The World Ends in Blue

di _Gufetta_
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Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Golden Eyes ***
Capitolo 2: *** Hope ***
Capitolo 3: *** Not Alone ***
Capitolo 4: *** A Little Thing ***



Capitolo 1
*** Golden Eyes ***


Ogni tanto torno a pubblicare! Detto questo, qualche avviso prima che cominciate a leggere:
Questa fanfiction è ambientata nel mangaverse, dopo la fine della serie. Knives è caratterizzato (insieme a quella che è la sua relazione con Legato) seguendo il manga e non l'anime, per cui alcune cose potrebbero suonare OOC per chi lo conosce solo dalla serie animata. Comunque è molto probabile che sia finito OOC per la troppa... 'dolcezza'? Si, possibile. 
Si tratta di una what if perchè la fine del manga non è chiara su cosa effettivamente succeda a Knives, io seguo il mio headcanon su quanto segue, giusto per avere un po' di speranza xD
L'incest è segnalato tra gli avvertimenti perchè la relazione tra Vash e Knives è trattata un po' in bilico tra l'affetto e l'ossessione in termini amorosi, quindi per sicurezza avverto, anche se la cosa rimarrà incentrata su Legato e Knives.
Buona lettura!


GOLDEN EYES

Si calcò il cappuccio ancora un po’ sopra i suoi corti capelli neri.
Attraversare quell’infinita distesa di deserto gli era sembrato facile, in tutti quegli anni, delle volte addirittura noioso.
Mentre adesso, ogni passo gli pareva immensamente più pesante e faticoso del precedente.
Voleva dire questo abbandonare quasi del tutto il potere, avvicinarsi ad essere dei semplici umani?
Questa era la fatica di tutti i giorni? Gli facevano male i muscoli delle cosce, la schiena, e poteva sentire il sapore del sangue dalle spaccature sulle labbra, quando tentava di inumidirle con la lingua.

Anni erano passati senza che il tempo significasse nulla, senza che le distanze importassero qualcosa.
Non aveva alzato la testa alle stelle, di notte, se non poche volte, insieme a Vash, quando erano giovani.
Quando erano stati felici.

Il ricordo del fratello era doloroso, più profondo dei tagli nei piedi, più reale della morsa della fame allo stomaco. Gli umani lo avevano fatto sorridere, quella era la cosa che più di tutte gli faceva male.
Lui solo, lui, prima che qualsiasi ferita segnasse il corpo di Vash, era stato quello che gli aveva fatto del male.

Non era stata solo la morte di Rem, o la Caduta ma solo… Egoismo. Puro e semplice. Voleva che Vash restasse con lui, voleva che guardasse solo lui e voleva essere il suo mondo. Quello che Vash era per Knives, Knives desiderava esserlo per Vash.
Ma non era mai stato così.

Knives non aveva mai conosciuto il dolore tanto quanto Vash, e non aveva mai imparato a conviverci.
Ogni passo adesso era una punizione, era un insegnamento.
Vash aveva solo quel modo per fargli capire perché avesse vissuto così a lungo tra gli umani. Ognuna delle ferite che segnavano il corpo di Vash non erano solo dolore, nascondevano anche ricordi belli. Sorrisi, vite salvate, riconoscenza.

Knives decise di fermarsi, acquattandosi vicino ad una roccia per ripararsi dal vento.
La sera faceva molto freddo, e capiva che tutte le cose di cui lui si stava rendendo conto adesso, per Vash erano routine.
Nascose il viso nelle ginocchia raccolte al petto, nel tentativo di non disperdere troppo il calore corporeo.

Non aveva avuto nemmeno il coraggio di chiedere a Vash di poter rimanere con lui, e forse era l’unica cosa buona che aveva fatto nella sua vita.
Il fratello non aveva avuto il coraggio di ucciderlo e l’aveva salvato. Si erano salvati.
Ma risparmiargli la vita era stato un gesto crudele, dato che l’unica cosa che Vash non gli avrebbe dato era la possibilità di tornare ad essere una famiglia. Ed era l’unica cosa che a Knives importava.

In silenzio, continuando a sorridere, Vash, freddamente, aveva calato un muro invalicabile tra di loro.

Ti ho salvato, ora vattene” dicevano i suoi occhi mentre il suo viso sorrideva. Knives serrò gli occhi finchè macchie di colore non presero il posto di quell’orribile immagine.

Sarebbe davvero stato meglio per lui essere morto, o semplicemente poteva stendersi adesso su un fianco e lasciarsi sommergere dalla sabbia. Scomparire per sempre, dimenticato.
Non sarebbe tornato a cercarlo nemmeno Vash, che senso aveva la sua vita?

Era quella la tanto temuta solitudine?
Sentire nelle orecchie solo il suono del proprio cuore, e non avere nessuno a cui pensare? Tutti quegli anni si era aggrappato a Vash, all’idea di poter costruire assieme il loro paradiso e adesso… Non riusciva a non pensare a Vash senza vedere sul suo viso tutto il dolore che gli aveva causato.
Perché in quel momento quella solitudine pesava così tanto? Era stato solo così tanti anni e…

No, non era stato solo.
Si era creduto solo, perché nessun lurido umano era una compagnia degna della sua grandezza, ma intorno a lui c’erano sempre stati.
Da quasi vent’anni a questa parte poi… c’era stato Legato.

