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Hermione, con quei suoi
capelli come code di volpe che cadono flebili sulle spalle forti, la bacchetta
tesa, gli occhi determinati a fissare la minaccia davanti a lei. Erano lì, con
una carta di cattura per un mangiamorte, che stava proprio dietro di lei, senza
la magica stecca.
I suoi occhi scorrevano,
ghiacciati, contro ogni capo dall’altra parte dell’improvvisato campo di
battaglia.
«Hermione,
lasciami andare...» la supplicò l’uomo,
con gli occhi ripieni di quella malinconia che lo ottenebrava nei primi giorni
in quel luogo incantato che era la scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
«Non permetterò
che quelli del Ministero ti prendano.» sibilò, mantenendo la concentrazione,
continuando a fissare la schiera di maghi armati contro di lei, unica ragazza
schierata dalla parte opposta.
Harry la fissava, indeciso e combattuto se stare dalla
parte degli Auror di cui un giorno voleva far parte oppure dalla sua amica.
Ron, sornione, sorrideva dalle spalle dei combattenti del
Ministero, vedendo la sua vendetta compiuta così, per pura fortuna e qualche
ricerca. Quel ghigno disegnatogli in volto era quasi più affilato di quello di
Malfoy, che appoggiato allo stipite del portone scuoteva la testa, come a
rimproverare la giovane coppia sola, con le spalle alla Foresta Proibita.
«Hermione,
sappiamo benissimo come il tuo ruolo sia stato importante nella II Guerra
Magica, ma di certo questo non ti giustifica nel metterti contro il Ministero
della Magia.» parlò l’uomo
di colore, dall’altro campo.
«E voi non
siete nessuno per piombare in una scuola per trarre qualcuno da qui, soprattutto
senza prima un processo equo.» rispose con
rabbia, ringhiando furore, la punta della bacchetta sputava piccole bave di
esplosivo, riflettendo la furia contenuta della giovane Grifondoro.
«Hermione,
lasciali fare il loro lavoro!» aggiunse
Harry, esasperato, vedendo le cose andare di male in peggio.
Lo sguardo si spostò
verso quello di Harry, e lo zittì all’istante con sputi di veleno.
«Tu, traditore,
non osare rivolgermi mai più la parola.» e riportò lo sguardo allo squadrone di Auror.
Il giovane mangiamorte
parlò da dietro le sue spalle, che con gesto nervoso portò i capelli scuri all’indietro.
«Amore...ti
prego...» proruppe, vedendo le due mani stringersi nervose intorno alla bacchetta
unico strumento che rendeva esitanti gli uomini. La fama della maestria della
Granger avevano fatto il giro del mondo magico, costruendo una immagine di
donna dalla grande dote negli incanti.
Il Ragazzo che è Sopravissuto li osservava, e prese una
decisione. Sfoderando la bacchetta lanciò un incantesimo, respinto dalla mora,
che si aspettava un gesto come quello.
Gli Auror, di fronte a un ribaltamento simile, si fecero
da parte, lasciando giostrare ai due la bacchetta e il combattimento.
«Non ti mettere in mezzo, Harry!» proruppe la giovane,
schivando e contrastando i fasci di luce variopinti che venivano scoccati come
frecce da una parte come dall’altra.
«Nemmeno tu!» rispose il giovane, intensificando il ritmo
dei colpi. La giovane non cedette, ma dovette abbassare l’offesa per riparare
nella difesa.
Un giovane Auror, cogliendo delle falle nella difesa di
Hermione, messa in difficoltà da Potter, esaltato dalla magia che traboccava,
si intromise nel combattimento. Hermione si sentì in difficoltà, cercando di
rimediare con la maestria dei suoi incantesimi. Un colpo improvviso beccò l’Auror
di striscio, rompendogli l’osso della spalla, facendolo schiantare verso terra.
Con nuovo furore però il giovane Auror si rialzò, ricominciando lo scontro con
maggiore fervore cosicché la giovane, trovandosi contro due giovani incalzanti non
poté parare un colpo schiantante dell’Auror.
Il corpo della giovane, colpito in pieno, venne
scaraventata verso la foresta, dove però trovò le braccia del mangiamorte,
dietro di lei, a farle da cuscino per la caduta.
«No!» urlò l’uomo, preoccupato per la salute di Hermione,
svenuta sotto il forte colpo.
L’Auror sorrise e lanciò un grido soddisfatto, Harry
abbassò la bacchetta, dilaniato da un senso di colpa di cui non si sarebbe
liberato molto facilmente.
Gli occhi ghiacciati percorsero il volto della giovane,
fermo in una smorfia di dolore, appoggiato al suo petto, i capelli intorno al
volto, incastrati nelle labbra aperte in un sussurro silente. Il suo sorriso
non lo illuminava più, non sentiva più la sua voce, la sua risata. Il suo corpo
giaceva tra le sue braccia abbandonato a se stesso.
E gli occhi si colorarono di ghiaccio rovente.
Un colpo freddo e potente lanciò Harry oltre la radura,
la mano del mangiamorte tesa, mentre un ennesimo incantesimo colpiva il giovane
Auror, che crollava a terra, come preso da un dolore lancinante che urlava
dentro il suo cuore, come uno stridio di mille unghie contro la lavagna del suo
cuore, dilaniandolo. Le sue urla si propagavano nella radura. Lo squadrone
rispose con un arcobaleno fulminante di incantesimi diversi, rivolti verso il
giovane mangiamorte, a terra per sorreggere il corpo della giovane Hermione,
svenuta.
Un muro di ghiacciata protezione si erse dal suolo a un
semplice movimento del giovane, uccidendo come specchio il micidiale arcobaleno
degli Auror, stupendo l’intero gruppo.
«Stupidi, non pensiate che una manciata di bacchette
possano fermare un Ferchirante!» e poggiando con
dolcezza la giovane sul suo petto, liberando entrambe le mani, il giovane mago
incominciò il suo ennesimo, ma non ultimo, “spettacolo di magia”.
Qualche mese prima...
La preside McGranitt scriveva con una scrittura minuta e
precisa, quando un bussare le fece alzare le pupille sottili, sopra la
montatura, rispondendo alla cordiale richiesta di entrata.
Un giovane dagli occhi ghiacciati e i capelli neri a
coprire il volto entrò, con passo timido e il capo basso, la schiena ricurva,
come a nascondere la sua altezza.
Era vestito malamente, con una palandrana che più per
vestito fungeva da costume.
«Mi ha chiamato, preside?» disse, con voce profonda, da
ragazzo ormai cresciuto.
«Hai riposato bene stanotte?» domandò la signora,
sistemandosi gli occhiali sul setto nasale, riponendo la penna.
«Sì signora, per quanto mi sentivo in colpa nell’occupare
un letto non mio.» rispose, creando un sorrisetto nel volto della donna. Il perfetto
chignon in testa alla donna non riusciva più a nascondere ormai i ciuffi
bianchi.
I dipinti sul muro si muovevano, sussurrando. Gli occhi della
donna si erano quasi appoggiati con distrazione sul ritratto dell’uomo dalla
lunga barba bianca e dal mantello azzurrino.
«Non ti preoccupare per questo, avrai una nuova casa, e
un tuo letto dove dormire. Il Cappello Parlante oggi, in via straordinaria, ti
smisterà in una delle nostre quattro Case. Da oggi frequenterai i corsi, e
diventerai un mago. Uno di quelli veri però.» il volto del giovane si illuminò,
sbalordito, e McGranitt notò, con una certa felicità, una nascosta lacrima
scendere sul volto nascosto del ragazzo.
«Ma dovrai rimetterti in pari, sei all’ultimo anno, hai
sei anni davanti di studio arretrato. Ti senti preparato?» gli domandò, sapendo
quanta mole di studio doveva fare il ragazzo.
«Ho già studiato Storia della Magia e Incantesimi a
memoria. Può esaminarmi anche oggi.» rispose il giovane entusiasta creando una
piacevole soddisfazione nella preside.
«Prima devo sapere in che Casa sarai, prima di
esaminarti. Dopotutto ti devi ancora procurare i materiali necessari per il nuovo
anno che incomincia oggi.» e parlando afferrò un vecchio e liso cappello nero
da uno scaffale.
Il giovane si sedette a un cenno della donna, lasciando
che le poggiasse il cappello sulla nuca.
Uno squarcio nel copricapo creò voce, e parlò.
«Mmm...era da tanto, tanto
tempo che non mi capitava un caso così magico...» il ragazzo sobbalzò, non
aspettandosi una reazione così da un copricapo. Ma non osò fiatare.
«Quanta magia, quanta potenza, quanto coraggio, quanta
forza c’è in questo ragazzo...» parlava, lo squarcio, e il giovane iniziò a
sudare freddo. La preside teneva d’occhio una clessidra.
«...eppure c’è un’ombra che lo attanaglia, difficile,
difficile scelta che devo far oggi...» i minuti passavano, i granelli di sabbia
cadevano, e il capello continuava in un mugugno continuo.
Passarono più di dieci minuti in silenzio, sorprendendo
persino la preside, una Testurbante.
Mai il cappello si era limitato a star zitto e a
meditare, e nessuno osò interromperlo o fargli fretta. Dovevano solo aspettare.
«Grifondoro!» urlò infine, spezzando l’inquietudine nei
due spettatori e facendo sobbalzare il ragazzo sotto di esso.La
preside, con un sorriso soddisfatto sfilò il cappello, riponendolo dove lo
aveva preso.
Il giovane aveva il cuore a mille, la felicità così tanta
da traboccare oltre gli occhi. Era in Grifondoro. Era nella stessa Casa dove c’era
Lei.
«Benvenuto in Grifondoro, Andreas.»
mormorò Minerva, orgogliosa che un caso così raro come quel ragazzo entrasse
nella sua vecchia Casa.
Il giovane alzò gli occhi, e pianse di felicità,
annuendo, sentendosi per la prima volta...vivo.
Ruotava la pietra alla
mano Andreas, un gesto che sin da piccolo faceva con l’unico anello che
possedeva, una pietra piccola contornata da una maglia di acciaio leggermente
incisa dal lavoro accurato di un orafo e dal tempo. L’unico oggetto della madre
morta giovane alla sua nascita. Gli occhi ghiacciati, come i lunghi capelli
neri, erano il ricordo indelebile del violento padre, sua fotocopia nel fisico.
