Dimostra Chi Sei di Gozaru (/viewuser.php?uid=193641)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Abbandono ***
Capitolo 2: *** Trasferimento. ***
Capitolo 3: *** Giocata Decisiva. ***
Capitolo 1 *** Abbandono ***
Cap1
Dolce Flirt ~
Dimostra chi sei
La protagonista di questa storia si chiamerà Fleur. Non tanto per i fiori ma come tributo al Genio del Basket Hanamichi Sakuragi. Da qui, Hana che significa fiore passa a Fleur.
Per il fratello ho avuto un po' più difficoltà. Volevo
che avesse un nome con la K ma i francesi hanno pochi nomi e tutti
orrendi. Così, per omaggiare Kaede Rukawa,
ho cercato un nome con la R. Per quanto il fratello sia una figura
minore ci tenevo a dargli un nome e un ruolo tributario. E così
è nato Robin.
Capitolo Uno.
Abbandono.
Il
silenzio della palestra vuota è perfetto per pensare. Seduta sul
linoleum marroncino su cui mi alleno ogni giorno, con la palla da
basket tra le mie gambe aperte. La faccio rotolare sotto alle dita,
spostandola solo coi polpastrelli. Il sedere calcato sulla metà
campo e lo sguardo puntato al canestro di fronte a me. È il mio più grande rivale e obiettivo; il pallone ruvido il mio migliore amico.
Se ripenso al passato, onestamente non ricordo quando cominciai ad
amare il basket. Forse è stato grazie a mio padre che mi faceva
sedere sulle sue gambe e guardavamo insieme le partite. O forse grazie
a mio fratello che mi chiese di giocare con lui quando eravamo bambini.
Fatto sta che oggi faccio parte della squadra del mio liceo per
diventare un'ottima playmaker.
Non che il ruolo mi si addica particolarmente. In realtà era la
posizione che ricopriva mio fratello, tanti anni fa. Prima che
smettesse di giocare. Prima che gli capitasse l'incidente con cui
s'infortunò il ginocchio; lo stesso in cui perse la vita il mio
amato papà.
E forse è anche per loro due che ora inseguo un sogno che non
sento propriamente mio ma a cui, comunque, tengo molto. So di non
essere brava. So cavarmela, certo. E so anche che questo non basta per
poter un giorno diventare qualcuno. Per questo mi alleno il doppio; per
questo mi alleno più di quanto io stessa riesca a resistere.
Fermo la palla per poi cercare di palleggiare sul posto, elevandola al
massimo di cinque centimetri. Poi la fermo a mezz'aria. L'afferro,
sentendone la superficie su tutto il palmo di entrambe le mani. Fisso
più intensamente il canestro e, prendendo la mira, la lancio.
Entra! Entra!
Ma come sempre, essa ricade ancor prima di sfiorare la rete. Sono
ancora troppo debole ed inesperta. Da metà campo, poi, senza
l'uso delle gambe non posso nemmeno sperare di toccare il tabellone.
Però continuo a provarci. E ogni giorno c'è un piccolo
miglioramento.
Mi rialzo sbuffando. Ormai s'è fatto tardi e devo tornare a
casa. Vado a recuperare la palla che ancora rotola per tutto il campo.
Se non la rimetto a posto, il coach avrà di che lamentarsi e,
sinceramente, è proprio una cosa che vorrei evitare.
Prima di chiudermi la porta della palestra, controllo che sia tutto a
posto. Ho pulito, ho sistemato e a prima vista sembra tutto in ordine,
come sempre. Anche per quest'oggi posso chiudere qui gli allenamenti.
Quando rientro a casa trovo mio fratello ai fornelli. La cucina non
è mai stata il suo ambiente ma, dovendosi adattare, da qualche
tempo fa il cuoco a casa. Siamo rimasti solo io e lui dopo che la mamma
ci ha lasciati. La sua motivazione? Una cosa veramente patetica: Vedo
il suo volto in voi e non posso sopportarlo. Peccato che io assomigli
tutta a lei e Robin, mio fratello, non abbia tutta la barba di
papà. Ma ormai abbiamo imparato a cavarcela da soli. Da lei ci
arriva solo un assegno mensile di mantenimento. Niente telefonate,
niente biglietti di auguri. Figurarsi poi una sua visita. Sarebbe come
chiedere un miracolo.
«Sbrigati a fare la doccia!» mi rimprovera mio fratello intento a mescolare un sugo dal colore insolito.
«Nah,
la faccio dopo». Mi limito a lavarmi le mani e subito sono al
fianco del ragazzo per aiutarlo. La tavola è l'unica cosa che
riesce a fare senza creare danni. L'unica cosa positiva è che,
essendo sempre stato un atleta, sa molto bene quali cibi danno energia
e quali possono aiutare le prestazioni fisiche: una dieta sportiva
è ciò che si segue in casa nostra. E la cena, poi,
è l'unico momento che riusciamo davvero a passare insieme.
Lui lavora tutto il giorno, mentre io passo gran parte del mio tempo
tra banchi e palle da basket. Ma ci va bene così. Ormai, la
nostra vita ce la stiamo costruendo da soli.
C'è solo una cosa, ormai, che mi stupisce ogni volta. Un
dettaglio che mi fa piangere il cuore ogni volta che lo vedo:
l'infortunio di mio fratello. La nostra vita passata è andata in
frantumi più di un anno fa e, ormai, il suo ginocchio ha ripreso
parte delle sue funzionalità. Dopo mesi e mesi di
riabilitazione, ora mio fratello riesce di nuovo a reggersi su entrambe
le sue gambe. Ma fa male, incredibilmente male, vederlo ancora
zoppicare in giro per casa. Ormai la sua carriera agonistica è
distrutta. Per questo io continuo a percorrere la via della
pallacanestro. Lo faccio per lui e per mio padre, fin troppo legati a
questo sport.
«Hai
sentito, Fleur?» una mia compagna di squadra mi si avvicina tra i
corridoi della scuola. Il suo solito fare da oca arrapata non mi fa
presagire niente di buono. Lei è una di quelle classiche tipe
che si impegnano nello sport solo per farsi notare agli occhi degli
uomini per cui stravede: gli atleti muscolosi e ben piazzati. «C'è
un nuovo ragazzo, qui a scuola! Viene dall'estero ed è qui per
il basket!» lascia scappare un gridolino eccitato mentre mi
saluta agitando la mano e correndosene via, verso la palestra. Prima
era Castiel, il rosso bulletto, ad essere al centro dell'attenzione;
ora invece tutte le ragazze parlano di questo nuovo arrivato. E dicono
che sia anche molto bravo. Mah, scrollo le spalle. Io, da quella prospettiva, non cerco affatto un ragazzo. Un fratello mi basta e avanza.
