L'amore nel Distretto 2

di Lys3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Mietitura ***
Capitolo 2: *** Via da casa ***
Capitolo 3: *** E' questo il tuo sogno, Clove? ***
Capitolo 4: *** Capitol City ***
Capitolo 5: *** I Favoriti ***
Capitolo 6: *** Che i 74esimi Hunger Games abbiano inizio ***
Capitolo 7: *** La caccia è aperta ***
Capitolo 8: *** Condannato ***
Capitolo 9: *** Non c'è amore nel Distretto 2 ***
Capitolo 10: *** Un nemico in meno ***
Capitolo 11: *** Fuoco e fiamme ***
Capitolo 12: *** Gelosia ***
Capitolo 13: *** Speranza ***
Capitolo 14: *** Dolore e morte ***
Capitolo 15: *** Mia ***
Capitolo 16: *** Non più Favoriti ***
Capitolo 17: *** Io e te ***
Capitolo 18: *** La solitudine ***
Capitolo 19: *** Vendetta ***
Capitolo 20: *** Cato ***



Capitolo 1
*** La Mietitura ***


Capitolo 1 - La Mietitura

Quella mattina mi svegliai in perfetto orario. Mi sentivo pieno di forze, proprio come programmato. Mia madre era ansiosa e correva da un lato all’altro della casa per assicurarsi che io e i miei fratelli fossimo pronti per il giorno della Mietitura. Mio padre era invece pervaso da una calma serafica che non gli si addiceva molto. In genere era mia madre quella calma e lui quello frenetico, che negli allenamenti riusciva a mettere al tappeto tutti nel giro di pochi secondi.
"Cato, tesoro, che ne dici di fare presto con la colazione?" mi disse lei dolcemente.
"Sì, mamma." In genere non eravamo così dolci e smielati tra di noi, ma il fatto che io avessi deciso di offrirmi come volontario nella Mietitura di quell’anno rendeva mia madre dolce come una zolletta di zucchero.
Lei era sempre stata contraria a tutto ciò. Per lei gli Hunger Games, la Mietitura, i Tributi volontari e non, erano solo cose orribili inventate da Capitol City per decimarci. Mio padre ci credeva fermamente, invece. E dato che il mio fratello maggiore per problemi di salute non si era mai offerto volontario, ora toccava a me onorare il nostro Distretto e la mia famiglia.
Uscimmo di casa in perfetto orario. Camminavo in testa con il mio fratellino di soli undici anni che continuava a ripetermi che ero un eroe e che avrebbe fatto il tifo per me.
Arrivati in piazza li salutai velocemente e mi diressi con aria decisa verso i miei amici. Notai subito Ylian, un compagno di scuola che voleva offrirsi volontario quest’anno come me, prima di infortunarsi il braccio. "Buona fortuna, Cato" mi disse dandomi una pacca sulla spalla mentre prendevamo posto.
"Ehi, non è certo che vada io. Ti ricordo che se sarà scelto qualche ragazzo più grande di noi rimarrò qui ancora per un anno. Comunque grazie."
Era così che funzionava nel Distretto 2: ci si allenava fin da bambini per questo evento per poi offrirsi volontari quando si era abbastanza preparati nel caso venisse sorteggiato un ragazzino troppo piccolo.
Eravamo tutti pronti, immobili ai nostri posti, con la testa alta, decisi a compiere il nostro sacrificio verso il nostro Distretto.
Entrarono il sindaco, gli ex tributi vincitori e con lui il solito uomo mandato da Capitol City, Previus Lander. Di lì iniziò il solito discorso che ricorda i Giorni Bui, alcuni dei Vincitori fecero un loro discorso e alla fine la parola passò a Previus, pronto per estrarre i nomi.
"Iniziamo dalle ragazze" urlò con esultanza nel microfono mentre cercava di arrivare alla boccia con i foglietti senza rimanere incastrato nel suo completo verde acqua troppo stretto. Con le mani ricoperte da smalto in tinta col vestito, aprì il foglietto pescato e pronunciò un nome. "Maggie Preesty."
Non avevo mai sentito questo nome e una ragazzina bassa e magra, con lo sguardo impaurito, fece un passo avanti dalle prime file. Avrà avuto a stento tredici anni. Ma subito una mano si alzò dalle file posteriori: "Mi offro volontaria come Tributo!"
Era Clove.
Frequentavamo la stessa scuola e aveva la mia stessa età. Era una guerriera nata, forse una delle poche ragazze che sapevano combattere davvero bene. Ricordai che, quando un mio amico proibì a lei e alle sue amiche di stare con noi, lei lo prese a pugni fin quando non la trascinarono via.
Immerso nei ricordi non mi accorsi che era già salita sul palco e si era già presentata. Previus infilò con avidità una mano nella boccia dei ragazzi ed estrasse un nome: "Ethan Morgen"
Non appena riconobbi il ragazzino di quindici anni, alzai una mano ed uscii dal gruppo: "Mi offro volontario come Tributo!"
Sugli schermi vidi il mio volto beffardo e il mio sorriso sbilenco. La mia figura trasmetteva sicurezza e convinzione, anche se, ora che ero così vicino ad essere il Tributo Maschio del Distretto 2, sentivo tremare le gambe. Nessun altro si offrì con me, quindi ero io il prescelto.
Salii sul palco, io e Clove ci stringemmo la mano e guardammo fieri il pubblico.
In quell'istante pensai che sarei stato io il vincitore.


Salve a tutti, sono nuova su EFP e questa è la prima storia che pubblico! Spero vi piaccia, ma soprattutto di ricevere delle recensioni dai lettori in modo da sapere un vostro parere ed eventuali consigli! Presto pubblicherò il secondo capitolo!

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Capitolo 2
*** Via da casa ***


Capitolo 2 – Via da casa


Ci condussero all’interno del Palazzo di Giustizia, ci separarono e guidarono ognuno di noi in una stanza diversa per salutare le nostre famiglie. Passarono pochi minuti, poi mia madre e il mio fratellino Mat si fiondarono nella stanza e mi strinsero in un forte abbraccio.
“Sei stato fortissimo! Sei il fratello migliore di tutti!”
Non sapevo cosa rispondergli. Davvero offrirmi volontario mi rendeva un fratello migliore? Non credevo. Mio fratello maggiore, Arnold, era sempre stato bravissimo con entrambi e la sua incapacità nel combattere non avrebbe mai smentito tutte le belle cose che aveva fatto per noi.
Mat si stancò presto di stringermi forte, ma mia madre non sembrava volermi mollare. Arrivò anche mio padre, che si congratulò con me, e Arnold che mi rivolse un sorriso triste.
“Promettimi di stare attento, okay? Non fare scemenze, tieniti alla larga dalle situazioni troppo pericolose, ricorda tutti gli insegnamenti di tuo padre. Crediamo in te, puoi farcela.” Le parole di mia madre erano interrotte da frequenti singhiozzi e più volte fu costretta ad asciugarsi le lacrime che le bagnavano il volto.
“E’ nato per questo. Lui deve farcela.”
Pensai che forse era arrivato il momento di dire qualcosa, di tranquillizzarli, ma sentivo la bocca tremendamente secca e un nodo alla gola che m’impediva di parlare. Erano tutti sicuri che io ce l’avrei fatta, ma io ne ero altrettanto sicuro?
Non avevo fatto altro che ripetermi per anni che io sono nato per questo, che io sono destinato a questo, che l’unica cosa per cui sono nato è vincere gli Hunger Games. Ma se non dovessi farcela? Se non fossi all’altezza del mio Distretto e della mia famiglia?
I Pacificatori entrarono per portarli lontano da me e finalmente mi uscirono le parole di bocca: “Non preoccupatevi per me, andrà tutto bene. A presto.”
A seguire entrarono i miei amici che si congratularono con me per il coraggio, ripetendomi che ero il più bravo tra loro, che solo io avrei potuto vincere. Anche loro però furono costretti a lasciarmi solo e dopo qualche minuto venni scortato fuori e, insieme a Clove, salimmo su una macchina mentre venivamo riempiti di foto per i servizi di Capitol City.
Ed ecco come apparivamo: forti, convinti, determinati, senza timore e sfacciati. Sorridevamo entrambi con disinvoltura alle telecamere, fieri di essere lì.
Ci condussero al treno che ci avrebbe portati a Capitol City. Un lusso sfrenato regnava in tutti i vagoni che erano riccamente decorati e studiati appositamente per rendere il soggiorno indimenticabile.
Io e Clove ci guardammo attorno e i nostri sorrisi si spensero. In quel momento realizzamo che il nostro non era un viaggio solo verso Capitol City, ma anche un viaggio verso un bagno di sangue, verso delle sofferenze, un viaggio dal quale uno di noi due non avrebbe fatto ritorno.
“Ciao, Clove” le sussurrai con un finto sorriso stampato in faccia.
“Ciao” rispose lei con lo sguardo perso nel vuoto, forse a ricordare casa sua che ora, mentre il treno partiva, si allontanava sempre più.


Salve a tutti :) come promesso ecco il secondo capitolo! Spero vi piaccia ma soprattutto che qualcuno di voi scriva una recensione. Ci tengo molto a sapere il vostro parere! Il prima possibile scriverò il terzo capitolo ^^

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Capitolo 3
*** E' questo il tuo sogno, Clove? ***


Capitolo 3 – E’ questo il tuo sogno, Clove?



Trascorremmo l’intero pomeriggio nelle nostre stanze a osservare tutte le decorazioni e le tecnologie di Capitol City. La sera, poco prima di cena, Previus mi venne a chiamare e ci riunimmo tutti insieme in una stanza con un televisore per assistere alla Mietitura in tutti gli altri Distretti.
Con noi c’erano anche i nostri mentori, Enobaria e Brutus, e Previus che non faceva altro che fare stupidi commenti ai quali nessuno prestava attenzione.
Quella sera io e Clove ci scambiammo un primo, vero sguardo. Non l’avevo mai guardata negli occhi e non avevo mai notato le piccole lentiggini attorno al naso. Quella sera indossava un vestito nero e argento e aveva i capelli sciolti, lasciati cadere su una solo spalla. Per la prima volta pensai che era davvero carina. Le sorrisi e lei ricambiò, sedendosi accanto a me su un divanetto.
Si iniziò dal Distretto 1, dove si era offerto volontario un ragazzo dal fisico atletico. Si chiamava Marvel. “Per essersi offerto volontario si vede che deve essere abbastanza bravo” commentai. “Penso che sarebbe il caso di proporgli un’alleanza.”
“Non sembra il massimo a primo impatto. Ha l’aria di uno mediocre. Osservalo negli allenamenti e parlaci un po’, se conviene alleatevi” rispose Brutus.
La ragazza del Distretto 1, invece, come qualità sembrava avere solo la bellezza. Non si era offerta volontaria, ma era stata scelta e nessuno aveva preso il suo posto. Nessuno fece un commento su di lei.
Vedemmo le immagini del Distretto 2. Io e Clove sembravamo assolutamente fantastici. Testardi, forti, audaci e pronti a tutto pur di vincere. E’ la giusta immagine che dovevamo avere.
I Distretti 3 e 4 erano poco interessanti. I ragazzi e le ragazze sembravano degli incapaci, senza contare che erano molto giovani. La stessa cosa vale per quelli del 5, 6, 7, 8, 9 e 10. Erano personaggi neutri, incapaci di trasmettere qualcosa.
“Osservate questi tributi negli allenamenti e scoprite se hanno qualità che possono tornarvi utili” disse Enobaria, come se mi stesse leggendo nella mente.
Il Distretto 11 offriva solo una ragazzina dall’aria innocua, ma il Tributo maschio era imponente e era sicuramente dotato di molta forza. Si chiamava Thresh. Ma nessuno parlava di fare un’alleanza con lui. Si sa che i Distretti più poveri non vedono di buon occhio quelli più ricchi, come se fossimo noi la causa dei loro mali.
Il Distretto 12 ci sorprese tutti. Per la prima volta nella storia degli Hunger Games c’era un volontario: una ragazza si offrì di sostituire la sorella. Non sembrava un pericolo. Dopo essere salita sul palco non fece altro che guardarsi intorno con aria imbambolata. Nemmeno il ragazzo sembrava un granché.
“Tenete d’occhio la ragazza del 12. Potrebbe riservare delle sorprese” suggerì Brutus.
Non vedevo proprio cosa potesse riservare una come lei, ma mai dire mai.
“La ucciderò io.” Furono le prime parole di Clove in quella serata e lasciarono tutti sorpresi. Lei si voltò a guardarci e continuò: “Voglio essere io a ucciderla. La farò fuori con le mie mani.”
Nessuno ebbe niente da obiettare.

Cenammo tutti insieme ed io e Clove venimmo congedati. Mentre ci dirigevamo nelle nostre stanze in silenzio, la bloccai con un braccio e la costrinsi a voltarsi verso di me: “Naturalmente voglio anche te come alleata.”
Lei sorrise. Un sorriso scaltro e presuntuoso. “Potrei farti comodo.”
Risi. Forse non sapeva che era davvero una delle risorse che avrebbero potuto tornami più utili: vedendola negli addestramenti avevo notato che aveva un ottimo senso dell’orientamento, era veloce, furba, forte per essere una ragazza ed era una maga dei coltelli.
Ma il mio sorriso si spense mentre la osservavo bene. Perché una ragazza bella come lei e così capace avrebbe dovuto rischiare la vita? “Posso parlarti?” Fece cenno di sì col capo, mentre la sua espressione ritornava seria. “Vieni nella mia stanza.”
Mi seguì all’interno, mi chiusi la porta alle spalle, lei si sedette sul letto, sospirai e alla fine gettai tutto fuori d’un fiato: “E’ questo il tuo sogno, Clove?” La mia domanda sembrò sconvolgerla. Mi guardava perplessa, come se avessi chiesto la cosa più sciocca del mondo, così continuo: “Davvero vuoi rischiare la vita negli Hunger Games? Sei bravissima, ma credi sia necessario?”
“Sì, lo è” rispose secca. La guardai, senza sapere cosa dire. Passarono lunghi istanti di silenzio imbarazzante. “Tu non capisci, Cato. Io sono stata cresciuta per questo, io sono nata per questo. Tu e la tua famiglia la ritenete una questione d’onore, ma io no. Voi non avete nessun problema economico, ma in un Distretto così ricco i miei faticano ad andare avanti ed emergere. Sono arrivati al punto di non poter fare più sacrifici. Da anni sono sull’orlo del lastrico. Per questo, dopo mia sorella, devo tentare anch’io.”

Sua sorella. L’avevo quasi dimenticata.

Marybeth era la sorella di Clove, che quattro anni fa si offrì volontaria, all’età di diciotto anni, come Tributo per gli Hunger Games. Nessuno aveva mai visto una ragazza destreggiare così bene una spada, tutti credevano che ce l’avrebbe fatta. Ma un giorno prima della fine, quando l’alleanza dei Favoriti si era sciolta e lei si era ritrovata da sola, mentre era intenta a scappare da alcuni ibridi dalla forma di ragni giganti velenosi, aveva incontrato un altro Tributo, del Distretto 8. La lotta tra i due fu avvincente, ma nessuno dei due riusciva a prevalere. Nel frattempo i ragni li avevano accerchiati e li stavano mordendo e uccidendo col loro veleno. A nulla valsero le richieste di Marybeth di terminare quell’incontro per sottrarsi agli ibridi, il Tributo dell’8 volle continuare. La loro morte fu atroce: le membra sconquassate dalla lotta, i morsi gonfi e lividi dei ragni, e l’agonia dei loro lamenti che durò ore.

Mentre io ripercorrevo la sventurata vicenda nella mia mente, doveva averlo fatto anche Clove che ora aveva gli occhi lucidi e stava correndo via. La fermai un attimo prima che mi sbattesse la porta in faccia: “Clove, scusami. Lo dicevo solo perché penso che tu sia una ragazza fantastica e perché ho paura che ti possa accadere qualcosa nell’Arena.” Le mie parole furono inutili. Con gli occhi gonfi e rossi sbatté la porta con tutta la rabbia che aveva in corpo.
Tornai nella mia stanza con un pensiero fisso: Marybeth era cresciuta per vincere gli Hunger Games, ma era morta; e se anche Clove fosse cresciuta con questa aspettativa ma anche a lei sarebbe toccata la stessa sorte?


Buongiorno a tutti ^^ Ieri sera a causa dell'insonnia ho scritto il terzo capitolo, anche se non lo avevo ancora progettato. E' venuto un po' più lungo del previsto, ma mi sermbrava stupido fare un capitolo per parlare solo della Mietitura negli altri Distretti. Spero vi piaccia! Mi farebbe piacere che qualcuno di voi lasciasse una recensione per dirmi cosa ne pensa. Grazie a tutti, a presto!

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Capitolo 4
*** Capitol City ***


Capitolo 4 – Capitol City
 

Quella notte non riuscii a dormire. Pensai per tutto il tempo a Clove.
Mi era difficile credere che nel nostro Distretto ci fosse qualcuno che si avvicinava alla povertà, ma era ancora più difficile credere che a rischio c’era la famiglia di Clove. Prima pensavo che Marybeth avesse preso parte agli Hunger Games solamente per l’onore, come tutti gli altri. I problemi di cui parlava Clove non si vedevano dall’esterno perché i suoi genitori ostentavano una vita altolocata e non le facevano mancare mai nulla.