Indossava una divisa, di seconda mano, già marchiata con i colori araldici del
Grifondoro, oro e rosso carminio. Di alta statura, Andreas cercava di occultare
la sua altezza con una postura scorretta, indossando vestiti larghi e scialbi,
riuscendoci quasi alla perfezione. I capelli, calati sul volto, celavano i
tratti del ragazzo, timido di natura.
Gli occhi però erano come
lanterne di fuoco dietro una cascata scrosciante, come candele dietro il vetro
infranto dalla pioggia torrenziale; ghiacciati come il più puro dei torrenti invernali,
limpido come il cielo quando nevica.
Saliva le scale dietro la
preside, pochi scalini davanti a lui. L’atrio principale, dominato dalle scale,
era letteralmente un mantello di ghepardo di quadri, che non lasciavano
immagini di muro alla vista. Poi d’un tratto una scossa, e le scale si
staccarono dal muro accanto. Andreas, spaventato, si aggrappò alla ringhiera,
vedendo come la donna non si preoccupava di quell’anomalo movimento. Spostarono
la loro base e poi si fermarono, come se fossero nate per essere ferme in
quella posizione. McGranitt arrivò il cima e si girò, notando lo sguardo
terrorizzato del giovane.
«Oh, non ti spaventare,
alle scale piace cambiare...» aggiunse,
sistemandosi gli occhiali sul setto nasale. il moro salì gli scalini tre alla
volta, raggiungendo la donna con un leggero timore nella voce.
«E questo...è
naturale?» domandò, osservandole come se
in quel momento si mettessero a muoversi ancora. La donna ricominciò il suo
cammino, intanto parlava.
«Ovviamente. Il
dormitorio della tua casa è al terzo piano, dietro questo quadro.» aggiunse, indicando un quadro ad altezza d’uomo,
raffigurando una donna di mezza età in uno sfondo paesaggistico, stile classico
dell’800.
«Buongiorno
preside.» aggiunse la donna, muovendosi con leggiadria, scostando la gonna per fare
un inchino. Andreas sbiancò.
«Q-Questo quadro parla!» aggiunse, indicando il dipinto
con ancora più sbalordimento delle scale.
«Ovviamente ser, e senza
balbettare a differenza vostra.» aggiunse la donna, guardando con disturbo l’indice
accusatorio del ragazzo, che egli abbassò subito, come colpevole di una pena
capitale.
La preside, senza dar peso a quel lieve battibecco,
pronunciò la parola d’ordine per entrare nel dormitorio.
«Ippogrifo.» e passò lo sguardo severo ad Andreas «E ti
consiglio di impararlo a memoria, ragazzo.» aggiunse, entrando nel buco dietro
di esso. Il ragazzo passò dopo di lei, ringraziando timoroso il dipinto, per
poi sfuggirgli dietro. I suoi occhi si riempirono di meraviglia varcando la
soglia, come davanti a una statua del Michelangelo, armonia, coordinazione,
sinuosità e sontuosità. Il rosso regnava dappertutto in quella stanza di
pietra, come un eterno tramonto racchiuso nel castello. Un enorme camino acceso
che riscaldava tutta la stanza era alla sua destra, divani e poltrone, rosse
anch’esse, facevano giacigli per chi volesse riposarsi o semplicemente
riscaldarsi in quella uggiosa giornata di settembre, fredda per colpa della
pioggia.
I vetri, spaccati dalle gocce di lacrime del cielo grigio
plumbeo, erano alti e leggeri, come i muri pieni di quadri e arazzi.
Un gruppetto di ragazzi, di svariate età, fermarono le
loro numerose attività quando la preside entrò. L’ambiente era piccolo, e
poteva contenere un massimo di venti persone, eppure aveva una intimità rara
nell’aria.
Un profumo di rose inebriò il respiro di Andreas, una chioma
di eleganti chiome scure gli passò il fianco, un fedele libro verde in mano e
gli occhi brillanti di intelligenza transitarono dagli occhi della preside ai
suoi. E sentì brividi il giovane, nascondendosi, se possibile, ancora di più
dietro i suoi capelli scuri. Hermione salutò con non nascosta complicità la
preside.
«Buongiorno professoressa McGranitt, bella giornata, non
è vero?» aggiunse, illuminando il suo volto con un sorriso che il giovane
raccolse come la più rara delle piante. Sul petto una spilla verde che
risaltava sul maglioncino rosso, una P.
«Bella giornata per lo studio, sì, signorina Granger.»
rispose cordiale la donna, sorridendole «Può riunire i Grifondoro per favore
nel dormitorio? Avrei un annuncio importante da fare.» e la ragazza, annuendo,
partì in quarta per richiamare all’ordine i giovani all’interno del dormitorio,
salendo in una delle due rampe di scale in opposizione all’entrata.
Andreas sbiancò, se possibile, ancora di più. Doveva presentarsi,
ovviamente, ai suoi nuovi compagni, e quel momento lo mandò in panico. L’avrebbe
visto anche Lei. La donna che più di tutte gli faceva battere il cuore come
dopo una corsa.
Andreas
entrò nel castello, ammantato da una nuvola di pioggia torrenziale, zuppo fino
al midollo, trovando all’entrata gli occhi della McGranitt osservarlo oltre la
coltre di vetro affilato.
Era
scortato dal professor Lumacorno, ingaggiato per andare a prelevarlo dal circo
in cui aveva vissuto per tutta la vita.
In mano una
misera borsa, indossava un costume che doveva raffigurare un giovane mago,
rendendolo buffo e ridicolo di fronte alla verità dei personaggi che lo accerchiavano.
Il silenzio
era disteso sul castello, disturbato soltanto dal rumore di pioggia oltre i
veti e le pietre grigie.
«Benvenuto
a Hogwarts, Andreas. So che hai tante domande, ma so anche che hai affrontato
un lungo viaggio e visto cose che non avevi mai visto prima, se non nella tua
fantasia. Stanotte riposati, verrai scortato dal signor Gazza in un letto
libero del castello. Domani mattina avrai una risposta a tutto.» parlò la
donna, lasciando il giovane nelle mani di quell’uomo bitorzoluto e seguito da
uno strano gatto.
Mentre
entravano nel castello intravide una giovane donna girare l’angolo, incrociando
la loro strada. Hermione non diede attenzione all’uomo, né al giovane che lo
seguiva. I loro occhi si incrociarono per un secondo nel mezzo del corridoio,
illuminato solo dalla lampada di Gazza e dalla bacchetta della giovane.
Fu in quel
momento, in quel luogo, in quella vita che Andreas vide l’essere più bello e
pieno di essenza della sua esistenza. Sacrificò il suo cuore all’altare dell’amore
per lei nel frammento di secondi in cui lei gli sfiorò una spalla,
sorpassandolo.
Andreas,
dimentico del respiro, visse succhiando il midollo della felicità dal ricordo
di quel vago profumo di rose di quella donna, unica sua immagine scolpita a
marchio indelebile nel cuore che correva impazzito per la moltitudine di
labirinti nel suo corpo.
Odiò il momento della sua scomparsa con tutto se stesso.
Poi passi sulle scale, un paio di ragazzine scesero le
scale, seguite dalla riccia. Scostò un ciuffo ribelle dal volto, poggiandolo
dietro l’orecchio.
Babum, scoppio di cuore.
Andreas sentiva su di sé occhi curiosi che aumentavano in
modo drastico. Quanto ancora doveva durare quella tortura?
La riccia salì nell’altra
scala, con tranquillità, scendendo poco dopo con due uomini alti, uno dalla
zazzera rossa e l’altro con buffi occhiali tondi.
Finalmente tutti erano
riuniti, i Grifondoro numerosi bisbigliavano chiedendosi cosa la preside
volesse. Occhi sempre più insistenti sul volto di Andreas, che sudava freddo.
Hermione spaccò la folla, dirigendosi di fronte alla preside, parlando.
«Sono quasi
tutti qui, a parte alcuni ritardatari in Sala Grande, vuole che vada a
chiamarli?» domandò,
impettita e nel pieno del suo ruolo di Prefetto. La donna anziana negò con il
capo e iniziò a parlare con voce alta, per farsi sentire.
«Oggi vi porto un compagno sfuggito per troppo tempo dal
dovere dell’istruzione magica. Frequenterà l’ultimo anno, come gli si deve alla
sua età, e voglio che voi lo accettiate come se avesse vissuto con voi questi
sei anni pieni di accadimenti.» la preside spostò poi lo sguardo su Hermione,
affianco a lei «Affido a te, Hermione, il compito più arduo: fargli recuperare
sei anni di insegnamenti. Sei la studentessa più brillante, oltre ad esser
Prefetto. Sono sicura che saprai fare un ottimo lavoro con una mente desiderosa
soltanto di imparare.» la giovane spalancò gli occhi, vedendo come il ragazzo
puntò lo sguardo su di lei, sbalordito tanto quanto lei. Poi un rossore
visibile, e abbassò il capo.
«Accetto con
piacere, professoressa.» parlò,sorridendo, piena del suo fervore. Le sue
mani strinsero il libro che portava ancora al petto.
Andreas sorrise entusiasta
oltre ogni limite, seguito da lei, abitare in un castello che già sentiva casa
sua...era un sogno che si tramutava in realtà. E non riuscì a trattenere le
lacrime, nascondendole dietro i capelli sul volto, guardando poi la preside
uscire, dando ordine che anche i Grifondoro assenti venissero informati. Una
marea di mani che si tendevano verso di lui per presentarsi, elencando nomi che
lui non avrebbe di certo imparato subito ma stava già appuntando nella sua
memoria.
Lentamente i giovani
ripresero le attività interrotte, e Andreas rimase lì, impalato in mezzo alla
sala, a guardarsi in giro, come un cagnolino abbandonato e smarrito.
E sopraggiunse Lei, colpo
di fulmine.
«Ciao, sono
Hermione Granger» parlò,
tendendogli la mano, sorridendogli con grazia. Lui allungò la mano, e risucchiò
come un buco nero il suo calore e la sua morbidezza.
«Andreas...» mugugnò, scostando lievemente i capelli dal viso,
cercando di sorriderle. Poi l’uomo dai capelli rossi dietro di lei poggiò la
mano sulla sua spalla e parlò con un ringhio.
«Ron Weasley,
il fidanzato di Hermione.» calcando l’ultima
affermazione come se sotto il tacco avesse ucciso un fragile cristallo, l’anima
di Andreas.
«Dai, poverino,
non spaventarlo così.» proruppe lei,
dandogli una giocosa botta alla spalla, ma l’uomo ignorò sia l’affermazione che
il colpo. Gli occhi bruciavano i resti di Andreas, sparando silenziose cartucce
di minacce.