Ma non è così che, a quanto pare, le cose sarebbero
andate. Mi aspettavo uno dei soliti allenamenti ma il programma era
stato cambiato dal coach, fin troppo sorridente per i miei gusti. Ci fa
sedere tutte sugli spalti: quel giorno sarebbe stato dedicato solo ai
ragazzi. «Oggi
avremo l'opportunità di conoscere un vero e proprio genio del
Basket. Venuto qui solo per allenarsi con noi. Vi presento
Dajan!» poi si gira verso un ragazzo dalla carnagione scura e dai
capelli fatti su in tante treccine legate in una coda dietro alla nuca.
I muscoli guizzanti sono messi in bella mostra da una delle nostre
divise maschili. Tutto quel rosso non è mai stato bene nemmeno
sul corpo atletico e pallido di Castiel che, notando la cosa, ha uno
sguardo piuttosto ostile per il nuovo arrivato. Lo squadra, geloso che
abbia tutte le attenzioni. Un luccichio sopra l'occhio mi lascia
intendere che abbia pure un piercing, nonostante sia troppo lontano
perché io possa vederlo bene. Ma tutto ciò ancora non mi
convince. A prima vista può anche essere considerato un bel
ragazzo ma niente di lui mi piace davvero. Non sembra nient'altro che
un ragazzo di caramello. E io, il caramello, lo detesto.
Ma non posso che ricredermi. Per mostrare a tutti le doti del ragazzo,
il coach ha improvvisato una partitella d'allenamento. Non ci vuole
molto per rendersi conto che le sue capacità e il suo gioco sono
nettamente superiori a quelli del resto della squadra. Segna un
canestro dopo l'altro con mosse stupende e tiri da 10 e lode. Rimango
incantata a vederlo volteggiare attorno al canestro, saltando e
correndo a dieci centimetri dal suolo per tutto il campo. Sono
estasiata. Ormai non vedo giocare Robin da molto, moltissimo tempo. Ma
questo ragazzo potrebbe essere addirittura più bravo di lui; e a
questo pensiero vorrei tirarmi un calcio dritto in faccia.
Ma una gomitata della mia migliore amica, seduta di fianco a me, mi fa risvegliare. «Sei
tutta rossa» sussurra al mio orecchio, ridacchiando. Già,
sento le guance divampare. Ma non è certo per dei sentimenti
stupidi, non è per una cotta che sono così. È
il suo modo di giocare, una spanna sopra tutti gli altri che mi fa
battere forte il cuore. Ma lei questo non può capirlo.
Irritata dall'idea di aver perso un intero giorno di allenamento, mi
sono chiusa in palestra dopo la partitella per provare a caldo le mosse
che avevo visto fare al nuovo alunno. Mi mancano gli avversari ma certe
cose non riesco comunque a farle. Il suo dev'essere senza dubbio un
talento naturale. Sono molto più lenta, più impacciata e
la mia scarsa esperienza è facilmente visibile. Per non parlare
del mio aspetto: anche se non voglio ammetterlo sono sempre stata
consapevole che il fisico maschile è di gran lunga più
potente ed esplosivo rispetto alla più aggraziata forma
femminile.
A malincuore sono costretta ad ammettere che i miei tiri sono molto
meno precisi e il mio palleggio più lento e prevedibile. Ma il
suo esempio è ancora nella mia testa, stampato a fuoco nella mia
memoria. Quel Dajan ha una marcia in più.
Mi fermo un attimo, piegata in due per la stanchezza con il sudore che
m'impregna i vestiti e le gocce che disegnano scie sulla mia pelle.
Asciugarle con il braccio non fa che peggiorare le cose. Forse dovrei
smetterla lì e andare a farmi una doccia. Anzi, l'idea che forse
sia troppo tardi comincia a insinuarsi nella mia testa. Non sia mai
arrivare tardi per la cena: Robin si arrabbierebbe troppo!
Mi giro verso il tabellone segnapunti. Posso tirare un sospiro di
sollievo: è ancora presto. Ma non appena i miei muscoli si
rilassano, una voce sconosciuta mi fa rizzare di nuovo sull'attenti.
Viene da oltre la porta che conduce agli spogliatoi. Dalla penombra del
corridoio, Dajan viene fuori, illuminato dalle luci della palestra. Ha
addosso ancora la divisa: non sembra essere nemmeno sudato da tutto il
moto fatto precedentemente. Ma come fa?!
Mi fissa e la cosa mi mette parecchio in soggezione. Cosa vuole da me?
Deglutisco aspettando che faccia o dica qualcosa. Ma lui resta
lì, fermo davanti a me. Socchiudo le labbra, cercando qualcosa
da dire ma lui, finalmente, si decide ad aprire di nuovo la bocca. Per
ridere. Aggrotto la fronte: Davvero, ma che vuole questo?!
Mi viene incontro, fissandomi negli occhi. Decisamente, la prima
sensazione avuta su di lui sembra la più giusta: questo tipo non
mi piace.
«Non
sei male» pronuncia. Ha un accento straniero parecchio
pronunciato ma comprensibile. E il suo commento non può che
farmi piacere. «Ma...»
il suo sguardo diventa malizioso e ora è troppo vicino per non
notare che nelle sue iridi ambrate c'è qualcosa di strano e...
oh, sì, ha proprio un piercing sul sopracciglio! Poi scompare.
Un attimo prima è davanti a me, quello dopo sento la palla
scivolarmi via dalle mani. S'è mosso. Mi ruba la palla e in
pochi secondi è sotto canestro mandando la palla nella rete. Una
schiacciata perfetta.
Prende la palla prima che possa rotolare altrove e ritorna da me. Mi
allunga la palla che io prendo senza staccare gli occhi dalla sua
espressione ammaliante. «Non sei niente in confronto a questo».
Fredde, pungenti. Le sue parole mi trafiggono il cuore riducendolo in
mille pezzi. Perché? Perché deve dire delle parole
così cattive? Perché? Mi sembra di non avere nemmeno
più i polmoni. Il respiro spezzato a metà e il mio intero
corpo che comincia a congelare. Le lacrime vogliono scorrere e se le
lasciassi correre andrebbero solo a fondersi in tutto il mio sudore, ma
no, non posso. Non gli darò la soddisfazione di vedere il dolore
che mi sta provocando.
«Ritirati.
Non vali niente» conclude il suo attacco ingiustificato
distruggendomi totalmente. Scompare com'è arrivato. Nel buio del
corridoio lasciandomi lì, nel bel mezzo del campo da basket a
piangere per un sogno che sapevo già da sola di non poter
raggiungere.
Le note sono ad inizio capitolo. Non c'è nient'altro da dire su
questa storia. Prima di pubblicarla ho deciso di scriverla interamente
quindi chiunque la comincerà sappia che la fine arriverà
prima di quanto s'immagini. Scusate, ma non volevo tirarne fuori
un'altra incompleta.
