Lezioni di Letteratura: Romeo & Juliet di Lusio (/viewuser.php?uid=123627)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Atto I° (Tanto per cominciare) ***
Capitolo 2: *** Atto II° (Notte bianca) ***
Capitolo 3: *** Atto III° (Quello che accadde il giorno dopo) ***
Capitolo 4: *** Atto IV° (L'essenza delle cose) ***
Capitolo 1 *** Atto I° (Tanto per cominciare) ***
Atto I (Tanto per cominciare)
- Romeo e
Giulietta.
Uno dei drammi di Shakespeare più conosciuti e
più rappresentati al mondo,
assieme ad Amleto e a Riccardo III. La storia d’amore
di due
giovani che, dopo una serie di vicissitudini, si tolgono la vita.
Nell’aula di Letteratura
della Dalton Academy si sentivano
solo le parole della professoressa Isabelle Plessis, il rumore che
facevano i
tacchi delle sue scarpe, lo strusciare delle penne sui quaderni di quei
pochi
studenti che stavano prendendo appunti. La professoressa Plessis
parlava con
voce bassa e un po’ roca con un accento che denotava le sue
origini francesi e
questo era uno di quei piccoli dettagli che avrebbero potuto renderla
un facile
bersaglio delle burle degli studenti ma nessuno ci avrebbe mai provato,
per un
semplice motivo: Isabelle Plessis non solo era una donna che sapeva
farsi
rispettare ma era anche molto affascinate. Lei era la prova vivente di
quello
che diceva sempre Sebastian sulle donne francesi: “Non
invecchiano mai”. E
infatti, a sessant’anni, la professoressa Isabelle Plessis
aveva un fascino
tutto suo: non era alta e aveva un fisico esile e magro, il viso aveva
rughe
lievi e quelle poche macchie cutanee, indici della vecchiaia, sotto il
fondotinta sembravano delle efelidi; la bocca era piccola e poco
abituata a
sorridere, i capelli, che portava legati in un elegante chignon, erano
di un
rosso sbiadito, che in gioventù doveva essere stato di una
sfumatura più
luminosa, con qualche filo argentato sulle tempie; e gli occhi
sembravano
racchiudere il verde cangiante delle foreste della Francia. Le sue
lezioni
erano le uniche che Nick e Jeff non interrompessero con chiacchiere o
videogame
nascosti sotto il banco, anzi erano le uniche alle quali prestassero
attenzione… sempre che “fissare insistentemente la
prof. con gli occhi da
maniaco e la bava alla bocca” fosse sinonimo di
“prestare attenzione”. Per non
parlare di James Kirk, talmente sicuro dei suoi soldi e del suo
fascino, che ci
provava con lei in maniera non tanto velata ogni volta che le chiedeva
un
approfondimento o un consiglio per una ricerca o quando le consegnava
un
compito, una mano sulla scrivania, una sul fianco, la cravatta
allentata e
l’occhio ammiccante da playboy. Ma la professoressa Plessis
non era tipo da
lasciarsi lusingare da simili attenzioni, anzi esigeva il massimo dai
suoi
studenti e per fortuna riusciva a mantenere vivo l’interesse
di chi la
ascoltava, modulando la voce in modo da non renderla monotona,
camminando per
l’aula e rivolgendo domande, di punto in bianco, ai ragazzi.
Per questo era
l’insegnante preferita di Kurt; a giudicare dal modo di
imporsi e dalla
dizione, sarebbe stato pronto a giurare che la professoressa Plessis
avesse un
passato da attrice.
- La storia dei due sfortunati amanti
di Verona è talmente
conosciuta e ha ispirato così tante storie che molti, al
giorno d’oggi, la
ritengono “sorpassata” o addirittura
“fuori moda”. Ma voler ridurre Romeo
e Giulietta semplicemente alla sua
superficie è sbagliato e fuorviante. Romeo
e Giulietta non è una triste storia di morte ma un
inno alla vita in ogni
sua forma, alla voglia e alla smania di vivere, all’amore
vissuto fino allo
stremo. Signor Smythe – continuò rivolgendosi a
Sebastian cogliendolo di
sorpresa – Signor Smythe, secondo lei perché Romeo
e Giulietta alla fine si
uccidono?
Sin dal primo giorno, Sebastian era
sicuro che la
professoressa Plessis avrebbe avuto un occhio di riguardo per lui,
essendo lei
francese ed essendo lui stesso vissuto per molti anni in Francia, ma si
era
dovuto scontrare con la realtà dell’intransigenza
di quella donna tanto
affascinante quanto fanatica dell’educazione.
- Ehm… be’,
credo… perché Shakespeare si è giocato
la carta
del sesso a metà della storia – provò a
rispondere Sebastian scatenando tra i
suoi compagni un lieve fruscio di risatine maliziose; la Plessis, senza
scomporsi, arricciò le labbra in maniera ironica, come se
volesse fare il verso
a quelli che ridevano.
- Grazie, signor Smythe –
disse lei – Adesso mi piacerebbe
sentire una risposta da uno che non abbia i neuroni collegati
unicamente ai
suoi genitali – continuò, zittendo tutti. Riprese
a passeggiare tranquillamente
tra i banchi, cercando anche solo un guizzo di timido interesse da
parte dei
suoi alunni. E alla fine lo trovò – Signor Hummel
– si fermò davanti al banco
di Kurt, in seconda fila – La vedo molto interessato; forse
lei sa dirci
perché, alla fine, Romeo e Giulietta si uccidono?
- Forse – rispose Kurt,
alzando gli occhi dal quaderno pieno
di appunti – potrebbe dipendere dalla loro età.
- Ecco, ci siamo! –
esclamò la Plessis, portando il dito
indice dalle sue labbra in direzione di Kurt –
L’età. Dettaglio non
trascurabile. Si possono fare pazzie ad ogni età per amore,
ma mai come quando
hai quattordici, quindici o sedici anni, quando tutto è
nuovo e inaspettato.
Quando ci si innamora per la prima volta ci si sente in grado di fare
tutto,
dallo smuovere le montagne allo scrivere stucchevoli
poesie d’amore; si pensa persino
di poter morire per amore, uno può trovarlo quasi giusto;
perdere la persona che
ami ti fa già sentire morto dentro, in un certo senso, e la
morte fisica non ti
sembra poi così terribile perché hai
già sofferto più di quanto potessi
immaginare. Se sei una persona matura puoi anche capire che la vita va
avanti.
Ma quando sei giovane, puoi decidere di lasciarti andare ai colpi di
testa, gli
altri ti accuseranno di incoscienza ma tu avrai semplicemente seguito
la tua
natura. Non è d’accordo col mio punto di vista,
signor Anderson? – si
interruppe notando la smorfia di disappunto che era comparsa sul volto
di
Blaine.
- No, professoressa, non mi trovate
d’accordo – rispose il
ragazzo tranquillamente.
- Per quale ragione?
- Non mi riconosco nella descrizione
che ha fatto del
giovane al suo primo amore. Sicuramente un simile atteggiamento poteva
non
essere… diciamo pure “strano” anni fa,
ma al giorno d’oggi i modi di fare e di
pensare sono diversi, le nuove generazioni sono molto più
ciniche e si tende a
banalizzare certi sentimenti e le priorità sono diventate
altre, per questo
certe pazzie fatte per amore sono non solo inutili, ma ridicole e
patetiche.
- Non vorrei sbagliarmi, ma non
è lei, signor Anderson, che
qualche mese fa ha fatto una serenata ad un commesso di GAP, per poi
ricevere
un due di picche, come si suol dire?
-
Ahia! Colpito e
affondato, Blaine! – esclamò teatralmente Nick,
seduto davanti a Blaine, mentre
il resto della classe si lasciava andare ad una risata più
libera, con la sola
eccezione di Kurt che tenne lo sguardo basso sul suo quaderno,
correggendo
approssimativamente la posizione di un punto o di una virgola, le
guance
arrossate… anche se non come quelle di Blaine.
- Sì, lo ammetto, questa
è un’eccezione – arrancò con
le
parole, il ragazzo – Ma non mi sono disperato più
del dovuto quando sono stato
rifiutato, anzi posso dire di stare bene oggi.
- Forse perché, in fondo,
lei non provava nulla di autentico
per quel ragazzo – replicò tranquillamente la
professoressa Plessis – Chi lo
sa, magari prima o poi, tra un anno o anche tra qualche giorno,
troverà o si
accorgerà dell’esistenza di una persona
“più particolare” delle altre, una per
la quale varrà la pena di fare qualche pazzia, non morire,
certo, ma una di
quelle pazzie tipo: spendere una vagonata di soldi per seguirla
dall’altra
parte del mondo, chiederle di sposarla con una dichiarazione in grande
stile.
Nella vita non si può mai sapere.
Blaine non rispose.
- Compito per la prossima settimana
– continuò la Plessis
ritornando alla cattedra – In questi giorni voglio che
studiate a fondo
quest’opera teatrale e con studiare non intendo semplicemente
leggerla e
analizzarla ma viverla, trovare qui fuori i sentimenti che sono
racchiusi in
quel libro: rabbia, amicizia, rivalità, amore. Alla fine non
dovrete scrivere
nessun compito o saggio. Voglio che parliate, semplicemente e
sinceramente.
- Professoressa – fece
Trent, alzando timidamente la mano –
è molto interessante come compito, ma il fatto è
che lo trovo un po’ difficile
da fare. Uno avrebbe bisogno di parecchio tempo per accumulare simili
esperienze e molti di noi non hanno un minuto libero nemmeno nel fine
settimana. Non credo che avremo molto da raccontare la prossima
settimana.
- Non è un problema che mi
riguarda – lo liquidò
tranquillamente la Plessis – Io vi ho assegnato un compito,
spetta a voi
trovare il modo più adatto per portarlo a termine. E come vi
ho detto, voglio
che parliate sinceramente, non pretendo la trama di un film
adolescenziale.
In quel momento suonò la
campanella.
- La lezione è finita.
Potete andare – li congedò la
professoressa, mettendosi a segnare le presenze sul registro.
- Professoressa – le si
avvicinò Jeff, mentre gli altri
prendevano le loro cose – Non è che, magari,
potrebbe convincere il preside e
gli altri docenti ad esonerarci dai compiti e a concederci delle libere
uscite
per questo fine settimana, così magari potremmo avere
abbastanza tempo per fare
quelle esperienze che ci sono state richieste dal suo compito. Insomma,
anche
noi abbiamo bisogno di qualche ragazza; solo perché siamo un
istituto maschile
non vuol dire che siamo tutti gay…
- Sebbene io ritenga la vostra
incoscienza sessuale un
argomento molto interessante, signor Sterling – lo interruppe
lei, senza alzare
gli occhi dal registro – devo ricordarle che la lezione
è finita. Le auguro una
buona giornata.
Sconfitto, Jeff raggiunse Nick alla
porta mormorando un “Ci
ho provato” a mezza voce.
Kurt era uscito dall’aula
ed era a metà del corridoio quando
si sentì afferrare per il braccio e voltandosi di scatto
incrociò un ansimante
Blaine; doveva aver recuperato i suoi libri e i suoi quaderni in fretta
e furia
ed essersi scapicollato fuori dall’aula ad una
velocità non consentita in un
istituto educativo.
- Blaine, ma che ti prende?!
– fece Kurt, appoggiando una
mano sulla spalla del ragazzo di fronte a lui, che stava cercando di
riprendere
fiato.
- Non volevo perderti di vista nel
cambio dell’ora – rispose
Blaine.
- Blaine, quanto puoi essere idiota
– replicò Kurt,
mollandolo e riprendendo il suo tragitto – Non ho bisogno
della guardia del
corpo qui.
- No, non intendevo…
scusami – incespicò Blaine, seguendolo
– E’ che, visto che abbiamo orari diversi per il
resto della giornata, volevo
sapere cosa ne pensi del compito della Plessis.
- Potevamo discuterne tranquillamente
stasera senza che tu
mettessi a rischio le tue coronarie.
- Mi conosci – rispose
Blaine, ridacchiando – Questo
pensiero mi avrebbe ossessionato per l’intera giornata, non
sarei riuscito a
concentrarmi durante le lezioni e i miei voti sarebbero collassati. Non
vorrai
mica essere responsabile delle mie carenze scolastiche?
- Dio ce ne scampi –
replicò con tono fintamente
melodrammatico Kurt – Comunque, devo dire che come compito
è veramente
interessante, per non dire strano. Al McKinley il massimo a cui si
può aspirare
in fatto di compiti è improvvisare delle mini scenette
recitate tratte dai
brani assegnati e solo quando c’è la supplente, la
professoressa Holiday.
- Sai già cosa fare?
- No – si limitò
a rispondere Kurt con una scrollata di
spalle – Tu invece? Hai qualche nuovo commesso di GAP da
corteggiare? –
scherzò, nascondendo una nota amara nella voce.
- Se fosse possibile, al momento
gradirei evitare qualunque
cosa che abbia a che fare con l’amore. Pensavo che non
esistesse niente di più
complicato dell’algebra. E invece mi sbagliavo di brutto.
- Visto così, questo
compito sembra l’opera di un sadico… e
senza spargimenti di sangue, il che è ancora più
terribile. Senti Blaine,
domani pomeriggio io e…
Kurt non riuscì a
concludere quello che stava dicendo perché
si sentì afferrare nuovamente per il braccio, stavolta con
più violenza di
prima. Senza che potesse nemmeno rendersi conto di cosa stesse
succedendo,
sentì due dita afferrarlo per le guance e girarlo, poi due
labbra umide sullo
zigomo e una voce bassa e fin troppo riconoscibile che urlò
“Oh Giulietta, mia
Giulietta!”
- Ma sei scemo! –
sbottò Blaine contro Sebastian che,
lasciato Kurt, stava correndo via ridendo come un pazzo – Ti
sei fatto male? –
si rivolse a Kurt.
- No, tranquillo – rispose
Kurt, asciugandosi il punto in
cui Sebastian lo aveva baciato e massaggiandosi la mascella –
Ho subito di
peggio.
- Quello dovrebbe seriamente rivedere
le sue priorità –
borbottò Blaine, infastidito, guardando nella direzione
presa da Sebastian.
- Non dargli retta – disse
Kurt, ricomponendosi e
riprendendo a camminare – Andiamo o faremo tardi a lezione.
- Cosa mi stavi dicendo prima che
“mister Simpaticone” ci
interrompesse?
- Ah sì. Domani pomeriggio
io e Mercedes andiamo a farci un
giro al centro commerciale di Lima: giriamo un po’ per i
negozi, ci mangiamo
qualcosa, prendiamo in giro le ragazze che spendono tutti i loro soldi
in mise
orribili – continuò strappando una risatina a
Blaine – E volevo chiederti se ti
andava di unirti a noi.
- Mi piacerebbe tanto; avrei proprio
bisogno di staccare un
po’ la spina, ma domani pomeriggio ho il corso
extracurricolare di Informatica
e il professor Hewet ci tiene alle presenze.
- Ah – si limitò
a rispondere Kurt, non riuscendo a
nascondere la delusione.
