A Loving Story

di Reagan_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Marzo 1972-Il Bacio ***
Capitolo 2: *** Aprile 1972 - La Telefonata ***
Capitolo 3: *** Giugno 1972 - Giro in Biciletta ***
Capitolo 4: *** Agosto 1972 - Tazza di tè ***
Capitolo 5: *** Ottobre 1972 - Una Colazione ***
Capitolo 6: *** Dicembre 1972/Gennaio 1973 - Un Divano ***
Capitolo 7: *** Aprile 1973 - Un Bagno ***
Capitolo 8: *** Giugno 1973 - Un Bicchiere di Vino ***
Capitolo 9: *** Settembre 1973 - Due Libri ***
Capitolo 10: *** Maggio 1974 - Possibili Vacanze ***
Capitolo 11: *** Settembre 1974 - Le Perle ***



Capitolo 1
*** Marzo 1972-Il Bacio ***


Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:
http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bacio
Titolo: Marzo1972-Il Bacio
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):951



"Succede ai baci come alle confidenze: uno tira l'altro, e via via si fanno più vicini e caldi."

Vivant Denon

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* * * *

Marzo 1972



Il Bacio


Quando Georgiana aprì la porta del numero 132 di Bost Street venne letteralmente investita dal calore e dalla luce di una casa che aveva amato profondamente e dove aveva passato molto tempo quando era all'università.
Joelle, una delle sue più care amiche, stava al centro del piccolo soggiorno chiacchierando velocemente con tutti e continuando a versare il suo mitico punch alla fragola in ogni bicchiere che passasse sotto il suo sguardo.
Appoggiò la sua giacca sopra un mucchio di altre e controllò il suo nuovissimo orologio da polso.
Segnava le dieci e si preoccupò immediatamente, aveva molte cose da fare per il giorno dopo e doveva assolutamente sbrigarsi. Non era mai stata una ragazza da party o forme di aggregazione qualunque. Anzi, alle feste aveva sempre preferito la tranquillità di un buon libro e un bicchiere di vino ed era per questo che ogni volta che si trovava ad una di quelle sagre post universitarie dove tutti parlavano dei loro primi lavori e si credevano dei novelli Kennedy, mentre lei faceva da tappezzeria, seduta in disparte a sorseggiare gocce di punch zuccherato.
Lanciò uno sguardo al gruppo di ragazzi di colore che se ne stavano seduti fra loro e ridevano in continuazione. Era molto felice delle vittorie delle varie associazioni per i diritti degli Afro-Americani, si era sentita quasi una temeraria quando aveva partecipato alle lunghe marce di protesta accompagnando la sua anziana tata e domestica e la sua famiglia. Ma la sua conoscenza di quella parte del mondo e di popolo che a lungo era stata isolata, si fermava a qualche sorriso per la strada e alla sua cameriera ormai in pensione. Non aveva idea di quali sogni ed aspirazioni potessero avere.
Trovò uno spazio accanto alla finestra e rimase a lì a lungo a fissare i riflessi delle auto che passavano per la via.


Donald Jeter si guardò nuovamente in giro con fare furtivo e finalmente individuò la fonte di tanto penare. Georgiana Sullivan se ne stava nuovamente seduta in disparte, sulle labbra rosse un sorriso di circostanza e in mano lo stesso bicchiere pieno.
I capelli castani le circondavano il viso affilato e severo, le dita lunghe si muovevano con una grazia da pianista e quel corpo longilineo ed etereo lo aveva sempre attratto. L'aveva vista sempre di sfuggita e poco incline alle chiacchiere.
Fissò il grosso orologio posto su un muro, scoccò le undici e decise che era venuto il momento di lasciare quella festa allegra e precipitarsi a casa. Poche ore e si sarebbe dovuto trascinare a lavoro. Il Saint George Hospital era uno di quei ospedali della periferia di New York che accoglieva i casi più disparati e spesso senza assicurazione sanitaria. Lasciò il suo bicchiere nelle mani vuote di una sorpresa Joelle, la baciò su entrambe le guance e salutò quasi tutti quelli che conosceva. Andò verso il mucchio di giacche e solo in quel momento notò lo sguardo inteso di Georgiana su di lui. Si sentì avvampare e drizzò la schiena.
-Potresti passarmi quel cappotto verde?- chiese lei fissandolo con un leggero sorriso sulle labbra.
Donald lo agguantò ridacchiando e la aiutò ad infilarselo, per la prima volta toccò la sua pelle e venne investito dal suo profumo primaverile, delicato e dolce.
-Vuoi un passaggio?- le domandò cercando di respirare piano.
Georgiana lanciò uno sguardo all'orologio al polso e si ritrovò ad annuire.
Era la prima volta che accettava un passaggio da un uomo. Un po' era dovuto alla sua timidezza che le impediva di essere abbastanza audace, un po' era legato alle sue tendenze femministe. Non era necessario tutto quel formalismo maschilista che ogni volta si ripetevano fra un uomo e una donna. Se avesse avuto una macchina lo avrebbe proposto lei quel passaggio.
Donald le aprì la porta e le indicò l'auto dalla vernice nera e le sorrise con le sue labbra carnose e i denti bianchi.
E Georgiana si ritrovò, improvvisamente, a pensare a come fossero al tatto quelle labbra scure e arrossì velocemente.
Non poteva sapere che meno di mezz'ora dopo lo avrebbe scoperto.


Com'era possibile che una donna di tale grazia eterea nascondesse una tale forza?
Si erano ritrovati in piedi di fronte a una elegante palazzina dei quartieri per bene dei bianchi, le labbra incollate, le mani aggrappate ai cappotti, i respiri tesi e sconnessi fra loro.
Donald cercò di capire come fosse stato possibile passare dalle chiacchiere sulla scienza e sulle astronavi aliene a baciarsi con una tale foga. Notò fin da subito l'inesperienza di Georgiana e la sua frenesia e timidezza in tutto quello che faceva, non se ne curò e la lasciò scoprire i territori pieni di libidine del bacio.
Il tutto finì improvvisamente, con uno schiocco deciso, si allontanarono l'uno dall'altra e si guardarono confusi.
-Io … -cominciò Donald.
-L'ho voluto anch'io.- rispose Georgiana alla sua domanda muta. -Me ne sono resa conto solo ora.-
Si avvicinò e lo baciò nuovamente con tocchi lenti e persi, rabbrividì di primitivo piacere quando sentì le sue mani calde sbottonare il cappotto ed intrufolarsi sotto il maglione, toccando la sua pelle.
-Andiamo … Dentro?- suggerì Donald stringendola a sé.
-Ce … Certo.- disse lei cercando le chiavi nella borsa ed aprendo la porta con una certa irruenza e poi si lanciarono uno contro l'altro, smaniosi di sentirsi vicini e curiosi di sapere cosa ci fosse al di sotto di quei cappotti.
Georgiana cercò di capire da dove nascesse la sua palese attrazione; era per la diversa pelle?
Oppure per la sua risata profonda e contagiosa?
O ancora per il suo sorriso sincero e le sue idee brillanti?
Ci si poteva innamorare così, senza un reale motivo e in modo sorprendentemente veloce?
Forse sì.
Scacciò quei pensieri lontani e si concentrò sull'ennesimo bacio certa che non sarebbe stato l'ultimo.







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Capitolo 2
*** Aprile 1972 - La Telefonata ***



Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:
http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  Telefonata
Titolo: Aprile 1972-La Telefonata
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):683


"La discriminazione spesso non viene percepita, neppure dai diretti interessati: più è radicata, meno è visibile."
Tommaso Giartosio.



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La Telefonata



Diede un'ultima occhiata al telefono e si morse le labbra.
Non era abituata.
Non era abituata ad aspettare con così tanta agitazione una semplice telefonata.
Niente di grave, nulla di importante, solo un colpo di telefono dall'ospedale nell'ora di pausa.
Riusciva ad immaginarlo bene in quell'ambiente, circondato dalle preoccupazioni, dai colori neutri di un ospedale di periferia. Cartelletta in mano, camice che copriva le spalle possenti, le labbra strette in un sorriso di circostanza, serio e sincero.
Rabbrividì cercando di capire come fosse possibile essere così presi da un uomo, sebbene fosse una persona speciale, era pur sempre un maschio.
Scosse la testa confusa, forse era troppo abituata alle personalità lascive e prive di spirito del suo ambiente. Nessuno sembrava condividere il viscerale impegno di cui Donald era provvisto a gran quantità. Una sera era passato per un veloce saluto e vedendola impiegata in una lunga lotta contro uno sportello della cucina, si era chinato accanto a lei e nonostante la stanchezza di una giornata passata in piedi, l'aveva aiutata in silenzio, senza prenderla in giro.
Georgiana aspettò qualche secondo prima di rendersi conto che il telefono stava squillando. Nervosa fece cadere la cornetta e quasi strillò rispondendo.
-Ohi!- ridacchiò sorpreso Donald.
Georgiana arrossì e arrotolò l'indice e il medio fra le onde del filo della cornetta.
-Scusa è che ti stavo … Aspettando.-
Donald non rispose nulla e sospirò rumorosamente.
-Come hai passato la giornata?- le domandò tono educato.
Georgiana si ritrovò a raccontare con pochi e brevi frasi la mole di lavoro e l'eccitazione per l'arrivo dei primi computer Olivetti in azienda. Erano tutti su di giri, una macchina in grado di fare grossi conti e di stamparli immediatamente, riduceva della metà il lavoro degli analisti finanziari.
-Ma lasciamo perdere me, tu come stai?- chiese di rimandò Georgiana.
-Per ora abbiamo avuto solo una rissa fra ragazzini. Li abbiamo medicati e stiamo aspettando che le cose peggiorino, altrimenti sarà noioso.- scherzò Donald. -Comunque sta andando tutto bene, anche se mi mancano più di sei ore.-
-Quante settimane durerà questo turno notturno?-
Donald sembrò rimuginare a lungo prima di rispondere. -Non lo so.-
Georgiana aggrottò la fronte e gli chiese come mai non lo sapesse.
-Non … Solo l'unico nero con questa specializzazione e per questo sono … L'ultimo della catena.-
La sussurrata risposta di Donald colpì come uno schiaffo la coscienza di Georgiana.
Frequentando il giovane si era lentamente resa conto della tante e piccole differenze che il mondo esterno aveva costruito per dividere due colori così diversi. Era convinta che le diverse leggi approvate negli anni scorsi, avessero permesso alla comunità afroamericana di avere dignità e pari trattamento, ed invece si rendeva sempre più conto che non era esattamente così semplice.
Un giudice poteva appellarsi alla morale e alla religione, ma gli uomini rimanevano del tutto indifferenti a parole scritte da un teorico di diritto.
Così quello per lei era attraente come le sue lunghe ciglia, il suo sorriso abbagliante e quella labbra che avrebbe voluto mordere notte e giorno, per altri erano feccia e scherzo divino.
-Capisco.- disse solamente, sentendo la rabbia salire e trasformarsi in sgomento.
-Comunque, venerdì pomeriggio non devo rientrare. Ho la mia giornata libera.- buttò lì Donald accorgendosi solo allora di aver caricato di un fardello fastidioso e pesante una creatura innocente e piena di fantasie come Georgiana.
-Se vuoi andiamo … I miei hanno una casa fuori città che non usano mai, potremmo goderci queste prime giornate di sole.- Georgiana trattenne il respiro e sorrise non appena Donald le rispose affermativamente.
Si lasciarono qualche minuto dopo, con una piccola promessa che solo adesso rivelava le difficoltà di una storia appena sbocciata e per molti sbagliata.
Georgiana posò lentamente la cornetta e rimase a fissare a lungo il piccolo telefono verde.
Improvvisamente si sentì sciocca, debole ed inferiore.
Si tolse il maglione che indossava di solito in casa e si diresse verso il letto, s'infilò fra le coperte che ben conosceva e si mise a fissare il muro.
Finì con l'abbracciare un cuscino, fingendo di avere accanto la solidità morigerata di Donald e il suo corpo caldo.