Detto questo, come avrete notato, sarà incentrata su Dajan e
Jade (che arriverà nel prossimo capitolo). Il fratello della
dolcetta è una figura importante ai fini di trama ma
apparirà raramente. Come sapete, io lavoro su una triade di
personaggi. Anche Castiel e Nathaniel saranno solo comparse.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Trasferimento. ***
Cap2
Dolce Flirt ~
Dimostra chi sei
Capitolo Due.
Trasferimento.
Il
segretario delegato ci mise molto più tempo del previsto prima
di ricevermi. A quanto pare, quel giorno mille scartoffie avevano
deciso di sommergerlo fino a che, a metà pomeriggio, non sono
venuti a chiamarmi.
La sala delegati è una stanza fredda, poco accogliente e
spartana. Il biondino, seduto dietro ad una piccola cattedra piena di
fogli, alza lo sguardo da una pila e mi sorride gentilmente, facendomi
cenno con la mano di sedermi. Gli prendo posto davanti, aspettando
che sia lui a rompere il ghiaccio. Mi sento turbata, senza un motivo
apparente. E mentre io mi massacro le unghie delle mani per tentare di
calmarmi, il ragazzo di fronte a me continua a leggere un fascicolo
graffettato. Con una penna appone la sua firma in fondo all'ultimo
foglio e, dopo aver controllato che siano tutti ben allineati, li
ripone sopra una pila ancor più grande. Poi torna a rivolgermi
un sorriso accogliente. «Mi
scusi ma la burocrazia non lascia scampo» afferma facendo un
piccolo gesto con gli indici rivolgendosi verso le varie file di carte
che adornano la sala. Faccio di no con la testa, intimorita da
chissà cosa. «Bene.»
batte le mani sul ripiano di legno così da potersi alzare. Lo
seguo con gli occhi mentre si allontana dalla sua postazione e va a
frugare tra dei fogli dentro ad un piccolo cestino porta carta. Ne
estrae un modulo e poi torna dov'era prima. Lo liscia, pian piano, sul
banco davanti a me e solo allora lo riconosco nella mia richiesta di
trasferimento. Gli da una lettura veloce e poi riporta l'attenzione su
di me. «Quindi
vorresti cambiare club» comincia e l'agitazione mi cresce nello
stomaco che sento attorcigliarsi su se stesso. «So
che fai parte da molto tempo della squadra e che sei una giocatrice di
tutto rispetto. Come mai vuoi cambiare?». Domanda più che
legittima. Ma non sono certamente affari suoi e, soprattutto, come
posso spiegare ad una persona che non conosco affatto che un totale
estraneo da cui sono rimasta affascinata è venuto da me e mi ha
psicologicamente distrutta inducendomi così ad abbandonare il
sogno di mio padre? Davvero, non riuscendo a trovare le parole per
ciò mi limito ad un «A
volte cambiare può essere positivo». Che risposta stupida.
Ogni scusa che avevo pensato fino a dieci minuti prima era scomparsa e,
d'istinto, non ho saputo dire altro. Ma, forse capendo il mio imbarazzo
o, chissà, forse credendo alle mie parole, il biondino mi timbra
il foglio, accettando così la mia richiesta. Non so come riesco
a trattenere un respiro di sollievo. Forse io stessa mi sto convincendo
della balla che gli ho rifilato. Ora mi serve solo un nuovo club.
«Hai
già deciso a cosa iscriverti?» mi chiede. Faccio di no con
la testa. Non essendo mai interessata ad altro se non allo sport non ho
la più pallida idea riguardo alle altre 'offerte' del Dolce
Amoris.
«Allora, vediamo se ricordo bene...» comincia il biondo, puntellandosi una tempia con l'indice. «Oltre
al basket, ci sono altri club. Ma alcuni hanno già raggiunto il
limite massimo di iscritti. Puoi scegliere tra quello di musica, quello
di scacchi e quello di giardinaggio». Una scelta piuttosto
complicata. Niente sport, quindi mi tocca pensare pure alla scelta.
Musica? Potrebbe essere. Mi piacerebbe imparare a suonare il pianoforte
anche se so che la scuola ne è sprovvista. Scacchi? Decisamente
no: la strategia non mi manca ma la lentezza del gioco non va certo a
suo favore. Giardinaggio? Avevo visto di sfuggita la serra tante volte
e spesso mi ero ritrovata a pensare a chi si occupasse di tutti quei
fiori, visto che non sembrava mai entrarci anima viva. Però mi
sembra quello con più attrattive: rimandendo da sola avrei avuto
modo di riflettere senza persone che mi sarebbero state troppo
addosso. «Giardinaggio»
proferisco senza pensarci troppo. In fondo, chissà, avrei anche
potuto saltare le attività; nessuno se ne sarebbe accorto.
Vedo il delegato apporre la mia scelta in una calligrafia sghemba. Un giorno lui potrebbe diventare un dottore, ne sono sicura.
Come previsto, la serra è completamente vuota. Deserta. Tengo le
chiavi ricevute dal corpo docenti attaccate ad un comodissimo gancetto
di una vecchia salopette che non avevo mai avuto modo di indossare. Ora
più che mai mi sento soddisfatta della scelta fatta. Non ho mai
messo alla prova il mio pollice verde ma, chissà, potrei anche
scoprire una nuova parte di me che va d'accordo con le piante.
Ma per prima cosa devo mettere tutto in ordine. Ci sono tanti vasi
sparsi in giro tra cui alcuni rotti, i cocci sparsi per terra possono
rivelarsi pericolosi. Fortunatamente c'è un secchio già
usato in precedenza: dentro ci sono ancora alcuni piccoli frammenti di
terracotta. Chissà cosa ha dovuto passare questa povera serra...
Il primo giorno passa tra le pulizie generali e la cura alle piante
secondo un foglietto di carta datomi da ex membri del club a cui avevo
chiesto informazioni. Sto spostando gli ultimi vasi vuoti così
da far posto a nuove piante quando trovo un quadernetto pieno di
fogliette svolazzanti che escono dalle pagine dentro al primo vaso
infilato nella pila. Ha un leggero strato di polvere e terriccio e
chissà da quanto è lì!
Appoggio il tutto nella loro nuova collocazione e lo prendo, curiosa.
Ma deve aspettare che io finisca prima di essere esaminato.
Lo sfoglio per la prima volta tornata a casa. Mio fratello non sa
niente del mio cambiamento né voglio fargli sapere
alcunché quindi mi rinchiudo in camera mia con il mio piccolo
nuovo tesoro. È
pieno di foto di piante e appunti. C'è anche una piccola
piantina della serra con annotate le disposizioni ottimali per ogni
tipo di pianta e noto che sono un po' diverse rispetto a come le avevo
messe io. Poi mi tornano in mente le parole di un alunno del quarto
anno: Sempre che lui ti lasci lavorare in pace. Che significavano?
