Il Silenzio Nel Caos

di Gio_Snower
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Silenzio Nel Caos ***
Capitolo 2: *** Il Significato del Silenzio ***



Capitolo 1
*** Il Silenzio Nel Caos ***


Il Silenzio nel Caos
 

Le lotte, le urla, le ferite, il sangue che sgorgava da esso, le lacrime di chi aveva appena perso un fratello.

Il loro Capitano, il Capitano, l’unica guida in quel caos di battaglie, l’unica luce e ragione per cui lottare. I sogni realizzati grazie ad esso, e la scia sul sentimento di volerli realizzare.

Tutto grazie a lui.

Ed ora piangeva. Piangeva con una mano sul capello, disperato, mentre suo fratello davanti a lui sorrideva, per poi cadere vittima di quella ferita che gli trapassava il corpo, fatta dal fuoco stesso che tanto amava; creata da quel Akainu, quel Cane Rosso.

E quell’urlo, prima di svenire.

Di perdere coscienza.

Perché tutto era successo in pochi secondi. E Rufy, il suo Capitano, aveva perso una delle cose a lui più preziose: Un fratello.

Cose che la sua ciurma non dimenticherà mai, cose che, ogni volta lo guarderanno negli occhi, vedranno.

Rivivendo un momento di silenzio nel Caos, prima della fine di tutto.

Prima del sangue, delle lacrime, delle urla e del buio più totale.

E poi l’hanno portato via. E raccontarono delle sue urla, delle lacrime di consapevolezza di un incubo. Di quello che, aveva sperato fosse un incubo, ma che era una dura realtà.

Ecco perché avevano speso due anni in duri allenamenti, perché tutto il loro dolore era solo qualcosa che li spronava. Qualcosa per andare avanti dopo una tragedia.

Qualcosa per lottare, per i loro sogni ed il loro Capitano.
 
 

 
 
E così si erano riuniti. Tra la solita confusione, nel solito Caos.

E Robin e Zoro si erano guardati, per poi l’uno annuire e l’altra sorridere elegantemente.

Erano diventati più forti. Tanto più forti. Però Zoro lo sentiva, sì, sentiva ancora quella voglia di crescere, quella voglia di migliorare, quella voglia di migliorare fino a diventare IL più forte.

Eppure, quando la vedeva, quando l’osservava, tutto spariva e le cose più importanti venivano messe, quasi, in secondo piano.

Come se la cosa più importante fosse stare con lei e con i suoi compagni. E forse, era davvero così.
 
 
Nei momenti di calma, Robin si ritrovava a fissare Zoro.

In questi due anni era cresciuto, era diventato più uomo, più virile. E la sua natura calma e matura non era cambiata il che le faceva piacere.

Quel Zoro dall’ampio torace, dalla cicatrice profonda che solcava il suo volto dalla dura mascella e dalle linee dure, maschili.

Ed il suo cuore che batteva? Perché? Accelerava ed un leggero rossore sulle sue guance, che si fosse innamorata?

Alla sua età? Possibile? Ma…e se anche fosse stato, perché di Zoro? Conosceva le qualità dello spadaccino, lo ammirava…e possibile che l’amasse pure?

I suoi sguardi divennero più languidi, più riflessivi, ed ogni volta che cadevano su Zoro, sentiva che pure il suo cuore languiva in cerca di qualcosa; qualcosa che le mancava.
 
Zoro si chiese il perché di quegli sguardi, il perché di quei silenzi.
Il perché di quel Caos.

La bella Robin, dalle curve sinuose, i lunghi capelli corvini ed il volto giovanile, gli pareva una dea marina. Una di quelle che potevano stregare i marinai più potenti solo per sfizio, per divertimento, ma che poi si innamoravano di uno che le ingannava, solo perché la loro natura esigeva un uomo più forte.

E lui? Era più forte di lei? Non ne aveva la più pallida idea.

La camminata di Robin era silenziosa come una lama che fende l’aria, una lama mortale: eppure Zoro riusciva sempre a sentirla.
 
Un giorno gli si avvicinò e i due, vicini, vennero scaraventanti in un caos mentale, in qualcosa di indefinito, troppo semplice da capire per persone dalla natura complessa.

Troppo incomprensibile per ragazzi nati grandi.

Eppure, proprio quella cosa incomprensibile, li spinse ad avvicinarsi. A toccarsi.

La mano callosa di Zoro sui morbidi e lisci capelli di Robin.

La mano delicata e sottile di Robin sulla spalla ampia di Zoro.

Le loro bocche si toccavano, i respiri venivano condensati nell’aria mentre i loro corpi si scaldavano e i loro occhi non si lasciavano.

Erano come presi da qualcosa, qualcosa di forte, duro e malleabile. Una cosa senza forma, ma con una parola sfuggente.

Forse troppo pura, troppo crudele, in un mondo come il loro.

E nessuna parola volò fra loro. Non servivano mai tra loro le parole.

Nemmeno i richiami, perché quando uno parlava, l’altro ascoltava.

E forse era questo, una connessione tra loro nata dal rispetto, ammirazione e quel qualcosa di più.

Una cosa che potevano chiamare solo con la parola: Amore.

E così, finiti i baci, finiti gli incontri di corpi. Nel Caos rimaneva solo il silenzio e i loro timidi sorrisi, presto consapevoli. 

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Capitolo 2
*** Il Significato del Silenzio ***


Il Significato del Silenzio

 
«Zoro?» una voce dolce, dall’intonazione delicata, sussurrò quel nome, il SUO nome.
«Mmm?» mormorò Zoro, ancora nel dormiveglia.
Una mano delicata si appoggiò sulla sua fronte e delicate dita si allargarono su di essa.
«Scotti…» mormorò la voce.
«Sì…» rispose lui, del tutto confuso, inerme.
Poi dolci labbra, fredde labbra, si poggiarono sulla sua fronte.
Poi il silenzio. Perché lui era troppo intontito, lei troppo confusa da quel gesto così amorevole e femminile.
 