«Piacere, Harry
Potter.» affermò il moro a suo lato,
porgendogli la mano, sorridendo.
«Piacere mio.» ripeté il giovane, con meno entusiasmo, lo
sguardo basso. Ci fu uno strano silenzio, che Andreas non sentì di riempire. Era
abbastanza vuoto dentro. La sua anima votata a una donna che non poteva mai
diventare sua, promessa ad un altro.
«Beh, non dici
nulla?» domandò il rosso, guardandolo
come se avesse mancato di rispetto a qualcuno. Andreas scorse gli occhi su quel
trio, non capendo cosa avesse fatto di sbagliato.
«Beh, dovresti
esser felice Harry, è la prima volta che una persona non ti tratta come un
vip...» aggiunse, notando l’imbarazzo e l’ignoranza del ragazzo. Lo guardava
dall’alto, Ron, eppure se Andreas si fosse eretto nella sua vera altezza,
sarebbe più alto di un palmo di mano dal rosso.
«Perché mai dovrei trattare da vip una persona che ho
appena conosciuto?» Andreas mostrò quel lato del suo carattere che pungeva: era
tremendamente e fottutamente irascibile quando veniva provocato e Ron, nella
sua mente, stava diventando una persona da odiare fino in fondo. Scostò i
capelli dal suo volto, tirandoli indietro, mostrando appieno il suo volto.
Una ragazzina squittì a quel gesto, e un gruppetto di
ragazze si mise subito a mormorare. Il volto di Andreas, nascosto dai capelli,
non aveva suscitato tanto scalpore all’inizio. Ma ora, senza ostacoli, si
poteva notare come i tratti somatici del ragazzo fossero stati come levigati
dagli déi. Un volto ovale circondava quel leggero mento pronunciato, legandovi
insieme quella forma latineggiante degli occhi, così aperti su una landa
ghiacciata piena di venti colorati di sentimenti. La bocca, di un colore roseo
e dalla forma candida e giovale contratta in un segno di disprezzo, alzandosi
nella sua vera postura.
Fu come vedere una pianura diventare montagna. E a Ron
questo cambiamento non piacque per nulla.
«Perché è l’eroe che ha fermato la II Guerra Magica, ecco
cosa.» Affermò, avvicinandosi al giovane, notando la differenza di altezza, ma
non indietreggiando. Andreas resse lo scontro visivo.
«Smettila, Ron, ti stai rendendo ridicolo. Non è un
ragazzino del primo anno da intimorire, ma un compagno di anno da rispettare.»
disse la giovane, facendo indietreggiare il rosso e spezzando lo scontro visivo
concluso in parità.
Gli occhi di Andreas si illuminarono, guardandola mentre
respingeva il rosso da lui, e non smise di fissarla, aggiungendo fuoco sulla
furia di Ron, colpito sull’orgoglio. Scostò il mantello, inchinandosi di fronte
alla giovane, prendendole una mano e baciandole il palmo, parlando in modo che
tutti sentissero.
Tum, cuore che corre.
Tum-tum, cuore che ama.
«Voglio ringraziarla in anticipo, madame, per la dolce
concezione del suo tempo e del suo impegno nel mio recupero scolastico.» si
rialzò, e notò le sue guance imporporate e lo sguardo che rifuggiva il suo, ma
non lasciò la sua mano. Era così calda...la mano di Hermione.
Babum, vita nel cuore che corre.
«Riempitemi di sapere, mia donna.» e finalmente dilatò il
suo sorriso più pieno.
Sapeva che era vietato
uscire dal dormitorio, ma con sguardo sicuro osservò i vuoti corridoi per
scivolare sicuro su per le scale, immobili, nel loro sonno di pietra. Persino
la Signora Grassa russava sonoramente, spezzando quel ronzio dei quadri che dormivano,
non accorgendosi del ragazzo che sfuggiva dal guscio caldo della sua tana,
correndo. Correndo col cuore che batte, che spinge e cade, versandosi negli
arti e mente come latte nel petrolio.
Sapeva dove andare, dove sfuggire,
dove intrufolarsi, come un’astuta volpe che conosce le scorciatoie del suo
bosco. Arrivò alla torre di Astronomia, in centro una raffigurazione del
sistema planetario fermo, in ferro, cigolante per il freddo e per il vento che
come bava di fili invisibili si attaccava alla pelle del giovane col fiatone.
Indossava i suoi vestiti, sempre troppo lisi, sempre troppo consunti, sempre
troppo larghi. Non sono per lui, mai per niente era per lui, sempre scarti di
altri, sempre altri timbri sulla sua pelle.
Osservò il cielo, si
stava accendendo, come un piccolo dipinto toccato dalla punta di colore
dell’artista. E si colorava di rosso, il sole che arrivava, e la quiete della
notte lascia spazio al giorno, spazzata via dal vento, dal colore, e dal
rumore. Il cielo stellato si nega a lui con eleganza, svestendosi lentamente
come un’amante silenziosa, lasciando che le sue grazie vengano ricoperte dalle
membra del suo eterno compagno. La luna, ancora fissata nel blu lo guarda,
prima di esser assorbita dall’azzurro. E la notte muta nome.
Andreas, ritornando
lentamente verso il dormitorio, ancora nel silenzio si ferma all’ultimo
svincolo. Nota Ron, compagno e Prefetto della casa insieme a Hermione, alto
nella sua uniforme, stringere una mano a una donna che non è lei. Alza un
ciglio, insospettito e prima di entrare lui la bacia appassionatamente.
Ghiaccio. Quella non è Hermione, è una donna più bassa, più paffuta, e troppo
chiara di capelli per esser lei.
Non si sono accorti di
lui, aspetta minuti che scorrono come pece sul vetro e poi rientra, con passo
dubbioso, osservando la bava della Signora Grassa colare dal suo labbro, e il
russare ritmico della donna prima di avere il coraggio di poggiare la mano
sulla porta.
«Ippogrifo.» mormora, non svegliando la donna che
semplicemente agita la mano e il vano si apre.
Varcando quella soglia
seppe già nel suo cuore che l’odio per Ron era aumentato come la notte, quel giorno.
Ma, quella mattina, sapeva che non poteva spezzare il cuore a Lei, no, non
poteva. Sorrideva come non mai quando stava con lui, lo notava negli angoli
della bocca e degli occhi. C’era un cristallo dello specchio di felicità in
quell’angolo. Come portarglielo via?
No, avrebbe parlato con
lui, avrebbe chiarito. Doveva sistemare lui le cose per lei. Che almeno la
donna del suo cuore fosse felice. Che almeno lei possedesse quel sorriso fatto
di sospiri tipico degli amanti.
«Ron, ti devo
parlare.» parlò Andreas, stretto nel suo
mantello, il freddo settembre bussava alle porte della sua pelle, e un vento
flebile ricordava l’odore della pioggia che era caduta. Ron,vedendolo uscire
dagli spogliatoi del Campo di Quidditch, con i capelli ancora attaccati alla
fronte, grugnì, disegnando sul suo volto una faccia scocciata. Lo fissò,
fulminandolo con lo sguardo, odio ricambiato.
Andreas si tocca i
capelli nervoso, passandoli indietro, mostrando il volto.
«Che vuoi,
pulce?» il tono per niente amicale, ma
il ragazzo passò sopra al nomignolo, andando subito al punto, diretto come lo
era sempre stato.
«Smettila.» gli disse, con tono autoritario. Ron alza un
ciglio, cambia peso sui piedi, scocciato, portando la borsa col cambio sulla
spalla. Il sorriso sprezzante.
«Cosa dovrei
smettere?» chiese, non sapendo su cosa
andasse a parare.
«Di tradirla.».
La borsa cade a terra con
un tonfo, e la mano di Ron che afferra il suo colletto lo tira verso di lui,
portandolo a pochi centimetri dal suo volto. Gli occhi accesi di una furia
colorata di odio.
«Di cosa stai
parlando, moccioso?!» proruppe,
stringendo il maglione e scuotendolo. Andreas rimase impassibile, ma non
abbandonò lo sguardo risoluto. A guidare la sua motivazione le vele dell’amore
che lentamente si cuciono di filo di coraggio e corde di forza.
«Tu sai cosa.
Smettila.» con la mano afferrò quella del
rosso, scostandola dalla sua maglia e si staccò, osservandolo dalla sua
altezza. Ron colorato di furia fino alle orecchie.
«Non so cosa tu
abbia in mente di fare con lei, ma non ti permetterò di ferirla. Non di più di
come stai già facendo.» e con quello se ne andò dandogli le spalle, sperando
che quel discorso faccia effetto sul rosso, magari facendogli venire quel
brivido freddo per la schiena, il filo del rasoio di quando si sta per perdere
qualcosa o qualcuno di importante.
Poi sentì un calcio alla schiena, facendolo ruzzolare a
terra, Ron sopra di lui a cavalcioni, il pugno stretto, i denti che ghignavano
e la furia dei suoi occhi che brillavano prima del suono sordo dei suoi pugni
sulla faccia di Andreas.
Hermione corre, dirigendosi con passo frettoloso
all’infermeria. Varcando le porte, sul primo letto a sinistra c’è Ron, il volto
tumefatto e una smorfia di dolore ogni volta che l’infermiera toccava la sua
pelle violacea. Poi i suoi occhi colano su di lei come colori a olio.
«Ron, che cosa hai combinato?!» proruppe, avvicinandosi
al letto, il ragazzo evitò il suo sguardo e mantenne il muso. I pugni rossi
ancora per le botte, ancora stretti. Lei gli passò la mano sopra, ma non si
sciolsero, alzò lo sguardo, per cercare di decifrare quel Weasley, e vide i
suoi occhi brucianti fissare una cosa oltre le sue spalle. Un letto chiuso
dalle tende.
Entrò, domandandosi per quale motivo proprio lui doveva
picchiare. Ron era diventato violento in quel periodo, qualche volta aveva
toccato anche lei, con qualche schiaffo troppo sonoro nei litigi, ma poi
chiedeva sempre scusa. Hermione glielo perdonava. Leggeva nei suoi occhi scuri
il chiasso della Guerra che brillava. E spegneva Ron.
Seduto sul letto a torso nudo, gli dava le spalle
Andreas. Inorridì. La schiena intera tersa di cicatrici rimarginate, che
deformavano la linea dolce che invece la sua pelle dettava. Il giovane si stava
rivestendo in fretta, e quando si voltò si colorò di vivo rosso, imbarazzato.
Hermione calò lo sguardo, spezzando quel silenzio con la sua voce.
