Guardians

di grantivre
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Victoria. ***
Capitolo 2: *** 1. Finte Allucinazioni ***
Capitolo 3: *** 2. Di Guardiani, pattugliamenti e fiamme. ***
Capitolo 4: *** 3. Di maledizioni varie, fenici e vampire zoofile. ***
Capitolo 5: *** 4. Aracnofobici e promesse alquanto minacciose. ***
Capitolo 6: *** 5. Sorelle psicopatiche e belve da compagnia. ***



Capitolo 1
*** Prologo - Victoria. ***


Prologo.
Victoria


La metro era strapiena come al solito e la gente sgomitava e lottava per avere un briciolo di spazio vitale.
Almeno non è l’ora di punta pensò Victoria,  passando la spallina dello zaino dalla spalla dolorante a quella libera. Scese alla sua fermata con grande sollievo e respirando l’aria fresca, per quanto possa esserla quella di una città come Roma, non più contaminata dall’odore nauseante di sudore e dagli stravaganti profumi dei passeggeri della metro.
Lisciandosi i capelli castani arruffati s’incamminò verso casa sua, maledicendo il suo orario scolastico per aver complottato contro di lei mettendo le materie con i libri- o meglio mattoni- più pesanti nello stesso giorno.
Non era contenta di tornare a casa, ma neanche di stare a scuola. Le piaceva pensare di non appartenere a nessun posto, ma allo stesso tempo odiava il fatto di non avere un luogo caro dove sentirsi al sicuro e a suo agio.
Viveva con sua zia e sua sorella, anche se a dir la verità viveva completamente da sola. La zia, Elise, viveva venti ore su ventiquattro nella cantina di casa, a lavorare a chissà quale strano progetto.
La vedeva solo a volte a cena, e i suoi occhi azzurri erano sempre circondati da ombre scure. A volte si domandava se dormisse o facesse altro.
Sua sorella Sofia, invece, era poco più piccola di lei e andava ad una scuola col convitto. Una volta al mese tornava a casa, ma la sua presenza non era portatrice di allegria, anzi.
Finalmente arrivò davanti la porta di casa, cercò le chiavi nelle tasche del jeans e le infilò nella toppa: dentro al primo colpo, non le sembrava quasi vero.
Buttò con forza le chiavi nella ciotola di vetro sul mobiletto dell’ingresso e sbuffando per tutto il corridoio, arrivò in cucina.
Si avvicinò al lavello e si lavò le mani, dopodiché esaminò il contenuto della dispensa e sbuffò di nuovo: c’erano solo scatolette di tonno, lattine di fagioli e piselli e biscotti secchi.
Non erano di certo ingredienti favolosi per un pranzo come si deve, soprattutto perché Victoria odiava il tonno, i fagioli e i piselli.
Mandò un sms, posò lo zaino in salotto e si infilò in tasca una banconota da cinque euro, uscendo di corsa.
 La gente che la conosceva appena pensava fosse una ragazza graziosa, con i suoi grandi occhi castani, le ciglia lunghe e i capelli scurissimi. Quelli che la conoscevano abbastanza pensavano fosse un’asociale lagnosa che si lamentava di tutto e di tutti. Quelli che le volevano bene la trovavano una persona interessante, sarcastica e realista. Quelli che la conoscevano davvero non esistevano.
Fu spinta ad accelerare il passo da nubi nere cariche di pioggia che prima non c’erano, maledicendo anche quelle.
Quel giorno non era certamente di buon umore.
Corse fino alla gelateria e con un sospiro di sollievo spinse la porta a vetri. Era il suo posto preferito, con l’odore delle crépe appena fatte,  di cioccolato e di vaniglia, con i tavolini circolari circondati da comodi divanetti e i separé intrecciati.
Una mano pallida si alzò da una coppetta enorme di gelato e si agitò con foga per segnalare la sua presenza alla ragazza, che sospirò e la raggiunse.
Bianca era una coetanea di Victoria, quello che più si avvicinava ad una migliore amica, anche se non lo era a tutti gli effetti. I capelli chiari finivano in boccoli morbidi che si adagiavano lungo le spalle mentre gli occhi, anch’essi molto chiari, erano piccoli e lucenti.
-Scusami per non averti aspettato, ma Alfredo mi ha tentato.- disse, facendo spallucce e sorridendo al gelataio che si era girato al sentire il suo nome.
-Fa niente, non ti preoccupare.- si sedette di fronte all’amica appoggiando i gomiti sul tavolo e prendendosi la testa fra le mani.
-Ancora la dispensa?- chiese Bianca afferrando al volo del gelato che colava con il cucchiaino.
-Sì, fagioli e piselli, come al solito.- grugnì l’altra attraverso le mani.
Un cameriere sorridente si avvicinò al loro tavolo e guardando Victoria disse –Un’altra brutta giornata, eh?-
-Credo di aver fatto l’abbonamento a mia insaputa, Giulio.-
-Il solito? Cioccolato, pistacchio e tiramisù?-
La ragazza annuì e il cameriere si allontanò fischiettando rumorosamente.
-Guarda il lato positivo, Vicky.- disse la bionda spostandosi i capelli all’indietro e tenendo in bocca il cucchiaino.
-C’è un lato positivo? E ti prego, non chiamarmi Vicky, lo odio.-
-Ogni giorno che passa siamo sempre più vicini a Giugno!- esclamò Bianca in falsetto, sorridendo.
Victoria non sopportava il suo falsetto né il suo entusiasmo per il viaggio a Parigi che avrebbero dovuto intraprendere quell’estate. Parigi, patria dello shopping, ovvero elemento naturale di Bianca.
Già si vedeva a correre di qua e di là dietro all’amica per darle pareri e aiutarla a scegliere fra le decolté glitterate e gli stivaletti neri con i profili rosa- Bianca amava il rosa.
-Sai che bellezza.- le rispose roteando gli occhi.
La bionda le si avvicinò lentamente mettendo i gomiti sul tavolino e Victoria notò uno strano sorriso sulle labbra, uno che non lasciava presagire nulla di buono.
-So cosa ci vuole per il tuo malumore. Stasera si va ad un festa.-
Festa e Bianca, un combinazione terribile e da suicidio.
Ma cosa sarebbe potuto andare storto, alla fine? 




Salve gente!
Come va? Prima di tutto, probabilmente non sarò più jawaadseyes ma mockinghunter.
Spero vi piaccia questa storia, ho grandi aspettative :)
E vi prego, recensite, vorrei sapere i vostri pareri e migliorare.

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Capitolo 2
*** 1. Finte Allucinazioni ***


 Capitolo Primo
Finte Allucinazioni

 

