Abyss.

di Pink_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


ABYSS


 
1.
La pioggia picchiava sul vetro appannato della finestra quando mi svegliai. Fuori era buio; la trapunta che mi ero messa sulle spalle era scivolata sul pavimento. Brividi di freddo mi percorrevano il corpo ed i piedi erano completamente congelati. Tossii e mi alzai dal misero mucchietto di paglia posto sul pavimento e gettai uno sguardo verso il letto matrimoniale dei miei genitori. Mia madre dormiva tranquilla, una lieve smorfia di dolore le spuntava sullle labbra. Il volto scavato, le guance umide: capii aveva pianto per tutta la notte. Sul cuscino accanto a lei vi era un portafoto. 
Il sorriso di mio padre, lucente e bellissimo, spiccava nella foto in bianco e nero. Mi mordicchiai un labbro, furiosa con me stessa per non avere il coraggio di gettare via quella foto. Mamma aveva sofferto tanto per lui, non meritava di essere ricordato.
Nè come marito, nè come padre.
Getto un'occhiata all'orologio: le cinque del mattino, troppo presto per andare al mercato. 
<< Leona? >> sento sussurrare. Mi volto: mia madre ha gli occhi spalancati. Le iridi azzurre sono un mare di tristezza e solitudine: << Ho fatto un brutto sogno >> mormora.
La guardo con dolcezza e mi siedo sul letto, prendendole la mano: << Appunto, era solo un incubo >> le sussurro, accarezzandole i capelli. 
E' così fragile.
<< Ma sembrava...così reale >> 
<< A volte gli incubi lo sono >>. Mi guarda ed io guardo lei. I suoi occhi si riempiono velocemente di lacrime e so che sta facendo appello a tutte le sue forze per non crollare. 
<< Vado a prenderti le medicine >> le dico. Lei annuisce e chiude gli occhi, mentre io mi alzo e mi dirigo verso la cucina. Una stanza piccola e spoglia come la camera da letto. Apro lo sportello di una mensola, prendo le pillole e le riempio un bicchiere d'acqua. Torno in camera da letto e mi risiedo accanto a mia madre: << Non dovresti stare qui ad accudirmi Leona. Sei giovane, dovresti divertirti con quelli della tua età >> dice, con la sua solita voce flebile. Scuoto la testa, facendo ondeggiare i capelli rossi, raccolti in un'altissima coda di cavallo spettinata. 
<< Se tu muori, la tristezza sarebbe talmente tanta che non riuscirei a divertirmi con quelli della mia età. E poi sai che nessuno esce mai di casa. Hanno troppa paura dell'Abisso >>. Mamma borbotta qualcosa ed ingoia le pillole, prendendo un sorso d'acqua. Poso il bicchiere sul comodino accanto al letto e mi alzo, dirigendomi alla finestra. La pioggia continuava a scendere ed enormi pozzanghere continuano ad allargarsi sul suolo. Il terreno tra poco sarà ricco di vermi. Osservo l'Oceano, a pochi passi dalla nostra casa e da quelle degli altri. Un'enorme distesa d'acqua che come uno specchio riflette il grigio del cielo.  
<< Che giorno è oggi, Leona? >> chiede mia madre, poggiando la testa contro il cuscino. Sospiro.
<< Il primo di Gennaio >> rispondo, facendo scendere il nodo che mi si era fermato in gola. Sento un singhiozzo strozzato di mia madre e respingo l'impulso di girarmi. 
E così era passato un altro anno. Era il momento di ritornare al porto. 