 
Una mano stringeva ogni giorno la sua. Le dita di quella mano erano affusolate, così sottili rispetto alla sua. E fredde, un freddo piacevole in quel caldo asfissiante.
 
Giorni in cui gli incubi lo inseguivano, dove vedeva la sua migliore amica morire, il suo corpo bianco e pallido, morto, inseguirlo. E la spada che si spezzava come se fosse un ramoscello.
 
E quando riacquistava un po’ di lucidità, si ritrovava in una cabina di una grande nave… La Merry?
Possibile? Eppure non ricordava. Cosa ci faceva lì? E dov’era Rufy? Non l’aveva mai visto o sentito, anche se, visto che non riusciva ad aprire gli occhi, vedere era tutto dire e niente di fatto.
 
Ed ogni giorno una mano prendeva la sua, a volte se ne accorgeva, altre no. La mano lo teneva stretto, e quando ansimava per il troppo caldo, essa lo stringeva. Come se fosse preoccupata…
 
Un’altra mano qualche volta lo toccava, ma era una mano più rude, meno delicata, la mano era anche un po’ ruvida sulle punte, come se tenesse sempre in mano delle vecchie carte…forse mappe.
Era la mano di Nami?
E l’altra mano, di chi era?
Qualche volta, se era abbastanza lucido, sentiva gli zoccoli di Chopper sulle assi, il suo passo incerto e duro che emetteva un leggero tac tac.
 
A volte nel freddo un gelo lo assaliva e sudava freddo, e quella mano allora gli accarezzava il braccio, gentilmente, fino a che non si tranquillizzava.
Nessuna parola, nessun sussurro. Era tutto un vortice di calore. E non sentiva nemmeno lo scorrere del tempo.
 
Un giorno, dopo l’ennesimo incubo, sentì delle labbra sul suo volto, leggere sulle sue tanto calde.
Un bacio gentile, un bacio freddo nel calore di una malattia e caldo di suo. Un bacio puro.
 
«Zoro, ti sei ripreso?» disse una voce.
Zoro aprì gli occhi. Il caldo era passato e nonostante la debolezza si tirò su a sedere.
«Ero ammalato?» chiese.
«Sì, hai avuto la febbre dei tre giorni. Abbiamo avuto paura per la tua vita…spesso i marinai muoiono per essa.» rispose Chopper guardandolo con grandi occhioni lacrimosi.
Zoro si toccò leggermente la testa. I suoi capelli erano leggermente cresciuti. Nella sua mente, i giorni erano passati, e si ricordava poche cose.
 
«Piccola Alce, nemmeno un carro armato può far fuori il nostro spadaccino, lo sai!» disse Nami con la sua solita schiettezza.
Poi lo abbracciò. «Bentornato.»
«Sì, sì, ora vai. Mi fai caldo.» disse scorbutico Zoro. In realtà gli faceva piacere, ma era pure un po’ imbarazzato da quella manifestazione d’affetto di Nami.
Lei mise il broncio. Allora lui le diede una scrollata rassicurante alla spalla e lei sorrise.
«Chopper.» disse.
La piccola Alce gli si avvicinò. Zoro mise la sua mano callosa e dura sulla sua testa e leggermente lo accarezzò. «Ora sto bene…grazie.» disse.
E Chopper sorrise mentre il suo musetto si illuminava di felicità.
 
Quando uscì sul ponte, il sole gli ferì gli occhi.
«Zooooooooroooooooo» urlò una voce da sopra. Zoro si girò. Capello di Paglia lo guardava sorridendo.
«C’hai fatto preoccupareeee!» disse.
Zoro gli fece il segno dell’okay e lui ricambiò, sorridendo di quel suo ampio sorriso.
«Potevi anche non guarire.» disse un’altra voce, tanto per punzecchiarlo.
Zoro si voltò e trovò il suo donnaiolo preferito, o meglio, odiato, davanti a lui.
«E lasciarti in pace? MAI.» disse con un sorriso sfrontato.
«Secondo me, agli inferi hanno visto quanto sei brutto e t’hanno rimandato indietro!» rispose Sanji.
«Sempre meglio essere brutto, che sciocco.» ribatté Zoro.
«Finitela per una buona volta!» urlò Nami, spazientita. Sanji gli lanciò un’occhiata omicida, gli toccò la spalla come a dirgli “bentornato” e poi andò da Nami, come il fedele cagnolino qual era.
«Robin era molto preoccupata.» disse Chopper, di colpo vicino a lui.
Zoro si avviò verso il solito posto. Le sua gambe erano ancora troppo deboli e quindi voleva sedersi e recuperare le sue spade.
«Infatti è stata con te giorno e notte. T’ha tenuto la mano…» disse Chopper.
Robin era lì, e sentì tutto. Arrossì e Zoro la vide.
Si chiese il perché di quel rossore. Lui d’altronde, dopo aver saputo questo, gli era molto grato.
Quindi sorrise, anche se quel suo sorriso sembrava un ghigno.
Robin ritornò in sé stessa in poco tempo e gli sorrise di rimando, poi si voltò e se ne andò.
Senza dire niente.
Qual era il significato di quel silenzio?
Zoro di colpo ricordò. Ricordò una mano fredda, una carezza gentile, e il tocco di labbra delicate sulle sue.
Possibile? Poi scosse la testa. Era ancora tutto da capire e presto, prima o poi, l’avrebbero capito insieme.
Quello era il significato del silenzio fra loro.

 

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