Victoria si guardò le punte delle ballerine nere maledicendo il momento in cui aveva accettato il folle tentativo di distrazione di Bianca.
L’amica era tutta agghindata,  fasciata nel suo vestito verde lime e coperta da una giacchina rosa shocking coordinata alle scarpe.
Lei invece aveva indossato l’unico vestito che aveva ritenuto decente, ovvero un abito sopra al ginocchio di pizzo nero con le maniche a tre quarti. Con la sua giacca nera e suoi capelli corvini si sarebbe potuta confondere con il cielo notturno, se non fosse stato per la sua carnagione, solitamente tendente al bronzeo, pallida per uno sconosciuto motivo.
Nel complesso era carina ma messa a confronto con Bianca sembrava spegnersi.
Era come paragonare una piccola fiammella di una vecchia candela a una luce al neon colorata.
-Pronta per divertirti, Vicky?-  squittì Bianca aggiustandosi i capelli.
Victoria sbuffò, prendendo mentalmente nota di trovare un soprannome altrettanto ridicolo anche per l’amica.
-Non sai quanto.-
La bionda non notò la nota di sarcasmo nella sua voce e si mise a saltellare da un piede all’altro tirandosi più giù il vestito attillato.
-Entriamo, forza.- Aprì il cancello in ferro battuto e entrarono in un grande giardino pieno di statue di cherubini e veneri.
Victoria era affascinata da quei corpi dalle forme morbide che, anche se più nude che vestite, non erano affatto volgari.
Guardò l’amica e pensò che se agli artisti contemporanei fosse venuta voglia di scolpire delle veneri secondo il loro gusto sarebbero somigliate più all’amica, magrissima e alta, che alle antiche statue e sé stessa, che era snella ma aveva comunque qualche curva qua e là e di certo non aveva un corpo slanciato.
-Ei Lucas!- trillò la voce della bionda raggiungendo un tono più simile allo squittio di un topo che a una voce umana.
Detto –anzi, trillato questo- si buttò al collo del ragazzo e i due si baciarono appassionatamente.
‘’Andiamo a casa di un mio amico’’  Anche io bacio così tutti i miei amici, ovvio.  Pensò Victoria sentendosi di troppo.
Non che la cosa fosse una novità, Bianca aveva parecchi  amici intimi barra ammiratori, ma non andava in giro a baciarli tutti.
-Tu devi essere Victoria, piacere Lucas.- esordì il ragazzo con un marcato accento americano. Aveva la pelle un po’ più scura del color nocciola, occhi leggermente a mandorla, capelli neri e denti bianchissimi.
Le sorrise a trentadue denti e la ragazza si sentì percorrere la schiena da un brivido di inquietudine.
I denti non erano normali ma affilati come rasoi, specialmente i canini.
Non lunghi come quelli dei vampiri, ma altrettanto ricurvi.
Ecco qua che la serata horror di ieri si fa sentire pensò.
Diede la colpa ai film horror, che comunque odiava, e si convinse che non c’era niente di strano nella nuova fiamma di Bianca.
Cercò di sorridere e si baciarono le guance.
Odiava quel modo di salutarsi, era così.. confidenziale.
Bianca e Lucas si allontanarono all’interno di un salone enorme e si sedettero su un divanetto, presi dalle loro chiacchiere mentre Victoria non riusciva a togliersi dalla mente il sorriso di Lucas.
Rimosse il pensiero dicendosi che era solo la sua fantasia che giocava brutti scherzi e raggiunse un divano vicino a una grande portafinestra che dava su un terrazzo, lontana da tutti.
Tirò fuori dalla borsa Fahrenheit 451 e cominciò a leggere appoggiandosi al bracciolo finché,dopo qualche minuto,  un ragazzo alto e biondo la interruppe.
-Che ci fai qui tutta sola?- disse il ragazzo sgranando gli occhi azzurri e sorridendo.
Il sorriso fece trasalire Victoria che saltò quasi dal divanetto, aggrappandosi al cuscino.
Era lo stesso di Lucas.
-Cosa c’è?- insisté il biondo sedendosi accanto a lei e distendendo un braccio dietro le spalle della ragazza.
-Niente, credo di aver bevuto un po’ troppo.- mentì lei, tenendosi una mano sulla fronte.
Aveva le traveggole, non c’era altra spiegazione plausibile.
Cercò di calmarsi inspirando e ed espirando profondamente per qualche secondo per poi girarsi di nuovo verso il ragazzo.
-Guarda che ho visto che non hai bevuto neanche un goccio d’acqua. Comunque sono il fratello di Lucas, Aaron.- riprese lui tendendole la mano.
Victoria cercò di distrarsi dalla sensazione di inquietudine e osservò –Siete un po’ diversi però.-
Aaron rise piegando le braccia dietro la testa e stendendosi sullo schienale del divano. –Non siamo fratelli di sangue. Lui è americano e io inglese, i nostri ci hanno adottato.-
-Ecco spiegato il suo marcato accento americano. Ma il tuo è inesistente.- riprese lei guardandolo nuovamente.
Era normale, anche carino a dir la verità.
I capelli erano lunghi fino a poco sotto le orecchie, di un biondo molto chiaro. Alcuni ciuffi, che Aaron continuava a scostarsi ,gli ricadevano sugli occhi azzurri tendenti al grigio.
Era alto, con spalle larghe e busto asciutto.
Niente male –pensò- traveggole a parte.
-Vivo qui da quando avevo quattro anni.- sorrise, stavolta senza canini.
La sua era stata evidentemente un’allucinazione.
-Ti va di ballare?- le chiese alzandosi e tendendole la mano.
Victoria fu presa dall’imbarazzo: era una frana a ballare.
Finché si parlava di balli latino-americani, valzer, danza classica e moderna non era male.
Ma per quanto riguardava i balli da discoteca sembrava più un gorilla con le pulci che una ragazza.
-Non so ballare.- balbettò abbassando la testa.
-Ti insegno io, avanti.- la incoraggiò Aaron prendendole la mano e tirandola su in piedi.
La musica dal ritmo martellante cessò e un lento prese il suo posto.
Perfetto, un lento. Con un ragazzo mai visto in vita mia. Che bellezza. Almeno è carino.
-Allora, mi metti le braccia attorno al collo, così..- cominciò prendendole le braccia ed appoggiandole sul proprio corpo.
-So ballare i lenti, tranquillo. Non so ballare con la musica da discoteca, però.-
Aaron la strinse a sé, muovendosi al ritmo della musica.
-Non ci vai mai?- chiese stupito, o secondo Victoria, con finto stupore.
-No, non mi piace granché. Troppa gente ammassata in un solo posto che si contorce, non mi pare un progetto per una serata fantastica. Preferisco una serata tranquilla tra amici.- rispose lei abituandosi al ballare con il ragazzo.
Victoria era alta, ma arrivava solo alla base del collo di Aaron .
Appoggiata al suo petto riusciva a sentire il suo profumo: liquirizia, limone e..sangue.
Riprese a respirare profondamente, quella non poteva che essere un’altra allucinazione.
-Che succede?- le chiese il biondo abbassandosi per far toccare la propria fronte e la sua.
Victoria trattenne il fiato: i grandi occhi azzurri erano diventati del colore del cielo notturno e la parte bianca dell’occhio era stata inghiottita dal nero; i capelli biondi erano cresciuti e le orecchie erano a punta.
Quando il ragazzo aprì nuovamente la bocca per chiederle ancora cosa avesse, la ragazza notò i denti che aveva visto prima, aguzzi e ricurvi.
Fece finta di cadergli addosso e gli sfiorò la bocca con le mani.
Non era un’allucinazione, il taglietto sul dito lo dimostrava.
-Fammi vedere, che ti sei fatta?- chiese il biondo preoccupato.
-Nulla, vado un attimo al bagno.- fece per andarsene, ricordandosi poi di non sapere dove fosse la toilette. –Dov’è?-
-Seconda porta a destra, non puoi sbagliare, c’è una targhetta con su scritto ‘bagno’.-
-Grazie- rispose correndo verso la porta della targhetta.
Si chiuse a chiave e si guardò nello specchio cercando qualche traccia di sconvolgimento.
Era solo un po’ pallida, fortunatamente e il rossetto stava già cominciando a sbavare.
Prese un po’ di carta igienica, pulì le labbra e si sedette sul bordo della vasca guardandosi il dito tagliato.
Era un taglio netto  e profondo, considerando che i denti del ragazzo e il suo dito si erano appena sfiorati, e intorno ad esso la pelle era chiazzata di rosso e viola.
Oddio, cosa diavolo è?
Trovò un cerotto in un cassetto e vi fasciò la punta del dito, stando attenta a non toccare il taglio che bruciava tantissimo.
All’improvviso si sentì soffocare e le sembrò che la stanza le girasse intorno, lasciandola confusa per qualche minuto.
Dopodiché, respirando a fatica, salì sul bordo della vasca e aprì la finestra del bagno godendosi il vento fresco che vi passava attraverso.
Inaspettatamente la luce del bagno si spense e qualcuno cominciò a tirare pugni alla porta.
Victoria pensò che fosse qualche ubriaco ma cambiò ipotesi non appena la porta minacciò di cadere, con i cardini quasi del tutto staccati.
Presa da un senso di sgomento la ragazza decise di lasciare la stanza.
L’unica via d’uscita era la finestra che dava sulla terrazza, troppo in alto per saltare giù anche se c’erano delle aiuole che potevano attutire la caduta.
Dall’altra parte della porta echeggiò un ringhio, come quello di un cane selvatico, che fece vibrare la porta già poco stabile sui cardini debolmente attaccati ad essa.
La ragazza decise di tentare la sorte e si infilò nella piccolo finestra, sgusciando dall’altra parte del muro e mettendosi cautamente seduta con le gambe a penzoloni.
O salto o mi ritrovo faccia a faccia con la creatura rompi-porta pensò facendosi coraggio.
Contò mentalmente fino a tre e si lasciò cadere nelle aiuole piene di fiori colorati e fortunatamente non di rose.
Se la cavò abbastanza bene, graffietti e petali tra i capelli a parte.
Corse verso la portafinestra e cercò di entrare per poi uscire dalla porta principale, ma la porta non voleva muoversi.
Era in trappola: la terrazza non aveva vie d’uscita ed era collocata a una decina di metri dalla strada trafficata.
Se si fosse buttata da lì, e fosse sopravvissuta all’impatto, sicuramente sarebbe morta investita da una dei tanti veicoli che transitavano per il corso.
Presa dal panico e dall’ansia iniziò a riempire di pugni e calci la porta di vetro, imprecando ed urlando per sfogarsi.
Pessima idea.
Due ragazzi dal volto canino e dai denti affilati aprirono la porta, si fiondarono all’esterno e chiusero la porta con una chiave dorata.
Erano Aaron e Lucas.
-Non avevo le visioni, allora. Perfetto, sono davanti a due lupi mannari che probabilmente mi sbraneranno, ma almeno sono sana di mente.- tentò di sdrammatizzare Victoria con scarso successo.
-Non siamo lupi mannari.- precisò Lucas – Non ci piace farci chiamare in quel modo.-
-Fantastico, sono capitata davanti a degli esseri che non amano le etichette. Ora magari tirerete fuori una bandiera arcobaleno cantando qualche inno gay e protestando contro l’umana abitudine di affibbiare etichette a qualsiasi cosa- continuò la ragazza.
-Ma parli sempre a vanvera così tanto?- chiese l’essere più scuro, ovvero Lucas.-
-Solo quando sono nervosa.-
-Perché dovresti?- disse serafico Aaron facendo roteare un piccolo pugnale su un dito, a mo’ di palla da basket.
-Non saprei dirti con precisione, ma credo di non essere abituata a essere chiusa su una terrazza in compagnia di due mostri e un pugnale che non sembra avere un aspetto amichevole.- rispose la mora incrociando le braccia.
-Conosci un pugnale con un aspetto amichevole?- ribatté Lucas ridendo. –E poi noi non siamo meno mostri di te, Guardiana.-
Victoria impallidì. Guardiana? Cos’era una Guardiana?
-Non so di cosa tu stia parlando. Cos’è una Guardiana?- chiese sollevando le sopracciglia.
-Non sa nemmeno di esserlo, quindi non sarà neanche allenata. Non c’è gusto ad ammazzare una così.- disse Lucas scuotendo la testa.
-Dobbiamo ucciderla per forza?- pensò ad alta voce Aaron con un sorriso inquietante stampato in faccia.
Era un sorriso che quasi le faceva preferire la prospettiva della morte a qualsiasi cosa stesse pensando.
-Che vuoi dire, Aaron?- domandò Lucas guardandolo dubbioso.
Aaron si avvicinò a Victoria tirandole sul il mento e avvicinandosi al suo viso.
-Non è male. Posso tenermela io, tanto una Guardiana sprovvista di allenamento non è una minaccia.- Rispose il ragazzo, o essere,  guardandola negli occhi.
Ora o mai più pensò Victoria Meglio un pugnale nella carne che quello che ha in mente lui.
Si sporse in avanti e gli diede un calcio più forte che poteva, facendolo indietreggiare.
Il ragazzo le fu addosso in pochi secondi e la schiacciò a terra.
-Andiamo, è così terrificante il dover passare del tempo con me?- disse sorridendo.
Con tutta la forza che riuscì a trovare capovolse la situazione trovandosi seduta sul suo petto.
Velocemente, ignorando Lucas che le stava per saltare addosso, premette con forza un punto alla base del collo del ragazzo, sede di un nervo che compresso portava allo svenimento.
Prima di essere colpita con forza sulla testa riuscì a ringraziare mentalmente la nonna per le lezioni di autodifesa che le aveva dato da bambina.



Salve a tutti, lettori silenziosi e non.
Innanzitutto volevo ringraziare tutti voi che anche non recensendo seguite la mia storia.
Solo in due hanno recensito il prologo e sinceramente non li biasimo perché era una cosa del tutto normale e poco interessante.
Spero che invece questo sia di vostro gradimento e vi prego, recensite o contattatemi se preferite, perché vorrei davvero sapere cosa ne pensate sia del mio modo di scrivere sia della storia.
Inoltre spero di aver scritto bene tutto, ma alle dieci di sera non sono abbastanza lucida per controllare benissimo.
Secondo voi cosa succederà dopo? Chi sono questi Aaron e Lucas se non sono davvero lupi mannari?
Chi sono i Guardiani?
Vorrei tanto sapere cosa immaginate, scrivetemelo.
Un bacio, Mokinghunter.

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Capitolo 3
*** 2. Di Guardiani, pattugliamenti e fiamme. ***


Capitolo Secondo
Di Guardiani, pattugliamenti e fiamme.

