A Loving Story di Reagan_ (/viewuser.php?uid=510681)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Marzo 1972-Il Bacio ***
Capitolo 2: *** Aprile 1972 - La Telefonata ***
Capitolo 3: *** Giugno 1972 - Giro in Biciletta ***
Capitolo 4: *** Agosto 1972 - Tazza di tè ***
Capitolo 5: *** Ottobre 1972 - Una Colazione ***
Capitolo 6: *** Dicembre 1972/Gennaio 1973 - Un Divano ***
Capitolo 7: *** Aprile 1973 - Un Bagno ***
Capitolo 8: *** Giugno 1973 - Un Bicchiere di Vino ***
Capitolo 9: *** Settembre 1973 - Due Libri ***
Capitolo 10: *** Maggio 1974 - Possibili Vacanze ***
Capitolo 11: *** Settembre 1974 - Le Perle ***
Capitolo 1 *** Marzo 1972-Il Bacio ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bacio
Titolo: Marzo1972-Il Bacio
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza:
(conteggio parole e numero pagine):951
"Succede ai baci come alle confidenze: uno tira l'altro, e via via si
fanno più vicini e caldi."
Vivant
Denon
* * * *
Marzo
1972
Il Bacio
Quando Georgiana aprì la porta del numero 132 di Bost Street
venne letteralmente investita dal calore e dalla luce di una casa che
aveva amato profondamente e dove aveva passato molto tempo quando era
all'università.
Joelle, una delle sue più care amiche, stava al centro del
piccolo soggiorno chiacchierando velocemente con tutti e continuando a
versare il suo mitico punch alla fragola in ogni bicchiere che passasse
sotto il suo sguardo.
Appoggiò la sua giacca sopra un mucchio di altre e
controllò il suo nuovissimo orologio da polso.
Segnava le dieci e si preoccupò immediatamente, aveva molte
cose da fare per il giorno dopo e doveva assolutamente sbrigarsi. Non
era mai stata una ragazza da party o forme di aggregazione qualunque.
Anzi, alle feste aveva sempre preferito la tranquillità di
un buon libro e un bicchiere di vino ed era per questo che ogni volta
che si trovava ad una di quelle sagre post universitarie dove tutti
parlavano dei loro primi lavori e si credevano dei novelli Kennedy,
mentre lei faceva da tappezzeria, seduta in disparte a sorseggiare
gocce di punch zuccherato.
Lanciò uno sguardo al gruppo di ragazzi di colore che se ne
stavano seduti fra loro e ridevano in continuazione. Era molto felice
delle vittorie delle varie associazioni per i diritti degli
Afro-Americani, si era sentita quasi una temeraria quando aveva
partecipato alle lunghe marce di protesta accompagnando la sua anziana
tata e domestica e la sua famiglia. Ma la sua conoscenza di quella
parte del mondo e di popolo che a lungo era stata isolata, si fermava a
qualche sorriso per la strada e alla sua cameriera ormai in pensione.
Non aveva idea di quali sogni ed aspirazioni potessero avere.
Trovò uno spazio accanto alla finestra e rimase a
lì a lungo a fissare i riflessi delle auto che passavano per
la via.
Donald Jeter si guardò nuovamente in giro con fare furtivo e
finalmente individuò la fonte di tanto penare. Georgiana
Sullivan se ne stava nuovamente seduta in disparte, sulle labbra rosse
un sorriso di circostanza e in mano lo stesso bicchiere pieno.
I capelli castani le circondavano il viso affilato e severo, le dita
lunghe si muovevano con una grazia da pianista e quel corpo longilineo
ed etereo lo aveva sempre attratto. L'aveva vista sempre di sfuggita e
poco incline alle chiacchiere.
Fissò il grosso orologio posto su un muro, scoccò
le undici e decise che era venuto il momento di lasciare quella festa
allegra e precipitarsi a casa. Poche ore e si sarebbe dovuto trascinare
a lavoro. Il Saint George Hospital era uno di quei ospedali della
periferia di New York che accoglieva i casi più disparati e
spesso senza assicurazione sanitaria. Lasciò il suo
bicchiere nelle mani vuote di una sorpresa Joelle, la baciò
su entrambe le guance e salutò quasi tutti quelli che
conosceva. Andò verso il mucchio di giacche e solo in quel
momento notò lo sguardo inteso di Georgiana su di lui. Si
sentì avvampare e drizzò la schiena.
-Potresti passarmi quel cappotto verde?- chiese lei fissandolo con un
leggero sorriso sulle labbra.
Donald lo agguantò ridacchiando e la aiutò ad
infilarselo, per la prima volta toccò la sua pelle e venne
investito dal suo profumo primaverile, delicato e dolce.
-Vuoi un passaggio?- le domandò cercando di respirare piano.
Georgiana lanciò uno sguardo all'orologio al polso e si
ritrovò ad annuire.
Era la prima volta che accettava un passaggio da un uomo. Un po' era
dovuto alla sua timidezza che le impediva di essere abbastanza audace,
un po' era legato alle sue tendenze femministe. Non era necessario
tutto quel formalismo maschilista che ogni volta si ripetevano fra un
uomo e una donna. Se avesse avuto una macchina lo avrebbe proposto lei
quel passaggio.
Donald le aprì la porta e le indicò l'auto dalla
vernice nera e le sorrise con le sue labbra carnose e i denti bianchi.
E Georgiana si ritrovò, improvvisamente, a pensare a come
fossero al tatto quelle labbra scure e arrossì
velocemente.
Non poteva sapere che meno di mezz'ora dopo lo avrebbe scoperto.
Com'era possibile che una donna di tale grazia eterea nascondesse una
tale forza?
Si erano ritrovati in piedi di fronte a una elegante palazzina dei
quartieri per bene dei bianchi, le labbra incollate, le mani aggrappate
ai cappotti, i respiri tesi e sconnessi fra loro.
Donald cercò di capire come fosse stato possibile passare
dalle chiacchiere sulla scienza e sulle astronavi aliene a baciarsi con
una tale foga. Notò fin da subito l'inesperienza di
Georgiana e la sua frenesia e timidezza in tutto quello che faceva, non
se ne curò e la lasciò scoprire i territori pieni
di libidine del bacio.
Il tutto finì improvvisamente, con uno schiocco deciso, si
allontanarono l'uno dall'altra e si guardarono confusi.
-Io … -cominciò Donald.
-L'ho voluto anch'io.- rispose Georgiana alla sua domanda muta. -Me ne
sono resa conto solo ora.-
Si avvicinò e lo baciò nuovamente con tocchi
lenti e persi, rabbrividì di primitivo piacere quando
sentì le sue mani calde sbottonare il cappotto ed
intrufolarsi sotto il maglione, toccando la sua pelle.
-Andiamo … Dentro?- suggerì Donald stringendola a
sé.
-Ce … Certo.- disse lei cercando le chiavi nella borsa ed
aprendo la porta con una certa irruenza e poi si lanciarono uno contro
l'altro, smaniosi di sentirsi vicini e curiosi di sapere cosa ci fosse
al di sotto di quei cappotti.
Georgiana cercò di capire da dove nascesse la sua palese
attrazione; era per la diversa pelle?
Oppure per la sua risata profonda e contagiosa?
O ancora per il suo sorriso sincero e le sue idee brillanti?
Ci si poteva innamorare così, senza un reale motivo e in
modo sorprendentemente veloce?
Forse sì.
Scacciò quei pensieri lontani e si concentrò
sull'ennesimo bacio certa che non sarebbe stato l'ultimo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Aprile 1972 - La Telefonata ***
Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:
Telefonata
Titolo: Aprile 1972-La Telefonata
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):683
"La discriminazione spesso non
viene percepita, neppure dai diretti interessati: più
è radicata, meno è visibile."
Tommaso
Giartosio.
La Telefonata
Diede
un'ultima occhiata al telefono e si morse le labbra.
Non era abituata.
Non era abituata ad aspettare con così tanta agitazione una
semplice telefonata.
Niente di grave, nulla di importante, solo un colpo di telefono
dall'ospedale nell'ora di pausa.
Riusciva ad immaginarlo bene in quell'ambiente, circondato dalle
preoccupazioni, dai colori neutri di un ospedale di periferia.
Cartelletta in mano, camice che copriva le spalle possenti, le labbra
strette in un sorriso di circostanza, serio e sincero.
Rabbrividì cercando di capire come fosse possibile essere
così presi da un uomo, sebbene fosse una persona speciale,
era pur sempre un maschio.
Scosse la testa confusa, forse era troppo abituata alle
personalità lascive e prive di spirito del suo ambiente.
Nessuno sembrava condividere il viscerale impegno di cui Donald era
provvisto a gran quantità. Una sera era passato per un
veloce saluto e vedendola impiegata in una lunga lotta contro uno
sportello della cucina, si era chinato accanto a lei e nonostante la
stanchezza di una giornata passata in piedi, l'aveva aiutata in
silenzio, senza prenderla in giro.
Georgiana aspettò qualche secondo prima di rendersi conto
che il telefono stava squillando. Nervosa fece cadere la cornetta e
quasi strillò rispondendo.
-Ohi!- ridacchiò sorpreso Donald.
Georgiana arrossì e arrotolò l'indice e il medio
fra le onde del filo della cornetta.
-Scusa è che ti stavo … Aspettando.-
Donald non rispose nulla e sospirò rumorosamente.
-Come hai passato la giornata?- le domandò tono educato.
Georgiana si ritrovò a raccontare con pochi e brevi frasi la
mole di lavoro e l'eccitazione per l'arrivo dei primi computer Olivetti
in azienda. Erano tutti su di giri, una macchina in grado di fare
grossi conti e di stamparli immediatamente, riduceva della
metà il lavoro degli analisti finanziari.
-Ma lasciamo perdere me, tu come stai?- chiese di rimandò
Georgiana.
-Per ora abbiamo avuto solo una rissa fra ragazzini. Li abbiamo
medicati e stiamo aspettando che le cose peggiorino, altrimenti
sarà noioso.- scherzò Donald. -Comunque sta
andando tutto bene, anche se mi mancano più di sei ore.-
-Quante settimane durerà questo turno notturno?-
Donald sembrò rimuginare a lungo prima di rispondere. -Non
lo so.-
Georgiana aggrottò la fronte e gli chiese come mai non lo
sapesse.
-Non … Solo l'unico nero con questa specializzazione e per
questo sono … L'ultimo della catena.-
La sussurrata risposta di Donald colpì come uno schiaffo la
coscienza di Georgiana.
Frequentando il giovane si era lentamente resa conto della tante e
piccole differenze che il mondo esterno aveva costruito per dividere
due colori così diversi. Era convinta che le diverse leggi
approvate negli anni scorsi, avessero permesso alla comunità
afroamericana di avere dignità e pari trattamento, ed invece
si rendeva sempre più conto che non era esattamente
così semplice.
Un giudice poteva appellarsi alla morale e alla religione, ma gli
uomini rimanevano del tutto indifferenti a parole scritte da un teorico
di diritto.
Così quello per lei era attraente come le sue lunghe ciglia,
il suo sorriso abbagliante e quella labbra che avrebbe voluto mordere
notte e giorno, per altri erano feccia e scherzo divino.
-Capisco.- disse solamente, sentendo la rabbia salire e trasformarsi in
sgomento.
-Comunque, venerdì pomeriggio non devo rientrare. Ho la mia
giornata libera.- buttò lì Donald accorgendosi
solo allora di aver caricato di un fardello fastidioso e pesante una
creatura innocente e piena di fantasie come Georgiana.
-Se vuoi andiamo … I miei hanno una casa fuori
città che non usano mai, potremmo goderci queste prime
giornate di sole.- Georgiana trattenne il respiro e sorrise non appena
Donald le rispose affermativamente.
Si lasciarono qualche minuto dopo, con una piccola promessa che solo
adesso rivelava le difficoltà di una storia appena sbocciata
e per molti sbagliata.
Georgiana posò lentamente la cornetta e rimase a fissare a
lungo il piccolo telefono verde.
Improvvisamente si sentì sciocca, debole ed inferiore.
Si tolse il maglione che indossava di solito in casa e si diresse verso
il letto, s'infilò fra le coperte che ben conosceva e si
mise a fissare il muro.
Finì con l'abbracciare un cuscino, fingendo di avere accanto
la solidità morigerata di Donald e il suo corpo caldo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Giugno 1972 - Giro in Biciletta ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Giro in Bicicletta
Titolo: Giugno 1972-Giro in Bicicletta
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Generale
Rating: Giallo
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):956
"La vita è come
andare in bicicletta. Per mantenere l'equilibrio devi muoverti."
Albert Einstein
Giro
in Bicicletta
Il vento s'insinuava fra i suoi capelli, li faceva danzare secondo un
ritmo scoordinato e piacevolmente violento, il vestito rosso era salito
di qualche centimetro, facendo intravedere il candore della pelle
dell'interno della coscia e di conseguenza facendogli perdere spesso
equilibrio sulla bici arrugginita che stava guidando seguendo la scia
profumata e il sentiero percorso di Georgiana.
Il suo sorriso compariva ogni tanto quando si voltava per incitarlo a
proseguire la corsa in bici.
Lui non era certo abituato come lei, solita a passare le sue estati fra
picnic e corse in bicicletta da quando aveva imparato a camminare,
mentre lui era rinchiuso nel suo claustrofobico quartiere emarginato.
Gli dolevano le caviglie, ma Donald tentò di superarla,
suscitando la sua sorpresa e la sua risata spensierata. Si erano
inoltrati sempre più vicini alla spiaggia, pregustandosi la
vista dell'oceano che si perdeva e del cielo che si confondeva con il
moto ipnotico delle onde.
L'odore di mare, di salsedine, di sabbia calda e morbida, spingeva su
per le narici e coinvolgeva ogni singola cellula del corpo di Donald.
Ogni volta che scappava con Georgiana in quel piccolo pezzo di
paradiso, si stupiva di come l'aria stessa lo rinvigorisse e lo
calmasse allo stesso tempo.
Georgiana frenò e gli indicò una piccola
scorciatoia per il mare, ruotò la bici e si
lanciò giù per la collina, con la sicurezza di un
aviatore esperto. Donald strabuzzò gli occhi e
cercò di seguire quel turbine di rosso e castano, pregando
che il telaio della sua bici non si spezzasse.
Georgiana saltò giù dalla bici prima di
schiantarsi sulla sabbia e si mise a correre verso le onde biancastre.
Donald la seguì goffamente, maledicendosi per aver smesso di
fare sport, e si trascinò fino ad arrivarle affianco.