La urla strazianti dei genitori angosciati e dei parenti disperati mi rieccheggiava nella testa, come un eco infinito. Tutto era successo molti anni fa, quando i miei genitori erano ancora in fasce. I poveri pescatori che non avevano trovato fortuna nelle grandi città, decisero di creare un villaggio tutto per loro e quale posto migliore, se non la spiaggia? 
Costruirono casette, tutte in fila, rivolte verso il mare e nominarono sindaco mio nonno, che aveva diretto l'operazione. I primi anni furono fantastici, la gente prosperava e quel piccolo villaggio presto divenne una piccola città. Eravamo i primi a negoziare sul pesce e la gente veniva spesso a visitare la nostra pittoresca cittadina, che fu chiamata Sea.
Ma ogni medaglia ha un'altra faccia. 
Il Popolo Dell' Oceano, dalle mille mani cruente, non era stato molto contento della nostra intrusione nel loro territorio. Ci chiesero l'affitto.
Ogni anno, al primo del mese di Gennaio tutti i ragazzi compresi tra i sei ed i diciannove anni dovevano presentarsi al molo. Tre ragazzi, tre innocenti giovani venivano scelti e consegnati al carnefice: l'Abisso. Ognuno di noi ha una targhetta al collo, da portare sempre. 
Ogni primo Gennaio vengono messe in una boccia di vetro e da lì parte il sorteggio. Ho diciassette anni, ho quasi raggiunto l'età che mi permetterà di sfuggire all'insaziabile fame dell'Abisso. 
Ma oggi, ho ancora un'altra selezione d'affrontare. Col tempo anche la nostra economia è andata a farsi friggere. Nessuno vuole più pescare, hanno tutti paura di uscire e la nostra bella città è presto diventata spoglia e triste. 
Poggio la fronte contro la finestra, ha smesso di piovere. Fa decisamente più freddo. Afferro un vaso di terracotta e ne tiro fuori un pacco di fiammiferi. Ne accendo uno e lo getto nel camino, tra i rametti secchi che mi ero procurata ieri sera. La fiamma si accende quasi subito ed io mi siedo a terra, appoggiando la schiena contro il muro, i piedi nudi rivolti verso il fuoco.
<< Potresti non andare >> mormorò mia madre. 
<< Sai che non esiterebbero a venire qui, mamma >> ribatto, seccata. Avevo molta fame dato che non mangiavo da ieri sera. Mamma poggiò la schiena sullo schienale del letto, gli occhi rivolti verso il soffitto: << Tuo padre non vorrebbe.. >>
<< Non m'importa di quello che pensa quello stronzo, mamma. Ci ha abbandonate. E' scappato con un'altra. Ha deciso di non fregarsene nulla di noi due! >>
<< Non parlare così di tuo padre, Leona. E' pur sempre colui che ti ha permesso di venire al mondo! >>. Sbuffai, sciogliendomi i capelli. La discussione finì lì. Un'imbarazzante silenzio, interrotto solamente dallo scoppiettio del fuoco scese nella stanza. Puntai le iridi fredde come il ghiaccio, verso l'orologio. Le sei e trenta. 
<< Vado al mercato >> brontolai, alzandomi in piedi. Mamma mi squadrò da capo a piedi: << Ti sei fatta veramente troppo bella, tesoro. Prima o poi lascerai un'importanta indelebile nel cuore di qualche ragazzo >>. 
Le sorrido timidamente, indecisa su cosa fare. Mi infilo gli stivaletti, un paio di leggins ed un maglione verde petrolio. Indosso, prima di uscire, una vecchia giacca a vento.
<< Hai bisogno di qualcosa?! >> urlo, aprendo la porta. L'aria fredda mi pungeva il viso e sentii le dita delle mani intorpidirsi. 
Mia madre non rispose: segno che si era addormentata o che non aveva bisogno di nulla. 
Annuisco ed esco, sbattendomi la porta alle spalle.




