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di LadyDenebola
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***



Capitolo 1
*** I. ***


I.


 
Una quiete innaturale circondava il suo corpo, come un involucro protettivo che voleva tenerlo lontano dalla battaglia che a fatica avevano vinto. Perché loro avevano vinto, giusto? Bofur non lo ricordava più. In quel momento sapeva soltanto di sentirsi la testa molto pesante e invasa da un basso ronzio che gli aveva addirittura otturato le orecchie. Non percepiva altro.
“Forse sono morto” pensò. Ebbe un tuffo al cuore. Cosa avrebbero fatto adesso suo fratello e suo cugino? Se la sarebbero cavata senza di lui? Ma soprattutto, erano ancora vivi?
Strano a dirsi, ma quelle elucubrazioni resero il cervello di Bofur molto più reattivo a quanto avveniva attorno a lui. Molto lentamente, il nano prese coscienza del proprio corpo, steso su quello che sembrava essere un materasso riempito alla bene e meglio con della paglia. Non era freddo, il che voleva dire che c’era una coperta a riscaldarlo. E infatti, muovendo appena un po’ le dita, Bofur percepì una pesante coperta avvolgerlo senza lasciar passare neanche uno spiffero.
Ma allora… era ancora vivo!
Non appena formulò questo pensiero, Bofur inspirò profondamente dal naso. Una ventata d’aria tiepida e viziata gli solleticò i baffi. Il ronzio nella sua testa cessò, e di colpo, come se qualcuno gli avesse tolto dei tappi alle orecchie, le voci esplosero attorno a lui. O meglio, i brusii. E i bassi rumori di chi è indaffarato. Bofur adesso riusciva a sentire passi, suoni di stoffa lacerata e tappi di barattoli che vengono svitati. Qualcuno parlottava non molto lontano da lui.
Incuriosito, il nano finalmente riuscì ad aprire gli occhi, ma tutto quello che poté vedere fu un alto soffitto scavato nella roccia, illuminato fiocamente dal basso da torce che lui non poteva scorgere. La confusione di Bofur aumentò quando si accorse che la coperta lo avvolgeva talmente tanto da impedirgli qualsiasi movimento. Ma Bofur non era tipo da saper stare fermo più di cinque minuti di fila – e lui sapeva di aver dormito per molto più di cinque minuti – perciò, senza perdere altro tempo, fece per scansare la coperta e mettersi seduto.
Un dolore lancinante partì dalla gamba sinistra, risalì il suo corpo e, come una scarica elettrica, percorse la spina dorsale fino al cervello, facendolo urlare e ricrollare sul materasso. La testa gli si riannebbiò mentre i brusii cessavano di colpo.
<< Oh, be’, almeno sei vivo! >>borbottò una voce rauca.
Bofur riaprì gli occhi. Un anziano nano con una barba bionda lunga fino al pavimento si era chinato su di lui e, tenendo alta davanti agli occhi una candela, lo costrinse a guardarlo.
<< Resta cosciente, mi raccomando >>aggiunse scrutandogli le pupille.
<< Cosa… cos’è successo? >>riuscì a dire Bofur, la voce ancora impastata per il dolore.
Il medico non gli rispose subito: scansò con impazienza la coperta e, posata la candela su uno sgabello lì vicino, iniziò a tastare delicatamente la gamba di Bofur, che tremò ancora di dolore a quel contatto.
<< Non è grave, come ferita >>borbottò il medico.<< Un brutto taglio, però. Dentro c’era rimasta la punta della lancia, dannati orchi! Ma sta’ tranquillo: te l’abbiamo lavata e fasciata. Adesso ti cambio la medicazione, ché le bende sono sporche… ma devo dire che stai perdendo molto meno sangue rispetto a ieri! >>concluse con soddisfazione.
<< Ieri? >>ripeté Bofur. Con cautela, si rialzò sui gomiti e guardò in basso: sulla gamba sinistra i pantaloni erano stati tagliati fin quasi all’inguine, e quella giaceva rigida sul materasso, fasciata dalla coscia al polpaccio con bende macchiate qua e là di sangue.
All’improvviso ricordò. Ricordò gli ultimi istanti prima di perdere i sensi, proprio quando stavano esultando per la vittoria. Erano sopraggiunte le aquile, e grazie al loro aiuto gli Eserciti dei nani, degli uomini e degli elfi erano riusciti ad avere la meglio su orchi e mannari. Il nemico piombava a terra sotto i colpi d’ascia, i fendenti di spada e le frecce, e chi restava ancora in piedi veniva catturato dalle aquile e poi fatto cadere da centinaia di piedi sulla terra rocciosa.
Bofur rivide, lontano, Dain Piediferro sollevare vittorioso l’ascia mentre i sopravvissuti si lasciavano andare a un ululato liberatorio, di gioia e dolore. Si rivide mentre abbracciava suo fratello Bombur, sporco di terra e polvere ma illeso. Rivide la sua espressione diventare di colpo atterrita e, voltandosi, rivide l’orco che credevano morto ai loro piedi risollevarsi brandendo la lancia che aveva sottratto a chissà quale soldato. E si rivide calargli sul capo un colpo del proprio piccone, e la punta della lancia schivare l’armatura e squarciare la carne della sua gamba. Un dolore acuto, come quello provato prima, l’urlo di Bombur, una fiacchezza improvvisa, poi il buio.
<< A proposito, il mio nome è Elmin >>disse il medico, intento a srotolare una benda candida attorno a un taglio non lungo ma profondo.<< Ti rifascerò fino al polpaccio. Finché la ferita non si sarà rimarginata voglio che tu tenga ben ferma la gamba, tutta quanta >>
<< Quanto ci vorrà? >>
<< Una ventina di giorni, se farai come ti dico >>
Bofur gemette.
<< È un’eternità! Non posso rimanere a letto per venti giorni! >>
<< Ti rimedierò un paio di grucce >>rispose Elmin, senza scomporsi.<< Anche perché dovrai liberare il letto, in caso arrivassero altri feriti >>
Bofur si guardò attorno. Si trovava in una grotta non molto ampia illuminata da torce e riscaldata da un largo braciere sul fondo. Su letti di paglia che si intervallavano fra una torcia e l’altra, giacevano altri nani feriti e circondati dai loro cari o da altri medici. Erano le Cave Mediche, grotte in cui, a Erebor, in tempo di guerra si portavano i feriti e i caduti.
<< Dove sono mio fratello e mio cugino? >>domandò Bofur.
<< Non lontano, temo >>Le labbra di Elmin si incresparono in un lieve sorriso.<< Li ho costretti a farsi un giretto. Sono rimasti accanto a te da quando ti abbiamo portato qui, per cui ho pensato di fargli prendere un po’ d’aria fresca, ma sono sicuro che non si sono allontanati molto >>
<< Stanno bene, allora? >>
<< Oh sì, meglio di te di sicuro! >>annuì Elmin.<< Hanno qualche graffietto, nulla più >>
<< Grazie a Mahal! >>sospirò Bofur ricadendo sul cuscino. Si massaggiò le tempie per scacciare la sonnolenza che stava tornando: non voleva dormire. Doveva sapere cos’era accaduto.<< Quanti nani sono caduti? E il re? Sta bene? >>
Sentì Elmin trattenere bruscamente il respiro. Lo guardò, ma il medico non alzò gli occhi dal suo lavoro, limitandosi a dire:<< Ci sono ancora molti dispersi e tanti, tanti feriti. Le Cave Mediche sono strapiene e chi è in grado di andarsene sulle proprie gambe dovrà presto lasciare il letto agli altri feriti. A te do ancora ventiquattr’ore, poi te ne tornerai a casa. Ma c’è anche l’accampamento di Dain, che ospita molti dei nostri. È lì che si trova Thorin >>
<< Continua >>mormorò Bofur quando la pausa di Elmin durò più del dovuto.
<< È ferito gravemente >>Con un gesto fluido, il medico strappò la benda e completò con un nodo stretto. Poi risistemò le coperte con la cura di una madre e si abbassò le maniche.<< Andiamo a vedere se qualcun altro ha bisogno di me! Qui dentro state tutti abbastanza bene, e avete i vostri parenti con voi >>
<< Aspetta! >>Bofur provò a rialzarsi, ma Elmin, con uno scatto, lo costrinse a rimanere steso.<< Cos’è successo a Thorin? E gli altri della sua Compagnia? Che ne è di loro? >>
<< So solo che Thorin Scudodiquercia giace ferito nell’accampamento di Dain. Se ti può far piacere, però, mi informerò anche sugli altri tuoi compagni >>rispose Elmin.
Bofur lo guardò poco convinto, ma l’anziano nano non gli diede il tempo di fargli altre domande: con un rapido inchino, Elmin si congedò e scomparve alla vista, lasciandolo di nuovo solo ai suoi pensieri. Thorin ferito gravemente… non voleva crederci. Ricordava benissimo di averlo visto far soccombere decine di orchi, saldo su entrambe le gambe e fiero come sempre. L’unica consolazione per Bofur, al momento, era sapere che Bombur e Bifur stavano bene.
La sonnolenza che già da alcuni minuti aveva iniziato a solleticarlo tornò a farsi invadente, e, quasi senza accorgersene, Bofur sperò ardentemente che nessuno venisse a disturbarlo per almeno un’altra giornata, mentre risprofondava in un buio privo di voci e rumori.
 


Angolino dell’autrice:
Olè! Rieccomi qui, e stavolta con una storia completamente dedicata a Bofur! Come vi è sembrato questo primo capitolo/prologo? È solo un’introduzione, in effetti, ma già dal prossimo avremo più elementi e più personaggi! Certo, non so quanto farò durare tutta la storia: ora come ora direi anche pochi capitoli, ma potrò sempre cambiare idea!
Perciò, ringrazio già da ora chi vorrà leggerla e commentarla!
A presto! ^___^
Nota: i personaggi e le ambientazioni sono principalmente di proprietà di Tolkien, fatta eccezione per qualche (ed evidentissima) mia invenzione.

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Capitolo 2
*** II. ***


II.