L’aveva visto crescere.
Era stato quasi magico veder cambiare il suo corpo e le fattezze del suo volto così lentamente ma inesorabilmente, due anni erano bastati a farlo diventare un adulto, e poi le sue braccia si erano fatte più forti, il suo profilo più pronunciato.
Anni che per Knives non significavano nulla, avevano preso ad avere una loro funzione, nello scorrere del tempo, lo vedeva trasformarsi, irrobustirsi. Cambiare ma mai del tutto.
Era con lui quando aveva rimesso in funzione l’Arca.
Al suo fianco quando la disperazione e la rabbia l’avevano sopraffatto, scoprendo di non essere onnipotente come credeva.
La sua era una lealtà che sfiorava la dedizione più totale, l’adorazione. Tutto quello che faceva era in funzione di Knives.
Tutto.
Ogni respiro, era per lui.

E adesso che era stanco, che non aveva più niente per cui combattere, adesso gli mancava.
Quel ragazzino magro e spaventato che aveva raccolto in mezzo al niente.
Quel giovane in lacrime che aveva raccolto le sue interiora tra le macerie di July.
Per la prima volta si rese conto che se non fosse stato per lui, non sarebbe sopravvissuto.

Quell’inutile, gracile essere umano gli aveva salvato la vita.

E lui, cieco come lo era stato per Vash, se non di più, l’aveva schiacciato, umiliato, denigrato.
Chiunque lo avrebbe lasciato solo.

Lo aveva fatto anche Vash alla fine, no?

Eppure Legato no. Legato era tornato a cercarlo, Legato aveva fatto tutto quello che un misero essere umano poteva fare, per servirlo.
Compreso perdere la sua umanità.

Legato che non aveva mai fatto una smorfia, versato una lacrima, quando gli rompeva le ossa.
Legato, dal profondo di quegli occhi dorati cosi diversi e caldi, aveva capito senza mai chiedere, qual era da sempre, la sua più grande paura.
Knives aveva paura di essere lasciato solo.
E Legato era sempre rimasto.

Perché gli bruciavano gli occhi?
Colpa del deserto, del sole del giorno che ora se ne stava andando, certo.
Non stava piangendo. Era.. era qualche reazione del suo corpo agli sbalzi di temperatura, ora che calava la notte.
Perché adesso gli tornava in mente, vivido e perfetto, come se fosse successo solo poche ore prima, il sorriso di quel cucciolo d’umano senza nome?
Il suono della sua voce tornava a tormentargli il cervello.

“Master Knives, Master Knives”

Il suo nome tornava, vellutato e servile, urlato, soffiato tra i denti stretti dal dolore, sussurrato nell’estasi di un piacere sporco che Knives non riusciva a capire.
Legato sembrava vivere per potersi far scivolare il suo nome sulle labbra.

Cos’era che aveva scatenato tanta furia e tanto dolore in Vash alla morte del reverendo?
Questo?
Knives non capiva.
Non si era mai fermato a riflettere su cosa fossero i sentimenti, o quando o verso chi andassero provati.

Il suo mondo finiva ed iniziava con Vash, gli era sempre servito sapere solo quello.

Si era preservato dal vivere tutta una serie di esperienze che Vash invece non si era risparmiato, vivendo tra gli umani.
Non solo il dolore, ma anche il piacere, il costruire una relazione con qualcuno al di fuori di se.
Imparare da qualcun altro ad amare.
Rem lo aveva insegnato ad entrambi, si era data corpo e anima per loro.
Vash lo aveva capito subito e si era distrutto, anima e corpo, amando gli uomini come loro non sarebbero mai stati in grado di amare a loro volta.

Lui no.

Improvvisamente gli sembrò di aver sprecato tutta la vita. Ogni singolo giorno, da quando erano caduti su quel pianeta. Non aveva mai imparato nulla, si era sempre conservato al riparo dall’esterno.
Forse, più di qualsiasi punizione che Vash volesse infliggergli per espiare le sue colpe, quello che suo fratello voleva era che vedesse le cose dal suo punto di vista.

E Legato gli mancava terribilmente.

Una piccola, folle parte del suo essere, avrebbe voluto tornare indietro e affondare le dita nei suoi capelli blu senza dovergli per forza fare del male.
Avrebbe voluto baciargli la fronte e guardarlo negli occhi senza disgusto.
Avrebbe voluto permettergli di dormire al suo fianco. Forse, in tutti quegli anni, avrebbe smesso di sentire tutto quel freddo.

Ma in tutti quei ‘se’ c’era la crudeltà del ricordo.
E adesso che era davvero solo, gli rimaneva solo il dolore.

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Spero che vogliate recensire, ci ritroveremo a breve con i prossimi capitoli! (sembrava finita, vero? e invece no!)

Vi lascio qui il link del breve comic da cui è cominciata l'idea di questa fanfiction.
[http://gufyresthere.tumblr.com/post/52332537196
]
Mi era sembrato più immediato da disegnare, e invece poi mi sono ritrovata a voler approfondire anche a parole le riflessioni di Knives :3
A presto!

 

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Capitolo 2
*** Hope ***


Salve! Non credevate possibile che ci potesse essere un secondo capitolo? Sorpresa!
Volevo comunicare a voi, gentili e premurosi lettori, oltre ai miei mille grazie per aver letto lo scorso capitolo (sperando che vogliate leggere anche questo, mi farebbe piacere) che l’aggiornamento dei capitoli sarà… settimanale!
Detto questo, munitevi di qualcosa di non troppo pesante da lanciarmi a fine capitolo, perché ci sarà… della DOLCEZZA e anche della SPERANZA. Quindi, roba che rischia sempre più l’OOC.
Buona lettura!