«Cosa è successo?» domandò, mentre il ragazzo scendendo,
si scuoteva i pantaloni dai fili d’erba. Aveva uno sguardo spezzato tra il
timido e la frustrazione, una faccia tumefatta tanto quanto Ron, nascosta sotto
i capelli che cadevano lunghi, gli occhi sfuggenti, le mani tremanti. Non aveva
il coraggio di guardarla in faccia, non in quel momento.
Mi ha
visto, LE ha viste.
Stava chino, la schiena era stata colpita con forza e
pungeva come un’ape al solo movimento. Almeno l’infermiera non le chiese nulla sulla
natura delle sue cicatrici e praticò la cura in silenzio.
«Nulla per cui valga la pena rivangare.» disse, si
sistemò il mantello e fece per uscire. Fu bloccata dalla mano di lei sul petto.
Tutum,
cuore che batte.
Tutum,
cuore che sussulta.
«Non l’accetto,
come risposta.» proruppe
seria, non volendo far finire il discorso così. Andreas, titubante, si fermò, e
dopo un minuto di silenzio sorrise. Il suo volto non poteva spegnersi ora. Non
ora che forse era riuscito a convincere quello stupido rosso che nessuna donna
è niente in confronto a Lei.
«Quando due
uomini litigano e finiscono a botte, è un particolare modo per sistemare le
cose tra di loro. Non struggerti troppo su questo, Hermione, era solo un modo
per avvisarlo.» gustò il suo nome sulla lingua con piacere. Era la
prima volta che la chiamava per nome. Fu come miele nella camomilla prima del sonno. La fronte della giovane si
corrugò.
«Avvisarlo a
proposito di cosa?» chiese, non
intuendo, tentando di leggere la risposta nei suoi occhi, celato agli sguardi
dai capelli. Andreas si beò lievemente della curiosità nei suoi occhi e aprì le
tende, prendendo gentilmente congedo dal suo sguardo, dolce coperta di calore.
«Che non sono
una persona che si fa intimorire da due pugni ben assestati.» affermò, mutando il viso, ora molto serio, gli
occhi diretti al rosso. Ron all’entrata aspettava che lei uscisse, le braccia
incrociate, lo sguardo furioso diretti all’uomo con cui ha fatto a pugni in
giardino, fermati da Hagrid.
Si dirige verso l’uscita Andreas,
Hermione ancora ferma vicino al letto, osservandolo andare via ancora più
confusa. Ron lo guarda, senza perderlo di vista. Il moro si ferma affianco a
lui, sussurra due parole e va via, lasciando il volto di Ron ancora più rigido
di come lo era prima. Le mani frementi ferme sotto le braccia, non muovendosi.
Settembre, con le sue
ombre cupe e le piogge leggere d’acqua e pesanti di nuvole, stava passando
sotto gli occhi giovanili di Andreas, sotto una luce diversa da quella del
tendone del circo. Cresciuto da suo zio e la sua donna, un clown ubriaco e che
faceva più paura che ridere e la donna cannone dolce come lo zucchero che era
costretta a mangiare. I suoi occhi, così chiari rispetto a quelli degli zii, i
capelli sempre unticci, calati sugli occhi, occhi che il clown imputava fossero
del diavolo, visto che il padre lo era. Andreas vibrava sempre al ricordo dei
pugni del padre. Lo picchiava sempre, il clown, quando lo guardava direttamente
negli occhi. E la donna cannone, donna di forme per obbligo non per scelta, gli
curava le ferite con una pezza bagnata e un abbraccio.
Era entrato nel circo
molto giovane, facendo maestrie senza trucchi, e veniva apprezzato per l’aria
tenebrosa e il sorriso, unico accenno al viso che teneva nascosto tra la
mascherina nera e i capelli.
Il padre gli aveva
insegnato qualcosa prima di fuggire quando entrò nella pubertà. E lui era solo
un ragazzo. Gli disse che partiva per la guerra. Non tornò mai più. Andreas ne
fu contento.
Un ragazzo adorato solo
per le sue magie e maltrattato per lo stesso motivo. Era troppo magico.
Il clown non faceva mai
ridere, soprattutto quando lo picchiava. O quando violentava Odessa.
Lei non si ricordava
nemmeno il suo vero nome. Non sapeva le proprie origini, e capiva Andreas più
di chiunque altro dentro quel tendone che di giorno ospitava sorrisi e risa e
di notte i pianti di un giovane pieno di bozze.
«Non fa ridere,
Ody...» l’apostrofava
Andreas, guardandola con l’occhio vispo, i suoi capelli trattenuti da una
molletta con strass. La donna lo guardava con quell’enorme faccione, rotonda in
tutto e per tutto, tranne che negli occhi. I suoi occhi neri, affilati, erano
pozzi di tristezza, dolore, distruzione di sé.
«Ma fai ridere!» decretò
sorridente, correndo a prendere i bigodini, felice. Il ragazzo era l’unica che
la faceva sorridere. Lui era un mago, rispettato come persona normale, era uno
spettacolo del circo. Lei fenomeno da baraccone, senza anima ma solo scorza, lì
solo per essere derisa e insultata.
Stava tagliando le patate, l’acqua che bolliva, quando
sentì un rantolo provenire dal camerino. Poi un tonfo, rumore di bottiglie
rotte.
Andreas corse, con il cuore in mano. Aveva sentito un
cuore spezzarsi, in quella stanza.
«Mamma!»
Parlò istintivamente. E la donna non sentì nemmeno il
richiamo di quel figlio sopravissuto a tutti gli altri. Tanti sacchetti piangenti
abbandonati.
E si aggiunse un cuore lacrimante, in quella giornata di
pioggia.
«Andreas...».
...
Era così felice quando lo guardava. E così triste quando
gli aveva detto dei parti avuti...e lui si era decretato suo figlio, a 5 anni,
sorridendole. E vide il suo sorriso per la prima volta. Un abbraccio pieno di
tutto.
Mamma, anche se non biologica... ma pur sempre mamma.
Un fiore d’arancio sul terreno umido.
...
«Andreas...?».
...
Le piacevano i fiori d’arancio. Avevano un odore così
ingombrante, così come lo era lei. Ingombrante, brutta. Eppure lui la vedeva
bellissima. Così magra d’amore in un mondo grasso d’amarezza.
...
«Andreas!».
Il ragazzo si riscosse dai suoi vaghi - cupi - pensieri,
scostando lo sguardo dalla finestra a Hermione. Un ciglio alzato in modo
garbato. Labbra serrate. Occhi come dardi infuocati. Dea oltraggiata.
«Scusa Hermione, mi sono distratto...» rispose il
ragazzo, spostando il ciuffo dietro l’orecchio. La donna sbuffò.
«Se ti distrai non posso aiutarti...» proruppe,
scocciata. Il suo sguardo ancora irato. L’uomo spostò gli occhi ghiacciati a
una goccia che colava. Piccola automobile che corre su una superficie illesa,
stroncando ostacoli e corre, corre...
«Brutti ricordi nei giorni di pioggia.» si giustificò,
asciugandosi quella piccola automobile sul burrone dei suoi occhi. Hermione non
ignorò quel gesto.
«Cosa c’è? Lo so che ti mancano i tuoi genitori, posso
capirti...» l’uomo sorrise. Hermione si stupì. Gli stava sorridendo con un
sorriso carico di pioggia come quel prato, sotto di loro. Era un sorriso umido,
quello. Così raro da sentirsi quasi una spettatrice scomoda.
«Non ho genitori, Hermione...» disse, guardandola con gli
occhi velati di tristezza.
O almeno,
quell’uomo per me non era mio padre...
La donna aspettò, sapeva che aveva bisogno di sfogarsi.
«Ma una mamma l’ho avuta. Ed è morta in un giorno di
pioggia...» la voce incrinata, voce da pianto. Ma si tratteneva. Non aveva
bisogno di piangere. Lei era felice quando lui sorrideva...
«Ma ormai è passato. Dove eravamo arrivati?» chiese,
guardandola con tranquillità, ora con occhi trasparenti. La pioggia smise di
cadere. Hermione sollevò un poco gli angoli delle labbra e gli indicò la
pagina. Si sentì come confortata, quella lacrima asciugata subito era come un
piccolo regalo per lei, una piccola intimità nata tra loro. E sorrise,
ringraziandolo in silenzio per quel piccolo dono.
«Hermione!» il ragazzo la guardava con meraviglia.
Stavano preparando pozioni, con l’autorizzazione del professore Lumacorno. Gli
occhi brillavano, mentre un liquido argentato e un odore di libro si cospargeva
nell’aria.
«Bravo, è venuta abbastanza bene...» il ragazzo si
deterse il sudore dalla fronte. La Felix era difficile da lavorare, eppure lui
si era cimentato bene, gli serviva per passare l’esame. Il professore
sogghignò.
«Beh, non potevo chiedere di meglio, da un amico di
Potter...» il ragazzo si ammutolì. In realtà era stata Hermione ad aiutarlo, ma
lei gli aveva detto di assecondarlo. Era stizzito, non accettava che Lumacorno non
apprezzasse il duro lavoro di qualcuno.
«Per me sei promosso, signorino Wizard!»
e con la penna ripiena di inchiostro firmò un documento, attestandogli
l’idoneità per l’anno corrente. Andreas sorrise, sedendosi con un tonfo e
lasciando cadere la tensione. Hermione, dall’alto della sua posizione, lo
osservò. Quello era uno dei suoi sorrisi sinceri. Non come quello precedente.
Era difficile accorgersi della differenza, ma c’era. Una volta è una piega
della bocca, un’altra gli occhi che brillano, un’altra la curvatura del suo
collo...
Hermione rifuggì quei pensieri. Dopotutto erano solo
amici...
«Hermione, posso chiederti una cosa?» il ragazzo parlava
con lei sempre con una vena d’intimità, considerandola unica amica in quel
castello. Era ormai ottobre, il mese degli scherzi. E a lui, soprattutto,
gliene avevano fatti tanti, di brutti scherzi.
«Dimmi Andreas...» la pronuncia sempre perfetta del suo
nome provocava piccole pulsazioni di cuore nel ragazzo. I suoi occhi sui suoi.
Quella ragazza non aveva paura di incontrare uno sguardo. Lui assaporò le sue
ombre di quercia e terra fertile prima di scostarli.
«Da quanto tempo state insieme, tu e Ron?» domandò alla
ragazza, timido. E il suo volto si imporporò. Guardò il pavimento, un libro
stretto in grembo. Andreas aspettava quieto la risposta, sapeva che sarebbe
arrivata, come un tonfo sul suo cuore. Ma, se almeno non poteva essere Ron,
sarebbe stato come Harry: amico e nulla più.