L’aria era intrisa di un delicato profumo di fiori. Il vento faceva frusciare gli steli attorno al suo volto, e più di una volta tirò su col naso senza riuscire mai a starnutire. Ma la cosa lo divertiva. Come lo divertiva restarsene lì in panciolle, sdraiato su quel morbido manto erboso, le braccia dietro la testa, a osservare pigramente i rami di un ciliegio muoversi e creare sul suo viso una danza di luci e ombre, a seconda di come il sole riusciva a penetrare fra le foglie.
Bofur aveva solo una parola per tutto questo: pace. Dopo le vicende degli ultimi mesi non gli sembrava vero potersene stare lì, in un caldo pomeriggio primaverile, a poltrire senza l’incombenza di tornare a Erebor e affrontare Smaug. Non gli mancava niente. Non aveva bisogno di niente.
Chiuse gli occhi e respirò i profumi attorno a lui. Avvertì distrattamente il rumore soffice di passi sull’erba, e i movimenti di qualcuno che si sedeva al suo fianco. La debole luce che percepiva da dietro le palpebre scomparve del tutto e  Bofur, con una finta smorfia infastidita, riaprì un occhio.
Un viso giovane, incorniciato da morbide ciocche castane, sorrideva proprio davanti al suo. Bofur ricambiò il sorriso con gioia: l’aveva aspettata a lungo, lì su quel prato. Alzò una mano ad accarezzare la guancia della nana, che a quel contatto chiuse gli occhi e abbandonò il capo, come un gatto che fa le fusa. Adesso, Bofur poteva ritenersi davvero soddisfatto.
La ragazza riaprì gli occhi. Sorrideva ancora, ma gli occhi erano velati di tristezza. Le labbra le tremarono leggermente quando ricambiò il gesto di Bofur, facendo passare con lentezza il dorso della mano sulla sua barba fino a intrappolare fra le dita i baffi per giocherellarci. Ma continuava ad avere quell’espressione che Bofur non riusciva a spiegarsi. Voleva chiederle se era successo qualcosa, ma lei, come ad avergli letto nel pensiero, scosse il capo e si raddrizzò.
<< Non andartene già via >>la pregò Bofur.
Il volto di Leviar si illuminò un poco a quelle parole. Si chinò di nuovo su di lui e, scandendo bene, gli sussurrò:<< Devi tornare, me l’avevi promesso, ricordi? Mi avevi chiesto di aspettarti perché saresti tornato sano e salvo >>
<< Che dici? Sono qui >>protestò Bofur, ma in realtà non riuscì ad aprire bocca. Frastornato, rivolse uno sguardo interrogativo a Leviar, che sembrava voler celare la tristezza dietro un’aria più risoluta.
<< Devi tornare, Bofur >>ripeté con maggior decisione.
Bofur iniziava a preoccuparsi seriamente. Voleva rincuorarla, prenderla fra le braccia e dirle che era lì, che sarebbe rimasto con lei…
E di colpo, come se qualcuno si fosse divertito a tagliuzzare i suoi ricordi lasciandogli solo lei, rivide i frammenti degli ultimi istanti trascorsi con Leviar… La nana che gli porgeva imbarazzata un muffin mentre gli altri banchettavano nel salone… lui che intagliava il legno e lei, in piedi a piegare alcuni abiti, che rispondeva ridendo a una sua battuta… le sue labbra sulle sue, i respiri che si mescolavano…
Una mattina fredda e nebbiosa, lui rimasto indietro per ultimo proprio per salutarla, ferma sull’uscio e avvolta in un pesante mantello. Voleva dirgli qualcosa, ma non ne aveva il coraggio: Bofur lo sapeva perché stava provando lo stesso tormento. Non riuscì a spiccicar parola, così si limitò a chinare la testa, lo sguardo basso, ma Leviar lo fermò prima che potesse fare anche solo un passo.
<< Fa’ attenzione >>sussurrò, lo sguardo lucido.
Bofur le prese il volto tra le mani, un nodo in gola: fosse stato per lui, l’avrebbe seguita dentro casa, al calduccio di un bel letto finché il sole non si sarebbe alzato. Ma gli altri, nascosti più avanti dalla nebbia, lo stavano aspettando.
<< Tornerò >>fu tutto quello che riuscì a dire.<< Mi aspetterai? >>
Leviar annuì con forza, e si aprì in un debole sorriso mentre Bofur la lasciava andare e le voltava definitivamente le spalle.
Ma lui non si era mosso. Era ancora lì fermo, sdraiato sul materasso di paglia, la gamba fasciata che lo faceva sudar freddo come se fosse infilzata da centinaia di spilli. Gli parve di udire voci lontane, sopra di lui, ma non ne era sicuro. Rivedeva Leviar al suo fianco, mentre camminavano per i sentieri delle Montagne Azzurre, rivedeva il suo sorriso, i suoi gesti… Ma le immagini erano sfuocate; sembrava che qualcuno ne stesse bruciando i contorni e confondendo i colori.
Bofur sentiva la testa pesante come un macigno. Provò a sollevare la mano per catturare il volto di Leviar, ma questo, con un bagliore tremulo, si dissolse come fumo e Bofur risprofondò nel nulla.
 

<< Nevicherà, e presto >>disse Dori, le mani sui fianchi, osservando il cielo di un bianco sporco contro il quale la Montagna Solitaria svettava in tutta la sua grandiosità.
Nori tirò una profonda boccata dalla pipa che stava fumando e scrutò le porte di Erebor; da dove si trovavano loro era possibile scorgere il chiarore aranciato che giungeva dall’interno.
<< Dovremmo andare a trovare gli altri >>disse.<< I tre cugini >>
<< Dovremmo mettere qualcosa sotto i denti, prima >>replicò il fratello sfregandosi le mani e guardandosi intorno nell’accampamento desolato. Non c’era aria di festa, anzi: i nani parlavano poco e a bassa voce, e gli uomini di tanto in tanto provavano a fare un po’ di chiasso davanti a un piatto di zuppa, giusto per ravvivare un po’ l’ambiente. Di elfi, Dori non ne aveva visto nessuno, da quando si erano sistemati nelle tende.
<< Gandalf ha detto che stanno bene >>aggiunse poi il nano più anziano.<< Non abbiamo motivo di preoccuparci, in fondo >>
<< Bofur è ferito >>gli ricordò Nori.<< Leviar vorrebbe essere avvertita >>
Dori si irrigidì.
<< Per quando le sarà arrivata la notizia Bofur sarà guarito! Non serve a niente allarmarla. Tra l’altro, dovremmo dirle che noi stiamo bene >>
Nori prese un’altra boccata, guardandolo accigliato.
<< Vorrebbe essere avvertita >>ripeté.<< È molto legata a Bofur >>
<< Non dire sciocchezze! >>sbottò Dori con una smorfia.<< Si è fatta incantare, ma non è interessata a lui. Nostra cugina può aspirare a qualcosa di meglio >>
Nori non fu così sciocco da replicare subito. Diverse volte nel corso della missione avevano toccato quell’argomento, sempre con lo stesso risultato: Dori che si indispettiva e trattava Bofur come un ammaliatore di povere fanciulle indifese. Fortuna che Bofur aveva un buon carattere, altrimenti sarebbero scoppiate risse un giorno sì e uno no. La verità – e questo lo sapevano sia Nori che Dori – era che, prima di iniziare quell’avventura, Bofur e Leviar si erano avvicinati molto. E Dori aveva iniziato a sfoggiare un sentimento di iperprotettività nei confronti di Leviar pari a quello di un padre: aveva cercato di non lasciarli spesso soli e, durante il viaggio per Erebor, aveva cercato di cogliere quel che Bofur pensava e provava verso la cugina. Ed era giunto alla conclusione che non poteva essere il nano adatto a lei. Troppo superficiale, sempre così ingiustificatamente allegro, irresponsabile… e, in più, era un semplice giocattolaio! In pratica, aveva tutte le carte in regola per dover stare alla larga da Leviar.
<< Leviar voleva che l’aggiornassimo sulla salute di tutti >>disse dopo un po’ Nori.<< Ha diritto a saperlo: era così preoccupata quando ha saputo che ci saremmo uniti a Thorin >>
Udì Dori ringhiare qualcosa a denti stretti: Nori lo conosceva, e sapeva che non avrebbe ceduto subito. E infatti, dopo essere rimasto alcuni minuti a contemplare la Montagna, Dori si voltò e, borbottando un << Vedremo >> rientrò nella tenda alle spalle di Nori.
Nori sospirò. Si domandò dove avrebbe potuto trovare un messaggero per le Montagne Azzurre, ma poi le parole del fratello gli risuonarono in mente.
“Tutto sommato, Bofur potrebbe rimettersi in un paio di giorni. E Leviar verrebbe informata solo fra settimane” ragionò mentre dalla pipa saliva un ultimo, sottile sbuffo di fumo. ”Meglio non farla preoccupare inutilmente”
 

Angolo dell’autrice:
Hola! Ben ritrovati a tutti/e! Lo so, il capitolo è davvero corto, ma ho voluto limitarmi a introdurre la gelosia di Dori nei confronti della cugina Leviar (yeah, già inizia a comparire, anche se solo nei ricordi di Bofur!). Ma tutto questo ovviamente sarà il trampolino di lancio per quel che seguirà, per cui vi chiedo di aspettare ancora un pochino e le cose inizieranno a farsi più interessanti!
Ringrazio tutti coloro che leggeranno la storia e vorranno commentarla o anche solo inserirla fra le seguite/preferite! Solo questo mi rende felice!
A presto! ^____^

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Capitolo 3
*** III. ***


III.