 
 
HOPE

I giorni erano passati incredibilmente lenti, dopo quella notte nel deserto, che era stata tormentata da sogni talmente piacevoli da essere incubi al risveglio.
Mentre i suoi piedi si trascinavano l’uno davanti all’altro, da qualche parte nella sua testa, aveva deciso che sarebbe tornato dove l’Arca era caduta.

Si ripeteva che stava viaggiando senza una meta, che si lasciava andare casualmente dietro i suoi passi stanchi. Eppure ci arrivò,  e sembrava che lì non fosse mai successo nulla.
Ormai gli umani di quella cittadina avevano inserito, in nuovi impianti funzionanti, tutti i plant che erano caduti. Grazie alla loro collaborazione e la loro energia avevano ricostruito le case andate distrutte e fatto sparire i danni dei bombardamenti dell’esercito. Il deserto e il lavoro incessante degli uomini avevano coperto ogni traccia.

S’incamminò verso le porte della città con il cuore che batteva e lo stomaco stretto in una morsa.
Si tenne a distanza dall’impianto, anche se sapeva che le sue sorelle avevano già capito che lui si trovava lì. Non voleva sentire anche il loro rammarico, il loro dolore, la loro rabbia.
Sentire la loro gioia addirittura peggio, l’ennesima riprova del fatto che aveva sbagliato.
Sarebbe stato troppo.

SI mescolò tra la gente senza troppe difficoltà. I suoi vestiti erano quelli di chiunque altro, forse solo un po’ più polverosi, i suoi capelli non davano più nell’occhio come quando erano di quel dolce e finissimo biondo.
Poteva sembrare un umano qualunque.
Forse solo un po’ troppo stanco, un po’ troppo triste.

La gente rideva. I bambini gli scorrazzavano intorno, le signore chiacchieravano da una finestra all’altra sopra la strada.
Tutti erano rasserenati, felici.
Dovette mantenere un incredibile autocontrollo per non fissare tutti sconcertato o mettersi ad urlare. Era una situazione terribilmente surreale.

Che creature misere, dimenticano così in fretta.” Pensò tra se.

-“Vash The Stampede! Vash The Stampede!”-

Quel nome gli raggelò il sangue e si bloccò in mezzo alla strada, temendo di voltarsi e trovarsi davanti il volto sorridente del fratello.
Ma la voce continuò la sua cantilena entusiasta e si trovò a dover abbassare lo sguardo su un ragazzino sorridente, che stava impettito davanti a lui e lo indicava con una piccola mano bianca.
Non riuscì a dire nulla, lo fissò e basta. Il ragazzino sorrise e si voltò improvvisamente, quando la madre gli posò le mani sulle spalle.

-“Alex! Alexander! Devi smetterla, l’hai visto l’altra sera in tv il signor Vash, lo vedi che ti stai confondendo? Chiedi scusa al signore”- e poi alzò la testa verso Knives e sorrise –“Scusatelo, da quando suo fratello maggiore gli ha raccontato della caduta dei plant, non fa altro che inventarsi storie su Vash the Stampede. Spera di poterlo incontrare un giorno. È il suo eroe.”-
Ancora la voce del bimbo –“Ma mamma, gli somiglia tantissimo!”-
La donna gli prese la mano con aria di rimprovero –“Basta con queste storie, Alexander! Stasera se continui così, niente tv”-

Knives aveva smesso di ascoltare il discorso quando aveva capito che non sarebbe spuntato improvvisamente il fratello, ma che il bambino li aveva scambiati.
Come fosse possibile, poi, un errore del genere…  si congedò da loro con un cenno del capo, superandoli senza dire nulla.

La gente ricordava eccome quello che era accaduto.
E adesso aveva un nome con il quale chiamare colui che da tantissimi anni non aveva fatto altro che tentare di proteggerli da loro stessi, e lo chiamavano eroe.
Knives sbuffò.

Ne è valsa davvero la pena vivere immerso in tutto quel dolore, fratello?”

Stava per andarsene, quando gli giunse un altro frammento di discorso alle orecchie.

-“Buongiorno signora! Come sta il paziente oggi?”-

-“Purtroppo ancora non sembra intenzionato a svegliarsi, però da qualche settimana sembra aver ripreso colore. Mio marito ha fiducia che a breve potrebbe riaprire gli occhi.”-

-“Non aveva detto così anche due settimane fa?”-

-“Questa volta è molto fiducioso”-

-“Mah… Suo marito è sempre stato un amante delle cause perse. Ricordo ancora quando decise di operare la gamba del fioraio quando tutti gli altri medici dissero che c’era solo d’amputare..”-

-“Beh, adesso il vecchio Jhon può portare a passeggio i suoi nipoti sulle sue gambe! Mio marito sarà anche considerato un pazzo, ma è il migliore nel fare il suo mestiere”-

-“Questa volta però mi sembra solamente una pazzia… Pensare che sembrava già un miracolo solo il fatto che fosse riuscito a ritrovare quell’uomo intero, quando quell’enorme nave è precipitata…Figuriamoci tentare di curarlo”-

-“Si, lo ricordo quando lo ha portato in casa… gli ho dato del pazzo anche io, sa? Però… dovreste vederlo adesso! Sembra semplicemente addormentato, come se si potesse svegliare da un momento all’altro”-

-“Ma non gli è mai venuto in mente che potesse essere uno dei cattivi? Un nemico? Ricordo quando lo estraemmo dalle maceria… Non pareva nemmeno umano”-

Gli occhi di Knives si spalancarono, e si rese conto solo dopo quella che parve un’eternità di aver trattenuto il respiro.
Si girò di scatto verso la donna e il negoziante con il quale stava parlando.
Doveva sapere.