La mano della ragazza circondò la sua e si sorrisero
improvvisamente timidi, rimasero a lungo così: in piedi, con
le mani intrecciate, le scarpe ormai zuppe di acqua salata, un sorriso
di pace sulle labbra.
Ad interrompere quella pace furono grosse gocce di pioggia.
Il vento impetuoso che tanto aveva infastidito i capelli di Georgiana,
ora voleva la rivincita sul mondo, le gocce cadevano violente e in
pochi secondi il vestito rosso della ragazza le si appiccicò
sul corpo minuto. Donald lo vide come un segno divino, un invito del
Dio Dionisio a proporsi e a tentare la scalata verso il piacere
sessuale.
Nonostante si frequentassero da diversi mesi, ogni approccio
più intimo gli era stato negato, un po' per il poco tempo,
un po' per la ritrosia e imbarazzo di Georgiana, ma quel giorno qualcosa accadde.
Lasciarono le biciclette verdi riverse sulla spiaggia, lei lo
trascinò in una piccola cabina con la porta socchiusa e
lì, in modo del tutto naturale e lento, si scoprirono a
vicenda.
In principio dovevano solamente spogliarsi per non prendere troppo
freddo ma quando Donald catturò con un bacio una goccia di
acqua salata che scorreva lungo il collo di Georgiana, tutto
cambiò.
I mozzati sospiri di piacere lasciarono il posto a gemiti sommessi.
Georgiana gli slacciò i pantaloni, sussurrandogli che era
pronta, nonostante tremasse.
E così, mentre le biciclette venivano sommerse dalla pioggia
e cullate dalla sabbia, Donald e Georgiana si unirono per la prima
volta, fra lo sgomento, singhiozzi di dolore ed immenso
piacere.
Alla ragazza piacque sentire il suo torace nudo contro il suo seno, le
sue labbra carnose scivolare lungo la sua pelle, il cromatico contrasto
dei loro colori, i suoi sospiri contro le sue labbra e quella
oscillazioni di bacini che si cercano e si scontrano.
Donald si fermò più volte, teso fino allo spasmo
e intimidito dalla responsabilità, si lasciò
baciare dalle sue labbra tremanti, la lasciò libera di
scoprire le basi dell'amore fisico e da qualche parte sentì
un moto d'orgoglio quando le strappò il primo grido, il
primo orgasmo, che cancellò le lacrime pungenti della prima
lacerazione.
Solo allora si permise di venire, crollando sul suo morbido e minuto
corpo.
Il sole era tornato a brillare, dietro nuvole scure e bianche, il mare
si era calmato, le bici si stavano crogiolando in attesa di asciugarsi
completamente e partire per un altro giro.
Donald donò a una Georgiana che non riusciva a guardarlo in
faccia, il suo maglione per coprirla e proteggerla da malanni.
S'incamminarono verso le biciclette che li stavano aspettando e
decisero che era venuto il momento di tornare indietro. Il ragazzo la
seguì, beandosi della vista di quel corpo che ora conosceva
profondamente.
Si fermarono solo davanti al garage della casa isolata dei Sullivan,
dove fecero riposare le bici e per la prima volta dopo l'episodio nella
cabina, si guardarono negli occhi.
Nessuno dei due seppe chi cominciò, sta di fatto che si
trovarono uniti in un abbraccio che non sapeva di consolazione, ma di
piacere. I baci divennero morsi, l'eccitazione di Donald divenne
più evidente e Georgiana decise di trascinarlo dentro quella
casa silenziosa, fiondandosi nella prima camera da letto. Fu un
amplesso ragionato, equilibrato e gentile, Donald lasciò che
Georgiana conducesse il gioco, sorprendendolo con la sua passione ed
attenzione.
Quando finirono rimasero a lungo, distanti ed ansimanti, a fissare il
soffitto.
-Dovremmo andare più spesso in giro con la bici.- disse
Donald cercando di farla parlare e scoprire cosa si celasse dietro
quell'espressione confusa e tesa.
La ragazza si voltò a fissarlo, sorridendogli, gli si
avvicinò e stettero abbracciati.
-Vorrei trovarti sempre accanto a me, anche a letto.-
mormorò lei.
Donald s'irrigidì per un secondo, le scostò
qualche ciocca ribelle e la baciò.
Da quel momento in poi, non parlarono.
I muscoli indolenziti dall'amore e dal loro giro in bicicletta, li
obbligarono a fare un sonnellino mentre le nuvole della pioggia
lasciarono il posto ad un arcobaleno tenue e a un cielo azzurro.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Agosto 1972 - Tazza di tè ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:
tè [the]
Titolo:
Agosto 1972-Tazza di tè
Autore:
Reagan_
Fandom:
Originali-Romantico
Personaggi:
NC
Genere:
Generale
Rating:
Verde
Avvertimenti:
Nessuno
Lunghezza:
(conteggio parole e numero pagine):1466
L'amore comincia con un sorriso,
cresce con un bacio e finisce con un tè.
Anonimo
Tazza di tè
Il caldo afoso di New York aveva cominciato a fare le prime vittime.
Donald era reduce da settimane di turni notturni e gite fuori
città improvvisate per accontentare Georgiana e la sua
voglia di estate. Agosto stava scivolando via e il colpo d'aria dei
ventilatori accesi notte e giorno lo avevano definitivamente fatto
sprofondare fra guanciali profumati e salviette gelate. Georgiana aveva
insistito talmente tanto ad averlo intorno a sé anche se
febbricitante, che Donald non aveva saputo trovare una scusa adatta e
si era lasciato curare come un bambino.
Era stato strano vedere la ragazza all'opera in quell'ambiente
casalingo.
Si era prodigata nel preparargli una zuppa tiepida e piena di verdure
prese all'alba in un piccolo colorato mercato di Downtown, inzuppava le
salviette di acqua fredda lasciando scie di brividi lungo la sua
fronte, aveva spostato la televisione in camera da letto per dargli la
possibilità di rilassarsi completamente. Il tutto era stato
compiuto con un sorriso leggero sulle labbra e qualche bacio leggero,
Georgiana aveva saputo sorprenderlo ancora una volta.
Aveva peccato di presunzione e ora si trovava nella imbarazzante
situazione di dover ritirare ogni pensiero cattivo ed arrogante nei
confronti di quella donna perfetta.
-A che pensi?- gli domandò Georgiana mentre gattonava sul
letto per sedersi poco distante dal suo corpo bollente.
-A tutto e niente.- rispose vago, Donald cercando di chiudere gli occhi
e sottrarsi dallo sguardo sbarazzino di Georgiana. -E' un bel modo di
festeggiare sei mesi insieme.- buttò lì, sperando
di portare i pensieri verso qualcosa di più futile ed
allegro.
Georgiana lo fissò sonnecchiare e si morse le labbra.
Scese dal letto e si diresse in cucina, le mani le tremavano e la testa
le girava vorticosamente.
Si era sempre considerata una brava figlia e una consapevole cittadina,
era stata educata da genitori progressisti e democratici, ma mai aveva
dato a loro nessun pensiero o problema. Si era sempre ricordata di
telefonare a casa alle otto di sera quando era al college, si era
sempre presentata alle feste mondane dei genitori per sostenerli nelle
loro cause anche se non condivideva i loro scopi, aveva sempre mandato
in tempo le cartoline di Natale firmate a tutti i parenti lontani.
Non aveva mai alzato la voce prima dell'altro giorno.
Mai.
Il fischio della teiera la riscosse dai suoi pensieri deprimenti e una
volta seduta al tavolo, con una tazza di forte tè inglese in
mano, la sua mente tornò a rievocare la terribile
conversazione al telefono con sua madre.
Le era venuta in mente la brillante idea di confessare quel piccolo e
importante segreto che da troppo tempo portava sulle sue spalle.
All'inizio sua madre sembrò contenta. Un uomo nella sua vita
era ben accetto ora che aveva finito gli studi ed aveva la propria
carriera, ma quando lo tratteggiò, descrisse la sua pelle
d'ebano e i suoi occhi scuri, sentì distintamente sua madre
imprecare.
-“Sant'Iddio!”-
gridò.-”Sei completamente impazzita?”-
A nulla servirono i dettagli che aveva cercato di snocciolare tra un
grido e un singhiozzo: la prestigiosa laurea, il tirocinio in
chirurgia, le attività di beneficenza. In pochi minuti era
passata da morigerata figlia a prole indesiderata ed imbarazzante. Per
la prima volta nella sua esistenza, vissuta forse troppo timidamente,
sbatté la cornetta al telefono interrompendo così
gli strilli e gli imprechi di sua madre.
Bevve qualche sorso di tè, scottandosi la lingua e dandosi
della scema.
Il liquido caldo le solleticò la gola e finì per
riscaldare le sue membra già accaldate dall'afa newyorchese.
Quando tornò nella sua camera e toccò la fronte
più fredda di Donald si rincuorò.
Almeno aveva lui, nella sua vita.
Georgiana scese dall'auto e si guardò intorno.
Non aveva mai visto chiaramente quella via trafficata e molto famosa
della zona degli afroamericani. Era vicina a tutti i collegamenti coi
trasporti pubblici e nel bel mezzo di un vivacissimo quartiere pieno di
negozi e colori.
Se nella East Side di New York, tutti o quasi erano partiti per le
vacanze estive, il quartiere di Harlem era pieno di vita, nessuno si
era chiaramente mosso più di tanto. Rilesse l'indirizzo che
aveva scritto con mano incerta e si guardò intorno
finché non trovò il palazzo numero 234.
Era proprio come ricordava quella notte che Donald si era fermato per
recuperare la valigetta con due vestiti e partire alla volta della
campagna; un grosso palazzo con l'intonaco grigio rovinato. La porta
centrale era aperta o meglio divelta, entrò dentro e si
ritrovò subito faccia a faccia con un altissimo ragazzo
dalla pelle mulatta.
-Si è persa per caso?- le domandò con gli occhi
sbarrati per la sorpresa.
Georgiana deglutì per l'imbarazzo e deglutì
stringendo con forza il foglietto, si fece forza. -Devo entrare
nell'appartamento di Donald Jeter per prendere alcune sue cose.-
L'uomo inarcò il sopracciglio incuriosito. -E lei chi
sarebbe?-
-Io?La sua ragazza.- rispose con un filo di voce e cercando di
mantenere il contatto visivo con quegli occhi scuri ed arcigni che la
fissavano. -Georgiana Sullivan.-
La smorfia burbera dell'uomo si dissolse e uno strano sorriso sornione
comparì sul suo viso. -Ah, è stata Minnie a
portarti qui! E' uno dei suoi scherzi infami? Donald e Minnie sono due
deficienti, ecco cosa sono.- chiese ridacchiando e facendole strada,
dandole le spalle. In un primo momento Georgiana non sembrò
capire.
Chi era Minnie?
Cos'erano questi scherzi?
Avrebbe voluto trovare la fermezza di bloccarlo e farsi raccontare. Era
certa che ci fosse una spiegazione ragionevole dietro a quella strana
sensazione che si stava facendo viva nel suo petto. L'uomo
aprì con una leggera spallata la porta difettosa che tanti
guai provocava a Donald quando rientrava a casa più brillo
del solito.
Era una casa modesta e pulita, con pochi ed utili mobili. “Una casa di
passaggio”, l'aveva definita una volta
convincendole che non c'era bisogno che vedesse. Ma intanto che il suo
accompagnatore le indicava il soggiorno, un piccolo dettaglio la
colpì.
Era arrivata con l'intenzione di prendere poche cose, un paio di
pantaloni e camicie, la sua ventiquattrore, la biancheria e il
necessario per farsi la barba, giusto per dargli la
possibilità di starsene a casa sua ancora qualche giorno,
data la vicinanza con l'ospedale. Mentre cercava con gli occhi un
armadio e di distrarsi dalle occhiate divertite di quell'uomo che
pensava fosse tutto uno scherzo, notò un particolare.
Sull'attaccapanni, oltre al soprabito estivo di Donald, era posato un
grazioso trench violetto coordinata con una sciarpa di seta bianca con
i bordi rosa impregnata di un dolce profumo.
L'uomo con lei la osservò leggermente stranito dallo sguardo
spiritato e dalla pelle sulle guance diventate pallide della donna
bianca.
-Signorina … Ma che le succede?Si sente bene?-
-No … Io ho bisogno … di sedermi.-
scandì lentamente mentre la vista le si annebbiava e gli
occhi si riempivano di lacrime. L'uomo la prese per un braccio e la
trascinò nella piccola cucina e decise che un tè
forte poteva far riprendere quella piccola donna bianca.
-Chi è lei?- chiese Georgiana cercando di reprimere le
domande che le vorticavano in testa.
-Io sono Miles Ubeda. Sono un amico d'infanzia di Donald. Abbiamo fatto
l'università insieme, ma io faccio l'avvocato delle cause
perse.- disse lui con una nota divertita. -Lei piuttosto, chi
è?-
La domanda la confuse e ci mise qualche secondo in più a
rispondere. -Mi chiamo Georgiana Sullivan, lavoro come analista
finanziaria e fino a qualche minuto fa, credevo di essere la fidanzata
di Donald Jeter.-
Quando si alzò dal letto era già notte fonda.
La bocca era impastata e secca ma per il resto sembrava non avere altri
problemi. La nausea e la febbre lo avevano lasciato dimagrito e
spossato, si alzò e gracchiò il nome di Georgiana.
Quando non sentì nessuna risposta si rabbui e
camminò incerto fino all'altra camera da letto.
Girò per tutte le stanze e rimase sconcertato nel non
vederla. Si sedette su una sedia cigolante della cucina e solo allora
notò un piccolo biglietto, scritto con una calligrafia
simile a quella Georgiana eppure troppo ondeggiante rispetto alle altre
note che gli lasciava in giro per la casa.
“So di Minnie.
Per favore non appena ti sarai ripreso, serviti pure una tazza di
tè, prendi le tue cose e vattene.”
Per la prima volta nella sua breve e discretamente fortunata vita,
Donald Jeter non l'aveva passata liscia. Il suo piccolo giochino, il suo vizio, era
stato scoperto e per la prima volta era stato smascherato senza tanti
preamboli ed invitato ad andarsene.
Prese a girare per la casa, rovistando in ogni angolo alla ricerca di
ogni traccia di sé, raccogliendoli ed indossandoli. Ma prima
di chiudersi la porta dietro le spalle, si concesse un paio di sorsi di
tè intenso e freddo che gli lasciò la
bocca amara e secca.