La neve che le arrivava fin quasi alla cintola le rallentava sempre più i movimenti, appesantendole gli abiti. Iniziava anche a perdere sensibilità alle mani. L’unica consolazione era vedere finalmente Erebor sovrastarla, bianca come un dolce ricoperto di zucchero a velo e tuttavia minacciosa. Era la prima volta che la vedeva, ma Leviar non aveva tempo per fermarsi a contemplarla. Un po’ se ne vergognava, considerando quanto la sua famiglia aveva fatto per raggiungerla, ma neanche costringendosi sarebbe riuscita a fissare il pensiero sulla bellezza di essere tornata nell’antico regno della sua stirpe.
Da quando aveva sostato un giorno a Dale, ancora in fase di ricostruzione, quel pensiero era diventato più martellante, fin quasi da farle male. E non aveva nessuno con cui condividerlo. Un uomo, che le si era presentato come il nuovo sovrano di quella città, le aveva offerto di farla accompagnare da alcuni suoi soldati, ma Leviar non se l’era sentita di sottrarli al loro lavoro, né, in realtà, di fidarsi di loro. Certo, quel tipo – Bard, se non ricordava male – sembrava a posto, ma molte volte i suoi cugini l’avevano messa in guardia dai soldati per poter accettare di rimanere sola in loro compagnia. Tanto valeva terminare quel viaggio da sola, visto che mancavano pochi chilometri.
Alzò lo sguardo al cielo che si stava oscurando rapidamente. Un corvo voleva in cerchio poco distante da lei. Leviar prese un respiro profondo e provò ad andare più spedita, lo scricchiolio della neve come unico compagno: il corvo già stava facendo ritorno alla Montagna Solitaria.
Era ormai notte quando Leviar raggiunse le pendici di Erebor. Il viso arrossato dal freddo e le braccia strette al corpo, vide una torcia correre giù dal sentiero che si inerpicava sulla Montagna. Pochi istanti dopo riconobbe il volto di Balin, che la fissava con sconvolta incredulità.
<< Buon cielo! >>esclamò.<< Cosa ci fai qui? >>
<< Bombur mi ha mandato un messaggio >>rispose Leviar battendo i denti.
Balin le fece segno di seguirlo, pur continuando a lanciarle occhiate perplesse.
<< Avevamo mandato a chiamare alcuni fabbri e muratori dalle Montagne Azzurre, ma non sapevo che Bombur ti avesse chiamato >>disse.
<< Ho viaggiato con la gente delle Montagne Azzurre, infatti >>rispose Leviar sdrucciolando sulle pietre coperte di ghiaccio.<< Loro sono rimasti un giorno in più a Dale, ma domani all’alba si rimetteranno in marcia >>
<< Capisco >>fu l’unico commento del vecchio nano.
Leviar gli fu grata per non averla costretta a parlare ancora: le labbra le si stavano screpolando in fretta e iniziava a sentire il sapore del sangue in bocca. Salire su per quel sentiero fu più faticoso dell’attraversare la piana innevata: a ogni passo Leviar scivolava senza poter contare su solidi e asciutti appigli. Impiegarono più tempo del dovuto a raggiungere le possenti porte di Erebor. Leviar tuttavia non ebbe la fortuna di vedere le due statue ai loro lati, poiché le poche torce erano state posizionate ai piedi degli stipiti, quel tanto che bastava per illuminare l’ingresso.
Balin consegnò la fiaccola a un nano di guardia, mormorandogli qualcosa: il nano annuì, scoccando un’occhiata poco convinta a Leviar, ma lei non ebbe il tempo di curarsene. Balin le posò una mano sulla spalla e quasi la trascinò lungo un corridoio di pietra che, dopo alcuni metri, si aprì su un crocevia di scale e tunnel di pietra. Fu allora che Leviar si fermò a contemplare quel che la circondava. Erebor si apriva sopra e attorno a lei, non ancora splendida com’era stata un tempo e tuttavia ancora così imponente da togliere il fiato. Scale larghe o strette e ponti erano circondati da costruzioni di ogni dimensione, alcune già ristrutturate, altre circondate da ponteggi. Sacchi ed enormi blocchi di pietra erano accatastati agli angoli delle strade, accanto a cavalletti da lavoro e attrezzi da muratore.
<< C’è ancora del lavoro da fare, ma nel giro di un mese la città tornerà come prima >>disse Balin con una certa fierezza.<< E con la gente delle Montagne Azzurre potremmo metterci anche meno! >>
<< Non c’è nessuno, in giro >>osservò Leviar mentre svoltavano in una strada fiancheggiata da casette e botteghe chiuse. Sembrava di camminare in una città fantasma.
<< È ora di mangiare e riposare >>rise Balin.<< Dovresti farlo anche tu >>
Leviar annuì. In effetti, i segni della stanchezza cominciavano a farsi sentire.
Balin si fermò davanti una casa a due piani, con le finestre illuminate al piano terra. Il nano aveva appena finito di bussare che la porta si aprì: come se li stesse aspettando, Bombur la spalancò e, vista Leviar, tirò un sospiro di sollievo.
<< Iniziavo a temere che non venissi più! >>esclamò.<< Entrate! >>
Leviar respirò a pieni polmoni l’aria calda e profumata di focaccia mentre seguivano Bombur nel salotto, quasi interamente occupato da un tavolo e una credenza ancora semivuota. Sul fuoco bolliva un pentolone e, accanto al camino, si apriva una dispensa dalla quale proveniva odore di salumi.
Bombur aiutò Leviar a sfilarsi il mantello per poi spingerla verso un piccolo divano davanti il caminetto, ma la giovane non si mosse.
<< Come sta Bofur? >>
Il viso di Bombur, che si era illuminato quando l’aveva vista, si rabbuiò.
<< Ancora non si sveglia. È così da quasi due mesi, ormai >>
<< Posso vederlo? >>
Il nano annuì: sembrava sollevato. Guidò Leviar al piano superiore, continuando a spiegare:<< Il medico ci disse che si era appena svegliato, ma quando io e Bifur siamo arrivati si era già riaddormentato. Abbiamo atteso, ma le ore passavano e lui non dava segno di volersi svegliare. Finché, dopo quasi un giorno, non è tornato in sé. Il medico l’ha visitato e ha pensato che poteva tornare a casa – nel frattempo, con Bifur avevamo trovato questa, disabitata e neanche messa tanto male. E poi, arrivati qui, Bofur è come svenuto e non si è più risvegliato. Ogni tanto parlava nel sonno, e un paio di volte ti ha chiamata, così ho chiesto al corvo Roac di chiamare anche te quando sarebbe andato sulle Montagne Azzurre >>
In fondo al corridoio, in piedi di fronte a una porta chiusa, Bifur li scrutava come in loro attesa, nonostante il volto fosse inespressivo come ricordava Leviar. Nel vederla, si fece avanti e, senza tante cerimonie, l’afferrò per un braccio e la spinse verso la porta, ma Bombur lo fermò prima che raggiungesse la maniglia.
<< Fammi controllare, prima: non si sa mai che si sia svegliato >>disse, anche se il tono della voce tradiva la scarsa convinzione verso le sue stesse parole. Socchiuse la porta e infilò dentro la testa, ritraendola quasi subito.<< Entra >>disse a Leviar, di nuovo scuro in volto,<< ma forse neanche si accorgerà di te >>
Lo stomaco contratto, Leviar quasi avrebbe voluto non entrare più, ma Bifur la spinse nella camera non appena la porta fu abbastanza aperta. La finestra chiusa e un piccolo camino dal quale si levavano dolci lingue di fuoco rendevano l’ambiente molto caldo. Al centro della stanza, leggermente in penombra, c’era un unico letto dall’aria spartana.
Leviar vi si avvicinò, le gambe molli, temendo quel che vi avrebbe trovato. E invece, Bofur aveva l’aria di chi dorme serenamente, anche se la fronte imperlata di sudore e il respiro rapido le fecero capire subito che qualcosa non andava. Avvicinò uno sgabello e si voltò impaziente verso Bombur, che insieme al cugino e a Balin attendeva oltre la porta.
<< Portami dell’acqua fredda, per favore >>esclamò la ragazza.
Non rimase a guardare il nano caracollare via nel corridoio: si rimboccò le maniche e iniziò a tirar via le coperte, mentre Balin si avvicinava in silenzio.
<< Ha bisogno d’aria >>gli spiegò. Passò un mano sulla fronte di Bofur, nonostante il volto arrossato fosse un segnale evidente.<< Ha la febbre. Bombur, non ve ne eravate accorti? >>
<< Sì, gli è venuta stamattina. Il medico gli ha prescritto un infuso. Siamo riusciti a darglielo poco prima che arrivassi tu >>rispose il nano posando ai piedi di Leviar un catino d’acqua e un panno.
<< Be’, pare non abbia ancora avuto effetto >>sbuffò la ragazza strizzando il panno con quanta forza aveva in corpo per posarlo sulla fronte di Bofur. A quel contatto, il nano si agitò e mugugnò parole incomprensibili.
<< Non devi farlo! >>esclamò subito Bombur provando a fermare Leviar.<< Posso pensarci io, tu va’ a mangiare qualcosa >>
<< Mi avete chiamato per prendermi cura di lui, no? >>domandò la ragazza con una schiettezza che stupì perfino lei.
<< Sì, cioè… pensavamo avesse bisogno anche di te >>balbettò Bombur nell’imbarazzo più profondo.
<< Allora non c’è problema >>lo interruppe Leviar con voce più serena.<< Non sono stanca. Mangerò più tardi >>. Esitò un momento, ma subito si disse che non era il momento di vergognarsi, perciò slacciò i primi bottoni della camicia di Bofur e prese a passargli il panno sulle spalle e il torace, ignorandone i brividi.
Bombur rimase a contemplarla in silenzio per qualche minuto, finché non si riscosse con un sussulto e, di punto in bianco, ricominciò a parlare. Le parlò della gamba ancora in convalescenza: la ferita si era ormai rimarginata, ma Bofur non aveva mai camminato dalla Battaglia dei Cinque Eserciti, per cui gli ci sarebbe voluto più tempo per guarire del tutto.
<< Se mai si risveglierà >>concluse affranto.<< E ora ci si è messa anche questa febbre! >>
<< Gli passerà. Bofur è più forte di quel che sembra >>Balin gli batté rincuorante una mano sulla spalla.
<< Balin >>Per la prima volta da quando si era seduta, Leviar distolse lo sguardo da Bofur.<< Come stanno i miei cugini? Ora che ci penso, da quando sono partiti per Erebor non ho più avuto loro notizie >>
<< Stanno bene, tutti e tre >>si affrettò a garantirle Balin.<< Se vuoi, passo da loro stasera stessa. Anche loro hanno trovato una casetta qui a Erebor e penso vogliano stabilircisi definitivamente >>
<< Grazie! Ci andrò direttamente io domani >>rispose Leviar, più sollevata.
Balin non insistette. Le diede un buffetto sulla guancia e quasi costrinse Bombur ad accompagnarlo giù all’uscita. Bifur già era andato via. Leviar rimase a osservare pensosa la porta per qualche istante, finché un grugnito da parte di Bofur non le ricordò che aveva tenuto troppo a lungo il panno freddo sullo stesso punto.
Sentiva di non poter essere tranquilla, anche ora che finalmente l’aveva rivisto dopo un anno. A parte i segni della febbre, Bofur era esattamente come quando l’aveva salutato; i capelli che gli erano stati sciolti per comodità erano l’unica differenza. Differenza che Leviar – doveva ammetterlo – trovò davvero piacevole, e più volte si soffermò a osservarlo, approfittando del fatto che erano rimasti soli. Quando gli ripassò il panno sulla fronte gli accarezzò, quasi inconsciamente, i capelli, pregando che nessuno venisse a interromperli… o che Bofur non si svegliasse proprio in quel momento.
Sola in quella camera spoglia, le fu impossibile non ripensare a tutte le emozioni che le avevano tenuto compagnia dalla sera in cui si erano baciati e che ora pareva lontana secoli. Era incredibile come quel nano fosse riuscito a conquistarla con pochi, semplici gesti. Leviar conosceva molte nane che spasimavano per guerrieri fieri e scontrosi, tipi come Dwalin, insomma, e lei stessa più volte aveva fantasticato sui muscoli guizzanti che si celavano sotto le cotte di maglia. Ma Bofur era diverso. Non aveva proprio l’aria del guerriero. Era un giocattolaio, come le aveva detto quando si erano presentati, ed era uno dei nani più miti e pazienti che Leviar avesse mai incontrato. Secondi i parametri “nanici”, non era granché, come partito.
Il tempo scivolò via senza che lei se ne accorgesse. Bofur continuava a dormire, il volto che aveva riacquistato un po’ del suo colore naturale. Per sgranchirsi le gambe, Leviar andò ad attizzare il fuoco e si guardò intorno. Era chiaro che non avevano avuto il tempo di arredare nei dettagli la camera dove, a parte il letto, c’erano soltanto una piccola cassapanca e un comodino rozzamente intagliato. Un certo senso di sconforto si impadronì di lei mentre pensava che Bofur giaceva in quella camera vuota da due mesi. Cosa avrebbe potuto fare lei? Come poteva aiutarlo?
<< Leviar? >>Bombur si affacciò timidamente alla porta.<< Scendi, su. Non voglio che resti un secondo di più senza mangiare >>
La ragazza sorrise e non osò disobbedire un’altra volta, dato che Bombur, nonostante avesse bisbigliato, l’aveva guardata con la massima serietà. Tornarono nel salotto dove Bifur stava distribuendo tre scodelle di zuppa. Per qualche minuto nessuno parlò, tanto si lasciarono assorbire dalla cena e dal tepore del fuoco, ma, verso la fine del secondo giro di zuppa e pane tostato, Bombur iniziò a raccontare della Battaglia. Anche se a pancia piena Leviar cominciava a desiderare un bel letto caldo, ascoltò con vero interesse ogni parola, soprattutto quando Bombur le descrisse il ferimento del fratello. Nonostante la paura, provò un moto di fiero orgoglio nell’immaginare Bofur calare il piccone sull’orco e finirlo prima che quello potesse fare altrettanto con lui. Lo stesso Bombur narrava con entusiasmo, dilatando il racconto con pause per mangiare qualche boccone di formaggio, e fu solo quando Bifur gli diede una pacca sul braccio che si voltò verso l’orologio sul camino.
<< Accidenti, Leviar! >>bofonchiò alzandosi rumorosamente e cacciandosi in bocca l’ultimo pezzo di formaggio.<< È quasi mezzanotte e noi stiamo ancora qui a parlare! Ehm… mi viene in mente solo ora… non abbiamo una stanza per gli ospiti, temo, e io dormo con Bifur… Potremmo sempre sistemare il divano, che ne dici? >>
<< Nessun problema! Vi disturberò solo stanotte >>lo rassicurò Leviar.<< Domani raggiungerò i miei cugini >>
<< Bene, allora! Preparo subito tutto io >>esclamò Bombur dandole uno schiaffetto sulla mano quando Leviar fece per aiutarlo coi piatti.<< Tu va’ a controllare Bofur, intanto >>
La ragazza non se  lo fece ripetere due volte, anche se non riuscì a evitare di arrossire considerando quanto ormai i suoi sentimenti fossero diventati evidenti. Quando posò la mano sulla maniglia della camera di Bofur, però, si arrestò di colpo: dall’interno proveniva un leggero raschiare.
Leviar spalancò con forza la porta e si bloccò sulla soglia, impietrita. Dal letto, Bofur si arrestò nell’atto di trascinare a sé una gruccia poggiata a qualche centimetro di distanza, con la chiara intenzione di alzarsi.
Impossibile dire chi dei due fosse più sorpreso. Entrambi parevano aver perso la parola. Una gioia indescrivibile si impossessò di Leviar, talmente intensa che sembrava volesse esploderle in petto.
Ma fu Bofur a rompere per primo il silenzio. Sbatté le palpebre e, con non poca incertezza, chiese:<< Sei vera? >>
Leviar non era sicura d’aver capito bene, ma il nano guardava ora lei ora la stanza con una strana espressione, quasi sospettosa. Così, si affrettò a rassicurarlo:<< Certo che sono vera! Sono arrivata qualche ora fa >>
Bofur sbatté ancora le palpebre e, sempre più frastornato, si raddrizzò. Guardava Leviar come se non l’avesse mai vista prima, ancora con quell’aria di chi esita ad accettare la realtà. Poi, con un unico gesto, lasciò andare la gruccia, che scivolò rumorosamente sul pavimento, e fece per scendere dal letto. Ma la gamba malata lo costrinse a ritornare giù con un gemito rauco di dolore e frustrazione. Sollevò un braccio verso Leviar, anche se lei era già lì, anche se era già corsa da lui nel momento in cui aveva lasciato perdere la gruccia.
In un attimo si ritrovarono l’uno nelle braccia dell’altra, le mani che stringevano spasmodiche la stoffa come se temessero di vederla scomparire, le guance che si sfioravano, umide di lacrime e rosse per le risate di gioia incredula.
<< Sei qui >>ripeteva Bofur, la voce ancora roca. Le prese il volto tra le mani e la osservò come se volesse imprimersi nella mente ogni dettaglio.<< Sei qui! >>ripeté con più decisione. Le asciugò le lacrime coi pollici e le diede un bacio sulla fronte. Leviar avrebbe voluto chiudere gli occhi e abbandonarsi a un altro abbraccio, ma si costrinse a rimanere coi piedi per terra.
<< Come ti senti? >>gli chiese passandogli una mano sulla fronte ancora calda.
<< Come ferro che è stato battuto tutto il giorno >>bofonchiò Bofur. Lanciò un’altra, attenta occhiata attorno a sé.<< Non sono le Cave Mediche >>
<< Ti sei perso un po’ di cose, temo >>replicò Leviar con dolcezza.
<< Quanto tempo sono rimasto in queste condizioni? >>chiese lui mentre si rigettava sul cuscino e Leviar recuperava il panno e il catino con l’acqua.
<< Due mesi, ma c’è tempo per spiegarti tutto >>rispose lei sbrigativa tamponandogli la fronte.<< Vedi di non riaddormentarti, siamo intesi? >>
<< Non dormirò per almeno tre giorni >>esclamò Bofur. Si tastò alla cieca la gamba sinistra, e una smorfia gli increspò il volto.<< Fa ancora male >>mormorò stringendo i denti.
Anche Leviar abbassò lo sguardo sulla gamba, e subito scattò in piedi e corse alla porta, sotto lo sguardo spaesato di Bofur.
<< Dove vai? >>
<< A chiamare Bombur e Bifur. E magari a cercare un medico! >>esclamò Leviar senza ascoltare le proteste del nano.
 