Al mattino Previus venne a svegliarmi per la colazione. A tavola c’erano tutti. Clove era quella di sempre e non c’era traccia in lei delle lacrime e della rabbia della sera precedente. Per tutto il giorno, tranne per mangiare, Enobaria e Brutus aiutarono me e Clove nell’apprendere le cose fondamentali per gli Hunger Games.
Come ci spiegarono era solo un gioco, e vinceva chi se la giocava nel modo migliore.

Era sera e noi Tributi venimmo congedati per andare a letto dato che, per la mattina seguente, era previsto l’arrivo a Capitol City.
“Clove, devo parlarti” le dissi fermando con un piede la porta della sua stanza che si stava chiudendo. Indugiò un istante, poi aprì la porta e mi fece entrare. “Volevo chiederti scusa per ieri. La mia era solo una curiosità. Non riuscivo a capire perché una ragazza bella, intelligente e brava come te dovesse rischiare la vita.”
Clove mi guardò a lungo. Il suo sguardo felino, da predatrice mi squadrava da capo a piede. “E perché un ragazzo bello, affascinante e bravo come te dovrebbe rischiare la vita per far contento il padre?”
Aprii la bocca per rispondere, ma vedendola lì, così vicina, non riuscii a trattenermi. Oh, al diavolo tutto, pensai e poi la presi per i fianchi, stringendola forte a me, e la baciai.
Mi sorprese vederla lasciarsi andare, stringermi le braccia attorno al collo e baciarmi con foga. Ci distaccammo quando quasi non avevamo più fiato e ci guardammo intensamente negli occhi. “Rimani qui, stanotte. Se ti va, naturalmente.”
Non l’avevo mai vista così, timida, con le guance arrossate. “Certo, ma attenta che stai prendendo fuoco” dissi toccandole la punta del naso con un dito.
“Piantala, altrimenti di conficco un coltello tra le scapole.” Scoppiamo a ridere, divertiti dalla sua improvvisa serietà.
Quella notte la trascorremmo abbracciati, vicini.

L’arrivo a Capitol City fu un po’ traumatico: la città era totalmente diversa e così grande che ne rimanemmo sconvolti. Ma non ci fu lasciato il tempo di parlare, di ambientarci. Ci portarono subito all’interno di un edificio dove conoscemmo i nostri stilisti: la mia si chiamava Octropa, quello di Clove Settropa.
L’intera giornata fu assorbita dai preparativi per la sfilata che si sarebbe tenuta quella sera. Fecero di tutto per farci sembrare stupendi. Per la sfilata mi fecero indossare un completo stile romano che all’apparenza sembrava oro. Mi sentivo un po’ a disagio ma, prima di salire sul carro, vidi arrivare Clove, anche lei con un costume simile al mio.
“Mi sento decisamente ridicolo.”
“La verità è che non ti sta bene mai niente” commentò lei.
Scrollai le spalle. “Non è questo, ma non mi sembra un costume che possa attirare l’attenzione del pubblico su di noi.”
“Hai visto come sono conciati gli altri? I nostri sono tra i migliori.” La sua convinzione mi intimoriva, ma costrinsi me stesso a pensare che era così. E poi uno stupido costume non faceva la differenza, noi eravamo i migliori e si vedeva immediatamente.
Salimmo sui carri e la parara ebbe inizio. Il pubblico urlava ed esultava nel vederci. Venivamo osannati quasi come idoli, e la maggior parte delle attenzioni erano su me e Clove e i Tributi del Distretto 1. O almeno fin quando non uscì l’ultimo carro, quello del Distretto 12.
Le loro stupide e monotone tute da minatori, che venivano utilizzate tutti gli anni, erano state sostituite da degli abiti neri con delle fiamme vere sulla schiena. Ne rimasi sorpreso, e non potei fare niente per riportare l’attenzione sul nostro carro.
Nell’istante prima di fermarci per ascoltare il discorso del Presidente Snow, vidi Clove guardare con sguardo assassino la ragazza del Distretto 12. “Ora sì che ho davvero voglia di farla a pezzi.”

Buonasera! Eccomi di nuovo qui con un altro capitolo di questa storia. Spero vi piaccia e in caso non è così sarei felice di saperlo :) sono ben accetti giudizi, positivi e negativi e casomai anche qualche consiglio! A presto ^^

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Capitolo 5
*** I Favoriti ***


Capitolo 5 – I Favoriti
 

Dopo la sfilata nessuno riusciva a tenere gli occhi scollati da quelli del Distretto 12. Io stesso guardavo la ragazza, cercando di capire che tipo di persona era. Sembrava una come tante altre, ma i nostri mentori ci avevano detto di tenerla d’occhio e se l’avevano fatto un motivo c’era.
“Che ti prende?” fece Clove.
“Niente” risposi io voltandomi a guardarla.
Dire che era furiosa era dir poco. “E allora perché continui a guardarla?”
“Non posso?” risposi con un po’ troppa rabbia. Lei fece un’alzata di spalle, poi continuò: “Fai quel che cavolo ti pare.” Se ne andò con Settropa e Enobaria senza nemmeno dire una parola. Io, Octropa e Brutus ci attardammo un po’.

La cena quella sera fu silenziosa. Nessuno di noi parlava e ogni tentativo di conversazione di Previus cadeva nel nulla. Clove era furiosa, non capivo perché, i nostri stilisti si maledivano per non aver fatto qualcosa di meglio, Enobaria e Brutus avevano solo voglia di spaccare tutto a causa della mediocre figura che avevamo fatto ed io non volevo semplicemente parlare con nessuno.
Quando Clove si alzò da tavola, capii che forse era arrabbiata con me: prima di alzarsi, mi aveva lanciato uno sguardo feroce, ancora più del solito.
Finita la cena la raggiunsi nella sua stanza. Bussai educatamente, ma lei non rispose. Aprii ugualmente la porta e la trovai stesa a pancia in giù sul letto, con la testa affondata nel cuscino. “Clove” la chiamai dolcemente. Non rispose. “Clove?” Mi rispose con un brutto grugnito. “Clove, guardami.” Un altro grugnito, che assomiglia tanto a un “cosa cavolo vuoi?”. Sospirai. “Cosa ti ho fatto?”
“Cosa hai fatto?” ruggì lei voltandosi di scatto e facendomi sobbalzare. “Ti basta se ti dico che tra poco la spogliavi con gli occhi a quella del 12? Ah?” Rimasi allibito. Cosa stava dicendo? “Oh, ma forse tu non capisci qual è il problema. Te lo spiego in poche parole: non devi guardare le ragazze che alla tua ragazza stanno antipatiche, okay? Perché è una cosa che fa venire tanta voglia di squartare prima te e poi accoltellare lei mentre urla pietà!” Mi fissò con gli occhi sgranati, accesi di odio.
“Non sapevo ti stesse tanto antipatica…” commentai a bassa voce.
“Be’ potevi anche immaginarlo” rispose lei, acida. Poi si voltò di nuovo e affondò la testa del cuscino.
In un primo momento non avevo capito il suo discorso, ma ripensandoci mi fu tutto chiaro. Rimasi stupito da alcune parole: alla tua ragazza.
Era dunque questo che Clove pensava di essere? Ufficialmente tra noi c’era stato solamente un bacio e una notte passata a dormire insieme,nulla di più. Non che a me lei non piacesse o che non avessi  voglia di essere il suo ragazzo, solo non mi aspettavo queste sue parole.
La guardai. Respirava affannosamente. In un primo momento mi venne il dubbio che stesse soffocando, poi pensai che era dovuto alla rabbia, e infine mi domandai se stesse piangendo.
Mi coricai accanto a lei e l’abbracciai forte. “Scusami, Clove. Prometto che starò più attento e baderò a trattarti bene, come merita la mia ragazza.” Mi faceva una strana sensazione parlare della MIA ragazza. Non ne avevo mai avuta una ed ora che ce l’avevo, uno di noi tra due settimane circa sarebbe morto.
“Promesso?” disse lei facendo uscire la testa dalla montagna di cuscini. Aveva la faccia arrossata, i capelli spettinati e un piccolo sorriso, quello che più adoravo, che faceva solo raramente.
“Promesso” risposi. Ci baciammo  e rimanemmo abbracciati a chiacchierare del più e del meno per tanto tempo, tanto che ci addormentammo lì, ancora vestiti.
 
I tre giorni successivi furono dedicati all’Allenamento. Gli strateghi ci guardavano dall’alto mentre ci esercitavamo e si preparavano ad esprimere un giudizio su di noi. Io provai un po’ di tutto: lancia, spada, corpo a corpo, coltelli, pesi, arrampicata e molto altro. Clove si concentrò sull’agilità, il lancio dei coltelli per migliorare la precisione, l’arco e altro  ancora.
“Voglio quella ragazza in squadra con noi” disse ad un tratto Clove sbucando al mio fianco mentre sceglievo una spada. Mi voltai a guardare la zona da lei indicata. Era la tipa del Distretto 1. “E’ bravissima con l’arco, potrebbe tornarci utile. E’ molto precisa in ogni tiro e, anche se non è forte, in più occasioni potrebbe coprirci le spalle.”
Annuii. “Va bene, diglielo tu. Io propongo al ragazzo dell’1 di unirsi a noi. Se la cava bene, in particolare con la lancia.” Ci allontanammo in due direzioni diverse e, quando entrambi accettarono, sapemmo di aver formato il gruppo dei Favoriti, quelli che ogni anno uccidevano la maggior parte dei concorrenti.
Al terzo giorno andai dal ragazzo del Distretto 11 e gli proposi di unirsi  a noi, ma lui rifiutò. Disse che voleva stare da solo. Tanto peggio per lui.

Alla fine del terzo giorno ci fu una specie di esame, per valutarci e dare un punteggio indicativo per gli sponsor riguardo la nostra abilità.
Il ragazzo del Distretto 1 ottenne nove, e i nostri mentori si congratularono con noi della nostra scelta, mentre io e Clove ottenemmo 10. Eravamo molto felici ed esultammo per un po’ urlando ed abbracciandoci, tanto da perdere tutti gli altri punteggi, ad esclusione degli ultimi. Thresh, il ragazzo dell’11, aveva avuto nove, il ragazzo del 12 otto e la ragazza undici.
Ci astenemmo dai commenti. Sapevamo tutti che questi tre Tributi non avrebbero mai collaborato con noi. Forse c’era una vaga speranza per il ragazzo del 12, Peeta, che non sembrava abbastanza bravo da farcela da solo.
Noi avevamo il nostro gruppo, invece. Eravamo solo in quattro ma ce l’avremmo fatta. Avremmo sconfitto tutti e vinto. Ne ero sicuro. Ma non ero più sicuro di volere questo, ora che io e Clove stavamo insieme.

Buonasera! Ecco il quinto capitolo della mia fan fiction su Cato e Clove. Spero vi piaccia ^^ ci vediamo presto con il prossimo. Baci!

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Capitolo 6
*** Che i 74esimi Hunger Games abbiano inizio ***


Capitolo 6 – Che i 74esimi Hunger Games abbiano inizio
 

Per me e Clove i giorni trascorsi a Capitol City furono indimenticabili: eravamo più vicini che mai, stavamo sempre insieme, ci capivamo solo con uno sguardo. In più potevamo fare ciò che volevamo, anche dormire tutte le notti insieme, e facemmo amicizia con i ragazzi del Distretto 1, Glimmer e Marvel. Erano simpatici e condividevano come noi l’idea del portare onore al proprio Distretto e l’amore per la battaglia.

L’ultima sera a Capitol City ci fu l’intervista con Ceasar Flickerman. Era un uomo simpatico, che sapeva mettere a proprio agio tutti. Quando vidi Clove, con un vestito rosso stupendo, il trucco e un’acconciatura, non potei far altro che pensare che avevo davanti a me la ragazza più bella di tutte.
“Sei bellissima” e dicendo così le diedi un bacio. Lei arrossì leggermente e mormorò qualcosa che non riuscii a capire. Previus ci interruppe per guidarci nel luogo dove tutti i Tributi aspettavano di essere intervistati. L’attesa non fu lunga, dato che si procedeva in ordine di Distretto. Toccò prima a Clove, con la quale Ceasar parlò della sua determinazione e del suo coraggio, dell’essersi offerta volontaria come Tributo e le motivazioni che l’avevano spinta a ciò. Quando fu il mio turno parlammo delle stesse cose, anche se con Clove si soffermò a parlare del suo carattere particolare, che la rendeva una ragazza speciale rispetto le altre.
La migliore, pensai mentre sul mio viso compariva un sorriso.
Rimanemmo lì a guardare le altre interviste e nessuno di noi fiatò davanti la patetica scena degli “sventurati amanti del Distretto 12”. Avrei voluto fare tanti commenti, ma per il bene di Clove rimasi in silenzio.

Quando tornammo al nostro piano, ebbi appena il tempo di entrare nella mia stanza. Mi stavo togliendo la giacca quando Clove piombò all’interno e mi si tuffò tra le braccia. “Ehi, cos’hai?” le dissi dolcemente spostandole i capelli dal viso.
“Niente” fece lei trattenendo le lacrime.
“Dai, dimmi cosa c’è che non va.”
“Ti accontenti del mio niente o vuoi che ti prenda a pugni?” rispose lei con rabbia.
Risi, ma piano, in modo da non offenderla. “Credo che mi debba accontentare del tuo niente.” Lei mi strinse più forte e anche io l’abbracciai. Restammo diversi minuti così, poi disse: “Devo andare a togliermi tutta questa robaccia da dosso. Vengo tra poco.” Andò via in fretta e tornò ancora più velocemente. Mi trovò seduto sul letto a guardare in tv le nostre interviste. Con i soliti e semplici vestiti che indossava era ancora più bella perché era la mia Clove.
Si tuffò sul mio letto e ci stendemmo uno di fianco all’altra. Notai subito che era strana. “Ne vuoi parlare?” In risposta scosse vigorosamente la testa. Pochi minuti dopo, però, cambiò idea: spense la tv e le luci e si coricò di nuovo accanto a me, tirando le coperte in modo da avere solo le teste al di fuori. “Cosa faremo domani? Quando saremo nell’Arena?” sentii il tremito della sua voce e le accarezzai il viso. Capii che aveva spento tutto così che, nella penombra, riuscissi a malapena a scorgere le sue lacrime.
“Non ci pensare ora, okay? Godiamoci questi ultimi istanti insieme. Domani ce ne occuperemo. Lo sai che possono succedere molte cose negli Hunger Games, vedremo una volta arrivati lì. Per ora ti posso solo dire che non ti lascerò mai sola.” La bacia sulla fronte e lei si strinse ancora di più a me. All’inizio non disse nulla, ma poi iniziò a parlare, a raccontarmi cosa aveva pensato il giorno della Mietitura, che i suoi non sapevano che aveva intenzione di offrirsi volontaria e cose simili. Anche io le raccontai molte cose.
Quella notte dormimmo poche ore e il mattino seguente, al momento della partenza, ci ritrovammo nello stesso hover-craft. Anche se eravamo un po’ distanti non facemmo altro che guardarci negli occhi e nei suoi vidi la paura: non era paura di morire, ma la paura di non sapere cosa ci attendeva, di non sapere se alla fine saremmo rimasti solo noi due, se uno dei due avrebbe dovuto uccidere l’altro o vedere la sua morte.

Quando la rividi nell’Arena, sul piedistallo, era di nuovo calma. Aveva ripreso il controllo di se. La guardai e le sorrisi, lei ricambiò, con quel suo sorriso beffardo e spietato. Sapevo che avrei potuto contare su di lei, Marvel e Glimmer nel bagno di sangue.
I secondi scorrevano lenti.

30, 29, 28…

Iniziai a guardare tra le varie cose che c’erano e trovai un machete. Dovevo prenderlo per primo, ne ero sicuro. Era un po’ più lontano, ma ce l’avrei fatta, e mentre gli altri avrebbero iniziato la strage io sarei tornato indietro a dar man forte.

20, 19, 18…

Ripassai in mente tutti i punteggi dei Tributi, ricordandomi di stare attento alla ragazza del 12 e al ragazzo dell’11. Quelli dovevo temerli, soprattutto quando ero disarmato. Gli altri avrei potuto ucciderli anche a mani nude.

10, 9, 8…

Respirai a fondo, pronto per la corsa. Mi voltai a guardare gli altri Favoriti che mi fecero un segno di assenso per confermare il nostro patto.

3, 2, 1…

Via. Saltai giù dal piedistallo a una velocità impressionante. Alla mi destra vidi il ragazzo del 12, che correva parallelo a me. Non vorrà prendere il machete? Accelerai fin quando non lo vidi rintanarsi nella foresta. Afferrai al volo il machete e mi voltai, giusto in tempo per vedere alcuni Tributi sparire tra gli alberi e altri frugare tra le cose disposte attorno alla Cornucopia.
E’ tempo di uccidere.

