The Little Mermaid

di lilyhachi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** And straight on till morning ***
Capitolo 2: *** Under the sea ***
Capitolo 3: *** Part of your world ***
Capitolo 4: *** Broken ***
Capitolo 5: *** Between us ***
Capitolo 6: *** It's a end, not a beginning ***
Capitolo 7: *** Carry me home ***
Capitolo 8: *** I will see you again ***
Capitolo 9: *** Always find me here ***
Capitolo 10: *** Somebody told me ***
Capitolo 11: *** A beautiful lie ***
Capitolo 12: *** My kind of love ***
Capitolo 13: *** Every me and every you ***



Capitolo 1
*** And straight on till morning ***


I
And straight on till morning

 
Vi voglio narrare una storia
che parla del grande oceano blu!
E di una sirena bellissima
Avvolta in un grande mistero laggiù!”

 
Hook si guardò intorno. Era approdato finalmente sull'Isola che non c'è, il luogo in cui avrebbe potuto escogitare un modo per vendicarsi di Tremotino senza che nessuno potesse disturbarlo e soprattutto senza che il tempo scorresse.
Aveva tutto il tempo del mondo e questo lo faceva sentire più determinato di quanto non fosse mai stato in tutta la sua vita.
“Capitano! E' questa l'Isola che non c’è?” la voce di Spugna lo ridestò dai suoi pensieri.
“Esatto, Spugna, è proprio questa, dove finalmente potrò escogitare la mia vendetta!” rispose il capitano.
“Ma noi cosa faremo nel frattempo?”
“Tranquillo!" cominciò Hook "C'è molto da fare su quest'isola. Vi do la mia parola che non vi annoierete affatto qui e soprattutto il vostro desiderio di non invecchiare è diventato realtà".
Spugna si tranquillizzò e rivolse un sorriso soddisfatto al suo capitano: il pensiero di non invecchiare lo aveva tranquillizzato all'istante. I suoi uomini erano sistemati ed Hook ordinò loro di gettare l'ancora: era arrivato il momento di esplorare quest'isola e non aspettava altro.
Scesi dalla Jolly Roger, ebbero modo di ammirare quel mondo paradisiaco che si mostrava dinanzi a loro. Hook ad un primo sguardo ebbe modo di vedere, al di là della spiaggia, una serie di grandi cascate e una laguna...mentre più in lontananza vide del fumo da cui si poteva dedurre la presenza di un accampamento indiano a cui avrebbe presto fatto visita. Forse era meglio lasciarlo ai suoi uomini, lui aveva ben altre cose a cui pensare: doveva trovare un modo per scuoiare il suo coccodrillo colui che gli aveva portato via la mano e l'amore.
 
***

Erano ormai sull'isola da ben tre mesi e non avevano tardato a trovarsi dei nemici, tra cui il dannato Peter Pan e la sua combriccola di bimbi sperduti. Come poteva un gruppo di bambini dargli così tanto filo da torcere?
Erano solo ragazzini contro un gruppo di uomini armati ed esperti nel combattere. Hook considerava quel ragazzo come una sorta di sostituto del coccodrillo al momento. Non avendo modo di raggiungerlo, ancora, doveva pur focalizzare le sue attenzioni su qualcosa o qualcuno e Peter se l'era guadagnato. Il suo era un “allenamento” in attesa di trovarsi faccia a faccia con quel mostro per colpa del quale Milah era ormai sott'acqua. Questa era soltanto una della lunga serie di scontri nei quali si erano ritrovati coinvolti da quando erano arrivati sull'isola. I bimbi sperduti avevano invaso la sua nave, sulla quale si stava svolgendo un acceso combattimento, mentre Peter Pan svolazzava sulla Jolly Roger. Hook, deciso a farla finita, attirò l'attenzione di Peter intimandogli di scendere e combattere da uomo invece di guardare il tutto dall'alto. Il ragazzo, offeso, non se lo fece ripetere due volte e scese trovandosi faccia a faccia con il capitano che immediatamente sguainò la spada, pronto a combattere.
I due cominciarono a duellare, mentre intorno a loro lo scontro continuava.
“Oh andiamo, Peter! Questo è il meglio che sai fare? Mi deludi!” lo canzonò il capitano.
“Cosa posso farci? Ho meno anni di esperienza!” Hook rise di gusto “Mi stai dando del vecchio, ragazzino?”
“Non esattamente, se vuoi, puoi prenderlo come un complimento !” Il ragazzo si divertiva sempre a fare questo genere di battutine, che non toccavano affatto
Hook. Peter Pan era l'ultimo dei suoi problemi. “Ragazzino, tu mi fai sprecare tempo! Non hai nulla di meglio da fare invece di scocciare me e i miei uomini?” domandò Hook senza distrarsi dal loro scontro.
“Se voi la smetteste di rubare i nostri tesori e di darci la caccia potrei anche smetterla” nel dire questa frase, Peter assestò un colpo che sfiorò di poco il fianco di Hook. Forse lo stava sottovalutando troppo, solo un centimetro in più e lo avrebbe ferito per bene. Il duello continuava, e mentre combattevano i due si erano spostati sull'asse della nave.
“Siamo pirati, non possiamo stare lontani dai tesori!” Hook rispose al colpo, ma il ragazzo si sollevò leggermente in aria, evitandolo. “Questo si chiama imbrogliare, Peter. I tuoi genitori non te l'hanno insegnato?”.
Hook sapeva di aver toccato un tasto particolare per il giovane che non voleva crescere, orfano come i suoi amici sperduti, che come risposta a questa provocazione lo assalì dall'alto ferendolo al petto con la spada. Il colpo fu forte e Hook, che si trovava proprio sulla punta dell'asse, cadde all'indietro, finendo in mare. A quel punto Peter svolazzò in aria esultante, annunciando la sconfitta del capitano e della sua ciurma. Riprese i tesori insieme ai bimbi sperduti e si allontanarono dalla Jolly Roger, lasciando la nave ed i suoi marinai senza un capitano, di cui non si sapeva se fosse vivo o morto.
Hook cadde in mare. In quel preciso istante tanti pensieri ed immagini attraversarono la sua mente.
Era forse morto? No! Non poteva morire, aveva un coccodrillo da affrontare e non poteva certo permettere ad uno stupido ragazzino di fermare la sua corsa. Tuttavia il colpo era stato alquanto forte e sentiva un dolore indescrivibile al petto mentre sprofondava nelle acque più profonde. Pensò seriamente che stesse per morire quando una serie di immagini della sua vita cominciarono a passargli davanti agli occhi. Il suo primo incontro con Milah, il momento in cui lei gli chiese di portarla via, il loro primo bacio, tutte le loro avventure, l'incontro con il coccodrillo, la morte della sua amata e poi…il buio.
Non c'era stato altro evento felice dopo la perdita di Milah. Era come se qualcosa in lui si fosse spento. Desiderava vendetta. Non poteva andarsene permettendo che il coccodrillo l'avesse vinta. Voleva risalire, ma non trovava la forza e poteva vedere una scia di sangue di fronte a sé.
Improvvisamente si sentì trascinato da qualcosa che lo aveva afferrato da dietro, cosa poteva essere?
Forse i suoi uomini lo stavano ripescando dall'acqua? Sarebbe stato alquanto strano. In tutto ciò, riuscì soltanto a scorgere una chiazza rossa in movimento dietro le sue spalle. Cercò di metterla a fuoco ma gli occhi gli bruciavano in maniera indescrivibile e non riusciva a tenerli aperti per più di qualche secondo.
Ad un tratto sentì l'aria invadergli i polmoni. Era fuori dall'acqua, sulla spiaggia. Sentiva la sabbia sotto il suo corpo ma non riusciva a mettere ben a fuoco le immagini, si sentiva ancora troppo stordito.
Eppure sentiva una presenza dinanzi a sé, qualcuno lo aveva salvato. Cominciò a tossire e a sputare acqua ma non riusciva ad aprire del tutto gli occhi. Riusciva solo a distinguere una macchia rossa davanti ad i suoi occhi.
“Chi sei?” chiese Hook con un filo di voce.
“Non ha importanza” gli rispose una voce femminile. Poteva essere possibile? Una ragazza lo aveva salvato?
“Ora sei salvo” continuò la giovane con voce melodiosa.
“Chi sei? Qual è il tuo nome?” chiese Hook. Stava quasi riuscendo a mettere a fuoco la figura dinanzi a sè e cercava di aprire maggiormente gli occhi nonostante tutto il sale dell'acqua di mare che ci era finito dentro.
“Mi chiamo...” cominciò lei ma non finì la frase perché si sentirono delle voci in lontananza delle voci maschili e Hook vide la figura sparire.
“Capitano! Capitano! Eccolo, lo abbiamo trovato, forza ragazzi, aiutiamolo!”.
Erano i suoi uomini e mai come in quel momento Hook avrebbe voluto ucciderli.
Grimsby gli si avvicinò e lo sollevò con l'aiuto di Spugna.
“Capitano, sta bene?” chiese Jack preoccupato.
“Una ragazza, Grimsby...una ragazza mi ha salvato”. Grimbsy iniziò a ridere seguito dagli altri due.
“Oh andiamo, capitano! Penso che abbia bevuto troppa acqua di mare!” Hook era troppo stanco per pensarci. Forse aveva sognato Milah, ma quella macchia rossa non era frutto della sua immaginazione. Aveva davvero ingerito troppa acqua di mare? Forse Grimsby aveva ragione. Doveva essere un sogno.
Mentre si allontanava, Hook non si accorse che c'era qualcuno che lo stava osservando da lontano. Colei che gli aveva salvato la vita, nascosta dietro uno scoglio, lo osservava, sapendo che un giorno sarebbe riuscita a rivederlo e far parte del suo mondo.



Angolo dell'autrice

Salve a tutti! Eccomi qui con la mia prima fan fiction in assoluto. Adoro Once upon a time, credo che sia uno dei telefilm più belli che abbia mai visto in vita mia, e mi sono a dir poco innamorata del personaggio di Hook che è, a mio dire, uno dei più complessi e affascinanti. Visto che la figura di Ariel è stata confermata per la terza stagione, mi sono chiesta come si sarebbero svolti gli eventi della serie se lei ci fosse stata, e soprattutto come sarebbe stata l'interazione con Hook (che vedo abbastanza bene con lei :3). Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va. Spero di aver fatto un lavoro almeno decente e spero tanto che vi piaccia, potete anche lanciarmi pomodori e ortaggi vari, so di meritarli xD.
Alla prossima, un abbraccio C:

 

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Capitolo 2
*** Under the sea ***


II

Under the sea
 
Ariel, ascolta: il mondo degli umani è un pasticcio.
La vita sotto il mare è meglio di ogni cosa abbiano lassù!”.
 
Ariel tornò in acqua, sconsolata. Da molto tempo stava osservando la Jolly Roger, incantata e incuriosita da quella vita, quella vita fuori dall’acqua di cui lei non aveva alcuna idea e soprattutto, incuriosita dal Capitano della nave. Ricordò la prima volta che l’aveva visto, con la sua barba ben curata ed i suoi occhi azzurri, quasi di ghiaccio. Ma ciò che aveva attirato la sua attenzione era stato senz’altro l’uncino che sostituiva la mano sinistra, portandola a chiedersi quale fosse il motivo per cui il Capitano aveva perso la sua mano, sostituendola con un uncino.
A catturare l'attenzione di Ariel erano stati – tuttavia – anche i suoi occhi, così penetranti. Si era chiesta quale storia si celasse dietro quegli occhi, che vita avesse condotto ... come se fosse una mappa tutta nuova da leggere, una delle varie chincaglierie che scovava nelle profondità del mare, chiedendosi cosa fossero e quale fosse il loro utilizzo. Solo che quella era una persona, una persona con una storia, una vita e lei avrebbe voluto esserne a conoscenza, come sfogliare le pagine di un libro. I suoi uomini lo trattavano con un rispetto che forse aveva origine anche dalla paura, come se un suo gesto bastasse a tenerli tutti in pugno, costantemente sul filo del rasoio. Ariel si chiedeva, nel profondo del suo animo, se un uomo del genere avesse mai provato amore in vita sua.
Era bello oltre ogni dire, e lei non si era mai sentita così, come se volesse conoscere qualcosa tanto profondamente e con curiosità. Non le era rimasto niente di lui, se non il ricordo del suo viso ed una collana che aveva perso mentre Ariel lo riportava in superficie, salvandogli la vita.
Era strana come collana e aveva un teschio come pendente: abbastanza singolare come collana ma Ariel decise che l’avrebbe tenuta, come fosse uno dei tesori che trovava sul fondo del mare. Forse avrebbe potuto restituirla, qualora lo avesse incontrato. Ma quando abbassò lo sguardo, le venne in mente il motivo per cui le sarebbe stato difficile incontrarlo ancora: la sua coda.
“Se solo avessi le gambe sarebbe più facile” sospirò la ragazza, scoraggiata. Sarebbe stato più facile fare qualsiasi cosa, come muoversi liberamente sulla terraferma, scoprire tutte quelle meraviglie a lei così sconosciute, esplorare quel mondo che si estendeva ben oltre i limiti prestabiliti dall’acqua.
Voleva sapere cosa ci fosse al di là dell’acqua, quali altre meraviglie nascondesse quel mondo da cui suo padre cercava costantemente di tenerla separate, tarpandole le ali o – in quel caso – la coda.
La curiosità scaturita dalla vista del Capitano era soltanto uno dei tanti quesiti che occupavano la sua mente curiosa e desiderosa di risposte, oltre che di libertà. Voleva solo essere libera di recarsi ovunque, di soddisfare quella brama che le ardeva violentemente nel petto.
“Ehi, Ariel!” Una voce la ridestò improvvisamente dai suoi pensieri. Ed ecco un altro dei suoi problemi: Sebastian, il granchio costantemente incaricato da suo padre di osservarla e fare in modo che non si recasse mai in superficie. Era seguito dal migliore amico che Ariel potesse mai desiderare, Flounder, un pesce che era l'unico in grado di accettare la sua passione per il mondo esterno, la sua curiosità e le domande costante, accettando di seguirla nelle sue imprese in avanscoperta. “Ariel”, cominciò il granchio, “Faremo finta che tutto questo non sia mai accaduto. Se tuo padre venisse a sapere che sei uscita in superficie nessuno di noi farà una bella fine”.


Era passato qualche giorno da quando Ariel era uscita in superficie, ed i suoi pensieri correvano continuamente a quel giorno, all’incontro – seppur avvenuto in circostanze infelici – con il Capitano della Jolly Rogers. Il suo comportamento era spensierato e felice, poiché non faceva altro che scorrazzare e volteggiare per il palazzo, canticchiando, ed attirando l'attenzione di suo padre e delle sue sorelle, che avevano certamente notato come il suo comportamento avesse qualcosa di anomalo. Infatti, erano state proprio le sue sorelle maggiori a far notare ciò al re Tritone.
Mentre Ariel sprizzava felicità da tutti i pori, Sebastian la osservava, preoccupato al pensiero che il padre, che il Re del Mare, scoprisse cosa fosse successo a sua insaputa. Le sue paure si realizzarono nel momento in cui venne convocato dal Re Tritone che cominciò a scrutarlo con sguardo severo e insieme angosciato. Il povero granchio cominciò a tremare e, cercando di mantenere il controllo, cominciò a ripetere a se stesso di stare calmo per non tradirsi in alcun modo.
“Sebastian” cominciò il re del mare “ti ho voluto vedere perché Ariel sembra molto strana ultimamente, con la testa tra le nuvole, come se le fosse successo qualcosa”. Intanto, Sebastian deglutì, ripetendo a sé stesso di non pronunciare la parola pirata. Il Re, intanto, continuò a parlare.
“Non te ne sei accorto?”.
“Beh, io...”, rispose il povero granchio senza finire la frase. Non sapeva davvero cosa inventarsi e non era mai stato molto bravo ad improvvisare. Vedendo la sua incertezza, il Re del Mare gli fece segno di avvicinarsi, intimorendolo maggiormente.
“Sebastian, sono sicuro che tu mi stia nascondendo qualcosa riguardo ad Ariel”.
Il granchio cominciò a tremare. “Ariel?,” chiese in un sussurro.
“Ha combinato qualcosa?”, chiese infine Tritone. A quel punto, Sebastian scoppiò.
“Ho tentato di fermarla, sire. Le ho detto di lasciar stare quel pirata ma non ha voluto ascoltarmi”.
Alla parola “pirata”, il Re impallidì, mutando espressione.
“Pirata? Cosa centrano i pirati adesso?”.
Dire che il Re era furioso era ben poco e Sebastian cominciò a realizzare di aver fatto proprio un gran bel pasticcio mentre l’altro lo guardava con un’occhiata furente, realizzando come sua figlia fosse uscita in superficie nonostante i suoi ordini e come fosse – peggio ancora – venuta a contatto con un pirata, la feccia della peggior specie. E se le fosse successo qualcosa? Se l’avessero vista e catturata, facendo di lei un fenomeno da baraccone? Una forma di intrattenimento per gli umani?

Intanto, Ariel passava il tempo nella sua caverna delle meraviglie insieme a Flounder, ignara di cosa fosse appena successo a poca distanza da lei senza mai smettere di sorridere. Forse non sarebbe mai uscita realmente in superficie, forse non avrebbe neanche mai rivisto il Capitano o quel mondo sconosciuto che tanto agognava ma le restava pur sempre il diritto di sognare ad occhi aperti. Flounder, invece, non faceva altro che prenderla in giro in modo bonario, canzonandola per tutti gli oggetti del mondo esterno che era riuscita a trovare. In quella caverna c'era davvero di tutto, dai libri agli oggetti più piccoli. Ciò che più affascinava Ariel era un carillon che aveva ritrovato sul fondo dell'oceano. Quelle poche volte che si sentiva felice, girava la piccola leva che si trovava sotto al carillon e si metteva in ascolto, osservando le due figure del carillon che si muovevano, lasciandosi cullare dalla musica e sognando posti lontani e meravigliosi con la speranza, un giorno lontano, di poterli scoprire tutti e potersi muovere tra essi in completa libertà.
Quella sera, immaginò di essere al posto della ballerina del piccolo carillon. Le sarebbe piaciuto così tanto imparare a ballare, muovere i piedi a piccoli passi senza curarsi di nient’altro che non fosse la musica. Erano tante le cose che avrebbe voluto fare. La forza di volontà non le mancava, ma forse si era persa da qualche parte nei meandri del suo cuore. Una piccola parte di lei non faceva altro che darle sconforto, ripetendole quanto fosse un'illusa, una bambina che sognava le cose più assurde e irrealizzabili. Tuttavia, Ariel sentiva che dovesse esserci un motivo per cui fosse venuta al mondo, un motivo che andava ben oltre il mare, il mondo nel quale era nata e cresciuta. Sentiva di essere destinata a qualcosa di più grande, una felicità che lì forse non avrebbe trovato, avventure che lì non avrebbe potuto vivere, non quando suo padre controllava ogni suo movimento.
Da quando aveva salvato quel pirata, si sentiva quasi più speranzosa, come se quella fosse soltanto la punta dell’iceberg, il principio per qualcosa di molto più grande e importante che presto le avrebbe stravolto la vita. Ma in quel momento, purtroppo, qualcosa di diverso venne a stravolgere la giornata: suo padre. Ariel lo vide, all'ingresso della caverna, con lo sguardo a dir poco imbestialito. Dietro di lui c'era Sebastian, impaurito e tremante.
“Papà”, cominciò Ariel con tono allarmato. Non sapeva della caverna e Sebastian aveva sicuramente cantato. Nulla sul suo viso prometteva qualcosa di buono.
“Ho stabilito delle regole, Ariel”, cominciò Tritone con tono a dir poco severo. “E' vero che hai salvato un umano che stava per annegare? Anzi, peggio! Un pirata?!”.
“Ma papà ho dovuto farlo. Non potevo lasciarlo morire!”.
“Lo sai come sono i rapporti con il mondo in superficie”, tuonò il re, “gli umani sono già spregevoli, e tu ne hai salvato uno della peggior specie. Sono selvaggi, incapaci di qualsiasi sentimento. Sai cosa ti avrebbero fatto se ti avessero vista? Ti avrebbero catturata!”.
“Ma papà … tu non capisci. Non li conosci nemmeno, non puoi pensare che gli umani siano tutti così, che i pirati siano tutti così. Non sei neanche mai uscito in superficie”.
Alla ragazza le parole erano uscite di getto, senza che se ne rendesse conto.
Lo aveva detto davvero? Sembrava di sì. Perché quelle poche parole erano bastate ad aumentare l'ira già evidente di suo padre, mentre Sebastian e Flounder si erano nascosti in un angolino.
“No”, cominciò lui, “hai perso completamente la testa. Non sai cosa voglia dire, sei soltanto una bambina con la testa piena di frottole e fantasie. Non sai cosa sia la vita reale”.
“Non sono frottole” rispose lei. “Voglio vedere il mondo e tu non puoi impedirmelo”.
A quel punto la situazione prese una brutta piega. Il Re cominciò a distruggere, con la magia del suo tridente, tutto ciò che c'era all’interno della caverna, tutti i tesori tanto cari ad Ariel mentre la ragazza gli urlava disperatamente di smetterla, di fermarsi ma il Re era sordo ad ogni richiamo. Ariel non faceva altro che urlargli più volte di smettere ma senza alcun risultato. Una volta che la sua furia distrutta fu scemata, voltò le spalle a sua figlia, uscendo dalla caverna senza guardarsi indietro. Ariel aveva assistito alla distruzione di ogni singolo oggetto che aveva raccolto con impegno e speranza, ma in quel momento, mentre i cocci occupavano tutta la superficie della caverna, poté sentire il suo cuore spezzarsi andando a fare compagnia a quei cocci, insieme alla speranza che l'aveva invasa poco fa. Nemmeno il carillon era stato risparmiato.
E quando Ariel vide le due figure del piccolo oggetto separate e quasi del tutto distrutte si sentì ancora più male. Poteva andare peggio? Probabilmente no. Gli occhi le si gonfiarono per le lacrime e si accasciò a terra, scoppiando a piangere. Poteva sentire la presenza silenziosa di Flounder e anche quella di Sebastian. In quel momento, i suoi occhi rossi si soffermarono sull’unico oggetto superstite: la collana del Capitano, al quale Ariel si aggrappò come una roccia a cui appigliarsi nella tempesta, come un’ancora. Ebbe la sensazione che quello potesse essere, in qualche strano modo, il suo lasciapassare per una fuga, qualcosa che avrebbe potuto condurla dove desiderasse. La strinse, come a voler trovare la forza necessaria per compiere quel passo che si era sempre guardata dal fare, quella decisione che non aveva mai avuto il coraggio di prendere. E adesso, stanca di restare reclusa, stanca di sentirsi prigioniera in quella che doveva essere la propria casa, Ariel fece la cosa che aveva sempre desiderato fare da un po’ di tempo a questa parte: fuggire da quel luogo.
Si mise la collana al collo e cominciò a nuotare senza ben sapere dove si stesse dirigendo, sapeva solo di doversi allontanarsi. Non si voltò nemmeno per accertarsi che Flounder e Sebastian la stessero seguendo, ma conoscendoli, intuiva che fossero rimasti il più lontano possibile, lasciandola sola come Ariel sarebbe voluta essere in quel momento. Nuotò sempre più verso l'alto, fin quando non riuscì a scorgere una scia luminosa proveniente dalla superficie: il sole. La seguì, accorgendosi di come la distanza che la separava dal mondo esterno fosse sempre più corta e, così, e decise di annullarla. Si fermò per un breve istante, come se una scintilla di incertezza le avesse scosso le membra, rammentandole cosa stesse per fare. Ma Ariel allontanò ogni pensiero e uscì con la testa fuori dall'acqua. Prese una boccata d’aria. Era una sensazione indescrivibile che la riempiva ogni volta così come l’aria le riempiva i polmoni, dandole quel guizzo di liberà di cui necessitava.
Si guardò intorno, ammirando l'Isola Che Non C'è. Si voltò verso la spiaggia, contemplando l'ambiente fresco e quasi rigenerante, quando qualcosa attirò la sua attenzione.
Un giovane era seduto sulla riva, completamente solo. Spinta dalla curiosità, pensò di avvicinarsi ma prima che potesse fare qualcosa, fu il ragazzino ad accorgersi della sua presenza,
“Ehi”, la chiamò lui, scattando in piedi e sporgendosi con espressione preoccupata. “Serve aiuto?” Le venne da sorridere per quella gentilezza ingenua del ragazzo.
“Oh, ti ringrazio ma sto bene”, rispose lei con un sorriso mentre il ragazzo si faceva più vicino.
Quando il giovane intravide la coda, sbarrò gli occhi, cominciando ad indietreggiare leggermente come se avesse visto uno spettro. “Non proverai ad affogarmi vero?”.
Ariel scoppiò a ridere di gusto. “Perché dovrei?”
Lui la fissò, per nulla rassicurato da quella risposta.
“Perché l'ultima volta che ho visto una sirena, ha cercato di affogarmi”.
“Io non voglio fare del male a nessuno”, rispose Ariel con tono gentile.
Il ragazzo continuò a scrutarla, inarcando un sopracciglio.
“Perché sei in superficie? Non vi si vede spesso”.
Ariel sorrise amaramente. “Volevo una boccata d'aria”.
“Non sembri molto felice”, constatò lui, “qual è il problema?”.
Ariel lo guardò e, prima che se ne accorgesse, le parole lasciarono le sue labbra.
“Vorrei essere semplicemente al tuo posto”.
Lui corrucciò lo sguardo, curioso. “Non ti piace la vita in fondo al mare?”.
“Non è male”, provò a dire Ariel. “Solo che vorrei solo … libera”.
“E non lo sei?”, domandò lui, stralunato. “Insomma, sei una sirena. Sei libera di scorazzare dove vuoi, di muoverti per tutto l’oceano. Deve essere meraviglioso, nessuno ti dice quello che devi fare o dove devi andare. Penso sia bellissimo vivere lì … non è così?”.
“Forse dipende dai punti di vista”, spiegò placidamente lei. “Nel mio caso, non proprio”.
Il giovane, nel frattempo, era tornato a sedersi, e ascoltando le parole di Ariel aveva cominciato a frugare in una piccola borsa che teneva appesa al bordo della cintura. Da lì prese un sacchettino e lo porse alla ragazza, che lo guardò, perplessa “Cos'è?”.
“Polvere di fata”, rispose lui con un sorriso “Prendila. Serve più a te che a me”.
Ariel non riusciva a capire. “Polvere di fata?”.
“Credo possa aiutarti ad ottenere la libertà che cerchi”, spiegò lui con un sorriso.
“Ma … ma io non ho nulla da darti in cambio”, spiegò lei, sempre più confusa da quella improvvisa e ingiustificata forma di gentilezza da parte di quel ragazzino che la stava offrendo ciò che – a tutti gli effetti – sembrava proprio un modo per ottenere quella libertà tanto agognata.
Il ragazzo, allora, la invitò ad avvicinarsi alla riva, in modo che si vedesse meglio la coda e, mentre Ariel continuava a scrutarlo con attenzione, lui aprì il sacchetto cominciando a riversare il contenuto sulla coda. Ariel osservò i minuscoli granelli di polvere – della stessa consistenza della sabbia – disperdersi nell'aria per poi posarsi sulla sua coda che venne ben presto sostituita da un paio di gambe magre e longilinee. Gambe. Ariel sfarfallò le ciglia, incredula.
Il ragazzino avvampò, dato che Ariel non indossava vestiti, e si voltò di scatto.
Le porse un ricambio che teneva nella borsa, sperando che potessero andarle.
“T-tieni” sussurrò imbarazzato. Ariel indossò i suoi vestiti, emozionata.
“Ho … ho le gambe. Come potrò mai ringraziarti?” chiese la ragazza evidentemente felice.
Si alzò quasi a fatica, reggendosi allo scoglio.
“Non devi” rispose il ragazzo, facendo spallucce
“Ma adesso non hai più polvere per te” esclamò Ariel mortificata.
“Te l’ho detto. Serviva più a te che a me” rispose lui in tutta sincerità. “La magia ha fatto abbastanza per me. Se può aiutare qualcun altro, ne sono più che felice”.
Il ragazzino, d'un tratto, si voltò, distratto da un trambusto alle loro spalle.
“Forse devo andare”, esclamò. “Tu cosa farai ora?”.
Ariel gli sorrise, un po’ impaurita ma eccitata. “Saprò cavarmela”.
Lui ricambiò il sorriso e cominciò ad allontanarsi, per poi voltarsi di scatto come se avesse dimenticato qualcosa. “Ehi! Come ti chiami?”.
La ragazza gli sorrise nuovamente. “Ariel! E tu?”.
“Buona fortuna, Ariel”, cominciò lui. “Io sono Bae”.
Detto questo, cominciò di nuovo ad allontanarsi mentre Ariel lo salutava da lontano.
Bae: non avrebbe dimenticato quel nome.
Si voltò verso il mare, scorgendo in lontananza una nave dall’aspetto familiare.
 

Angolo dell'autrice:

- Come spero abbiate letto, ho deciso di inserire anche Flounder e Sebastian. Onestamente non sapevo come altro renderli se non come pesce e granchio..quindi spero di non aver scritto cose orride xD ;
- non ho inserito Ursula, semplicemente perchè, data la presenza di già abbastanza cattivi/rompiscatole tipo Regina, Rumple e Cora (giusto per dire qualche nome a caso u.u) lei mi sembrava di troppo. E non ho nemmeno reso nessuno di loro come Ursula perchè stando a Neverland la situazione è un pò più complicata e fastidiosa u.u ;
- mancando Ursula, qualcuno doveva pur far diventare Ariel umana, no ? Così dopo aver esplorato varie opzioni quali ipotetiche fate madrine acquatiche (questa è ridicola, lo so u.u), pozioni spuntate dal nulla, semplice principio secondo cui ad una sirena che esce dal mare spuntano la gambe (tipo Pirati dei Caraibi xD), ho deciso di permettere a Bae (che d'altronde si trovava lì) di fare una buona azione :).
Mi scuso nuovamente se posso aver scritto qualche cavolata e spero tanto vi piaccia :3

 

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Capitolo 3
*** Part of your world ***


III

Part of your world

 
If we could stay all day in the sun, just you and me.
And I could be part of your world. I don't know when,
I don't know how but I know something's starting right now.
Watch and you'll see, someday I'll be part of your world”.

 

Uno dei passatempi preferiti di un pirata era sicuramente la ricerca di un tesoro, ma Hook non immaginava certo che una giornata iniziata come tante altre lo avrebbe portato verso qualcosa di davvero prezioso che valeva molto di più del semplice oro. Quella mattina Hook era nella sua cabina mentre i suoi uomini si divertivano a procurarsi il pasto pescando.
Lui intanto, seduto sul suo letto, non pensava ad altro che alla sua rivincita nei confronti del coccodrillo. 
Possibile che per lui non esistessero altri pensieri? Ormai la sete di vendetta aveva stretto il suo cuore in una morsa, rendendolo marcio. Pensò a Milah...sarebbe stata felice nel vederlo in questo stato o avrebbe preferito che lui provasse ad essere felice in altri modi, lasciandola finalmente andare?
Hook non si soffermò su questo pensiero, in quanto venne distratto da Spugna che lo chiamava a gran voce da fuori. Cosa potevano aver combinato? Si apprestò ad uscire.
“Ma che diamine succede?” chiese leggermente adirato.
“Capitano” esclamò il ragazzo esultante “Non ci crederete ma la pesca ci ha dato più dei semplici pesci”.
Hook lo guardò perplessocominciava a non seguirlo ma, prima che potesse parlare, Spugna lo trascinò sul ponte dove giaceva la rete con dentro diversi pesci..e davvero c'era ben altro.
Si trovò dinanzi una ragazza, dai lunghi capelli rossi, spaventata, disorientata, che guardava in basso senza il coraggio di alzare lo sguardo. Hook non aveva la minima idea di come avessero fatto a pescare una ragazza. Come era potuto succedere? Aveva addosso quello che sembrava essere un sacco fatto di tela, tenuto su da una corda. Aveva un aspetto un po' malandato ma questo non impediva ad Hook di notare quanto fosse bella. I lunghi capelli rossi le incorniciavano il viso fino a posarsi sulle spalle scoperte. Per un secondo ebbe modo di incrociare i suoi grandi occhi verdi che poi immediatamente tornarono ad osservare il pavimento. Hook provò pena per quella povera creatura, chissà cosa pensava le avrebbero fatto. Gli sembrava quasi di conoscerla, eppure era certo di non averla mai vista, nonostante il suo viso fosse stranamente familiare.
Ma una cosa era sicura: era la creatura più bella che avesse mai visto sulla faccia della terra. “Capitano” domandò Spugna “Cosa ne facciamo di lei?”
Hook, in realtà, non desiderava in particolar modo la presenza di una donna sulla nave dopo l'ultima esperienza, ma la ragazza sembrava alquanto smarrita e spaesata. Non vedeva nemmeno come sarebbe potuta tornargli utile nella sue vendetta contro l'Oscuro. Poteva mai ributtarla in mare?
“Cosa me ne faccio di te?” chiese il Capitano con tono dubbioso. Mentre gli altri membri dell'equipaggio commentavano fra loro, una voce risuonò fra tutto il trambusto.
Era stata la ragazza a parlare “Voglio restare”.
A questa affermazione, Hook rimase colpito e confuso allo stesso tempo.
Una donna che prega di essere catturata? Gli ricordava qualcuno.
“Vuoi restare?” rispose Hook sarcastico “Non hai una famiglia da cui tornare?”.
La ragazza abbassò lo sguardo. Ce l'aveva una famiglia, il punto era che non voleva tornarci.
“Per favore” sussurrò con un filo di voce. Hook non sapeva cosa fare, guardò i suoi uomini che sembravano quasi estasiati all'idea di avere una donna a bordo.
“Potrei..” cominciò la ragazza “essere d'aiuto in qualche modo”. Hook rise.
“Killian” sussurrò Grimsby alle spalle del capitano “La ragazza non sembra molto intenzionata ad essere ributtata in mare”. Grimsby aveva ragione. Sembrava determinata perché lo guardava fisso senza distogliere lo sguardo, come se avesse deciso di dover restare su quella nave. Forse non poteva provocare molti danni, soprattutto lì all'Isola che non c'è. D'altronde una presenza femminile poteva fargli comodo e avrebbe tenuto i suoi uomini di buon umore, liberi di pensare a qualcosa che non fosse la sua vendetta o combattere contro un mucchio di ragazzini e pellerossa.
Fece un segno di assenso con la mano e la ragazza si illuminò.
“Dove la mettiamo?” si rivolse Spugna agli altri riferendosi alla ragazza.
“Io un'idea ce l'avrei” ad intervenire era stato uno dei peggiori marinai che poteva esserci sulla Jolly Roger.
Sia Hook che Spugna lo guardarono malissimo.
“Sei sempre il solito, Diego!” esclamò Spugna indignato.
“Signori, per favore” esclamò Hook “cercate di fare i gentiluomini, è pur sempre una signora”.
Hook non sopportava questi trattamenti, era l'unico galantuomo su quella nave. Alcuni marinai sembrarono delusi. Intanto la ragazza cercò di alzarsi in piedi ma con scarsi risultati.
Sembrava quasi che non camminasse da anni. Il capitano si chiedeva cosa le fosse successo.
Mentre cercava di alzarsi, Hook si accorse che quella tela copriva ben poco ed ebbe modo di notare le due gambe bianche e longilinee. La ragazza era praticamente mezza nuda dinanzi all'equipaggio e già alcuni degli uomini di Hook stavano per diventare peggio di quanto non fossero già, facendo spazio ad una serie di risate divertite e poco galanti.
Hook, stizzito, intervenne togliendosi la giacca e avvolgendola attorno alla ragazza.
“Oh insomma, tornate alle vostre faccende prima che vi faccia vedere il mio uncino più da vicino! Forza” ringhiò Hook. Poi si rivolse alla ragazza con tono distaccato “Puoi muoverti?”.
Lei provò di nuovo ad alzarsi ma cadde a terra indolenzita. Hook l'afferrò e la sollevò in braccio, portandola nella sua stanza e adagiandola sul letto.
“Ci sono dei vestiti che puoi indossare. Questa è la prima ed ultima volta che ti vengo in aiuto” senza aggiungere altro, voltò le spalle dirigendosi fuori dai suoi uomini lasciando la ragazza sola. Ariel si guardò intorno e voltandosi trovò dei vestiti che sembravano essere di una donna. Non aveva mai utilizzato le gambe in tutta la sua vita. Questa era la sua occasione.
Prese uno dei vestiti, con un corsetto ed un'ampia gonna. Non le piaceva. Ora che poteva usare le gambe desiderava libertà di movimento. Scavando ancora, trovò un altro corsetto abbinato ad una camicia e a degli strettissimi pantaloni con un paio di stivali. Con un po' di fatica riuscì ad indossarli. Sentiva le gambe indolenzite, sarebbe stato difficile abituarsi ma non doveva essere certo un'impresa impossibile. Su quella nave lo facevano tutti, poteva riuscirci anche lei. Lasciò che i capelli rossi le ricadessero sulle spalle ed infilò il pendente del ciondolo appeso al collo nella scollatura della camicia per impedire che lui lo vedesse. Con un po' di timore percorse la stanza a fatica per recarsi fuori. Si chiese come mai quest'uomo avesse questi vestiti da donna nella sua stanza. Forse non era l'unica donna presente? Prima di uscire, rifletté sul suo nome.
Il ragazzo paffuto con il cappellino rosso lo aveva chiamato Hook..sicuramente per il suo uncino. Mentre l'uomo che gli si era avvicinato di sottecchi lo aveva chiamato Killian. Quello doveva essere il suo vero nome. Non aveva idea di come avrebbe dovuto chiamarlo ma cercò di non pensare a questo che era davvero l'ultimo dei suoi problemi al momento Uscì fuori e trovò Hook al timone, che la fissò per un secondo tornando immediatamente ad osservare il male. La ragazza gli si avvicinò senza dire nulla.
“Come ti chiami?” chiese Hook.
A quella domanda Ariel impallidì. Temeva di rivelare il suo nome. Certamente nessuno di loro sapeva la sua identità ma non poteva rischiare in ogni caso. Doveva improvvisare.
“Beh” cominciò il capitano “hai perso la lingua?”
La ragazza intanto pensava a tutti i nomi femminili possibili che poteva aver sentito in vita sua ma in quel momento non riusciva a concentrarsi, soprattutto perché Hook la fissava con aria alquanto impaziente. Così rispose senza riflettere.
“Marina” disse con voce titubante.
“Benvenuta sulla Jolly Roger” esclamò il capitano senza guardarla “A quanto pare questa sarà per un po' la tua casa”.
Ariel non era affatto turbata da questa rivelazione, anzi. Poteva finalmente vivere di avventure come aveva sempre sognato. E soprattutto era riuscita a far parte del mondo di Hook, come aveva desiderato.
Dopo che si fu allontanata da lui, Grimsby si avvicinò a Hook e cominciò a parlare.
“Devo proprio dirlo...ottima pesca oggi!” Il Capitano abbozzò un sorriso. 
“Onestamente...mi aspettavo un tesoro insieme ai pesci”. Mentre diceva ciò, Hook, quasi senza accorgersene, si voltò ad osservare la ragazza che stava cercando già di rendersi utile, aiutando Spugna con i pesci pescati. La osservò da capo a piedi, soffermandosi sulla sua esile figura e su come la ragazza aveva spostato dietro l'orecchio una ciocca ribelle di capelli, che le si era posata sul viso.
A Grimsby non era sfuggito il modo in cui il Capitano la stava osservando.
“Beh..non tutti i tesori sono d'oro e d'argento!” esclamò all'orecchio del suo Capitano. (*)
Hook scosse immediatamente la testa, evitando di pensare al nuovo membro del suo equipaggio.
 