Angolo dell’autrice:
Olè! Bofur si è risvegliato! Contenti? Accidenti che effetto che ha avuto Leviar, altro che unguenti e tisane! XD Vi sta piacendo la storia? Vi prometto che, ora che Bofur si è svegliato, diventerà più movimentata perché naturalmente i guai inizieranno da adesso! Perciò, fatemi sapere cosa ne pensate e come sempre grazie, grazie a chi legge e avrà voglia di commentare! Al prossimo capitolo! ^___^

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Capitolo 4
*** IV. ***


IV.


Il piede di Leviar ebbe uno scatto nervoso, dopo quasi mezz’ora che se ne stava seduta a braccia e gambe incrociate in salotto. Bifur, seduto di fronte a lei, la scrutò per un breve istante dall’altra parte del tavolo prima di tornare a lucidare un’aquila intagliata nel legno. Leviar provò a concentrarsi sulla scultura per ingannare l’attesa, ma i rumori che venivano dal piano superiore la richiamavano costantemente a quello che stava succedendo sopra di loro.
<< Ormai il medico dovrebbe aver finito la visita >>disse ad alta voce.
Bifur lanciò uno sguardo all’orologio sul camino che segnava l’una e dieci. Si alzò e aggiunse un altro ciocco di legno al fuoco, e vi rimase davanti per un po’, ignorando le scintille che gli sprizzarono davanti la barba.
Leviar sbuffò. Non era stanca, per quanto non dormisse da più di diciotto ore. Non appena aveva lasciato Bofur era corsa a dare la notizia del suo risveglio a Bombur e Bifur, e sarebbe anche andata a cercare il medico se Bifur non l’avesse ricacciata in casa facendole capire che ci avrebbe pensato lui. Nell’attesa, aveva preparato una cena veloce, e Bofur aveva appena cominciato a mangiare quando Bifur rientrò seguito da un nano con la barba bionda che, senza alcun convenevole, l’aveva fatta uscire dalla camera. Era successo tutto così in fretta, in quell’ultima ora, che Leviar aveva in corpo talmente tanta adrenalina da non sentire sonno, neanche stando seduta e ferma.
Poco dopo che era scesa, Bifur l’aveva raggiunta e, nonostante non potessero fare alcun tipo di conversazione, la sua presenza riuscì a rinfrancarla.
Un rumore pesante di passi fece voltare entrambi verso la porta, alla quale presto apparvero Bombur e il medico, che, scorta Leviar, le rivolse un inchino.
<< Elmin, al vostro servizio >>si presentò con un sorriso.
Leviar ricambiò, e subito fece per chiedergli di Bofur, ma Bombur la interruppe invitando Elmin a prendere una tazza di tè.
<< Volentieri, ragazzo! Dovrò scaldarmi per bene prima di uscire fuori. Quel ragazzo >>esclamò Elmin scuotendo la testa e alzando gli occhi al soffitto,<< sapevo che ha la pelle dura, ma non osavo sperare in una guarigione tanto repentina, considerando la sua influenza, poi! >>
<< Come sta ora? >>gli chiese Leviar.
<< È ancora febbricitante, ma il picco dell’influenza l’ha superato >>
<< E la gamba? >>
Bifur si avvicinò al tavolo, lo sguardo fisso su Elmin. Questo si strinse nelle spalle e rispose con deliberata lentezza:<< La ferita si è rimarginata da tempo, ma gli ci vorrà un po’ prima che possa tornare a camminare come una volta. Prima lascia quel letto, prima tornerà come nuovo. Ma sarebbe bene che gli si massaggi la gamba almeno una volta al giorno, per la circolazione >>
Leviar annuì, tirando dentro di sé un sospiro di sollievo. Bifur le diede un’affettuosa pacca sulla schiena e le indicò la porta con un cenno del capo. Elmin ridacchiò.
<< Ma sì, va’ a trovarlo! L’abbiamo lasciato alla sua cena, e penso che si sia stancato d’avere attorno solo uomini! >>
Leviar li ringraziò entrambi e cercò di lasciare il salotto con meno impazienza di quanta ne provava; ma, una volta sola nell’ingresso, salì le scale di volata. Solo davanti la camera di Bofur recuperò la calma: bussò ed entrò quasi timidamente.
La schiena poggiata sul cuscino, Bofur l’accolse con un gran sorriso, come se la stesse aspettando. Leviar avvicinò lo sgabello al letto, ma lui batté una mano sulla coperta con espressione eloquente, così che la ragazza si affrettò ad arrampicarsi al suo fianco.
<< Va un po’ meglio? >>chiese, accennando al piatto vuoto sul suo grembo.
<< Decisamente >>annuì Bofur con voce soddisfatta.<< Sai, sarà anche piena notte, ma mi sento come se mi fossi appena svegliato >>
<< Naturale! Sei rimasto in letargo per due mesi! >>rise Leviar.
Anche Bofur ridacchiò, ma si rifece subito serio mentre le accarezzava lentamente la guancia.
<< È strano… A volte ho l’impressione che sia passato un secolo dall’ultima volta che ti ho vista, altre che sia passato solo un giorno >>
<< L’importante è che adesso sono qui, no? >>
La mano di Bofur sulla sua guancia tremò appena, e lui abbassò lo sguardo, la fronte aggrottata come se si stesse decidendo a parlare o rimanere in silenzio.
<< Alcuni chiacchiereranno, temo >>
<< Scusa? >>
<< Sei venuta dalle Montagne Azzurre, da sola, in pieno inverno per vedere me >>continuò Bofur guardando le coperte.
<< Continuo a non capire >>disse Levier, sinceramente perplessa.
<< Insomma, uno si sarebbe aspettato che saresti andata dritta dalla tua famiglia e, ecco… non vorrei che ti ritrovassi al centro di qualche pettegolezzo >>spiegò a fatica Bofur.
Leviar fu talmente colpita da tutti quegli scrupoli che le venne da ridere. Bofur risollevò gli occhi su di lei, stupito.
<< I nani non sono così pettegoli, Bofur! >>esclamò lei con serenità.<< Se qualcuno me lo chiederà, risponderò che è stato tuo fratello a chiamarmi qui. Non ci sarà nessuna voce, sta’ tranquillo! >>
<< Non è per me che mi preoccupo, ma non voglio che qualcuno pensi male di te >>borbottò il giocattolaio.
Leviar ebbe la sensazione che una fiamma le si fosse accesa nel petto, mozzandole il respiro ma donandole allo stesso tempo un profondo benessere. Senza pensarci su, cinse con le braccia il collo di Bofur e mise il volto nell’incavo della sua spalla.
Sempre più basito e imbarazzato, il nano si irrigidì. Due secondi dopo, tuttavia, stava ricambiando l’abbraccio, e Leviar mormorò:<< Ignorerò qualsiasi pettegolezzo >>. Sentì Bofur inspirare come sul punto di voler dire qualcosa, ma un attimo dopo tornò a rilassarsi, limitandosi ad accarezzarle i capelli. Erano movimenti leggeri e lenti, quasi ipnotici, e chiudendo gli occhi Leviar si lasciò cullare, ormai incapace di capire chi fra loro due avrebbe dovuto in realtà rassicurare l’altro.
Fu solo quando sentì un respiro caldo accompagnato da un bacio irsuto sulla fronte che, in una remotissima parte della sua testa, capì di essersi finalmente addormentata.
 

