La figlia che non ho mai avuto

di Crona Lunatica
(/viewuser.php?uid=541053)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'incontro ***
Capitolo 2: *** Edda; ***
Capitolo 3: *** Edda e Francesco ***



Capitolo 1
*** L'incontro ***


 Tutto tace. L’unica fonte di luce sono le candele ai piedi delle nicchie di Gesù e Maria, che nella loro perfetta letizia osservano l’ambiente avvolto nella penombra. Un leggero scricchiolio seguito da un tintinnio metallico e dal rumore di una porta che si chiude in tutta fretta distruggono per un istante il religioso silenzio in cui è immersa la chiesa. La luce bluastra che filtra dalle vetrate colorate illumina una donna anziana che avanza verso l’ingresso principale della chiesa per poi inginocchiarsi nell’ultimo banco e mormorare qualche preghiera; è un freddo pomeriggio di novembre, e il sole è tramontato da qualche ora. Uscendo dal confessionale, il parroco non nota che l’anziana donna è ancora là, e non se ne accorge neppure quando, controllando la cassetta delle offerte, si rende conto che è stata scassinata e corre fuori dall’edificio per chiamare il sagrestano. La signora non batte ciglio. Con lo sguardo annebbiato dei suoi stanchi occhi esce e si dirige verso il parco pubblico, oltre la strada dirimpetto alla chiesa. Laggiù, l’altalena solitamente vuota e mossa dal vento, è occupata da una figura umana. La figura di una ragazza, la quale infila la mano in una tasca e prende un fazzoletto appallottolato. Ha lunghi capelli neri e ondulati che le incorniciano il viso dalla carnagione olivastra e ricadono sulle spalle, siede stretta in un poncho di lana blu scuro contando il qualcosa custodito nel fazzoletto nel palmo della mano arrossata. Tra le dita intravede le scarpe nere e consunte sotto i jeans troppo grandi e strappati. Alla fine della conta stringe il pugno, e sospira.
<< Don Erasmo è preoccupato, dovresti riportarli a lui >> dice una voce alle sue spalle.
Lei si volta, spaventata. I grandi occhi marroni paiono quelli di un cerbiatto impaurito sorpreso dal cacciatore.
<< Cosa? >> mormora dopo un attimo di sorpresa.
<< I soldi delle offerte >> continua la vecchia con voce pacata <>.
Il viso della ragazza arrossisce, lei chiude gli occhi un istante.
<< Non capisco, di cosa stia parlando, anzi, se non le dispiace ora dovrei tornare a… >> la voce le viene meno. La donna sorride con le labbra piccole e rosee sul viso pallido solcato da molte rughe e contornato da riccioli grigi striati di nero << Certo, scusami. Allora mi faresti una cortesia? Ho dimenticato gli occhiali, e temo di sbagliare strada, mi accompagneresti? >>
<< S-sì, non è un problema >> mormora la ragazza infilando la mano in tasca. Le due si incamminano senza dire una parola, la donna si tiene appoggiata alla ragazza con la mano gelida e bianca e, quando la guarda in volto, questa distoglie immediatamente lo sguardo, scossa dai brividi provocati da quel contatto.
<< Cosa c’è? >> le chiede la donna << Sei impallidita all’improvviso, ti senti poco bene? >>
<< Non è niente >> balbetta lei.
<< Sarai anche giovane, ma non puoi andare in giro solo con quel poncho addosso >>. La ragazza trasale. In effetti non porta altro che il poncho e una maglietta. << Hai l’aria di essere sola, non c’è nessuno a casa vero? >> << I miei genitori…faranno tardi oggi >> risponde la ragazza. << Bene, allora vieni. Quella è casa mia >>.
La signora indica una casa gialla e bassa, costruita su due piani, la porta d’ingresso con un vetro riparato con il nastro adesivo da’ direttamente sulla strada. Con cenno del capo la invita ad entrare in un piccolo salotto. I mobili sono coperti da lenzuola polverose e una porta da’ su una cucina con un tavolo rotondo, due sedie e una stufa spenta; la signora la invita a sedersi su di una poltrona dall’alto schienale.