 
Daniel imprecò e girandosi zittì i due fratelli con un rapido gesto della mano, spazientito.
Era l’unico che prendesse sul serio gli appostamenti e avesse cura di guardarsi sempre attorno, era prudente e silenzioso.
Gli altri due, Dantes e Nicole, si annoiavano sempre  durante le ricognizioni e i pattugliamenti e fremevano dalla voglia di combattere, di  poter mettere a frutto le ore trascorse nella palestra del castello.
Daniel non poteva biasimarli, i Guardiani Guerrieri in quegli anni somigliavano più alla polizia degli Esposti che a dei veri e propri combattenti.
Ma d’altra parte combattere sul serio significava la fine della loro pace, durata più di un secolo e guadagnata dopo una sanguinosa guerra durata il doppio.
Guardò da una parte all’altra del muro intorno alla casa osservando attentamente ogni singolo particolare con occhio vigile e meticoloso.
« Non c’è alcun sistema di allarme magico, sembra tutto a posto» Bisbigliò il ragazzo rivolgendosi agli altri due.
Di solito la magia lasciava tracce azzurrine invisibili agli Esposti, i comuni umani, e visibili al Volgo, il popolo magico.
«Mi ripeti perché siamo qui?» domandò Nicole sbuffando e mettendosi una ciocca di capelli, sfuggita alla coda alta, dietro l’orecchio sinistro. 
Ogni mese si tingeva i capelli di un colore diverso e quella volta aveva scelto il rosso ciliegia.
Daniel sospirò «Al Quartier Generale è arrivata una denuncia da parte di una Sibilla. A quanto pare qui vivono degli esseri magici non identificati dall’aspetto minaccioso.»
«Le sibille sono solo delle visionarie, per quanto maghe siano. E i loro verdetti o le loro denunce non sono mai chiare.» Rispose Dantes annoiato, scuotendo i suoi corti ricci biondo cenere.
«Anche zio Jonah, comunque, ha un aspetto minaccioso, eppure non mi sembra che qualcuno abbia mai sporto denuncia.» Scherzò Nicole.
«Credo abbia più peli che pelle scoperta. Secondo me è per metà lupo mannaro.» Concordò il biondo sorridendo.
«I lupi mannari si sono estinti durante la Grande Guerra e Jonah ha poco più di centodue anni.» Brontolò Daniel, pur cogliendo il sarcasmo. «Capisco che la sua misteriosa pelliccia- ebbene sì, vi sto dando ragione, Jonah ha davvero parecchi peli- vi interessi, ma questa è una missione. »
Fiutò l’aria, inalando l’odore di alcol, pizza e…magia.
Era un odore dolciastro, delicato e allo stesso tempo somigliante all’incenso.
«Qualcuno sta usando la magia qui. Prepariamoci ad un paio di arresti.» Decretò il ragazzo sorridendo agli altri due e passandosi la mano tra i capelli scuri.
Non era consentito utilizzare la magia in presenza di Esposti e le punizioni erano più che severe: spaziavano dal mese senza poteri alla reclusione a Desmoteria, la prigione di Atlantide, da cui nessuno tornava uguale a prima, se tornava.
Dantes sorrise e sfoderò la spada «Datemi il via ed io entro.»
«Frena, amico, frena. Dobbiamo essere prudenti.»  Lo rimproverò Daniel poggiandogli una mano sul petto. «Non possiamo rischiare di lanciare troppe Immemoratio per una bazzecola.»
«C’è un lucernario lassù, possiamo spiarli da lì.» Propose Nicole indicando una finestrella sul tetto e guadagnandosi l’approvazione del moro, che sorrise e chiese divertito «Pronti per l’arrampicata?»

Arrampicandosi sulla parete della casa, Dantes non poteva reprimere l’ansia, la voglia di combattere.
Non era tranquillo o prudente come Daniel, né ragionava a sangue freddo come Nicole, era impulsivo e impaziente.
Non voleva combattere per avere la gloria, la fama o quant’altro.
Voleva combattere per il gusto di farlo, perché gli piaceva la sensazione d’invincibilità che provava con la sua pharos in mano.
Aveva perfino dato un nome latino alla sua spada.
Pharos, faro.
Faro della giustizia? Faro della gloria? Non lo sapeva, ma quando l’aveva ricevuta a dodici anni quella parola si era fatta strada nella sua mente e lui aveva deciso di dare ascolto al suo intuito, o qualsiasi cosa fosse.
Suo padre era entrato nella sua camera la mattina di Natale di sette anni prima con un pacco azzurro, borbottando maledizioni contro i folletti postini che a quanto pare amavano svegliare dei poveri Guardiani Artigiani come lui alle sei del mattino del giorno di Natale.
«E’ per te, Dantes. E prima che tu lo chieda, non so di chi sia, non c’è mittente.» Gli disse con la voce ancora impastata dal sonno. «Aprilo, su.»
Dopo essersi strofinato gli occhi verdi, il bambino aveva scartato con cura il pacchetto, stando attento a non rovinare la carta dell’involucro.
Era una sua fissazione, odiava rompere o tagliare la carta regalo, preferiva conservarla.
Un’espressione di puro stupore si era dipinta sul suo volto e su quello di suo padre: una meravigliosa spada era adagiata al centro di uno scrigno stretto e lungo.
 André, era questo il nome del padre di Dantes e Nicole, l’aveva soppesata e studiata e aveva decretato che quell’arma era la migliore che lui avesse mai visto in tutta la sua lunga carriera da Artigiano, una vera e propria opera d’arte.
Un’opera d’arte non tanto innocua, però.
Nello scrigno aveva anche trovato un piccolo biglietto che custodiva gelosamente che riportava le seguenti parole:
Per Dantes Beaumont.
Non sai chi ti manda questa spada e per ora è giusto che sia così.
Non posso dirti molto ma solo di tenere sempre con te questa spada e lasciare che ti guidi.
Dalle un nome, funziona meglio in questo modo.
Scusami per le poche parole, ma per ora è tutto ciò che devi sapere.
Si era accigliato, in un primo momento, leggendolo e innervosendosi per tutto ciò che non poteva sapere.
Poi aveva deciso di fare ciò che gli era stato detto dando un nome alla sua nuova spada fiammante, una spada che gli aveva salvato la vita un paio di volte.
Pharos.
Magari era il suo, di faro.

Giunti sul tetto, i tre ragazzi si inginocchiarono ai lati del lucernario.
«Che fortuna, siamo proprio sopra la festa.» Gongolò Dantes imponendo una mano sul lucernario. «Rivelo» Sussurrò poi, cambiando tono.
Quattro figure nella sala emanavano una luce colorata ora: una fiammella rossa, due nere e una azzurra.
«Un vampiro, due esiliati e..» cominciò Daniel percorrendo la sala con lo sguardo «Non ci credo.»
Nicole e Dantes si sporsero un po’ di più e rimasero a bocca aperta anche loro.
«M-ma..com’è possibile?» Balbettò Nicole.
«Un Guardiano,  qui? Vuole toglierci tutto il divertimento? » Sbuffò Dantes spostandosi dagli occhi un ciuffo biondo.
Daniel rimase in silenzio, osservando la fiammella.
Riusciva a vederla distintamente grazie alla sua vista da falco: era una ragazza, probabilmente sua coetanea, che ballava con un ragazzo biondo, un esiliato ma quello che lo stupiva di più era il colore della fiammella.
Non era blu elettrico come la sua o degli altri guardiani, ma più chiara, azzurrina.
Non aveva mai visto una fiamma simile in vita sua, e di fiamme lui ne aveva viste parecchie: quelle bianche dei maghi, quelle rosse dei vampiri, quelle verdi degli elfi, quelle marroni dei troll, quelle arancioni degli stregoni e così via.
Le più rare erano quelle nere degli esiliati e le gialle dei lupi mannari, ormai banditi anche loro fin dalla Grande Guerra e quindi considerati estinti.
«Vado a controllare.» Dichiarò infine con decisione.
«Come intendi fare, mister discrezione?» Chiese Dantes guardandolo confuso.
Daniel non rispose ma cominciò a cantilenare una litania a bassa voce e poi svanì.
«Invisibilità? L’originalità non è il tuo forte, Dan.» Continuò il biondo.
«L’originalità non è importante in questo momento.» Disse una voce apparentemente non appartenente a nessuno. «Sorvegliate entrambi i lati del tetto e per comunicare usate il solito modo.»
I due fratelli avvertirono una leggera brezza accarezzarli e poi scomparire nel lucernario.
Daniel era andato.
Nicole si tastò l’orecchino sinistro, un piccolo rubino incastonato in un cerchio d’oro posto alla fine di un elaborato filamento dello stesso materiale, mentre fissava la mano sprovvista di gioielli di Dantes.
«L’hai portato, vero?» Gli chiese tradendo dell’ansia nella voce.
Mi hai preso per un troll? Riecheggiò una voce familiare e scherzosa nella sua testa mentre Dantes avvicinava la mano destra, nella quale bruciava un fiamma verde, al petto, illuminando una catenina.
Alla catenina era appeso un anello d’argento nel quale era incastonato uno smeraldo e sul quale erano incise le parole Omnia vincit amor.
Nicole si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo e poi visualizzò mentalmente il viso di Daniel, i suoi occhi verdi, i corti ricci biondi, la barbetta ispida che si lasciava crescere.
Dopodiché pensò Ti sei stufato di portarlo al dito?
Era così che comunicavano loro tre: telepaticamente attraverso i loro gioielli.
Nicole e il suo orecchino col rubino, Dantes e il suo anello con lo smeraldo e Daniel col suo bracciale con il turchese.
Erano una sorta di telefoni, solo che le conversazioni non potevano essere intercettate e, cosa migliore, non si pagava alcuna bolletta.
Aihmè, temo che non sia virile quanto me, sorellina. Nicole poté giurare che, anche se attraverso il pensiero, Dantes avesse dato un certo peso all’ultima parola, enfatizzandola, ma cercò di sgombrare la mente. E poi non riesco a maneggiare bene Pharos. E non dimentichiamoci il vantaggio maggiore: dà risalto ai miei occhi, non trovi?
La ragazza si trattenne dal dire, e dal pensare, che lo smeraldo non avrebbe potuto far risaltare ulteriormente i suoi occhi che erano già luminosi come i fari delle automobili degli Esclusi.
Non era un paragone romantico o poetico, ma era solo suo fratello, il suo adorato vanitoso fratellone.
Rimuginò qualche secondo su questi ultimi pensieri e sorrise.

Daniel si fece strada tra i ragazzi che si dimenavano al centro della sala, sbuffando e cercando di non perdere d’occhio la ragazza.
Riuscì a sgattaiolare appena in tempo nella stanza in cui la Guardiana stava entrando, rischiando quasi di perdere un braccio.
Non era un’esagerazione: quando si diventa invisibili anche un po’ di materia scompare, rendendo più vulnerabile il corpo e le ossa.
Il ragazzo guardò la figura, china sul lavandino, che si guardava allo specchio mordendosi il labbro inferiore.
Non si rimirava come faceva Nicole, ovvero per cercare difetti da eliminare col trucco o per controllare il proprio aspetto ma pareva che si stesse guardando senza vedersi, sembrava sovrappensiero e terrorizzata.
I grandi occhi castani erano sgranati, respirava a fatica ed era pallida.
Sì, era decisamente terrorizzata.
La ragazza si portò il dito davanti al viso e trattenne a stento un gridolino: era gonfio, chiazzato di viola e di rosso, chiari sintomi di avvelenamento magico.
Prese un cerotto e fasciò alla meno peggio la ferita, ansimando ancora di più, poi si arrampicò sulla vasca per prendere un po’ d’aria.
Daniel la seguì, si sedette accanto a lei e cercò di materializzarsi ma dei forti colpi alla porta lo costrinsero a rinunciare.
Tutto quanto sembrò andare a rallentatore.
La ragazza voleva saltare giù dalla finestra, ma era un bel salto e non se la sarebbe cavata senza qualche osso rotto qua e là.
Sussurrò Avis e delle ali spuntarono dalla sua schiena.
Non poteva vederle, come del resto non poteva vedere il resto del suo corpo, ma riusciva a sentirle, sentiva il fruscio delle piume che gli accarezzavano le spalle.
Ogni Guardiano aveva delle ali diverse che simboleggiavano qualcosa di loro e le sue erano un incrocio tra quelle di una civetta, simbolo di Atena e della sapienza, e quelle di un angelo.
Quest'ultimo era parecchio ricorrente tra le ali dei Guardiani e simboleggiava la purezza dello spirito.
Non appena la ragazza si lasciò cadere, Daniel le afferrò le spalle e la lasciò, ignara, in un cespuglio.
Amico, sali subito, ci serve aiuto. Risuonò la voce di Dantes nella sua testa.
Lanciò un’occhiata fugace alla ragazza e volò verso il tetto.


