò ma già la trasformazione stava avvenendo.
Il mostro aveva di nuovo fame di lei.
Stefan deglutì rumorosamente e si avventò sulla bionda, bloccandole i polsi e tentando di costringerla a fermarsi e a non dimenarsi.
I capelli biondi oscillavano e le si ingarbugliavano in viso come tentacoli viscidi e le gambe calciavano in aria con la stessa velocità di un cavallo imbizzarrito.
«Caroline, va tutto bene, va tutto bene. Non succederà niente, te lo prometto» continuava a ripetere il vampiro come un ossesso mirando a suo malgrado la sua piccola Care vittima della sua innata pazzia.
Una svista e Stefan si ritrovò con il collo pendente tra le fauci della vampira la quale si ritorse con le labbra grondanti di sangue.
Il Salvatore non diede peso alla sua maglietta rigata di sangue né a quello invitante sulle labbra della vampira: doveva salvarla, da se stessa.
La strinse a se, le sue braccia fasciarono la vita sottile della bionda la quale non demordeva dal difendersi.

Caroline soffocò un grido, afferrò la mano di quel mostro per allontanarla, ma niente: deglutiva, inghiottiva sangue e lacrime amare*.
«Caroline, guardami: io non ti farò del male, nessuno vuole fartene»
Stefan accolse la testa di Care tra le sue mani ripulendola dallo sporco e dai fili dorati che le intralciavano la vista.
«Non mi farai del male» masticò la vampira in preda al terrore, ma le sue parole risuonarono false anche per le sue povere orecchie.
Gli occhi verdi e brillanti si accesero di luce intensa e le increspature sulle guance si stirarono.
Stefan fu tentato di piegare gli angoli della bocca in un sorriso, ma il cipiglio evidente sul viso della bionda lo fece tremare più del dovuto.
«Ma questa non è più casa mia» decretò e quelle parole freddarono il vampiro più di un proiettile di legno in pieno petto.
Stefan lasciò andare i suoi polsi ossuti e reclinò il capo evitando di farsi trafiggere ancora una volta dal suo sguardo.
«Allora vai, Caroline»
Un fruscio d’aria e Caroline scomparve molto più in fretta di quanto Stefan avesse mai osato immaginare.
Il sole spingeva prepotente contro le inferriate delle celle circostanti inondando il corridoio di un denso color giallo oro.
Stefan pianse mentre le fiamme dell’inferno lo avvolgevano.

 

Caroline non aveva mai utilizzato appieno i suoi poteri da vampira.
La forza disumana, l’ipersensibilità uditiva, la velocità fulminea erano tutti optional che aveva dovuto arrecare a se una volta che aveva affondato i denti nel collo della prima persona.
Care aveva deciso di continuare a vivere come se niente fosse successo, facendo trasparire ogni singola emozione, difetto o pregio di cui soleva essere fatta da umana.
Ma gambe umane non avrebbero retto il peso dei ricordi che brutalmente le offuscavano la vista.
Risalì in fretta Caroline quelle stesse scale che aveva tentato per ben due volte di scendere e di ispezionare: come se ne pentiva!
Sentì il passamano freddo e rigido incrinarsi sotto la sua salda presa e la porta sbalzare velocemente una volta che le ebbe dato un calcio.
Il tappeto ricamato sotto di lei si arrotolò piegandosi in ampie onde e la vampira perse l’equilibrio scivolando malamente sul parquet.
Le sue mani non più bianche si trattennero alla cassettiera e con uno slanciò riuscì a riprendere la corsa.
Stava scappando, ma da chi?
Due abili braccia la fermarono costringendola a volgere lo sguardo all’insù.
«Cos’è successo Caroline?» chiese Damon i cui occhi traboccavano della medesima paura e vergogna intravisti in quelli del fratello.
«Cristo, Caroline rispondi!» le urlò in faccia strattonandola e convincendola a parlare, ma la bionda era scossa da spasmi convulsi.
Lexi gridò il suo nome imitando Damon ma la vampira manteneva un’espressione vuota e pressoché estranea alla realtà circostante.
Le sue narici erano impregnate dell’odore nauseante del sangue.
«Caroline»
Una voce più acuta e pari al miagolio di un gatto sovrastò le urla e i rimproveri dei due vampiri sovrastanti tanto che Caroline sbatté nuovamente le ciglia dopo un periodo di tempo lungo forse cent’anni – forse un secondo.
Katherine con le braccia aperte, fasciata da una sottile vestaglia di raso bianco, scoccava a Caroline occhiate dolci e rassicuranti porgendole la tanto agognata ancora di salvezza.
Gli occhi azzurri di Damon si assottigliarono quasi simultaneamente a quelli di Lexie non appena la vampira si scrollò di dosso le loro braccia e si rifugiò tra le grinfie del falso agnello.
Il sorriso diabolico dipinto sul viso della vampira dai capelli simili a serpenti segnò la fine di quella battaglia persa sin dall’inizio: aveva vinto Katherine, aveva vinto davvero!
«Spero che tu sia consapevole che la colpa di tutto questo è solamente tua» ringhiò Lexi picchiettando l’indice accusatore sul braccio di Damon.
Il Salvatore digrignò i denti e per un minuto i due si guardarono in cagnesco come due felini estranei e in disaccordo.
Damon affilò gli artigli.
«Sbaglio o è stata tua la brillante idea di coinvolgere anche me in questa causa? Mi hai detto di custodire la chiave e io l’ho inserita in quella maledetta porta perché era giusto che fosse così! Sapevate che non ero d’accordo, sapevate tutti che la cosa più giusta da fare era dirle tutta la verità ma non mi avete ascoltato - io non vengo mai ascoltato - per cui non lamentatevi adesso se ho mandato al diavolo la nostra allegra famigliola, piuttosto ringraziatemi che siete ancora vivi e non vittime di quella pazza assassi-”
Damon non aveva ancora concluso lo sproloquio che gli occhi della vampira si sbarrarono intercettando la presenza di un terzo individuo nella stanza.
Fu questione di un istante perché qualcosa di pesante e molto doloroso si abbatté sulla tempia del maggiore dei Salvatore facendolo sbalzare contro le vetrinette della cristalliera , cozzandole e infrangendole violentemente con le spalle.
Si udì solo l’urlo insolito di Lexie prima che il presunto aggressore si avventasse nuovamente su di lui.

 

*Le parole e le frasi contrassegnate da questo asterisco si riferiscono a citazioni e a momenti dei capitoli precedenti, un po’ per sottolineare che niente è scritto per caso ma ogni parola ha un peso fondamentale all’interno della narrazione.

 

***

Buongiorno miei cari lettori e buon anno!
Con l’inizio del 2012 ritorna Unspoken crime con il capitolo che molti di voi (spero) attendavate con ansia: quello della resa dei conti. Il capitolo si apre con l’ultimo flashback relativo all’infanzia di Caroline e che racconta, mi duole dirlo, la tragica fine delle sue sofferenze, ma non disperate: Caroline nel presente è viva per cui sarà successo qualcosa nel passato che verrà ulteriormente raccontato nei capitoli seguenti. Ho pensato di introdurre una colonna sonora almeno per questo capitolo e la mia scelta è caduta su Illuminated: trovo che sia una canzone eccezionale e se non sbaglio fa parte della colonna sonora del telefilm, inoltre il testo rappresenta appieno il momento drammatico che si sta vivendo in casa Salvatore. Per cui Caroline entra in cantina e nonostante la sua prima impressione riguardo la storia del mostro alla fine deve ammettere a se stessa che è tutto vero e che si trova nella stessa cella di undici anni prima; Caroline ricorda e tutto questo grazie al ritrovamento del pupazzo lasciato involontariamente da lei quando era bambina: come spesso accade il ritrovamento di un oggetto a cui si era particolarmente legati fa scattare la molla per far fuoriuscire i ricordi che sembravano compressi e persi. Per quanto riguarda la questione Damon e Katherine penso che li vedrete assieme dal prossimo capitolo, in un rapporto di amore e odio che li caratterizza ma che è destinato a finire in tragedia: lui valuta i piani della vampira e se c’è qualcosa che provoca dolore a Caroline – perché è evidente che lui nonostante la chiami pazza assassina tiene a lei - non desiste a rivoltarsi contro Kate. Stefan è alle prese con il suo senso di colpa e tenta di spiegare il perché lo ha spinto a rapire una bambina ma ovviamente non viene ascoltato e anzi rischia di essere ucciso dalla furia assassina della bionda, vittima di violenti sbalzi d’umore. Quando Care sembra essersi calmata informa il Salvatore della sua decisione e quindi di non voler più rimanere in quella casa, non più sua. E’ sconvolta ancora e troppo scossa e trova in Katherine l’unica figura di appoggio, l’unica di cui potersi fidare perché è stata lei a metterla in guardia. Damon e Lexie, due personalità troppo identiche per poter andare d’accordo, non fanno altro che discutere su chi dare la colpa la quale sembrerebbe ricadere tutta su Damon. Ammetto che forse ho un po’ esagerato (?) ma Damon aveva nobili intenzioni, aveva pensato astutamente che l’unico posto in cui Katherine non avrebbe mai guardato era proprio la toppa della porta visto che era un luogo troppo banale in cui cercare, ma evidentemente non aveva fatto i conti con le gite notturne della biondina. Il tutto si conclude con l’inizio di una rissa inevitabile, e il mistero su chi possa essere il presunto aggressore visto che più di una persona avrebbe i motivi adatti per schiaffeggiare Damon.
Vi consiglio solo di non scoraggiarvi e di attendere a momenti più belli e spensierati che arriveranno, ma bisognerà passare attraverso quelli più brutti. Dopotutto ci stiamo avviando alla fine di questa storia, pochi capitoli e si riveleranno i vostri quesiti!
Grazie mille per le recensioni, ho notato che sono calate e di molto per cui mi appello a voi lettori e vi invito a scrivere eventuali lamentele che volete fare riguardo lo sviluppo di questa storia.
Dimenticavo di dirvi che ultimamente è stato il mio compleanno e ho ricebuto moltissimi regali annessi a Unspoken crime, per cui ringrazio la Lau per la copertina lassù *.* e la Ale per il bellissimo lavoro grafico! E ovviamente a tutte le ragazze del forum <3
Al prossimo aggiornamento,
Sil

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Capitolo 13
*** 13.Famiglia ***


13.Famiglia

ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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13.Famiglia

I calci di Damon andavano a vuoto così come i pugni che tentava di sferrare e che, in cambio, riceveva inerme e incassava, rendendolo ancora più irritato.
Non era di certo da Damon lasciarsi pestare senza reagire, eppure per la prima volta nella sua lunga esistenza Damon si sentiva disorientato, aveva perso la bussola e tutto ciò a cui era rimasto legato per troppo tempo sembrava essere rovinato per sempre.
E questo gli faceva ribollire il sangue nelle vene.
«Stefan fermati!» ringhiò Lexie furiosa tentando di afferrare il minore dei Salvatore dal colletto sgualcito e macchiato di sangue della maglietta, ma un colpo repentino del vampiro la fece allontanare, facendola sbattere contro lo stipite della porta.
Un altro colpo secco al di sotto delle costole e Damon tossicchiò piano strizzando gli occhi e aprendone il destro per osservare il suo carnefice.
Affondò le dita sul collo contratto e ingrossato del fratello e lo strappò a forza da lui, giusto il tempo di poter rizzare la schiena e sputare il grumo di sangue che aveva in bocca.
Stefan aveva gli occhi rossi che trasudavano odio, misto a lacrime e a tristezza, che lo rendevano alquanto instabile e profondamente pericoloso.
Dal ringhio cupo che proveniva quasi come un rantolo dal suo petto, Damon intuì che Stefan era decisamente più che arrabbiato.
«Tu...hai fatto questo…a Caroline» abbaiò furioso caricando un altro pugno in mancanza di oggetti di legno abbastanza appuntiti da poter trafiggere il cuore di Damon per sempre – se mai avesse avuto un cuore!
Il vampiro dagli occhi azzurri questa volta fu preparato all’attacco di Stefan e con un solo semplice gesto spedì il fratello a sbattere la nuca tra lo spigolo del tavolo e la libreria facendo cadere con un doloroso crepitio i vari fascicoli e volumi che riempivano la ben fornita libreria Salvatore.
Fu un secondo e i due tornarono a guardarsi in cagnesco a pochi centimetri dai loro ghigni malvagi e furenti.
«Forse faresti meglio ad andartene, non sei più il benvenuto qui» sputò fuori Stefan.
Damon represse un sorriso e, se non fosse stato per l’odio accecante che nutriva in quel momento nei confronti del fratello, avrebbe ribadito riesumando la questione della proprietà di quella casa e del testamento che ovviamente garantiva i beni posseduti al maggiore dei figli, ma optò per rispondere a quella provocazione con un pugno in piena faccia sperando di procurargli la rottura del setto nasale.
«Non sono io lo stronzo che undici anni fa le ha rovinato la vita» esordì acido Damon.
Lo sguardo, quello del demone che era stato assopito in lui per tanto tempo.
«Ho detto basta» li rimproverò nuovamente una Lexie esasperata tentando di interporsi tra le due bestie inferocite, ma un gesto avventato di Stefan la costrinse a spostarsi per lasciare campo libero ai due.
Le guance della vampira si imporporarono di stizza.
«Fate come volete, bastardi!» esordì secca dileguandosi a velocità vampiresca e lasciando i due vampiri insolitamente silenziosi e concentrati l’uno sugli occhi dell’altro.
Un latrato acuto e gorgogliante si levò per tutta la stanza e i due fratelli passarono a demolire la camera adiacente al salone.
Per quella notte, del pensionato Salvatore sarebbero rimaste solo rovine.


Caroline alzò un sopracciglio infastidita e mostrò i canini ben luccicanti al vampiro che con mossa azzardata aveva afferrato incurante un biscotto dall’elegante vassoio.
“Un giorno di questi te le taglio quelle mani” abbaiò la bionda gettando le presine da forno sul ripiano cucina e artigliando furiosamente un fianco mentre con l’altra mano indicava il maggiore dei Salvatore con un che di accusatorio.
Damon sbaragliò il suo sorriso più bastardo, mettendo in evidenza le briciole che gli contornavano le labbra dell’angolo destro della bocca.
“Piuttosto da quand’è che fai la pasticciera?” chiese ironico il Salvatore trangugiando un altro dei biscotti e facendo emettere alla vampira un altro sospiro seccato.
Non che Caroline fosse particolarmente interessata alla cucina o ad alcun tipo di carriera come pasticciera, anzi Stefan e Damon le avevano raccomandato più volte di stare lontano da pentole e padelle, cucinando loro al posto suo, semplicemente in quel pomeriggio della sua sesta settimana a casa Salvatore aveva sentito il bisogno impellente di fare qualcosa per i suoi coinquilini.
La verità era che a Caroline mancava la sua famiglia.
“E’ una ricetta di nonna Forbes. Da bambina me li preparava sempre quando andavo a trovarla.” cinguettò Care con aria sbarazzina dando ai biscotti l’ultima spolverata di cannella.
“Dopo il rapimento, i miei genitori non mi hanno più permesso di andarla a trovare” concluse diminuendo il tono di voce e sfregandosi le mani per eliminare residui di polvere o di briciole di cui era ricoperto il tavolo.
Gli occhi di Damon si posarono sulla tenera figura di Caroline ed ebbe il fremito di voltare le spalle e lasciare la loro coinquilina in preda ai fantasmi del passato, ma alla fine roteò gli occhi cosciente dell’azione decisamente disdicevole che stava per compiere.
“E se ci aggiungessimo dello zenzero? O scorza d’arancia? Giusto per cambiare” esordì il vampiro facendo roteare un biscotto – il
terzo per la precisione – davanti al naso di Caroline ch,e con un sopracciglio inarcato, attendeva una spiegazione a quell’aggiunta di ingredienti del tutto incomprensibile.
“Perché mai dovrei cambiare la ricetta di nonna Forbes?” sputò indispettita la vampira allontanando il vassoio dalla portata di mano del vampiro di fronte a lei.
Il Salvatore corrugò la fronte e schioccò la lingua.
“Sei sotto il tetto di casa Salvatore,
bimba. Per cui cerca di creare una ricetta che sia degna di questo nome” abbozzò Damon sporgendosi verso il volto di Caroline per poi addentare furbescamente il biscotto, sbriciolandolo un po’.
Alla vampira si colorarono le guance di un lieve rossore o almeno così avrebbe voluto Damon che fosse, visto che l’imbarazzo le si poteva leggere in volto.
“Perfetto! Allora cominciamo” tintinnò la bionda facendo ondeggiare morbidamente i folti riccioli e tendendo la mano per aprire l’anta della credenza e prendere nuovamente il necessario – zucchero, farina, scodella, latte,
controllo.
“Mi rincresce dirtelo ma non sono qui né per aiutare un’insulsa vampira maniaca del controllo né tantomeno per cucinare biscotti” latrò secco Damon e il viso di Caroline s’incupì in un broncio fanciullesco.
“Sicuramente il mio caro fratellino sarà felice di darti una mano” intonò Damon rivolgendo uno sguardo al soffitto, segno che era sua intenzione quella di interpellare volontariamente il minore dei Salvatore.
Il vampiro ghignò impercettibilmente e si diresse verso il salone dove lo stava attendendo la sua adorata poltrona, lasciando la bionda fremente con il pacchetto di farina tra le sottili dita.
Una porta al piano di sopra si richiuse e lo scricchiolio delle scale fece indurre Caroline a pensare ad un effettivo soccorso da parte di Stefan.
Ad ogni modo, nonostante il tono sgarbato e burbero con cui Damon l’aveva trattata, Caroline non poteva non pensare che il vampiro celasse, dietro quelle parole, buone intenzioni.
“Buoni?” sentì dire da uno Stefan più che raggiante alla vista di Damon sgranocchiare un altro di quei sfiziosi biscotti.
E a Caroline affiorò un sorriso alla vista del vassoio di trentasei biscotti dal quale mancava proprio il trentaseiesimo – il
quarto - rubato chissà quando dal vampiro decisamente troppo goloso – e forse anche buono - quel giorno.

«Posso venire con te?»
Anche se a fatica, con queste parole Caroline spezzò il lungo silenzio che aveva ottenebrato l’intero momento durante il quale Katherine con fare quasi materno aveva pettinato delicatamente i suoi boccoli setosi e profumati.
Non aveva fatto domande, Kate, non l’aveva sgridata, l’aveva semplicemente condotta nella sua camera, svestita togliendole quei rivoltanti e sudici vestiti di dosso uno alla volta, finché non era rimasta nuda e sporca.
Katherine aveva aperto il rubinetto della vasca da bagno, facendo scorrere l’acqua grassa e calda che in breve tempo avrebbe sanato le cicatrici presenti nel suo corpo sottile.
Caroline si era immersa in quel vapore liquido, si era illusa che l’acqua avesse potuto lacerarle la carne e corroderla fino alle ossa, aveva soffocato le urla agghiaccianti nell’acqua calda, mischiando le lacrime al sapone.
Katherine osservava; l’aveva avvolta in una candida asciugamano e frizionato i capelli.
Aveva tirato fuori dall’armadio un grazioso vestito lilla a balze con un adorabile cintura di cuoio, grande abbastanza da fasciarle la vita e lo stomaco.
E Caroline si era lasciata vestire, pettinare, truccare quasi come se fosse stata una bambola. Non una di quelle bambole dai capelli setosi e il sorriso delizioso, con gli occhi grandi e la pelle morbida. Si sentiva come una bambola di pezza, dalle cuciture troppo grandi e troppo spesse, con la bocca storta e i capelli di lana, i bottoni al posto degli occhi: una bambola malata.
«Posso venire con te?» chiese Caroline giocherellando con le setole appuntite della sua spazzola.
Katherine le sciolse uno dei tanti nodi che si erano formati nei suoi capelli, fece una smorfia simile ad un sorriso e posò la spazzola in legno sul comodino.
La bionda le riservò un’occhiata in tralice attendendo, con la fronte madida di sudore, una risposta.
«E dove vorresti andare?» domandò divertita la vampira capricciosa puntando gli occhi color nocciola sullo specchio all’altezza di quelli color giada della sua interlocutrice.
«A casa. Avrai un posto in cui tornare» balbettò Care mordendosi il labbro inferiore con un brivido di ribrezzo quando le dita sottili della vampira le modellarono la clavicola sinistra.
Katherine si aprì in un enigmatico sorriso a mezzaluna, fece scorrere le dita lungo tutto il collo niveo da cui sporgevano le piccole fossette della trachea fino ad arrivare a contornare il mento e le sue labbra di cartapesta.
La bionda la guardava disorientata, come la preda di un cacciatore troppo vile per ucciderla subito, che prima di mostrare il pugnale la guardava in ogni sua singola forma, ammirando la stazza e la qualità della sua vittima.
«Ma io sono già a casa, Caroline. Questa è casa mia» soffiò e il volto le si tramutò in una diabolica maschera di ribrezzo, accentuata dal sottile sorriso dal quale trasparivano, come frecce da scoccare, i canini scintillanti.
Caroline si sentì oppressa sotto il pesante ego della vampira di fianco a lei tanto che ebbe l’impressione che il pavimento potesse cedere da un momento all’altro e che una voragine la potesse inghiottire così da obliare la sua esistenza dall’intero universo.
Poteva sentire le sbarre di legno della sedia comprimersi e scheggiarsi sotto il peso delle sue dita.
Ma c’era un qualcosa nella mente di Care, un fotogramma quasi stropicciato e corroso dal tempo e dall’usura.
Era riemerso dalla fitta foresta di immagini e di dati che adesso affollavano la sua psiche rendendola un terreno impervio e scosceso, privo di quelle fenditure che per anni non avevano fatto altro che alleggerirle la coscienza, ciò che la bionda scherzosamente più volte aveva riconosciuto come il peso dei ricordi.
Adesso quel ricordo galleggiava in quella materia inconsistente di sentimenti, come le assi di legno che placide vengono trasportate dalla corrente dopo un naufragio. Non era il suo posto quello, non faceva parte della vasta gamma di sensazioni, odori, suoni, immagini connessi al periodo di prigionia con Stefan – il solo pronunciare quel nome le faceva male.
Quel ricordo era diverso, era più tetro e soffocante quasi come la presenza della vampira alle sue spalle.
Nonostante la pelle perfettamente pulita e priva di ogni sporcizia, si sentì viscida come la pelle di un serpente, come quel ricordo che le cingeva la testa e che le incuteva un terrore che covava fin dalle viscere del suo essere.
Se Caroline fosse stata ancora umana avrebbe collegato quell’infausta sensazione al brivido di morte.
Si aprì in lei allora una gelida consapevolezza: non era tutto finito, c’era qualcosa che ancora il suo passato non le permetteva di rigettare del tutto, il cosa era stato di lei dopo il crudele agguato del suo carnefice.
E l’odore del sangue putrefatto tornò a spirare insistentemente attraverso le sue cavità nasali.