- Ma – fu lesto a
rispondere Blaine, notando le labbra di
Kurt ridotte ad una mesta linea dritta – magari, se riesco a
finire prima, vi
raggiungo – si sentiva in grande difficoltà quando
Kurt sembrava perdere il suo
buonumore, mentre riusciva ad esprimersi con maggior scioltezza quando
lo
vedeva sorridere. Questo era uno dei tanti motivi per cui Blaine
avrebbe voluto
avvicinarsi alla psicologia: come riusciva una persona a parlare
tranquillamente semplicemente guardando il sorriso di
un’altra? La risposta,
sicuramente, sarebbe stata uno di quei lunghissimi discorsi complicati
pieni di
“teoria del tale”, “sindrome del
tal’altro” e di “causa derivante
dall’influsso
dell’oggetto sul soggetto” e di altri mille
scioglilingua, Blaine poteva ben
immaginarlo.
- Non voglio che tu ti senta
obbligato – si schernì Kurt –
Era solo un’idea.
- Dai, ti mando un messaggio se mi
libero – Blaine non
demorse – Te l’ho detto che piacerebbe tanto anche
a me venire con voi. Non mi
perderei le vostre critiche da stilisti per nulla al mondo.
- Basta che mi prometti di non
correre in macchina.
- Promesso, papino – lo
sbeffeggiò Blaine dandogli un
colpetto con la spalla.
- A proposito di correre –
Kurt si fermò davanti alla porta
dell’aula di Storia, sul viso un sorrisetto crudele
– Io sono arrivato alla mia
destinazione ma, se non sbaglio, tu non dovresti essere a lezione di
Biologia,
adesso?
“Oh cazzo”
pensò Blaine; aveva completamente scordato di
dover andare nell’aula di Biologia… che si trovava
nell’ala opposta della
Dalton.
- Penso che ti convenga correre,
almeno per questa volta –
canticchiò crudelmente Kurt, gli angoli delle labbra di
nuovo alti, a sollevare
la carne delle guance sugli zigomi.
Blaine non gli diede nemmeno il tempo
di finire di parlare
che subito si era voltato e si era messo a correre, fendendo la folla
di
studenti ritardatari, la testa che già era al momento in cui
il professore lo
avrebbe strigliato per benino per il ritardo; al momento in cui, il
giorno
dopo, nell’aula di Informatica avrebbe spiato in
continuazione l’orologio,
aspettando la fine dell’ora; il momento in cui lui, Kurt e
Mercedes avrebbero
tastato i morbidi maglioncini esposti nei negozi
d’abbigliamento, ascoltato gli
ultimi successi nei negozi di dischi, detto ad alta voce che non si
è mai
troppo grandi per entrare in un Disney Store, ingozzatisi di muffin al
bar… ok,
solo lui e Mercedes, mentre Kurt avrebbe sgranocchiato uno dei suoi
“amatissimi” biscotti integrali, salvo poi
lasciarsi tentare da una porzione di
marmellata; al momento in cui Kurt avrebbe sorriso ancora,
perché quello
sarebbe stato il momento in cui avrebbe sorriso anche Blaine.
* * *
Tra le cose su cui si era
espressamente raccomandato Kurt
per il suo appuntamento con Mercedes, c’era il dettaglio
(importantissimo) di
non dire nulla a Rachel: avevano intenzione di prendere di mira
principalmente
i negozi d’abbigliamento e l’ultima cosa di cui
avevano bisogno erano i
consigli di una che si ostinava a vestire come una vecchia signora con
la fissa
per le fiere di paese.
Poterono, quindi, passare quel
pomeriggio come ai primi
tempi della loro amicizia, quando argomenti ora irrilevanti erano
ancora di
vitale importanza ai loro occhi di neo-adolescenti.
- Evitando di parlare di scalette e
canzoni per le Regionali
– disse Kurt, provando un berretto davanti allo specchietto
rotondo
dell’espositore – come vanno le cose tra le New
Direction?
- Come al solito – gli
rispose Mercedes che intanto si stava
provando una serie di occhiali da sole, di quelli che però
servivano a
ripararsi dal sole come ultima opzione – Non puoi immaginare
cos’è successo
questa settimana, poi. Rachel ha detto che qualcuno le ha messo del
lassativo
nel pranzo alla mensa e ha fatto scoppiare un putiferio: si
è messa a dire che
qualcuno di noi ha cercato di “sabotarla per soffiarle
l’assolo per le
Regionali”.
- Tipico di Rachel –
commentò Kurt con una smorfia di fastidio
al ricordo del carattere da diva consumata di Rachel.
- E dovevi vedere come il professor
Schuester la difendeva!
Ha attaccato con uno di quei suoi discorsi del tipo “Dobbiamo
restare uniti”,
“Rachel è la nostra arma vincente”,
“Rachel è la reincarnazione della Grande
Dea Creatrice del Mondo e dobbiamo farle da zerbini perché
non siamo degni di
stare alla sua presenza”; insomma, le solite cose.
- Questa è una di quelle
cose che non mi mancano del
McKinley.
- Alla fine, nella lista dei
sospettati siamo finiti io,
Santana e Puck anche se sospettiamo tutti di Brittany –
concluse Mercedes con
una risata; anche Kurt la seguì posando allegramente il
berretto al gancio e
prendendo la ragazza sottobraccio ed uscendo dal negozio in pieno stile
“Mago
di Oz” – E alla Dalton come vanno le cose?
– si informò Mercedes.
- Sarà anche una scuola a
“tolleranza zero per il bullismo”,
ma le teste di cazzo si trovano anche lì; e nei Warblers
c’è sempre una
continua lotta per gli assoli, sembra di avere a che fare con un
esercito di
Rachel Berry in blazer. Incomincio a credere che tutta quella facciata
di
gruppo corale formato da super amiconi democratici sia una montatura
per
confondere gli avversari.
- Sai benissimo cosa voglio dire
– replicò Mercedes, alzando
gli occhi al cielo – Tu e Blaine siete ancora in
modalità “amici e basta” o
avete finalmente deciso di diventare “amici che si esplorano
le tonsille a
vicenda”? – ridacchiò ricevendo per
tutta risposta una lieve gomitata nel
fianco dal ragazzo.
- Per favore Mercedes evitiamo certi
discorsi – sibilò Kurt.
- Perché? – fece
lei, stupita – Siete tutti e due giovani,
belli, con molte cose in comune e, a giudicare dalle vostre ultime
cotte,
seriamente bisognosi di un qualche tipo di rapporto più
approfondito. Se certe
cose non si fanno alla nostra età, allora quando?
- E che mi dici della
“tua” vita sentimentale?
A quella domanda Mercedes si
zittì, stringendo le labbra in
una smorfietta imbarazzata.
- Touché – si
limitò a dire – Scherzi a parte, veramente non
state provando a far evolvere le cose tra voi due?
- Ma perché dovremmo? Solo
perché siamo tutti e due gay? Sì,
è vero, non nego di averci fatto un pensiero quando
l’ho conosciuto, ma dopo
tutto quello che è successo tra noi… sicuramente
Blaine aveva ragione: abbiamo
una bellissima amicizia, stiamo bene tutti e due così come
siamo. A che
servirebbe rischiare di rovinare tutto con una relazione che non
sappiamo
nemmeno se e quanto durerà?
Involontariamente, Kurt concluse quel
discorso con un
sospiro che gridava a gran voce “frustrazione”,
“rassegnazione” e “sono stufo
marcio di aspettare”. Se Mercedes gli avesse chiesto se
preferiva avere Blaine
come amico o come fidanzato o ragazzo, non avrebbe assolutamente
nascosto di
aver preferito mille volte la seconda opzione, ma se c’era
una cosa che la vita
gli aveva insegnato, a parte che il peggiore degli outfit poteva
passare per un
capolavoro della moda se indossato nel modo giusto, era che non
c’era niente di
più fragile del rapporto esclusivo tra due persone;
già un’amicizia poteva
avere una data di scadenza che nessuno conosceva e
l’amore… stesse modalità ma
più doloroso. In fondo, anche questa era una cosa che lui e
Blaine avevano in
comune: talmente terrorizzati dal pensiero di perdere qualcuno per uno
sbaglio
da preferire un’amicizia priva di scossoni; e sebbene, in
alcuni momenti,
sembrasse tutto irreale e di circostanza, Kurt non avrebbe mai
rinunciato a
quello che avevano.
- E’ meglio così
– disse – Lo preferiamo entrambi.
- Se è questo che
preferite – replicò Mercedes con
un’alzata
di spalle – Ciò non toglie che siete due idioti,
lui perché dice queste cose,
tu perché ci credi.
Proprio mentre Mercedes pronunciava
il “ci credi” si sentì
il trillo del cellulare di Kurt dalla tasca del ragazzo che lo prese e
rispose
– Blaine.
- Parli del diavolo –
ridacchiò Mercedes.
- Dove sei? –
continuò Kurt parlando al telefono.
- Sono entrato proprio adesso nel
centro commerciale – gli
rispose la voce Blaine – Voi dove siete?
- Siamo al piano di sopra, vicino al
bar – rispose Kurt – Ti
aspettiamo dentro.
- Spero che non siate ancora andati
al Disney Store –
continuò Blaine e, a giudicare dal fiatone, stava correndo
di nuovo; sempre per
raggiungerlo – E, comunque, poco importa; anche se ci siete
già stati, ora che
ci sono anch’io, è d’obbligo una visita.
- Va bene, piccolino – lo
prese in giro Kurt entrando nel
bar con Mercedes – Intanto, papà ti ordina un
muffin al cioccolato.
- Non ho bisogno di altri incentivi,
sto già correndo –
rispose Blaine.
Kurt terminò la telefonata
con un sorriso per poi vedere
Mercedes che lo fissava con un sopracciglio sollevato.
- “Piccolino”?
“Papà”? Siete passati ai
“giochi di ruolo”
con una sola telefonata?
- Oh, guarda Mercedes –
Kurt corse ai ripari, già sapendo
che l’amica sarebbe ritornata alla carica, indicandole un
tavolino – Lì ci sono
dei posti con i nostri nomi scritti sopra. Deve essere un segno del
destino,
andiamo – e la trascinò al centro del bar senza
darle il tempo di replicare.
Si sedettero e subito una cameriera
munita di una penna e di
un block notes si avvicinò a loro per le ordinazioni e
proprio mentre Mercedes
chiedeva una cioccolata calda e Kurt un cappuccino medio, Blaine
“piovve”
letteralmente accanto a loro, su una sedia rimasta vuota, e con un tono
di voce
strozzato che gli usciva dalla bocca aperta in un sorriso a trentadue
denti
disse – Muffin!
- E un muffin al cioccolato per lui
– disse Kurt alla
cameriera.
- Facciamo due – disse
Mercedes – Anzi tre. Conto sulla
presenza di Blaine per farti mangiare come noi, almeno per questa
volta.
Il resto della giornata
passò in quella maniera doppiamente
spensierata per Kurt, con l’amica e l’amico che
sarebbe potuto essere qualcosa
di più, senza particolari avvenimenti, una giornata alla
quale bastano le cose
più semplici per rimanere nel cuore di chi la vive. Un
muffin condiviso, una
corsa all’indietro sulle scale mobili, saltare da un negozio
all’altro,
spendere un bel po’ di soldi in peluche della Disney.
- Ditemi quello che volete, ma
Malefica vale tutte le
Principesse Disney – disse Mercedes, ammirando il suo peluche
di Malefica –
Questa mi terrà compagnia nei momenti in cui sarò
di malumore per i problemi
d’amore. A proposito di “problemi
d’amore” – continuò rivolgendo
ai due ragazzi
un’occhiata che a Kurt non piacque per niente – con
il vostro permesso, dovrei
andare alla toilette delle signore.
- E cosa centrerebbe con i
“problemi d’amore”? –
sbottò
Kurt, sconvolto.
- Fidati “cioccolatino
bianco”, un giorno mi ringrazierai –
Mercedes gli fece l’occhiolino ed entrò nella
toilette più vicina.
- Cosa voleva dire? –
chiese Blaine, confuso.
- Ha comprato un peluche di Malefica;
ha preso una tartina
alla carota al bar; è ovvio che è impazzita
– disse Kurt, poi notò l’insegna
del negozio di fronte a loro: abbigliamento da notte; a quanto
sembrava,
scrivere semplicemente “pigiami” non sarebbe stato
abbastanza elegante – Be’,
visto che siamo qui, entriamo un momento. Avevo proprio bisogno di un
pigiama
nuovo.
I due ragazzi entrarono: quello era
un normale negozio
d’abiti immerso nell’atmosfera ovattata di un gran
hotel che si prepara ad
andare in letargo: manichini coperti da morbidi pigiami e vestaglie,
scaffali
con indumenti piegati a mo’ di cuscini, grucce che esibivano
capi
d’abbigliamento come le cortine di un letto a baldacchino.
Blaine si immerse
tra quelle cortine col naso per aria, mentre Kurt buttava un occhio sui
pigiami
negli scaffali; ad attirare la sua attenzione fu un pigiama di taglio
primaverile di stoffa leggera color blu notte, i bottoni del colletto
erano di
un azzurro nuovo e luminoso. Passò l’indice sul
secondo bottone, tastandone la
liscia morbidezza un po’ fredda tipica di un oggetto mai
toccato. Mentre il
dito percorreva quel minuscolo cerchio, gli tornò in mente
il ricordo di un
gesto simile che faceva quando era piccolo, un gesto rassicurante e
denso di
momenti a lungo addormentati nella sua memoria. Quattro o cinque anni;
sì,
doveva avere più o meno quell’età
l’ultima volta che aveva passato l’indice su
un bottone in quel modo.
- Ah, Kurt! – sentendo la
voce di Blaine dietro di sé, Kurt
ritirò la mano; voleva mantenere solo per sé quel
ricordo – Mi ero dimenticato
di dirti che Nick e Jeff hanno organizzato una “notte
bianca” per domani alla
Dalton; nulla di troppo estremo o chiassoso, vogliono evitare problemi,
è solo
un modo per passare una notte in compagnia. Naturalmente anche tu sei
dei
nostri.
- In questo caso, un elegante pigiama
nuovo è d’obbligo –
rispose Kurt sorridendogli e facendo per rimettersi a cercare tra gli
scaffali
quando un gesto di Blaine lo bloccò.
Quasi con nonchalance, Blaine
passò l’indice nello stesso
identico modo, sullo stesso bottone azzurro toccato da Kurt; non poteva
averlo
notato, anche mentre parlavano Blaine continuava a girare la testa in
ogni
direzione per vedere la merce esposta. Anche per lui era stato un gesto
semplice e naturale. Un’altra piccola cosa che li aveva uniti
in un istante
della loro storia.
- Mi ricorda il colore dei tuoi occhi
– mormorò Blaine
guardando il bottone.
Quando uscirono dal negozio per
recuperare Mercedes (e anche
Malefica) Kurt aveva una busta di carta con il logo del negozio; dentro
c’era
il pigiama blu notte con i bottoni azzurri.
Nota
dell’autore
Salve a tutti, eccomi di ritorno. E
come sempre non
rispettando quanto detto in precedenza. Avevo detto solo OS per il
momento ed
ecco che sforno una mini-long.
Be’, non credo che sia un
male… dipende sempre se questa ff
sarà o non sarà di vostro gradimento.