Una piccola punizione per ciò che aveva fatto.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Ottobre 1972 - Una Colazione ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:
Colazione
Titolo:
Ottobre 1972-Una colazione
Autore:
Reagan_
Fandom:
Originali-Romantico
Personaggi:
NC
Genere:
Romantico
Rating:
Verde
Avvertimenti:
Nessuno
Lunghezza:
(conteggio parole e numero pagine):2422
La speranza è buona come prima colazione, ma è
una pessima cena.
Francis Bacon
Una Colazione
Joelle fissò il suo abito giallo chiaro. La gonna a ruota
cadeva perfettamente e nascondeva le cosce piene dalla vista di tutti.
Sorrise nell'immaginare la sorpresa di Henry, fra poche ore, nel
vederla avanzare con un abito talmente poco ortodosso e che ricordava
terribilmente il vestito che aveva indossato per il loro primo e focoso
appuntamento. Arrossì ricordandosi le mani di Henry che non
riuscivano a stare ferme. Si passò la mano fra i capelli e
si voltò alla ricerca dell'approvazione di Georgiana che
invece aveva gli occhi fissi sui fogli con i nomi degli invitati.
Joelle trattenne un respiro e si morse le labbra.
Aveva sperato che con il suo matrimonio lampo, i preparativi e tutte le
cose da decidere e sistemare prima della partenza di Henry per il
Vietnam, la sua migliore amica si riprendesse.
Eppure i suoi occhi erano ancora velati di rabbia e dolore.
Li intravedeva ogni volta che si ritrovava a parlare del suo quasi
marito o di tutte le piccole cose che quest'ultimo le lasciava in casa.
Ad ogni domanda esplicita che le rivolgeva, Georgiana scuoteva la testa
e le ripeteva che era tutto finito e i dettagli della storia non erano
poi così importanti.
Ma quando vide lo sguardo angosciato della sua amica sui fogli con la
lista degli invitati, si sentì mancare e i suoi buoni
propositi erano crollati sotto l'evidenza di quel suo errore madornale.
-L'hai invitato.- disse lei lasciando i fogli sul piccolo tavolino.
-Perché?-
Joelle si sedette sul piccolo pouf rosa della stanza tremendamente
giovanile della sua futura suocera e le prese le freddissime mani. -E'
amico di Henry. Hanno fatto il liceo insieme e pare che Henry ci
tenesse molto. Non sono riuscita a spuntarla su questa cosa.-
mormorò lei cercando di nascondere più che altro
a sé stessa che aveva gioito nel venire a sapere da Henry
quell'improvviso invito. Sperava che quei due potessero almeno
parlarsi, e forse, ricucire il loro rapporto. Lei era riuscita a farlo
con Henry mesi prima, perché per loro sarebbe stato diverso?
Tuttavia la reazione della sua amica, la preoccupò.
-Capisco. In fondo è anche il suo giorno.-
sussurrò Georgiana riprendendo colore alle guance. -Rimango
arrabbiata con lui, mettilo ad un altro tavolo o sposta me. Non voglio
dare spettacolo.-
Georgiana buttò un'occhiata al suo orologio e sorrise
mestamente. -Mancano solo un paio di ore, dobbiamo muoverci.-
Joelle annuì ma prima di alzarsi e sistemare l'abito,
l'acconciatura e il trucco, non poté non chiederle cosa
fosse successo tra loro.
Georgiana chinò il capo, sospirò e finalmente
confessò.
-Mesi fa, sono andata a casa sua per la prima volta. Stava male e
l'avevo convinto a starsene da me, data la vicinanza con l'ospedale.
Mentre dormiva avevo deciso che ci voleva più di un cambio,
quindi ho preso l'auto e sono andata.- s'interruppe per fissare l'amica
che la guardava timidamente.
-Mi sono scontrata con un tizio che pare fosse un suo amico.
Mi apre la porta di casa sua e quando entro … -la voce le
trema per un lungo momento. -Vedo un cappotto viola e una sciarpa di
seta, che non sono miei. Non so perché ma non mi
è venuto in mente che potessero appartenere a una cugina o
una sorella. Quel suo modo di fare strano, il fatto che non parlasse
mai della sua famiglia, non mi avesse presentato ai suoi amici e
nemmeno portato a casa sua come se si vergognasse di me, mi era
improvvisamente chiaro.-
-Aveva un'amante?- domandò Joelle sconcertata.
-Peggio. La fidanzatina scelta da mamma.- rispose Georgiana con una
punta di rabbia.
Si guardò allo specchio e rabbrividì.
Era stato obbligato a partecipare all'addio al celibato di Henry
Rodham, ritrovandosi suo malgrado in un night club di infima
qualità, dov'era sicuro che ancora girasse la sifilide.
Lo sposo aveva esagerato con l'alcool ed era stato costretto ad
infilargli le dita in gola per fargli svuotare lo stomaco. Gli altri
amici, sposati e non, si erano limitati ad approfittare delle ragazze
disinibite che ballavano e servivano ai tavoli quasi nude. Henry si era
divertito ben poco, troppo preso a compatirsi per l'imminente partenza
per il Vietnam, gridando alla folla disinteressata che non poteva certo
lasciare Joelle vedova così giovane e gettarla fra le
braccia di qualcuno che forse poteva darle più amore di lui.
Tutte quelle lagne del militare lo avevano depresso e si era ritrovato
a confidarsi con il suo vecchio compagno di scuola.
Aveva sbagliato tutto con Georgiana.
Lei sarebbe dovuta comparire in un altro momento, magari dopo la sua
imminente promozione a responsabile del suo reparto, magari dopo una
proposta di andare a fare ricerca in qualche prestigioso laboratorio.
Aveva una mente brillante e il suo più grande difetto era
proprio questa consapevolezza.
Nel giro di un anno, forse due, sarebbe riuscito a permettersi una
bella casa in periferia, avrebbe finito il mutuo del piccolo
appartamento dove era cresciuto con i suoi genitori, aiutato suo
fratello Bernie con l'officina e pagato un matrimonio sontuoso.
Georgiana gli serviva.
Era una donna colta e alla mano, simpatica ed avvenente. Sarebbe
riuscita a tenere cene con i colleghi colmando
inevitabilmente le sue mancanze, dando istruzioni alle
cameriere, gestendo al meglio l'educazione dei suoi figli. Cena dopo
cena, serata dopo serata, avrebbe ottenuto il rispetto e la
considerazione che sentiva di meritare.
Ma aveva rovinato ogni cosa, perché all'alba dei suoi
trentadue anni non sapeva dire di no a sua madre.
Sistemò la cravatta, passò il pettine ai lati dei
suoi riccioli scuri e si mise la giacca nuova.
Ora sembrava meno stropicciato dalla notte di baldoria e aveva un
aspetto decisamente distinto.
Sorrise come faceva Sidney Poitier nei suoi film e si avviò.
Henry e Joelle ballavano con trasporto nel mezzo del grande giardino
della dimora estiva dei Rodham.
Il vestito giallo si alzava e si abbassava con una certa dose di
malizia e Henry non riusciva non staccare la mani dal suo corpo.
I loro sorrisi, le loro risate e la loro complicità furono
un boccone difficile da ingoiare per Georgiana.
Aveva ormai completato i suoi doveri di damigella d'onore e si era
buttata sui flûte di champagne e vino. Le caviglie gli
facevano male, i suoi occhi indugiavano fin troppo su Donald e la sua
giacca blu notte, i fiori freschi con cui si acconciata i capelli
stavano già appassendo.
Le lacrime minacciavano di scendere, ma si trattenne e rimase a lungo a
guardare i due sposini ballare allegri.
Gli altri invitati, pochi per non dare scandalo dato che si vociferava
che la ragazza fosse incinta vista la rapidità con cui i due
si erano sposati e la ricchezza dei Rodham, sembravano divertirsi e
ballare.
Georgiana si sedette e li invidiò.
Si era resa conto di non essere poi così forte. Era solo una
ragazzina che sognava l'abito bianco, fiori e serate eleganti. Quando a
lavoro s'intravede il weekend i colleghi non facevano che chiederle
indirizzi di ottimi ristoranti e consigli su piccoli regali e le
colleghe ispezionavano con lei ogni capo del loro guardaroba. Era
cresciuta in ambienti raffinati e pomposi, la cosa migliore che poteva
fare era smettere di fare l'adolescente ribelle e cercare di non
compromettersi ulteriormente.
Doveva essere forte ed
imparare a mitigare l'amore.
Dopo i balli, venne servita una cena sostanziosa e gli invitati si
spostarono nuovamente all'aperto per respirare l'aria frizzante
dell'autunno. Georgiana preferì togliersi e proseguire verso
la piccola fontana e sedersi sul prato bagnato. I suoi sensi erano
annebbiati da ore dall'alcool perciò non si accorse la
figura alta di Donald che le si sedeva accanto.
Nessuno dei due riuscì a parlare.
Donald la fissò e ammirò la dolce curva del seno
piccolo, i fianchi stretti e le gambe magre.
Era così diversa da Minnie, così diversa da tutte
le ragazze che aveva conosciuto che la consapevolezza di quanto fosse
perfetta lo faceva sentire povero e insulso.
-Ho rotto con Minnie.- esordì senza rendersi conto. -Sono
stato uno stupido. Volevo … Volevo far tacere mia madre.
Minnie era sempre intorno e l'ho lasciata fare. Era più
facile fare così.-
La frase la colpì e strinse con maggiore forza il bicchiere
di bollicine che stava sorseggiando, lo lasciò balbettare
scuse vacillanti.
-So di averti ferito e in quei mesi non ho fatto nulla per sistemare
quella situazione. Aspettavo.-
-Aspettavi cosa?- ringhiò Georgiana tentando di non cedere
alle urla che premevano in gola. -Aspettavi che vi beccassi a letto? A
ridere alle mie spalle? Sii uomo Donald. Abbi il coraggio di ammettere
che l'idea di avere un harem ti piaceva.-
Donald sbarrò gli occhi. -Cosa? Mi credi capace di queste
cose … -
-Non so cosa sei in grado di fare, Donald. Dammi una sola ragione per
cui non dovrei lanciarti addosso questo bicchiere.-
Donald la prese per le spalle e la voltò verso di lei, per
la prima volta il castello delle sue ambizioni già provate,
stava sprofondando.
-Perché tu sei la persona giusta. Perché stare
con te mi arricchisce, perché ti amo e perché mi
odio.- balbettò Donald, non riuscendo ad esprimersi come
voleva, inciampando nelle banalità del caso.
Georgiana lo guardò a lungo.
Non c'era poesia in quello che le aveva appena sputato.
Non vedeva nulla di particolarmente sublime, niente che avrebbe potuto
scrivere sul suo diario ed imparare a memoria.
Solo il vuoto della
proiezione dell'amore su di lei.
Nonostante quelle parole orrende, il suo cuore non aveva smesso di
battere e fare strani salti, la parte irrazionale di sé, la
stava spingendo verso quel petto solido su cui aveva posato troppo
spesso il capo.
-Minnie non esiste più vero?-
-Sì, le ho detto chiaramente che non l'avrei mai sposata.-
rispose con un sospiro di sollievo, intuendo le prime barriere di
Georgiana cedere.
-Sei mai andato a letto con lei?- chiese lei, socchiudendo gli occhi ed
accusando lentamente gli effetti dell'alcool.
-No. Era una tutta casa e chiesa. Voleva che aspettassimo … -
-E sapeva di me, eh? O hai preferito non dirglielo, signor Jeter?-
-Sapeva … Sapeva tutto. Credeva che fosse una …
Avventura.- confessò l'uomo lasciando cadere le mani da
quelle soffici e bianche spalle.
Georgiana scoppiò a ridere.
Lei era l'avventura, lei!
La ragazza educata dal circolo delle Lady di New York, tutta casa e
scuola esclusive, cene galanti e ballo delle debuttanti, aveva mandato
all'aria la sua reputazione per un ragazzo di colore ed ora si
ritrovava ad essere definita l'amante, la storia senza futuro di un
uomo già occupato.
Si gettò fra le sue braccia ubriaca di mille sensazioni
aggrovigliate, biascicò di voler ordinare la colazione e si
addormentò.
La bocca impastata, la vista non perfettamente nitida e il dolore allo
stomaco, l'avevano fatta alzare alle prime luci dell'alba.
Si trascinò nel bagno e si lavò il viso con acqua
fredda.
Sobbalzò quando notò che a seguirla non erano gli
echi dei suoi passi malfermi, ma l'ombra di Donald.
-Stai male?- le domandò stropicciandosi gli occhi ed
avvicinandosi a lei, sicuro e confidente come sempre.
Le sistemò un paio di ciocche castane dietro l'orecchio e le
sorrise dolcemente.
E Georgiana si sentì mancare a causa delle sua nausea.
Fu complicato farsi la doccia, vestirsi e scendere in sala da pranzo.
Il resto della casa dormiva, gli sposi si erano rinchiusi nel piccolo
bungalow convinti che nessuno li avesse visti, i genitori dello sposo
erano fuggiti a gambe levate poco prima della mezzanotte e lei aveva
fame. Molta fame.
Non appena fece il suo ingresso nel grande e spazioso salotto, vide
Donald, seduto su una piccola poltrona e i ricordi della serata
precedente arrivarono veloci come uno schiaffo. Si umettò le
labbra e camminò verso di lui.
-Ho preparato la colazione, mangiamo fuori?- domandò
indicando il cesto improvvisato e la caraffa di spremuta.
Georgiana annuì e lo seguì come un automa, una
marionetta spenta e stanca.
L'incredibile capacità con cui il giovane chirurgo era
passato da uomo pentito a capo di famiglia, l'aveva fatta rabbrividire
di piacere e rabbia.
Il sole brillava forte quel mattino, irradiando le sedie e i tavoli
spogli dei fasti della sera precedente.
Donald si prodigò a sistemare tutto con grande perizia, si
era assentato per qualche secondo per portare la bollente caffettiera e
una volta seduto, l'aveva tramortita di parole.
Georgiana non riusciva ad ascoltare, aveva preferito concentrarsi sul
bacon perfettamente cucinato, sulle uova strapazzate salate come
piacevano a lei, sulla freschezza del succo d'arancia, sulla morbida
consistenza della mollica del pane. Era stata accolta a braccia aperte
da lui e il loro amore celebrato con una colazione degna delle altre
che avevano consumato nella spensieratezza.
Appoggiò la schiena sulla tastiera della sedia e
alzò gli occhi.
-Cosa stiamo facendo? Cosa vuoi da me?- il tono serio con cui aveva
parlato bloccò fin da subito le chiacchiere di Donald.
Lui appoggiò i gomiti sulla tavola e si pulì con
perizia da ogni residuo di cibo.
-Sposarti, Georgiana. Sposarti.- ripose lui calmo.