Non che Lexie fosse quel tipo di vampiro autoritario e di umore intrattabile, semplicemente sentiva la necessità di farsi rispettare.
Il picchiettio dei suoi tacchi sembrava essere l’unico rumore fuoriposto in quella casa che, più che una casa, la vampira la stava sempre più considerando come un fronte di guerra.
Lexie aveva assistito a tante guerre, a rumori di fucili e armi da fuoco, cannoni e tintinnio di spade sbaragliate, era stata attenta ai sibili delle bombe e delle mine vaganti.
Ne aveva visti tanti, forse troppi di uomini morire a causa della guerra e adesso sembrava che il conflitto si fosse insinuato anche tra le mura di casa Salvatore, vittima e spettatrice inconsapevole della lotta che si consumava ormai da anni tra i suoi due abitatori.
«Lexie, sei tu?»
La voce flebile di Caroline fece arrestare i passi della vampira e al contempo ribollire la rabbia che ancora le offuscava la vista e non le permetteva di ragionare lucidamente.
La bionda espirò a lungo, chiudendo gli occhi contornate da lunghe ciglia, per poi liberare una spalla dal peso opprimente dei capelli e decidersi a compiere quattro passi indietro così da ritrovarsi esattamente di fronte alla porta semiaperta della camera di Care.
Gli occhi grandi e spauriti, contornati da due profonde occhiaie, sembravano chiedere appello al carattere forte e deciso di Lexie, tanto che la vampira a quella vista le si strinse il cuore, per la prima volta durante la sua lunga esistenza.
Caroline era seduta sul letto a due piazze, trincerata dietro le due sottili gambe, e la schiena di cartapesta, ricurva su se stessa, la rendeva minuta ed estremamente effimera, come se qualcosa la stesse divorando dall’interno.
Il viso pallido e smunto agli occhi di Lexie appariva quasi grigio e la sua esile figura sembrava perdersi tra le pieghe si quel vestito color lilla.
«Tutto bene?» chiese la vampira dai boccoli dorati e la voce le si incrinò appena insieme alla fronte solcata da leggere rughe.
Le labbra della vampira dalla lunga treccia si stropicciarono appena e molleggiò appena sui talloni richiudendosi per bene la porta alle sue spalle.
«Che strano. Ti stavo per fare la stessa domanda» esordì Lexie inarcando le sopracciglia e raggiungendo la postazione della vampira.
Caroline emise un sospiro che voleva essere quasi uno sbuffo divertito, ma che in realtà celava al suo interno l’immenso disagio che avvertiva.
«Adesso ricordo. So cosa mi ha fatto Stefan e non c’è più motivo per me di stare qui».
Lexie poggiò la mano contornata di bracciali scintillanti sul ginocchio ossuto di Caroline la quale alzò lo sguardo, assaporando il tepore di quel contatto.
Gli occhi color nocciola di Lexie si ingigantirono ammaliando quelli color giada di Caroline la quale si sentì penetrare da una forza esterna, come se qualcuno stesse affondando le proprie mani in quella massa informe che era la sua mente ponendole dietro gli occhi immagini, colori, figure.
Era vivido in Lexie il ricordo dello squartatore che Stefan era stato un tempo, le miriadi di corpi che continuava a prosciugare uno dopo l’altro, le urla di donne innocenti, le ossa divelte di uomini impotenti, il sangue che sorso dopo sorso lo nutriva fino allo stremo. Quei ricordi adesso erano anche di Caroline così come il profondo orrore che denso continuava a segnare ogni singola immagine, mentre nelle orecchie rimbombavano le lacrime inutili delle prede.
«Basta Lexie» mormorò appena portandosi le dita sulle tempie e arricciando gli occhi e il naso come per scacciare via quei pensieri, quel sangue, quello Stefan crudo e cinico che come una macchina impazzita perdeva i suoi ingranaggi uno dopo l’altro.
Ma la vampira continuava, il suo sguardo era acuto e deciso.
E le immagini si susseguivano, si stracciavano, si storpiavano ma dopo tutto quel sangue, quei graffi e lividi appariva il volto scarno e spiritato del Salvatore.
La mente di Caroline non poteva più reggere.
«Basta ho detto!» la ammonì alzando il tono di voce e questa volta artigliando ferocemente i capelli così da comprimere meglio le tempie e le orecchie.
Per un attimo il buio tornò a ricoprire lo strato di ricordi della vampira, come se qualcuno avesse spento l’interruttore della corrente.
Le rughe sulla fronte si stirarono quando un abbozzo di sorriso, simile ad una minuscola luce in mezzo a tutto quel buio, emerse nella mente di Caroline.
Lexie inclinò leggermente le labbra carnose al pensiero di quei ricordi buffi, sani e genuini, ricordi di uno Stefan che nonostante tutto gli era mancato, di crisi, di scommesse, di litigi, di risate, di grande impegno e grande forza di volontà.
Erano ricordi soffusi, lievi, ma nonostante questo Caroline associava quella miriade di sensazioni a dei colori, tonalità di arancione e di verde, di azzurro cielo o di bianco panna.
Lexie non era mai stata brava con le parole, avrebbe potuto recidere il legame che aveva instaurato con la vampira che le si trovava di fronte se solo avesse tentato di spiegarle a voce.
Caroline aprì gli occhi e il tutto fu più chiaro e più luminoso.
«Devo rimanere qui e continuare quello che hai fatto tu per lui. Giusto?» chiese quasi timidamente rivolgendo lo sguardo alle mani intrecciate al ventre.
Lexie inarcò un sopracciglio quasi pensierosa.
«Diciamo che quel vampiro è un vero disastro in fatto di donne e serve qualcuno come me – e come te – a tirarlo su. Andata?»
La vampira stese il braccio in direzione della bionda che osservò i ciondoli del bracciale torturandosi il labbro inferiore.
«Cos’è un’assunzione di lavoro?» domandò aggrottando la fronte, divertita.
Caroline tese la mano minuta e intrecciò le dita sottili con quelle di Lexie.
Un boato sordo e duro si fece largo per tutto il corridoio e Lexie poté giurare che anche le pareti avevano lievemente ondeggiato al contatto con il pesante urto.
«Cos’è stato?» chiese Care artigliando le lenzuola celesti e rivolgendo occhiate preoccupate alle pareti nude e grigiastre della sua camera, quasi con il terrore che si potessero sgretolare da un momento all’altro tanto fossero sottili e traballanti – ma non era colpa delle pareti.
Lexie deglutì e sbuffò pesantemente gonfiando le guance dal nervosismo: la sua mente aveva per un momento omesso il piccolo particolare della guerra che si stava consumando oltre quelle quattro mura.
Poi un qualcosa fece scattare gli ingranaggi del suo cervello.
«Ascoltami Caroline. Damon e Stefan hanno intenzione di uccidersi a vicenda, nessuno li può fermare, c’ho provato io stessa ma è inutile. Ma tu, tu sei ciò che li tiene uniti. Poni fine a questa guerra. Ti prego»
Le parole sgorgavano intense e cariche di emozioni dalle labbra di Lexie mentre la stretta delle sue mani aumentava attorno ai polsi di Caroline la quale guardava inorridita e con occhi sbarrati tentando di riformulare al meglio quelle parole che la fecero tremare fin dentro le ossa.
Dagli occhi della vampira centenaria traballava un lieve segno di paura mista a ricordi, anni e anni di faide e di lotte che non avevano prodotto altro che ulteriori divisioni e separazioni.
«Vai Caroline» ribatté Lexie con voce decisa, ma i piedi della bionda già si stavano muovendo veloci giù per le scale di casa Salvatore.
La desolazione del loro salotto, proprio come un campo di battaglia al fine dello scontro, le provocò un tremendo tuffo al cuore: quella – si disse – era davvero una guerra.

“Se non fossimo dei vampiri crudeli e assetati di sangue, penserei di vivere insieme ad Hansel e Gretel nella casetta di Marzapane”
Damon non aveva tutti i torti esclamando quelle esatte parole dopo solo undici settimane da quando la neovampira aveva deciso di coabitare sotto il loro stesso tetto.
Caroline varcando la soglia del grigio pensionato Salvatore aveva apportato modifiche alla disposizione dei mobili e alla pulizia della casa, così da creare un ambiente confortevole e adatto alla sua ubicazione forzata in quella sorta di reggia. Inutile dire che tali modifiche erano state apportate con il pieno consenso di Stefan e questo al maggiore dei Salvatore non garbava di certo.
Il vampiro sorseggiò in pace il suo caffè bollente e si beò della densa caffeina che cominciava a defluire lungo le sue vene, donandogli quel tepore che il sangue in quel frangente non poteva purtroppo dargli.
La quiete venne bruscamente interrotta dall’arrivo irruento in cucina della loro nuova ospite con al seguito uno Stefan a dir poco impacciato.
Damon soffiò piano sul suo caffè ridendo sotto i baffi alla goffaggine del fratello nel rincorrere quello spiritello biondo.
“Caroline” la ammonì allungando il braccio e tentando di acciuffare il prezioso oggetto che possedeva la vampira tra le mani e che con un furbesco sorriso lo allontanava dalla presa del Salvatore.
Care sorvolò il ripiano della cucina con agilità e si rifugiò dietro la figura imponente di Damon il quale alzando gli occhi al soffitto pensò bene di bere l’ultimo sorso di caffè per poi adagiare la tazza blu nel lavabo.
Sospirò e ruotandosi con gran velocità rubò tra le mani di una sorpresa e stizzita Caroline l’oggetto tanto conteso dai due vampiri.
“Vi state rincorrendo per tutta la casa per
questa?” chiese Damon aggrottando la fronte e inarcando le folte sopracciglia rigirandosi tra le mani il pesante oggetto in metallo: una Polaroid del 1976. A Stefan però, nonostante l’evidente imbarazzo, non poté che sfuggire un sorriso.
Caroline allungò il braccio, sbuffando per spostare un ciuffo ribelle dall’occhio destro.
“L’ho trovata mentre sistemavo i vestiti nel vostro armadio. Ho sempre desiderato vederne una” cinguettò contenta, impossessandosi nuovamente della vecchia macchina fotografica.
Non che Stefan fosse così particolarmente legato a quell’oggetto - che per di più il tempo aveva fatto in modo che se ne dimenticasse – ciò che lo inquietava particolarmente era la vivida curiosità della vampira che la spingeva giorno dopo giorno a scoprire un nuovo particolare di quella casa che, il Salvatore sapeva bene, essere contenitore di oscuri e loschi ricordi.
La bionda aggirò la marmorea figura del Salvatore e si riappropriò della macchina fotografica alitando sulla superficie metallizzata per spolverarla dalla leggera patina di grigiore di cui era ricoperta.
Il suo viso si illuminò di un sorriso disarmante.
“Perché non ci facciamo una foto?” esordì Caroline e Stefan per poco non si strozzò con il caffè che aveva cominciato a sorseggiare, emettendo gorgoglii divertenti. Damon si limitò semplicemente a mettersi lo strofinaccio sulla spalla destra e ad abbandonare quella conversazione.
Era passato del tempo da quando entrambi i fratelli Salvatore erano stati immortalati insieme, in qualche ritratto o semplicemente visti in pubblico insieme. Per loro appariva qualcosa di innaturale. Ad essere sinceri, non ricordavano più l’ultima volta da
umani che avevano sorriso davanti l’obbiettivo di un’antica e mal funzionante macchina fotografica. Per loro dopo Katherine il tutto aveva perso significato e non aveva più senso indossare un sorriso di plastica che poi sarebbe vissuto, in qualche fotografia ingiallita, per sempre – del resto, come loro.
Il vampiro dagli occhi azzurri rivolse un’occhiata in tralice alla vampira il cui sorriso sembrava essersi incrinato appena, ben mascherato dalla cascata di capelli biondi che le circondava il volto.
Stefan rivolse uno sguardo allarmato al pavimento per non incrociare gli occhi indagatori del fratello a pochi metri da lui.
Che Care avesse potuto ricordare qualcosa da un momento all’altro, per Stefan appariva sempre tra le peggiori e più inquietanti delle probabilità ogni qual volta che si avvicinava anche di un solo centimetro alla sua esile figura. Eppure non avrebbe mai potuto negarle qualcosa, non adesso che finalmente, chissà con quale grazia, aveva ricevuto la possibilità di rimediare ai suoi errori.
Schioccò la lingua come a voler parlare, ma il braccio di Damon attorno alle morbide spalle della vampira gli fecero mancare nuovamente le parole.
“L’hai sentita? Renditi utile e fai funzionare questo macinino”
Damon piegò gli angoli della bocca in un sorriso e sulle guance di Caroline si formarono due splendide fossette, nonostante la rigida postura assunta a causa della vicinanza del Salvatore.
Il minore dei Salvatore non fece in tempo di riprendersi del tutto che già i due si erano spostati dalla cucina dirigendosi verso l’ampio salone.
“No aspetta - Damon” aveva farfugliato Stefan nella vana speranza che il fratello lo potesse sentire – o meglio lo potesse
ascoltare.
Caroline si posizionò sul divano a gambe incrociate e guardò con occhi impazienti e carichi di ansia i due coinquilini che tuttavia continuavano a guardarsi in cagnesco. Si rabbuiò.
“Ma è solo una foto” provò a dire increspando la fronte diafana e corrucciando le fini sopracciglia.
“Stefan, per favore” continuò con sguardo supplicante e in quegli occhi color giada Stefan rivide la stessa bambini di solo undici anni prima. Il terrore del ricordo lo fece deglutire rumorosamente.
Sospirò arrendendosi e quel gesto fece tornare il sorriso alla vampira.
Damon si adagiò sul divano e a Stefan non rimase altro che azionare quella vecchia Polaroid a fotografie istantanee.
“E mi raccomando sorridete” li ammonì la bionda un secondo prima che la macchina immortalasse le loro espressioni per sempre.
Le mani di Caroline erano strettamente intrecciate a quelle dei due fratelli che seppur titubanti avevano acconsentito a quel contatto.
Nonostante la foto leggermente annerita e non perfettamente lucida come quelle moderne, Caroline era pur certa che tutti loro sorridevano. Almeno in foto, erano
felici.

Le schegge di legno si conficcavano all’interno della suola delle scarpe di Caroline e ogni passo corrispondeva un nuovo tipo di urlo, di grugnito, di chissà quale orribile smorfia di dolore.
Le aveva già sentite quelle urla, aveva già percorso lunghi corridoi con le orecchie otturate e gli occhi socchiusi, attendendo che il silenzio ritornasse a piombare tra le fredde mura della sua casa – della sua vecchia casa.
Caroline ricordava i litigi prolungati di sua madre, gli oggetti lanciati, le urla e le parole sputate in piena faccia. Aveva ascoltato in silenzio, le gambe a penzoloni tra le sbarre della scala, il petto troppo vuoto senza qualcosa da stringere, senza qualcuno a cui aggrapparsi.
E adesso a distanza di anni dalla separazione dei suoi genitori si rivedeva in quella bambina, una bambina la cui famiglia si era rotta così come può rompersi un piatto del servizio o un vaso di porcellana.
Niente più colazione insieme, niente più baci prima di addormentarsi da mamma e papà, niente più l’odore di dopobarba misto al profumo della mamma. Niente, solo echi profondi. Ma adesso Caroline era diversa, era cresciuta e non era più una bambina – ma faceva comunque male.
La vampira piombò nella sala dove si stava consumando la feroce battaglia che vedeva entrambi i fratelli a terra, martoriati e ricoperti l’uno del sangue dell’altro.
La polvere si addensava come nebbia in quello che fino a poche ore prima era stato il salone della loro casa: la libreria era divelta e le pagine dei libri svolazzavano come anime dannate, il divano era stato sbalzato all’indietro e parte dell’imbottitura usciva da una delle tante fenditure, le pareti erano graffiate e lacerate dai continui tonfi a cui avevano dovuto opporsi.
Caroline raggelò alla vista di quel triste scenario e le salirono le lacrime agli occhi nonostante cercasse di localizzare da quale parte di quel rastrellamento provenissero i mugolii.
«Smettetela, sembrate due ragazzini» li rimproverò, ma la sua voce, nonostante fosse carica di ammonimento, risultò flebile alle orecchie dei Salvatore che malconci a terra continuavano a combattere a suon di pugni e calci.
La bionda non ricevette una risposta verbale ma il vampiro che venne sbalzato dall’altra parte della parete fu di certo una delle più esaurienti delle risposte attese.
Damon si portò il dorso della mano alle labbra per pulirsi dal sangue che inevitabilmente era sgorgato dalla narice sinistra. Gli occhi ancora grandi e lucidi di rabbia ardevano quasi quanto la luce intensa e sfavillante delle luci guizzanti delle fiamme del camino ancora acceso. Sputò a terra e si portò le mani ai capelli tamponandosi la fronte madida di sudore con le dita delle mani ancora frementi e pronte a chiudersi a pugno.
«Stanne fuori Caroline, è una questione tra me e lui» ringhiò il maggiore dei Salvatore ancora ricurvo su se stesso e con il fiato pesante.
Stefan tossicchiò strisciando sul pavimento, anch’egli ricoperto da linee di sangue lungo la tempia sinistra.
Avrebbe dovuto ripudiarlo, Caroline, avrebbe dovuto sputargli in faccia e lasciarlo lì a marcire tra le spesse mattonelle fredde del pavimento, ma Care non era mai stata una persona egoista e nonostante il disprezzo e l’odio che ancora covava nei suoi confronti non riuscì a trattenere a lungo lo sguardo su quella scena.
«Ha ragione Damon, vattene Caroline» balbettò il vampiro con voce rauca facendo leva sugli avambracci per riuscire ad alzare lo sguardo, stanco e spaesato, e intercettare due occhi color giada.
La bionda sbatté più volte le palpebre con un groppo alla gola, scuotendo i folti riccioli biondi come per convincere più se stessa che i due fratelli che non fosse la cosa più giusta da fare.
«Io non andrò da nessuna parte, mi dispiace per voi» ammise e le nocche delle mani sbiancarono violentemente.
Damon arricciò le labbra in una smorfia di ira.
«Non sarà più come prima, niente sarà più come prima. Non saremo mai la famiglia che volevi tanto che fossimo, non ricominceremo tutto da capo. Tu sei quella bambina che undici anni fa il coglione di mio fratello ha torturato, perciò smettila di far finta che non ti importa, smettila di fare la bambina”
Il Salvatore si avventò su Caroline vomitandole addosso parole fredde e crudeli tanto che la bionda dovette chinare la testa mentre lacrime amare venivano intrappolate dalle lunghe ciglia nere.
«Mi importa invece, ma non voglio di nuovo perdere tutto» gracchiò Caroline aumentando il tono di voce e riuscendo finalmente a sovrastare le imprecazioni del vampiro dagli occhi di ghiaccio.
«Smettila Damon, ora stai esagerando» lo ammonì Stefan che barcollante era riuscito a reggersi in piedi trattenendosi saldamente alla parete.
«No Stefan, sei tu che hai esagerato» abbaiò il Salvatore tentando di liberarsi dalle mani di Caroline che gli impedivano di avventarsi nuovamente contro il fratello.
In un momento la vampira si ritrovò compressa dai toraci marmorei di entrambi i fratelli.
Un tonfo sordo e secco.
Caroline neanche si accorse di aver preparato la mano che già le sue dita segnavano quattro scottanti segni sulla guancia del minore dei Salvatore il cui viso adesso pallido e assorto era rivolto verso le lingue di fuoco del camino.
Care strinse le labbra e aggrottò la fronte mantenendo solido lo sguardo sulla figura di Stefan quasi come se volesse intercettare ogni sua singola mossa.
Damon assisteva alla scena da dietro i boccoli di Caroline.
«Me ne vado -» annunciò il Salvatore e i suoi occhi azzurri si sgranarono mentre rivolgeva uno sguardo esausto al soffitto «- come avrei dovuto fare ben sette mesi fa»
A Caroline tornò in mente la figura di suo padre, le valigie stipate sull’uscio di casa, lo stesso tono di qualcuno non più desiderato. A Caroline tremarono le ginocchia.
«No, se c’è qualcuno che se ne deve andare quello sono io»
Lo sguardo di Stefan era impotente e privo di alcuna scintilla vitale, congelato di fronte al viso di porcellana della vampira dallo sguardo spaurito e all’aria di profondo astio che gli riservava il fratello.
La bionda ordinò alla mano destra di alzarsi, di afferrare la camicia del vampiro nella speranza di trattenerlo e di farlo rimanere, ma quando la mano rispose al suo comando ciò che Caroline stava trattenendo era soltanto aria.
La vampira si mosse veloce dal posto in cui era, i suoi piedi sembravano così leggeri – d'altronde come il resto del corpo.
Lo stridio della cerniera abbottonata di tutta fretta della giacca del Salvatore le consentì di arrivare appena in tempo di fronte alla porta di casa prima che questa venisse lasciata malamente aperta dal vampiro.
Caroline si spinse avanti fino ad apparire sulla soglia della pensione, la linea di confine tra la sua prigione e il mondo esterno, un mondo che non era più suo.
Si umettò le labbra screpolate seguendo con lo sguardo la figura del Salvatore che tra l’oscurità del tardo pomeriggio si allontanava sempre di più, tra il grigiore del nevischio.
E si sentì impotente, priva di scelta e inchiodata alle assi di legno di quella casa.
Se n'era andato, suo fratello se n'era andato.
Udì una presenza alle sue spalle e si irrigidì premendo maggiormente le dita sulla superficie in legno della porta.
«E ora? Che cosa faremo?»
Damon poggiò la mano sulla spalla della vampira dalle braccia ben strette al petto - forse con la paura che anche lei potesse scappare.
«Continueremo a vivere, Caroline» sussurrò deciso aumentando la stretta attorno alle esili spalle della vampira.
Per Damon non era di certo la prima e l’ultima volta che la sua famiglia si disgregava, per lui che anche quando c’era stata non ne aveva mai avuta una.
Caroline digrignò i denti alla parola vivere.
«Continueremo e basta» ammise stanca la vampira richiudendo la porta della sua nuova prigione.
Ma il mostro non se n'era andato: era ancora lì, dentro casa.