Buonasera! Ecco il sesto capitolo, che segna l'inizio dei Giochi. Che ve ne pare? Fatemi sapere ^^ Il prima possibile pubblicherò il settimo :)

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Capitolo 7
*** La caccia è aperta ***


Capitolo 7 – La caccia è aperta
 

Vidi la ragazza del Distretto 3 poco distante da me che cercava di trasportare uno zaino: era quasi più grande di lei e faticava a trascinarlo. Approfittai del momento e le piombai alle spalle, infilzandola con un colpo secco che le lacerò la spina dorsale. Vidi il sangue scendere copioso, i suoi occhi spegnersi e lei cadere a terra, esanime.
Mi voltai a cercare la prossima vittima, giusto in tempo per vedere il ragazzo del distretto 9 morire con una coltellata nella schiena da parte di Clove che adesso mirava alla ragazza del 12.
Con passo rapido e deciso mi avviai alla Cornucopia, dalla quale stava uscendo il ragazzino del 4. Fu sorpreso solo per un istante di vedermi, poi gli squartai la gola con un solo colpo. Non potei fare a meno di sorridere per la facilità con la quale ero riuscito ad eliminare i primi due.
Alla mia destra, con un colpo di lancia, Marvel aveva trafitto in pieno il ragazzo del 5, che cadde al suolo stramazzando. Il ragazzo del Distretto 6 credeva che fosse una trovata furba spogliare il cadavere dallo zaino e dalla spada, pensando che Marvel ora fosse disarmato. Possibile che non mi avesse visto? Provai un po’ di pena per lui quando alzò lo sguardo e mi vide. I suoi occhi erano terrorizzati e provò a fuggire, ma io fui più veloce e lo centrai nello stomaco. Il sangue imbrattò le mie mani e l’arma. Quell’odore così forte a chiunque avrebbe dato la nausea, ma a me forniva solo la carica per andare avanti.
Alla ricerca della prossima vittima, vidi il ragazzo dell’11 uccidere con due colpi rapidi la ragazza del Distretto 6 e il ragazzo del 7. Iniziò a scappare verso un campo di grano lì vicino. Fui tentato di seguirlo, ma tra di noi si frappose il ragazzo dell’8 e mi ci vollero due colpi, uno al collo, che non era stato molto profondo, e uno all’addome, per ucciderlo. Ormai era troppo lontano per raggiungerlo in fretta.
Mi voltai ancora e vidi Marvel uccidere la ragazza del 7. Le ragazze del 9 e del 10 stavano litigando poco lontano da me per uno zaino. Una freccia di Glimmer raggiunse la prima, che cadde al suo mentre un rivolo di sangue le scorreva dalla bocca. Approfittai del momento di esitazione per uccidere la seconda con un fendente dall’alto.

Il Bagno di Sangue era finito. Alla Cornucopia eravamo rimasti solo noi Favoriti.

I colpi di cannone annunciarono undici morti. Undici in un solo giorno non era affatto male. Se molti di loro non fossero stati così stupidi da perdere tempo, probabilmente il risultato non sarebbe stato così brillante.
Sorrisi, soddisfatto.
Ora tutti sapevano che dovevano temerci, che potevamo essere anche solo in quattro ma che bastavamo per ucciderli tutti, ad uno ad uno.
Scavalcando i cadaveri ci avvicinammo uno all’altro. Non c’era uno di noi che non pareva soddisfatto dal risultato. Rimanemmo un po’ in silenzio a guardarci, ma a quanto pare nessuno sapeva cosa fare. Fui io a prendere la decisione: “ Dovremmo iniziare a organizzare un accampamento. Sarà il nostro punto di riferimento. Sarà lì, vicino al lago. Marvel tu raduna tutte le armi, io e Clove portiamo gli zaini vicini al lago e tu, Glimmer, li selezioni in base al contenuto. Se necessario puoi anche scambiare gli oggetti che ci sono dentro.”
Tutti annuirono. A quanto pare come capo andavo bene. Da quel momento sarei stato io il vero leader, il vero stratega di questi giochi. Si sarebbero rivolti a me per ogni cosa.

Iniziammo i piani di lavoro. Marvel fu molto bravo con le armi che trasportò in modo veloce e senza lamentarsi; Glimmer, scoprimmo in seguito, aveva classificato tutto in modo molto efficiente: se si aveva bisogno di qualcosa, la si trovava subito.
Toccava a me e Clove trasportare gli zaini. “Come è andata?” le chiesi non appena fummo il più vicini possibile.
“Malissimo, non me ne parlare” fece lei con una smorfia.
“Perché? Ti ho visto uccidere il ragazzo del 9 con un colpo precisissimo.”
“Sì, e poi mi sono messa a inseguire quella del 12 e per colpa sua mi sono persa tutto il bello. E anche un coltello. Il colpo sarebbe andato a segno se non avesse protetto la testa con uno zaino.”
“Tranquilla, non potrà scappare dall’Arena” feci io con un sorriso cattivo che lei ricambiò.
Non avevo idea del perché Clove odiasse tanto quella ragazza. A me era del tutto indifferente all’inizio, anche se non riuscivo a capire come due fiamme e un ragazzo innamorato di lei potessero trasformarla nella star del momento. Ma di sicuro gli spettatori avevano cambiato idea di fronte allo spettacolo che oggi io e i miei compagni avevamo offerto.

Finito il nostro lavoro ci fermammo per guardare gli hovercraft portare via i corpi dei ragazzi.
Vedendoli, però, non provai lo stesso orgoglio di prima. Guardai il ragazzo dai capelli rossi del Distretto 4, che avevo ucciso io stesso. Quanti anni aveva? Dodici probabilmente. E io lo avevo ucciso. Era come se avessi ucciso un amico di mio fratello. Non sapevo nemmeno il suo nome…
Il sorriso beffardo e soddisfatto scomparve per un’istante dal mio volto. “Cato, cos’hai? Stai bene?” fece Clove guardandomi torva.
Mi ridestati subito da quello stato pietoso.
Gli Hunger Games sono questo, uccidi o vieni ucciso. Dovevo farlo per sopravvivere.
Era questo quello che pensavo nella mia testa per giustificare il terribile evento. “Sì, sto bene. Dobbiamo montare le tende che ha trovato Glimmer. Dove diavolo è Marvel?”
Eravamo nell’Arena da nemmeno un’ora e già lo stavo odiando. Era sparito nel nulla e io e le ragazze lo cercammo a lungo, prima di vederlo sbucare dalla foresta. Affianco a lui, il ragazzo del Distretto 12.
Sentii l’ira crescere dentro me. Afferai la spada più vicina e mi diressi a grandi falcate verso lui. “Dove diavolo eri? E cosa ci fa lui qui?” Forse nessun concorrente di quegli Hunger Games mi aveva mai visto così arrabbiato. Avevo solo voglia di ucciderli entrambi.
“Ehi, calmati. Mi sono allontanato perché lo avevo visto spiarci attraverso gli alberi” disse Marvel, sulla difensiva.
“E cosa aspetti a ucciderlo?” dissi io, ancora più arrabbiato. Puntai la spada alla gola di Peeta il quale trasalì. Nel frattempo ci avevano raggiunto anche Clove e Glimmer.
“Abbiamo fatto un patto” continuò Marvel.
Clove mi tirò per un braccio, impedendomi di affondare la spada nella gola del ragazzo per poi saltare addosso a Marvel e ucciderlo con le mie stesse mani. “Cosa diavolo hai in mente? A cosa ci serve uno come lui? Che razza di patto avete fatto?”
Marvel era calmo, cosa chemi faceva arrabbiare ancora di più. “Ci porterà dalla ragazza del 12, Katniss.”
Clove, Glimmer ed io rimanemmo immobili, col fiato sospeso.
Poteva davvero portarci da lei? Sarebbe stata una grande cosa. Era il nostro nemico principale insieme al ragazzo dell’11 e trovarla ora che eravamo ancora in gruppo poteva garantire la nostra vittoria su di lei.
“Come facciamo a fidarci?” Non riuscivo proprio ad accettare questa idea.
“So riconoscere le tracce che lascia, so di cosa è capace e quali sono i nascondigli che potrebbe usare” rispose lui.
“E perché mai il ragazzo innamorato dovrebbe portarci dalla sua amata?” dissi io con aria sprezzante. Ci eravamo avvicinati così tanto che i nostri nasi per poco non si toccavano.
“Così sarete voi a ucciderla e non rischierò di trovarmi da solo con lei” rispose lui.
Mi lasciai qualche secondo per pensare. Era giusto ammetterlo in squadra? Poteva essere un pericolo e aver formato un’alleanza con Katniss per poi ucciderci nel sonno. Non ero sicuro di quello che era capace.
“Mettiamola ai voti. Alzi la mano chi è favorevole a tenerlo con noi.” Tutti alzammo le mani, non perché ci era simpatico, ma perché volevamo quella ragazza morta più di ogni altra cosa. “E va bene, starai con noi. Ma bada, se dopo una settimana non avrai concluso niente, ti uccideremo immediatamente.” Il mio tono minaccioso non sembrava preoccuparlo. Annuì semplicemente.
Ero contento della piega che stavano prendendo i Giochi. Sorrisi, divertito. Sentivo la sete di sangue accendersi in me. Dovevo sopravvivere e ci sarei riuscito. “Signori, adesso dobbiamo trovare tutti gli altri Tributi e ucciderli, uno ad uno. La caccia è aperta.”

Buon pomeriggio a tutti! Scusate se con questo capitolo vi ho fatto un po' attendere. Spero che il capitolo vi piaccia ma soprattutto di ricevere delle recensioni da voi. I vostri pareri sono importanti perché mi aiutano a migliorare il modo di scrivere, capire dove sbaglio ma soprattutto mi forniscono consigli utili! Quindi spero di ricevere qualche recensione, non importa se positiva o negativa :) fatemi sapere! A presto!

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Capitolo 8
*** Condannato ***


Capitolo 8 – Condannato


Nessuno di noi era stanco. D’altronde era passata solo un’ora dall’inizio dei Giochi.
La mia intenzione era quella di partire alla ricerca dei Tributi, i quali dopo così poco tempo non potevano essere molto lontani e poco probabilmente avevano trovato un ottimo rifugio. Ma gli altri non erano d’accordo.
“Abbiamo tutto il tempo del mondo per dare la caccia a quelli lì, ma se non costruiamo un accampamento ora, un luogo sicuro dove riunirci, potremmo avere dei problemi in futuro, quando il gioco si farà più duro” disse Glimmer.
Odiavo essere contraddetto, ma per quella volta rimasi in silenzio, anche se non prima di averla scoccato un’occhiata malefica.
La odiavo. Così presuntuosa, vanitosa e altezzosa. Certo, rientrava perfettamente negli standard dei Favoriti, ma come persona la trovavo insopportabile. Preferivo le ragazze come Clove, semplici e schiette.

Io e Marvel iniziammo a montare le tende. Peeta si offrì di darci una mano, ma rifiutai con sdegno il suo aiuto, più e più volte, fin quando non gli urlai contro di starsene seduto da una parte senza dare fastidio. Fortunatamente mi ascoltò.
Glimmer e Clove iniziarono a preparare del cibo. C’era pane, carne secca, borracce di acqua e della frutta. Le scorte che avevamo, dato il gruppo numeroso, sarebbero durate solo tre giorni circa, ma eravamo capaci tutti noi di cacciare e procurarci del cibo. L’acqua poi era l’ultimo dei nostri problemi, dato che ci trovavamo vicino al lago.
Eravamo molto esposti, ma non era un problema perché possedevamo quasi tutte le armi disponibili nell’Arena. Se saremmo rimasti uniti, nessuno avrebbe potuto attaccarci senza morire. Potevamo farcela.

Nel pieno pomeriggio avevamo finito di sistemare tutto e avevamo anche pranzato. Marvel sembrava una cavalletta, incapace di rimanere fermo in un punto per un solo istante, incapace di godere appieno di questo meritato riposo per prepararsi alla fase più difficile dei Giochi.
“Ora andiamo? Dobbiamo stanarli” continuava a ripetere.
“Stai un po’ fermo” risposi io, esasperato.
“Non ci riesco sapendo che tutti gli altri sono là fuori a scorrazzare liberi e contenti” rispose lui con rabbia.
Era già la seconda volta che iniziava a darmi sui nervi e che non combinava nulla di buono –perché portarci il ragazzo del 12 per me non era stato affatto buono- e la mia voglia di ucciderlo aumentava. “Okay, se ti da tanto fastidio prendi un’arma che ce ne andiamo da qui” urlai con rabbia, alzandomi in piedi e afferrando la prima spada che avevo vicino.
“Dove diamine state andando?” disse Glimmer.
“A uccidere qualcuno” risposi io infilando la spada nella cintura  e prendendo in mano un machete.
“Sbaglio o avevamo deciso di rimanere qui?” continuò lei con sguardo truce.
“Non è un problema mio quello che vuoi fare tu. Adesso io e Marvel ce ne andiamo da qui, che ti piaccia o no.”
“Voglio venire con voi” aggiunse Clove mentre afferrava in gran fretta i coltelli.
“No, Clove,rimani qui con Glimmer e Peeta e fate la guardia alle armi e ai medicinali.”
Lei mi si avvicinò minacciosamente. Era molto più bassa di me, ma non fallì nel suo intento di farmi pentire di ciò che avevo appena detto. “Smettila di trattarmi come una bambina. Sai che sono brava quanto te quindi piantala di cercare di escludermi.”
La guardai e nei suoi occhi vidi rabbia repressa. Esitai. “Vieni con noi, se vuoi. Glimmer e Peeta rimanete qui.” I due non opposero resistenza, ma vidi Glimmer incoccare una freccia nell’arco come se avesse paura di qualcosa.
Noi tre c’incamminammo verso una direzione imprecisata. Entrammo nel folto del bosco. Marvel davanti che correva in tutte le direzioni come un ossesso,  e io e Clove un po’ più indietro.
“Cosa pensavi di fare, eh? Proteggermi? Non hai capito che qui nessuno può proteggere nessuno? E’ una guerra, tutti contro tutti” sibilò lei con rabbia.
Mi voltai a guardarla senza smettere di camminare. Non l’avevo fatto di certo per proteggerla, o forse sì? No, non era per questo. Sapevo che di certo non le sarebbe accaduto niente quando era con me. “L’ho fatto perché mi fido di te ma non tanto di Glimmer. Non la vedo affidabile e volevo lasciare qualcuno che avrebbe potuto controllare quello del 12.”
“Io non sono la balia di nessuno.”
“Lo so, ma credo che ci possa tornare utile conservare le armi per noi e…” mi fermai di scatto e anche Clove lo fece. Avevamo sentito entrambi la stessa cosa: uno scricchiolio alle nostre spalle, come di foglie secche che vengono calpestate. Marvel però era davanti a noi. Ci voltammo all’improvviso e vedemmo due occhietti castani fissarci attraverso un cespuglio. Ci lanciammo all’inseguimento mentre il ragazzo del 3 cercava di farsi largo tra le piante.
“Marvel! Ne abbiamo trovato uno!” gridai mentre ci allontanavamo sempre di più da lui. Clove era in testa, così piccola da riuscire a muoversi meglio in quel punto dove la vegetazione era fitta. Per farmi largo utilizzavo il machete, ma comunque perdevo terreno rispetto a loro due. Sentivo le risate eccitate di Clove, che finalmente poteva dimostrare tutta la sua abilità dopo il fiasco alla Cornucopia.
All’improvviso sentii un tonfo. “Clove!” chiamai. Sperai tanto non fosse successo niente. Non potevamo lasciarcelo sfuggire.
“Sono qui!”
Seguii la sua voce, fino a ritrovarla in un piccolo spiazzo. Era seduta sul petto del ragazzo e gli teneva le braccia inchiodate a terra con le gambe. Il piccoletto sudava freddo, fissando con timore il coltello puntato alla sua gola.
Sul mio volto spuntò un sorriso maligno. “Bravissima” le dissi avvicinandomi.
“Ci stavi seguendo, eh?” fece lei, con la voce un po’ affannata, guardandolo con rabbia e soddisfazione.
“N-no, n-no! I-io stavo g-girovagando e mi s-sono imbattuto in v-voi” balbettò lui.
“Bugiardo!” gli gridò Clove affondando un po’ la lama nella sua gola.
“Posso aiutarvi. Vi ho visti litigare sul rimanere a controllare le provviste, ma io ho una soluzione” disse velocemente lui.
“Parla” strillò Clove, facendo scorrere un rivolo di sangue dal collo del ragazzo.
“Posso prelevare le mine attorno alle postazioni, quelle da cui siamo scesi. Le posso riattivare e piazzare attorno alle vostre scorte. Chiunque si avvicinerà morirà all’istante.”
Marvel sbucò dietro di noi, trafelato.
La proposta era davvero allettante, ma potevamo far entrare in squadra un altro buono a nulla in base a stupide promesse? Guardai Clove, la quale sembrava indecisa quanto me.
“S-sono abbastanza bravo con la spada. Finché non le avrò piazzate tutte potrò rimanere io a fare la guardia alle v-vostre cose.”
Mi stava convincendo facilmente. L’unica cosa che volevo era che rimanessimo tutti uniti, in modo da essere più forti ma soprattutto in modo da non perdere di vista Peeta.
Guardai ancora Clove che fece un cenno di assenso con la testa. “Va bene, qual è il tuo nome?” dissi mentre Clove lasciava andare la presa.
“J-Jared” fece lui mentre di rimetteva in piedi.
“Bene, Jared. Il lavoro sarà lungo. Vieni con noi” gli dissi con un sorriso cattivo.
Non so se avesse idea di quale condanna avesse appena firmato: se sbagliava il lavoro, saltava in aria, se rubava noi qualcosa, gli avremmo dato la caccia e ucciso facilmente, se il suo piano non funzionava sarebbe morto ugualmente, e, se avesse funzionato, una volta che i concorrenti sarebbero stati pochi, lui sarebbe stato il primo a morire.