 

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Capitolo 3
*** Giugno 1972 - Giro in Biciletta ***


Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  Giro in Bicicletta
Titolo: Giugno 1972-Giro in Bicicletta
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):956





"La vita è come andare in bicicletta. Per mantenere l'equilibrio devi muoverti."
Albert Einstein


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Giro in Bicicletta




Il vento s'insinuava fra i suoi capelli, li faceva danzare secondo un ritmo scoordinato e piacevolmente violento, il vestito rosso era salito di qualche centimetro, facendo intravedere il candore della pelle dell'interno della coscia e di conseguenza facendogli perdere spesso equilibrio sulla bici arrugginita che stava guidando seguendo la scia profumata e il sentiero percorso di Georgiana.
Il suo sorriso compariva ogni tanto quando si voltava per incitarlo a proseguire la corsa in bici.
Lui non era certo abituato come lei, solita a passare le sue estati fra picnic e corse in bicicletta da quando aveva imparato a camminare, mentre lui era rinchiuso nel suo claustrofobico quartiere emarginato.
Gli dolevano le caviglie, ma Donald tentò di superarla, suscitando la sua sorpresa e la sua risata spensierata. Si erano inoltrati sempre più vicini alla spiaggia, pregustandosi la vista dell'oceano che si perdeva e del cielo che si confondeva con il moto ipnotico delle onde.
L'odore di mare, di salsedine, di sabbia calda e morbida, spingeva su per le narici e coinvolgeva ogni singola cellula del corpo di Donald. Ogni volta che scappava con Georgiana in quel piccolo pezzo di paradiso, si stupiva di come l'aria stessa lo rinvigorisse e lo calmasse allo stesso tempo.
Georgiana frenò e gli indicò una piccola scorciatoia per il mare, ruotò la bici e si lanciò giù per la collina, con la sicurezza di un aviatore esperto. Donald strabuzzò gli occhi e cercò di seguire quel turbine di rosso e castano, pregando che il telaio della sua bici non si spezzasse.
Georgiana saltò giù dalla bici prima di schiantarsi sulla sabbia e si mise a correre verso le onde biancastre. Donald la seguì goffamente, maledicendosi per aver smesso di fare sport, e si trascinò fino ad arrivarle affianco.
La mano della ragazza circondò la sua e si sorrisero improvvisamente timidi, rimasero a lungo così: in piedi, con le mani intrecciate, le scarpe ormai zuppe di acqua salata, un sorriso di pace sulle labbra.
Ad interrompere quella pace furono grosse gocce di pioggia.
Il vento impetuoso che tanto aveva infastidito i capelli di Georgiana, ora voleva la rivincita sul mondo, le gocce cadevano violente e in pochi secondi il vestito rosso della ragazza le si appiccicò sul corpo minuto. Donald lo vide come un segno divino, un invito del Dio Dionisio a proporsi e a tentare la scalata verso il piacere sessuale.
Nonostante si frequentassero da diversi mesi, ogni approccio più intimo gli era stato negato, un po' per il poco tempo, un po' per la ritrosia e imbarazzo di Georgiana, ma quel giorno qualcosa accadde.
Lasciarono le biciclette verdi riverse sulla spiaggia, lei lo trascinò in una piccola cabina con la porta socchiusa e lì, in modo del tutto naturale e lento, si scoprirono a vicenda.
In principio dovevano solamente spogliarsi per non prendere troppo freddo ma quando Donald catturò con un bacio una goccia di acqua salata che scorreva lungo il collo di Georgiana, tutto cambiò.
I mozzati sospiri di piacere lasciarono il posto a gemiti sommessi.
Georgiana gli slacciò i pantaloni, sussurrandogli che era pronta, nonostante tremasse.
E così, mentre le biciclette venivano sommerse dalla pioggia e cullate dalla sabbia, Donald e Georgiana si unirono per la prima volta, fra lo sgomento, singhiozzi di dolore ed immenso piacere.
Alla ragazza piacque sentire il suo torace nudo contro il suo seno, le sue labbra carnose scivolare lungo la sua pelle, il cromatico contrasto dei loro colori, i suoi sospiri contro le sue labbra e quella oscillazioni di bacini che si cercano e si scontrano.
Donald si fermò più volte, teso fino allo spasmo e intimidito dalla responsabilità, si lasciò baciare dalle sue labbra tremanti, la lasciò libera di scoprire le basi dell'amore fisico e da qualche parte sentì un moto d'orgoglio quando le strappò il primo grido, il primo orgasmo, che cancellò le lacrime pungenti della prima lacerazione.
Solo allora si permise di venire, crollando sul suo morbido e minuto corpo.


Il sole era tornato a brillare, dietro nuvole scure e bianche, il mare si era calmato, le bici si stavano crogiolando in attesa di asciugarsi completamente e partire per un altro giro.
Donald donò a una Georgiana che non riusciva a guardarlo in faccia, il suo maglione per coprirla e proteggerla da malanni.
S'incamminarono verso le biciclette che li stavano aspettando e decisero che era venuto il momento di tornare indietro. Il ragazzo la seguì, beandosi della vista di quel corpo che ora conosceva profondamente.
Si fermarono solo davanti al garage della casa isolata dei Sullivan, dove fecero riposare le bici e per la prima volta dopo l'episodio nella cabina, si guardarono negli occhi.
Nessuno dei due seppe chi cominciò, sta di fatto che si trovarono uniti in un abbraccio che non sapeva di consolazione, ma di piacere. I baci divennero morsi, l'eccitazione di Donald divenne più evidente e Georgiana decise di trascinarlo dentro quella casa silenziosa, fiondandosi nella prima camera da letto. Fu un amplesso ragionato, equilibrato e gentile, Donald lasciò che Georgiana conducesse il gioco, sorprendendolo con la sua passione ed attenzione.
Quando finirono rimasero a lungo, distanti ed ansimanti, a fissare il soffitto.
-Dovremmo andare più spesso in giro con la bici.- disse Donald cercando di farla parlare e scoprire cosa si celasse dietro quell'espressione confusa e tesa.
La ragazza si voltò a fissarlo, sorridendogli, gli si avvicinò e stettero abbracciati.
-Vorrei trovarti sempre accanto a me, anche a letto.- mormorò lei.
Donald s'irrigidì per un secondo, le scostò qualche ciocca ribelle e la baciò.
Da quel momento in poi, non parlarono.
I muscoli indolenziti dall'amore e dal loro giro in bicicletta, li obbligarono a fare un sonnellino mentre le nuvole della pioggia lasciarono il posto ad un arcobaleno tenue e a un cielo azzurro.








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Capitolo 4
*** Agosto 1972 - Tazza di tè ***



Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  tè [the]
Titolo: Agosto 1972-Tazza di tè
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1466







L'amore comincia con un sorriso, cresce con un bacio e finisce con un tè.
Anonimo

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Tazza di tè






Il caldo afoso di New York aveva cominciato a fare le prime vittime.
Donald era reduce da settimane di turni notturni e gite fuori città improvvisate per accontentare Georgiana e la sua voglia di estate. Agosto stava scivolando via e il colpo d'aria dei ventilatori accesi notte e giorno lo avevano definitivamente fatto sprofondare fra guanciali profumati e salviette gelate. Georgiana aveva insistito talmente tanto ad averlo intorno a sé anche se febbricitante, che Donald non aveva saputo trovare una scusa adatta e si era lasciato curare come un bambino.
Era stato strano vedere la ragazza all'opera in quell'ambiente casalingo.
Si era prodigata nel preparargli una zuppa tiepida e piena di verdure prese all'alba in un piccolo colorato mercato di Downtown, inzuppava le salviette di acqua fredda lasciando scie di brividi lungo la sua fronte, aveva spostato la televisione in camera da letto per dargli la possibilità di rilassarsi completamente. Il tutto era stato compiuto con un sorriso leggero sulle labbra e qualche bacio leggero, Georgiana aveva saputo sorprenderlo ancora una volta.
Aveva peccato di presunzione e ora si trovava nella imbarazzante situazione di dover ritirare ogni pensiero cattivo ed arrogante nei confronti di quella donna perfetta.
-A che pensi?- gli domandò Georgiana mentre gattonava sul letto per sedersi poco distante dal suo corpo bollente.
-A tutto e niente.- rispose vago, Donald cercando di chiudere gli occhi e sottrarsi dallo sguardo sbarazzino di Georgiana. -E' un bel modo di festeggiare sei mesi insieme.- buttò lì, sperando di portare i pensieri verso qualcosa di più futile ed allegro.
Georgiana lo fissò sonnecchiare e si morse le labbra.
Scese dal letto e si diresse in cucina, le mani le tremavano e la testa le girava vorticosamente.
Si era sempre considerata una brava figlia e una consapevole cittadina, era stata educata da genitori progressisti e democratici, ma mai aveva dato a loro nessun pensiero o problema. Si era sempre ricordata di telefonare a casa alle otto di sera quando era al college, si era sempre presentata alle feste mondane dei genitori per sostenerli nelle loro cause anche se non condivideva i loro scopi, aveva sempre mandato in tempo le cartoline di Natale firmate a tutti i parenti lontani.
Non aveva mai alzato la voce prima dell'altro giorno.
Mai.
Il fischio della teiera la riscosse dai suoi pensieri deprimenti e una volta seduta al tavolo, con una tazza di forte tè inglese in mano, la sua mente tornò a rievocare la terribile conversazione al telefono con sua madre.
Le era venuta in mente la brillante idea di confessare quel piccolo e importante segreto che da troppo tempo portava sulle sue spalle. All'inizio sua madre sembrò contenta. Un uomo nella sua vita era ben accetto ora che aveva finito gli studi ed aveva la propria carriera, ma quando lo tratteggiò, descrisse la sua pelle d'ebano e i suoi occhi scuri, sentì distintamente sua madre imprecare.
-“Sant'Iddio!”- gridò.-”Sei completamente impazzita?”-
A nulla servirono i dettagli che aveva cercato di snocciolare tra un grido e un singhiozzo: la prestigiosa laurea, il tirocinio in chirurgia, le attività di beneficenza. In pochi minuti era passata da morigerata figlia a prole indesiderata ed imbarazzante. Per la prima volta nella sua esistenza, vissuta forse troppo timidamente, sbatté la cornetta al telefono interrompendo così gli strilli e gli imprechi di sua madre.
Bevve qualche sorso di tè, scottandosi la lingua e dandosi della scema.
Il liquido caldo le solleticò la gola e finì per riscaldare le sue membra già accaldate dall'afa newyorchese. Quando tornò nella sua camera e toccò la fronte più fredda di Donald si rincuorò.
Almeno aveva lui, nella sua vita.



Georgiana scese dall'auto e si guardò intorno.
Non aveva mai visto chiaramente quella via trafficata e molto famosa della zona degli afroamericani. Era vicina a tutti i collegamenti coi trasporti pubblici e nel bel mezzo di un vivacissimo quartiere pieno di negozi e colori.
Se nella East Side di New York, tutti o quasi erano partiti per le vacanze estive, il quartiere di Harlem era pieno di vita, nessuno si era chiaramente mosso più di tanto. Rilesse l'indirizzo che aveva scritto con mano incerta e si guardò intorno finché non trovò il palazzo numero 234.
Era proprio come ricordava quella notte che Donald si era fermato per recuperare la valigetta con due vestiti e partire alla volta della campagna; un grosso palazzo con l'intonaco grigio rovinato. La porta centrale era aperta o meglio divelta, entrò dentro e si ritrovò subito faccia a faccia con un altissimo ragazzo dalla pelle mulatta.
-Si è persa per caso?- le domandò con gli occhi sbarrati per la sorpresa.
Georgiana deglutì per l'imbarazzo e deglutì stringendo con forza il foglietto, si fece forza. -Devo entrare nell'appartamento di Donald Jeter per prendere alcune sue cose.-
L'uomo inarcò il sopracciglio incuriosito. -E lei chi sarebbe?-
-Io?La sua ragazza.- rispose con un filo di voce e cercando di mantenere il contatto visivo con quegli occhi scuri ed arcigni che la fissavano. -Georgiana Sullivan.-
La smorfia burbera dell'uomo si dissolse e uno strano sorriso sornione comparì sul suo viso. -Ah, è stata Minnie a portarti qui! E' uno dei suoi scherzi infami? Donald e Minnie sono due deficienti, ecco cosa sono.- chiese ridacchiando e facendole strada, dandole le spalle. In un primo momento Georgiana non sembrò capire.
Chi era Minnie? Cos'erano questi scherzi?
Avrebbe voluto trovare la fermezza di bloccarlo e farsi raccontare. Era certa che ci fosse una spiegazione ragionevole dietro a quella strana sensazione che si stava facendo viva nel suo petto. L'uomo aprì con una leggera spallata la porta difettosa che tanti guai provocava a Donald quando rientrava a casa più brillo del solito.
Era una casa modesta e pulita, con pochi ed utili mobili. “Una casa di passaggio”, l'aveva definita una volta convincendole che non c'era bisogno che vedesse. Ma intanto che il suo accompagnatore le indicava il soggiorno, un piccolo dettaglio la colpì.
Era arrivata con l'intenzione di prendere poche cose, un paio di pantaloni e camicie, la sua ventiquattrore, la biancheria e il necessario per farsi la barba, giusto per dargli la possibilità di starsene a casa sua ancora qualche giorno, data la vicinanza con l'ospedale. Mentre cercava con gli occhi un armadio e di distrarsi dalle occhiate divertite di quell'uomo che pensava fosse tutto uno scherzo, notò un particolare.
Sull'attaccapanni, oltre al soprabito estivo di Donald, era posato un grazioso trench violetto coordinata con una sciarpa di seta bianca con i bordi rosa impregnata di un dolce profumo.
L'uomo con lei la osservò leggermente stranito dallo sguardo spiritato e dalla pelle sulle guance diventate pallide della donna bianca.
-Signorina … Ma che le succede?Si sente bene?-
-No … Io ho bisogno … di sedermi.- scandì lentamente mentre la vista le si annebbiava e gli occhi si riempivano di lacrime. L'uomo la prese per un braccio e la trascinò nella piccola cucina e decise che un tè forte poteva far riprendere quella piccola donna bianca.
-Chi è lei?- chiese Georgiana cercando di reprimere le domande che le vorticavano in testa.
-Io sono Miles Ubeda. Sono un amico d'infanzia di Donald. Abbiamo fatto l'università insieme, ma io faccio l'avvocato delle cause perse.- disse lui con una nota divertita. -Lei piuttosto, chi è?-
La domanda la confuse e ci mise qualche secondo in più a rispondere. -Mi chiamo Georgiana Sullivan, lavoro come analista finanziaria e fino a qualche minuto fa, credevo di essere la fidanzata di Donald Jeter.-




Quando si alzò dal letto era già notte fonda.
La bocca era impastata e secca ma per il resto sembrava non avere altri problemi. La nausea e la febbre lo avevano lasciato dimagrito e spossato, si alzò e gracchiò il nome di Georgiana.
Quando non sentì nessuna risposta si rabbui e camminò incerto fino all'altra camera da letto. Girò per tutte le stanze e rimase sconcertato nel non vederla. Si sedette su una sedia cigolante della cucina e solo allora notò un piccolo biglietto, scritto con una calligrafia simile a quella Georgiana eppure troppo ondeggiante rispetto alle altre note che gli lasciava in giro per la casa.
“So di Minnie. Per favore non appena ti sarai ripreso, serviti pure una tazza di tè, prendi le tue cose e vattene.”
Per la prima volta nella sua breve e discretamente fortunata vita, Donald Jeter non l'aveva passata liscia. Il suo piccolo giochino, il suo vizio, era stato scoperto e per la prima volta era stato smascherato senza tanti preamboli ed invitato ad andarsene.
Prese a girare per la casa, rovistando in ogni angolo alla ricerca di ogni traccia di sé, raccogliendoli ed indossandoli. Ma prima di chiudersi la porta dietro le spalle, si concesse un paio di sorsi di tè intenso e freddo che gli lasciò la bocca amara e secca.
Una piccola punizione per ciò che aveva fatto.