***

Eccomi ritornata miei cari, innanzitutto vorrei scusarmi per il tremendo ritardo nell'aggiornare il capitolo ma è stato particolarmente difficile e non ne sono affatto pienamente soddisfatta ma ahimè non potevo lasciarvi senza ancora per un altro mese! Riprendiamo da dove eravamo rimasti: Caroline che aveva scoperto tutto, la discussione con Stefan e la sua decisione di andarsene da casa Salvatore. La scena in questo capitolo di riapre con la lotta tra i due fratelli, litigio che era scaturito da una frase di troppo da parte di Damon. Alla situazione attuale ho pensato che sarebbe stato carino un contrasto con flashback delle settimane di convivenza del trio e quindi focalizzare l'attenzione sul concetto di famiglia, proprio come nel primo flashback. Si ritorna dunque al presente con Kate che si occupa di Caroline quasi come se fosse davvero una bambina e Care, in un tentativo disperato, le chiede di poter andare via con lei ma la Petrova la stupisce dicendole che quella è casa sua, aspetto che si risolverà quanto prima nei prossimi capitoli finali, così come i residui di ricordi ancora presenti nella mente di Caroline; e tra rimbombi e urti, le riflessioni di Lexie erano doverose, e in questo frangente l'ho immaginata quasi come una soldatessa, una marine per rendere l'idea, dalla disciplina severa ma anche spaventata, stroncata a metà dall'ennesima guerra; quindi tenta di far capire a Caroline con i ricordi che Stefan ha bisogno di lei per non tornare ad essere quello di un tempo, Lexie glielo chiede quasi come un favore personale, e all'ennesimo urto la vampira affida alle mani di Care la situazione perchè è lei la sola che può porre fine alla guerra. E dopo il flashback, tenero a dir la verità con come protagonista indiscussa la Polaroid del 1976, si passa al momento più crudo e triste che ho dovuto scrivere: il litigio definitivo tra i fratelli e Caroline. Credetemi è stato davvero difficile trovare le parole adatte e spero vivamente che abbiate capito un po' il senso e che non sia stato quindi soltanto uno spreco di tempo. Stefan decide di abbandonare il tetto della pensione e Caroline non può fare altro che assistere impotente alla scena rimanendo in casa con Damon, Lexie e a suo malgrado Katherine che è ,penso sia facile da intuire, il mostro della situazione. Quindi adesso l'unica domanda è: per cosa Katherine si vuole vendicare e in cosa consisterà la sua vendetta? La situazione a casa Salvatore cambierà con l'assenza di Stefan e il tutto prenderà una piega negativa che porterà inevitabilmente allo scontro finale. Grazie ancora per chi legge e nonostante questa storia non sia segnalata per le preferite, non abbia tantissime recensioni, io la considero la mia piccola operetta ed è stata resa tale solo grazie a voi. Spero di poter aggiornare presto.
Un bacio,
Sil

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Capitolo 14
*** 14.Caccia ***


UCCC

ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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14. Caccia

 
Il gorgoglio insistente della caffettiera e il tanfo di caffè bruciato inebriò l’intera cucina di casa Salvatore tanto che Lexi si chiese come mai i sensori antincendio non si fossero ancora attivati.
Con passo altisonante fece il suo ingresso facendo sfavillare i bracciali d’acciaio sotto l’orrenda luce a neon della cucina.
«Buongiorno» esordì Katherine moscia dal suo alto piedistallo sorseggiando una tazza ben colma di B negativo, sicuramente corretto con qualche superalcolico.
La vampira bionda gonfiò le guance ricoperte di fondotinta.
«Ti turba effettuare due metri e mezzo e spegnere il gas della caffettiera?» chiese artigliando i fianchi e scoccando un’occhiata omicida a Kate la quale, con gesto fanciullesco, tirò fuori la lingua per poi portare nuovamente alle labbra il bicchiere di cristallo – la sua colazione.
La vampira bionda sbuffò maledicendo persone e cose non definite mentre le mani armeggiavano con lo strofinaccio per ripulire il ripiano cucina dai residui di caffè bruciati e oramai incrostati sulla ceramica.
«Buongiorno signore»
Damon varcò la soglia della cucina, inclinando leggermente il capo in segno di saluto e occupando come sempre la seconda sedia alla destra del tavolo – la sua postazione.
Stirò il braccio così da raggiungere e agguantare il quotidiano spiegazzato posto sopra la cesta da cui solitamente traboccavano fette biscottate e biscotti e da cui invece quel giorno si vedevano solo briciole e il triste candore del tovagliolo.
Le lunghe ciglia della vampira mora di alzarono leggermente giusto per dare il tempo agli occhi di osservare l’umore del Salvatore quella mattina.
«Come siamo di buon’umore oggi» cinguettò lasciva allontanando il bicchiere mezzo vuoto di sangue e facendo diventare il disturbare il vampiro di fronte a lei la sua unica occupazione.
La fronte di Damon si stropicciò così come gli angoli della sua bocca sebbene gli occhi azzurri rimanevano incollati alle minuscole lettere nere e grigie del giornale.
«Ogni giorno la tua capacità di capire esattamente l’opposto di ciò che sono mi stupisce sempre di più. E’ un dono che non tutti hanno»
Il sorriso sornione e sfacciato di Damon fu sufficiente per far si che l’espressione della vampira dai vaporosi riccioli scuri mutasse da un allegro e sbarazzino sorriso a un broncio ostile e accusatore.
Solo questioni di minuti e il tavolo della cucina, così finemente intarsiato e sul quale erano appoggiati i gomiti del maggiore dei Salvatore, sarebbe stato scaraventato contro le pareti malridotte della povera pensione.
Solo questione di minuti.
Lexi aveva già incominciato il conto alla rovescia.
Non era un semplice litigio quello di quella mattina, ma a parere di Damon quella sceneggiata si susseguiva ogni giorno con una periodicità di sei ore e che portava inevitabilmente alla distruzione di qualche oggetto della casa, di qualunque genere – frigorifero, lampadario, televisore, specchio.

Questo a parere di Damon.
Secondo Lexi invece quello era la nuova attività fedelmente di appartenenza del Salvatore per far trascorrere velocemente il tempo, nella speranza che non sopraggiungesse la noia.
Ma la verità era che a tutti in quella casa mancava Stefan, e Katherine questo lo sapeva, lo sapeva eccome.
«Potresti essere più gentile, dopotutto sono ancora le nove di mattina e lei ancora non è scesa» latrò la vampira dagli occhi nocciola, picchiettando le unghie contro la superficie legnosa e affogando facilmente l’impeto di sferrargli un pugno, impedendo così che si compisse il rituale litigio mattutino.
Gli occhi azzurri di Damon si screziarono di rosso giusto il tempo di scoccare un’occhiata assassina alla suddetta vampira per poi spostarsi alla ricerca del volto alquanto rabbuiato di Lexi.
«Lei dov’è?» chiese e senza accorgersene aveva inserito nel suo tono di voce più preoccupazione di quanto effettivamente voleva far trasparire.
La bionda si rifiutò di rispondere e al contrario si torturò il labbro inferiore, lasciando che il silenzio inghiottisse vivi i presenti in quella sala.
Il Salvatore socchiuse maggiormente gli occhi e inarcò un folto sopracciglio nero lasciando che una vena pulsasse vivacemente sulla tempia sinistra.
«Dimmelo, Lexi» ordinò nuovamente, questa volta mostrando un po’ più di contegno.
A Katherine sfuggì un sorriso per quello sforzo effettuato dal Salvatore.
Lexi sospirò, allacciando le braccia al petto e sentendo lo sguardo furente del vampiro di fronte a lei farsi sempre più insistente ed irritato.
«Nella sua stanza» annunciò e vide un leggero tentennamento nell’espressione arcigna di Damon.
«Come ieri del resto» aggiunse Kate puntualizzando la situazione.
Il vampiro si tamponò la fronte con le dita, si umettò le labbra e incrociò le caviglie sfiorando appena il duro anello in ottone che aveva sull’indice sinistro.
«Sta bene, vero?» chiese guardandola di sottecchi e ignorando i commenti poco opportuni di Katherine che nonostante tutto non aveva abbandonato la sua postazione, quasi come se quella scena così delicata fosse così importante da prenderne parte.
Lexi cominciò a sudare freddo.
«E’ malata, Damon» disse stringendosi nelle spalle e puntando i suoi occhi verdi oliva in quelli del vampiro, profondamente scosso da quella costatazione.
«No, ti sbagli. E’ solo triste -» pronunciò prima di bloccare la mano a mezz’aria e rendersi conto della veridicità delle proprie parole «- beh, non che sia meglio di una malattia, sempre meglio del cancro comunque» concluse inarcando un sopracciglio e scoccando un’occhiata alquanto perplessa alla vampira dai lunghi capelli biondi.
Un boato sopraggiunse dal piano superiore e le pareti tremarono a tal punto che dal soffitto poco stabile cadde qualche calcinaccio frantumandosi inevitabilmente sulle mattonelle scheggiate del pavimento.
Il Salvatore roteò gli occhi e con un gesto stanco avvicinò a se il bicchiere ancora colmo di sangue rifiutato precedentemente da Katherine.
Un altro rumore metallico e questa volta anche rumore di vetri rotti – quanti altri specchi avrebbe potuto rompere?
Un’occhiata eloquente di Damon bastò a Lexi per capire che anche quella volta sarebbe toccato a lei risolvere la situazione.
«Vado io. Per questa volta» borbottò mentre si dirigeva a passo spedito verso le ampie scale secondarie che l’avrebbero condotta più velocemente alla stanza di Care – sempre se fosse stata ancora nella sua stanza.
La cucina adesso sembrava un luogo ancora più solitario solo con Damon e Katherine.
«Adesso puoi anche permetterti di essere un po’ più gentile» ammiccò la vampira sgusciando tra le sedie posizionandosi sempre più vicino al Salvatore.
La sua risposta fu l’alone di caffè che si formò sulla parete bianca al seguito del lancio della caffettiera bollente da parte del vampiro furibondo.
 

Signor Salvatore dovete prendermi se volete vincere al gioco
Era più che raro per Stefan sognare, per di più negli ultimi mesi era diventato quasi impossibile a causa dei pesanti sensi di colpa che gravavano sulle sue spalle, tenendolo insonne per parecchie notti sotto il tetto incurante del pensionato.
Eppure la sua mente stava vagando in un remoto passato senza una ragione alcuna.

“Non è consono per una signorina bella come voi correre e sciuparsi il vestito”
Katherine arrestò i suoi passi e con le guance leggermente rosate appoggiò le dita sottili sulla corteccia ruvida della quercia che aveva di fronte. Un sorriso leggero e sbarazzino a spiegazzarle il viso.
“E’ così bello il vostro giardino” disse accompagnando le parole con un ampio gesto della mano destra mentre con la sinistra lisciava le pieghe della gonna di seta blu.
Stefan sorrise obliquamente e avanzò con le mani intrecciate dietro la schiena, scansando con gli stivali i mucchi di foglie gialle che erano rimaste incastrate tra le spesse radici dell’imponente albero.

“Vi confesso che sono lieto che mio padre abbia deciso di prendersi più cura di questa parte dei nostri possedimenti. Un giardino pulito è sinonimo di bellezza e raffinatezza”
Il Salvatore tese la mano munita di un soffice guanto bianco e sfiorò la superficie legnosa e si beò del tepore che la pianta emanava, quasi come se fosse propria di vita.
E nella profondità dei suoi occhi Katherine vi si immerse, beandosi dopo secoli di quella brezza autunnale che le solleticò la nuca resa libera dai riccioli raccolti e cascanti sulla spalla destra.
Stefan sollevò lo sguardo e puntò gli occhi color giada su quelli della vampira che rispose a quell’attenzione con un sorriso genuino, prima di continuare il suo discorso.

“Ma non solo di questo, signor Salvatore. Un giardino ben curato è anche lo specchio della nobiltà di una persona, della purezza, della sua stessa anima”
La fronte di Stefan si corrugò impercettibilmente, ma di questo Katherine non se ne accorse, troppo intenta a rimirare i finissimi nodi che si intrecciavano nel corpo curvilineo dell’albero.
“Se fosse così, questo giardino sarebbe il suo. Solo lei può avere un’anima candida, e pura, e bella quanto lo è questo prato” sussurrò lieve e con l’indice le sfiorò le labbra fino a ricongiungersi con il mento e sollevare i suoi occhi color nocciola dal tappeto di foglie rosse e gialle sottostanti.
“Mi credete solo degna di questo giardino? Ma la vostra casa e il vostro giardino sono due luoghi troppo distanti. Come le nostre due anime, in fondo”
Katherine portò le due dita a cingere le pieghe del vestito e con l’altra si aggrappò al braccio del suo accompagnatore implicitamente invitandolo ad incamminarsi sulla via del ritorno.
“Non dovete pensarla così, signorina Pierce” la ammonì Stefan con tono quasi paterno, volgendo lo sguardo più sul profilo di Kate che al terreno impervio sul quale camminavano.
“Casa Salvatore è un luogo chiuso, austero, tenebroso. Non si addice a uno spirito libero come il vostro. Voi avete bisogno dell’aria, del vento, di spazi aperti per poter sopravvivere. Lo sapete, Katherine.”
Un lieve senso di vertigine si impossessò della vampira tanto da farle aumentare la stretta attorno al braccio del Salvatore.
C’era un qualcosa nei modi di fare di quell’individuo, nei gesti semplici e nobiliari, da vero gentiluomo del Sud, che facevano vacillare l’animo di per se oscuro di Katherine.
Non si trattava di debolezza dovuta alla sete di sangue, ma di un senso di benessere che sgorgava dal suo essere, solo ed esclusivamente quando era accanto a Stefan.
Lo aveva represso più volte, aveva premuto l’interruttore così da rinchiudere quel sentimento nascente, ma a volte lo lasciava facilmente perforarle la pelle e attraversarle quel che ne era rimasto della sua anima. Ma Katherine non era fatta per ricevere amore, questo l’avrebbe solo uccisa.

“E se lo volessi, Stefan? Se desiderassi con tutto il mio cuore di non essere un giardino ma di essere una casa - la vostra casa - mi portereste con voi?”
Stefan piantò gli stivali sul terreno ricoperto di foglie autunnali e Kate sciolse morbidamente la mano dall’incavo del braccio del suo accompagnatore.
Dagli occhi del Salvatore, Katherine poté già gustare sulla punta della lingua il sapore dolce della vittoria premeditata e già ottenuta.

“Vi giuro Katherine, sulla mia vita, che quella casa sarà vostra, e solo vostra” puntualizzò Stefan allungando il braccio per solleticare la pelle della guancia leggermente olivastra della vampira la quale, nonostante la fiducia sconfinata che riponeva in lui, aguzzò gli occhi color cioccolato desiderosa di avere conferma dal suo interlocutore. Dopotutto più che un giuramento, quello suonava essere un accordo.
“State attento, signor Salvatore. Una promessa si mantiene, un accordo si rispetta. E io non intendo rammaricarmi per una vostra dimenticanza” annunciò Katherine con una punta di finta arroganza sebbene sapesse che niente avrebbe potuto intralciare i suoi piani.
Non che Katherine avesse realmente il desiderio di dimorare presso casa Salvatore per sempre, semplicemente il capriccio di intrufolarsi all’interno delle loro vite era così grande a tal punto da escogitare quella richiesta.
In fondo, una casa le sarebbe sempre tornata utile in futuro.
“Non potrei accogliere nessun altro a parte voi” concluse il minore dei Salvatore allargando il sorriso così da ottenere un’espressione serena e rilassata, la cui durata però non fu delle migliori.
D’un tratto il giallo e l’arancione delle foglie si tramutò in rosso scarlatto, delineando una scia macabra la quale gli occhi del Salvatore furono costretti a tracciare, aumentando il disgusto e il ribrezzo laddove il sangue si addensava maggiormente.

“Vi amo, Stefan. Ricordatelo”
Il sussurro di Katherine divenne sottile, ovattato, quasi come se la sua immagine stesse scomparendo, quasi come se non fosse fatta altro che di fumi e nebbia.
Come un dipinto ad acquerello, i colori del giardino cominciarono a mescolarsi, la linea rossa a farsi sempre più marcata, l’aria a tappezzarsi di pietre grigie e il prato a irrigidirsi al di sotto dei piedi del Salvatore attonito.
E fu quasi come se a Stefan avessero strappato via la felicità senza mai più ritrovarla.
Si sentiva in gabbia - e non era l’unico.

“Voglio tornare a casa”
I singhiozzi dell’esile figura che chiudeva il suo campo visivo gli penetrarono in testa solcando rughe profonde sulla sua fronte.
Le guance rigonfie della bambina dai capelli biondi e disfatti erano violacee e rigate da copiose lacrime.

“Posso venire a casa con te?” chiese e gli occhi color giada della Caroline bambina rubarono solo per un secondo l’attenzione del Salvatore.
C’era una strana sensazione che gli pervadeva il corpo - e non era solo nel sogno.
Il terreno sembrava trasudare quel siero, imbrattando di rosso tutto ciò che incontrava.
C’era un pregnante odore di ruggine tra le pareti di casa Salvatore, sui vestiti candidi di Stefan.
C’era del sangue sul collo niveo di Caroline, tanto sangue sulle labbra a mezza luna di una Katherine moderna.
E poi c’era il mostro e con esso anche la fame – di lei.
E con quell’immagine raccapricciante il Salvatore aprì gli occhi in quella mattina piovosa, speranzoso di risvegliarsi nella sua camera alla pensione, ma tutto ciò che sentì sotto il peso del suo corpo fu la fredda brandina e le lenzuola ruvide e marce dell’appartamento squallido che ormai da tre giorni era diventato la sua dimora.
Per quanto avesse cercato di allontanarsi da Mystic Falls, di fuggire in altri paesi – Georgia, Messico, Maine – c’era qualcosa che lo sospingeva sempre più a nord, sempre più vicino a casa.
Stefan si tamponò la fronte madida di sudore e boccheggiò l’aria malsana di quella mattina, strizzando gli occhi cerulei e cercando di placare il tremore delle mani.
Stava lottando con il suo istinto di ritornare alla pensione, di presentarsi di fronte alla porta di una casa in cui non era più il benvenuto.
Nonostante la consapevolezza che quello fosse solo un incubo, in cuor suo il Salvatore nutriva un’incondizionata paura: che il cattivo in fin dei conti non fosse solo Katherine.

 

Con abile maestria Damon fece entrare l’ultimo bottone all’interno dell’asola della sua camicia nera.
Un sorriso soddisfatto a dipingergli il viso nonostante i turbamenti che gli flagellavano l’anima.
«Fuori piove. Dove hai intenzione di andare?» chiese Katherine frizionandosi i capelli con un morbido asciugamano del medesimo colore di quello che le fasciava il corpo sinuoso.
«A comprare le sigarette» rispose in maniera sarcastica roteando gli occhi fino a incrociarli con il soffitto.
«Non vorrei che qualcuno entrasse e ci trovasse in condizioni come dire indecenti» cercò di spiegare il maggiore dei Salvatore indicando il sottile strato di cotone che rivestiva la pelle della vampira e inarcando leggermente un sopracciglio.
Kate emise un risolino che più che una risata sembrava uno sbuffo.
«Oh Damon. Non cambi mai» mugolò con un’aria di superiorità la vampira che scomparì nuovamente oltre la porta del bagno.
«Potrei dire la stessa cosa di te» borbottò il vampiro a voce bassa.
Non che a Damon facesse piacere quella malsana relazione che aveva riallacciato con la vampira centenaria, semplicemente gli eventi dell’ultimo mese lo avevano talmente irritato da decidere di abbandonare i suoi sani principi e di ripercorrere la strada della perdizione che, non aveva detto a nessuno, ma tanto gli era mancata.
Perché Damon Salvatore non poteva permettersi il lusso di apparire buono quando in lui di buono non ce n’era molto.
«Vado da lei»
La frase spezzò il silenzio spettrale che si era venuto a creare tra le pareti della stanza del Salvatore e solo il rumore ovattato dell’asciugacapelli oltre la porta del bagno sembrava consolarlo di non essere da solo ma in compagnia.
Che quelle parole che aveva appena pronunciato suonassero come già dette in passato, questo Damon se ne rese conto solo dopo una manciata di secondi.
Non a caso il sorriso amaro che gli stropicciò le labbra era proprio legato a questo. Ricordava il tono preoccupato ma stanco con cui il fratello soleva informarlo la sera prima di andare a dormire, quando le tenebre scendevano su casa Salvatore e il pericolo di una sua crisi si faceva più imminente.
Damon a quel tempo era solito roteare gli occhi al cielo, apostrofare il fratello con qualche battuta sarcastica, o semplicemente annuire incurante, come se la questione non gli riguardasse.
A distanza di mesi adesso era lui a pronunciare quelle parole e se avesse potuto si sarebbe preso a calci da solo tanta era la rabbia verso se stesso.
Non era da lui quel comportamento, non era da lui e basta. Ma qualcuno doveva pur farlo.
«Non penso sia una buona idea» annunciò Kate, roteando il pomello della porta del bagno e dirigendosi verso l’armadio in cerca dei suoi vestiti.
Damon fece per andarsene quando il rielaborare quella frase lo fece desistere dall’idea di abbandonare la stanza.
«Da quando ti preoccupi della mia vita?» ribatté con tono non troppo meravigliato, inarcando spazientito un sopracciglio e inchiodando lo sguardo sulle spalle nude e ricurve della vampira.
Katherine si alzò, facendo ciondolare i boccoli setosi e che profumavano ancora di bagnoschiuma.
«E’ pericolosa, Damon. E’ un aborto della natura»
Il tono tagliente con cui la vampira aveva sputato quelle parole non intimorì Damon né lo fece vacillare. Kate continuò.
«Ho fatto in modo che Stefan se ne andasse. Ora è al sicuro. Tu, no»
«A te è sempre importato solo di Stefan. Perché dovrei credere che questa volta sia diverso?» abbaiò Damon avvicinandosi lentamente alla vampira il cui volto era anch’esso segnato da un profondo cipiglio.
«Sta soffrendo. E’ pazza, malata, pericolosa. Il suo esistere ti creerà solo problemi».
Gli occhi color nocciola della vampira di ridussero a due fessure quasi come se volessero incidere maggiormente quelle parole sulla mente del vampiro di fronte a lei.
Non a caso Katherine aveva utilizzato quelle parole. Damon ricordava che un tempo erano state sulla sua stessa bocca, che quel pensiero gli aveva tarlato la mente diventando una sorta di chiodo fisso, una faccenda in sospeso che da troppo tempo doveva concludere.
Damon allargò le braccia in un gesto di esasperazione alzando gli occhi al soffitto mentre una roco risolino sembrava solleticargli la gola.
«E cosa vuoi che faccia, che la uccida?» latrò ironico inclinando il capo e indirizzando alla vampira un’occhiata che manifestava tutta l’impossibilità dell’idea che per un attimo gli aveva sfiorato il cervello.
Katherine non rideva, il viso di granito non lasciava trasparire alcun accenno di ilarità ne di risposta al sarcasmo adottato poco prima dal vampiro. C’era in lei una smoderata convinzione di non agire male.
Per quanto Damon volesse rigirare e rigirare la frittata, sapeva che non c’era soluzione migliore di quella avanzata dalla vampira.
E che lui, a suo malgrado, condivideva.