Salve a tutti, scusatemi per l'enorme ritardo, ma purtroppo ho una sorella di nove anni che tiene sempre la tv accesa impedendomi di scrivere.
Questo è un capitolo parallelo al primo, per presentarvi tre nuovi personaggi: Daniel, Nicole e Dantes.
Spero vi piaccia il capitolo e il nuovo stile che ho adottato per l'impaginazione!
A proposito, vi ho lasciato qualche indizio qua e là per capire cosa succederà dopo, vediamo se ci arrivate.
Un abbraccio
Mockinghunter

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Capitolo 4
*** 3. Di maledizioni varie, fenici e vampire zoofile. ***


Capitolo Terzo

Di maledizioni varie, fenici e vampire zoofile.

 

 
Daniel arrivò sul tetto e osservò esterrefatto la scena: i suoi due amici stavano combattendo con tre coboldi, ovvero dei folletti aggressivi, xenofobi e codardi che sono servi dei draghi, elfi domestici oppure infestatori delle miniere.
«Da quando in qua i coboldi sanno maneggiare armi?» Sbuffò il ragazzo gettandosi nella mischia.
«Non ne ho idea, ma sono abbastanza bravi.» Gemette Nicole cercando di trafiggere un folletto con il suo pugnale, senza successo.
«Dannazione!» Dantes imprecò schivando per un pelo un fendente del coboldo contro cui combatteva. «Perché sono qui?»
«Possibile che sapessero del nostro arrivo?» Ansimò la ragazza trafiggendo una delle tre creature, che esplose in una pioggia di scintille verdi.
«Qualcuno deve averli avvertiti» Concluse Daniel, arrabbiandosi ancor di più vedendo l’orribile ghigno del coboldo.
Nicole corse ad aiutare Dantes, che stava combattendo col coboldo più grande e più feroce.
Solitamente i coboldi erano mingherlini, bassi e con un naso aquilino enorme.
Questi avevano lo stesso naso, ma erano decisamente più alti, grossi e muscolosi e armati di mazze chiodate e asce.
«Esiste il doping per i folletti?» Scherzò Daniel menando l’ultimo fendente al suo folletto. «Perché questi non sono di certo coboldi normali.»
«La cosa buffa è che non parlano, ma grugniscono solamente..» Osservò Nicole balzando sulla testa del folletto e colpendolo con il suo pugnale. «..Mentre di solito sfiorano la logorrea. Strano, molto strano.»
Detto questo, Nicole atterrò sul tetto poggiando una mano a terra, coperta di scintille verde scuro.
Dantes prese un bel respiro e disse «Bel colpo, Cole.»
La sorella gli sorrise gratificata e un po’ imbarazzata. Dantes non le faceva molti complimenti riguardo il suo modo di combattere, ma ultimamente era molto migliorata.
Tutto merito dell’allenamento con Steven Lawson, il padre di Daniel, che era un vero fuoriclasse ed era anche un bell’uomo che aveva raggiunto l’Apice a venticinque anni.
L’Apice era il punto in cui la crescita di un immortale si fermava e di solito si aggirava intorno ai 19-30 anni, salvo alcuni casi spiacevoli di Apici raggiunti a 10 anni o a 120.
«E’ stato troppo semplice.» Disse pensieroso Daniel.
«Che vuoi dire, El?» Ribadì stupito Dantes, usando il nomignolo che aveva affibbiato all’amico.
Per ovvie ragioni non potevano chiamarsi ‘Dan’ a vicenda e così avevano deciso di utilizzare le ultime lettere dei rispettivi nomi come soprannomi.
«Andiamo, Tes. Mandarci tre Coboldi? Saranno pure stati più forti del solito, ma ci abbiamo messo poco più di qualche minuto per farli fuori.» Continuò il moro. «E no, non siamo eccezionali o troppo forti.»
«Secondo me sei paranoico, amico.» Ribatté il biondo. «Che cosa dovrebbe essere? Uno spettacolino? Un diversivo? Andiamo.»
Un diversivo.
Daniel si maledisse per non averci pensato prima.
Loro tre erano sul tetto, impegnati nella lotta, mentre un’altra Guardiana era di sotto, da sola e già indebolita dagli effetti del veleno.
Si fiondò giù dal tetto senza dare alcuna spiegazione ai due amici, sentendo dietro di sé solo un’acuta risata femminile.

Victoria aprì lentamente gli occhi e si guardò intorno: Aaron era steso a terra, il petto che si alzava e si abbassava lentamente, in modo quasi ipnotico.
Luke era steso accanto a lei con la camicia madida di sudore e la schiena immobile.
Erano entrambi tornati nella loro forma normale e sembravano dei ragazzi crollati a terra dopo aver bevuto troppo; Victoria pensò per un attimo di essersi immaginata tutto, ma guardando di nuovo il povero dito gonfio accettò la realtà: due lupi mannari con i denti da vampiro l’avevano quasi uccisa.
Perché quasi? Luke l’aveva colpita alla testa, se lo ricordava benissimo.
Aveva chiuso gli occhi e si era  sentita stanca, come se la sua forza fosse stata risucchiata da qualcosa.
Non era mai svenuta in vita sua, però quella sensazione le parve davvero uno svenimento.
Allora perché si era svegliata e Luke giaceva al suo fianco?
Perché non l’aveva uccisa?
Lo guardò meglio e notò che la camicia era bruciacchiata in alcuni punti e che il ragazzo puzzava come un barbecue fatto con carne andata a male.
Inoltre la terrazza era completamente allagata.
«Come diamine hai fatto?» Una voce la riportò alla realtà, distraendola dai suoi pensieri.
Un ragazzo alto, poco più grande di lei, moro con gli occhi azzurri, la stava fissando incredulo.
«Cosa ho fatto?» Rispose lei confusa toccandosi il collo, dove stava avvertendo un forte bruciore.
«Hai messo ko due non identificati, da sola, e senza esperienza. Senza armi.» Replicò il ragazzo tutto di un fiato. «Ma soprattutto, come diamine hai evocato una fenice? E subito dopo, come hai fatto a far scoppiare la fontana?»
«Cosa ho fatto?» Ripeté lei stupita, guardandosi intorno.
«Insomma, quel mostro ti ha dato una botta in testa, la tua collana ha iniziato a brillare e ne è uscita una fenice. Nessun Guardiano ci riesce da secoli, se non millenni.»
«Posso sapere, di grazia, cosa sia un Guardiano?» Chiese Victoria alzandosi e togliendosi la cenere dal vestito. La giacca era andata, completamente rovinata dal fuoco e dall’acqua.
Cercava di andare un gradino per volta e di trattenersi.
Lupi vampiri, fenici, fontane che scoppiano, Guardiani.
Di certo non erano cose che capitavano tutti i giorni ad una normale adolescente.
Daniel stava per risponderle, quando un messaggio di Dantes gli attraversò la mente.
Scappa. Ti vediamo da quassù, ma lei ancora non ti ha visto. Vuole la ragazza. Scappa.
Il moro avrebbe voluto domandargli chi la stesse cercando e perché, ma sapeva che quando Dantes usava un tono serio, la faccenda era davvero critica.
«Quanto veloce riesci a correre?» Chiese alla ragazza che gli rispose con uno sguardo confuso.


«Sto correndo, al fianco di uno sconosciuto, con una vampira alle calcagna. Il sogno della mia vita si avvera.» Sbuffò Victoria arrancando dietro Daniel.
«Riesci a correre un po’ più veloce?» Ansimò il ragazzo, cercando di contattare nuovamente l’amico.
Stavano correndo da più di venti minuti ed erano riusciti a comunicare con Dantes giusto il tempo necessario per sapere che chi li stava inseguendo era una vampira e che i due fratelli stavano tentando di tenerla a bada.
«Vorrei, ma non ho più fiato. Mi sento male.» Rispose la ragazza.
Victoria non avrebbe mai ammesso di stare male così apertamente, di solito sopportava il dolore stoicamente e senza lamentarsi.
Il bruciore che sentiva, però, era impossibile da ignorare e le rendeva difficile stare al passo con il ragazzo.
«Dannazione, il dito! Me n’ero dimenticato!» Gemette Daniel, cercando qualcosa con lo sguardo. «Eccola! Sbrigati..»
«Victoria, mi chiamo Victoria.»
Il ragazzo annuì e la trascinò ai piedi di una fontanella.
«Ora aggrappati a me, d’accordo? Spero che tu non abbia paura di bagnarti.»
«Terribile doppio senso.»
«N-non volevo dire questo.» Balbettò il ragazzo, arrossendo.
Victoria rise di gusto, tentando anche di liberarsi un po’ dalla paura e dalla tensione.
«Succede, Daniel.»
«Non mi sembra di averti detto come mi chiamo.» Borbottò confuso il ragazzo.
«Se non vuoi far sapere agli altri come ti chiami, ti sconsiglio di portare una specie di collare per cani.»
Daniel si passò il ciondolo a forma di spada tra le dita. Era grande quanto il suo mignolo e sul piatto della lama era inciso il suo nome.
«Ce l’hanno tutti i Guardiani Guerrieri.» Borbottò di nuovo. «E non somiglia affatto ad un collare per cani.»
«Come vuoi tu.» Ribatté Victoria facendo un gesto di noncuranza con la mano.
Daniel sospirò e disse deciso «Aggrappati a me. Stiamo per farci un bel tuffo.»
«Nella fontana?!»
Il ragazzo le cinse le spalle con un braccio, saltò sul cornicione e poi cadde nella fontana, trascinandola con sé.