Era un’idea folle quella che gli aveva appena attraversato la mente.
Troppo folle.
Un’idea quasi crudele, dettata probabilmente dai sogni che lo avevano tormentato languidamente tutta la notte precedente.

La signora pagò la sua spesa a si avviò lungo la strada, lo superò e lui non fu capace di muovere un passo.
Voleva sapere.
E se si fosse trattato di qualcun altro? C’era un esercito intero sotto di loro quel giorno.
Gente dalla terra, le altre indipendenti. C’era Doublefang insieme a Vash.
Anche Elendira.

Poteva trattarsi di chiunque.

non sembrava umano.”

Chi, più di lui, non riusciva mai ad apparire mai abbastanza umano per i suoi simili?
Voleva correre e afferrare la signora per un braccio, scuoterla, sapere!
Chi si era salvato dalla caduta?

Voleva baciargli la fronte.

Riprese a camminare lentamente, trattenendosi terribilmente dal mettersi a correre, gli occhi fissi sulla donna.
La seguì finché non svoltò ed entrò in una misera casa.

Rimase dalla parte opposta dalla strada a fissare la piccola porta con l’insegna ‘Medico Chirurgo’ per quella che gli parve un’eternità, prima di decidersi a fare quel piccolo gesto, che avrebbe decretato se quello che gli passava in mente non era nient’altro che una follia oppure se...

Chiuse gli occhi, respirò profondamente e rilassò le spalle, inghiottendo qualcosa di simile ad un lieve fremito di paura.
Il suo potere, non più forte come lo era stato prima, ma sempre presente, rispose subito.
Lasciò che il potere gli scivolasse attorno e cercasse.

Se non avesse trovato nulla? Se quella persona fosse stato solo un semplice, inutile altro essere umano?
Il potere s’insinuò oltre le pareti della casa, scivolando accanto alle menti semplici delle persone che ci abitavano. Contò la signora, il marito, una giovane senza apparenti legami di parentela e…
Si arrestò, il volto contratto in una smorfia.
Riconosceva la mente della persona stesa in quel piccolo letto.
Avrebbe voluto spalancare gli occhi e correre su per quelle scale, ma indugiò ancora un po’, carezzando mentalmente quei pensieri arruffati.

Poteva assaporare il torpore di quel corpo, il gusto aspro delle medicine in bocca, il dolore degli aghi infilati nel braccio. Come era successo tante volte, da quando gli aveva insegnato a comunicare in quel modo.

 “Legato…” sussurrò tra se, sperando che fosse abbastanza recettivo da riuscire a sentirlo.

Tutto era familiare. Acciambellarsi intorno alla sua mente era un gesto che solo adesso scopriva essergli mancato.
Come un guanto che torna perfettamente attorno alla mano anche dopo anni che non veniva più usato.
Legato era qualcosa che Knives sentiva suo. Non quanto Vash, e nemmeno come un oggetto qualunque.
Qualcosa di vivo e inaspettatamente dolce.

Quando aprì gli occhi, li alzò istintivamente al cielo.

Suo fratello non sarebbe mai cambiato. Nonostante quella fosse stata una situazione disperata, talmente disperata da costringerlo a sparare per uccidere, nonostante le scelte fossero due, lui aveva scelto la terza.
Nulla era mai o bianco o nero per Vash. Si aggrappava disperatamente a quelle infinite sfumature di grigio, che erano il senso stesso della vita e ora Knives gliene era grato.
Grato a quel lato di lui che aveva sempre disprezzato e combattuto.

Il cielo sopra di loro, adesso era blu.
Terribilmente, magnificamente blu.

Dopo tutta la solitudine orribile degli ultimi mesi, davvero era ad un passo da ritrovare l’unica persona alla quale, su quel pianeta desolato, poteva importare ancora della sua esistenza?
 
______________________________________________________________________________________________________ 

Bene.
Se siete arrivati a leggere il mio saluto finale, allora vi meritate un sacco di caramelle e i miei più sentiti grazie.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
 
Legato si sveglierà? E se lo farà, sarà ancora quello che Knives ha conosciuto?

[“Gli umani sono così dannatamente fragili” pensava tra sé, mentre continuava ad accarezzare i contorni della mente dormiente di Legato, nella speranza di strappargli una reazione qualunque.]

A mercoledì prossimo!

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Capitolo 3
*** Not Alone ***


Ben trovati a leggere questo terzo capitolo!
Vi auguro una buona lettura e vi ringrazio dell’attenzione che dedicate a questa fanfiction, ve ne sono grata =w=
Piccola legenda per i dialoghi:
-“Parlato normale”-
Pensieri privati”
Dialogo mentale



NOT ALONE


Per due giorni non volle saperne di avvicinarsi a quella porta. Seduto sul portico dell’edificio difronte, saggiava con il suo potere ogni possibile risposta di quella che era, senza dubbio, la mente di Legato.
Era debolissima rispetto a come la ricordava, ma persisteva.

Voleva aspettare per capire quali erano le sue condizioni.
Non voleva incontrare una carcassa umana, debole e inutile, confinata in un letto. Avrebbe sprecato il suo tempo e quelle che pian piano sembravano diventare delle speranze.
Gli era capitato di osservare da lontano, quali erano gli effetti di alcune malattie simili, sugli uomini. Morire mentre erano comunque ancora in vita, quell’immagine non si addiceva affatto a Legato.
Anche se non aveva mai perso occasione per ripeterglielo, Legato non era mai stato veramente inutile.