La ragazza si passò una mano fra i capelli scompigliandoli.
-Ma perché? E non ti azzardare a parlare di amore e
passione, dico sul serio Don.-
Donald emise un sospiro. -Sono un uomo ambizioso. Voglio diventare un
medico stimato e riconosciuto. Voglio il rispetto che mi è
stato negato quando ero più piccolo e realizzare ogni mio
desiderio. Quando mia madre mi obbligò a conoscere Minnie ed
a uscire con lei, ne ero quasi entusiasta. E' una persona piacevole e
simpatica, ma totalmente inadatta. Non legge i giornali, non studia,
non s'interessa di nulla che non sia il canto, la casa, il trucco e la
chiesa. Lei era sicura che avrebbe ottenuto un matrimonio perfetto e la
giusta posizione sociale per prevalere a Harlem o nei ghetti dei neri.
L'ape regina, insomma. Ma io volevo e voglio di più. Io
desidero avere una compagna capace di colmare le mie lacune,
organizzare feste del genere, farmi sopportare gli scrittori russi,
introdurmi nel bel mondo, aiutarmi nella mia scalata. Voglio te. Tu
potresti darmi tutto quello che cerco da anni.-
-E cosa daresti in cambio?-
-La mia totale devozione ed amore.-
Georgiana avvicinò la sedia al tavolo e riprese in mano le
posate. Donald aveva chiuso per un secondo gli occhi, rendendosi conto
di aver aperto totalmente il suo cuore a Georgiana e vergognandosi per
le sue parole e desideri.
La voce della donna gli giunse lontana e fece faticare a comprendere di
essere stato quasi assolto.
-So già che me ne pentirò già a cena,
ma almeno sei stato sincero. Martedì verrai conoscere i
miei.-
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Dicembre 1972/Gennaio 1973 - Un Divano ***
Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Divano
Titolo: Dicembre 1972/Gennaio 1973-Un Divano
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1033
Un buon divano è
spesso ciò che c'è di più efficace per
imbastire una conversazione.
Pierre Dac
Un Divano
Dalle
persiane chiuse filtrava pochissima luce, ma nessuno dei due sembrava
voler accendere la piccola lampada posata a terra a pochi centimetri da
loro.
Il volto di Georgiana era striato dalle lacrime ormai seccate che si
erano portate via il trucco leggero che aveva preparato con
così tanta cura. Indossava ancora la pelliccia e le sue mani
tremavano. Donald le sedeva accanto, le gambe allungate, la mano che
reggeva un fazzoletto bagnato posato su un occhio, l'aria seria e
preoccupata.
Non si parlarono per un lungo momento che a Donald sembrò
durare anni, poi Georgiana si alzò improvvisamente e si
tolse la giacca posandola rabbiosamente a terra, corse in cucina e
prese della carne ghiacciata e la passò all'uomo che
accettò senza dire nulla.
La ragazza si sedette accanto e cominciò con qualche
difficoltà a sciogliere la complicata acconciatura
infilzandosi continuamente con le varie forcine.
Donald le prese violentemente un polso e l'avvicinò
bruscamente.
-Calmati!- le disse.
Georgiana sgranò gli occhi e sembrò sul punto di
piangere nuovamente. -Cosa credi che stia facendo?- sibilò
allontanandosi.
-Mi stai innervosendo e so benissimo che il tuo cervello sta per
scoppiare. Fermati e respira.-
Georgiana lo guardò sprezzante. -Non sei tu quello che
è stato schiaffeggiato dai propri genitori.-
-Te l'avevo detto che sarebbe finita cosi. Non esiste famiglia nel
mondo che vuole che i propri figli si mescolino con altre razze.-
Donald chiuse l'occhio sano e strinse rabbiosamente una mano in un
pugno. -Te l'avevo detto che avremmo perso i nostri genitori.-
Georgiana soffocò un singhiozzo. -Io credevo che fossero
… aperti. Papà era stato salvato da un soldato
afroamericano … Credevo che … - le sue parole
morirono e furono ricacciate in gola violentemente. Donald le
accarezzò il collo.
-Siamo solo io e te.- le sussurrò improvvisamente dolce.
Georgiana si scostò e lo guardò. -E se si
rimangiassero ciò che hanno detto stasera?-
Donald le sorrise infelice. -Pensi veramente che un bianco che non
è stato mai perseguitato in alcun modo da nessuno o dalla
legge possa capire? Sai perché sono uno dei pochi medici di
colore apprezzato? Perché il mio mentore e protettore
è il figlio di ebrei che ha subito le leggi razziali. Lui
è stato fortunato, è potuto fuggire. Ma non
dimentica chi della sua gente è stato schiacciato e ucciso
per il semplice motivo di esistere.- le accarezzò una
guancia delicatamente. -Se tornasse indietro, sarei contento di
rimangiarmi tutto quello di offensivo che ho detto. Tranne che tuo
fratello meriterebbe un paio di anni in galera.-
Georgiana sospirò sconsolata. -Non posso credere di aver
detto quelle cose e di aver spinto a terra mia madre!-
Donald si sistemò meglio su quel morbido divano e convinse
Georgiana si stendersi su di lui. Le accarezzò la schiena
notando quanto ella tremasse e fosse impaurita dalle future conseguenze
del loro imminente matrimonio.
-Henry mi ha assicurato che se le cose andranno male, ci
penserà lui a tutelarci legalmente. Si è appena
tolto la divisa per la toga e già si crede giudice della
Corte Suprema.-
-Lascialo fare, se lo merita. Tu non sei andato in Vietnam, Joelle mi
ha raccontato che spesso ha lo sguardo assente e sobbalza per ogni
rumore.- mormorò Georgiana.
-E' lo stress da guerra. Ne ho visti molti in questi anni.- disse
Donald. -Spero gli faccia bene lavorare nell'ambito legale.-
Georgiana alzò il viso per guardarlo bene.
Quella notte aveva ingranato la quinta marcia ed era volata
giù da un pendio.
Non c'era possibilità di ritorno.
-Tu mi ami, Donald?-
L'uomo lasciò cadere a terra la carne ghiacciata e
alzò il collo per fissarla sbigottito.
-Certo.-
Georgiana si morse il labbro. -Dico sul serio Donald. Se io fossi una
ragazza di colore o una donna asiatica, povera o di modeste origini, mi
avresti amato comunque?-
Donald corrugò la fronte.
Non capiva dove volesse parare Georgiana e da dove nascessero quelle
inquietudini. Per un attimo ne fu spaventato.
La serata di Capodanno era stata letteralmente esplosiva.
Era incominciata con il silenzio e pallide accuse, ma alla vista di
quel fine anello in oro bianco e brillanti, la famiglia era del tutto
impazzita. Gli era stato detto di tutto e non aveva potuto difendersi
come voleva. Miles lo aveva avvertito che le cose potevano finire male,
tuttavia non aveva minimamente voluto credere che persone colte e
raffinate come i Sullivan potessero essere solo bestie travestite da
signorotti di città. Durante il viaggio in macchina, con il
sangue che colava dalla ferita, una fidanzata piangente accanto, si era
domandato perché stesse facendo tutto questo.
Per la gloria, la fama,
il successo?
Per amore?
Ammise per la prima volta che c'era altro oltre all'ambizione a
muoverlo costantemente verso quella ragazza dal sorriso sincero.
-Sì, ti avrei amato comunque.-
Georgiana lo fissò a lungo, annuì e
posò il capo sul suo petto.
-E' il primo giorno dell'anno, ormai.- sussurrò.
In lontananza si sentivano botti, clacson che strombazzavano per le
vie, grida di giubilo nelle case vicine.
Loro, invece, se ne stavano lì, sdraiati su quel divano a
cercare di dimenticare.
-Domani mattina li cancellerò dalla mia vita. Da domani
voglio solo essere una ragazza innamorata che sta per sposarsi. Non
voglio sentire o fare altro.-
Donald le prese la mano sinistra e baciò l'anulare avvolto
nel bellissimo anello.
-Sono d'accordo.-
-Se la tua famiglia vuole partecipare al matrimonio, ne sarò
contenta. Ma non voglio che si ripetano le scene d'isterismo collettivo
dell'altra volta, siamo solo due persone che vogliono sposarsi.-
-Lo trovo giusto.-
-E voglio andarmene da questo quartiere. Potremmo spostarci
più vicino all'ospedale. Io dovrò comunque
trovarmi un nuovo lavoro, dubito che papà sia incapace di
mettermi i bastoni fra le ruote, è l'azionista di
maggioranza nella mia azienda, può licenziarmi in qualunque
momento.-
Donald si abbassò per baciarle le labbra che ancora di
muovevano febbrili.
-Basta discorsi. Adesso dobbiamo starcene comodi su questo divano e
celebrare il nuovo anno riposando un po'.-
Georgiana non riuscì a reprimere un piccolo sorriso.
Calciò via i tacchi e prese la pelliccia che usò
come coperta per entrambi e per la prima volta si sentì
riscaldata da un amore solido.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** Aprile 1973 - Un Bagno ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:
Bagno
Titolo:
Aprile 1973 - Un Bagno
Autore:
Reagan_
Fandom:
Originali-Romantico
Personaggi:
NC
Genere:
Romantico
Rating:
Verde
Avvertimenti:
Nessuno
Lunghezza:
(conteggio parole e numero pagine):1755
Bagno
– Stanza sempre occupata
Antonio
Amurri
Un Bagno
Donald
appoggiò la mano sulla maniglia mentre con gli occhi leggeva
il
breve messaggio del suo cerca-persone, quando lo trovò
chiuso sbuffò
e bussò con impeto.
-Georgiana
apri la porta! Uno dei miei pazienti è peggiorato, devo
andare!-
La
donna non rispose subito anzi, a Donald sembrò passare un
secolo
quando la sua voce del tutto calma gli diede la scontata risposta.
-Un
minuto caro!-
Scosse
la testa sconsolato e si appoggiò al muro.
Ormai
era diventata un'abitudine alquanto fastidiosa quella di ritrovarsi a
contendere un bagno. Ogni qualvolta aveva un urgente bisogno o si
voleva prendere del tempo per rasarsi e sistemarsi, s'imbatteva nella
poca pazienza femminile. Georgiana tendeva a rinchiudersi molto
spesso e a preparasi per delle ore. Cosa facesse esattamente
lì
dentro, per lui rimaneva un mistero.
La
porta si aprì e nel corridoio comparì Georgiana
con una spazzola in
mano.
-Ricordati
che oggi vado a sistemare alcuni oggetti che ha portato tua madre
nella casa nuova e che uscirò a cercare l'abito con Joelle.
Credo
farò tardi.-
-Io
mi devo occupare di questo paziente e stasera Henry mi ha invitato a
bere qualcosa, è da un po' che non lo facciamo.- disse
Donald
chiudendosi la porta dietro le spalle.
Georgiana
fece una smorfia. -Allora facciamo così, noi andiamo a cena
fuori
sul presto e rientriamo in casa per un drink, voi uscite e passate da
qui. Almeno Joelle potrà guidare al posto di Henry.-
-Mi
sembra una buona idea!- gridò Donald.
Georgiana
ricominciò a spazzolarsi i capelli per poi lasciarli liberi
sulle
spalle, passò per le varie stanze vuote sentendo una certa
nostalgia
dei suoi mobili e decise che si sarebbe goduta il letto e il
televisore.
-Bene
io vado, a dopo.- disse Donald spuntando improvvisamente e
avvicinandosi per baciarla brevemente.
-A
dopo.- rispose Georgiana leggermente rossa in viso. Ogni qualvolta
sentiva l'odore pungente del dopobarba i suoi ormoni si scatenavano e
non avere il controllo del suo corpo, alcune volte la faceva
impazzire.
Sorrise
nel sentire la porta principale dell'appartamento chiudersi e si
sdraiò meglio sul suo vecchio letto.
-Se
lo sposti a destra è meglio.- disse Norma Jeter alzando
appena la
mano inguantata.
Georgiana
cercò di trattenere ogni possibile commento ed
sistemò come meglio
poté il quadro paesaggistico che la sua futura suocera
riteneva
perfetto per il camino.
-Va
meglio?- chiese in bilico sulla piccola sedia.
-Direi
che non si può far di più. Dovrai chiedere a Don
la sua
opinione, lui ha un occhio allenato.-
Le
sopracciglia di Georgiana salirono sulla fronte, ma null'altro si
mosse. Aveva ignorato peggiori osservazioni prima di quelle. Scese
dalla sedia e si diresse verso la cucina.
-Vuole
del tè, signora Jeter?-
Norma
strinse le labbra e la fissò con occhio critico. -No, penso
proprio
che mi avvierò verso casa. La cara Patricia ha bisogno del
mio
consiglio sulle nuove tende per la stanza dei bambini.-
Suo
cognato, un uomo schivo ma comunque piacevole, stava per diventare
padre e sua moglie Patricia, una ragazza afroamericana che aveva
studiato per fare la sarta e la modellista, professioni che Georgiana
considerava morte data l'esistenza di una forte industria tessile,
era senza dubbio la nuora preferita di sua suocera.
E
lei ora era sempre al centro di battute ironiche e commenti
sarcastici.
La
bianca che vuole fare la signora a casa nostra,
così era stata
bollata una volta, ascoltando senza volerlo una conversazione fra sua
suocera e Patricia.
Aveva
ingoiato il naturale risentimento e si era decisa a mostrare a Donald
quanto parte della sua famiglia fingesse di volerla ed apprezzarla.
-Va
bene, signora Jeter, le chiamo un taxi?-
-No.
Camminare fa bene alla mia età. Spero vivamente di vedere
entro la
prossima settimana, il risultato di tutto quel trambusto della
ristrutturazione del bagno.-
Georgiana
le annuì mentre l'accompagnava alla porta e solo quando la
vide
scendere le poche scale e camminare per il viale, tirò un
lungo
sospiro di sollievo.
Aveva
fin da subito voluto vedere la casa che Georgiana aveva comprato dopo
aver venduto alcune azioni e un fondo a lei intestato prima che suo
padre avvisasse gli avvocati o si rivolgesse alle autorità
per
strapparle i soldi che le avevano donato in qualità di dote.
L'idea
che suo figlio vivesse in una casa comprata da una donna la faceva
imbestialire.
Aveva criticato la scelta del quartiere,
il raffinato Brooklyn
Heights, pieno di nuovi ricchi dalla pelle
chiara. Ma Donald l'aveva bloccata dicendole più volte che
era un
ottimo quartiere e che ci viveva la metà dei suoi colleghi e
poi non
erano lontani dal centro e dall'ospedale.