***

Ormai erano passate due settimane da quando Ariel era entrata a far parte dell'equipaggio della Jolly Roger e si stava ambientando abbastanza bene, nonostante qualche difficoltà iniziale. Riusciva ad usare le sue gambe con grande facilità e si dedicava volentieri alle pulizie della nave. Aveva imparato a fare nodi, a pescare, e molto altro. Le sarebbe piaciuto imparare ad usare il timone ma dubitava fortemente che Hook glielo avrebbe permesso. Killian trattava Ariel con leggera diffidenza, a volte quasi come se non ci fosse sulla nave, mentre in altri momenti le rivolgeva anche la parola ma sempre con indifferenza. Ed era in momenti come questi che lo sconforto prendeva possesso del suo cuore. A volte, mentre si dedicava alla pulizia del ponte o mentre aiutava Spugna, aveva visto il Capitano fissarla ma cominciava quasi a pentirsi di essere ricorsa alla magia per avere un paio di gambe.
E se lui non avesse ricambiato il suo sentimento? Forse l'amore era diverso nel mondo in superficie. Forse non esisteva un lieto fine per un amore come il suo. Cercò di non pensarci e continuò con i nodi. Era stato Spugna ad insegnarle a fare i nodi, mentre Grimsby le aveva persino insegnato a duellare.
I primi giorni era stato difficile ambientarsi, sia per lo sforzo iniziale nel camminare sia per la vita sulla nave, di cui Ariel non aveva alcuna conoscenza.
All'inizio, a causa del suo essere impacciata, aveva rischiato di buttare in acqua Spugna mentre Grimsby le mostrava come issare le vele, beccandosi anche un'occhiataccia da parte di Hook. E per di più, non avendo mai visto il fuoco, quando le venne ordinato di spegnere le candele alle otto, si bruciò un po' la mano ma in compenso riuscì a spegnerle. Hook, che si trovava poco lontano da lei quando si verificò questo episodio, la canzonò dicendo “Da dove arrivi ? Non hai mai spento una candela in vita tua ?”.
Ariel per poco non rispose, ma era più impegnata a far smettere il bruciore alla mano.
Quella era stata una delle rarissime occasioni in cui Hook le era corso in aiuto.
Vedendola mentre cercava di porre rimedio alla leggera bruciatura sulla sua mano, il capitano cominciò a camminare verso di lei e tolse la bottiglietta di rum dalle mani del povero Diego, che stava bevendo beato e che probabilmente maledisse Ariel in tutti i modi.
Senza dire una parola, Hook le aveva versato del rum sulla bruciatura. Ariel aveva decisamente opposto resistenza, visto il dolore. Poi aveva tenuto la bocca chiusa, in quanto Hook l'aveva fulminata con lo sguardo e le aveva tirato la mano verso di sé, fasciandola con una specie di sciarpa che l'uomo portava al collo (**). Dopo averla aiutata, andò via senza dire nulla, mentre Diego si lamentava esclamando “Che brutto modo di sprecare il rum!”.
Una sera come tante, Ariel aveva appena finito di pulire l'interno della nave mentre i suoi compagni avevano finito da poco di cenare. Li vide tutti insieme, intenti a conversare tra loro.
“Io ho sentito di qualcuno in grado di trasformarti in una lumaca per poi schiacciarti” (***) esclamò Grimsby convinto.
“Non c'è modo di fare una cosa del genere!” esclamò qualcun altro.
Cominciarono a discutere e ad Ariel scappò una leggera risata.
“Cos'hai da ridere?” la voce del capitano la scosse dai suoi pensieri “Ti sembra un argomento ridicolo?” Ariel fu infastidita dal tono con cui Hook le si era rivolto e rispose a tono.
“Per niente. Credo solo che ci siano cose più interessanti di questo”.
Hook rise “Ah davvero? E cosa?”.
“Le storie vere” rispose Ariel. “E sarebbero?” continuò Hook.
“Beh..” cominciò la ragazza “Quali sono le vostre storie? Perché siete su questa nave?”.
Alla domanda di Ariel calò il silenzio. Rimasero tutti sorpresi dalla sua domanda, persino Hook, che non disse nulla, curioso di sentire le risposte. Il primo a parlare fu Spugna “Io avevo fatto un patto con un uomo malvagio”.
Ariel, affascinata, si avvicinò al tavolo e si sedette per terra.
“Mi aveva promesso di farmi tornare alla mia giovinezza ma non è andata esattamente così, ed alla fine mi sono ritrovato su questa nave. Non sono tornato giovane, ma almeno su quest'Isola non posso invecchiare”. Detto questo, l'uomo bevette un sorso di rum, mentre Ariel continuava a guardare gli altri marinai in attesa di risposte.
Un'altra persona intervenne “Io sono fuggito dal mio regno” Tutti si voltarono a guardarlo ed il ragazzo continuò a parlare.
“Ero un semplice ladruncolo che faceva la bella vita ed un giorno come tanti, mi sono ritrovato a dover aiutare una ragazza dai lunghissimi capelli biondi. Voleva che la portassi a vedere le lanterne del nostro paese. Non è andata proprio come previsto. Degli uomini che la cercavano mi hanno catturato ed imprigionato. Sono riuscito a fuggire ma non ho più trovato lei”. Ariel lo guardava dispiaciuta e Hook quasi non credeva a ciò che stava sentendo.
“Qual era il suo nome?” chiese Ariel.
Il ragazzo sospirò “Rapunzel..non l'ho più vista. L'ho cercata per tutto il regno con i soldati alle calcagna e a un certo non ho avuto alternativa. Così ho lasciato il mio paese e mi sono imbarcato sulla Jolly Roger” (****). A quel punto fu Hook ad intervenire “Mi avevi detto che ti imbarcavi perché eri stanco della vita sulla terraferma”.
“Oh andiamo” ribatté lui con un sorriso.
“E tu invece?” Spugna si era rivolto ad Ariel, la quale rimase quasi spiazzata da quella domanda.
Non sapeva cosa rispondere e non poteva certo dire di essere una sirena, così cercò di improvvisare, restando nel vago “Sono semplicemente fuggita”.
Hook fece un sorriso sghembo “Poco fa non avevi detto che le storie vere sono le più interessanti?”. 
Ariel lo guardò torva.
“Questo non vuol dire che debba raccontare per forza la mia. Piuttosto, voi come siete finito a fare il Capitano della Jolly Roger?”.
“Credi davvero che risponderò?”.
Purtroppo Ariel avrebbe dovuto aspettarselo. Non le avrebbe mai raccontato la sua storia, nemmeno se lei avesse raccontato la propria. Non rispose ma si limitò a fissarlo con aria di sfida. Hook ricambiò il suo sguardo con un sorriso, ma poi sembrò trovare maggiore interesse per il piatto sul tavolo di legno.
Il suo animo sembrava ad Ariel buono ma altre volte così...”marcio”.
Quasi incapace di provare sentimenti. Da quando era sulla nave non era ancora riuscita ad inquadrarlo. Non si sbilanciava mai su nulla e soprattutto con nessuno, tanto meno con lei, infatti non faceva altro che evitarla come se fosse una malattia.
A volte pur di non rivolgerle la parola, mandava Spugna a riferirle qualche suo ordine.
Quella sera era stata decisamente un'eccezione e probabilmente non si sarebbe verificata nuovamente. Cominciava a pentirsi sempre di più della vita in superficie. Quell'uomo non avrebbe mai provato nulla e lei aveva rinunciato alla sua vita di sirena.


Note:

- (*) Questa frase è tratta da I Pirati dei Caraibi, precisamente quando Jack accusa Will di avere una vera ossessione per il tesoro e lui, ovviamente, nega però Jack si riferiva chiaramente ad Elizabeth e al fatto che Will fosse innamorato di lei quindi ho voluto riutilizzarla perchè l'ho vista bene nel contesto :33 ;
- (**) la scena di Hook che fascia la mano ad Ariel è un parallelismo con la scena della 2x06 quando fascia la mano di Emma dopo aver scalato la pianta di fagioli..e personalmente ho adorato quella scena *.* ;
- (***) quello di "un uomo in grado di trasformarti in una lumaca per poi schiacciarti" è un chiaro riferimento a Tremotino e a ciò che ha fatto a quel poveretto che aveva fatto cadere Bae xD ;
- (****) eh sì..il ragazzo che ha parlato è proprio Flynn Rider ! Non so perchè l'ho inserito onestamente però visto che Rapunzel è una storia che spero racconteranno presto in OUAT ho voluto inserire quel simpaticone di Flynn, che per di più in molte pagine fan viene paragonato ad Hook per i suoi modi e per il suo "sguardo che conquista" xD..comunque spero di non aver stonato o altro, inserendo Flynn >_> ;
- il fatto di dare ad Ariel un nome diverso ha un senso (per fortuna xD), volevo chiamarla come la madre che nel cartone si chiama Atena..ma non mi piaceva per niente quindi ho optato per Marina e mi scuso per la banalità, perdono ç_ç ;
- ok..ho finito di darvi noia, spero vi sia piaciuto :DD.

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Capitolo 4
*** Broken ***


IV

Broken

 
When your dreams all fail and the ones we hail.
Are the worst of all and the blood's run stale.
I want to hide the truth.I want to shelter you but
with the beast inside there's nowhere we can hide".
(Imagine Dragons - Demons)


 
Dopo la sera precedente, Ariel si era svegliata decisamente di pessimo umore. Cosa diavolo stava facendo su quella nave? Aveva abbandonato suo padre, e per cosa ? A volte pensava a lui e si chiedeva come potesse stare in sua assenza. A prescindere da Killian e dalla vita in superficie, non avrebbe mai potuto cancellare dalla sua mente l'immagine di suo padre che distruggeva ogni cosa a lei cara e questo la portava a pensare di aver fatto la scelta giusta, vivendo in superficie.
Quella mattina, da come le aveva detto Spugna, la ciurma era diretta all'Isola del Teschio, dove si trovava un tesoro a cui i pirati volevano arrivare prima che lo facessero i Bimbi Sperduti. Ariel non aveva la minima idea di chi fossero, e pensava che questo doveva essere un soprannome ma quando Grimsby le svelò che erano davvero dei bambini, la ragazza apparve alquanto confusa.
“Combattete contro dei bambini?” chiese incredula.
Hook la guardò male, in quanto stava per contestare i loro modi di fare e questo, in teoria, non le era permesso, ma ad Ariel sembrò davvero assurda l'idea di un gruppo di uomini che combattevano contro dei ragazzini. Non le sembrava per niente uno scontro alla pari.
“Questo non dovrebbe indignarti, mia cara” rispose il capitano guardando la mappa dell'Isola. “Hai chiesto di restare su questa nave quindi ti conviene sottostare alle nostre regole ed abitudini”.
Il viso di Ariel divenne in tinta con i suoi capelli. “Ma sono bambini! E tu sei un pirata senza alcuna dignità e onore!”.
A questo insulto, Hook alzò lo sguardo verso di lei...la sua espressione era un misto di divertimento e fastidio. Le si avvicinò lentamente ed Ariel si trovò ad un centimetro dal suo viso, che in quel momento le incuteva paura. Aveva il sentore che l'avrebbe colpita e le ginocchia quasi le tremavano al solo pensiero. Ma cercò di darsi un contegno, sostenendo il suo sguardo.
“Ti ricordo ancora una volta che mi hai supplicato per farti restare” esclamò ad un soffio dal suo viso “Quindi, volente o nolente, tu verrai all'Isola a prendere quel tesoro e sarà meglio per te che non ti veda fare stupidaggini. Sono stato chiaro...Marina?”. Era la prima volta che la chiamava per nome e lo aveva fatto quasi con disprezzo. Ariel si sentiva ancora più arrabbiata ma non aveva scelta, tuttavia non rispose continuando a fissare Hook, che probabilmente stava perdendo le staffe.
“Sono stato chiaro?” chiese con un tono leggermente più alto che fece sobbalzare la ragazza, che, arresa e con un groppo in gola, fece un segno di assenso con la testa, dopodiché Hook si voltò, tornando ad osservare la mappa insieme a Diego e Spugna. Ariel non si sentiva in grado nemmeno di proferire parola. Superficie o non superficie, la situazione era sempre la stessa. Il problema eralei. Non il mondo in cui viveva. Come la trattava suo padre ad Atlantica, così la trattava Hook sulla sua nave. Come una ragazzina. Il problema era suo, visto che non era in grado di imporsi e far capire al mondo intero che nessuno era in grado di scegliere per lei.
La Jolly Roger cominciò a muoversi, diretta all'Isola del Teschio. Il mare non era particolarmente agitato, e la ciurma era intenta a sistemare le proprie armi per prepararsi ad un eventuale combattimento. Hook era ovviamente al timone e per tutto il tempo, quasi senza accorgersene, non aveva perso di vista nemmeno per un secondo la figura di Ariel che, dopo la pseudo-discussione che avevano avuto, non aveva fatto altro che tenersi impegnata in qualsiasi cosa che la tenesse lontana dalla zona del timone e soprattutto da Hook. Aveva pulito il ponte ed i cannoni, aveva preparato anche da mangiare per la ciurma, nonostante non le fosse stato chiesto, aveva aiutato Spugna a sistemare le armi e aveva anche procurato a Diego una fiaschetta di rum, quasi per scusarsi visto che lo aveva perso a causa sua qualche sera prima. L'uomo, a dir poco sorpreso, riuscì a rivolgerle soltanto quello che sembrava un misto tra un ghigno ed un sorriso ma si sapeva su tutta la nave che Diego non era molto incline a gesti o parole gentili. Ad Ariel non sembrava importare. In tutto ciò che aveva fatto, Hook era stato ad osservarla, chiedendosi da dove venisse quella ragazza. C'era qualcosa di speciale in lei. Non gli era mai capitato di incontrare qualcuna come lei. Era completamente diversa anche da Milah, con la quale aveva in comune soltanto il desiderio di avventura e nient'altro.
Hook smise di osservarla nel momento in cui Grimsby si avvicinò a lui con le mani riposte dietro la schiena e con quella espressione che il capitano conosceva bene, stava per dire qualcosa che non gli sarebbe piaciuto per niente. Si voltò un attimo verso di lui, con sguardo indifferente e poi tornò a guardare il mare. Sentì ad un certo punto Grimsby sospirare.
“Marina si sta dando da fare” esclamò con voce convinta.
“Questo non dovrebbe essere il suo posto” rispose Hook senza voltarsi.
“Non lo era nemmeno per Milah, non credi?” ribatté Grimsby.
“Questo non centra” rispose il capitano con un velo di rabbia nella voce. Non voleva sentire paragoni con Milah, gli bastavano quelli che faceva lui già nella sua testa. Non serviva che qualcun altro glieli ricordasse. “Con lei era diverso”.
“Ah certo” rispose Grimsby sardonico. Dopodiché nessuno dei due aggiunse altro. Avevano detto già abbastanza, anche se non sembrava. Grimbsy conosceva fin troppo bene il suo capitano..così bene che era stato il primo a capire che quando Hook aveva incontrato Milah per la prima volta, gli era bastato poco per innamorarsi di lei mentre gli altri membri dell'equipaggio credevano che fosse soltanto una delle tante conquiste del loro capitano. E anche adesso, Grimbsy sapeva che la presenza di quella ragazza turbava il suo capitano. Dopo poco tempo, la Jolly Roger arrivò alla fantomatica Isola del Teschio. A detta di Ariel non aveva un bell’aspetto e infatti la inquietava non poco. Non appena venne gettata l'ancora, Hook scese dalla nave con alcuni uomini, tra cui Diego, Grimsby, Flynn e altri, il cui compito era quello di mettere le mani sul tesoro. Mentre il capitano discuteva con loro della strategia da utilizzare, Ariel si voltò verso Spugna “Esattamente perché dobbiamo prendere questo tesoro?”. Spugna la guardò, per poi alzare gli occhi al cielo come se la ragazza ancora non fosse entrata nel meccanismo della vita da pirata.
“In realtà non so il motivo preciso” rispose lui.
Ariel lo guardò allibita “E tu saresti il braccio destro del capitano?”.
Spugna le indirizzò un'occhiataccia “Ehi ehi! Quello è Grimsby, non io! Che io sappia, ci piace dare fastidio ai Bimbi Sperduti. Se poi nel tesoro c'è qualcosa che interessa al capitano, quello è affar suo”.
Ariel sbuffò, sempre più indignata ed incrociando le braccia al petto.
“Prendere tesori solo per il gusto di toglierlo a dei bambini..patetico!”.
Probabilmente Hook l'aveva sentita, poichè si voltò verso di lei guardandola male ed Ariel sprofondò nel colletto della camicia, sperando che non venisse verso di lei, per farle un'altra strigliata.
Dopo quello che per Ariel sembrò un'eternità, Hook si rivolse alla sua ciurma.
“Allora” cominciò arrotolando la mappa e mettendola nella sua cintura “Noi scendiamo per cercare di prendere questo tesoro. Voi restate qui di guardia e mi raccomando, state all’erta”.
Detto ciò, scesero dalla nave e si incamminarono verso un'orribile grotta la cui forma richiamava leggermente quella di un teschio...inquietante. Per passare il tempo e soprattutto farsi passare il malumore, Ariel decise di farsi insegnare da Spugna a giocare a carte, sperando che gli altri tornassero presto e sperando con tutta se stessa che non avrebbero dovuto davvero combattere contro dei bambini.
Era passata circa un'ora da quando Hook e gli altri erano scesi dalla nave. Ariel sperava che il suo capitano sapesse cosa stava facendo. Pensò che spesso quasi si sforzava di odiarlo, per i suoi modi, per tutto ciò che faceva ma nonostante ciò ogni cosa le ricordava il giorno in cui gli aveva salvato la vita. Eppure quei giorni sulla Jolly Roger le stavano permettendo di capire che lei non sapeva proprio niente di lui. Niente.
Un tonfo proveniente da dietro le sue spalle la fece trasalire e la costrinse a voltarsi. Uno della ciurma era stato praticamente atterrato da un ragazzo spuntato da chissà dove. Spugna ed Ariel lo fissarono increduli. Era un bambino, doveva avere attorno ai 10 anni. Quest'ultimo li guardò e poi, dopo aver rivolto loro un sorriso, cominciò ad urlare “Bangherang!” (*). In seguito a questa esclamazione, Ariel vide un mucchio di ragazzini gettarsi praticamente sulla nave. Alcuni venivano da terra, altri si erano praticamente calati dalle montagne rocciose dell'Isola che circondavano la nave. Era proprio una trappola con i fiocchi. Pirati e ragazzini cominciarono a combattere tra loro, mentre Ariel si guardava intorno incredula. Non voleva combattere contro dei bambini ma fu costretta ad estrarre la spada quando uno di loro l'attaccò, rischiando quasi di ferirla.
“Ehi” esclamò la ragazza parando il colpo “senti, non voglio farti del male!”.
Il ragazzino si mise a ridere.
“Ma per favore. Una donna pirata che non vuole farmi del male. Vai a raccontarlo a qualcun altro”. Detto ciò, il ragazzino sferrò un altro colpo che Ariel evitò e con un calcio, lo spinse via, facendolo cadere nella botola che portava sottocoperta.
Quelli non erano bambini, erano davvero dei diavoletti che combattevano anche meglio dei pirati. Si voltò a cercare Spugna che se la stava vedendo con uno dei Bimbi Sperduti più grande rispetto agli altri. Era vestito in modo strano. A prima vista, Ariel avrebbe detto che sembrava un pappagallo ed aveva i capelli neri e rossi (**).
“Marina!”. A chiamarla era stato uno della ciurma, Jack, che le andò incontro annaspando “Ascolta, devo scendere dalla nave e andare a cercare Hook. Abbiamo bisogno degli altri, siamo troppo pochi, ho bisogno che tu mi copra”. Senza dire nulla, Ariel fece segno di sì con la testa e mentre Jack cominciò a correre facendosi spazio tra i vari ragazzini, lei prese a duellare con ogni bimbo sperduto che si trovava davanti, cercando di non ferirli troppo. Non sembrava che loro volessero fare altrettanto con lei. Jack riuscì a scendere dalla nave. Ariel intanto continuava a combattere e ad un tratto voltandosi, andò praticamente a sbattere contro qualcuno e lo scontro la fece finire quasi a terra. La ragazza si voltò e rimase di sasso quando vide chi si trovava dinanzi.
“Tu” esclamò incredula “Bae”.
“Ariel?!” rispose il ragazzo più incredulo di lei.
“Shhh!” esclamò Ariel afferrando il ragazzo e portandolo velocemente sottocoperta. Con tutto quel trambusto, era sicura che nessuno ci avrebbe fatto caso.
“Perché mi fai shhh?” disse Bae con sguardo confuso “Che ci fai qui? Che ci fai con i pirati?”.
“Non chiamarmi Ariel. Qui il mio nome è Marina” rispose la ragazza “Non sanno cosa sono”.
“E mi sembra ovvio” esclamò lui ironico “Ti avrebbero venduta”.
Ariel lo guardò torva “Non è il momento di scherzare”.
“Infatti io ero serio” rispose il ragazzo “Comunque tu saresti il nemico?!”.
“Beh, in teoria sì” esclamò Ariel titubante “Ma non voglio farvi del male”.
“Tu forse no ma il tuo capitano sì!” ribatté il ragazzo indignato.
Ariel alzò gli occhi al cielo “Bae, per favore! Uno dei nostri è andato ad avvertire Hook, sta tornando. Ordina agli altri di ritirarsi”. Bae la guardava, indeciso sul da farsi.
“Ti sto offrendo una via di fuga” aggiunse Ariel con un leggero tono di disperazione nella voce. Non voleva che fossero catturati, soprattutto Bae che le era stato d'aiuto e lei gli era riconoscente.
“D'accordo” rispose Bae. Ariel tirò un sospiro di sollievo “Vado io su per prima, fai attenzione!”. Il ragazzo fece un cenno di assenso con la testa e vide Ariel allontanarsi per tornare sul ponte. La ragazza era leggermente più tranquilla adesso. Quei ragazzini sarebbero fuggiti prima dell'arrivo di Hook. Quando risalì sul ponte trovò una brutta sorpresa. Hook. I Bimbi Sperduti si stavano praticamente dileguando a causa dell'arrivo del capitano. Riuscirono a fuggire, ma Bae era ancora sottocoperta e stava per uscire. Ariel sapeva cosa sarebbe successo da lì a pochi secondi.
“Capitano!” esclamò Flynn guardando alle spalle di Ariel “Ce n’è un altro!”.
“Prendetelo” rispose Hook con tono calmo mentre osservava il suo uncino.
Ariel venne praticamente buttata per aria da Flynn e Diego che si avventarono sul ragazzo, mettendogli le mani dietro la schiena ed immobilizzandolo.
“Che c'è, ragazzino?” esclamò Diego con tono ironico “I tuoi amichetti ti hanno lasciato indietro?”.
Bae non rispose, ma si limitava a guardare Ariel implorando aiuto con il solo sguardo.
“Legatelo all'albero maestro” esclamò Hook “Lo terremo qui fin quando non ci svelerà il nascondiglio dei suoi amichetti sperduti oppure fin quando il simpatico Peter non verrà a reclamare il suo ragazzino rimasto nelle mani nemiche”. 
Bae venne legato all'albero. Aveva un'espressione mista tra preoccupazione e paura, ma quella di Ariel era anche peggio. Lui l'aveva aiutata quando aveva bisogno e lei non poteva lasciarlo lì, doveva pur fare qualcosa per quel ragazzo e lo avrebbe fatto. Durante la notte lo avrebbe fatto scappare, in un modo nell'altro. Dopo che Bae era stato legato all'albero maestro, Hook ordinò alla ciurma di issare le vele e di tornare al loro covo. Intanto, Ariel, cercando di capire se avessero messo le mani su questo tesoro, si rivolse a Grimsby.
“Allora?” chiese la ragazza “Lo avete preso?”.
“Ovvio” rispose Grimsby con tono fiero “Il ragazzino volante ci ha dato un po' di fastidi ma quando il capitano vuole qualcosa, stai sicura che lo otterrà”. Ariel non rispose. Non capiva tutta questa ossessione per i tesori. Doveva esserci qualcosa di molto interessante per Hook tra quei tesori e forse Bae ne sapeva qualcosa. Quando arrivarono a destinazione, era ormai calata la sera e tutto l'equipaggio, Hook compreso, era evidentemente stanco. Essendo passate le otto, Hook ordinò a Spugna di spegnere tutte le candele e di gettare l'ancora, inoltre mise Flynn di guardia all'albero maestro per sorvegliare Bae. Ariel, per niente stanca, voleva proporsi per fare i turni con lui, così forse le sarebbe stato facile farlo scappare. In quel caso sarebbe stato anche troppo facile risalire a lei, così lasciò il compito a Diego. Flynn lo avrebbe sorvegliato per le prime due ore, dopodiché sarebbe toccato a lui. Nel frattempo, Hook si era ritirato nella sua stanza per dormire e tutti gli altri erano scesi sottocoperta, lei compresa. Lei non sarebbe riuscita a dormire, era troppo ansiosa.

Dopo diverse ore, Ariel fece per salire ma la sua attenzione venne catturata da una luce proveniente dalla cabina di Hook. Il capitano era ancora sveglio e la porta semi-aperta. Ariel si chiese cosa stesse facendo ancora in piedi, così si sporse leggermente per osservare e vide Hook, in piedi, che armeggiava con qualcosa nella mano destra. Era un oggetto molto piccolo, che Ariel da lontano non riusciva a distinguere. Le sembrava una minuscola pietra. Forse faceva parte del tesoro che avevano trovato sull'Isola. Mentre Ariel pensava a tutte le possibili varianti, vide Hook voltarsi verso la porta e la ragazza corse subito a nascondersi dietro una pila di casse poste dietro le scale che portavano sul ponte. Da dietro, riuscì a vedere Hook uscire e guardarsi intorno per qualche secondo, per poi rientrare e chiudere la porta, spegnendo finalmente la luce e permettendo ad Ariel di uscire e di salire sul ponte.
Una volta salita, trovò Diego seduto ai piedi dell'albero maestro.
“Tutto bene?” chiese Ariel all'uomo. Diego si stiracchiò, sbadigliando.
“E tu che ci fai qui sopra? Dovresti essere a dormire”.
Ariel gli fece un sorriso, cercando di sembrare più naturale possibile, nonostante le tremassero mani e ginocchia “Non ci riesco” rispose prendendo dalla sua cintura una fiaschetta di rum.
“Vuoi?”. Diego era il classico pirata ubriacone, gli bastava qualche sorso di rum per finire in catalessi. Era anche per questo che Hook gli aveva tolto la sua fiaschetta senza problemi, quindi Ariel doveva cercare in tutti i modi di farlo crollare.
“Sto osservando il ragazzo” esclamò Diego con tono ostile "E poi perché me lo offri? Sei così gentile da far schifo”.
“Non mi piace bere da sola” rispose la ragazza cercando di nascondere il disgusto sul suo viso provocato dall'odore del rum. Diego spostò il suo sguardo da lei alla fiaschetta per qualche secondo poi afferrò la fiaschetta ringraziandola. Ariel fece un sorriso poco convinto. Se avesse saputo le sue reali intenzioni non l'avrebbe certo ringraziata.
Diego era decisamente ubriaco. Ci erano volute due fiaschette ma ce l'aveva fatta. L'uomo aveva iniziato a cantare sottovoce per non svegliare gli altri ed Ariel lo aveva assecondato, fingendo di bere anche lei il rum, tanto Diego era troppo su di giri per accorgersi che stava imbrogliando. Il tutto davanti al povero Bae che osservava la scena cercando di non ridere, divertito dal comportamento di Diego sotto l'effetto del rum. Il ragazzo stesso era incredulo dinanzi al modo in cui quella bevanda fosse capace di trasformare le persone. Pensava all'effetto che avrebbe potuto avere su una persona rispettabile, invece che su un pirata. Dopo un altro paio di sorsi, Diego finalmente crollò a terra, cominciando a russare. Bae si rivolse subito alla ragazza ridendo.
“Complimenti” esclamò “Ti stanno istruendo bene”.
In realtà, Ariel aveva solo cercato di mettere in pratica almeno un minimo di furbizia femminile anche se non era molto convinta di ciò che stava facendo. Lei era praticamente una novellina. Era un piccolo pesce in mezzo a tanti squali, giusto per citare la sua condizione originale.
“Volevi le gambe per unirti a loro?” chiese Bae a bruciapelo, lasciando Ariel spiazzata.
“Direi di sì” rispose la ragazza abbassando lo sguardo.
“Posso chiederti per quale motivo?” chiese il ragazzo guardandola. Ariel evitò palesemente la domanda.
“Non c'è tempo per le chiacchiere” rispose guardandosi intorno “Devo farti andare via”.
“Sei impazzita?” esclamò lui quasi urlando “Ti scopriranno”.
“Vuoi restare qui?” chiese la ragazza mettendo le mani sui fianchi.
Bae la guardò, riflettendo un attimo “In effetti no”.
“Bene” rispose lei “Ma prima dimmi una cosa”.
“Estorcermi informazioni mentre sono legato” esclamò Bae ironico “Proprio una piratessa!”.
Ariel lo guardò male per poi riprendere a parlare “Cosa c'era in quel tesoro?”.
Bae la guardò, sorridendo come se si aspettasse quella domanda “Un fagiolo” rispose.
La ragazza lo fissò. Lei stava per liberarlo, impedendogli di fare da esca per i suoi compagni e lui la prendeva anche in giro? “Ti sembra il momento di scherzare?” chiese infastidita.
“Dico davvero” rispose lui “Un fagiolo magico”.
“E che ci fa Hook con un fagiolo magico?” Le cose le sembravano sempre meno chiare.
“E' un fagiolo magico in grado di aprire portali verso altri mondi” rispose il ragazzo con molta naturalezza. Come se la cosa non lo sconvolgesse affatto e lei fosse la stupida che non sapeva una cosa tanto ovvia.
“Ci sono altri mondi oltre l'Isola?” chiese Ariel sempre più incredula. Per lei che aveva vissuto sempre in mare, sapendo solo dell'esistenza di un mondo oltre l'acqua, venire a conoscenza del fatto che c'erano non altre terra al di là di quella ma mondi completamente diversi, la sconvolgeva. Cosa significava tutto ciò?
“Esatto” disse il ragazzo con un mezzo sorriso “Ma non ho idea di dove debba andare il tuo capitano, purtroppo”.
“Questo potrei scoprirlo a tempo debito” ribatté lei, pensandoci. Prima o poi Hook avrebbe dovuto pur rendere nota al resto della ciurma l'esistenza di questo fagiolo magico, a meno che non avesse intenzione di intraprendere un viaggio da solo. Quello che però Ariel non sapeva, era che lei era davvero l'unica a non essere a conoscenza di tutto questo, in quanto Hook e la sua ciurma erano arrivati sull'Isola proprio grazie ad un fagiolo magico. Ariel sciolse in poco tempo la corda che teneva legato Bae, il quale si sporse dalla nave osservando la spiaggia e i boschi che vedeva in lontananza.
“Sai dove andare?” chiese Ariel guardandolo.
“Certo, tranquilla” rispose il ragazzo voltandosi verso di lei “Saprò cavarmela e tu?”.
Ariel sospirò “Ci proverò”. Non aveva idea di cosa sarebbe successo una volta che avrebbero scoperto della fuga di Bae. Si voltò per controllare: Diego era ancora al suo posto, così il ragazzo, dopo averla salutata ed averle augurato nuovamente buona fortuna, corse via prima che a qualcuno potesse venire in mente di uscire a controllarlo. Dopo che Bae andò via, Ariel corse subito sottocoperta, assicurandosi che non ci fosse nessun altro a parte lei e sperando, vivamente, che Diego avesse dimenticato ogni cosa.
Il mattino dopo, Ariel si svegliò di soprassalto, quasi cadendo dal letto. Un gran trambusto proveniva da sopra. Eppure era presto. Si chiese cosa potesse essere successo, poi la sensazione di stordimento mattutina venne sostituita dal ricordo della sera precedente. Aveva permesso a Bae di fuggire. Forse l'avevano scoperta. Se fosse stato così, sarebbero andati di certo a svegliarla. A meno che non stessero architettando un modo terribile per punirla. Le venne un groppo in gola al solo pensiero. Prese il coraggio con due mani e si vestì velocemente per salire.
Arrivata sul ponte della nave, la ragazza trovò dinanzi a sé il caos. Erano tutti attorno all'albero maestro e discutevano animatamente fra loro ma Ariel poté vedere in alto Hook che li osservava con le braccia appoggiate sul timone. Il viso mostrava sempre quella tipica espressione di noncuranza che lo caratterizzava fin troppo bene. Le dava rabbia. Sembrava sempre che nulla lo toccasse in alcun modo. I suoi uomini si stavano quasi azzuffando e lui stava lì a godersi la scena, senza dire nulla ma soltanto guardando. Ariel vide Flynn dinanzi a sé e gli toccò una spalla per farlo voltare. Il suo viso era leggermente sciupato, evidentemente per il turno di notte. Aveva delle borse sotto gli occhi scuri e la sua espressione non sembrava molto allegra.
“Cosa succede?” chiese Ariel con finta ignoranza, come se non sapesse cosa stesse accedendo e di chi fosse la colpa.
“Il ragazzo è fuggito” rispose Flynn con tono amareggiato “Mentre Diego era di turno”.
“E come ha fatto?” domandò Ariel fingendosi sorpresa.
“Diego si è addormentato, dopo aver bevuto e..” il ragazzo non finì la frase. La fama da ubriacone del povero Diego era ben nota su tutta la Jolly Roger e lei ne aveva tratto vantaggio alla grande.
Ariel cercò Diego con lo sguardo ma con tutti quei dannati pirati davanti non riusciva a vedere nulla. “E adesso che succede?” chiese la ragazza voltandosi poi verso Flynn.
Il ragazzo sospirò “Beh...sappi solo che il capitano si è infuriato”.
“Perché ci teneva tanto ad avere qui quel ragazzo?” Se Hook aveva ottenuto il fagiolo, cosa gli importava di Bae e dei bimbi sperduti. Non aveva senso tenerlo lì solo per una stupida schermaglia con un ragazzino.
Flynn scrollò le spalle “Questo non lo so, Marina...So soltanto che Diego non se la vedrà molto bene. Non ricorda nulla. Si è svegliato e ha trovato la corda sciolta”. A quella frase, Ariel fece un gran sospiro interiore cercando sempre di mantenere la sua espressione sorpresa e naturale. Ad un tratto, la voce di Hook risuonò su quella di tutta la ciurma.
“Signori” cominciò scendendo gli scalini ed avvicinandosi all'albero maestro “un provvedimento va preso”. Si voltò verso il pirata con sguardo contrariato “Diego, penso che questo ti servirà da lezione”.
Ariel riuscì finalmente a scorgere Diego, appoggiato all'albero maestro con lo sguardo rivolto verso il basso. Ci fu un breve silenzio e poi Hook riprese a parlare.
“Fustigatelo” esclamò con una voce così gelida che alla ragazza vennero i brividi. Credeva ingenuamente che non sarebbe stato punito o almeno non così. Una piccola parte di lei desiderava farsi avanti ed urlare sono stata io ma non ne aveva proprio il coraggio. Immaginò la scena di lei che si faceva spazio tra la ciurma, quasi gridando per farsi ascoltare e per scagionare il pirata. Si immaginò al posto di Diego, mentre veniva fustigata e sveniva per la durezza dei colpi. Riusciva a fare soltanto questo:immaginare e mai agire. Era una codarda. Criticava tanto Hook, definendolo uomo senza ritegno e senza onore ma lei era davvero da meno? Dopo che Diego venne legato, con il petto rivolto all'albero maestro, Jack gli si mise davanti con in mano un oggetto conosciuto come “gatto a nove code”. Era una frusta dotata di nove funicelle separate (***). Ad un segno del capitano, Jack cominciò a frustarlo. Ariel ebbe quasi la sensazione di sentire il dolore immenso provocato dalle nove funi sulla schiena. Ad ogni colpo la ragazza sobbalzava, stringendo istintivamente il braccio di Flynn, che aveva il viso rivolto verso il basso. Dopo i primi due colpi, cominciarono a vedersi i primi segni di sangue. La schiena del pirata sarebbe stata segnata a vita. A causa sua. Si voltò a cercare Hook.
Ed eccolo lì. Nella stessa posizione di prima, con le braccia appoggiate sul timone ad osservare la scena. Le regole tra pirati erano così severe? Come poteva dare l'ordine di fustigare un membro del suo equipaggio e per di più amico? Si chiese come faceva a non provare un minimo di risentimento per ciò che stava compiendo. Si chiese se poteva sentire anche un pizzico di dolore nel suo cuore. Ammesso che ne avesse uno. Amava davvero un uomo così senza cuore? E come faceva lei stessa anche a pronunciare la parola amore? La consapevolezza si stava facendo sempre più vivida in lei. Non sapeva nulla di quell'uomo eppure aveva urlato a suo padre di amarlo. Mentre Ariel lo osservava, lui si voltò verso di lei, fissandola per qualche secondo, poi la ragazza abbassò immediatamente lo sguardo, cercando di trattenersi. I colpi erano a quota cinque e lei non li reggeva più. Si spostò leggermente dietro le spalle di Flynn, cercando di non farsi prendere dal panico e dai troppi sensi di colpa che stavano invadendo il suo animo. Cominciò a sentire le lacrime salire e combattere per uscire. Gli occhi le bruciavano. Anche la gola le bruciava. Strinse in pugni, sforzandosi di non pensare. Ma i colpi di frusta e le urla strozzate di Diego erano più forti ed invadevano la sua mente ad ogni colpo. La ragazza affondò il viso dietro la spalla di Flynn che, sentendola, si voltò leggermente senza dire nulla. Immaginava sicuramente che facesse così perché era una donna e quindi era sensibile a certe scene. Invece era semplicemente colpa sua. In quel momento ebbe la sensazione di sentire gli occhi di Hook addosso. Le sembrava che la stesse osservando e non sapeva nemmeno perché. Forse stava solo immaginando..come al solito. Era la cosa che le riusciva meglio.

Ma in realtà, Hook la stava davvero osservando. Stava guardando i suoi grandi occhi gonfi e rossi per lo sforzo di trattenere il pianto, la sua pelle chiara rigata dalle lacrime, i suoi capelli rossi arruffati con delle ciocche che sembravano ricadere apposta davanti al viso, le sue braccia incrociate sul petto. Quando la vide appoggiare la testa dietro la spalla di Ryder, un leggero fastidio lo invase. Cercava consolazione da lui? Un'immagine di loro due insieme cominciò a farsi largo nella mente del capitano che tuttavia riprese subito contegno scuotendo la testa. Non poteva pensare a certe stupidaggini, soprattutto in quel momento. Diego, purtroppo, andava punito. Per colpa sua aveva perso il ragazzino e non poteva passarci sopra. Non riusciva a capire perché la ragazza fosse così sconvolta.
Pensava che le donne non non fossero in grado di reggere una vista del genere. Eppure, non era in grado di toglierle gli occhi di dosso. Ed il suo cuore si fermò quando la ragazza alzò lo sguardo verso di lui per poi distoglierlo nuovamente, come se non fosse in grado di sopportarlo. In quel momento si sentiva un ragazzo. Come poteva una persona di cui sapeva poco e niente avere tutto questo ascendente su di lui? Come poteva far sì che il suo cuore si fermasse ad un solo sguardo?
Dopo che la fustigazione di Diego giunse al termine, Spugna si precipitò dal pirata e lo sollevò, aiutato da Grimsby, per portarlo sottocoperta. Mentre i due passavano con Diego, Hook notò che la ragazza era rimasta sempre nella stessa posizione, con il viso sulla spalla di Ryder. Il capitano quasi sobbalzò quando la vide muoversi ed allontanarsi da lui. Seguì ogni suo movimento, mordendosi il labbro senza nemmeno accorgersene, mentre la vedeva camminare. Era seriamente sconvolta, e più bella del solito. Aveva quasi perso la cognizione del tempo mentre la osservava. Non vedeva e non sentiva nient'altro.
Un colpo di tosse proveniente da dietro le sue spalle lo ridestò dai suoi pensieri e lo costrinse a voltarsi. Grimsby. Aveva già lasciato Diego sottocoperta e lui non si era accorto di nulla. Lo stava guardando con il suo solito ghigno e con la faccia da saputello come se gli stesse dicendo “So chi stai guardando”. Hook cercò di non farci caso mentre il suo amico lo guardava sorridendo. Perché quella ragazza riusciva a distrarlo così tanto?