Il mercato è l'unica zona di Sea ancora intatta. 
La gente compra e vende lì, per poi tornare a casa, nella propria solitudine. Come al solito, la piazza nella quale aveva luogo il mercato era già strapiena. L'odore inconfondibile del pesce fresco mi arrivò al naso quasi subito. 
Ignorando le bancarelle che mostravano caldarroste ancora calde, mi diressi verso La Guaritrice, per far rifornimento di medicine per mia madre. Mi fermo davanti alla tendina che fungeva da porta e la scosto con le dita, infilando la testa nella fessura che mi ero aperta:
<< Ehm..è permesso? >> chiedo, entrando completamente nella capanna. 
La Guaritrice era la persona più vecchia di tutta Sea e ne sapeva una più del diavolo. E si diceva fosse riuscita a sopravvivere all'Abisso. Nessuno conosceva il suo nome, nessuno conosceva il luogo in cui era nata.
Era semplicemente "La Guaritrice". 
Anche la capanna era piuttosto vecchiotta: le pareti in legno incrostato, i mobili ai quali mancava un piede e la branda coperta da spesse pelli d'orso al posto del letto. La Guaritrice era seduta dietro un tavolino di legno sul quale erano poggiati vari utensili che non avevo mai visto prima ed anche una manciata di erbe misteriose. L'anziana donna dal volto rugoso mi rivolse un'occhiata fugace. Gli occhi erano grigi e velati. Sulle braccia e le dita vi erano lunghe cicatrici, segni di battaglie contro Il Popolo Del Mare. Un'altra di queste le deturpava il volto. Una lunga e bianca cicatrice le partiva dalla fronte fino alla guancia, comprendendo l'occhio. 
Tossicchiai un po' prima di parlare: << Guaritrice, non è che potrebbe darmi ancora le pillole di ninfea? >> 
<< Sono proprio lì, sul mobile accanto a te. Prendine quante te ne servono >>. La sua voce era seria e dura ma allo stesso tempo molto confortevole. Annuii e mi voltai verso il mobile. 
La medicina, grazie alla Guaritrice è notevolmente migliorata. Ha scoperto cure per varie malattie e continua a regalarle alla gente, senza pretendere alcun compenso. 
Presi alcuni scatolini di pillole e le infilai in tasca. La Guaritrice cominciò a schiacciare varie erbe e vi versò dell'acqua bollente. 
L'odore di quella roba era davvero buono.
<< Hai bisogno di qualcos'altro, Leona? >> mi chiese. Mi morsi l'interno della guancia: << Oggi è il Primo di Gennaio, Guaritrice. Come ogni ragazza o ragazzo sono preoccupata >>. 
Un ombra scura attraversò il volto della Guaritrice: << La vita è la cosa più bella del mondo quando si sa che la si può perdere >> brontolò, continuando a girare la strana pozione che stava diventando una gelatina mollosa e appiccicosa.
Annuii. 
Lei rimase in silenzio per qualche secondo, poi mi guardò e sorrise: << Bambina mia, siamo nel territorio dell'Abisso. Lui è crudele e molto difficilmente risparmierà una vita >>. 
Annuii ancora una volta. 
Mi congedai poco dopo ed uscii dalla capanna. Avevo bisogno di mangiare e di portare qualcosa anche a mia madre. Mi avvicinai alla bancarella della carne e comprai carne di cervo essiccata, sufficente per una settimana. 
Per le vie vi erano già appesi tutti i cartelli che segnavano la nominazione di quella sera, come se nessuno sapesse che tre persone sarebbero morte. Vagai per le bancarelle ancora qualche secondo, poi ripresi la strada verso casa. Avevo bisogno di mangiare qualcosa e di riposare. 
Dovevo, ancora una volta respingere incubi nascosti nel mio cervello, che uscivano solo in quel periodo. Dovevo essere forte.
La pioggia riprese a scendere veloce, accompagnandomi nel mio cammino fino a casa.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