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Capitolo 5
*** Ottobre 1972 - Una Colazione ***


Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  Colazione
Titolo: Ottobre 1972-Una colazione
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):2422


La speranza è buona come prima colazione, ma è una pessima cena.

Francis Bacon

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Una Colazione



Joelle fissò il suo abito giallo chiaro. La gonna a ruota cadeva perfettamente e nascondeva le cosce piene dalla vista di tutti. Sorrise nell'immaginare la sorpresa di Henry, fra poche ore, nel vederla avanzare con un abito talmente poco ortodosso e che ricordava terribilmente il vestito che aveva indossato per il loro primo e focoso appuntamento. Arrossì ricordandosi le mani di Henry che non riuscivano a stare ferme. Si passò la mano fra i capelli e si voltò alla ricerca dell'approvazione di Georgiana che invece aveva gli occhi fissi sui fogli con i nomi degli invitati.
Joelle trattenne un respiro e si morse le labbra.
Aveva sperato che con il suo matrimonio lampo, i preparativi e tutte le cose da decidere e sistemare prima della partenza di Henry per il Vietnam, la sua migliore amica si riprendesse.
Eppure i suoi occhi erano ancora velati di rabbia e dolore.
Li intravedeva ogni volta che si ritrovava a parlare del suo quasi marito o di tutte le piccole cose che quest'ultimo le lasciava in casa.
Ad ogni domanda esplicita che le rivolgeva, Georgiana scuoteva la testa e le ripeteva che era tutto finito e i dettagli della storia non erano poi così importanti.
Ma quando vide lo sguardo angosciato della sua amica sui fogli con la lista degli invitati, si sentì mancare e i suoi buoni propositi erano crollati sotto l'evidenza di quel suo errore madornale.
-L'hai invitato.- disse lei lasciando i fogli sul piccolo tavolino. -Perché?-
Joelle si sedette sul piccolo pouf rosa della stanza tremendamente giovanile della sua futura suocera e le prese le freddissime mani. -E' amico di Henry. Hanno fatto il liceo insieme e pare che Henry ci tenesse molto. Non sono riuscita a spuntarla su questa cosa.- mormorò lei cercando di nascondere più che altro a sé stessa che aveva gioito nel venire a sapere da Henry quell'improvviso invito. Sperava che quei due potessero almeno parlarsi, e forse, ricucire il loro rapporto. Lei era riuscita a farlo con Henry mesi prima, perché per loro sarebbe stato diverso? Tuttavia la reazione della sua amica, la preoccupò.
-Capisco. In fondo è anche il suo giorno.- sussurrò Georgiana riprendendo colore alle guance. -Rimango arrabbiata con lui, mettilo ad un altro tavolo o sposta me. Non voglio dare spettacolo.-
Georgiana buttò un'occhiata al suo orologio e sorrise mestamente. -Mancano solo un paio di ore, dobbiamo muoverci.-
Joelle annuì ma prima di alzarsi e sistemare l'abito, l'acconciatura e il trucco, non poté non chiederle cosa fosse successo tra loro.
Georgiana chinò il capo, sospirò e finalmente confessò.
-Mesi fa, sono andata a casa sua per la prima volta. Stava male e l'avevo convinto a starsene da me, data la vicinanza con l'ospedale. Mentre dormiva avevo deciso che ci voleva più di un cambio, quindi ho preso l'auto e sono andata.- s'interruppe per fissare l'amica che la guardava timidamente.
-Mi sono scontrata con  un tizio che pare fosse un suo amico. Mi apre la porta di casa sua e quando entro … -la voce le trema per un lungo momento. -Vedo un cappotto viola e una sciarpa di seta, che non sono miei. Non so perché ma non mi è venuto in mente che potessero appartenere a una cugina o una sorella. Quel suo modo di fare strano, il fatto che non parlasse mai della sua famiglia, non mi avesse presentato ai suoi amici e nemmeno portato a casa sua come se si vergognasse di me, mi era improvvisamente chiaro.-
-Aveva un'amante?- domandò Joelle sconcertata.
-Peggio. La fidanzatina scelta da mamma.- rispose Georgiana con una punta di rabbia.



Si guardò allo specchio e rabbrividì.
Era stato obbligato a partecipare all'addio al celibato di Henry Rodham, ritrovandosi suo malgrado in un night club di infima qualità, dov'era sicuro che ancora girasse la sifilide.
Lo sposo aveva esagerato con l'alcool ed era stato costretto ad infilargli le dita in gola per fargli svuotare lo stomaco. Gli altri amici, sposati e non, si erano limitati ad approfittare delle ragazze disinibite che ballavano e servivano ai tavoli quasi nude. Henry si era divertito ben poco, troppo preso a compatirsi per l'imminente partenza per il Vietnam, gridando alla folla disinteressata che non poteva certo lasciare Joelle vedova così giovane e gettarla fra le braccia di qualcuno che forse poteva darle più amore di lui.
Tutte quelle lagne del militare lo avevano depresso e si era ritrovato a confidarsi con il suo vecchio compagno di scuola.
Aveva sbagliato tutto con Georgiana.
Lei sarebbe dovuta comparire in un altro momento, magari dopo la sua imminente promozione a responsabile del suo reparto, magari dopo una proposta di andare a fare ricerca in qualche prestigioso laboratorio.
Aveva una mente brillante e il suo più grande difetto era proprio questa consapevolezza.
Nel giro di un anno, forse due, sarebbe riuscito a permettersi una bella casa in periferia, avrebbe finito il mutuo del piccolo appartamento dove era cresciuto con i suoi genitori, aiutato suo fratello Bernie con l'officina e pagato un matrimonio sontuoso.
Georgiana gli serviva.
Era una donna colta e alla mano, simpatica ed avvenente. Sarebbe riuscita a tenere cene con i colleghi colmando inevitabilmente le sue mancanze, dando istruzioni alle cameriere, gestendo al meglio l'educazione dei suoi figli. Cena dopo cena, serata dopo serata, avrebbe ottenuto il rispetto e la considerazione che sentiva di meritare.
Ma aveva rovinato ogni cosa, perché all'alba dei suoi trentadue anni non sapeva dire di no a sua madre.
Sistemò la cravatta, passò il pettine ai lati dei suoi riccioli scuri e si mise la giacca nuova.
Ora sembrava meno stropicciato dalla notte di baldoria e aveva un aspetto decisamente distinto.
Sorrise come faceva Sidney Poitier nei suoi film e si avviò.



Henry e Joelle ballavano con trasporto nel mezzo del grande giardino della dimora estiva dei Rodham.
Il vestito giallo si alzava e si abbassava con una certa dose di malizia e Henry non riusciva non staccare la mani dal suo corpo.
I loro sorrisi, le loro risate e la loro complicità furono un boccone difficile da ingoiare per Georgiana.
Aveva ormai completato i suoi doveri di damigella d'onore e si era buttata sui flûte di champagne e vino. Le caviglie gli facevano male, i suoi occhi indugiavano fin troppo su Donald e la sua giacca blu notte, i fiori freschi con cui si acconciata i capelli stavano già appassendo.
Le lacrime minacciavano di scendere, ma si trattenne e rimase a lungo a guardare i due sposini ballare allegri.
Gli altri invitati, pochi per non dare scandalo dato che si vociferava che la ragazza fosse incinta vista la rapidità con cui i due si erano sposati e la ricchezza dei Rodham, sembravano divertirsi e ballare.
Georgiana si sedette e li invidiò.
Si era resa conto di non essere poi così forte. Era solo una ragazzina che sognava l'abito bianco, fiori e serate eleganti. Quando a lavoro s'intravede il weekend i colleghi non facevano che chiederle indirizzi di ottimi ristoranti e consigli su piccoli regali e le colleghe ispezionavano con lei ogni capo del loro guardaroba. Era cresciuta in ambienti raffinati e pomposi, la cosa migliore che poteva fare era smettere di fare l'adolescente ribelle e cercare di non compromettersi ulteriormente.
Doveva essere forte ed imparare a mitigare l'amore.
Dopo i balli, venne servita una cena sostanziosa e gli invitati si spostarono nuovamente all'aperto per respirare l'aria frizzante dell'autunno. Georgiana preferì togliersi e proseguire verso la piccola fontana e sedersi sul prato bagnato. I suoi sensi erano annebbiati da ore dall'alcool perciò non si accorse la figura alta di Donald che le si sedeva accanto.
Nessuno dei due riuscì a parlare.
Donald la fissò e ammirò la dolce curva del seno piccolo, i fianchi stretti e le gambe magre.
Era così diversa da Minnie, così diversa da tutte le ragazze che aveva conosciuto che la consapevolezza di quanto fosse perfetta lo faceva sentire povero e insulso.
-Ho rotto con Minnie.- esordì senza rendersi conto. -Sono stato uno stupido. Volevo … Volevo far tacere mia madre. Minnie era sempre intorno e l'ho lasciata fare. Era più facile fare così.-
La frase la colpì e strinse con maggiore forza il bicchiere di bollicine che stava sorseggiando, lo lasciò balbettare scuse vacillanti.
-So di averti ferito e in quei mesi non ho fatto nulla per sistemare quella situazione. Aspettavo.-
-Aspettavi cosa?- ringhiò Georgiana tentando di non cedere alle urla che premevano in gola. -Aspettavi che vi beccassi a letto? A ridere alle mie spalle? Sii uomo Donald. Abbi il coraggio di ammettere che l'idea di avere un harem ti piaceva.-
Donald sbarrò gli occhi. -Cosa? Mi credi capace di queste cose … -
-Non so cosa sei in grado di fare, Donald. Dammi una sola ragione per cui non dovrei lanciarti addosso questo bicchiere.-
Donald la prese per le spalle e la voltò verso di lei, per la prima volta il castello delle sue ambizioni già provate, stava sprofondando.
-Perché tu sei la persona giusta. Perché stare con te mi arricchisce, perché ti amo e perché mi odio.- balbettò Donald, non riuscendo ad esprimersi come voleva, inciampando nelle banalità del caso.
Georgiana lo guardò a lungo.
Non c'era poesia in quello che le aveva appena sputato.
Non vedeva nulla di particolarmente sublime, niente che avrebbe potuto scrivere sul suo diario ed imparare a memoria.
Solo il vuoto della proiezione dell'amore su di lei.
Nonostante quelle parole orrende, il suo cuore non aveva smesso di battere e fare strani salti, la parte irrazionale di sé, la stava spingendo verso quel petto solido su cui aveva posato troppo spesso il capo.
-Minnie non esiste più vero?-
-Sì, le ho detto chiaramente che non l'avrei mai sposata.- rispose con un sospiro di sollievo, intuendo le prime barriere di Georgiana cedere.
-Sei mai andato a letto con lei?- chiese lei, socchiudendo gli occhi ed accusando lentamente gli effetti dell'alcool.
-No. Era una tutta casa e chiesa. Voleva che aspettassimo … -
-E sapeva di me, eh? O hai preferito non dirglielo, signor Jeter?-
-Sapeva … Sapeva tutto. Credeva che fosse una … Avventura.- confessò l'uomo lasciando cadere le mani da quelle soffici e bianche spalle.
Georgiana scoppiò a ridere.
Lei era l'avventura, lei!
La ragazza educata dal circolo delle Lady di New York, tutta casa e scuola esclusive, cene galanti e ballo delle debuttanti, aveva mandato all'aria la sua reputazione per un ragazzo di colore ed ora si ritrovava ad essere definita l'amante, la storia senza futuro di un uomo già occupato.
Si gettò fra le sue braccia ubriaca di mille sensazioni aggrovigliate, biascicò di voler ordinare la colazione e si addormentò.



La bocca impastata, la vista non perfettamente nitida e il dolore allo stomaco, l'avevano fatta alzare alle prime luci dell'alba.
Si trascinò nel bagno e si lavò il viso con acqua fredda.
Sobbalzò quando notò che a seguirla non erano gli echi dei suoi passi malfermi, ma l'ombra di Donald.
-Stai male?- le domandò stropicciandosi gli occhi ed avvicinandosi a lei, sicuro e confidente come sempre.
Le sistemò un paio di ciocche castane dietro l'orecchio e le sorrise dolcemente.
E Georgiana si sentì mancare a causa delle sua nausea.
Fu complicato farsi la doccia, vestirsi e scendere in sala da pranzo. Il resto della casa dormiva, gli sposi si erano rinchiusi nel piccolo bungalow convinti che nessuno li avesse visti, i genitori dello sposo erano fuggiti a gambe levate poco prima della mezzanotte e lei aveva fame. Molta fame.
Non appena fece il suo ingresso nel grande e spazioso salotto, vide Donald, seduto su una piccola poltrona e i ricordi della serata precedente arrivarono veloci come uno schiaffo. Si umettò le labbra e camminò verso di lui.
-Ho preparato la colazione, mangiamo fuori?- domandò indicando il cesto improvvisato e la caraffa di spremuta.
Georgiana annuì e lo seguì come un automa, una marionetta spenta e stanca.
L'incredibile capacità con cui il giovane chirurgo era passato da uomo pentito a capo di famiglia, l'aveva fatta rabbrividire di piacere e rabbia.
Il sole brillava forte quel mattino, irradiando le sedie e i tavoli spogli dei fasti della sera precedente.
Donald si prodigò a sistemare tutto con grande perizia, si era assentato per qualche secondo per portare la bollente caffettiera e una volta seduto, l'aveva tramortita di parole.
Georgiana non riusciva ad ascoltare, aveva preferito concentrarsi sul bacon perfettamente cucinato, sulle uova strapazzate salate come piacevano a lei, sulla freschezza del succo d'arancia, sulla morbida consistenza della mollica del pane. Era stata accolta a braccia aperte da lui e il loro amore celebrato con una colazione degna delle altre che avevano consumato nella spensieratezza.
Appoggiò la schiena sulla tastiera della sedia e alzò gli occhi.
-Cosa stiamo facendo? Cosa vuoi da me?- il tono serio con cui aveva parlato bloccò fin da subito le chiacchiere di Donald.
Lui appoggiò i gomiti sulla tavola e si pulì con perizia da ogni residuo di cibo.
-Sposarti, Georgiana. Sposarti.- ripose lui calmo.
La ragazza si passò una mano fra i capelli scompigliandoli. -Ma perché? E non ti azzardare a parlare di amore e passione, dico sul serio Don.-
Donald emise un sospiro. -Sono un uomo ambizioso. Voglio diventare un medico stimato e riconosciuto. Voglio il rispetto che mi è stato negato quando ero più piccolo e realizzare ogni mio desiderio. Quando mia madre mi obbligò a conoscere Minnie ed a uscire con lei, ne ero quasi entusiasta. E' una persona piacevole e simpatica, ma totalmente inadatta. Non legge i giornali, non studia, non s'interessa di nulla che non sia il canto, la casa, il trucco e la chiesa. Lei era sicura che avrebbe ottenuto un matrimonio perfetto e la giusta posizione sociale per prevalere a Harlem o nei ghetti dei neri. L'ape regina, insomma. Ma io volevo e voglio di più. Io desidero avere una compagna capace di colmare le mie lacune, organizzare feste del genere, farmi sopportare gli scrittori russi, introdurmi nel bel mondo, aiutarmi nella mia scalata. Voglio te. Tu potresti darmi tutto quello che cerco da anni.-
-E cosa daresti in cambio?-
-La mia totale devozione ed amore.-
Georgiana avvicinò la sedia al tavolo e riprese in mano le posate. Donald aveva chiuso per un secondo gli occhi, rendendosi conto di aver aperto totalmente il suo cuore a Georgiana e vergognandosi per le sue parole e desideri.
La voce della donna gli giunse lontana e fece faticare a comprendere di essere stato quasi assolto.
-So già che me ne pentirò già a cena, ma almeno sei stato sincero. Martedì verrai conoscere i miei.-