 

Caroline osservò la chiazza di sangue che giaceva rappresa sul tappeto del bagno color giallo ocra mentre la bocca le si riempiva dell’ennesimo grumo di sangue che il suo stomaco tentava invano di rigettare.
Gemette, artigliando ferocemente il porta asciugamani alla sua destra, frenando i tremiti che come spilli le pervadevano la colonna vertebrale.
Tossì osservando i fili scarlatti che si depositavano sul fondo del water e strizzando gli occhi dal disgusto.
Si portò due dita a raccogliere dietro l’orecchio le ciocche dorate che le cascavano sulle guance e preso un ultimo respiro profondo tirò lo sciacquone, segno che anche quell’ennesima crisi era finalmente giunta al termine.
Che Caroline fosse stata sempre un po’ testarda questo ne era consapevole, tuttavia per quanto ci avesse provato a nutrirsi di sangue – poco importava se umano o di animale – il suo corpo si rifiutava di accogliere quel siero dentro di lui, corrodendole le viscere e permettendo alla sua mente malata di perdere il controllo.
Eppure non poteva far altro che ritentare.
Lexi le portava giornalmente una o due sacche di sangue che sistematicamente rifiutava di bere, facendo perdere il più delle volte la pazienza alla povera vampira. E così gonfiate le guance di stizza, Lexi gettava la spugna e si richiudeva la porta dietro di se furiosa e avvilita, lasciando le sacche di sangue in balia della pura mente contorta della vampira dai boccoli biondi.
Caroline storse il naso alla vista della sacca di sangue quasi del tutto vuota.
Ma lei era pur un vampiro e il sangue era la sua sirena che giammai avrebbe dovuto ascoltare.
Si portò due dita sporche di rosso sulle labbra rosee e soffrì in silenzio al ripiegamento innaturale della pelle attorno alle sue cavità oculari.
Avrebbe riprovato di nuovo. Un po’ alla volta.
Il sangue le penetrò in bocca mischiandosi con la saliva e in un battito di ciglia il malessere di poco prima tornò a farsi sentire più irruento che mai.
In un moto di rabbia Caroline cacciò un urlo disintegrando la sottile sacca e scaraventandola contro la finestra rompendone un vetro.
Un grido profondo le uscì dal petto tanto da farle tremare la gabbia toracica, e le mani artigliarono subito gli occhi e il viso impedendo alle lacrime di attraversare il loro corso naturale.
Sarebbe scivolata giù, sempre più giù se non avessero trovato un rimedio a questa malattia.
Sarebbe morta un po’ alla volta – lei che morta lo era già.

 

Non che bastasse soltanto un po’ di sangue freddo per uccidere la coinquilina con cui si è vissuti insieme per circa sette mesi – e che più volte aveva ribadito il fatto di essere una famiglia – semplicemente Damon credeva che questo fosse l’unico modo per risolvere i suoi malesseri.
In fondo l’avrebbe aiutata, glielo doveva.
Damon percorse il corridoio dal quale solo qualche ora prima provenivano urla acute e pianti isterici. Adesso solo il silenzio sembrava regnare sovrano.
Damon arrestò i suoi passi e il paletto in legno di noce sembrò diventare enormemente pesante alla vista della stanza semiaperta, abbandonata dal fratello, entro la quale Stefan non avrebbe più fatto ritorno.
Scosse il capo quasi come a scrollarsi di dosso i rimproveri che il minore dei Salvatore gli avrebbe fatto se solo fosse stato presente in quel momento.
Nessun rumore proveniva dalla stanza di lei, solo il suo respiro stanco e irregolare sembrava essere unico segno della sua presenza.
Gli occhi di Damon balzarono sulla figura minuta e ricurva che con le gambe incrociate giaceva sul letto disfatto.
Le iridi chiare della vampira dai capelli biondi osservavano la parete di fonte a se con sguardo vacuo e assorto.
La posizione innaturale tenuta dalla bionda fece vacillare un tenero sorriso sulle labbra di Damon, memore delle idee pazzoidi della coinquilina tra le quali vi era stato il pretesto di imparare yoga con tanto di rifiuto da parte di Stefan e derisione da parte del maggiore dei Salvatore.
Le spalle spigolose sembravano essere troppo minute per la maglietta rosa che indossava così come i pantaloni della tuta, troppo larghi, nei quali si perdevano le due sottilissime gambe.
Di fronte a quello spettacolo Damon non sembrava essere più convinto di quanto lo fosse stato dieci minuti prima.
Il vampiro si umettò le labbra e si schiarì la voce.
«Ciao raggio di luna» salutò e la vampira sobbalzò interrompendo il contatto visivo con la parete e rivolgendo gli occhi cupi al Salvatore.
Il viso, prima smunto e grigiastro sembrò illuminarsi di nuovo dopo tanto tempo.
«Ah, Damon, sei tu» sussurrò Caroline la cui voce uscì limpida e cristallina e al miglioramento del colorito del viso si associò anche la vitalità che riprese a danzare vivamente nei suoi occhi.
«Sembri sorpresa. Se vuoi me ne vado» ribatté Damon con fare sarcastico mentre si stringeva per le spalle in segno di andarsene.
Caroline rise e quasi la sua gola non ne risentì a causa dell’incendio che stava dilagando al suo interno.
«Coraggio, entra. Siedi un po’ con me» tintinnò la vampira tamburellando la mano sulla porzione intatta di piumoncino color verde mela.
Damon non se lo fece ripetere due volte e assicuratosi di aver chiuso accuratamente la porta si sedette sul morbido materasso.
La vampira in un gesto del tutto innaturale allacciò le mani a quelle del Salvatore che offrì la sua spalla come ottimo cuscino sul quale accoccolare la cascata di boccoli dorati – ma che purtroppo risentivano dello stress e dell’insana pazzia.
«Perché non sei venuto prima a trovarmi?» gracchiò Caroline sfiorando con la punta delle dita i finissimi disegni tratteggiati sull’anello di Damon, concentrandosi affondo affinché non incrociasse lo sguardo del vampiro.
«Potrei farti la stessa domanda. Perché non sei voluta più scendere?»
Il rimprovero di Damon sembrò mettere in difficoltà la bionda la quale desistette per qualche secondo prima di rispondere al quesito del vampiro.
«Io non volevo che lui se ne andasse»
La vampira sussultò appena e il sospiro di Damon arrivò perfettamente alle sue orecchie poggiate sopra la gabbia toracica del Salvatore.
«Sai com’è Stefan. Quando si sente di troppo preferisce levare le tende. Non sei stata tu, Caroline» cercò di spiegare Damon ma nella sua mente continuava a persistere quell’idea che l’aveva spinto a raggiungere la camera della vampira bionda.
Il paletto sembrò farsi incredibilmente ingombrante sotto la manica destra della camicia un po’ troppo larga che quel giorno Damon indossava.
Caroline roteò gli occhi e sbuffò stizzita dall’asserzione del vampiro accanto a lei e in un moto di impazienza si alzò dal letto ponendosi di fronte ad un Damon alquanto sconcertato.
«Ero io quella che se ne doveva andare, non lui. Questo non è affatto il mio posto. Io…»
Le guance della vampira cominciarono a tingersi di una strana tonalità violacea mentre lacrime di nervosismo tentavano di pungerle gli occhi rossi e cerchiate da occhiaie.
Il Salvatore le bloccò le mani tremanti e i polsi ossuti e Caroline aggrottò la fronte, colpita da quel gesto.
Damon fece leva sulle sue ginocchia e tese una mano ad accarezzare il viso della bionda e a spostare le finissime ciocche dagli occhi lucidi.
«Ehi, se vuoi puoi lasciare questa casa, va bene basta che me lo chieda» disse inarcando un sopracciglio e piegando le labbra in un sorriso che nonostante la fronte corrugata fece rilassare la vampira, animandola di antico entusiasmo.
«Ma mi servirà un nuovo nome, dei nuovi documenti. Potremo vivere a New York o a Boston, lontano da qui. Io e te»
Le labbra della vampira si muovevano troppo velocemente e il panico misto alla curiosità straripava dai suoi occhi ancora incredibilmente impauriti e debilitati.
«Frena, Magellana. Non ho detto che andremo insieme»
Gli occhi della vampira si strabuzzarono nel sentire il mancato sarcasmo nelle parole del Salvatore tanto che una scia di sudore freddo sembrò scenderle lungo le spalle.
Inarcò un sopracciglio e inclinò la testa e Damon poté leggervi tutta la confusione che in quel momento albergava nella sua mente.

Meglio pensò se ne sarebbe andata senza capirlo veramente.
Che poi da quando Damon Salvatore si preoccupava di come uccidere una persona?
«Cosa significa?» snocciolò la vampira bionda assottigliando gli occhi e corrucciando sempre più le finissime sopracciglia cercando di ritrovare un barlume di allegria tra i vividi occhi azzurri del Salvatore di fronte a lei.
Damon si umettò le labbra e un sorriso tra lo sbruffone e l’amaro gli si dipinse in viso inarcando volutamente le sopracciglia.
«Significa che questo è un addio, Care» mormorò e gli occhi della bionda si ingigantirono ancora colmi di perplessità, ma se c’era una cosa che Caroline aveva capito è che da quello – che avesse creduto realmente alle sue parole o meno - non poteva scaturire niente di buono.
Damon distese il braccio fino ad artigliare le spalle morbide della bionda al cui contatto sussultò portandosi le mani sulle labbra quasi come a volerne placare il tremore.
Che Caroline fosse particolarmente ingenua, i Salvatore lo avevano capito già da tempo. Tuttavia non erano del tutto sicuri se quello fosse il comportamento naturale della vampira dalle mille idee e dai messaggi subliminali che più volte nascondeva sotto una risata cristallina o in mezzo ai boccoli dorati. Di tutto i fratelli avrebbero potuto dubitare meno della sua, evidente o meno, dose di furbizia che tanto la caratterizzava.
Ma il punto era che a Care l’amore l’aveva resa cieca e non ci sono occhi che tengono a confronto.
L’animo di Care fu mosso da una speranza sconfinata di non agire male, di abbracciare il vampiro che aveva di fronte.
Ma fu solo una svista a far desistere la vampira dal compiere quel suo gesto.
Con abile maestria Damon estrasse dalla manica il paletto di legno e con un veloce movimento del polso lo impugnò quasi come se fosse stato un pugnale.
Gli occhi, seppur afflitti, puntavano dritti al cuore.
Un affondo, deciso, lento segnò la fine di battiti ancora per lui sconosciuti.
Il Salvatore premette ancora più affondo e non fu soddisfatto fino a che non sentì il legno solleticare la parete del cuore della sua vittima fino a trafiggerla del tutto.
Eppure c’era un qualcosa che non andava e a Damon quella consapevolezza non piacque affatto.
Al posto di due splendidi occhi giada, due scintille verde oliva sembravano graffiare quelli del vampiro  i quali si sbarrarono per l’amara sorpresa.
Alzò gli occhi appena un po’ sopra la sua visuale per ricongiungersi con la minuta figura di Caroline che con sua meraviglia risultava essere perfettamente integra ma scioccata dal delitto commesso.
«Sei solo un bastardo» gorgogliò la fine voce della vampira dalla lunga treccia bionda sui cui zigomi incominciavano ad apparire evidenti le rigide increspature così come le labbra carnose sfiorivano lasciando posto ad una innaturale fuliggine tra le pupille quasi bianche.
Il corpo di Lexi si fece incredibilmente pesante e Damon non riuscì a reggerne il peso.
Cadde a terra con un sordo tonfo contro le assi del parquet inclinando la testa obliquamente in modo tale che Caroline potesse sentirsi osservata dalla vampira esanime la quale aveva sacrificato la sua vita per salvarla – da cosa, Caroline lo doveva ancora digerire.
La vampira mimò qualcosa con le labbra mentre gli occhi ancora sbarrati si riempivano di paura e orrore per il triste avvenimento.
Si portò una manica a tamponare la bocca, tentando di diminuirne il tremore e il mugolio insistente che le gorgogliava in petto scosso da sussulti.
Poi guardò Damon e vide la sua immagine riflessa nei suoi stessi occhi.
Il Salvatore osservò l’amica del fratello distesa a terra assottigliando gli occhi nella regione del cuore in cui aveva conficcato il paletto.
Strabuzzò gli occhi e la fronte gli si riempì di impercettibili rughe mentre digrignando i denti imprecava per il suo errore fatale.
Poi guardò Caroline e un barlume di lucidità sembrò squarciargli la mente.
«Corri, Caroline» disse piegandosi per estrarre l’arma dal petto della giovane vampira.
La bionda indietreggiò di un passo.
«Corri» sillabò il Salvatore dai cui occhi azzurri straripava tutta la voglia e l’adrenalina che per tanto tempo gli erano mancate.
Un altro passo indietro e Caroline era già in corsa verso una meta sconosciuta.
Damon sorrise al lieve fastidio dovuto al pulsare del sangue intorno alle palpebre.
Per dirla alla Katherine, a occhio e croce, la caccia era iniziata.

***

Salve popolo di Efp,
non sono morta o finita in coma tranquillizzatevi, semplicemente avevo perso la mia ispirazione riguardo questa storia o forse ad essere sinceri non sapevo affatto come continuare questo capitolo che è dal mese di febbraio che è rimasto fermo al terzo rigo. Ma adesso tra un impegno e l'altro mi sono messa di impegno e finalmente riesco a pubblicarlo.
Prima di iniziare tengo a informarti che ho aperto un account su facebook Dreem L. Efp per cui chi volesse aggiungermi per sapere novità suelle mie storie può anche farlo.
Dunque, dove eravamo rimasti? Giusto Stefan che abbandona la pensione Salvatore e che Caroline è ancora in balia del mostro. In questo capitolo vediamo come si è evoluta la situazione nell'arco di una settimana: casa Salvatore ormai è ridotta quasi in rovina, almeno all'interno, e i suoi abitandi desidererebbero uccidersi a vicenda ma reprimono i loro istinti e continuano semplicemente a vivere. La tensione è alle stelle specialmente tra Damon e Katherine che all'insaputa di tutti hanno instaurato una relazione. Questo avvicinamento di Damon verso Kate non deve essere visto come un qualcosa di serio, semplicemente il bel vampiro dagli occhi azzurri è ancora attratto dal fascino di Katherine (più o meno il Damon sella prima stagione) e sta cercando di darle una seconda possibilità, e poi è Damon! Caroline è ancora alle prese con i suoi mutamenti di umore e le sue crisi insistenti che la stanno divorando dall'interno. Sta diventando pericolosa e irascibile tanto che Katherine mette la pulce nell'orecchio di Damon e lo convince che l'unica soluzione è quella di ucciderla. Anche Damon è d'accordo visto che all'inizio della loro pseudoconvivenza aveva pensato di abbandonarla o addirittura ucciderla quindi questa idea, nonostante il legame che ha instaurato con la bionda, sembra allettarlo, spinto dal pensiero di farle solo del bene. Damon cerca di non ammetterlo a se stesso ma è profondamente addolorato per ciò che deve compiere e questo suo dolore è manifestato dai tristi ricordi della vampira durante la loro convivenza. Il momento Daroline è uno dei miei preferiti perchè sembra essersi instaurato il legame fraterno, nonostante comunque ciò che compirà successivamente il vampiro. Infatti Damon raccoglie il suo coraggio ed è pronto ad uccidere Caroline ma qualcosa va storto e a lasciarci la vite è in realtà Lexi che era accorsa in suo aiuto. E così Caroline è costretta a correre, a nascondersi da Damon al fine di non diventare la preda di questa caccia ideata dai due vampiri. Tengo a sottolineare che Damon non è stato affatto pilotato da Katherine ma è sempre stata una sua idea sin dal principio, un'idea che adesso gli sembrerà sbagliata. Altra situazione è quella di Stefan e del sogno-ricordo! Nel prossimo capitolo vedremo come Caroline cercherà di sfuggire a Damon e come si evolveranno le cose all'interno dell'ormai in rovina casa Salvatore. E Caroline capirà chi è realmente il nemico che deve combattere.
Spero di poter aggiornare presto, in fondo la scuola sta finendo e presto tornerò a postare nuove cose sul sito.
Grazie a tutti coloro che si sono ricordati che tra tutte queste storie c'è anche la mia,
un bacio,
Sil

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Capitolo 15
*** 15.Tana ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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Riassunto dei capitoli precedenti:
Caroline, ragazza di Mystic Falls dal passato apparentemente semplice, è affetta da una strana sindrome davvero insolita per un neovampiro come lei: ha la fobia del sangue. Questa paura dipendeva da un episodio infantile: all’età di circa sei anni Caroline era stata rapita per capriccio di un essere mostruoso e aveva trascorso più di nove settimane rinchiusa in una cantina buia e sporca dove alle continue e terrificanti visite del mostro, durante le quali si nutriva di lei schizzandola di sangue, si alternavano le visite di un volto amico che la coccolava e la rassicurava. A più di dieci anni dall’accaduto Care si ritrova trasformata in vampiro e Katherine la conduce alla pensione Salvatore affidandole alle cure di Stefan. Ma Caroline non sa, Caroline non ricorda: quello è proprio il suo aguzzino nonché mostro della sua terribile infanzia. Stefan dal canto suo non sa come rimediare per quel terribile misfatto, tanto che pensava addirittura che la bambina fosse morta, ma adesso non ha alcuna intenzione di fare del male a Caroline, con la paura però che lei possa ricordare qualcosa. A compromettere la loro convivenza vi è il ritorno di Damon il quale sapendo il segreto del fratello accondiscende a stare zitto impegnandosi anche lui alla salvaguardia della vampira a dir poco malata. Caroline infatti è affetta da crisi, momenti di panico, perde il controllo e distrugge ciò che trova alla semplice vista del sangue; è gracile perché il suo corpo si rifiuta di assumerlo. Ogni giorno di quei sei mesi di convivenza con i due Salvatore, Caroline aveva incominciato a ricordare qualcosa, tassello dopo tassello, allarmando i due vampiri. L’arrivo di Katherine complica la situazione visto che Caroline lega uno stretto rapporto con lei, fidandosi ciecamente. Alla pensione giunge anche Lexi, amica di Stefan, e cerca di metterla in guardia nei confronti del suo passato e della paura incondizionabile che le genera. C’è una porta. La cantina. Caroline non sa perché ma sente che vi sia rinchiuso qualcosa dentro. Una bestia. Un mostro. E così scopre il suo passato, ricorda la cella e il luogo, rivede il volto del suo aguzzino e rivede Stefan. Tra i due scoppia una profonda lite che porta anche allo sfaldamento del rapporto tra i due fratelli. Dopo una breve battaglia Damon decide di andarsene ma, fermato da Caroline segretamente innamorata di lui, alla fine è Stefan ad andarsene, lasciando la pensione. Il crimine è stato scoperto ma non è finita. Il mostro è ancora dentro casa pronto a escogitare la prossima mossa del piano per sbarazzarsi della vampira. Katherine dopo aver sedotto Damon lo convince che la soluzione migliore sia uccidere la vampira. Così armato di paletto entra in camera di Caroline, la quale viene prontamente salvata dall’intervento di Lexie che muore sul colpo. A Caroline non resta altro che scappare.