2


Faceva decisamente troppo freddo per uscire con la gonna, ma, a detta di mia madre, bisognava essere presentabili il Primo Gennaio. 
Avevo una  gonna lunga fino alle ginocchia morbida, color panna, che continuava a svolazzare in tutte le direzioni, un top bianco del quale si vedevano solamente i merletti, sapientemente nascosto da una maglia marrone a maniche lunghe che lasciava intravedere le spalle.Una fascia rossa, legata dietro con un fiocco mi stringeva la vita. I miei indomabili capelli rossi erano stati legati da mia madre, in una complessa composizione di boccoli.
Mi aveva anche proposto il trucco, ma quello ho preferito evitarlo. La targhetta, che portavo sempre, mi sembrava pesante quel giorno. Le mie paure si riversavano tutte nel pugnale che mi ero nascosta nella manica destra. 
Se il destino avrebbe scelto me, non me ne sarei andata senza lottare. 
Camminavo con passo lento, accanto a ragazzi e ragazze come me. Spaventati, tremanti e tristi ma bellissimi. Ogni madre voleva sacrificare proprio figlio nel modo migliore possibile.
La sabbia prende il posto delle stradine ricoperte di fango. Nessuno affretta il passo. Sembriamo un'ammasso di zombie lamentosi. Alla mia destra cammina a ritmo con i miei passi un ragazzo, dai capelli nerissimi e riccioluti e gli occhi color nocciola. Vestito elegantemente. Ci guardiamo per qualche secondo, lui mi sorride, nel modo più rassicurante possibile. Non ho mai visto denti così bianchi. 
Annuisco ma non sorrido e torno a guardare avanti. L'oceano è molto più vicino adesso.
Riesco a percepire l'odore dell'acqua salata ed il rumore delle onde che s'infrangono sulla spiaggia. Mi stringo nel vestito più che posso, rabbrividendo ancora per il freddo. Le dita delle mani sono fredde e rosse. Il mio naso lentigginoso è completamente congelato. 
Delegutisco rumorosamente. L'enorme Abisso è sempre più vicino, sta allungando le sue mani verso le sue prede, il suo cibo. 
Siamo arrivati. 
Siamo su una spiaggia. Non una vera spiaggia, in realtà; quelle spiagge lì adesso sono tutte sott'acqua. 
Siamo al porto e la carneficina sta per iniziare. Devono scegliere solo tre nomi, tre. 
Tre nomi, tre giovani e poi l'Abisso potrà mangiare. L'Abisso ha sempre fame, chiederà altro cibo. Ed altri tre nomi, tre ragazzi, le enormi fauci dell'oceano dovranno affrontare.
Il sindaco, mio nonno, mi getta un'occhiata dal palco dove lui e un paio di ministri discutevano animamente. La boccia di vetro mi guardava, maliziosa. 
Sempre se potesse guardarmi.
In fila indiana, consegnamo le nostre targhette ai ministri e poi ci dividiamo in due gruppi. Da una parte i ragazzi e da una parte le ragazze. Il tizio dai riccioli neri è scomparso nella folla ed io sono di nuovo sola. 
<< Giovani di Sea! >> urla uno dei ministri, stringendo con fare maniacale la benda che verrà utilizata per bendare mio nonno. Mille occhi di ogni colore sono puntati su di lui. Qualcuno si tormenta le mani, altri le labbra.
Siamo tutti nervosi, vogliamo solo tornare a casa. 
<< So che questa giornata sarà molto pesante per alcuni di voi, comprendo la vostra angoscia. Voi forse non lo immaginate ma tra di voi ci sono anche i miei figli, i miei nipoti... >> s'inumidì le labbra, goccioline di sudore gli scivolavano sulla fronte: << ...è una perdita per tutta Sea >>. 
Arricciai l'angolo della bocca verso l'alto, un fiume di paroline sarcastiche premevano per uscire fuori. 
Il ministro passò la benda bianca al sindaco che, sotto gli occhi di tutti, se la legò stretta alla testa. Dopo alcune verifiche per dimostrare che non vedeva nulla, il mio anziano parente infilò la mano nella boccia di vetro. Scavò un po' e tirò fuori una targhetta. Il respiro mi si fermò in gola. I polmoni bruciavano da impazzire, desiderosi di aria.
Passò la targhetta al ministro alla sua sinistra che, col suo vocione possente, urlò il nome della prima vittima: << Grace Williams >>. Una bambina di soli dieci anni, dai lunghi capelli biondi, si staccò dal gruppo femminile. Singhiozzava, il viso rosso e gonfio. 
Salì sul palco e si riprese la targhetta, stringendola tra le mani. 
Presto fu estratta la seconda targhetta: << Seth Anderson >>. 
Il cuore si strinse in una morsa dolorosa quando vidi salire sul palco, a testa alta, il ragazzo dai riccioli neri. Cominciai a mordicchiarmi il labbro violentemente. Un altro nome.
Solo uno.
<< Leona Brown >> dichiarò il ministro, abbassando lo sguardo. Improvvisamente mi sentivo gli occhi di tutti addosso. 
La testa mi pulsava dolorosamente, e sul mio volto si era certamente dipinta un'espressione confusa. Mio nonno mi guardava. Aveva un'aria distrutta, triste. Le lacrime cominciarono a premermi sugli occhi. 
Per stupido orgoglio le ricacciai indietro e mi avviai con passo lento e deciso verso il palco. Salii e mi misi al fianco del ragazzo con i riccioli neri. Mi diede una pacca sulla spalla. Scossi la testa, imbronciata. 
Mi sentivo vuota.
Stavo per perdere tutto.
Le parole della Guaritrice mi risuonavano nella testa come tamburi: La vita è la cosa più bella del mondo quando si sa che la si può perdere. 