Gli umani sono così dannatamente fragili” pensava tra sé, mentre continuava ad accarezzare i contorni della mente dormiente di Legato, nella speranza di strappargli una reazione qualunque.
Suo fratello doveva averlo colpito alla testa, era l’unico modo per poterlo fermare.
E per poterlo rendere totalmente inutile” sospirò. Pensare che almeno l’uomo era ancora vivo, non gli era di nessuna utilità. Non si sarebbe preso cura di una cosa quasi morta.

Ma ecco che improvvisamente, un pensiero di consistenza familiare si aggrappò ad un filo del suo potere.

Master Knives

Le labbra di Knives si curvarono in qualcosa di molto simile ad un sorriso. Il suo potere avvolse quel pensiero, cullò quella flebile voce con una tenerezza che stupì entrambi.

Svegliati Legato. Non mi pare di averti dato il permesso di dormire.

Ed ecco che come un’onda d’urto, la mente di Legato si schiuse.
Knives venne investito da milioni di pezzi di sensazioni diverse, come frammenti di specchio, che riflettevano pensieri.
Alcuni che per tutta la vita, Legato aveva tentato di nascondergli, altri che invece conosceva bene.
Informazioni, volti, luoghi, sapori, odori, tutto un infinito catalogo di cose che definivano quello che era, o era stato, Legato.

Aprendo nuovamente gli occhi sulla strada, una strana felicità lo invase.
Legato era vivo e reagiva.
Knives non era più solo.

Si alzò dalla sua postazione e si avviò alla porta con passo sicuro. Sentì dei passi affrettati dietro la porta, per le scale.

Bussò due volte prima che qualcuno si decidesse ad aprirgli.

La misera porta si aprì, mostrandogli la signora che aveva visto al mercato
-“Desidera qualcosa?”-  Indossava un grembiule bianco dalla cui tasca pendevano dei guanti, e al collo una piccola mascherina azzurra. La donna fu costretta ad alzare la testa per guardarlo in viso.

-“Cerco…”- Era tanto che non spiccicava parola e fu costretto a tossire e schiarirsi la voce finché non gli sembrò di smettere di gracchiare. La gola gli bruciava –“ Cerco un uomo che è ricoverato qua da voi”-

La signora lo squadrò. Non doveva avere affatto un aspetto rassicurante, sporco e trasandato com’era dalle settimane di cammino nel deserto.
Non si era preoccupato né di bere né di mangiare.
Doveva sembrarle appena uscito dalla tomba.

-“Non abbiamo pazienti ricoverati in questo momento”- si affrettò a dire la signora, confermando i suoi sospetti riguardo a come lui le dovesse apparire.

-“Ho sentito che avete presso di voi un uomo trovato tra le macerie dell’incidente avvenuto qualche mese fa.”- Tentò di non apparire minaccioso o freddo, senza riuscirci.

La signora lo guardò di nuovo –“Lei come lo sa?”-

Knives tentò di riportare alla mente quello che Vash aveva tentato d’insegnargli su come riuscire a relazionarsi con gli umani in modo da riuscire a guadagnarsi la loro fiducia.
La verità, soprattutto in parte, è la cosa migliore da dire
Sospirò.

-“Ero lontano quando è successo quell’incidente, e ho saputo che questa persona si trovava qui. La sto cercando da molto tempo. Mi hanno detto che presso di voi alloggiava un sopravvissuto non identificato e volevo… e mi sarebbe piaciuto poterlo incontrare”- Knives tentò di sembrare preoccupato, o abbattuto o triste, o qualsiasi espressione che potesse muovere a compassione la signora.

-“E’ un parente?”-

-“Possiamo dire così, si”-
 “Sono colui che voleva sterminare la vostra inutile e sporca razza dalla faccia del pianeta, e quello che avete amorevolmente accolto in casa  è il mio cane e sono venuto a riprendermelo. Ah, Vash è mio fratello e mi odia per una serie di ragioni abbastanza comprensibili.”
La verità va raccontata solo in parte. Si, meglio.

La signora improvvisamente sorrise –“Venga, venga, non avevo capito.”-
lo fece entrare e richiuse la porta dietro di lui –“Con i tempi che corrono non si è mai troppo sicuri, venga. Chissà che pena aver viaggiato così a lungo. Spero davvero che l’uomo che si trova qui da noi sia quello che lei sta cercando”- Fece cenno al mantello logoro che copriva i miseri vestiti di Knives –“Venga, lo dia a me”-
Knives se lo tolse, un po’ riluttante di perdere una protezione, un po’ grato di non avere più quell’orribile tessuto addosso.
La signora lo appoggiò ad un attaccapanni accanto alla porta e poi  fece per imboccare le scale. Dopo il primo gradino si bloccò e lo guardò con espressione seria
 –“Non so che idea possa essersi fatto sulle condizioni di quell’uomo, ma devo avvertirla: in questi mesi è stato immerso in uno stato di coma profondo. Aveva una grave ferita alla testa, non sappiamo se si risveglierà o se, quando lo farà, sarà in grado d’intendere e di volere.”-

Knives la guardò negli occhi e annuì.
Lei quindi riprese a salire le scale facendo cenno di seguirla –“Io e mio marito abbiamo fatto di tutto per evitare la cancrena, e nelle ultime settimane il corpo ha cominciato  a dare segni di miglioramento… Stamani sembrava sul punto di svegliarsi”-
L’odore forte dei prodotti per la pulizia e dei disinfettanti copriva a stento il fetore latente della malattia che permeava i muri della casa. Knives fece di tutto per allontanare dal suo viso una qualsiasi espressione di disgusto e rimanere impassibile.
Gli umani erano sporchi, e puzzavano orribilmente anche quando erano sani. Da malati erano disgustosi.