<< Mi dispiace non poterti offrire nulla, ma non ho niente in casa >>.
La ragazza si guarda intorno muovendo le pupille a destra e a sinistra, da una parete all’altra, facendo passare lo sguardo dal centro tavola di pizzo strappato, al lampadario coperto di ragnatele. << Che sbadata, non mi sono presentata. Sono Edda, e tu? >> chiede l’anziana signora.
<< Mi chiamo Esmeralda >>. Edda inforca un paio di occhiali a fondo di bottiglia con le lenti crepate.
<< Santo Cielo! >> esclama << Non mi ero accorta di quanto fossi magra; questa gioventù! Voi ragazze volete a tutti i costi diventare magre come delle modelle>>. Esmeralda accenna ad un sorriso tirato. Entrambe si fissano per un lungo momento finché la ragazza non rompe il silenzio << Posso sapere perché mi ha fatta venire qui? >>
<< Come? >>
<< Perché mi ha portata a casa sua, sa benissimo chi sono. Tutti qui sanno chi sono, e non mi ospiterebbero mai in casa, specie dopo quello che ho fatto, e se il suo è un tentativo per portarmi in una comunità, non si scomodi, me la cavo benissimo da sola >>
La donna sospira << Non voglio farti una predica, voglio solo parlare con qualcuno >>
<< E perché proprio con me? Non ha una famiglia sua? >>
<< Sono troppo lontani per me e non mi piace la compagnia delle chiromanti >>.
Gli occhi di Esmeralda assumono un’espressione triste << Oh, mi dispiace >>.
Edda sorride << Quando avevo la tua età non pensavo che tutto sarebbe finito, o che la mia vita potesse cambiare. Immaginavo di crescere, incontrare l’uomo della mia vita e loro sarebbero sempre stati accanto a me. Ma le cose succedono, sempre >>.
La ragazza piegò la testa di lato, e osservò la donna con un punto interrogativo negli occhi. 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Edda; ***


Questo è il secondo capitolo. Mi raccomando commentate e fatemi sapere cosa ne pensate!
Buona Lettura!



<< Era il 1944, i miei genitori avevano una fattoria a circa un chilometro da qui e ogni giorno mio padre e mio zio facevano pascolare le bestie sui terreni di Mondarone. Mio padre era un contadino e io l’ultima dei suoi quattro figli. Erano tempi duri, ma la Guerra diede il colpo di grazia. Mio padre aveva un bellissimo cavallo da tiro, Perla, il suo manto era nero e aveva una macchia bianca sulla fronte; quanto si divertiva mio fratello maggiore a cavalcarla alla maniera degli indiani, tenendosi per la criniera! Era il nostro cavallo da tiro, requisito per contribuire alla formazione dell'Impero italico senza che noi potessimo muovere un dito. Tutti i cavalli venivano requisiti, ingoiati a loro volta dalla piaga della guerra. Anche i miei fratelli e mio zio partirono. Mio padre era vecchio per la guerra, ma la leva obbligatoria aveva costretto i giovani a lasciare le loro case, per un ideale astratto che probabilmente nemmeno capivano, loro, figli della terra, abituati a sudare su di essa per trarne i frutti dalla polvere…partiti per un destino ignoto che li avrebbe portati lontano… ci rimaneva solo la speranza e il dubbio di non rivederli mai più. Passavo le mie giornate aiutando i miei genitori nei campi o lavorando come lavandaia. Le mie mani erano rosse e piene di calli, come le tue ora, e quello che guadagnavo andava ai miei genitori. Speravo di raccogliere abbastanza soldi per sposarmi, un giorno, finita la guerra, oppure studiare. Volevo diventare insegnante, ma la Guerra non miete solo vittime, anche sogni.