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Capitolo 6
*** Dicembre 1972/Gennaio 1973 - Un Divano ***



Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:  Divano
Titolo: Dicembre 1972/Gennaio 1973-Un Divano
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1033






Un buon divano è spesso ciò che c'è di più efficace per imbastire una conversazione.
Pierre Dac


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Un Divano




Dalle persiane chiuse filtrava pochissima luce, ma nessuno dei due sembrava voler accendere la piccola lampada posata a terra a pochi centimetri da loro.
Il volto di Georgiana era striato dalle lacrime ormai seccate che si erano portate via il trucco leggero che aveva preparato con così tanta cura. Indossava ancora la pelliccia e le sue mani tremavano. Donald le sedeva accanto, le gambe allungate, la mano che reggeva un fazzoletto bagnato posato su un occhio, l'aria seria e preoccupata.
Non si parlarono per un lungo momento che a Donald sembrò durare anni, poi Georgiana si alzò improvvisamente e si tolse la giacca posandola rabbiosamente a terra, corse in cucina e prese della carne ghiacciata e la passò all'uomo che accettò senza dire nulla.
La ragazza si sedette accanto e cominciò con qualche difficoltà a sciogliere la complicata acconciatura infilzandosi continuamente con le varie forcine.
Donald le prese violentemente un polso e l'avvicinò bruscamente.
-Calmati!- le disse.
Georgiana sgranò gli occhi e sembrò sul punto di piangere nuovamente. -Cosa credi che stia facendo?- sibilò allontanandosi.
-Mi stai innervosendo e so benissimo che il tuo cervello sta per scoppiare. Fermati e respira.-
Georgiana lo guardò sprezzante. -Non sei tu quello che è stato schiaffeggiato dai propri genitori.-
-Te l'avevo detto che sarebbe finita cosi. Non esiste famiglia nel mondo che vuole che i propri figli si mescolino con altre razze.- Donald chiuse l'occhio sano e strinse rabbiosamente una mano in un pugno. -Te l'avevo detto che avremmo perso i nostri genitori.-
Georgiana soffocò un singhiozzo. -Io credevo che fossero … aperti. Papà era stato salvato da un soldato afroamericano … Credevo che … - le sue parole morirono e furono ricacciate in gola violentemente. Donald le accarezzò il collo.
-Siamo solo io e te.- le sussurrò improvvisamente dolce.
Georgiana si scostò e lo guardò. -E se si rimangiassero ciò che hanno detto stasera?-
Donald le sorrise infelice. -Pensi veramente che un bianco che non è stato mai perseguitato in alcun modo da nessuno o dalla legge possa capire? Sai perché sono uno dei pochi medici di colore apprezzato? Perché il mio mentore e protettore è il figlio di ebrei che ha subito le leggi razziali. Lui è stato fortunato, è potuto fuggire. Ma non dimentica chi della sua gente è stato schiacciato e ucciso per il semplice motivo di esistere.- le accarezzò una guancia delicatamente. -Se tornasse indietro, sarei contento di rimangiarmi tutto quello di offensivo che ho detto. Tranne che tuo fratello meriterebbe un paio di anni in galera.-
Georgiana sospirò sconsolata. -Non posso credere di aver detto quelle cose e di aver spinto a terra mia madre!-
Donald si sistemò meglio su quel morbido divano e convinse Georgiana si stendersi su di lui. Le accarezzò la schiena notando quanto ella tremasse e fosse impaurita dalle future conseguenze del loro imminente matrimonio.
-Henry mi ha assicurato che se le cose andranno male, ci penserà lui a tutelarci legalmente. Si è appena tolto la divisa per la toga e già si crede giudice della Corte Suprema.-
-Lascialo fare, se lo merita. Tu non sei andato in Vietnam, Joelle mi ha raccontato che spesso ha lo sguardo assente e sobbalza per ogni rumore.- mormorò Georgiana.
-E' lo stress da guerra. Ne ho visti molti in questi anni.- disse Donald. -Spero gli faccia bene lavorare nell'ambito legale.-
Georgiana alzò il viso per guardarlo bene.
Quella notte aveva ingranato la quinta marcia ed era volata giù da un pendio.
Non c'era possibilità di ritorno.
-Tu mi ami, Donald?-
L'uomo lasciò cadere a terra la carne ghiacciata e alzò il collo per fissarla sbigottito.
-Certo.-
Georgiana si morse il labbro. -Dico sul serio Donald. Se io fossi una ragazza di colore o una donna asiatica, povera o di modeste origini, mi avresti amato comunque?-
Donald corrugò la fronte.
Non capiva dove volesse parare Georgiana e da dove nascessero quelle inquietudini. Per un attimo ne fu spaventato.
La serata di Capodanno era stata letteralmente esplosiva.
Era incominciata con il silenzio e pallide accuse, ma alla vista di quel fine anello in oro bianco e brillanti, la famiglia era del tutto impazzita. Gli era stato detto di tutto e non aveva potuto difendersi come voleva. Miles lo aveva avvertito che le cose potevano finire male, tuttavia non aveva minimamente voluto credere che persone colte e raffinate come i Sullivan potessero essere solo bestie travestite da signorotti di città. Durante il viaggio in macchina, con il sangue che colava dalla ferita, una fidanzata piangente accanto, si era domandato perché stesse facendo tutto questo.
Per la gloria, la fama, il successo?
Per amore?
Ammise per la prima volta che c'era altro oltre all'ambizione a muoverlo costantemente verso quella ragazza dal sorriso sincero.
-Sì, ti avrei amato comunque.-
Georgiana lo fissò a lungo, annuì e posò il capo sul suo petto.
-E' il primo giorno dell'anno, ormai.- sussurrò.
In lontananza si sentivano botti, clacson che strombazzavano per le vie, grida di giubilo nelle case vicine.
Loro, invece, se ne stavano lì, sdraiati su quel divano a cercare di dimenticare.
-Domani mattina li cancellerò dalla mia vita. Da domani voglio solo essere una ragazza innamorata che sta per sposarsi. Non voglio sentire o fare altro.-
Donald le prese la mano sinistra e baciò l'anulare avvolto nel bellissimo anello.
-Sono d'accordo.-
-Se la tua famiglia vuole partecipare al matrimonio, ne sarò contenta. Ma non voglio che si ripetano le scene d'isterismo collettivo dell'altra volta, siamo solo due persone che vogliono sposarsi.-
-Lo trovo giusto.-
-E voglio andarmene da questo quartiere. Potremmo spostarci più vicino all'ospedale. Io dovrò comunque trovarmi un nuovo lavoro, dubito che papà sia incapace di mettermi i bastoni fra le ruote, è l'azionista di maggioranza nella mia azienda, può licenziarmi in qualunque momento.-
Donald si abbassò per baciarle le labbra che ancora di muovevano febbrili.
-Basta discorsi. Adesso dobbiamo starcene comodi su questo divano e celebrare il nuovo anno riposando un po'.-
Georgiana non riuscì a reprimere un piccolo sorriso. Calciò via i tacchi e prese la pelliccia che usò come coperta per entrambi e per la prima volta si sentì riscaldata da un amore solido.









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Capitolo 7
*** Aprile 1973 - Un Bagno ***



Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bagno
Titolo: Aprile 1973 - Un Bagno
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1755



Bagno – Stanza sempre occupata
Antonio Amurri


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Un Bagno




Donald appoggiò la mano sulla maniglia mentre con gli occhi leggeva il breve messaggio del suo cerca-persone, quando lo trovò chiuso sbuffò e bussò con impeto.
-Georgiana apri la porta! Uno dei miei pazienti è peggiorato, devo andare!-
La donna non rispose subito anzi, a Donald sembrò passare un secolo quando la sua voce del tutto calma gli diede la scontata risposta.
-Un minuto caro!-
Scosse la testa sconsolato e si appoggiò al muro.
Ormai era diventata un'abitudine alquanto fastidiosa quella di ritrovarsi a contendere un bagno. Ogni qualvolta aveva un urgente bisogno o si voleva prendere del tempo per rasarsi e sistemarsi, s'imbatteva nella poca pazienza femminile. Georgiana tendeva a rinchiudersi molto spesso e a preparasi per delle ore. Cosa facesse esattamente lì dentro, per lui rimaneva un mistero.
La porta si aprì e nel corridoio comparì Georgiana con una spazzola in mano.
-Ricordati che oggi vado a sistemare alcuni oggetti che ha portato tua madre nella casa nuova e che uscirò a cercare l'abito con Joelle. Credo farò tardi.-
-Io mi devo occupare di questo paziente e stasera Henry mi ha invitato a bere qualcosa, è da un po' che non lo facciamo.- disse Donald chiudendosi la porta dietro le spalle.
Georgiana fece una smorfia. -Allora facciamo così, noi andiamo a cena fuori sul presto e rientriamo in casa per un drink, voi uscite e passate da qui. Almeno Joelle potrà guidare al posto di Henry.-
-Mi sembra una buona idea!- gridò Donald.
Georgiana ricominciò a spazzolarsi i capelli per poi lasciarli liberi sulle spalle, passò per le varie stanze vuote sentendo una certa nostalgia dei suoi mobili e decise che si sarebbe goduta il letto e il televisore.
-Bene io vado, a dopo.- disse Donald spuntando improvvisamente e avvicinandosi per baciarla brevemente.
-A dopo.- rispose Georgiana leggermente rossa in viso. Ogni qualvolta sentiva l'odore pungente del dopobarba i suoi ormoni si scatenavano e non avere il controllo del suo corpo, alcune volte la faceva impazzire.
Sorrise nel sentire la porta principale dell'appartamento chiudersi e si sdraiò meglio sul suo vecchio letto.





-Se lo sposti a destra è meglio.- disse Norma Jeter alzando appena la mano inguantata.
Georgiana cercò di trattenere ogni possibile commento ed sistemò come meglio poté il quadro paesaggistico che la sua futura suocera riteneva perfetto per il camino.
-Va meglio?- chiese in bilico sulla piccola sedia.
-Direi che non si può far di più. Dovrai chiedere a Don la sua opinione, lui ha un occhio allenato.-
Le sopracciglia di Georgiana salirono sulla fronte, ma null'altro si mosse. Aveva ignorato peggiori osservazioni prima di quelle. Scese dalla sedia e si diresse verso la cucina.
-Vuole del tè, signora Jeter?-
Norma strinse le labbra e la fissò con occhio critico. -No, penso proprio che mi avvierò verso casa. La cara Patricia ha bisogno del mio consiglio sulle nuove tende per la stanza dei bambini.-
Suo cognato, un uomo schivo ma comunque piacevole, stava per diventare padre e sua moglie Patricia, una ragazza afroamericana che aveva studiato per fare la sarta e la modellista, professioni che Georgiana considerava morte data l'esistenza di una forte industria tessile, era senza dubbio la nuora preferita di sua suocera.
E lei ora era sempre al centro di battute ironiche e commenti sarcastici.
La bianca che vuole fare la signora a casa nostra, così era stata bollata una volta, ascoltando senza volerlo una conversazione fra sua suocera e Patricia.
Aveva ingoiato il naturale risentimento e si era decisa a mostrare a Donald quanto parte della sua famiglia fingesse di volerla ed apprezzarla.
-Va bene, signora Jeter, le chiamo un taxi?-
-No. Camminare fa bene alla mia età. Spero vivamente di vedere entro la prossima settimana, il risultato di tutto quel trambusto della ristrutturazione del bagno.-
Georgiana le annuì mentre l'accompagnava alla porta e solo quando la vide scendere le poche scale e camminare per il viale, tirò un lungo sospiro di sollievo.
Aveva fin da subito voluto vedere la casa che Georgiana aveva comprato dopo aver venduto alcune azioni e un fondo a lei intestato prima che suo padre avvisasse gli avvocati o si rivolgesse alle autorità per strapparle i soldi che le avevano donato in qualità di dote. L'idea che suo figlio vivesse in una casa comprata da una donna la faceva imbestialire.
Aveva criticato la scelta del quartiere, il raffinato Brooklyn Heights, pieno di nuovi ricchi dalla pelle chiara. Ma Donald l'aveva bloccata dicendole più volte che era un ottimo quartiere e che ci viveva la metà dei suoi colleghi e poi non erano lontani dal centro e dall'ospedale.