Da quanto si sarà capito e
da quanto scritto nelle note
introduttive, questa storia si colloca durante la seconda stagione, con
i
dovuti maneggiamenti d’autore, presenza di Sebastian in
primis; diciamo che mi
stuzzicava l’idea di prendere in mano l’inizio
della storia d’amore tra Kurt e
Blaine e farne un versione “secondo me…”
Non aspettatevi nulla di eclatante;
non ci saranno
avvenimenti sconvolgenti, colpi di scena ed altro. Stavolta ho
preferito puntare
sulla portata dei sentimenti dei personaggi. Non sarà un
capolavoro di trama ma
almeno è qualcosa che sono riuscito a portare a termine,
bene o male e senza
nemmeno tanti rimpianti o timori. Ma credo che si potrà dire
che è una cosa
buona solo dal prossimo capitolo.
Il personaggio della professore
Isabelle Plessis è ispirato
ad una delle più grandi attrici francesi della vecchia
guardia: Isabelle
Huppert, famosa per aver recitato in film come “La storia
vera della signora
delle camelie”, “Madame Bovary”,
“Il buio nella mente”, “8 donne e un
mistero”
e “La pianista”. In questa fic. me la immagino
così: https://www.facebook.com/photo.php?fbid=414736711978163&set=pb.162610203857483.-2207520000.1378984224.&type=3&src=https%3A%2F%2Ffbcdn-sphotos-g-a.akamaihd.net%2Fhphotos-ak-frc3%2F970169_414736711978163_539518790_n.jpg&size=289%2C409
Chiedo perdono a chi shippa Niff, ma
per il mio solito amore
della credibilità non potevo fare una Dalton Academy formata
da tanti ragazzi
gay, quindi ho dovuto mostrarli etero; ma almeno la loro pazzia (ormai
canon,
possiamo dirlo) è rimasta invariata.
E ci tengo a precisare che il
racconto si Mercedes non è
inteso come una presa in giro nei confronti di Rachel ma di Schuester
che mi
sta scendendo troppo; e poi non sono cose inventate: nelle prime due
stagioni
lui tende veramente a piazzare in prima linea Rachel e anche Finn.
Non penso di avere altro da dire. Il
prossimo capitolo
arriverà la prossima settimana, non so se sempre di
giovedì o un altro giorno,
dipende dai miei impegni. Spero comunque di avervi incuriosito con
questa
introduzione.
Per qualsiasi cosa, mi trovate alla
mia pagina fb: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
E se volete pormi qualche domanda mi
trovate anche su ask: http://ask.fm/LusioEFP
Ciao a tutti e alla prossima
settimana ; )
Lusio
P.S. Un saluto da Malefica (per
gentile concessione della
signorina Mercedes Jones) http://cdn.s7.disneystore.com/is/image/DisneyShopping/1261000440006?$mercdetail$
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Capitolo 2 *** Atto II° (Notte bianca) ***
Atto II° (Notte bianca)
- Per quanto possiamo, concediamoci
una botta di vita –
aveva detto Nick Duval quando aveva proposto l’idea della
notte bianca. I
Warblers si sarebbero riuniti nella sala prove passata la mezzanotte
per
divertirsi “senza eccedere”. Per evitare problemi
avevano corrotto Neil, il
custode, con una confezione di lattine di birra e una stecca di
sigarette per
tappargli occhi e orecchie, almeno fino alle tre di notte, massimo le
quattro.
L’ideale sarebbe stato far entrare qualche ragazza alla
Dalton ma ciò avrebbe
richiesto più tempo solo per ideare un piano e quella
festicciola era una scusa
per il compito della professoressa Plessis, o meglio, il compito era
una scusa
per la festicciola; la professoressa aveva detto loro di
“vivere” Romeo e Giulietta?
Be’, la festa c’era
nel dramma; mancavano le ragazze ma era pur sempre una festa
– Aiuterà la
componente gay ufficiale e non del nostro gruppo – aveva
scherzato Jeff; il
resto di loro avrebbe rimediato nel week end quando sarebbero usciti
fuori, nel
“mondo libero”.
Comunque sia, la notte tra
venerdì e sabato, a mezzanotte,
tramite messaggi di “via libera” sul cellulare, i
componenti dei Warblers
uscirono dalle loro rispettive stanze in pigiama, vestaglia e
pantofole. Nei
corridoi bui, illuminati dal bagliore lunare riflesso sui pavimenti e
sulle
pareti attraverso le ampie finestre, risuonarono passi leggeri e
risatine
soffocate lungo il tragitto che portava nella sala prove; a
quell’ora di notte,
senza le luci, sembrava molto più ampia e spaziosa. Forse
ciò dipendeva anche
dal fatto che non tutti erano presenti: alcuni avevano ceduto al sonno
sopra i
libri e i quaderni.
- Bene Warblers –
sussurrò Nick modulando la voce in modo da
dare l’impressione di una persona con la raucedine che cerca
di urlare – Diamo
inizio alla nostra “Notte Bianca Shakespeariana”.
- Vediamo di non farci scoprire
– intervenne Thad, l’unico
del Consiglio presente – Siamo già ai limiti del
consentito.
- Per me questo è ancora
troppo poco – disse Sebastian,
alzando un po’ troppo la voce – Non è
una vera festa se non ci sono luci
stroboscopiche, birra a fiumi, fumo e bei ragazzi disponibili.
- Sebastian vuoi chiudere la bocca?!
Ci sentiranno – gli
andò contro Thad.
- Potresti chiudermela tu la bocca,
Thaddino caro – sussurrò
con voce più bassa Sebastian, riducendo ancora di
più la distanza tra lui e
Thad – Ti ho mai detto quanto io ti trovi particolarmente
invitante quando sei
arrabbiato?
- Deficiente –
sbottò Thad, spingendolo via.
- Problema risolto, gente –
disse Jeff, come se quel breve
scambio di battute non fosse avvenuto – Io ho tenuto da parte
qualche birra – e
posò sul tavolino al centro della sala una confezione di
bottiglie di birra.
- Io ho portato gli snack –
disse Trent lasciando cadere
accanto alle birre il suo carico di biscotti e patatine varie.
- Cerchiamo di non sporcare
– intervenne nuovamente Thad.
- Thad, non rompere! – lo
liquidò Nick che aveva già
afferrato una birra.
- Al fumo ci ho pensato io. Se avete
voglia di rollarvi
qualche sigaretta, eccovi accontentati – disse James Kirk
mostrando una
confezione di tabacco ed una di cartine e filtri. A
quell’invito risposero
Sebastian, Nicholas e, dopo un po’, anche Thad; Nick,
impegnato a bere, fece
capire con un gesto della mano di lasciarne anche per lui.
Si trovarono quindi divisi in piccoli
gruppi dispersi per la
sala buia. Chi presso la finestra a fumare, chi al tavolino a mangiare
e chi
stravaccato sul divano a bere birra e in ogni punto si chiacchierava. E
le
chiacchiere, come ogni festicciola che si rispetti, vertevano sugli
argomenti
più futili che potessero esistere.
- Devo ricordarmi che siamo in una
scuola maschile; e il mio
nuovo abbigliamento da notte non può essere apprezzato come
merita – disse Kurt
stiracchiandosi sonnacchiosamente sul divano, passando le mani lungo il
petto
coperto da pigiama nuovo e vestaglia – Credo che lo
userò per il prossimo
pigiama party con Mercedes e Rachel.
- Per quel che vale la mia opinione
– gli rispose Blaine
seduto accanto a lui; a differenza di Kurt, aveva una canottiera e i
pantaloni
della tuta – ti trovo molto elegante; perfettamente intonato
con l’ambiente.
- Più di altri sicuramente
– commentò sottovoce Kurt
guardando gli assurdi boxer di Jeff che venne verso di loro con una
bottiglia
di birra in mano.
- Ehy, ragazzi – disse
porgendo loro la birra – volete
favorire anche voi?
- No grazie, io passo – si
schernì Kurt – Non riesco proprio
a farmi piacere la birra.
- Io ne prendo giusto un poco
– disse invece Blaine,
prendendo la bottiglia – Solo questa. Preferirei non
strafare, non sono un
bello spettacolo quando mi ubriaco.
- Allora, visto che vi fate buona
compagnia anche tra di voi
– fece Jeff, ridacchiando – vi lascio da soli; fate
pure quello che volete,
tanto non c’è illuminazione e…
be’, sapete anche voi cosa ci ha assegnato la
professoressa Plessis – e ritornò al tavolo degli
snack, non prima di aver
fatto loro l’occhiolino.
“Prima Mercedes, adesso
Jeff” pensò Kurt; non riusciva a
capire per quale motivo sembravano comportarsi tutti come degli
aspiranti
assistenti di Cupido con lui e Blaine. “Ma una vita
sentimentale tutta loro non
ce l’hanno?”
- Ti piace Romeo
e
Giulietta? – gli chiese Blaine, bevendo la sua
birra a piccoli sorsi, per
riprendere la conversazione – O magari preferisci
un’altra opera di Shakespeare?
- Mi piace Romeo
e
Giulietta ma devo confessare di essere uno di quelli che la
ritengono un
po’ sorpassata, per colpa dell’eccessivo utilizzo
che ne hanno fatto in film e
parodie, più che altro.
- Per non parlare degli sketch
pubblicitari! – ridacchiò
Blaine, facendo ridere anche Kurt – La penso
anch’io così, deve essere per
questo che preferisco “La Tempesta”: è
l’ultima, ha il dramma, ha la commedia,
ha il fantastico, ha tutto. Ed è poco utilizzata il che la
rende ancora più accattivante.
Tu, invece, quale preferisci?
- In tutta sincerità
– rispose Kurt, mordicchiandosi il
labbro inferiore – non sono molto affezionato alle opere
teatrali
shakespeariane.
- E perché?
- Prova tu ad apprezzare qualcosa del
genere quando ti
costringono ad indossare una testa d’asino in una
rappresentazione di “Sogno di
una notte di mezza estate” alle elementari.
Blaine rischiò di
strozzarsi con la birra al pensiero di un
Kurt bambino in giubba e calzamaglia e con una testa d’asino
di cartapesta che
rendeva ogni suo movimento precario e impacciato. Un’immagine
divertente e
tenera… ma soprattutto divertente. Kurt rispose a quello
scoppio di ilarità con
un calcio sulla gamba di Blaine che si chiuse a riccio sul divano,
cercando di
soffocare le risate che rischiavano di diventare troppo rumorose, la
mano che
sosteneva a fatica la bottiglia.
- Smettila di ridere! –
fece Kurt incavolandosi.
- Sì, sì,
scusami. Adesso la smetto – disse Blaine cercando
di ricomporsi – Ma allora, Shakespeare non ti piace proprio?
- Mai detta una cosa simile. Non vado
matto per le sue opere
teatrali.
- Ti piacciono i Sonetti,
allora – non era una domanda. Blaine precedette Kurt con
quell’affermazione.
- Sì, molto – si
limitò a dire Kurt, stendendo le labbra in
un sorriso al ricordo di qualche verso che più di tutti
l’aveva colpito e che
teneva conservato nella sua anima. Frusciante come i lembi della sua
vestaglia.
Gorgogliante come le bollicine nella birra, in quel momento molto
più
apprezzabile per il contrasto tra il verde scuro della bottiglia e
dell’ombra
olivastra della mano di Blaine che la stringeva.
- Me ne fai bere un po’?
– si permise di chiedergli.
- Avevi detto che non ti piace la
birra – disse Blaine.
- Mi è venuta voglia di
riassaggiarla. Magari i miei gusti
sono cambiati.
Blaine gli allungò
titubante la bottiglia, mentre tanti
pensieri gli si accavallavano in testa: non c’erano
bicchieri, nessuno aveva
pensato a portarli, come avrebbe fatto Kurt a bere? Ma Kurt, a
differenza di
lui, questa volta aveva la testa semi vuota, piena solo di stanze
semibuie,
bottiglie verdi e occhi nocciola con sfumature d’oro. Prese
la bottiglia dalla
mano di Blaine senza indugio e se la portò alla bocca. Solo
allora ebbe come un
risveglio: stava toccando con labbra e lingua una cosa che era stata
toccata
dalle labbra e dalla lingua di Blaine, ne cercava il sapore attraverso
quello
acre della birra ma ne avvertiva solo un accenno ferroso che,
però, si perdeva.
Poteva sentirlo solo perché sapeva che doveva esserci. Senza
rendersene conto,
aveva bevuto più di quanto era nelle sue intenzioni e, con
la stessa velocità
con cui aveva preso la bottiglia, la restituì a Blaine che
lo guardava con
occhi spalancati.
- Ti è piaciuta questa
volta? – si informò, incuriosito dal
modo in cui Kurt aveva bevuto.
- No – rispose il ragazzo,
arricciando le labbra – Confermo
quanto ho detto prima: non mi piace – si lasciò
poi andare sullo schienale del
divano passandosi una mano sulla fronte – Oh, Dio! Mi gira la
testa. Temo stia
iniziando a venirmi sonno.
- Non sei abituato a bere birra, e ne
hai anche bevuta una
bella sorsata – disse Blaine strofinandogli una spalla con la
mano – Tra un po’
ti passerà, tranquillo. Non credo nemmeno che vomiterai. Se
vuoi mi alzo così
puoi stenderti un poco.
- No, non voglio rischiare di
addormentarmi. E poi, mi sta
già passando.
Senza accorgersene, intanto, Blaine
si era portato
nuovamente la bottiglia alle labbra e l’immagine di Kurt che
aveva bevuto a sua
volta da quella stessa bottiglia solo due minuti prima lo
investì in pieno come
un’onda. La saliva di Kurt mischiata alla sua. Tutte e due
unite alla birra.
Questa volta toccava a lui sentire la testa che gli girava. Un
po’ fu contento
che Kurt avesse gli occhi chiusi; si sarebbe sentito fin troppo
depravato e
perverso a bere davanti a Kurt, ora come ora. Ma, forse per
l’orario, forse per
lo studio dell’intera giornata, forse un po’ per la
birra, iniziava a sentirsi
stanco anche lui. Chissà tutti gli altri come facevano ad
essere ancora lucidi
e pimpanti… ok, magari non proprio lucidi.
- Bene, ragazzi – disse
Nick tutto ad un tratto – Diamo
inizio alle danze.
- Non avrete intenzione di accendere
la radio, spero! –
saltò su Thad, tossendo, una sigaretta tra le dita.
- Per favore, Thad! – gli
rispose Nick, ridendo, indice del
fatto che doveva aver alzato un bel po’ il gomito –
Siamo o non siamo Warblers?
Non abbiamo bisogno della radio. Forza ragazzi.
Con un caos, e una tremenda mancanza
di coordinazione nelle
loro voci e nelle loro bocche, alcuni ragazzi iniziarono ad intonare, o
almeno
ci provarono, un motivetto a cappella ma non essendosi messi
d’accordo tra di
loro vennero fuori tanti motivi diversi. Ma il misto di birra, fumo di
sigaretta, snack e sonno rendeva quella confusione armoniosa alle loro
orecchie.
- Suonate, gorgheggiate –
continuò Nick, euforico – O se non
state facendo né l’una né
l’altra cosa, ballate, che qui nessuno giudica – e
afferrando Jeff per un braccio iniziò a fare con lui la
parodia di quello che
doveva essere un romantico ballo da sala. L’effetto era
quanto mai ridicolo e
comico.