«Beh, non è che noi siamo fidanzati ufficialmente...»
disse Hermione, scostò i capelli, guardava avanti. Il rossore sparito. Andreas
la guardò stranito.
«Come?» domandò, non capendo le parole enigmatiche della
ragazza.
«Beh, quando rivelammo i nostri sentimenti c’era la
guerra...» ammise, girando l’angolo. Andreas annuì, poi uno spintone lo prese
all’improvviso, rovinando a terra.
«Malfoy!» soffiò tra i denti il moro, gli occhi
ghiacciati ardenti di rabbia. Quell’uomo aveva iniziato a tormentarlo. Hermione
gli aveva detto che dalla fine della guerra lui aveva lasciato stare Harry -
visto che gli aveva salvato la vita - ma che a quanto pare aveva scelto lui
come vittima numero uno. La voce di questo strano ragazzo entrato in scuola
all’ultimo anno per qualche specialità non ancora rivelata aveva scocciato
Malfoy.
«Salve, Wizard... come mai per
terra?» ghignò l’uomo, i capelli biondi, lo sguardo bianco. L’acqua e il
ghiaccio si scontrarono in quel corridoio vuoto di testimoni, stranamente.
«Lasciami stare.» proruppe il ragazzo, rialzandosi e
riprendendo il cammino. Hermione fulminava con gli occhi il biondo. I capelli
irradiavano il suo volto colorato di rosso. Colorato di rabbia.
«Ehi, chiedi scusa! Mi hai urtato!» disse, ma il moro lo
ignorò. «Oppure quella cicciona di tua madre non ti ha insegnato
l’educazione...?» Andreas si bloccò. Una mano porta i capelli dietro i capelli,
inspirò a fondo, gonfiando il petto. La sua altezza dominava ora Draco, che lo
fissava dall’alto, occhi fulminanti. Pochi centimetri di distanza tra i due.
Segno di sfida.
«Cosa hai osato dire...?» tempesta contro ghiaccio. Il
biondo sogghignò.
«Che tua madre è una cicci...»
ma un pugno impedì al mago di finire la frase. La potenza del colpo fu talmente
forte da scaraventarlo a terra.
«Stupido Mezzosangue!» urlò Draco. Hermione sentì il
dolore al collo come quel giorno. Quella cicatrice le ricordava ancora Bellatrix, ricordava ancora la guerra.
«Alzati e combatti, rammollito! O hai paura di
affrontarmi?!» sputò Andreas, gli occhi dardeggianti.
Draco tirò fuori la bacchetta. Andreas non fece
altrettanto. Anzi, cambiò espressione. Come istinto si mise davanti a Hermione,
bloccata dai ricordi.
«Mezzosangue!»
...
«Come avete
fatto a entrare nella mia camera blindata?!»
...
Sangue.
Dolore. Lacrime.
«Cos’hai ora, Wizard? Paura
della magia?» sogghignò il ragazzo, sorridendo del vantaggio sul ragazzo.
«Voglio che combatti da uomo, non da mago. O non conosci
la differenza...?» i pugni stretti lungo i fianchi. Sapeva la potenza della
magia cosa poteva fare. Per quello non voleva usarla. Per questo non sapeva
usarla. Per questo non aveva una bacchetta.
«Expelliarmus!» urlò una voce chiara, dietro le spalle di
Andreas. Draco fu più veloce, e scansò l’attacco magico.
«Non pensare di intrometterti, Granger. Non è il
conflitto con te che cerco.» ribadì il ragazzo, fulminando la donna. Andreas fa
calare la bacchetta di Hermione con un gesto. E Draco colpì, nel momento di
distrazione del giovane. Colpo potente, la testa urlò dolore e il pavimento
attutì il colpo.
«Andreas!» Hermione corse verso il ragazzo steso a terra,
il libro per terra, abbandonato.Andreas
si stava alzando in ginocchio, la testa dolente. Gli sembrava che si fosse
spaccata in mille pezzi o forse più. Aprì gli occhi e fu furia. Eppure la
bacchetta di Draco ora era puntata su di lui. Ma quello che più intimorì il
ragazzo fu che c’era Hermione in mezzo. Di spalle.
«Reducto!» urlò il biondo. Fu
con un gesto della mano di Andreas che una barriera si alzò, spessa come un
muro, tra la giovane e Malfoy, respingendo l’attacco potente dell’uomo. Draco
rimase di sasso. Un colpo veloce dell’indice e del medio e la barriera andò
incontro a Malfoy. Hermione si voltò, intuendo cosa stava accadendo pochi
secondi dopo.
Malfoy, avvolto dalla barriera, stava soffocando in uno
spesso muro d’acqua. Poi un colpo di bacchetta di lei che tenta di interrompere
l’incantesimo. Rimbalzò, colpendo il muro affianco.
«Ma cosa...?» lei non aveva fatto nessun incantesimo.
Come mai Malfoy stava soffocando in un muro che lei non aveva nemmeno evocato?
In pochi secondi capì, e si voltò. Andreas aveva gli occhi concentrati. Le
pupille dilatate. La mano tesa. Hermione la prese tra le sue e l’incantesimo si
sciolse all’istante.
Malfoy tossì e guardando il ragazzo a terra corse via,
urlando “al demonio”.
«Andreas, ma cosa...?!» e poi sentì la sua mano
sciogliersi dal controllo del muscolo, il peso del ragazzo si riversò sul
pavimento. Andreas svenne.
Andreas si risvegliò in infermeria. La vista appannata. Individuò
la faccia di Hermione nella foschia che
gli guardava la mano, distesa con tranquillità sul tessuto. Occhi sorpresi.
Occhi spaventati.
«Hermione...» la sua voce bassa la riscosse dal suo
riflettere. Fece un sorriso di circostanza.
«Buongiorno.» disse, guardandolo sistemarsi a sedere. Una
leggera fascia intorno al cranio. Portò una mano al testa. Girò tutta la stanza
per quel piccolo spostamento, ma ora si stava fermando.
«Perché sono qui?» domandò il ragazzo, dimentico degli
ultimi avvenimenti. Ancora stordito dai medicinali.
«Malfoy ti ha attaccato. Hai una brutta botta in testa,
ma guarirà.» disse. La sua voce era scostante. Il ragazzo stropicciò gli occhi.
Poi i ricordi fiondarono alla mente. E capì il motivo di quel tono.
«Te lo avrei detto prima o poi, Hermione...» disse,
guardandosi le mani. Quelle stupide mani, arti così necessari eppure così
pericolosi. Odiava la magia che ne scaturiva. Sempre troppa. Sempre pericolosa.
«Ecco perché facevi Incantesimi solo con la McGranitt.»
asserì la castana, rimanendo seduta composta sulla sedia. Andreas si sentì in
colpa. Vide le sue mani stropicciarsi la gonna.
«Sì... e mi aveva caldamente raccomandato di non dirlo a
nessuno... ma io volevo dirtelo...» la sua voce trasudava dispiacere, ma
Hermione non ci fece caso.
«Sei arrabbiata con me, vero?» domandò l’uomo, leggendo
la risposta nei suoi occhi, corsi verso i suoi.
«Mi dispiace, ti chiedo scusa.» soffiò, con il cuore. Lei
si sciolse un poco. I suoi occhi non mentivano. Era veramente dispiaciuto.
Ora che ci pensava, Ron non chiedeva mai scusa. Trovava
sempre una giustificazioni per le sue azioni, o semplicemente non si scusava.
Aspettava che lei lo avvicinasse. E invece lui...
«Fa niente...» e sorrise, stavolta veramente. Andreas si
sentì subito più sollevato.
«Sai, in realtà non volevo venire a Hogwarts... avevo
paura di far male a qualcuno, con queste mani...» si sfogò il ragazzo. Le
braccia abbandonate sul grembo, lo sguardo nei suoi occhi. Hermione si sentì
attraversare, sentendosi trasparente. Sentì calore. E, imbarazzata, deviò lo
sguardo.
«E ci stavo quasi riuscendo, con Malfoy, giusto? Ora poi
lo saprà tutto il castello, del mio “dono”...» usò la voce colorata di
disprezzo nell’ultima parola. Si portò le mani alla testa e strinse. Sentì il
dolore diramarsi in tutto il corpo, ma lo accolse. Era giusto che stesse male.
«Non è colpa tua, come hai detto tu non sai
controllarti...» le sue mani fermarono le sue. Proprio come era accaduto in
quel corridoio. Un brivido corse per la pelle del ragazzo e raggiunse il
sangue, i muscoli, il cuore. E fu esplosione, piccola miccia di gioia.
Le strinse dolcemente, come si stringe la mano di un
bambino, mai troppo forte. Hermione non staccò la presa.
«Nessuno mai era riuscito a fermarmi in questi anni... ma
le tue mani...» i suoi occhi ghiacciati guardavano la sua mano nelle proprie. E
sorrise. Gli sembravano così belle, quelle mani. Delicate, morbide...calde. aveva così desiderato tanto
essere una di quelle tante pagine sfogliate da lei, con delicatezza, e ora
erano lì, nelle sue mani.
«... le tue mani mi hanno fermata. Ti ringrazio.» gli
sorrise con tutto il calore che poteva trasmettere, con tutta la gratitudine,
con tutto l’amore che aveva in corpo.
E sentì che non stava facendo abbastanza.
Ma alla ragazza bastò. Gli rispose con uno di quei
sorrisi pieni, dove potevi scorgere il bianco della sua anima. Dove potevi
notare, nell’angolo degli occhi, un elfo di felicità saltellare e correre per
tutto il viso, illuminandolo come l’arcobaleno. E Andreas brillava, di tutti i
suoi colori, fedele specchio di quel calore che emanava.
«Hermione!» la ragazza staccò la mano da Andreas al
suono, quasi come se si fosse scottata, e guardava sorpresa Ron colorato di
rosso, per poi scorgere Harry da dietro le sue spalle.
«Ron! Harry! Cosa... fate qui?» domandò, un leggero velo
di vergogna sul suo volto, leggera paura nella voce. Essere vista dal proprio
ragazzo mentre tieni per mano un altro non è proprio il massimo. E quest’ultimo
era colorato tanto quanto lei di vergogna.
Ron, invece, era vivo di furia nera.
«Casomai dovrei chiederlo io a te, Hermione.» la sua voce
quasi metallica, traboccava rabbia. Harry poggiò una mano sulla sua spalla. E
il ragazzo abbassò il tono.