Tutto era nero intorno a noi, e la gente diffidente. Nei boschi si nascondevano i partigiani, soldati disertori, uomini che volevano contribuire all’avanzata delle truppe alleate. In molti li aiutavano, ma altrettanti li odiavano; a Bione, il parroco proteggeva i partigiani, e più di un volta era stato per loro una salvezza. Io invece mi aggregai ad un gruppo partigiano in seguito ad un episodio singolare. Stavo facendo il bucato, la schiena a pezzi dopo avere mantenuto quella posizione massacrante per ore. >>
Ad un tratto udii un latrato e il rimbombo di passi concitati sul terreno; alzai il capo, incuriosita, e vidi un uomo avanzare zoppicando verso di me. Compresi subito chi fosse.
Uno sguardo di supplica da parte sua fu più che sufficiente per farmi intendere che fosse un partigiano.
 << Vieni con me >> sibilai afferrandolo per un braccio e conducendolo verso un capanno, non lontano, ma lui, senza esitare, si gettò nel mucchio di escrementi bovini lì accanto, nascondendosi alla perfezione.
Tornai immediatamente al torrente, in tempo per vedere arrivare una pattuglia tedesca, vestiti di nero, con i loro orribili cani, più feroci forse di loro stessi.
<> esclamò quello che sembrava il comandante << Visto fuggitivo? >>.
Annuii con decisione, poi indicai la strada per Bione << Di là >> dissi. L’uomo mi fissò dritto negli occhi, per capire se mentivo, ma io sostenni il suo sguardo; non avevo paura in quel momento, tutti i miei muscoli erano tesi e un solo pensiero in testa “Non tradire alcuna emozione” mentre quello sguardo tagliente di superiorità mi scrutava trapassandomi da parte a parte.
Il soldato sputò a terra, poi la pattuglia si allontanò, e io ripresi a respirare. << Puoi uscire >> dissi.
Il partigiano uscì dal mucchio puzzolente, i cani non lo avevano fiutato per questo, e mi si avvicinò. Aveva occhi azzurri, come il cielo prima di un temporale, il viso era imbrattato di fango, ed era ricoperto di sudiciume da capo a piedi, ma non doveva avere più di vent’anni.
<< Grazie >> mormorò, poi fece per andarsene.
<< Darai un po’ nell’occhio se vai in giro così >> replicai.
Lui guardò i suoi vestiti, poi posò lo sguardo su di me e sorrise << Hai ragione >> c’era qualcosa di strano nel suo sorriso. Era…vero, autentico. Non un sorriso di rammarico, o triste, e neppure di scherno come quello dei militari, che spesso ci guardavano dall’alto in basso facendo battute. << Perché non ti fermi a casa mia? Potrai ripulirti. I miei genitori non torneranno prima di sera >> non sapevo se facevo bene a fidarmi di quello sconosciuto, anche perché se i tedeschi lo avessero trovato io e la mia famiglia saremmo stati puniti o peggio ancora uccisi. Lui si ritrasse e scosse il capo con veemenza, aveva i capelli scuri, con un ciuffo, sudicio, che gli ricadeva sugli occhi.
<< Non posso >> sussurrò, come se temesse di essere scoperto e con una certa titubanza << Devo raggiungere Preseglie prima di sera. E’ importante >>
<< Prendi il sentiero nel bosco, sai dove si trova il santuario di Visello? Quel sentiero conduce là. Da lì potrai arrivare a Quintilago >>.
Non se lo fece ripetere due volte, già correva verso il bosco senza salutare, imbrattato di letame e fango, mentre lo guardavo allontanarsi con la cesta del bucato stretta al petto. Quella fu la prima volta che lo vidi, ma non dissi nulla ai miei genitori, avevo paura della loro reazione.
Edda s’interrompe, ha lo sguardo perso nel vuoto.''
<< Perché me lo sta raccontando? >> chiede Esmeralda.
<< Hai ragione, io so chi sei. E so cosa ti è successo. Ma credimi, rubare non ti aiuterà >>.
La ragazza si alza in piedi spingendo indietro la sedia, ne ha abbastanza di quella vecchia originale.