Salve a tutti :) sono immensamente felice di presentarvi il nuovo capitolo di questa fan fiction! Spero vi piaccia, ma soprattutto di ricevere delle recensioni per sapere il vostro parere. Un saluto particolare a coloro che hanno lasciato precedentemente delle recensioni, aiutandomi a migliorare la storia e dandomi preziosi consigli (grazie ancora)! Detto questo, non posso far altro che sperare che vi piaccia! Ci rivediamo presto con il prossi!mo capitolo!

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Capitolo 9
*** Non c'è amore nel Distretto 2 ***


Capitolo 9 – Non c’è amore nel Distretto 2
 

Quando tornammo all’accampamento il sole era tramontato quasi del tutto. Glimmer guardava Jared con aria sbalordita. “Chi diavolo è questo?” Anche Peeta lo guardava incuriosito.
Il nostro nuovo alleato aveva l’aria terrorizzata e non riusciva a dire una sola parola. “Lui si chiama Jared e starà con noi. Abbiamo un piano.” Spiegai in modo sintetico le nostre intenzioni alla ragazza che non parve molto entusiasta ma ad ogni modo non disse una sola parola.
Clove si recò subito a preparare qualcosa da mangiare e Peeta si offrì di aiutarla. Lo guardai con sospetto mentre si avvicinava a lei. Lo vidi sfiorarle la mano per prendere un coltello e sorriderle ingenuamente. Sentivo la rabbia e la gelosia crescermi dentro. “Ehi, ragazzo innamorato” gli urlai. “Alzati e vieni a darci una mano.” Lui annuì e obbedì all’istante. “Andiamo a prendere quelle maledette mine.”

Io e Peeta guardavamo Jared lavorare con maestria mentre Marvel dava un’occhiata alle nostre armi e Glimmer e Clove preparavano la cena. Dopo aver osservato per un po’, anche io e Peeta lo aiutammo. Riuscimmo a estrarre ben dodici mine. Poi facemmo una pausa per la cena mentre dei piccoli paracadute atterravano per portarci altre scorte di cibo.
Accendemmo un fuoco non appena venne la notte. Non avevamo  paura che qualcuno vedessi il fumo o il bagliore: eravamo tanti e forti e già tutti probabilmente sapevano dov’era il nostro accampamento.
Organizzammo dei turni di guardia per sicurezza. Avevo ancora il sospetto di un’alleanza tra i ragazzi del 12 e non faceva mai male poter dormire sonni tranquilli.

Il primo turno quella sera toccava a Marvel e Peeta, che si posizionarono fuori dalle tende a fare la guardia. Vidi Clove rintanarsi nella prima tenda e la seguii. “Che ci fai qui?” mi disse con un sorriso malizioso vedendomi.
“Non volevo perdere le vecchie abitudini” e così dicendo mi coricai affianco a lei, abbracciandola. Si addormentò in pochi minuti, la testa appoggiata al mio petto. Sentivo il suo respiro calmo e vedendola sorridere nel sonno pensai che non avrei voluto perderla.

Ma dovevo perderla, inevitabilmente.

Non c’era amore nel Distretto 2. Molte coppie venivano separate dagli Hunger Games e la maggior parte degli abitanti si sposava solo per interessi economici.
E a noi questo sarebbe toccato. Separarci a causa di questo stupido gioco. Avrei voluto conoscere un’alternativa, scappare solo noi due per vivere in un posto bellissimo. Cosa avrei fatto in futuro? Avrei permesso che morisse?
In questi 74esimi Hunger Games gli sfortunati amanti non erano solo nel Distretto 12, ma anche nel 2. Di noi però non ne parlava nessuno, perché entrambi ci eravamo rassegnati all’idea della morte. Noi non nutrivamo speranza di un futuro.

Ed era per questo che io odiavo Peeta: ragazzo follemente innamorato, che sperava di poter tornare a casa. Lui tirava avanti grazie alla speranza e all’amore, io grazie all’odio e alla morte. Era tutto ciò che non ero mai stato, ma che forse avrei voluto essere.

E capii in quell’istante, che Clove odiava la ragazza del 12, Katniss, per lo stesso motivo: faceva la finta indifferente, ma a quanto pareva entrambi si amavano; aveva avuto l’attenzione su di sé e tutto il pubblico sperava nel suo ritorno a casa.

Perché nessuno sperava nel nostro ritorno? Avrei dovuto confessarlo anche io davanti alle telecamere? Perché non potevamo essere speranzosi anche noi?
Quella notte, prima di addormentarmi, iniziai anche io a odiare Katniss. Se prima mi incuriosiva, ora mi faceva venire voglia di ammazzarla. Perché sapevo che lei ce l’avrebbe fatta. Sapevo che lei avrebbe avuto un futuro con il suo amato mentre io no.

Buon pomeriggio a ttti ^^ Scusate per il ritardo ma sono stata molto impegnata e so che questo capitolo è molto breve ma per ora è tutto quello che ho potuto scrivere. Spero di poter aggiornare presto la storia :) grazie a tutti coloro che la leggerenno!

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Capitolo 10
*** Un nemico in meno ***


Capitolo 10 – Un nemico in meno
 

Venni svegliato qualche ora dopo da Marvel.
Era entrato silenziosamente nella tenda e mi stava scuotendo per un braccio, chiamandomi a bassa voce. “Cosa c’è?” Sperai che avesse un buon motivo per avermi svegliato a quell’ora, altrimenti non ci avrei pensato due volte a rompergli l’osso del collo.
“Qualcuno ha acceso un fuoco.” Sul suo volto comparve un sorriso sadico; gli occhi grandi come fari illuminati che supplicavano di uccidere.
Il fuoco indicava, negli Hunger Games, qualcuno di inesperto, che cercava di sopravvivere senza sapere che stava solo facendo avvicinare la sua morte.
Mi alzai lentamente, cercando di non disturbare Clove, ma l’allenamento che aveva ricevuto come me la fece subito scattare in piedi. Le spiegammo la situazione e in pochi minuti svegliammo tutti gli altri.
“Jared tu rimani qui a fare la guardia, noi andiamo a vedere chi è stato ad accendere il fuoco.”
Armati completamente partimmo a grande velocità. Io ero in testa, con Glimmer al mio fianco, pronta a scagliare una freccia; dietro di me Clove e Marvel si muovevano furtivamente e infine c’era Peeta, che sembrava non riuscire a tenere il passo. In poco tempo arrivammo a destinazione.
Ad accendere il fuoco era stata la ragazza del Distretto 8 che ora si strofinava la mani per cercare calore.
Ci avvicinammo di soppiatto, ma non appena ero così vicino da poterla trafiggere con la spada, qualcuno alle mie spalle, sicuramente quell’idiota del 12, spezzò un ramo e lei si voltò.

Vidi il terrore nei suoi occhi, la paura folle di chi sa che sta per morire.

Gridò.

Mi affrettai a trafiggerla ma lei si spostò e la colsi di striscio a un fianco dal quale iniziò a sgorgare il sangue. Clove mi raggiunse in fretta, mentre Glimmer la teneva sotto tiro con il suo arco, e le piantò un coltello nella spalla facendola urlare più forte.
“Vi prego non uccidetemi…” pianse a bassa voce. “Vi prego…”
La guardai negli occhi nocciola e vidi una tristezza e un dolore immensi. Ma Marvel non dovette vedere nulla di tutto questo, perché un istante dopo le trapassò la gamba con la sua spada. La ragazza si accasciò al suolo con un tonfo.
Sospirai.
“Meno uno” dissi voltandomi per tornare indietro.
Gli altri non facevano altro che esultare ad alta voce e gridando mentre io rimanevo in silenzio, gustando la vittoria dentro di me.
Un nemico in meno.
“Siamo stati bravissimi” disse Clove con un sorriso correndo al mio fianco e prendendomi per mano.
“Certamente. Bravi come al solito” risposi io sorridendo a mia volta.
Eravamo vicini. Per un istante mi venne l’idea di baciarla, in quel momento, senza esitare, e vidi che anche lei lo stava pensando. Lo capivo dal suo sguardo, perso nei miei occhi. Eravamo molto vicini, tanto che sentivo i brividi sulla pelle.
“Ehi, non c’è stato nessuno sparo di cannone” fece Glimmer piombando accanto a noi e rovinando quel momento fantastico.
“Impossibile” risposi io. “Tre colpi, tutti e tre profondi. Non può essere ancora viva.”
“Clove non l’avrà presa bene” commentò Marvel.
“Io l’ho presa in pieno. Tu, semmai, avrai mancato l’arteria femorale” rispose lei con rabbia.
“Posso dimostrarti in questo istante di essere più preciso di te” continuò lui, avvicinandosi con aria minacciosa.
“Fallo. Così avrò un motivo valido per fracassarti la testa in due.” Mi ero frapposto tra i due e guardavo Marvel con aria di sfida. Doveva capire che non poteva parlare così a Clove, nessuno avrebbe potuto farlo senza subirne le conseguenze.
Era questo il brutto di appartenere ai primi Distretti: tutti erano ben allenati e le minacce e gli scontri fisici erano all’ordine del giorno. Non potevi permetterti di essere una persona educata e gentile.
“Lasciate perdere. Ci penso io” disse Peeta. Lo vidi incamminarsi verso la ragazza, la sua piccola spada in mano. Sentimmo, qualche secondo dopo, un piccolo gemito e poi un colpo di cannone. Tornò indietro con calma, lo sguardo sereno. “Ora ce ne possiamo andare?” fece incamminandosi verso l’accampamento.
Lo seguimmo, tutti in silenzio.
“Sei sicuro di volerlo in squadra?” domandò Glimmer avvicinandosi a me.
“Voglio che ci porti da lei” risposi con rabbia. Ci aveva fatto fare la figura dei cretini, e per questo l’avrebbe pagata.



Buonasera a tutti ^^ Spero vi piaccia il decimo capitolo della mia fan fiction e mi dispiace di avervi fatto aspettare ma è piena estate e il mare e le uscite con gli amici chiamano :) ad ogni modo, lasciate delle recensioni se volete così potete esprimere il vostro parere e darmi dei consigli per migliorare la storia :) a presto!

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Capitolo 11
*** Fuoco e fiamme ***


Capitolo 11 - Fuoco e fiamme


Una volta tornati alle nostre tende, constatammo che era andato tutto bene. Jared era lì e ci riferì che nessuno si era avvicinato.
Il resto della notte trascorse tranquilla e ognuno fece il suo turno di guardia senza protestare.
L'indomani facemmo un'abbondante colazione e poi partimmo alla ricerca di altri Tributi: Jared sarebbe rimasto a fare da guardia alle nostre scorte di cibo e nel frattempo avrebbe dissotterrato le mine restanti mentre il resto del nostro gruppo avrebbe setacciato il bosco.

Eravamo tutti allegri e camminavamo spavaldi tra la vegetazione, per niente intimoriti dal fatto che qualcuno avrebbe potuto sentirci. Ero in testa, accanto a me c'era Glimmer; dietro di me Clove e Marvel ed infine Peeta.
Ridevamo e parlavamo di tutto e di più, gli Hunger Games non sembravano esistere e nessuno pensava che tra qualche settimana sarebbe stato vivo solo uno di noi.

Ma tutto cambiò verso mezzogiorno.

Iniziammo a sentire un caldo insopportabile, ma credevamo fosse dovuto all'orario. La temperatura però continuò a salire sempre di più e l'aria divenne ben presto irrespirabile.
"Cato... Non ce la faccio..." fece Glimmer cadendo in ginocchio.
"Cos'hai?" chiesi cercando inutilmente di reggerla. Il resto del gruppo si accalcò intorno a noi per capire cosa stesse accadendo. Respirava a fatica e tremava tutta.
"E' colpa di questo caldo" commentò Clove, cercando di farle bere dell'acqua.
"Aiutami a portarla indietro. Ha bisogno di bagnarsi. Torniamo al lago" mi disse Marvel.
Non avevo per niente voglia di tornare indietro, ma pensai non fosse il caso di creare divari tra noi così presto..
Marvel ed io la afferrammo saldamente per il bacino. "Reggiti a noi" le dissi mentre tentavamo di trascinarla il più velocemente possibile lontano da quell'afa che nessuno di noi tollerava più.
Clove era in testa al gruppo e ci guidava, Peeta era in coda e se ne stava in silenzio.
D'un tratto l'aria divenne bollente, piena di una puzza acre che ci intasò i polmoni. Arrancavamo mentre l'odore di legna che brucia ci impediva di respirare normalmente.
E fu allora che lo vedemmo: un incendio enorme si avvicinava a noi.
Gli animali del bosco correvano nelle direzioni più disperate e noi iniziammo a fare lo stesso.
Senza esitare lasciai Glimmer e l'abbandonai al suo destino, tentando di fuggire dalle fiamme. La ragazza si trascinava a fatica aiutata da Marvel, che non riusciva a trasportarla velocemente da solo.
Istintivamente presi la mano di Clove per evitare che l'incendio ci separasse e che non le accadesse nulla.
Correvamo a perdifiato seguendo la sagoma di Peeta che correva di fronte a noi.
Non riuscivamo a vedere molto bene davanti a noi e i nostri piedi si incagliavano in continuazione nell'erba e le nostre spalle colpivano tronchi e rami.

Gli Strateghi si stavano annoiando e volevano eliminare uno di noi.Ma non sarei stato io il prossimo Tributo morto e nemmeno Clove.

Date le circostanze molti si sarebbero fatti prendere dal panico, ma io ero perfettamente lucido, pronto a qualsiasi cosa per ottenere la salvezza.
Sentivo le urla e i lamenti di Glimmer, ma nessuno di noi si voltò per aiutarla. Era la più debole tra di noi e nessuno avrebbe rischiato la vita per lei. Non sentivo il minimo rimorso nel lasciarla sola. Non doveva essere lei a vincere questi Giochi, lo sapevamo tutti benissimo.
Non mi spaventava l'idea di dirle addio, così continuai a correre, la mia mano stretta in quella di Clove e le urla di Glimmer sempre più lontane.
Era straziante sentirla chiedere aiuto, sentirla pregare che quel dolore smettesse. Ero convinto che stesse soffrendo molto e che le fiamme la stessero divorando.