Il giorno successivo provo a seguire i consigli annotati sul
quadernetto un po' malandato ormai diventato la mia guida ufficiale
alla botanica e al giardinaggio. Secondo alcune ricerche in internet,
per conferma, ho scoperto che le sue annotazioni sono molto più
utili alle piante delle parole degli ex e degli orari che il club di
giardinaggio ha sempre avuto. Per non dimenticarmene, traccio una bella
riga in matita sulle parti sbagliate del grande foglio bianco che sta
dentro alla serra come monito generale agli affiliati del club. Ora che
ho imparato cose nuove non vorrei che altri sbagliassero a curare le
piante come io stessa, per prima, avevo fatto.
«Sei tu che ti occupi di tutto, ora?»
una voce mi richiama alla società. Immersa nel terriccio e nella
piccola vegetazione non mi sono nemmeno resa conto dell'arrivo di
qualcuno. Mi tiro in piedi, oltre i vari scaffali della serra, per
vedere il mio interlocutore. «Sì. Ha bisogno di qualcosa?».
Un ragazzo dai dolci lineamenti si guarda intorno. Anche lui porta una
buffa salopette. Una in testa un cappello con cui tiene a bada una
massa di capelli mossi verdi come le piante in cui è immerso.
Dalla sua spalla pende una tracolla che sembra essere molto pesante.
Non mi guarda bensì sembra notare ogni particolare che gli sta
attorno. Strappa una piccola fogliolina rovinata da un bonsai e poi
accarezza i delicati petali di una rosa. Passa tra altre piante ma
finisce per inchiodarsi davanti al foglio degli orari della serra su
cui avevo annotato dei cambiamenti la settimana prima. Lo contempla
portando una mano al viso, sotto al mento. Purtroppo riesco solo a
vedere le sue spalle non molto grandi racchiuse in una maglia bianca
senza poter vedere la sua espressione. Certo è che quella
prospettiva non mi dispiace affatto nonostante io sia abituata a dei
ragazzi aventi un fisico molto più muscoloso e atletico. «Hai fatto anche questo?» mi chiede senza girarsi. Annuisco avvicinandomi a lui. «Sì, sono stata io. C'è qualcosa di sbagliato?»
mi ricordo infine di usare la voce dopo essermi portata di poco dietro
di lui. Ripasso mentalmente tutti gli orari controllando di averli
trascritti correttamente per non fare brutte figure. La sua testa
ondeggia e il cappello sembra muoversi pericolosamente senza
però cadere. «No, anzi» il suo tono si fa molto più basso e compiaciuto «sono perfetti». Si gira verso di me mostrandomi un limpido sorriso a cui non posso che arrossire. «G-grazie»
balbetto cercando di non farmi notare. Poi apre gli occhi, guardandomi
per la prima volta. I suoi occhi strabuzzano e la sua espressione si fa
decisamente più stupita. Resta a fissarmi per un tempo
indefinibile scandito solo dai battiti del mio cuore che sento
rimbombarmi in gola. E ora perché fa così?
Non so dire se l'imbarazzo è dovuto alla situazione quantomeno
spiacevole o al fatto di non aver mai visto due occhi verdi così
belli come i suoi.
«Lavoreremo insieme?» mi chiede ad un tratto. Annuisco.
«Ho cominciato settimana scorsa. Prima ero nel club di
basket...» concludo abbassando visibilmente il tono di voce
sull'ultima frase. Lo mio sguardo si posa sul pavimento ma una mano
stretta in un guanto marroncino rientra nel mio campo visivo. «Sono Jade, sarà un piacere collaborare». Sorrido forzatamente stringendogliela. «Fleur».
Mi oltrepassa andando verso il fondo della serra dove posa la sua
enorme borsa e, ridacchiando, si rigira verso di me.
«Hai proprio un nome adatto»
«Sei la prima persona che non segue quelle assurde direttive della scuola» mi dice, un giorno «Normalmente,
chi entra in questo club non fa che rovinare tutto il mio lavoro;
quelle poche volte che riesco a trarre qualcosa di buono dai loro errori». «Oh»
faccio io, allontanandomi dai vasi su cui stavamo lavorando e
dirigendomi verso la mia cartella di scuola. Mi sfilo un guanto per non
sporcarla e ne estraggo il quadernetto «Mi ha aiutato questo». Glielo mostro, tornando da lui. Vedo la sua espressione illuminarsi. «Ma è il mio! L'ho perso mesi fa!».
Gli racconto di come l'avevo trovato tra i vasi e lui, emozionato, mi
stringe forte a sé. Un gesto impulsivo molto apprezzato che,
dopo un attimo di titubanza ricambio. Stringo le mie braccia attorno
alla sua vita e appoggio la testa sulla sua spalla ma faccio appena in
tempo ad inspirare il suo profumo di fiori misto a sudore che le sue
mani, posatesi sulle mie spalle, mi allontanano da lui. «Scusa» mi fa balbettando leggermente. Si gira dandomi la schiena e mettendosi a lavorare su altri vasi.
«Ho fatto qualcosa di male?»
gli chiedo fermandolo sulla porta della serra poco prima che se ne
vada. La sua presenza intermittente è un problema e la sua
espressione sconfortata che ho avuto modo di scorgere nel pomeriggio
non può certo passare inosservata tanto facilmente. Cerco di
chiarire quanto prima, visto che avrei potuto non vederlo anche per
giorni. Lui si gira con aria interrogativa. «Dimmelo,
per favore» continuo davanti alla sua aria da non-so-nulla
comparsa sul suo viso. Mi avvicino a lui ma la cosa sembra dargli
fastidio. «A che ti riferisci?» mi chiede facendo il finto tonto. «A prima» continuo, imperterrita «A
quando hai smesso di rivolgermi la parola». Dal mio tono
può benissimo captare una nota di disapprovazione riguardo le
sue azioni. Ma non dice niente. Abbassa lo sguardo piazzandosi sul
volto un sorrisetto amaro. «Non hai fatto niente» quasi sussurra. «Allora perché quel-» ma non riesco a finire la frase che le sue parole mi bloccano. «Perché sei abituata a ben altro e mi sento uno stupido».
Il suo sguardo dice più di quanto non facciano le sue parole ma
io ancora non capisco. Scuoto la testa, chiedendo mutamente delle
spiegazioni. Lui si lascia sfuggire uno sbuffo ironico. «Dai, guardami» apre le braccia, lasciandomi entrare nei suoi pensieri più profondi «Sono
così diverso dagli atleti che hai frequentato finora. Sono un
illuso...» Riabbassa amaramente lo sguardo e si gira,
andandosene. Lascia che la porta della serra sbatta facendo tremare
tutta la struttura. Lo rincorro, finalmente conscia di ciò che
intendeva dire. La sua schiena è più lontana di quanto
non vorrei e penso che potrei ancora raggiungerlo ma qualcosa mi blocca
lì, sulla soglia. «Ho
lasciato il basket proprio per quegli atleti che tanto invidi»
gli grido con le lacrime che cominciano a pizzicarmi gli occhi «Ho
tradito i sogni di mio padre e mio fratello per colpa di un idiota con
tanti muscoli e senza cervello! Non osare offenderti mai più,
paragonandoti a quelle persone, razza di stupido ottuso!».