Arrivarono ad una piccola stanza, con la porta socchiusa, dalla quale uscì il marito della signora.
Salutò Knives dopo una breve presentazione, con una stretta di mano che colse nuovamente il plant impreparato e fece cenno all’uomo di entrare.
Sorrideva, dicendo qualcosa circa le buone condizioni di salute del paziente.

Ed eccolo, disteso nel piccolo letto del quale aveva intuito i contorni, le flebo attaccate al braccio nei punti in cui aveva sentito il dolore la prima volta che l’aveva cercato.
Incredibilmente magro e pallido, con una vistosa fasciatura alla testa e…

-“…i suoi capelli”- la frase sfuggì dalle labbra di Knives inaspettatamente.

-“hanno un colore particolarissimo, vero? Quando lo abbiamo trovato li aveva molto più lunghi. Abbiamo dovuto tagliarglieli perché non dessero fastidio alla ferita”-

Rimase per un po’ in silenzio a fissarlo, poi si avvicinò.
Gli ricordava fin troppo le condizioni nelle quali versava quando lo aveva trovato, magro, piccolo, così… fragile. Avrebbe potuto ucciderlo solo toccandolo, come allora.

Allungò una mano verso il suo viso e ne carezzò lievemente il contorno, mentre mentalmente ripeteva lo stesso gesto.
E Legato aprì improvvisamente gli occhi.

Quelle iridi dorate e spaventate che si mossero velocemente finché non trovarono Knives e si fissarono su di lui.
Il respiro era affannoso e il corpo mosso da tremiti, come se volesse fare qualcosa, qualunque cosa.
Come se trovasse quella posizione irrispettosa nei confronti di Knives.

Calmati Legato.

Master Knives, io…

Knives gli appoggiò le mani sulle spalle e senza il minimo sforzo lo bloccò sul materasso.
Occhi negli occhi.
Sentì i suoi muscoli che si rilassavano, il respiro che lottava per rimanere regolare.

Ho fallito, Master Knives.

Legato chiuse di nuovo gli occhi e tentò di mandare indietro la testa, per offrire la gola scoperta.

Uccidetemi.

Knives ridacchiò, cullando con il suo potere la mente ancora debole di Legato.
Gli passò le dita sulla fronte, sfiorando il tessuto del bendaggio.

Tu sei mio, Legato. E non andrai incontro a nessuna morte finché non sarò io a deciderlo.

Legato riaprì gli occhi, colmi di lacrime. E credette di morire davvero quando Knives si chinò in avanti e gli posò le labbra sull’unico pezzo di fronte che non era stato coperto dalla fasciatura.
Le sue labbra erano ruvide e secche, nulla al confronto di quanto aveva sognato in tutti quei lunghi anni.
Non seguì nessun tipo di dolore, come si aspettava.
Poi Knives si allontanò da lui, e chiuse gli occhi ancora. Si fece cullare dolcemente da quello che molto probabilmente era solo un sogno, e sprofondò di nuovo nel buio.

Un sorriso a solcargli il volto, come quando la canna della pistola di Vash si era finalmente appoggiata contro la sua fronte.
 
______________________________________________________________________________________________________________________________________ 
 
Spero che vi sia piaciuto, se volete, lasciate una recensione!  ^_^
 
 [L’uomo con i capelli neri sembrava a tratti totalmente incapace di prendersi cura dell’altro, come quando osservava, incuriosito come un bambino, tutto quello che il medico faceva attorno al suo paziente.
Altre volte invece dimostrava la premura di un genitore e la tenerezza di un amante.
]

Al prossimo mercoledì!
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Capitolo 4
*** A Little Thing ***


Scusate il ritardo! C’è stato di mezzo un po’ di Lucca C&G e un po’ di immenso amore, e sono stata distratta dai miei doveri di scrittrice xD
Beh, eccovi il capitolo! Prometto di non ritardare più, un bacio!

 
 
 
A LITTLE THING

I due coniugi avevano assistito stupefatti al risveglio di Legato.
Knives non aveva detto una parola avvicinandosi e come per magia, la sua sola presenza era bastata per farlo svegliare dopo quei lunghi mesi di coma profondo.
Non era qualcosa di razionalizzabile, quello che stava avvenendo sotto i loro occhi.

Li avevano fissati in silenzio, solo quando Knives si era alzato dal capezzale del letto avevano osato parlare, come se nella stanza fosse calata un aura di sacralità.
Gli offrirono di cambiarsi, di lavarsi e di mangiare.
L’uomo si girò per un attimo verso il letto e sembrava riluttante ad abbandonare il loro paziente, poi però la prospettiva di un bagno caldo sembrò convincerlo e abbandonò la stanza.
Gettati quei vestiti logori, la signora gli aveva portato una semplice camicia bianca e un paio di pantaloni che un tempo dovevano essere stati del marito.

Fu in quel momento che si resero conto del fatto che il loro ospite non era affatto una persona comune. Aveva un’innata eleganza nei movimenti e il portamento tipico di qualcuno d’alta classe. Per quanto si sforzasse di sembrare cordiale, i suoi occhi rimanevano sempre impassibili e freddi.
Era solo mentre l’osservavano con il loro paziente, che lo vedevano cambiare totalmente, senza che nemmeno lui se ne rendesse conto fino in fondo.

L’uomo con i capelli neri sembrava a tratti totalmente incapace di prendersi cura dell’altro, come quando osservava incuriosito come un bambino, tutto quello che il medico faceva attorno al suo paziente.
Altre volte invece dimostrava la premura di un genitore e la tenerezza di un amante.
Stava ore seduto accanto al piccolo letto, gli occhi fissi sul volto del paziente, immobile, nel più completo silenzio, ad osservare qualcosa che gli altri non riuscivano a vedere

E sembrava che si parlassero, in un mondo totalmente estraneo a quello in cui gli altri vivevano.
 