Buon pomeriggio a tutti :) perdonatemi se ho aggiornato la storia così in ritardo ma sono in vacanza e dal cellulare a quanto pare è praticamente impossibile aggiungere dei capitoli. Spero vi piaccia questo capitolo, anche se è un po' breve. Non so quando riaggiornerò la storia dato che tornerò a casa solo a fine agosto. Spero che voi continuerete a seguirmi ma soprattutto spero di poter continuare a scrivere. A presto ^^

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Capitolo 12
*** Gelosia ***


Capitolo 12 - Gelosia

Nel tentativo di sfuggire alle fiamme, cademmo tra le acque tumultuose di un fiume. Stringevo con forza la mano di Clove, spaventato dall'idea che la corrente potesse trascinarla via. Peeta, davanti a noi, arrancava nell'acqua, scivolando sulle rocce coperte di alghe che costituivano il letto del fiume.
Non appena arrivammo sull'altra sponda mi voltai velocemente verso Clove, per assicurarmi che stesse bene: era tutta intera, tranne qualche graffio qua e là. "Tutto okay?" le chiesi per avere la certezza di quello che già sapevo bene. Lei annuì.
Mi concessi qualche secondo per riprendere fiato. Ero contento di essere uscito illeso dall'incendio: una bruciatura mi avrebbe indebolito in modo eccessivo.
"Marvel e Glimmer..." disse Clove lasciando cadere la frase, incapace di dire quello che tutti noi sapevamo bene. Erano morti, era quasi certo. Le urla di lei avevano riempito ogni angolo del bosco che ci circondava, ed ora non si sentiva più nulla. Li avevamo lasciati indietro per salvarci ed erano stati inghiottiti dal fumo e dalle fiamme. Forse c'era una piccola possibilità che Marvel fosse ancora vivo, mentre Glimmer...
"Sono ancora vivi" disse d'un tratto il ragazzo innamorato. Non avevo notato che si era accasciato per terra, cercando di recuperare più ossigeno possibile. Lo guardammo, cercando di capire il perché di questa sua convinzione, e mi domandai come aveva potuto salvarsi uno come lui. "Non c'è stato nessun colpo di cannone" continuò, ansimando.
In quell'istante, dalle ultime fiamme rimaste sulla riva opposta del fiume e dal fumo denso, sbucarono le figure dei due ragazzi: Marvel trascinava Glimmer con le ultime forze che aveva, le quali non bastarono per impedirgli di cadere rovinosamente in acqua ed essere trascinati via dalla corrente.
Sotto i nostri occhi la corrente stava allontanando rapidamente il corpo di Glimmer, priva di sensi, mentre Marvel arrancava, cercando di rimettersi in piedi, inutilmente.
Istintivamente -non saprei dire tutt'ora il perché- mi gettai in acqua, nuotando e dandomi slancio sufficiente con le gambe da raggiungere la ragazza dell'1. Riuscii ad afferrarla e la presi tra le mie braccia, portandola in salvo fuori dal fiume,
Peeta, qualche secondo dopo di me, aveva soccorso Marvel, aiutandolo a uscire. "Glimmer... Sta bene?" furono queste le sue prime parole una volta al sicuro. Il. ragazzo del 12 annuì, ma poi spostò il suo sguardo preoccupato verso di me.
Si aspettava una conferma, un cenno, un sorriso che potesse spingerlo a consolare Marvel, ma non ottenne niente. Non sapevo se era ancora viva, se stava morendo, se era solo svenuta o se aveva acqua o fumo nei polmoni. Non sapevo assolutamente nulla, così l'unica cosa che potei fare fu appoggiarla a terra, sull'erba soffice, e fissarla, riprendendo fiato, sperando di vedere i suoi occhi riaprirsi.
Mentre tutti accorrevano per constatare le sue condizioni, io la fissavo: il suo corpo era riverso per terra, privo di sensi, le sue gambe e le sue braccia erano inermi; i suoi capelli biondi giacevano spettinati e i suoi occhi lucenti erano chiusi; la sua bocca, che fino a poco prima era ripiegata in un sorriso splendente, ora giaceva aperta e sembrava esalare solo un flebile respiro. Non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo corpo martoriato, dalla sua pelle perfetta cosparsa da grandi bruciature, che quando Clove si allontana e torna con un paracadute argentato proveniente dal Distretto 1 io nemmeno me ne accorgo.
Rimango lì impassibile mentre Clove applica la pomata arrivata con il paracadute insieme a dei vestiti di ricambio.
Sono minuti di attesa snervante. Stiamo in silenzio a guardare Glimmer riversa per terra, attendendo qualcosa che non siamo sicuri di ottenere.
Sento dentro me il timore di udire un colpo di cannone che fortunatamente non arriva, e quando la ragazza riapre gli occhi tiriamo tutti un respiro di sollievo.

Ci mette un po' a riprendersi. E' in stato confusionale e non ricorda molto. Marvel racconta dell'incendio, di come lui l'abbia trascinata in salvo dalle fiamme rischiando la sua stessa vita, e di come siano caduti nel fiume e dell'aiuto mio e di Peeta.
A quel punto Glimmer sembra stare di nuovo bene. Gli occhi le si illuminano, il sorriso torna a splendere e con le poche forze che ancora ha mi abbraccia.

Sono stupito.

Mi aspettavo un grazie o anche solo un sorriso, ma non questo abbraccio che quasi mi soffoca. D'altronde Marvel è quasi morto per salvarla. Dovrebbe abbracciare lui e non me che l'ho inizialmente abbandonata al suo destino per poi, grazie forse a un senso di pietà, gettarmi tra le acque per salvare il suo corpo. Inoltre non sono stato io a curare le sue bruciature.
Mi chiedo il perché di questo gesto e trovo quella che pare una risposta negli occhi di Clove: mi guarda con fare assassino, la mascella contratta e gli occhi che emettono scintille di gelosia che sembrano arrivare sulla mia pelle e farmi del male. Capisco grazie a ciò che il suo non è esattamente un normale abbraccio di gratitudine, ma forse questa situazione era solo un pretesto per avvinghiarsi il più forte possibile a me.
Cerco di dire qualcosa ma mi blocco vedendo che anche Marvel, privato del suo momento di gloria da un mio gesto quasi insignificante, mi guarda con aria feroce. Fa paura quasi quanto Clove, ma mentre è poco probabile che lei decida di uccidermi per primo non appena la nostra alleanza sarà sciolta, di lui non ne sono altrettanto sicuro.
Quanto può essere pericolosa la gelosia?


Buongiorno a tutti! Eccomi tornata finalmente dalle vacanze e mi scuso di avervi abbandonato così. Prometto che sarò più presente nei prossimi giorni, anche se tra qualche settimana inizierà la scuola. Spero che questo capitolo vi piaccia e compensi l'altro che è oggetivamente troppo breve. Lasciate recensioni e fatemi sapere cosa ne pensate. A presto!

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Capitolo 13
*** Speranza ***


Capitolo 13 – Speranza
 
Glimmer ci mise un po’ a riprendersi del tutto e, quando fu in grado di camminare da sola, era già pomeriggio inoltrato.
Per i minuti che avevano seguito il suo abbraccio, Clove mi aveva guardato con aria minacciosa. Ora, però, sembrava di nuovo tranquilla. Aveva il volto serio, come suo solito, se ne stava seduta un po’ più in là rispetto agli altri e quando la ragazza dell’1 faceva qualche battutina stupida per interrompere il silenzio lei non rideva.

Sì, era di nuovo tranquilla.

Qualcuno potrebbe pensare che queste cose fossero un brutto segno, ma io che la conoscevo bene sapevo che andava tutto bene. Lei non era abituata a stare in gruppo, non rideva alle battute sciocche, non sprecava tempo dietro a cose futili come i capelli o l’aspetto e non perdeva mai di vista il suo obiettivo.
In questo caso ero io.
Non avrei saputo dire se la sua intenzione fosse quella di uccidermi o di avermi tutto per sé, ma intanto, non appena mi alzavo o mi spostavo, mi seguiva con lo sguardo, senza mollarmi nemmeno un istante, e se mi allontanavo troppo lei mi seguiva. Qualsiasi fosse il suo obiettivo, ero contento di averla vicino.

Avrei voluto dirle che non mi interessava di Glimmer, che non mi piaceva anche se oggettivamente era uno schianto, che anche se tutti avrebbero scelto la ragazza bionda e dal sorriso perfetto io non l’avrei fatto. Avrei voluto dirle che quell’abbraccio per me non significava nulla, che volevo solo la mia Clove.
Ma questi non sono argomenti di cui discutere davanti agli altri.

Finalmente ci incamminammo, con il sole quasi all’orizzonte. Glimmer non si scostava un secondo dal mio fianco e mi sorrideva con fare stupido, ma non tentai di allontanarla. Clove se ne stava per i fatti suoi dietro di me, fissandomi intensamente. Marvel, invece, trotterellava in tutte le direzioni ridendo e facendo battute stupide, in cerca dell’attenzione della sua compagna di Distretto. Il ragazzo innamorato se ne stava come al suo solito dietro tutti noi, in silenzio.
Seguivamo il corso del fiume, l’incendio che ancora divorava la vegetazione sull’altra sponda. Arrivammo in un piccolo laghetto e finalmente la vedemmo: Katniss, la ragazza in fiamme, la ragazza del Distretto 12.
Mi voltai verso Clove e lessi nei suoi occhi lo stesso odio che provavo io. Senza pensarci un attimo iniziammo entrambi a correre, seguiti dagli altri. Ma se il mio obiettivo era quello di ucciderla per sperare così che anche lei capisse cosa significava essere un innamorato sventurato, Marvel pensava solo a pavoneggiarsi e a strillare.
La ragazza in fiamme lo sentì e subito iniziò a correre nella direzione opposta alla nostra.
Cercai di raggiungerla. Ero convinto di farcela dato che era ferita a una gamba, ma le urla di quell’idiota di Marvel l’avevano avvertita troppo presto della nostra presenza ed era riuscita a fuggire e a rintanarsi sopra un albero.
“Ci penso io” dissi iniziando ad arrampicarmi. Ero il più agile e il più forte lì in mezzo, quindi il più adatto per l’impresa. Mentre lei saliva più su io cercavo di raggiungerla, la spada nella mano. Le grida degli altri provenienti dal basso mi incoraggiavano a proseguire e a farla fuori.
Ma tra tutte le urla, io sentivo solo Clove.
Ripensai a l’altra notte nella tenda, quando avevo capito il motivo per cui lei la odiava, e adesso riuscivo quasi a sentire un briciolo di speranza nel profondo della sua voce.

Sperava, come me, nella sua morte.

Sperava nella fine della speranza degli abitanti del Distretto 12.

Sperava che gli sventurati amanti del Distretto 12 potessero incontrarsi di nuovo sottoterra e non vedersi mai più in quell’Arena.

Sperava che il pubblico non tifasse più per loro ma per noi.

Sperava che quella sensazione che suggeriva a entrambi che i ragazzi del 12 sarebbero tornati a casa insieme svanisse.

Ma non riuscii ad accontentarla.
Un ramo cedette sotto il mio peso e mi ritrovai al suolo. Ero un po’ dolorante ma, per non dare soddisfazioni alla ragazza del 12, mi rialzai senza lamentarmi.
Ma anche questa volta ce l’aveva fatta. Non riuscimmo a ucciderla, tanto era in alto. E allora Peeta, che fino ad allora era rimasto a guardare, suggerì di aspettarla lì.
Lo detestavo con tutto me stesso, e una volta sciolta quest’alleanza sarebbe stato il primo che avrei fatto fuori. Ma, nonostante ciò, dovetti ammettere che la sua era l’idea migliore. In fin dei conti era vero, doveva scendere per forza di lì.
Ci dividemmo per cercare la legna per un fuoco e lo accendemmo. Eravamo però senza provviste e senza un luogo sicuro per dormire.
La cosa mi rendeva agitato, soprattutto perché eravamo nel pieno della foresta e non potevamo vedere se qualcuno si avvicinava.
Ma chi lo avrebbe fatto? Chi avrebbe attaccato i Favoriti, rivestiti di armi fino ai denti?
Nessuno. Ma per sicurezza decisi di organizzare dei turni.

I primi eravamo io e Clove.
Tutti gli altri dormivano, quando mi accostai a lei e bisbigliai: “Tutto bene? Oggi è stata una giornata movimentata.”
“Già. Soprattutto per il nostro eroe.” Il sarcasmo nel suo tono era evidente.
“Davvero sei gelosa di lei?”
“Ma chi? Io? Gelosa della ragazza dai capelli biondi? Gelosa della ragazza bellissima? Gelosa di quella stupida dal sorrisino perfetto? Improbabile.” Ancora sarcasmo.
“Appunto. Non hai motivo di essere gelosa” e dicendo così le presi la mano. “Sei tu la ragazza più bella che conosco e nessun’altra può fare niente per farmi cambiare idea.” Le diedi un bacio sulla guancia e vidi un piccolo sorriso spuntarle sul volto. Forse, se non fosse stata notte, avrei visto anche un lieve rossore sulle sue guance.
“Be’ lei non la pensa così. Lei crede che tu preferisca lei. Me lo ha detto poco fa, mentre raccoglievamo la legna” sbottò con rabbia.
“Cosa?!”
“Sì, ha detto che tu vuoi lei e bla bla bla. Che io non devo mettermi in mezzo e cose così.”
“E tu non le hai detto niente?”
“L’ho solo minacciata di piantarle un coltello dritto in gola se non avesse subito chiuso quel becco da papera che si ritrova al posto della bocca.”
Scoppiai a ridere, anche se forse era un momento inappropriato. Anche Clove rise, e poi si accoccolò tra le mie braccia. La strinsi forte, sperando di non dovermi mai più muovere di lì e poterla avere sempre accanto a me.

Salve a tutti! Eccomi tornata con un nuovo capitolo. L'ho scritto con un po' di fretta quindi perdonatemi per eventuali errori. Fatemi sapere cose ne pensate. Un bacio! :)

 

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Capitolo 14
*** Dolore e morte ***


Capitolo 14 – Dolore e morte
 
Era mattina. Non saprei dire che ora. Non saprei dire nemmeno se c’era il sole oppure no, perché il mio risveglio non fu dei migliori.
Non ricordo molto, solo di aver fatto il mio turno di guardia, di essere andato a dormire con Clove al mio fianco per poi svegliarmi con un tonfo. In un primo momento pensavo che qualcuno avesse lasciato cadere a terra qualcosa di pesante, come un grosso frutto. Ma poi ho sentito un ronzio insistente, sempre più forte, che nel giro di un secondo mi circondava, e poi un dolore atroce sulla pelle.
Aprii gli occhi e mi ritrovai circondato da centinaia di Aghi Inseguitori. Non ne avevo mai visti, non esistono nel mio Distretto.
Mi ci volle un istante per comprendere che dovevo alzarmi e mettermi al riparo. Saltai in piedi urlando, e con me tutti gli altri. Agitavo le mani, la testa e le gambe, nel tentativo di scrollarmeli da dosso, ma era inutile.
Riuscivo già a sentire i loro pungiglioni che mi penetravano la pelle.

Uno, due, tre.

Rischiavo di morire senza nemmeno accorgermene. Vidi Marvel scappare in una direzione ben precisa: il fiume. Lo seguii a ruota e con me anche Clove e  Peeta.
Corremmo a più non posso, urlando e dimenandoci. La paura aveva preso il sopravvento su di me: gli Aghi Inseguitori erano qualcosa che non potevo combattere. Le mie armi e la mia forza non potevano servire a nulla contro il loro veleno.

Quattro, cinque, sei.

Vidi tutto confuso attorno a me. Gli alberi si spostavano da soli, Marvel compariva e scompariva improvvisamente. Vidi il mio fratellino correre verso di me, una piccola spada in mano. Vidi Clove vestita con un lungo abito azzurro, sorrideva ma aveva il volto rigato da lacrime di sangue.
Ero troppo scosso dalle visioni da non accorgermi del fiume. Andai a finirci dentro e scivolai sulle pietre, fin quando non mi ritrovai immerso completamente in acqua. Mi alzai a fatica e cercai di mettere a fuoco cosa stava accadendo.
Marvel, accanto a me, si teneva a fatica a una roccia in acqua. Peeta, dietro di me, era seduto nell’acqua bassa con il fiatone, ma sembrava stare bene.

Ebbi un tuffo al cuore quando guardai davanti a me e vidi Clove, a circa un metro dalla riva, stesa per terra. Cercava di trascinarsi in acqua ma non ce la faceva; guardava verso di me, ma il suo sguardo implorante era perso nel vuoto. Avevo un dolore terribile per tutto il corpo, in particolare alle braccia, ma, ripensando alle immagini di lei con il vestito azzurro e il volto cosparso di sangue, mi costrinsi a trascinarmi verso di lei. La afferrai per un braccio tirandola in acqua.
Quei puntini neri che la circondavano, che con la mia vista annebbiata sembravano Aghi Inseguitori, si dileguarono velocemente.
Aspettammo un minuto, per riprendere fiato, poi uscimmo. Clove era semicosciente e dovetti prenderla in braccio. La posai sull’erba, nel punto in cui era più soffice, e mi coricai accanto a lei.
Il mio respiro era affannato, le braccia mi facevano troppo male e le mie gambe non sembravano capaci di reggere il mio peso.
“Glimmer! Glimmer!” gridava a squarciagola Marvel. Facile per lui, solo due punture.
“Piantala!” sbottai. La testa mi stava esplodendo.
“Glimmer non c’è! Dobbiamo andare a cercarla!” Non ero in vena di discutere, ma nemmeno di alzarmi e andare a cercare una persona di cui non m’importava assolutamente nulla. Marvel sembrò leggermi nel pensiero. “Se a te non importa nulla di lei questo non significa che per me sia lo stesso! Se era Clove in pericolo tu saresti corso subito da lei!”
“Io non l’avrei mai lasciata indietro!” gli gridai con rabbia.
“Non mi interessa quello che avresti fatto! E’ mia amica e dobbiamo andare a cercarla!”
Mi alzai con rabbia e mi avvicinai a lui. “Non lascio qui Clove, da sola.” Il mio sussurro nel suo orecchio sembrò una minaccia, come se potessi staccargli la testa da un momento all’altro.
“E’ con Peeta.”
Risi. “Non mi fido di lui, e mai lo farò.”
Marvel rimase in silenzio qualche secondo, tormentandosi per cercare una soluzione. “Rimango qua io con lei, tu e Peeta andate a cercarla.”
Meditai a lungo su cosa fare. Sapevo che Marvel non le avrebbe fatto del male, ma potevo lasciarla da sola in quelle condizioni?
Mi avvicinai a lei, osservandola. Contai nove punture che andavano ingigantendosi sulla sua pelle. La testa ancora mi girava e mi domandai se alcuni di quelle non fossero frutto di allucinazioni. Respirava lentamente, ma con regolarità. La baciai sulla fronte: “Torno subito, promesso.”
Lei mi guardò con occhi vacui, non sembrava aver capito nulla.
“Vieni con me” dissi in malo modo al ragazzo del 12. Poi, avvicinandomi a Marvel, gli sussurrai nell’orecchio: “Tienila d’occhio, non deve capitarle nulla. E comunque torno indietro solo per la mia spada.”