- Ti va di ballare? –
chiese Kurt a Blaine approfittando
della libertà mentale che quella dose di alcol assunta gli
aveva dato.
- Perché no? –
rispose Blaine incoraggiato dallo stesso
senso di libertà. Lasciò scivolare sul pavimento
la birra ormai vuota e si tirò
su, incespicando lievemente, aiutando Kurt ad alzarsi a sua volta
prendendolo
per mano.
Colto da una leggera vertigine, Kurt
si aggrappò alle spalle
di Blaine; in quel momento gli venne da pensare quanto fosse
più basso di lui,
anche se non esageratamente, e il pavimento in parquet sembrava avesse
intenzione di ballare assieme a loro. “Se sollevo entrambi i
piedi potrei
ritrovarmi sospeso a mezz’aria” pensò
“Se anche Blaine lo fa con me, magari
potremmo volare insieme come in Casper.
Quanto mi piace quel film; e quanto amo quella colonna sonora. Ma i
ragazzi
cosa stanno cantando? Non importa, fingerò che stiano
facendo quella musica. E’
più bello così.”
Quei pensieri si persero nello spazio
circostante la sua
testa, svuotandola. Si appoggiò completamente a Blaine che
lo cinse a sua volta
lasciando che i suoi muscoli facciali si rilassassero in un sorriso
beato.
L’odore di Kurt lo tranquillizzava e lo faceva sentire
più allegro; doveva
essere il suo bagnoschiuma alla vaniglia. Quanto era morbida la
vestaglia che
indossava. Non sentiva cosa stessero cantando gli altri, nella testa
aveva una
di quelle litanie che conciliano il sonno, le note di un carillon, i
tasti di
un pianoforte. E quell’odore di vaniglia. La curva del collo.
La lieve peluria
poco prima dei capelli. Il lobo dell’orecchio. La guancia.
Era tutto caldo e
palpitante, più sensibile. La sua pelle sembrava illuminata
eppure la stanza
era in penombra. Blaine aveva l’impressione di passare le
labbra su una pesca.
Una dolce, soffice, calda pesca al profumo di vaniglia. Era tutto
così morbido.
Tra le sue braccia.
Un mugolio lo riscosse.
Ma cosa stava facendo? Stava
abbracciando Kurt? No, anche
Kurt lo stava abbracciando; insomma, stavano ballando. Ma Blaine aveva
fatto
un’altra cosa, senza rendersene conto. Lo aveva baciato. Tra
il collo e
l’orecchio. Lo aveva baciato!
“Maledetta
birra!” pensò con un misto di rabbia, vergogna e
frustrazione.
Sollevò la testa e,
attraverso gli occhi appannati, scorse,
nella penombra della luna, il viso di Kurt a pochi centimetri dal suo;
sembrava
un bambino, smarrito e disorientato. Blaine si sentì male.
Pensò al bacio che
Dave Karofsky aveva rubato a Kurt; a quello che Sebastian gli aveva
dato, senza
veri sentimenti, solo per gioco, l’altro giorno nei corridoi.
Adesso anche lui,
che gli era amico, che lo rispettava, che gli voleva bene. No, non
sopportava
di non vedere il sorriso sul volto di Kurt; non sarebbe riuscito a
sopportare
nemmeno la delusione.
- Dio Santo, scusami –
biascicò, lasciandolo andare e allontanandosi
verso la porta che conduceva alla toilette. Voltandogli le spalle non
si
accorse che Kurt teneva ancora le braccia tese verso di lui.
Quando ebbe acceso la luce in bagno
rimase per un po’
frastornato dal bianco delle piastrelle dopo quelle ore passate al
buio. Sentì
un dolore martellante alle tempie e un senso di nausea salirgli alla
gola.
Brancolò fino al lavandino e iniziò a sfregarsi
il viso con acqua fredda
portandosi qualche goccia alla bocca per poi sputarla. Era stanco.
Adesso aveva
solo voglia di andare a dormire, anzi si sarebbe addormentato
lì in bagno
probabilmente, con la testa appoggiata al lavandino se non avesse
sentito la
porta aprirsi e, dopo un istante, veder comparire Nick e Jeff dietro di
lui,
riflessi nello specchio.
- “Buon pellegrino, tu fai
torto alla tua mano” – recitò
pomposamente Nick buttandosi a peso morto sulla schiena di Blaine
– “che ha
dimostrato solo devozione e”… e… e la
mia memoria si ferma qui, e non credo
nemmeno di averlo detto correttamente.
- Nick, per favore, non ho proprio
voglia di sentirti
scimmiottare Shakespeare – disse Blaine, scrollandoselo di
dosso.
- Vorremo solo sapere
perché hai mollato il povero Kurt in
mezzo alla stanza senza nemmeno aver concluso il vostro ballo
– disse Jeff –
Eravate così carini.
- Avete visto cosa ho fatto?
– sbottò Blaine, che iniziava
ad innervosirsi seriamente.
- Cosa? – chiesero gli
altri due all’unisono.
- L’ho baciato –
rispose Blaine a denti stretti – L’ho
baciato sul collo.
- Capirai! –
esclamò Nick – Io e la mia ex al nostro primo
appuntamento abbiamo fatto sesso.
- Che problema
c’è, Blaine? – chiese Jeff –
Non mi sembra
che a Kurt sia dispiaciuto.
- Non capite – fece Blaine
– Kurt non ha dei trascorsi
felici con questo genere di cose e che sia proprio io ad oltrepassare
il suo
spazio personale senza che lui lo voglia… non voglio
rischiare di fargli male.
- Te le ha dette lui queste cose?
– chiese Jeff.
- Be’, no… ma io
penso…
- Blaine, tu non devi pensare!
Sappiamo tutti che non è il
tuo forte. Pensi davvero che Kurt sia questo essere indifeso che sembra
essere
a vederlo? Non credo proprio. Fidati, ho lottato contro di lui per un
assolo e
stava per sbranarmi, letteralmente. Forse lo hai baciato
perché hai bevuto
qualche birra di troppo, forse perché volevi farlo, comunque
la cosa migliore
che puoi fare è ritornare in sala e chiedere a Kurt se gli
va di parlarne.
Parlarne non potrà che farvi bene, in ogni caso.
- E faresti bene a prendere una
decisione alla svelta –
disse Nick che si era appoggiato allo stipite della porta del bagno
lasciata
semi aperta e guardava nella stanza con interesse – Sembra
che Sebastian abbia
intenzione di infilarsi nei pantaloni di Kurt.
E a quelle parole, Blaine
sentì il sangue andargli alla
testa.
* * *
A Kurt quella situazione non piaceva
per niente. Non capiva
nemmeno come si fosse trovato in una situazione del genere. Un momento
prima
stava ballando con Blaine e quello dopo si trovava, senza capire come,
con
Sebastian Smythe avvinghiato a lui. Pur con la mente leggermente
intontita
dall’acol, sentiva benissimo la differenza che
c’era tra l’uno e l’altro. Il
mondo dolce, delicato, col quale Blaine lo aveva tenuto a
sé, facendolo
ballare, le mani che gli accarezzavano pigramente le scapole, il modo
in cui le
sue labbra gli avevano accarezzato il collo, il suo respiro lieve come
se
avesse avuto paura di turbarlo troppo. E adesso c’erano le
mani di Sebastian
che tastavano il suo corpo senza tanti complimenti, avvicinandosi un
po’ troppo
al suo sedere, e la sua voce roca che mormorava sconcezze, che Kurt
sperava di
dimenticare il giorno dopo, anche se non riusciva a stargli dietro e a
capirlo.
- … questa serata da
sfigati… la mia stanza… ho voglia… il
mio… la tua bocca… culo spettacolare…
- Lasciami stare –
biascicò Kurt stancamente, tentando di
liberarsi dalla presa di Sebastian; ma quest’ultimo non
mollava la presa, anzi
sembrava divertirsi.
- Mi eccita…
innocenza…
Poi “esplosero”
altre voci. Riconobbe subito quella di
Blaine che lo strappò dalla presa di Sebastian.
- Razza di idiota! Si può
sapere che ti passa per la testa?
- Ehy Anderson, come siamo violenti
– replicò Sebastian
facendo le fusa – Che ne diresti di una cosina a tre? Tra me,
te e Hummel la
cosa potrebbe farsi molto interessante.
- Vaffanculo Sebastian! –
sbottò Blaine, mettendo in allarme
tutti i Warblers ancora lucidi che cercarono di farli stare zitti. In
quel
momento, una confezione di birra e una stecca di sigarette non
sembravano più
una sicurezza bastante contro la paura di essere scoperti da qualche
professore.
- Ragazzi, basta! Fate silenzio!
– sibilò uno di loro,
agitatissimo; non Thad che era nell’angolo tra la parete e la
finestra con una
sigaretta consumata tra le dita e uno sguardo spento negli occhi fissi
al
centro della sala dove prima stavano Sebastian e Kurt.
Fregandosene altamente, per la prima
volta in vita sua, del
suo lato serio, composto e maturo, Blaine mandò mentalmente
a fare in culo
tutti, compreso Neil che si era lasciato corrompere da un gruppetto di
adolescenti, e quella “notte bianca”. Continuando a
sostenere Kurt, che per
fortuna non era poi così alticcio da non riuscire a
camminare, pur essendolo
abbastanza per essere intontito, girò i tacchi e
abbandonò la sala. Per
sicurezza zittì Kurt per evitare che facesse rumore, anche
se lui si limitava a
fissarlo in silenzio, come se lo vedesse per la prima volta.
- Sei più basso di me
– biascicò pigramente.
“Sei più basso
di me”. “Sei più basso di me”.
“Sei più basso
di me”. Visto lo stato emotivo in cui si trovava, Blaine
avrebbe potuto
facilmente lasciarlo lì in mezzo al corridoio, al buio, ma
non c’era alcuna
cattiveria nella voce di Kurt; aveva semplicemente fatto una
constatazione.
Sarebbe stato lo stesso se avesse detto “Hai i capelli
neri”, “Dovresti usare
meno gel”, “Non vedo bene di che colore hai gli
occhi”.
- Sì, hai ragione
– gli rispose Blaine – Dai, ti accompagno
in camera tua – e Kurt gli rispose a sua volta con un
infantile verso di
assenso.
Dopo altri corridoi e scale in
penombra che ebbero il fatale
effetto di conciliare il sonno ad entrambi i ragazzi, raggiunsero la
stanza di
Kurt; era ordinata quanto quella di Blaine (come notò
quest’ultimo); aveva lo
stesso odore di legno delle altre stanze e teneva le sue
particolarità nascoste
nell’armadio o sulla scrivania in maniera più
discreta e anonima. Blaine fece
sedere Kurt sul letto.
- Dormi un po’ –
gli sussurrò – Domattina vengo a vedere
come ti senti e, se ne hai bisogno, ti porto anche qualcosa per il mal
di testa
– gli strinse delicatamente le spalle e lo fece stendere, gli
tolse le
pantofole e lo coprì con il plaid che era sulla coperta. Per
lui sarebbe stato
naturale, in quel momento, dargli un lieve e fugace bacio sulla tempia
ma il
ricordo di quello che gli aveva dato sul collo e di quel tentativo di
Sebastian
di mettergli le mani addosso lo frenò. “Per
stasera ha già avuto abbastanza
prove del suo magnetismo animale” pensò con un
sorriso divertito.
Fece per allontanarsi, credendo di
lasciarlo già
addormentato ma con il gesto lento e maldestro di chi vorrebbe essere
veloce
nella stanchezza, Kurt gli afferrò un braccio.
- Dormi con me.
Era stato come “Sei
più basso di me”. Semplice e basta.
Punto.
- No, non posso – disse
Blaine, con il sangue che gli andava
alla testa – Non sta bene.
- A me sta bene e anche a te
– concluse Kurt trascinandolo
su di sé con uno strattone abbastanza forte per la
stanchezza di Blaine che
prese il sopravvento a contatto col morbido materasso e il plaid.
Kurt lo guidò dietro di
sé per poi andare a raggomitolarsi
di schiena contro il petto di Blaine e incrociando le braccia di
quest’ultimo
sul suo di petto, di modo che le dita accarezzassero ancora i bottoni
azzurri
del suo pigiama nuovo – Tu resti con me stanotte e, se vedrai
che mi agito per
un incubo, mi sveglierai e poi mi canterai una canzone per farmi fare
bei
sogni. Sognerò un paesino di villeggiatura, una grande casa
d’epoca sul mare,
un paesino medievale con un negozio di giocattoli, una piccola bottega
di
souvenir e una libreria a due piani con le scale di vetro, e una strada
di
pietra, il cielo un po’ nuvoloso e ci saranno mio padre
assieme a mia madre e
ci sarai anche tu.
- Sembra bello –
sussurrò Blaine nell’orecchio di Kurt.
- Ti piacerà. Ti
farò vedere il negozio di giocattoli dove
mi portava mia madre; è piccolo ma ci sono tante belle
cose… - e si addormentò.
- Ci vediamo lì
– sussurrò un’ultima volta Blaine prima
di
seguirlo.
Poteva già vedere quei
luoghi che Kurt gli aveva descritti.
Nota
dell’autore
Salvando giusto due o tre paragrafi,
non lo ritengo un
capitolo all’altezza degli altri. Spero che riusciate ad
apprezzare lo sforzo e
se trovate degli errori, fatemeli notare senza problemi.
E questa è stata la Notte
Bianca dei Warblers. Ammetto che
per i loro standard sia stata meno distruttiva del previsto ma,
ammettiamolo,
nessuno vorrebbe rimetterci il suo posto di studente per una
festicciola
notturna.
Due cose a random.
Sì,
c’è una certa tensione tra Sebastian e Thad.
No, Nick e Jeff non sono una coppia;
sono solo una coppia di
amiconi fuori di testa.
Non penso di avere molto altro da
aggiungere. Spero,
naturalmente, che anche questo capitolo vi sia piaciuto. Se invece
l’avete
trovato noioso, prometto che mi rifarò con il prossimo,
pieno di cose e “cose”.
A proposito, forse il prossimo
capitolo arriverà con un po’
di ritardo, visto che è abbastanza lungo e in quei giorni
saremo tutti presi
dalla 5x01. Non sto nella pelle!!!!!!!!!!! Quindi ho la giustificazione
che può
e deve essere accettata XD Mi faccio vivo io, comunque.
Ultima cosa. Riguardo al delirio
finale di Kurt.
Io do sempre una certa importanza ai
sogni e molte volte
tendo ad “innamorarmi” di alcuni di loro, nel senso
che torno a sognare più e
più volte gli stessi luoghi (quelli descritti da Kurt), che
non so nemmeno se
esistono nella realtà. Diciamo quindi che quando sogno di
trovarmi in questi
luoghi (reali o immaginari) mi sento tranquillo, sereno e felice. E qui
chiudiamo questa parentesi che sicuramente non sarà stata di
alcun interesse
per voi XD
Per qualsiasi cosa, mi trovate sulla
mia pagina fb: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
E per curiosità e domande:
http://ask.fm/LusioEFP
A presto
Lusio
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Capitolo 3 *** Atto III° (Quello che accadde il giorno dopo) ***
Atto III° (Quello che
accadde il giorno
dopo)
Si svegliò. Come ogni
mattina, senza nemmeno capire come;
non che gli importasse. Passare dal sonno alla veglia era ormai una
cosa
naturale, come respirare, senza starci tanto a riflettere sul modo e le
cause.