-“Come hai detto chesi chiama il nostro paziente?”- domandò il medico una sera, mentre cenavano.

Knives finì di masticare piano il suo boccone –“Legato”-

-“Che nome strano. È un termine musicale, vero?”-

-“Definisce quando una serie di note sono connesse armoniosamente tra di loro”- preciso, distaccato, freddo. Knives non sapeva come potesse fare Vash ad emanare con gli uomini tanto calore.
Come si fa a sorridere?

-“Lei è un musicista?”- intervenne pacatamente la signora –“Sa, ha delle mani molto belle”-

Knives osservò le proprie mani. Nessuna cicatrice, nessun callo, nessun graffio. Le unghie bianche e pulite, regolari. Erano le mani di qualcuno che non aveva mai lavorato, e si erano salvate anche da quel tempo passato nel deserto.

-“No.”- avrebbe dovuto aggiungere qualcos’altro, qualcosa di connesso a quel discorso, raccontare, magari, qualcosa su di se. Erano elementi basilari in una conversazione. Tentò di pensare un attimo, mentre masticava un altro boccone –“Però apprezzo molto la musica”-

La signora sembrò soddisfatta, aveva capito che il loro ospite non era molto socievole. Forse era dovuto un po’ al carattere, e un po’, s’immaginava la signora, alla preoccupazione per quel loro strano paziente dai capelli blu. Dovevano avere un rapporto molto profondo.

-“Scusi la domanda, ma… l’altro giorno mi ha detto di essere un parente, Legato è suo.. figlio per caso?”- Azzardò il medico, seduto di fronte a Knives.

Knives alzò gli occhi dal piatto e lo guardò, stupito. Legato, con quei lineamenti delicati, dimostrava sempre molto meno della sua effettiva età, e la perdita di potere aveva segnato sul volto di Knives qualche ruga d’espressione più profonda, vicino agli occhi. Qualche segno che si approfondiva quando muoveva le labbra. Ma non…
un padre? Era stato qualcosa di simile per Legato? Certo, l’aveva cresciuto, come Rem aveva cresciuto lui e Vash e… questo aveva fatto di lei una madre? Non erano nemmeno della stessa razza.
Tutto quello non aveva senso.

-“No.”-

Studiò con calma la perplessità sul volto dell’uomo seduto di fronte a lui. La mente umana era semplice, aveva bisogno che tutto quello che le succedeva intorno potesse essere catalogato secondo dei precisi canoni, in modo da poter essere compreso.
Un uomo che si presenta improvvisamente alla loro porta e cerca un altro uomo come se al mondo non esistesse altro per lui. C’era bisogno di una spiegazione a questo comportamento.
Per gli abitanti di quella casa, la spiegazione poteva essere solo quella: erano parte della stessa famiglia.

Ma non aveva mai considerato nessuno ‘famiglia’, nemmeno Rem, solo Vash lo era.
Non aveva nessun legame di sangue con Legato, gli era solo stato accanto.
Si poteva dire che forse, nemmeno lo conosceva davvero.
E allora perché era li? Perché era stato così felice di rivederlo? Tanto felice da volerlo toccare, per assicurarsi che fosse davvero lui, lì con lui.
L’aveva toccato senza che fosse strettamente necessario, senza fargli del male.

Era un argomento di difficile discussione quello, perché nemmeno lui aveva idea delle motivazioni.
Di certo, non voleva discuterne con qualcuno.

-“Siete quindi… per caso…”- l’uomo continuò, quasi timoroso di concludere la frase.

Cosa stava insinuando?

Knives lasciò che i suoi occhi tornassero al piatto pieno di cibo e riprese a mangiare, tentando di acquietare la rabbia che gli stava nascendo in petto per tutte quelle domande inutili.
Doveva avere un motivo per essere lì?

Legato era suo.

Ecco il suo unico motivo. Incomprensibile alle persone che aveva davanti.
Non aveva bisogno di farsi altre domande, no? Di certo, non doveva dare nessuna spiegazione.

La signora posò una mano su quella del marito, e lo guardò, intimandogli in qualche modo di far cadere l’argomento, e così l’uomo fece.

A Knives la signora pareva molto più sopportabile del suo consorte. Era discreta, molto silenziosa, e… sapeva stare al suo posto.
Il marito era più invadente, sembrava voler ricoprire a tutti i costi il ruolo del capobranco. Se avesse analizzato la situazione da un punto di vista prettamente scientifico, Knives avrebbe detto che questo suo temperamento pacatamente aggressivo era dato dall’entrata di un altro maschio all’interno di quello che l’uomo considerava il SUO territorio, la sua casa.
Knives per lui era una minaccia, anche se gli sorrideva e gli permetteva di alloggiare su una branda nella stanza di Legato. Per questo tutte quelle domande.

Avrebbe voluto sbuffare e scuotere la testa. O mettersi a ridere.
Forse sarebbe stato troppo difficile da giustificare, quindi rimase zitto.

Gli argomenti si fecero più lievi, il chiacchierare più rilassato, almeno in apparenza. Sorrisi, sorrisi, risate e Knives tentò di imitare il loro comportamento, seppure nessun sorriso raggiungeva mai i suoi occhi gelidi.