 
Dopo che il molo si fu svuotato e tutti i ragazzi salvi se ne furono andati, mio nonno corse ad abbracciarmi. Ero ancora troppo confusa per rispondere a quell'abbraccio, ma lui mi strinse talmente forte che non potei fare a meno di farlo a mia volta.
Odorava di dopobarba: << Nipotina mia, se solo il fato non... >> lo interruppi bruscamente, afferrandolo per le spalle. 
<< Nonno ascoltami: giuri che ti prenderai tu cura di mamma? >>. Lui annuì. Feci tintinnare il pugnale nella manica: << Stai sicuro che non me ne andrò da questo mondo senza lottare, Nonno. Dovessi perdere un braccio una gamba o persino un occhio. Io tornerò, e cercherò di far tornare anche loro due >> indicai con un cenno del capo le altre due vittime che consolavano i propri parenti. 
Il Nonno alzò un sopracciglio: << Non sfidare la furia dell'Abisso, Leona. Apprezzo il tuo coraggio, sei degna del tuo nome, ma non puoi sconfiggere l'immenso Popolo Del Mare >>. La tristezza nella sua voce mi contagiò immediatamente. 
<< Sicuramente non morirò senza lottare >> brontolai, staccandomi da lui. Mi voltai e raggiunsi i miei compagni di avventura, se così si potevano definire, trattenendo ancora una volta le lacrime. 


Affondai i piedi nella sabbia bagnata: << Accidenti >> mormorai. Grace era stesa a terra, rannicchiata accanto a Seth, la testa appoggiata sulle sue gambe. Le accarezzava dolcemente la testa, sussurrandole che sarebbe andato tutto bene.
Mi lanciò un'occhiata: << Ci vorrebbero paroline più colorate per descrivere questo momento, Leona >>. Non ero in vena di scherzare, e nemmeno di rispondergli. 
Si stava facendo notte e presto l'Abisso sarebbe arrivato per banchettare. Grace si lasciò sfuggire un lungo singhiozzo, parecchio rumoroso: << M-moriremo, L-leona... >> diceva, la voce roca e rotta dal pianto: << ...c-come fai ad essere così tranquilla? >>. 
Sfilai dalla manica destra della maglia il pugnale: << Non morirò senza lottare >>. Grace spalancò gli occhi e lo stesso fece Seth: << Leona, l'Abisso è molto più forte di un pugnale. Sai che può rivolgerti contro un'intera tempesta? >> dissero, all'unisono.
Non risposi, mi limitai a sedermi e a piantare la lama del pugnale nella sabbia. Mi sentivo terribilmente ridicola. 
Grace tornò a singhiozzare, lacrimoni le rigavano le guance già umide e presto mi accorsi di star piangendo anche io. I boccoli rossi che mia madre aveva tanto pazientemente fatto erano ormai una zazzera rossa e ricca di nodi. Mi strinsi le ginocchia al petto, poggiandoci sopra il mento. 
Alcune parole di una vecchia canzone che sentivo sempre cantare da mio padre mi fiorirono in gola. Le cantai, continuando a piangere silenziosamente:
"Mi ricordo le lacrime che rigavano il tuo viso
quando avevi visto tutto morto.
Mi ricordo le tue parole 
quando hai visto tutto in fiamme
Mi ricordo che ti dissi:
Ti prego amor mio, lasciamoci  tutto questo alle spalle."

Chiusi gli occhi, e mi stesi sulla sabbia fangosa. Poggiai il braccio sugli occhi, coprendo le ultimissime lacrime alla quale avrei permesso di uscire quel giorno. 
Avevo voglia di dormire e di risvegliarmi sul cumolo di paglia, dare le medicine a mia madre e tornare al mercato, però dovevo restare sveglia se volevo affrontare l'Abisso.
Ma lo volevo davvero?