Mi incamminai con Peeta. Camminavamo entrambi spediti, ma capitava, prima a uno e poi all’altro, di barcollare e rischiare di cadere.
Arrivammo in poco tempo sotto al fatidico albero. Raccolsi la mia spada, un coltello di Clove e la sua giacca.
“Guarda” disse Peeta indicando poco più in là. Seguendo la traiettoria vidi un essere informe steso per terra. Solo grazie ai capelli biondi e alla divisa da Tributo potei riconoscere Glimmer.
Tutta la sua bellezza, tutto il suo splendore era sparito, eclissato da terribili bozzi provocati dalle punture. Gli occhi non rilucevano più, i capelli giacevano scomposti, il sorriso lasciava il posto a una smorfia di dolore.
Mi voltai dall’altra parte per non assistere a quella scena raccapricciante.
Sentii un fruscio poco più avanti. Non era quello di un animale, e nemmeno quello di una persona che tenta di acquattarsi tra la vegetazione, ma era il rumore prodotto da chi non sa cosa sta facendo. Sapevo chi era, e ne ebbi la conferma vedendo la treccia dietro un cespuglio.
Volevo correre e ucciderla, ma Peeta, decisamente più in salute di me in quanto aveva solo tre punture, mi spinse, facendomi barcollare, e iniziò a correre verso la sua direzione.
La testa riprese a girarmi e caddi a terra. Vedevo mia madre stavolta, lo stesso volto triste di quando mi aveva visto partire per gli Hunger Games. Mi costrinsi a non badare a lei, a convincermi che era solo frutto del veleno in circolo nel mio corpo e mi concentrai sul ragazzo del 12. Con la lancia in mano aveva raggiunto Katniss e l’aveva convinta a scappare.

Mi rialzai a fatica, la spada in mano, pronto a correre verso di lui e ucciderlo, una volta per tutte.

Buonasera a tutti ^^ eccomi tornata con un capitolo, spero vi piaccia. Che dire, qui la storia inizia a farsi, secondo me, più avvincente. Iniziano le prime perdite, gli inganni e i problemi. Fatemi sapere cosa ne pensate! A presto con il capitolo successivo!

 

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Capitolo 15
*** Mia ***


Capitolo 15 – Mia
 
“Da che parte stai?” gli gridai, avvicinandomi. Lui si voltò, terrorizzato. Davvero pensava che quella spinta potesse mettermi K.O.? “Allora avevo ragione a dire a Marvel che non dovevamo fidarci di te. Sei morto, amico.” Provai un affondo, ma lui lo scansò facilmente.
Ero furioso. Potevo immaginare il mio volto paonazzo, la mia mascella contratta e i miei occhi pieni di rabbia.
Non avrei mai potuto dimenticare l’espressione di Peeta: sapeva che ero più forte di lui, anche in quelle condizioni.
Lo attaccavo senza sosta e non sempre lui riusciva a scansare i miei colpi o a pararli con la lancia. Sul suo corpo a poco a poco andavano aprendosi piccole ferite dalle quali sgorgava sangue. Ma non era abbastanza. Lo volevo morto. Dove patire una brutta morte solo per il fatto di averci imbrogliati, per aver salvato colei che aveva quasi ucciso me e la mia Clove.

Quando la mia spada tracciò una lunga linea rossa lungo la sua gamba, sentii una sorta di appagamento dentro di me. Era per lui l’inizio di una morte lenta e dolorosa. Si era piegato in due e non riusciva quasi a camminare per la ferita.
Poi vidi Clove, alle sue spalle, che mi fissava, sconvolta. Aveva i vestiti a brandelli ed era cosparsa di sangue. Stavo per lasciare la spada e correre da lei quando vidi anche il mio fratellino Mat nelle medesime condizioni. La testa mi girò pericolosamente.

Era il veleno degli Aghi Inseguitori.

Il mio fisico, per quanto resistente, non poteva resistere alle punture di quei terribili animali. E fu quello, l’unico vantaggio di Peeta:  approfittò del momento per travolgermi e farmi cadere a terra, poi scappò via, senza nemmeno raccogliere la lancia.

Vidi appena la direzione che aveva preso, talmente ero confuso. Raccolsi le armi e iniziai a strascinarmi in direzione del fiume. A causa dello stato confusionale dovetti sbagliare strada, perché impiegai il doppio del tempo per arrivarci e il sole era già alto nel cielo.
“Allora? Dove sono Peeta e Glimmer?” fece Marvel venendomi incontro.
“Glimmer è morta” gli dissi. Non avevo voglia di raccontare di Peeta, e dopo questa notizia, Marvel non mi avrebbe nemmeno ascoltato. Difatti rimase per un minuto immobile, al suo posto, senza nemmeno muovere un muscolo. Poi si andò a sedere in riva al fiume, guardando pensieroso il fiume e ripetendo, di tanto in tanto: “era mia amica, era la mia amica… E ora non c’è più… Glimmer…”
Io mi andai ad accovacciare vicino a Clove, che era nelle stesse condizioni in cui l’avevo lasciata. La sfiorai delicatamente, ma anche se aveva gli occhi semichius,i sembrava così lontana…

La mia Clove, la mia povera, dolce Clove.

Come avevano potuto farle questo?
Alla fine stiamo solo cercando di sopravvivere, come tutti.
Perché a Glimmer la medicina per le bruciature è arrivata subito, mentre a Clove no? Ritenevano l’una più bella o meritevole dell’altra?
La mia Clove non meritava tutto quel dolore, non meritava di dover soffrire. Pensai che forse, tornando all’accampamento, avremmo trovato qualche medicina simile. La presi in braccio e comunicai a Marvel che era ora di andare.
Lui mi seguiva come un automa, senza capire davvero cosa faceva. Io proseguivo lentamente, stremato da quella giornata che non aveva portato nulla di nuovo. Quando la testa mi girava non tentavo di sforzarmi per paura di cadere su di Clove, ma mi fermavo, riprendevo fiato e poi ricominciavo a camminare.

Arrivammo all’accampamento che era ormai sera e Jared ci corse incontro: “Cosa è successo? Siete stai via così a lungo!”
Senza prestargli attenzione, gli ordinai: “Clove è stata morsa dagli aghi inseguitori, trova qualcosa controil veleno.”
Jared iniziò a frugare tra le medicine estraendo tre siringhe e riempiendone una con uno strano medicinale rosastro. “Una di queste ogni cinque ore, c’è scritto” lesse Jared porgendomi la siringa.
Ne iniettai il contenuto nelle vene di Clove e rimasi a guardare. Dopo un quarto d’ora i suoi occhi iniziarono a diventare più vigili e quando chiamavo il suo nome emetteva uno strano verso, segno che aveva capito.
A quel punto Marvel si era ripreso e raccontai a tutti e tre l’accaduto. Rimasero per un po’ in silenzio, poi Jared disse: “Io nel frattempo ho estratto tutte le mine. Sono pronte per l’uso.”
Ma a me non interessava. Volevo solo sedermi accanto alla mia Clove e abbracciarla forte, dormire con lei e farmi passare i giramenti di testa e i dolori.
Quella notte così fu, io e Clove dormimmo abbracciati, Marvel e Jared che posizionavano le mine intorno alle nostre cose disposte precedentemente da loro a forma di piramide.
Non c’era cosa più bella nel sentire il suo cuore battere, il suo respiro regolare diventare sempre più intenso, e poi vederla muoversi di tanto in tanto. Erano tutte cose che ti costringevano a pensare che stesse migliorando, ed ero contentissimo.
Avevo la tentazione di baciarla, spaventato che potesse essere l’ultima, poi mi feci coraggio, costringendomi a pensare che ce l’avrebbe fatta.

Sì, la mia Clove ce l’avrebbe  fatta.


Buonasera! Eccomi con un nuovo capitolo. Mi dispiace constatare che non state lasciando più recensioni, e la cosa mi rattrista un po' sinceramente perché vedo comunque che c'è un numero abbastanza alto di visualizzazioni, eppure nessuno lascia mai un commento... Non voglio sentirmi dire che sono brava o che la mia storia è la più bella di tutte, voglio sentirmi dire da voi, in modo sincero cosa non va, dove ho sbagliato e come posso migliorare. D'altronde questo sito serve anche a questo, no? ;) spero che questo vi incoraggi a lasciare un parere, a presto ^^

 

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Capitolo 16
*** Non più Favoriti ***


Capitolo 16 – Non più Favoriti
 
Gli Hunger Games avevano preso una piega decisamente strana. Dopo l’episodio degli Aghi Inseguitori eravamo rimasti solo in nove, eppure i Giochi erano fermi da due giorni.
Eravamo ancora vivi io, Clove, Marvel, Jared, la ragazza del 5, i ragazzi dell’11 e purtroppo anche quelli del 12.
Eppure erano due notti che dormivamo sogni tranquilli, due giorni che nessuno fiatava. Cosa stava accadendo? Gli Strateghi erano concentrati sull’agonia di Peeta, a causa della mia profonda ferita, o sull’agonia di Katniss? Quante punture da parte degli ibridi aveva ricevuto? Abbastanza da essere confusa più di me.
Il suo fisico era gracile, non poteva resistere al veleno. Ma due giorni erano troppi per sperare in una sua morte.

Le nostre provviste di cibo, nel frattempo, erano al sicuro, e noi ci godevamo la vita con le nostre scorte nelle nostre tende.
Clove stava di nuovo bene e aveva ripreso a sorridere. E con lei sorridevo anche io.
Quando al terzo giorno dall’incidente con gli Aghi Inseguitori vedemmo del fumo nero salire dal fitto del bosco, tutto sembrava così strano.
“Chi sarà?” domandò Marvel.
“Qualcuno che non ha paura di farsi vedere” risposi io. Presi la lancia, strumento che non usavo spesso, in genere preferivo la spada. Subito vidi Clove prendere i suoi coltelli. “Vengo con te” mi disse con sguardo deciso.
Avrei voluto dirle di no. Avrei voluto spiegarle che dopo averla vista in fin di vita a causa del veleno anche la sola idea che mettesse un piede fuori dalla radura mi terrorizzava. Ma del resto erano gli ultimi giorni che trascorrevamo insieme prima della fine… Non volevo perdere nemmeno un istante con lei.
Annuii. “Jared!” Il ragazzino del 3 si voltò a guardarmi. “Vieni con noi. Abbiamo bisogno di te.”
Due lance e un set di coltelli si imbarcarono così nel folto della foresta, di corsa, seguiti da un ragazzino che come arma aveva solo un coltello.
Avevamo paura che, chiunque fosse, potesse sfuggirci. E non è una cosa da potersi permettere quando ci si avvicina alla fine. Fin quando eravamo in tanti, dovevamo approfittarne e ammazzarne il più possibile. Ma ormai eravamo troppo pochi per tentare di stanare qualche altro Tributo.
La nostra delusione fu palese quando, una volta arrivati, vedemmo solo dei rami e delle foglie che bruciavano pigramente.
“E’ stata la ragazza del 5” disse Marvel.
“No, è troppo furba. Chiunque sia non è molto lontano” continuò Clove.
Guardai attentamente le tracce sul terreno. Non ero molto bravo a capire tutte quelle cose che sapevano gli altri, ma capii che si trattava di due persone. Una delle due era la ragazzina dell’11: era l’unica rimasta nell’Arena a poter avere piedi piccolissimi come quelli stampati lì attorno.
“Cato, guarda” disse Clove. Mi voltai nella direzione da lei indicata e vidi dell’altro fumo.
Qualcuno si stava prendendo gioco di noi. Ripartii subito, di corsa, e gli altri con me. La rabbia mi dava la spinta necessaria per andare avanti il più veloce possibile. Se prima mi avvicinavo lentamente al primo fuoco, temendo che qualcuno potesse sbucare da un momento all’altro, qui andavo dritto verso la meta.
Chiunque fosse, insieme alla ragazzina dell’11, voleva condurci in un punto preciso, ma quale?
Arrivammo al secondo ammasso di foglie e rami. Bruciava lentamente e non potei far altro che arrabbiarmi ancora di più. Sfoderai un urlo liberatorio che risuonò per tutto il bosco, seguito da il rumore fortissimo di uno scoppio.
Poteva essere accaduta una cosa qualsiasi. Anche dall’altra parte dell’Arena. Tuttavia io ero pienamente consapevole che quel suono angosciante proveniva dal nostro accampamento.
Sempre di corsa, per niente sfiancati, tornammo indietro, giusto in tempo per vedere le nostre scorte fumanti sparse per tutto il terreno.
Niente più cibo o acqua. Niente tende e medicinali. Niente sacchi a pelo o lampade a olio. Niente più armi e coperte. Niente più zaini. Niente di niente.
Due lance, un set di coltelli e un ragazzino con un solo pugnale. Ecco cosa c’era rimasto. “Cosa diavolo hai combinato?!” strillai voltandomi verso Jared, furioso.
“Le nostre cose!” urlava Clove, disperata. Lei e Marvel corsero tra le macerie a cercare i resti di qualcosa.
“Io non c’entro, ero con voi! L’avete visto che ero con voi! Sarà stato qualcuno!” frignava lui.
“E allora perché non sento nessun colpo di cannone?! Dovevi tenerle al sicuro o far morire con loro chi tentava di avvicinarsi!” sbraitai.
“Scusami, Cato! Non sapevo sarebbe andata così!” piangeva a dirotto ormai.
“Nemmeno io lo sapevo” gli dissi con un fil di voce all’orecchio. “Altrimenti ti avrei ammazzato prima.” Presi la sua testa tra le mia mani e la girai.
Un colpo secco, un suono sordo, e il suo corpo si accasciò a terra in un secondo.
Lo guardai a terra, privo di vita, mentre il colpo di cannone rimbombava in cielo e i miei due alleati rimasti si voltavano a guardarmi. Non sapevo se provare pietà o disprezzo per lui.
Così incapace ma anche così vittima di un gioco per lui troppo grande.
Quanti anni aveva? Quattordici? Non gliel’avevo nemmeno chiesto. Perché lì non contava l’età, ma quanto si è bravi a sopravvivere. E lui non lo era per niente.
“Cato” la voce di Clove sembrava triste, e la sua mano quando strinse la mia era così fredda e tremante da farmi paura. “Cosa faremo adesso?”
Il nostro grande gruppo di Favoriti era diminuito velocemente. Da sei a quattro, da quattro a tre. Quanto ancora avremmo potuto durare noi sopravvissuti?
Non potevo concedermi di deprimermi in quel momento. Non dovevo pensare che il destino mio e di Clove era agli sgoccioli, dovevo agire. Lei e Marvel contavano su di me. Ero la loro guida, il loro capo.
Non li avrei delusi.
“Avete trovato qualcosa?” chiesi con finta calma.
Marvel mostrò il bottino: uno zaino bruciacchiato, cinque panini abbrustoliti e una boraccia d’acqua vuota.
“Andiamo nel bosco. Cercheremo un posto dove accamparci” dissi io, prendendo la mano di Clove e incamminandoci tra il folto della piantagione.
Vagammo a lungo, senza trovare un posto completamente riparato. Alla fine accedemmo un fuocherello e facemmo dei turni di guardia per tutta la notte.
Clove sembrava agitata, ma non appena mi avvicinavo a lei per sfiorarle la mano o altro, subito si tranquillizzava.
Anche io ero nervoso, ma tentavo di mantenere la calma.
Non era da me perdere il controllo, non l’avevo mai fatto prima d’allora. Forse perché non avevo nulla da perdere. Ora con la mia stessa vita in gioco e quella della persona che amavo le cose si complicavano.
L’indomani mattina, sentimmo delle urla. Qualcuno stava chiamando il nome di Katniss.
“Sembra la ragazzina dell’11” disse Clove scattando in piedi.
“Potrebbe essere un altro tentativo di portarci dove vogliono loro” risposi io.
“Andiamo a vedere”esordì Marvel.
Avrei dovuto concederglielo? Se ieri Clove fosse rimasta da sola a fare la guardia alle nostre scorte ora probabilmente poteva essere gravemente ferita. I Giochi si erano complicati.
“No” dissi, secco.
“Perché no, Cato? Abbiamo la possibilità di vendicarci per il nostro cibo!” continuò Marvel.
“Non possiamo rischiare di venire attaccati! Se ieri ci hanno portati lontani dalle nostre scorte per distruggerle, ora chi ci dice che non lo stanno facendo per tenderci un agguato?” sbraitai.
“Cosa ti prende? Siamo noi, i Favoriti. Siamo noi quelli di cui gli altri hanno paura. Siamo noi i più forti!” strillò Marvel.
Rimasi qualche istante in silenzio, meditando su cosa dire. “Eravamo i più forti, Marvel. Ora siamo solo dei ragazzi spaventati come tutti gli altri. Glimmer era forte, eppure è morta. Jared era in gamba, e ora non c’è più. Peeta sembrava apposto, e invece ci ha traditi. Nulla è come sembra. E anche se ora sembri invincibile, credi di potercela fare, non hai niente in più di loro.”
“La tua è solo paura!”urlò Marvel. “Vado a uccidere quella stupida ragazzina, e stasera quando tornerò vittorioso potrò sbatterti in faccia la tua codardia!”
Lo vidi allontanarsi, la lancia in mano. Il passo era svelto, di chi ha l’ansia di fare qualcosa.
Torna, torna pure con la tua vittoria, pensai. Io me ne starò qui a godermi un altro giorno con la ragazza che amo, uno dei nostri ultimi giorni insieme, e nessuno potrà portarmelo via.