«Te lo ripeterò una volta soltanto.» Soffiò la vampira a pochi centimetri dal viso di Dantes, passando la punta affilata dell’unghia sotto il mento del ragazzo. «Dov’è la ragazza?»
Lui tremò impercettibilmente e, dopo aver ingoiato la saliva, sibilò con tono fermo «Non è affar tuo, vampira.»
«Ah, no?» Continuò lei, facendo scorrere l’unghia lungo il collo del biondo.
Aveva l’aspetto di una ragazza davvero affascinante, non c’erano dubbi. I lunghi capelli biondi le ricadevano sulle spalle in boccoli chiarissimi, mentre gli occhi color ghiaccio erano profondi e taglienti.
Il cerchio rosso che la vampira aveva attorno all’iride era vividissimo e sembrava sciogliere il ghiaccio dei suoi occhi, mandando lampi di luce di quando in quando.
Dantes si chiese quanti anni effettivi avesse e sospettò superasse il secolo di vita.
«Hai un bel collo candido. Che ne diresti di un morsetto?» Proseguì, tracciando dei cerchi invisibili col pollice sul collo di Dantes.
Lo stava guardando negli occhi e parlava con una voce suadente: stava cercando di ammaliarlo.
Se lo avesse morso, sarebbe stata la fine e lui sarebbe stato un burattino nelle mani della ragazza.
Con Nicole al tappeto e lui ammaliato, Daniel e la ragazza non avrebbero avuto scampo, il passaggio era troppo lontano e loro la stavano intrattenendo da soli dieci minuti.
Avevano combattuto contro di lei e una Creatura Notturna, una categoria di animali spietati e crudeli.
La sua Creatura era una pantera rossa dagli occhi neri come l’ossidiana, dal pelo liscio e lucente come l’olio.
Era balzata addosso a Nicole, facendola cadere a terra priva di sensi e sconvolgendo letteralmente Dantes: Nicole aveva degli ottimi riflessi e non poteva essere caduta a terra dopo un balzo lento come quello della belva, non voleva crederci.
Piano piano tentò di arrivare con il piede alla spada caduta a terra, invano. Era troppo lontana e la vampira col vestito verde gli sbarrava la strada.
Stava per recitare le sue ultime preghiere quando un qualcosa di rosso passò dietro le spalle della vampira.
Dantes trattenne il fiato, in attesa, e un momento dopo la punta della sua Pharos sbucò dal cuore della vampira, che si accasciò al suolo.
«Questo dovrebbe sistemarla per un po’.» Sorrise Nicole, stringendo i suoi occhi chiarissimi com’era solita fare quando sorrideva.
Dantes le sorrise di rimando. «Sapevo che quella belva non poteva averti steso sul serio.»
La ragazza roteò la spada nella mano destra e poi la porse a Dantes. «E’ per caso un complimento, questo?» Disse divertita.
Il biondo alzò le spalle e le ammiccò. «Deducilo tu, non sei la più intelligente della famiglia?»
«Già, ma ciò non vuol dire che anche tu non possa esserlo.» Rispose lei enigmatica e Dantes seppe cosa volesse dire Nicole.
Sospirò e la guardò nei suoi occhi chiari e limpidi. «Odio tutto questo.»
La sorella fece un passo verso di lui e gli prese la mano. «Non sei il solo.»
«Mi dispiace interrompere tutto questo enigmatico sentimentalismo fraterno, ma vorrei sapere dove si trova la ragazza.» Ringhiò una voce tra il ruggito di un felino e la voce della vampira.
I fratelli si voltarono e trovarono la pantera pronta al balzo.
«Sorpresa.» Esclamò l’animale prima di alzarsi sulle zampe posteriori ed essere inghiottito da una luce rosata.


Victoria si sentì risucchiare verso il fondo della fontana, oltrepassandolo come se non ci fosse.
Sotto di lei il terreno era duro e ruvido, completamente ricoperto di strani sassi.
Ne prese in mano uno e lo lasciò subito ricadere, stupita e inorridita.
Daniel la guardò e fece un cenno. «Sono ossa, ossa antiche e levigate dal tempo.»
«Che ci fanno sotto ad una fontana nel centro di Roma?» Chiese la ragazza guardandosi intorno.
Spostò lo sguardo verso l’alto e vide che non c’era niente della fontana, solo un soffitto puntellato di stalattiti.
«Fammi indovinare: era una sorta di portale.»
Daniel alzò un sopracciglio. «Una specie. Ma questo tu come lo sai? Mi ero aspettato una reazione isterica.»
Victoria si alzò si pulì il vestito, tanto per tenere occupate le mani che non smettevano di tremare.
«Ho letto troppi fantasy. Ora sto sognando. Magari ho sbattuto la testa in quel bagno e sono in coma.» Cominciò a dire nervosamente, camminando da una parete all’altra del piccolo tunnel.
Il ragazzo scosse la testa ridendo. «Sapevo sarebbe successo. Il primo passo è la negazione. Tra un po’ comincerai a diventare isterica, dopodiché, forse, comincerai a comprendere.»
La ragazza si scosse e lo fulminò con lo sguardo.
Decise di saltare la parte isterica, che sentiva in arrivo, per non dare soddisfazione al suo nuovo ‘amico’.
Riordinò tutte le informazioni che aveva in possesso, pochissime, se non nulle e disse «Ho incontrato due lupi mannari, che non si dichiarano tali, che sembrano dei vampiri. Hanno cercato di uccidermi, ma ne ho steso uno con un piccolo trucchetto insegnatomi da mia nonna e un altro con una combinazione di fuoco, uscitomi dal petto, e acqua, uscita da una fontanella. Dopodiché un Guardiano sbruffone mi ha fatto correre per venti minuti, facendomi fermare davanti ad una fontana. Dopo un doppio senso mi ha letteralmente lanciato nell’acqua. Siamo atterrati in un tunnel che ha un magnifico pavimento di ossa e un soffitto di stalattiti che minacciano di cadere da un momento all’altro. Ah, e ho un dito completamente gonfio e viola.»
Daniel fece per parlare, ma Victoria fu più svelta di lui.
«E soprattutto, tutti hanno continuato a dirmi che sono una Guardiana, cosa di cui io non ho neanche la minima idea.»
Il moro si alzò e le si avvicinò. «Tutto a tempo debito. Dobbiamo arrivare alle catacombe prima che il tuo dito necessiti un’amputazione.»
La ragazza sgranò gli occhi. «Noi cosa?»
«Hai capito bene. Spero che tu non sia claustrofobica.» Un ghigno si fece strada sul volto del ragazzo, cosa che fece prendere in considerazione alla ragazza l’idea di rimanere in quell’estremità del tunnel.
Tentando di fare un passo indietro, però, inciampò su un cranio quasi distrutto dal tempo.
Vide il ragazzo che già si allontanava nell’oscurità con una fiammella azzurra sulla mano e decise di preferirlo ad un mucchio di ossa rotte, per cui gli corse dietro borbottando qualcosa che suonava come un «Maledetto.»


Ciao, scusatemi nuovamente per l'enorme ritardo, sono terribile.
Prima di tutto, vorrei ringraziare Erika per avermi sopportato durante la stesura del capitolo, per avermi dato una mano coi fancast e per tutto il resto. Grazie, Eri <3
Che ne dite? Ancora è difficile poter capire qualcosa dei personaggi, ma come al solito ho lasciato qualche indizietto qua e là.
Pensavo quasi di fare un gruppo su fb per sentire i vostri pareri e cose varie, ma forse è troppo avventato, ditemi voi.
Dimenticavo: se volete sapere dei fancast e volete una 'guida' per quanto riguarda l'immaginarsi i personaggi, fatemi sapere per messaggio o per le rencensioni.
Grazie per aver letto, spero di non aver deluso le vostre aspettative o avervi annoiato.
Mockinghunter

P.s. ho deciso di mettere comunque qui i fancast, so..rullo di tamburi!
Daniel è Tim Borrmann, coi capelli neri.
Nicole è Alexandra Daddario
Dantes è Max Irons, coi capelli un po' più biondi.
Bianca è Sarah Gadon.
Devo ancora decidere per Aaron e Lucas, se avete idee non esitate a proponermele.
Victoria non ha un prestavolto perché io la immagino come una me stessa un po' più alta, un po' più snella e decisamente più fortunata.
Per cui potete immaginarla come volete.
Uh, e se avete anche un suggerimento per papà Lawson, dite pure.

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Capitolo 5
*** 4. Aracnofobici e promesse alquanto minacciose. ***


Capitolo Quarto.
 Aracnofobici e promesse alquanto minacciose.