15. Tana

 

«Bambolina, dove sei?»
Con queste parole Damon si aggirava per la casa deserta da più di un quarto d’ora e ogni scricchiolio di scarponcino era una nuova goccia di sudore freddo che imperlava la fronte di una Caroline quasi inesistente e terribilmente silenziosa.
Che si fosse tramutata in aria o che fosse diventata invisibile erano due ipotesi che il cervello del vampiro avevano rifiutato sin dal principio eppure ad ogni nuovo nascondiglio sventato e trovato vuoto, quelle due ipotesi tornavano prepotentemente a bussare all’uscio della mente del Salvatore.
«Conto fino a cinquanta - ma tanto so che ci sei» proruppe esasperato il giovane Salvatore, ma l’unico risultato fu il ripercuotersi delle sue parole sulle pareti inanellate di crepe della pensione.
Damon odiava giocare a nascondino. Non che odiasse di per se il gioco, anzi i ricordi più felici legati alla sua infanzia erano proprio le ore trascorse nel giardino paterno con il fratello a rincorrersi e a cercarsi a vicenda, ciò che lo tediava era quella ricerca assurda e abnorme che lo strascicava avanti e indietro da almeno due ore lungo tutto il corridoio che si snodava al primo piano della casa.
Aveva cercato sotto i divani incrostati di muffa e sudiciume, aveva scosto i vestiti tra le ante degli armadi, aveva aperto ogni sorta di botola arrotolando accuratamente tappeti variopinti, ma ad ogni tentativo arricciava il naso e assottigliava gli occhi.
Come avrebbe voluto che Caroline avesse quel minimo di ingenuità! Così come l’aveva il fratello il quale, nei lunghi pomeriggi assolati del diciannovesimo secolo, non aveva mai vinto una partita di nascondino: eppure si intrufolava ben bene, si ricopriva con foglie o si arrampicava sugli alberi, eppure gli occhi del Salvatore dai ciuffi corvini ribelli lo acciuffavano subito e indugiavano sul da farsi, se finire presto quella sceneggiata o continuare a giocare, facendo finta di non scorgerlo, bighellonando sotto le fronde delle querce e dei faggi.
Forse anche Caroline avrebbe fatto così, si sarebbe nascosta, accucciandosi con le ginocchia contro il petto, nei luoghi più disparati ma che i fratelli Salvatore sarebbero riusciti a trovare perché la conoscevano fin troppo bene.
Ma in casa Salvatore non si giocava a nascondino, se ci si nasconde da qualcosa è perché non si vuol essere trovati.
E per Caroline quel nascondiglio era la garanzia per la sua sopravvivenza.
«Mi sembra quasi impossibile che una bambinetta del genere ti sia sfuggita da sotto il naso» si sbilanciò la vampira mora e con quelle parole provenienti tra il diciannovesimo e il ventesimo scalino, annunciò la sua presenza attorcigliando attorno all’indice una ciocca di capelli, quasi come se quella fosse il filo di un telefono degli anni ‘Ottanta. Il ricordo di quel buffo particolare la fece sorridere di gusto e data un’occhiata fugace al ricciolo del tutto privo di doppie punte, tornò ad occuparsi di una faccenda alquanto più importante, sfregando con il polpastrello il pomello di legno con cui terminava il passamano della sontuosa scala, così come sfregava con gli occhi la figura del Salvatore a pochi passi da lei.
Damon roteò gli occhi visibilmente stanchi e scostò per l’ennesima volta la tenda giallo ocra facendo passare tra le dita il tessuto ruvido del lino lavorato. Niente, neanche lì.
Kate arricciò il naso solleticato da una nota di divertimento che derivava dal continuo cercare del Salvatore che a intervalli regolari continuava a rovistare sempre negli stessi nascondigli, come se solo cinquantotto minuti prima non avesse adocchiato un particolare importante, come se Caroline fosse lì nascosta e lui non l’avesse vista.
«Evidentemente qui non c’è» costatò la vampira indicando con l’indice l’ennesima stanza che Damon stava mettendo a soqquadro.
Il Salvatore chiuse gli occhi tanto da far unire le sopracciglia e si portò l’indice e il pollice della mano destra tra le due palpebre serrate, quasi per frenare l’impeto di friggere la vampira nell’olio bollente e per riacquistare quella lucidità mentale che – sapeva bene – tra meno di dieci minuti si sarebbe esaurita.
Emise uno sbuffo seccato e si rivolse alla vampira, assumendo un’espressione ironica e aprendo il palmo della mano come se stesse contando qualcosa.
«Ho cercato giù in cantina, tra le celle, in ogni singolo angolo della cucina, in salone, dentro la canna fumaria del camino, in garage, in bagno, in ogni camera di questa casa; a meno che non sia diventata la donna invisibile, dove potrebbe essere?» chiese sarcastico socchiudendo gli occhi, enumerando tutti i potenziali nascondigli, per poi dipingersi in viso un’aria interrogativa aspettando che la lampadina della vampira di fronte a lui si illuminasse perché la sua si era quasi sicuramente fulminata.
Damon venne investito da un’occhiata omicida proveniente direttamente dagli occhi della vampira la quale però dopo pochi secondi si illuminò.
«Questa pensione è provvista di porte e finestre, mai pensato che Pollyanna potesse fuggire?» domandò la vampira dall’aria di chi la sapeva fin troppo lunga e si precipitò giù per le scale seguendo il Salvatore al pari della sua ombra, non volendo perdersi per nulla al mondo l’espressione avvilita del vampiro quando il suo cervello avesse assimilato l’ipotesi da lei appena proposta.
Ma con sua grande sorpresa sulle labbra di Damon era sbocciato un sorriso malinconico e quasi antico, mentre apriva le ante della credenza della cucina martoriata, agguantando una tazza beccata.
«Pollyanna può essere frivola, superficiale, a volte impulsiva, ma non stupida: le avevamo severamente vietato di uscire fuori da sola e per di più nella sua città, per quanto impaurita potesse essere non ci avrebbe mai disobbedito, ne va della sua stessa vita» puntualizzò il Salvatore trangugiando quel caffè amaro e freddo di un giorno e rigettandolo senza alcun contegno sul pavimento scheggiato, brontolando qualcosa che la vampira si arrese a non capire.
L’amaro in bocca fece ricordare a Damon di Lexie, la quale stava adagiata morta sulla dura pietra di una delle tante celle della cantina. Al Salvatore quel sapore acre e freddo sembrava essere uno dei tanti rimproveri rivolti dalla vampira bionda. Era come se la sentisse quella sua voce antipatica e ridondante: già che ci sei perché non le fai scegliere il colore della lapide?
«Come se non stessimo cercando di ucciderla!» sbottò Katherine eliminando dalla maglietta i residui di caffè che Damon le aveva letteralmente sputato addosso.
Il vampiro scoccò la lingua intorpidita, alzò un sopracciglio scettico e rimuginò sopra la costatazione di Kate: in effetti loro stavano certamente cercando di ucciderla e per di più per un motivo che, ora che Damon ci pensava bene, era totalmente campato in aria.
Il Salvatore alzò lo sguardo sulle crepe e un cruccio gli sopravvenne in testa.
«Katherine, potresti avere la grazia di informarmi circa le motivazioni che ci hanno spinto a demolire – e sottolineo la parola demolire – casa mia?” si rivolse alla vampira visto che per almeno tre quarti la colpa era la sua.
Kate alzò lo sguardo al soffitto e i suoi occhi si soffermarono su certe impronte tra le assi di legno, opera sicuramente non di semplici topi.
«Perché in casa avete accolto una vampira pazza e squilibrata che al momento opportuno perderà la testa e ci ritroveremo tutti con un’assassina in circolazione. Devo anche ricordarti che la colpa è di tuo fratello o quel particolare te lo ricordi?» blaterò artigliandosi i fianchi.
A Damon quella situazione puzzava e non era solo il tanfo che si era venuto a creare in cucina di sangue rappreso, polvere e caffè bruciato: era che Caroline per quanto insana di mente potesse essere non era così grave da attentare alle loro vite.
«E perché ti sta tanto a cuore questa situazione che riguarda me e mio fratello?» domandò sventolando l’indice evitando di indicarla direttamente.
Katherine inghiottì il groppo di stizza che le si era formato in fondo alla gola, temendo che Damon avesse potuto intuire qualcosa circa le sue reali intenzioni.
«E tu perché fai tutte queste domande? Sbaglio o sembra che non vuoi più ucciderla?» rincarò la dose e avendo agguantato uno strofinaccio a scacchi per ripulirsi le dita, lo sventolò davanti al naso del vampiro dagli occhi blu, quasi come se fosse un guanto di sfida.
«Touche» ammise di controvoglia Damon il quale era sempre più propenso a credere che l’idea – o meglio il piano – che fino a quel momento aveva perseguito era assolutamente da cambiare.
Kate sorrise di rimando e, direttasi verso l’androne della pensione, armeggiò contro una cassetta in legno dentro la quale ticchettò un paio di mazzi di chiavi dalla fattura lucente e argentea.
«Cerca meglio in garage, io salgo al piano di sopra»
Gli occhi di Katherine si affusolarono pronti a cogliere una qualsiasi impercettibile indecisione da parte del Salvatore contando le finissime goccioline di sudore che si andavano addensando nella cavità del collo ricoperto leggermente di peluria.
Ad un’occhiata la vampira lanciò le chiavi che Damon prese al volo.
«Ricevuto, miss Katherine» brontolò il Salvatore rigirandosi tra le mani le chiavi leggere, pur avendo in mente tutt’altro da fare che continuare a dar la caccia alla povera Caroline.
La vampira riccioluta tese ogni singolo centimetro di fibra muscolare finché non udì la porta richiudersi alle spalle del maggiore dei Salvatore che – lei sapeva già – non sarebbe stato più suo alleato.
Contrariamente a ciò che avrebbe mai sognato di fare, Damon era arrivato alla conclusione che quello fosse  il momento più adatto per attuare il piano Salvatore che consisteva, come prima fase del piano, il ritrovo di suo fratello.

 
Bill Cleverstone, 1847 - 1898
Erano queste le parole incise sulla grossolana pietra sepolcrale che giaceva simile alle altre nel cimitero di Mystic Falls.
Stefan spolverò la dicitura in basso rilievo per poi scontrare una mano all’altra per eliminare i residui di terriccio e polvere dalle sue dita.
A differenza del fratello, il quale non vi si recava quasi mai, al minore dei Salvatore era sempre piaciuto gironzolare per il camposanto, sin dai tempi quando, accompagnato dall’arcigno padre o in compagnia della balia, andava a far visita alla madre defunta. Lo attiravano soprattutto quei nomi e le date incise sul marmo che nascondevano chissà quali storie e quali famiglie, i visi paffuti degli angeli dai riccioli ben marcati o i fiori scolpiti e così realistici da sembrare imbalsamati.
Ma quello era un tempo ormai fin troppo lontano.
Per Stefan recarsi al cimitero nel ventunesimo secolo era sinonimo di ricordi e di rimorsi, della consapevolezza che poteva – doveva – esserci anche lui tra quelle tombe, tra i compagni del suo secolo.
Il Salvatore si rizzò in piedi facendo leva sulle ginocchia e dopo aver dato un fugace sguardo alla tomba che conteneva l’ennesimo conoscente dei secoli passati, affondò le mani nelle tasche dei jeans facendo scricchiolare i suoi scarponcini sul selciato rovente del cimitero.
Paradossalmente a ciò che aveva temuto, nulla si era mosso dal fronte Caroline e, benché avesse la netta sensazione che prima o poi avrebbe ricevuto qualche malcapitata notizia dalla sua amica Lexie, era più che deciso di non mettere più piede alla pensione almeno per i prossimi cinquant’anni, ne andava della vita della sua Care.
Stefan aggrottò la fronte arrestando il suo strascichio lento e continuo dei suoi passi alla vista di un ragazzo del suo stesso istituto.
Non che Stefan fosse propriamente stupito dell’incontro con quel ragazzo giacché aveva avuto modo di incontrarlo in diversi luoghi lì a Mystic Falls; ciò che più lo stupiva era sorprenderlo di fronte a quella che ad occhio e croce doveva essere la tomba di Caroline.
«Ciao» salutò il ragazzo dai capelli scuri e ispidi così come gli occhi non appena si accorse del Salvatore il quale gentilmente rispose al saluto sentendosi impacciato per la prima volta in centosessantaquattro anni.
«Devi essere Stefan Salvatore, del terzo anno, dico bene?» chiese il ragazzo affondando le mani dentro le tasche della giacca di pelle nera.
Il vampiro dagli occhi verdi annuì e la lingua limò il suo interno guancia quasi come a manifestare il suo lento frugare tra le scartoffie della sua mente alla ricerca di un’identità che Stefan conosceva fin troppo bene.
«Esatto. E tu devi essere Tyler Lockwood del quinto anno, il figlio del sindaco, dico bene?» lo scimmiottò lievemente e Tyler si aprì in un sorriso a trentadue denti che in realtà era carico di amarezza e irritazione.
Stefan conosceva i Lockwood del diciannovesimo secolo e il loro temperamento irruento, per cui era più che convinto che non dovevano essere cambiati di molto.
Il Salvatore affilò lo sguardo per un momento per poi posarlo sulla lapide.

Caroline Forbes, 1994 - 2011
«La ragazza morta quest’estate. La conoscevi?» chiese Stefan giocherellando con la cerniera del suo giubbotto, gli occhi fissi su Tyler.
Il ragazzo tirò un sospiro amaro e Stefan irrigidì la mascella, sentendosi ingiustamente responsabile per l’accaduto.
«Si. Ero con lei e il suo ragazzo quando ha avuto l’incidente. Guidavo io. Stavamo tornando da una festa e non so cosa sia potuto accadere ma ho perso il controllo dell’auto. Quando mi sono svegliato mi sono ritrovato soltanto un taglio alla tempia. Lei, un trauma cranico».
Si umettò le labbra non distogliendo lo sguardo dalla terra umida come se lì distesa vi fosse Caroline, con lo sguardo attento e un po’ corrucciato. Ma Stefan sapeva che la sua Care non si trovava lì sottoterra: era nella sua stanza alla pensione Salvatore, servita e riverita, con un peso in meno dal cuore ora che il mostro finalmente era uscito dalla sua vita.
Poi riprese.
«I medici sostenevano che non ce l’avrebbe fatta, che il trauma era stato troppo forte e che poteva compromettere alcune funzioni. Sapevamo del rapimento di Caroline da bambina e anche delle sue fobie che nel tempo si erano affievolite, eravamo pronti ad accettarle e a debellarle qualora si fossero ripresentate. Invece no, Caroline il giorno dopo si svegliò con il sorriso raggiante, borbottando di aver fame, spulciando le riviste di moda che io e il suo ragazzo le procuravamo. Sembrava andare tutto per il meglio quando-»
La sua voce si smorzò e digrignò i denti con gli occhi inondati di lacrime represse e di cui – il Salvatore pensò – solo la lapide ne era a conoscenza.
Stefan deglutì in attesa del seguito di quella storia.
«Quando l’infermiera ci informò che era morta nel sonno e che non avevano potuto far niente per lei. Nessuno la vide più o almeno io non la vidi più. Era come se qualcosa mi proibisse di guardarla per un’ultima volta»
Il Salvatore riassestò col piede un ramoscello che contorcendosi stava arrampicandosi su per la pietra.
Non che non fosse evidente che Tyler - così come i restanti amici di Caroline presenti in ospedale – fosse stato soggiogato, ciò che più crucciava la mente del giovane Salvatore è quale vampiro sano di mente avrebbe voluto trasformare un’umana per suo capriccio.
In realtà di vampiri capricciosi ce n’erano parecchi e lui guarda caso ne conosceva proprio uno.
«Il fatto è che quella stessa notte io l’ho vista, era viva-» sbottò il ragazzo rivolgendo i suoi occhi grandi contro uno Stefan alquanto scosso dal racconto ma al contempo curioso di sapere quel dettaglio, forse vitale per raccapezzarsi in quella storia.
«-ed era con tuo fratello»
 

 

Caroline strizzò gli occhi e sperò con tutto il cuore che il ragno avvinghiatosi ai suoi capelli fosse scivolato via e l’avesse lasciata in pace.
La soffitta Salvatore non era di certo il sinonimo della pulizia ma era il miglior luogo per nascondersi quando non si voleva essere trovati.
A Care ricordava tanto la soffitta nella vecchia casa di nonna Forbes, quando, lasciando in casa le urla di mamma e papà e i piatti rotti, si arrampicava sulla scala a chiocciola con la gonna che le si arrotolava tutta. Stava lì in mezzo a due o tre cappelli fuori moda, fotografie impolverate e vecchi gatti impagliati che con i loro occhi vuoti le facevano rizzare le codine bionde.
La vampira si osservò la ciabattina superstite con cui era scappata dalla sua stanza, l’altra sua omologa sarà andata perduta durante la fuga. Si sgranchì le dita dei piedi facendo ondeggiare le righe verdi e azzurre della calza destra ricoperta di fuliggine e sporcizia.
A quella vista la bionda si intristì all’improvviso: la consapevolezza che Damon, il ragazzo che aveva amato e che adesso considerava quasi come un fratello, volesse ucciderla le faceva decisamente male.
Aveva ancora riflessa negli occhi verdi la morte di Lexie, il tonfo sordo del suo corpo ormai vuoto. Era la prima volta che vedeva qualcuno morire, umano o vampiro che fosse, e ora poteva pure giurarlo: era uno spettacolo semplicemente orrendo.

Come se non stessimo cercando di ucciderla! La voce leggermente stizzita della sua amica vampira dai riccioli castani solleticò le sue orecchie già particolarmente sensibili nell’udire ogni qual tipo di rumore sospetto.
Le labbra screpolate le si tesero impercettibilmente impedendo ai canini di fuoriuscire dalle gengive estremamente rigonfie e si accorse di tale reazione solo quando i denti le maciullarono parte del labbro inferiore, quando il sapore del suo sangue le incrostò le papille gustative.
La bionda ebbe subito un motivo di ribrezzo che le fece accapponare la pelle delle braccia sotto la sottile maglia di cotone.
Caroline non aveva mai provato l’ebbrezza della caccia, il macabro rumore di una carotide pulsante pronta per essere dilaniata dai suoi denti: all’infuori dell’infausto incontro ravvicinato con Matt, non aveva mai divorato nessuno, o almeno che lei ricordasse.
Era la rabbia non la sete che le innestava quelle reazioni inattese, come un effetto domino che perduta la lucidità era tutto un susseguirsi di gesti automatici e incontrollati, visti e imitati da chissà quale genere di mostro e che lei ripeteva con minuziosa attenzione nei dettagli.
Era la rabbia che adesso le ribolliva nelle vene ma, per quanto fosse incandescente, la paura spargeva acqua sul fuoco, rilassava i muscoli, ritirava gli artigli. Dopotutto codarda c’era sempre stata anche d’umana.
Caroline protese il busto in avanti e accostò l’orecchio all’asse malconcia del pavimento butterato e divorato dalle termiti. Non che ne avesse realmente motivo date le sue capacità sopraffine, ma era un’abitudine alla quale faticava rinunciare.

Devo anche ricordarti che la colpa è di tuo fratello o quel particolare te lo ricordi? Katherine rispose a quella che la bionda percepì come una domanda alla quale non aveva prestato attenzione e si infuriò contro se stessa per non aver origliato per bene. Ma l’argomento Caroline, sebbene non avesse udito il resto della conversazione, l’aveva indovinato già da tempo e il solo ritorno di quella sensazione le provocò un rigurgito di sangue che le impiastricciò la bocca di bile amara e sangue putrefatto.
Era più che logico che si trattasse di Stefan e del suo inconfessabile misfatto per cui Care continuava a sentire bruciare i morsi e le cicatrici come se fossero stati inferti sul momento. Ciò di cui non riusciva a maturare la completa accettazione era l’idea che avesse realmente intenzione di farle del male. Per quanto le loro menti fossero realmente affette da chissà quale pazzia interiore, non erano poi così malvagie da garantire la morte dell’altro.
Non come la mente lucida e senza scrupoli di Damon.

E perché ti sta tanto a cuore questa situazione che riguarda me e mio fratello? Intonò il Salvatore con voce rauca e ovattata dallo spesso strato di legno che divideva la soffitta al corridoio sottostante.
Quelle poche parole bastarono a rianimare la speranza della povera Caroline la quale sfregando le unghie contro le assi di legno si prospettava una scena ben diversa dalla realtà con un Damon persuaso dall’idea di ucciderla e una Katherine seriamente preoccupata per la sua scomparsa.
Se li immaginava battibeccare lì sotto di lei a pochi metri di distanza, con gli sguardi assassini che rimbalzavano tra le pareti e imprecazioni dette a mezz’aria. E magari sarebbe potuta scendere, avrebbe potuto distendere le braccia e le gambe intorpidite, avrebbe potuto rimuovere il sottile strato di cenere dai capelli annodati, e magari li avrebbe trovati in cucina con una tazza di caffè in mano pronti ad accoglierla e a sgridarla per la marachella che aveva commesso. Ma Caroline sapeva bene che quei giorni erano finiti, che il tempo dei sorrisi e dei rimproveri era già scaduto da un pezzo. Il loro era un gioco perverso a cui lei stava imparando a giocare seppur a sue spese.
Un nuovo bisbiglio e la bionda tese ancora le orecchie avvertendo il fruscio di tende e lo strascichio di mobili.