Blaine aveva ancora nella testa
l’immagine di una grande
tavola apparecchiata in un salone d’epoca completamente
illuminato da tre
porte-finestre che prendevano tutte le pareti, mostrando uno sfondo da
cartolina: un mare bellissimo. Aveva un ricordo abbastanza nitido di un
negozietto con scaffali straripanti di giocattoli che diventava, tutto
ad un
tratto, una libreria con le scale di vetro. E c’era Kurt con
lui, e sua madre
(Kurt gliela aveva fatta vedere, una volta, in fotografia) e anche la
madre di
Blaine. Era uno di quei sogni che ti lasciano pieno di languore, che ti
fanno
desiderare di non svegliarti più. Poi, un movimento brusco o
un lieve rumore, e
le palpebre si aprono come un sipario nero bordato di ciglia in
disordine.
Il dormiveglia era una delle cose che
Blaine amava di più
nella sua vita; quei brevi attimi in cui poteva godersi con
consapevolezza il
sonno. Doveva essersi avvinghiato al cuscino durante la notte. Si
sentiva così
bene. Si stiracchiò con un mugolio di piacere, avvertendo
una conturbante
scossa al basso ventre che premé con un certo vigore contro
quel cuscino… che
non era un cuscino e se rese subito conto. Prima di tutto era fin
troppo lungo
e, cosa più rilevante, si muoveva, respirava e aveva emesso
a sua volta un
mugolio quando vi aveva strusciato la sua erezione mattutina, un
mugolio che
Blaine riconobbe al volo. No, non poteva essere!
Aprì gli occhi e la prima
cosa che vide fu la nuca di Kurt,
il suo collo e la sua inconfondibile cicatrice. Sapeva di doversi
staccare da
lui prima che la situazione si facesse ancora più
imbarazzante, ma le mani di
Kurt stringevano ancora le sue al petto come quando si erano
addormentati.
Anzi, aveva l’impressione che le stringesse ancora
più forte; o forse erano
solo i suoi sensi resi più sensibili dal risveglio.
Con uno sbadiglio, anche Kurt
iniziò a svegliarsi.
Avvertendo il peso di Blaine alle sue spalle, si voltò verso
di lui
rivolgendogli uno sguardo ancora inebetito dal sonno, ma le sue labbra
si
stesero comunque in un sorriso.
“E’
Blaine” pensò automaticamente “Di lui mi
fido. Con lui
sto bene.”
- Buongiorno – gli
sussurrò. Gli accarezzò il viso, lo
avvicinò a sé e gli diede un bacio; voleva
darglielo sulla guancia ma glielo
posò all’angolo della bocca.
Blaine avrebbe voluto rispondergli ma
dalla bocca gli uscì
solo un verso gutturale. Si ricordò, poi, di essere ancora
premuto contro Kurt
e di avere un’ “alzabandiera” puntata
verso il suo sedere. Ok, era sicuramente
una delle situazioni più imbarazzanti in cui si fosse mai
trovato.
- Scusami… per…
- balbettò timidamente, allontanandosi
leggermente.
- Non importa – Kurt lo
trattenne per le mani – E’ una cosa
naturale; ce l’ho anch’io.
Kurt si morse subito la lingua; anche
se ora si era mostrato
vulnerabile proprio come Blaine. In quel momento erano entrambi fragili
e nudi,
pur con i pigiami addosso, entrambi sullo stesso piano, uniti da una
debolezza
umana che li accomunava.
- Oggi niente lezioni? –
chiese Kurt cambiando subito
argomento.
- Niente lezioni – rispose
Blaine.
- Allora, ti va di restare ancora un
po’ qui? Non siamo
obbligati ad alzarci subito.
Per tutta risposta, Blaine fece per
stendersi di nuovo,
poggiando la testa un po’ più vicina a Kurt,
aspettando un suo “via libera” per
farlo; e Kurt gli si accostò a sua volta dandogli tutta la
libertà di
stendersi. Nessuno dei due si riaddormentò ma rimasero in
quella languida
sospensione tra il sonno e
il risveglio
che, quando divenne più forte, sembrò annullare
ogni loro riservatezza;
stiracchiandosi, Kurt si mise supino, sempre tenendo a sé
Blaine che si ritrovò
con il capo sulla sua spalla e una gamba tra quelle
dell’altro. E in quella
posizione avvertivano l’uno quello che l’altro
aveva all’altezza del basso
ventre e a giudicare dai sussulti, dai palpiti che da lì
provenivano, la modalità
“normale erezione mattutina” era stata soppiantata
da altro ma fin tanto che
nessuno di loro diceva nulla potevano tranquillamente far finta di
niente.
Ad un certo punto, Blaine si strinse
ancora di più a Kurt.
A sua volta, Kurt lasciò
andare la sua mano su e giù lungo
la schiena di Blaine, sollevandogli a tratti la canottiera e
scoprendogli i
fianchi e la base della schiena; per un momento indugiò a
far scendere un po’
di più la mano verso i pantaloni della tuta che mettevano in
evidenza i suoi
glutei ma la tirò indietro, cioè in su, con una
tale forza da sollevare quasi
completamente la canottiera di Blaine che affondò il viso
nell’incavo del suo
collo.
- Vuoi che me la tolga? –
gli chiese Blaine con voce
bassissima.
- No, no. Scusami – rispose
subito Kurt riabbassandogliela.
Quei piccoli gesti lasciati a
metà li stavano uccidendo;
volevano andare un po’ più in là di
quanto già avevano sentito ed esplorato ma
non volevano varcare i limiti posti dall’altro. Bastava una
domanda o una
richiesta buttata lì e non si sarebbero più
fermati, ma rimase tutto nelle loro
menti.
“Ti
prego, dimmi che
posso baciarti, ti prego” pensava Blaine.
“Ti
prego, chiedimi se
puoi baciarmi, ti prego” pensava Kurt.
Continuavano a stringersi ed ogni
loro abbraccio si faceva
sempre più forte, finché non si trovarono spalla
contro spalla, petto contro
petto, sesso contro sesso, gambe intrecciate. I visi ora a poca
distanza l’uno
dall’altro. Man mano coprirono un piccolo tratto fino a
quando vi fu solo lo
spazio di un’emissione di respiro a separarli.
- Posso baciarti? –
sussurrò Blaine con voce roca.
- Sì – rispose
Kurt “Sì
ti prego fallo subito se non lo fai impazzisco baciami stringimi
toccami fammi
tutto quello che vuoi ma tienimi con te.”
La distanza fu annullata. Bocca,
lingua, respiro, tutto una
sola cosa. L’unico suono fu un gemito che poteva essere tanto
dell’uno quanto
dell’altro e che nascondeva un nome che usciva dal cuore.
“Kurt” se era di
Blaine, “Blaine” se era di Kurt.
Le mani iniziarono ad intrufolarsi in
ogni punto e le gambe
si intrecciavano cambiando posizione in continuazione come per
mantenere un
equilibrio sempre precario. Anche le labbra si separarono per eplorare
altri
brandelli di pelle per poi ritrovarsi.
- Cosa stiamo facendo? –
sussurrò Blaine arrivando all’orecchio
di Kurt – Chi siamo adesso?
- Non lo so –
gemé Kurt inarcando la schiena e immergendo le
dita tra i capelli di Blaine – Ma non voglio smettere.
Continuarono e continuarono,
arrivando a perdere il senso
dell’orientamento a furia di rotolarsi sul letto per quanto
le sue dimensioni
lo permettessero, arrivando a perdere le loro stesse
identità, non riuscendo
più a capire dove finisse l’uno e iniziasse
l’altro.
Ad un tratto Blaine iniziò
a tremare con violenza, si
avvinghiò nuovamente a Kurt che gli rispose con la stessa
intensità, e si
lasciò sfuggire un verso strozzato che lo fece ricadere
ansimante sulla spalla
dell’altro ragazzo che, ancora fremente e scosso
anch’egli da brividi, iniziò a
massaggiargli la cute immergendo le dita tra i suoi capelli neri liberi
dal gel
per una volta. Si sentivano bene tutti e due; dormire ancora un
po’ sarebbe
stato l’ideale.
Ma Blaine si rese conto subito dello
stato in cui versavano
i suoi pantaloni e soprattutto del fatto che si trovava praticamente
disteso su
Kurt.
- Cosa c’è?
– chiese Kurt, turbato, notando che Blaine si
staccava da lui e si raggomitolava su se stesso tentando di nascondere
il
risultato della sua vergogna.
- Scusami – si
lamentò il ragazzo, con le orecchie che gli si
arrossavano in maniera impressionante – Non sono riuscito a
trattenermi… temo
di aver sporcato il tuo pigiama nuovo…
- No, non importa –
replicò Kurt timidamente – Me lo sono
sporcato da solo – e, tenendo sempre gli occhi bassi,
scostò i lembi della
vestaglia che indossava ancora mostrando una macchia scura e umida
simile a
quella che anche Blaine aveva. Si mostravano ancora nelle loro
debolezze, nelle
loro fragilità.
- Credo che dovremo darci una
ripulita e cambiarci – propose
Blaine torturando un lembo del lenzuolo.
- Potrei farlo un attimo io
così, mentre usi tu il bagno,
andrò in camera tua a prenderti dei panni puliti –
disse Kurt – Ti va bene
così?
- Sì certo, come vuoi tu.
Kurt si alzò dal letto e
si diresse con passo veloce verso
il bagno, chiudendo la porta alle sue spalle. Blaine, invece, si
lasciò
ricadere sul letto in disordine; il cuscino aveva l’odore dei
capelli di Kurt e
ora anche dei suoi mischiati insieme mentre le lenzuola conservavano
quello più
acre e muschiato del loro sudore e di altro; in sottofondo
c’era il rumore
dell’acqua che scorreva nella doccia. Con quel mix di
ingredienti, Blaine si
assopì nuovamente. A risvegliarlo (gli era sembrato che
fosse passato solo un
secondo) fu Kurt, con i pantaloni e la camicia della divisa addosso;
Blaine si
ritrovò a pensare che il preside avrebbe dovuto dare a Kurt
il permesso di
vestirsi così invece di indossare la divisa completa con
blazer e cravatta.
- Ti vado a prendere i vestiti puliti
– disse Kurt
strofinandogli una spalla – Tu, intanto, va’ pure a
lavarti.
“Voglio
che mi baci.”
Rimase una preghiera inespressa sulle
labbra di entrambi. Si
limitarono a stringersi la mano, giusto per permettere a Blaine di
alzarsi e a
Kurt di allontanarsi dopo aver preso la chiave.
Mentre lo vedeva uscire dalla stanza
a testa alta, con le
spalle dritte, lievemente delineate attraverso le pieghe della camicia,
Blaine
pensò che Jeff aveva ragione: Kurt era più forte
di quanto credeva.
* * *
Quella mattina Kurt avrebbe dovuto
mantenere il freno
inserito per non correre e saltare per i corridoi della Dalton come un
bambino
dell’asilo. Riusciva solo a pensare
“Blaine Blaine Blaine” e a mille e
mille baci. Lungo il tragitto tra la
sua stanza e quella di Blaine non si accorse neanche di chi gli passava
davanti
o di fianco, un bidello intento a lavare il corridoio, la faccia
assonnata di
qualche studente che faceva capolino da una porta, uno un po’
più mattiniero
che si dirigeva alla mensa per la colazione o ritornava da una corsetta
mattutina, la totale assenza dei Warblers, sicuramente ancora
addormentati dopo
la loro “notte bianca”, non sentì
neanche lo strepito e la confusione che
provenivano dal piano di sotto. Arrivato, Kurt andò dritto
diretto al settimino
dove era sicuro di trovare i vestiti di Blaine; ovvio che sapesse dove
mettere
le mani: sia lui che Blaine passavano sempre tanto tempo insieme, nella
stanza
tanto dell’uno quanto dell’altro, a studiare, a
parlare, ogni tanto a guardare
qualche film che si portavano da casa, dopo il fine settimana ( a
proposito,
dopo avrebbe telefonato a suo padre per dirgli che andava tutto bene;
si era
dimostrato un po’ apprensivo quando gli aveva fatto sapere
che non sarebbe
tornato a casa sabato). Nel primo cassetto trovò la
biancheria; prese un paio
di boxer e lo infilò velocemente tra la camicia e i
pantaloni che già aveva
preso. Non era il caso di farsi cogliere da ulteriore imbarazzo, in
fondo lui e
Blaine erano… stop.
“Cosa
stiamo facendo?”
aveva detto Blaine ed entrambi lo sapevano benissimo anche se non
avevano avuto
il coraggio di dirlo a parole.
Adesso Kurt si chiedeva “Cosa
siamo noi?” Cos’erano loro? Alla luce di
quanto era successo, cos’erano
diventati? Amici lo erano ancora forse, ma non come prima sicuramente.
In quei
pochi minuti quanto avevano visto l’uno dell’altro!
Più di quanto consentiva il
loro status. Adesso sì che Kurt iniziava ad avere paura. La
loro amicizia…
Dovevano parlare. Gli avrebbe portato
la roba pulita e,
quando si sarebbero schiariti le idee tutti e due, avrebbero
parlato… o,
almeno, avrebbero tentato di trovare il coraggio di parlare. Passando
davanti
alla scrivania l’occhio gli cadde su un volumetto dalla
copertina spiegazzata:
i Sonetti dell’amore oscuro
di
Federico Garcìa Lorca, con un segnalibro in mezzo alle
pagine. Con una mano
libera lo aprì al punto in cui Blaine doveva essere arrivato
e lesse:
Tu non
capirai mai
quanto ti amo
perché
dormi in me e
sei addormentato.
Io ti
nascondo
piangendo incalzato
da una voce
d’acciaio
penetrante.
(…)
Ma continua
a dormire,
vita mia.
Senti il mio
sangue
rotto sui violini!
Guarda che
ci spiano
ancora!*
“Abbiamo
letto tutti e
due questo sonetto, anche se in momenti diversi”
pensò, posando nuovamente
il libro “Anche questo è
importante,
almeno per me.”
Uscì dalla stanza e, con
lo stesso passo di marcia, ritornò
indietro, ma prestando un po’ più di attenzione a
quanto lo circondava e questo
gli diede la possibilità di avvertire il chiasso proveniente
dal piano di
sotto: ad ascoltare meglio si potevano distinguere le voci di Thad e di
Sebastian. Chissà cos’altro era successo? Forse le
solite cose: Sebastian avrà
tentato di infilare le mani nei pantaloni di Thad e
quest’ultimo si sarà messo
a sbraitare.
Con una scrollata di spalle, Kurt
filò dritto e ritornò in
camera sua; Blaine non era più sul letto e dal bagno non si
sentiva il rumore
dell’acqua. Magari stava aspettando lì i panni
puliti prima di lavarsi.