 
Note:
  • Dal mio punto di vista questo capitolo fa vomitare (uno potrebbe dire “no ma che, si disprezzano sempre i propri scritti,ecc.” invece no, per me fa seriamente schifo perchè succedono una serie di cose insieme e mi sembra di aver un po' esagerato con la dose di..chiamiamola “fantasia” LOL.
  • Il titolo “Broken” e la canzone messa all'inizio sono riferite rispettivamente ad Ariel (che in seguito a tutte queste vicende si sente un po' vacillare) ed Hook (don't get too close, it's dark inside..amo questa canzone, c'è poco da fare *.*). L'idea era quella di mettere le canzoni della sirenetta, ma diciamo che metterò le altre quando saranno adatte al contesto e per questo capitolo nessuna andava bene xD;
  • (*) Bangherang! Chi ha visto il film “Hook – Capitan Uncino” potrà sicuramente capire e spero che lo abbiate visto tutti perchè merita sul serio;
  • (**) altro riferimento al film Hook – Capitan Uncino...ricorda proprio un certo Rufio u.u;
  • (***) internet docet! Quando un membro dell'equipaggio veniva meno a qualche dovere veniva punito con questa specie di frusta;
  • l'idea di far ubriacare Diego è ripresa da I Pirati dei Caraibi quando Elizabeth ne approfitta per bruciare tutto il rum xD. Ammetto che l'idea di farlo ubriacare per far scappare Bae sia un po' banale ma sono sincera..non avevo altre idee in mente quindi chiedo venia xD.
Ok, ho finito di tediarvi e di “scartavetrarvi” le scatole..spero tanto che vi sia piaciuto o che abbia almeno suscitato un lieve interesse. Se vi va battete un colpo, i commenti (negativi, positivi, ortaggi, pomodori, ecc.) mi fanno più che piacere u.u. Prima di salutarvi, un grande grande grande ringraziamento a PoisonIvy_ che sta betando la storia e mi sta praticamente salvando :3
A presto, un abbraccio :*

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Capitolo 5
*** Between us ***


V

Between us
 
Say my name and every color illuminates.
We are shining and we will never be afraid again”.
(Florence and The Machine – Spectrum)
 
 
Ariel aveva cercato per diversi giorni di trovare un aggettivo che descrivesse al meglio il suo stato d'animo. Il problema era che avrebbe potuto stilare una lista, poiché erano tanti gli aggettivi che la caratterizzavano in quel particolare momento della sua vita.
Poteva definirsi ferita, colpevole, triste, arrabbiata, infantile, abbattuta, e soprattutto stupida. Sì...stupida! Si sentiva stupida come una ragazzina il cui desiderio era soltanto quello di fare i capricci quando le cose non andavano nel verso giusto e di non assumersi le proprie responsabilità, bensì dare la colpa agli altri.
Dopo la punizione inflitta a Diego, la giovane lo aveva evitato in tutti i modi possibili. Il solo trovarsi dinanzi a lui la rendeva inquieta e non faceva che aumentare il suo senso di colpa che già si faceva sentire giorno e notte, quindi evitarlo era il modo migliore per attenuare la propria sofferenza.
Durante una mattina in cui faceva particolarmente caldo, Ariel aveva visto Diego issare le vele senza camicia, e ciò le aveva dato modo di notare ulteriormente i segni sulla schiena. A quella vista le vennero i brividi ed ebbe modo di sentire una sensazione orribile a livello dello stomaco, così si voltò per non dover sopportare quella visione.
Al capitano non era sfuggito il cambiamento di Ariel. La ragazza gli appariva ogni giorno sempre più cupa, sfuggente e soprattutto silenziosa. Ogni giorno, da quando era entrata a far parte della sua ciurma, aveva sentito la sua voce allegra e melodiosa, per di più stranamente familiare.
Adesso, invece, Ariel non apriva mai bocca nemmeno per contestarlo e questo era strano. Quelle poche volte che l'aveva vista parlare era stato con Ryder, cosa che lo infastidiva sempre di più, o al massimo con Spugna. Lo stava forse evitando? Il pensiero lo attraversò immediatamente. Perché avrebbe dovuto? Le aveva forse fatto qualcosa? No, lo avrebbe ricordato. Mentre Hook si poneva una diversa serie di interrogativi, si rese conto di quanta importanza stesse dando a questa faccenda.
In teoria, non gli sarebbe dovuto importare assolutamente nulla del perché quella stupida ragazzina gli tenesse il broncio, ma in quel momento sembrava l'unico problema degno di occupare i suoi pensieri. Il capitano era vicino al timone, e vide la ragazza preparare una sacca. Una sacca? Affianco a lei c'era il dannato Ryder, che la stava aiutando. Che diamine stavano facendo?
“Ryder! Marina!” esclamò il capitano facendo voltare i due giovani “Cosa state preparando?”
“Stavamo preparando la borsa, capitano” rispose il ragazzo con tono disinvolto “Pensavamo di scendere a fare qualche rifornimento”.
“Ah...” il capitano non aggiunse altro. In quel momento si sarebbe voluto dare uno schiaffo con la mano sinistra. Peccato che se avesse fatto una cosa del genere sarebbe stato alquanto controproducente, vista la presenza del suo uncino, quindi si limitò soltanto ad immaginare una scena del genere. Che diavolo gli era preso? Nella sua testa, gli sembrava una quasi scenata di gelosia, ma solo nella sua testa per fortuna.
Qualcuno doveva pur scendere a fare rifornimento, poiché non potevano vivere solo di pesce. Sull'Isola vi era un piccolo villaggio, Barrie (*), non molto lontano dall'accampamento indiano. Di solito ci era sempre andato Spugna insieme a qualcun altro, quindi Hook si chiedeva per qualche barbaro motivo dovesse andarci Ariel...con Ryder poi!
Decise di non ribattere o fare considerazioni che avrebbero dato modo di sospettare qualcosa, così ingoiò il rospo, cercando di darsi un contegno. Era un pirata, non certo un giovinetto con una cotta.
Eppure, nel momento esatto in cui vide Ariel e Ryder scendere dalla nave, il suo primo pensiero fu quello di correre loro dietro ed accompagnarli, pur di non lasciarli soli.
Ormai gli era chiaro: stava decisamente impazzendo.
 
“Tutto bene, Marina?”. La voce di Flynn riportò la ragazza con i piedi per terra.
“Sì, tutto bene” rispose Ariel con finta naturalezza “Mi sento solo un po' stanca”.
“Sei stanca? Vuoi che ci fermiamo?” domandò il giovane fermandosi a guardarla “In effetti sei un po' pallida, meglio fermarsi”.
“No, davvero!” esclamò Ariel continuando a camminare “Intendevo stanca in questi giorni, ma sto bene, tranquillo”. Gli rivolse un sorriso cercando di convincerlo e sembrò funzionare.
Il ragazzo storse un po' il labbro ma si fece convincere “Va bene...ma più avanti ci fermiamo”.
Mentre continuavano a camminare fra i boschi, Ariel osservava la mappa dell'Isola, secondo la quale avrebbero dovuto attraversare prima i boschi e poi un accampamento indiano. Si chiedeva come potesse essere questo accampamento. Non aveva mai visto gli indiani, poiché sicuramente non ce n'erano sott'acqua, quindi l'idea di dover attraversare un accampamento la incuriosiva, ma soprattutto era felice di stare lontana dalla Jolly Roger anche solo per poco.
Voleva allontanarsi da Diego...e da Hook. Meglio che stare lì a farsi dilaniare dai sensi di colpa.
Dopo circa un'ora di cammino, i due giovani giunsero a poca distanza dall'accampamento, dal quale Ariel poteva vedere del fumo. Riuscì a convincere nuovamente Flynn a non fermarsi prima, perché era semplicemente ansiosa di vedere l'accampamento, ma forse sarebbe stato meglio non esserlo.
L'accampamento indiano si trovava in cima ad una collina che si affacciava su un altro lato della spiaggia, precisamente la parte opposta a quella in cui si trovava la Jolly Roger.
Ariel osservò attentamente le tende tenute in piedi da pali ricoperti con pelle di bisonte. [a capo]
Le tende erano disposte tutte a cerchio ed al centro vi era un fuoco che stava ormai per spegnersi.
Poco più in là, vi erano tre pali piuttosto alti, che però avevano qualcosa di particolare che attirò l'attenzione di Ariel, la quale si avvicinò meglio per osservare.
La struttura l'affascinava. Mise una mano su di essa e osservò le figure scolpite. Ariel si chiese che significato potessero avere quelle strutture.
“Questi sono totem” esclamò Flynn vedendola così presa. Ariel si voltò verso di lui.
“E qual è il loro significato?” chiese con curiosità.
“Beh, dipende” rispose il giovane toccandosi la mascella con una mano “Di solito dipende dal tipo di disegno scolpito su di esso. Possono indicare leggende, clan o eventi importanti. Hanno un significato prettamente simbolico”.
Ariel continuava a guardarle: quelle strutture raccontavano una storia e si chiedeva quale storia potesse essere. Chissà se un giorno ci sarebbe stato qualcosa che raccontasse anche la sua di storia.
Chissà se ci sarebbe stato qualcosa che raccontasse anche quella di Hook. Qualcosa che testimoniasse il loro passaggio, le loro azioni...la loro esistenza.
“Forza, Marina” disse Flynn avvicinandosi alla ragazza “Andiamo ora, prima che ci diano per dispersi”. Pronunciò l'ultima frase con un sorriso, cercando di mettere Ariel di buon umore. La ragazza ricambiò il sorriso, contenta di aver visto qualcosa di interessante, e lo seguì, riprendendo a camminare. Mentre stavano per uscire dall'accampamento, cominciarono a sentire un suono di tamburi. Si voltarono per cercare di capire da dove provenissero, ma non c'era nessuno oltre loro. I due ragazzi si guardarono, evidentemente confusi ed anche un po' preoccupati.
La situazione sembrava un po' inquietante. Flynn prese immediatamente il braccio sinistro della ragazza e la tirò, riprendendo a camminare, ma non appena si voltarono, si trovarono dinanzi uno dei pellerossa. Era piuttosto grosso. Aveva le braccia incrociate sul petto e stava lì immobile a guardali senza proferire parola. Ariel guardò di nuovo alle sue spalle e vide altri pellerossa sbucati improvvisamente dal nulla. Erano circondati.
L'uomo dinanzi a loro iniziò a parlare “Intrusi”. Il suo tono di voce era accusatorio, come se fossero venuti lì per rubare o fare qualcosa di dannoso nei loro confronti.
Flynn scosse la testa “No, no!” esclamò con voce quasi tranquilla “Senti, grande capo. Stiamo semplicemente andando al villaggio, siamo solo di passaggio”.
L'indiano non badò minimamente a quello che aveva detto e gli si fece più vicino “Pirati” esclamò con tono più alto. Suonava quasi come un rimprovero.
“Voi ci avete saccheggiato”. Ariel deglutì. Si chiese a chi altro potevano aver dato fastidio.
“E adesso noi saccheggeremo voi” continuò il pellerossa.
Flynn lo guardò, accennando un lieve sorriso “E come vorreste farlo?” chiese.
Il pellerossa si voltò verso di lei.
“Prendendo qualcosa di prezioso” rispose, continuando a tenere lo sguardo fisso su di lei. La ragazza impallidì. Qualcosa le diceva che non sarebbe uscita da quell'accampamento.
 
Tre ore. Erano passate tre ore da quando Ariel e Flynn erano scesi dalla nave e al capitano Killian Jones questo non piaceva affatto. Avrebbero dovuto impiegarci un'ora, un'ora e mezza al massimo, di certo non tre ore. Cosa li stava trattenendo? Ryder aveva un certo successo con le signore da quello che aveva sentito, nonostante il suo amore per la ragazza dai lunghi capelli biondi. Forse era scattato qualcosa fra i due, d'altronde stavano sempre insieme. Forse Ryder si era fatto avanti e lei non lo aveva rifiutato. No...Ariel non era una ragazza del genere. Tuttavia, questo non poteva dirlo con assoluta certezza, visto che non sapeva assolutamente nulla di lei. Non aveva idea del luogo da cui provenisse, né era a conoscenza del motivo che l'aveva portata su quella nave.
Quella ragazza era stata praticamente pescata dal mare, come fosse un pesce. Ariel era un vero mistero per lui sotto certi punti di vista, eppure era sempre così curiosa e desiderosa di avventure...un po' come Milah. Quando il pensiero della donna da lui amata gli attraversò la mente, sentì una leggera fitta al cuore. Ogni volta che pensava o guardava quella ragazza dai capelli rossi, gli sembrava quasi di tradire Milah. Spesso e volentieri si era ritrovato a fissarla, bloccando semplicemente i suoi occhi su di lei, senza nemmeno rendersene pienamente conto e questo lo faceva sentire in colpa. Chissà cosa avrebbe potuto dire Milah al riguardo. Lo avrebbe spinto ad amare di nuovo oppure lo avrebbe attirato maggiormente verso di sé? Amare...lui che amava di nuovo? Doveva essere proprio impazzito anche solo nel pensare una cosa del genere.
“Capitano!” L'urlo di Grimsby lo fece sobbalzare, come se si fosse appena svegliato. Si voltò e quella che si ritrovò dinanzi non era una scena molto promettente: il viso di Grimsby era il ritratto dell'ansia e della preoccupazione. Qualcosa non andava. Affianco a lui c'era Spugna che cercava di reggere, con l'aiuto di Diego, un Ryder evidentemente ferito e privo di sensi. Hook si avvicinò immediatamente, e gli tastò il polso per assicurarsi che fosse ancora vivo...lo era, per fortuna.
“Che diamine è successo?” chiese fissando Spugna.
“Non lo so” rispose l'uomo con voce carica di ansia “Lo abbiamo visto in lontananza, ma non appena lo abbiamo soccorso ha perso i sensi”.
Il ragazzo era messo alquanto male. Aveva un labbro spaccato e qualche livido sul viso, ed inoltre aveva una freccia conficcata all'altezza della spalla.
“Portatelo nella sua cabina, forza!” disse rivolgendosi ai due uomini che lo reggevano. Scosse un attimo la testa, cercando di ragionare. Come era potuto succedere e soprattutto chi era stato a fargli questo e per quale motivo? Ad un tratto si accorse che qualcosa non andava. Lei dov'era? Si recò di corsa sottocoperta, raggiungendo Spugna e Diego nella cabina. I due uomini si voltarono al suo arrivo: sul viso di Hook si poteva notare una leggera preoccupazione. Si avvicinò al letto su cui era adagiato Ryder e cominciò a scuoterlo. Diego lo guardò confuso.
“Capitano, ma cosa state facendo?” chiese fissandolo mentre Spugna prendeva dell'acqua e qualche straccio per la ferita del giovane.
“Tu che dici?!” esclamò il capitano “Marina non c'è! Lui deve sapere dov'è!” continuò agitandosi.
“Capitano” intervenne Spugna “ci faccia medicare la ferita e poi vedrà che si sveglierà”.
Hook scosse la testa con fare nervoso “No, perderemmo solo altro tempo”.
Il capitano cercò di svegliarlo, continuando a scuoterlo fin quando Flynn non riprese finalmente i sensi. Il giovane si contorceva sul letto, lamentandosi, e con la spalla ricoperta di sangue. Hook non gli diede nemmeno il tempo di riprendersi, che gli fu nuovamente addosso, prendendolo per le braccia.
“Lei dov'è?” la sua voce sembrava quasi un sibilo.
“Capitano!” esclamò Spugna cercando di avvicinarsi, ma Diego lo fermò.
Flynn, tenendosi la spalla ferita con una mano, lo guardava con faccia sofferente cercando di trovare la forza per parlare. Prima che il capitano potesse perdere maggiormente la pazienza, cominciò a parlare, digrignando i denti per il dolore alla spalla.
“Indiani” rispose tutto d'un fiato “L'hanno presa”. Hook si morse il labbro poi si passò una mano fra i capelli con fare preoccupato. Doveva aspettarsi una qualche risposta, dato ciò che avevano combinato qualche tempo prima. Non solo avevano assalito l'accampamento dei pellerossa ma avevano anche rapito la figlia del capo della tribù, Giglio Tigrato.
Tutto ciò per scoprire il nascondiglio di Peter Pan e dei Bimbi Sperduti, che la ragazza conosceva ma ovviamente non erano riusciti nel loro intento, poiché Peter era venuto a salvarla. Non aveva minimamente riflettuto sulla possibilità che potessero riversare la loro vendetta su di lei, ma come poteva? Adesso la ragazza era con loro e chissà cosa le avrebbero fatto. Hook realizzò che non potevano certo stare lì con le mani in mano: dovevano salvarla. Uscì dalla cabina e si recò sul ponte di comando della nave, dove vi trovò Grimsby, che al suo arrivo si voltò a guardarlo.
“I pellerossa hanno preso Marina come ripicca per aver rapito Giglio Tigrato” esclamò “Dobbiamo andare a riprenderla”.
Grimsby lo guardò leggermente confuso “Killian, fermati un attimo a pensare. Non credi che adesso si aspettino una nostra visita? Sarebbe azzardato”.
“Lei è nelle loro mani!” ribatté “E se le facessero del male?”.
“Non lo faranno” rispose l'uomo cercando di tranquillizzarlo “Noi non abbiamo alzato nemmeno un dito su Giglio Tigrato e loro faranno altrettanto”.
Hook sospirò pesantemente e si mise una mano sulla bocca, cercando di riprendere il controllo della sua mente. Il solo pensiero di lei prigioniera per colpa sua lo faceva stare male. L'avrebbe salvata, a qualsiasi costo.
 
Il suono dei tamburi era a dir poco assordante e le perforava i timpani. Non ricordava molto di ciò che era successo: aveva visto soltanto Flynn correre ed urlarle di scappare...poi il buio. Adesso si stava risvegliando e poteva sentire i tamburi non molto lontano da lei. In realtà, aveva paura di aprire gli occhi e sperava fosse un sogno...che ancora si dovesse svegliare, perché dinanzi ai suoi occhi non avrebbe trovato qualcosa di buono. Li aprì leggermente, cercando di capire cosa c’era era attorno a lei: era in una tenda dell'accampamento...da sola. Flynn non c'era e questo la preoccupava. Forse era in un'altra tenda? Si mise a sedere, cercando di ricordare ciò che era successo. Flynn l'aveva presa per un braccio, le aveva urlato di correre e lei così aveva fatto ma poi qualcosa era andato storto:era stata colpita, finendo a terra e prima di perdere i sensi ricordava solo Flynn che correva...l'aveva lasciata indietro? No, non lo avrebbe mai fatto. Forse era stato catturato oppure era riuscito a scappare per andare a chiamare aiuto. Tuttavia, lei era prigioniera anche se non capiva il motivo. Il capo indiano aveva detto che erano stati saccheggiati, ma perché prendere lei? Non riusciva a venirne a capo.
“Non tediarti troppo”. Una voce femminile la fece voltare. Dinanzi a sé trovò una donna. Era di una bellezza indescrivibile: alta, con le labbra rosse e gli occhi neri fissi su di lei. Aveva la pelle scura ed i capelli, dello stesso colore degli occhi, le arrivavano fin sotto la schiena. Al collo portava una collana fatta con pietre turchesi ed un pendente al centro.
“Con chi ho il piacere di parlare?” chiese Ariel con velata ironia. Ovviamente non si fidava molto: l'avevano presa e fatta prigioniera per chissà quale motivo.
La donna le rivolse un sorriso gentile “Non è la mia identità il problema, ma la tua”.
Ariel si irrigidì mentre la donna le sorrideva tranquilla, come se percepisse il suo fastidio e ne traesse divertimento.
“Tu chi sei?” chiese Ariel titubante. Si sentiva stranamente vulnerabile in quel momento, come se quella donna riuscisse a leggere il suo animo. Era curiosa di sapere chi fosse quest'ultima.
“Io sono una delle figlie del capo tribù” rispose “mi chiamo Pocahontas e sono una strega”.
“Una strega?” chiese la ragazza confusa “E cosa vuoi farmi?”.
Dopo aver udito la domanda di Ariel, la donna scoppiò a ridere ancora più divertita di prima, mentre Ariel la guardava sempre al confine fra fra il confuso e l’infastidito. Farsi prendere in giro le riusciva sempre bene.
“Io non voglio farti niente di male” rispose fra le risate “ma vedi tu sei qui semplicemente perché i pirati non molto tempo fa hanno rapito mia sorella Giglio Tigrato”.
“Le hanno fatto del male?” domandò Ariel timorosa. Se la risposta fosse stata sì, allora avrebbe dovuto preoccuparsi seriamente per la propria sorte.
“No” rispose “L'hanno rapita per conoscere il nascondiglio dei bimbi sperduti ma mia sorella non ha proferito parola pur di non tradirli”. Fece una breve pausa, sospirando per poi continuare a parlare.
“Tuttavia mio padre non ha gradito quel gesto, quindi ha voluto rispondere con la stessa moneta ed usandoti come esca per i pirati”. Ariel la fissò incredula. Adesso era tutto più chiaro. Flynn sicuramente non era all'accampamento ma lo avevano lasciato fuggire apposta, così che lui potesse avvertire Killian e portarli tutti qui. Se loro fossero arrivati lì da lei...non voleva nemmeno immaginare cosa sarebbe potuto succedere. Tuttavia, c'era forse la possibilità che non sarebbero venuti. Magari l'avrebbero lasciata lì, per non correre pericoli, almeno non avrebbero corso il rischio di dare inizio ad un combattimento con gli indiani.
La ragazza, notando il silenzio di Ariel, le mise una mano sulla spalla “Verranno”.
Ariel sgranò gli occhi. Cosa faceva quella ragazza? Le leggeva nel pensiero?
“Ma...” Ariel non portò a termine la frase e la giovane le rivolse l'ennesimo irritante sorriso.
“Insomma!” sbottò ad un tratto Ariel “Ti piace fare giochetti!”.
Pocahontas rise di nuovo. Era lei ad essere troppo stupida o era l'indiana che si divertiva a ridere in continuazione di lei? Forse entrambe.
“E tu hai perso la coda”. La giovane la guardò con espressione interrogativa “Io so chi sei e soprattutto cosa sei, Marina” esclamò la ragazza con gran gusto, come se pronunciare quella frase le desse soddisfazione “O forse dovrei dire Ariel”.
Magia? Tutti attorno a lei sembravano possederla o almeno conoscerla, mentre lei ne era completamente all’oscuro . Bae con la polvere di fata, Killian con i fagioli magici e adesso questa ragazza che sosteneva di sapere lei chi fosse e cosa fosse. Cosa le importava? Sapere chi fosse non poteva né giovarle né danneggiarla in qualche modo. Allora perché farglielo notare?
“Ariel” continuò la ragazza mettendosi a sedere di fronte a lei “Tu appartieni all'oceano, anche se hai le gambe continuerai ad appartenere ad esso, per sempre. Non esiste magia in grado di cambiare questa cosa, rammenta”.
“Come fai a sapere che sono una sirena?” chiese la giovane guardandola con sorpresa.
L'indiana le prese le mani d'un tratto.
“Io sapevo da molto tempo che ti avrei incontrata e non aspettavo altro” esclamò tenendo gli occhi fissi nei suoi “Tu sei un essere speciale”.
Ariel fece un sorriso amaro “Io non sono niente di speciale. Solo una ragazza, né più né meno” rispose sminuendosi ed abbassando gli occhi per non reggere il suo sguardo.
“Una ragazza innamorata” la corresse lei mettendole una mano sulla guancia.
Innamorata” esclamò Ariel alzando gli occhi al cielo “Io non so assolutamente cosa sia l'amore e non dovrei neanche parlarne. Il mio errore è stato semplicemente quello di idealizzare troppo qualcuno di cui non sapevo e non so assolutamente niente. Ho sempre vissuto nell'oceano, cosa posso saperne di amore?” mentre pronunciava queste parole sentì un lieve groppo in gola “Quando lo vidi per la prima volta mi sono sentita come mai in vita mia, gli ho salvato la vita ma quell'uomo non ha nemmeno il minimo ricordo di me ed è una bestia...non mi ama, né mi amerà mai. Credevo che la vita con i pirati fosse la strada giusta per me invece mi sbagliavo. Per colpa mia un uomo innocente è stato punito, semplicemente perché mi sono comportata da codarda quale sono”.
“A me sembra che tu abbia già iniziato a percorrere la tua strada” rispose la ragazza.
Ariel la guardò con un filo di sfiducia “Ma io non so nemmeno quale sia la mia strada né se la troverò mai. Sostieni di essere una strega, dimmelo tu!”. Pocahontas rise.
“Se ti dicessi io la strada da percorrere, che senso avrebbe tutta la tua vita?” le domandò lei mettendole le mani sulle spalle “Hai intrapreso la tua strada già tempo fa, scegliendo una vita da umana, lontana dall'oceano. Lo hai fatto per un motivo: per essere libera. Libera di scegliere chi amare, libera di scegliere cosa fare, libera di vivere la tua vita. Tua e di nessun altro. Questo deve pur significare qualcosa, non credi?” Ariel sembrava ancora poco convinta. Cosa potevano significare le sue azioni se fino ad allora avevano portato soltanto sofferenza a chiunque le stesse intorno e non a lei. La donna le prese il mento con una mano.
“Hai iniziato a percorre la tua strada quando hai deciso di salvare quel pirata” cominciò con voce ferma “quando hai deciso di uscire in superficie, quando hai impedito che un giovane orfano venisse tenuto prigioniero, quando con il tuo aiuto hai evitato un ennesimo scontro fra pirati e bimbi sperduti. Le tue azioni sono più determinanti di quanto tu creda.”
“Anche dire la verità sulla fuga di quel ragazzo sarebbe stato determinante” disse con voce bassa, come se stesse parlando tra sé e sé. Ciò che era successo a Diego era soltanto colpa sua, si sentiva orribile oltre che codarda. Quello che lei sentiva non era soltanto dolore ma una voglia di addormentarsi, di scomparire, annullando la sua identità (fittizia per di più): in quei giorni una forza meccanica la portava a muovere le gambe, quasi involontariamente. Sembrava una malattia dell'animo la sua, dovuta al suo gesto che non le permetteva di agire, di pensare, di essere chiaramente se stessa. Era come se fosse un guscio vuoto, un fantasma: non sentiva nulla. Il mare era soltanto mare. Il sole era soltanto sole. La sua vita ed i suoi sentimenti stavano evaporando.
“Il tuo gesto è stato dettato dalla paura, nient'altro” rispose la donna cercando di rincuorarla “Non ci sono buoni e cattivi, ognuno crede di essere nel giusto. Tu hai agito con ingenuità, senza pensare seriamente alle conseguenze ma hai aiutato qualcuno che ne aveva bisogno”.
“Forse dovrei lasciare la nave, sarebbe la scelta più saggia” esclamò la ragazza a fatica, come se fosse sul punto di scoppiare in lacrime.
“Ascolta. Guarda dentro di te, tu sai qual è la tua strada. Seguila!” le prese nuovamente le mani e chiuse gli occhi. Ariel si sentì invadere da un freddo incredibile, che le penetrava le ossa.
“Tu hai un cuore puro, a differenza del pirata” esclamò tenendo sempre gli occhi chiusi e mettendole una mano all'altezza del cuore. A quella frase, in Ariel lo sconforto non fece altro che aumentare, poiché confermava la sua idea di lasciare la nave ma prima che potesse rispondere la donna continuò a parlare.
“Il suo cuore è marcio, stretto in una morsa di vendetta e rancore...ma non devi arrenderti. C'è ancora una piccola luce, anche se flebile. Tu puoi riaccenderla ma dovrai essere paziente. L'odio è talmente radicato, che sarà difficile combatterlo”.
In quel momento, un'immagine nitida le attraversò la mente: lei e Killian insieme, ma quando sarebbe stato realizzabile questo suo profondo desiderio? Era davvero in grado di annientare la morsa di odio che teneva stretto il suo cuore?
“Sono i nostri gesti a determinare chi siamo, Ariel” disse la giovane riaprendo gli occhi e carezzandole lievemente la guancia “Sentirti in colpa e smettere di vivere per quello che è capitato non annullerà certo il tuo dolore. Andare avanti, questo farà scomparire il tuo dolore e senso di colpa. Stare a compiangersi non cancellerà le cicatrici di Diego ma farà aumentare quelle già incise sul tuo cuore”. Ci volle molto per convincere Ariel che Pocahontas le stava dicendo il vero. Aveva ancora molte domande e cercava da sola di dare una risposta a questi interrogativi che si stava ponendo ma venne interrotta dall'arrivo di qualcun altro nella tenda: il capo tribù che aveva visto insieme a Flynn. Stringeva in mano una lancia e, senza dire nulla, si avvicinò e l'afferrò per un braccio costringendola ad alzarsi: la teneva così stretta da farle male. La trascinò fuori, dove c’erano altri indiani che continuavano a suonare imperterriti i loro tamburi, mentre Pocahontas si era precipitata fuori insieme a loro.
“Legatela” esclamò il capo tribù scrollandole il braccio “I pirati dovrebbero arrivare tra non molto”. Detto ciò, spinse via la giovane tra le mani di altri due indiani che avevano il compito di legarla ed immobilizzarla, mentre Ariel continuava a dibattersi, senza restare per niente ferma.
“Padre!” esclamò Pocahontas con un filo di disperazione nella voce, mettendosi dinanzi ad Ariel.
“Figlia, togliti di mezzo!” esclamò l'uomo con sguardo severo “Con il tuo atteggiamento insulti tua sorella, rapita da quei selvaggi”.
“No, non lo farò!” rispose lei quasi urlando, provocando lo sgomento di tutti coloro che li circondavano. Ariel, intanto, la osservava. Le sembrava di rivivere una scena a dir poco familiare: una figlia che si opponeva al volere del proprio padre...le ricordava qualcosa.
“Guardati intorno” esclamò la giovane quasi supplicandolo “è a questo che la via dell'odio ci ha portato. Questa è la via che ho scelto, padre: quella di impedire inutili combattimenti e spargimenti di sangue. Quale sarà la tua? Dimmi” (*).
Il padre la guardava con gli occhi sgranati, esattamente come il proprio nel momento esatto in cui si era ritrovato faccia a faccia con una verità che non gli andava del tutto bene, una verità che lo aveva lasciato di sasso: la sconcertante situazione di sua figlia che si opponeva al suo volere e che, soprattutto, la pensava in maniera del tutto diversa da lui. Ariel si chiedeva come avrebbe reagito il capo indiano...se, come suo padre, avrebbe distrutto ogni cosa che aveva intorno, oppure se avrebbe capito ciò che si stava apprestando a compiere. Sia Ariel che Pocahontas erano immobili, quasi paralizzate dalla tensione di quel momento. Nessun altro osava parlare o emettere suoni, persino i tamburi si erano fermati. Erano tutti concentrati sul capo tribù, in attesa delle sue parole.
Un improvviso e tenue venticello cominciò a soffiare, accarezzando il viso di Pocahontas e scompigliandole leggermente i capelli. Era ancora più bella. Il suo sguardo era fisso su suo padre e stava ad indicare una sola cosa: non si sarebbe arresa.
Suo padre si lasciò quasi cullare da quella lieve ondata di vento e chiuse gli occhi, come se stesse ascoltando qualcuno che gli stava parlando. D'un tratto aprì gli occhi, abbassando la lancia.
“Sei identica a tua madre” esclamò corrugando la fronte. Poi si voltò verso Ariel “Lasciatela andare. Sarà meglio che tu vada via in fretta prima che cambi idea”. Pocahontas fece un sorriso commosso che si allargò maggiormente quando corse incontro a suo padre abbracciandolo.
Nel frattempo, Ariel non riusciva a distogliere il suo sguardo da loro: quello era il finale perfetto di una situazione padre-figlia...solo che purtroppo quello non era il suo finale. Improvvisamente, il pensiero di Killian e gli altri le attraversò la mente come un fulmine a ciel sereno: doveva correre via da lì ed impedire che arrivassero all'accampamento ma prima che potesse andarsene, Pocahontas si staccò da suo padre per avvicinarsi a lei, come se le avesse appena letto nel pensiero.
“Ci hai messo poco” esclamò Ariel con un sorriso. La giovane ricambiò il sorriso.
“Credo che sia il momento di salutarci” rispose abbassando lo sguardo.
“Come posso ringraziarti?” chiese la ragazza prendendole le mani.
“Non devi ringraziare me” rispose Pocahontas con voce serena “soltanto te stessa. Adesso vai!”. La sua ultima espressione suonò quasi come un'ordine...doveva fare in fretta. Abbracciò velocemente la donna, e si voltò per andarsene.
“Ariel!” Pocahontas la chiamò facendola voltare “Rammenta quello ti ho detto, ogni cosa!
La giovane annuì, dopodiché cominciò a correre lontana dall'accampamento e sempre più vicina a Killian.
 
“Forza! Spostate quelle fronde!” gli ordini di Grimsby erano così forti che risuonavano per tutta la foresta. Sembrava che li stesse pronunciando quasi con rabbia. Convincere Hook ad aspettare prima di incamminarsi verso l'accampamento indiano era stato a dir poco impossibile e Grimbsy, come molti altri, era convinto che stessero andando incontro ad una vera e propria trappola ma al capitano questo non sembrava importare. Hook, non molto distante da lui, tagliava via le fronde con la sua spada e lo faceva con un tale sdegno che a guardarlo ci si poteva chiedere cosa avesse contro quelle povere piante. In realtà stava solo sfogando la sua preoccupazione per la sorte della ragazza ma era meglio non farglielo notare per nessuna ragione al mondo.
“Siamo sicuri di ciò che stiamo facendo?” chiese Diego sottovoce sperando il capitano non lo sentisse in alcun modo.
“Diego, ti prego!” esclamò Grimsby “Non parlare e non domandare”. Diego si limitò a guardarlo perplesso, borbottando. Era abbastanza evidente che erano tutti consapevoli della situazione spiacevole a cui stavano incontro.
“Siamo sicuri che la ragazza sia ancora viva?” chiese Jack ad alta voce.
“Male che vada ce ne liberiamo” rispose uno dell'equipaggio, Shorty, con un sorriso maligno “Porta male avere una donna a bordo”.
Grimsby, avendoli sentiti, cercò di far loro segno di star zitti, poiché il capitano era proprio dietro di loro.
Jack rise divertito “Porterebbe peggio non averne, credimi!”. Hook li fulminò con lo sguardo e quando i due si accorsero che il loro capitano li aveva ascoltati, fecero finta di nulla, continuando a tagliare le fronde.
Stava davvero portando i suoi uomini in una trappola? In quel momento voleva solo essere certo che lei stesse bene ma se, come ipotizzavano loro, non fosse ancora viva? Il pensiero gli fece venire un groppo in gola.
Guardò più avanti e vide una macchia rossa muoversi fra gli alberi. Hook sbatté leggermente le palpebre e scosse la testa, cercando di realizzare cosa avesse appena visto ed una serie di immagini completamente sconnesse gli attraversarono la mente: il mare, la spiaggia ed una macchia rossa dinanzi a lui. Aveva il respiro affannato ed era finito in ginocchio senza nemmeno accorgersene. Diego gli si avvicinò mettendogli una mano sulla spalla “State bene, capitano?”. Hook si limitò a sospirare e scuotere la testa, alzandosi in piedi. La stanchezza lo stava facendo crollare.
Guardò di nuovo dinanzi a sé e vide di nuovo questa macchia rossa non molto lontano da loro. Che cos'era? Sguainò la spada e cominciò a camminare superando i suoi uomini che lo guardavano come se fosse completamente impazzito.
“Killian!”. Quella voce. Era lei. Man mano che si avvicinava la macchia rossa diventata sempre più chiara: era Ariel che correva verso di loro. Quando lo vide, si fermò, annaspando e mettendo le mani sulle ginocchia, cercando di riprendersi.
“Marina!” esclamò Grimsby felice di rivedere la ragazza “Stai bene? Sei fuggita?”.
“No” rispose la giovane sistemandosi i capelli dietro il collo “mi hanno lasciata andare”.
“Come?” chiese Jack evidentemente sorpreso.
“Stai bene? Sei ferita?” domandò Hook.
“Sto bene” rispose lei con un filo di voce. Poteva quasi vedere la preoccupazione sul viso di Hook mentre l'osservava, assicurandosi che stesse realmente bene.
“Sei sicura? Non ti hanno fatto del male?” La giovane annuì con un cenno del capo, sospirando e felice di essersi riunita a loro.
Tornarono alla Jolly Roger, dove ad aspettarli vi erano Spugna che vegliava su Flynn e gli altri pirati rimasti a bordo. Ariel, quando mise piede sulla nave, venne invasa da una sensazione di calore a livello del petto, come se in quel momento fosse a casa: era una sensazione piacevole.
 