«Credo di aver visto un pipistrello.» Dichiarò Victoria guardando curiosa il soffitto, ormai privo di stalattiti, e tremando impercettibilmente. Non che i pipistrelli la spaventassero, sia chiaro, perché li trovava anche abbastanza carini, ma quel tunnel sotterraneo era terribilmente gelido mentre fuori faceva parecchio caldo per essere una serata d’Aprile.
Forse era sembrato caldo solamente a lei perché stava correndo a perdifiato arrancando dietro a Daniel.
Daniel.
Certo che è un tipo strano. Aveva pensato seguendolo per il corridoio di pietra.
Ogni tanto lui si fermava per raccontarle qualche aneddoto legato alle pareti rocciose, costellate ad intervalli irregolari da pitture o incisioni, sempre con un ghigno saccente e insopportabile sulle labbra. Ma non era né antipatico né freddo, semplicemente si limitava a piccole conversazioni che non comprendevano tutto quello che era successo quella sera o i Guardiani.
Victoria voleva sapere di più, ma il moro le aveva detto di pazientare e che quello non era di certo il luogo adatto per svelarle quella che probabilmente sarebbe stata la cosa più sconvolgente della sua vita.
«E’ normale trovarne qua sotto, mi stupirei del contrario.» Rispose lui, illuminando il soffitto con la sua fiamma colorata. «Paura?»
Le sembrò che Daniel stesse soffocando con scarsissimi risultati una risata e girandosi verso di lui ne ebbe la conferma, così gli diede una gomitata bella forte.
«Ahi, la costola.» Si lamentò lui facendole una smorfia e massaggiandosi la povera parte lesa.
«Non ho paura. E non ti ho fatto niente, sono una povera ragazza innocua, ricordi?» Gli rispose alzando gli occhi al soffitto, accentuando le ultime parole, parole che Daniel aveva usato prima per descriverla chiedendosi come mai due Esiliati non identificati non avessero avuto la meglio su una ragazza inoffensiva come lei.
Il moro rise e alzò le mani in segno di resa, e Victoria si rese conto che la sua risata le piaceva, così bassa ma chiara allo stesso tempo.
«D’accordo, forse non sei così innocua. Non vorrei far arrabbiare Sua Maestà dato che la prospettiva di diventare un arrosto di Guardiano non mi alletta.»
«A proposito di Guardiani..» Provò la ragazza, ma un’occhiataccia del ragazzo la portò ad arrendersi. «Non è il momento, d’accordo. Ho capito.»
Dopo qualche minuto passato in silenzio ad osservare le stalattiti minacciose e le pareti ruvide, Victoria scorse qualcosa che brulicava sul pavimento non più coperto di ossa e si chinò ad osservarlo.
«Cosa fai?» Chiese Daniel voltandosi e alzando un sopracciglio.
Victoria roteò gli occhi: non solo aveva gli occhi chiari, ma sapeva anche alzare un sopracciglio, cose che madre natura le aveva negato e che voleva disperatamente.
Il ragazzo le si avvicinò e poi si ritrasse celermente, come se avesse accostato un dito ad una pentola bollente.
«E’-E’ u-un ra-ragno?» Balbettò appoggiando le mani alla parete dietro di lui.
La ragazza spostò più volte lo sguardo dal ragno, non più grande del suo palmo, a Daniel, e poi scoppiò a ridere, tenendosi una mano sulla pancia.
«Tu hai davvero paura dei ragni?» Disse tra una risata e l’altra, asciugandosi le lacrime. «Tutte le tue chiacchere sul coraggio, e poi indietreggi davanti a un povero ragno?»
«Non si può non avere paura di qualcosa.» Borbottò lui riprendendosi ma tenendosi sempre a debita distanza dall’aracnide, a cui lanciò un’occhiata diffidente. «E non è povero. E’ pericoloso.»
Victoria dovette sforzarsi parecchio per non scoppiare di nuovo a ridere mentre tendeva il palmo verso l’animale, il quale vi si arrampicò.
«Sei pazza?» Il moro strabuzzò gli occhi e si inchiodò di nuovo alla parete. «Potrebbe essere velenoso.»
«Velenoso? Per favore. Ce n’erano tantissimi, quando andavamo in campagna..» Si bloccò, mentre la sua mente veniva travolta da una montagna di ricordi, o meglio, brandelli di ricordi.
Una donna dai capelli scuri e dagli occhi verdi e sorridenti che la spronava a correre verso di lei su un prato verde, mentre un uomo dai capelli color sabbia e gli occhi neri spingeva un bambino con gli stessi suoi capelli su un’altalena.
Una donna anziana che le sorrideva farcendo dei panini, cercando di impedirle di sgraffignare gli affettati destinati al ripieno.
La melodia di una canzone intonata da cinque persone, e subito dopo uno schianto, e i sedili che si ribaltavano, e lei e la nonna che riuscivano a saltare giù, e la macchina che si schiantava giù per la scogliera e si accartocciava.
Si era ripromessa di non pensare più a quella giornata, ai visi dei suoi genitori che cantavano allegri un attimo prima della fine, al bambino senza volto.
Ecco, il fatto curioso era che il bambino che era con loro non aveva volto, e quando aveva tentato di chiedere a sua nonna chi fosse, lei aveva risposto che non c’era nessun altro bambino lì con loro.
Non poteva esserselo immaginato, ne era sicura, perché aveva ricordi vividi del bambino ovunque, ma per quanto si sforzasse di ricordarne il volto non ci riusciva.
Daniel si era accorto dell’espressione vuota e triste della ragazza e le si era avvicinato, nonostante il ragno, e le aveva poggiato una mano sulla spalla.
«Tutto bene?»
Victoria ricacciò le lacrime e tentò di sorridere. «Tutto bene.»
Il moro fece per aprire bocca, ma il ragno decise di essersi stufato del palmo della ragazza e tentò un approccio alla maglietta del povero aracnofobico che cercò di scrollarselo di dosso facendo però spegnere la fiammella che aveva in mano e lasciandoli completamente al buio.
Il ragazzo emise un gemito mentre l’aracnide gli si arrampicava sul braccio, dimenandosi qua e là e andando a finire direttamente su Victoria, buttandola per terra.
Si trovarono naso a naso, l’uno ansimando per la paura e l’altra con una smorfia di dolore dipinta sul viso.
«Di solito, nei film, è la ragazza che si spaventa e finisce addosso al ragazzo, senza schiacciarlo.» Soffiò quest’ultima.
Daniel ragionò un momento come risponderle e pensò che Dantes avrebbe detto qualcosa come ‘Parecchie ragazze darebbero tutto pur di stare in questa posizione con me’ enfatizzando sul ‘darebbero’ ma lui non era così diretto e incline ai doppi sensi come l’amico.
«Ho sentito parlare dei film, ma non ne ho mai visto uno. Ti sto davvero schiacciando?»
Subito dopo aver finito di parlare si diede dell’idiota e fu preso dall’infrenabile tentazione di sbattere la testa contro il muro più volte.
Forse non la testa, ma qualcun altro.. Disse una vocina nella sua mente, alla quale lui rispose dandosi ancora di più dell’idiota.
«Te ne consiglierei qualcuno, ma non credo che a Guardianolandia abbiate dei televisori. Comunque, abbastanza.»
«Scusa.»
Dopo un po’ di tempo passato a guardarsi- Secondi? Minuti? Né Victoria né Daniel lo sapevano- il ragazzo decise che era ora di alzarsi e di accendere un’altra fiamma, così porse la mano libera alla ragazza, tirandola su delicatamente.
«Fa male?» Chiese con aria colpevole mentre la ragazza si piegava in due poggiando le mani sulla base della schiena.
«E’ sopportabile.» Rispose lei facendo una smorfia e inarcando un attimo la schiena per stiracchiarla. Dopodiché si girò verso di lui e lo guardò negli occhi. «Hai gli occhi cangianti, o sbaglio e sono diventata daltonica?»
Daniel le sorrise a trentadue denti e si mise la mano libera in tasca. «Già. A volte sono azzurri, a volte verdi, raramente grigi. Dipende.»
«E’ ingiusto.» Dichiarò Victoria. «Sai alzare il sopracciglio, hai gli occhi chiari e pure cangianti. E’ ingiusto.»
«Perché mai?» Chiese il moro senza abbandonare il sorriso e inclinando leggermente la testa.
«Perché c’è a chi tutto e a chi niente. Io non so alzare il sopracciglio e ho gli occhi color escremento. Forse sono anche loro cangianti: variano dall’escremento di mucca alla diarrea di cane.»
«Gli Esiliati avevano ragione su una cosa, sai?» Daniel scosse la testa sorridendo ancora di più all’espressione stupita della mora. «A volte vaneggi.»
Victoria fece per parlare, ma il ragazzo la bloccò. «Comunque, gli occhi chiari sono sopravvalutati. E, se posso permettermi, i tuoi occhi mi ricordano il cioccolato, non delle feci» Continuò sottolineando l’ultima parola con una smorfia.
La ragazza fece per ribattere ancora, quando intravide degli scalini di pietra a pochi metri da loro.
«Siamo arrivati?»
«Già, qua sopra ci sono le catacombe. Se sei claustrofobica, è il momento giusto per dirmelo.»
«C’è qualche via alternativa?»
«No.»
«Bene, tanto vale continuare. Se sverrò mi avrai sulla coscienza.» Borbottò la ragazza a testa alta avvicinandosi a passo di marcia verso le scale, lasciandosi dietro un Daniel divertito.


Dantes boccheggiò mentre gli occhi di Nicole decisero di voler sfidare Giove in dimensione e circonferenza.
«Hai fuso l’anima della Creatura con la tua? Ma è proibito!» Esordì quest’ultima, senza  riuscire a non far passare lo sguardo dalla Creatura alla vampira.
Tale processo, chiamato appunto Fusione, era stato spesso usato dai generali degli Insorti durante la Grande Guerra: fondevano la loro anima con quella di qualcun altro o di qualcos’altro messo al sicuro e poi partivano per la guerra risultando invincibili. Per ucciderli, infatti, bisognava ammazzare entrambi nel giro di pochi minuti, tempo necessario per rigenerarsi.
Tuttavia, questo metodo creava non pochi inconvenienti perché l’anima portava con sé anche personalità e abitudini; difatti c’erano stati casi di uomini che abbaiavano, sputafuoco o  persino non capaci di parlare ma soltanto di cinguettare.
E, soprattutto, spesso si perdeva l’immortalità.
«Come se mi importasse delle vostre stupide regole. E Balere e io abbiamo un’intesa vincente, dico bene?»  La pseudo-pantera parve rispondere alla compagna con un ruggito che fece tremare impercettibilmente Nicole e deglutire preoccupato Dantes.
«Bando alle ciance. Che dici, è troppo tardi per la cena, Balere?» La risata quasi isterica della vampira echeggiò nella notte stranamente silenziosa, mentre Balere si leccava il muso in un modo che non faceva presagire nulla di buono.
Dantes ebbe giusto il tempo di imprecare e Nicole di sfoderare il coltello, prima che le due si scagliassero addosso a loro.
Il ragazzo schivò agilmente la pantera e riuscì ad assestarle un colpo abbastanza buono nel fianco, mentre Nicole aveva intrapreso una danza mortale con la vampira, che combatteva con una frusta nera come gli occhi della sua compagna di anima.
La ragazza balzò su un comignolo per sfuggire al nerbo dell’altra, trovandosi in netto svantaggio per colpa della necessità di vicinanza richiesta dal combattimento col coltello.
Non riusciva neanche a vedere come se la stesse cavando suo fratello data l’incredibile velocità con la quale doveva balzare da un posto all’altro per evitare un colpo dello scudiscio letale.
Proprio mentre saltava, però, la vampira la colpì sul braccio facendole cadere il coltello dalla mano, dopodiché cadde in ginocchio tenendosi una mano sul braccio pulsante e dolorante, cercando di sopportare il dolore stoicamente a denti stretti.
«Questo coraggio non ti servirà nella tomba, dolcezza.» Disse melliflua la bionda, avvicinandosi lentamente. «Come non è servito al tuo fratellino, laggiù. Balere lo sta divorando.»
La rossa-momentanea si impose di non girarsi e di convincersi che a Dantes non fosse successo niente, così continuò a fissare la vampira negli occhi digrignando i denti.
«Che c’è? La pantera ti ha mangiato la lingua?» Era a tre metri da lei. Due. Un metro solo. Si accucciò per arrivare alla sua altezza. «Guardiani. Siete così facili da uccidere.»
Tirò fuori uno spillone terribilmente appuntito dalla tasca della giacca e sorrise girandoselo fra le dita.
«Vorrei poterti dire che non sentirai nulla, ma non è così.»
Fece per infilzarla, ma un grido disperato squarciò il silenzio carico di attesa, facendo distrarre la vampira e dando a Nicole un’occasione unica: prese uno dei suoi altri coltelli dall’interno della giacca e trafisse la bionda dritta nel cuore, dopodiché si girò di scatto e lo lanciò dritto nel fianco della belva che sovrastava Dantes, trapassandola da parte a parte.
Dopo qualche momento, il ragazzo si alzò e corse da lei, circondandola in un abbraccio strettissimo, disperato, caldo e affettuoso, seppellendo la faccia nei capelli rosso ciliegia della ragazza.
«Temevo che saresti morta.»
La ragazza alzò il viso verso quello del fratello, trattenendo a stento le lacrime di sollievo.
«Era tuo quel grido?»
Dantes annuì passando le dita sul viso di Nicole, partendo dalla fronte, accarezzando gli zigomi e le guance per poi tracciare il contorno della bocca e sfiorare le labbra.
«Mi hai salvato la vita, Dantes.»
«Credo di aver salvato anche la mia, di vita. Se fossi anche riuscito a sopravvivere a quelle due, non sarei mai riuscito a vivere senza di te. Non mi sarei mai riuscito a perdonarmi il fatto di non essere riuscito a salvarti. Mai.»
Il biondo chiuse gli occhi e sospirò, così Nicole decise di rischiare il tutto per tutto mettendogli le braccia dietro al collo e appoggiando le labbra alle sue.
Dapprima Dantes, sorpreso, si limitò a ricambiare il bacio lentamente senza riuscire a muoversi, ma subito dopo le afferrò i fianchi e la baciò con passione e trasporto.
Era così sollevato che Nicole avesse fatto il primo vero passo, perché lui non credeva di esserne capace. Ogni tanto cercava di avvicinarsi a lei, ma gli rimbombava in testa la voce del padre che si diceva orgoglioso di avere dei figli come loro, che pur non avendo un vero e proprio legame di sangue erano più uniti dei fratelli carnali. O quella della madre che si lamentava dei figli di un’ amica, scappati per vivere insieme, chiedendosi cosa avesse fatto di male la povera Claire per meritarsi tale discendenza depravata.
Entrambi sapevano già da più di un anno dei loro reciproci sentimenti, ma nessuno dei due era riuscito a fare il primo passo, come Daniel aveva consigliato ad entrambi, fino a quella notte.
«Temevo che non l’avresti mai fatto.» Disse Dantes quando si staccarono, poggiando la fronte a quella di Nicole.
«Non dovrebbero essere i ragazzi a fare il primo passo?» Rispose quest’ultima inclinando la testa, sorridendo al largo sorriso del fratellastro.
«Forse, ma sei tu la più coraggiosa tra i due, almeno in questioni come questa.» La baciò un’ultima volta e poi le cinse le spalle con un braccio. «Forza, dobbiamo raggiungere Daniel.»
Nicole si voltò, ma desiderò non averlo mai fatto: i corpi della pantera e della vampira erano scomparsi, lasciando il posto a un’enorme scritta rosso sangue.
«Qualcosa mi dice che non significa ‘Congratulazioni’.» Mormorò Dantes.
La ragazza si voltò verso di lui scuotendo la testa. «E’ latino. Significa ‘Tornerò’.»