Da quel momento in poi, la signora Jeter, aveva deciso di dedicarsi alla critica spietata sull'arredamento e i colori.
Georgiana sobbalzò dalla sorpresa quando sentì il suono stridulo del campanello.
Per un attimo pensò che la quasi suocera si era dimenticata di rinfacciarle qualche particolare per lei di vitale importanza, perciò fu sorpresa quando trovò sulla soglia Joelle con un sacchetto di una pasticceria fra le mani e un ventre sempre più gonfio.
-Ho preso troppa roba e mi è già passata la voglia di dolci. Ora voglio roba salata!-
esclamò entrando come una furia e sedendosi sull'unica sedia.
-Quando ci lanciamo nel bellissimo mondo del pizzo?- domandò la donna fissando l'amica.
-Fra poco. Prendiamo un taxi fino alla boutique, non ho voglia di guidare in quel traffico infernale.- rispose Georgiana sedendosi a terra e accettando volentieri un cannolo siciliano che si scioglieva in bocca. -Non dirmi che questi li fa tuo cugino!Sono buonissimi!-
Joelle le sorrise mentre si puliva le labbra. -E' un genio del male, adesso lavora in questa pasticceria di italiani che serve i migliori dolci della città. Ormai mi vede passare ogni giorno, sono diventata una cliente fissa.-
-Non starai esagerando un po', devi pensare anche alla salute.-
Joelle fece una smorfia. -C'è già Henry che mi riempe di verdure bollite, minestrine e quant'altro, come se avessi l'influenza. Ho bisogno di assecondare le mie voglie.- le fece l'occhiolino.-Comunque anche tu presto conoscerai le gioie della maternità.-
Georgiana arrossì e le sorrise timida.
Era un'eventualità a cui pensava poco, ma l'idea di mangiare dolci di alta qualità non le dispiaceva.






Joelle lo aveva capito fin da subito che qualcosa non andava.
Georgiana negli ultimi tempi le era sembrata distratta e decisamente impaurita, come se improvvisamente volesse tornare indietro.
La sua famiglia aveva cercato di contattarla un paio di volte e Joelle era rimasta sconvolta nel vedere una nervosa signora Sullivan sull'uscio di casa sua.
Ma aveva deciso di proteggere l'amica e non aveva detto nulla di utile.
Bussò più volte e quando la serratura della porta del bagno della boutique scattò, entrò lentamente.
Georgiana indossava uno dei più bei abiti del negozio, singhiozzava e scuoteva la testa.
Joelle si avvicinò e le si sedette accanto con qualche difficoltà.
-Che hai piccola?- le chiese accarezzandole i capelli castani.
L'altra donna si riprese quasi subito. -Scusami … Sono una scema. Non dovrei piangere e farti preoccupare.-
-Sono incinta, non sul punto di morire.- punzecchiò dolcemente Joelle. -Che ti succede in questi giorni?-
-Non so come andrà a finire … Dopo.-
Joelle aggrottò la fronte. -Cara, nessuno lo sa.-
-Lo so. Ma ho il brutto presentimento che Donald non noterà mai le cattiverie di sua madre e sua cognata. Ha da ridire su ogni cosa e continua a metterlo in mezzo non appena tento di oppormi. Figuriamoci se le piacerà un vestito corto al matrimonio di suo figlio!- Georgiana smise di piangere e si asciugò le guance. -Tu e Henry sembrate così felici!-
-Lo sarete anche voi. Credi che per me e Henry sia semplice? Ha ancora incubi sul Vietnam, ha lo sguardo assente ogni mattina e continua a non voler fare l'amore con la luce accesa. E' convinto che la vista delle sue cicatrici mi possa uccidere.-
Georgiana strinse la mano dell'amica. -Sono una sciocca. Sto sempre a lamentarmi.-
-Sei la mia sciocca!- disse Joelle sorridendole.
Qualcuno bussò alla porta ed entrambe gridarono che era occupato, scoppiando in una risata liberatoria.





-Ma quelle due dove sono finite?- domandò Henry guardando l'orologio dello spoglio soggiorno dell'appartamento di Georgiana.
-E lo chiedi a me? Forse hanno rapinato il negozio di abiti.- rispose Donald finendo il drink e lasciando il bicchiere per terra.
-Dubito che Joelle entri in una di quelle robe vaporose. E' ingrassata moltissimo e se ne sta tutto il giorno a mangiare dolci di nascosto.- raccontò Henry. -Il bambino quando uscirà peserà venti chili.-
Donald ridacchiò. -Lasciala ingrassare in libertà. E' tutta una questione psicologica. Le donne incinte sono pazze, c'è poco da fare, amico mio.-
-Devo dire che però che si concede così spesso che forse morirò nel tentativo di mostrarmi abbastanza virile …-
La porta dell'appartamento si aprì e Georgiana fece il suo ingresso con una grossa e pesante valigetta di cartone.
-Virile … Ma allora è vero che parlate sempre e solo di questo!- esclamò salutando con un abbraccio Henry e si sedette in braccio a Donald nella piccola poltroncina.
Joelle si tolse il capotto e le scarpe. -Al diavolo l'etichetta, le mie caviglie mi stanno uccidendo.- Henry l'agguantò per i fianchi e la fece sedere accanto a lui e sollevò le sue caviglie sul suo grembo.
-Merito un encomio come marito dell'anno.- disse cominciando a massaggiare le caviglie.
Rimasero a lungo a chiacchierare di neonati e crisi economica, godendosi qualche bicchiere di whisky e la prima notte calda di aprile.
Quando Joelle si addormentò sul divano, Georgiana li convinse dopo quasi mezz'ora a fermarsi da loro per la notte. Cedettero la loro stanza matrimoniale ai coniugi Rodham e si sistemarono sul materasso del letto degli ospiti ormai smontato.
-Mi sembra di stare a casa dei miei cugini nel Michigan.- disse Donald mentre si toglieva la camicia.
-Una specie di campeggio senza il fastidio di stare in tenda.- rispose Georgiana sistemando i cuscini.
-Com'è il vestito?-
Georgiana strinse le labbra e scelse con cura le parole. -Bello.-
-Niente di eccentrico, vero?-
-Ti sembro una persona eccentrica?-
Donald alzò le spalle. -Joelle è una persona eccentrica, magari ti sei fatta convincere.-
-No. Io non mi faccio convincere così facilmente.-
-Io ti ho convinto facilmente.-
Doveva essere una normale conversazione prima di andare a dormire, ma le cose avevano preso una strana piega.
Georgiana si mordicchiò il labbro incerta, le mani volevano schiaffeggiarlo a dovere ma il resto del corpo preferì alzarsi e chiudersi in bagno.
Donald si diede dell'idiota, sistemò la sveglia sul pavimento e decise che l'avrebbe aspettata per chiederle scusa, ma l'alcool lo fece assopire e il suo ultimo desiderio era poter usare per primo il bagno la mattina dopo.



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Capitolo 8
*** Giugno 1973 - Un Bicchiere di Vino ***



Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bicchiere di vino
Titolo: Giugno 1973 - Un bicchiere di vino
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1635

L'acqua divide gli uomini; il vino li unisce
Libero Bovio

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Un Bicchiere di Vino




Georgiana si guardò attentamente allo specchio e non poté non inorridire quando notò le occhiaie e il viso smunto e stanco.
Aveva rigettato la veloce colazione che aveva ingurgitato mentre Joelle le sistemava i capelli castani in una complicata acconciatura nuziale.
-Sei sicura di non aver preso lo stesso virus di Henry. E' da due settimane che rigetta il cibo la mattina presto.- suggerì Joelle seduta poco distante da lei ed impegnata nella complicata attività di far addormentare suo figlio.
Georgiana passò una salvietta inumidita sul viso e la nuca e sciolse l'acconciatura.
Era da un po' che sospettava di essere incinta.
Le nausee erano diventate evidenti e l'assenza di febbre e altri problemi l'avevano definitivamente convinta. Eppure non voleva cercare nessun tipo di conferma per ora. Voleva godersi la festa di nozze, il cibo e la musica, chiacchierare con i diversi parenti di Donald e partire per una brevissima luna di miele nei dintorni di Long Island.
Con una mano leggermente tremante sfiorò il ventre e non poté fare a meno di sorridere.
L'idea di avere un figlio le piaceva.
Henry e Joelle pochi mesi prima avevano accolto con grande gioia il loro primogenito che era riuscito nella difficile impresa di calmare i nervi del padre e rasserenarlo definitivamente.
Sorrise e ricominciò a pettinarsi i capelli.



Donald si guardò intorno e tossì più volte prima di buttare giù del liquore che un Henry semi-addormentato gli aveva allungato. Gli venne quasi da vomitare, ma si trattenne, marciò verso l'unica bottiglia di vino non del tutto finita e si attaccò al suo collo come se non bevesse da secoli.
La sbronza della sera precedente lo aveva ridotto ad uno straccio e l'idea che si sarebbe sposato fra meno di un'ora lo spaventava.
Henry, reduce da notti bianche passate a cullare un bambino in preda dalle coliche, e decisamente frustrato dalla sua nuova condizione, si era gettato volentieri sull'alcool.
Il resto del gruppo che aveva partecipato all'addio al celibato non era messo meglio dello sposo.
Qualcuno bussò ed entrò nella piccola stanza da letto, era uno dei figli di suo cugino, e li avvertì che la sposa era leggermente in anticipo e che avevano quindi solo mezz'ora.
Mezz'ora per recuperare un po' di sonno, un aspetto sano, gli abiti nuziali e le fedi.
Le labbra di Donald si aprirono in un sorriso e non poté non reprimere un'allegra risata.
Henry aggrottò la fronte e fissò l'amico di scuola con qualche perplessità.
-Lo sai che abbiamo ceduto le auto alle signore e quindi dobbiamo camminare per mezz'ora. Per cui abbiamo solo pochi e preziosi minuti?- ricordò Henry Rodham.
La risata di Donald si spense improvvisamente.



L'abito di Georgiana era piaciuto a molti, ma la signora Norma Jeter non si trattenne dal definirlo “eccessivamente sfacciato”.
Le spalle e la schiena erano coperti da un pizzo leggero e particolare, la gonna a vita alta si apriva ampia e leggera ed arrivava appena alle ginocchia.
Ai piedi delle semplici scarpe bianche con un tacco medio e solido.
La veletta copriva solamente i suoi occhi e Donald rimase incantato dal sorriso misurato di quelle labbra che ora voleva solamente baciare.
Una volta che lei, al braccio di Henry, arrivò accanto a lei, le prese una mano inguantata e la baciò delicatamente.
La cerimonia non fu lunga.
Georgiana si tolse i guanti e con le mani strette nelle sue pronunciò le fatidiche parole con voce ferma e sicura. Donald fu meno controllato e la sua voce tremolante si espanse dal microfono per tutta la navata.
Rabbrividì quando sentì il freddo metallo dell'anello a contatto con il suo anulare.
Era fatta, si disse mentre il reverendo li benediceva, era un uomo sposato.
-… Vi dichiaro marito e moglie. Donald puoi baciare la sposa.-
Georgiana gli sorrise e lui la baciò con delicatezza.
Gli ospiti sorrise ed applaudirono educatamente.
Sfilarono per la navata entrambi irrigiditi dalle diverse emozioni e si guardarono felici.
-C'è una cosa che devo dirti … - bisbigliò Georgiana stringendogli con forza la mano.
-Dopo, quando saremo in macchina.- disse lui sbrigativo mentre stringeva mani e salutava vari parenti. Il viso di Georgiana si contrasse appena, ma non esibì null'altro che un sorriso comprensivo.
Salutò i pochi membri della sua famiglia, due cugini e l'ex moglie di suo zio e gli amici e colleghi di suo marito. Il rito delle foto davanti alla navata fu particolarmente lungo e gli sposi erano irritati e stanchi ed accolsero l'arrivo dell'auto con gioia.
Georgiana aggrottò la fronte contrariata quando vide che Bertie, suo cognato, uscì e lanciò le chiavi a Donald. A quanto pareva Donald aveva insistito per guidare per conto suo.
Donald percorse veloce le strade silenziose dei dintorni di Harlem e si ritrovò nel ben più raffinato Brooklyn Heights dove ormai vivevano stabilmente da un paio di settimane. Donald si fermò di fronte alla casa e senza darle molte spiegazione la fece scendere.
La trascinò a casa e senza nemmeno ascoltare cosa lei stava dicendo la prese in braccio e varcò la soglia della loro dimora.
-Missione numero uno compiuta.- disse camminando per l'ingresso. Georgiana allacciò le braccia intorno al collo e ridacchiò.
-Puoi mettermi giù, uomo forzuto?- chiese lei, il marito ubbidì e la adagiò sul divano.
Si guardarono intorno e si sorrisero.
-Siamo sposati.- mormorò Georgiana. -Siamo sposati da un'ora.-
-E già te ne penti?- domandò scherzando Donald.
Georgiana gli sorrise gelida.
Da un po' le battute del suo neo-marito sul pentimento o sulle seconde possibilità la irritavano e la offendevano, ma qualcosa le impediva di esporsi e farglielo capire.
Donald le si avvicinò e le baciò il collo e le sue mani viaggiavano pericolose fra le cosce e la sottoveste del vestito.
-Don, stasera avremo tutto il tempo … -
-Stasera saremo entrambi troppo alticci per goderci la serata come si deve.- le rispose slacciando la cravatta e la giacca.
Georgiana sentì chiaramente la pronta erezione quando Donald si chinò su di lei e non riuscì a non arrossire e a sentirsi quantomeno eccitata.
Si tolse il cerchietto con la veletta, scalciò via le scarpe e alzò la gonna mentre Donald si dedicava al suo collo e alle sue labbra.
Fu un amplesso rapido, confuso e poco appagante.
Il primo a dispiacersene fu proprio Donald che tentò di rimediare dedicandosi a qualche coccola.
-Dovremmo raggiungere gli altri … -
-No, prima di un goccio, altrimenti non saprò come affrontare tutta quella gente.- disse alzandosi e andando in cucina.
Georgiana si sentì leggermente intontita, un po' dal sesso sbrigativo, un po' dalla nausea crescente.
Donald tornò qualche secondo dopo con due bicchieri di plastica e una bottiglia di vino.
-Ecco qua per la mia signora, il primo bicchiere di vino da sposati.- le disse sorridendogli.
Georgiana accettò ma l'odore sembrava aumentarle il disagio allo stomaco. Lo posò subito a terra.
-Credo che sarà il mio ultimo bicchiere di vino, Don.-
Donald non sembrò capire che cosa volesse dire, si sporse vicino a lei e la fissò attentamente. -Non dirmi che stai male?- le appoggiò la mano sulla fronte ma non notò nulla di preoccupante.
-Donald … E' da un po' che … - farfugliò Georgiana. -Penso di essere incinta.- disse tutto d'un fiato.
Donald sgranò gli occhi sorpreso e tossì a lungo a causa del sorso di vino che si era bloccato in gola. Georgiana lo fissava divertita.
-Non mi dire che sei sorpreso, dopotutto siamo sposati.- gli disse.
-E come … Ma quando?- domandò lui incredulo.
La donna alzò le spalle. -Non saprei, pensandoci direi un mese fa.-
-Un mese fa … - balbettò lui. -Ah, diamine la festa per la casa!- esclamò passandosi una mano sul volto. -Eravamo alticci e non ci siamo preoccupati di nulla.-
Donald notò lo sguardo severo di sua moglie e per un attimo si rese conto di non aver reagito come avrebbe dovuto. Nemmeno lui sapeva cosa stesse provando, era felice, era spaventato, era irritato dal fatto che era arrivato proprio quando aveva prospettato un annetto di vita coniugale in due.
Le passò un braccio intorno alle spalle e l'avvicinò a sé.
-Sono un uomo fortunato. Mi sono appena sposato con la donna più bella della nazione e fra qualche mese diventerò padre … - mormorò con voce gentile. Portò una mano sul suo ventre e lo strinse.
Si guardarono  a lungo negli occhi.
-Dimmi la verità, sei felice?- domandò Georgiana cercando di non sembrare una strana lagna.
Il marito scosse la testa e s'inginocchiò accanto a lei, abbracciò il ventre della moglie e baciò la stoffa che copriva il ventre.
-Ora sei ancora più importante per me. Più mia.- le disse con voce emozionata.
Si baciarono e fu difficile spiegare ai parenti per quale motivo avessero ritardato così tanto, dopotutto dovevano solamente cambiarsi gli abiti.