<< Ma come si permette?! >> esclama << Lei non ha nessuna autorità su di me! Non è il mio tutore, né un’assistente sociale, solo una vecchia che vuole impartirmi una lezione! Crede davvero di conoscermi solo per avermi visto rubare? Lei non sa niente di me, niente! >>.
Edda rimane impassibile. Non appena la giovane finisce di parlare, apre bocca. << Io non ti conosco, ma non mi piace lasciare una storia a metà. Anzi sono imbarazzata >>
<< Cosa? >> davanti a quella pacatezza, alla tranquillità di Edda, rimane scioccata.
Tutti la scacciano, tutti l’allontanano.
<< Mi sento a disagio >> confessa la donna << In realtà,  volevo chiederti un favore >>
<< Un favore? Da me? >>
<< Sì, dammi un po’ del tuo tempo. Non me ne resta molto, ma se cedo un po’ di me a qualcuno, un mio piccolo ricordo rimarrà per qualche anno ancora >>.
Il tono di Edda è ironico, ma lo sguardo è serio e deciso; a tal punto che Esmeralda non riesce a ribattere e si siede nuovamente per ascoltare il racconto. Edda sorride e riprende.
''Avevo appena fatto una scelta che avrebbe segnato la mia vita. La gente aveva paura e non ci si poteva fidare di nessuno, come nessuno osava pronunciare una sillaba sugli avvenimenti che si svolgevano intorno a noi, nel Mondo, se non in forma di pettegolezzo. Fu così che un giorno, dopo messa, vidi mia madre consegnare una lettera al parroco e allontanarsi in tutta fretta. Cominciai a sospettare, e non a torto, perché mia madre collaborava con i Partigiani. Ne ebbi la certezza quando trovai dei messaggi nascosti nell’orlo del suo vestito e fu allora che capii che se avessi voluto fare qualcosa della mia vita, se avessi voluto contribuire alla fine di quella stupida guerra dovevo unirmi a loro, per quanto potesse essere pericoloso. Mia madre confessò tutto. Beh…tutto ciò che sapeva. Lei doveva solo raccogliere i messaggi che le venivano portati e portarli ai destinatari.
Mi venne data una bicicletta e avrei dovuto portare i messaggi nei paesi circostanti ogni volta che mi fosse stato chiesto; passarono mesi, e l’estate volgeva ormai al termine, quando, verso la fine di Agosto, pedalavo di buona lena verso Bione; la strada era sorvegliata, ma non mi era mai capitato nulla fino ad allora. L’aria era fresca sulla mia faccia ma, il sangue mi si gelò nelle vene solo quando una pattuglia tedesca mi sbarrò il cammino. Un soldato completamente vestito di nero mi si avvicinò e mi chiese in modo rude i documenti.
Naturalmente i miei documenti erano falsi.
 Gli tesi i preziosi fogli ostentando un sorriso e cercando di intavolare una conversazione per alleggerire l’aria di disprezzo che aleggiava lì intorno, o forse era solo aroma di letame?
L’uomo alzò lo sguardo dalle carte che gli avevo consegnato e diede un ordine in tedesco a quelli che lo accompagnavano. Due di loro mi afferrarono per le braccia e mi ordinarono di scendere. Non ebbi la forza di disobbedire. Il mio cuore perse un battito al pensiero di ciò che mi sarebbe accaduto. Se avessero trovato i biglietti nell’orlo del vestito…non riuscivo a pensare ad altro che al peggio. Il rumore di un camion che si avvicinava ruppe il silenzio. Dopo qualche minuto sentii il mezzo fermarsi a pochi metri da me e una voce autoritaria che ordinò qualcosa in tedesco alle mie spalle. I due soldati mi lasciarono andare subito e si voltarono sull’attenti facendo il saluto.
Vi fu un breve scambio di battute tra il nuovo arrivato, che non osavo guardare in faccia, e l’uomo che aveva dato l’ordine di arrestarmi, poi uno scroscio di risa da parte della pattuglia e altre braccia mi afferrarono a forza e mi caricarono sul retro della vettura.
Era fatta. Mi avrebbero portata a Idro per torturarmi, sempre che non mi sparassero prima.