 
Angolino dell’autrice:
Bon! Finito anche questo capitolo! Che ne pensate? A essere sincera, non mi convince al 100%, ma volevo creare un breve intermezzo prima del prossimo cap., dove la scena finalmente lascerà la camera da letto. Come vi sono sembrati Bofur e Leviar? La storia vi sta interessando? Spero di sì, e spero che avrete abbastanza pazienza per aspettare il prossimo cap. (non so con precisione quando arriverà, è ancora in stile “working in progress”).
Scemenze a parte, come sempre ringrazio tutti coloro che decidono di concedere il loro prezioso tempo alla mia fanfic, leggendo o anche commentandola. Grazie, grazie, grazie!
E alla prossima! ^___^

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Capitolo 5
*** V. ***


V.



Il mattino seguente Leviar fu svegliata da un fastidioso indolenzimento che le fece schioccare le ossa non appena si stiracchiò. Nella penombra qualcuno ridacchiò, e a lei ci volle qualche secondo per capire di essere distesa sul divano in salotto. Sbirciando da sopra la spalliera, vide Bombur seduto al lungo tavolo a far colazione e, pur non potendogli vedere il volto, era sicura che stesse ancora sorridendo. Ma il profumo di caffè e biscotti le ricordò quanta fame aveva; nel giro di pochi minuti si ritrovò bella e pronta accanto al nano, che le spinse sotto il naso piatti di dolcetti e focacce e una tazzona di latte fumante.
<< Tè, zucchero, caffè >>elencò allungandosi sul tavolo per avvicinarglieli.<< Serviti di tutto quel che vuoi >>
Leviar quasi rise per la finta pomposità con cui aveva parlato. Bombur terminò la sua focaccia glassata e iniziò a sparecchiare le proprie stoviglie.
<< Bifur e io abbiamo risistemato una bottega verso i livelli superiori di Erebor, però ci siamo sempre alternati al lavoro per non lasciare Bofur da solo, viste le sue condizioni. Io vado oggi pomeriggio. Se vuoi, te la faccio vedere >>
<< Magari! >>esclamò Leviar. Rispetto a poche ore prima si sentiva davvero leggera e serena.<< Bofur si è riaddormentato, poi? >>
<< Sì, non è incredibile? Avrei giurato che sarebbe rimasto in piedi almeno tre giorni di fila! Comunque, sono salito prima e ancora dormiva >>Bombur le scoccò un’occhiata in tralice e sorrise sotto i baffi, come se avesse intuito l’intenzione di Leviar di sgattaiolare di sopra.<< Andrò a ricontrollarlo fra poco >>
Leviar finì di bere e prese un ultimo biscotto.
<< Stamattina passerò dai miei cugini, allora. Non sanno nemmeno che sono qui >>Un vago senso di panico si unì a quello di colpa al pensiero dei rimproveri di Dori, e quasi esitò ad alzarsi se Bombur non avesse finito di sparecchiare.
Anche il nano aveva assunto un’aria colpevole: neanche lui aveva detto a Ori, Nori e Dori che aveva chiamato loro cugina senza prima interpellarli.
<< Saranno felici di rivederti >>disse soltanto.
Leviar annuì con un sorriso tirato: felici di rivederla sì, ma non dopo aver saputo che aveva dormito a casa di Bofur. Fu in balìa di questi pensieri che si mise il mantello e uscì in strada, scoprendola più trafficata e viva della sera prima. Seguendo alcuni nani che la risalivano spingendo carriole cariche di terra o trascinando sacchi, Leviar passò davanti a molte persiane e porte spalancate attorno alle quali i bottegai già avevano esposto la merce in vendita. Avrebbe giurato di essere ancora sulle Montagne Azzurre se non fosse stato per la luce: come quella dell’esterno ma più affievolita, smorzata dalle rocce che penetrava. Sollevando lo sguardo, la ragazza scorse, a centinaia di metri di altezza, ampi fori nella montagna che lasciavano entrare il sole come tanti lucernai.
Man mano che andava avanti, il rumore e le voci aumentavano d’intensità. Alla fine della lunga fila di costruzioni, Leviar raggiunse un ampio ponte completamente restaurato dal quale si diramavano altri ponti minori come se fosse una ragnatela di pietra lucida. La nana gettò distrattamente uno sguardo attorno a sé, per poi tornare a guardare in basso, a bocca aperta.
Il ponte si affacciava proprio sull’ingresso principale, molti metri più in basso, brulicante di operai arrampicati sui ponteggi e di nani che trainavano, senza particolare sforzo, blocchi di pietra o facevano rotolare davanti a sé enormi botti. Dalle porte spalancate affluivano nani, carri e uomini, e il chiasso che arrivava da laggiù era talmente forte che Leviar si stupì per non averlo notato subito.
Rimase a guardare alcuni minuti, finché non si ricordò di essere arrivata lì per cercare Balin: Bombur le aveva assicurato che sarebbe stato lui ad accompagnarla dai cugini. Ma del vecchio nano nessuna traccia, e Leviar iniziò a chiedersi se non avesse fatto prima a trovare da sola Ori e gli altri. Marciò avanti e indietro cercando di non farsi trascinare via dal flusso di nani che continuava ad aumentare sul ponte, e alla fine, con sollievo, scorse Balin agitare un braccio in mezzo alla ressa.
<< Buongiorno, mia cara!>> la salutò quanto l’ebbe raggiunto.<< Perdona il ritardo, spero di non averti fatto aspettare troppo >>
<< Ero appena arrivata >>mentì Leviar.<< Mi stavo guardando attorno… Avete fatto molto in soli due mesi! >>
<< Ricorda che siamo dei Durin! Non potevamo certo farci spaventare da una città da ricostruire >>rise Balin mentre si immettevano in un ponte minore, affollato come il primo.<< Anche se, in realtà, senza l’aiuto degli uomini di Bard a quest’ora staremmo ancora in alto mare. Non pensavo che si sarebbero dimostrati così pronti ad aiutarci, dopo la faccenda del tesoro, ma sono lieto di vedere che ci sono ancora popoli gentili >>
<< Com’è la situazione, qui? >>chiese Leviar, costretta a distogliere lo sguardo dall’ingresso della Montagna per risalire una scalinata che portava nella direzione opposta.
<< Siamo molto realisti >>rispose Balin, ora più serio, la fronte corrugata.<< Sappiamo tutti quanto sia difficile rimettere in sesto una città come Erebor, e dopo la battaglia ancora non osiamo sentirci completamente tranquilli. Immagino tu non sappia che cos’è successo dopo la vittoria, vero? >>
Leviar scosse la testa, incuriosita, e Balin le raccontò brevemente di come Dain Piediferro fosse salito al trono dopo la morte di Thorin, Fili e Kili e avesse iniziato a riallacciare solidi rapporti con le altre razze, primi fra tutti gli uomini. Fu un racconto molto conciso, in realtà, considerando anche le pause che Balin si concesse quando menzionò i suoi vecchi compagni di viaggio. Aveva appena terminato quando si fermò all’inizio di una strada che si affacciava, su un lato, sul cuore della Montagna ed era costeggiata, dall’altro, da case.
<< Spero mi perdonerai se sono stato approssimativo >>disse volgendo verso Leviar uno sguardo lucido,<< ma siamo già arrivati. I tuoi cugini abitano in quella casetta con la porta e le persiane verdi >>
Guardando, Leviar non riuscì a trattenere un sorriso: le stesse persiane e la stessa porta della loro casa sulle Montagne Azzurre. Balin le batté gentilmente sulla spalla e lei lo fissò interrogativa.
<< Non vuoi entrare un attimo? >>
<< Dain oggi vuole discutere su un progetto per aprire un’altra entrata, e come membro del suo consiglio non posso tardare >>spiegò il vecchio nano facendole l’occhiolino.
Ma, quando se ne fu andato, Leviar rimase qualche minuto davanti il portone dei suoi cugini, rimpiangendo di non poterlo avere al proprio fianco quando sarebbe entrata.
Bussò.
Nessuno diede segno di essere in casa, anche se le persiane erano socchiuse. Leviar cercò di sbirciare al piano terra, attraverso le pesanti tende, finché la porta non si aprì lasciando uscire Nori.
<< Per l’incudine di Mahal! >>urlò, gli occhi spalancati, e per qualche secondo perse la parola, continuando a fissare la cugina a bocca aperta e somigliando sempre più a un pesce in apnea.
<< Ciao! >>Leviar lo abbracciò, non tanto perché fossero soliti scambiarsi simili gesti quanto piuttosto nella speranza di “sbloccarlo”. E funzionò. Nori ricambiò brevemente l’abbraccio e poi, sempre con quell’espressione incredula, l’allontanò per osservarla bene.
<< Cosa… co-come hai… >>riuscì a balbettare. Tacque, prese un respiro e disse:<< Quando sei arrivata? >>
<< Ieri sera >>
<< E cosa… cosa fai qui? >>
<< Volevo vedervi >>Leviar accennò all’uscio semiaperto.<< Dori e Ori sono in casa? >>
<< Ma certo! >>Nori sussultò. Mosse qualche passo, incerto, prima di decidersi a far entrare la ragazza in un salottino con morbide poltrone e un tavolo con su incisi tratti fini ed eleganti, di quelli che piacevano a Dori. Da qualche parte della casa proveniva una diffusa e bassa confusione, ma Leviar non ebbe il tempo di fare domande che Nori la lasciò davanti il caminetto già accesso per scomparire oltre una porta ad arco che dava su un atrio con le scale a chiocciola.
La nana si guardò attorno, e sorrise ancora: avevano arredato quella casa proprio come quella che avevano lasciato, tanto che quasi dimenticò di essere a Erebor. Furono i visi sconvolti di Ori e Dori a riportarla alla realtà. Nonostante l’ansia per quando avrebbero scoperto dove aveva passato la notte, Leviar provò un’immensa gioia nel rivederli, e soprattutto nello scoprire che non erano cambiati affatto, se non fosse stato che la barba bionda di Ori si era infoltita e ora era sollevata sopra un sorriso incredulo.
Nei minuti che seguirono fu piuttosto difficile per Leviar raccontare il viaggio per la Montagna Solitaria, visto che i cugini la interrompevano continuamente per commentare o chiederle come stavano i loro conoscenti.
<< E quindi hai deciso di venirci a trovare così, di punto in bianco? >>esclamò Dori.
 A Leviar quasi andò di traverso il tè che le aveva servito. Sollevò lo sguardo sul cugino, che ora la osservava con intensità, come se poi non ne avrebbe più avuto l’occasione, e Leviar capì che stava iniziando a fare due più due, anche se non aveva ancora menzionato Bofur.
<< Era da tanto che non vi facevate sentire >>disse a mo’ di scusa.<< Ho pensato di far prima a venire di persona piuttosto che a scrivervi >>
Ori annuì, pienamente convintio, e Leviar ebbe solo il tempo di rivolgergli un sorriso di gratitudine prima di irrigidirsi sotto lo sguardo che Nori e Dori si scambiarono.
<< Leviar >>disse Nori,<< ci fa piacere che tu abbia affrontato un viaggio tanto lungo e pericoloso, ma avremmo preferito che ne avessimo discusso prima: sai che hai corso molti rischi, vero? >>
<< Sì >>esalò Leviar, incredula: tutto qui?
Evidentemente sì, perché Nori si limitò a darle un rapido buffetto sulla guancia prima di andare sul retro a spaccare la legna. Dori le lanciò un’ultima occhiata inquisitoria, ma non fece altro domande e, lasciato il fratello minore a occuparsi del pranzo, l’accompagnò di sopra,
<< Ti piace la casa? >>le domandò mentre attraversavano un corridoio ben più elegante di quello della casa di Bofur.
<< Molto >>rispose Leviar, guardinga, ma tutto quel che fece il cugino fu aprire la porta di una stanzetta spoglia ma luminosa e calda, grazie alla canna fumaria che le passava accanto,
<< Nell’armadio troverai delle coperte. Ho voluto anche una stanza per gli ospiti, ma andrà bene anche per te. Per quanto tempo pensavi di fermarti? >>
<< In realtà, non ci ho pensato >>ammise Leviar.
<< Be’, poco importa! Resta quanto vorrai. Dopotutto, non è stato un viaggio da poco. A proposito, sei venuta senza bagagli? >>
Leviar sbarrò gli occhi. Inorridita, spostò lo sguardo dalla propria mano, vuota, al cugino che la osservava in attesa. Deglutì: ecco, era ora di sputare il rospo.
<< Ecco, li ho… li ho lasciati da… Bombur >>
Dori aggrottò la fronte.
<< Potresti spiegarmi? >>
<< Ecco… ieri, quando sono arrivata, sono passata da Bombur e lui mi ha ospitata e… stamattina nella fretta ho lasciato tutto da lui >>
<< E perché non sei venuta direttamente da noi, ieri? >>
<< Perché volevo sapere come stava Bofur >>confessò Leviar, decidendo all’istante di non menzionare la lettera che Bombur le aveva scritto.
Dori inspirò profondamente, il viso via via sempre più paonazzo, e Leviar ebbe l’impressione che si stesse trasformando in un gigante mentre lei si appiattiva contro lo stipite.
<< Era questa la tua prima preoccupazione? Sei partita dalle Montagne Azzurre in compagnia di carpentieri, fabbri e altri uomini per vedere quel tipo? >>sbottò il nano con voce acuta.
<< C’erano anche delle donne >>ribatté Leviar.<< E poi, pensavo che Bofur fosse tuo amico: adesso è “quel tipo”? >>
<< Tu… tu non capisci, vero? >>farfugliò Dori, il viso ormai simile a un pomodoro maturo.<< Ti sembra normale che una ragazza – nubile, per giunta! – agisca così? Cosa penserà la gente? >>
<< Non è necessario che lo sappiano tutti i Durin della Terra di Mezzo! >>esclamò Leviar, che iniziava a spazientirsi.<< Oppure vuoi andare tu a raccontarlo? >>
Dori chiuse di scatto la bocca, come se temesse di esser stato udito dai vicini. Leviar avrebbe preferito spingerlo fuori e rintanarsi nella camera, ma non poteva lasciarlo andare via senza aver prima provato a calmarlo.
<< Ve l’avrei detto, ma pensavo vi interessasse di più sapere com’era andato il viaggio >>disse.<< La casa di Bombur sta all’inizio di Erebor, e quando ci siamo visti mi ha detto che Bofur era malato, così sono rimasta ad aiutarli, e Bombur mi ha proposto di restare da loro per la notte. Ma è ovvio che poi sarei venuta da voi >>
<< Me lo sentivo che c’era qualcos’altro sotto >>borbottò Dori, più a se stesso. Prese un altro respiro e spinse la cugina nella stanza.<< Sistemala come più ti piace. Io vado a prendere la tua roba >>
<< Ma…>>
<< Vado io >>scandì Dori.<< Al mio ritorno voglio trovarti qui, chiaro? >>
<< Cerca di non strapazzarli! >>esclamò Leviar, ma non fu sicura che Dori l’avesse sentita perché, prima che finisse di parlare, già si era richiuso con forza la porta alle spalle.
 