Il ricevimento fu un grande successo.
Bianchi e neri, ispanici e stranieri di passaggi, uomini colti e uomini stolti, tolte le divise con cui adoravano contraddistinguere la loro posizione sociale, erano bastati pochi brindisi e molte bottiglie per unirli.
Donald non riusciva a stare lontano da Georgiana nemmeno per un secondo.
Joelle per la prima volta dopo la nascita di suo figlio si era sentita solamente una donna ed aveva ballato a lungo con Henry e gli altri invitati.
I colleghi di Donald si aggiravano pacifici per la sala, ballando e bevendo, invidiando lo sposo per essere riuscito a conquistarsi una donna affascinante come Georgiana.
Gli amici della sposa dopo un'iniziale indifferenza, ora volteggiavano per la pista.
A fine serata, quando anche Norma Jeter decise che era meglio andarsene, Donald invitò per un ultimo ballo una stanchissima Georgiana che decise di togliersi prima le scarpe.
Ballarono senza musica, ondeggiando per la sala con grazia e gli occhi chiusi.
-Sei felice?- domandò Donald fermandosi e accogliendola in un forte abbraccio.
-Sì. E tu?-
-Sì, sono decisamente felice.-




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Capitolo 9
*** Settembre 1973 - Due Libri ***



Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bicchiere di vino
Titolo: Settembre 1973 - Due Libri
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):2346





Guardare le copertine dei libri sull'autobus può dire molto dei sogni e dei desideri delle persone.
Anonimo.
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Due Libri






Donald posò il libro che stava sfogliando sul comodino e si mise a fissare i nuovi rituali che anticipavano l'arrivo di Georgiana su quella parte di letto fredda vicino a lui. Sistemava i lunghi capelli castani schiariti dal sole estivo in una sbrigativa treccia da bambina leziosa e poi si passava un leggero velo di crema sul ventre rigonfio e sulle braccia magre. Infine s'infilava una camicia da letto larga e senza fronzoli che aveva comprato non appena superato il terzo mese di gravidanza.
Solo allora si accomodava a letto.
-Com'è andata con quel paziente che era caduto in piscina?- gli chiese sua moglie mentre si sistemava accanto a lui.
Donald allargò un braccio e la strinse a sé, assaporando per un po' il leggero profumo di crema della sua pelle. -Si è svegliato dal coma oggi pomeriggio. Per ora l'abbiamo sedato, domani mattina cominceremo i test neurologici per fare una stima dei danni.-
Georgiana non parlò a lungo e distratta da altri pensieri, giocava con l'asola del pigiama scuro che suo marito indossava.
Da un po' di tempo, la sua testa e il suo cuore fluttuavano nel bel mezzo di pensieri contrastanti e desideri mai sopiti.

Agli inizi aveva cercato di non far pesare la cosa su Donald. Il suo lavoro e il team di ricerca nella quale cominciava a spiccare per iniziativa ed intuizione portava via gran parte della sua giornata. Rientrava la sera sul tardi con il solo desiderio di mangiare un buon pasto e gettarsi a letto.
Una mano di Donald salì lungo il fianco e si posò gentile sul suo ventre.
-Stiamo mettendo peso, eh?- esclamò posandole un bacio in fronte. -Hai ancora quei dolori alla schiena?- le chiese ricordandosi brandelli di conversazioni assonnate.
-Oggi è andata bene. Nessun dolore particolarmente forte. Domani tua madre passerà a portare qualcosa per il bambino.-
-Uhm … Cercherò di liberarmi per le cinque.- mormorò Donald mentre i suoi occhi si stavano chiudendo sempre più.
Georgiana si scostò lentamente da lui e non appena ebbe la certezza che si fosse addormentato pesantemente sgusciò via dal letto. Zampettò con cautela fuori dalla stanza e scese le scale fino al piano terra, aprì una porta ed accese la luce.
Ogni volta che vedeva il suo piccolo studio, di cui persino Donald aveva una vaga idea, non poteva che sentirsi rinvigorita ed eccitata.
I tomi di economia, di statistica e di matematica si susseguivano l'uno dopo l'altro, interrotti da libri di letteratura russa e francese e pile di riviste colorate e di articoli di giornali mal piegati. Si sedette sulla piccola poltroncina di velluto scuro e prese in mano un pesante volume di economia.
Si tuffò nella lettura e non ne riemerse prima di accorgersi dell'arrivo dell'alba e dell'inutilità della luce della lampada.




Non era la prima volta che si svegliava solo nel grande letto matrimoniale.
Le prime volte non ci aveva fatto caso, Georgiana sembrava soffrire come tutte le donne incinte di vescica debole e quindi si rinchiudeva spesso e volentieri in bagno, ma quella mattina gli sembrava tutto troppo strano.
Toccò la sua parte di letto notando l'assenza quasi totale della sua presenza, nessun forte profumo sul cuscino, nessun calore rimasto impigliato fra le lenzuola. Nonostante la stanchezza balzò a letto e dopo aver notato la porta aperta del bagno si gettò verso le scale. Per un una frazione di secondo molto lunga pensò che forse si era sentita male durante la notte ma quando vide la porta del piccolo studio aperta si calmò e vi entrò non potendo fare a meno di arrabbiarsi.
Georgiana si era addormentata con il libro posato sulle ginocchia, fra le dita una matita in bilico, un quaderno aperto a terra, i piedi raccolti sulla poltrona.
Raccolse il quaderno, posò il libro e sistemò la matita sulla scrivania, poi si fece forza e la prese in braccio.
Non che sua moglie pesasse molto, certo la gravidanza l'aveva appesantita ma ormai la sua schiena aveva una decina d'anni in più a causa delle lunghe ore passate in piedi ad operare.
Con qualche difficoltà si mosse lungo il piccolo studio attento a non svegliarla e la depose sul lungo e scuro divano del soggiorno, prese un piccolo plaid e la coprì.
Tornò nella stanza adibita a studio, che doveva ammettere non aver poi così frequentato, e notò l'enorme quantità di libri di economia e di fogli pieni di schizzi e grafici che ingombravano la scrivania senza ordine.
Quando aveva conosciuto Georgiana sapeva benissimo quanto tenesse il suo lavoro, ma dopo lo scontro con i suoi genitori, aveva rassegnato le dimissioni nonostante la sua ritrosia iniziale. Vederla ciondolare per la casa ed occuparsi solo di lui era bello e decisamente tradizionale, non era abbastanza moderno per ammettere di non aver pensato che fosse meglio rispettare quella netta separazione fra i ruoli e dopo l'annuncio e la conferma della sua gravidanza, ne era assolutamente convinto ma Georgiana era scivolata in un abisso di rancori sussurrati e strani pensieri.
Era distratta ed annoiata, giocare alla mogliettina perfetta e all'arredatrice innovativa l'avevano stufata. Prese della carta e una penna, svolazzò velocemente delle frasi e lasciò il bigliettino accanto alla moglie profondamente addormentata e corse a prepararsi per andare a lavoro.





Ogni volta che si fermava a fissare il suo viso più tondo e luminoso del solito, Georgiana non vedeva altro che il volto di una codarda. Ancora non riusciva a capire cosa l'avesse spinta a nascondere quel piccolo progetto, nato per caso durante l'estate.
Donald non aveva potuto raggiungerla per alcuni giorni e l'aveva pregata di invitare Joelle, Henry e il piccolo a farle compagnia, come se fosse invalida e con un disperato bisogno di cure altrui. Durante una normale passeggiata solitaria lungo le poche vie di una pittoresca cittadina di mare, Georgiana si era scontrata con James Pittsbourg, suo ex compagno di università che era diventato uno degli accademici più innovativi ed interessanti. Si erano messi a chiacchierare di economia e bilanci, come non le capitava da molti mesi e per la prima volta dopo mesi si sentiva intelligente e preparata. James aveva insistito per scambiare gli indirizzi di villeggiatura e di casa, sinceramente interessato a presentarle alcuni lavori ed alcuni progetti. Era rimasto profondamente scioccato nello scoprire che la diligente ed ambiziosa Georgiana si era già sposata, convinto com'era che lavorasse ai piani alti di qualche azienda.
Da quel giorno in poi, la sua mente e le sue preoccupazioni fiorivano ogni qualvolta il postino le consegnava dei pacchi con i colori della Harvard University Press.
Per un irrazionale motivo aveva preferito non dire nulla a Donald, persuasa dall'idea che sarebbe stata una cosa passeggera e dal suo poco entusiasmo quando si trattava del suo lavoro.
Come ogni uomo preferiva essere l'unico a provvedere al reddito ed essere accudito come un figlio per questo enorme ed ancestrale sacrificio. Non gliene faceva una colpa, ma si sentiva sempre più emarginata dalla società e dal mondo reale, più moglie e madre che donna e non riusciva ad accettarlo.
Quando quella mattina si accorse del piccolo biglietto e del comodo risveglio sul divano, si rese conto di aver creato ben più di un isolato episodio di confusione e stanchezza.
Durante quella mattina nervosa non riuscì ad indossare la maschera di cortese freddezza di fronte al sopracciglio alzato di Norma Jeter e per ben due volte non sentì le domande che le erano state rivolte.
-Vedo che la gravidanza ti ha reso meno … acuta.- disse la suocera posando con attenzione il bicchiere di limonata.
-Ho … Sto pensando all'iperinflazione che sta affrontando la Bolivia. Il potere d'acquisto è in discesa e sembra proprio che il governo … - si bloccò notando lo strano sguardo della suocera.
-Non capisco come mai ti interessi ancora di economia. Ora dovresti concentrarti su tuo figlio e il mio. Donald sta affrontando un periodo di lavoro molto difficile.- disse la suocera.
Georgiana aggrottò la fronte. -Ha ragione, devo assolutamente concentrarmi su mio figlio o figlia e su tutti i bambini di questo pianeta in balia di crisi bancarie ed iperinflazione.- rispose acidamente stupendosi della sua audacia. -Se vuole scusarmi ora mi metto a leggere. Se vuole le porto qualche rivista per ingannare l'inevitabile lunga attesa, per quanto Donald sia un bravo uomo crede di essere l'unico genio della medicina e che senza di lui centinaia di migliaia di pazienti morirebbero all'istante.- scappò a gambe levate verso il suo studio proprio nello stesso istante in cui un allegro Donald entrò in casa con un libro colorato in mano.
Sua madre zittì i convenevoli con uno sguardo severo e gli indicò la porta dello studio. Il giovane si guardò intorno confuso e bussò piano prima di aprire la porta e trovarsi di fronte a sua moglie, seduta sopra la scrivania con un libro pesante sul grembo.