Il camion era partito da qualche minuto quando, sbirciando da un foro nel telo che lo ricopriva, mi resi conto che deviava dalla strada. I due soldati seduti accanto a me alzarono il capo e si tolsero i berretti. Di fronte al mio sconcerto scoppiarono a ridere.
<< Lorenzo! Firmo! >> esclamai riconoscendo i miei fratelli. Ci abbracciammo.
<< Ma…come…? >> balbettai. Non riuscivo a parlare, era come se mi avessero tolto un pesante fardello << E Carlo e Antonio? E zio Libero? Che ne è stato di loro? >> chiesi. Per tutta risposta si scurirono in viso e Lorenzo scosse il capo. Antonio, il mio fratello pestifero e burlone che riusciva sempre a farmi sorridere, si era lanciato in una missione suicida. Lui, sempre allegro, non aveva retto a quella vita dura, e dopo non più di un mese era impazzito, non riusciva più a sopportare i cadaveri, il marciume, la fame…e si era lanciato oltre la barricata sotto la pioggia di proiettili, lasciandosi trafiggere. Il suo cadavere era rimasto lì, nessuno aveva avuto il coraggio di andarlo a prendere per seppellirlo. Zio Libero era stato colpito da una granata. Non ne era rimasto niente.
<< Non sai cosa abbiamo passato, Edda! Il fronte è un inferno >> diceva Lorenzo tra le lacrime, mentre Firmo batteva la mano contro la parete per fare segno al pilota di fermarsi.
<< Abbiamo rubato questo camion con le provviste per rifornire la nostra squadra >> spiegò quando ci fummo ripresi. Scendemmo e osservai la porta della cabina aprirsi. Le mie guance si colorarono vedendo balzare a terra il ragazzo che avevo salvato. Scherzosamente salutò i miei fratelli in tedesco e vi riconobbi la voce di chi mi aveva salvato dalla pattuglia. << Ben fatto, Francesco! >> si complimentò Firmo. Lui sorrise mentre i miei fratelli si scambiavano pacche amichevoli sulla schiena. Poi tutti e tre si volsero verso di me. Francesco mi guardò stupito. Ci fissammo per quello che parve un’eternità senza battere ciglio. Il suo sguardo nel mio, interrogativo, come sfociante in un mare di parole mute, ma alla fine la sua voce arrivò.
<< Sono felice che tu stia bene. Temevo che ti avrei causato dei problemi>>.
Cercai di ribattere, ma Lorenzo si intromise << Vi conoscete già? >> 
<< Sì >> rispose Francesco << Mi ha salvato la vita >>.
<< Mi chiamo Edda >> dissi prima che i miei fratelli  potessero dire qualunque cosa.
<< Il nome di una raccolta di ballate nordiche >> commentò.
Firmo sogghignava vedendomi in difficoltà << Perché non scarichiamo la merce, prima che iniziate a flirtare? >> suggerì infine e meritandosi un calcio negli stinchi da parte mia.
Portammo tutto il contenuto del camion in un casolare sulla cui porta una donna saltò al collo di Firmo.
<< Giulia! >> esclamai riconoscendola << Cosa fai qui? >> chiesi.
Lei era la nipote del parroco di Bione. Ora si capiva tutto! Mio fratello era entrato nella Resistenza forse più per riveder la fidanzata, e Lorenzo gli era andato dietro.
<< Ho fatto la crocerossina per parecchio tempo, ma…ho avuto un incidente >>. Alzò un poco la gonna e mi mostrò la gamba fasciata. << Non si è rotta, ma ci sono andata vicino. Un paziente a cui dovevamo amputare un piede ha dato di matto e ha cominciato a sparare…mi ha colpita ma non era un danno troppo grave, anche se sono stata rimandata a casa e ora zoppico un po’ >> poi mi porse la mano sinistra mostrandomi una fede d’ottone e con la destra strinse la mano di mio fratello, la quale le cinse la vita e la prese in braccio, baciandola appassionatamente…e guadagnando un buffetto sulla guancia da parte di Giulia.