Angolino dell’autrice:
Yeah! Siamo tornati! Perdonate quest’immenso ritardo, ma fra una cosa e l’altra ho dovuto approfittare delle vacanze per aggiornare! Chiedo umilmente perdono!
Spero che vi sia piaciuto questo cap. Finalmente Leviar ha riabbracciato i cugini, e naturalmente Dori non ha preso molto bene la sua nottata a casa di Bofur. Ammetto che non vedevo l’ora di scrivere il dialogo fra i cugini, e spero di aver reso decentemente l’atteggiamento di Dori nei confronti di Leviar.
Insomma, come sempre fatemi sapere cosa ne pensate! Intanto, vi auguro in ritardo (guarda un po’) buon Natale e in anticipo buon anno!!!
A presto!!! ^___^

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Capitolo 6
*** VI. ***


Angolino dell’autrice:
Benritrovati/e a tutti quelli che perseverano nel leggere questa storia! Per riscattarmi dal ritardo con cui ho aggiornato l’ultimo capitolo, stavolta ho bruciato le tappe ed eccomi qui con un nuovo incontro fra Bofur e Leviar, nel quale ho messo tutto il mio amore >_> (ma non voglio anticiparvi niente XD). Spero gradirete! Ringrazio chi leggerà, chi metterà la storia nelle preferite e/o seguite e chi commenterà.
Buona lettura! ^___^
 
 

VI.
Dori non perse tempo a riferire tutto ai fratelli, così che, quando ebbe il permesso di scendere a pranzo, Leviar si ritrovò addosso due paia di occhi in più che la fissavano sconvolti. Non era bastata un’altra ramanzina di Dori quando era ritornato col suo bagaglio, quindi.
Nori provò più volte a prendere la parola, ma o non riusciva a esprimere quel che pensava o temeva solo che avrebbe finito col provocare Dori. Preoccupazione inutile, considerando che il più anziano dei tre fratelli era per natura predisposto alle polemiche.
<< Ho trovato Bofur in perfetta salute >>commentò infatti questo mentre si serviva di carne alla brace, senza sollevare gli occhi dal piatto.
<< Quand’è guarito? >>domandò Ori.
<< Stanotte >>rispose Leviar, e Dori ridacchiò beffardo:<< Che combinazione! >>
<< Se l’hai davvero visto avrai notato che è ancora convalescente >>lo rimbeccò Leviar.
<< E ancora immaturo >>aggiunse il cugino.<< Per lui, sembra non sia successo nulla di scandaloso >>
<< Sei tu che stai trasformando tutto in uno scandalo! Ho dormito sul divano, per tua informazione >>
La forchetta di Dori cadde con un tintinnio mentre lui puntava un dito contro la cugina.
<< Non mi importa. Anzi, stammi bene a sentire perché non mi ripeterò: non saresti proprio dovuta restarci, là! >>
<< Ma perché non ti fidi della famiglia di Bofur? Ne avete passate tante, insieme, o no? >
<< Qui non c’entrano nulla le nostre avventure. È la rispettabilità della nostra famiglia che ora dobbiamo difendere, grazie a te >>
Leviar li guardò uno a uno: le parve di leggere la delusione negli sguardi che le restituirono, perfino in quello di Ori. Le passò l’appetito, ma non dovette abbandonare tragicamente la tavola: per sua fortuna, erano ormai arrivati alla fine del pranzo e Ori si stava alzando per sparecchiare. La nana decise di approfittarne.
<< Faccio io >>esclamò strappandogli i piatti di mano.<< Voglio iniziare a darmi da fare. In fondo, sono venuta anche per aiutarvi >>
Ori ebbe un attimo di esitazione, poi sorrise.
<< Allora io me ne torno a lavorare alle Memorie del nostro viaggio >>esclamò raggiante.
<< Memorie? >>
<< Sì. Balin mi ha chiesto di mettere per iscritto tutto, dalla partenza dalla Contea fino alla riconquista di Erebor. Entreranno negli Annali dei Durin >>spiegò il giovane nano, il petto gonfio d’orgoglio.
<< E ha pensato a te? Ma è magnifico! >>sorrise Leviar: sapeva quanto Ori fosse bravo a scrivere… addirittura più bravo che in qualsiasi altra attività nanica.
<< Lo so! Però pensavo fosse più facile; non credevo ci fossero tanti dettagli da dover ricordare >>disse Ori, con meno entusiasmo. Sollevò lo spalle.<< Be’, allora vado. Grazie per l’aiuto! >>
Leviar lo guardò andar via ancora col sorriso sulle labbra, ma quel senso di leggerezza si dissolse in un attimo quando si diede un’occhiata attorno nella sala ormai vuota. Quasi stava per rimpiangere di aver lasciato le Montagne Azzurre… A quel pensiero, scosse con forza la testa e andò in cucina per distrarsi un po’, nonostante a ogni piatto che insaponasse le tornavano in mente le parole di Dori, facendole strofinare le stoviglie con più energia del necessario.
<< A-ehm >>
A Leviar quasi sfuggì di mano un bel bicchiere dai riflessi azzurrini. Si voltò. Nori la osservava appoggiato allo stipite della cucina.
<< Sai >>esordì, gli occhi puntati sulle ultime foglie di tabacco che stava pigiando nella pipa,<< quando ti ho vista, stamattina, un po’ me l’aspettavo che non eri venuta solo per noi >>
Leviar lo guardò senza capire, ma Nori decise di prender tempo accendendosi la pipa, un’operazione che riuscì a far durare molti lunghi secondi.
<< Di te non ne ero tanto sicuro, perché non ne abbiamo potuto parlare dopo che eravamo partiti >>riprese con voce incerta,<< ma che Bofur avesse sviluppato un certo interesse per te era palese >>
<< Intendi che vi ha… che ve l’ha detto lui? >>si affrettò a domandare Leviar.
<< Non proprio >>Nori tirò una lunga boccata fuori dalla porta.<< Ogni tanto ti nominava. Voleva parlare di te, sapere meglio che tipo eri… Diceva che, quando è stato nostro ospite, gli avevi fatto una buona impressione >>
Leviar ripensò automaticamente al loro primo bacio nell’ingresso della loro casa, la vigilia della loro partenza. E Bofur le aveva pensato per tutta la durata della missione? Ricacciò indietro un sorriso gioioso e imbarazzato e tornò a suo cugino.
<< Non capisco perché ve la stiate prendendo tanto, però. Sì, d’accordo, non avrei dovuto dormire da Bofur, ma era tardi e Bombur voleva sdebitarsi. Perché non vi piace Bofur? >>
<< Non è questo. È che… be’, Dori è geloso e non gli va giù che tu possa innamorarti di uno che, a suo parere, è immaturo e… inadatto a te >>spiegò Nori non senza difficoltà.
<< È solo questo? >>esclamò Leviar. Sentì la rabbia risalirle dallo stomaco; gettò via la pezza e fece per andare a cercare Dori, ma Nori le pose una mano sulla spalla, fermandola.
<< Sbollirà da solo, ma tu non andare a provocarlo >>
<< Vuol dire che non potrò vedere chi voglio, però, visto il modo in cui ragiona! Bofur immaturo! A me è sembrato tutto tranne che immaturo! Pensavo lo conosceste! >>
<< Non esagerare, adesso! Non ti terremo mica rinchiusa: cerca solo di non far arrabbiare di nuovo Dori >>esclamò Nori, colpito.
<< E riguardo Bofur? Tu cosa ne pensi? >>gli chiese Leviar.
Nori si irrigidì e tirò due boccate nervose, ma la nana incrociò le braccia, facendogli chiaramente capire che era disposta ad aspettare una sua risposta anche fino al giorno seguente.
<< Sappiamo tutti che Bofur è un nano in gamba >>rispose alla fine Nori, con molta esitazione.<< Però mi piacerebbe che riflettessi bene prima di… be’, prima di dargli qualche speranza >>
Dettò ciò, Nori quasi scappò via, lasciandosi dietro una lunga scia di fumo e una cugina completamente senza parole.
 