-Che succede?- domandò aggrottando la fronte.
-Succede che tua madre è convinta che siamo rimasti fermi più o meno al tardo medioevo dato che in questi mesi mi ha candidamente suggerito di cominciare a passare il resto della mia vita a vivere senza interessi al di fuori del suo figliolo e del suo nipote non ancora nato.- rispose seccamente la donna scendendo dal tavolo e avviandosi verso l'uscita.
Donald posò il libro con cui era entrato in casa, un libro colorato e pieno di scritte, accanto al sobrio tomo di “Politiche Economiche, Analisi e Storia”.
Fissò per un attimo i due tipi di libri e andò in soggiorno dove con ferma gentilezza convinse sua madre a tornare un altro giorno.
-Tu … Con questa qui sarà sempre così … Cosa ti costava sposare Minnie?- gli domandò mentre s'infilava i guanti e il cappello.
Donald si passò le mani sul volto e sbuffò arrabbiato. -Quante volte devo ripeterti che lei non mi ha mai interessato. Georgiana è una brava moglie ma è una donna moderna che ha studiato ed è giusto che si dedichi anche ad altro che alla casa.-
Norma Jeter scosse la testa contraria. -Un giorno ti accorgerai di quanta sofferenza porterà quella donna in casa tua. In casa nostra.-
Donald si rabbuiò. Era certo che Georgiana non avesse vene vendicative e qualcosa gli diceva che semmai sarebbe stato lui a portare temporali sulle loro vite serene. -Mamma … Non permetterti più di dire quelle cose. Rispetta la mia scelta, per favore.-
Sua madre non gli rispose ed uscì dalla casa velocemente.
Donald rimase a lungo in piedi a fissare a lungo la porta prima di lanciarsi sul piccolo piano bar e scolarsi qualche bicchiere di brandy.
Decise che si sarebbe seduto nello studio di sua moglie e si sarebbe letto qualche pagina di quel libro che aveva trovato a pochi dollari in libreria, “Guida per i Neo-Mamma e i Neo-Papà”, e per qualche ragione lo aveva entusiasmato.
L'alcool e la stanchezza lo fecero addormentare a pagina due.





Georgiana si asciugò a lungo le lacrime furtive che ogni tanto uscivano dai suoi occhi lucidi e che tanto la facevano arrabbiare.
Gli ormoni le stavano giocando brutti scherzi. Poteva passare dal pianto alla rabbia con estrema facilità e questa condizione la spaventa un po'. Dopo qualche minuto di calma decise di scendere al piano terra e di scusarsi con Donald e preparare una buona cena.
Ma lo trovò seduto nella sua poltrona, il bicchiere di vetro vuoto in bilico fra le dita lunghe e scure, il viso rilassato. Raccolse il libro “Guida per i Neo-Mamma e i Neo-Papà” e lo sfogliò con attenzione. In quelle pagine erano raccolti decenni di studi sui bambini, sull'allattamento e sulla psicologia infantile. Per un attimo si sentì una idiota, mentre suo marito si stava preparando ad avere un figlio, carne della loro carne, lei se ne stava a leggere testi sull'inflazione o articoli sui debiti sovrani d'Europa. Si morse il labbro arrabbiata con sé stessa,la sua ambizione e la sua cecità e posò il libro accanto al tomo di economia che stava cercando di leggere prima.  Si voltò a fissare il marito e per la prima volta si chiese se non fosse lei, obiettivamente, fortunata ad averlo. Gli tolse il bicchiere e lo svegliò lentamente, sorridendogli improvvisamente felice.




Donald la strinse nuovamente e la baciò, non poteva fare a meno di sentire il calore del suo corpo, una mano scorse lungo il ventre tastando le sue nuove e tese forme. Le sorrise e si scostò lentamente da lei, avvicinandosi quanto bastava per sentirsi ancora unito a lei. Georgiana teneva gli occhi chiusi, i capelli sciolti e spettinati le davano un'aria erotica, le labbra gonfie di baci e il petto ansante,  Donald era certo di aver fatto un affare a mettere tutte le carte in gioco sul suo tavolo, era stato ricompensato con la più sensuale delle mogli.
-Mi dispiace … -mormorò Georgina mentre si sistemava le lenzuola leggere intorno al seno. -Alcune volte non mi rendo conto … Che tutto sta per cambiare.-
Donald aggrottò la fronte. -Non è un problema per me se vuoi continuare a studiare, in fondo io lavoro quasi tutto il giorno e fino a Natale non penso che avrò un minuto libero.- le baciò una tempia scostando alcune ciocche castane dalla fronte. -Quando la piccola o il piccolo sarà nato, mi prenderò una pausa dalla ricerca.-
Georgiana alzò il viso su di lui. -Sei sicuro che non ti dispiaccia che io un giorno torni a lavoro?-
Suo marito scrollò le spalle. -No, l'importante è che tu riesca a conciliare tutto. Io ti darò una mano anche se mi sembra ovvio che abbia dei problemi nella gestione della casa.-
-E la tua carriera?-
-Per ora sono ancora in alto mare, ci vorranno anni di lavoro per produrre qualcosa di nuovo ed importante. Nel frattempo non dobbiamo esporci a tutti i costi e possiamo goderci la vita insieme.-
Sua moglie chiuse gli occhi e lo baciò lungamente, spense la luce e si sistemò meglio fra le sue braccia, sentendosi avvolta da un amore inaspettato e profondo.
E mentre si addormentava, non vide il piccolo sorriso di vittoria che increspava le labbra del marito.




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Capitolo 10
*** Maggio 1974 - Possibili Vacanze ***


Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Vacanze
Titolo: Maggio 1974 - Possibili Vacanze
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1626


Madri e casalinghe sono gli unici lavoratori che non hanno mai vacanze.
Anne Morrow Lindbergh

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Possibili Vacanze




Le giornate si erano fatte calde a New York, maggio aveva visto poche e sparute piogge e moltissimi giorni di sole.
Georgiana aveva preso l'abitudine di passeggiare a lungo per le stradine alberate del suo quartiere spingendo la carrozzina e cercando di recuperare qualche rimasuglio di energia. Il piccolo ma molto vispo Glenn John Jeter a soli tre mesi di vita avevano distrutto completamente le forze di sua madre, fra pianti continui, coliche e prime risate. La maternità era stata a lungo un'idea vaga e alquanto mitizzata. Non conservava molti ricordi di sua madre durante la sua prima infanzia, rammentava la sua tata, la signorina Kendall che l'aveva cresciuta fino alle scuole elementari. Donald pur non opponendosi a una possibile assunzione di una tata, lo trovava abominevole e spesso le lasciava riviste piene zeppe di interviste a psicologi e pedagogisti che sconsigliavano questa pratica, così Georgiana lasciò perdere.
Rallentò un attimo non appena vide una Ford scura con una leggera ammaccatura sul lato sinistro, era convinta che fosse Donald ma l'auto continuò la sua corsa e imboccò la strada che portava verso Manhattan.
Georgiana si rese conto di quanto dipendesse da suo marito e la cosa per un attimo la spaventò. Non aveva mai sognato una vita del genere, sposata e con prole, qualche impegno mondano e nel cassetto una laurea importante da sfoggiare giusto ogni tanto per far colpo sui colleghi del coniuge.
Si morse il labbro e spinse con più energia la carrozzina verso il viale di casa e si domandò se non fosse una madre snaturata e in contraddizione.
Adorava suo figlio, fin dal momento in cui il suo piccolo e caldo corpicino era stato posato sul suo grembo, se n'era innamorata profondamente. La pelle di un tenue caramello, gli occhi scuri e profondi di Donald, i capelli neri e quelle labbra carnose e sempre storte in un sorriso o in un pianto, l'avevano conquistata. Ogni tanto si alzava di notte e si sedeva su una piccola sedia vicino alla culla per vederlo dormire sereno e si meravigliava della grandezza del miracolo della vita.
Il parto non era stato facile, soprattutto verso la fine, tuttavia in pochi giorni il corpo aveva dimenticato ogni dolore, la pancia era scomparsa e aveva acquistato nuove forme di cui Donald si era ossessivamente impuntato. Se notava qualche etto in meno o una sua ritrosia a mangiare, aggrottava la fronte e non faceva altro che decantare la forma piena del suo seno, la sinuosa curva del fianco e la leggera sporgenza del ventre, trovava persino sensuale le smagliature che spesso seguiva con un dito cercando di coinvolgerla in qualche coccola più spinta.
La maternità non solo la stava privando del sonno e della sanità mentale ma doveva ammettere con sé stessa di non avere più quella libido quasi automatica che prima aveva. Per non parlare della pila di libri, riviste e dispense che James Pittsbourg continuava a mandare e che si accumulavano nel suo studio.
Si fermò davanti a casa sua e la osservò con occhio critico notando il bianco spento delle tende del piano terra. Si appuntò mentalmente di cambiare le tende subito dopo la settimana infernale del galà di beneficenza dell'ospedale di Donald.



Donald si versò un paio di dita di whisky e gettò uno sguardo verso Georgiana che piegava il bucato di Glenn seduta a terra.
-Sta crescendo in fretta, eh?- disse sedendosi sul divano. Blossom Dearie cantava alla radio con la sua voce delicata e il mondo, agli occhi di Donald, sembrava perfetto.
-Già.- rispose con un tono stanco Georgiana. -Joelle dice che mi passerà volentieri un paio di scarpine dopo il ballo.- si alzò con le braccia cariche di piccoli vestiti e maglie sportive e le posò nella cesta pronta a salire al secondo piano e a sistemarle nei rispettivi armadi ma il pianto di Glenn la fermò.
-Portalo qui, tesoro, così gioco con il mio ometto.-
Georgiana aggrottò la fronte, lasciò la cesta e si diresse verso il piccolo box dove Glenn si agitava e cercava attenzione. Lo prese delicatamente, godendosi il suo odore particolare e la dolcezza delle guance, lo cullò appena chiedendogli perché si fosse svegliato così improvvisamente, lo aveva appena nutrito e cambiato ed era convinta che avrebbe dormito per qualche ora mentre lei si dedicava alle faccende di casa.
Donald alzò le braccia e lo avvolse facendogli strane facce.
-Il mio bambino!- esclamò il padre. -Sei proprio un bel ometto.- disse mentre lo stendeva sul suo petto. Donald allungò il braccio verso sua moglie che li osservava assorta. Georgiana si sedette accanto a lui e chiuse gli occhi.
-Come mai sei così stanca?- gli domandò baciandole una tempia.
La donna non rispose e rimase a lungo in silenzio. -Non … Non dorme molto durante il giorno e non riesco a recuperare le mie ore di sonno.- rispose Georgiana. -Non ti preoccupare, è normale.- disse minimizzando e lasciandosi stringere dal marito e sorridendogli.
-Dopo il galà avrò più tempo da dedicare a voi. Potremmo andare da qualche parte, magari nel Long Island? Oppure a Boston, dove vuoi tu insomma.- propose Donald con gli occhi fissi sulle smorfie simpatiche di Glenn.
Georgiana evitò di rispondere, avrebbe voluto chiedere a chi avrebbero lasciato il piccolo Glenn ma era sicura che Donald non si riferisse solamente a loro due.
O urlargli che una madre non avrebbe mai avuto una vera vacanza ma solo un cambio di residenza temporaneo delle sue faccende.
Strofinò la sua fronte contro la spalla di Donald e gli disse solamente che aveva sonno e si sarebbe gettata sul letto. Suo marito la guardò andare via e si chiese cosa nascondesse quella stanchezza. Non appena finita quella settimana l'avrebbe costretta a fare qualche esame e si promise che sarebbe stato più presente.



-E il premio “Miglior Comico da Sala Operatoria” va … -
Donald fissò incantato sua moglie.
I capelli castani erano acconciati in un morbido chignon che lasciava libero qualche ciocca, gli occhi risaltavano grazie al fine trucco, le labbra rosse erano accattivanti così come il bellissimo abito a ruota in velluto nero. Uno dei suoi colleghi si alzò e ritirò la piccola statuetta in ferro e vetro e si avvicinò al piccolo microfono per esibirsi in lunghe ed estenuanti barzellette e battute, sua moglie scese con attenzione le scale a causa dei tacchi alti e sottili e si sedette accanto a lui.
La cosa che lo mandava su di giri era vedere gli sguardi perplessi ed invidiosi delle persone sedute in quella grande sala.
Chirurghi, professori e imprenditori del settore sanitario ancora si domandavano come avesse fatto un “negro” qualunque a diventare un medico e soprattutto ad accalappiare una delle donne più affascinanti della città. Georgiana gli sorrise e strinse appena il suo braccio.
Era la prima volta che si trovavano da soli, che uscivano senza il piccolo Glenn ed erano circondati da adulti senza bambini e si stava godendo la serata, tuttavia Georgiana non era abbastanza loquace.
Ogni tanto interveniva con qualche collega e gli sorrideva educata ma per lo più rimaneva in silenzio.
-Ho una curiosità, dove vi siete incontrati signora Jeter?- domandò uno dei borsisti di chirurgia ortopedica.
Georgiana granò gli occhi e sembrò voler temporeggiare. -Ehm, a una festa di un'amica comune. Mi ha aiutato ad infilarmi la giacca.- disse sorridendogli.
Donald le prese una mano e baciò quelle dita che conosceva bene.
Quando la cena divenne danzante, Georgiana accolse la cosa con gioia, poteva isolarsi nella danza lenta e parlare solo se interpellata. Gli ormoni erano ancora scombussolati e faceva fatica a tenere il ritmo delle conversazioni, per non parlare della frenesia con cui Donald la presentava alle persone e si gettava in battute e sorsi di forti alcolici. Quella nuova abitudine, probabilmente copiata da qualche suo superiore, lo rendeva, alla sera, irascibile e scontroso. Era persino in grado di insistere nel voler guidare o fare il bagno a loro figlio. Ballò a lungo e deliziò alcuni colleghi di Donald con qualche battuta e stette a lungo alla larga dalle altre donne che spesso la fulminavano con sguardi feroci e cattivi. Inconsciamente aveva seguito la filosofia di sua madre che impediva la troppa interazione fra donne durante gli eventi formali ed ora si ritrovava in un angolo a fissare suo marito ridacchiare con i suoi colleghi e le altre consorti.