Ariel scese subito sottocoperta. Aveva un piccolo taglio sulla fronte, che doveva essersi procurata quando era stata colpita dagli indiani, così cercò del rum ed uno straccio per disinfettare la ferita. Cominciò a tamponare lievemente, sopportando il bruciore che quella ignobile bevanda le stava provocando.
“Avevi detto di non essere ferita”. Il tono di Hook sembrava quasi offeso, come se lei gli avesse tenuto nascosto qualcosa di importante.
“E' solo un taglio” rispose la ragazza rivolgendogli un sorriso “Nulla di grave”. Gli diede le spalle, continuando a tamponare la ferita ma non appena fece in tempo a voltarsi, Hook le fu davanti.
“Faccio io” esclamò con tono autoritario, togliendole lo straccio ed il rum dalle mani “Siediti”.
Ariel si mise a sedere su una delle diverse casse presenti sottocoperta e, per quanto fosse pienamente in grado di medicarsi da sola, decise di non dire nulla, data l'espressione corrucciata del suo capitano, così si limitò a sussurrare un semplice grazie.
“Così ti hanno lasciata andare” cominciò lui tamponandole il taglio sulla fronte.
“Già” rispose lei tenendo gli occhi bassi “La figlia del capo tribù aveva una certa simpatia per me”.
Come darle torto? La guardò per un attimo. Il suo sguardo sembrava non avere mai abbastanza della vista di lei, dei suoi occhi, del suo viso, soprattutto durante quel giorno in cui aveva temuto profondamente per la sua vita. Il suo cuore si fermò, quando lei alzò gli occhi verso di lui, per poi distoglierli immediatamente, come se non fosse capace di reggere il suo sguardo.
“Beh” esclamò Hook sospirando “per fortuna non ho perso due del mio equipaggio”.
Ariel lo guardò con un'espressione divertita “Oh andiamo, Killian!”.
Sentirla pronunciare il suo nome lo fece sentire vivo per un attimo. Non era Hook, l'uomo senza mano e senza cuore...era tornato ad essere Killian, quel giovane ancora vivo dentro di lui. Hook e Killian: sempre in guerra fra loro. Killian pregava di uscire, di tornare a vivere davvero come aveva fatto prima dell'incontro con il Coccodrillo ma Hook era troppo forte. La verità era che provare odio e rancore risultava più semplice.
“Sei felice che io sia sana e salva!” esclamò la rossa con un sorriso ancora più divertito e convinto per ciò che aveva appena detto.
“Mi sarebbe solo dispiaciuto perdere uno dei miei” rispose lui con tono sardonico. Non riusciva ad ammettere nemmeno a se stesso la verità che quella ragazza gli stava sbattendo in faccia. [a capo] Per lui era così. Non confessava mai i propri sentimenti e le proprie paure, principalmente perché non si era mai piegato ad essi e non aveva certo intenzione di cominciare adesso.
“Certo” rispose lei con tono canzonatorio “Ti sarei mancata, nonostante tutto”.
Hook non rispose e si limitò a roteare gli occhi, mentre lei continuava a sorridere soddisfatta. Lo sguardo di lei cadde sul suo braccio destro: aveva la manica della camicia sollevata ed il tatuaggio era in bella vista. Lei lo guardò e aprì leggermente la bocca come per parlare.
“Chi è Milah?” chiese con tono basso. Ariel aveva già notato quel tatuaggio ma non aveva certo avuto modo di chiedere qualcosa al riguardo, e forse quel momento non sarebbe tornato.
“Qualcuno del mio passato” rispose lui abbassando gli occhi e voltandosi per riporre il rum “Sono venuto qui per trovare un modo per vendicarmi”. L'evidenza colpì Ariel come uno schiaffo in pieno viso, non aveva la forza né il desiderio di rispondere o fare altre domande, quindi si limitò a tenere gli occhi bassi fissando il legno. Tuttavia, rifletté su un particolare: Hook proveniva da un altro luogo...non era sempre stato all'Isola che non c'è.
Intanto, Hook cominciò ad armeggiare con una piccola sacca che teneva legata alla cintura, prendendo qualcosa. Ariel lo osservava senza dire nulla, chiedendosi cosa stesse facendo. Dalla sacca, l'uomo estrasse un oggetto minuscolo. La giovane lo osservò meglio, cercando di capire di cosa si trattasse e sgranò gli occhi quando realizzò cosa Hook avesse preso: un fagiolo.
“Questo” cominciò il capitano tenendo il fagiolo tra le dita all'altezza della fronte di Ariel “è un fagiolo magico. Ne ho usato uno per venire qui”. Ariel continuava ad ascoltarlo, rapita dalle sue parole e ricordando ciò che le aveva detto anche Bae la notte che lo aveva liberato.
La malinconia cominciò a manifestarsi nello sguardo di Hook, mentre Ariel si chiedeva cosa gli fosse successo di così triste.
“Ne ho rubato uno per poter tornare indietro nel nostro mondo...mio e dei miei uomini” continuò osservando il fagiolo che aveva tra le mani “Sai, se un giorno tornassimo indietro...” pronunciò questa frase con una lieve esitazione, come si stesse rendendo conto in quel momento di ciò che stava per dire “potresti venire con noi, invece di restare qui”.
Il viso di Ariel si allargò in un luminoso sorriso, mentre Hook continuava ad osservarla, quasi estasiato dal suo sorriso.
“Sarebbe davvero bello” disse in tutta onestà “E' proprio vero che sei felice che io sia qui!” aggiunse poi sorridendo e sperando di non aver tirato troppo la corda.
Hook sospirò, rassegnato alla convinzione della ragazza “Diciamo che non sono scontento!” esclamò poi con un ghigno “Allora che cosa ne pensi, Marina?”.
Ariel si alzò in piedi, continuando a sorridergli evidentemente felice come mai era stata fino ad allora. Lo avrebbe abbracciato volentieri, grata per la proposta che le aveva fatto, ma decise di non farsi prendere troppo dalla gioia che provava in quel momento.
Lo guardò con dolcezza “Ne sarei felice”.
 

Note:
- eccomi con il quinto capitolo. Personalmente scrivere i primi capitoli per me è sempre un'agonia perchè non sei ancora al “centro” della storia quindi cerchi di ideare una serie di eventi che siano collegati ed abbiano senso con quello che poi deve accadere u.u in questo capitolo ho “cercato” (non so con quale risultato) di far compiere ad Ariel una sorta di viaggio interiore per cercare di capire meglio chi sia e cosa desideri;
- (*) tutti coloro che hanno letto Peter Pan sapranno sicuramente che è stato scritto da James Barrie. Ho deciso di mettere un villaggio che portasse il suo nome perchè così mi ha detto la testa u.u no dai era per inserire un luogo in cui potessero fare rifornimento anche se a Neverland non mi risulta ci siano villaggi u.u;
- guardare un pò chi c'è...Pocahontas! Lo so, come sorella di Giglio Tigrato suona alquanto ridicolo ma all'inizio non era prevista. Volevo mettere una semplice donna indiana di età avanzata che facesse da "guida" ad Ariel poi mentre scrivevo ho pensato di mettere lei (come quella che nel film ei Simpson aiuta Homer u.u) e spero che non faccia ridere l'idea xD;
- (**) frase tratta proprio dal cartone disney "Pocahontas" precisamente quando impedisce a suo padre di uccidere John Smith :3.
Per quanto riguarda Hook il suo interesse per Ariel/Marina sta evolvendo piano piano senza che se ne renda conto, speriamo bene u.u Ok, non mi sembra ci siano altre precisazioni da fare. Un grazie di dimensioni sconfinate a PoisonIvy_ che sta betando la storia, se pubblicassi certe cose prima del suo betaggio...non voglio neanche immaginare xD. Spero che vi sia piaciuto, commentate in tanti (se vi va u.u)...detto questo, vi saluto. Alla prossima spero.
Un abbraccio :*

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Capitolo 6
*** It's a end, not a beginning ***


VI

It's a end, not a beginning

 
I'm dead in the water, still looking for ya.
I'm dead in the water. Can't you see, can't you see?”.
(Dead in the water-Ellie Goulding)
 

 
“Sii forte, Ariel” esclamò baciandole la fronte.
Questa era stata l'ultima frase che sua madre aveva avuto modo di dirle, prima che le capitasse qualcosa di terribile, qualcosa che nemmeno suo padre, a distanza di anni, era riuscito a superare.
La morte di sua madre aveva lasciato un vuoto incolmabile nel cuore di tutti. Ariel avrebbe voluto con tutta se stessa avere più ricordi di lei ma era soltanto una bambina allora e a stento ricordava il suo viso. Ariel riusciva a vederla. Stava certamente sognando ma non poteva esserci sogno più dolce. Le accarezzava dolcemente il viso, ripetendole quanto fosse cresciuta e che ormai era diventata una donna bellissima. Ariel allungò una mano cercando di sfiorarle il viso ma nel momento esatto in cui si avvicinò a lei, la figura di sua madre cominciò a sgretolarsi tra le sue mani.
Era come se fosse fatta di sabbia. Poteva sentirne la consistenza tra le mani.
Ariel provò a chiamarla ma non riusciva a parlare. Si portò le mani alla gola, terrorizzata, e per quanto si sforzasse non riusciva a proferire parola: era una sensazione orribile. Sperava con tutto il cuore che fosse un sogno, nonostante sembrasse così reale da far paura. Continuava a cercare di parlare, ma invano. Guardò dinanzi a sé e vide Pocahontas, immobile. Non parlava ma aveva alzato il braccio indicando qualcosa alle sue spalle. Ariel si voltò e vide soltanto l'oceano. Cosa stava cercando di dirle? Intanto, la gola prese a bruciarle: si sentiva come se stesse andando a fuoco, letteralmente.
Si accasciò a terra, consumata dal dolore che stava provando, e tentando disperatamente di urlare con tutta la forza che aveva in corpo ma non ci riusciva. Una voce familiare la chiamava ma lei non era in grado di rispondere.
“Marina, svegliati!”.
Ariel si alzò in piedi, guardandosi attorno e cercando di dare un volto a quella voce. Non appena si rimise in piedi, sentì le gambe cederle, accasciandosi nuovamente a terra: le sue gambe erano sparite...era tornata ad essere una sirena.
“Marina!”.
Ariel aprì gli occhi, terrorizzata. Stava sudando freddo e respirava velocemente, guardandosi intorno come se non sapesse dove si trovava in quel momento.
Il suo sguardo si fermò su colui che aveva davanti: Killian. Sul suo viso c'era una nota alquanto evidente di preoccupazione ma non appena la vide aprire gli occhi la sua espressione divenne più tranquilla e le sue labbra si distesero in un sorriso appena accennato.
“Stai bene?” domandò cauto.
Ariel riuscì soltanto a fare un cenno con la testa, si sentiva ancora troppo frastornata per riuscire a mettere insieme una frase di senso compiuto. Era a terra, sul ponte della Jolly Roger e di fronte alla porta della cabina di Hook. Doveva essere svenuta. Cercò di rimettersi a sedere ma non appena tentò di farlo, un dolore lancinante alla testa la invase, contorcendo il suo viso in una smorfia di dolore, che non sfuggì al capitano.
La mano di Hook le sfiorò leggermente la fronte, facendole segno di non sforzarsi.
“Sei pallida e hai anche la fronte calda” constatò lui con voce turbata, “Forse hai la febbre”.
La ragazza non aveva ascoltato nemmeno una parola di ciò che aveva detto, continuava a cercare di realizzare se fosse effettivamente sveglia oppure no. Si portò una mano alla gola e si sgranchì la voce, per capire se fosse in grado di parlare, poi portò la stessa mano sulle sue gambe: tirò un sospiro di sollievo quando realizzò di non avere la coda.
Hook l'aveva seguita in ogni suo movimento, osservandola crucciato.
“Marina” la richiamò con tono placido, “Stai bene?”.
Ariel si voltò verso di lui, guardandolo nei suoi occhi blu...le ricordavano la sua casa: l'oceano.
“S-sì” balbettò lei, “sarà stata la stanchezza”.
“Sì, sei svenuta” aggiunse osservandola, “Sarà meglio che tu stia a riposo, d'accordo?”.
“Buona idea” rispose la ragazza, riprovando ad alzarsi.
Hook la fermò subito “Stai ferma!”, esclamò con voce decisa. Senza darle il tempo di ribattere la prese di peso e la portò nella sua stanza, adagiandola sul letto: quella scena le ricordava il primo giorno in cui era stata sulla nave, poiché era successa quasi la stessa cosa.
“Adesso fai il gentiluomo, capitano?” domandò lei con voce debole ma con una punta di ironia abbastanza evidente da far sorridere Hook.
“Tesoro” cominciò lui con tono blando e abbassando il viso su di lei, “mi stai facendo prendere un po' troppo spavento in questi giorni, non trovi?”.
Ariel gli rivolse un sorriso scherzoso “Sono contenta di essere sempre al centro dei tuoi pensieri”.
Il capitano sospirò pesantemente, “Cerca di riposare, invece di darmi ogni tipo di seccatura! E poi io sono sempre un gentiluomo”. Detto questo, uscì dalla sua stanza, lasciando la ragazza sola con i suoi pensieri.
Ariel si portò una mano alla testa, ancora dolorante. Cosa diamine le era successo?
Hook ormai era convinto su quale sarebbe stato il suo prossimo obiettivo: lasciare l'isola. Ora che aveva trovato il fagiolo, andarsene sarebbe stato un gioco da ragazzi. La cosa che più lo entusiasmava, anche se non l'avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, era che la ragazza sarebbe tornata insieme a loro. Si chiese se la sua presenza non lo stesse rendendo un rammollito. Scosse immediatamente la testa. Oramai si era affezionato alla sua presenza, come anche gli altri membri della nave, ma questo non voleva certo indicare che aveva dimenticato Milah e la sua vendetta. Sarebbe tornato indietro, e sarebbe arrivato all'Oscuro. Ripensava spesso e volentieri alla scena di lui che lo uccideva con il suo pugnale o che gli strappava il cuore, cosa che probabilmente non avrebbe funzionato. Tuttavia, Killian Jones avrebbe venduto l'anima pur di poterlo uccidere nello stesso modo in cui aveva ucciso Milah: strappando il suo cuore nero come il carbone.
“Allora...abbiamo una rotta?”.
Hook si voltò verso Grimsby, che dopo l'assalto all'Isola del teschio aveva ben capito le intenzioni del suo capitano.
“Direi proprio di sì”, rispose rigirando il fagiolo tra le sue mani, dopodiché si voltò ad osservare tutta la sua ciurma sul ponte. “Domani mattina si torna a casa!”.
Dalla nave si levarono un insieme di risate e grida felici. Da un lato, Hook si sentì quasi dispiaciuto per averli costretti a seguirlo in quella folle impresa, ma adesso sarebbero tornati indietro.
Cominciò ad immaginare lo stupore di Ariel nel vedere quel mondo completamente nuovo che lui le avrebbe mostrato, sicuramente molto più grande dell'Isola.
Vivere all'Isola che non c'è, per lui, era stato un po' come trovarsi in un'ampolla di vetro: era come imprigionato. Non poteva invecchiare, ma che vita c'era lì? Non ce ne era per lui ed i suoi uomini che erano adulti e per i bambini era anche peggio.
Era tutto divertimento per loro, ma la notte cominciavano a sentire la mancanza dei loro genitori, che avevano abbandonato perchè erano troppo presi dal desiderio di non crescere. Il loro mondo era diverso, anche se ugualmente pericoloso, e certamente Ariel non avrebbe tardato a mettersi nei guai, come era solita fare da quando era piombata nella sua vita.
Con l'arrivo della sera, Hook controllò gli ultimi preparativi per poi recarsi sul ponte principale. Potevano usare il fagiolo in qualsiasi momento, ma lui voleva godersi l'ultima vista del luogo in cui aveva trascorso parte della sua vita. Osservò l'isola in lontananza, la cui cima era avvolta da qualche nube: vedeva il fumo proveniente dall'accampamento indiano e si chiese cosa poteva aver spinto gli indiani a liberare Ariel. Dopo essersi concesso la visione di quel panorama notturno, si recò nella sua stanza, chiedendosi se la ragazza stesse meglio. La trovò seduta sul letto a gambe incrociate, che si mordeva nervosamente il labbro e giocherellava con una ciocca di capelli rossi, con lo sguardo perso a fissare un punto indefinito della stanza. La luce della stanza le illuminava il viso: era bella da togliere il fiato.
Gli sembrava così strano che non l'avesse trattata come le altre donne con cui aveva avuto a che fare prima di allora; non che non ci avesse pensato, ma in cuor suo sentiva che lei era decisamente diversa dal tipo di donne che aveva conosciuto.
Non appena si accorse della sua presenza, Ariel sussultò.
"Mi aspettavi?" domandò lui sorridente.
Ariel gli fece una smorfia di disapprovazione, avendo colto la sua solita ironia, e scosse la testa. Non appena vide che Hook aveva iniziato a slacciare il gilet rosso, si alzò subito dal letto, voltando le spalle. Lui rise per l'evidente imbarazzo di lei.
"Puoi anche guardare, non mi dispiace". La sua voce era divertita.
Ariel non rispose, e si limitò ad incrociare le braccia al petto, in attesa che lui finisse.
"Ecco fatto", esclamò ad un tratto lui.
"Vado subito via", rispose lei, e fece per voltarsi, ma non appena si girò, si accorse che Hook aveva messo delle coperte e un cuscino a terra, vicino al letto, e vi si era steso.
Ariel lo guardò interdetta, "Cosa fai?".
"Mi metto a dormire", rispose lui con espressione ovvia.
La ragazza lasciò cadere le braccia lungo i fianchi.
"Lo vedo", rispose stizzita. "Perchè dormi a terra?".
"Per lasciarti il letto, ci hai dormito tutta la mattina, tanto vale lasciartelo", rispose lui stiracchiandosi. "Scommetto che è più comodo del tuo".
Ariel rimase sorpresa."Grazie", mormorò, "Non era necessario".
"Stai dicendo che preferisci che ti faccia compagnia?", le propose guardandola sorridente.
"Davvero divertente", rispose lei canzonandolo.
"Dormi così?" domandò Hook mettendosi a sedere e facendole notare che portava ancora i vestiti.
Ariel arrossì leggermente e si diede della stupida per non essersene accorta prima, dato che aveva la camicia da notte nella sua cabina
"Non andare in panico, dolcezza" esclamò lui, con voce garbata. "Puoi anche prendere la mia camicia, non mi offendo...e non sbircio, tranquilla".
Ariel si assicurò che fosse steso ai piedi del letto e si cambiò velocemente, nascondendosi dietro l'armadio in modo che lui non avesse modo di vedere. Intanto, Hook faceva di tutto per non alzarsi e guardare. Scosse la testa velocemente, dandosi un colpetto sulla fronte, anche se la curiosità era molta.
La sentì mettersi sotto le coperte, e poi la vide: si era praticamente avvolta nelle coperte, raggomitolata, per poi spostarsi sul bordo del letto, così da poterlo vedere disteso a terra.
Il capitano scoppiò a ridere, come non faceva da molto: la scena di lei che spuntava dal bordo del letto, avvolta nelle coperte quasi fino alla testa, gli era sembrata davvero buffa e non riuscì a trattenersi dalle risate.
"Stai ridendo di me?" domandò lei offesa.
"Perdonami, ragazzina", rispose lui tornando serio "ma eri decisamente buffa".
Ariel imitò la sua risata, prendendolo in giro, poi tornò seria.
"Ho sentito che domani si parte" affermò guardandolo.
"Così sembra" rispose lui, mettendo le mani dietro la testa e osservandola dal basso.
"Come mai sei venuto qui...di preciso?" domandò Ariel, curiosa.
Hook trasse un lungo sospiro. Ormai una "parte" della storia gliel'aveva raccontata, e forse informarla dell'altra non sembrava un'idea così cattiva. Tuttavia, non era ancora del tutto convinto: era giusto metterla a corrente del fatto che una volta tornati, lui avrebbe fatto di tutto per uccidere una persona? Decise che per quello era ancora troppo presto.
"Te l'ho detto", rispose lui vago, "Per trovare un modo per vendicarmi. Tu perchè hai chiesto di rimanere a bordo?", domandò cambiando argomento.
Ariel rise. Lui avrebbe fatto di tutto pur di spostare l'attenzione su qualcosa che non gli riguardasse.
"Io e mio padre avevamo idee contrastanti sul mio stile di vita", rispose la ragazza, cercando di non far trapelare troppe informazioni.
Hook si voltò subito a guardarla, incuriosito.
"Voleva obbligarti a sposare qualcuno che non amavi?", chiese di getto.
Ariel lo fissò attonita. "No, come ti viene in mente?".
"Ehi, ho solo avanzato un ipotesi", rispose lui tornando a guardare il soffitto. "Eri innamorata?", domandò senza nemmeno rendersi conto di cose le aveva chiesto.
"No", rispose lei in un sussurro e affondando il mento nel cuscino, come se sperasse che quella conversazione non stesse avvenendo davvero. Non che non volesse averne una con lui, ma quell'argomento la metteva palesemente in difficoltà e sperava che lui non se ne accorgesse.
"Lo sarai un giorno", rispose lui con voce quasi affettuosa, provocando l'interesse di Ariel. "Ti renderai conto di avere qualcuno, che ti capisce, che ti desidera, che vede in te una versione migliore di te stesso, è il dono più grande di tutti". La sua voce aveva assunto un tono malinconico.
Ariel lo guardava: i suoi occhi azzurri erano persi ad osservare il soffitto.
"Eri innamorato". Non era una domanda.
"Cosa te lo fa pensare?" domandò lui, fissandola.
"Non sono mica nata ieri, sai?" rispose lei di rimando.
"Sei piuttosto perspicace per non essere mai stata innamorata" (1), esclamò lui con tono evidentemente derisorio, come se l'avesse smascherata.
"Forse", rispose la rossa in un bisbiglio. Continuava a tenere gli occhi verdi fissi nei suoi. Una mano le penzolava dal letto, non molto lontana da Hook.
Il capitano osservava i contorni delle dita bianche e affusolate. Non capiva il motivo ma il suo desiderio primario fu quello di stringerle. Sapeva soltanto che quella ragazza aveva uno strano effetto su di lui: lo faceva sentire vivo, come se fosse ancora ricco di speranze, come se il Coccodrillo non fosse mai entrato nella sua vita. Senza pensare minimamente a ciò che stava facendo, intrecciò la mano destra con la sua e lei la strinse, con lo sguardo sorpreso e lievemente spaventato. Non esisteva forse momento più bello per due persone: le loro mani erano intrecciate, sembrava quasi che si stessero entrambi affacciando su un mare di possibilità. Hook si sollevò e si protese verso di lei, trovandosi ad un centimetro dal suo viso.
La ragazza inspirò profondamente e gli portò una mano al petto.
Hook sentiva il suo respiro sulle labbra. Era una bella sensazione averla così vicina e così stretta a lui: era come se non fossero più in grado di staccarsi. Aveva dimenticato cosa significava avere una donna fra le braccia. Sicuramente Milah non era stata l'ultima donna con cui aveva avuto a che fare, ma era stata l'ultima per cui aveva provato qualcosa di più profondo.
Ariel continuava a guardarlo, sospirando, poi si abbassò leggermente sulle sue labbra, mentre lui le prese il viso con dolcezza. Continuavano a cercarsi con le labbra, come se nessuno dei due avesse il coraggio di farsi avanti e annullare le distanze.
Hook decise di farsi coraggio, sollevandosi maggiormente, e la baciò, portandole un braccio intorno alla vita. C'era qualcosa in quel bacio che lo stava lasciando tramortito: era come se il sangue fosse arrivato al cuore in grandi quantità, lo sentiva battere come non mai. Sentiva l'effetto del suo bacio...come se lei lo stesse riportando alla vita. La verità era che lei poteva cambiarlo, poteva riportare una piccola luce in lui, rendendolo vivo come mai prima di allora.
Dopo tanto tempo, per la prima volta sentiva qualcosa: la sentiva nelle vene, sentiva il suo sorriso mentre lo baciava, sentiva le sue mani dietro la nuca.
"Marina", sussurrò il suo nome non appena si staccò da lei per un breve lasso di tempo. La vide sorridere, come se non aspettasse altro.
D'un tratto il pensiero di Milah gli attraversò la mente: si sentiva come se lei lo stesse osservando da lontano. Si alzò di scatto, lasciando la ragazza sorpresa e confusa con una mano sospesa a mezz'aria. Guardava Hook con aria preoccupata: lo sguardo di lui era perso, come se si fosse appena svegliato da un incubo.
"Devo uscire" esclamò velocemente, senza nemmeno guardarla negli occhi.
Corse fuori sul ponte principale, per prendere aria. Aveva davvero baciato quella ragazza? Aveva davvero sentito qualcosa nel farlo? Hook stentava a crederci. Era stato bello...fin quando il viso di Milah non era apparso nei suoi sentimenti, come a sollevare il suo senso di colpa. Si appoggiò al timone, sedendosi per terra, cercando di calmarsi e prendere fiato più che poteva. Cosa gli stava succedendo? Stava dimenticando la sua vendetta? Mentre la baciava, non era esistito nulla. Persino Tremotino sembrava un ricordo lontano.
D'altronde, Milah avrebbe desiderato che lui fosse felice dopo la sua morte. Non lo avrebbe mai spinto a fare ciò che stava facendo da quando Tremotino le aveva distrutto il cuore davanti ai suoi occhi. Forse si stava comportando da stolto. Forse quella ragazza era la sua occasione per andare ben oltre la vendetta e la rabbia. Forse era il suo lieto fine.
Sorrise a quel pensiero tanto assurdo quanto bello. Si alzò, così da poter tornare da lei.
Non appena si voltò, rimase sorpreso nel trovare davanti a sè una donna che non aveva mai visto in vita sua: era bella e anche un pò inquietante, soprattutto per il modo in cui lo fissava.
“E voi chi sareste?” domandò portando la mano al fianco, per poi accorgersi di non essere armato.
La donna rise, mostrando i denti bianchi, circondati da labbra rosse come il sangue. Portava un vestito nero molto elegante: non aveva l'aspetto di una donna qualunque, era certamente una nobile.
“Buonasera, capitano” esclamò con un ghigno, avvicinandosi a lui.
“Ripeto: chi siete?” domandò Hook con un tono di rabbia nella voce. Odiava questi giochetti.
“Non importa chi sono”, rispose lei incrociando le braccia al petto, “ma cosa ho da offrirvi”.
Hook la guardò alzando un sopracciglio.
La donna si inumidì le labbra per poi riprendere a parlare, “Vendetta.” sussurrò al suo orecchio.
Il capitano rizzò la schiena. Il suo sguardo si fece più cupo e più interessato. Era come se Hook dentro di lui si fosse “risvegliato”, mettendo Killian da parte.
“Vendetta contro Tremotino” precisò la donna, senza staccarsi da lui, e scandendo ogni parola.
Hook rimase come paralizzato: quella donna sbucata dal nulla gli stava offrendo la sua occasione di vendicarsi proprio dopo che aveva quasi deciso di metterla da parte. Il destino faceva brutti scherzi.
“Io posso aiutarvi ad ucciderlo, se voi decidete di unire le vostre forze con le mie”.
La donna si allontanò da lui, continuando a fissarlo, “Qualche problema?” domandò.
“Come?” chiese lui con voce ferma.
“Per i dettagli vi informerò quando sarete tornato nel nostro mondo” rispose lei divertita.
Hook non sembrava ancora deciso, e alla donna non sfuggì.
“Cosa vi trattiene?” chiese con un sorriso quasi crudele, “La bella ragazza dai capelli rossi che vive sulla vostra nave?”. Il suo tono era derisorio.
“Non c'è nulla che mi trattiene!” rispose lui con voce rabbiosa.
“Sarebbe comprensibile.” esclamò lei guardandolo con espressione suadente, “Capisco il fascino”. Cercò di portargli una mano al petto ma Hook le bloccò immediatamente la mano con l'uncino.
La donna rise nuovamente. C'era qualcosa di maligno in lei.
“Mi aspetto di rivederla, capitano” rispose lei, allontanandosi, “Quando tornerete nel nostro mondo, recatevi pure da me: Regina”.
Hook si voltò, seguendola con lo sguardo, e vide che c'era qualcun altro insieme a lei: un uomo con in mano un cappello. Il capitano rimase di sasso non appena quest'ultimo agitò il cappello, permettendo a lui e alla donna di sparire in un vortice di luce. Si diede qualche colpetto alla testa per assicurarsi che fosse sveglio e non stesse sognando. Voleva riflettere su quanto fosse accaduto ma c'era davvero poco su cui riflettere: probabilmente sarebbe andato a far visita a quella donna molto presto. Per un secondo si odiò per la sua decisione, ma al capitano bastava sentire le parole “Tremotino” e “vendetta” messe insieme per fargli dimenticare qualsiasi cosa.
Il mattino dopo, Hook era fermo sul ponte a guardare il mare, rigirando il fagiolo fra le mani. Decise di non stare troppo a rimuginare e lo rimise nella sacca che portava alla cintura. Quando era tornato nella stanza la notte prima, Ariel si era completamente addormentata, e lui aveva deciso di non disturbarla, così si era rimesso a terra: non aveva chiuso occhio tutta la notte. Alle prime luci del mattino, si era vestito, facendo attenzione a non svegliare Ariel e si era recato fuori, sul ponte principale. I suoi uomini ormai erano pronti a partire, doveva soltanto lanciare il fagiolo in mare ma c'era qualcosa che lo tratteneva in effetti: voleva dire ad Ariel la verità, voleva informarla su cosa aveva intenzione di fare una volta tornato indietro.
La ragazza uscì dalla stanza, stiracchiandosi, e osservando il panorama intorno a lei. Lo vide e gli si avvicinò titubante ed evidentemente imbarazzata per la sera precedente.
“Killian, i-io...”, il suo tono era timido, come se volesse scusarsi.
Hook la fermò, prendendole una mano.
“Marina”, cominciò guardandola negli occhi, “tra poco partiremo”.
“Lo so” rispose lei con un sorriso calmo.
“Ascolta, quando torneremo...c'è una cosa che dovrò fare” esclamò lui convinto, mentre lei continuava ad osservarlo con gli occhi pieni di curiosità, come se pensasse che ciò che doveva fare non avesse nulla a che vedere con un omicidio.
“Cosa?” domandò.
“Vendicarmi” rispose il capitano con voce ferma e decisa.
“Come?”, la voce della ragazza iniziava a diventare vagamente sospettosa.
“Uccidendo colui che mi ha portato via la mano...e l'amore”, esclamò lasciando cadere lo sguardo sul suo uncino, e una lieve rabbia gli attraversò l'animo.
“Killian”, cominciò lei con voce compassionevole, “la vendetta non ti renderà felice”.
Ariel sapeva quanto la vendetta lo avrebbe reso soltanto più vuoto e solo di quanto non fosse già.
“Puoi ricominciare a vivere”, continuò come se la sua fosse una supplica.
Hook si allontanò leggermente da lei. La sua espressione era diventata oscura, le labbra erano serrate e gli occhi ridotti a due fessure. La ragazza allungò una mano verso di lui, prendendogli l'uncino, e avvicinandolo a sé, all'altezza del cuore: lo guardava in modo implorante.
“Che scena stucchevole”.
Il capitano si girò di scatto, parandosi davanti ad Ariel, mentre tutti gli altri uomini avevano sguainato le spade, pronti a combattere. Regina li fissava con un ghigno divertito, alle sue spalle c'era di nuovo l'uomo con il cappello.
“Allora avevo ragione a pensare che qualcuno vi stesse trattenendo” constatò guardandosi le unghie.
Ariel era terrorizzata alle sue spalle: quella donna non le sembrava molto amichevole.
“Pensavo fossi andata via”, esclamò Hook alzando l'uncino a mezz'aria.
“Volevo soltanto assicurarmi che non faceste sciocchezze” rispose con pungente ironia.
“Non è un tuo problema, lasciaci in pace” rispose lui avanzando leggermente.
Regina scoppiò in una forte risata, che aveva una leggera nota di sadismo.
“Capitano, mettereste da parte la vostra vendetta per lei?” chiese con evidente sarcasmo.
Hook non le badò e si voltò verso Ariel, prendendole le mani.
“Marina, io devo fare questa cosa” esclamò con voce risoluta, “Ti prego, resta con me. Dopo che l'avrò ucciso, potremmo vivere una vita nuova”.
La sua espressione era disperata, come se fosse un naufrago in cerca di un'isola.
Ariel cominciò a sentire le lacrime invaderle gli occhi. Lei doveva guarirlo, non alimentare la sua oscurità. Pocahontas aveva detto che poteva aiutarlo, ma di certo non gli sarebbe stata accanto mentre cercava di uccidere un uomo.
“Credimi, Killian, è la cosa che desidero di più” rispose lei con voce rotta, “ma so che tu non diventerai mai la persona che io spero”. Ariel si allontanò da lui.
“Posso cambiare...per te. Lo sto già facendo” rispose lui, cercando di avvicinarla di nuovo.
“No, non è vero”, esclamò la ragazza con un sorriso amaro.
“Marina...”, sussurrò piano. “Non deve finire così. Puoi venire con noi...basta dirmi che lo vuoi”.
“Le tue sono solo parole, perchè ti importa soltanto di te stesso. Sei e resterai sempre Hook”.
Ariel lo spinse indietro: il suo viso era contratto in una smorfia e gli occhi pieni di lacrime (2).
“Forse non voglio essere più Hook”.
“Sappiamo entrambi che non è così”.
Hook si allontanò da lei, consapevole del fatto che non lo avrebbe seguito.
“Io voglio che tu stia con me”, continuò lui con sguardo malinconico.
“Anche io...ma non in questo modo”, rispose la ragazza scuotendo il capo.
Regina, intanto, aveva alzato gli occhi al cielo in una smorfia annoiata.
“Vi state struggendo tanto per una donna che vi ha mentito?” intervenne la donna, facendo voltare sia Hook che Ariel, e sul viso di quest'ultima la preoccupazione era evidente.
“Cosa?” domando Hook, sconcertato.
Regina, stanca di parlare, roteò gli occhi e fece un gesto veloce con la mano.
Ariel cadde a terra, avvolta da una nube di fumo viola, incapace di muoversi, e quando guardò le sue gambe, per poco non si sentì male: era tornata una sirena, e quella donna sapeva che lo era.
Hook la osservava: il suo sguardo era indecifrabile, sembrava confuso e spaventato quasi.
“In cosa l'hai trasformata?” ringhiò, avanzando verso Regina, che in tutta risposta sembrava che si stesse godendo un gran bello spettacolo.
“L'ho solo riportata alla sua forma originale, nulla di più”, esclamò la donna con tono innocente.
“Forma originale?”. Lo sguardo si Hook sfrecciava da lei a Regina. “Marina?”.
“Marina? Nome appropriato, ma falso”, continuò Regina, senza guardarli.
Ariel abbassò lo sguardo. Non avrebbe mai pensato che la verità un giorno sarebbe venuta fuori, ma forse era proprio ciò che Pocahontas aveva cercato di dirle.
Tu appartieni all'oceano, anche se hai le gambe continuerai ad appartenere ad esso, per sempre. Non esiste magia in grado di cambiare questa cosa, rammenta”.
La frase della ragazza, insieme al sogno che aveva fatto il giorno prima, rimetteva insieme i pezzi.
Ariel si voltò verso Hook, ormai non poteva nascondergli più nulla.
“E' tutto vero”, esclamò facendo voltare il capitano “Il mio nome è Ariel, non Marina”.
“Tu...tu mi hai mentito. Mi hai mentito su di te, sul tuo nome”.
La sua voce era chiaramente offesa, sembrava che facesse fatica a crederci.
“Sono sempre io”, intervenne lei, “Guardami, Killian...sono io”.
“Perchè mi hai mentito?”.
“Non potevo dirti la verità su di me, mi dispiace”.
Lo sguardo di Hook cadde sul suo collo e vide che portava una collana che lui aveva perso qualche tempo fa. Come faceva ad averla? L'ennesima risata di Regina lo fece distrarre. La guardò scomparire, esattamente come aveva fatto la sera prima. Anche se non la conosceva, già odiava quella donna: faceva guai e poi fuggiva.
Hook tornò ad osservare Ariel. Era arrabbiato. Si sentiva tradito e preso in giro. Erano bastati pochi secondi per annullare tutto ciò che aveva condiviso con quella ragazza: gli aveva mentito sul suo nome e sulla sua vera natura, indossando una maschera.
Senza guardarla, si girò verso Flynn. “Gettala in mare”.
La sua voce era fredda, completamente diversa da quella che Ariel aveva sentito prima.
Flynn si avvicinò ad Ariel e si voltò verso Hook, come se sperasse che annullasse l'ordine, ma il capitano non sembrava intenzionato a farlo, così prese in braccio la ragazza.
“Mi dispiace, Ariel”, le sussurrò sottovoce.
“Non mi lascerai andare!”, esclamò Ariel, guardando Hook da dietro la spalla di Flynn.
“Perchè non dovrei?”, domandò lui allargando le braccia.
“Tu sei un codardo, Killian Jones!”. La voce di Ariel era piena di rancore. “Nel tuo cuore, non c'è spazio per l'amore ma solo per la vendetta, e quando l'avrai ottenuta, non avrai più nulla da bramare...la tua vita sarà vuota, così come il tuo cuore. Sarà una fine, non un inizio!” (3).
Hook continuava a tenere lo sguardo basso, come avesse paura di incontrare i suoi occhi pieni di lacrime e di odio verso di lui. Voltò le spalle, avvicinandosi al timone. Non appena sentì il tonfo nell'acqua, chiuse leggermente gli occhi.
Ariel si sentiva persa e ferita. Il cuore era pieno di rabbia per quella donna e di dolore per ciò che Killian aveva appena fatto. Avvertiva un vuoto all'altezza del petto come se il cuore le fosse stato strappato. Si voltò, e vide la nave in superficie, poi un varco di luce viola si aprì nell'acqua: il portale. La nave stava avanzando verso esso, e Ariel sapeva che ormai non c'era più niente per lei all'isola. Se avesse attraversato il portale, avrebbe avuto modo di rifarsi una vita, anche se non sapeva di preciso come, ma l'avrebbe scoperto.
La sirena aspettò che la Jolly Roger iniziasse la sua traversata, dopodiché la seguì, senza indugiare ulteriormente: forse per lei non era ancora troppo tardi per ricominciare.


 
Note:
 
  • (1) frase tratta dalla puntata 2x06 “Talahassee”;
  • (2) questa scena si ispira leggermente a quella tra Bae ed Hook dell'ultima puntata;
  • (3) questa frase è tratta invece dalla 2x20 “The Evil Queen”, la dice Hook a Regina.

Dopo un po' di assenza, sono riuscita a pubblicare il sesto capitolo. Non sapevo se portare avanti o meno questa storia e vorrei dedicare questo capitolo a Pikky, perchè grazie alle sue recensioni confortanti, mi sono risollevata e ho deciso di continuarla :). Spero che non faccia troppo schifo, anche perchè questo capitolo è senza betaggio, quindi spero di non aver fatto troppi “orrori” (se li vedete, fatemeli presente xDD). Onestamente non so quale sia il risultato, dovete dirmelo voi :). Spero che vi sia piaciuto, se vi va lasciatemi un commento anche piccino piccino :3.
Alla prossima C:

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Capitolo 7
*** Carry me home ***


 
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VII

Carry me home

 
Tell me would you kill to save your life?
Tell me would you kill to prove you're right?
Crash, crash...burn, let it all burn.

This hurricane's chasing us all underground”.
(Hurricane – 30 seconds to Mars )

Ce l'aveva fatta. Era tornato a casa. Casa...che strano termine.
Poteva definire quel luogo come la sua casa? No, la Jolly Roger era la sua casa.
Ariel era la sua casa. No! Scosse la testa immediatamente.
Quella ragazza gli aveva mentito sul suo nome, sulla sua natura...adesso non aveva più valore ai suoi occhi, lo aveva soltanto preso in giro e non credeva di meritarlo.
Una sirena, dannazione.
Se la regina non l'avesse smascherata come sarebbe andata? Sarebbero tornati nella Foresta Incantata e probabilmente lui avrebbe messo da parte la sua vendetta contro Tremotino.
Stava davvero per farlo?
Per una ragazza che aveva conosciuto da così poco tempo: doveva davvero aver perso la testa.
Ovunque si voltasse, sentiva ancora il suo profumo, come se lei non se ne fosse mai andata. Poteva vederla ancora girare per la nave con quel bellissimo sorriso stampato sul viso.
Si sentiva ancora più vuoto di prima.
Ricordare il loro bacio era quasi doloroso: lo aveva reso completo per un breve lasso di tempo.
Se Regina non fosse arrivata, lui sarebbe tornato da lei nella sua cabina.
Le avrebbe preso il viso con la mano sana e l'avrebbe baciata per tutta la notte.
L'avrebbe cullata, abbracciata e chissà che altro.
Il senso di vuoto aumentava a quel pensiero. Cosa sarebbe rimasto del suo cuore? Per un secondo, desiderò che Tremotino lo avesse strappato a lui e non a Milah, così avrebbe smesso di fare pensieri assurdi e surreali.
Dopo che aveva fatto gettare Ariel in mare, la ciurma si era incupita, Flynn in particolare. Lo trattavano tutti con uno strano timore e sembrava che gli stessero quasi nascondendo i loro pensieri reali. Volevano forse fargli capire che aveva fatto uno sbaglio? No, lei gli aveva mentito e nulla giustificava quel suo gesto.
Tuttavia, non si fidava molto di quella donna, Regina, e per quanto lei lo avesse invitato a fargli visita, lui non aveva molta intenzione di farlo...non gliela contava giusta.
Grimsby lo richiamò alla realtà, chiedendogli dove si sarebbero diretti.
Già, come se lui lo sapesse.