Si congedò alzandosi da tavola e tornò su per le scale scricchiolanti, verso la camera, ignorando i discorsi che i due stavano facendo a bassa voce, ignari del fatto che li sentiva benissimo.
Volevano che se ne andasse, ma non avevano il coraggio di scacciarlo dalla loro casa, per il fatto che avrebbero dovuto lasciar andare anche il loro paziente, che invece, aveva ancora bisogno di cure.

Umani…

Aprì la porta piano per evitare che cigolasse, quel rumore gli dava semplicemente fastidio, non stava pensando al fatto che avrebbe potuto svegliare Legato.

Senza accendere la luce, si sedette di nuovo accanto al piccolo letto e osservò i contorni del viso di Legato. Le lune illuminavano pacatamente tutta la stanza, i suoi occhi erano ancora abbastanza buoni da far si che quella luce gli bastasse per vedere tutto chiaramente.

Legato si girò verso di lui e schiuse gli occhi, il respiro lievemente più affannoso, come un uccellino spaventato al cospetto di un gatto.
Nessuna traccia di comunicazione mentale tra loro. Solo il silenzio della notte e i loro occhi.

Legato era bello. Anche con i segni di questa nuova sofferenza che minacciavano le linee morbide del suo volto, la sua bellezza affiorava nei tratti che lo rendevano inconfondibile.
Knives lo studiava alla ricerca di un motivo logico dal quale potesse derivare quella bellezza.

Cosa lo rendeva bello? Qual era la componente del suo odore che persisteva anche sotto i medicinali?
Perché la sua presenza gli era familiare e quasi rassicurante?

Master…

Dimmi Legato.

I vostri capelli sono… completamente neri.

Knives si distese verso lo schienale della sedia, senza smettere di fissarlo. Odiava quando qualcuno ribadiva l’ovvio, ma era anche molto stanco, troppo stanco anche solo per arrabbiarsi.

Si.

Legato girò la testa verso il soffitto, il volto contratto in una smorfia che nulla aveva a che fare con il dolore fisico. Deglutì. I battiti del suo cuore aumentarono impercettibilmente.

Cos’è successo, Master Knives?

Knives non aveva voglia di parlare. Avrebbe dovuto ammettere ancora una volta di aver fallito, di aver sbagliato.
Non voleva provare di nuovo quella sensazione. Si alzò in piedi e si portò con il busto sopra Legato, immergendo il suo corpo nel buio. Sentì l’altro blaterare qualche parola di scusa da qualche parte nella sua mente, lo ignorò e gli si avvicinò ancora, occhi gelidi e calmi immersi nei suoi dorati.
Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte su quella di Legato, i palmi delle mani ai lati della sua testa, la sensazione del tessuto ruvido contro le sue dita era distante, da qualche parte, tra i suoi pensieri.

Le immagini della sua battaglia con Vash fluirono dai suoi ricordi, verso Legato.
Voleva che vedesse.
Non avrebbe ammesso di aver sbagliato. Gli avrebbe fatto vedere quello che era successo, Legato avrebbe tratto le sue conclusioni.
La mente di Legato si aprì a tutto quello, e Knives venne investito da una forte stretta allo stomaco.
Dolore, talmente tanto dolore che gli fu difficile continuare a tenere per se parte dei suoi ricordi.
I suoi pensieri quando era stato solo nel deserto, quelli non voleva che Legato li vedesse, li sentisse, quelli.. quelli erano suoi. Quella era la sua vera ammissione di debolezza.

Interruppe bruscamente il loro contatto.
Legato ansimava, qualcosa brillava di luce riflessa ai lati del suo viso.
Aveva cominciato a piangere in silenzio.
Non pronunciò nessuna parola di conforto, e Knives sentiva irradiarsi da lui un dolore immenso.
Senso di colpa.

Non sono riuscito a fare abbastanza…

Perché Legato stava dicendo questo? Si stava assumendo le colpe che non erano sue.
Era Knives che…. Aveva sbagliato.

Knives si rimise a sedere, tentando di rilassarsi per alleviare quella maledetta stretta allo stomaco e non disse nulla.
Legato, silenziosamente, continuava a piangere.
Vergogna e frustrazione per non essere capace di badare a se stesso, si riflettevano in quelle lacrime calde.

Perché non mi uccidete?

Ancora, quella supplica. Gli occhi dorati fissi al soffitto.
Una rabbia sorda invase Knives, che strinse i pugni quasi fino a conficcarsi le unghie nel palmo della mano.
Cosa doveva dire? Le uniche cose che gli venivano in mente erano così… umane.

Puoi ancora essermi utile.

Come? Come, Master Knives?

Silenzio di nuovo. Knives si sporse in avanti sulla sedia.

Per prima cosa, rimettiti in piedi. Non credo che questa condizione sia peggio di avere la colonna vertebrale spezzata, sbaglio, Legato?

L’altro si girò di nuovo verso Knives, un debole sorriso si delineò sul suo volto come una ferita.
Schiuse le labbra e fece vibrare le corde vocali.
 
-“No, Master Knives..”- sussurrò. La sua voce poco più di un sussurro, roca e flebile, ma era una chiara dichiarazione. Era determinato a lasciarsi di nuovo la morte alle spalle.

Legato era di nuovo pronto.
Per Knives, Legato si sarebbe rimesso in piedi un’altra volta.
 
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Bene!
Dal prossimo capitolo il rating si alzerà a rosso, quindi… be prepared!

[Knives non si degnò neppure di rispondergli e semplicemente lo immerse nell’acqua tiepida, prima le gambe, poi gli piegò le ginocchia e riuscì a metterlo seduto.
Era troppo alto per riuscire a distendere le gambe in quella vasca troppo corta
.]

 

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