Saaaalve belli.
Come va? Sto scrivendo questo ‘angolino’ in vacanza, senza internet, quindi non posso dire di essere tornata dalle mie tre settimane in Calabria, ma se state leggendo queste parole vuol dire che sono già a casa (o che è successo un miracolo e ho trovato un modo per collegarmi).
Sto scrivendo tantissimi capitoli, non vi libererete facilmente di me.
Sto vaneggiando, come Victoria. (E’ il mio alter-ego più fortunato e bello, siamo quasi del tutto uguali a parte questo.)
Che ne dite? Ho introdotto una nuova coppia- vi prego, shippatela con me.
DICOLE, DICOLE, DICOLE!- O è meglio Nantes? Mhn.
Non sono molto incline al romanticismo da diabete, ma Dantes lo è un pochino, per cui perdonatemi il ‘Non avrei potuto vivere senza di te’ e compagnia se è stato troppo.
Li shippo da morire, e la me fangirl ucciderà la me autrice se succederà mai qualcosa a questi due.
Una cosa è certa: non sarà tutto rose e fiori per loro, temo.
Ecco, già mi voglio uccidere.
Sto vaneggiando di nuovo.
Il finale è inquietante, lo so, ma la vampira è vendicativa. Piccola anticipazione: si chiama Helene.
Che altro posso dire? Ah, sì.
SI ACCETTANO SCOMMESSE PER LE SHIP.
Anche se ho in mente qualcosa che nessuno di voi riuscirà a prevedere, dato che implica nuovi personaggi. Altra piccola anticipazione: ci saranno una Daphne e un mago, prima o poi.
…Credo di essere arrivata alla fine, ma devo fare i ringraziamenti una volta per tutte.
Grazie a tutti quelli che hanno la pazienza di recensire, mettere tra le seguite o le preferite la mia storia. Lo apprezzo tantissimo.
Grazie anche a chi legge silenziosamente.
Grazie a tutte le donzelle del fake di FLW (Comunque, vi consiglio di leggere la fanfiction, ché è un capolavoro sulla New di Harry Potter), che anche se non c’entrano molto con la mia storia, mi sento in dovere di ringraziare per avermi sopportato.
E grazie a Erika, che mi fa da supporto per la storia e mi dà una mano con i nomi e i prestavolto e, soprattutto, mi patisce.
Grazie per esserci, Eri.
So, è arrivata la fine del chilometrico ‘angol(in)o’.
Adiosss, al prossimo capitolo.
-Mockinghunter

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Capitolo 6
*** 5. Sorelle psicopatiche e belve da compagnia. ***


Capitolo Quinto.
Sorelle psicopatiche e belve da compagnia.

Victoria si guardò intorno esaminando curiosa le pitture sulle pareti delle catacombe, così diverse dalle immagini sui suoi libri di storia e dai ricordi delle sue gite passate.
C’erano uomini volanti, draghi, ogni tanto anche qualche fenice e parecchi lupi.
«Non ho mai visto una catacomba come questa.» Esordì aggrottando le sopracciglia davanti a una scena in cui un uomo volava su un unicorno rosa, seguito a ruota da un enorme drago nero, il tutto ambientato in un cielo rosa con tanto di arcobaleno.
«Gli Esposti non l’hanno scoperta, e mai lo faranno. E’ sempre di epoca romana, ma è una catacomba che veniva usata dal Volgo dell’epoca.»
«Esposti? Volgo? » La ragazza ci pensò su un attimo. «Volgo non vuol dire popolo?»
«Il Volgo è il popolo magico, mentre gli Esposti sono i comuni umani.»
«Oh. E dove porta questa cosa, tunnel, o come diamine si chiama?»
Daniel la guardò oltre la spalla e le fece l’occhiolino. «Vedrai.»
«E’ lecito avere un briciolo di paura?» Bisbigliò lei passando davanti ad un dipinto che doveva essere una rappresentazione in grandezza reale di uno strano folletto blu dai denti più aguzzi di quelli dei piranha.
Il ragazzo scrollò le spalle e si girò, continuando a camminare all’indietro e indicando la mano di Victoria.
«Io avrei più paura di quello: infezione magica. Non ne vedevo una così brutta da quando ho esaminato i racconti della Grande Guerra con immagini annesse. Sono infezioni dovute alle allergie, e noi Guardiani siamo allergici alla saliva dei vampiri. Le fate sono allergiche alle scaglie di drago, i lupi mannari al sangue di unicorno, i maghi alla saliva dei lupi mannari. Potrei andare avanti ad elencarteli tutti, ma non credo che ti interessi.»
«A dir la verità mi interessa. Quali sono le conseguenze?» Chiese guardandosi il dito completamente viola e più gonfio di zia Perla, la sorella del defunto nonno, dopo aver mangiato le fragole.
Daniel esitò un attimo, e Victoria si preparò al peggio.
«Potresti perdere l’unghia, nel migliore dei casi, se riusciamo a raggiungere Aedes in una mezz’ora.»
La ragazza deglutì e chiese con un fil di voce «E nel peggiore?»
«Ecco, forse, cioè, l’infezione potrebbe, beh sì, espandersi, però, sai, potresti, anche se..» Balbettò imbarazzato l’altro.
«DANIEL!»
«Volevo solo trovare un modo carino per dirtelo.» Borbottò contrariato, per poi deglutire. «Potresti morire.»
«Cosa ho fatto di male?» Victoria scivolò con la schiena lungo la fredda parete e si accasciò a terra, seppellendo la testa fra le ginocchia e scuotendo i capelli mossi con rassegnazione.
Daniel sospirò e si sedette accanto a lei e, tentennando solo un attimo, le poggiò una mano sulla spalla. «Dai, non è detto che morirai. Farò il possibile per portarti ad Aedes in tempo, lo giuro. »
«Aedes non vuol dire ‘casa’?» Disse la ragazza cambiando argomento, la voce attutita dalle ginocchia, attingendo alle sue conoscenze di latino. Non le era mai piaciuto così tanto il latino - forse il motivo era anche da ricercare nella sua antipatica professoressa, così anziana da poter benissimo essere una madrelingua – ma era sorprendentemente brava. A volte si ritrovava a conoscere parole mai sentite in vita sua, e sapere cosa significassero.
«Diciamo che la Magna Strega Bathilda non ha grande fantasia.» Scosse la testa alzandosi e poi le porse la mano. «Ti spiegherò la storia di Bathilda più tardi, ora dobbiamo andare…»
..Prima che io muoia, fantastico. Pensò Victoria, sollevando il capo.
Stava per prendere la mano che Daniel le stava porgendo, quando quest’ultimo le si accucciò di fronte avvicinando la mano ai suoi occhi. «Ei, non piangere.»
La ragazza aggrottò le sopracciglia e inclinò leggermente la testa. «Ma io non sto piangendo.»
Fu il turno di Daniel di aggrottare le sopracciglia. «Come no?» Le toccò uno zigomo con una mano e la ritrasse subito, scuotendola e imprecando in quello che a Victoria sembrò spagnolo, maledicendo un certo Baldassarre. «Scotta!»
Dopodiché sgranò gli occhi e aprì la bocca più volte. «P-Perché le tue lacrime stanno fluttuando?»
«Le mie lacrime stanno facendo cosa?» Guardò in basso e si sbalordì vedendo le sue lacrime involontarie dirigersi verso il suo dito. «Ma che diamine..?»
Le piccole gocce girarono intorno ad esso, fino a toccarlo e a riscaldarle le membra. La ragazza chiuse gli occhi e quando li aprì il dito era come nuovo. Esaminò la mano, notando che perfino un piccolo taglietto fatto quella mattina con un pezzo di carta era scomparso. «Non capisco.»
«Non può essere..l’infezione era troppo grave per essere curata dalle lacrime di fenice.» Prima che la ragazza potesse chiedere spiegazioni, Daniel si morse il labbro e assottigliò gli occhi. «E quello cos’è?»
Victoria chinò il mento e si guardò il petto, dove lo sguardo del ragazzo era fisso: due piccoli dischi scintillavano sotto l’alta scollatura di pizzo nero del suo vestito, sopra i seni. Tirò fuori una collana e si passò il ciondolo fra le dita con un’espressione pensierosa. «Era di mio padre, ma non so di quale uccello sia il volto. E non sapevo avesse delle luci negli occhi.»
Daniel prese la collana dalle mani della ragazza e la esaminò attentamente. «E’ un caradrio. Ed è una collana incantata. Anche antica, mi sembra.»
«Cos’è un caradrio?»
Il ragazzo si lasciò cadere davanti a lei, incrociando le gambe. «Suppongo che, dato che non sei più in pericolo di morte, possiamo parlare un po’.» Prese un respiro e si appoggiò alla parete. «Il caradrio è un uccello con la coda di rettile, bianco e piuttosto grande. Ci sono varie leggende: c’è chi dice che gli escrementi possiedano la proprietà di guarire gli occhi..» Qui Daniel fece una smorfia abbastanza disgustata. «..E chi dice che se una persona è malata e viene portata al cospetto del caradrio e questo distoglie  lo sguardo dal malato, il male è mortale ed inguaribile. Ma se la malattia, invece, non è letale, il caradrio fissa la persona sofferente negli occhi e ne assorbe il morbo. Dopodiché, vola in alto nel cielo in direzione del sole per bruciare e disperdere tutte le malattie raccolte. In realtà il caradrio guarisce qualsiasi male, anche il più mortale. Peccato che ne siano rimasti solo quattro esemplari in tutta Aedes.»
«Ti potrei chiamare ‘Enciclopedia Vivente’. O hai una buona memoria o non ti stacchi mai dai libri, dico bene?»
Il moro le sorrise e alzò le spalle. «Una via di mezzo.» Si sporse di nuovo verso Victoria ed esaminò ancora una volta il ciondolo. «C’è inciso Clister. Strano, è il nome di una delle più antiche famiglie di Guardiani. Il caradrio e la civetta sono sullo stemma di famiglia, sai? La discendenza è finita con la morte di William Clister circa un decennio fa. Ha fatto scalpore perché William era destinato a diventare Gran Guardiano, e non ha lasciato eredi.»
La ragazza si fissò le scarpe, leggermente impallidita. «Non sono finiti. I Clister, intendo.»
«Come?»
«Sono Victoria Clister, figlia di William Clister e Teresa D’Alveo.»
Il ragazzo impallidì a sua volta, aprendo e chiudendo la bocca più volte, incredulo.
«Tu cosa? Ma non sei italiana?»
«Mia madre, mio nonno e sua sorella lo erano, e anche io. Mio padre, mia zia e mia nonna no. Mia sorella, non lo so davvero. Eravamo un bel mix di nazionalità.» Un sorriso triste si fece strada sul suo viso, mentre tormentava una borchia della ballerina destra. «Sono l’unica rimasta a parte zia e mia sorella, che io sappia. Mio nonno è morto dieci anni fa. Poi è toccato ai miei, durante un viaggio in macchina ed io ero presente.» Rabbrividì continuando con voce rotta «Mia nonna è morta tre anni fa. Mia zia Elise ha vissuto quasi tutta la sua vita in Francia, dai parenti da parte di nonna, ed è tornata quando quest’ultima è morta. Non vedo quasi mai mia sorella, dato che va a scuola in un collegio lì. Forse è egoistico da parte mia, ma meno la vedo e meglio sto. Non provo alcun tipo di affetto verso di lei, è crudele.»
«Quanti anni ha?»
«Dodici. Lo so, penserai ‘Come può essere crudele una ragazzina di dodici anni?’. E una ragazza più grande intimidita dalla sorella minore è abbastanza strana come cosa, posso concordare. Due anni fa, quando avevo quasi quattordici anni, sono entrata in camera sua. Ero curiosa ed ero riuscita ad entrare grazie al vecchio espediente della forcina per capelli nella serratura. Era tornata per le vacanze ed era in giro con mia zia, per cui avevo casa libera. C’erano gatti appesi al muro, morti e uccisi evidentemente in più modi. Coltelli sul tavolo. Provette con liquidi densi e strani. Ossa un po’ ovunque.» Prese un bel respiro e continuò. «Non so perché non l’ho mai detto a mia zia o fatto qualcosa. So solo che quella notte, una vocina nella mia testa mi aveva detto di stare tranquilla. Me ne ero dimenticata, fino a due giorni fa.»
«Come puoi dimenticare di avere una sorella che scuoia gatti in camera sua a dieci anni?»
«Non ne ho idea…Le mie memorie erano scomparse, quasi per magia.»
«Buffo che tu abbia detto ‘per magia’.» Daniel scosse la testa e si alzò, porgendo  la mano a Victoria. «C’è qualcosa sotto. Forse leggo troppi gialli, ma è davvero insolito. Ne parliamo a casa con mio padre, se c’è qualcuno che può capirci qualcosa è lui. Pronta a camminare?»
La ragazza scrollò le spalle e si alzò senza aiuto, facendo un gesto con le braccia al ragazzo. «Prima gli aracnofobici.»
Daniel roteò gli occhi esasperato e fece strada lungo lo scuro cunicolo.