Resto a guardarlo reprimendo le lacrime. Si ferma in mezzo al cortile
ormai deserto ma non si gira né dice altro. Alza una mano,
solamente, andandosene.
Non lo vidi per un'intera settimana. Affranta ed emotivamente a pezzi,
decido di prendermi un piccolo periodo di pausa dalla serra, lasciando
sul tavolo una lettera per Jade in cui gli racconto tutta la mia
storia, della tragica morte di mio padre e di ciò che ho dovuto
passare da allora. So che un giorno tornerà alla serra e la
leggerà ma fino ad allora non posso che aspettare.
Controllo che la lettera sia lì nelle ore in cui
sono sicura di non trovarlo. Passano altri due giorni e finalmente la
sagoma bianca scompare. L'ha presa e probabilmente l'ha anche letta.
Finalmente posso tornare alle mie mansioni.
«Avresti
potuto dirmelo tu» esordisce dal nulla, buttandomi davanti al
viso la mia lettera. Ancora non capisco come riesca a spuntare fuori
dal nulla senza farsi sentire. Mi giro verso di lui, trattenendo a
stento un sorriso: la gioia di riuscire a vederlo dopo tanto tempo di
lontananza è incontenibile. «Non
mi hai dato l'occasione per farlo» gli dico continuando ad
annaffiare una fila di piccoli vasi appena inseminati. «Quindi?» chiede lui.
Non rispondo, restando a guardare i fili d'acqua che dai piccoli fori
dell'annaffiatoio cadono sul terriccio che assume pian piano una
colorazione più scura. Non so che dirgli né se guardarlo
ora sia la mossa giusta. Ma una sua mano si posa sulla mia. Senza
guanti è così calda e delicata. Mi sfila dalle dita il
piccolo annaffiatoio blu poggiandolo in un angolo libero del tavolo,
tra due vasi abbastanza distanti l'uno dall'altro. «Guardami»
mi dice, quasi ordinandomelo. Alzo quindi lo sguardo al suo volto,
appoggiando le mani al ripiano davanti a me. Ancora non riesco a
trovare le parole. «Come
fai a stare qui dopo tutto quello?» fa un cenno con la testa alla
lettera bianca sporcatasi con qualche goccia d'acqua e polvere di
terra. Sospiro. «Si sta bene» rispondo abbassando lo sguardo e picchiettando terra con la punta di una scarpa «Non c'è nessuna pressione, qui». «Ma tuo fratello...» comincia Jade, ma non posso lasciarlo continuare. Mi farebbe tutto troppo male. «Lui non deve saperlo!» quasi mi trovo ad urlare. Un attimo di silenzio interrotto poi dalla voce di lui. «Quindi
ti vergogni di... questo» apre le braccia riferendo le sue parole
alle piante, a tutta la serra, ad ogni singola foglia, anche appassita,
che c'è qui dentro. «No» sussurro «Ma...
è complicato». Mi mordo un labbro per paura di dire
qualcosa di troppo. La mano di Jade si appoggia sul mio braccio,
riscaldandolo. Mi invita a riposare il mio sguardo nel suo e
così faccio. Mi sorride dolcemente. Non vuole forzarmi a parlare
ma è ovvio che non aspetta altro.
«Non posso tornare dopo quell'umiliazione» gli dico, alludendo alle poche righe su Dajan nella lettera. «Se
quello non ha capito quanto vali, è uno stupido». Il suo
viso si fa più vicino, tanto che riesco a sentire le sue parole
soffiate sulle mie labbra. «Sei forte e puoi essere la migliore. Dimostragli chi sei!». «Chi
sono?» chiedo, imbambolata dai suoi occhi sempre più
grandi e vicini. Il cuore mi batte così forte che quasi non
riesco a ragionare. «Sì, chi sei. Accettalo. Dillo!» mi sorride. «Io
sono» sussurro. Le sue labbra sempre più vicine.Chiudo gli
occhi riuscendo a vedere che anche le sue palpebre si stanno
abbassando. «Innamor-»
«Fleur! Fleur!»
Delle voci fin troppo familiari mi fanno sussultare. Riapro gli occhi trovandomi le due verdi iridi confuse davanti a me. Accidenti, mancava così poco! Mi
sposto, abbastanza da riuscire a vedere delle sagome oltre i vetri
opachi della serra. Riconosco a grandi linee la divisa femminile del
club di basket e, poco dopo, vedo entrare due mie ex compagne di
squadra.
«Oh!»
esordisce una, capendo al volo di aver interrotto un momento d'oro.
Jade, ancora troppo vicino, ha comunque interrotto ogni contatto
riprendendo abilmente in mano l'annaffiatoio. L'altra guarda prima lui
e poi me, chiedendosi chissà cosa o riflettendo sul da farsi. «Avremmo
bisogno di...» fa la prima indicandomi. Jade, sentendosi tirato
in causa, torna a guardarmi, poi riporta il suo sguardo alle nuove
arrivate. «Ma certo!» sfodera il suo sorriso più ammaliante «Io continuo con i vasi. Tu va pure!».
Torno da lui qualche minuto dopo, sbuffando.
«Che volevano?»
mi chiede senza nemmeno girarsi, intento a strappare qualche fogliolina
malandata da una pianticella di limoni. Sbuffo ancora. Ripensando a
tutta la conversazione decido di omettere i discorsi insensati su me e
lui insieme ai commenti piccanti fatti dalle due ragazze. «Vogliono che torni al club» gli dico. Lo vedo irrigidirsi e girarsi di scatto verso di me. «E tu?» mi chiede con la mascella contratta. L'argomento non gli piace affatto. «Non voglio tornare» rispondo quasi lagnandomi. Poi abbasso lo sguardo e lo raggiungo. «Ma...?» intuisce subito il problema. «Ma» riprendo io, un po' scocciata «si tratta della partita più importante del Campionato scolastico».
Finalmente è entrato in gioco
Jade e si mostra così il flirt di questa storia. Sì,
purtroppo Dajan non mi piace perché, da brava persona quale
pensavo di essere, ho avuto la -per lui- presunzione di volergli
offrire la bottiglietta d'acqua. La prossima volta gliela tiro sul muso.
Cooomunque, il bacio è saltato e c'è la partita alle porte. Secondo voi che cosa succederà?
Ovviamente io già lo so e
quando leggerete questo capitolo avrò già ultimato anche
il terzo. Però mi piacerebbe sapere comunque le vostre opinioni.
Su, sparate!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Giocata Decisiva. ***
Tre-last
Dolce Flirt ~
Dimostra chi sei
Capitolo Tre.