«Ero venuta a vedere come stava Andreas... saprai già
dello scontro in corridoio...» disse, giustificandosi. Ma per cosa poi? Non
aveva fatto nulla di male. Avrebbe fatto la stessa cosa per loro due.
«Sì, che sappiamo che mostro è questo ragazzo. Quindi
vieni via.» proruppe Ron, ritornando ad alzare la voce. Hermione si sentì
attaccata, e sussultò sulla sedia. Non l’aveva mai visto così arrabbiato.
Andreas, ignorando le parole dell’uomo si alzò. La stanza
non girava poi tanto. Si accorse di essere a petto nudo ancora una volta, e si
rivestì in fretta. Ma il silenzio di tomba gli suggerì che il suo gesto non era
sfuggito allo sguardo dei tre. La schiena mutilata in piena vista.
Dannazione.
Indossando il maglione vide il rosso stringere il braccio
di Hermione. Lei lo guardava con occhi strabuzzati. Faceva paura, Ron, con gli
occhi iniettati di sangue, i muscoli tesi sotto la maglia aderente. E cercava
di allontanarsi da lui, seppur rimanendo sulla sedia. Hermione per la prima
volta ebbe paura del suo ragazzo.
«Non sono un mostro, per tua informazione.» proruppe, i
capelli raccolti all’indietro. Si sistemò la cravatta. Gli occhi verdi del
rosso svettarono verso di lui, uccidendolo con lo sguardo affilato. La presa
che non perdeva forza sul braccio di Hermione. Le sue mani facevano sempre così
male...
«E lasciala, le fai male.» sbottò, afferrandogli il
braccio. Hermione sussultò, grata al pensiero di Andreas e sentì la presa su di
lei sparire. Fu un gesto veloce, troppo per Andreas ancora convalescente del
colpo alla testa, e si sentì preso per la giacca e a pochi centimetri dal volto
del rosso.
«Tu stai zitto, mostro. Non sono affari che ti
riguardano.» soffiò con rabbia, scuotendolo.
«Ron, calmati. Ci sono i professori.» e il rosso mollò la
presa dal colletto del moro. Hermione li guardava spaventata. La McGranitt entrò
subito dopo dalle tende spiegate.
«Wizard!» proferì, con voce
sconvolta. Lo sguardo scorse anche i tre presenti, e sistemandosi gli occhiali
con l’indice parlò.
«Cosa fate voi qui, di grazia?» domandò, guardandoli con
quegli occhi chiari. Harry sorrise, e disse che erano venuti a vedere il loro
compagno di Casa ferito. Ron grugnì, dando la propria approvazione.
Hermione, sentendo gli occhi della preside addosso li
deviò, non rispondendo. Il braccio gli faceva ancora male. E vide il volto di
Andreas che le sorrideva. La sua mano tesa. L’afferrò, stavolta, con decisione
e con un poco di tremore. Aiutandola ad alzarsi. Il cuore più caldo. Era ancora
ferita dalla rabbia fredda di Ron. Ma lo sguardo caldo di Andreas l’aveva
riscaldata, e la sua mano era così calda e morbida...
Non come quella rozza e dura di Ron, sempre tesa. Sempre
violenta sulla sua pelle, debole di carezze. Gliela strinse, mentre uscivano
sotto lo sguardo indagatore della McGranitt, lasciandola quando si separarono.
Hermione gli sorrise, e sussultò ancora sentendo il
braccio rigido del rosso sulle sue spalle, notando dal basso Ron che friggeva
con lo sguardo Andreas. Ma lui non lo badava, anzi lo ignorava totalmente.
Ancora beato della presa di lei sulla sua, sorrideva, sorrideva con tutta
l’anima verso di lei.
«Sta tranquilla...» le aveva sussurrato, e lei si fidò di
quelle parole calde come il suo respiro, calde come le sue mani.
No, quelle mani non sono pericolose. Lei lo sapeva. Come
potevano essere pericolose mani così morbide, così calde, così dolci nei gesti?
Come poteva essere pericoloso, lui, così premuroso verso
di lei?
Andreas, conscio ormai
dell’inimicizia totale di Ron, fidanzato attuale di Hermione, e dei suoi amici,
non poteva far altro che evitare i corridoi più conosciuti scivolando nei
meandri più bui di Hogwarts. Conosceva ogni scorciatoia conosciuta ai più e ai
meno, evitando quegli scherzi di cattivo gusto vista la prossimità di
Halloween, la festa delle zucche, dei dolci e qualsivoglia prelibatezze.
Scivolò ancora una volta
nel corridoio vuoto, correndo con la tracolla sbatacchiante e un rumore di
stivali in pelle consunti sulla pietra fredda. I suoi vestiti, sempre troppo
larghi, facevano ondeggiare la tunica di seconda mano con gli stemmi del leone rampante
di Grifondoro. Disse la parola magica all’enorme suino che con un balzo si
spostò, e salì le scale a chiocciola dietro di esso.
Seguiva le lezioni
duramente impartite dalla professoressa McGranitt, cercando di controllare il
flusso di magia delle sue mani incanalandole nella bacchetta. Era da più di un
mese ormai che correva alla fine delle lezioni in presidenza e sottostare a
questo addestramento.
Le gocce di sudore fecero
attecchire i suoi capelli alla fronte. Era di una difficoltà unica concentrare
ciò che percepiva come una tempesta e farla scivolare dentro un comignolo così
stretto come una bacchetta.
«Concentrazione,
Wizard.» la voce dell’anziana donna era
così lontana, mentre lui digrignava i denti per lo sforzo e stringeva con presa
forte e tremante la bacchetta con entrambe le mani. Era un supplizio. Fulmini,
pioggia, strepitio di urla strazianti, un flusso spesso e rugoso che stringeva
con le mani in modo da fermarlo. Una frusta che tira le pelli del suo corpo da
un’altra. La faceva facile, quell’anziana, la sua magia era manipolabile come la
creta! Invece la sua... era indomabile come un selvaggio orso di montagna.
Era talmente concentrato
nel tentare di far levitare quella maledetta piuma che, d’un tratto, lo sforzo
che prima sembrava sopportabile diventò macigno. La corda si libera della
debole presa. E crollò.
«Non ce la
faccio, professoressa.» bofonchiò,
crollando sulle ginocchia, la bacchetta senza vita nella mano.
«Fermiamoci,
Wizard, riposati.» e con quel
suggerimento accorato, dettato dagli occhi stanchi di lui, si sedette anche
lei. La stanza, piena di oggetti di cristallo, strani e dalla forma più
incredibile erano ormai diventati comuni a quel ragazzo, ignorandoli. Si
sedette di peso sul divanetto di soffice piuma, tergendosi il sudore dalla
fronte.
«Non riesci
proprio, Wizard?» domandò la
donna, cercando di trovare una soluzione che non fosse la bacchetta. Gli occhi
che vagavano verso un quadro in particolare: un uomo dalla folta bianca, un
cappello a cilindro, occhi chiusi, un lieve alzarsi e abbassarsi di busto.
“Lui saprebbe come aiutarlo...” e sbuffò, passandosi una
mano nei capelli. Quel gesto non sfuggì al ragazzo, sentendosi colpevole.
«Mi dispiace arrecare così tanto disturbo.» disse,
poggiando la testa sulle mani, sorreggendo le braccia con le gambe. Strinse le
dita nei fili sottili dei capelli scuri. Gli occhi ghiacciati della donna
ebbero un’idea.
«Wizard, alzati e vieni con me.» proruppe, come presa da
una febbrile idea. Andreas alzò lo sguardo, sorpreso.
E insieme si diressero verso il settimo piano.
«Dove vi
siete allenati?» domandò la donna, guardando un giovane dagli occhiali a
cerchio. Un fulmine sulla fronte, cicatrice di un tempo oscuro.
«Nella
Stanza delle Necessità.» disse, con poca voce, accusatorio. La donna ricordava
quel mito sempre presente in quel castello. Ma dopotutto lei, che ormai la
considerava come la sua unica casa, non poteva sapere ogni segreto di quel
castello.
Arrivarono di fronte a un vecchio dipinto, e con un gesto
fece fermare il suo sconfitto ospite. Gli occhi fissi alla muratura. Poi iniziò
a camminare avanti e indietro, per tre volte. Gli occhi di Andreas la
guardarono, stranito. Iniziò a domandarsi se quell’anziana donna fosse pazza.
Poi, magicamente, all’improvviso, di fronte a lui, una
porta in legno comparì lì dove prima c’era solo pietra e malta. Gli occhi della
McGranitt sorrisero, mentre entravano.
La sala era enorme, piena di figure strane, colonne
rinforzate con ferro, e specchi.
«Cos’è questa stanza, professoressa?» domandò il giovane,
indagando la stanza mai intravista nel castello prima d’ora. La voce della donna
provenne dalle sue spalle, sicura.
«Si chiama la Stanza delle Necessità, una stanza che
compare solo a coloro che la chiamano in aiuto.» spiegò, poi aggiunse «E qui ti
allenerai d’ora in poi, Wizard.» sentì gli occhi di lui fissarla da sotto il
ciuffo nero dei capelli «Se non puoi incanalare l’energia nella bacchetta,
allora non ti servirà più. Userai le mani, come detta la tua natura.». Quelle
parole crearono paura nel giovane.
«Non so se riuscirò a controllarla, professoressa... l’energia
è tanta.» gli occhi vagavano sugli specchi, fragili. Il suo sguardo lo
trapassò, e deviò gli occhi.
«Non importa, Wizard. Questa stanza ti aiuterà, perché tu
ne hai bisogno. E tu fai parte di Hogwarts, tanto quanto questa antica stanza.
E in questo castello tutti si aiutano l’uno con l’altro.» nella mente la figura
di Hermione, sorridente, sempre disponibile. I suoi occhi che scivolavano
timorosi da lui a Ron, con silente paura.
«L’importante è iniziare, non preoccuparti dei danni che
farai.» concluse la donna e il ragazzo, sentendosi improvvisamente più sicuro
di sé, si alzò le maniche e concentrò l’energia nelle mani.
Dopo la scoperta di quella stanza Andreas trovò un luogo
sicuro, che potesse infondergli coraggio e sicurezza. Quella stanza reggeva la
sua irruenza, come la culla per il bambino iperattivo.