- Blaine – Kurt
aprì a metà la porta del bagno, tenendo in
mano i vestiti; un veloce movimento lo spinse a voltare lo sguardo
verso la
parete di mattonelle bianche lucide ma la sua mente registrò
ugualmente Blaine,
bagnato, appena uscito dalla doccia, che si copriva le
intimità con un
asciugamano e la curva soda dei suoi glutei. Tanto bastò a
far ribollire il
sangue ad entrambi e in punti dei loro corpi che era abbastanza
difficile non
far notare – Ti… ti ho portato… i
vestiti – continuò Kurt mostrandoglieli, non
sapendo dove posarli.
- Appoggiali pure lì, sul
lavandino – gli venne in aiuto
Blaine tentando di coprirsi meglio. Kurt entrò in bagno,
sempre cercando di
guardare qualunque cosa tranne il corpo, nudo e lucido per
l’acqua, di Blaine,
e sistemò i vestiti ben ripiegati sul bordo del lavandino,
sperando che non
cadessero né all’interno né
all’esterno.
Fatta questa operazione, Kurt si
voltò per uscire ma,
arrivato sull’uscio della porta, quella che avrebbe definito
una “scarica
elettrica” lo fece voltare proprio mentre Blaine faceva lo
stesso. Gli sembrava
di vedere un quadro d’autore che aveva preso vita: il ragazzo
voltato che gli
restituiva uno sguardo languido da sopra una spalla, incurante della
sua
nudità, il mento alto, la schiena muscolosa, la spina
dorsale che scendeva come
un ramo fino alla linea che divideva i glutei, le braccia che tenevano
sospeso
l’asciugamano all’altezza del petto, e che
terminava all’altezza dei fianchi.
Non interrompendo il legame che si
era instaurato tra i loro
sguardi, occhi verde azzurri con occhi castano dorati, Kurt chiuse la
porta. I
loro cuori sembravano sul punto di esplodere.
- Dobbiamo parlare – si
disse Kurt premendosi il petto con
una mano.
Ma non parlarono quando Blaine
uscì dal bagno, pulito e
vestito; avevano bisogno di mangiare qualcosa prima.
E non parlarono nemmeno dopo
colazione; Kurt dovette
rispondere ad una chiamata di suo padre.
E quando Kurt terminò la
chiamata… nessuno dei due volle parlare.
- Posso baciarti ancora? –
gli chiese Blaine, con una
sfacciataggine che non si sarebbe mai sognato di avere, andandogli
vicino.
- Perché non me lo hai
chiesto subito? – gli soffiò Kurt
sulle labbra.
* * *
Il chiasso che Kurt aveva sentito
mentre ritornava nella sua
camera (la prima volta non ci aveva fatto caso quindi non la
ricordava),
proveniente dal piano di sotto era nato davvero da una lite tra Thad e
Sebastian ma non per il motivo che aveva ipotizzato.
Era iniziato tutto
all’alba, dovevano essere quasi le sei di
mattina. Per tutto il resto della “notte bianca”
Thad se ne era rimasto in
disparte, lo sguardo cupo, una birra che non aveva toccato nemmeno una
volta e
una sigaretta che si consumò, inutilizzata, tra le sue dita;
i Warblers presenti
non capirono come andarono le cose, semplicemente, ad una certa ora,
alcuni
avevano seguito l’esempio di Kurt e Blaine ed erano andati a
dormire (sempre
che non fossero già crollati sul divano come Nick), e anche
Sebastian era
uscito. Accortosi della sua assenza, dopo un bel po’, anche
Thad era uscito.
Lo cercò per tutto il
dormitorio, ma non fu capace di
trovarlo da nessuna parte; arrivò a puntare persino le
orecchie contro la porta
della camera di Kurt temendo di sentire qualche verso equivoco che
avrebbe
confermato la presenza di Sebastian, ma da lì non proveniva
nessun rumore.
Terminato il dormitorio, Thad passò in rassegna i bagni di
ogni piano. Alla
fine arrivò a quelli della palestra. Il caso volle che
proprio in quel momento
Sebastian ne uscisse con quella che doveva essere la sua conquista di
quella
notte: un ragazzino del primo anno, con la faccia da Bambi sperduto
nella
foresta, che impallidì appena vide Thad.
- Tornatene nella tua stanza se non
vuoi beccarti una
sospensione – lo minacciò lo studente
più anziano e la matricola, troppo
spaventato per replicare, sgattaiolò via a passo lesto.
- Grazie mille, Harwood –
ridacchiò Sebastian sornione – Mi
hai evitato il fastidio di liquidarlo. Non so se già lo sai,
ma più sono
giovani più sono fastidiosamente sentimentali e
appiccicosi…
- Francamente, Sebastian –
lo interruppe Thad rudemente –
non me ne importa un accidente dei retroscena delle tue storie da una
botta e
via. E’ meglio se la finisci qui e te ne vai in camera tua
– e fece per
voltarsi e andare via ma la domanda di Sebastian lo frenò.
- Perché?
- Perché non è
ancora l’orario per andare in giro per la
scuola – rispose Thad voltandosi nuovamente verso di lui.
- Ah sì? –
ridacchiò Sebastian mettendosi nella sua posa da
predatore: gamba destra in avanti, mano sinistra sul fianco, spalle
buttate
all’indietro, testa di lato, bocca socchiusa dalla quale si
poteva intravedere
la lingua.
- Sebastian, non ho voglia di giocare
– replicò Thad,
cercando di non lasciarsi distrarre dai modi di fare del ragazzo di
fronte a
lui – Va’ a dormire.
- Non ho sonno.
- Fa’ niente. Tornatene in
camera tua.
- Non ne ho voglia.
- Va’, ti ho detto.
- Chiedimelo come voglio sentirmelo
dire.
- Sebastian, adesso basta.
- Cosa “basta”? I
capricci che faccio? Il fatto che ti tengo
testa?
- Questo tuo modo di fare. Questa tua
maniera di trattare
tutti come giocattoli. Il fatto che tu sia vuoto e fatuo –
scattò Thad,
sbattendo un piede a terra.
- Hey, non ti azzardare neanche a
dirmi che sono vuoto o
fatuo – replicò Sebastian punto sul vivo,
avanzando verso Thad, non più
seducente ma minaccioso.
- Ecco, bravo, mostra un
po’ di rabbia – Thad avanzò
ulteriormente verso di lui – Mostra qualcosa di diverso una
volta tanto, così
almeno mi dimenticherò per un po’ di quanto tu non
abbia nulla dentro a parte i
cazzi che ti fai mettere nel culo.
E quelle ultime parole, dettate da
uno sfogo da molto tempo
soffocato, furono seguite da urla, parolacce, offese, spinte e pugni.
Quel
baccano richiamò l’attenzione degli studenti
mattinieri, dei bidelli, di alcuni
professori; di lì a dieci minuti, Thad e Sebastian si
trovavano nello studio
del preside, di cattivo umore per essere stato tirato giù
dal letto per quella
“vergognosa schermaglia tra studenti”, come gli era
stato riferito.
- Rarissime volte si è
assistito ad una lite così volgare e
così vergognosa tra le mura di questo istituto, e mai una
volta da quando io
ricopro la carica di preside – disse l’uomo rosso
in viso per la rabbia
trattenuta a stento – Non mi aspetto nemmeno di sentire delle
giustificazioni;
non ci sono scusanti per come vi siete comportati e mi meraviglio
maggiormente
del fatto che si sia trattato proprio di voi due. Signor Harwood, lei
che è
capoclasse ed è anche uno dei migliori del suo anno. E lei,
signor Smythe, lei
che è figlio di un membro del governo…
- Io non centro nulla in tutta questa
faccenda – si
intromise Sebastian – Semplicemente, il “signor
Harwood” dovrebbe imparare ad
avere un po’ più di autocontrollo.
- E il “signor
Smythe” – replicò Thad, fulminando
l’altro
ragazzo con lo sguardo – dovrebbe imparare a riconoscere i
limiti della
decenza.
- Silenzio! –
saltò il preside, sbattendo una mano sulla sua
scrivania – Non ho intenzione di assistere ad un altro
battibecco infantile.
Ora voi due mi spiegherete cosa è successo tra di
voi…
Il preside fu interrotto da tre colpi
alla porta e
l’eleganza che trasudava quel bussare fece capire subito ai
tre di chi si
trattava. All’ “Avanti” del preside,
infatti, la porta venne aperta dalla
professoressa Isabelle Plessis, vestita di tutto punto;
l’assenza di orecchini,
ciondolo e gemelli ai polsini della camicia e i capelli rosso sbiadito
che le
cadevano lisci sulle spalle e non raccolti nel solito chignon
denotavano la sua
fretta di presentarsi nello studio del preside.
- Oh, buongiorno mademoiselle
Isabelle – la salutò
cordialmente il preside, alzandosi; anche lui, come tutti, non era
insensibile
al fascino della professoressa Plessis.
- Buongiorno signor preside
– rispose la Plessis – Scusate
la mia intromissione ma…
- Ma per carità, mia cara
mademoiselle** - la interruppe il
preside, passandosi una mano tra i folti capelli grigi –
Vederla è sempre un
grandissimo…
- La dispenso dal farmi i
complimenti, preside – lo
interruppe a sua volta la Plessis, freddandolo con il suo atteggiamento
noncurante e distaccato – Le stavo appunto dicendo che,
appena ho saputo quanto
era successo e che il signor Smythe e il signor Harwood erano coinvolti
mi sono
sentita in dovere di venire subito da lei. Signor preside, credo che
questi due
studenti e le loro azioni debbano essere posti sotto la mia
responsabilità.
Sebastian e Thad, per un attimo, si
guardarono sconcertati
per poi fissare la professoressa Plessis che sembrava più
interessata ad
aggiustarsi le pieghe della gonna che ai presenti.
- Potrebbe spiegarsi meglio,
mademoiselle Isabelle? – si
azzardò a chiederle il preside, schiarendosi la voce con un
leggero colpo di
tosse.
- Vede, ho assegnato alla mia classe
di Letteratura, della
quale fanno parte questi due signorini, un compito di
“immedesimazione e
assimilazione”, se così possiamo chiamarlo, sul
testo di Romeo e Giulietta;
evidentemente Harwood e Smythe si saranno
lasciati coinvolgere eccessivamente dai ruoli di Tebaldo e Mercuzio.
Riconosco
che la colpa di quanto è accaduto è prima di
tutto mia: ho dato per scontato
che i miei studenti fossero abbastanza intelligenti da capire quali
sono i
limiti dell’immedesimazione e dell’interpretazione;
questo è uno dei motivi per
i quali sono sempre stata dell’idea che la recitazione debba
rientrare tra le
materie dell’obbligo nelle scuole. Comunque, tornando a noi,
signor preside le
chiedo scusa per l’increscioso errore nel quale, a causa
della troppa fiducia riposta
in un intelletto inesistente, putroppo, in questi giovani, sono caduta.
Quel discorso, imbastito di uno stile
fin troppo teatrale,
tolse ai tre presenti la facoltà di replicare o anche solo
di articolare una
parola. Rimasero tutti zitti per alcuni secondi, dando ad Isabelle
Plessis il
tempo di rimettersi a posto un bottone del polsino sgusciato
dall’asola.
- Vuol dire, quindi –
chiese, titubante e con una punta di
sollievo, Sebastian – che non verremo puniti?
- Molto divertente signor Smythe
– disse la Plessis, con il
suo agghiacciante sarcasmo – Sono certa che, durante le ore
di punizione che le
darò, avrà tutto il tempo di ideare qualche altra
battuta di bassa lega.
- Ma ha detto… -
tentò di replicare Sebastian.
- Ho detto che l’origine
della colpa è mia, quindi è mia
responsabilità punirvi. Se il preside permette gradirei
iniziare subito; i
giorni festivi sono importanti per i giovani, ma lo sono ancora di
più per noi
che ci avviamo sul viale del tramonto. Le auguro una buona giornata,
signor
preside. Signor Smythe, signor Harwood, abbiate la compiacenza di
togliervi
dalla faccia quelle espressioni da pesci addormentati e seguitemi.
Quando Sebastian e Thad si riscossero
dal loro stupore, la
professoressa Plessis era già uscita dallo studio del
preside, il quale era
ricaduto pesantemente sulla sua sedia, smarrito; i due ragazzi, decisi
a cogliere
l’occasione, forse meno peggiore con la Plessis che con il
preside, si
affrettarono ad uscire e a raggiungere l’insegnante diretta,
a quanto sembrava,
verso la biblioteca. Alla fine, li condusse dove c’era
l’archivio con i
cataloghi dei titoli e dei libri presenti in biblioteca. Si
fermò davanti al
primo cassetto di ferro, quello contrassegnato dalle lettere A-D.
- Voglio essere buona con voi
– disse aprendo il cassetto –
Vi assegnerò solo un cassetto a testa.
- Cosa dovremmo fare? –
chiese Thad, temendo di sapere già
la risposta.
- Dovrete rimettere in ordine le
schede presenti in questi
primi due cassetti, lei signor Harwood si occuperà di questi
che vanno dalla A
alla D, mentre lei Smythe di quelli che vanno dalla E alla H.
- Ma se sono già in
ordine! – esclamò Sebastian non
riuscendo a trattenersi, mentre Thad lo fulminava con lo sguardo.
- A questo rimediamo subito
– replicò tranquillamente la
Plessis che, senza mostrare alcuno sforzo, tirò fuori
completamente il primo
cassetto e ne rovesciò l’intero contenuto di fogli
e schede sul pavimento e,
facendo lo stesso con il cassetto seguente, formò sul
pavimento una montagnola
bianca – Bene, ecco fatto – continuò lei
soddisfatta, rimettendo al loro posto
i cassetti – Potete anche iniziare. Io adesso mi ritiro; ho
lasciato a metà la
mia toeletta a posta per voi, ritenetevi onorati. Ripasserò
più tardi a vedere
come ve la cavate. Buon lavoro.
E se ne andò lasciando i
due ragazzi davanti a quel cumolo
di carte da riordinare. Con un sospiro di rassegnazione, Thad si
inginocchiò e
iniziò a raccogliere le schede, cercando quelle che andavano
dalla A alla D,
secondo le direttive della professoressa. Ad un certo punto si accorse
che
Sebastian non stava seguendo il suo esempio, anzi se ne stava immobile,
appoggiato
alla parete a braccia incrociate; Thad sarebbe stato pronto a giurare
che
avesse buttato anche qualche occhiata di troppo al suo didietro.
- Hai intenzione di rigirarti i
pollici per tutta la
mattinata o vuoi degnarti di venire a fare la tua parte di lavoro?
– gli chiese
con astio.
- Non vedo perché dovrei
– rispose Sebastian – Io, in tutta
questa storia, sono solo una vittima dei tuoi scatti da femminuccia
mestruata.
- Fai un po’ come ti pare;
non ho voglia di discutere con te
– disse Thad ritornando alle carte sul pavimento –
Metterò in ordine il mio
cassetto. Il resto non mi interessa. Sono problemi tuoi.
- Sempre simpatico –
replicò Sebastian – Se sei un tipo
vecchio stampo potevi invitarmi a prendere un caffè invece
di prendermi a
pugni.
- Scusami? –
saltò Thad, sul punto di farsi venire una
combustione spontanea.