Si fece presto buio.
L'acqua era piatta come una tavola e non c'era nessun segno del terribile Abisso. L'ansia mi stava lentamente uccidendo. 
Seth aveva acceso un piccolo fuocherello ed ora eravamo tutti e tre seduti con le mani tese verso la fiamma. Mi spostai un ciuffo dietro le orecchie: << Tenete >> disse dopo un po' Seth, offrendoci una fetta di pane.
La accettai. 
Era freddo, ma era pur sempre qualcosa da mangiare. Pensai a mia madre, da sola a casa, distrutta dal dolore.
Avrei dovuto seguire il suo consiglio, sarei dovuta scappare.
Restammo ancora un bel po' di tempo seduti a far nulla quando una voce melodiosa catturò la nostra attenzione. Su uno scoglio sporgente dall'acqua vi era una figura indistinta.
La mia prima reazione? fastidio. Per quanto quella melodia fosse bella, non riuscivo più ad ascoltarla. Mi tappai le orecchie, urlando per il dolore quando la figura emettè una nota acuta. 
Seth e Grace si alzarono: sui loro volti era dipinta un'espressione di beata gioia. Urlai: << Non avvicinatevi! >>. Ma loro sembravano sordi alla mia richiesta.
La figura prese a cantare più forte. Mi accasciai a terra, dolorante. 
Cosa sta succedendo?! pensai, spaventata.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


3.


Afferrai Seth per una caviglia ed affondai i piedi nella sabbia, nel disperato tentativo di tenerlo fermo. Grace continuava a camminare. Lacrime le rigavano il volto, mentre sulla bocca le era spuntato un sorriso radioso. 
<< Mamma... >> mormorava, avanzando verso la creatura che continuava a cantare, emettendo note sempre più alte. Seth prese a divincolarsi ed io aumentai la stretta sulla sua caviglia. 
<< Grace! >> urlai. Avevo la sabbia negli occhi che lacrimavano per il bruciore: << Grace! Ti prego ascoltami! >> urlai ancora più forte. Lei si fermò.
Fece qualche passo incerto avanti, visibilmente confusa: << Mamma? >> miagolò. 
La creatura rimase in silenzio per qualche secondo. Prima che me ne potessi accorgere, la strana figura era scivolata via dallo scoglio e ora nuotava in direzione della ragazzina che, vedendola, si avvicinò a sua volta.
Anche Seth aveva smesso di divincolarsi, così decisi di alzarmi. Tossicchiai un paio di volte, sputando grumi di sabbia e mi alzai, scrollandomi di dosso quanta più polvere mi era possibile togliermi. 
Guardai Seth. 
I suoi occhi color nocciola erano fissi sulla creatura e luccicavano, piangeva. Agrottai le sopracciglia e tornai a guardare Grace. Il vestitino rosa a quadrettini era zuppo, dato che era immersa nell'acqua fino alla vita. Era ad un passo dalla creatura che tendeva le mani verso di lei. Mani perfette che sembravano scolpite nel marmo. 
<< NO! >> urlai, furiosa con me stessa per non essermi precipitata subito da lei. Spinsi Seth sulla sabbia e mi fiondai verso Grace che aveva teso a sua volta le mani verso la figura. Bastò un'istante. 
Mano nella mano, Grace e la creatura entrarono in acqua sparendo a poco a poco, lasciando sulla sabbia bagnata, padroneggiata dalle onde, la targhetta della piccola.