<< Sei fortunato ad avere me, ma non te ne approfittare >> lo rimproverò dolcemente.
Passai molto tempo elargendo complimenti e auguri di felicità, poi alcune bocche contrariate cominciarono a lamentarsi, all’interno del casolare. C’erano una dozzina di persone là dentro, stipate in un’unica stanza attorno ad una stufa accesa per far scaldare il cibo. Mi accorsi immediatamente che le brande là dentro erano inferiori rispetto alle persone. Francesco, che mi era rimasto accanto tutto il tempo, notò il mio sguardo incuriosito.
<< Dormiamo a turno >> spiegò.
<< Spero che Lorenzo copra tutta la notte, russa come un orso in letargo e nostra madre diceva che dormiva come un angioletto! >>.
Rise alla mia battuta. << Sono felice di saperti sana e salva…>> disse << … soprattutto ora che ti ho potuto ricambiare il favore >>.
Si chiamava Francesco, ma per precauzione o diffidenza non mi volle rivelare altro di lui. Sedemmo su una roccia fuori dal casolare, la notte era calata, e la sua frescura avvolgeva tutta la valle. La luna aveva fatto capolino nel cielo limpido con la sua luce argentata. La luce della luna non riscalda però. Presi a tremare, Francesco se ne accorse e mi circondò le spalle in un abbraccio, posai la testa contro il suo petto… Forse ero un’ingenua se mi innamoravo così facilmente del primo ragazzo che vedevo sorridere>>.''
Esmeralda non ribatte. << La mia mente era come svuotata da ogni pensiero >>.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Edda e Francesco ***




<< Sai come si chiama quella raccolta di ballate di cui ti parlavo? Edda poetica>>.
Strinsi la sua mano.
<< Da quando ci siamo incontrati ti ho pensato spesso>> mi disse.
La sua mano si posò sul mio viso in una carezza, e fu come se un fuoco avesse preso a bruciarmi nel cuore. Rividi in quell’attimo tutte le cose belle che esistono al mondo. I suoi occhi si riflettevano nei miei, e allora, con la luna come testimone le nostre labbra si unirono in un bacio appassionato. E fu in quella notte d’Agosto che fummo un unico essere. Sotto le stelle, osservati dalla luna d’argento e accarezzati dai suoi raggi. Da allora anche nei momenti più bui riuscii sempre a trovare un angolo di felicità con Francesco, e nel nostro universo vivevamo separati da tutto e tutti, almeno per pochi minuti. Ci scambiavamo promesse, ridevo dei suoi scherzi e rimanevo incantata dalle storie che mi narrava. Non poteva andare meglio di così; se la guerra fosse finita tutti i miei sogni si sarebbero realizzati. Oggi l’unica cosa che manca per realizzare i sogni è la volontà, anche se la vita è fatta così…o meglio la natura umana è così. Per quanto sia bella la speranza di un mondo migliore, chi lo sa quando lo creeremo? Lasciare tutto, scegliere il male, uccidere…è facile, pur di salvarsi, ma ci sono porte che si aprono solo a coloro che soffrono e scelgono la strada tortuosa>> la donna scuote il capo per allontanare un pensiero.
<< Ero così felice, e poi…>> Edda si sfiora la pancia.
<< Eri, incinta?>> sussurra Esmeralda, toccandosi a sua volta il ventre leggermente gonfio e riconoscendo quella sensazione meravigliosa e terribile al contempo.