- Dai Thaddino, parliamoci chiaro per
una volta. Sono
abituato agli sguardi che mi lanciano tutti quelli che vorrebbero
strapparmi i
vestiti di dosso a morsi e francamente non li biasimo. E, giusto per
tagliare
la testa al toro, te lo prendi un po’ troppo a cuore il mio
essere così
“disponibile” con gli altri.
- Ma falla finita!
- Senti, se ti va di sperimentare,
per me non ci sono
problemi; ci rinchiudiamo in uno “stanzino per le
scope-ate”, come li chiamo io
e poi, se vuoi, potrai pure ritornare alla tua vita da etero confuso.
- Ma non ti stanchi mai di essere
così cinico?
- No, per niente –
ridacchiò Sebastian – Perché, tu come
mi
vorresti?
- Mi piacerebbe vederti dimostrare un
qualsiasi sentimento
disinteressato.
- I sentimenti, purtroppo, hanno la
brutta abitudine di
essere scontati e noiosi.
“E’
inutile” pensò Thad, sul punto di rassegnarsi.
Intanto
che avevano parlato, aveva raggruppato una buona parte di schede con la
lettera
A; adesso andavano riordinate. Non era un lavoro semplice come era
sembrato a
sentire la Plessis. A urtare maggiormente il ragazzo, poi, era anche il
fatto
che Sebastian se ne stesse sempre appoggiato al muro a fissarsi le dita
delle
mani, con aria annoiata. Non aveva mai notato come in quel momento la
differenza che c’era tra loro due.
- Secondo te, perché
Tebaldo odia così tanto? – chiese dopo
un po’.
- E questo che centra?
- Centra perché, molto
probabilmente, passerò i prossimi
giorni a riordinare cataloghi interminabili – rispose Thad
cercando di restare
calmo – quindi posso già scordarmi un buon voto
nel compito della Plessis;
tanto vale che mi salvi con qualcosa di più tradizionale. E
visto che la
professoressa ci ha paragonati a Tebaldo e a Mercuzio, ho deciso di
cogliere la
palla al balzo. Almeno dirò qualcosa durante le
interrogazioni. E non credo che
rispondermi sia un lavoro troppo faticoso per te.
- Se proprio ci tieni –
commentò Sebastian con un’alzata di
spalle e stampandosi in faccia l’espressione del Pensatore
– So già che mi
pentirò di questa risposta ma, credo dipenda dal fatto che
non abbia nessuno
che lo ama o che lui ama. Con uno spettacolino per ragazzine come Romeo e Giulietta non riesco a pensare
ad una risposta migliore.
- E Sebastian Smythe cosa pensa?
- Io non penso nulla.***
- Potresti provarci, ogni tanto
– “Non sei
un’Ofelia. Sei un Mercuzio, un Puck, un Ariel e un Calibano
tutti in uno. Non sei cattivo; ti diverti solo ad essere libero.”
Thad aveva raccolto
un’altra pila di fogli, più voluminosa
della prima. La sollevò per metterla nel cassetto ma la
rimise nuovamente sul
pavimento vista la sua precarietà e l’ultima cosa
che voleva era perdere quel
poco di lavoro fatto e ricominciare da capo. Ma, cogliendolo di
sorpresa,
Sebastian si inginocchiò accanto a lui, prese una porzione
di schede, in modo
da rendere la pila meno precaria, e la mise su un tavolino
lì accanto.
- Raccoglile a piccole porzioni,
farai anche prima – gli
consigliò, tornando ad inginocchiarsi, stavolta
concentrandosi sulle schede che
andavano dalla E alla H.
- Cos’è? Ti sei
stancato di non far nulla? – gli chiese Thad
ironicamente.
- No è solo che, visto che
mi hai invitato ad uscire,
preferisco rimanere libero per allora.
- Scusa, e quando ti avrei invitato
ad uscire?
- Quando mi hai preso a pugni; nel
mio vocabolario ciò
equivale ad un invito ad uscire insieme – rispose Sebastian
con la sua solita
sicurezza – Vedi di portarmi in un posto carino, sono
abituato al meglio.
Mentre raccoglieva altre schede da
riordinare, Thad chinò un
po’ di più la testa per nascondere un sorriso.
Nota
dell’autore:
* Estratti della poesia
“L’amore dorme nel petto del poeta”
di Federico Garcìa Lorca (1898-1936)
** Errore del preside che finge di
conoscere alla perfezione
il francese per fare bella figura. In realtà, sarebbe
più corretto dire “mia
cara demoiselle” visto il “mia” iniziale.
*** Citazione dal terzo atto
dell’Amleto. La battuta
è di Ofelia.
Eccomi di ritorno. Scusate il ritardo
ma, come sapete,
abbiamo dovuto tutti affrontare un nuovo inizio di stagione
e… be’, siamo
sopravvissuti a stento tra numeri emozionanti e proposte di matrimonio
da sogno
XD
Questo capitolo è stato un
parto, l’ho cancellato e
riscritto più di una volta e nemmeno adesso ne sono
pienamente soddisfatto.
Temo di essere stato monotono e ripetitivo (a livello di parole e
termini) fino
alla nausea.
Permettendomi di sclerare un
po’, vista anche la 5x01, per
una volta sono sicuro di aver trattato un Sebastian poco OOC. Le mie
tesi sul
suo passaggio dalla parte dei “buoni” (anche se non
credo sia mai stato
cattivo, a parte la granitata al sale grosso) sono queste: 1) I capelli
tagliati gli hanno fatto perdere la cattiveria, come Sansone la forza
2)Crescendo si diventa più maturi 3)Avrà trovato
anche lui l’amore della sua
vita (coff*Thad*coff) e per lui avrà deciso di tirar fuori
il suo lato buono.
A voi la scelta; la mia è
molto palese XD
Sul fronte Klaine… non
credo di essere ancora in grado di
ragionare in maniera seria e lineare. Se per voi è lo
stesso, lascerò parlare
il prossimo capitolo che arriverà martedì (credo
che sarà questo, per ora, il
giorno degli aggiornamenti).
Non ho altro da dire se non,
complimenti se siete riusciti
ad arrivare fino alla fine del capitolo.
Per qualsiasi cosa come,
aggiornamenti, spoiler e la mia
“rubrica di recensione Glee” che ha riaperto i
battenti, vi rimando alla mia
pagina: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
E se avete delle domande da pormi o
curiosità: http://ask.fm/LusioEFP
Ciao a tutti.
Lusio
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Capitolo 4 *** Atto IV° (L'essenza delle cose) ***
Atto IV°
(L’essenza delle cose)
Kurt baciava da dio. Blaine baciava
da dio. Stavano andando
avanti da… da quanto? Non lo sapevano. E, sinceramente, non
aveva nemmeno tutta
questa importanza. Era solo… così bello. Tutto.
Labbra. Lingua. Denti ogni
tanto. Mani. Gambe. Capelli sotto le dita. Volevano solo che
continuasse.
Ancora. E ancora. Giusto due o tre secondi per riprendere fiato. E poi
ancora.
- Che cosa siamo noi due? –
riuscì a dire Kurt alla fine,
mentre Blaine si lasciava andare nell’incavo del suo collo;
una ciocca di
capelli scomposta gli solleticava il mento.
- Tu cosa vuoi che siamo? –
gli chiese Blaine di rimando
aggrappandosi un po’ più forte a lui, temendo un
possibile, prossimo distacco.
- Un qualcosa. Un qualcosa che noi
possiamo definire.
- Io non voglio definire nulla.
- Perché?
- Perché…
perché ho paura – rispose Blaine e, da come
tremava, sembrava essere davvero terrorizzato.
- Come puoi avere paura se lo stiamo
vivendo adesso? – Kurt
prese il volto del ragazzo tra le mani e lo sollevò cercando
i suoi occhi.
- Appunto perché lo stiamo
vivendo qui, in questo momento,
come un qualcosa che ancora ci sfugge ma che ci ha afferrati. In questo
momento
mi sento bene, come non credo di essermi mai sentito prima. Mi sembra
che ogni
fibra del mio corpo sia stata moltiplicata per mille. Ho come una
cascata
rovente dentro che mi fa desiderare solo la tua vicinanza che non mi dà
sollievo ma mi alimenta ed io non posso farne a meno. Come una droga.
Tu… non
provi anche tu queste sensazioni?
- Se non le provassi credi che sarei
qui con te, adesso? –
Kurt lo avvicinò nuovamente a sé, baciandogli gli
occhi e leccando una lacrima
scivolata lungo la guancia di Blaine – Ma non possiamo
restare in questo stato
di inconsapevolezza. Rischieremo di perderci e poi di soffrire. Forse
dovremo
fermarci per un po’ e riflettere, da soli, ognuno per conto
proprio.
- Vuoi andartene? –
gemé Blaine dolorosamente stringendosi a
Kurt ancora più forte.
- No, non me ne vado – Kurt
si liberò dalla sua presa e lo
afferrò per le spalle con decisione – Qualunque
cosa accada tra noi, positiva o
negativa che sia, non ti lascerò. Non ci separeremo. Per me,
ora, siamo “uno in
due”. Abbiamo una vita in comune e questo non lo
potrà cambiare niente e
nessuno. Lasciamoci solo per adesso. Riflettiamo su quanto ci
è successo. E
quando penseremo di averlo capito, verremo a dircelo. In ogni caso, ci
incontreremo ancora. Ci saremo sempre l’uno per
l’altro.
E Kurt firmò quelle sue
parole con un bacio, tenero e lieve
ma pieno di quel sentimento che loro avrebbero già
desiderato chiamare per
nome. Blaine avrebbe voluto morire con quel bacio sulle labbra.
Quando Kurt uscì dalla sua
stanza, dove si erano rifugiati,
Blaine si lasciò andare con la testa contro la parete,
esalando un sospiro che
gli scosse il petto. Adesso a solcargli le guance c’erano due
lacrime. E la sua
bocca era già pronta a dire quello che sia lui che Kurt
smaniavano di dire e
sentire in cuor loro.
* * *
Andare a chiedere consiglio sui
compiti ad un insegnante era
una cosa che Kurt non aveva mai fatto; andare a chiedere consiglio per
un
problema personale ad un insegnante era una cosa che gli era capitato
di fare
un paio di volte e non era mai stato per sua iniziativa. Quella era la
prima
volta che chiedeva ad un’insegnante un consiglio su un
problema personale che
era in parte connesso ad un compito assegnato da quella stessa
insegnante.
Quando si diceva “c’è una prima volta
per ogni cosa”.
Lo studio della professoressa
Isabelle Plessis era come Kurt
lo aveva immaginato. Era quasi una stanza, c’era solo una
libreria per i
documenti e i libri di testo, poi sulla scrivania, sulle varie mensole
e su un
piccolo pianoforte c’erano tante foto incorniciate: persone
che forse erano
parenti o amici della Plessis, luoghi lontani, la stessa Plessis nelle
varie
fasi della sua vita, nella gioventù e nella
maturità, con abiti d’epoca (forse
per uno spettacolo teatrale), esotici o di taglio maschile se la
fotografia era
stata scattata in un paese straniero, fino a quelle più
semplici, che quasi non
si notavano. C’erano, poi, statuine e soprammobili vari e un
autentico tappeto
persiano sul pavimento.
- Mi spiace di non poter invitarla a
sedersi, signor Hummel
– disse la Plessis dopo che ebbe fatto entrare Kurt
– Purtroppo, quando ho
terminato di arredare questo studio mi sono resa conto che non
c’era spazio per
più di una sedia. Se per lei è lo stesso,
può accomodarsi sullo sgabello del
piano.
- La ringrazio, professoressa
– rispose Kurt – Non vorrei
trattenermi a lungo – ma si sedette ugualmente su quello
sgabello; voleva
evitare di tremare o far notare un’emozione troppo forte,
restando in piedi.
- In cosa posso aiutarla, Hummel?
– chiese la professoressa
Plessis, appoggiandosi alla scrivania e incrociando le mani in grembo.
- Si tratta del compito che lei ci ha
assegnato.
- Non concedo deroghe né
giustificazioni, dovrebbe saperlo.
- No, no, non sono qui per questo.
Sono venuto da lei per…
ehm… come posso dire…
- Con parole semplici, suggerirei,
data la difficoltà in cui
la vedo – gli venne incontro la Plessis con la sua
caratteristica ironia.
- Ecco, io avrei bisogno di chiederle
un consiglio di
carattere personale.
- E questo cosa ha a che vedere con
il compito che vi ho
assegnato?
- Si può dire che tutto
è “partito”, se posso usare questo
termine, proprio dal vostro compito.
- Curioso –
sogghignò la donna, divertita – Sembro aver
fatto più danni in poche ore con un solo atto da insegnante
che in quarant’anni
di vita indipendente.
Non capendo cosa avesse voluto dire
la professoressa, Kurt
iniziò a torturarsi le mani, sentendo l’ansia
crescergli dentro. Quando vide lo
sguardo della Plessis posarsi nuovamente su di lui, riprese sperando di
essere
più diretto.
- La cosa riguarda me e Blaine
Anderson – mise le carte in
tavola – In questi ultimi giorni ci siamo avvicinati molto.
Non che prima
fossimo distanti, anzi. Lui è stato il primo vero amico che
ho avuto qui alla
Dalton; è stato l’unico ad accorgersi che non
stavo bene, quando ero ancora
nella mia vecchia scuola. Mi è stato vicino come nessun
altro ha mai fatto,
tranne mio padre. E accanto a lui ho capito tante cose: che una persona
non
deve essere per forza perfetta per entrarti nel cuore; che la vera
gelosia può
ucciderti come una tenaglia rovente nello stomaco; quanto una sincera
amicizia
possa farti stare bene; quanto possa essere grande un sentimento e
quante
emozioni esso comporti. Non credevo che una persona potesse farmi
capire tante
cose, né che io fossi capace di aiutare, sostenere, dare
forza a qualcuno a mia
volta.
Si sentì più
libero e leggero quando ebbe finito quel
discorso; era sembrato tanto difficile all’inizio ma, a mano
a mano, le parole
gli erano uscite con una tale facilità da sembrare pronte da
tempo.
- Be’, è stata
una confessione molto accorata – disse
Isabelle Plessis, nascondendo un lieve sorriso – ma non
capisco cosa centri
tutto questo con il mio compito.
- Glielo ho detto: le cose hanno
iniziato a prendere una
piega diversa da quando lei ci ha chiesto di
“vivere” le emozioni presenti in Romeo
e Giulietta.
- Il fatto che lei la pensi in questo
modo, Hummel, mi
lusinga molto ma io non centro nulla con tutto questo. E’ una
cosa che riguarda
unicamente lei e Anderson. Voi due vi siete conosciuti, voi due da soli
avete
costruito la vostra amicizia; voi due avete fatto in modo che questa
amicizia
diventasse qualcosa di più profondo. Avete fatto tutto voi.
Non esistono
insegnamenti scolastici, compiti per casa in grado di far capire a due
persone
di provare dei sentimenti forti l’un per l’altro.
Qual’è dunque il problema,
signor Hummel?
- Il problema sta proprio nel fatto
che io e Blaine abbiamo
creato questa amicizia così bella che, arrivati ad un certo
punto, potremmo
temere di rovinarla o anche di distruggerla se le cose tra noi non
funzionassero.
