io.tu.noi
“L'amicizia
è come la musica: due corde parimenti intonate vibreranno insieme
anche se ne toccate una sola.”
Francis
Quarles
IO.TU.NOI
1.
Piove fuori. Forte. Io sono seduta davanti alla finestra della mia
camera a rimuginare sui miei errori, le mie angosce ed i miei
difetti. Perché le giornate di pioggia hanno una cattiva influenza su
di me: mi fanno pensare alle cose tristi.
Ero da poco tornata da scuola, era stata una mattinata di inferno:
L'insegnante di matematica mi aveva interrogato alla lavagna
risolvendo dei logaritmi, ma io odio l'aritmetica. E l'aritmetica
odia me. Diciamo che non siamo proprio compatibili ecco. Sto cercando
di svolgere in bianco su nero una disequazione di secondo grado. A
volte mi chiedo perché le abbiano inventate. Insomma non erano già
abbastanza le equazioni? Nossignore, è necessario complicarsi la
vita anche con il sussidio delle cugine: le disequazioni. E sono anche
una grande famiglia: le equazioni hanno delle sorelle maggiori le
equazioni di secondo grado. Idem per le cugine. Non riuscivo a
risolvere l'equazione, mi sentivo male avevo bisogno di una boccata
d'aria, non avevo fatto colazione prima di venire a scuola e mi
sentivo debole. Sentivo che la professoressa mi stava suggerendo di
riguardare meglio la disequazione poiché un segno non era corretto,
non appena caddi di lato davanti agli occhi sgranati dell'intera
classe. Mi risvegliai in infermeria, la bidella mi aveva portato una
di quelle merendine con “più latte e meno cacao” come si sente
sempre dire nelle pubblicità e intorno a me vidi alcuni miei
compagni: erano Giulia, Matilde e Fabio. Giulia è la prima della
classe, ha il massimo dei voti in tutte le materie, siamo amiche da
quando frequentavo entrambe atletica leggera dall'età di dieci anni.
Siamo amiche però non è la mia migliore amica. La migliore amica è
qualcosa di speciale, qualcosa che non si trova su un annuncio
esposto ai pali della città o in un sito internet. Arriva quando
meno te lo aspetti, quando pensi che sia tutto finito, che non ci sia
più speranza per te. Matilde è la mia compagna di banco attuale,
andiamo d'accordo ma per me è solo una compagna di classe, niente di
più. Fabio è nella mia classe da un anno poiché si era trasferito
da poco qui a Bologna. Lui viene da un piccolo paese nel padovano e,
come me, odia la matematica.
“Tutto bene Aurora?” (a proposito non avevo ancora detto il mio
nome...ora lo sapete!)
“Sì Giuly, è la prima volta che mi succede di star male in
classe”. Risposi io.
“C'è sempre una prima volta!” Disse Fabio cercando di
sdrammatizzare.
“Ci hai fatto prendere un bello spavento!” Gridò Matilde ancora
scioccata per l' accaduto.
“Penso di aver avuto un calo di zuccheri...stamattina non avevo
fatto colazione”.
“Quante volte la Professoressa Cocchi ci ha spiegato
dell'importanza di seguire regolarmente i pasti e del soddisfacimento
del proprio fabbisogno energetico giornaliero?! E tu mi arrivi
dicendo una cosa del genere?! Se ti avesse sentito lei avresti già
un bel due sul registro”. Disse Fabio con ironia
“Calma calma! Di solito faccio sempre colazione! Solo oggi non l'ho
fatta! E poi io odio la Cocchi tanto quanto la materia che insegna!”
Risposi animatamente io.
“Io invece adoro la Cocchi quasi quanto lei adora me!”
“Fabio Mascia, tu fai sempre il lecca piedi con lei! Per forza di
adora!” Disse scherzosamente Matilde.
“Sì ma io lo faccio con stile! Non è facile essere il cocco degli
insegnanti occorre molta classe!”
“Ma piantala!”