Anche di notte, quelle in cui non riusciva a dormire,
scivolava in quella stanza sempre calda, sempre con la porta aperta per lui. Si
allenava, intensamente, erodendosi i muscoli di mani e braccia. Era come
iniziare un allenamento. La magia era come un peso sulle sue mani e sulle
braccia, e alla mattina si svegliava con i muscoli intorpiditi.
La McGranitt lo osservava migliorare a vista d’occhio,
maneggiando l’energia sempre più con scioltezza, come creta e non come roccia o
corda ruvida.
«Wizard, passiamo a incantesimi più complicati ora, ti
senti pronto?» gli occhi della donna erano incerti. Aveva timore di quel
ragazzo per cui provava un affetto genuino. I suoi occhi brillavano da ormai
tanti giorni. Non aveva più paura di sé. Ora sentiva di controllarla quella magia. Ora lui
dominava se stesso, e non quel vortice magico senza freni.
«Sì, professoressa.» rispose, gli occhi accesi di sfida.
Le combinazioni di mosse, forza e posa delle dita
divennero come naturali per lui, e la bacchetta venne restituita ad Olivander, con sentiti ringraziamenti e scusandosi con la
bacchetta stessa per averla strappata al suo originario proprietario. L’uomo
dai capelli bianchi sorrise, ricordando quel giovane dalle mani magiche.
«Hermione, posso farti vedere una cosa?» la voce di
Andreas era diventato un lenitivo per Hermione, stringendosi nella sciarpa che
portava con sé. Ron era ogni giorno più violento. Sotto lo spessore della lana
rossa e dorata spiccava un livido non ancora rimarginato. Lo guardò, con occhi
supplicanti. Come se dicessero “fammi dimenticare, parlami, illuminami,
scaldami” e Andreas, contento di quel suo sguardo, dolce, ingenuo delle
violenze che subiva la ragazza, ricambiava lo sguardo e si fermarono a pochi
passi dal limite della foresta. Il ragazzo si guardò intorno, controllando che
non vi fosse nessuno. Hermione osservava i suoi movimenti, paragonandoli a
qualcuno che si era finalmente liberato di un peso. Chissà se invece il suo
incedere era diventato più corto, più dubbioso. Hermione scansò il pensiero.
«Guarda...» le soffiò con delicatezza vicino al volto. Un
calore impressionante alle guance di lei, che fu ignorato subito dopo. I suoi
occhi sgranarono. Le mani di lui iniziarono a fare una piccola danza acquatica,
nelle mani una goccia di rugiada ancora fresca in quel mattino piovoso. La elaborò,
come creta, la mano che contornava, correggeva la figura, e nell’essenza della
singola goccia d’acqua si formò una piccola farfalla. Poi prese vita, si
colorò, e volò verso il bosco, nata a nuova vita.
Hermione rise, guardandolo con occhi sorridenti.
Andreas ricambiò la risata, i suoi occhi, così scuri,
così pieni di... inorridì. No, non erano felici, non erano contenti, non erano
spensierati. C’era un ombra nei suoi occhi, così grande da inghiottire quel suo
colore caldo dagli occhi e trasformarlo in paura, in terrore, in dolore.
«Che c’è?» domandò la donna, vedendo il suo volto
impallidire. Fu veloce per lei, e sentì il cuore impazzire dai battiti.
Farfalla nel cuore, fiori nello stomaco e brividi che correvano sulla schiena.
La stava abbracciando, con forza, stringendola al petto.
Andreas era... distrutto. Sconfitto. Era così euforico
del suo nuovo potere che non aveva visto i suoi occhi. Cieco del suo egoismo
aveva ignorato quell’oscurità in lei.
Le mani di lei si alzarono, timide, sulla sua schiena, per
poi stringersi, in una presa disperata, sulla sua maglia. L’uomo sentì le sue
spalle sussultare, sotto un pianto silenzioso. Lasciò che si sfogasse,
stringendola a sé ancora di più, una mano sulla sua testa che la carezzava
piano, giocando coi suoi capelli delicati. Sapeva di... noce, pesca e mandorla.
Era buono, quell’odore. Come intimo, morbido e caldo. E
le sue lacrime invece erano così bollenti, stille di dolore e i suoi singulti
pugnali.
«Mi dispiace, Hermione...» mormorò l’uomo, al suo
orecchio, e capì in quel momento, come un fulmine nei suoi occhi, che quella
causa aveva un nome: Ron.
La ragazza si staccò, asciugandosi gli occhi con le mani
e sistemando l’angolo di maglia di lui che l’aveva accolta con dolcezza. Pino,
odorava di pino e lillà.
Alzò lo sguardo sui suoi occhi - tempesta chiara - e
sorrise, di un sorriso mesto e ormai arreso. Sentì la tristezza corrodere
Andreas, e Hermione gli aveva strappato con difficoltà quella promessa di non
dirlo a Ronald di quelle sue lacrime.
Ma Andreas sapeva. Sapeva più di quanto lei immaginasse.
Era seduto su uno
scalino, leggendo concentrato. Domani aveva l’ultimo esame, Trasfigurazione, e
poi sarebbe stato uno studente in pari con le altre materie. Era talmente
intento alla lettura che non si accorse di un uovo che cadeva sui suoi capelli.
Il bianco impregnò i suoi capelli, facendolo sussultare. Una sensazione di
bagnato e colloso si diramò subito per la testa e poi per il collo, lasciando
il libro sullo scalino antistante. Gli occhi fulminarono verso il colpevole:
Ron. La rabbia triplicò. Lo vide sparire, dietro quella donna dal viso tondo e
capelli lunghi che aveva capito di chiamava Lavanda.
Si dannò per lo schifo
che aveva addosso. Non conosceva ancora nessuna magia che potesse aiutarlo, e
quindi tentò con le mani di togliersi il maggior possibile di tuorlo dalla
testa.
Da quando quello schifoso
di un Malfoy aveva sparso in giro la voce delle sue “doti magiche” ora era lo
zimbello di tutti. Lo chiamavano mostro. La professoressa McGranitt gli aveva
spiegato che nelle credenze popolane l’uomo che sa fare magie senza bacchetta
sia una persona infida e oscura. Eppure, gli spiegò, nella storia solo i
maggiori maghi di rispetto erano riusciti a raggiungere un tale livello di
maestria.
La bacchetta era uno
strumento che innalzava la magia del mago, incanalandola e incrementandola.
Ecco perché i giovani maghi si riconoscono dalle magie che fanno senza volere e
senza bacchetta. Perché in loro scorre la magia in modo molto forte, soprattutto
all’inizio della pubertà.
In lui scorreva un antico
sangue - che forse derivava direttamente da Merlino ipotizzò la donna - che la
bacchetta invece di aumentare la sua magia la otturava come un tappo. La
nascita delle bacchette ebbe inizio più come regolamentazione dello Statuto dei
Maghi, in modo che chiunque alzi la bacchetta faccia intuire i propri intenti
di battaglia, cosa molto difficile da capire in mancanza di essa.
Poi, con l’andare degli
anni, scoprendo gli antichi alberi, fu usato come strumento di potenziamento. E
con l’avanzare dei secoli si finì per non farne più a meno. Era diventata
essenziale per un mago. Ma a quanto pare non per lui, un caso molto raro, che nell’intero
mondo si sono riscontrati solo quattro casi.
Una voce delicata
provenne dalle sue spalle: «Aspetta, ti
pulisco io.» e una
sensazione calda gli entrò sulla testa e nel collo, il sentore colloso e freddo
dell’uovo, oltre all’odore, erano svaniti. La misteriosa figura si rivelò,
sedendosi accanto a lei. Era a piedi nudi - con questo freddo? - e gli
sorrideva con una pelle diafana e piccola nella sua statura. Bionda di capelli,
da sfiorare il bianco, e occhi intensamente chiari, azzurri tanto quanto i
suoi.
«Piacere, Luna.» Spiegò,
riprendendo il libro da terra e spolverandolo con le mani. Alle orecchie aveva appeso
dei ciondoli a forma di rapa.
Questa è
strana forte.
«Grazie, Luna... Io sono Andreas.» rispose, cortese,
riprendendo dalle sue mani il libro. Aveva una maglia a pois rosa e pantaloni a
fiori verdi. Ha gusti alquanto discutibili in fatto di vestiti, pensò il
giovane.
«Di niente... vedo che anche tu sei vittima degli
scherzi. Uff, non sei l’unico.» soffiò, scostando un
ciuffo ribelle dei suoi capelli mossi. Era veramente piccola, seduta accanto a lui.
Aveva un aspetto quasi elfico.
«Solo perché ignorano la verità. È troppo difficile per
loro comprendere quanto sia già dura la mia vita senza che aggiungano i loro
stupidi scherzi.» proruppe, facendo sussultare un muscolo della mascella. Si sistemò
meglio i capelli di lato. Erano diventati molto lunghi, quasi oltre le spalle.
L’ultima volta che li aveva tagliati era stato con Odessa. Deviò il ricordo
ascoltando la voce sottile della sua strana interlocutrice.
«Niente è più
facile della verità. E a volte ci rendiamo complicati solo perché siamo troppo
semplici, odiando noi stessi. Ma io amo la vita così come capita. Semplice.
L’unica cosa che ce la rende un pelo più difficile sono i Nargilli. Ma questa è
un’altra cosa.» sorrise,
chiudendo gli occhi, con quella voce molto delicata, come uno strusciare di
campanellini, e si alzò veloce, correndo verso un uomo dai capelli castani e
alto, che gli sorrideva con occhi caldi. Si presero per mano ed entrarono nel
corridoio vicino.
Andreas accartocciò il
volantino, il volto trasfigurato in una smorfia di pura ira. Quei volantini
erano ovunque, anche qualche brutto sfacciato lo aveva affisso nella bacheca
della sala della casa. Tutti i Grifondoro erano in fermento, la notizia era già
di dominio pubblico. La preside sarebbe arrivata a momenti.
«Dov’è
Hermione?» domandò con forza a Ginny, la
sua amica dai rossi capelli,che stava passando di fretta.
«Non lo so, la
sto cercando, ma non la trovo...» rispose, affannata, gli occhi che scrutavano i volti
degli altri, Andreas mollò una bestemmia a denti serrati.
«E lui...?» domandò, quasi con stizza. Era tutta colpa
sua. Lo aveva avvisato.
«Lui è con Harry, su in dormitorio.» quando, d’un tratto,
entrò una giovane indiana, tutta affannata, urlando che l’aveva trovata.
Hermione era stata completamente trascinata via.
«Ma si può sapere cosa volete da me?» domandò, irata
«Andreas, che sta succedendo?!» tutti la guardavano, la fissavano, come se
avesse i capelli in disordine, con ilarità, o chi con uno sguardo come
dispiaciuto.