Ce l'aveva fatta. Ariel aveva attraversato il portale e si era ritrovata, ovviamente, in mare.
In lontananza riuscì a vedere la Jolly Roger che avanzava distante da lei, per fortuna. Ora che era riuscita ad arrivare in questo mondo di cui Hook le aveva tanto parlato, era sola. Non c'era nessuno a tenerle la mano e a guidarla, cercando di insegnarle a cosa stava andando incontro: era completamente e tristemente sola. Sarebbe riuscita a sopravvivere?
Fin quando fosse stata in mare, forse sarebbe riuscita a cavarsela ma era questo che voleva?
Non aveva certo attraversato il portale per vivere ancora in acqua.
Sentì un dolore all'altezza del petto e vi si portò una mano.
Il suo era un senso di vuoto straziante, provocato dall'uomo che le aveva strappato il cuore, per poi romperlo in mille pezzi.
Sarebbe potuta andare con lui ma sarebbe stata soltanto una ridicola presa in giro, perchè Killian non sarebbe mai cambiato né aveva intenzione di farlo: sarebbe stato sempre Hook, l'uomo senza cuore...o meglio, l'uomo dal cuore completamente marcio.
La percezione del tempo era diversa nel luogo in cui si trovava.
Sembrava che fossero passate settimane dalla sera precedente: la sera in cui lei e Killian si erano baciati.
La ragazza non poteva fare a meno di ricordare quell'attimo così intenso in cui le loro labbra si erano incontrate dopo tanto cercarsi. Sembravano combaciare alla perfezione. In quel momento, il suo viso andava letteralmente a fuoco e non poteva sentirsi più completa.
Il suo bacio le aveva riempito l'animo...e il cuore.
Una lacrima silenziosa le rigò il viso e la ragazza l'asciugò rapidamente.
Scosse la testa, allontanando quei pensieri più che poteva.
L'unica cosa che in quel momento riusciva a distrarla era il desiderio di un paio di gambe e di una vita nuova.
“Serve aiuto, cara?”. Una voce sconosciuta le fece alzare il viso.
Una figura era ferma sulle rocce, poco lontana da lei. Era un uomo, ma c'era qualcosa di strano in lui.
“Cosa siete?”, domandò Ariel avvicinandosi cauta.
“Cosa sono?”, ripeté lui con tono offeso. “Mia cara, che brutta espressione!”.
“Chiedo scusa”, esclamò lei con tono sommesso. “Non so esattamente cosa sto facendo” (1).
“Lo vedo”, ribatté lui, guardandola con sguardo quasi comprensivo.
“Ad ogni modo io sono Tremotino, al vostro servizio”, concluse facendo un leggero inchino.
“Non credo che voi siate in grado di aiutarmi”, esclamò Ariel abbassando lo sguardo.
Il fatto che ci fosse un modo per tornare ad essere un'umana era alquanto improbabile.
“Perchè non provate a chiedermelo?”, domandò lui chinandosi leggermente su di lei.
La ragazza alzò il capo, leggermente speranzosa. “Io non sono proprio...umana”.
Tremotino fece una risatina divertita. “Lo so, e scommetto che vogliate un paio di gambe. Gambe per saltare, per danzare, per camminare sulla...come si dice? Ah, strada!” (2).
“Come fate a saperlo?” chiese lei, meravigliata.
“Non dovete chiedervi questo!” ribatté lui, incrociando le braccia al petto. “Chiedetevi piuttosto come posso farvi diventare umana”.
Ariel lo fissò interdetta, e poi una sola parola le venne in mente: magia. Solo con la magia poteva farla diventare umana, proprio come aveva fatto Bae la prima volta che l'aveva visto.
Sorrise inconsciamente, consapevole del fatto che il suo desiderio si sarebbe realizzato, ma poi si ritrovò a pensare che nessuno dava niente per niente. Quell'uomo avrebbe certamente chiesto qualcosa in cambio, altrimenti sarebbe stato fin troppo facile.
Ariel strabuzzò gli occhi. “Cosa volete in cambio?”, chiese timorosa.
“Solo che voi facciate qualcosa per me”, rispose lui stringendosi le mani, sorridente.
“Cioè?”, continuò Ariel, sperando che non fosse nulla di impossibile.
“Nelle profondità dell'oceano, c'è un calamaro gigante, dotato di un inchiostro magico di cui ho assolutamente bisogno”, concluse la frase accompagnandola con un risolino.
Alla ragazza non sembrò un'impresa titanica. Era una sirena e doveva semplicemente nuotare.
Se quello era il prezzo da pagare per avere un paio di gambe, non poteva certamente rifiutare.
“Abbiamo un accordo?”, domandò Tremotino, facendo caso alla sua incertezza.
“Affare fatto!”, rispose la ragazza, lanciandogli uno sguardo complice.

Belle.
Lei era la chiave per la sua vendetta, finalmente.
Hook era a conoscenza del punto debole del Coccodrillo e l'avrebbe usato a suo vantaggio.
Doveva sapere come ci si sentiva quando l'amore della tua vita ti viene tolto, o peggio, viene rivoltato contro di te. L'avrebbe usata, per ucciderlo. L'unica cosa che lo lasciava dubbioso era il fatto che questa Belle si trovasse prigioniera nel castello della regina, ma eludere le guardie non sarebbe stato un problema, permettendogli di liberare la ragazza, così da portarla con sé.
Decise di agire da solo. Ormai lo era completamente, poiché la sua ciurma gli stava accanto per inerzia.
Avevano perso lo spirito di avventura che li alimentava mentre erano sull'Isola.
Sembrava che con lei se ne fosse andato quel poco di vita che c'era sulla Jolly Roger.
Entrare nel castello fu stranamente semplice. Si sarebbe introdotto nella cella della ragazza, fingendo di portarle del cibo.
Nel caso fosse stato scoperto non avrebbe perso tempo ad uccidere chiunque cercasse di sbarrargli la strada, in un modo o nell'altro. Il punto a suo sfavore fu dato dal fatto che non era orario dei pasti, quindi dovette improvvisare. Quegli stupidi soldatini gli avevano dato dello schiavo, e questo gli bastò per mettergli al tappeto.
“Schiavo? Preferisco capitano”, disse togliendo le chiavi della cella ad uno di loro.
Aprì la porta della prigione con cautela, facendo attenzione a non fare troppo rumore, e, una volta aperta, si trovò dinanzi una delle donne più belle che avesse mai visto.
“Ciao. Immagino che voi siate Belle”.
Non sembrava in un ottimo stato di salute.
Era pallida, molto magra e gli occhi erano circondati da profonde occhiaie, ma questo non gli impediva di notare quanto fosse bella. Il Coccodrillo sapeva scegliersi bene le proprie donne, doveva ammetterlo.
La ragazza, come volevasi dimostrare, pensò subito a male, ipotizzando che lui fosse stato mandato dalla regina per ucciderla.
Non era vero, ma faceva bene a non fidarsi di lui, viste le intenzioni.
Si mostrò il più gentile possibile per far sì che lo vedesse di buon occhio, ma non appena parlò di Tremotino e del pugnale per ucciderlo, la ragazza sembrava non considerarlo affatto.
Sembrava che stesse già considerando errato o ridicolo ciò che lui stava dicendo: quasi come se lei “parteggiasse” per Tremotino. L'evidenza lo colpì pesantemente, facendogli capire che quella ragazza era completamente e fastidiosamente fedele al suo nemico, ergo non gli sarebbe servita proprio a niente.
“Allora, mi dispiace ma non sono qui per salvarvi”, esclamò con tono ovvio.
Colpì violentemente la ragazza.
“Così bella, così inutile”.
Per un secondo, provò pena per lei ma poi si ricordò che era la donna dell'Oscuro, quindi perchè avere pietà di lei quando per Milah non l'aveva avuta? Era inutile e meritava di morire.
Sollevò l'uncino in aria, pronto a conficcarlo nel petto della ragazza ma non appena cercò di scagliarsi su di lei, si accorse che era sparito.
“No, non inutile”.
Eccola lì. L'ultima persona che sperava di incontrare: Regina. Era bellissima e perfetta nel suo lungo vestito blu con un vertiginoso scollo sulla schiena. Non la ricordava così bella, o forse non lo aveva notato molto l'ultima volta, vista la presenza di qualcun altro a catturare la sua attenzione.
La donna stringeva il suo uncino fra le mani e non sembrava intenzionata a ridarglielo.
“Ci avete messo un po' per venire da me, capitano”, esclamò con tono offeso.
Lui non rispose e sperò che non gli scagliasse contro chissà quale incantesimo. Cominciò a girargli attorno, come se fosse una sua preda e come se stesse per saltargli al collo, tuttavia nei suoi occhi poteva ancora leggere le malvagie intenzioni che la caratterizzavano durante il loro primo incontro. Non si fidava di lei. Era chiaro.
Gli dava l'impressione di quel tipo di persona che si serviva di tante pedine, promettendo loro il mondo e poi privandole di ogni cosa. Eppure, non gli era rimasta altra scelta. Sapeva come sarebbe finito quell'incontro: con la loro alleanza.

Ariel aveva accontentato Tremotino, procurandogli ciò di cui aveva bisogno: l'inchiostro magico.
Onestamente, non le importava a cosa gli servisse e perchè.
Voleva soltanto ciò che le spettava: un paio di gambe e non vedeva l'ora di tornare ad essere un'umana.
Quella sensazione le mancava, la faceva sentire più vicina ad Hook.
Doveva essere davvero una stupida per fare quei pensieri: quell'uomo l'aveva gettata in mare, senza nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi e lei voleva ancora sentirlo vicino.
Aveva consegnato l'inchiostro a quello strano mago e lui, come promesso, le aveva donato le gambe, tuttavia, l'aveva avvertita che a contatto con l'acqua si sarebbe trasformata in sirena, ma a lei non importava. Qualunque cosa le sarebbe andata bene.
Ritrovare l'uso delle gambe, la fece sentire bene...calma e serena, come se potesse un attimo respirare e godersi un momento di assoluta tranquillità. Non sapeva dire con certezza assoluta quanti giorni fossero passati da allora, né sembrava interessarle.
Era diventata il fantasma di sé stessa. Andava avanti senza una ragione precisa e non per il gusto di farlo. Era sola e senza amore. Dopo essere tornata un'umana, si era addentrata nel bosco senza sapere dove stesse andando.
Quel luogo era completamente nuovo ma in qualche modo doveva pur iniziare.
Dopo un po' di tempo di cammino, si era imbattuta in un piccolo villaggio e in una ragazza: l'aveva trovata mentre cercava di rubare del cibo e senza darle addosso o altro, l'aveva semplicemente accolta e aiutata senza fare domande troppo invadenti (3). Ariel non poteva certo dirle di essere una sirena. Anche con questa ragazza stava iniziando un qualcosa costruito su una bugia, ma almeno le aveva detto il suo vero nome.
Lei si chiamava Red ed era la gentilezza fatta a persona.
Portava sempre un mantello rosso che non toglieva quasi mai, chissà per quale motivo.
A piccoli passi, Ariel aveva ripreso a vivere per quanto fosse ancora molto difficile.
Ogni giorno il suo pensiero andava ad Hook. Si chiedeva dove fosse e cosa stesse facendo, probabilmente si era recato da quella strega, così da ottenere la vendetta che tanto agognava.

Quante cose gli erano capitate da quando aveva fatto ritorno dall'Isola che non c'è?
Erano successe così tante cose che faceva quasi fatica a ricordarle. Si era trovato impigliato in una sgradevole situazione che lo vedeva coinvolto in un conflitto madre-figlia alquanto problematico.
Regina lo aveva incaricato di uccidere sua madre, Cora, poi quest'ultima lo aveva costretto a fare l'inverso, poi Cora, rendendosi conto che sua figlia le voleva ancora bene, aveva cambiato i suoi piani, decidendo di proteggerli dalla maledizione che stava per arrivare. Non aveva mai assistito ad una dinamica familiare così complessa.
Cora gli aveva accennato per sommi capi in cosa consisteva questa maledizione di sua figlia: avrebbe semplicemente trasportato tutti gli abitanti della Foresta Incantata in una nuova terra, dove nessuno avrebbe ricordato la sua vera identità, Tremotino compreso. Perchè non si era fatto colpire anche lui da quel sortilegio? Forse dimenticare chi fosse non sarebbe stato poi tanto male, almeno non sarebbe stato ossessionato dalla vendetta.
Vedeva un'enorme nube viola in lontananza, pronta ad abbattersi su di loro e non poteva dire che non fosse inquietante come scenario, visto l'accompagnamento di tuoni e fulmini.
Cora conficcò un bastone magico nel terreno, che andò a creare una barriera magica che avrebbe protetto una parte del regno: li avrebbe congelati per ventotto anni, ma a detta della strega, non se ne sarebbero nemmeno accorti.
“Questa maledizione...”, cominciò Hook, cauto. “Colpirà solo questo mondo?”.
La donna lo guardò, inclinando il capo con fare confuso e stendendo le labbra rosse in un sorriso.
“Siate più specifico, capitano”, rispose lei, incuriosita dalla sua domanda.
Hook sbuffò, non contento di dover dare spiegazioni: temeva che la donna intuisse il vero motivo della sua domanda e questo non doveva accadere.
Non poteva mostrare di avere ancora un punto debole, e non sapeva nemmeno se fosse corretto definirlo tale.
“Sappiamo che esistono altri mondi oltre questo”, rispose lui allargando le braccia. “Come il Paese delle Meraviglie, l'Isola che non c'è...saranno anche loro sotto la maledizione?”.
“Perchè volete saperlo?”, chiese con voce profonda.
“Curiosità”, rispose lui in tono vago.
“In realtà no”, esclamò la donna tornando ad osservare la nube viola che avvolgeva le terre circostanti. “Mia figlia ha deciso chi portare con sé ma in teoria sono previsti solo gli abitanti della Foresta Incantata”.
Il capitano, per un attimo, tirò un sospiro di sollievo.
Almeno Ariel sarebbe stata al sicuro da quel sortilegio.
Scosse immediatamente la testa, contrariato da ciò che aveva pensato.
 
Storybrooke, 1983.

Monotonia.
Una costante nella sua vita, ormai. Tutti i giorni erano dannatamente e fastidiosamente uguali.
La sua vita procedeva per inerzia, come se le gambe si muovessero da sole, senza che fosse il cervello a comandarle. Viveva in quella città, Storybrooke, da quando aveva memoria e non poteva certo dire di avere qualcuno su cui contare, anzi, era sola.
Era un'orfana. I suoi genitori l'avevano abbandonata, perchè probabilmente non la volevano o non erano in grado di crescerla, e adesso lei si era ritrovata, a ventidue anni, in quella cittadina sperduta del MaineEra una ragazza sola, senza nessuno al suo fianco. Lavorava nell'acquario della città. Stava principalmente all'entrata, controllando l'elenco delle prenotazioni, essenzialmente delle scuole elementari, e non parlava molto con gli altri.
In realtà, non le piaceva parlare con gli altri. Era alquanto introversa come persona. Non sapeva il motivo, era così semplicemente da quando aveva memoria.
Le persone non le piacevano, le trasmettevano un senso di ansia e di sfiducia indescrivibile, come se non si fidasse di loro a prescindere. Le bastava uno sguardo per percepirlo.
Tuttavia, questo le permetteva di essere estremamente seria e professionale, motivo per cui il proprietario l'aveva assunta. Non si lasciava mai trasportare o influenzare da altri.
Spesso le era capitato di udire qualche ragazza della sua età prenderla in giro, la etichettavano come una strana che non dava mai confidenza a nessuno.
Ogni sera, dopo il lavoro, tornava a casa e si metteva sotto la doccia: quello bastava per farla sentire al sicuro, nell'acqua fredda. Era strana la sensazione piacevole che l'acqua le trasmetteva: era come uno scudo, in grado di proteggerla da tutte le malignità e le ingiurie di quella città.
Forse, sarebbe dovuta andare dallo strizzacervelli della città, Archie. Scosse la testa immediatamente, perchè doveva sentirsi diversa quando non lo era? Lei non aveva nulla di sbagliato. Era solo un tipo fuori dalla norma, nulla di più, nulla di meno.
Eppure, quel pensiero spesso la tormentava, facendola sentire come se quella non fosse “casa”.
Forse sarebbe dovuta assomigliare di più a Ruby, la cameriera della locanda.
Quella ragazza si vestiva in modo strano e sempre di rosso: si divertiva ad attirare l'attenzione, a differenza di lei che adorava restare sempre nell'ombra.
A lei non importava dell'opinione altrui, anche perchè non avevano poi tutti i torti: era in effetti alquanto strana.
Una ragazza della sua età doveva uscire con le amiche, avere un fidanzato, essere sempre allegra, invece, lei era l'esatto contrario di tutto ciò.
Spesso, si sentiva quasi come se non avesse una voce (4).
 

Note:
  • (1) dialogo tra Regina e Tremotino, ripreso dalla 2x05;
  • (2) frase ripresa dalla versione disney de La Sirenetta;
  • (3) come avete visto, le ho fatto incontrare Red, la quale l'ha aiutata un po' come ha fatto con Snow, sempre buona e gentile lei u.u;
  • (4) non ho trovato un espediente serio per togliere la voce ad Ariel così ho pensato che nella maledizione potevo renderla un po' introversa, quindi l'esatto opposto della sua versione nel mondo delle favole.
  • (5) il titolo è tratto da una canzone del gruppo The Killers.

Un capitolo un po' piatto, purtroppo. Chiedo venia ma come avete avuto modo di leggere, ripercorre un po' gli eventi della serie tv, almeno per quanto riguarda Hook, l'unica differenza è che lui non si rivolge subito a Regina ma cerca di agire da solo, per poi cadere nelle sue grinfie. Per quanto riguarda Ariel, ho descritto il suo arrivo nella Foresta e il primo giorno a Storybrooke, in teoria quello in cui viene colpita dalla maledizione. L'ho resa chiusa, un po' scontrosa e poco incline alla conversazione, quindi come se non avesse una voce. Un po' insolita come idea, ma non sapevo come altro renderla. Più avanti avrò anche modo di descrivere il suo “non rapporto” con gli altri cittadini.
Spero che questa idea non faccia troppo vomitare ç_ç.
Ho smesso di tediarvi e spero che vi sia piaciuto. Lasciate un commento se volete, anche piccino piccino.
Un grazie a tutti coloro che seguono e recensiscono questa storia, senza di loro non andrei così avanti :)
Alla prossima C:
 
 
 

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Capitolo 8
*** I will see you again ***


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VIII

I will see you again
 
 
And you gave me love when I could not love myself.
And you made me turn from the way I saw myself.
And you're patient, love. And you help me help myself.
And you save me”. (Save me - Gotye)
 
Storybrooke,
28 anni dopo.
 
"Buongiorno alla mia bellissima fidanzata!".
La voce di Dylan risuonò entusiasta e il ragazzo scoccò ad Ariel un tenero bacio sulla guancia.
La ragazza sorrise timidamente, ringraziandolo per il caffè che le aveva portato. Forse quando diceva di essere sola era un pò esagerata ma il suo disagio era soltanto a livello interiore, data la presenza di quel ragazzo così dolce e premuroso che si era ritrovata al suo fianco.
Si chiedeva come facesse uno come lui a stare con lei, che era a dir poco insopportabile, fredda e scontrosa, a differenza di lui che era sempre gentile e affettuoso. La sua situazione di solitudine era però accentuata da un piccolo e non irrilevante particolare: lei non lo amava. (1)
Se non ne era innamorata, perchè stare con lui allora? Non riusciva a dare una risposta a quella domanda, ma forse il motivo era semplicemente che con lui poteva avere una qualche certezza, nonostante gli amici di lui la odiassero per la sua acidità perenne.
Dopo averle fatto una breve visita mentre era a lavoro, Dylan andò via, baciandola con il suo solito trasporto, che alla ragazza non sembrava fare nessun tipo di effetto.
Il proprietario dell'acquario si avvicinò a lei: il signor Brooks. Era un uomo sulla quarantina, rispettabile e molto gentile. Spesso le affidava qualche commissione ed infatti quella mattina le chiese di andare a ritirare un quadro per il suo ufficio che aveva ordinato presso la galleria d'arte di Storybrooke, la cui proprietaria era una ragazza piuttosto singolare e molto giovane.
Ariel prese il foglietto con scritto l'indirizzo ed uscì dall'acquario.
Da qualche giorno in città si era notato uno strano cambiamento, avvenuto con l'arrivo di una donna: Emma Swan. La sua presenza era stata uno scandalo per la città intera, in quanto era la madre biologica del figlio del sindaco, Henry. Stranamente, da quando era lì, l'orologio aveva ripreso a funzionare, mentre prima era stato sempre bloccato alle otto e un quarto. La città aveva un'aria meno cupa e triste, ma i suoi cittadini continuavano ad esserlo, lei in particolar modo.
Arrivò alla galleria, ma quando entrò non c'era nessuno.
Chiamò più volte ma non ricevette nessun tipo di risposta, così prese a girovagare, sperando di trovare la proprietaria, che doveva essere per forza da qualche parte.
Infatti, la trovò sul resto, intenta ad armeggiare con i colori per dipingere.
"Mi scusi", esclamò la rossa, attirando la sua attenzione.
La ragazza si voltò: era davvero un personaggio particolare. Doveva avere più o meno la sua età.
I lunghi capelli biondi le ricadevano morbidi sulle spalle e i suoi occhi verdi la fissavano allegri. Aveva la maglietta bianca sporca di pittura e come quella, anche i jeans, leggermente malandati.
Il suo nome era Allyson.
"Tu sei Marina. Sei qui per il quadro di Brooks, giusto?", domandò, poggiando il pennello sul tavolo, e pulendosi le mani con uno straccio.
"Così sembra", rispose Ariel, leggermente spazientita.
"Aspettami pure di là!", aggiunse lei senza perdere il sorriso. "Te lo porto subito!".
Ariel si mise in attesa all'entrata, e mentre aspettava il ritorno della ragazza, qualcun altro entrò nel negozio: un ragazzo con un grosso scatolo fra le mani.
"Scusa, sai dov'è Allyson?", chiese rivolgendosi ad Ariel.
La ragazza, senza rispondere, fece un cenno con la mano verso il retro, per fargli capire che era nell'altra stanza, e sperando che si muovesse ad arrivare. Allyson arrivò subito dopo, portando il quadro per Ariel, per poi accorgersi della presenza del ragazzo.
"Consegna per te!", esclamò il ragazzo, poggiando lo scatolo sul bancone. "Firma qui!".
Allyson firmò il foglio e lo restituì al ragazzo, che le rivolse un largo sorriso, mentre Ariel osservava attentamente i loro gesti.
"Allora, che ne dici di un invito a cena?", domandò alla bionda con un sorriso sghembo.
La ragazza non sembrava molto interessata e, infatti, gli lanciò uno sguardo di dissenso.
"Non pensavo di dover ricorrere a questo", sospirò un attimo prima di riprendere a parlare. "Sguardo che conquista!". Rivolse ad Allyson quella che doveva essere una delle migliori espressioni del suo repertorio da conquista, incurvando leggermente un sopracciglio.
Ariel non aveva dubbi: quel ragazzo era un completo idiota.
"Eugene!" (2), ribattè lei con voce annoiata.
"Non è la mia giornata fortunata, di solito funziona!", rispose lui sconsolato.
Dopo aver ricevuto quello che probabilmente era l'ennesimo rifiuto della ragazza, uscì dalla galleria, facendo tirare finalmente un sospiro ad Ariel che si era dovuta sorbire quella scena noiosa e alquanto scontata. La ragazza prese il quadro ed uscì anche lei, tornando al suo lavoro, e cercando di arrivare alla fine di quella giornata, uguale, come al solito, a tutte le altre.
 
Dall'altro lato della strada, il figlio del sindaco, Henry, camminava insieme alla sua vera madre, Emma, un tornado dai capelli biondi e con indosso una giacca di pelle rossa.
Il bambino era fermamente convinto che tutti i personaggi di Storybrooke provenissero in realtà dal mondo delle favole e la regina cattiva, ovvero il sindaco, li aveva imprigionati, negando loro il suo lieto fine. Emma stava cercando di assecondare quella teoria, per quanto assurda, pensando che fosse la strada giusta per fargli così realizzare che nulla era vero, nel momento in cui la realtà lo avrebbe colpito. Henry girava sempre con un libro di favole, che sembrava essere per lui una sorta di guida, e lo consultava continuamente per raccontare ad Emma la vera storia dei personaggi di quella strana città. Fino a quel momento, Emma sembrava aver capito che il sindaco era in realtà la regina cattiva, Graham era il cacciatore, Mary Margaret era Biancaneve e David era il principe azzurro. Questi ultimi due, in teoria, sarebbero dovuti stare insieme, peccato che lui fosse sposato e questo annullava decisamente la teoria di Henry ma il ragazzino non si dava per vinto.
"Ok...", esclamò la donna con tono accondiscendente. "Allora chi sarebbe quella?".
Indicò una ragazza dall'altro lato della strada con in mano un quadro.
Era molto bella, con lunghi capelli rossi, i cui morbidi boccoli erano scompigliati dal vento.
Portava un cappello di lana blu e aveva un'aria molto rigida.
"Quella è la sirenetta!", rispose Henry con tono convinto e aprendo il libro.
"E dove sarebbe la coda?", domandò Emma in tono sarcastico.
"Qui non può certo girare con la coda, stupida!", la rimproverò Henry, posando la sua attenzione sulle pagine del libro, probabilmente pronto a raccontare ad Emma la storia della sirenetta.
"Eccola!", esclamò il ragazzino, continuando a camminare. "Ariel è scappata dal suo mondo, Atlantica, perchè desiderava essere un'umana e perchè era perdutamente innamorata di un pirata".
"Un pirata? Io ricordavo fosse un principe!", ribattè Emma.
"Sssh!", la zittì Henry, continuando la storia. "Lui però, non essendo capace di amarla, l'ha abbandonata, come sirena, e lei ha stretto un patto con Tremotino, tornando ad avere le sue gambe e riprendendo una vita, separata dal suo vero amore. Adesso sta con il principe Eric ma non lo ama davvero, perchè pensa a qualcun altro".
"Non la ricordavo così la storia", continuò Emma leggermente perplessa.
"Sai che queste favole sono diverse da quelle che conosciamo!", rispose Henry, convinto, per poi riprendere ad osservare la ragazza che continuava a camminare per la strada.
Chissà se sarebbe riuscita a ricongiungersi con il suo vero amore.
 
Allora, vuoi qualcosa da bere?”.
L'attenta lettura di un libro da parte di Ariel venne interrotta da Red che si era avvicinata al suo tavolo, con fare apprensivo.
Ogni tanto, quando non aveva nulla di meglio da fare, la ragazza era più che disposta a fare compagnia a Red durante alcune serate in cui la donna doveva lavorare in una locanda del suo villaggio. Poiché non era molto propensa a restare a casa ad annoiarsi, preferiva prendere un libro e stare lì a farle compagnia il più delle volte.
Sono a posto, grazie”, rispose con un sorriso e indicando il suo boccale ancora mezzo pieno.
Se hai bisogno di qualcosa, fammi un fischio”, esclamò facendole l'occhiolino, ma prima che potesse andare via, il suo sguardo venne catturato da qualcosa oltre le spalle di Ariel.
La ragazza, stranita dalla sua espressione, fece per voltarsi ma Red la fermò immediatamente.
C'è qualcuno che non vuole proprio saperne di toglierti gli occhi di dosso”, esclamò con uno sguardo a dir poco estasiato, mentre Ariel continuava a boccheggiare, confusa.
Voltati molto lentamente”, sussurrò Red, fingendo naturalezza.
Ariel lo fece, sperando di non far trasparire la curiosità, scaturita dalla sua amica. Si voltò, e a pochi tavoli dal suo, vide un giovane che non sarebbe passato inosservato nemmeno tra la folla.
Aveva gli occhi azzurri fissi sul tavolo e il viso contratto in un'espressione attenta ma che sembrava allo stesso tempo divertita, probabilmente per la presenza di quelli che dovevano essere suoi amici, anche se non sembravano proprio della stessa età. Lui doveva avere più di vent'anni, i suoi compagni, invece, decisamente no.
Il suo viso era circondato da ricci castani che gli coprivano di poco la fronte.
Mentre Ariel continuava ad osservarlo, affascinata, lui alzò lo sguardo, facendo maledire la ragazza, che si voltò di scatto, rizzando le spalle sotto l'espressione divertita di Red.
Non c'è niente da ridere”, esclamò a denti stretti la rossa, ma Red non sembrava volesse darle ascolto e prima di tornare al suo lavoro, si avvicinò al suo orecchio.
Uno come quello non capita tutti i giorni”, disse lei con un sorriso. “Per non parlare del modo in cui ti guarda e non è la prima sera che lo fa. Inoltre, ho sentito che è anche un principe”.
Dopo averle lasciato queste rivelazioni di cui Ariel non aveva la minima idea, Red tornò a lavorare, lasciando la ragazza con la solita espressione interdetta sul viso.
Scosse velocemente la testa, e continuò a leggere il suo libro, ma dopo neanche un minuto, lo posò sul tavolo, distratta da ben altro. Si voltò molto attentamente e incrociò lo sguardo del ragazzo.
Non si aspettava di trovarlo lì ad osservarla ed era troppo tardi per voltarsi, così si limitò a sostenere il suo sguardo, incantata da quegli occhi chiari e vivaci.
Il ragazzo, continuando a guardarla, le rivolse d'un tratto un sorriso, mostrando i denti perfetti.
Ariel, anche se leggermente titubante e senza nemmeno rendersene pienamente conto, gli rivolse un sorriso...forse il primo sorriso sincero che sfoggiava da quando era arrivata in quello strano mondo.
 
“Allora che ne dici di un film?”, domandò Dylan, cercando nella libreria.
“D'accordo!”, rispose la ragazza con tono neutro, mentre continuava a togliere il cibo cinese dalla busta appena consegnata per la loro cena.
“Sai, oggi ho visto quel ragazzino...il figlio di Regina”, continuò a parlare lui, sperando di attirare l'attenzione della sua fidanzata, sempre indifferente. “Non fa che dirmi che sei una sirena!”.
La ragazza storse il naso e si voltò. “Sirena?”.
Dylan rise. “Assurdo, vero?”.
Ariel non ci diede molta importanza e poggiò il tutto sulla tavola, mentre Dylan si occupava dei bicchieri e del resto. Le diede un leggero bacio sul collo, quando le passò alle spalle e la ragazza rispose con un semplice sorriso.
Dylan non credeva che lei non lo amasse, ma pensava semplicemente che era il tipo di persona che non prediligeva le smancerie. Quando le aveva chiesto di sposarlo non era stato molto teatrale, anzi, era stato il più semplice possibile: dato che mangiavano spesso cinese, lui le aveva fatto trovare un anello nel suo biscotto della fortuna. Non che si aspettasse una reazione esagerata fatta di urla folli e di salti ma lei si era limitata a fissare l'anello esterrefatta e poi, ovviamente, gli aveva detto sì.
Rideva e piangeva mentre lo aveva abbracciato, dopo avergli detto di sì.
Sembrava felice ma capire quella ragazza era così difficile.
Era imperscrutabile. Non era come un libro aperto, anzi, era decisamente serrato, e far uscire anche una sola parola in più che potesse rendere il mistero Marina meno intricato, era impossibile.
Eppure, a lui andava bene così. Stavano insieme e stavano bene: quella era la cosa più importante.
 
Storybrooke,
dopo la maledizione.
 
Ariel stava camminando per le strade della città, ripensando a tutto ciò che era successo nell'arco di quel periodo: Henry era ricoverato in ospedale, affetto da qualcosa di sconosciuto, un nuovo abitante era arrivato in città in sella ad una moto...la città stava cambiando e le sembrava quasi di sentirla, come se stesse pulsando. Non aveva mai avuto modo di parlare con Henry, ma le ricordava qualcuno, e non sapeva dire chi. Le sembrava semplicemente di averlo già incontrato.
Stava pensando proprio a lui quando successe qualcosa di assurdo quanto inaspettato.
Una specie di brezza leggera ma allo stesso tempo potente sembrò colpire tutta la città, portando i cittadini ad arrestarsi, come se fossero stati appena invasi da qualcosa.
Il suo nome, quello vero, cominciò a risuonarle nella testa come un mantra, permettendole di prendere consapevolezza della sua vera e propriaidentità.
Non molto lontano da lei, la donna che aveva sempre conosciuto come Mary Margaret stava riabbracciando il suo David e quella scena romantica non poteva certo non farle pensare ad Hook.
Cominciò a correre, senza sapere di preciso dove la stava portando il suo istinto poi si fermò di colpo: Eugene...o meglio Flynn. Cercò in tutta la città, notando come tutti coloro che erano stati separati per tanto tempo, adesso erano impegnati a riabbracciarsi e questo non fece che aumentare il disagio di Ariel, la quale si rendeva sempre più conto di non avere proprio nessuno da cui correre, o meglio, ce l'aveva, solo che non era lì dove sarebbe dovuto essere e forse non voleva vederla.
Riuscì a scorgere Flynn mentre stringeva una ragazza dai lunghi capelli biondi. Ariel la osservò con più attenzione e sussultò quando si accorse che si trattava di Allyson.
Doveva essere lei la famosa Rapunzel di cui Flynn aveva tanto parlato?
Sentì una stretta allo stomaco, guardandosi intorno.
C'era tanto amore attorno a lei, e la voglia di piangere si faceva sempre più forte.
Le lacrime cominciavano a scendere e lei non aveva nessuno in cui trovare conforto.
“Ariel!”.
La ragazza si voltò e per un secondo sperò davvero che colui che l'aveva chiamata fosse Killian, ma quando si voltò, aveva davanti ben altro.
“Sono io...Eric!” (3)
Killian era un sogno, Dylan, o meglio Eric, era la realtà, ed era lì davanti a lei a fissarla con un sorriso sempre più innamorato che lei avrebbe voluto ricambiare con tutto il cuore.
Il ragazzo le corse incontro e la strinse. Lei fece un respiro profondo, con il cuore ancora più a pezzi. Sicuramente lui avrebbe creduto che stesse piangendo per la gioia, peccato che non era così.
Lui dov'era?
Perchè non era lì ad abbracciarla?
Perchè non era stato abbastanza forte da tenerla con sé?
Se l'intento di Regina era quello di farla soffrire ancora di più, era riuscita perfettamente nel suo scopo. Non le era bastato svelare la sua identità di sirena a Killian, inducendolo a lasciarla, ma l'aveva anche resa vittima della maledizione, facendola sentire sola come non mai ed intrappolandola in una relazione con un ragazzo stupendo che non amava.
Se lui fosse stato un uomo spregevole, sarebbe stato molto più semplice, ma il fatto che fosse bello, dolce, gentile e premuroso, rendeva soltanto le cose più difficili.
Non lo conosceva nel mondo delle favole, o meglio lo aveva intravisto solo qualche volta alla locanda in cui Red era solita lavorare. Vi era stato soltanto due, forse tre sere, durante le quali non le aveva tolto gli occhi di dosso ma non aveva mai preso coraggio per parlarle.
Ariel lo aveva subito notato, visto il suo bell'aspetto e i suoi occhi azzurri e magnetici, ma non abbastanza da fare qualche passo avanti.
Per fortuna o per malasorte, ci aveva pensato Regina a farli per entrambi.
 
Le onde continuavano ad infrangersi con forza contro gli scogli dell'Isola che non c'è, respinte ogni volta in modo sempre più forte, mentre Ariel se ne stava lì seduta con le gambe a penzoloni.
Si infrangevano senza sosta per poi tornare indietro, distrutte, come i sogni che lei aveva. Il suo sguardo cadde sulle sue gambe longilinee, che aveva tanto desiderato, solo per stare con lui.
Sapevo che ti avrei trovata qui”.
Un sorriso apparve sul suo viso.
Killian si sedette accanto a lei, che lo seguiva in tutti i suoi movimenti.
Lui le rivolse uno dei suoi sguardi, incatenando gli occhi azzurri ai suoi, e sorridendole.
Senza parlare, guardò davanti a sé, mentre il sole tramontava e un vento leggero li avvolgeva.
Ti rivedrò mai?”, domandò la ragazza, incurante dei capelli rossi che le ricoprivano il viso a causa del vento, e lui era fermò lì, completamente sereno.
Killian le spostò le ciocche ribelli dietro l'orecchio e indicò il mare.
Tieni gli occhi puntati sull'orizzonte, e mi vedrai a breve”.
Ariel si svegliò. Era nel suo letto, a Storybrooke, e non insieme a Killian.
Aveva sognato e la cosa non poteva che farle male.
Era un semplice sogno o qualcosa di più?
Si affacciò alla finestra con fare ansioso: sì, avrebbe tenuto gli occhi puntati sull'orizzonte.
 
 
Note:
 
  • (1) non ho accennato questo piccolo particolare nello scorso capitolo e non ero ancora certa se inserirlo o meno ma poi ho pensato “quale modo migliore per far soffrire maggiormente Ariel se non quello di farla stare insieme a qualcuno che non ama?”, sono perfida, lo so;
  • (2) questi due vi ricordano qualcuno? A me sì;
  • (3) il ragazzo misterioso di nome Dylan è proprio Eric. Adoro la coppia disney e dividerli o non renderli come la coppia del vero amore mi dispiace sicuramente, ma questa è una AU e poi nella fiaba originale alla fine loro non stanno insieme, quindi u_u.
 
Finalmente ce l'ho fatta!
Spero che vi sia piaciuto e mi scuso se ci ho messo tanto :)
Purtroppo ancora niente Hook ma ci sarà nel prossimo :3
Non so cosa ne sia uscito, dovete dirmelo voi e spero che non via abbia procurato troppi conati di vomito, come li ha provocati a me. Ringrazio tutte quelle anime pie che seguono e recensiscono questa storia, rendendomi la ragazza più felice del mondo :3
Alla prossima, un abbraccio :*

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Capitolo 9
*** Always find me here ***


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IX
 
Always find me here
 
 
You are the port of my call. You shot and leaving me raw.
Now I know you’re amazing cause all I need is the love you breathe.
Put your lips on me and I can live underwater.
Underwater! Underwater! Underwater!”.
 
 
Il sole non sorgeva alto nel cielo di Storybrooke, coperto da diverse nuvole, mentre la nebbia avvolgeva quella famosa città di cui Hook aveva tanto sentito parlare.
Il capitano osservava quel mondo sconosciuto, in cui stava per addentrarsi, dal suo veliero, che aveva compiuto sicuramente uno dei viaggi più importanti e determinanti per il corso della sua vita.
Quello poteva forse essere il suo ultimo viaggio. Tutta la sua vita dipendeva da ciò che avrebbe trovato a Storybrooke e se c'era una cosa che voleva sicuramente trovare, era la vendetta.
Scrutò ancora una volta la città con il suo cannocchiale, mentre un ghigno soddisfatto si distendeva lungo il volto stanco, ma felice perchè più la nave procedeva più si avvicinava al coccodrillo.
“Eccola”, esclamò, riponendo il cannocchiale.
“Storybrooke”, rispose Cora al suo fianco con un'espressione che a guardarla faceva quasi paura, per tutto il timore che era in grado di incutere.
Hook si girò di nuovo verso la città, riflettendo su quanto l'aiuto di Cora, per quanto scomodo, fosse stato determinante per il suo obiettivo. Mentre rifletteva, Hook non distolse nemmeno per un secondo lo sguardo dal porto di Storybrooke che si accingevano a raggiungere.
Voleva assaporare ogni momento, ogni piccolo particolare, ogni suono e ogni novità che si parava davanti ai suoi occhi. Voleva ricordare alla perfezione il luogo in cui avrebbe ucciso Tremotino.
 