Sebbene il loro primo incontro non fosse stato dei più gai e pacifici, nei giorni seguenti Leviar ebbe davvero tanto da fare nell’aiutare i cugini. Che restasse a casa a preparare il pranzo per Dori e Nori quando lavoravano in cantiere o sistemasse le decine di fogli che Ori seminava in ogni stanza in cui entrava, riuscì a dimenticare la discussione con Dori. La sua unica distrazione fu l’aver rivisto Balin, ma il vecchio nano era sempre così impegnato con gli affari di re Dain che riuscirono a scambiarsi solo poche, frettolose parole.
<< Ti annoi, vero? >>
Leviar sollevò la testa nell’istante in cui Nori afferrò la scatola di chiodi che gli stava porgendo. Avevano trascorso l’intero pomeriggio a sistemare porte e architravi nei pressi dell’ingresso di Erebor, e ora il sole morente gettava fredde ombre fra le abitazioni, ma il rumore dei martelli e le urla dei nani erano ben lontani dall’arrestarsi.
Leviar alzò le spalle.
<< Potrei anche fare di più, oltre che passarti quel che ti serve >>
<< Hai ragione, ma in due ci intralceremmo soltanto >>sorrise Nori.
La cugina guardò gli altri tre nani che lavoravano ciascuno a una porta di quello che sarebbe diventato un magazzino, lavoro da completare entro sera. Nori le lanciò un’ultima, attenta occhiata prima di pescare un chiodo e dire:<< Dai, qui posso finire da solo. Tu va’ pure a farti un giretto. Sarà meno noioso che restare qui >>
<< Ahhh, grazie, grazie, grazie! >>Leviar gli mandò un bacio e corse via, come se fosse rimasta chiusa in prigione per anni e anni. Non sapeva bene dove andare, ma, osservando gruppetti di bambini che giocavano fra strade e vicoli, le venne in mente di poter fare un giro fra le poche botteghe aperte.
Fu quando passò davanti una salita familiare che si ricordò di Bofur, e i piedi, meccanicamente la condussero da quella parte. In un attimo, risentì le parole dei cugini ma, si disse mentre la casetta a due piani appariva alla vista, non poteva certo evitare Bofur e la sua famiglia finché sarebbe rimasta a Erebor.
Nessuno, tuttavia, le venne ad aprire quando bussò. Le finestre erano tutte chiuse, ma dal comignolo saliva una leggera spirale di fumo. Riprovò, e una finestra si aprì alle sue spalle.
<< Sono tutti al negozio, se stai cercando i giocattolai >>la informò una nana che si appoggiò al davanzale per osservarla con vivo interesse.
<< E dove lo trovo il negozio? >>
La nana puntò un dito giù per la strada.
<< Prendi la seconda scalinata a destra sul ponte principale. Devi arrivare al secondo livello, ma non è lontano dall’Ingresso >>
Leviar ringraziò e tornò indietro, impaziente e un po’ agitata al pensiero di poter incrociare Dori, anche se a quell’ora le strade erano molto più tranquille, coi nani che, se non stavano al chiuso di qualche bottega, erano tutti sparpagliati nei cantieri. Non le ci volle molto per trovare il negozio di giocattoli: in una stradina pulita e illuminata da alcuni bracieri poggiati alle pareti si ergevano alcune botteghe, tutte però con le porte chiuse. Leviar si avvicinò a un pesante portone di legno, sovrastato da un’insegna decorata a colori vivaci e disegni di giocattoli di ogni tipo.
Bussò con energia.
Fu nientemeno che Bofur ad aprirle, poggiato con pesantezza su una gruccia, il viso leggermente sudato alla luce delle lampade.
<< Leviar! >>esclamò con un sorriso.<< Ma dov’eri finita? Sono giorni che non ti fai vedere! >>
<< Ma non dovresti risposare? >>replicò invece Leviar vedendolo tremare mentre si spostava per farla entrare.
<< È quello che gli ho detto anch’io, ma mio fratello è più testardo di un mulo >>le rispose la voce di Bombur.
Leviar lo cercò con lo sguardo: la bottega non era molto grande, o forse le dava quest’impressione per via dei due larghi banconi che ne occupavano due lati e degli scaffali carichi di giocattoli di ogni sorta. La nana quasi non notò Bombur, seduto dietro una pila di scatole e chino su quello che sembrava un cavallino di legno.
<< Sono stanco di riposare >>sbuffò Bofur, alzando le spalle con fare annoiato. Avanzò zoppicando sotto la luce. Leviar sentì un tuffo al cuore: non lo vedeva da una settimana, ma le pareva che i segni di stanchezza e dolore sul viso del nano fossero più marcati di prima.
<< Come mai questa visita, Leviar? >>
La ragazza distolse a fatica lo sguardo da Bofur per rispondere al fratello.
<< Volevo vedervi: me ne sono andata senza neanche ringraziarvi >>
<< Non preoccuparti! Quando è venuto a prendere le tue cose, Dori ci ha ringraziati anche a nome tuo >>la rassicurò Bombur.
<< Davvero? >>Leviar non riuscì a trattenersi: ora che ci pensava, Dori non le aveva affatto detto com’era andata quella “visita”, tanto era arrabbiato con lei e i suoi ospiti.
Un grugnito di conferma annunciò l’arrivo di Bifur da una porticina laterale e semicamuffata nella parete. Il nano posò sul banco una scatola piena di giocattoli malandati, alcuni dei quali addirittura rotti. Per nascondere l’imbarazzo, Leviar si avvicinò e ripescò un soldatino con una gamba scheggiata.
<< Non sono vostri, vero? >>notò dando un’occhiata ai balocchi esposti attorno a lei.<< Sembrano diversi da quelli che avete qui >>
<< Erano del giocattolaio che lavorava qui prima di Smaug. Vogliamo riparare tutti i giochi che abbiamo trovato in negozio, o, almeno, quelli recuperabili. Alcuni sono davvero ben fatti che sarebbe un peccato buttarli >>spiegò Bofur tornando a sedersi con un basso ringhio.
Leviar osservò ogni suo movimento, e dopo l’ennesima smorfia che vide sul suo volto scoccò un’occhiata di rimprovero a Bombur, che si strinse nelle spalle.
<< Be’ >>borbottò allora la ragazza dopo una pausa,<< tornerò a trovarvi quando sarete meno impegnati, che ne dite? >>
<< Non essere sciocca! >>esclamò subito Bombur con tono burbero.<< Siediti e raccontaci come ti stai trovando a Erebor! Ci farà bene avere un viso nuovo con noi >>
Bifur annuì e offrì a Leviar il proprio sgabello, per poi appollaiarsi comodamente sul bordo di un banco, afferrare un piccolo scalpello e un soldatino di legno e guardarla con impazienza, gli occhi sgranati. Leviar non seppe se ridere o provare imbarazzo: le parole di Bombur avevano risvegliato l’attenzione dei suoi compagni. La fissavano tutti, ora, in attesa. Con un sorriso appena accennato, Leviar ripose il soldatino e cercò di trovare le parole più adatte per far apparire interessanti le giornate monotone che aveva trascorso aiutando i cugini.
I tre nani la ascoltavano in silenzio e con interesse, senza interromperla ma tenendo sempre lo sguardo sul proprio lavoro, come se da tempo avessero atteso qualcuno che offrisse loro come sottofondo il resoconto delle proprie giornate. Leviar non poté fare a meno di sentirsi lusingata da tutta quell’attenzione che le stavano dimostrando, anche se, mentre parlava, non poteva evitare di sbirciare Bofur. Come gli altri due, anche lui era concentrato su quello che sembrava un cubo malformato di legno. Teneva la gamba convalescente distesa davanti a sé, e di tanto in tanto una vaga smorfia gli oscurava il viso. Nell’osservarlo, alla fine Leviar non resistette più: spinse verso di lui il proprio sgabello e, ignorando il suo sguardo attonito e le proteste, vi poggiò su la sua gamba.
Sentendosi il viso leggermente arrossato, alzò gli occhi su Bofur, che ricambiò ancora sconvolto e, come lei, con le guance imporporate.
<< Il medico ha detto che non devi sforzarti >>spiegò lei fissandosi le mani,<< e se tieni la gamba in quel modo potresti rallentare la guarigione >>
<< Sono… mi sono distratto >>bofonchiò Bofur con un sorriso imbarazzato.
Per togliersi da quella situazione, Leviar indicò il cubo posato davanti a lui. Il nano colse al volo l’occasione e le mostrò la testa di lupo che stava scolpendo. Era ancora un abbozzo: era stata intagliata solo la parte superiore, dalla quale Bofur aveva già ricavato un paio di orecchie irte, coi peli rizzati e folti.
<< Mi porterà via un paio di giorni, se voglio fare un buon lavoro >>disse, la voce più disinvolta.
<< E riesci a scolpire un lupo senza un disegno? >>esclamò Leviar, ammirata.
<< Ne ho visti anche troppi, di lupi, negli ultimi tempi >>si schermì Bofur, con una risatina, ma evidentemente fu un movimento troppo brusco per la sua gamba, perché in un secondo il sorriso si trasformò in un basso gemito.
Leviar scattò verso di lui, ma il giocattolaio si raddrizzò prima che potesse aprir bocca.
<< Va tutto bene >>la rassicurò, boccheggiante.<< Non mi abbatto per così poco >>
<< Saresti dovuto restare a casa >>
<< Non ce la facevo più a restare lì, anche se Bifur e Bombur si alternavano per non lasciarmi solo >>ribatté lui con voce insolitamente dura.<< Dovevo uscire >>
<< E i massaggi alla gamba? Almeno quelli li fai? >>
Bofur tossicchiò e riprese lo scalpello, di colpo ammutolito.
<< Non li fai? >>esclamò Leviar. Indignata, si voltò per rimproverare Bombur, ma Bofur la bloccò prima che potesse dire alcunché.
<< È solo colpa mia: a sera sono così stanchi che non voglio dargli ulteriori noie con questa bamba >>sussurrò.
<< E allora te li farò io >>Le parole le uscirono di bocca prima che si rendesse conto del loro significato. Pur senza vederlo, Leviar avvertì Bofur trattenere bruscamente il respiro e le proprie guance avvampare più di prima. Concentrò la propria attenzione sulla testa di lupo, ostentando tutta la tranquillità di cui era capace – o almeno era quello che sperava.
<< Non occorre >>riuscì a dire Bofur dopo alcuni secondi di apnea.
<< Sì, invece >>ribatté Leviar, il senso di responsabilità di nuovo più forte dell’imbarazzo.<< Da solo non puoi fare un lavoro preciso >>
<< Non… devi scomodarti >>farfugliò il nano, tornando a scolpire con mani incerte.<< Hai già fatto molto per me, senza contare che… be’, non dovresti >>concluse a voce bassissima, tanto che Leviar, suo malgrado, dovette avvicinarsi per udirlo.
Ma quelle parole la misero in allarme e finalmente la fecero voltare verso Bofur. Il giocattolaio tenne gli occhi fissi sul legno, studiandolo come se stesse cercando di ritrovare il punto in cui aveva interrotto il lavoro.
<< Non ti starai facendo degli scrupoli per i miei cugini, vero? >>mormorò lei e, senza aspettare risposta:<< È una cosa che farei per chiunque. Il dottore si era raccomandato che massaggiassi la gamba per la circolazione, e visto che l’unica a preoccuparsene è la sottoscritta, allora ci penserò io >>concluse con forza.
Bofur aprì la bocca, ma non gli venne in mente nient’altro con cui ribattere, perciò si limitò a mormorare un imbarazzatissimo << Grazie >>. Soddisfatta, e ancora abbastanza rossa in viso, Leviar lo osservò riprendere il lavoro con mano più ferma, nonostante per molti minuti non si scambiarono né uno sguardo né una parola.
Leviar perse la cognizione del tempo: fuori dall’unica finestra si vedeva ormai soltanto buio, ma non sapeva dire con precisione che ora si fosse fatta.
<< Forse dovrei andare >>disse alla fine, dopo averci rimuginato su.<< I miei cugini saranno tornati a casa, e se non mi vedono potrebbero preoccuparsi >>
Bombur si riscosse e la fissò quasi spaventato.
<< Possiamo chiederti un ultimo favore? >>le chiese con sguardo supplichevole.<< Riaccompagneresti Bofur a casa? >>
Leviar cercò di nascondere la propria sorpresa e confusione, ma era davvero troppo scortese rifiutare, anche dopo che Bofur aveva rimproverato il fratello per quella richiesta così egoista.
<< Oh, andiamo! Sei esausto, ti si legge in faccia >>sbottò Bombur. Afferrò Bofur per un braccio e lo tirò su come se fosse un fuscello, poi gli ficcò sotto il braccio la gruccia e lo costrinse ad andare alla porta.
<< Per me non è un disturbo >>rassicurò Leviar una volta che furono usciti – o meglio, stato sbattuti – in strada.
<< Certo che lo è >>borbottò Bofur.<< Ti farò soltanto perdere tempo >>
<< Io non ho fretta >>replicò serenamente la nana, ma, in cuor suo, già prevedeva nuovi rimproveri per quando sarebbe rincasata.
Si era fatto davvero tardi. L’aria nella montagna era più fredda e secca e, dove non arrivava il cono di luce dei lampioncini sul ciglio di ponti e strade, il buio era quasi palpabile. Mentre camminavano uno accanto all’altra, con gli operai che finivano di mettere a posto gli attrezzi, Leviar non se la sentiva di gioire. Ora che poteva fermarsi un attimo a riflettere, non riuscì a spiegarsi tutto quell’imbarazzo che lei e Bofur ancora provavano, come se l’ultima volta che si erano visti non fosse accaduto nulla. Forse non avrebbe dovuto aspettare una settimana per rivederlo, rifletté Leviar. O forse – e lo stomaco le si strinse dolorosamente – Dori doveva aver parlato a quattr’occhi con Bofur e gli aveva detto di lasciarla in pace…
<< Ti fermerai a lungo, a Erebor? >>
Leviar sussultò, presa alla sprovvista, ma non fu la domanda a farla esitare. Il sudore imperlava il viso del nano da sotto il pesante cappello mentre questi zoppicava sempre più vistosamente, il braccio tremante sulla gruccia.
<< Riposiamoci un po’ >>propose lei.
Bofur scosse la testa con un gesto secco.
<< Dovrei riposare solo io, ma comunque siamo arrivati >>ringhiò, sfoggiando ancora quell’insolita durezza.
Leviar arrossì e distolse lo sguardo.
Bofur sospirò.
<< Scusa >>mormorò.<< Sei l’ultima persona con la quale dovrei prendermela. È che mi dispiace farti perdere tempo. I tuoi cugini non manderanno giù nemmeno questo >>
L’amarezza con cui aveva parlato mise Leviar ancora più a disagio: era come se a entrambi fosse ben visibile l’ostacolo che si frapponeva fra loro, ma non la via per aggirarlo.
Per loro fortuna, erano arrivati davvero e, nel girarsi verso Leviar per salutarla, Bofur provò a ritirare fuori il suo vecchio sorriso spensierato. Dopotutto, avrebbe dovuto essere felice già solo per il fatto di saperla lì a Erebor.
<< Allora, mi dici per quanto tempo resterai? >>
<< Non l’ho ancora deciso. Forse qualche mese >>
<< Ottimo! >>Rinfrancato, Bofur le accarezzò la guancia con la mano libera.
A quel contatto, il cuore di Leviar sussultò felice e sollevato, tanto che un’idea folle le venne subito in mente. Strinse nella sua la mano di Bofur e lo guardò con decisione.
<< Che ne dici se ti facessi quel massaggio? >>
 