Giocata Decisiva.
Robin's POV.
Ancora
non so dire quanto sia stato shockante per me trovarmi una visita
inaspettata in casa. Per giunta di un ragazzo che avesse qualcosa a che
fare con mia sorella.
Ora, davanti a me, seduto al tavolo della cucina, sta un certo Jade.
Non so chi sia ma sembra un ragazzetto per bene anche se non molto
atletico. Certo è che m'ispira fiducia ma le sue parole ancora
mi lasciano perplesso.
«Dunque...»
attacco bottone dopo aver sorseggiato un po' del mio caffè. Lui
ha ancora la tazza piena con cui giocherella, fissandola
insistentemente. So che vuole dirmi qualcosa, altrimenti non sarebbe
mai venuto fin qui, ma qualcosa lo blocca. «Se
hai qualcosa da dirmi, spara pure» cerco di metterlo a suo agio
con un tono amichevole. Finalmente mi volge la sua attenzione ma il suo
sguardo colpevole non è certo ciò che mi aspettavo di
vedere. Oddio! L'unico
pensiero che si forma nella mia mente è uno di quelli più
catastrofici; così pressante che le mie labbra socchiuse non
riescono a trattenerlo. «Non l'avrai mica messa incinta?!»
gli grido addosso alzandomi di scatto dal tavolo. Faccio forza con le
mani sulla superficie davanti a me ma il movimento è stato
comunque troppo brusco per il mio ginocchio che comincia a far male. Mi
accascio sulla sedia prendolo tra le mani. Nemmeno mi accorgo che ora
il ragazzo si trova al mio fianco. Appoggia una mano sulla mia spalla
chiedendomi se ho bisogno di qualcosa. Gli faccio di no con la testa,
ancora dolorante. Della mia stupidità posso occuparmi da
solo. «Allora?»
gli chiedo, ancora impaurito dalla risposta. Il suo volto già
imporporato diventa, se possibile, più rosso. «M-mannò, certo che no!» fa lui «Comunque
non dovresti fare certi movimenti; l'incidente ti ha-». Pronuncia
le ultime parole con un tono molto più basso, ma poi si blocca
conscio di aver detto qualcosa di troppo. «Come
fai a sapere dell'incidente?» gli chiedo, sospettoso. Chi diamine
è questo ragazzo? E perché sa queste cose? Si allontana
da me, comprendendo l'andazzo sfavorevole della conversazione.
«Mi
ha detto tutto Fleur». Sbuffo infastidito. Lo sapevo che c'era di
mezzo lei: ma sempre avuto una boccaccia enorme e non sapeva stare
zitta ma mai l'avevo sentita parlare dell'incidente, di me e
papà da quando tutto ciò era successo. Pensavo stesse
affrontando la cosa in silenzio ma, a quanto pare, mi sbagliavo. Lo
guardo, aspettando che continui e, vista la sua reticenza, lo invito
con la mano.
«Ecco» balbetta lui, ora fin troppo imbarazzato «Sono
venuto qui per dirti una cosa che riguarda lei...». Torna a
rigirarsi la tazza tra le dita. Non ha intenzione di parlare del
passato; meglio per me, così non mi tocca rivivere quegli
orribili istanti. E per un attimo il volto insanguinato di mio padre mi
ritorna alla mente. Abbasso il capo, coprendo gli occhi con la mano e
premendo le orbite con indice e pollice. Voglio cancellare
quell'immagine dalla mia mente ma ancora non ci riesco.
«Lei ha lasciato il Basket». Un fulmine a ciel sereno. «Cosa?!» ma soprattutto, Perché non ne sapevo niente?!
«Non vorrebbe che te lo dicessi ma... Come avrai notato» apre le braccia indicandosi «non
sono proprio il vostro tipo. Ora frequenta il club di giardinaggio,
dove ci siamo conosciuti». E ora riesco a spiegarmi la terra sui
suoi vestiti e quella sua mania di uscirsene con salopette o vecchie
magliette che le stanno larghe. Ancora, però, non capisco dove
voglia andare a parare. Sono incredulo e deluso da mia sorella. Non
tanto per il basket; piuttosto dal fatto che non mi ha detto niente.
«Da
quanto?» gli chiedo. Voglio sapere. Devo sapere. La sensazione di
aver fallito come fratello è troppo dolorosa da sopportare ma
ora che so la verità non voglio più segreti, anche se
è una terza persona a rivelarmeli.
«Due
mesi circa» risponde lui. Ed ecco che il suo strano cambiamento
prende un significato preciso. Il suo essere molto meno stanca e
più allegra... Mi trovo a fissare il mio ospite e a guardarlo
cercando qualche indizio su che persona sia. Possibile che lui sia la causa del cambiamento di Fleur? Che si sia... innamorata di questo ragazzo?
«Ma
la faccenda è un'altra» continua. Sembrano esserci fin
troppe novità, oggi. Ormai, l'idea che lei possa essere davvero
incinta non riesco più ad accantonarla. Lascio che un sospiro
rassegnato esca dalle mie labbra. Ormai, che può succedere?
«Due
sue compagne di squadra hanno chiesto di lei per la partita che si
terrà la settimana prossima ma lei non vuole tornare...».
Mi faccio spiegare per filo e per segno l'accaduto, venendo a
conoscenza dell'esistenza di questo fantomatico Dajan che ha osato
distruggerle il cuore e i sogni. Della sua fuga in un altro club e
delle sue indecisioni. Sentendo parlare questo ragazzo mi rendo conto
che la sorella che pensavo di avere è una persona totalmente
diversa. «Lei
ha bisogno che tu l'aiuti a tornare in campo» conclude il
ragazzo. Ma se non riesco più nemmeno a parlare con Fleur, a
farle dire come realmente sta, come potrò mai aiutarla davvero?
- - - - - - - - - - - - - - - - -
Mi rigiro tra le dita un pezzo di carta bianco cercando di tenere in
bilico sopra le labbra una penna. Ho voglia di scrivere qualcosa ma non
riesco a trovare le parole.
Dovrei chiedergli scusa per tutto il tempo perso e per quello che gli
farò perdere, ma ancora non so se sono tornata ufficialmente nel
club di basket. Dovrei anche ringraziarlo per le sue parole che mi
hanno spronata a provarci un'ultima volta. Dimostra chi sei,
mi aveva detto, e io ora più che mai, ho voglia di mostrare al
mondo quanto valgo. Ma non sarei arrivata a questo punto senza Robin
che, con i suoi soliti modi invadenti mi ha esplicitamente fatto capire
che non mi avrebbe preparato da mangiare per il mese successivo se
durante la partita avevo intenzione di far schifo. Non avevo avuto il
cuore per dirgli del mio cambiamento e, dopo giorni e giorni a pensare,
l'idea di tornare, anche solo per un'ultima grande azione, aveva messo
radici nella mia mente e, soprattutto, nel mio cuore. Per mio padre e per Robin,
mi ero detta e mai mi ero convinta così tanto di una bugia:
l'avrei fatto anche per me stessa, per non lasciarmi sopraffare da uno
stupido ragazzetto che non sa tenere la bocca chiusa.