Sbaglio o sembra che non vuoi più ucciderla? Le arrivò all’orecchio la voce ovattata di Katherine e per poco non graffiò l’asse di legno sulla quale era premuta la mano leggermente sudata.
Si sentì solleticare il collo da qualcosa di sottile e di viscido e si tappò la bocca ricacciando l’urlo stridulo che sapeva avrebbe emesso alla vista di quell’orrendo millepiedi. Strizzò gli occhi colta alla sprovvista da un moto di disgusto ma che in fin dei conti non era poi così tremendo paragonato alla sensazione del sangue e del sapore della ruggine in bocca.
Afferrò tra le dita quel minuscolo essere e lo fece ruzzolare due o tre scatoloni più in là. Poi si prese i capelli biondi fra le mani sudice e con fare frenetico li torturò, le pupille grandi e lucide roteavano velocemente come se da qualche angolo buio dovesse apparire una nuova bestiola pronta a mettere a repentaglio ancora di più la sua vita.
Colta dalla veridicità di quel pensiero, Caroline pose nuovamente attenzione alla conversazione che si stava svolgendo a pochi metri sotto di lei.
Mantenne il fiato ben stretto tra la faringe e il palato e assottigliò lo sguardo come se questo le avesse consentito di registrare meglio perfino gli ultrasuoni.
Ciò che la povera Care riuscì a percepire fu il ronzio monotono e quasi stanco di una mosca a pochi metri da lei. Poi il cigolare della porta di ingresso e lo scatto metallico della serratura. Passi che si allontanavano.
Se n’erano realmente andati?
La vampira non ebbe il coraggio di rispondersi ma ugualmente svuotò i polmoni dell’ossigeno ormai ristagnato e rasserenò le spalle che ormai avevano assunto un aspetto granitico.
Evitò di mordicchiarsi il labbro inferiore anche se il movimento ad intermittenza della palpebra destra mostrava tutto il suo nervosismo. Sgusciò veloce tra gli scatoloni evitando di fare il minimo rumore – cosa sicuramente non facile date le assi di legno marce e non molto stabili che regalavano bubbolii sinistri ad ogni peso che vi si poggiava.
La vampira tirò su la maniglia della botola che collegava direttamente la soffitta al corridoio del primo piano sottostante. Le scivolò dalle mani sudate e la botola si richiuse producendo un tonfo sordo che ammutolì il cuore di Caroline.
Rimase senza respirare cinque forse dieci minuti prima di ricominciare a battere le ciglia, a respirare regolarmente, a sentire i nervi delle sue gambe allentarsi e formicolare.
Contò mentalmente fino a tre come quando da bambina aspettava con ansia e paura che il dentista gli togliesse un dente, quando si corrucciava gli occhi e prometteva di non mangiare più caramelle.
Contò mentalmente fino a tre e aprì la botola fiondandosi sul pavimento sottostante coprendosi istintivamente gli occhi e il viso come se da un momento all’altro dovesse uscire un mostro pronto a infliggerle del male, ma tutto ciò che ritrovò ad osservarla furono le tendine giallo ocra e il tappeto a lei tanto familiare.
Si stava nascondendo da- quanto? Mezz’ora, tre ore- o forse erano giorni? Il tempo non le era sembrato mai così assente come in quel momento. Fatto sta che Caroline, confusa o meno che fosse, ritrovava gli oggetti di quella casa come antichi e non più riconoscibili come quelli che avevano accompagnato le sue giornate durante il soggiorno alla pensione.
La vampira allungò il collo e si accertò che non sbucasse alcuna ombra sospetta dalle scale.
Una minuscola speranza si insinuò nel cuore di Caroline tale da rianimarle gli occhi opachi e le guance smunte. Si precipitò al piano di sotto e nonostante il forte capogiro che avvertì e che fece ruotare la casa come una giostra cercò di mettere in ordine le idee e concentrarsi su ciò che avrebbe dovuto fare. Non ebbe bene il tempo di pensare al da farsi che le sue gambe l’avevano trascinata in cucina alla ricerca di qualche brandello di cibo così da tamponare la fame straziante che la corrodeva da ormai non sapeva quanto.
Setacciò gli scaffali e ogni anta della credenza immaginandosi qualche biscotto ammuffito in qualche angolo o delle fette biscottate sbriciolate nel fondo di qualche cassetto.
Ma non appena gli occhi della bionda rintracciarono un misero pacchetto di cracker invece di brillare di felicità si ingrigirono dalla paura.
«Caroline?»
Una voce dietro di lei le impose a rimanere immobile come se il semplice fatto di non respirare l’avrebbe potuta rendere invisibile.
Katherine sulla soglia della cucina attendeva una risposta da parte della sua coinquilina.
Care si voltò temendo il peggio.
Gli occhi di Katherine leggermente lucidi erano affranti e al contempo gioiosi per la scoperta che avevano fatto, le labbra erano semiaperte lasciando fuoriuscire un flebile sospiro di sollievo, le braccia tese fremevano nella voglia di un abbraccio.
«Oh Care, temevo che ti avesse già trovata» esclamò e annullò la distanza tra i loro corpi, accogliendo tra le sue braccia una Caroline confusa ma al contempo grata per quella accoglienza.
«Kate perché mi vuole fare questo?» piagnucolò Caroline lasciando andare i nervi che avevano ormai oltrepassato il limite del sopportabile.
Katherine slegò le braccia attorno le spalle della vampira e le prese le mani, continuando a guardarla negli occhi color giada.
«Chi ti vuole fare del male?» chiese la vampira riccioluta cantilenando, assottigliando gli occhi e irrigidendo leggermente la mascella.
Caroline singhiozzò.
«Damon»
Allora gli occhi di Kate si affilarono e una luce particolare tornò a illuminarle il viso olivastro.
«Oh piccola Care, ma Damon non ti vuole fare del male» cantilenò posando l’indice lungo il profilo delle guance della bionda.
Fu allora che si ripresentò prepotentemente quel senso di malessere, quella paura sviscerante e senso di oppressione che si manifestava ogni qual volta riceveva un contatto da Katherine. Non era una semplice sensazione, era un avvertimento, era pericolo.
La vampira mora si aprì in un ghigno mentre Caroline poggiava un piede dietro di lei, pronta ad imboccare l’uscita.
«Quella sono io»
Il tempo che intercorse tra la scarica di adrenalina che investì le vene di Caroline e il lancio del coltello da cucina contro il petto di una Katherine famelica fu minimo.
La vampira bionda abbandonò veloce la cucina e a grandi falcate si diresse verso l’ingresso. Cacciò uno sguardo veloce verso le scale ma scartò subito l’opzione di nascondersi nuovamente in soffitta dopotutto non avrebbe potuto rimanere nascosta in qualche buco per sempre.
Katherine si sfilò velocemente il coltello che si era ben incastrato tra la quinta e la sesta costola destra e gettata lontano l’arma si mosse con tutta tranquillità. I suoi passi picchiettarono contro il parquet e Caroline riuscì a malapena a deglutire.
Gli occhi color giada fermi sull’unica via d’uscita disponibile in quel momento: la porta d’ingresso.
Fu uno scatto e Caroline era fuori.
La luce calda e densa del sole la colpì in pieno viso, sulle guance, sulla sommità del collo, lungo le braccia scoperte, i polsi, le mani e le dita – dita sprovviste di quell’oggetto magico e prezioso che l’abitudine aveva fatto dimenticare a Caroline di averlo.
«Tana libera Caroline» squillò la voce inquietante della vampira dai riccioli morbidi i cui occhi si stavano inevitabilmente accartocciando.
Ma Care non ascoltava.
Caroline era in fiamme.

 

***

Chiedo venia, ve ne prego! So bene che ho lasciato questa storia praticamente a se stessa, senza una fine dignitosa e senza rivelarvi il mistero che si cela alla fine, ma, sapete, il blocco dello scrittore prima e la maturità poi mi ha portato a trascurare di molto questa fan fiction. Ringrazio già ora tutti quelli che avete provato nostalgia per questa storiella e che vi siete interessati. Che vi avevo detto, sarei tornata no? E guarda caso oggi è proprio il primo luglio! Ad ogni modo dopo il breve riassunto che ho posto all’inizio, il capitolo inizia proprio come era finito quello procedente: Lexi è morta, Damon e Katherine sono alleati, Caroline è in pericolo, Damon deve uccidere Caroline. E così il Salvatore fruga negli angoli più nascosti della casa per trovare la vampira dai riccioli biondi anche se evidentemente quella ricerca non lo soddisfa molto, mentre Katherine è impaziente che Damon faccia il lavoro sporco per lei. Damon non è assoggettato a Katherine o cose simili, ma le parole della vampira erano state così convincenti che ci ha creduto. Dopotutto sappiamo di cosa è fatta Kate! Ma effettivamente Damon dopo una prima sbandata ritrova la lucidità e molla tutto alla ricerca del fratello. Stefan d’altro canto è all’oscuro di ogni cosa, come è solito si martirizza credendosi il colpevole di turno e guarda caso durante una passeggiata al cimitero incontra Tyler. Non so voi, ma a me questa interazione con i personaggi del telefilm un po’ fuori dal comune mi piace e molto. Spero vivamente di non aver reso Ty oc. Comunque il Lockwood informa Stefan di un dettaglio importantissimo: Damon era con Caroline la sera in cui è stata trasformata. Questo cosa può significare? Caroline si nasconde in soffitta e sì, l’aspetto fanciullesco lo vedrete ancora per poco: Care è più forte e più matura di ciò che sembra anche se lei stessa non se ne accorge. E comunque ingenuamente dopo aver origliato tre quarti di conversazione scende di sotto e incontra niente poco di meno che Katherine. Finalmente Care capisce chi è il nemico, ma ormai è troppo tardi. E come se non bastasse Katherine in quell’abbraccio con Caroline ha trovato il modo di sfilare l’anello magico alla vampira sotto proprio la luce del sole. Vi anticipo già che il prossimo capitolo (in fase di completamento state tranquilli) è un flashback ma questa volta non contrassegnato da [sei mesi prima] ma sarà il fatidico flashback della notte in cui è morta Caroline. Finalmente scoprirete chi ha trasformato Caroline e come siano state le sue prime ore da vampira.
Con questo vi saluto e spero di aver evitato i pomodori!
Ad ogni modo per qualsiasi cosa mi trovate su face book Dreem L. Efp
Grazie mille per la lettura,
baci.

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Capitolo 16
*** 16.Notte [la morte di Caroline] ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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16.Notte [la morte di Caroline]


Caroline non era assolutamente certa se fossero cinque o sei i bicchieri che aveva mandato giù a quella festa clandestina organizzata dalla scuola in un capannone in mezzo ai boschi a venti minuti da Mystic Falls, ciò di cui era relativamente certa era che se avesse provato a camminare sui suoi tacchi probabilmente non avrebbe retto più di dieci secondi.
«Alza il volume della radio, Matt, non la sento» biascicò tentando di mantenere inalterato il sorriso a trentadue denti che aveva tirato su all’inizio di quella serata e che adesso minacciava di non andarsene più comportando un intorpidimento dei muscoli facciali con relativa paralisi.
Matt roteò gli occhi aggrappandosi maggiormente al volante e cercando di guidare con una velocità sostenuta.
Matt non era il tipo da festa, basicamente nei suoi diciassette anni non era riuscito a divertirsi pienamente, a godersi le feste di compleanno dei compagni di scuola, a uscire con gli amici il venerdì sera, ad andare con la sua ragazza ad una festa. C’era sempre qualcosa che lo frenava prima di qualunque tipo di divertimento, come se da un momento all’altro un agente di polizia dovesse sbucare fuori e avvertirlo che sua madre era stata trovata ubriaca in qualche angolo della strada o che sua sorella Vicki fosse dietro le sbarre in attesa che venisse pagata la cauzione.
E Matt viveva con l’ansia, sapendo di per sé che ogni divertimento era motivo di preoccupazione.
Tyler fece capolino tra i due sedili anteriori e tenendosi saldamente allo schienale del conducente allungò il braccio fino a raggiungere il bottone dello stereo.
La musica ad alto volume inondò l’abitacolo della macchina sovrastando il rumore delle ruote e dei freni mal ridotti.
La bionda batté le mani squittendo dalla felicità provocata dal gesto dell’amico, anche lui un po’ brillo, ma sicuramente più lucido della Forbes.
«Ty non ti ci mettere anche tu, non la assecondare» borbottò Matt scoccando attraverso lo specchietto retrovisore un’occhiataccia all’amico che occupava il sedile posteriore il cui volto era illuminato da balzi di luci provenienti dai lampioni che si susseguivano per un buon tratto della carreggiata.
Tyler serrò le labbra rimanendo indeciso per una buona manciata di secondi se rimanere zitto e inghiottire il groppo o sputare l’indignazione anche a costo di mandare a quel paese il suo migliore amico.
Alla fine la parte meno lucida ebbe la meglio.
«Sai che ti dico? Che hai passato un’estate intera peggio di una mamma iperprotettiva, sempre a preoccuparti per gli altri, a rimanere sempre vigile e all’erta» sbottò tutto d’un tratto il ragazzo dai capelli corvini e Matt arricciò lievemente il naso per il tanfo di birra misto ad alcol che proveniva dall’amico il quale gli stava alitando quelle parole a pochi centimetri dal suo orecchio.
«E’ tardi, andiamo a casa. No, stasera non bevo. Non me lo posso permettere. Questa è la nostra ultima estate prima del diploma, manca solo un mese all’inizio dell’ultimo anno e io non intendo affatto sprecarlo!» Tyler prese a scimmiottarlo con il suo tipico modo di fare con il quale Matt aveva imparato a conviverci da quando entrambi avevano il sorriso bucherellato di spazi neri e le ginocchia sbucciate.
Il biondo s’impuntò sul freno e le ruote della macchina stridettero contro l’asfalto umido delle quattro del mattino.
Caroline, che apparentemente sembrava essere stata assorbita dalla musica tanto da non prestare attenzione alla conversazione dei due ragazzi, inclinò leggermente il capo così da mettere maggiormente a fuoco la figura del suo ragazzo e, con gli occhi contornati di mascara, rivolse uno sguardo anche a Tyler il quale non  era ben sicuro di ciò che stesse per fare l’amico.
Matt portò il pollice alla labbra torturandosi con gli incisivi la pelle spessa del dito mentre gli occhi rimbalzavano nervosamente da una parte all’altra della strada quasi come se fossero dei tergicristalli. Caroline alzò curiosamente un sopracciglio non spiegandosi lo strano comportamento del ragazzo.
Gonfiò le guance.
«Ok, volete dirmi che cosa mi sono persa? Matt che succede?» esordì la bionda ritrovando precocemente l’uso della mano e alzandola dal vestito di seta verde che le arrivava un po’ sopra la coscia per posarla sopra i jeans strappati di Matt il quale muoveva nervosamente la gamba.
Quel tocco provocò in Matt un senso di torpore e di sicurezza. Era quel gesto timido e inconsueto che Caroline, ragazza espansiva e dagli abbracci facili, si risparmiava di fare solo in intimità, quando erano da soli, quando bastava quel tocco leggero per dire ci sono io con te.
Matt sospirò, estrasse le chiavi dal cruscotto davanti agli occhi di un Tyler leggermente confuso e gliele lanciò.
«Sai, forse hai ragione. Non puoi sprecare quest’ultima estate prima del diploma e io per quanto ti voglia bene non sono tua madre. Quindi guida tu, io mi voglio godere solo il viaggio di ritorno».
A quelle parole la mandibola del Lockwood si aprì di poco meno quarantacinque gradi e gli occhi lievemente lucidi osservavano la figura zigrinata delle chiavi della macchina con tensione mista a desiderio.
Il moro deglutì di botto il grumo di saliva che gli si era addensato sotto la lingua e puntò lo sguardo sugli occhi azzurri appena accennati di rosso dell’amico il quale stava esibendo un sorriso furbesco seppur rassegnato.
Dopotutto Tyler era un po’ ubriaco, come poteva non ammetterlo, e l’idea di sedersi al volante a guidare non lo allettava di certo, non dopo il ritiro della patente avvenuto solo un mese prima che gli era costato una discussione violenta con il padre e le crisi isteriche della madre.
Tyler guardò l’amico e un moto di euforia gli straripò dagli occhi tramutandosi in un urlo amichevole, di quelli buoni, che scosse l’abitacolo della macchina e i suoi viaggiatori. Matt diede una leggera pacca sulla spalla dell’amico e in un batter di ciglio invertirono i ruoli, facendo passare Tyler di fronte al volante al fianco di Caroline e Matt scaraventandosi sul sedile posteriore ormai rassegnato a quell’idea.
La bionda si sbrogliò dalla morsa della cintura e si protese all’indietro per scoccare un bacio al suo ragazzo mantenendo un sorriso genuino che continuò a persiste anche nei successivi venti minuti di viaggio in auto.
Solo che accadde qualcosa, un tintinnio simile ad un antifurto, simile al gesso raschiato sulla lavagna, un fischio, un sibilo.
«Che ti succede Ty?» chiese Matt scostando lo sguardo dal display illuminato del cellulare. Erano le 4:38.
«N-non lo sentite questo rumore?» chiese il giovane mantenendo saldamente le mani al volante, con il collo imperlato di sudore per quello strano ronzio che, seppur lieve, lo infastidiva.
«Saranno i freni, alza la musica per non sentirlo» concluse spicciola la bionda e  Tyler seguì il suo consiglio alzando notevolmente il volume dello stereo. Ma mentre Tyler combatteva con quel fischio persistente che gli pungeva i nervi uno ad uno, Caroline si rilassò contro lo schienale del sedile, stanca e soddisfatta della serata. Pensava a cosa avrebbe fatto una volta a casa, come si sarebbe tolta le scarpe per raggiungere in punta di piedi la sua camera. Probabilmente sua madre non c’era, ma lei lo avrebbe fatto comunque, adorava quel genere di azioni, l’entrare di soppiatto, come se ci fosse stato qualche genitore arrabbiato che, in giacca da camera, la stesse aspettando con tanto di punizioni e sequestro del cellulare. Ma la sua casa era vuota, e di genitori non se ne vedeva neanche l’ombra.
Il picchiettio dei tasti del cellulare di Matt si fece molto più acuto, segno che probabilmente stava massaggiando con la sorella, ancora sveglia a quell’ora.
Ad un certo punto Care affilò lo sguardo. Non ne era completamente sicura ma ciò che vedeva erano due lucciole. Probabilmente si erano posate sul vetro ed erano rimaste incollate. La bionda sorrise meravigliandosi di quello spettacolo.
«Oh le lucciole» mormorò ma nessuno sembrò badare alle sue parole. Eppure quelle lucciole si facevano sempre più grandi, si ingigantivano fino a diventare delle vere palle al neon. Caroline non aveva mai visto una razza simile di lucciole. Emettevano luce bianca, chiara, e sembravano avvicinarsi sempre di più.
«Ma che…» borbottò qualcosa Tyler che, così come lei, si stava strofinando insistentemente gli occhi annebbiati dai fumi dell’alcol.
«Dove sono le lucciole?» chiese Matt avendo finalmente finito di mandare messaggi e alzando lo sguardo insonnolito.
E di lucciole e lampadine vide solo i fari del camion.

 

Il dito tremante sembrava non avere alcuna intenzione di pigiare il bottone del caffè espresso che lo sceriffo Forbes richiedeva da quel distributore posto nel corridoio dell’ospedale adiacente alla camera della figlia la quale era ancora in bilico tra la vita e la morte.
Elisabeth tirò un sospiro nervoso e si tamponò le meningi e gli occhi stanchi e iniettati di miriadi di capillari, segno di notti insonne e ipertensione alle stelle.
Ci provò di nuovo e questa volta si tenne ben stretto il polso sottile, ma una voce alle sue spalle le fece cambiare traiettoria con il risultato di pigiare un bottone sbagliato e di un odore nauseante di limone e tè liofilizzato.
Lo sceriffo imprecò per quel misero tè – per giunta deteinato – e per il dollaro che aveva sprecato, ma alla fine riprese il controllo e si voltò per esaminare chi e cosa l’avesse disturbata.
Una timida infermiera dai capelli neri raccolti in una coda bassa e una voglia sotto il mento squadrò Lizzie con fare compassionevole notando i contorni violacei sotto gli occhi e il colorito cereo che la confondeva con il colore dei capelli, mal curati e di uno spento giallo paglierino.
Non appena mise a fuoco la figura minuta dell’infermiera di fronte a lei, la Forbes perse un battito e sentì le ginocchia cedere.
«Sceriffo Forbes?» chiese l’infermiera rivolgendosi allo sceriffo, non tanto per verificare l’identità della donna, di quello ne era certa, quanto più per accertarsi delle sue effettive condizioni visti gli occhi sbarrati e l’aria assente.
«Si, sono io» riuscì a mormorare, ma sembrava che il tremore della mano si fosse diffuso in tutto il corpo raggiungendo la sua lingua, intorpidita e anestetizzata dai troppi caffè.
L’infermiera le sorrise con un sorriso che sapeva di madre e Lizzie si sentì semplicemente rincuorata prima ancora di udire le parole della donna.
Per tre giorni aveva aspettato tra i corridoi dell’ospedale, dietro quei muri che odoravano di disinfettanti e di malati. Prima aveva aspettato che Caroline uscisse dalla sala operatoria ed erano state ore di ansia, ore di scuse da parte di Tyler, ore di bestemmie, di litigi, di lacrime, di paura. Poi quando finalmente aveva visto sua figlia passare sulla barella, con i punti ancora freschi sotto il mento e macchie blu al posto del rosa delle guance, aveva aspettato che la sua bambina si svegliasse e attendeva una notizia, un segno che vedeva in ogni dottore, in ogni infermiera che in camice rigorosamente blu le passava accanto. A volte le fermava, a volte rimaneva seduta. Adesso aspettava soltanto che qualcuno le dicesse che cosa ci facesse ancora lì.
Il tocco leggero dell’infermiera sulle dita, che ancora artigliavano il bicchiere di carta con un tè ormai freddo, risvegliò nuovamente lo sceriffo.
«Sua figlia si è svegliata, può andare a vederla» annunciò e teneramente tolse dalle mani il bicchiere riversando il contenuto in una pianta lì vicino.
Lizzie fu come rianimata da quella notizia e le ore di sonno perse, la fame, la stanchezza, lo stress evaporarono come acqua sotto il sole cocente.
Si drizzò sulle ginocchia allontanandosi da quelle sedie bianche e troppo scomode e si lasciò guidare dall’infermiera nella camera d’ospedale dove riposava la sua Caroline.
Notò l’esile figura di sua figlia adagiata sulle lenzuola grigiastre attraverso le veneziane che ricoprivano la porta a vetri della stanza. Per un attimo si pentì di non aver risposto alla chiamata di Bill e cacciò indietro quel pensiero mordicchiandosi il labbro inferiore. Era suo padre dopotutto.
Sospirò lievemente ancora indugiando su quel pensiero, ma non si accorse che la sua mano si era già mossa e si era aggrappata alla maniglia facendo scattare la serratura.
Si sentì il passo troppo pesante, così come quando, ancora giovane e con i capelli lunghi, sbirciava la sua bambina, di pochi mesi e ancora infagottata, da un lato della culla ed aveva il cuore in gola, come se la sua piccola fosse munita di un udito fuori dal normale e sentisse lo strascichio lento delle scarpe. E così Lizzie era entrata, senza fare rumore come se fosse tornata indietro di diciassette anni, come se lì in quel letto ci fosse la sua Caroline appena nata.
Un respiro forse troppo affrettato e la massa di capelli color paglia si mosse e con lei anche i due piccoli occhi giada appena stropicciati dal sonno.
«Mamma?» gracidò lievemente muovendo appena le labbra, senza sorridere perché i punti tiravano ancora.
Lo sceriffo si sciolse nel vedere la sua creatura in quello stato: la fronte pallida ricamata dai punti che si estendevano lungo tutto il sopracciglio destro per poi scendere fino al mento, le labbra striminzite, le guance prive di spessore. Notò poi quelle piccole cose che solo una mamma sarebbe stata in grado di vedere: la spalla destra era leggermente scoperta e se qualcuno non le avesse rimboccato subito le coperte avrebbe preso sicuramente freddo dato il sistema di condizionamento presente nella struttura; dalla posizione rigida della mascella stava sicuramente scomoda con quei tre cuscini sotto la nuca, ma essendo troppo pigra e stanca probabilmente non aveva fatto nulla per sistemarsi meglio; negli occhi aveva ancora la paura di quella notte infernale.
«Ehi Care» rispose Lizzie aprendosi in un sorriso e adagiando la mano su quella della figlia. Caroline si sentì subito a casa.
Sbatté le ciglia intorpidite dalle troppe ore di incoscienza e di brancolamenti nel buio e provò a localizzare tutte le parti del proprio corpo: a parte qualche muscolo indolenzito e la testa in fiamme, stava bene.
Fu la prima volta che Caroline Forbes si reputò davvero essere una ragazza fortunata: fin da bambina era solita mettere il broncio crogiolandosi nella propria condizione di sfortuna, ma una volta cresciuta aveva imparato a tenerlo nascosto, a ingoiare quell’odiato rospo e a far finta di niente, ma lo sapeva, non era mai stata fortunata, non era mai stata la prima.
Caroline strapazzò le labbra in un sorriso che si rivelò essere un vano tentativo data la smorfia di dolore che se ne causò.
«Mi dispiace davvero tanto» mugugnò e Lizzie si sentì pungolare gli angoli degli occhi.
La madre la guardò con occhi colmi di gioia e non trovò il coraggio di rimproverarla, di dirle che non sarebbe dovuta andare a quella festa, ma le parole si erano perse.
«Anche a me» si limitò a dire come se avesse anche lei qualcosa per cui farsi scusare – e in fondo lo sapeva che era vero.