La vita era fatta di sensazioni. Ariel ne era sempre stata convinta: la vita era fatta di sensazioni e sentimenti di tutti i tipi. Sostanzialmente, lei era stata sempre fiduciosa nei confronti nell'amore: sentiva nel profondo che prima o poi sarebbe arrivato anche per lei, sentiva che avrebbe trovato un giorno il suo principe, che, contro ogni rigor di logica, sembrava essere un pirata.
Probabilmente aveva già fatto un madornale errore nel considerarlo il suo “vero amore”, visto che il vero amore era quello in grado di spezzare le maledizioni più strazianti. Se lui fosse stato davvero il suo vero amore, avrebbe già rotto quelle catene che la tenevano prigioniera di un qualcosa che Ariel non sentiva come suo. Già...perchè lei non sentiva Dylan come “suo”, lo stava solo prendendo in giro e questa consapevolezza l'aveva dilaniata maggiormente con la fine della maledizione.
Lui sembrava così felice di averla ritrovata. Non aveva fatto altro che raccontarle come aveva pensato continuamente a lei dopo aver lasciato la taverna in cui l'aveva vista, e di quanto fosse stato stupido nel non avvicinarsi, perchè troppo intimorito dalla sua timidezza e dalla paura di un rifiuto.
Dylan era così dolce e perfetto, e lei si sentiva un vero e proprio mostro. Avrebbe desiderato amarlo con tutto il cuore. Lui le stava dedicando tutto sé stesso in un modo davvero raro. Tuttavia, lei non meritava tutte le sue attenzioni, perchè non le ricambiava. Dylan aveva tanto amore da dare, solo che lei non era la persona adatta per riceverlo. Si sentì ancora peggio, riflettendo sul fatto che là fuori c'erano tante altre persone in cerca dell'amore e lei le stava in qualche modo privando, perché stava insieme ad un un ragazzo meraviglioso che avrebbe potuto rendere felice qualcuno che lo meritava davvero. Ogni bacio, ogni carezza, ogni abbraccio che lui le donava era come una pugnalata, ma, per quanto sapesse di non amarlo, non riusciva a ritrarsi da lui, consapevole del fatto che lui era forse la sua ultima possibilità per essere felice e amata da una persona speciale.
Sapeva che Dylan l'amava, forse troppo, e non soltanto perchè glielo dimostrava ma anche perchè Ariel riusciva a leggerglielo in viso. Tutti i suoi sorrisi più belli erano per lei. Quando le aveva chiesto di sposarlo e lei aveva detto di sì, i suoi occhi azzurri erano diventati così radiosi e felici, che il cuore gli sarebbe potuto esplodere nel petto.
Quella giornata, inoltre, rendeva Ariel ancora più inquieta: non soltanto per il freddo pungente che le pizzicava il viso; non soltanto per la mano di Dylan che stringeva dolcemente la sua, ma per la bara che veniva calata nel terreno umido davanti ai suoi occhi, per le persone devastate attorno a lei, per Mary Margaret che dava il suo addio straziato ad Archie, morto in circostanze non del tutto chiare che vedevano probabilmente coinvolta Regina.
Perchè Regina non faceva altro che rendere le loro vite più pietose di quanto non fossero già? Perchè provava tanto gusto nel prendersi la felicità e le vite altrui?
Quanto poteva essere sola per trarre gioia dalle loro sofferenze?
Cosa ci aveva guadagnato nel tenerla lontana da Killian e nell'avvicinarla ad un uomo che lei non era in grado di amare? Forse soltanto una risata malvagia e divertita.
Quando il funerale finì, Ariel si soffermò sulle figure attorno a lei, intente ad abbracciarsi e a darsi conforto. Era strano guardarli tutti per come erano. Non erano più dei semplici cittadini ma personaggi delle favole, e il piccolo Henry, che in quel momento se ne stava fermo a fissare la tomba di Archie, era stato l'unico e solo a dar voce a quella teoria così assurda.
Ariel si soffermò sulla figura di Ruby, riflettendo sulla trasformazione, che nel suo caso non sembrava avvenire. Da quando la maledizione si era spezzata, lei stessa non si era trasformata in sirena. Credeva che con l'acqua sarebbe successo, invece no. Forse era stata umana per così tanto tempo che non sarebbe stata più in grado di tornare alla sua vera natura? Era possibile?
L'unica cosa positiva che Ariel era riuscita a vedere come conseguenza della maledizione era l'avvicinamento che si era ricreato con Ruby, che aveva finalmente ritrovato dopo ben ventotto anni, e Belle, che si era rivelata essere un'amica a dir poco preziosa e che quando aveva appreso chi lei fosse in realtà, si era dimostrata decisamente emozionata.
Dopo il funerale, la ragazza si fermò al Granny's insieme agli altri prima di recarsi alla veglia funebre che si sarebbe tenuta da Mary Margaret, mentre Dylan tornava a lavoro. Ruby le mise una mano sulla schiena, massaggiandola con fare amichevole e le porse un tè freddo.
“Stai bene?”, le chiese Ariel, sapendo quanto la ragazza fosse affezionata ad Archie.
Ruby le rivolse un sorriso amaro, cercando per quanto possibile di non lasciarsi prendere dallo sconforto che probabilmente la stava divorando in ogni fibra del suo essere.
Non ricevendo risposta, Ariel non disse altro, convinta del fatto che il silenzio era sempre molto meglio di parole futili e del tutto prive di senso, così si limitò a starle vicino.
Dopo qualche minuto, la ragazza si riavvicinò alla rossa con in mano un caffè e una busta da portar via, mettendoli sul bancone e rivolgendole un sorriso.
“Posso chiederti un favore?”, domandò Ruby con espressione leggermente stanca.
“Certo!”, rispose Ariel con fare tranquillo.
“Porteresti questi a Belle? Sai dove si trova la biblioteca, no?”, chiese la ragazza, ed Ariel fece un cenno di assenso con il capo, afferrando ciò che Ruby le aveva, e uscendo dal locale.
Quando Ariel arrivò in biblioteca, trovò qualcosa che lasciò decisamente sconcertata: la porta era spalancata e diversi scaffali erano per terra, con tutti i libri sparsi sul pavimento. Sembrava che fosse passato un tornado, particolare che le destò non poca preoccupazione viste le condizioni di quel luogo. Belle, da ottima bibliotecaria quale era, non si sarebbe mai sognata di lasciare quel disordine, quindi era successo sicuramente qualcosa.
Ariel notò la ragazza seduta al bancone, che si voltò subito verso di lei: aveva il viso leggermente pallido e agitato, come se qualcosa l'avesse spaventata.
“Belle!”, esclamò Ariel, mettendole una mano sul braccio. “Stai bene? Sembri preoccupata”.
La ragazza boccheggiò per qualche secondo, con un espressione che non trasudava certo tranquillità, anzi. Ariel si voltò verso il libro che la ragazza aveva preso e non capì per quale strano motivo Belle fosse interessata ad una guida nautica.
“Parti per un viaggio in mare?”, chiese la rossa con tono sarcastico.
“Non esattamente, anche se mi sarebbe sempre piaciuto viaggiare in mare”, rispose Belle con un tono che proprio non le apparteneva. Era leggermente scosso, come se fosse successo qualcosa.
“Belle?”, domandò Ariel, avvicinandosi all'amica. “Sicura di stare bene?”.
“Hook è in città”, esclamò la ragazza tutto d'un tratto, e Ariel dovette sforzarsi molto per comportarsi come se non avesse la più pallida idea di cosa Belle avesse appena detto.
“Chi?”, chiese Ariel, cercando di mantenere il tono più neutro e calmo possibile.
“Colui che vuole uccidere Tremotino”, rispose Belle con espressione corrucciata. “L'ho trovato in biblioteca. Voleva sicuramente usarmi per arrivare a lui ma sono fuggita, e ho scoperto che è venuto qui insieme alla sua nave”.
“Non c'è nessuna nave al porto”, ribatté Ariel con tono ovvio.
“L'avrà nascosta con qualche stratagemma”, esclamò Belle, riflettendoci.
In effetti, la Jolly Roger non sarebbe certo passata inosservata, motivo in più per nasconderla. Ariel continuava a ripetersi di non mostrare segno di incertezza o di qualsiasi cosa le stesse passando per la testa, mentre un tumulto di emozioni prendeva a farsi largo dentro di lei.
Felicità, paura, rabbia, malinconia. Si alternavano, aiutandola a ripercorrere tutta la sua vita sulla Jolly Roger e tutti i momenti passati insieme a Killian, che le mancava tanto...forse troppo.
Sapeva che lui non era a Storybrooke, cosa che le era stata confermata da tutto il resto della ciurma che aveva avuto modo di rivedere dopo la rottura della maledizione. Il primo a cui si era rivolta era stato Flynn, meglio conosciuto come Eugene, che l'aveva stretta così forte da toglierle il respiro.
Tutto l'equipaggio era lì. Erano tutti a Storybrooke: tutti, tranne Killian e la cosa non era certo una coincidenza. Aveva abbandonato anche la sua ciurma pur di ottenere quella vendetta che tanto desiderava? Chissà quante alleanze con persone orribili aveva stretto per ottenerla. La prima era Regina, ma era abbastanza certa che lei non era stata certo l'unica.
Per un momento, Ariel ebbe la strana sensazione che l'uomo che si trovava lì non sarebbe stato lo stesso che ricordava. Aveva tentato di aggredire Belle, una ragazza innocente, solo ed esclusivamente per ottenere la sua vendetta. Avrebbe sacrificato una vita per la sua causa?
Quante persone era disposto ad uccidere per raggiungere ciò che desiderava?
Quante vite aveva intenzione di rovinare solo per dimostrare che lui era una vittima?
Mentre Ariel era ancora persa in tutte quelle domande, venne riportata alla realtà da Belle che le disse di dover correre via e che si sarebbero viste più tardi.
La ragazza, troppo impegnata a riflettere su cosa avrebbe dovuto fare, sapendo che lui era in città, non aveva la minima idea del fatto che Belle stava per cacciarsi in un guaio bello e buono.
 
Rimase fermo per un tempo indefinito a fissare il cielo azzurro, coperto da qualche nuvola.
Sentiva il sapore del sangue nella sua bocca mentre la fronte gli pulsava ininterrottamente per il colpo che quel bastardo di Tremotino gli aveva assestato. Come se non bastasse, aveva il torace dolorante per le diverse percosse che aveva subito. Quando gli aveva dietro quale magia aveva intenzione di celarsi, non credeva che sarebbe finita in quel modo. Eppure, eccolo lì, disteso e ferito sul ponte della sua stessa nave, senza qualcosa di prezioso che potesse usare contro quel mostro.
Soffocando un gemito di dolore, Hook si rimise in piedi, poggiando l'uncino sul legno, mentre portava la mano sana lungo il fianco. Barcollò per un attimo, rischiando di stramazzare di nuovo a terra ma si impose di non farlo. Non era quello il momento per lasciarsi cadere al suolo.
Non sapeva come avrebbe ripreso il controllo della situazione. Mentre scendeva sottocoperta senza un asso nella manica, il capitano rifletteva sul fatto che non aveva più niente fra le mani, o meglio, fra la mano e l'uncino. Era stato decisamente fregato prima da quella fastidiosa ragazza, che aveva reputato come “inutile” la prima volta che l'aveva vista, ma dopo lo scherzetto che gli aveva riservato, Belle si era dimostrata anche troppo piena di risorse.
Era venuto a Storybrooke per ottenere la sua vendetta, non per farsi prendere per i fondelli da una sciocca ragazzina innamorata del coccodrillo. Come si poteva amare un uomo del genere?
Come poteva quella Belle amarlo, sapendo ciò che era stato in grado di fare?
Era innamorata o semplicemente stupida? Vedeva del buono in quell'uomo spregevole.
Era proprio come Marina, anche lei vedeva del buono in lui, nonostante tutto.
Hook scosse velocemente la testa. Era forse impazzito?
Dopo tanti anni, cosa diamine andava a pensare? Come poteva anche solo ricordare quella sirena bugiarda che si era introdotta nella sua nave con l'inganno?
Per di più, si stava quasi paragonando a Tremotino...come se la loro situazione fosse uguale, come se anche lui fosse un mostro, capace ancora di amare grazie ad una donna.
Lui era meglio di Tremotino, sì.
Lui non era un mostro. Lui non andava in giro a stringere patti che dessero vantaggio soltanto a lui e soprattutto lui non avrebbe mai abbandonato suo figlio e ucciso sua moglie, come aveva fatto lui.
Hook era stato in grado di amare, una volta. Forse quella briciola di amore che gli era rimasta, era completamente sparita dopo che aveva lasciato Neverland.
Forse sarebbe stato più corretto dire che era svanita dopo che aveva perso Marina. Scosse di nuovo la testa, ripensando a lei. Insisteva ancora nel chiamarla con il suo nome fasullo.
Si voltò mentre era nella cabina, e vide la pistola che il “vero amore” di Tremotino aveva portato sulla sua nave. Un fulmine a ciel sereno attraversò la mente di Hook: quello sarebbe stato soltanto l'inizio del suo piano. Si avvicinò all'arma, afferrandola con la mano sana e sollevandola verso l'alto per osservarla meglio. Sorrise, mentre la sua mente elaborava un altro piano.
Questa volta avrebbe agito diversamente.
Non avrebbe più usato il figlio di Tremotino per attirarlo e farlo soffrire, no.
Si sarebbe scagliato sull'unica persona attualmente presente nella sua vita e capace di annullare l'oscurità attorno al quel cuore marcio, che lo aveva portato ad uccidere Milah.
Il suo obiettivo sarebbe stato Belle.
 
 
“Flynn! Apri!”.
Ariel bussò prepotentemente alla porta dell'appartamento, desiderosa di risposte.
Il ragazzo per poco non si soffocò con l'acqua che stava bevendo, sentendo il tono agitato della ragazza, e si precipitò alla porta, aprendola.
“Ariel!”, esclamò, mentre lei entrava in casa come una furia. “Cosa succede?”.
“Dov'è Spugna?”, domandò Ariel con tono agitato.
“Non ne ho idea”, rispose il ragazzo, allargando le braccia. “Non lo vedo da stamattina. Perchè?”.
La rossa continuava a guardarsi intorno esasperata, portandosi le mani alla testa. Belle le aveva detto di essere stata nuovamente assalita da Hook sulla Jolly Roger ma era riuscita ad evitare spiacevoli conseguenze grazie a Tremotino. Le aveva anche detto del viaggio che l'uomo aveva intenzione di intraprendere per partire alla ricerca di suo figlio e che lo avrebbe accompagnato al confine della città quella sera stessa per salutarlo.
Tuttavia, Ariel aveva una brutta sensazione. Era fermamente convinta che sarebbe successo qualcosa e che Hook non sarebbe rimasto inerme sulla nave senza fare niente.
Flynn l'afferrò saldamente per le spalle, osservandola allarmato.
“Ariel, calmati”, disse guardandola negli occhi. “Dimmi cosa succede”.
“Hook è qui”, rispose lei con un filo di voce. “E' venuto a Storybrooke”.
Il ragazzo la fissò per qualche secondo senza dire niente. Il suo viso non mostrava alcun cenno di preoccupazione o di confusione per il fatto che il suo capitano fosse giunto lì da loro.
Ariel lo scrutava, in attesa di un segno, ma la tranquillità fin troppo evidente di Flynn la fece giungere ad una sola conclusione: lui ne era già a conoscenza.
Istintivamente, Ariel gli sferrò un pugno di risentimento sulla spalla.
“Lo sapevi!”, dichiarò con voce indignata. “Perché non me l'hai detto?”.
“Ahi!”, ribatté Flynn, massaggiandosi la spalla. “Non è come credi. E' stato Spugna a dirmelo. Mi ha detto che è riuscito a tornare con un fagiolo magico e che l'ha aiutato a prendere una specie di mantello dal negozio del signor Gold, nulla di più. Perchè sei così preoccupata?”.
“Perché so che il suo piano, a quanto pare, è andato a monte”, rispose lei, alzando il tono di voce. “Tremotino gli ha tolto il mantello e sappiamo bene che lui non resterà in un angolino”.
“Spugna mi ha detto che la notte scorsa Tremotino lo ha portato al confine”, cominciò Flynn, portandosi una mano al mento e fissando un punto indefinito dell'appartamento. “Voleva provare un incantesimo che gli permettesse di oltrepassare il confine”.
“Gli ha fatto da cavia”, affermò Ariel. “Doveva accertarsi che funzionasse, così stasera potrà farlo lui stesso. Hook sapeva di questo particolare?”.
“Suppongo di sì”, affermò Flynn con tono ovvio. “Altrimenti per quale motivo gli avrebbe rubato il mantello? Sapeva che senza di esso non poteva lasciare Storybrooke”.
La sensazione di angoscia di Ariel aumentava, come se stesse pian piano mettendo insieme i pezzi del puzzle, avvicinandosi a quella che sembrava essere la verità. Hook non si sarebbe arreso e lei non poteva restare lì senza fare niente. Doveva fare qualcosa.
Senza aggiungere altro, la ragazza si recò di corsa verso la porta dell'appartamento di Flynn, mentre il ragazzo le corse dietro, afferrandola per un braccio.
“Ariel!”, esclamò, facendola voltare. “Cosa hai in mente?”.
“E' tutto ok!”, rispose lei, senza indugiare troppo, lo avrebbe solo fatto allarmare. “A domani!”.
Ariel sgusciò fuori dall'appartamento, raggiungendo velocemente la macchina. Prima di mettere in moto, la ragazza scrisse un messaggio a Dylan per avvertirlo che avrebbe fatto tardi perchè era uscita insieme a Belle. Quante bugie stava accumulando?
 
Uno sparo. Il nome di Belle che veniva pronunciato in continuazione, senza ricevere risposta.
Mentre correva con ansia lungo la strada, dopo aver fermato la macchina, Ariel sentiva l'aria fresca della sera sferzarle il viso, mentre i capelli rossi erano completamente arruffati e alcune ciocche finivano davanti ai suoi occhi, offuscandole la vista già precaria, vista la leggera nebbia.
Una macchina era ferma a poca distanza dal confine, una figura era accasciata a terra con un'altra china su di essa, che Ariel riconobbe come il signor Gold, ma non erano soli.
C'era qualcun altro non molto lontano da loro, con una pistola nella mano destra, mentre al posto dell'altra vi era un uncino, la cui visione provocò ad Ariel un sussulto.
Hook aveva sparato a Belle, che ora giaceva sul ciglio della strada, ma Ariel la vedeva muoversi leggermente, segno che probabilmente era ancora viva, tuttavia si trovava oltre il confine e quello non era certo un buon segno. Intanto, la ragazza cominciò a sentire delle leggere gocce di pioggia sul viso, simbolo del fatto che il tempo stava decisamente peggiorando.
Nessuno si era accorto di lei, perchè era ancora lontana, ma la ragazza vedeva perfettamente la rabbia negli occhi di Tremotino, che si alzò, osservando con odio l'uomo che aveva appena sparato al suo vero amore, e sollevando una mano per creare una sfera di fuoco.
Il cuore di Ariel cominciò a battere all'impazzata come se stesse per uscirle fuori dal petto. Il suo corpo cominciò a non rispondere delle sue azioni e, senza nemmeno rifletterci, si precipitò velocemente verso di loro, avvicinandosi maggiormente al confine della città e urlando un “no” disperato, per cercare di evitare l'inevitabile.
Quell'urlo fece voltare Killian, che sgranò gli occhi alla vista della ragazza, come se avesse appena visto un fantasma, tornato indietro dall'oltretomba. Ariel era lì davanti a lui, a Storybrooke ed era stata evidentemente vittima del sortilegio. Come era potuto accadere?
“Marina?”, domandò con voce incredula.
Ariel avrebbe voluto davvero rispondere, ma si limitò a boccheggiare per quello strano momento: la quiete prima della tempesta. Hook aveva sparato a Belle, che era finita oltre il confine, Tremotino aveva cercato di ucciderlo. Cercò di respirare quanta più aria possibile, pensando al momento in cui tutti questi eventi sarebbero stati affrontati. Guardò il cielo nuvoloso, mentre le gocce di pioggia cadevano precipitose su di lei, inzuppandole i boccoli rossi che aveva sistemato quella stessa mattina. Aveva già visto Killian una volta, mentre la vendetta gli scivolava via, a causa di lei che aveva lasciato fuggire Bae e in quel momento lo aveva visto cadere ancora una volta.
L'unica differenza era che forse qualcosa in quel momento l'aveva ottenuta, privando Belle del suo amore per Gold. Quanto poteva essere fortunato quel pirata? Riusciva sempre a sopravvivere ogni volta, pur avvicinandosi costantemente alla morte. Forse era la vendetta la sua ancora di salvezza.
Ariel allontanò quel pensiero. Una piccola parte di lei, probabilmente quella più speranzosa e infantile, voleva credere fermamente che fosse un briciolo di amore a salvargli la vita ogni volta.
Quella sera in particolare, doveva essere stato il suo amore per lui a salvarlo da una morte certa.
Era passato tanto tempo, eppure lei era ancora lì accanto a lui, pronta a salvarlo. Doveva essere proprio stupida. Perchè continuare disperatamente a salvare qualcuno che non vuole essere salvato?
Ariel non fece nemmeno in tempo a proferire parola, che la loro attenzione venne attirata da una macchina proveniente da fuori. Quella vista portò Ariel a gettarsi su di lui, spingendolo via il più possibile. Non sapeva per quale strano motivo lo aveva fatto: le era bastato vedere la macchina che avanzava velocemente verso Killian e la mente si era semplicemente annebbiata, portandola a fare il possibile per proteggerlo. L'angoscia faceva ancora da padrona nel suo corpo mentre si lanciava su Killian, ed era stata poi sostituita da una strana sensazione di calore, come se il desiderio impellente di proteggerlo si facesse sentire sempre di più dentro lei.
Ariel venne travolta dalla macchina in corsa, ed anche Hook venne colpito. Entrambi piombarono sull'asfalto bagnato, solo che mentre Killian finì scaraventato sul ciglio della strada, il corpo della ragazza ruzzolò rovinosamente oltre il confine, segnato da un'evidente linea rossa.
Ariel si voltò un attimo verso di lui, racimolando le poche forze che le erano rimaste, e lo vide con gli occhi chiusi e il volto percorso dal sangue, mentre l'uncino era abbandonato sulla strada.
Un attimo di lucidità la fece accorgere del fatto che non si sentiva più le gambe. Portò lo sguardo verso il basso e vide che erano state sostituite da una coda, visione che la fece sussultare.
La vista di Ariel cominciò ad offuscarsi mentre delle voci lontane le giungevano alle orecchie, senza permetterle di distinguerle: erano solo un rimbombo lontano. Quel gesto intenso di protezione aveva fatto scattare qualcosa da cui sarebbe stato difficile tornare indietro (1). 


Note:

- (1) ho fatto attraversare il confine anche ad Ariel. Spero che come descrizione non risulti troppo forzata ma ho cercato di modificare le dinamiche dell'incidente, cioè Ariel si è avvicinata ad Hook e Gold, avvicinandosi quindi anche al confine; quando è arrivata la macchina da fuori, Ariel ha spinto via Hook per impedire che venisse investito ma il colpo ha fatto sì che lei finisse oltre il confine.

Eccomi con il nuovo capitolo, pubblicato con un ritardo madornale. Chiedo umilmente perdono ma l'ispirazione per questa storia è stata un pò difficile da trovare ultimamente e spero di non perderla di nuovo, visto che mi piacerebbe davvero finirla.
Allora, come avete visto ho fatto attraversare il confine ad Ariel. Spero di essere stata convincente e realistica con la descrizione dell'incidente. In caso contrario, fatemelo notare così al limite correggo qualcosa :).
Questo capitolo non mi convince nemmeno un pò e credo di aver fatto seriamente del mio peggio; prima di tutto perchè scriverlo è stato un'impresa e poi perchè non sono molto convinta di quello che ho inserito, ma lascio a voi i giudizi. Nel prossimo la figura di Dylan/Eric avrà più spazio e rivedremo anche gli adorabili Diego e Grimsby in versione "Storybrooke".
La strofa iniziale è tratta dalla canzone "Underwater" di Mika :).
Devo ringraziare infinitamente PikkyAlly MYoan SeiyryuMarti Lestrange e 
ScandalousLaRabiosa.
Mi hanno incitata tantissimo a scrivere e hanno aspettato con ansia questo capitolo, quindi spero vivamente di non averle deluse (passate da Pikky se non l'avete fatto, visto che anche lei sta scrivendo una bellissima Hook/Ariel!).
Ok, direi che questo è quanto, ho smesso di tediarvi e ringrazio tutti coloro che hanno letto/recensito/messo tra le seguite e le preferite. Lasciate una recensione se vi va, anche piccina piccina, e visto che il capitolo non mi piace per niente, accetto sempre pomodori e ortaggi vari u.u
Al prossimo capitolo, un abbraccio :)



 

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Capitolo 10
*** Somebody told me ***


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X
 
Somebody told me

 

“I can’t get this memories out of my mind and some kind of madness,
has started to evolve. And I tried so hard to let you go but some kind of madness,
is swallowing me whole. I have finally seen the light and I have finally realized”.

 
Marina Hastings (1) aveva sempre pensato che i libri avessero l'unico scopo di riempirla di sogni e buoni propositi che non avrebbe mai realizzato: la storia cominciava sempre con persone abbandonate a sé stesse, chiuse, infelici, che poi finivano per imparare ad aver bisogno di qualcosa che prontamente riuscivano ad ottenere alla fine della loro storia. Alla fine cosa le era stato trasmesso? Che tutto era possibile, se si aveva fiducia?
Solo che stare seduti comodamente su un divano risultava sempre più semplice, a leggere di personaggi che fingevano di aver trovato un lieto fine.
Il suo pensiero era sempre stato quello, visto che non riusciva mai ad alzarsi in piedi e a decidere di seguire l'esempio di uno dei tanti libri che aveva letto durante la sua breve ed insulsa vita. Quante volte aveva esclamato “questa è la mia occasione”?
Avrebbe potuto dire a Dylan quello che provava, eppure non l'aveva fatto.
Stare a guardare. Questo era quello che sapeva fare: rimanere immobile mentre la vita le sfuggiva via dalle mani, scivolando come acqua e lasciando le sue mani umide, come le sue guance dopo essere state attraversate dalle lacrime che silenziosamente aveva versato.
Le pagine scorrevano e lei era lì, a pensare se riusciva a rispecchiarsi o meno nel protagonista, a chiedersi perchè la sua vita non si svolgesse nello stesso modo.
Dopo la maledizione, aveva pensato le cose più assurde, senza trarre davvero qualcosa da quello che aveva letto. Restare a guardare era più facile: si godeva lo spettacolo della sua infelice vita, in attesa di un cambiamento improvviso che l'avrebbe stravolta, come un temporale inaspettato.
Il cambiamento che tanto aveva agognato era giunto nel momento il suo corpo era ruzzolato lungo l'asfalto, superando il confine di pochi centimetri, superando quella distanza che le aveva fatto dimenticare chi fosse in realtà.
Era tornata ad essere Marina Hastings: la donna senza voce, la donna senza amore.
Guardava le luci sopra la sua testa. Era tutto troppo confuso per capire esattamente cosa stesse succedendo. Marina si abbandonò a quel momento di completo silenzio nella sua mente: non pensava niente. Vuoto, tabula rasa. Ogni ricordo, ogni sorriso, ogni lacrima, ogni bacio che aveva dato dopo la fine della maledizione erano completamente spariti. Con loro, era andato via anche il ricordo dell'uomo che amava: Killian, facendo in modo che nel suo cuore ci fosse soltanto colui che le era stato accanto, Dylan.
Capì di trovarsi all'ospedale quando intravide un paio di infermiere e l'ultima cosa che riuscì a sentire prima di perdere i sensi fu una voce femminile che urlava di “nascondere qualcuno”.
 
Nonostante tutto quello che Killian Jones era stato in grado di sopportare nel corso della sua lunga e avventurosa vita, fra mostri da affrontare, tesori da rubare e colpi da assestare, nulla era in qualche modo paragonabile al dolore che gli mandava a fuoco le membra in quel momento.
Aprì di nuovo gli occhi lentamente, guardandosi intorno, mentre le mente si abituava al quel posto nuovo quanto infausto e apparentemente sgradevole.
Si voltò, per ricordarsi di un'adorabile, e alquanto fastidiosa, biondina con cui aveva avuto a che fare nel Mondo delle Favole, che lo aveva praticamente ammanettato al letto d'ospedale. Doveva divertirsi proprio tanto.
Gli aveva fatto visita prima che si addormentasse di nuovo, pretendendo di sapere dove si trovasse Cora: la cara Emma non voleva proprio capire che con Cora, una volta giunto a Storybrooke, non aveva alcuna intenzione di averci a che fare. Lei aveva le sue faccende in sospeso, lui le sue.
L'unica differenza era che le carte in gioco, per Killian Jones, erano cambiate radicalmente.
Qualcuno aveva giocato un vero e proprio asso nella manica che aveva sconvolto completamente la situazione: Marina, o meglio, Ariel.
Aveva visto Marina. Avrebbe riconosciuto ovunque il suo viso. Per un attimo aveva creduto che si trattasse di un'allucinazione, ma lei era stata abbastanza tempo davanti ai suoi occhi per permettergli di capire che non si era sbagliato. Era davvero lei. Solo che era completamente diversa.
Prima di tutto, non aveva la coda. Inoltre, era vestita diversamente...come se fosse del posto. Come era finita vittima della maledizione? Credeva che si trovasse all'Isola che non c'è, eppure Cora gli aveva detto che la maledizione di Regina non avrebbe coinvolto anche quel mondo magico.
Troppe domande vorticavano nella sua testa e non sembrava esserci modo di dare loro risposta, almeno fin quando Emma non avesse smesso di infastidirlo per qualcosa che non sapeva. Aveva ferito il cuore di Tremotino, e non gli importava del fatto che avrebbe potuto ucciderlo.
Sarebbe potuto anche morire, sapendo che il coccodrillo aveva perso il suo vero amore.
Killian aveva chiesto ad Emma dove fosse Marina ma lei, in risposta, gli aveva domandato cosa lo legasse a quella ragazza. Già...cosa lo legava davvero a quella ragazza?
Per un attimo, una visione improvvisa gli attraversò la mente: erano sul ponte della Jolly Roger e lei aveva le braccia sollevate mentre girava su sé stessa, con il sole che le illuminava il viso. Aveva detto che voleva godersi il sole e l'aria fresca dell'Isola che non c'è, mentre inspirava a pieni polmoni la leggera brezza che le scompigliava i capelli rossi. Killian aveva alzato gli occhi al cielo, per soffermarsi su quella visione celestiale, evitando che lei potesse accorgersene, ma, voltandosi, il capitano si era ritrovato Grimsby che lo osservava con un sorriso malizioso e le sopracciglia alzate. Quello sguardo diceva sempre troppo, per lui.
Gli stessi occhi, che gli avevano rivolto quello sguardo indagatore, lo stavano fissando anche in quel momento, ma lo sguardo che lui gli stava rivolgendo era ben diverso.
“Capitano”, esclamò con voce sarcastica e stranamente calma.
Gli era bastato guardarlo negli occhi per capire che era lui: il suo braccio destro, il suo consigliere, il suo Grimsby, il suo amico; anche se l'uomo che si era unito alla sua ciurma più di ventotto anni fa era differente dall'uomo che Killian aveva di fronte.
Jonathan Grimsby,anche conosciuto come Samuel Bellamy (2), era a Storybrooke un uomo rispettabile e benvoluto da tutti, come lo era anche sulla Jolly Roger.
Tutti si fidavano di Grimsby e tutti gli davano retta. Era il classico pirata gentiluomo. I suoi modi posati, gentili e pazienti erano dovuti al fatto che era stato tenente di una nave, prossimo a diventare commodoro, e con una flotta navale a disposizione quindi la sua figura si avvicinava ben poco a quella di un pirata. La sua brillante e promettente carriera, tuttavia, era terminata nel momento in cui si era reso conto di non voler spendere la sua vita al servizio di nobili damerini, pronti soltanto a dargli ordini, così aveva deciso di dimettersi, lasciando il posto al suo secondo: James Norrington (3). Si era unito alla sua ciurma per puro caso e in modo a dir poco strano: erano bastate una sera come tante in una taverna, una bevuta insieme ad uno sconosciuto, noto come Killian Jones, che cercava membri per la sua ciurma e un brindisi per suggellare la nuova avventura. Fidarsi di Grimsby era facile e spontaneo, come se fosse un gesto naturale.
Tuttavia, il caro Grimsby aveva deciso di giocargli un colpo basso in quel momento, visto che non era da solo: alle sue spalle vi erano Diego e quello scapestrato di Flynn.
Ogni volta che il suo braccio destro voleva giocargli un tiro mancino o riservargli una ramanzina per fargli capire che aveva fatto qualcosa di stupido, portava con sé una specie di “scorta”, formata da quei due. Quasi si divertivano a fargli una paternale, come fosse un bambino.
Quando Killian li vide, non potè fare a meno di ricordare le loro rispettive storie e cosa li aveva portati ad unirsi a lui. Eppure, in quel momento erano così diversi, sembravano altre persone. Avevano vissuto per ventotto anni senza ricordare minimamente le loro vite passate, le loro vere identità, avevano vissuto una vita che non gli apparteneva, erano stati chiamati con nomi che non li rappresentavano e si erano dimenticati completamente chi fossero.
Se fosse caduto anche lui vittima della maledizione, quale sarebbe stata la sua nuova identità?
Si sarebbe dimenticato della vendetta e gli avrebbero affibbiato un nome fasullo. Chissà se la sua “nuova vita” l'avrebbe trascorsa da solo oppure in compagnia di qualcuno.
Magari sarebbe stato insieme a Marina. Magari sarebbe stata la sua fidanzata.
Scosse subito la testa. Cosa diamine andava a pensare? Evidentemente, gli avevano somministrato troppa roba strana per annullare il dolore provocato dall'incidente.
Diego era in buona forma. Il volto era luminoso e pulito, nulla a che vedere con quello sempre imbronciato e inacidito dell'ubriacone che viveva a bordo della sua nave.
Evidentemente, la maledizione non gli aveva fatto tanto male, chissà se si era riunito alla sua amata principessa. Stentò a crederlo, mentre si poneva quella domanda.
Diego, il pirata costantemente arrabbiato e che si comportava sempre come un burbero, era stato innamorato.
D'altronde, chi era lui per giudicare? Anche lui, Killian Jones, era stato innamorato...perdutamente e senza alcuna riserva.
La storia di Diego, che lì tutti chiamavano Wesley, era dolorosa almeno quanto la sua, l'unica differenza era che lui non aveva perso nessun arto. Gli era stato portato via soltanto il cuore, metaforicamente parlando.
Lei si chiamava Bottondoro, e il loro amore poteva essere definito come quello “vero” di cui si legge nei libri delle favole più famose, quell'amore in grado di superare ogni tipo di disavventura e in grado di ricongiungerli ogni volta. La loro prima separazione c'era stata quando Diego aveva deciso di partire per mare e cercare fortuna, esperienza che gli permise di avere una certa familiarità con le navi ed i pirati, diventando lui stesso un pirata.
Durante la sua assenza, tuttavia, il principe Humperdinck del regno in cui vivevano era in cerca di una donna che potesse diventare sua moglie e la scelta era ricaduta proprio su Bottondoro, che aveva cercato di respingerlo in tutti i modi, ma, dopo un anno che Diego non era più tornato da lei, aveva dovuto acconsentire a quel matrimonio con un uomo che non amava. Diego, tornato nel suo regno, e dopo aver scoperto che la sua amata stava per sposarsi aveva cercato in tutti i modi di impedire quel matrimonio, salvandola prima da tre uomini che l'avevano rapita per chiedere un riscatto al principe e poi fronteggiando lo stesso principe, con l'aiuto di due dei briganti che, per qualche strana coincidenza, erano diventati suoi alleati. In una favola come le altre, l'amore avrebbe trionfato e i due innamorati si sarebbero ricongiunti, vivendo per sempre felici e contenti. Peccato che non era andata esattamente in quel modo, visto che il principe gli aveva portato di nuovo via la sua amata, e lo aveva bandito dal regno. (4)
Fu allora che Diego si unì alla sua ciurma, mostrando il suo lato peggiore.
Il ragazzo innamorato era morto, era rimasto in quella piccola casetta dove viveva insieme alla sua bellissima  Bottondoro, mentre il suo cuore spezzato giaceva in qualche luogo angusto che non era il suo petto. Chissà se dopo la maledizione l'aveva ritrovata. Killian voleva chiederglielo, come voleva chiedere a Flynn se si era riunito alla ragazza dai lunghissimi capelli biondi, ma i tre sembravano più propensi a dirgli qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.
“Sei un idiota!”, abbaiò Flynn, incrociando le braccia al petto.
“Anche io sono felice di vederti”, ribattè Killian voce ironica.
“Ha ragione”, sentenziò Diego, carezzandosi il mento con una mano.
“E' così che accogliete il vostro capitano?”, berciò lui con voce indignata.
“Come dovremmo accoglierti dopo che ci hai lasciati senza nave, decidendo di seguire quella psicopatica della regina per realizzare la tua vendetta?”.
La voce di Grimsby era carica di una furia che non gli apparteneva. Da quanto lo conosceva non lo aveva mai visto così arrabbiato e risentito. Non c'era nessun sorriso sornione, nessuna battuta ironica per fargli capire con le buone che aveva fatto una stupidaggine. C'era soltanto un rancore che aveva serbato per ventotto lunghi anni, senza mai avere occasione di sbraitarlo contro colui che ne era stata la causa, contro colui che si era portato via la loro casa, rendendosi vittima di una maledizione, quando avrebbe potuto tenerli con sé e proteggerli da quella sciagura.
“Ora sei venuto qui e ti aspetti un tappeto rosso di benvenuto?”, sbraitò lui, fissando con espressione truce il suo capitano che quasi non riusciva a ribattere. “Non sei neanche arrivato e ha fatto già danni. Ariel è in un letto d'ospedale, senza memoria!”.
“Senza memoria?”, ripetè Killian sconcertato, portando il busto in avanti, e facendosi quasi male per le manette che gli arpionavano il polso nudo.
“Già”, esclamò Diego con gli occhi ridotti a due fessure. “Per salvare te”.
“Deve anche sposarsi”, intervenne Flynn, beccandosi un sonoro schiaffo dietro la testa da Diego, per il quale il ragazzo si portò subito la mano al collo, massaggiandolo.
Killian alzò lo sguardo verso di loro. Marina? In procinto di sposarsi?
Non credeva che una notizia del genere potesse fargli un effetto così strano, eppure, mai come allora, Killian si sentiva dannatamente perso e confuso.
Marina era finita oltre il confine...proprio come Belle, e ora non si ricordava più di lui ma certamente aveva memoria del suo presunto fidanzato e futuro marito.
Il destino sembrava quasi intenzione a non concedere nulla né a lui né al coccodrillo, facendo finire entrambe le ragazze oltre il confine, in modo che perdessero ogni ricordo che li riguardava. Perchè gli sembrava quasi di sapere come si stava sentendo Tremotino in quel momento?
Cercò di nuovo di scrollarsi quei pensieri assurdi dalla testa. Quella Storybrooke aveva qualcosa di strano che forse gli aveva completamente annebbiato il cervello...come poteva pensare a Marina in quel modo? Inoltre, si ostinava a chiamarla con il suo nome falso, come se per lui fosse ancora la ragazza sperduta con indosso un sacco di juta tenuto su soltanto da una corda; la ragazza ingenua e facile da stupire; la ragazza che aveva paura delle candele; la ragazza che era stata rapita dagli indiani dell'Isola che non c'è; la ragazza che aveva dormito nel suo letto; la ragazza che lui aveva baciato nella sua cabina e che avrebbe continuato a baciare per tutta la notte.
Quei ricordi erano svaniti...lei non li rammentava più, perchè gli si era gettata addosso per salvarlo. Ricordò la sua chioma rossa che lo avvolgeva, come fosse una macchia in mezzo a tutto quel buio. D'un tratto, per Killian fu come un flashback.
Era in acqua, ma era tutto troppo confuso, vedeva il sangue disperdersi davanti ai suoi occhi e lui non trovava la forza di ritornare a galla perchè faceva troppo male anche solo muoversi. Qualcosa lo aveva afferrato e portato su, qualcosa di cui Killian ricordava solo il colore: rosso.
La vista era annebbiata, impedendogli di distinguere ciò che si ergeva davanti ai suoi occhi; impedendogli di identificare una figura che Killian credeva di aver immaginato; impedendogli di riconoscere quella macchia rossa e associarla a qualcosa che gli era stata affianco per diverso tempo. Per qualche strano motivo, fu tutto più chiaro. Una macchia rossa che lo tirava su e lo portava sulla spiaggia; delle labbra che si muovevano, dicendogli che era salvo; la stessa macchia rossa che si muoveva fra le fronte della foresta dell'Isola che non c'è; la stessa macchia che lo aveva avvolto la notte precedente, salvandolo: era sempre stata lei...Ariel, e lui era stato così stupido.
Il respiro si fece più pesante, quasi affannoso, mentre tutto quello che gli era sempre sfuggito si realizzava nella sua mente, scuotendolo quasi. Grimsby, Flynn e Diego non esistevano: erano spariti mentre le pareti di quella stanza si rimpicciolivano sul suo corpo fermo in quel letto.
Come aveva potuto non capirlo subito? Come aveva potuto gettarla in mare?
“Killian?”, c'era una nota di preoccupazione nella voce di Grimsby, che si era fatto più vicino.
“Ho fatto un bel casino”, affermò Killian, fissando la coperta anonima di quel letto d'ospedale.
Grimsby trattenne una risata. “Perchè questa tua rivelazione non mi sorprende?”.
Il capitano lo guardò e per un attimo tutta l'ansia e la rabbia scemarono, per lasciare spazio ad un sorriso sincero, uno di quei sorrisi che Killian era solito rivolgere al suo amico in rare occasioni. Un rumore, come uno schiocco, li fece voltare verso Flynn che stava armeggiando con qualcosa.
Il ragazzo aveva infilato un guanto di plastica lungo tutto il braccio destro e lo fissava, come se fosse un bambino che non aveva mai visto qualcosa del genere, e non si era accorto che i suoi compagni erano intenti ad osservarlo in modo abbastanza sconcertato e dubbioso.
Quando Flynn si voltò, notando tutti gli occhi fissi su di lui, si mostrò stranito.
“Cosa c'è?”, chiese con tono sorpreso. (5)
Diego, con le braccia incrociate al petto, gli rifilò uno dei suoi sguardi assassini, che il ragazzo colse subito, sfilandosi il guanto e alzando gli occhi al cielo, come un ragazzino imbronciato.
“Ricordami perchè l'hai fatto salire a bordo della tua nave”.
La frase di Diego era un po' come una boccata di aria fresca, capace di farlo ridere e di smorzare quella tensione che lo aveva invaso poco prima e che sarebbe tornata presto ad invaderlo. Quel momento poteva essere definito da Killian come la calma prima della tempesta.
Sarebbe andato da Ariel e sapeva che, anche se lei non aveva alcun ricordo di lui, non sarebbe stato certo il benvenuto; ma aveva deciso che avrebbe fatto qualcosa al riguardo.
 