Da
quel momento in poi, la signora Jeter, aveva deciso di dedicarsi alla
critica spietata sull'arredamento e i colori.
Georgiana
sobbalzò dalla sorpresa quando sentì il suono
stridulo del
campanello.
Per
un attimo pensò che la quasi suocera si era dimenticata di
rinfacciarle qualche particolare per lei di vitale importanza,
perciò
fu sorpresa quando trovò sulla soglia Joelle con un
sacchetto di una
pasticceria fra le mani e un ventre sempre più gonfio.
-Ho
preso troppa roba e mi è già passata la voglia di
dolci. Ora voglio
roba salata!-
esclamò
entrando come una furia e sedendosi sull'unica sedia.
-Quando
ci lanciamo nel bellissimo mondo del pizzo?- domandò la
donna
fissando l'amica.
-Fra
poco. Prendiamo un taxi fino alla boutique, non ho voglia di guidare
in quel traffico infernale.- rispose Georgiana sedendosi a terra e
accettando volentieri un cannolo siciliano che si scioglieva in
bocca. -Non dirmi che questi li fa tuo cugino!Sono buonissimi!-
Joelle
le sorrise mentre si puliva le labbra. -E' un genio del male, adesso
lavora in questa pasticceria di italiani che serve i migliori dolci
della città. Ormai mi vede passare ogni giorno, sono
diventata una
cliente fissa.-
-Non
starai esagerando un po', devi pensare anche alla salute.-
Joelle
fece una smorfia. -C'è già Henry che mi riempe di
verdure bollite,
minestrine e quant'altro, come se avessi l'influenza. Ho bisogno di
assecondare le mie voglie.-
le
fece l'occhiolino.-Comunque anche tu presto conoscerai le gioie della
maternità.-
Georgiana
arrossì e le sorrise timida.
Era un'eventualità a cui pensava poco,
ma l'idea di mangiare dolci di alta qualità non le
dispiaceva.
Joelle
lo aveva capito fin da subito che qualcosa non andava.
Georgiana
negli ultimi tempi le era sembrata distratta e decisamente impaurita,
come se improvvisamente volesse tornare indietro.
La
sua famiglia aveva cercato di contattarla un paio di volte e Joelle
era rimasta sconvolta nel vedere una nervosa signora Sullivan
sull'uscio di casa sua.
Ma
aveva deciso di proteggere l'amica e non aveva detto nulla di utile.
Bussò
più volte e quando la serratura della porta del bagno della
boutique scattò, entrò lentamente.
Georgiana
indossava uno dei più bei abiti del negozio, singhiozzava e
scuoteva
la testa.
Joelle
si avvicinò e le si sedette accanto con qualche
difficoltà.
-Che
hai piccola?- le chiese accarezzandole i capelli castani.
L'altra
donna si riprese quasi subito. -Scusami … Sono una scema.
Non
dovrei piangere e farti preoccupare.-
-Sono
incinta, non sul punto di morire.- punzecchiò dolcemente
Joelle.
-Che ti succede in questi giorni?-
-Non
so come andrà a finire … Dopo.-
Joelle
aggrottò la fronte. -Cara, nessuno lo sa.-
-Lo
so. Ma ho il brutto presentimento che Donald non noterà mai
le
cattiverie di sua madre e sua cognata. Ha da ridire su ogni cosa e
continua a metterlo in mezzo non appena tento di oppormi. Figuriamoci
se le piacerà un vestito corto al matrimonio di suo figlio!-
Georgiana smise di piangere e si asciugò le guance. -Tu e
Henry
sembrate così felici!-
-Lo
sarete anche voi. Credi che per me e Henry sia semplice? Ha ancora
incubi sul Vietnam, ha lo sguardo assente ogni mattina e continua a
non voler fare l'amore con la luce accesa. E' convinto che la vista
delle sue cicatrici mi possa uccidere.-
Georgiana
strinse la mano dell'amica. -Sono una sciocca. Sto sempre a
lamentarmi.-
-Sei
la mia sciocca!- disse Joelle sorridendole.
Qualcuno
bussò alla porta ed entrambe gridarono che era occupato,
scoppiando
in una risata liberatoria.
-Ma
quelle due dove sono finite?- domandò Henry guardando
l'orologio
dello spoglio soggiorno dell'appartamento di Georgiana.
-E
lo chiedi a me? Forse hanno rapinato il negozio di abiti.- rispose
Donald finendo il drink e lasciando il bicchiere per terra.
-Dubito
che Joelle entri in una di quelle robe vaporose. E' ingrassata
moltissimo e se ne sta tutto il giorno a mangiare dolci di nascosto.-
raccontò Henry. -Il bambino quando uscirà
peserà venti chili.-
Donald
ridacchiò. -Lasciala ingrassare in libertà. E'
tutta una questione
psicologica. Le donne incinte sono pazze, c'è poco da fare,
amico
mio.-
-Devo
dire che però che si concede così spesso che
forse morirò nel
tentativo di mostrarmi abbastanza virile …-
La
porta dell'appartamento si aprì e Georgiana fece il suo
ingresso con
una grossa e pesante valigetta di cartone.
-Virile
… Ma allora è vero che parlate sempre e solo di
questo!- esclamò
salutando con un abbraccio Henry e si sedette in braccio a Donald
nella piccola poltroncina.
Joelle
si tolse il capotto e le scarpe. -Al diavolo l'etichetta, le mie
caviglie mi stanno uccidendo.- Henry l'agguantò per i
fianchi e la
fece sedere accanto a lui e sollevò le sue caviglie sul suo
grembo.
-Merito
un encomio come marito dell'anno.- disse cominciando a massaggiare le
caviglie.
Rimasero
a lungo a chiacchierare di neonati e crisi economica, godendosi
qualche bicchiere di whisky e la prima notte calda di aprile.
Quando
Joelle si addormentò sul divano, Georgiana li convinse dopo
quasi
mezz'ora a fermarsi da loro per la notte. Cedettero la loro stanza
matrimoniale ai coniugi Rodham e si sistemarono sul materasso del
letto degli ospiti ormai smontato.
-Mi
sembra di stare a casa dei miei cugini nel Michigan.- disse Donald
mentre si toglieva la camicia.
-Una
specie di campeggio senza il fastidio di stare in tenda.- rispose
Georgiana sistemando i cuscini.
-Com'è
il vestito?-
Georgiana
strinse le labbra e scelse con cura le parole. -Bello.-
-Niente
di eccentrico, vero?-
-Ti
sembro una persona eccentrica?-
Donald
alzò le spalle. -Joelle è una persona eccentrica,
magari ti sei
fatta convincere.-
-No.
Io non mi faccio convincere così facilmente.-
-Io
ti ho convinto facilmente.-
Doveva
essere una normale conversazione prima di andare a dormire, ma le
cose avevano preso una strana piega.
Georgiana
si mordicchiò il labbro incerta, le mani volevano
schiaffeggiarlo a
dovere ma il resto del corpo preferì alzarsi e chiudersi in
bagno.
Donald
si diede dell'idiota, sistemò la sveglia sul pavimento e
decise che l'avrebbe
aspettata per chiederle scusa, ma l'alcool lo fece assopire e il suo
ultimo desiderio era poter usare per primo il bagno la mattina dopo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Giugno 1973 - Un Bicchiere di Vino ***
Storia che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bicchiere di vino
Titolo: Giugno 1973 - Un bicchiere di vino
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1635
L'acqua divide gli uomini; il
vino li unisce
Libero
Bovio
Un Bicchiere di Vino
Georgiana si guardò attentamente allo specchio e non
poté non inorridire quando notò le occhiaie e il
viso smunto e stanco.
Aveva rigettato la veloce colazione che aveva ingurgitato mentre Joelle
le sistemava i capelli castani in una complicata acconciatura nuziale.
-Sei sicura di non aver preso lo stesso virus di Henry. E' da due
settimane che rigetta il cibo la mattina presto.- suggerì
Joelle seduta poco distante da lei ed impegnata nella complicata
attività di far addormentare suo figlio.
Georgiana passò una salvietta inumidita sul viso e la nuca e
sciolse l'acconciatura.
Era da un po' che sospettava di essere incinta.
Le nausee erano diventate evidenti e l'assenza di febbre e altri
problemi l'avevano definitivamente convinta. Eppure non voleva cercare
nessun tipo di conferma per ora. Voleva godersi la festa di nozze, il
cibo e la musica, chiacchierare con i diversi parenti di Donald e
partire per una brevissima luna di miele nei dintorni di Long Island.
Con una mano leggermente tremante sfiorò il ventre e non
poté fare a meno di sorridere.
L'idea di avere un figlio le piaceva.
Henry e Joelle pochi mesi prima avevano accolto con grande gioia il
loro primogenito che era riuscito nella difficile impresa di calmare i
nervi del padre e rasserenarlo definitivamente.
Sorrise e ricominciò a pettinarsi i capelli.
Donald si guardò intorno e tossì più
volte prima di buttare giù del liquore che un Henry
semi-addormentato gli aveva allungato. Gli venne quasi da vomitare, ma
si trattenne, marciò verso l'unica bottiglia di vino non del
tutto finita e si attaccò al suo collo come se non bevesse
da secoli.
La sbronza della sera precedente lo aveva ridotto ad uno straccio e
l'idea che si sarebbe sposato fra meno di un'ora lo spaventava.
Henry, reduce da notti bianche passate a cullare un bambino in preda
dalle coliche, e decisamente frustrato dalla sua nuova condizione, si
era gettato volentieri sull'alcool.
Il resto del gruppo che aveva partecipato all'addio al celibato non era
messo meglio dello sposo.
Qualcuno bussò ed entrò nella piccola stanza da
letto, era uno dei figli di suo cugino, e li avvertì che la
sposa era leggermente in anticipo e che avevano quindi solo mezz'ora.
Mezz'ora per recuperare un po' di sonno, un aspetto sano, gli abiti
nuziali e le fedi.
Le labbra di Donald si aprirono in un sorriso e non poté non
reprimere un'allegra risata.
Henry aggrottò la fronte e fissò l'amico di
scuola con qualche perplessità.
-Lo sai che abbiamo ceduto le auto alle signore e quindi dobbiamo
camminare per mezz'ora. Per cui abbiamo solo pochi e preziosi minuti?-
ricordò Henry Rodham.
La risata di Donald si spense improvvisamente.
L'abito di Georgiana era piaciuto a molti, ma la signora Norma Jeter
non si trattenne dal definirlo “eccessivamente
sfacciato”.
Le spalle e la schiena erano coperti da un pizzo leggero e particolare,
la gonna a vita alta si apriva ampia e leggera ed arrivava appena alle
ginocchia.
Ai piedi delle semplici scarpe bianche con un tacco medio e solido.
La veletta copriva solamente i suoi occhi e Donald rimase incantato dal
sorriso misurato di quelle labbra che ora voleva solamente baciare.
Una volta che lei, al braccio di Henry, arrivò accanto a
lei, le prese una mano inguantata e la baciò delicatamente.
La cerimonia non fu lunga.
Georgiana si tolse i guanti e con le mani strette nelle sue
pronunciò le fatidiche parole con voce ferma e sicura.
Donald fu meno controllato e la sua voce tremolante si espanse dal
microfono per tutta la navata.
Rabbrividì quando sentì il freddo metallo
dell'anello a contatto con il suo anulare.
Era fatta, si disse mentre il reverendo li benediceva, era un uomo
sposato.
-… Vi dichiaro marito e moglie. Donald puoi baciare la
sposa.-
Georgiana gli sorrise e lui la baciò con delicatezza.
Gli ospiti sorrise ed applaudirono educatamente.
Sfilarono per la navata entrambi irrigiditi dalle diverse emozioni e si
guardarono felici.
-C'è una cosa che devo dirti … -
bisbigliò Georgiana stringendogli con forza la mano.
-Dopo, quando saremo in macchina.- disse lui sbrigativo mentre
stringeva mani e salutava vari parenti. Il viso di Georgiana si
contrasse appena, ma non esibì null'altro che un sorriso
comprensivo.
Salutò i pochi membri della sua famiglia, due cugini e l'ex
moglie di suo zio e gli amici e colleghi di suo marito. Il rito delle
foto davanti alla navata fu particolarmente lungo e gli sposi erano
irritati e stanchi ed accolsero l'arrivo dell'auto con gioia.
Georgiana aggrottò la fronte contrariata quando vide che
Bertie, suo cognato, uscì e lanciò le chiavi a
Donald. A quanto pareva Donald aveva insistito per guidare per conto
suo.
Donald percorse veloce le strade silenziose dei dintorni di Harlem e si
ritrovò nel ben più raffinato Brooklyn Heights
dove ormai vivevano stabilmente da un paio di settimane. Donald si
fermò di fronte alla casa e senza darle molte spiegazione la
fece scendere.
La trascinò a casa e senza nemmeno ascoltare cosa lei stava
dicendo la prese in braccio e varcò la soglia della loro
dimora.
-Missione numero uno compiuta.- disse camminando per l'ingresso.
Georgiana allacciò le braccia intorno al collo e
ridacchiò.
-Puoi mettermi giù, uomo forzuto?- chiese lei, il marito
ubbidì e la adagiò sul divano.
Si guardarono intorno e si sorrisero.
-Siamo sposati.- mormorò Georgiana. -Siamo sposati da
un'ora.-
-E già te ne penti?- domandò scherzando Donald.
Georgiana gli sorrise gelida.
Da un po' le battute del suo neo-marito sul pentimento o sulle seconde
possibilità la irritavano e la offendevano, ma qualcosa le
impediva di esporsi e farglielo capire.
Donald le si avvicinò e le baciò il collo e le
sue mani viaggiavano pericolose fra le cosce e la sottoveste del
vestito.
-Don, stasera avremo tutto il tempo … -
-Stasera saremo entrambi troppo alticci per goderci la serata come si
deve.- le rispose slacciando la cravatta e la giacca.
Georgiana sentì chiaramente la pronta erezione quando Donald
si chinò su di lei e non riuscì a non arrossire e
a sentirsi quantomeno eccitata.
Si tolse il cerchietto con la veletta, scalciò via le scarpe
e alzò la gonna mentre Donald si dedicava al suo collo e
alle sue labbra.
Fu un amplesso rapido, confuso e poco appagante.
Il primo a dispiacersene fu proprio Donald che tentò di
rimediare dedicandosi a qualche coccola.
-Dovremmo raggiungere gli altri … -
-No, prima di un goccio, altrimenti non saprò come
affrontare tutta quella gente.- disse alzandosi e andando in cucina.
Georgiana si sentì leggermente intontita, un po' dal sesso
sbrigativo, un po' dalla nausea crescente.