 

 

Naftalina. C’era odore di naftalina in quella camera d’ospedale dove Caroline stava trascorrendo l’ennesima notte. Il letto sembrava essere rovente tanto che la bionda si rigirava convulsamente tra le lenzuola, con gli occhi socchiusi – anzi sbarrati.
Lo vedeva, vedeva continuamente quel camion venire verso di lei, le luci smettere di brillare, i vetri scartavetrarle il viso e le ossa piegarsi quasi come se fossero diventate di gomma. Risentiva l’odore della benzina, l’acre tanfo della miscela misto al sangue che giù dal sopracciglio le impiastricciava la faccia e i capelli.
Da tempo non si era sentita così: sporca, sudicia. E più ripensava a quella sensazione più si sentiva accapponare la pelle e la bile rivoltarsi dall’interno.
La bionda si alzò a sedere e la lotta contro il cuscino troppo alto fece cadere sul pavimento la rivista di gossip che Care aveva dimenticato aperta. La vista di quelle lettere colorate, i volti conosciuti e invidiati delle star televisive le fece pensare a qualche ora prima quando Matt e Tyler erano venuti a salutarla e a tenerle compagnia, insieme a Victoria che si era sforzata quanto meno di essere gentile con lei. Erano state ore di risate, di scherzi, di luce dato il sole che prepotentemente entrava attraverso le finestre di quella stanza.
Ora che Caroline la osservava meglio di notte quella stanza non era poi così accogliente come appariva di giorno: le pareti erano alte e avrebbe potuto giurare che in un angolo si fosse incrostata della muffa.
La bionda si slanciò per raccogliere la rivista, ma il cigolio dell’asta con la flebo la fece desistere. Scoccò un’occhiataccia a quell’arnese e fissò per una quindicina di secondi le finissime gocce del farmaco che attraverso il tubicino di gomma sarebbe arrivato alla sua vena azzurrognola che risaltava tra le altre lungo il suo braccio sinistro.
Sospirò e arresasi dal prendere la rivista per ingannare un po’ il tempo, cercò con lo sguardo l’orologio le cui lancette segnavano l’una e quattro minuti.
Si tirò su la coperta di lino grigio e sprofondò la testa dentro il cuscino mettendo in moto il cervello per trovare idee allettanti da poter mettere in atto in quel frangente, almeno finché l’infermiera del turno delle tre non sarebbe entrata per cambiarle la flebo.
Decise allora di concentrarsi sulla spia rossa ad intermittenza dell’allarme antincendio posto sopra la porta. Eppure più la guardava più le spalle si irrigidivano, le pupille si dilatavano: le tornava alla mente la luce del camion, travisata a causa dei fumi dell’alcol. Scosse la testa cacciando via quel pensiero e allo stesso tempo biasimando se stessa – che idiota che era stata per l’aver confuso il faro di una macchina, per giunta di un camion, con delle lucciole.
Ma c’era qualcos’altro che le ricordava quella spia rossa e oltre a lei se n’erano accorte le sue spalle e soprattutto il suo collo. Le mani cominciarono a formicolare e Caroline pensò bene di mettersele in bocca e morderle pur di non grattarsi quella zona vicino alla giugulare. Il mostro non sarebbe venuto, no? Di mostri che poi neanche esistono.
E intanto Caroline inspirava ed espirava, non si ricordava più l’ultima volta che aveva avuto una crisi del genere, si ricordava però che ancora doveva prendere lo sgabello per rifugiarsi nel ripiano alto dell’armadio, nascosta, in silenzio, al sicuro dal suo carnefice.

Uno, due, tre, quattro. Anche chiudendo gli occhi quella luce continuava a lampeggiare, sempre più forte, penetrandole nelle cornee. Centosessantatre, centosessantaquattro, centosessantacinque. Solo a centosessantacinque le rughe di troppo che solcavano la fronte di Caroline scomparvero così come la sua paura.
Riempì i polmoni d’aria arricciando il naso per l’odore persistente di naftalina che le stava facendo venire il capogiro. Si rimise nuovamente seduta, arrotolando le coperte fin sotto le ginocchia.
Qualcosa catturò il suo sguardo alla sua sinistra.
Lanciò un’occhiata in tralice all’ombra dell’asta con la flebo e le sembrò tutto normale. Aguzzò meglio la vista e quando si rese conto di cosa fosse anomalo in quella situazione si cacciò una mano sulla bocca per soffocare il grido di disgusto che la stava pervadendo.
La sacca conteneva un liquido, liquido scarlatto che continuava il suo lento fluire attraverso tutto il tubicino che conduceva direttamente al suo polso.
Era sangue.
Quando e come fosse stato inserito all’interno della sua flebo poco importava, ciò che più allarmava Care era la vicinanza di quel siero.
Un brivido sconvolse la bionda e con le mani sudaticcie provò a staccare il cerotto dal sottile strato di pelle, grattò con le unghie la colla che saldava per bene l’ago alla garza.
Un rumore. Caroline smise di respirare.
«Chi c’è?» balbettò ma ciò che ottenne fu il rimbalzare della sua voce tra le pareti.
Il suo cuore batteva ad un ritmo irregolare, un ritmo ben conosciuto.
Le pupille schizzarono veloci all’orologio.
Erano le 01:27*, troppo presto per la visita notturna dell’infermiera.
Un’ombra e Caroline soffocò le urla addentando il cuscino.
Fino a che il suo cuore non si zittì.

 

Di tutti i luoghi pubblici presenti in un qualsiasi luogo abitato – che esso fosse una piccola cittadina o una grande metropoli – di sicuro gli ospedali erano i preferiti di Damon. Persone che nascevano, persone che morivano. Il ciclo della vita era tutto concentrato in quelle stanze. E poi c’erano i sopravvissuti, coloro che erano stati a un passo dalla morte ma grazie ai miracoli della medicina avevano continuato a percorrere la strada della vita.
Patetico. Damon non riusciva a trovare un aggettivo migliore per la loro condizione di precaria esistenza.
Ma il motivo – se mai ce ne fosse stato uno – per cui il Salvatore si trovasse lì nel parcheggio di quell’ospedale a distanza di sicurezza dal lampione della luce a neon non è che fosse così chiaro anche per un vampiro come lui.
Non aveva ancora intenzione di rivelare la sua presenza lì a Mystic Falls ben che meno a suo fratello il quale continuava a crogiolarsi nel suo dolore nella loro vecchia casa, creduta disabitata dalla maggior parte degli abitanti del quartiere.
«Oh beh tanto vale aspettare qualche infermiera» mugugnò il Salvatore fra sé e sé infilandosi le mani nelle tasche anteriori dei jeans logori e appoggiando la nuca sul tabellone pubblicitario dietro le sue spalle.
Dopotutto aveva un certo languorino.
Cacciò veloce lo sguardo in direzione del cielo stellato e per un attimo si beò di quel cielo scuro e denso come l’inchiostro, che non regalava la ben che minima luce se non una falce sottilissima di bagliore lunare.
«No»
Un lamento. Anzi più che un lamento a Damon parve un rantolo di non sapeva quale specie di animale.
Il vampiro corrugò la fronte in direzione dell’oscurità ancora più tetra alla sua destra a una decina di metri dal lampione a cui era distante solo di qualche centimetro.
Ora che ci pensava per bene, vi era un non so che di spettrale quella sera.
Damon fece schioccare violentemente la lingua e si sarebbe dato volentieri un pugno in faccia per quelle insolite paure che nient’affatto lo caratterizzavano.
«Respira, Caroline. Non sta succedendo per davvero».
Una voce strozzata da due o tre singulti prima di sprofondare in quella sorda litania che Damon si accorse lo stava accompagnando già da una buona mezz’ora.
Il Salvatore si morse la lingua, ma dopo averci riflettuto un po’ su roteò gli occhi e girò i tacchi deciso a farsi avvolgere dalle tenebre puntando a quello che senza alcun dubbio doveva essere un essere ferito.
Per quella notte le infermiere potevano stare tranquille. Aveva trovato la sua cena.
«Ti consiglio di vedere qualche psicanalista, amico. Sai, non è che sia così normale parlare da solo» sbottò Damon con una linea marcata di sarcasmo sottolineando l’ultima parola, tentando di conferire un non so che di macabro.
La sua vittima trasse un sospiro di paura appoggiandosi al cassonetto della spazzatura accanto a lei ma dopo aver messo di respirare per ben dieci secondi l’aria tornò a riempirle i polmoni.
«Non sono sola. Sto aspettando una persona» disse la sagoma nera allacciando velocemente le braccia al petto, avendo intuito le intenzioni di quello sconosciuto.
«E comunque non mi serve uno psicanalista» continuò con una punta di irritazione.
A detta di Damon quella voce acuta e sottile poteva appartenere solo a una donna, ad una ragazza per la precisione dato anche il corpo snello e slanciato che si poteva intravedere dalla luce soffusa del lampione alle sue spalle.
Il Salvatore inarcò un folto sopracciglio nero e per poco non si aprì in un sorriso data l’insolenza – e stupidità - di quella ragazza.
«E perché non aspetti quella persona sotto la luce?» chiese avanzando di un passo ma non notò alcuna reazione di paura da parte della ragazza e questo lo incuriosì molto. Sembrava piuttosto infastidita.
«Perché quella dannata luce è decisamente troppo forte che per poco non accecava i miei occhi. Ma dico, con che diamine di neon li fanno queste insegne? Sono così luminose che mi danno un fastidio assurdo» sbottò più che irritata e calciò il bidone alla sua sinistra il cui contenuto maleodorante si riversò sull’asfalto del parcheggio dell’ospedale.
In quel preciso istante Damon si pentì di essere venuto in quel luogo.
Stava per ribattere e affilare i canini così da chiudere quella bocca pronta solo a sputare malcontenti, ma ancora una volta la lingua veloce della ragazza lo precedette.
«E poi ho una gran sete. Ho la gola letteralmente in fiamme» pronunciò con voce roca trattenendosi la trachea con le dita affusolate.
A Damon quella situazione non piaceva, non piaceva per niente specialmente perché se i suoi calcoli fossero stati giusti – e di rado si sbagliava – in città c’era un nuovo vampiro in circolazione.
Il vampiro si preparò al momento cruciale della rivelazione.
«E’ naturale, principessa. Il tuo corpo ha smesso di funzionare, il tuo cuore di battere per un po’ e abracadabra hai bisogno di sangue per sopravvivere. Se la vie».
Caroline strabuzzò gli occhi ponderando le strane parole che quel perfetto sconosciuto le aveva appena rivelato.
Katherine, la ragazza che aiutava la madre all’ospedale, l’aveva trovata ancora in stato confusionale e profondamente scossa. Le aveva detto di vestirsi, di prendere la propria roba e di aspettarla sul retro. Non sapeva il perché le avesse dato ascolto, sapeva solo che lei era a conoscenza di cosa le era realmente successo e aveva dato tutta l’impressione di sapere anche come curarla.
Aveva semplicemente detto che aveva bisogno di sangue, le stesse parole che quell’uomo ora le stava dicendo. Forse che avevano scoperto qualche strano farmaco a base di sangue? Il solo pensiero le arroventava la gola e le faceva accapponare la pelle.
«In che senso il mio cuore ha smesso di battere?»
Adesso Damon aveva voglia di lanciare un bel gancio sinistro a quel musetto sprovvisto di alcuna materia grigia.
«C-come? Ricordo di aver visto del sangue nella flebo, un rumore e poi qualcuno mi ha messo un cuscino in faccia e-» blaterò la ragazza non riuscendo a leggere l’ovvietà delle sue stesse parole.
Una macchina svoltò l’angolo e i fari inchiodarono i due sul posto, illuminandoli a giorno.
Un ragazzo li squadrò con aria sbigottita ma entrambi non se ne curarono.
Il Salvatore scoccò un’occhiata obliqua alla ragazza: era poco più giovane di lui, con una cascata di capelli biondi, ma non riuscì a scorgere il viso.
«Sono morta?» chiese nervosamente portandosi una mano davanti agli occhi. Stava soffrendo e anche parecchio.
Damon scrollò le spalle come per volersi scrollare quel problema di dosso.
«Decisamente» concluse franco lasciando la neo-vampira al suo triste destino.
Se mai ne avesse avuto uno.

 

* Riferimento al capitolo 3.Ospite [sei mesi prima] riguardo all’ora del decesso di Caroline.

 

***

 

Salve miei cari lettori,
come avevo promesso ho fatto presto presto ad aggiornare! Ormai stiamo giungendo al termine e un po’ mi dispiace dovermi intrufolare in queste situazioni un po’ brutte, ma la resa dei conti è più che vicina. Dunque come vi avevo anticipato già la volta scorso questo capitolo è un altro dei tanti flashback solo che a differenza degli altri contrassegnati con il
[sei mesi prima] questa tratta esclusivamente la notte dell’incidente e la notte della morte di Caroline. Ammetto che i parallelismi con il telefilm era doveroso farli quindi ho inquadrato i tre adolescenti come di ritorno da una festa e come sempre il più responsabile è Matt. Forse ho un po’ estremizzato i vari personaggi ma rendetevi conto che ho cercato di descriverli come dei ragazzi normalissimi pronti a fare stupidaggini e anche un po’ brilli. Mi sono calata nei personaggi e ho cercato di vedere il mondo da “ubriaca” ecco il perché delle lucciole viste da Caroline e del fatto che invece erano i fari di un camion. Anche Tyler che sente quel rumore, non ha nulla a che vedere con la licantropia o cose del genere, è tutto frutto di allucinazioni uditive a causa dell’alcol. Andando avanti, ci tenevo a ritagliarmi uno spazietto per Lizzie Forbes e per il suo lato materno. Quando Care ha avuto l’incidente nel telefilm ce l’hanno fatta vedere pochissimo così mi sono cimentata anche in lei e a sentire un po’ come una mamma in trepidazione per sua figlia. La notte in cui è morta Caroline è stata anche la notte in cui la paura del sangue ha cominciato a riaffacciarsi e questo l’ha turbata moltissimo. Anche qui è morta per soffocamento ma il sangue di vampiro le è stato direttamente iniettato nelle vene attraverso la flebo. Chi sarà stato? La risposta sembra più che logica anche se chissà…potrebbe essere Katherine così come potrebbe essere qualche altro vampiro, lascio il beneficio del dubbio a voi. E alla fine chi poteva esserci se non quel muso duro del Salvatore dagli occhi blu. Come si suol dire, si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato e il fatto che era particolarmente buio ha impedito al vampiro di vedere chi fosse la sua cena alias interlocutrice. La macchina che ha illuminato i due come potete immaginare è quella di Tyler, ecco perché afferma di aver visto Caroline con Damon. Ma Damon effettivamente non ricorda chi fosse o se l’è tenuto per sé? E vi lascio un po’ in sospeso così.
Il prossimo capitolo è quasi pronto quindi penso che la prossima settimana mi vedrete di nuovo qui. Sarà un capitolo molto amaro, con le urla di Caroline a tutto spiano ma anche momenti divertenti per i fratelli Salvatore. Si intitolerà Escamotage: secondo voi che cosa si inventeranno per salvare la bionda?
Grazie mille per le bellissime recensioni che mi lasciate, dico davvero.
Un bacio,
Sil.

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Capitolo 17
*** 17.Escamotage ***


ATTENZIONE: In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza mentale, stalking e abuso di minori* . Gli avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena, l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.

(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.

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17. Escamotage

Il piede di Stefan si mosse leggermente andando a cozzare con il semaforo al di sotto di lui e facendo oscillare la precaria struttura in metallo giallo sulla quale era rimasto appollaiato per più di tre ore.
Cosa ci facesse lì non è che gli fosse ben chiaro, semplicemente era giunto alla conclusione che avrebbe avuto bisogno di tempo e soprattutto spazio per rimuginare sulle parole che aveva appreso quel pomeriggio al cimitero di Mystic Falls.
Il Salvatore cacciò uno sguardo verso le gambe fasciate dai jeans scoloriti e al paio di  mocassini che aveva ai piedi che galleggiavano nel vuoto più assoluto senza il ben che minimo senso di paura o vertigine da parte del vampiro.
La luce gialla del semaforo smise di lampeggiare e passò ad un verde acceso dando la possibilità alle macchine di passare; ma di macchine in quella notte buia non ce n’era neanche l’ombra.
«Non sapevo che Tarzan fosse arrivato in città»
La voce del fratello ridestò Stefan dai suoi pensieri e con aria di sufficienza scoccò una mezza occhiata là sotto dove, con aria sogghignante, lo osservava Damon con le braccia strette al petto.
Il Salvatore sospirò roteando gli occhi.
«Cosa vuoi, Damon?» chiese quasi senza aspettarsi una risposta concreta. Dopotutto era di Damon che si stava parlando.
Il vampiro dagli occhi azzurri schioccò la lingua indignato dalle parole del fratello e allargò le braccia in un gesto plateale facendo tintinnare le chiavi della macchina riposte nella tasca del giubbotto.
Stefan mormorò in tono lamentoso un ora incomincia e si preparò al peggio.
«Non mi sembra il trattamento più opportuno da darmi dopo che non ti fai sentire da un’intera settimana e dopo che mi hai abbandonato – che ci hai abbandonato – lasciando la pensione e una Caroline – e sottolineo Caroline, non so se ti dice qualcosa questo nome? – completamente in lacrime; e adesso tutto ciò che hai da dirmi è un cosa vuoi, Damon» concluse scimmiottando il fratello ed esprimendo la sua indignazione calciando il palo giallo sulla cui sommità stava Stefan, come un monellaccio di strada calcia un sassolino.
«Per non parlare del grugno che ti sta comparendo in faccia. Hai mangiato tassi di recente? No, sai perché ho notato che nutrirsi di sangue animale ti porta a comportarti come un animale» sproloquiò il Salvatore senza che facesse intendere a Stefan dove volesse andare a parare. Non che Damon lo sapesse, comunque.
Stefan, anche se di malavoglia, sottostette al gioco.
Si umettò lievemente le labbra e intrecciò le dita delle mani, con i gomiti poggiati sopra le ginocchia e le gambe ancora a penzoloni e poi cominciò.
«Perdonami per la mia incresciosa dimenticanza, ma se non ti dispiacerebbe informarmi sulle cause che ti hanno spinto qui all’incrocio tra la…7th Street e New Road, te ne sarei davvero grato».
Così facendo, Stefan puntualizzò ruotando il capo per accertarsi della corretta collocazione geografica e infine, con aria visibilmente più serena e meno cupa e austera, rivolse un sorriso strafottente al vampiro sottostante al quale la nota divertita del fratello non era visibilmente piaciuta.
«Ti preferivo di più quando somigliavi ad un tasso» sputò con astio e scoccò una stilettata verso l’alto del semaforo.
Basicamente Damon non sapeva del perché avesse scelto di ritrovare suo fratello.
In effetti non che gli mancasse tanto, né tanto meno Caroline si era disperata così come lui stesso aveva raccontato. Anzi a dire la verità l’ultima volta che aveva avuto un rapporto ravvicinato con la vampira stava tentando di ucciderla.
Ecco, quello era il punto.
Uccidere Caroline.
Katherine.
Altre cose che urgevano la presenza di Stefan Salvatore.