“Ha la coda? Voglio vedere!”.
Emma si voltò di scatto non appena la voce di suo figlio, Henry, le giunse alle orecchie. Si parò davanti alla figura del bambino, impedendogli l’accesso alla camera della ragazza, ancora priva di sensi.
“Non dovevi portarlo a casa?”, domandò la bionda, rivolgendosi a Ruby.
“Era quello che stavo facendo ma gli sono dovuta correre dietro”, esclamò la ragazza, afferrando Henry per le spalle e trascinandolo al suo fianco, mentre il ragazzino si agitava con fare entusiasta, ansioso di vedere la sirena di cui aveva letto tante volte nei libri.
“Tu non vedrai proprio nessuno”, dichiarò Emma. La voce era seria e la mascella serrata: non voleva esporre quella povera ragazza come fosse un fenomeno da baraccone, attirando l’attenzione.
La prima cosa che doveva fare era farla tornare normale in qualche modo, e nonostante l’idea le desse il disgusto, l’unica opzione plausibile sembrava quella di rivolgersi a Gold.
L’uomo arrivò poco dopo, affiancato dai suoi genitori, con uno sguardo che lasciava poco spazio all’immaginazione: furioso, frustrato, dolorante, arrabbiato con il mondo e soprattutto con Hook.
Emma temeva che sarebbe scattato da un momento all’altro, raggiungendo la sua stanza e strappandogli il cuore dal petto, mettendo fine alla sua mera esistenza.
“Per quale motivo mi strattonate in giro?”, domandò l’uomo, infastidito. “Non sono in vena di concedere il mio aiuto a nessuno in questo momento”.
La bionda rivolse uno sguardo preoccupato a sua madre che le fece cenno di parlare, così Emma lo fece avvicinare alla porta che dava sulla camera di Ariel, meglio conosciuta come Marina.
“Speravo potessi spiegarci questo”, esclamò, indicando la sua coda.
“Accidenti!”. La voce di Henry, che si era affacciato senza dare nell’occhio, era allegra e meravigliata.
“Togliti di lì!”. Snow lo afferrò per un braccio, portandolo tra lei e David.
Nel frattempo, Tremotino osservava la figura distesa sul letto d’ospedale: il viso era scarno e pallido, i capelli sembravano schiariti come se avessero perso il loro colore naturale e la coda era in bella vista, ma qualcosa non andava, poiché sembrava quasi che si stesse decomponendo.
L’ideale, probabilmente, sarebbe stato quella di metterla in acqua, dato che sembrava ciò di cui la ragazza aveva bisogno ma nelle sue condizioni non potevano farlo, o almeno non ancora.
“Deve tornare normale”, esclamò l’uomo, entrando, senza perdersi in troppe cerimonie.
Tremotino allungò una mano, ponendola parallelamente alla coda di Ariel e, facendola scorrere lungo di essa, la riportò alla sua forma umana, sotto lo sguardo dei presenti.
“La conosci?”, domandò David, notando come Tremotino l’avesse aiutata senza rifletterci troppo e senza chiedere nulla in cambio.
“Diciamo che mi ha aiutato a recuperare un oggetto prezioso”, dichiarò con un ghigno.
“L’inchiostro magico!”, intervenne Henry, quasi saltellando.
“Esattamente”, ribattè l’uomo, voltandosi verso di lui. “Io volevo l’inchiostro e lei un paio di gambe”.
“Allora perché si è ritrasformata?”, chiese Ruby con tono dubbioso.
“Le sirene con doppia natura si trasformano a loro piacimento”, esclamò lui, appoggiando entrambe le mani sul bastone in legno. “Un po’ come te, mia cara, con la tua natura di lupo. Solo che nel suo caso, non essendo mai tornata alla sua forma originale, c’è stato qualcosa che l’ha fatta scattare”.
“Cosa?”, domandò Emma. La vicenda di quella ragazza la incuriosiva ma, soprattutto, non riusciva a spiegarsi il suo legame con Hook. Si era praticamente gettata su di lui per salvarlo e doveva significare qualcosa, ma perché era tornata sirena proprio in quel momento e dopo aver attraversato il confine?
“Un ricordo molto forte”, rispose lui con voce bassa. “Un forte desiderio di protezione”. (6)
 
 
 
 Angolo dell’autrice
 

  • (1) Il cognome viene dal personaggio di Spencer Hastings, dalla serie tv Pretty Little Liars;

  • (2) nome di un pirata famoso, per sottolineare la vera natura da pirata di Grimsby;

  • (3) sì, quel Norrington da La Maledizione della Prima Luna;

  • (4) la storia di Diego/Wesley è fedelmente ripresa da La Storia Fantastica, film che ha segnato la mia infanzia e resta, a mio dire, un gran bel film, romantico e divertente. L’unica differenza sta, ovviamente, nel finale, che ho riadattato per la storia in questione;

  • (5) questa scena è ripresa da Teen Wolf (episodio 3x02) ed è un omaggio al mio personaggio preferito, ovvero Stiles Stilinski. Non so se alcuni la seguono ma nel caso voleste vedere la scena per avere un’idea, basta scrivere su youtube e la trovate;

  • (6) ecco perché Ariel si è trasformata: è stato un po’ un riflesso involontario, il desiderio di proteggere Killian era così forte, che ha portato Ariel ad aggrapparsi al ricordo del loro primo incontro, tramutandosi quindi in sirena.

 
Eccomi qui! Un po’ in ritardo, come al solito ma ce l’ho fatta.
Allora cosa ve ne pare di questo ultimo capitolo? Perdonatemi, perché avevo detto che avrei dato spazio alla figura di Dylan ma mi sono lasciata trasportare da Killian, così ho pensato di dedicargli un bel po’ di righi, visto che negli ultimi capitoli è stato un po’ messo da parte.
Nel prossimo, si vedranno di più lui ed Ariel. In questo caso, ho dato un po’ di spazio ai pirati :3
Il titolo è tratto dall’omonima canzone dei The Killers, mentre la frase dalla canzone “Madness” dei Muse. Direi che non c’è altro da dire, ho messo di tediarvi e vi lascio l’opportunità di lanciare ortaggi e pomodori. Fatemi sapere cosa ne pensate e ringrazio sempre di vero cuore tutti coloro che stanno seguendo questa storia. Alla prossima, un abbraccio <3

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Capitolo 11
*** A beautiful lie ***


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XI
 
A beautiful lie

 
“Why can't I find you?
Do you even want me to?”.
 
Dylan Harris non ricordava il suo primo incontro con Marina, a Storybrooke. Prima che la maledizione venisse spezzata, poteva soltanto dire che erano sempre stati insieme, da quando aveva memoria, ma le giornate che avevano passato insieme a Storybrooke erano lì, impresse in bella mostra nei suoi ricordi, ed era convinto che c'era un motivo se stavano insieme. Ancora non riusciva a togliersi dalla testa la figura di quella ragazza dai capelli rossi vista nella Foresta Incantata, seduta a pochi tavoli di distanza da lui.
Era così bella che sarebbe rimasto ore a fissarla, perdendosi in quegli occhi verdi e luminosi, che ogni tanto lo avevano squadrato timidamente, come se non volessero essere colti in flagrante, ma lui li aveva visti mentre lo fissavano e aveva sorriso. Si diede dello stupido più volte per non essersi avvicinato e per non averle parlato, era riuscito soltanto ad udire il suo nome, pronunciato dalla locandiera con il mantello rosso: Arie. Non avrebbe mai dimenticato un nome così suggestivo. Era strano dirlo ma Eric credeva che quel nome le calzasse alla perfezione: era un nome adatto ad una ragazza bella e diversa come lei. 
Marina era una ragazza affascinante quanto complessa. Era cresciuta senza una famiglia, e Dylan sperava con tutto il cuore di essere riuscito a compensare quella mancanza almeno in parte.
Per quel motivo, si era precipitato all'ospedale in preda all'ansia quando Ruby lo aveva chiamato.
Dylan non aveva nemmeno udito l'intera frase, gli erano bastate le parole “Ariel”, “confine” e “incidente”, per farlo sussultare, mentre il suo corpo fremeva per la preoccupazione al solo pensiero che le fosse successo qualcosa di brutto, a cui non si poteva porre rimedio. Quando giunse nella sala d'attesa dell'ospedale, venne fermato subito da David Nolan, che si apprestò a calmarlo, ma lui pareva non sentire. Riusciva solo a guardare oltre la sua spalla per scorgere la figura della sua fidanzata, chiusa chissà dove con gli occhi serrati, dei quali lui non poteva vedere il verde meraviglioso che si raccoglieva al loro interno; il viso pallido, che aveva preso fra le sue mani innumerevoli volte; le labbra rosse e screpolate che aveva baciato praticamente ogni singolo giorno da quando tutto era iniziato, come avrebbe desiderato fare anche quando l'aveva vista nella Foresta Incantata.
“Ehi, ehi!”, esclamò David, prendendolo per le spalle. “Calmo! Lei sta bene”.
“Cos'è successo?”, chiese Dylan, con la voce ancora scossa dall'ansia.
“C'è stato un incidente”, aggiunse lui, facendolo sedere e parandosi di fronte a lui. "E' finita oltre il confine e...”.
David non riusciva a completare la frase ma non ci voleva un genio per capire come doveva finirla.
Dylan ricordava perfettamente cosa succedeva a chi varcava il confine dopo la maledizione, lo aveva visto con i suoi stessi occhi, e sentì un brivido lungo la spina dorsale.
“Lei non ricorda nulla”, asserì il ragazzo, infilando le mani nel cappotto e stringendo le spalle, come se un vento gelido lo avesse appena colpito in viso. David si sedette accanto a lui, mettendogli una mano sulla spalla.
“Si ricorda sicuramente di te”, disse con voce speranzosa. “I suoi ricordi sono fermi alla maledizione".
“Lo so, e di questo almeno ne sono grato”, sussurrò il ragazzo. “Solo che è strano. Io ricordo chi siamo, il nostro primo incontro nella Foresta Incantata e lei mi vede solo come il fidanzato di sempre, come Dylan...non come Eric, il ragazzo timido che la fissava alla locanda”.
“La memoria può tornarle”, disse ad un tratto David.
“Come?”, chiese subito lui. I suoi occhi si erano illuminati.
“Con il bacio del vero amore”, dichiarò David con un sorriso, rammentando i giorni in cui lui e Snow avevano affrontato la stessa identica sorte. “Solo che non è semplice come sembra”.
“Cosa intendi?”, domandò Dylan, sconcertato.
“E' successo anche a me con mia moglie”, cominciò l'uomo, mentre Dylan lo osservava con estrema curiosità, cercando di trarre più insegnamenti possibili dalle sue parole.
Voleva capire. Voleva essere aiutato. Voleva far tornare la sua Ariel.
“Quando Snow ha perso la memoria”, cominciò, mantenendo il suo sorriso, “non ricordava chi fossi o i sentimenti che la legavano a me. Pensavo che un semplice bacio sarebbe bastato, invece doveva essere sentito e accettato anche da lei, per poter funzionare. Non potevo aiutarla senza che lei capisse prima quanto tenessi a lei e al nostro amore”.
Dylan rimase a fissarlo: il viso era un po' più sereno e sollevato, come se un barlume di speranza si fosse acceso in lui. Poteva far tornare la memoria ad Ariel, doveva soltanto avere pazienza, e la pazienza era forse una delle doti che meglio lo caratterizzavano. Tuttavia, quell'attimo di serena tranquillità venne offuscato da un pensiero che il ragazzo non aveva ancora preso in considerazione e che probabilmente a breve avrebbe cambiato le carte in tavola. Per quale motivo Ariel era al confine?
Una domanda fastidiosa, una nota stonata, una crepa in quel muro di mattoni che Dylan credeva di aver costruito per portare avanti la storia con quella ragazza. Gli aveva detto che era uscita con Belle, e quella parte sembrava essere apparentemente vera, ma allora perchè c'era anche Gold e, da quello che aveva sentito in città, un uomo con un uncino al posto della mano era rimasto coinvolto nell'incidente?
“Chi è il tizio che è stato investito?”, chiese il ragazzo, voltandosi verso David.
“Beh”, cominciò lo sceriffo con voce titubante. “Non sappiamo con esattezza chi sia”.
Mentì. Ancora non avevano idea del perchè quell'uomo, conosciuto come Hook, fosse coinvolto. Sapeva soltanto che Emma e Mary Margaret lo avevano incontrato nella Foresta Incantata e non sembrava un tipo molto raccomandabile; ma la cosa che non erano ancora riusciti a spiegarsi era come mai Ariel si fosse prodigata in quel modo per salvarlo. Purtroppo, visto che la sua memoria era andata perduta, non avrebbero ricevuto una risposta molto presto a quella domanda.
Intanto, Dylan non sembrava più tanto sereno: forse c'era qualcosa che Ariel non gli aveva detto.
 
Un mal di testa lancinante. Non riusciva a sentire altro: un mal di testa così forte che a breve le avrebbe perforato la scatola cranica per quanto le faceva male. Si portò una mano alla tempia istintivamente ma un'altra mano si appoggiò alla sua, stringendola con dolcezza e trasmettendole calore. Ariel sussultò, aprendo gli occhi di scatto e trovò la figura di Dylan, davanti a lei con gli occhi rossi, contornati da profonde occhiaie.
Il viso era pallido e un po' scarno, sembrava che non mangiasse da un po' e il suo viso sembrava tutto tranne che riposato. Vederlo in quello stato un po' le strinse il cuore, ma faceva quasi fatica a capire il motivo di tanta apprensione e soprattutto il motivo per cui si trovasse in ospedale.
“Marina”, sussurrò il ragazzo con un sorriso sollevato. “Come ti senti?”.
“Stonata”, rispose la ragazza con voce atona. Si guardò intorno. “Perchè sono qui?”.
“Hai avuto un incidente”, affermò il ragazzo, sedendosi sul bordo del letto. “Ora stai meglio”.
La ragazza lo guardò, ma sembrava ancora troppo stanca e confusa per porgli delle domande sensate e forse era un bene, visto che Dylan aveva idee ancora poco convincenti su come si era ritrovata coinvolta in un'incidente stradale. Ariel non aveva molti amici prima che la maledizione venisse spezzata, quindi non poteva nemmeno dirle che era insieme Belle, considerando anche il fatto che la stessa ragazza non si sarebbe ricordata di lei. Due ragazze senza memoria erano sicuramente difficili da gestire, e una parte di lui era dispiaciuta per Tremotino, che si trovava nella sua stessa situazione, ma almeno Ariel si ricordava di lui...se così si poteva dire.
Ariel aveva un ricordo di lui stabilito dalla maledizione, eppure nella Foresta Incantata non avevano avuto modo di conoscersi e di innamorarsi. Forse quello che avevano non era vero amore?
Dylan si rimproverò per i pensieri che gli stavano vorticando nella mente, cosa gli prendeva?
Lui amava Ariel, e anche lei lo amava a sua volta. Allora perchè si poneva domande del genere?
Perchè la maledizione li aveva fatti finire insieme? Da quello che aveva visto, tutti avevano perso qualcosa con quel sortilegio e la maggior parte si erano trovati separati dal loro vero amore: David e Mary Margaret; Eugene ed Allyson; Belle e il signor Gold. Perchè, invece, lui ed Ariel erano insieme? Se lo scopo di Regina era quello di fare in modo che nessuno avesse un lieto fine, a parte lei, come mai lui ed Ariel ne avevano avuto uno? Non capiva perchè si stesse ponendo tutte quelle domande, ma una parte di lui gli stava urlando che c'era qualcosa di irreale in quella situazione e che forse lui non l'avrebbe mai compresa.
Era possibile amare qualcuno che non voleva essere amato?
Quando Dylan fu costretto a lasciare l'ospedale, per tornare a lavoro, lo fece quasi con rammarico. Non voleva lasciare Ariel da sola. Voleva rimanerle accanto, anche se lei poteva non volerlo. Voleva condividere quei momenti insieme a lei, anche se prevedevano il silenzio. Prima di uscire, gettò uno sguardo alla sua fidanzata, che si era beatamente riaddormentata. Dylan sorrise, sperando che quelle domande erano soltanto paure che non si sarebbero mai realizzate.
 
“Ehi, ehi!”, lo ammonì Grimsby, parandosi davanti alla figura del suo capitano con fare preoccupato. “Non puoi camminare da solo, dove credi di andare?”.
“Ho fame e non voglio questa poltiglia” ribattè Killian con tono capriccioso, e indicando con la mano sana il piatto di gelatina intanto sul comodino accanto al letto.
Grimsby incrociò le braccia al petto, osservandolo con un sopracciglio alzato e l'espressione divertita. “Dove vorresti andare, allora?”, chiese con tono sarcastico.
“Non lo so”, affermò lui tranquillo. “Dove posso trovare del cibo accettabile”.
“Ci penso io”, esclamò Grimbsy rassegnato e facendo segno al capitano di rimettersi seduto. “Torno subito e tu vedi di non andare in giro per l'ospedale a spaventare le persone”.
“Perchè dovrei spaventare le persone?”, domandò Killian con tono offeso ma il suo amico era già fuori dalla stanza per riuscire a sentirlo.
Tuttavia, lui non aveva voglia di stare lì fermo, così decise che un giretto non gli avrebbe certo fatto male. 
Magari, si sarebbe anche imbattuto in Ariel, dato che desiderava rivederla dalla notte in cui li avevano portati in quel posto infernale con il peggior cibo del mondo. Cominciò a camminare per i corridoi dell'ospedale, incurante del fatto che Grimsby, non trovandolo in camera, sarebbe corso ad afferrarlo per le orecchie ma non gli importava. Doveva vederla, anche solo per assicurarsi che stesse bene e che fosse fuori pericolo. Killian osservava tutte le porte aperte, senza riuscire a scorgere una esile figura dai capelli rossi ma poi qualcosa attirò finalmente la sua attenzione. In una stanza, c'era proprio Ariel, seduta sul letto a gambe incrociate e con la coperta che la ricopriva fino alla vita, intenta a guardarsi le unghie con il viso di chi si stava annoiando a morte.
Stava bene. Era tutta intera e Killian poteva scorgere soltanto qualche livido in via di guarigione sulle braccia, per il resto non sembrava passarsela poi tanto male. Lo sguardo cadde sul collo della ragazza, dove se ne stava quel ciondolo che Killian credeva tanti anni fa di aver perduto. Lo aveva tenuto per tutto quel tempo, anche dopo la maledizione: doveva pur significare qualcosa.
Preso da quei pensieri, Killian aveva avanzato con lentezza, fino ad entrare nella stanza e sussultò quando Ariel si accorse di lui, osservandolo con sguardo accigliato e interrogativo.
“Tu chi saresti?”, domandò lei in modo poco gentile.
Killian rimase un attimo spiazzato dal suo modo di porsi. Non ricordava che Ariel fosse così scortese, poi però ricordò chi aveva di fronte. Quella non era Ariel, bensì la sua controparte, creata dalla maledizione e doveva essere l'opposto della sua vera personalità. Ariel era sempre stata dolce e gentile, a differenza della ragazza che lo osservava in maniera sempre più infastidita.
“Sono rimasto coinvolto anche io nell'incidente”, disse lui, cercando di apparire naturale. “Volevo soltanto vedere come stavi, dato che mi ricordo di te”.
“Oh”, sussurrò lei, che a quella affermazione parve quasi ridestarsi e cominciò ad osservarlo in maniera differente. Gli occhi non erano più ridotti a due fessure, ma si spalancarono leggermente, mostrando il loro colore e lo sguardo si fece più dolce e meno in allerta. Rimaneva sempre bellissima, con i capelli che le ricadevano in morbidi boccoli sulle spalle.
Killian continuava ad osservarla, pensando a qualcosa di appropriato da dirle, fin quando non notò un anello posto all'anulare della ragazza, la cui visione gli provocò un tuffo al cuore. Quello era l'anello del fantomatico fidanzato con cui Ariel sarebbe stata felice. Si chiese chi mai potesse essere quel damerino e se lo conoscesse, ma forse poteva renderla felice e sicuramente più di lui. Solo che la gelosia che lo stava invadendo, scoppiando dal centro del petto, proprio non voleva arrestarsi e Killian non si sentiva nemmeno in grado di combatterla.
Ogni ricordo di lui era stato cancellato, come se non avesse mai fatto parte della sua vita, e Killian non potè fare a meno di ricordare l'immagine di lei nella sua cabina che gli parlava, illuminata soltanto dalla tenue luce della luna che filtrava dalla finestra.
“Mi chiamo Marina”, esclamò lei, rompendo in silenzio e poi portandosi una mano alla bocca. Era stranita, come se non avesse intenzione di dire il suo nome, e, difatti, il suo sguardo torno serio. Forse non era nei suoi modi dare confidenza ad una persona qualunque sbucata all'improvviso e sembrava stupita del suo gesto improvviso, dettato da un sentimento strano quanto sconosciuto.
“Io sono Killian”, esclamò lui, avvicinandosi al letto della ragazza e rivolgendo uno dei suoi sorrisi.
“Non te l'ho chiesto!”, dichiarò lei, sforzandosi di non osservare quello sconosciuto.
Killian sorrise divertito. Ariel era sempre stata divertente quando si sforzava di nascondere ciò che provava o pensava, e lo era anche in quel momento.
“Nemmeno io ti avevo chiesto il tuo nome”, esclamò Killian con un sorrisetto vittorioso in viso, beccandosi un'occhiata gelida della ragazza che credeva di poter nascondere il sorriso che voleva incresparle le labbra. Era così strana...sembrava combattuta, come se volesse parlare con lui ma a tratti anche evitarlo per qualche strano motivo. E ad ogni gesto, Killian si sentiva spinto verso lei. Sapeva che non avrebbe resistito al desiderio di riconquistare quella ragazza. Era lì per colpa sua, senza memoria e lui aveva deciso che avrebbe fatto in modo che lei si ricordasse di lui.
 
 
Nel momento esatto in cui Marina aveva conosciuto Killian Jones in una camera d'ospedale, qualcosa in lei aveva iniziato a smuoversi, come una frana pronta a manifestarsi, e da allora la ragazza aveva provato a trovare una risposta nei suoi sonni agitati, mentre una piccola inquietudine riposava tranquillamente dentro di lei...un'inquietudine che presto sarebbe venuta fuori. Marina cercava qualcosa che proprio non ne voleva sapere di essere trovata e lei non sapeva nemmeno come procedere. L'incontro con quello strano uomo privo di una mano la spingeva a cercare qualcosa che forse aveva dimenticato ma non sapeva dire esattamente cosa. Le sue mani cercavano, frugavano e scavavano nei meandri dei suoi ricordi alla ricerca di un qualcosa di indefinito. Prima di essere dimessa non era riuscita a non guardare Killian più volte al giorno, e quel comportamento non era da lei. Lei non si attaccava alla persone. Non le cercava con il pensiero.
In tanti anni non aveva mai cercato di stringere amicizia con gli abitanti di Storybrooke, figuriamoci con uno sconosciuto sbucato all'improvviso.
Continuava a ripetersi che non era nel suo modo di fare ma più se lo diceva, più si impegnava a fare l'esatto contrario, come se fosse un atteggiamento spontaneo. Dylan non poteva stare con lei tutti i giorni, a causa del lavoro, ma lei non era dispiaciuta, e quei giorni di solitudine venivano riempiti con la presenza di quello strano uomo, che gironzolava per l'ospedale, sempre con tre uomini al suo fianco.
Sembrava che lui possedesse una barca e che si fosse trasferito in città in cerca di fortuna.
Alla parola “barca” la ragazza si era illuminata per la gioia ed era così estasiata all'idea di vederla, che Killian avrebbe desiderato mostrargliela.
Per Killian quella nuova conoscenza era meravigliosa quanto assurda. Stava riscoprendo tutto di lei e non sembrava che fosse passato molto tempo.
Sembrava ieri quando l'aveva letteralmente pescata dal mare, spaventata e infreddolita.
Ogni gesto, ogni parola che lei pronunciava riusciva ad associarla ai ricordi dell'Isola che non c'è.
Anche a Storybrooke, la ragazza sembrava avere dei problemi piuttosto seri con le candele e scoppiare a ridere insieme a Grimsby era stato praticamente impossibile quando lei aveva afferrato una forchetta, raccontandogli che da bambina voleva usarla per pettinare i suoi lunghi capelli rossi (1).
Una mattina sulla Jolly Roger, Ariel aveva fatto la stessa identica cosa e Killian poteva constatare quanto i suoi ricordi fossero “sparsi”.
La sua vita, quella vera, era ancora in lei, divisa in tanti piccoli indizi, come le tessere di un puzzle che qualcuno avrebbe dovuto rimettere insieme.
Forse doveva essere lui a farlo oppure era più giusto che fosse Dylan? Lo aveva visto soltanto poche volte e odiarlo gli risultava impossibile.
Killian si sforzava ma quello stupido ragazzo sembrava così buono e dolce, che avrebbe vomitato volentieri. Eppure, Ariel non sembrava molto presa da lei e Killian non riusciva a spiegarsi se dipendesse dalla maledizione o da una verità che lui ancora non riusciva a cogliere e forse nemmeno Ariel.
Se si fossero davvero amati, per quale motivo Regina li aveva riconciliati? Nessuno sembrava aver trovato un lieto fine e Diego era una delle tante prove tangibili, dato che la sua amata era nelle grinfie di un marito che non amava, ma soltanto perchè il suo amico non aveva trovato ancora il coraggio di correre a liberarla. Temeva che lei non sarebbe stata felice di vederlo, ma Killian sapeva che quella paura sarebbe durata ancora per poco.
Insieme a lui, Marina aveva imparato a conoscere ancora una volta Grimsby, Diego e Flynn, con il quale la complicità era innegabile, proprio come sull'Isola.
Alla ragazza sembrava che conoscessero Killian da una vita e non avevano tardato a raccontare aneddoti imbarazzanti su di lui.
Marina non sapeva dire come, ma ogni volta che si trovava insieme a loro, si sentiva diversa...si sentiva a casa, ed era strano.
Era strano perchè Dylan sarebbe dovuto essere la sua casa, l'unica persona cara che aveva mai avuto.
Tuttavia, Marina aveva sempre saputo che tutto ciò che possedeva non era reale, lo sentiva nelle vene: lei non amava Dylan, eppure si era sempre sforzata di mostrare il contrario ma da quando aveva fatto quello strano incontro, la voglia di mostrarsi comunque innamorata di lui era scemata. Non si preoccupava nemmeno di mostrarsi gentile o altro: non le veniva naturale e Dylan non ci aveva messo un'eternità a capire che qualcosa non andava.
Quella piccola inquietudine cominciò a crescere sempre di più, quando Marina vide Dylan avvicinarsi a lei, che cercava distrattamente un libro tra gli scaffali del soggiorno. La ragazza si voltò verso di lui con sguardo perplesso, e Dylan si avvicinò a lei, posando le labbra sulle sue e coinvolgendola in un bacio intenso.
Marina ricambiò il suo bacio, portandogli le braccia al collo, pur sapendo che lei non avrebbe mai guardato Dylan come Mary Margaret guardava David.
Il loro era vero amore e si poteva capire perfettamente dai loro sguardi. Da quando c'era stato l'incidente quella era la prima volta che si baciavano in quel modo. Il ragazzo aveva cercato di seguire le dritte di David, evitando di forzarla e lasciando che si riprendesse del tutto.
Dylan si staccò da lei e le rivolse un sorriso felice. “Ariel...”, sussurrò, carezzandole la guancia.
“Chi?”, domandò lei, sconcertata, e a quella domanda l'espressione di Dylan non appariva molto entusiasta. Il ragazzo rimase a bocca aperta per qualche secondo. “Pensi ad un'altra?”, continuò con un tono di voce divertito, ma Dylan non sembrava che si stesse divertendo.
“Non ha funzionato”, esclamò con un filo di voce, e in quel momento tutte quelle domande che si era posto il giorno dell'incidente stavano tornando a galla. “Marina...tu mi ami?”.
La domanda colse la ragazza impreparata.
Stavano insieme da tanto tempo, stavano per sposarsi e Dylan le chiedeva se l'amava? Perchè proprio in quel momento?
“Che razza di domande fai?”, chiese lei, cercando di nascondere la piccola inquietudine che aveva ripreso a crescere a dismisura, pronta a scoppiare.
“Mi ami o no?”, domandò ancora lui, con una nota di rabbia nella voce, che fece automaticamente indietreggiare la ragazza, spaventata dal modo in cui lui la stava guardando.
“Io...”. Perchè mentirgli era così difficile? Non lo era mai stato, cosa c'era di tanto diverso?
Dylan diede un pugno contro il muro, e Marina non poté fare a meno di tremare. Il suo fidanzato la stava decisamente terrorizzando e lei non voleva fare altro che correre via, fuori da quella casa. Dylan non riusciva nemmeno a guardarla in viso per quanto fosse sconvolto. Lei gli aveva permesso di vivere in un'illusione. Avrebbe potuto fare qualcosa, invece aveva deciso di continuare a starsene beata in quella falsa realtà che si erano costruiti, quando fuori c'era sicuramente qualcuno in grado di amare quel ragazzo a cui lei riusciva a dare soltanto bugie e false speranze (2). Prima che la situazione diventasse più difficile da sopportare, Marina sgusciò via dalla figura di Dylan che se ne stava ancora immobile e corse fuori, fingendo di non sentire il ragazzo che chiamava il suo nome.
Marina non era abituata ad un senso di colpa così lacerante e pesante da farla scoppiare in lacrime. Perchè il dolore che aveva provocato a Dylan la stava facendo sentire male solo allora, dopo troppo tempo? Ogni cosa si era persa all'improvviso. Era diventato tutto buio. La luce era sparita e per colpa sua, come ogni volta. Ogni cosa le era scivolata via dalle mani, come una goccia d'acqua, schiantandosi per terra. Marina doveva semplicemente correre il più lontano possibile, lontano dai sensi di colpa e da quella inquietudine che non voleva smetterle di inseguirla, gravando sulla sua testa e sul cuore nero, incapace forse di provare sentimenti...perchè quale persona di buon cuore avrebbe fatto quello che lei aveva fatto a Dylan? Soltanto una persona egoista e lei apparteneva sicuramente a quella categoria. Arrivò davanti all'entrata del Granny's, dove per qualche strano motivo, scorse Killian, insieme a Diego e Grimsby.
L'uomo la guardò preoccupato, notando le guance arrossate e gli occhi colmi di lacrime.
“Marina”, esclamò con voce allarmata. “Stai bene?”.
La ragazza fece per parlare ma qualcun altro rispose al posto suo.
“Di nuovo lui”. La voce di Dylan era ricca di ironia piuttosto velata. “Vorrei sapere da dove è sbucato. Prima del suo arrivo le cose andavano alla grande”.
“Ehi, ragazzino”, cominciò Killian facendo un passo avanti. “Piano con le parole”.
“Non so tu chi diavolo sia ma sento che è colpa tua”, sentenziò il ragazzo a dir poco adirato.
Grimsby afferrò la ragazza per un braccio, allontanandola dai due che sembravano sull'orlo di una discussione non molto amichevole, per quanto Killian si mostrasse cauto e paziente. In quei giorni, Tremotino non era in città e forse era un bene, dato che il suo capitano appariva più calmo e meno attaccabrighe, forse anche grazie alla presenza di Ariel che mitigava il tutto.
“Dylan, mi sembri sconvolto”, affermò Killian allungando una mano ma il ragazzo non voleva sottostare ad un dialogo finto e insulso.
Sentiva che c'era qualcosa sotto. Vedeva il modo in cui Killian guardava la sua fidanzata e come gli occhi di lei brillavano in sua presenza. Era stato cieco e stupido. Lui proveniva dall'Isola che non c'è, proprio dove aveva vissuto Ariel e non poteva essere una semplice coincidenza.
Perchè nessuno era abbastanza coraggioso da dirgli la verità?
Senza rispondere, il ragazzo gli sferrò un pugno, facendo voltare Killian dall'altra parte.
Ariel si portò una mano alla bocca, sconvolta e cercò di avanzare ma Grimsby la fermò.
Killian non sembrava incline a far finta di nulla e si avventò sul ragazzo, che sembrava avere la peggio. Ariel urlò diverse volte a Killian di smetterla ma lui non l'ascoltava perchè troppo catturato da ciò che stava facendo. Avrebbe voluto rispondergli e dirgli che era davvero colpa sua, che aveva conosciuto Ariel molto tempo fa ed era stato troppo debole per ammettere di volerla insieme a lui. Aveva preferito gettarla in mare, abbandonandola alla sua vita di sirena.
Ogni pugno che sferrava non era davvero per Dylan ma per sé stesso.
A separarli fu l'intervento di Diego e l'arrivo di alcune persone, fra le quali Ruby e David, che avevano sentito il trambusto proveniente da fuori, che li aveva portati a precipitarsi per strada. Quando i due furono ad una sicura distanza l'uno dall'altro, Ariel si precipitò verso Dylan, provocando in Killian uno sconforto che non credeva avrebbe mai provato in vita sua. Era corsa da lui, mettendogli delicatamente una mano sulla spalla e osservando l'occhio nero e il viso leggermente sanguinante. Perchè era corsa da Dylan e non da lui? Il ragazzo non la respinse.
David soccorse il ragazzo, comunicando ad Ariel che lo avrebbe portato in ospedale.
La ragazza fece un cenno di assenso con il capo e si voltò verso Killian, mentre Grimsby faceva rientrare tutti nel locale per non attirare troppa attenzione su di loro. In effetti, aveva ridotto Dylan piuttosto male e gli sguardi di tutti i presenti ne erano la prova: lo stavano giudicando e lui non lo sopportava.
Voleva tornare a casa. Quel posto era un inferno, pieno di persone che credevano di sapere la differenza fra giusto e sbagliato, che si credevano in grado di stabilire se lui fosse una persona cattiva o meno. Non esistevano il bene e il male, si trattava soltanto di persone che agivano per ottenere ciò che avevano sempre bramato, ma in quella città erano tutti troppo ottusi per capire che erano anche “umani”, non solo personaggi delle favole.
“Ti è andato di volta il cervello?”, domandò lei, furiosa.
“Il tuo fidanzato mi ha colpito”, ribattè Killian con tono ovvio.
“Era solo arrabbiato, non è da lui”, rispose lei, cercando di giustificarlo.
“Fino a poco fa eri sconvolta, perchè?”, domandò lui, cambiando argomento.
Voleva sapere il vero motivo di tutto quello che era accaduto.
“Niente, una discussione”, affermò lei, abbassando lo sguardo. “Crede che io non lo ami”.
“Ha ragione”, esclamò l'uomo, scrollando le spalle con una naturalezza che infastidì Ariel.
“Tu cosa credi di saperne?”. La voce era più alta e arrabbiata.
“Lo so e basta”. Killian non riuscì a continuare.
Non era mai stato molto bravo con le parole e la visione di quella ragazza davanti a lui con gli occhi lucidi lo riportò a tanti anni fa, sulla nave.
Si avvicinò velocemente a lei, e le prese il viso con la mano, attirandola a sé per baciarla.
Ariel inizialmente si irrigidì ma poi si lasciò andare a quel bacio, permettendo a Killian di riacquistare familiarità con le sue labbra che per troppo tempo aveva cercato. La ragazza lo stringeva maggiormente, avvicinandosi ancora di più a lui, ma d'un tratto la magia venne interrotta da qualcosa: la memoria di Ariel, che era appena tornata dalla sua proprietaria. Ariel si staccò subito, guardandosi intorno, come se stesse elaborando tutte le informazione che si erano radicate all'improvviso nella sua mente e lei le stava mettendo in ordine.
Guardò Killian con un'espressione a dir poco sconvolta, ricordando non soltanto tutto quello che era successo all'Isola ma anche quello che aveva fatto a Storybrooke, compresa la rissa con Dylan. Killian, notando la sua incertezza, cercò di avvicinarsi ma lei lo spinse via, pronta a scoppiare.
“Non toccarmi. Voglio andare a casa mia”, esclamò, indietreggiando: lo stava respingendo.
La ragazza, senza degnarlo di uno sguardo, gli voltò le spalle e prese a correre, forse sarebbe andata da Dylan, dettaglio che gli fece ribollire non poco il sangue nelle vene.
Killian cominciò a camminare a passo svelto verso il porto. Aveva bisogno di rifugiarsi nella sua nave, e cercò di ignorare la figura di Diego che aveva preso a rincorrerlo. L'uomo lo strattonò per un braccio, costringendolo a fermarsi e guardandolo con rimprovero.
“Cosa c'è?”, berciò Killian con tono infastidito. “Ha cominciato lui”.
“Già, e tu non hai esitato a farlo a pezzi”, ribattè Diego, allargando le braccia.
“Se l'è cercata”, sentenziò lui. “Lei non lo ama. Sono stato io a svegliarla”.
“Eppure è tornata da lui”, esclamò l'uomo, beccandosi uno sguardo truce. “Riuscirai mai a chiederti cosa sia meglio per lei, invece che per te? Dici di volerla riconquistare, perchè? Per riscattarti o perchè tieni davvero a lei? Sei consapevole che stare con lei significa rinunciare alla tua vendetta?”.
Killian abbassò lo sguardo e la risposta sembrava fin troppo chiara.
“Come sospettavo”, continuò Diego con sentenziosità. “Lei è diversa, lo sai. Ariel è buona, combattiva e ne abbiamo avuto le prove. Insomma, ha liberato un ragazzino per sottrarlo a te”.
Il capitano sgranò gli occhi, sconcertato. Era stato lui a far scappare il figlio di Tremotino, non lei.
“Soffri di memoria a breve termine?”, domandò lui con sarcasmo. “Hai dimenticato le frustrate che ti sei beccato per aver fatto scappare il ragazzino?”.
Diego scoppiò in una risata amara che rese Killian ancora più confuso.
“Le ricordo, eccome”, esclamò con un sorriso. “Ricordo anche di aver visto Ariel la sera prima, mi ha fatto ubriacare e lo ha fatto scappare, facendo ricadere la colpa su di me. Solo che forse non credeva che la punizione sarebbe stata provocata da una serie di frustate”.
“Perchè non hai mai detto niente?”, domandò Killian con tono afflitto.
Aveva fatto punire ingiustamente uno del suo equipaggio...un suo amico.
“Non sapevo cosa le avresti fatto”, rispose lui con voce tranquilla. “Non volevo esporla troppo. La punizione che le hai riservato, dopo aver scoperto la sua natura, è bastata anche per quello”.
Killian non aveva la forza o la voglia di aggiungere altro. Quella sera ne erano successe troppe.
“Ti lascio ai tuoi dilemmi”, esclamò Diego, voltandogli le spalle. “Spero che la notte porti consiglio al tuo cuore troppo colmo di odio e vendetta”.
Odiava dover ammettere quanto Diego avesse ragione.
Non aveva considerato minimamente il fatto che per stare insieme a lei, la sua tanto amata vendetta avrebbe dovuto perdere consistenza. Ariel non lo avrebbe accettato in quel frangente, e ne aveva già avuto prova molto tempo fa. Lui le aveva chiesto di restare insieme ma lei non aveva voluto...non a quel prezzo.
Non avrebbe acconsentito a fargli commettere un vero e proprio omicidio e poi riaccoglierlo a braccia aperte.
Tuttavia, lei lo aveva respinto ed era tornata da Dylan.
Forse la sua memoria le aveva fatto capire che non valeva la pena continuare a combattere per uno come lui, per un mostro come lui. Forse Dylan era la scelta più saggia, anche se non lo amava come voleva.
Forse Killian Jones era destinato a rimanere solo, con un grande vuoto nel cuore.
 