Donald tornò qualche secondo dopo con due bicchieri di
plastica e una bottiglia di vino.
-Ecco qua per la mia signora, il primo bicchiere di vino da sposati.-
le disse sorridendogli.
Georgiana accettò ma l'odore sembrava aumentarle il disagio
allo stomaco. Lo posò subito a terra.
-Credo che sarà il mio ultimo bicchiere di vino, Don.-
Donald non sembrò capire che cosa volesse dire, si sporse
vicino a lei e la fissò attentamente. -Non dirmi che stai
male?- le appoggiò la mano sulla fronte ma non
notò nulla di preoccupante.
-Donald … E' da un po' che … -
farfugliò Georgiana. -Penso di essere incinta.- disse tutto
d'un fiato.
Donald sgranò gli occhi sorpreso e tossì a lungo
a causa del sorso di vino che si era bloccato in gola. Georgiana lo
fissava divertita.
-Non mi dire che sei sorpreso, dopotutto siamo sposati.- gli disse.
-E come … Ma quando?- domandò lui incredulo.
La donna alzò le spalle. -Non saprei, pensandoci direi un
mese fa.-
-Un mese fa … - balbettò lui. -Ah, diamine la
festa per la casa!- esclamò passandosi una mano sul volto.
-Eravamo alticci e non ci siamo preoccupati di nulla.-
Donald notò lo sguardo severo di sua moglie e per un attimo
si rese conto di non aver reagito come avrebbe dovuto. Nemmeno lui
sapeva cosa stesse provando, era felice, era spaventato, era irritato
dal fatto che era arrivato proprio quando aveva prospettato un annetto
di vita coniugale in due.
Le passò un braccio intorno alle spalle e
l'avvicinò a sé.
-Sono un uomo fortunato. Mi sono appena sposato con la donna
più bella della nazione e fra qualche mese
diventerò padre … - mormorò con voce
gentile. Portò una mano sul suo ventre e lo strinse.
Si guardarono a lungo negli occhi.
-Dimmi la verità, sei felice?- domandò Georgiana
cercando di non sembrare una strana lagna.
Il marito scosse la testa e s'inginocchiò accanto a lei,
abbracciò il ventre della moglie e baciò la
stoffa che copriva il ventre.
-Ora sei ancora più importante per me. Più mia.-
le disse con voce emozionata.
Si baciarono e fu difficile spiegare ai parenti per quale motivo
avessero ritardato così tanto, dopotutto dovevano solamente
cambiarsi gli abiti.
Il ricevimento fu un grande successo.
Bianchi e neri, ispanici e stranieri di passaggi, uomini colti e uomini
stolti, tolte le divise con cui adoravano contraddistinguere la loro
posizione sociale, erano bastati pochi brindisi e molte bottiglie per
unirli.
Donald non riusciva a stare lontano da Georgiana nemmeno per un secondo.
Joelle per la prima volta dopo la nascita di suo figlio si era sentita
solamente una donna ed aveva ballato a lungo con Henry e gli altri
invitati.
I colleghi di Donald si aggiravano pacifici per la sala, ballando e
bevendo, invidiando lo sposo per essere riuscito a conquistarsi una
donna affascinante come Georgiana.
Gli amici della sposa dopo un'iniziale indifferenza, ora volteggiavano
per la pista.
A fine serata, quando anche Norma Jeter decise che era meglio
andarsene, Donald invitò per un ultimo ballo una
stanchissima Georgiana che decise di togliersi prima le scarpe.
Ballarono senza musica, ondeggiando per la sala con grazia e gli occhi
chiusi.
-Sei felice?- domandò Donald fermandosi e accogliendola in
un forte abbraccio.
-Sì. E tu?-
-Sì, sono decisamente felice.-
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Settembre 1973 - Due Libri ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice
of Life"
indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt:
Bicchiere di vino
Titolo:
Settembre 1973 - Due Libri
Autore:
Reagan_
Fandom:
Originali-Romantico
Personaggi:
NC
Genere:
Romantico
Rating:
Verde
Avvertimenti:
Nessuno
Lunghezza:
(conteggio parole e numero pagine):2346
Guardare
le copertine dei libri sull'autobus può dire molto dei sogni
e dei desideri delle persone.
Anonimo.
Due
Libri
Donald
posò il libro che stava sfogliando sul comodino e si mise a
fissare
i nuovi rituali che anticipavano l'arrivo di Georgiana su quella
parte di letto fredda vicino a lui. Sistemava i lunghi capelli
castani schiariti dal sole estivo in una sbrigativa treccia da
bambina leziosa e poi si passava un leggero velo di crema sul ventre
rigonfio e sulle braccia magre. Infine s'infilava una camicia da
letto larga e senza fronzoli che aveva comprato non appena superato
il terzo mese di gravidanza.
Solo
allora si accomodava a letto.
-Com'è
andata con quel paziente che era caduto in piscina?- gli chiese sua
moglie mentre si sistemava accanto a lui.
Donald
allargò un braccio e la strinse a sé, assaporando
per un po' il
leggero profumo di crema della sua pelle. -Si è svegliato
dal coma
oggi pomeriggio. Per ora l'abbiamo sedato, domani mattina cominceremo
i test neurologici per fare una stima dei danni.-
Georgiana
non parlò a lungo e distratta da altri pensieri, giocava con
l'asola
del pigiama scuro che suo marito indossava.
Da un po' di tempo, la
sua testa e il suo cuore fluttuavano nel bel mezzo di pensieri
contrastanti e desideri mai sopiti.
Agli
inizi aveva cercato di non far pesare la cosa su Donald. Il suo
lavoro e il team di ricerca nella quale cominciava a spiccare per
iniziativa ed intuizione portava via gran parte della sua giornata.
Rientrava la sera sul tardi con il solo desiderio di mangiare un buon
pasto e gettarsi a letto.
Una
mano di Donald salì lungo il fianco e si posò
gentile sul suo
ventre.
-Stiamo
mettendo peso, eh?- esclamò posandole un bacio in fronte.
-Hai
ancora quei dolori alla schiena?- le chiese ricordandosi brandelli di
conversazioni assonnate.
-Oggi
è andata bene. Nessun dolore particolarmente forte. Domani
tua madre
passerà a portare qualcosa per il bambino.-
-Uhm
… Cercherò di liberarmi per le cinque.-
mormorò Donald mentre i
suoi occhi si stavano chiudendo sempre più.
Georgiana
si scostò lentamente da lui e non appena ebbe la certezza
che si
fosse addormentato pesantemente sgusciò via dal letto.
Zampettò con
cautela fuori dalla stanza e scese le scale fino al piano terra,
aprì
una porta ed accese la luce.
Ogni
volta che vedeva il suo piccolo studio, di cui persino Donald aveva
una vaga idea, non poteva che sentirsi rinvigorita ed eccitata.
I
tomi di economia, di statistica e di matematica si susseguivano l'uno
dopo l'altro, interrotti da libri di letteratura russa e francese e
pile di riviste colorate e di articoli di giornali mal piegati. Si
sedette sulla piccola poltroncina di velluto scuro e prese in mano un
pesante volume di economia.
Si
tuffò nella lettura e non ne riemerse prima di accorgersi
dell'arrivo dell'alba e dell'inutilità della luce della
lampada.
Non
era la prima volta che si svegliava solo nel grande letto
matrimoniale.
Le
prime volte non ci aveva fatto caso, Georgiana sembrava soffrire come
tutte le donne incinte di vescica debole e quindi si rinchiudeva
spesso e volentieri in bagno, ma quella mattina gli sembrava tutto
troppo strano.
Toccò
la sua parte di letto notando l'assenza quasi totale della sua
presenza, nessun forte profumo sul cuscino, nessun calore rimasto
impigliato fra le lenzuola.
Nonostante
la stanchezza balzò a letto e dopo aver notato la porta
aperta del
bagno si gettò verso le scale. Per un una frazione di
secondo molto
lunga pensò che forse si era sentita male durante la
notte ma quando vide la porta del piccolo studio
aperta si calmò e vi entrò non potendo fare a
meno di arrabbiarsi.
Georgiana
si era addormentata con il libro posato sulle ginocchia, fra le dita
una matita in bilico, un quaderno aperto a terra, i piedi raccolti
sulla poltrona.
Raccolse
il quaderno, posò il libro e sistemò la matita
sulla scrivania, poi
si fece forza e la prese in braccio.
Non
che sua moglie pesasse molto, certo la gravidanza l'aveva appesantita
ma ormai la sua schiena aveva una decina d'anni in più a
causa
delle lunghe ore passate in piedi ad operare.
Con
qualche difficoltà si mosse lungo il piccolo studio attento
a non
svegliarla e la depose sul lungo e scuro divano del soggiorno, prese
un piccolo plaid e la coprì.
Tornò
nella stanza adibita a studio, che doveva ammettere non aver poi
così
frequentato, e notò l'enorme quantità di libri di
economia e di
fogli pieni di schizzi e grafici che ingombravano la scrivania senza
ordine.
Quando
aveva conosciuto Georgiana sapeva benissimo quanto tenesse il suo
lavoro, ma dopo lo scontro con i suoi genitori, aveva rassegnato le
dimissioni nonostante la sua ritrosia iniziale. Vederla ciondolare
per la casa ed occuparsi solo di lui era bello e decisamente
tradizionale, non era abbastanza moderno per ammettere di non aver
pensato che fosse meglio rispettare quella netta separazione fra i
ruoli e dopo l'annuncio e la conferma della sua gravidanza, ne era
assolutamente convinto ma Georgiana era scivolata in un abisso di
rancori sussurrati e strani pensieri.
Era
distratta ed annoiata, giocare alla mogliettina perfetta e
all'arredatrice innovativa l'avevano stufata. Prese della carta e una
penna, svolazzò velocemente delle frasi e lasciò
il bigliettino
accanto alla moglie profondamente addormentata e corse a prepararsi
per andare a lavoro.
Ogni
volta che si fermava a fissare il suo viso più tondo e
luminoso del solito,
Georgiana non vedeva altro che il volto di una codarda.
Ancora
non riusciva a capire cosa l'avesse spinta a nascondere quel piccolo
progetto, nato per caso durante l'estate.
Donald
non aveva potuto raggiungerla per alcuni giorni e l'aveva pregata di
invitare Joelle, Henry e il piccolo a farle compagnia, come se fosse
invalida e con un disperato bisogno di cure altrui. Durante una
normale passeggiata solitaria lungo le poche vie di una pittoresca
cittadina di mare, Georgiana si era scontrata con James Pittsbourg,
suo ex compagno di università che era diventato uno degli
accademici
più innovativi ed interessanti. Si erano messi a
chiacchierare di
economia e bilanci, come non le capitava da molti mesi e per la prima
volta dopo mesi si sentiva intelligente e preparata. James aveva
insistito per scambiare gli indirizzi di villeggiatura e di casa,
sinceramente interessato a presentarle alcuni lavori ed alcuni
progetti. Era rimasto profondamente scioccato nello scoprire che la
diligente ed ambiziosa Georgiana si era già sposata,
convinto
com'era che lavorasse ai piani alti di qualche azienda.
Da
quel giorno in poi, la sua mente e le sue preoccupazioni fiorivano
ogni qualvolta il postino le consegnava dei pacchi con i colori della
Harvard University Press.
Per
un irrazionale motivo aveva preferito non dire nulla a Donald,
persuasa dall'idea che sarebbe stata una cosa passeggera e dal suo
poco entusiasmo quando si trattava del suo lavoro.
Come
ogni uomo preferiva essere l'unico a provvedere al reddito ed essere
accudito come un figlio per questo enorme ed ancestrale sacrificio.
Non gliene faceva una colpa, ma si sentiva sempre più
emarginata
dalla società e dal mondo reale, più moglie e
madre che donna e non
riusciva ad accettarlo.
Quando
quella mattina si accorse del piccolo biglietto e del comodo
risveglio sul divano, si rese conto di aver creato ben più
di un
isolato episodio di confusione e stanchezza.
Durante
quella mattina nervosa non riuscì ad indossare la maschera
di
cortese freddezza di fronte al sopracciglio alzato di Norma Jeter e
per ben due volte non sentì le domande che le erano state
rivolte.
-Vedo
che la gravidanza ti ha reso meno … acuta.- disse la
suocera
posando con attenzione il bicchiere di limonata.
-Ho
… Sto pensando all'iperinflazione che sta affrontando la
Bolivia.
Il potere d'acquisto è in discesa e sembra proprio che il
governo …
- si bloccò notando lo strano sguardo della suocera.
-Non
capisco come mai ti interessi ancora di economia. Ora dovresti
concentrarti su tuo figlio e il mio. Donald sta affrontando un
periodo di lavoro molto difficile.- disse la suocera.
Georgiana
aggrottò la fronte. -Ha ragione, devo assolutamente
concentrarmi su
mio figlio o figlia e su tutti i bambini di questo pianeta in balia
di crisi bancarie ed iperinflazione.- rispose acidamente stupendosi
della sua audacia. -Se vuole scusarmi ora mi metto a leggere. Se
vuole le porto qualche rivista per ingannare l'inevitabile lunga
attesa, per quanto Donald sia un bravo uomo crede di essere l'unico
genio della medicina e che senza di lui centinaia di migliaia di
pazienti morirebbero all'istante.- scappò a gambe levate
verso il suo
studio proprio nello stesso istante in cui un allegro Donald
entrò
in casa con un libro colorato in mano.
Sua madre zittì i convenevoli
con uno sguardo severo e gli indicò la porta dello studio.
Il
giovane si guardò intorno confuso e bussò piano
prima di aprire la
porta e trovarsi di fronte a sua moglie, seduta sopra la scrivania
con un libro pesante sul grembo.
-Che
succede?- domandò aggrottando la fronte.
-Succede
che tua madre è convinta che siamo rimasti fermi
più o meno al
tardo medioevo dato che in questi mesi mi ha candidamente suggerito
di cominciare a passare il resto della mia vita a vivere senza
interessi al di fuori del suo figliolo e del suo nipote non ancora
nato.- rispose seccamente la donna scendendo dal tavolo e avviandosi
verso l'uscita.
Donald
posò il libro con cui era entrato in casa, un libro colorato
e pieno
di scritte, accanto al sobrio tomo di “Politiche Economiche,
Analisi e Storia”.
Fissò
per un attimo i due tipi di libri e andò in soggiorno dove
con ferma
gentilezza convinse sua madre a tornare un altro giorno.
-Tu
… Con questa qui sarà sempre così
… Cosa ti costava sposare
Minnie?- gli domandò mentre s'infilava i guanti e il
cappello.