La discussione fra i miei compagni si dilungò per quasi un quarto
d'ora, poi insieme a loro, mi incamminai verso la palestra per l'ora
di educazione fisica. Il professor Martini, che era venuto a
conoscenza della mia indisposizione, mi chiese se me la sentivo di
svolgere le attività. Io risposi che ora stavo bene e che sarei
riuscita a eseguire l'ora di motoria. Cominciammo la lezione con
dieci giri di riscaldamento intorno alla palestra e poi, con mia
grande gioia (in senso ironico naturalmente ) dovevamo fare degli
esercizi sulla trave. Considerando che l'equilibrio ed io siamo due
mondi paralleli che non si incontreranno mai, ho trovato alquanto
complicato camminare sulla trave in punta di piedi senza mai
appoggiare uno dei due arti inferiori sul tappeto per non cadere.
Matilde fu la migliore in questo esercizio: lei pratica ginnastica
artistica dall'età di sei anni e oltre che camminare in punta di
piedi, fece una serie di piroette un paio di ruote ed una spaccata.
Si guadagnò un fragoroso applauso da parte dell' intera classe,
professore incluso.
Dopo un'ora di latino ed una di inglese, inforcai il mio scooter e mi
diressi verso casa. Il mio pestifero fratellino di dieci anni,
Michele, era già a tavola intento a guardare Dragon Ball mangiando
un piatto di maccheroni, e mia madre, seduta in poltrona, stava
leggendo una lettera. Lei mi passò la lettera con il viso rigato di
lacrime. Era una lettera da parte di mio padre. Egli è un membro
dell'esercito italiano ed era partito per una missione di pace nei
paesi arabi. La lettera era scritta con una calligrafia piuttosto
piccola e stretta e diceva che nel tentativo di salvare una bambina,
venne fucilato alla schiena ferendolo gravemente. Era in pericolo di
vita. Michele non sapeva ancora nulla di tutto ciò, ma mia madre non
aveva intenzione di dirglielo subito. Glielo avrebbe riferito non
appena avesse trovato i termini più congrui per informarlo della
tragica notizia. Mi si chiuse lo stomaco, mi era passato l'appetito e
mi rintanai al sicuro nella camera mia, restando per diverso tempo affacciata alla
finestra a guardare la pioggia cadere, immergendomi nei miei pensieri
più cupi.
Ho marinato la scuola oggi. Solitamente non sono il genere di ragazza
che “fa fuoco” come si suol dire. Sono sempre stata una “ragazza
perbene”: non sono schiava di sesso, alcool, droga e moda, a scuola
non sono una cima, tuttavia me la cavo. Frequento il liceo Classico
Galvani. Qui, hanno avuto l'onore di insegnare celebri poeti
come Giosuè Carducci e Giovanni Pascoli. Comunque, oggi non mi importa di
marinare la scuola, non sono dell'umore adatto per vedere gente e,
soprattutto, non avendo studiato greco il pomeriggio precedente non
posso correre il rischio di prendermi un'insufficienza
nell'interrogazione.
Tra poco meno di un mese, più precisamente il 23 marzo, sarà il mio
diciottesimo compleanno e, molto probabilmente, non ci sarà il mio
papà a festeggiare insieme a noi l'evento, anzi potrei anche non
rivederlo mai più. Nel preciso istante in cui una lacrima mi scivola
dal viso, la pioggia inizia a cadere. Il cielo piange insieme a me,
si rattrista per mio padre. Ma io non quel momento non sto piangendo
solo per mio padre in realtà, sto piangendo perché non riesco a
trovare il mio posto in questo mondo, non riesco a farmi degli amici
veri ed unici che mi facciano sentire davvero me stessa, solo Aurora.
A scuola vengo derisa per il mio non bellissimo aspetto fisico: in
viso sono piena di acne, non sono alta e sono in sottopeso, ma
quest'ultimo è una conseguenza dovuta ad una malattia che ho avuto
un paio d' anni fa che mi ha trattenuto in ospedale per ben quattro
mesi. Infatti, persi un anno di scuola e dovetti ripetere il primo
anno delle superiori, dovrei essere in quarta ed invece sono in terza
per colpa di quella malattia orripilante.
Sto passeggiando sotto la fitta pioggia in Piazza del Nettuno, quando
una ragazza, anch'essa sui diciassette anni, si dirige verso di me a
passo svelto.
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