Bofur stava ancora tentando di opporsi quando, qualche minuto più tardi, Leviar lo costrinse a stendersi sul letto e si faceva dire dove trovare la pomata. In realtà, neanche lei sapeva bene quel che le stava passando per la testa: mezz’ora prima aveva fretta di tornare a casa, e adesso eccola lì a sedersi sul bordo del letto, accanto a un nano sempre più pietrificato. Leviar poteva quasi leggergli nella mente: di sicuro stava pensando che fosse impazzita, e probabilmente non aveva tutti i torti.
<< Allora >>sbuffò lei dopo aver svitato il barattolo, dal quale salì immediatamente un pungente e fresco odore di erbe,<< mi mostri la ferita o vuoi che faccia da me? >>
Bofur, che era rimasto a fissarla senza osare più muovere un muscolo, sobbalzò e si affrettò a tirar su la gamba dei pantaloni, farfugliando un agitatissimo:<< Faccio io, faccio io! >>
La fasciatura adesso interessava solo la coscia ferita e, nello slacciare le bende, Bofur dovette ammettere che il dolore era notevolmente scemato rispetto ad appena una settimana prima. Fu quasi una scoperta, per lui, vedere che il taglio si era ormai rimarginato, lasciando il posto a una cicatrice violacea.
<< Non pensavo fosse già messa così bene! >>notò, colpito.
<< Ovvio, se non hai nemmeno cambiato le bende >>ribatté Leviar senza paura di suonare troppo critica. Osservò le macchie di pus sulle bende vecchie e disse:<< Adesso sdraiati, per favore >>
Al nano non restò altro da fare se non obbedire, pur senza perderla di vista: puntellandosi sui gomiti, rimase a osservarla mentre prendeva un po’ d’unguento e iniziava a spalmarlo sulla cicatrice, dai bordi all’interno. Rabbrividì, e non seppe se per il contatto con quel composto freddo come il ghiaccio o con quello con le dita di Leviar. Lei, da parte sua, non diede segno di essersi accorta di niente: iniziò a distribuire la pomata e a massaggiare con movimenti circolari e leggere pressioni, ben decisa a non alzare lo sguardo sul volto di Bofur. Sapeva benissimo che se ne sarebbe dovuto occupare qualcuno, nano o nana che fosse, ma, pur continuando a ripetersi quel che aveva detto prima a Bofur per rassicurarlo, non poté evitare di arrossire o tremare.
Dopo un po’, il nano iniziò a rilassarsi. Un basso e lento sospiro lasciò le sue labbra mentre reclinava leggermente la testa all’indietro. Leviar si concentrò per ignorare quel cambiamento e il sangue pulsante sotto la cicatrice che le provocava nuovi tremiti.
<< Va un po’ meglio? >>si azzardò a chiedere dopo un po’, almeno per spezzare il silenzio.
<< Decisamente >>mormorò in risposta Bofur. La tensione provocatagli dallo starsene poggiato sui gomiti gli faceva dolere le spalle: avrebbe voluto sdraiarsi comodamente sul cuscino, ma il cervello – o quel che ne restava ancora cosciente – si rifiutava di distogliere l’attenzione da Leviar. Forse era il sollievo che gli veniva dal massaggio, o forse era la sensazione – così intensa anche se provocata da movimenti tanto semplici – del contatto con la giovane nana, ma la sua unica certezza era che doveva restare lucido e tener lontane tutte quelle fantasie invitanti che gli si stavano parando davanti agli occhi.
Un lieve gemito di protesta sfuggì al suo controllo quando Leviar si alzò per prendere delle bende pulite. Osservò il suo viso arrossato alla luce delle candele, e tuttavia distinse un’espressione ben più decisa di quanto si sarebbe aspettato. Quasi la invidiò.
Leviar gli fasciò la coscia con la stessa delicatezza con cui l’aveva massaggiato, e con più rapidità, per i suoi gusti. Solo allora Bofur tornò alla realtà. Leviar lo guardò ancora con un misto di imbarazzo e dispiacere, e accennò alla porta.
<< Si è fatto davvero tardi >>mormorò.
<< Capisco >>Bofur si rimise seduto e risistemò i pantaloni.<< Porta i miei saluti a Dori >>aggiunse in tono scherzoso.
A quelle parole, il viso di Leviar si rabbuiò. Bofur non resistette più: se dovevano proprio salutarsi, l’avrebbe ripagata per quell’ultimo favore. L’attirò a sé con un gesto deciso e la baciò, cercando di imprimere in quel contato tutte le sensazioni provate negli ultimi minuti. Leviar gli si strinse di più, abbandonandosi contro di lui e costringendolo a indietreggiare sul materasso per stare più comodo. In un ultimo barlume di lucidità, Bofur si sforzò per separarsi da lei. Leviar lo fissò, confusa, e lui, sorridendo davanti la sua espressione, borbottò un semplice:<< Adesso va’ >>
Di colpo, Leviar si rese conto della situazione in cui erano finiti. Si rialzò in fretta e furia e si risistemò capelli e vestito, ignorando la risatina divertita e insieme nervosa di Bofur. Ma subito il nano si rifece serio.
<< Tornerai a trovarmi presto? >>
Leviar lo guardò stupita. Bofur aveva assunto un’aria incerta: di sicuro temeva di dover aspettare almeno un’altra settimana prima che si rivedessero. E così era: il fremito che il contatto col corpo di Leviar gli aveva provocato ancora non era scemato del tutto, ma lui già poteva figurarsi gli ostacoli cui sarebbero andati incontro, se avessero proseguito per quella strada.
Leviar poté intuire tutti questi pensieri, perché erano gli stessi che da giorni la stavano tormentando. Così, si chinò su di lui e gli diede un leggero bacio sulla guancia e, sorridendo con tutta la gaiezza che quelle preoccupazioni le potevano consentire, gli diede la sua parola. Poi, senza perdere altro tempo, andò via.
Tornata sulla via principale, si voltò indietro e scorse Bombur e Bifur svoltare un angolo, entrambi con dei pacchi chiusi alla bene e meglio stretti fra le braccia. E, dentro di sé, Leviar ringraziò i Valar per non essersi trattenuta più a lungo col giocattolaio.
 

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