Donald
si passò le mani sul volto e sbuffò arrabbiato.
-Quante volte devo
ripeterti che lei non mi ha mai interessato. Georgiana è una
brava
moglie ma è una donna moderna che ha studiato ed
è giusto che si
dedichi anche ad altro che alla casa.-
Norma
Jeter scosse la testa contraria. -Un giorno ti accorgerai di quanta
sofferenza porterà quella donna in casa tua. In casa nostra.-
Donald
si rabbuiò. Era certo che Georgiana non avesse vene
vendicative e
qualcosa gli diceva che semmai sarebbe stato lui a portare
temporali sulle loro vite serene. -Mamma … Non permetterti
più di
dire quelle cose. Rispetta la mia scelta, per favore.-
Sua
madre non gli rispose ed uscì dalla casa velocemente.
Donald
rimase a lungo in piedi a fissare a lungo la porta prima di lanciarsi
sul piccolo piano bar e scolarsi qualche bicchiere di brandy.
Decise
che si sarebbe seduto nello studio di sua moglie e si sarebbe letto
qualche pagina di quel libro che aveva trovato a pochi dollari in
libreria, “Guida
per i Neo-Mamma e i Neo-Papà”, e per
qualche
ragione lo aveva entusiasmato.
L'alcool
e la stanchezza lo fecero addormentare a pagina due.
Georgiana
si asciugò a lungo le lacrime furtive che ogni tanto
uscivano dai
suoi occhi lucidi e che tanto la facevano arrabbiare.
Gli
ormoni le stavano giocando brutti scherzi. Poteva passare dal pianto
alla rabbia con estrema facilità e questa condizione la
spaventa un
po'. Dopo qualche minuto di calma decise di scendere al piano terra e
di scusarsi con Donald e preparare una buona cena.
Ma
lo trovò seduto nella sua poltrona, il bicchiere di vetro
vuoto in
bilico fra le dita lunghe e scure, il viso rilassato. Raccolse il
libro “Guida
per i Neo-Mamma e i Neo-Papà” e lo
sfogliò con
attenzione. In quelle pagine erano raccolti decenni di studi sui
bambini, sull'allattamento e sulla psicologia infantile. Per un
attimo si sentì una idiota, mentre suo marito si stava
preparando ad
avere un figlio, carne della loro carne, lei se ne stava a leggere
testi sull'inflazione o articoli sui debiti sovrani d'Europa. Si
morse il labbro arrabbiata con sé stessa,la sua ambizione e
la sua
cecità e posò il libro accanto al tomo di
economia che stava
cercando di leggere prima.
Si
voltò a fissare il marito e per la prima volta si chiese se
non
fosse lei, obiettivamente, fortunata ad averlo. Gli tolse il
bicchiere e lo svegliò lentamente, sorridendogli
improvvisamente
felice.
Donald la
strinse nuovamente e la baciò, non poteva fare a meno di
sentire il
calore del suo corpo, una mano scorse lungo il ventre tastando le sue
nuove e tese forme.
Le
sorrise e si scostò lentamente da lei, avvicinandosi quanto
bastava
per sentirsi ancora unito a lei. Georgiana teneva gli occhi chiusi, i
capelli sciolti e spettinati le davano un'aria erotica,
le labbra gonfie di baci e il petto ansante, Donald era certo
di
aver fatto un affare a mettere tutte le carte in gioco sul suo
tavolo, era stato ricompensato con la più sensuale delle
mogli.
-Mi
dispiace … -mormorò Georgina mentre si sistemava
le lenzuola
leggere intorno al seno. -Alcune volte non mi rendo conto …
Che
tutto sta per cambiare.-
Donald
aggrottò la fronte. -Non è un problema per me se
vuoi continuare a
studiare, in fondo
io lavoro quasi tutto il giorno e fino a Natale non penso che
avrò
un minuto libero.- le baciò una tempia scostando alcune
ciocche
castane dalla fronte. -Quando la piccola o il piccolo sarà
nato, mi
prenderò una pausa dalla ricerca.-
Georgiana
alzò il viso su di lui. -Sei sicuro che non ti dispiaccia
che io un
giorno torni a lavoro?-
Suo
marito scrollò le spalle. -No, l'importante è che
tu riesca a
conciliare tutto. Io ti darò una mano anche se mi sembra
ovvio che
abbia dei problemi nella gestione della casa.-
-E
la tua carriera?-
-Per
ora sono ancora in alto mare, ci vorranno anni di lavoro per produrre
qualcosa di nuovo ed importante. Nel frattempo non dobbiamo esporci a
tutti i costi e possiamo goderci la vita insieme.-
Sua
moglie chiuse gli occhi e lo baciò lungamente, spense la
luce e si
sistemò meglio fra le sue braccia, sentendosi avvolta da un
amore inaspettato e profondo.
E mentre si addormentava, non vide il piccolo sorriso di vittoria che
increspava le labbra del marito.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Maggio 1974 - Possibili Vacanze ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Vacanze
Titolo: Maggio 1974 - Possibili Vacanze
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):1626
Madri e casalinghe sono gli
unici lavoratori che non hanno mai vacanze.
Anne Morrow Lindbergh
Possibili
Vacanze
Le giornate si erano fatte calde a New York, maggio aveva visto poche e
sparute piogge e moltissimi giorni di sole.
Georgiana aveva preso l'abitudine di passeggiare a lungo per le
stradine alberate del suo quartiere spingendo la carrozzina e cercando
di recuperare qualche rimasuglio di energia. Il piccolo ma molto vispo
Glenn John Jeter a soli tre mesi di vita avevano distrutto
completamente le forze di sua madre, fra pianti continui, coliche e
prime risate. La maternità era stata a lungo un'idea vaga e
alquanto mitizzata. Non conservava molti ricordi di sua madre durante
la sua prima infanzia, rammentava la sua tata, la signorina Kendall che
l'aveva cresciuta fino alle scuole elementari. Donald pur non
opponendosi a una possibile assunzione di una tata, lo trovava
abominevole e spesso le lasciava riviste piene zeppe di interviste a
psicologi e pedagogisti che sconsigliavano questa pratica,
così Georgiana lasciò perdere.
Rallentò un attimo non appena vide una Ford scura con una
leggera ammaccatura sul lato sinistro, era convinta che fosse Donald ma
l'auto continuò la sua corsa e imboccò la strada
che portava verso Manhattan.
Georgiana si rese conto di quanto dipendesse da suo marito e la cosa
per un attimo la spaventò. Non aveva mai sognato una vita
del genere, sposata e con prole, qualche impegno mondano e nel cassetto
una laurea importante da sfoggiare giusto ogni tanto per far colpo sui
colleghi del coniuge.
Si morse il labbro e spinse con più energia la carrozzina
verso il viale di casa e si domandò se non fosse una madre
snaturata e in contraddizione.
Adorava suo figlio, fin dal momento in cui il suo piccolo e caldo
corpicino era stato posato sul suo grembo, se n'era innamorata
profondamente. La pelle di un tenue caramello, gli occhi scuri e
profondi di Donald, i capelli neri e quelle labbra carnose e sempre
storte in un sorriso o in un pianto, l'avevano conquistata. Ogni tanto
si alzava di notte e si sedeva su una piccola sedia vicino alla culla
per vederlo dormire sereno e si meravigliava della grandezza del
miracolo della vita.
Il parto non era stato facile, soprattutto verso la fine, tuttavia in
pochi giorni il corpo aveva dimenticato ogni dolore, la pancia era
scomparsa e aveva acquistato nuove forme di cui Donald si era
ossessivamente impuntato. Se notava qualche etto in meno o una sua
ritrosia a mangiare, aggrottava la fronte e non faceva altro che
decantare la forma piena del suo seno, la sinuosa curva del fianco e la
leggera sporgenza del ventre, trovava persino sensuale le smagliature
che spesso seguiva con un dito cercando di coinvolgerla in qualche
coccola più spinta.
La maternità non solo la stava privando del sonno e della
sanità mentale ma doveva ammettere con sé stessa
di non avere più quella libido quasi automatica che prima
aveva. Per non parlare della pila di libri, riviste e dispense che
James Pittsbourg continuava a mandare e che si accumulavano nel suo
studio.
Si fermò davanti a casa sua e la osservò con
occhio critico notando il bianco spento delle tende del piano terra. Si
appuntò mentalmente di cambiare le tende subito dopo la
settimana infernale del galà di beneficenza dell'ospedale di
Donald.
Donald si versò un paio di dita di whisky e gettò
uno sguardo verso Georgiana che piegava il bucato di Glenn seduta a
terra.
-Sta crescendo in fretta, eh?- disse sedendosi sul divano. Blossom
Dearie cantava alla radio con la sua voce delicata e il mondo, agli
occhi di Donald, sembrava perfetto.
-Già.- rispose con un tono stanco Georgiana. -Joelle dice
che mi passerà volentieri un paio di scarpine dopo il
ballo.- si alzò con le braccia cariche di piccoli vestiti e
maglie sportive e le posò nella cesta pronta a salire al
secondo piano e a sistemarle nei rispettivi armadi ma il pianto di
Glenn la fermò.
-Portalo qui, tesoro, così gioco con il mio ometto.-
Georgiana aggrottò la fronte, lasciò la cesta e
si diresse verso il piccolo box dove Glenn si agitava e cercava
attenzione. Lo prese delicatamente, godendosi il suo odore particolare
e la dolcezza delle guance, lo cullò appena chiedendogli
perché si fosse svegliato così improvvisamente,
lo aveva appena nutrito e cambiato ed era convinta che avrebbe dormito
per qualche ora mentre lei si dedicava alle faccende di casa.
Donald alzò le braccia e lo avvolse facendogli strane facce.
-Il mio bambino!- esclamò il padre. -Sei proprio un bel
ometto.- disse mentre lo stendeva sul suo petto. Donald
allungò il braccio verso sua moglie che li osservava
assorta. Georgiana si sedette accanto a lui e chiuse gli occhi.
-Come mai sei così stanca?- gli domandò
baciandole una tempia.
La donna non rispose e rimase a lungo in silenzio. -Non …
Non dorme molto durante il giorno e non riesco a recuperare le mie ore
di sonno.- rispose Georgiana. -Non ti preoccupare, è
normale.- disse minimizzando e lasciandosi stringere dal marito e
sorridendogli.
-Dopo il galà avrò più tempo da
dedicare a voi. Potremmo andare da qualche parte, magari nel Long
Island? Oppure a Boston, dove vuoi tu insomma.- propose Donald con gli
occhi fissi sulle smorfie simpatiche di Glenn.
Georgiana evitò di rispondere, avrebbe voluto chiedere a chi
avrebbero lasciato il piccolo Glenn ma era sicura che Donald non si
riferisse solamente a loro due.
O urlargli che una madre non avrebbe mai avuto una vera vacanza ma solo
un cambio di residenza temporaneo delle sue faccende.
Strofinò la sua fronte contro la spalla di Donald e gli
disse solamente che aveva sonno e si sarebbe gettata sul letto. Suo
marito la guardò andare via e si chiese cosa nascondesse
quella stanchezza. Non appena finita quella settimana l'avrebbe
costretta a fare qualche esame e si promise che sarebbe stato
più presente.
-E il premio “Miglior
Comico da Sala Operatoria” va … -
Donald fissò incantato sua moglie.
I capelli castani erano acconciati in un morbido chignon che lasciava
libero qualche ciocca, gli occhi risaltavano grazie al fine trucco, le
labbra rosse erano accattivanti così come il bellissimo
abito a ruota in velluto nero. Uno dei suoi colleghi si alzò
e ritirò la piccola statuetta in ferro e vetro e si
avvicinò al piccolo microfono per esibirsi in lunghe ed
estenuanti barzellette e battute, sua moglie scese con attenzione le
scale a causa dei tacchi alti e sottili e si sedette accanto a lui.
La cosa che lo mandava su di giri era vedere gli sguardi perplessi ed
invidiosi delle persone sedute in quella grande sala.
Chirurghi, professori e imprenditori del settore sanitario ancora si
domandavano come avesse fatto un “negro” qualunque
a diventare un medico e soprattutto ad accalappiare una delle donne
più affascinanti della città. Georgiana gli
sorrise e strinse appena il suo braccio.
Era la prima volta che si trovavano da soli, che uscivano senza il
piccolo Glenn ed erano circondati da adulti senza bambini e si stava
godendo la serata, tuttavia Georgiana non era abbastanza loquace.
Ogni tanto interveniva con qualche collega e gli sorrideva educata ma
per lo più rimaneva in silenzio.
-Ho una curiosità, dove vi siete incontrati signora Jeter?-
domandò uno dei borsisti di chirurgia ortopedica.
Georgiana granò gli occhi e sembrò voler
temporeggiare. -Ehm, a una festa di un'amica comune. Mi ha aiutato ad
infilarmi la giacca.- disse sorridendogli.
Donald le prese una mano e baciò quelle dita che conosceva
bene.
Quando la cena divenne danzante, Georgiana accolse la cosa con gioia,
poteva isolarsi nella danza lenta e parlare solo se interpellata. Gli
ormoni erano ancora scombussolati e faceva fatica a tenere il ritmo
delle conversazioni, per non parlare della frenesia con cui Donald la
presentava alle persone e si gettava in battute e sorsi di forti
alcolici. Quella nuova abitudine, probabilmente copiata da qualche suo
superiore, lo rendeva, alla sera, irascibile e scontroso. Era persino
in grado di insistere nel voler guidare o fare il bagno a loro figlio.
Ballò a lungo e deliziò alcuni colleghi di Donald
con qualche battuta e stette a lungo alla larga dalle altre donne che
spesso la fulminavano con sguardi feroci e cattivi. Inconsciamente
aveva seguito la filosofia di sua madre che impediva la troppa
interazione fra donne durante gli eventi formali ed ora si ritrovava in
un angolo a fissare suo marito ridacchiare con i suoi colleghi e le
altre consorti.
-Merda! Giuro che non berrò mai più del punch
corretto con quella schifezza che ha portato Jackman!-
esclamò Donald baciando la spalla di Georgiana mentre lei
cercava di recuperare parte del suo pigiama. -Tu sei stata …
Wow! Bellissima e persino quel frocio di Tuscotte ti ha fatto gli occhi
dolci. Sondra, la capo-infermiera, era livida di rabbia di solito
tubano come piccioncini … - tentò di baciarle le
labbra ma incontrò solamente il collo di Georgiana che si
era voltata verso la sua parte di letto.