- E’ solo questo il
problema? – chiese stupita la Plessis;
aveva abbandonato la sua vena ironica e gli stava parlando come una
madre
avrebbe parlato al proprio figlio – La paura? Ma la paura
c’è sempre quando ci
troviamo davanti a qualcosa di nuovo, come quando andiamo per la prima
volta a
scuola, o iniziamo a guidare. Ma la paura non ci frena; guai se lo
facesse. La
paura di ciò che è nuovo è quasi
sempre il preludio di un’avventura e l’amore
non fa eccezione.
Quando ebbe finito di parlare,
un’ombra scura cadde sul viso
della donna che si alzò dalla scrivania, la
aggirò e andò a sedersi sulla sedia
dietro di essa. Sembrava essere sul punto di appassire lì,
in quel momento; i
suoi occhi divennero completamente rossi, come se traboccassero di anni
e anni
di lacrime; rughe, che prima non c’erano, le solcarono la
fronte e gli angoli
delle labbra sottili. Kurt temette che si stesse sentendo male e fece
per
alzarsi, per chiederle se le occorreva qualcosa, ma lei lo
fermò con un gesto
della mano, che andò poi a posare sugli occhi e infine su
una foto sulla
scrivania. La Plessis la prese e la guardò a lungo. In quel
momento Kurt
avrebbe potuto leggere tante e tante emozioni racchiuse in una; avrebbe
voluto
vedere chi o cosa era rappresentato in quella foto e quale significato
avesse
per lei.
- So di non aver alcun diritto per
dirle certe cose, ma
vorrei avvalermi lo stesso del mio ruolo di educatrice per farlo
ugualmente –
disse la professoressa, con voce bassa e grave –
L’amore è la cosa più bella
che esista ma va trattato con molta attenzione perché
è fragile, come sono
fragili coloro che amano; se tante storie, come quella di Romeo e
Giulietta, si
concludono con un finale triste, è proprio per questa
fragilità. Lo si può
rendere meno fragile con anni ed anni di nutrimento ed evoluzione; si
può
riuscire a mantenerlo vivo per sempre se si è forti
abbastanza, altrimenti
l’amore viene sostituito dalla paura di rimanere soli o,
peggio,
dall’abitudine. Se così deve andare a finire,
tanto vale rimanere da soli
perché l’amore già è morto.
Lei, Hummel, cosa vorrebbe dire al signor Anderson
riguardo ai vostri sentimenti?
Preso in contropiede da quella
domanda, Kurt aprì e chiuse
la bocca, non sapendo che dire.
- Non dica “quella
parola” se non è sicuro al cento per
cento – lo prevenne la Plessis.
- Vorrei dirgli – rispose
Kurt, alla fine – che assieme a
lui mi sento felice. E che voglio provare ad essere ancora
più felice felice
assieme a lui.
- Allora corra da lui a dirglielo
– disse la Plessis,
tornando a guardare la foto. Poi la rimise al suo posto sulla
scrivania; adesso
Kurt riuscì a vedere chi vi era raffigurato: c’era
la professoressa Plessis
molto più giovane (doveva avere tra i venti e i
trent’anni), il volto pieno e
tondo e le labbra a bocciolo, i capelli le ricadevano lunghi e ondulati
sulle
spalle, il fisico sempre magro e minuto; dietro di lei, a cingerle la
vita,
c’era un uomo alto e ben piazzato, un gigante in confronto a
lei, riccioli
chiari gli incorniciavano il volto, non bello ma simpatico e
rassicurante.
Sembravano due persone all’apice della felicità
– Michael – disse la
professoressa lasciando che un sorriso la illuminasse – Si
chiamava Michael, ma
io mi divertivo a chiamarlo Michel, alla francese, e lui mi ricambiava
chiamandomi Elizabeth. Ci siamo conosciuti quando eravamo due studenti;
lui era
venuto in Francia dall’America per continuare i suoi studi ed
è stato… non dico
un colpo di fulmine, ma è stato un risveglio alla vita; di
quelli che capitano
una sola volta nella vita. Alla mia famiglia non stava bene che io mi
perdessi
dietro uno “zotico yankee”, come loro lo
chiamavano. E visto che io e Michael
eravamo in quella fascia d’età in cui si
è quasi sempre pazzi, non trovammo
altra soluzione che fuggire, via, in giro per l’Europa, con
pochi soldi in
tasca, facendo lavori occasionali per sbarcare il lunario, molte volte
recitando in piccole compagnie teatrali. Vivere all’avventura
come facevamo
noi, col tempo, avrebbe dovuto farci perdere la passione iniziale e
farci
ritornare alla monotona vita di una volta; ma non fu così,
anzi il sentimento che
ci legava si fece di giorni in giorno, mese in mese, anno in anno
più forte e
duraturo. E così, quando alla fine giungemmo qui in America,
ci sentivamo ormai
pronti a fare il grande passo e a creare una famiglia tutta nostra. Ma
in
quello stesso anno, Michael venne chiamato al fronte, in Vietnam.
Questa foto
l’abbiamo scattata proprio il giorno prima che partisse.
Tacque. La sua voce, sebbene
traboccante di emozioni, era
rimasta ferma e senza incrinature. Solo un leggero tremito della mano
la
tradiva mostrando la sua debolezza in quel momento.
- Cosa gli accadde? – si
azzardò a chiedere Kurt, con un
filo di voce, pur credendo di sapere già la risposta.
- Le guerre non si dovrebbero mai
fare – rispose la Plessis
con voce fredda, passandosi una mano sul lato del viso dove era
scivolata una
ciocca di capelli – Vada da Anderson. Non sprecate un solo
momento che la vita
ha deciso di concedere a tutti e due.
Kurt non avrebbe voluto fare altro in
quel momento: uscire
da quella stanza, correre (quella volta avrebbe corso lui) fino alla
porta
della stanza di Blaine, aprirla senza nemmeno bussare e stringere,
baciare il
ragazzo che la abitava, dirgli tante cose, fino al giorno seguente e
quelli che
sarebbero venuti. Ma a frenare il suo entusiasmo c’era la
mano bianca e
tremante di Isabelle Plessis, fragile come mai avrebbe creduto di
vederla. Si
sentiva in colpa per essere giovane e sul punto di scoppiare dalla
felicità
mentre quella donna, che lo aveva aiutato a togliersi un velo dagli
occhi, no.
- Vada – disse lei
nuovamente, più decisa e Kurt si sollevò
a fatica dallo sgabello e, cercando di non camminare in maniera rigida,
uscì
chiudendosi la porta alle spalle. Rimase fermo per un po’,
aspettando che il
suo respiro ritornasse regolare, come anche la sua circolazione. Troppe
confidenze da entrambe le parti.
Poi la sentì, dietro la
porta chiusa: una nota seguita da
un’altra e poi da un’altra fino a formare una
vecchia melodia densa di
rimpianti e nostalgie. Adesso sì che Kurt trovò
la forza di andarsene per non
immischiarsi nel mondo privato di Isabelle Plessis; c’era
spazio solo per lei,
il pianoforte, le fotografie e tutto quello che significavano. Poco
prima di
voltare l’angolo gli sembrò di sentire una parola
persa nella musica.
Ecoutes
* * *
Uscito fuori dal raggio
d’azione della zona professori, Kurt
aumentò il passo, lanciando qualche sporadico saluto a chi
incrociava per i
corridoi. Arrivò a contare i numeri sulle porte delle stanze
a mano a mano che
sapeva di avvicinarsi, fino a ritrovarsi davanti alla stanza di Blaine;
la
colpì solo una volta con le nocche per poi aprire subito
dopo ed entrare per
gettarsi su di lui, come per fargli una sorpresa. Ma la sorpresa
l’ebbe lui
stesso quando si rese conto che la stanza era vuota.
Senza starci troppo a pensare,
uscì dalla stanza e si mise a
correre a rotta di collo per i corridoi.
Non sapeva che Blaine stava facendo
la stessa identica cosa,
nello stesso momento: era andato a cercarlo nella sua stanza e, non
trovandolo,
era corso via per ritrovarlo. Entrambi a scivolare sul parquet o sul
marmo
(dipendeva da dove si trovassero) dei pavimenti, come gabbiani privi di
un’ala,
bloccati in un elemento non loro, bisognosi l’uno
dell’altro per poter volare
via. Il loro pezzo mancante.
Tra corridoi labirintici si
allontanavano e si avvicinavano
e si riallontanavano e si riavvicinavano senza mai incrociarsi, e il
filo che
li univa si riduceva ad ogni centimetro percorso. Si ritrovarono, alla
fine, al
centro di quel filo, dove il cuore pulsava come un piccolo nervo; in
poche parole,
a metà strada. Avevano percorso su e giù
l’intero dormitorio per ritrovarsi a
poca distanza dai loro rispettivi punti di partenza. E si erano
ritrovati l’uno
tra le braccia dell’altro, ma più per la rincorsa
che per vere intenzioni.
- Ti stavo cercando – disse
Kurt.
- Ed io stavo cercando te –
disse Blaine di rimando, non
riuscendo a trattenere una breve risatina.
- Blaine – riprese Kurt
– Blaine, io devo…
- No, ti prego, prima io –
lo interruppe Blaine
stringendogli le braccia – O non credo che riuscirei
più a dire nulla. Kurt,
sei tu. La persona “più particolare” sei
tu. Quello che cercavo in ogni ragazzo
che incrociavo senza mai trovarlo. Mi hai conquistato dalla prima volta
che ti
ho visto, ti ho voluto bene dal primo istante in cui ho iniziato a
conoscerti.
Sei l’amico che sognavo di avere quando ero piccolo. Ed ora
sei tutto quello
che ho sempre desiderato. Non so come esprimermi. Tu mi hai toccato
l’anima.
Non voglio forzarti a fare qualcosa, a intraprendere una storia seria
se non
vuoi, mi basterà sapere che ci saremo sempre l’uno
per l’altro, come hai detto
tu. Ma dovevo dirtelo anch’io.
Rimasero in silenzio per un tempo che
a Blaine sembrò non
finire mai; già si stava maledicendo per non aver saputo
esprimersi meglio, per
essersi sbottonato in quel modo. Sicuramente Kurt avrebbe detto di no,
avrebbero cercato di rimettere insieme quella loro strana amicizia,
avrebbero
dovuto dimenticare tutto quello che era stato e che sarebbe potuto
essere. Ma
tutti quei pensieri, accavallatisi in due secondi, vennero smentiti
dallo
stesso Kurt che gli gettò le braccia al collo e lo
baciò con la stessa forza di
quella mattina e la stessa delicatezza di quando si erano lasciati
qualche ora
fa.
- Blaine, sei tu – disse
Kurt, staccandosi da lui ed
emozionandolo coi suoi limpidi occhi verde azzurri.
Stavano iniziando ancora, proprio in
quel momento.
Tenendosi per mano, entrarono nella
stanza più vicina
(quella di Blaine). Si stesero sul letto e ripresero da dove si erano
interrotti, senza più interrogativi o incertezze o timori a
porre freni a
quella felicità e a quell’appagamento che ora li
avvolgeva. L’unica cosa
negativa (se così si può dire) fu che per quella
giornata dimenticarono
completamente lo studio. Ah sì, anche di mangiare.
Si addormentarono quando la luce
conciliò loro un rilassante
languore. Il primo a risvegliarsi, quando il sole stava tramontando, fu
Kurt;
dopo essersi tenuti stretti a lungo, si erano lasciati, permettendo che
fossero
solo i loro respiri, le loro labbra divise da un leggero filo
d’aria a
sfiorarsi. Non accontentandosi di quel poco, Kurt baciò le
labbra di Blaine che
respirò a pieni polmoni il fiato che quel bacio si
lasciò dietro, sorridendo
nel sonno.
Voltandosi, Kurt prese il suo
cellulare, appoggiato sul
comodino, e mandò un messaggio a Mercedes; voleva concludere
così questo
prologo prima dell’inizio vero e proprio.
Io e Blaine abbiamo scelto di provarci.
E Mercedes gli rispose:
Sono sicura che non ve ne pentirete ; ) Un bacio
<3
Con un sorriso, Kurt rimise il
cellulare sul comodino,
quando sentì una dolce stretta decisa cingerlo per il petto,
un bacio sul collo
e la voce di Blaine nell’orecchio.
- Benedetto
pugnale
– declamò silenziosamente – Questa è la
tua guaina.
- Qui resta
–
continuò Kurt voltandosi verso di lui e baciandolo ancora e
ancora e ancora.
Per la prima volta, due sorrisi uniti in uno.
- Qui resta…
e
fammi vivere.
Fine
anzi
no
Inizio
Note
dell’autore:
Ok, vi prego di non uccidermi.
Lo so, avrei dovuto dire che questo
sarebbe stato l’ultimo
capitolo e sicuramente avrò fatto un errore chiudendola qui,
ma quando sono
arrivato a questo punto ho capito di aver già detto tutto e
che aggiungere
altro sarebbe stato inutile: questo era l’inizio di Kurt e
Blaine nella
versione “secondo me”. Non sono Blaine Anderson
quindi con le dichiarazioni
sono negato, specialmente dopo quella della 5x01; temo che ora avremo
tutti
degli standard troppo alti XD
Spero comunque di avervi fatto
emozionare almeno un po’.
Per quanto riguarda Thad e
Sebastian… ho preferito lasciare
un finale aperto per loro, anche perché, se notate bene, mi
sono mantenuto sul
massimo realismo, evitando di far correre gli eventi, anche per quanto
riguarda
Kurt e Blaine che non si dicono “ti amo”
né fanno l’amore. Ho preferito
riservare lo stesso trattamento anche per Thad e Sebastian. Comunque
vada,
nella mia testa, anche loro adesso stanno “thogeter &
happy”.
E poi non dimenticate che questa era
una mini-long.
Con Isabelle Plessis mi auguro di
aver fatto un buon lavoro;
ho voluto mostrare anche questo aspetto di lei per non farla rimanere
semplicemente nel ruolo comico tipo Sue Sylvester, per dare anche lei
una
dimensione. Per la canzone, se volete sentirla, è questa,
cantata da Isabelle
Huppert, alla quale ho pensato per il personaggio della professoressa,
nel film
“8 donne e un mistero”: http://www.youtube.com/watch?v=gD_8MbEx90Q
E anche questa fanfiction
è conclusa. Al momento ho lasciato
per un po’ Glee e sto scrivendo una fanfiction semi originale
ispirata ad una
fiaba classica, e ci sto investendo molto.
Se volete rimanere informati su
questo prossimo lavoro (o
disastro, dipende dai punti di vista) vi rimando alla mia pagina: https://www.facebook.com/pages/Lusio-EFP/162610203857483
E per qualsiasi domanda: http://ask.fm/LusioEFP
Concludo ringraziando e mandando un
abbraccio fortissimo a
tutte le persone che mi hanno seguito anche con questa mini-long, che
l’hanno
inserita tra le seguite, le ricordate e i preferiti (non ci contavo
neanche) e
hanno anche trovato il tempo per farmi sapere cosa ne pensavano J
Vi voglio bene.
Alla prossima.
Ciaooooo
Lusio
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