Jade, però, era stato la molla nonché l'ultima spinta.
«Secondo
me dovresti andare. Hanno bisogno di te». Avevo provato a
ribattere ma un suo astruso discorso sull'importanza che il basket
aveva e avrà sempre su di me a causa dei miei trascorsi mi aveva
fatto accettare l'idea.
«Ma solo per questa partita» avevo detto alle mie compagne.
E ora eccoci qui. Eccomi qui,
da sola, in mezzo alle piante che avevo accudito per settimane e
settimane e che stavo per lasciare. Il giorno seguente avrebbe avuto
luogo il mio ultimo atto e l'idea che Jade non potesse esserci mi
faceva male al cuore. Non avendo, però, altro modo per
contattarlo, gli lascio un biglietto sperando che lo veda in tempo.
Scribacchio l'ora e il luogo.
Domani h. 14,00 in Palestra. Grazie di tutto.
Tento di disegnare un cuoricino che ne esce schifosamente sghembo.
Infine ci appoggio su le labbra come firma, sperando che possa
captarle. Chiudo gli occhi al contatto con la carta.
Ah, quanto avrei voluto poterglielo dare quel giorno...
Le gambe non tremano più e la stanchezza, anche se tanto, non
basta a fermarmi. Due mesi di stop si sentono ma grazie ai tiri che
ogni tanto facevo fuori casa, al canestro sopra il garage, sono ancora
in grado di giocare.
La partita volge a nostro favore per 47 a 31. Molti canestri li ho
segnati io stessa sorprendendomi nel trovarmi ancora così in
gamba nonostante avessi abbandonato. Il coach, poi, ne è
entusiasta. Le mie compagne si stanno impegnando molto e vedo i loro
sorrisi soddisfatti. L'atmosfera sembra perfetta e l'adrenalina mi
scorre in corpo al posto del sangue. Quanto mi era mancata questa
sensazione...
Lascio vagare il mio sguardo tra il pubblico. Robin troneggia su tutti.
Il suo sorriso compiaciuto è per me fonte d'ispirazione. Ogni
movimento che compio, ogni passo è un tributo a lui e a tutto il
lavoro che ha dovuto fare. Mio padre, da lassù, so che è
fiero di me. Poi vedo Dajan, non molto lontano. Non riesco a capire
ciò a cui sta pensando e poco m'importa. Ma percepisco il suo
sguardo sulla pelle. Una provocazione o una minaccia? Il sorriso che
avevo rivolto pochi istanti fa a mio fratello scompare. Accetto la sfida,
cerco di comunicargli. Poi una mia compagna mi chiama. Vedo la palla
arrivarmi. L'afferro e, memorizzati tutti i vecchi schemi di gioco,
comincio a palleggiare verso il canestro. Passo velocemente sulla
destra e poi sfondo la linea avversaria. La mia compagna tira ma
finisce sul ferro. Salto più che posso arrivando a sentire
l'aria attorno a me fermarsi. Tutto sembra rallentare. Afferro la palla
come se non ci fosse una resistenza avversaria e, nell'azione di
ritirarla a canestro, riesco a sentire una voce fin troppo familiare
nella mia testa. Vediamo che sai fare.
49 a 31. Una compagna mi da una pacca sulla spalla. E mentre le
avversarie cercando di ripartire, il mio sguardo va al ragazzo.
Sorride, quasi compiaciuto della cosa. Non riesco a capirlo, ma non
è certo questo il momento per pensare a lui.
Il fischio dell'arbitro chiude la partita a nostro vantaggio. Non
riesco nemmeno a tirare un sospiro di sollievo o uno sbuffo di
stanchezza che mi ritrovo le mie compagne al collo. Urlano e gridano
felici inneggiando il mio nome come Salvatrice della partita.
Robin, dalle tribune, alza il pollice. Gli sorrido di rimando, cercando
di alzare un braccio per fargli capire di aver afferrato il suo
messaggio ma le ragazze attorno a me mi schiacciano in un abbraccio
collettivo. Dopo festeggiamenti e saluti vari chiedo scusa a tutte.
Voglio solo vedere mio fratello e, sorprendendomi a quel pensiero,
Jade. Ma cercandolo con gli occhi, non ero riuscita a vederlo durante
la partita e la cosa non mi aveva certo lasciata indifferente.
«Sei stata grandiosa, sorellina!»
esulta mio fratello stringendomi a sé. Non riesce più a
prendermi in braccio e a farmi roteare a un metro dal suolo come faceva
sempre prima dell'incidente; ma un suo caldo abbraccio significa molto
più di quanto possa immaginarsi. «L'ho
fatto per te» sussurro al suo orecchio. Ora che tutto è
finito sento che lui deve sapere; devo dirgli tutto. Mi stacco da lui,
guardandolo seriamente negli occhi. «Devo
dirti una cosa, Rò». Il suo sguardo si fa dapprima
pensieroso e poi curioso. La serietà non lo sfiora nemmeno. «Io avevo lasciato il club...». Mi sento un verme a dirglielo ma la sua espressione non muta. «Tutto qui?» mi chiede lui. Ora sono io a strabuzzare gli occhi. «Sì,
lo sapevo già. Me l'ha detto un tuo amico. Che,
approposito...» alza l'indice indicandomi il corridoi che porta
agli spogliatoi. Che amico, però? Non starò forse parlando di... Jade! Il mio viso s'illumina senza ch'io possa controllarlo. Lo capisco subito dal sorriso malizioso. «Su» mi da una pacca sulla spalla «Và da lui».
Incredibile come Robin possa accettare una cosa del genere senza
fiatare. Chissà che cosa diamine ci sarà stato tra lui e
Jade... Ma non è quello il momento per pensarci. Mi fiondo
giù dalle scale per andare a cercare il mio amico quando sento
una voce che mi chiama. Mi giro di scatto, sorridente e raggiante ma le
mie emozioni si stravolgono di colpo quando, al posto del verde, mi
ritrovo davanti Dajan, a braccia incrociate con la schiena contro al
muro e un'espressione compiaciuta sul volto. «Sei stata brava» mi dice, staccandosi dalla parete e avvicinandosi a me «Proprio brava...»
Lo sento pericolosamente vicino ma non so che cosa fare. Abbassa il suo
viso color caramello alla mia altezza e sento due suoi polpastrelli
appoggiarsi sotto al mio mento. Lo spinge verso l'alto per avvicinare
le mie labbra alle sue. Sento il suo respiro sulla mia pelle ma non
è affatto una situazione piacevole. «Credo
di averti giudicata male... Mi piaci». Oddio, la mia prima
confessione? Da un tipo così?! Accidenti! Maledico Jade per non
aver detto chiaro e tondo i suoi sentimenti quella volta in cui
litigammo. Perché il minimo romanticismo dev'essere distrutto da
individui ignobili come questo qui?!