Nicole giocherellava nervosamente con il coltello mentre Dantes cercava di stabilire un contatto  con Daniel. «Niente, devono già essere nel cunicolo.»
«Oppure sono morti.»
«E Nicole Beaumont è la nuova Miss Ottimismo 2013, signori e signore!»
«Piantala, sono solamente realista.» Sorrise. «Come torniamo ad Aedes?»
Un sorriso si fece strada sul volto di Dantes, un ghigno che fece pentire la ragazza di avergli fatto quella domanda. «Io avrei un’idea fantastica, ma non ti piacerà.»
Nicole rabbrividì mentre le rotelle nella sua testa cominciarono a girare. «No, mi rifiuto di crederci. Non puoi pensare di chiamare...quella cosa
«Quella cosa ha un nome.» Borbottò il ragazzo, per poi riprendere a sorridere. «Ed è perfettamente sicura. Ci ha mai delusi?»
«Ha disarcionato Daniel, due anni fa, facendolo cadere giù dal Pendio di Baldassarre. Ha ancora le cicatrici.»
«Se l’è meritato.» Dichiarò Dantes arcuando le sopracciglia e chiudendo gli occhi. «Gli ha chiesto se preferisce andare al trotto o al galoppo. E non si fanno certe domande a Bambi
Nicole scoppiò a ridere, come era solita fare quando il ragazzo pronunciava il nome dell’animale. «Bambi. Solo tu potevi chiamare una belva simile come un’innocente cerbiatto di un film Esposto.»
«Avevo dieci anni. E Bambi era ancora un cucciolo.» Mormorò l’altro giustificandosi. «E a lui piace il suono.»
«Già, perché non ha ancora visto il film.» Ribatté la ragazza. «Spero non lo faccia mai, altrimenti mi ritroverei con un ragazzo barra fratello adottivo fatto a pezzi.»
Alla parola ‘ragazzo’ Dantes si ringalluzzì e sorrise beffardo. «Dunque ora sono il tuo ragazzo e non vuoi che io muoia, nonostante le continue minacce di morte che mi dedichi tanto amorevolmente.»
La mora ma temporaneamente rossa alzò gli occhi al cielo. «Baldassarre mi aiuti. Non è mica colpa mia se tu sei così idiota da meritarti continue minacce. E non t’illudere- non voglio che ti faccia a pezzi perché conto di farlo io non appena mi capiti un’occasione propizia.»
Il biondo rise scuotendo la testa, rigirando fra le mani un medaglione d’oro. Era decorato con delicate incisioni che rappresentavano un cervo e un lupo che ululava alla luna piena. Sul retro, invece, vi era raffigurato uno splendido drago, maestoso e abbellito con dell’avorio. «Se qualcuno ci vedesse adesso, scommetto che non crederebbe mai che ci siamo appena baciati e che siamo inna-interessati l’uno all’altra.»
Nicole sorrise e gli diede una gomitata, guardando con sospetto e preoccupazione il medaglione. «Se avessi voluto della dolcezza avresti potuto benissimo chiedere alla vecchia Agnes di rifornirti di torte al cioccolato per l’eternità. Comunque- dimmi che non l’hai appena chiamato con il medaglione. Ti prego, non Bambi
Dantes si morse il labbro sorridendo, pensando alle parole di Nicole. Lei non era mai stata dolce, salvo alcuni rarissimi casi, ma a lui andava benissimo così. Non era come le altre, come quelle che gli facevano gli occhi dolci e sbattevano le ciglia cento volte al secondo, o come quelle che stavano timidamente al posto loro, diventando delle vere e proprie dipendenti dalle decisioni altrui. Ce n’erano molte, ad Aedes, sia del primo, sia del secondo tipo- riguardo a quest’ultimo, le ragazze erano per lo più povere creature allevate da conservatori medievali. E per medievali si intendeva proprio nati nel Medioevo, non ironicamente.
Nicole, invece, era di tutt’altra pasta: non aveva paura di niente, non sapeva stare al posto suo, soprattutto se qualcosa la riguardava in prima persona, non era il cagnolino di alcun ragazzo. Affermava spesso di preferire un’esplorazione nella cavità orale di Bambi, con tanto di testa nelle fauci della belva, al buttare via la sua dignità in tal modo.
E Dantes amava questo suo aspetto.
«Ah, la vecchia Agnes. Mi farà venire il diabete prima o poi, non ne dubito! Peccato che abbia perso l’eterna giovinezza- si vocifera che sia stata di una rara bellezza, all’epoca. E in ogni caso…Credo di essere colpevole. Ma penso che tu preferisca un bel viaggio comodo ad un assurdo viaggio a piedi, dico bene?»
Nicole fece una smorfia e si arrese. Dopotutto, non  aveva per niente voglia di fare a piedi tutto il percorso da lì alle catacombe, o fino a qualunque altro ingresso.
Dopo qualche minuto passato a stuzzicarsi a vicenda, i due ragazzi avvistarono qualcosa arrivare da dietro un blocco di palazzi: Bambi, il Leocrotta di Dantes.
Il Bestiario citava questo, a proposito di tali creature:
Il Leocrotta o Crocote è  una bestia carnivora e pericolosissima per l'uomo, anche se piuttosto docile con gli esseri magici.
E’ figlio di una iena e di una leonessa. Ha un corpo molto flessibile ed è più agile di qualunque altro animale selvatico. Ha la stazza di un asino ed ha la parte posteriore simile ad un cervo, la testa di un leone e la criniera di un cavallo.
Alcuni Crocoti sono tanto intelligenti da poter anche parlare e discorrere con i propri padroni e la loro voce è profonda e gutturale.
Sono ottimi segugi e sono spesso usati dai Guardiani per fiutare ricercati.

Nicole, ormai, conosceva quel passaggio quasi a memoria. Aveva cercato a fondo nella pagina dedicata alla belva un metodo per ucciderla senza essere sentita, ma purtroppo la ricerca non aveva avuto esito.
Si era rassegnata all’idea di dover sopportare quell’ammasso di carne e denti affilati per ancora molto tempo- ancora di più se avesse deciso di rimanere con Dantes, cosa più che probabile.
Dopo i vari convenevoli di Dantes nei riguardi della bestia- cose come una piccola pacca sulla testa, seguita da una grattatina dietro la testa e un bel pezzo di carne cruda gettata nelle sue fauci- montarono in groppa a Bambi.
Nicole pensò che sarebbe potuta anche essere una scena abbastanza romantica, il cavalcare verso l’orizzonte, se ci fosse stato un bel cavallo rigorosamente nero e non una bestia col didietro di un cervo e l’alito di una discarica.


Okay, sono una ritardataria.
Cronica.
Pessima.
Anyway, spero ci sia ancora qualcuno che segua davvero la mia storia, a cui piaccia davvero!
In ogni caso, mi hanno consigliato di fare il gruppo ed eccolo qui, anche se per ora con pochi membri. Spero che entrerete a far parte del gruppo!
Non mi piace da morire questo capitolo, e forse sto 'diluendo' un po' i fatti, ma è necessario per poter conoscere meglio i personaggi.
Non so che altro dire- Alla prossima?
Claudia barra Mockinghunter barra Pessima persona.

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