 
Note:
 
·(1) richiamo all'arriccispiccia della versione disney;
·(2) non so se si nota, ma in queste parti, ho cercato di evidenziare come Ariel stia emergendo, contrapponendosi a Marina. La presenza di Killian ha cambiato le cose, come se la stesse poco a poco risvegliando, anche se lei alla fine si trova un po' nella stessa situazione in cui si trovava David, cioè combattuta fra una persona che non ama ma con la quale ha una vita, e un'altra persona che la fa sentire finalmente viva.
 
Finalmente ce l'ho fatta, anche se con un po' di ritardo. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e mi scuso davvero per l'attesa madornale. Ci stiamo avvicinando alla fine, il prossimo sarà il penultimo e poi ci sarà l'epilogo. Un grazie di vero cuore a tutti coloro che stanno seguendo questa storia, mi rendete davvero felice. Alla prossima <3
 

 

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Capitolo 12
*** My kind of love ***


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XII
 

My kind of love
 
 
And though the sand may be washed by the sea and the old will be lost in the new.
Well four will not wait for three, for three never waited for two.
And though you will not wait for me. I'll wait for you”.
 

Ariel si sentiva stupida. Completamente stupida.
Stava camminando a passo svelto verso l'ospedale per raggiungere Dylan che era stato appena preso a pugni da Killian. Dovette fare ricorso a tutta la sua forza di volontà per capire se fosse successo davvero, per un attimo le era sembrato uno strano sogno, frutto della sua mente deviata e sadica che tendeva solo a farle del male, come aveva fatto con quel sogno in cui Killian le aveva detto di non perdere mai di vista l'orizzonte. Lei non lo aveva perso di vista nemmeno per un secondo.
Arrivò in poco tempo all'ospedale di Storybrooke e trovare il suo fidanzato non fu difficile, poiché era semplicemente seduto su un lettino nel bel mezzo del corridoio, mentre un'infermiera gli medicava il taglio sulla guancia e Dylan si ritraeva con fare dolorante.
Ariel aspettò che l'infermiera finisse, prima di avvicinarsi, e Dylan si accorse subito di lei, rivolgendole un'occhiata rammarica e incitandola ad avvicinarsi.
La ragazza gli strinse una mano, respirando profondamente. Si sentiva strana, come mossa da una qualche strana forza interiore che voleva spingerla a parlare con Dylan a cuore aperto.
Lui la fissava e sembrava sapere che per entrambi era giunto il momento di portare alla luce tutto ciò che avevano tenuto nascosto per tanto tempo, e non soltanto per la maledizione.
“Quando sono fuggita dal mio regno”, cominciò lei con un lieve tremolio nella voce. “Ero alla ricerca di avventure, volevo vivere una vita vera, non quella che avevano già scelto per me. Volevo innamorarmi, provare quell'amore che ti fa sentire le farfalle nello stomaco e tutto si è realizzato quando sono salita sulla Jolly Roger. Ho imparato a trovare il mio posto insieme a quei pirati, che sono più umani di quanto potrebbero sembrare e Killian ha occupato un posto speciale nel mio cuore, che non ha mai abbandonato, neanche nei momenti più bui”.
Dylan trasalì a quella frase. Per lui doveva essere una vera e propria pugnalata; una rivelazione che forse sospettava ma che non avrebbe mai creduto di sentire realmente.
E' sempre così: c'è una differenza sottile tra l'intuire qualcosa e sentirla uscire dalle labbra di una persona. Fa male ugualmente, anche quando dentro di te lo hai sempre saputo.
Stava facendo male a Dylan, ma Ariel sapeva che le sue bugie gli avrebbero inferto più dolore.
“Non ho mai smesso di provare qualcosa di forte per lui”, continuò la ragazza, mentre Dylan la ascoltava in religioso silenzio. “Quando il sortilegio ci ha colpiti, io e te ci siamo ritrovati insieme, senza sapere nulla l'uno dell'altro e ricordando soltanto uno sguardo fugace, scambiato alla locanda in cui ci siamo visti per la prima volta. Non ho mai voluto illuderti, dico davvero ma...”.
“Il nostro non è mai stato amore vero”, la interruppe lui con tono afflitto ma tranquillo. “Ultimamente, questo pensiero mi è balenato spesso nella mente. Sai, ci sono persone come David e Mary Margaret che si sono sempre trovate, nonostante tutto. Noi, invece, no...non abbiamo mai avuto bisogno di cercarci a vicenda perchè non era me che volevi trovare. Non è da me che Regina ti ha separato ma da qualcun altro ed io non volevo credere ad una verità così evidente”.
Ariel rimase per qualche secondo ad osservarlo, stupita per quello che aveva detto. Si aspettava una reazione carica di furia, fatta di un alto tono di voce e di insulti, invece Dylan le stava praticamente dicendo che tra loro non c'era mai stato nulla e sembrasse quasi accettarlo.
Certe persone era ancora in grado di sorprenderla. Anche quando le tenebre più terrificanti offuscavano ogni cosa, c'era sempre una piccola luce che non si spegneva mai e Dylan le stava mostrando la luce in quel preciso istante di buio e lei gliene sarebbe stata sempre grata.
“Credo che tutti abbiano il diritto di cercare l'amore”, esclamò Ariel, osservando l'anello che lui le aveva regalato mesi fa. “Persino noi due”.
Dylan le sorrise. “Dovresti andare da lui adesso”.
Ariel non disse nulla. Lo abbracciò e basta, stringendolo così forte da soffocarlo.
Non lo avrebbe mai dimenticato e si sforzò di non piangere per la gioia che stava provando.
La ragazza gli porse quel bellissimo anello, che non meritava di essere al suo dito, ma a quello di un'altra ragazza, qualcuna in grado di amarlo come lei non aveva saputo fare.
Dylan l'avrebbe trovata, lo sentiva. Quel ragazzo era pieno d'amore e là fuori da qualche parte c'era la ragazza giusta, ma lei era certamente da scartare e il ciondolo che aveva sempre portato al collo ne era la prova tangibile. Quando era sotto la maledizione, ricordava solo di averlo sempre avuto, ma quando si sentiva triste o sola le bastava stringerlo e tutto andava meglio.
Anche in quel momento lo stava stringendo, mentre usciva dall'ospedale quasi correndo.
Stringeva quel ciondolo come fosse un amuleto, una guida che forse l'avrebbe portata dove voleva essere davvero e soprattutto dalla persona con cui voleva stare.
 

“Insomma, ti muovi? Guarda che ti prendo a calci!”.
Flynn cominciò a picchiettare fastidiosamente il braccio di Diego, che sembrava sul punto di rifilargli un pugno ben assestato, così lo avrebbe zittito. Nel frattempo, Killian Jones osservava la scena con la schiena poggiata al muro e roteando gli occhi per quel patetico teatrino.
“Non mettermi ansia!”, esclamò Diego con tono esasperato.
“Perchè non vai semplicemente da lei?”, domandò Grimsby, alzando un sopracciglio.
La maledizione era stata spezzata da tempo.
Tutti erano tornati dai loro cari, persino Flynn era corso dalla sua Rapunzel nel momento in cui aveva realizzato cosa fosse accaduto negli ultimi ventotto anni.
L'unico che ancora non aveva mosso un dito per tornare dalla sua amata era Diego, che non faceva che esitare all'idea di lui che tornava da Bottondoro.
“Già”, incalzò Flynn con le braccia incrociate. “Si può sapere che problemi hai?”.
“Perchè ho paura che non sarà felice di vedermi”, sbottò lui ad un tratto, portandosi le mani ai capelli e respirando per ritrovare la calma che Flynn gli stava facendo perdere. “Ho paura che possa odiarmi, che non correrà da me”.
“Perchè dovrebbe?”, chiese Killian con curiosità.
Le motivazioni di Diego avevano attirato non poco la sua attenzione. Lui aveva cercato di salvarla ma le era stata portata via. Ora aveva l'opportunità di ritrovarla. Perchè tutta quella paura?
“Perchè ho fallito!”, esclamò Diego quasi in un ringhio basso, abbassando la testa. “Dovevo salvarla, ma mi sono fatto bandire e invece di tornare indietro mi sono arreso, andando via”.
Killian trasalì a quelle parole: non aveva lottato abbastanza, l'aveva lasciata nelle mani del principe, l'aveva abbandonata in balia di un mare che da sola non sapeva affrontare...proprio come aveva fatto lui con Ariel, quando l'aveva gettata in mare senza alcuna remora.
Grimsby gli mise una mano sulla spalla, mentre Flynn cambiava espressione.
“Non potevi fare altrimenti”, sussurrò l'amico, cercando di confortarlo.
“Potevo morire, tentando di salvarla di nuovo”, affermò lui con la voce sempre più rotta dalla rabbia e dalla delusione che stava provando verso sé stesso.
“Lei non avrebbe voluto questo”, ribattè Flynn, quasi gridando.
Il capitano continuava ad osservarli, riflettendo su quanto i sentimenti di Diego gli portassero alla mente le azioni che lui stesso aveva compiuto, ma venne distratto da una macchina che aveva appena parcheggiato non molto lontano da loro, dalla quale scese una donna longilinea con lunghi capelli biondi che arrivavano fino alla schiena. Doveva essere Bottondoro, meglio conosciuta come Rebecca Fields. Si avvicinò al negozio di fiori che gestiva in città e cominciò a frugare nella borsa, alla ricerca delle chiavi, che sembravano essere sepolte sotto cumuli di oggetti.
Diego non si accorse di lei, così Killian ne approfittò per avvicinarsi all'uomo e tirarlo per un braccio, ignorando completamente le sue inutili proteste.
Killian lo spinse in avanti, così da fargli vedere la sua bella, ancora in cerca delle chiavi.
Flynn strinse i pugni all'altezza del viso e cominciò a saltellare leggermente, come se stesse facendo il tifo per Diego: sembrava una stupida ragazzina; intanto, sia Killian che Grimsby erano con il fiato sospeso, in attesa che Diego decidesse di fare qualcosa.
Nel frattempo, Rebecca non sembrava riuscire a trovare le chiavi e la sua espressione non era molto allegra, mentre sonori sbuffi uscivano in continuazione dalle sue labbra.
“Ora ti tocca tornare a casa e recuperare le chiavi”, esclamò la donna con tono decisamente irritato, rivolgendosi a sé stessa. Agli occhi di Killian sembrava leggermente nevrotica.
“Ai tuoi ordini!” (1). Quella frase appena pronunciata da Diego non aveva alcun senso agli occhi di Killian, ma sembrava nascondere un significato sicuramente noto a Rebecca, che si voltò.
I due innamorati si guardarono senza dire nulla, mentre quella strana frase era sospesa fra loro, come se fossero gli unici in grado di cogliere una leggera sfumatura, simbolo di un qualcosa che gli altri non avrebbero mai potuto percepire. Il viso della donna venne illuminato da un bellissimo sorriso, mostrando le fossette ai lati della sua bocca. Era davvero molto bella e quel sorriso la faceva sembrare un vero e proprio raggio di sole.
Rebecca corse velocemente verso Diego, abbandonando la borsa a terra.
“Mi hai trovata!”, esclamò, gettandogli le braccia al collo. “Sapevo che l'avresti fatto”.
La donna gli si era praticamente aggrappata, come fosse la sua ancora di salvezza, l'unica cosa in grado di reggerla e di tenerla a galla in quel mare agitato che era Storybrooke.
Diego le cinse la vita e si lasciò cadere, finendo quasi con le ginocchia a terra, mentre si sforzava di non scoppiare. I suoi occhi erano rossi e le labbra serrate, come se si stesse trattenendo.
L'uomo la sollevò leggermente da terra, affondando il viso nei suoi capelli color del grano, mentre Flynn sorrideva e Killian cominciava a pensare che quella scena era troppo stucchevole per lui.
Grimsby si voltò verso di lui. “Vedi, capitano. Basta una piccola spinta”.
Killian gli rivolse un'occhiataccia infastidita, visto che quella frase non era altro che l'ennesima frecciatina che la sua amata ciurma gli riservava in continuazione.
Era davvero tanto difficile lasciarsi andare e fare un passo avanti? Lui aveva baciato Ariel e aveva spezzato la maledizione. Non era certo una cosa che poteva passare inosservata, solo che lui ancora non si era reso completamente conto di cosa significasse quel gesto: lui era il suo vero amore.
Era pronto a ricominciare, mano nella mano con una persona in grado di salvarlo e aiutarlo a lasciarsi alle spalle la sua vendetta? Era pronto ad accettarne le conseguenze?
 

Ariel si lasciò cadere sulla prima panchina che aveva adocchiato nei pressi del porto di Storybrooke, mentre il vento freddo le colpiva il viso. La mattina era nebbiosa e leggermente gelida, come tutte quelle che aveva vissuto in quel periodo. Si strinse maggiormente nel cappotto e tirò su con il naso, che sembrava più un ghiacciolo. Quello era il suo giorno libero e di solito si recava da Granny's per fare colazione ma quella mattina non ne aveva molta voglia. Non voleva essere sommersa dalle domande riguardanti la rissa della sera prima o spiegare anche alle sue più care amiche il discorso fra lei e Dylan. Voleva soltanto stare un po' da sola, prima di decidere cosa fare.
Dylan le aveva detto di correre da lui, dal suo vero amore ma lei non lo aveva ancora fatto, per il semplice motivo che le mancava il coraggio. Lui l'aveva baciata, ridandole la memoria che aveva perso, quindi il significato di quel gesto era abbastanza chiaro, visto che solo il vero amore poteva spezzare anche la più terribile delle maledizioni. Doveva essere felice perchè significava che tutto ciò che aveva provato per Killian era sempre stato ricambiato e che lui provava davvero qualcosa per lei. Non aveva sprecato il suo tempo e le sue energie: era riuscita a fare breccia nel suo cuore. Lo aveva desiderato per tanto tempo, solo che in quel momento sembrava tutto troppo vuoto per permetterle di formulare un pensiero sensato.
“Ehi, tu sei la sirenetta!”. La voce di Henry la fece voltare: solo lui poteva chiamarla in quel modo.
“Ciao, Henry!”, esclamò la ragazza, sorridendogli, mentre il bambino si avvicinava affiancato da un uomo, avvolto in un cappotto nero. Doveva essere suo padre Neal, che appena la vide, la osservò con gli occhi spalancati, come se avesse visto un fantasma.
“A-Ariel?”, domandò con voce abbastanza incerta.
“Ci conosciamo?”, chiese lei, alzandosi in piedi.
“Sono io! Bae”, esclamò lui con un sorriso timido e allargando le braccia.
Ariel rimase di sasso di fronte a quella rivelazione. Bae. Quel Bae era il padre di Henry, lo stesso Bae che l'aveva aiutata ad avere le gambe e che lei stessa aveva salvato dalle grinfie dei pirati.
“Bae”, ripetè lei, mostrando un sorriso radioso e buttandogli le braccia al collo senza rifletterci.
“Voi due vi conoscete?”, domandava intanto Henry, osservandoli stranito.
“Lei mi ha salvato”, esclamò Neal, rivolgendosi al figlio.
“E lui mi ha aiutata ad avere le gambe”, continuò la ragazza, scostandosi per guardarlo meglio.
Era un uomo, ormai. Eppure lo sguardo da ragazzino spaurito lo aveva comunque.
“Sono felice di vedere che stai bene”, esclamò Neal, guardandola con un sorriso davvero lieto. “E di vedere che hai ancora le tue gambe”.
“E' stato un bene non averle perse con il sortilegio”, rispose Ariel, osservando le gambe che aveva tanto bramato, avvolte nei jeans stretti. Riportò lo sguardo su Neal, ricordando il giorno in cui lo aveva incontrato sulla spiaggia e la notte in cui lo aveva fatto scappare.
“Sei sempre una piratessa con i fiocchi?”, chiese lui, alzando un sopracciglio in modo sarcastico.
La ragazza abbassò lo sguardo, ricordando come fosse stata gettata in mare quel giorno orribile.
“Beh, sì e no”, rispose in tutta sincerità.
“Dovresti andare da lui...dal tuo pirata”, intervenne ad un tratto Henry, attirando su di sé l'attenzione dei due adulti, in particolare quella di Neal, stranito da quella affermazione.
L'uomo osservò Ariel, in attesa di una spiegazione che però venne data prontamente da Henry.
“Lei e Killian sono innamorati”, continuò il bambino, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Solo che ci sono stati un po' di problemi fra loro e non hanno il coraggio di farsi avanti. Lui ha spezzato la maledizione, quindi è il suo vero amore”.
“Ma come...”, fece per chiedere Ariel, quando Henry tirò fuori il suo libro dallo zaino e ci battè la mano sopra, per farle capire che tutte le informazioni venivano da lì.
“Tu e Killian?”, chiese Neal, con un tono che di sorpreso non aveva proprio nulla, quasi come se lo sospettasse. “Nel film non andava così la storia. C'era un principe. Comunque, a questo punto torna tutto. Cosa stai aspettando?”.
“Non lo so neanche io”, esclamò Ariel, tornando a sedersi sulla panchina con fare afflitto.
Neal si sedette accanto a lei, rivolgendole un sorriso di incoraggiamento.
“Vorrei poter avere un po' di polvere di fata per aiutarti come feci allora”, esclamò lui con un tono gentile e quasi malinconico. “Ma il tuo problema è di tutt'altra natura. Se lui ha rotto questa maledizione di cui parla Henry, credo che ci sia ben poco su cui riflettere, non credi?”.
Forse Neal non aveva tutti i torti. Ariel strinse maggiormente il ciondolo che portava al collo, sperando di trarne forza e di mettere fine a quella strana sensazione di terrore che le impediva di correre da Killian senza troppe riserve.
“Sei ancora qui?”, chiese Henry, con un tono di voce così offeso, che Ariel dovette sforzarsi di non ridere, altrimenti il ragazzino le avrebbe rifilato un calcio probabilmente.
La ragazza si alzò, sempre sotto lo sguardo severo di Henry, che a tratti ricordava quello di Emma, mentre lui continuava a farle segno di dileguarsi il prima possibile.
Neal rideva di gusto dinanzi a quella scena e fece un cenno di saluto ad Ariel, che si incamminò verso la Jolly Roger, attraccata non molto lontano da lì.
Rimase ad osservarla, prima di salire a bordo: era proprio come la ricordava. Mentre saliva a passo lento, Ariel poteva assaporare tutte le sensazioni che quella nave le aveva provocato: libertà, gioia, rabbia. Erano ancora lì, come se il tempo non fosse mai trascorso. La nave sembrava vuota, così Ariel ne approfittò per fare un giro intorno al timone. Lo accarezzò leggermente, ricordando tutte quelle volte in cui aveva osservato Killian, senza farsi notare troppo, e di tutte quelle volte in cui lui si era rifiutato di insegnarle come stare al timone. Diceva che era troppo presto per lei.
Scese sottocoperta, adocchiando quella che una volta era una sua cabina. Aprì leggermente la porta e vide come tutte le sue cose fossero sparite. Non c'era più nulla di lei che stesse ad indicare la sua presenza, come se non fosse mai salita su quella nave. Quel particolare quasi la rattristò: Killian si era sbarazzato di tutto ciò che le apparteneva, come se non volesse avere alcun ricordo di lei.
Chiuse la porta di legno, sbattendola con leggera frustrazione, ed entrò nella stanza di Killian.
Era sempre tutto lì, il letto a baldacchino, la scrivania con diverse mappe poggiate sopra, ma qualcosa attirò la sua attenzione sulla scrivania in legno.
Si avvicinò e notò che su di essa vi era un foglio di pergamena con sopra una specie di ritratto. Lo prese tra le mani e si portò una mano alla bocca quando capì di chi si trattava: era lei. I contorni non erano ben delineati e la figura era abbozzata, come se quel disegno fosse stato fatto in fretta e furia, come quando ci si annota velocemente qualcosa per paura di dimenticarlo.
“Cosa fai qui?”.
Ariel si voltò di scatto: Killian era appoggiato alla porta aperta della sua cabina con uno sguardo indecifrabile che scrutava la sua figura in maniera quasi irritante. La ragazza cercava di trovare una scusa plausibile ma non gliene veniva in mente nessuna, continuando a restare in silenzio.
“Cerca di parlare, invece di darmi ogni tipo di seccatura ”, ribattè Killian con un leggero sorriso.
Ariel inclinò leggermente la testa, ricordando quell'espressione alquanto familiare.
“E' strano”, esclamò lei con un soffio di voce. “Credo che tu mi abbia già detto questa frase” (2).
Killian alzò lo sguardo su di lei. Gli occhi persi ad osservarla e l'espressione corrucciata, come se quella risposta gli avesse fatto male, ricordandogli tutti i battibecchi avuti su quella nave.
Erano lì, fermi, dove tutto era iniziato.
“Forse l'ho detta...in un'altra vita”, rispose lui, avvicinandosi leggermente alla ragazza, che intanto sentiva una miriade di emozioni che facevano capolino dentro di lei.
Lui scorse il disegno ancora stretto fra le mani di Ariel. Si voltò di nuovo a guardarla, mentre lei sembrava attendere una spiegazione per quel foglio che era forse l'unica cosa che testimoniava la sua presenza su quella nave. Ariel sentiva già gli occhi colmarsi di lacrime, solo che il loro significato le era ancora sconosciuto: erano lacrime di rabbia, gioia e tristezza tutte insieme.
“Mi serviva a ricordare il tuo volto”.
 
 


Angolo dell'autrice
 
  • (1) frase ripresa sempre dal film “La Storia Fantastica”, che, come in questo caso, è un'espressione nota solo ai due protagonisti, visto che nel film Wesley rispondeva in questo modo a tutte le richiesta di Bottondoro, ed è diventata per loro due una specie di “riconoscimento”;
  • (2) nel capitolo 6, Killian le dice “Cerca di riposare, invece di darmi ogni tipo di seccatura”, per questo ho messo che Ariel trova familiare quell'espressione.
 
Eccomi con il nuovo e penultimo capitolo. Mi scuso per il ritardo madornale e spero che vi sia piaciuto. Probabilmente mi vorrete morta per questo finale ma spero vivamente di no. In caso contrario, potete lanciarmi ortaggi, ciabatte, ecc. Comunque, non credo ci sia altro da dire. Se ci sono errori fatemelo presente. Lasciate una recensione se vi va, anche piccina :)
Alla prossima, un abbraccio :3

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Capitolo 13
*** Every me and every you ***


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Epilogo
 
Every me and every you
 
I dreamed I had nothing at all nothing but my own skin.
Slipped away from your open hand into the river, saw your face looking back at me
I saw my past and I saw my future”.
 
 
Storybrooke, un anno dopo.
 
“Dai, Ariel! Racconta, voglio sapere com'è andata di preciso!”.
La ragazza sbuffò, ricordandosi quanto Flounder fosse meno fastidioso quando vivevano ad Atlantica. Ormai era perfettamente a suo agio a Storybrooke nella sua “nuova forma” e non faceva altro che guardarsi allo specchio, ripetendo quanto fosse “appetibile”.
Inoltre, aveva acquistato una maggiore parlantina, motivo che faceva venire spesso voglia a chi lo ascoltava di rifilargli una mela in bocca pur di farlo stare zitto.
Sebastian, a differenza sua, ancora non si era abituato a quei riccioli rossi ingombranti e fastidiosi.
Sembrava ieri quando erano tornati all'Isola che non c'è, sotto iniziativa di Killian, per permettere ad Ariel di rivedere suo padre. Il modo in cui Killian aveva capito quanto la ragazza sentisse la mancanza di suo padre l'aveva sorpresa e non c'era stato nemmeno bisogno di farglielo presente.
Semplicemente, lo sapeva e voleva renderla felice. Per quel motivo, si erano recati all'Isola che non c'è, dove Ariel aveva finalmente avuto modo di riabbracciare suo padre, seppellendo ogni rancore e ogni incomprensione che c'era stata. Niente aveva più importanza, non dopo ventotto anni.
Tuttavia, suo padre aveva deciso di restare nel suo regno, nonostante Ariel desiderasse con tutta se stessa che lui la seguisse a Storybrooke, ma lui aveva un regno da governare e sapere che sua figlia fosse felice gli bastava più di qualsiasi altra cosa. In compenso, Ariel aveva portato con sé Flounder e Sebastian che erano stati praticamente congedati dal re, in modo che potessero vivere una vita nuova. Sebastian non sembrava particolarmente entusiasta ma non c'erano state ragioni. (1)
Quel giorno in particolare, Flounder aveva deciso di tormentarla, chiedendole di raccontarle ogni singolo evento che si era verificato dalla sua fuga fino ad allora, ed Ariel era stata costretta a narrare quel racconto senza fine ad un Flounder fin troppo appassionato a quelle vicende. Erano arrivati al punto in cui lei e Killian si erano ritrovati faccia a faccia dopo il suo bacio del vero amore, e Flounder sembrava proprio un bambino che pregava per conoscere la fine di una favola.
“Forza, Ariel, racconta!”, la incitò Flynn, poggiando i gomiti sul tavolo.
“Tu sai già cosa è successo”, ribattè la ragazza, guardandolo male.
“Mi piace riascoltare le storie”, rispose tranquillamente lui.
“Piuttosto”, cominciò Ariel, guardandolo con circospezione. “Non dovrei sapere del tuo imminente matrimonio, caro il mio romanticone?”.
“Beh sai...dopo che Rapunzel me lo ha chiesto e richiesto, alla fine ho detto sì”, rispose il ragazzo gesticolando e mostrando un atteggiamento fiero e vittorioso.
“Eugene”. La voce canzonatoria della ragazza fece sussultare Flynn che sbuffò visibilmente.
“Oh e va bene!”, ribattè con fare annoiato. “Io l'ho chiesto a lei”. (2)
“Questo non ti rende certo più uomo”, esclamò Flounder, prendendolo in giro.
“Ehi, pesciolino!”, lo rimbeccò Flynn. “Piano con gli insulti!”.
Flounder gli fece la linguaccia e incitò nuovamente Ariel a parlare: non aveva scampo, eppure doveva ammettere che tenerli in pugno soltanto con una storia era fin troppo divertente.
 
Il fatto era che Killian, ormai, conosceva ogni movimento di Ariel e sentiva costantemente il suo profumo anche quando lei non c'era, come se non se ne fosse mai andata davvero.
Quell'odore era ancora più vicino in quel preciso momento ma non per il semplice fatto che lei fosse accanto a lui con la schiena poggiata sulla parete e le gambe distese lungo il pavimento.
Erano lì, spalla contro spalla, stanchi e in cerca di altro da dire, come se avessero appena combattuto una guerra vera e propria. Avevano urlato, o meglio, lei gli aveva urlato contro.
Lo aveva accusato per averla gettata in mare, lo aveva accusato di averla baciata, lo aveva incolpato di tutto ciò che le era capitato sia prima che durante la maledizione.
Killian, in un primo momento, non aveva avuto modo di ribattere, visto che la ragazza diceva il vero ma poi, ad un tratto, aveva iniziato ad accusarla a sua volta, come fosse uno stupido gioco.
Si erano semplicemente urlati addosso, Ariel gli aveva lanciato il foglio che la ritraeva, quasi come se ne fosse disgustata...perchè lei non voleva credere al fatto che lui sentisse il bisogno impellente di immaginare il suo viso per tutto quel periodo in cui erano stati lontani.
Ariel non voleva credere a quanto Killian tenesse davvero a lei, e non soltanto perchè ne era attratto ma per tutto quello che lei rappresentava: un soffio di vita. Lei lo odiava per averla gettata in mare e forse glielo avrebbe rinfacciato a vita, ma a lui andava bene se quello significa poter trascorrere del tempo insieme a lei ancora per molto, come quando era stata senza memoria.
Ariel ricordava quei momenti. Ricordava gli sguardi e la complicità che si era instaurata facilmente fra loro, anche quando lei non ricordava chi fosse. Era tutto impresso nella sua memoria. Avevano smesso di rinfacciarsi ogni cosa soltanto quando Killian aveva sentito il desiderio di imprimere le labbra sulle sue, per cercare di farla stare zitta in qualche modo e aveva funzionato. Solo che non appena si era allontanato da lei per dirle “mi serviva un modo per zittirti”, Ariel non l'aveva accettato di buon grado, rifilandogli uno schiaffo che gli aveva fatto girare la testa ma forse lo meritava.
Il fatto era che Killian poteva fare il sarcastico quanto voleva, ma l'unico motivo per cui l'aveva baciata era perchè lo voleva, proprio come la sera fuori da Granny's.
Desiderava baciarla, per ricordare ad entrambi come era stato il loro primo bacio su quella stessa nave e in quella stessa cabina, come se il tempo fosse balzato indietro, esattamente a quel punto.
Dopo che lei lo aveva schiaffeggiato, Killian, con una noncuranza invidiabile, era tornato a baciarla ancora una volta, afferrando il suo viso con la mano sana e premendo la nuca di lei contro il suo viso, per evitare che la ragazza sfuggisse a quel contatto che, nel profondo, desiderava. Ariel, in fin dei conti, non voleva separarsi da lui o dalle sue labbra.
Erano rimasti a baciarsi per un tempo che risultava infinito, come se avessero entrambi bisogno di riprendere confidenza e di ricordare cosa significava restare uno fra le braccia dell'altro.
Era passato troppo tempo dall'ultima volta e Killian non voleva farne passare altro ancora.
 
“E poi?”, chiese Flounder, ancora avido di informazioni.
“E' finita la storia”, gli rispose Ariel con tono ovvio.
“Impossibile!”, ribattè il ragazzo, alzandosi in piedi. “Non può finire così!”.
“Vogliamo sapere cosa c'è dopo il bacio”, continuò Flynn, mettendo il broncio e portando la ragazza a chiedersi quanti anni avesse in realtà, visto che ne dimostrava dodici.
“Eugene!”, lo rimbeccò Rapunzel con tono irato. “Possibile che non sai farti gli affari tuoi?”.
“Ci tengo a precisare che hai sentito questa storia milioni di volte”, esclamò Diego, appena arrivato al Granny's insieme a Grimsby, e sedendosi accanto al ragazzo, per poi rifilarli uno dei suoi soliti schiaffi dietro la nuca, portando Flynn a lamentarsi.
Ariel si voltò un attimo, sentendo la campanella del locale, e vide Dylan che si avvicinava al bancone per chiedere qualcosa a Ruby. Il ragazzo si voltò e, vedendola, le rivolse un sorriso amichevole e un cenno di saluto con la mano. Erano civili fra loro e ogni tanto si fermavano anche a parlare, andava tutto bene, anche grazie alla figura dai lunghi capelli neri che entrò poco dopo, avvicinandosi a Dylan e stringendogli la vita con le braccia. Dylan aveva trovato il suo lieto fine.
“Non è colpa mia se ogni volta è come la prima”, berciò Flynn, adagiandosi meglio sulla sedia.
“Credi di avere dieci anni per caso?”, domandò Diego, con tono sarcastico. “Nemmeno Jeremy è così scocciante quando gli racconto una storia”.
“Ha otto anni!”, dichiarò Flynn, allargando le braccia. “Jeremy è come te, non si entusiasma per niente...fortuna che ci sono io a compensare le sue mancanze”.
Un altro schiaffo più forte del primo colpì nuovamente la nuca di Flynn, ma questa volta non era stato Diego a rifilarglielo, bensì Rebecca che stringeva l'altra mano in una più piccola, appartenente ad un bambino con dei ricci biondi che in quel momento stava fissando Flynn, ghignando.
“Ti ricordo che stai parlando di mio figlio”, esclamò la donna, rimproverandolo.
“Grazie, mamma”, intervenne il bambino, ridacchiando mentre Flynn gli rivolgeva uno sguardo truce. Sembrava davvero che Flynn fosse un suo coetaneo.
Ariel, nel frattempo, alzò gli occhi al cielo, sorridendo per quello strano teatrino che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi. Mentre osservava i presenti, venne ridestata da una tazza di caffè che si posò sul tavolo davanti a lei. Sorrise, notando una specie di uncino disegnato sulla schiuma e sentì un braccio avvolgerle la vita che la portò a voltarsi verso il suo proprietario.
“Come siamo sentimentali”, esclamò Ariel ad un palmo dal viso di Killian che sorrise divertito.
“Non l'ho fatto io, tesoro”, ribattè lui, fingendo indifferenza. “E' stata Ruby”.
“Già”, lo assecondò lei, bevendone un sorso e rifilandogli poi un bacio. “Qui si stavano giusto lamentando della fine della storia”.
“Ancora?”, domandò Killian, voltandosi verso i due interessati. “Ma non avete di meglio da fare?”.
“Io non vedo Ariel da ventotto anni, ho il diritto, anzi ho il dovere morale di sapere tutti i minimi particolari su quello che è successo”, esclamò Flounder, riducendo gli occhi a due fessure.
“Tu vivevi con questo qui?”, chiese lui, voltandosi verso la ragazza che, in risposta, scrollò le spalle. “Non dovresti andare a scuola, ragazzino?”.
Fu in quel momento che Sebastian entrò nel locale con la mano destra impegnata a dare una sistemata ai riccioli rossi che gli ricadevano sulla fronte. Il ragazzo si avvicinò al tavolo e tutti lo guardarono sollevati, sapendo che era arrivato per Flounder il momento di andare a scuola e smettere di scocciare tutti i presenti.
“Lo so”, cominciò Sebastian, sistemando lo zaino sulle spalle. “Vi sto salvando!”.
“Ehi”, esclamò l'altro con tono offeso. “Ingrati”.
Il rosso lo prese per un braccio, costringendolo ad alzarsi finalmente dal tavolo e uscendo dal Granny's per dirigersi a scuola. Intanto, anche il resto della “ciurma” dovette tornare ai propri impegni quotidiani e fu così che uscirono tutti dal locale, salutando Ariel e Killian che erano rimasti finalmente da soli. L'uomo la guardò, sospirando.
“Finalmente!”, esclamò, rubandole un altro bacio. “A volte mi sembra di gestire un asilo”.
Ariel sorrise sulle sue labbra e gli buttò le braccia al collo.
“Gliela dirai mai la fine della storia?”, chiese Killian, carezzandole una guancia.
“No”, rispose lei con serenità. “Gli basta sapere la versione ridotta e poi ti tormenterebbero”.
“Perchè mai?”, domandò lui, confuso.
“Perchè saprebbero quanto sei sentimentale”, esclamò Ariel, prendendolo in giro.
“Io non sono sentimentale!”, rispose Killian con tono offeso...sembrava un ragazzino.
 
Credo che questo sia tuo”, esclamò improvvisamente Ariel, ridestandolo dal ricordo di quello che era accaduto poco fa, e togliendosi il ciondolo dal collo. “Tieni”.
Il pirata osservò la collana che, molto tempo fa, era stata sua e sorrise, ripensando a come l'avesse persa dopo essere caduto in mare a causa dei Bimbi Sperduti.
Ormai non gli apparteneva più: era di Ariel e sarebbe rimasta tale, così Killian gliela porse.
E' tua”, disse semplicemente. “Forse lo è sempre stata”.
Ariel allungò la mano sulla collana, sfiorando leggermente la sua, gesto che causò a Killian una scarica elettrica non indifferente, mentre la ragazza gli afferrò velocemente la mano, stringendola.
Killian si voltò verso di lei con un'espressione vittoriosa in volto.
Non riesci proprio a starmi lontano”, esclamò con un sorriso sornione.
Vuoi un altro schiaffo?”, domandò lei, alzando un sopracciglio.
Lui si avvicinò, sfiorando le sue labbra, e permettendo ad Ariel di sentire il suo respiro.
In realtà”, cominciò Killian fissandola intensamente. “Vorrei un altro bacio”.
Poi mi getterai di nuovo in mare?”, domandò lei, sforzandosi di essere sarcastica ma il suo tono risultava decisamente malinconico, mentre sicuramente ricordava quel giorno.
Potrei anche tuffarmi insieme a te, se serve a qualcosa”, affermò lui, sorridendo appena.
Killian poggiò la fronte su quella di lei, continuando a stringere le sue dita, mentre osservava le loro mani intrecciate. Ricordava ancora il momento in cui aveva stretto la mano di Ariel per la prima volta: era di nuovo al punto di partenza, affacciati ancora una volta su quello stesso mare di possibilità che avevano avuto a disposizione tempo fa ma che Killian non aveva voluto solcare.
Quella volta, però, lui era pronto...e lo era davvero, per stare insieme a lei.
Non ti facevo così sentimentale”, aggiunse Ariel, riflettendo sul senso delle sue parole.
Io non sono sentimentale!”, esclamò lui, voltandosi di scatto verso Ariel, come se l'avesse offeso.
A quell'affermazione, Ariel si sarebbe dovuta intristire, pensando che magari lui non avrebbe mai provato sentimenti o altro ma, ormai, aveva imparato a conoscere Killian e per quanto potesse negare, lei sapeva bene cosa si celava dietro quelle risposte. Lui, intanto, la strinse ancora fra le sue braccia, posandole un leggero bacio sulla guancia.
Posso sempre imparare”.
 
 

Angolo dell'autrice
 
  • (1) visto che mi dispiaceva non permettere ad Ariel di ricongiungersi con suo padre, ho immaginato che potessero recarsi all'Isola che non c'è per questo preciso motivo;
  • (2) frase tratta dal cartone “Rapunzel”, precisamente dal finale.
E siamo arrivati alla fine anche di questa storia, che è stato un vero e proprio calvario ma sono felice di averla terminata, perchè è stata la mia prima storia pubblicata, quindi volevo che avesse una fine. Spero che vi sia piaciuto questo epilogo che a me sembra un po' banale a dirla tutta xD.
Comunque, ringrazio infinitamente tutte le persone che hanno seguito questa storia, dandomi la forza per continuarla. Non credo che ci sia altro da dire, se non grazie di vero cuore <3.
Alla prossima, un abbraccio :)

 

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