-Voglio dormire.- gli disse. -Glenn si sveglierà fra qualche
ora.-
Donald le accarezzò la schiena. -Questo nuovo contratto mi
porterà più giorni di vacanza. Direi che potremmo
azzardare persino l'Europa. Che ne dici di Londra? O Parigi?- si tolse
l'orologio e si sdraiò sulla schiena pensieroso. -Quello che
ci vuole è una bella vacanza di famiglia, la prima di
tante.- disse lui con un tono dolce.
-Madri e casalinghe non vanno mai in vacanza, Donald.- rispose con tono
secco Georgiana racchiudendosi in posizione fetale e coprendosi con
più lenzuola possibili.
Donald fissò quelle spalle che ben conosceva e rimase a
lungo con la bocca spalancata e i pensieri confusi dall'alcool.
Spense la luce e scombussolato si sistemò nella sua parte di
letto.
-Lo sai che ti amo e che apprezzo ogni cosa che fai … -
disse Donald.
Georgiana s'irrigidì ma decise di non rispondere ed un
gelido silenzio scese sulle loro vite.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Settembre 1974 - Le Perle ***
Storia
che partecipa alla Challenge "Slice of Life" indetto da areon.
Link
Challenge:http://freeforumzone.leonardo.it/d/10511289/-Slice-of-Life-challenge/discussione.aspx
Prompt: Bicchiere di vino
Titolo: Settembre 1974 - Le Perle
Autore: Reagan_
Fandom: Originali-Romantico
Personaggi: NC
Genere: Romantico
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Lunghezza: (conteggio parole e numero pagine):2000
Le
Perle
Saint Joseph Church era una di quelle chiese borghesi ed innocue che
tanto piacevano a Georgiana. Il pastore era un uomo distinto, incline a
miti prediche e con la particolare capacità di organizzare
eventi mondani degni della consorte del sindaco, non era solito
battezzare neonati comuni per cui la sua sola presenza aveva suscitato
stupore ed invidia fra le altre madri presenti alla breve cerimonia.
Nonostante la ritrosia della famiglia di Donald, Georgiana era riuscita
a replicare una cerimonia di battesimo anglicana, senza lunghi canti o
incitazioni morbose all'estasi. Anche se aveva sempre trovato
affascinanti i riti delle chiese afroamericane, le considerava poco
adatte a lei e sobrie. C'erano voluti quasi due mesi per convincere
Donald a cedere su quel punto, sottolineando quanto fosse importante
per entrambi mantenere i rapporti con una istituzione approvata dalla
maggior parte dei suoi colleghi di lavoro e dal direttore dell'ente di
ricerca.
Così quel mattino Donald si sarebbe allontanato ancora di un
passo dalle sue origini, trascinando con sé il figlio,
pensava mentre si vestiva in camera e fissava con la coda nell'occhio
sua moglie infilarsi un abito grigio.
-Non è troppo austero quell'abito?- domandò
girandosi appena mentre trafficava con il nodo della cravatta.
Georgiana chiuse la cerniera del vestito da sola e cercò di
non sembrare offesa da quel commento. Non era la prima volta che suo
marito tentava di convertirla alle mode colorate che tanto le sue
colleghe sembravano amare. Ma a lei non stavano bene quei colori, quel
rosa acceso o quel verde confetto non facevano per lei.
L'austerità e la sobrietà erano le uniche cose
che sembrano perfette per il suo copro minuto e senza particolari
curve. Si sistemò nuovamente la coda bassa con cui aveva
raccolto i capelli ed aprì il suo portagioie, con estrema
delicatezza tirò fuori una lunga collana di perle.
-Mi aiuteresti invece di blaterale?- chiese al marito avvicinandosi a
lui.
Donald si sistemò dietro di lei e prese la collana che
allacciò con qualche difficoltà, una volta
legata, lasciò un bacio leggero sulla spalla di Georgiana
che s'irrigidì. A Donald non sembrò importare,
perché la voltò contro di sé e la
baciò con irruenza, Georgiana cercò di non
lasciarsi andare ma per la prima volta dopo mesi, la libido prese il
sopravvento e rispose con la stessa urgenza. Circondò il
collo con le sue braccia magre e sentì quasi il bisogno di
sollevare la gonna e far scendere le mutandine, ma il pianto del loro
bambino li interruppe.
-Il principino mi sa che desidera rimanere figlio unico a lungo.
-Donald lasciò un bacio delicato sulla fronte della donna e
le sorrise. -Vado a calmarlo.-
Georgiana lisciò la gonna del vestito e cominciò
a giocherellare con le perle fredde della collana. Non poté
fare a meno di notare come lo specchio riflettesse l'immagine di una
donna con le guance arrossate e le labbra rosse, quasi
inconsapevolmente sorrise a sé stessa.
-Direi che potremmo fare l'ultima foto qui, con tutte le persone.-
disse il fotografo, un giovanotto della scuola di arte, agitando le
mani e cercando di spingere una folla immaginaria. Georgiana
spostò Glenn da un braccio all'altro, il bambino sembrava
troppo interessato alla cravatta turchese del padre che tentava di
afferrare. Quando il fotografo gridò
“Cheese!”, tutti sorrisero automaticamente e
Georgiana sentì la mano di Donald circondarle la vita e le
sue labbra avvicinarsi pericolosamente all'orecchio.
Per un attimo si domandò se volesse sussurrare qualche
sconceria e si pentì amaramente di essersi lasciata andare
così volubilmente qualche ora prima.
-Dimmi che non sono loro.- disse lui facendo un cenno con il mento
verso destra.
Georgiana seguì il suo sguardo e finì per notare
due persone in piedi a fissare la piccola folla che si stava
già disperdendo per recuperare le diverse auto posteggiate
davanti alla chiesa. Strinse con forza suo figlio non appena comprese
che le due figure appartenevano ai suoi genitori.
Donald azzardò a fare un passo verso di loro, ma Georgiana
lo fermò.
-Salutiamo prima i nostri amici e i parenti, diciamo che andiamo a
cambiare Glenn per qualcosa di più comodo e che ci vediamo
tutti al ristorante.-
Donald annuì e cominciò a pellegrinare per la
piccola piazza spiegando con un sorriso perfetto fra le labbra come si
sarebbero tutti visti fra meno di un'ora al ristorante.
Liberatosi della madre che aveva insistito per andare con loro a casa e
aiutarli a scegliere qualcosa di adatto, Donald si avvicinò
a Georgiana che mentre cullava Glenn stringeva convulsamente la collana
di perle.
-Andiamo?- le chiese. Lei annuì solamente.
Il signore e la signora Sullivan si avvicinarono lentamente, cercando
di non farsi notare dai piccoli gruppi di ospiti che se ne andavano
alla spicciola, stringendosi come ad affrontare una forte folata di
vento. Georgiana appoggiò la testa di un addormentato Glenn
sulla sua spalla e accarezzò quella schiena piccola e
così fragile, osservando quella strana coppia che un tempo
riteneva così famigliare.
-Salve … - cominciò Donald titubante una volta
che furono talmente vicini da poter contare le diverse rughe del volto
dei due anziani suoceri.
-Buongiorno … - disse il signor Sullivan fissando negli
occhi sua figlia.
-Cosa ci fate qui?- domandò Georgiana con voce turbata.
-Mi sembra chiaro, vogliamo vedere …-
-Perché non andiamo a casa e ne discutiamo tranquillamente.
Sono sicuro che nessuno vuole discutere in mezzo alla strada di queste
cose.- interruppe Donald passando più volte la mano lungo la
schiena tesa di Georgiana che guardava i suoi genitori con gli occhi
lucidi e le mani tremanti.
I signori Sullivan annuirono rendendosi conto della sconvenienza di
quel luogo aperto e degli sguardi curiosi dei passanti.
La chiesa distava qualche minuto di macchina ma quella mattina
sembravano quasi un'eternità.
-Li hai chiamati tu?- chiese Donald svoltando verso il viale dove
vivevano.
Georgiana lasciò che il figlio giocasse con la sua collana
di perle e fulminò con uno sguardo il marito. -Certo che
no!- sibilò. -Non li ho contattati.-
-Come credi che siano venuti a saperlo?- Donald fermò
lentamente la macchina, accertandosi che il suocero avesse capito dove
fermarsi.
-E' una cerimonia pubblica Donald. Basta chiedere alle persone giuste.-
rispose con acidità aprendo la portiera e scivolando con
accortezza dato il peso sempre più importante di Glenn.
Pochi minuti più tardi, la signora Sullivan sedeva su un
divano verde acqua ed osservava a distanza suo nipote. Aveva chiesto se
poteva prenderlo in braccio non appena era entrata in soggiorno ma sua
figlia le aveva scoccato un'occhiata gelida.
Georgiana si tolse i tacchi scalciandoli via e consegnò il
bambino a suo marito chiedendogli di pensarci lui al cambio mentre lei
accoglieva i suoi genitori.
Si voltò e si sedette su una poltrona, guardandoli con aria
stanca.
-Cosa volete?- domandò seccata ravvivando i capelli castani.
-Volevamo vedere nostro nipote, ecco cosa volevamo fare.- rispose il
padre.
-E perché diamine vi siete improvvisamente presi il
disturbo? Dopo tutto questo tempo?- le domande rimasero senza una
risposta e per qualche minuto nessuno parlò.
La signora Sullivan appoggiò la sua borsa a terra, accanto a
lei, e si tolse il cappello scuro che aveva indossato anche il giorno
della laurea di Georgiana.
-Credo che sia passato abbastanza tempo per ricominciare a comportarci
civilmente, mia cara. Rimaniamo i tuoi genitori.-
Georgiana alzò il sopracciglio, si alzò ed
andò a versarsi da bere in cucina. Quando tornò
con un bicchiere colmo di whisky solo per sé stessa si
concesse un piccolo sorriso di fronte ai suoi parenti.
-Non capisco cosa vi abbia portato a tali conclusioni, state per morire
di qualche malattia grave ed improvvisamente vi siete resi conto che
avere un genero medico è utile?-
-Georgiana!- esclamò la madre. -Cosa stai dicendo?-
sussurrò.
-Nulla, solo un'ipotesi. Sto cercando di capire per quale motivo siete
qui.-
Donald era sceso in tempo per sentire la risposta secca del suocero.
-Ovvio volevamo assicurarci che tu non fossi diventata una di loro. Qualunque
cosa tu voglia fare della tua vita … - si fermò
non appena notò il genero arrivare e prendere il bicchiere
di whisky che sua figlia stava sorseggiando e buttarlo giù
in un sorso.
-Credo che a mia moglie voi dobbiate più di qualche scusa.-
disse posando il bicchiere sul tavolino da tè.
-E con questo lei cosa c'entra?- scoppiò il suocero
guardandolo disgustato.
-Visto che non sembrate capaci di capirlo ve lo spiego ancora, la mia
scelta è irreversibile. Mio marito è
afroamericano, mio figlio e i figli che verranno saranno per
metà afroamericani. Per quanto tu possa tentare d'insinuarti
nella vita di tuo nipote, non si sveglierà una mattina
completamente bianco e con il tuo faccione quadrato. Sarà
sempre afroamericano. Quindi piantala!-
La signora Sullivan scattò in piedi e si avvicinò
di un passo. -Non pensi a me? A quanto sono stata in pena per te? A
quante cose mi sono persa? Sei la mia unica figlia.-
-Perché non siete onesti con voi stessi e non mi dite la
verità? Siete qui solo perché sapete che se
l'azienda finirà solamente in mano all'altro vostro figlio
finirà in rovina in pochi anni.- concluse amaramente.
-Come puoi pensare che siamo qui solo per motivi così
futili? Siamo diventati nonni e l'abbiamo scoperto quasi per caso a
casa del sindaco!-
Georgiana si morse le labbra e con le dita tremanti cercò di
sfilare la collana di perle.
Si avvicinò alla madre e gliela lasciò in mano.
-Adesso torna nella tua triste e grande casa e quando sarai a cena dal
sindaco pensa alle tante altre cose che ti perderai di tuo nipote Glenn
o dei suoi futuri fratelli.- aprì la porta della casa e li
scortò fuori.
Nessuno parlò e per un lungo momento Georgiana
fissò la porta chiusa di casa sua.
-Georgie … - mormorò Donald avvicinandosi ma la
moglie si voltò e con il volto asciutto e cupo gli disse di
muoversi che erano in ritardo per il pranzo del battesimo.
All'imbrunire spensero le luci della loro casa leggermente barcollanti
per i troppi bicchieri di vino rosso ingurgitato durante il pranzo e
una volta addormentato un stanco Glenn, gettarono via i propri vestiti
e s'infilarono a letto.
-Vuoi parlarne?- domandò Donald per l'ennesima volta durante
quella giornata.
Georgiana si sistemò meglio fra i cuscini. -No, Donald, non
c'è nulla di cui parlare.-
-Come nulla? E' la tua famiglia e vi siete detti delle cose
… -
Georgiana sbuffò e senza pensarci con la mano
cercò la collana per poi incontrare solo il collo nudo.
-Hanno tentato per troppo tempo di pilotare la mia vita, mi domando
perché si siano presi il disturbo di venire proprio oggi e
non quando li avevo chiamati.-
Donald aggrottò la fronte. -Quand'è che li hai
chiamati?- chiese sorpreso.
-Il giorno dopo la nascita di Glenn.- disse lei con la voce impastata
da lacrime silenziose. Suo marito la strinse a sé,
baciandole la testa più volte e domandandosi
perché non l'avesse fatta lui quella chiamata o
perché ne fosse rimasto all'oscuro per così tanto
tempo.
-Hanno fatto le loro scelte e ora che mio fratello si è
laureato con il minimo dei voti è logico che abbiano paura
che tutto ciò che hanno costruito con l'azienda scompaia nel
giro di qualche anno.- baciò il petto del marito. - Ma io
non sono in vendita e tu e i nostri figli non siete una merce di
scambio.-
-Perché usi il plurale?- chiese Donald invertendo le
posizioni e baciando distrattamente il mento e il collo della moglie.
Georgiana ridacchiò appena e si rilassò mentre il
marito la baciava e le sussurrava parole d'amore. -Perché
non mi dispiacerebbe avere altri figli.- rispose.
-Allora dobbiamo impegnarci, mi metto subito al lavoro.-
-Direi che dovremmo aspettare qualche mese, ma nulla ci vieta una prova
generale.-
Donald le ridacchiò e non si fece attendere.
Il pomeriggio successivo Donald rientrò in casa con un
piccolo pacchetto di velluto, all'interno una collana di perle che
allacciò al collo di Georgiana, asciugò le sue
lacrime e la baciò a lungo, promettendo a sé
stesso che sarebbe stato un marito migliore per sua moglie.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=2208706
|