Caddi in ginocchio, gli occhi fissi sull'Oceano. 
Non piangevo, non urlavo, nulla di nulla. L'Abisso si era portata via la prima vittima. 
Seth si asciugò gli occhi col polso e corse verso di me: << Dov'è Grace?! >> mi chiese. E' davvero incredibile il fatto che non sapessi rispindere ad una domanda così semplice: << Morta >> mormorai << E se non ti avessi trattenuto, saresti morto anche tu >>. 
Si morse un labbro: << Mi sembrava...di aver visto mia sorella >>. Sbattei le palpebre velocemente, ricacciando indietro le lacrime.
<< Grace aveva visto sua madre >> sussurrai, ricordando le sue parole. 
<< Molto probabilmente è un trucco di qualche discepolo dell'Abisso >>. Non dissi nulla, anche perchè sapevo che ciò che diceva era vero. Allungai la mano e presi la targhetta di Grace, portandola al petto, in un ultimo abbraccio, sapendo che non avrei più potuto dirle di non piangere.
Guardai Seth. 
Allargò le braccia e mi abbracciò. Sorpresa da quell'improvviso gesto d'affetto rimasi con la faccia schiacciata contro il suo petto. Nessuno mi abbracciava così da anni. 
Scoppiammo insieme, quasi per tacito accordo, in lacrime silenziose. 
Sapevo che presto l'Abisso avrebbe preso o me o lui. L'antipasto era stato consumato velocemente, la cena non era ancora finita. 


Scavammo una piccola buca accanto al falò e vi depositammo la targhetta. Dopo una breve preghiera la seppellimmo e vi ci piazzammo sopra una pietra abbastanza liscia, con il pugnale incisi il nome di Grace e poi gettai un'occhiata a Seth.
Immerso in sa quali cupi pensieri, guardava fisso le fiamme. La luce del fuoco proiettava ombre danzanti sul suo volto rendendo i suoi lineamenti lievemente marcati. 
<< A cosa pensi? >> gli chiesi. 
Mi guardò per qualche secondo, poi scosse la testa: << Sto cercando di capire perchè tu non sei rimasta vittima del canto di quella creatura >>. 
Non ci avevo nemmeno pensato! 
Feci spallucce: << Magari funziona solo con quelli che sono tristi. Tu sei triste? >>
<< Si, tu? >>
<< Si >> quelle due lettere mi uscirono dalla bocca velocemente, senza che potessi rendermene conto. Mi morsi l'interno della guancia destra, accennando un sorriso. 
Tornai a guardare la mini tomba che avevo realizzato per Grace. Sfiorai con la punta delle dita la pietra, rabbrividendo al contatto con il gelido materiale.
<< Leona... >> mormorò Seth, affondando una mano nei suoi riccioli scuri. Aveva gli occhi puntati a terra, un'espressione di puro dolore aveva preso il posto di quella estremamente seria.
<< Mhm...? >>
<< Mi dispiace >> borbottò. Agrottai la fronte: << Non è colpa tua se Grace è morta, Seth >>
<< Ma se non fossi caduto nella trappola di quel mostro, molto probabilmente lei sarebbe ancora qui >>
<< Non è comunque colpa tua >> lo giustificai. 
In parte aveva ragione, ma entrambi sapevamo che la potenza del Popolo Del Mare arriva fino a livelli immaginabili. 
Mi alzai e andai a sedermi accanto a lui. Teneva ancora gli occhi bassi, fissi sulla sabbia. Istintivamente gli presi il volto tra le mani, e con il pollice, gli asciugai le lacrime che tanto cercava di nascondere ma che avevo notato comunque.
Sorrise e sorrisi anche io, seppur tristemente.
Un breve ricordo della mia infanzia mi balenò davanti agli occhi:
Faceva molto caldo.
La sabbia mi scottava i piedi ed il vento mi scompigliava i capelli bagnati, rendendoli nodosi e crespi. L'aroma di fragola appena colta mi riempiva la bocca. 
Papà mi rincorreva, urlandomi di non correre e di non farmi male.
Ma io non lo ascoltavo.
<< Amo il mare! >> gridai, lasciandomi cadere sulla sabbia.
Mio padre mi raggiunse: << Ed il mare ama te, piccola mia! >>
.
Rabbrividii.
Avevo solo quattro anni, non ero ancora nell'età richiesta per la carneficina.
E mio padre era ancora lì, al mio fianco.

Restammo a guardare il falò ancora per un po'.
Tra le fiamme mi pareva di scorgere Grace che veniva fatta a brandelli da volti sconosicuti dei quali riuscivo solamente a distinguere i denti, affilati come rasoi.
Ed il mare ama te, piccola mia.

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