Buongiorno a tutti! Eccomi tornata con un nuovo capitolo e scusate se vi ho fatto aspettare ma tra scuola e scuola guida non riesco a stare molto tempo a casa. Cosa ne pensate del capitolo? Vi piace? Fatemelo sapere tramite recensioni ^^ Ringrazio veramente di tutto cuore coloro che continuano a leggere la mia storia e ancora di più chi la recensisce dandomi utili consigli su come migliorare! Ringrazio anche chi ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate. Vi adoro *-* a presto per sapere come andrà a finire questa storia che si avvicina alla fine! Ciao :*

 

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Capitolo 17
*** Io e te ***


Capitolo 17 – Io e te
 
Marvel non ritornò più. La cosa non mi stupì per niente. Lo sapevo che era una trappola, lo sapevo che quella stupida ragazzina dell’11 insieme a qualcun altro stava organizzando qualche piano per farci tutti fuori.
E ci stavano riuscendo.
Eravamo rimasti solamente io e Clove, la quale sembrava molto turbata. Seduta vicino al piccolo fuoco che avevamo acceso quella sera, quasi non la riconoscevo: stretta nella sua giacca, con i coltelli in mano e lo sguardo basso.
I Giochi ormai erano diventati pericolosi. Ma se non riuscivano a intimidire più di tanto Marvel o me, che eravamo grandi e forti, ci riuscivano benissimo con Clove.
Quella sera evitai di parlarle. Restammo in silenzio davanti al fuoco a mangiare le nostre ultime provviste. Poi, quando ormai era ora di andare a dormire, le dissi: “Non ha senso organizzare i turni. Spegniamo il fuoco e cerchiamo un posto riparato.”
Lei annuì e poco dopo riuscimmo a trovare un punto in cui la vegetazione era molto fitta. Ci nascondemmo tra gli arbusti, pronti per una notte difficile.
Nel cielo spuntò lo stemma di Capitol City e poi le foto dei caduti. Come previsto vedemmo Marvel, e poi anche la ragazzina dell’11. Aveva pagato con la vita, ma in compenso l’aveva eliminata.
“Cosa faremo domani?” mi domandò Clove.
“Non lo so… Siamo rimasti noi due soltanto. Poi ci sono la ragazza del Distretto 5, il ragazzo dell’11 e quelli del 12.”
Lei rimase in silenzio. “Non provare a morire, altrimenti ti ammazzo” disse con la sua solita aria minacciosa.
Risi. “Come fai ad ammazzarmi se sono già morto?”
“Mi ammazzo anche io e vengo a farti fuori dall’altra parte.”
Avrei potuto ridere anche a questa di battuta, ma sapevo che nel fondo le sue parole non erano solo ironiche: nascondevano l’impossibilità di andare avanti senza me, di vincere quei Giochi, di vivere una vita normale, e la speranza che un giorno ci saremmo rivisti.
“Tranquilla, io non vado da nessuna parte” risposi dandole un bacio sulla tempia. Per evitare di deprimere ancora di più l’ambiente non aggiunsi nulla, ma avrei voluto chiederle di restare con me, sempre.
“Dovremmo sciogliere la nostra alleanza?” mi chiese d’un tratto.
“Aspettiamo ancora un po’. Dobbiamo aspettare almeno di rimanere in cinque.”
Poi ci addormentammo. Ma il nostro sonno fu tormentato da numerosi incubi.

Al mattino le cose sembrarono andare meglio. La voce di Claudius Templesmith risuonò nell’Arena: “Attenzione Tributi. C’è stato un cambio delle regole. Da adesso potranno esserci due vincitori, purché appartenenti alla stesso Distretto.”
Poi disse dell’altro, probabilmente. Ma le mie orecchie ascoltarono solo quello. Mi voltai verso di Clove, con l’intenzione di dire qualcosa, ma lei mi saltò subito addosso, stringendo le sue braccia attorno al mio collo e baciandomi con foga. “Possiamo tornare a casa!” disse raggiante.
“Sì, possiamo farcela. Insieme.”
“Solo io e te” continuò lei con un sorriso malizioso.
Quella notizia fu importante per entrambi, ma soprattutto per Clove. Se a me aveva dato l’energia e la speranza di farcela, a lei aveva dato nuova forza e vitalità.

Le giornate non passarono più in silenzio, ma lei parlava continuamente, pronta a suggerire una nuova strategia o qualche pensiero. Non rimaneva mai ferma: si allenava, andava a cercare dell’acqua o della legna per il fuoco, o qualche cosa da mangiare.
Nel complesso ce la cavammo bene, nonostante le nostre provviste erano sparite. Dal nostro Distretto di tanto in tanto proveniva un piccolo aiuto: Brutus e Enobaria sapevano davvero di cosa avevamo bisogno.
Ma le parti più belle erano le serate che trascorrevamo coricati sull’erba ad osservare il cielo stellato.
“Cosa faremo quando saremo tornati a casa?” mi domandò una sera.
Avrei voluto rispondere che non mi piaceva parlare del futuro, quando ancora non si sapeva se saremmo tornati. Ma non volevo spaventarla. Quell’annuncio le aveva ridato la vita e io avrei fatto di tutto per renderla felice per il resto degli Hunger Games.
“Non so” dissi. “Credo ci saranno dei festeggiamenti.”
“Continueremo a stare insieme?”
La guardai. Il suo viso si colorò leggermente di rosso. “Ovviamente.”
Restammo un po’ in silenzio, abbracciati e nascosti dai soliti cespugli, le orecchie tese, pronte a rilevare qualsiasi movimento. “Ci stanno dando un’opportunità, lo sai?”
“Sì, ma la stanno dando anche a quelli del 12” rispose lei. “Il nostro ostacolo è Katniss, lei e quel suo stupido arco.”
“Troveremo un modo. Da sola non può vincere contro di noi.”
“Be’ se per questo non può vincere nemmeno se si sfidasse contro di me” continuò lei.
Risi. L’amavo troppo, davvero. Chiunque avrebbe potuto prenderla per una spaccona ma solo io riuscivo a capirla. Solo io capivo che la sua era un’ostentata sicurezza costruita dai maestri del Distretto 2 per prepararla agli Hunger Games.
“Cosa c’è? Non pensi che io possa farcela contro di lei?” fece lei, fingendosi arrabbiata.
Sorrisi. “Non è che penso che tu non possa farcela, sono sicuro che ce la farai.” Le diedi un bacio sulla guancia, ma le mi tirò a sé baciandomi sulle labbra.
“Ricordati, lei è mia. A te lascio i ragazzi dell’11 e del 12.”
“Affare fatto” le dissi banciandola ancora.

In quel momento tutto mi sembrava perfetto. Mancava solo vincere gli Hunger Games e poi la mia vita sarebbe stata stupenda: una famiglia, una ragazza splendida, soldi e fama. Forse adesso cominciavo a capire tutto, al perché mio padre insistesse affinché partecipassi a questi Giochi.
Sarei diventato famoso in tutta Panem. Gli altri ragazzi del mio Distretto mi avrebbero rispettato ancora di più di quello che già facevano. Sarei diventato il migliore.
Già mi vedevo di ritorno verso casa, la mia mano stretta in quella di Clove. Vedevo già il suo sorriso splendere raggiante alla vista dei suoi genitori orgogliosi. E ci vedevo insieme, un domani, in una grande casa con dei bambini. Sarebbero stati i più belli di tutti.

Quando annunciarono che ci sarebbe stato un festino alla Cornucopia, potei sentire l’adrenalina invadermi il corpo.
Ci sarebbero stati altri morti, sicuramente. Dovevamo solo riuscire a essere noi a non rimanere feriti.
“Okay, andiamo insieme e aspettiamo sul limitare della radura. Il primo che si avvicina per prendere il pacco lo facciamo fuori” progettai.
“Tranne se si tratta della ragazza del 5. Non è pericolosa. E’ meglio liberarsi degli altri” intervenne Clove.
“Va bene. Io vado avanti e tu mi guardi le spalle.”
“No, arriverà prima Katniss di tutti. Devo fronteggiarla io. E tu nel frattempo cercherai di trovare Thresh o Peeta.”
Sentii un brivido lungo la schiena. Era ritornata la stessa paura che avevo dopo averla vista in fin di vita per il veleno degli Aghi Inseguitori. Ma non potevo proteggerla, non più. Dovevo accettare il fatto che lei era forte e poteva farcela. Sarei stato più utile se avessi ucciso Thresh o Peeta.
“Devi promettermi che se ci sarà qualche pericolo però verrai via subito.”
“Promesso” disse lei con un bellissimo sorriso.
“Chiamami se mai avessi bisogno di un aiuto” le dissi.
“Cato, so cavarmela da sola” rispose lei.
La guardai a lungo. Era così bella, così perfetta. “Scusami. Ho solo paura che ti faccia male.”
Le mi baciò. “Tranquillo, non mi accadrà niente. Fin quando saremo insieme nulla potrà mai farci del male e dividerci. Capito? Basta che rimaniamo insieme, io e te.”
“Io e te” ripetei a bassa voce, baciandola ancora.
Come previsto, a mezzogiorno eravamo sul limitare della radura, pronti a intervenire. La prima a uscire allo scoperto fu Faccia di Volpe. Poi vedemmo Katniss sbucare da un cespuglio.
“Vai a vedere nella zona da cui è uscita se c’è Peeta” disse Clove. Poi mi baciò. “Ci vediamo dopo.”
“A dopo” dissi prendendo la lancia e dirigendomi nella direzione prefissata.

Avevo paura. Paura che potesse accadere qualcosa a me, o a lei. Ma rividi nella mia testa la determinazione di Clove e pensai che nulla avrebbe potuto andare storto.
Cercai al lungo il ragazzo del 12. Ma senza trovarne un sola traccia. Avevo setacciato tutta l’area circostante. Non era con Katniss, allora.
Come mai la ragazza era sola? Non si era alleata con il suo compagno? Oppure non lo aveva trovato? Forse il mio colpo lo aveva indebolito troppo per muoversi.
Ero intento a pensare cosa era successo al ragazzo e a ritornare verso il punto in cui avevo salutato Clove quando la sentii urlare. “Cato!”
Sentii un tuffo al cuore. Allora qualcosa non andava. “Clove!” urlai con quanto fiato avevo in gola.
“Cato!”
Le sue grida erano sempre più forti a disperate. “Clove!” continuai a urlare.
La paura stava prendendo il controllo di me, correvo il più veloce possibile, pronto a salvarla e uccidere chiunque stesse tentando di farle del male.

Ma niente di quello a cui pensavo si avvicinava anche solo lontanamente alla realtà dei fatti.


Buongiorno a tutti! Eccoci qui, quasi alla fine. Ringrazio infinitamente chi ha letto la storia e chi l'ha inserita tra le preferite/ricordate/seguite. Un grazie speciale va a chi recensisce i miei capitoli, dandomi la voglia di andare avanti e continuare a scrivere il prima possibile. Fatemi sapere se questo capitolo vi piace. A presto ^^

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Capitolo 18
*** La solitudine ***


Capitolo 18 – La solitudine
 
Il mio cuore batteva all’impazzata, le mie gambe scattavano verso la metà e i miei occhi cercavano disperatamente Clove.
Quando arrivai nella radura la vidi, a terra, vicino la Cornucopia. Dall’altro lato Thresh stava ritornando nel campo in cui si nascondeva dall’inizio dei Giochi. Corsi verso di lei urlando come un disperato. Notai subito l’ammaccatura irregolare sulla sua tempia e poco più in là vidi il sasso che avevano utilizzato per farle del male.
Era stesa a terra, gli occhi sbarrati e privi di lucidità, la bocca socchiusa. Poggiai la lancia a terra e presi delicatamente il suo capo, poggiandolo sulle mie ginocchia. “Clove! Clove, rispondimi! Ti prego, non andare via. Ti prego, resta con me!”
Iniziai a tremare tutto, senza volerlo. Respirava ancora flebilmente, ma mi era ben chiaro che non aveva possibilità di sopravvivere.

Urlai. Forte, con tutto il fiato che avevo. Con tutta la rabbia che conoscevo.
Era mia, lei era solo mia e adesso me l’avevano portata via. Non ci sarebbe stato più un futuro per noi due e nemmeno un ritorno a casa. Avevo promesso di proteggerla e non ci ero riuscito.
Iniziai a piangere senza ritegno, senza onore. Non mi importava più di mantenere l’autocontrollo o di mostrarmi forte davanti agli altri, non mi importava più di niente.

L’unica cosa che nella mia vita aveva portato vera gioia era lei e adesso stava morendo tra le mie braccia. La strinsi forte, come per fare in modo che quel poco di vita che le rimaneva non scivolasse via dal suo corpo, ma poco dopo un colpo di cannone mi fece capire che se n’era andata per sempre.
Continuando a piangere la feci stendere per terra e le controllai il respiro, il battito. Niente.
Eppure non volevo arrendermi, non volevo accettare questa fine. Controllai ancora, diverse volte. “Clove…” singhiozzai d’un tratto.
Lei, ancora distesa, immobile, mi guardava con occhi vuoti. Glieli chiusi delicatamente e poi le baciai la fronte.
Dovevo lasciarla andare, allontanarmi affinché un hovercraft la portasse via, ma non ci riuscivo. Rimasi per un bel po’ accanto a lei, accarezzandola, intrecciando le mie dita nei suoi capelli e bagnando i suoi abiti con le mie lacrime.

Quando mi decisi a lasciare andare le sciolsi i capelli, coprendo la sua ferita mortale. La baciai ancora e mi allontanai, guardando l’hovercraft portarla via.
Non appena il mio amore scomparve via nel cielo, sentii come un pugno nello stomaco. Ripresi a urlare e piangere, dando calci e pugni contro gli alberi e conficcando con la lancia qualunque pianta mi capitasse sotto tiro.
Dal mio Distretto sicuramente stavano pensando che fossi uno smidollato, ma non m’importava.
Al diavolo tutto! Non smetterò di piangere perché loro dicono che non devo farlo e non smetterò di urlare, anche se gli altri Tributi dovessero trovarmi.
Non mi riconoscevo più. Non la smettevo di piangere, di urlare e di pensare a lei.
Che ne sarebbe stato di me? La risposta mi arrivò quella sera, quando, mentre ero seduto da solo vicino al fuoco, arrivò un piccolo paracadute argentato con un solo pezzo di pane.
Da casa non provavano più a farmi vincere, nemmeno ci speravano. Non ero più uno dei possibili vincitori, ma fin quando sarei rimasto in quella stupida Arena, avrei fatto di tutto per vendicare Clove.

Quella notte fu la più brutta. Mi svegliavo continuamente, in preda agli incubi, e riaddormentarmi era difficile: circondato dal nulla mi sentivo solo più che mai.
Tutti mi avevano abbandonato; nessuno più avrebbe combattuto al mio fianco.

Pensai a Clove, a quanto fosse bella. Ai suoi sorrisi, alle sue lacrime. A quanto fosse forte e debole allo stesso tempo. Era la ragazza migliore del mondo, e queste cose non dovrebbero succedere alle belle persone, no?

Pensai ai suoi genitori, privati delle loro figlie da uno stupido programma televisivo. Capivo adesso il loro dolore, il dolore della perdita, e sperai che almeno loro riuscissero a comprendere quanto quella ragazza contava per me.

Pensai ai miei fratelli: al piccolo Mat sicuramente da questo momento non faranno vedere la televisione, ma poco importa perché andrà da qualche amico a farlo, giusto in tempo per vedere la mia sconfitta; Arnold, invece, da ora fino alla fine rimarrà sicuramente chiuso in camera sua, senza parlare.

Pensai a mia madre. Sicuramente starà litigando con mio padre, accusandolo di avermi invogliato troppo a partecipare a questo gioco. E poi si chiuderà in camera, pregando affinché io mi salvi, anche se le probabilità non sono più in mio favore.

Pensai a mio padre, il quale rimarrà fino alla fine dei Giochi chiuso in casa. Ma non per il dolore, non per la consapevolezza che a suo figlio aspetta la morte, ma per la vergogna. Voleva che vincessi, ha fatto di tutto affinché fosse possibile. E io l’ho deluso. Ma non m’importava, lui e quegli stupidi di Capitol City potevano dire e pensare quello che volevano, perché avevo capito la verità.

Gli Hunger Games non rappresentavano la possibilità di farci arricchire e diventare famosi, come ci inducevano a pensare, ma solo un modo per toglierci di mezzo più facilmente.
Tutti lo sapevano, ma nessuno voleva ammetterlo. Nessuno nel mio Distretto sarebbe stato così umile da confessare che c’era qualcuno di più potente che ci manovrava a suo piacere. Troppo orgoglio.

Ormai però non aveva più importanza. Ormai niente era fondamentale. Da ora in poi avrei giocato solo per vendicare la mia Clove, il resto non aveva importanza.
Il mio pensiero fisso era lei, in tutto il suo splendore e negli ultimi attimi della sua sofferenza. Doveva esistere per forza dopo questo mondo un altro, più bello, dove andavano le persone come lei, dove nessuno più le farà del male.