Si fa sempre più vicino.
«Diventerai mia» mi sussurra, imitando -in modo molto
strano e alquanto discutibile- il verso di un felino. Vuole baciarmi ma
io non sono certo d'accordo. Gli afferro il polso con una mano,
spostando la sua leggera pressione da sotto al mio mento. Avendo la
testa non più sostenuta, s'abbassa velocemente e le sue labbra
stanno per sfiorarmi quando io stessa gli porgo gentilmente
un brandello della mia pelle; più precisamente la fronte. Una
testata degna di questo nome, dritta sulle labbra e sul naso che ora si
tiene doloranti. Urla di dolore e si allontana da me pur senza
allontanarsi troppo.
«Ma...!»
diciamo in coro. Jade appare nel mio campo visivo. Quand'è
arrivato?! Ormai è una domanda di routine quando c'è di
mezzo lui. Tiene l'altro polso di Dajan ma, non appena il ragazzo cerca
di allontanarsi lo lascia fare, mollando la presa. I segni delle dita
sono ben visibili sulla pelle scura dell'atleta che ci guarda
infuriato. «Ma siete pazzi?!» ci indica ripetutamente mentre dall'altra mano scende un rivolo di sangue. Ops, credo di avergli rotto il naso...
Jade mi cinge le spalle con un braccio e tenta di trascinarmi lontano da Dajan. «Forse»
gli risponde sorridendo per poi voltargli le spalle. Io seguo i suoi
movimenti, in silenzio, assecondando tutte le sue scelte. Ben presto di
lasciamo alle spalle le urla e gli insulti del ragazzo che ci maledice
per avergli rovinato il viso e i polsi. Purtroppo per lui, la cosa non
ci tange affatto.
Mi blocca in mezzo al cortile, lontano dalla folla di gente arrivata
per la partita. Mi prende le mani tra le sue e mi guarda dritto negli
occhi.
«Non ti ho visto alla partita» sussurro dispiaciuta. Lui abbassa lo sguardo, cercando di scusarsi. «Sono arrivato tardi» dice «Ho
trovato il bigliettino verso le due e mezza e sono subito corso in
palestra ma prima di trovare posto ci ho messo un po'...»
ciononostante ancora non riesco a capire dove si fosse seduto; ma Jade
è così, un ragazzo che arriva come un'ombra, un
fantasma, che lascia un'impronta indelebile nella vita di che ha
la fortuna di conoscerlo.
«Ti direi che sei stata brava ma, purtroppo, non ci capisco niente di Basket» se la ridacchia. «Beh» provo a suggerirgli «puoi
dirlo comunque». Mi risponde con un dolce sorriso. Lascia le mie
mani, facendo scivolare le sue lungo le mie braccia. Mi accarezza,
incurante del sudore che ancora mi imperla la pelle. «Posso
dirti che stai d'incanto anche con la divisa». Abbasso lo
sguardo, imbarazzata. Come può trovarmi bella con addosso solo
una canottiera troppo larga per i miei gusti e dei pantaloncini rossi
sopra ad un altro paio neri, più aderenti? E, soprattutto, sono
madida di sudore. «Ma
con la salopette e il viso sporco di fango sei molto più
carina» mi sussurra all'orecchio. Riporto il mio sguardo nel suo,
alzando di scatto la testa e mancando miracolosamente la sua. So di
essere arrossita perché sento le vampate di calore salirmi dalle
punte dei piedi e fermarsi sulle guance che sicuramente scottano. Ne
accarezza una con la sua mano dal tocco gentile. Chiudo gli occhi
lasciando che il mio viso si appoggi completamente sul palmo. La mia
mente si svuota; non riesco a pensare ad altro se non alla rosa rossa
che ha sfiorato la prima volta che lo vidi. Mi sento tanto un petalo
rosso in balia delle sue dita.
Poi mi chiama, costringendomi ad aprire gli occhi. «Sono felice che non ti abbia fatto niente». Si riferisce a Dajan? «Non spetta a lui il mio primo bacio...» sussurro sperando che colga l'allusione.
Lo vedo arrossire a sua volta, finalmente. Il rosso gli dona tanto,
sotto alla sua folle chioma verde. Avvicina il suo volto al mio ma non
riesco più ad aspettare. Mi stringo a lui, appoggiandomi al suo
petto e alzandomi quasi in punta di piedi per congiungere le mie labbra
alle sue. Una sua mano mi accarezza la guancia mentre mi bacia; con
l'altro braccio mi cinge la vita, tenendomi stretta a lui. Il mio cuore
scoppia di gioia e quando riapro gli occhi non riesco a vedere altro se
non il suo sguardo carico d'amore, tutto per me.
«E ora?» gli chiedo. Lo vedo mordersi un labbro, trattenendo un forte impulso di baciarmi ancora.
«E
ora si stacca da te!» la voce di Robin mi raggiunge. Ci giriamo
spaventati, ancora stretta tra le sue braccia. Mio fratello è a
pochi metri da noi con le braccia incrociate, che ci guarda con
rimprovero.
«Ok che non è incinta. Ma è pur sempre mia sorella!»
Guardo Jade, sconvolta. «Che intende dire?!»
Lui ridacchia, imbarazzatissimo.
«Niente. Lunga storia...»
Oh, mi sento un prodigio!
In un giorno (sì, anche se non le tre, vale come giornata) ho
scritto il finale per la storia di Leigh, concluso il secondo capitolo
di questa ff e ora anche il terzo. Direi che per me è un record!
Oh, e ho anche fatto Kendo, quindi ora penso proprio che me ne
andrò a dormire perché sono stancherrima!
Volevo solo scusarmi per questa storia che, a parer mio, sembra un po'
troppo affrettata. Purtroppo, come avrei già aver scritto, non
avevo intenzione di protrarre altre storie all'infinito così mi
sono messa d'impegno per scriverle e concluderle in pochi capitoli
ma-soprattutto- in breve tempo.
Ipotizzo che, dopo queste, arriveranno finalmente i nuovi capitoli di
Doppio Gioco e Shadows. Per quanto riguarda la prima storia, l'idea di
base è già pronta; per la seconda, il concept è
sempre lo stesso ma non riesco a svilupparlo come vorrei quindi dovrete
avere pazienza per quello.
Perdono!
Ma vi ringrazio comunque per aver letto questi miei piccoli 6 scleri.
In questi ultimi 3 (2, in realtà) sono felice di aver potuto
mettere Jade. Era sempre apparso nelle mie storie ma solo come comparsa
laterale; ora invece ha avuto il ruolo da protagonista che merita!
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2208628
|