-Merda! Giuro che non berrò mai più del punch corretto con quella schifezza che ha portato Jackman!- esclamò Donald baciando la spalla di Georgiana mentre lei cercava di recuperare parte del suo pigiama. -Tu sei stata … Wow! Bellissima e persino quel frocio di Tuscotte ti ha fatto gli occhi dolci. Sondra, la capo-infermiera, era livida di rabbia di solito tubano come piccioncini … - tentò di baciarle le labbra ma incontrò solamente il collo di Georgiana che si era voltata verso la sua parte di letto.
-Voglio dormire.- gli disse. -Glenn si sveglierà fra qualche ora.-
Donald le accarezzò la schiena. -Questo nuovo contratto mi porterà più giorni di vacanza. Direi che potremmo azzardare persino l'Europa. Che ne dici di Londra? O Parigi?- si tolse l'orologio e si sdraiò sulla schiena pensieroso. -Quello che ci vuole è una bella vacanza di famiglia, la prima di tante.- disse lui con un tono dolce.
-Madri e casalinghe non vanno mai in vacanza, Donald.- rispose con tono secco Georgiana racchiudendosi in posizione fetale e coprendosi con più lenzuola possibili.
Donald fissò quelle spalle che ben conosceva e rimase a lungo con la bocca spalancata e i pensieri confusi dall'alcool.
Spense la luce e scombussolato si sistemò nella sua parte di letto.
-Lo sai che ti amo e che apprezzo ogni cosa che fai … - disse Donald.
Georgiana s'irrigidì ma decise di non rispondere ed un gelido silenzio scese sulle loro vite.







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Capitolo 11
*** Settembre 1974 - Le Perle ***


Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bicchiere di vino
Titolo: Settembre 1974 - Le Perle
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):2000

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Le Perle


Saint Joseph Church era una di quelle chiese borghesi ed innocue che tanto piacevano a Georgiana. Il pastore era un uomo distinto, incline a miti prediche e con la particolare capacità di organizzare eventi mondani degni della consorte del sindaco, non era solito battezzare neonati comuni per cui la sua sola presenza aveva suscitato stupore ed invidia fra le altre madri presenti alla breve cerimonia.
Nonostante la ritrosia della famiglia di Donald, Georgiana era riuscita a replicare una cerimonia di battesimo anglicana, senza lunghi canti o incitazioni morbose all'estasi. Anche se aveva sempre trovato affascinanti i riti delle chiese afroamericane, le considerava poco adatte a lei e sobrie. C'erano voluti quasi due mesi per convincere Donald a cedere su quel punto, sottolineando quanto fosse importante per entrambi mantenere i rapporti con una istituzione approvata dalla maggior parte dei suoi colleghi di lavoro e dal direttore dell'ente di ricerca.
Così quel mattino Donald si sarebbe allontanato ancora di un passo dalle sue origini, trascinando con sé il figlio, pensava mentre si vestiva in camera e fissava con la coda nell'occhio sua moglie infilarsi un abito grigio.
-Non è troppo austero quell'abito?- domandò girandosi appena mentre trafficava con il nodo della cravatta.
Georgiana chiuse la cerniera del vestito da sola e cercò di non sembrare offesa da quel commento. Non era la prima volta che suo marito tentava di convertirla alle mode colorate che tanto le sue colleghe sembravano amare. Ma a lei non stavano bene quei colori, quel rosa acceso o quel verde confetto non facevano per lei. L'austerità e la sobrietà erano le uniche cose che sembrano perfette per il suo copro minuto e senza particolari curve. Si sistemò nuovamente la coda bassa con cui aveva raccolto i capelli ed aprì il suo portagioie, con estrema delicatezza tirò fuori una lunga collana di perle.
-Mi aiuteresti invece di blaterale?- chiese al marito avvicinandosi a lui.
Donald si sistemò dietro di lei e prese la collana che allacciò con qualche difficoltà, una volta legata, lasciò un bacio leggero sulla spalla di Georgiana che s'irrigidì. A Donald non sembrò importare, perché la voltò contro di sé e la baciò con irruenza, Georgiana cercò di non lasciarsi andare ma per la prima volta dopo mesi, la libido prese il sopravvento e rispose con la stessa urgenza. Circondò il collo con le sue braccia magre e sentì quasi il bisogno di sollevare la gonna e far scendere le mutandine, ma il pianto del loro bambino li interruppe.
-Il principino mi sa che desidera rimanere figlio unico a lungo. -Donald lasciò un bacio delicato sulla fronte della donna e le sorrise. -Vado a calmarlo.-
Georgiana lisciò la gonna del vestito e cominciò a giocherellare con le perle fredde della collana. Non poté fare a meno di notare come lo specchio riflettesse l'immagine di una donna con le guance arrossate e le labbra rosse, quasi inconsapevolmente sorrise a sé stessa.


-Direi che potremmo fare l'ultima foto qui, con tutte le persone.- disse il fotografo, un giovanotto della scuola di arte, agitando le mani e cercando di spingere una folla immaginaria. Georgiana spostò Glenn da un braccio all'altro, il bambino sembrava troppo interessato alla cravatta turchese del padre che tentava di afferrare. Quando il fotografo gridò “Cheese!”, tutti sorrisero automaticamente e Georgiana sentì la mano di Donald circondarle la vita e le sue labbra avvicinarsi pericolosamente all'orecchio.
Per un attimo si domandò se volesse sussurrare qualche sconceria e si pentì amaramente di essersi lasciata andare così volubilmente qualche ora prima.
-Dimmi che non sono loro.- disse lui facendo un cenno con il mento verso destra.
Georgiana seguì il suo sguardo e finì per notare due persone in piedi a fissare la piccola folla che si stava già disperdendo per recuperare le diverse auto posteggiate davanti alla chiesa. Strinse con forza suo figlio non appena comprese che le due figure appartenevano ai suoi genitori.
Donald azzardò a fare un passo verso di loro, ma Georgiana lo fermò.
-Salutiamo prima i nostri amici e i parenti, diciamo che andiamo a cambiare Glenn per qualcosa di più comodo e che ci vediamo tutti al ristorante.-
Donald annuì e cominciò a pellegrinare per la piccola piazza spiegando con un sorriso perfetto fra le labbra come si sarebbero tutti visti fra meno di un'ora al ristorante.
Liberatosi della madre che aveva insistito per andare con loro a casa e aiutarli a scegliere qualcosa di adatto, Donald si avvicinò a Georgiana che mentre cullava Glenn stringeva convulsamente la collana di perle.
-Andiamo?- le chiese. Lei annuì solamente.




Il signore e la signora Sullivan si avvicinarono lentamente, cercando di non farsi notare dai piccoli gruppi di ospiti che se ne andavano alla spicciola, stringendosi come ad affrontare una forte folata di vento. Georgiana appoggiò la testa di un addormentato Glenn sulla sua spalla e accarezzò quella schiena piccola e così fragile, osservando quella strana coppia che un tempo riteneva così famigliare.
-Salve … - cominciò Donald titubante una volta che furono talmente vicini da poter contare le diverse rughe del volto dei due anziani suoceri.
-Buongiorno … - disse il signor Sullivan fissando negli occhi sua figlia.
-Cosa ci fate qui?- domandò Georgiana con voce turbata.
-Mi sembra chiaro, vogliamo vedere …-
-Perché non andiamo a casa e ne discutiamo tranquillamente. Sono sicuro che nessuno vuole discutere in mezzo alla strada di queste cose.- interruppe Donald passando più volte la mano lungo la schiena tesa di Georgiana che guardava i suoi genitori con gli occhi lucidi e le mani tremanti.
I signori Sullivan annuirono rendendosi conto della sconvenienza di quel luogo aperto e degli sguardi curiosi dei passanti.
La chiesa distava qualche minuto di macchina ma quella mattina sembravano quasi un'eternità.
-Li hai chiamati tu?- chiese Donald svoltando verso il viale dove vivevano.
Georgiana lasciò che il figlio giocasse con la sua collana di perle e fulminò con uno sguardo il marito. -Certo che no!- sibilò. -Non li ho contattati.-
-Come credi che siano venuti a saperlo?- Donald fermò lentamente la macchina, accertandosi che il suocero avesse capito dove fermarsi.
-E' una cerimonia pubblica Donald. Basta chiedere alle persone giuste.- rispose con acidità aprendo la portiera e scivolando con accortezza dato il peso sempre più importante di Glenn.
Pochi minuti più tardi, la signora Sullivan sedeva su un divano verde acqua ed osservava a distanza suo nipote. Aveva chiesto se poteva prenderlo in braccio non appena era entrata in soggiorno ma sua figlia le aveva scoccato un'occhiata gelida.
Georgiana si tolse i tacchi scalciandoli via e consegnò il bambino a suo marito chiedendogli di pensarci lui al cambio mentre lei accoglieva i suoi genitori.
Si voltò e si sedette su una poltrona, guardandoli con aria stanca.
-Cosa volete?- domandò seccata ravvivando i capelli castani.
-Volevamo vedere nostro nipote, ecco cosa volevamo fare.- rispose il padre.
-E perché diamine vi siete improvvisamente presi il disturbo? Dopo tutto questo tempo?- le domande rimasero senza una risposta e per qualche minuto nessuno parlò.
La signora Sullivan appoggiò la sua borsa a terra, accanto a lei, e si tolse il cappello scuro che aveva indossato anche il giorno della laurea di Georgiana.
-Credo che sia passato abbastanza tempo per ricominciare a comportarci civilmente, mia cara. Rimaniamo i tuoi genitori.-
Georgiana alzò il sopracciglio, si alzò ed andò a versarsi da bere in cucina. Quando tornò con un bicchiere colmo di whisky solo per sé stessa si concesse un piccolo sorriso di fronte ai suoi parenti.
-Non capisco cosa vi abbia portato a tali conclusioni, state per morire di qualche malattia grave ed improvvisamente vi siete resi conto che avere un genero medico è utile?-
-Georgiana!- esclamò la madre. -Cosa stai dicendo?- sussurrò.
-Nulla, solo un'ipotesi. Sto cercando di capire per quale motivo siete qui.-
Donald era sceso in tempo per sentire la risposta secca del suocero.
-Ovvio volevamo assicurarci che tu non fossi diventata una di loro. Qualunque cosa tu voglia fare della tua vita … - si fermò non appena notò il genero arrivare e prendere il bicchiere di whisky che sua figlia stava sorseggiando e buttarlo giù in un sorso.
-Credo che a mia moglie voi dobbiate più di qualche scusa.- disse posando il bicchiere sul tavolino da tè.
-E con questo lei cosa c'entra?- scoppiò il suocero guardandolo disgustato.
-Visto che non sembrate capaci di capirlo ve lo spiego ancora, la mia scelta è irreversibile. Mio marito è afroamericano, mio figlio e i figli che verranno saranno per metà afroamericani. Per quanto tu possa tentare d'insinuarti nella vita di tuo nipote, non si sveglierà una mattina completamente bianco e con il tuo faccione quadrato. Sarà sempre afroamericano. Quindi piantala!-
La signora Sullivan scattò in piedi e si avvicinò di un passo. -Non pensi a me? A quanto sono stata in pena per te? A quante cose mi sono persa? Sei la mia unica figlia.-
-Perché non siete onesti con voi stessi e non mi dite la verità? Siete qui solo perché sapete che se l'azienda finirà solamente in mano all'altro vostro figlio finirà in rovina in pochi anni.- concluse amaramente.
-Come puoi pensare che siamo qui solo per motivi così futili? Siamo diventati nonni e l'abbiamo scoperto quasi per caso a casa del sindaco!-
Georgiana si morse le labbra e con le dita tremanti cercò di sfilare la collana di perle.
Si avvicinò alla madre e gliela lasciò in mano.
-Adesso torna nella tua triste e grande casa e quando sarai a cena dal sindaco pensa alle tante altre cose che ti perderai di tuo nipote Glenn o dei suoi futuri fratelli.- aprì la porta della casa e li scortò fuori.
Nessuno parlò e per un lungo momento Georgiana fissò la porta chiusa di casa sua.
-Georgie … - mormorò Donald avvicinandosi ma la moglie si voltò e con il volto asciutto e cupo gli disse di muoversi che erano in ritardo per il pranzo del battesimo.




All'imbrunire spensero le luci della loro casa leggermente barcollanti per i troppi bicchieri di vino rosso ingurgitato durante il pranzo e una volta addormentato un stanco Glenn, gettarono via i propri vestiti e s'infilarono a letto.
-Vuoi parlarne?- domandò Donald per l'ennesima volta durante quella giornata.
Georgiana si sistemò meglio fra i cuscini. -No, Donald, non c'è nulla di cui parlare.-
-Come nulla? E' la tua famiglia e vi siete detti delle cose … -
Georgiana sbuffò e senza pensarci con la mano cercò la collana per poi incontrare solo il collo nudo. -Hanno tentato per troppo tempo di pilotare la mia vita, mi domando perché si siano presi il disturbo di venire proprio oggi e non quando li avevo chiamati.-
Donald aggrottò la fronte. -Quand'è che li hai chiamati?- chiese sorpreso.
-Il giorno dopo la nascita di Glenn.- disse lei con la voce impastata da lacrime silenziose. Suo marito la strinse a sé, baciandole la testa più volte e domandandosi perché non l'avesse fatta lui quella chiamata o perché ne fosse rimasto all'oscuro per così tanto tempo.
-Hanno fatto le loro scelte e ora che mio fratello si è laureato con il minimo dei voti è logico che abbiano paura che tutto ciò che hanno costruito con l'azienda scompaia nel giro di qualche anno.- baciò il petto del marito. - Ma io non sono in vendita e tu e i nostri figli non siete una merce di scambio.-
-Perché usi il plurale?- chiese Donald invertendo le posizioni e baciando distrattamente il mento e il collo della moglie.
Georgiana ridacchiò appena e si rilassò mentre il marito la baciava e le sussurrava parole d'amore. -Perché non mi dispiacerebbe avere altri figli.- rispose.
-Allora dobbiamo impegnarci, mi metto subito al lavoro.-
-Direi che dovremmo aspettare qualche mese, ma nulla ci vieta una prova generale.-
Donald le ridacchiò e non si fece attendere.



Il pomeriggio successivo Donald rientrò in casa con un piccolo pacchetto di velluto, all'interno una collana di perle che allacciò al collo di Georgiana, asciugò le sue lacrime e la baciò a lungo, promettendo a sé stesso che sarebbe stato un marito migliore per sua moglie.

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