Quanto odiava ammetterlo.
Il Salvatore con un balzo raggiunse l’asta orizzontale sulla quale era seduto il fratello pochi metri più in là. Lo squilibrio del peso maggiore che si andava ad aggiungere alla precaria struttura fece oscillare il semaforo che tentennò sul verde e sul giallo.
Per quel che importava a Stefan, quel semaforo sarebbe potuto anche cadere, tanto di macchine per quella sera non ne sarebbero passate – almeno sperava.
Damon si acquattò non mostrando minimamente segni di vertigine o di mancanza di equilibrio e con tutta calma scrutò il fratello con gli occhi azzurri che si ritrovava, forse un po’ rossi per via dello stress e della stanchezza in quei giorni.
Damon lo guardò come uno di quei barboni che si guardano per strada, con sospetto, come se in realtà dietro a tutta quella messinscena vi fosse un’altra persona.
Stefan si lasciò guardare per poi farsi coraggio e affrontare lo sguardo del fratello, inchiodando gli occhi a quelli del Salvatore.
«Perché non torni a casa, fratello?» mormorò con tutta serietà Damon e Stefan fu costretto a tirare un pesante sospiro, incapace di poter esprimere a parole quello che aveva passato in quei sei giorni.
La luce verde del semaforo gli solleticò la gamba e rischiarò un po’ il viso pallido rivolto verso la carreggiata buia e deserta.
«Perché me l’hai detto tu di andartene» si decise a confessare, ma l’occhiata furente di Damon gli fece intendere che la sua copertura non era stata abbastanza, non per uno come Damon.
«Piantala di essere così melodrammatico. Sai bene che io non ti ho detto di andartene, sei stato tu che l’hai fatto» sputò con astio il vampiro fulminandolo con lo sguardo e allungando la mano per afferrargli il colletto della maglietta grigia.
Stefan si lasciò strapazzare inerme pur non abbassando la guardia e mantenendo sempre viva quella dose di orgoglio tra gli occhi verde cupo.
«Lei me l’ha detto» buttò lì il Salvatore e l’animo inquieto di Damon si placò per un minuto.
Abbandonò la presa intorno alla maglietta e si passò una mano affrettata sopra gli occhi e poi sulle labbra come se stesse riflettendo su qualcosa. Poi facendo leva sulle ginocchia si alzò e come un bravo equilibrista si acquattò nuovamente questa volta per sedersi al lato del fratello, con un piede penzoloni e un’anca portata contro il torace.
Il Salvatore dagli occhi blu si umettò le labbra e schioccò più volte la lingua indeciso su come iniziare il discorso. Che gli mancassero le parole era un’idea che Stefan prese in considerazione più volte dati i vani tentativi del fratello di controbattere alla sua frase. Era da tempo che non lo vedeva così in difficoltà e nonostante facesse di tutto per non farlo notare era davvero esausto, i nervi tesi, i riflessi pronti. Come se stesse percorrendo una strada minata e ogni passo leggero avrebbe significato la morte o la vita.
C’era qualcosa che terrorizzava Damon al punto da venire a cercarlo.
Nostalgia per loro era una parola sconosciuta.
«Quindi- se non fosse per lei ritorneresti a casa» esordì finalmente Damon riuscendo a pronunciare quelle quattro parole che per tutto quel tempo aveva soppesato, calibrando l’intensità e la pronuncia.
Adesso, ripetendoli ad alta voce non avevano affatto quel tono rassicurante che Damon si era immaginato durante tutto quel tragitto per arrivare lì.
Adesso avevano un non so che di lugubre, come se la lei in questione fosse il carnefice quando in realtà era la vittima.
Stefan strinse forte la mascella.
«Non ritornerei a casa comunque, con lei o senza di lei. E’ l’unico rifugio che ha e non le permetterò di andarsene solo perché…»
Quelle sue parole rimasero lì sospese, tra la 7th Street e New Road, e dovettero scattare ben tre rossi prima che Damon risollevasse gli occhi dall’asfalto nero come petrolio.
Inspirò nervosamente ed espirò con stizza, scoccando stilettate verso il cielo buio, in direzione di un qualche dio con cui il Salvatore aveva a che fare in una maniera insolitamente taciturna e priva di bestemmie.
Doveva fare qualcosa per riportarlo indietro, per convincerlo a tornare a casa.
L’immagine di Katherine famelica gli si arrampicò per la mente.
«Perché cosa?» lo provocò a quel punto il fratello tanto da far tremare la precaria struttura in ferro.
Questa volta erano gli occhi verdi di Stefan ad essersi staccati dalla strada sottostante.
«Perché ci sono io? Perché con me in giro lei potrebbe essere in pericolo? Dillo Stefan, dillo che sono un pessimo soggetto per lei, perché è questo che sono! Dici che potrei ucciderla? Bene penso proprio che questa volta tu abbia ragione»
Stefan assottigliò gli occhi interrompendo perentoriamente il soliloquio del vampiro dagli occhi azzurri.
«Cosa intendi per questo?»
Damon boccheggiò per un secondo indeciso se confessare il suo crimine o metterlo a tacere.
«Che c’ho provato! Ho provato ad ucciderla perché era questo che dovevamo fare, fin dal principio. Abbiamo accolto una psicopatica in casa invece di eliminarla e tu…» continuò Damon allungando il braccio e puntando il fratello con un dito. Aveva del sapore amaro in bocca, ma era semplicemente il gusto di accuse e parole trattenute dentro per troppi anni, parole che nel corpo di un morto non possono far altro che imputridire a sua volta.
«Tu l’hai creata. Sei tu il mostro, ma sai che ti dico, eh? Sai cosa ti dico fratellino, che adesso i mostri sono due perché a te potrà pure odiarti, certo, ma sono io quello che l’ha abbracciata mentre cercava di piantargli un paletto nella schiena!»
Damon non riuscì a completare per intero la frase che si ritrovò sbalzato dal semaforo, spinto dall’urto del fratello e dai suoi canini ben tesi a manifestare la furia cieca che albergava nell’animo del Salvatore.
Entrambi i vampiri ruzzolarono sull’asfalto rugoso e ruvido e Damon non poté non lasciarsi scappare un sorriso di sbieco notando con tanta fierezza l’effetto che le sue parole avevano avuto sulla personalità del fratello, effetto che era riuscito a far destare Stefan dal suo stato di apatia mentale e di commiserazione.
Il vampiro strinse i pugni e un rumore di nocche non fu sufficiente a far intendere al maggiore dei Salvatore gli intenti del suo avversario.
Stefan picchiò forte, duro, un colpo secco e deciso che fece rivoltare il viso di Damon di lato sulla carreggiata che si macchiò dello sputo di sangue che il vampiro gorgogliò dalla bocca.
«Coraggio, picchia. Sfogati» tossì alzando la voce gracchiante per incitare il fratello a continuare, ad affrontare la situazione.
«Sei stato tu? Sei stato tu a trasformarla?» latrò ricordando le parole di Tyler e il racconto di quella notte d’ospedale, racconto che vedeva suo fratello al centro della scena.
Damon tossì evitando di slegarsi dalla presa ferrea del fratello e pensò velocemente ad un’idea, un escamotage che avrebbe garantito la salvezza della vita: sua e di Caroline.
«Se ti fa piacere pensarlo sono stato io. Ma sappi che non ho la più pallida idea di cosa tu stia blaterando» dichiarò con voce roca e strizzò gli occhi, pronto a ricevere un altro colpo.
Invece Stefan si bloccò. Il petto ansante, ma privo di qualsiasi ringhio cupo era la conferma del ritorno di lucidità del vampiro così come il suo viso privo di capillarità e i suoi occhi ritornati di un verde acquoso.
Abbassò il pugno ed emise un ultimo sospiro, prima di procedere con la spiegazione dati gli occhi leggermente sorpresi e fuori dalle rispettive cavità orbitali del fratello – il quale non riusciva a capire le intenzioni del fratello.
«Lei non può scappare dal mostro» decretò il Salvatore rigirandosi sull’asfalto bagnato e sentendo i minuscoli cocci di cemento conficcarsi dentro la schiena.
Damon distolse lo sguardo dal cielo notturno e ruotò il capo fino a intercettare la sagoma del fratello a pochi centimetri da lui.
Il giallo del semaforo lampeggiò sopra di loro ancora una volta e il cielo sembrò tramutarsi in chiarore pallido e assolato.
«Quale mostro?» chiese il vampiro aggrottando le sopracciglia nere e attendendo una spiegazione plausibile da Stefan, dato che a rigor di logica il fratello era totalmente all’oscuro della condizione della bionda alla pensione Salvatore e dei folli piani omicidi di Katherine.
Stefan non si scompose, fece una breve pausa e Damon sudò freddo.
«Se stessa»
Socchiuse gli occhi e le immagini gli ritornarono vivide in mente: i canini sporgenti, gli occhi neri e privi di luce, la pazzia, il terrore e la brava del sangue, il conflitto con se stessa, le unghie affilate, il vomito.
Era lei il mostro da cui non sarebbe mai potuta scappare e per quanto gli dispiacesse aver fatto parte del lavoro, la colpa della sua natura non poteva essere di certo attribuita totalmente a lui.
Lui non l’aveva trasformata.
Damon si alzò a carponi e si passò il dorso della mano per ripulirsi del sangue incrostato sul labbro. Il sapore del suo sangue gli faceva ribrezzo, era amaro ma la ferita non faceva male. Se la meritava anche se non era niente paragonato al male che in quei sei mesi si erano fatti a vicenda in silenzio sotto gli occhi insicuri di Caroline.
Per vincere quella partita a scacchi aveva bisogno di un escamotage e il suo era Stefan.
«Torna a casa, fratello» buttò lì il Salvatore tendendo un braccio verso il fratello accovacciato sulla striscia bianca di mezzeria, quasi come se fosse in bilico su un filo. Era in bilico tra il passato e il futuro.
«Da lei?» chiese un po’ titubante sollevando gli occhi verdi arrossati, gonfi e annebbiati su quelli di Damon.
Il fratello deglutì come a voler inghiottire le lacrime che Stefan avrebbe di lì a poco pianto. Fiumi di orrori che gli sarebbero scivolati via dagli occhi e avrebbero risanato qualche brandello di vita ancora in lui.
Come quando da bambini si sbucciavano un ginocchio e la balia li lavava con acqua fresca.
Ma non ci sarebbe stata nessuna balia adesso, nessun padre scorbutico e seccato dalle loro marachelle, solo lui, suo fratello.
Damon inchiodò di rimando lo sguardo su Stefan e aggrappò la mano del fratello risollevandolo dall’asfalto fino a che non si decise a mormorare
«Da me»
Rimasero lì abbracciati a consolarsi, a ritrovare il loro legame tra fratelli per non seppero mai quanto tempo, fino a che la pallida luce verde del semaforo guasto non si spense del tutto.

 

 

Lo scricchiolio secco dell’ennesima falange che si spezzava indusse Caroline a distogliere per un momento l’attenzione dalla sua pelle delle spalle ustionata e contornata da piaghe rosso sangue mentre la pelle del viso era solleticata da una pianta dalle foglie e dai fiori azzurrognoli i quali le procuravano scottature e scie di fuoco bollenti.
Un urlo durato chissà quanto tempo si smorzò all’improvviso quasi come se la povera vampira bionda fosse diventata atona, quasi come se si fosse strappata le corde vocali dall’interno. E l’avrebbe fatto Caroline sul serio, si sarebbe cavata di dosso lingua, denti, occhi, faringe se quel mutilamento avrebbe garantito almeno l’arresto del dolore insopportabile che si espandeva in tutto il corpo a velocità disumana e che stava prosciugando ogni grammo di energia vitale contenuta nel suo corpo.
«Scommetto che non sai neanche che cos’è questa» puntellò Katherine piegandosi sulle ginocchia esili e maneggiando tra l’indice e il pollice un ramoscello di quella pianta così tanto attraente e così letale agli occhi iniettati di sangue di Care.
La bionda tentò nuovamente di liberarsi dalle manette che la tenevano incollata all’inferriata della finestrella che si apriva dietro di lei e che inondava la cella della luce densa del primo mattino. All’ennesimo strattone però il polso di Caroline cedette spezzandosi irrimediabilmente e facendole digrignare i denti indolenziti.
Caroline per la sessantatreesima volta si arrese.
«Che cos’è?» chiese con un filo di voce gracchiante e la bocca completamente asciutta, non potendo far altro che sottostare al gioco malato della vampira malvagia.
Kate scoccò uno sguardo prima alla pianta e poi alle goccioline di sudore che imperlavano la fronte e il collo della vampira fino all’incavatura del seno ansimante.
«Verbena definita in parole povere l’arma di distruzione di massa per vampiri»
Caroline sgranò gli occhi con una punta di terrore e all’ennesimo tocco di quelle foglie sulle sue guance le urla si triplicarono, tentando in tutti i modi possibili di allontanarsi dalle grinfie di Katherine.
Bruciava. Caroline era in fiamme e non soltanto per le spalle cotte dal sole e marchiate di strisce rosse e sanguinolenti, né per il viso escoriato da visibili piaghe rosse che le accartocciavano la pelle e le sfibravano i muscoli rendendola sempre più debole. Bruciava dentro. Si sentiva la bocca della stomaco arrovellarsi quasi come in un forno e la gola, già martoriata dalle grida, spessa e calda tanto che ogni grumo di saliva che inghiottiva era come un fiotto di lava e sangue che mandava giù senza che la sete fosse completamente saziata.
All’ennesimo dolore insostenibile la bionda cacciò un urlo e piegò innaturalmente  la mano destra tanto da far schioccare il mignolo spezzando la falange e incurvandolo quanto più poteva verso l’esterno.
«Per favore, smettila!» urlò non riuscendo più a sostenere, il dolore, il bruciore, la sete, la fame, le lacrime.
Katherine la guardò curiosamente lasciando scivolare lo sguardo dapprima sulla fronte sudaticcia e livida di Caroline e poi sulle mani martoriate e ruvide.
«Non ti facevo così autolesionista» constatò la vampira inarcando un finissimo sopracciglio e facendo scorrere le dita sottili su quelle sformi della bionda.
Quel tocco fu sufficiente per spossare la povera Caroline la quale reclinò il capo in avanti e le ciocche color grano le scivolarono intorno agli zigomi. Era esausta, ogni boccata di ossigeno era una nuova fitta di dolore che per le sue costole, per i muscoli ancora tesi, per i nervi ormai a fior di pelle. Si umettò le labbra indurite come cartavetrata con la lingua spessa e asciutta ma non ne trasse alcun giovamento. Per un momento se lo chiese, si chiese se fosse arrivata davvero la sua ora, se fosse stato possibile morire due volte. Ma c’era un piccolo pensiero che le ronzava in testa, complici anche le meningi che non cessavano il loro continuo pulsare. Che fosse dovuto al mal di testa, al senso di vertigini o no, Caroline aveva un quesito che non riusciva a risolvere e che si era presentato prepotentemente in lei già dal primo tocco di quella tortura da parte di Katherine: cosa aveva fatto per meritarsi questo? Più ci pensava più il suo cervello andava in fiamme e così la sua schiena frustata dai raggi solari ad intermittenza.
Cosa aveva fatto per meritarsi questo?
Cosa?
E perché?
Perché?
Perché?
«Perché mi stai facendo questo?» chiese con un filo di voce riducendo gli occhi a due misere fessure, un po’ per spossatezza un po’ per rabbia, quella stessa rabbia che le era ribollita dentro mentre stava acquattata in un angolo della soffitta buia.
Katherine volse il capo verso di lei e la guardò incuriosita come se stesse guardando un animale da circo che all’improvviso avesse fatto uso della parola. Seppur con la vista annebbiata e i capelli davanti al viso Caroline riuscì a scorgere una Kate diversa, non sadica ed estremamente maligna che fino a poco prima l’aveva torturata brutalmente, ma la vampira che vedeva adesso aveva dipinto sul volto uno sguardo a dir poco vitreo a metà tra il terrorizzato e il compassionevole, così come anche le labbra gonfie semi socchiuse.
In effetti Katherine era da sempre stata caratterizzata da questi violenti sbalzi, non che non fosse coerente con se stessa, semplicemente la sua personalità era quanto di più simile ad un cubo di Rubik, tante facce, tanti colori, tante combinazioni e nessuno riusciva quantomeno a risolverne una. Era come se a volte venisse risucchiata dai suoi pensieri, come se si ritirasse in una stanza dentro di sé e dietro quelle quattro pareti pensava e rimuginava, attendendo il momento buono per uscire allo scoperto come una donnola. Era una parte piccola, forse anche lontana all’interno della sua mente, la sua tana.
La vampira riccioluta sbatté le folte ciglia come se non avesse capito cosa Caroline intendesse dire. Per cui sorvolò la sedia e si posizionò davanti al corpo martoriato della bionda intenzionata a sedersi sulle gambe di Caroline per scrutarla meglio da vicino.
Emise un risolino che somigliava più un latrato e Care si accorse che Katherine era tornata nuovamente allo scoperto.
«Ma come, dolce Caroline, non ti ricordi cosa ti ho raccontato quella mattina quando eravamo nella vasca da bagno? Eppure quella storia sembrava averti turbato così tanto che temevo avessi già intuito qualcosa»
Si costruì un broncio in piena regola mentre gli ingranaggi del cervello di Caroline cominciavano a mettersi in moto, andando indietro con i giorni fino a visualizzare quell’immagine nitida nella sua mente.
Il bagnoschiuma. Il vapore denso. L’acqua bollente.

Penso che ci divertiremo, io, tu e i fratelli Salvatore.
Le ritornò in mente la voce un po’ civettuola di Katherine e il tono di voce le sembrò adesso cupo e minaccioso.
Ma i ricordi le rimbalzarono indietro e la scena mutò velocemente, questa volta si trattava di Stefan e di quando le aveva raccontato del loro passato nel 1864.

E’ vero che un tempo vivevate tutti e tre insieme come adesso viviamo noi?
La verità sopraggiunse dalla sua stessa domanda fatta quel giorno di poche settimane prima al minore dei Salvatore.
Le pupille tremarono lievemente e la bionda dovette ingoiare quel groppo amaro di stizza mista a terrore.
Un dito sottile aveva sfiorato mollemente il profilo della mascella di Care per poi posarsi sulle labbra ruvide e livide, un po’ dischiuse.
Katherine si posizionò meglio sulle gambe della vampira bionda e con fare lascivo avvicinò furtivamente le proprie labbra all’incavo della bocca di Caroline e il sospiro caldo e profumato fece irrigidire la bionda, accelerando i battiti cardiaci.
Kate le sfiorò la pelle con fare delicato lasciando un lieve bacio sulla guancia unta e rigata di lacrime di Caroline, percorrendo poi all’incontrario la pelle del collo fino a raggiungere l’orecchio destro.
«Esatto mia piccola, Care. Tu, io e i fratelli Salvatore. E questa grande casa. Sarei tornata molto volentieri a vivere qui come nel 1864.» Bisbigliò contro l’orecchio di Caroline e un risolino acuto seguì le sue parole mentre ritraeva le labbra dal lobo e tornava a guardare la vampira negli occhi. Caroline di tutta risposta le scoccò uno sguardo torvo.
«Ma torno e cosa trovo? Stefan che si dispera per una come te. E di me cosa restava? Non restava neanche un misero ricordo. Neanche quel pazzo di Damon.»
Schioccò furiosamente la lingua e le carezze e i tocchi gentili lasciarono posto a una presa ferrea della mandibola. Caroline sentiva che le avrebbe potuto perforare le guance con le dita se solo avesse voluto.

La vampira bionda scivolò dalla sua stretta e si sporse in avanti sentendo la pelle sfibrarsi e i capillari intorno agli occhi pulsare così come le gengive esplodere e i canini fremere. Spalancò la bocca come un cane furioso a pochi centimetri dal viso della mora la quale tuttavia sembrò non destare il ben che minimo interesse alla furia.
Un ringhio cupo sgorgò dal petto di Caroline e sembrò che qualcosa si fosse sbloccato. Si ricordò di quando era bambina, la sensazione nuova di essere ricoperti da una montagna di lenzuola, stracci, piumoni, coperte di ogni tipo in quelle lunghe e gelide notti d’inverno, di come si era sentita soffocare, pressare dal peso di quell’ammasso di tessuti e poi la leggerezza, il riaffiorare tra i cuscini e la sensazione che ogni cosa che si guarda sia diversa. Anche l’aria sembra essere più buona.
Così si era sentita Caroline, schiacciata da un immondo ammasso di ricordi, paure, manipolazioni, sentimenti, legami e il tutto avrebbe finito per farla soccombere se lei non fosse riuscita ad evadere, con le unghie e con i denti a scostare definitivamente la tenda che aveva reso il mondo così ovattato.
Katherine attorcigliò le sue dita attorno alle ciocche bionde di lei e tirò forte affinché il viso della bionda fosse rivolto verso i suoi occhi.
«Ti piace farti del male vero?» sputò alludendo alle falangi rotte che in quel lasso di tempo si erano finalmente ricostruite.
Puntò gli occhi nocciola su quelli color giada di Care e le pupille si dilatarono a dismisura facendo in modo che l’ordine radicasse nella più profonda voragine della sua psiche.
«Ti romperai volontariamente ogni osso del tuo corpo fino allo sfinimento» decretò Kate lasciando andare i capelli della vampira.
Quel giorno le urla di Caroline nello scantinato della pensione raggiunsero persino l’ufficio dello sceriffo Forbes.

 ***

Salve caro popolo di efp,
è vero avevo detto di aggiornare presto eppure non l’ho fatto. Tuttavia spero che accettiate comunque il capitolo che vi ricordo essere il penultimo prima della fine e dell’epilogo – sob. Ad ogni modo, in questo capitolo mi sono voluta concedere un sano momento Salvatore anche se non sappiamo fin quando può durare questa tregua tra fratelli (vi ricordo che ancora Damon non ha confessato interamente le sue malefatte al fratello – vedasi morte di Lexi) ma per adesso cooperano per un fine comune che è quello di salvare Caroline dalle grinfie di Katherine. Alla fine Stefan si aggrappa al fratello perché è di questo che ha bisogno e tutto succede lì in quell’incrocio come a voler simboleggiare una pausa da tutto il resto. Per quanto riguarda Caroline è stata straziante descriverla in quelle condizioni e so bene che l’odio nei confronti di Katherine sta crescendo sempre di più, ma per lo meno si è scoperto cosa vuole la vampira e cioè casa Salvatore avvalendosi di quella promessa che Stefan gli aveva fatto a suo tempo. Caroline sebbene sia nel suo momento peggiore è riuscita a ripescare la forza e la sicurezza che aveva perso, è come se fosse uscita dal suo bozzolo e adesso fosse pronta alla sua nuova vita da vampiro. In parole povere è la metamorfosi che la Caroline del telefilm ha avuto un po’ di tempo fa e che nella storia avete visto in maniera graduale e introspettiva.
Cosa avranno in mente i due fratelli per salvare Caroline? E la nuova Caroline come sosterrà il tutto e soprattutto come ripagherà la sua vecchia amica Katherine?
Non posso credere di essere arrivata alla fine della storia.
Vi ringrazio per averla seguita dall’inizio fino alla fine (spero).
Un bacio e alla prossima.
Sil

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