Questa volta, Edda si fa scura in volto. << …Sì, ed ero troppo giovane, e ingenua; credevo che sarebbe bastato il mio amore per cancellare almeno in parte l’inferno intorno a noi. Spesso il cibo scarseggiava, e dovevamo rubare, le missioni era sempre più pericolose e molte volte dovevo allontanarmi da Francesco anche per giorni. Lo confesso; avevo un brutto presentimento, che si materializzò il 2 novembre 1944. Quel giorno funesto tutti noi eravamo andati alla messa dei morti di quel piovoso mattino. Francesco ed io eravamo andati con Giulia e i miei fratelli, assieme a noi c’erano molti altri partigiani, convinti come noi che con quel tempaccio i repubblicani non sarebbero venuti. Ebbi il cuore pesante per tutta la funzione, durante la quale gettavo gli occhi al Cristo in croce dell’altare o alzavo lo sguardo all’affresco ritraente la scala al Paradiso in una muta preghiera. Quando la funzione finì Giulia seguì suo zio al cimitero per l’altra funzione, invece io e Francesco ci attardammo per spegnere le candele. In quel momento fascisti e tedeschi circondavano il paese per il rastrellamento.
Troppo tardi qualcuno lanciò il grido di allarme, e allora, come pulcini in un’aia all’arrivo del falco, fuggitivi e renitenti cercarono la salvezza nella fuga, nelle case o gettandosi nei campi.
A quel grido Francesco cercò di trascinarmi nel coro per nasconderci, mentre, all’esterno, i repubblicani minacciavano con il mitra coloro che tentavano la fuga. Opposi però resistenza e liberato il braccio corsi fuori sotto la pioggia battente per vedere cosa fosse successo; con il terrore nel cuore raggiunsi il sagrato della chiesa e corsi come una forsennata alla ricerca dei miei fratelli.
Per un breve istante la scarica di un mitra coprì il rumore della pioggia.
Un solo pensiero fulminò la mia mente mentre attraversavo la piazza; un solo pensiero si espanse in quell’istante attutendo tutti i suoni, tutti i rumori che mi circondavano:  “Qualcuno morirà”.
Caddi. Le lacrime correvano dalle mie guance sulla terra, le mani mi dolevano e avrei voluto sprofondare, sentivo le gambe pensanti come piombo e non riuscivo a muovermi per quanto cercassi di trarmi da quel baratro d’angoscia in cui stavo precipitando. La luce, il fuoco.
Ferite, le membra sanguinanti, la testa scoppiava e il mio cuore cedeva nelle viscere. La voce non era che un rantolo indecifrabile e muto nella gola secca e gli arti erano fusi come pezzi d’argilla cotta nel forno. Una bambola di cera che si scioglie al sole, questo ero, e nell’oscurità accecante della disperazione arrivò. Abbandono e solitudine la seguirono, la vita cresceva da sola nel buio senza speranza e destinata a spegnersi poi…non sentii più nulla>>
Edda tace e fissa lo sguardo su un punto imprecisato della parete, l’ombra della sera calata da poco nasconde il suo volto.
<< Poi…? Cosa è successo?>> chiede Esmeralda in un sussurro.
Le palpebre si fanno pesanti e riesce a stento a stare sveglia.
<< La guerra è finita e io ho cercato la pace. In realtà cercavo qualcosa che volevo trovare senza fatica anche se non avevo ancora capito che le scelte dolorose e il sacrificio portano alla felicità>>.
La figura dell’anziana donna pare quasi evanescente alla luce della luna che filtra dalla finestra.
<< Ma…il bambino…ha trovato la felicità? E…la sua famiglia?>> la ragazza balbetta appoggiata al tavolo.
<< Ora li ho trovati, e anche tu molto presto ne troverai una, perché la vita in fondo è questo: una continua ricerca della felicità, ma ti svelerò un segreto. Non cercare la felicità altrove, perché è già dentro di te. Stringila forte e non lasciarla mai, coltivala nel tempo con amore e dedizione e un giorno ne gusterai i frutti>>.
La carezza di Edda è come una leggera brezza gelida ed Esmeralda la sente a mala pena prima di cadere in un sonno profondo mentre il fantasma svanisce nel gelido splendore della luna di novembre. E’ pomeriggio inoltrato quando la ragazza si sveglia, ma non c’è traccia di Edda. C’è solo una sedia in più a tavola, per il bambino che deve nascere.


Ed ecco la fine di quesa storia, mi raccomando lasciatemi una piccola recensione e fatemi sapere che ne pensate!
Un bacio a tutti voi
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=2214845