La notte trascorse così, delirando e pensando a tutto e a tutti. Al mattino iniziò a piovere, una pioggia fitta che impediva di vedere oltre i cinque metri di distanza.
Presi la mia lancia e mi incamminai verso il campo, cercando la mia vendetta. Sentivo ancora il cuore a pezzi, un nodo alla gola e una fitta allo stomaco, ma dovevo andare. Dovevo uccidere subito Thresh per evitare che fosse qualcun altro a farlo.
Era stato sicuramente lui a ucciderla. La ragazza del 5 era già andata via, Katniss non aveva abbastanza forza e di Peeta non c’era traccia. Era stato lui, me lo sentivo. Lui con la sua forza bruta me l’aveva portata via.

Ed ora pagherà per quello che ha fatto. Il giorno del giudizio, per Thresh, il ragazzo grande e grosso del Distretto 11, era arrivato.


Buongiorno a tutti! Scusate per il ritardo ma sono stata molto impegnata! Forse è un po' breve, ma è il meglio che ho potuto fare dato il poco tempo a disposizione. Fatemi sapere cosa ne pensate. A presto ^^

 

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Capitolo 19
*** Vendetta ***


Capitolo 19 – Vendetta
 
Avrei voluto dire che la morte di Thresh fosse stata solo un incidente, una cosa dettata dall’istinto di sopravvivenza, come quella degli altri Tributi. Ma non era così.
La sua morte era voluta, quella più attesa. La bramavo dall’istante in cui realizzai che mi aveva portato via la mia Clove.

Avanzavo sotto il temporale senza la minima paura o esitazione; brandivo la mia lancia con sicurezza e scrutavo il paesaggio attraverso la pioggia.
Thresh era un po’ più grosso di me, ma non era altrettanto abile con le armi e in più non ne aveva una; questo temporale andava a svantaggio di entrambi, ma in più lui conosceva il luogo dove avremmo combattuto.
Il gruppo dei Favoriti ed io non avevamo mai messo piede in quel campo: era il suo territorio, un posto strano e per niente sicuro, con pochi posti dove nascondersi.
Non avevo mai pensato, dall’inizio dei Giochi, di dover stanare Tresh. Credevo che sarebbe morto per qualche ibrido o che alla fine gli Strateghi ci avrebbero fatti incontrare al centro dell’Arena.

Potevo vincere contro di lui, potevo annientarlo, e ottenere la vendetta.

Pensai che alla fine non era giusto, che anche lui era solo una pedina in questo gioco; pensai che forse Clove non avrebbe voluto che rischiassi la vita per una cosa del genere, ma lo dovevo a lei: sapevo di non avere scampo, che le mie probabilità di uscire vivo da lì erano minime. Quindi, se dovevo morire in quel posto, avrei voluto farlo dopo di lui.

Il cielo era talmente scuro che sembrava quasi notte, ma nonostante tutto riuscii a scorgere una figura muoversi furtiva tra l’erba alta.
Cercando di essere il più silenzioso possibile, feci un giro largo, in modo da poter bloccargli la strada.
Probabilmente mi aveva visto, dato che continuava a guardarsi attorno furtivamente, ma quel temporale era dalla mia parte e mi aiutò a nascondermi.
Attesi pazientemente, acquattato il più possibile dietro un cespuglio, poi, quando fu a solo un metro di distanza da me, gli saltai addosso con un urlo furioso.
Rotolammo a terra e la mia lancia si ruppe, anche se riuscii a conservare la metà superiore. Brandendo quest’ultima iniziai a colpirlo alla cieca, cercando di tenerlo fermo a terra con il peso del mio corpo.
Riuscì a liberarsi e tentò la fuga, ma lo colpii con la punta direttamente al centro del polpaccio. Sentii il suo urlo di dolore e capii che la lama era penetrata fino a toccare l’osso.
Cadde a terra e io in un istante gli fui addosso. Iniziai a colpirlo con i pugni più forti che riuscivo a dargli, mentre urlavo con tutta la rabbia che avevo in corpo.
Rimanemmo così a lungo, lui a terra, incapace di muoversi e io su di lui che colpivo senza fermarmi. Quando mi fermai, era più che intontito. Ripresi quel che restava della mia lancia e gliela portai alla gola. “Sei morto, lo sai?” gridai con rabbia.
Sapevo che probabilmente in quel momento potevo sembrare un pazzo psicopatico, ma poco importava.
Lui mi guardò con fare assassino ma rimase in silenzio. Perciò continuai: “Sono venuto fin qui proprio per te, per vederti soffrire!” Mi fermai qualche istante per riprendere aria, poi continuai: “E’ tutto per Clove, capisci? L’hai uccisa!”
“Non volevo ucciderla! Me ne sarei andato senza fare niente ma lei ha ucciso Rue!” strillò lui con rabbia.
In quell’istante capii che forse era stato tutto un malinteso. Avrei dovuto forse perdonarlo? Infondo aveva capito male. Ma non potevo perdonare un omicidio, non quando si trattava dell’unica persona che sapeva rendermi felice. “Mi dispiace, ma non è stata lei. Ti sei sbagliato, è stato il ragazzo dell’1 a ucciderla. Ed ora pagherai per il tuo errore” sibilai con odio.
Continuai a premere la lancia, sempre più forte, finché non vidi spuntare un rivolo di sangue sulla sua gola, subito lavato via dalla pioggia. Thresh provò a replicare, ma io non lo stavo ascoltando.
Stavo solo cercando di concentrarmi sul quel momento, l’ultimo della mia vita che avrebbe avuto qualcosa a che fare con Clove.
Guardai le sue mani e  le immaginai mentre colpivano la mia compagna di Distretto senza alcuna pietà, senza nemmeno sapere cosa fosse accaduto.
Io e lui non eravamo molto diversi. Entrambi avevamo voluto la vendetta nei confronti di chi avevamo amato, ma io non stavo sbagliando persona. Io non stavo uccidendo il primo sospettato.
Io stavo uccidendo il colpevole.
“Hai paura?” gli sussurrai all’orecchio con fare sadico. “Temi la morte?”
Thresh prese ad agitarsi, in un ultimo disperato tentativo di rimanere in vita. Ma il suo corpo era troppo debole e la mia rabbia mi dava una forza incontrollabile. Non aveva possibilità di salvarsi.
Fissai i suoi occhi scuri un’ultima volta, assaporandone il terrore. Vidi le sue labbra formare una parola, il cui suono venne occultato da un tuono. Aveva forse detto scusa? Era stata forse questa la sua ultima parola?
Non esitai un solo istante e affondai la punta della lancia, perforandogli la gola e rompendo l’osso del collo.
Il suo sangue sgorgò copiosamente, riversandosi sulle mie mani e sui miei vestiti. Il suo copro si contrasse in un ultimo spasmo, i suoi occhi si spalancarono per l’ultima volta e poi…

Era morto.

Restai qualche istante fermo sopra di lui, attendendo i colpo di cannone che fu appena percettibile a causa della pioggia forte.
Estrassi la lancia e la gettai lontano. Osservai le mie mani sporche e il corpo del mio avversario, poi scoppiai a piangere.
Era un pianto liberatorio, per scacciare via tutta la tristezza e il dolore che avevo in corpo. Ma questo genere di dolore non passa.
Non smetti mai di stare male per una persona che non c’è più, soprattutto se per te era molto importante.
E in quel momento mi sentii un mostro, per aver privato altre persone di qualcuno a cui volevano molto bene. Ma lo avevo fatto per rimanere in vita e per la mia Clove, lo capivano questo, vero?
Tutti, in tutti i Distretti, sapevano che ero solo un ragazzo alla fine, giusto?
No, non lo sapevano. Così come non sapevano che dentro Enobaria e Brutus c’era un’anima. Loro vedevano solo l’aspetto esteriore, non immaginavano cosa significhi uccidere qualcuno per non essere ucciso.
"Loro non sanno niente.
Loro non capiscono.
Loro non sono Tributi.
Loro non hanno perso il loro amore.
Loro non possono giudicarmi" sussurrai tra i singhiozzi del pianto.


Salve! Eccomi un un nuovo capitolo, spero vi piaccia. Fatemi sapere cosa ne pensate, le vostre recensioni sono molto importanti per me :) ho dato il meglio di me per cercare di immedesimarmi in un ragazzo di sedici anni che ha visto morire la ragazza che amava e che ha capito (aggiungerei un finalmente) cosa sono davvero gli Hunger Games e che ruolo ha avuto lui. Pensate che il risultato sia accettabile? Fatemi sapere :) a presto!
 
 

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Capitolo 20
*** Cato ***


Capitolo 20 – Cato
 
Dalla morte di Thresh i Giochi presero una piega strana per me: non avevo un nascondiglio, non avevo cibo, non avevo nessuno.

Il temporale continuò per i giorni seguenti che non seppi contare data l’assenza del sole. Vagavo per l’Arena in cerca di non so cosa, smarrito, disperato. La pioggia mi fiaccava violentemente, ma non riuscivo a trovare un posto davvero sicuro dove ripararmi.
Rimanevo sempre nei paraggi del lago, per avere una fonte d’acqua sicura, ma il cibo scarseggiava. Dal mio Distretto non arrivavano più paracadute, nemmeno per premiarmi per aver ucciso un altro Tributo, per aver portato altra gloria. Ero stato dimenticato, ero un morto che camminava. Senza cibo stavo perdendo le forze, non so quanto ancora avrei potuto resistere mangiando i piccoli e insipidi frutti che di tanto in tanto trovavo.

Ad un certo punto riuscii a scorgere la ragazza del 5 che mi seguiva. Era spaventata e anche lei aveva l’aria affamata. Probabilmente durante la maggior parte dei Giochi aveva seguito noi Favoriti approfittandone per prendere un po’ di cibo, ma ora che anche io morivo di fame lei non sapeva cosa fare.
Ero troppo stanco per rincorrerla e cercare di ammazzarla. Ricordavo che era abbastanza veloce e furba da potermi fregare dato che non ero nelle condizioni migliori.
Data la situazione, però, se ne andò.

Quando finalmente la pioggia svanì, rimasi a lungo nella radura per asciugarmi.
Mentre mi crogiolavo al sole, cercai di ricordare da quanto tempo non parlavo con qualcuno, ma avevo perso il conto. Non sapevo nemmeno più da quanto tempo Clove era morta. Non sapevo e capivo più nulla.
Una volta asciutto mi dedicai alla caccia. Riuscii a guadagnarmi del cibo che mi sarebbe bastato a lungo e, contento, mi sedetti sul limitare della radura a mangiare.
Era pomeriggio quando sentii un colpo di cannone e sobbalzai.
Cos’era successo?
Aspettai con ansia la sera per vedere di chi fosse il cadavere che un hovercraft aveva portato via dal folto del bosco.
Apparve lo stemma di Capitol City e il viso della ragazza del 5.
Ora eravamo solo in tre, ed io non avevo davvero speranze.

Katniss e Peeta erano troppi per me, nonostante l’armatura che avevo ricevuto dal mio Distretto, che fino ad ora era stata per me completamente inutile.
Non volevo morire. Avevo paura, una tremenda paura.
Mi rintanai nella foresta per sfuggire al mio destino, sperando che ciò potesse ritardare le cose, ma mi sbagliavo.
La giornata trascorse all’insegna dell’agonia, del dolore e della paura. Sapevo il destino che mi attendeva quale fosse, e non c’era nulla che avrebbe potuto cambiarlo.
Dal momento in cui Clove era morta, lo ero diventato anche io. Da solo non avrei potuto vincere contro gli sventurati amanti del Distretto 12, e nessuno degli altri due Tributi allora in vita avrebbe fatto un’alleanza con me.
Ero condannato, come Jared e come tutti gli altri Tributi inesperti che si erano ritrovati qui.
Ero diventato io adesso quello che pregava per una morte indolore e rapida, e loro l’assassino che mi dava la caccia e che voleva la mia morte.
Quando il sole iniziò a tramontare pensai che forse ce l’avevo fatta a sfuggire al fato per un’ultima notte, che abbastanza lontano dal centro dell’arena non mi sarebbe successo niente, al sicuro tra gli alberi.

Ma se gli Strateghi volevano che accadesse qualcosa, avrebbero trovato un modo.

Così liberarono gli ibridi. Mostri dalle sembianze di cane-lupo troppo cresciuto. Era una dozzina forse e sbucarono dal nullo
Solo e disarmato non potei far altro che iniziare correre, ma era chiaro che erano loro a guidarmi: non appena cercavo di deviare di lato, me ne ritrovavo uno accanto che mi costringeva ad andare dritto.
Avevo i polmoni in fiamme quando sbucai nella radura.
Le gambe mi facevano male e mi mancava l’aria.
Immaginavo quante scommesse ci fossero state nell’ultimi venti minuti, chi credeva che mi avrebbero preso e chi no.
Accanto al lago c’erano i ragazzi del 12. Katniss mi puntò una freccia al petto, senza successo, ed io, troppo impegnato a scappare, passai in fretta tra di loro senza degnarli di uno sguardo. Corsi alla Cornucopia, pronto ad arrampicarmi per la sopravvivenza.
I due mi seguirono a rotta di collo non appena videro gli ibridi.
Riuscii a salire agevolmente, grazie al mio vantaggio. Loro invece se la videro brutta e la loro lotta con gli ibridi durò un bel po’.
Mi bastò, però, per riprendere fiato. Non appena riuscii a rimettermi in piedi, in un ultimo disperato tentativo di vivere, catturai Peeta in una mia morsa letale, soffocandolo quasi con il mio braccio.
Era troppo debole e ferito per reagire, ma Katniss mi puntò prontamente l’arco alla testa.
“Se muoio io, lui morirà con me” bisbigliai con rabbia.
Io non avevo più la mia Clove, lei non avrebbe avuto più il suo ragazzo.
I conti così sarebbero stati pari, no?
Volevo che lei comprendesse cosa significava vedere la persona che amavi morire senza poter fare nulla.
La mia presa sulla gola del ragazzo diventava sempre più forte, ma ero talmente immerso nei miei pensieri, talmente intento a progettare la mia vendetta, che mi accorsi troppo tardi del gesto di Peeta: aveva indicato a Katniss la mia mano e lei mi scaraventò una freccia lì.
In preda al dolore lasciai andare la presa e i due approfittarono dell’istante per scaraventarmi giù.
La caduta mi mozzò il fiato, quasi non riuscivo a respirare. Probabilmente mi si era rotto una costola.
Ma cosa importava della costola ora che più di una dozzina di ibridi si avventava sul mio corpo con fare famelico?
Urlai, a lungo, cercando di liberarmi, e all’inizio ci stavo quasi riuscendo. Riuscivo ad aprirmi un varco tra di loro, a vedere il luccichio della Cornucopia d’orata sotto i raggi di luna, ma poi smisi di lottare.
Lo feci perché ero troppo stanco, lo feci perché non mi andava più di vivere.
Non avevo più motivo di tentare di rimanere in vita: ero troppo debole per vincere, la lotta avrebbe solo prolungato la mia agonia, e poi non c’era un futuro per me al Distretto 2, perché senza la mia Clove non sarei andato avanti.
Pregai in silenzio per mia madre, che avrebbe pianto a lungo la mia morte, e per i miei fratelli. Sperai con tutto me stesso che la mia morte avrebbe convinto mio padre a non far seguire lo stesso percorso al mio piccolo fratellino Mat.
Io ero la prova che la forza non è tutto, che negli Hunger Games serve l’astuzia, l’intelligenza ma soprattutto la fortuna.
Ma la fortuna quest’anno non era stata a favore del Distretto 2.
E nemmeno dalla mia, dato che avevo perso tutto e adesso mi stavano privando anche della mia vita.
Pensavo a Clove, mi aggrappai al pensiero del suo sorriso splendente per non piangere e non supplicare aiuto. Ma ciò non mi impedì di urlare dal dolore, di urlare con tutto il fiato che avevo per la carne che mi veniva staccata lentamente dagli arti e dal volto. I miei organi vitali erano al sicuro e questo ritardava la mia morte, che si fece attendere tutta la notte.
Il sole stava sorgendo e il dolore non accennava a finire. Volevo morire, non volevo sentire più quel dolore.
Vidi Katniss guardarmi dall’alto della Cornucopia, l’arco ancora in mano. Cercai di dirle “per favore, uccidimi” ma ne uscì solo un flebile sussurrò.
Lei dovette capire. Incoccò una freccia, la puntò al mio volto e tese la corda dell’arco. La lasciò poi andare e, tra la bava degli ibridi e il mio sangue, vidi la freccia venire verso di me e in un solo istante era tutto finito.

Per sempre.







Ed eccoci alla fine di questa storia. Mi è piaciuto molto condividere con voi quelli che secondo me sono stati gli Hunger Games di Cato. Spero di non aver deluso le vostre aspettative ma soprattutto di avervi coinvolto. Insomma, io li adoro e mi è piaciuto scrivere su di loro, anche se ammetto che avrei potuto fare molto di meglio. Ma alla fine si tratta solo di una ff scritta per passare il tempo e condividere qualcosa con voi ^^ fatemi sapere cosa ne pensate.
Alla prossima e possa la fortuna essere sempre a vostro favore! :*

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