«Hermione, ascoltami...» ma il giovane non fece in tempo
a iniziare il discorso che dalla porta entrò, alta come un lampione e irata
come un drago, lei: la preside.
«Granger! Weasley!» chiamò a gran voce, gli occhi che
sfrecciavano tra gli studenti, in mano uno dei manifesti, accartocciato dalle
lunghe mani. Gli occhi incrociarono quelli di Andreas, poi subito dopo quelli
di Hermione. Lei avanzò di un passo, tirava una brutta aria nella sala. Le
risate si zittirono, gli sguardi su di lei urlavano come “al colpevole!” ma,
nella sua mente, Hermione sapeva che non aveva fatto niente di male.
Cosa mai poteva essere successo?
«Dov’è Weasley?» chiese ancora, alterata. Hermione sentì
la sua rabbia infuocata bruciarla dentro. Alzò lo sguardo e - quando si parla
del diavolo... - sbucò fuori una zazzera rossa dalla porta del dormitorio
maschile.
«Sono qui.» ammise, con tono atono. In mano lo stesso
volantino. Aveva un occhio pesto, e Harry un labbro spaccato. Ginny si accostò
al moro, guardandogli con timore il sangue rappreso.
«Come mi spiegate la diffusione plateale di questi
volantini?» e alzò, proprio davanti al volto di Hermione, il volantino. Andreas
trattenne il fiato. E, con dolore, lo vide. Nei suoi occhi, lo sentì rimbombare
per tutto il castello, la sala, il suo corpo, il suo cuore. Il cuore di Hermione,
in quell’istante, si spezzò.
E fece così tanto rumore nel silenzio, che l’onda d’urto
arrivò solo agli occhi.
Quella luce
nei suoi occhi...è svanita.
Non seppe nemmeno cosa accadde a lui, e senza rendersene
conto stava spaccando la faccia a Ron, che tentava di ripararsi dalla sua
furia, mentre la professoressa McGranitt gli intimava di fermarsi, prima che
venisse schiantato.
«Wizard, anche tu, nel mio ufficio! Subito!» e muovendo
il suo mantello, uscì dal buco della casa. Andreas aveva ancora le mani che
pizzicavano, il cuore che scalpitava, e Hermione dentro sé moriva.
Il trio, stranamente composto non più da Harry, ma da
Wizard, camminava a testa china per i corridoi, con le risate che susseguivano,
e gli scherni dei Serpeverde a seguire.
«Attenta, Granger, mi caverai un occhio con quelle
corna!» Draco sentì un vuoto nello stomaco, prima di vomitare lumache. Andreas
sorrise, nessuno capì chi fosse stato, e la comitiva girò l’angolo, arrivando
al cinghiale, custode della stanza del preside.
Entrarono, Ron con gli occhi bassi e il volto freddo,
Hermione, con lo sguardo perso nel nero e un leggero tremolio continuo, e
Andreas, gli occhi combattuti dal dolore e dalla rabbia, le mani strette in una
morsa di bianche nocche.
«Andreas Wizard, per il tuo comportamento violento tolgo,
con rammarico, 20 punti a Grifondoro.» sentenziò, senza voce d’appello, al
giovane coi capelli neri, e sentì i suoi occhi ghiacciati bruciare, guardando
il ragazzo coi capelli rossi e poi lei.
«E stando a voi due, voglio delle spiegazioni.» lo
sguardo passò velocemente a Ron «Soprattutto da lei, Ronald Weasley.» e il
silenzio calò nella stanza. Si sentiva solo il respiro affannato di Andreas che
scalpitava come un toro nell’arena. La sua voce ebbe l’effetto di una scossa
sulla giovane, che fissava il vuoto.
«Non ho niente da spiegare. Quella foto dice tutto.» la
foto, magica, mostrava il rosso e Lavanda stesi su dei banchi, nudi, intenti a
fare movimenti d’intuibile natura. Il suo discorso venne interrotto da Gazza
che, entrando con il suo passo trascinato, lanciò dentro con poca gentilezza
una giovane dai lunghi capelli castano chiaro e ricci, il volto rotondo.
Lavanda Brown.
«Signorina Brown... voglio delle spiegazioni anche da
lei.» Hermione rimase ferma nella sua postura, diventata stranamente più
rigida.
«Ma prima... Ronald Weasley, lei è sollevato dall’incarico
di Prefetto e tolgo 50 punti a Grifondoro per la sua tenuta oserei dire
oltraggiosa nei confronti dell’intera scuola. È espulso dalla squadra di
Quidditch, e farà dei turni di pulizia totale della scuola, insieme al signor
Gazza, fino alla fine della scuola. Tutto questo a effetto immediato. E mi
ringrazi che non l’ho espulsa.» sputò tutto quello in un sol fiato «Oltretutto
manderò una lettera alla sua famiglia, per informarla dell’accaduto. E questo,
signorina Brown, vale anche per lei.» Lavanda iniziò a piangere, gli occhi
rossi. Ron alzò lo sguardo e annuì, bofonchiando un “grazie”. Andreas abbozzò
un sorriso.
Giustizia è
fatta.
Gli occhi passarono a Hermione. Era ancora ferma in
quella insana posizione, come colpita da un incantesimo Pietrificus. Non aveva
ancora versato una lacrima, non aveva ancora parlato. Aveva paura che non
avesse nemmeno respirato da allora.
«Signorina Granger» lei alzò la testa, Andreas sobbalzò
«non ha adempiuto al suo dovere di Prefetto, e non si è accorta della
situazione che si stava consumando nella sua stessa casa. Per questo tolgo 30
punti a Grifondoro. Ma non le revoco il distintivo da Prefetto. Ho bisogno di
lei, e finora ha tenuto un comportamento più che esemplare, a differenza di
Weasley.» gli occhi della preside sfrecciarono a Ron per un istante «Provvederò
a trovarle un assistente, o un sostituto.» Hermione, con sorpresa di Andreas,
annuì.
«Torniamo a noi, signor Weasley. Voglio delle
spiegazioni, chiare. E pretendo altrettanto da lei, signorina Brown.» gli occhi
della preside erano fissi su di loro, ma Andreas aveva occhi solo per Hermione.
E lei stava per scoppiare. Le sue lacrime stavano già bagnando la sua anima
quando parlò.
«Professoressa, se con noi ha finito, noi potremmo...?»
lasciò la frase in sospeso, una mano era già timidamente in quella della
giovane vicino a lei, gli occhi fissi sui suoi, bui, oscuri, come un pozzo
senza fondo. Niente luce, niente vita.
La donna guardò prima l’uno e poi l’altra e, intuendo il
motivo, con un gesto li intimò di uscire. Andreas trascinò letteralmente di
peso Hermione fuori dalla porta che, appena chiusa, iniziò a piangere.
Andreas l’abbracciò, stringendola con dolcezza, non
parlando, lasciando che si sfogasse.
Poi, un debole pigolio. Un flebile sussurro.
Una supplica.
«Andreas, portami via.» lei si abbandonò di peso, e
svenne. Andreas la prese al volo, preoccupato. La issò sulle braccia, scostando
con un gesto della faccia il ciuffo sul volto. E iniziò a correre.
Dammi un
posto in cui nasconderla. Dammi un posto in cui rassicurarla. Dammi un posto in
cui accudirla.
Le richieste silenziose alla Stanza delle Necessità
fecero apparire, come per incanto, una porta sul muro, che si aprì, lasciando
entrare Andreas con in braccio Hermione, svenuta. La porta, chiusasi, svanì
dietro di loro.
Era una piccola stanza, quella che si presentò al
giovane. Un grosso camino acceso, l’ambiente caldo, e le mura completamente
rivestite di scaffali, pieni anch’essi di libri. I dorsi colorati e l’odore di
polvere nell’aria.
Proprio davanti al camino, quasi entrando in esso, c’era
un ampio divano rosso, e lì che vi depositò la giovane, ancora inconscia. Le
scostò un ciuffo ribelle dal volto, la liberò delle scarpe, non senza un minimo
di timidezza. Si sedette di fianco a lei, guardandola. Il suo respiro era
debole, ma il corpo si sollevava e alzava a un ritmo dolce. Tutto in lei
richiama la dolcezza, la morbidezza. Le sistemò un angolo della gonna.
I suoi occhi si colorarono di lacrime, e Andreas pianse.
Pianse come non aveva mai fatto.
«È tutta colpa mia...» mormorava tra le lacrime,
singhiozzando «Tutta mia...». Poi, così come era scoppiato, si riprese,
afferrando - apparsa nel nulla - una coperta rossa anch’essa come il divano e
la depositò, con calma e lentezza, sulle spalle di Hermione. E attese il suo
risveglio, guardandola nel suo sonno disperato e ogni tanto accarezzandole una
guancia.
Il tempo, nella Stanza, si era come fermato, come la
polvere su quei tomi, e una finestra, placida e lontana dai giovani, contornata
dagli scaffali di libri, indicava al giovane che il sole era tramontato e che
pioveva a dirotto, facendolo intuire dal tintinnare veloce delle gocce sul
vetro.
Quel rumore, costante, entrò dentro l’anima di Andreas, e
si sentì come d’un tratto felice. Era da solo con Hermione, e l’accudiva.
Sorrise quasi, ma poi divorò quel suo piacere con disgusto. Lei stava soffrendo
e soffriva tutt’ora, e lui godeva di quello che stava accadendo in quel
momento? Che infame stava diventando?
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dal respiro
più veloce di Hermione. Si stava risvegliando.
«Hermione...» la voce bassa di lui portò a galla dal
sonno la giovane. Hermione aprì piano gli occhi, e vide gli occhi ghiacciati di
Andreas di fronte a lei, che la scrutavano preoccupata.
«Come stai?» domandò il moro, gli occhi che ricercavano
motivo di dolore nel suo volto e nei suoi occhi.
Poi, come una diga, tutto nella mente della giovane
sprofondò, e i ricordi ferirono ancora. Il veleno esce dalla ferita, e colpisce
come un coltello di piume.
Una mano della giovane va al cuore, e si strinse su di
sé, in posizione fetale. E iniziò di nuovo a piangere. Faceva così male il
petto... come se gli avessero cavato il cuore, e parte del polmone.
«Ti prego, Hermione, non piangere...» il giovane non
sapeva cosa fare e le strinse una mano, con tutta la forza che aveva. Come per
trasmetterle la sua forza, il suo spirito, il suo conforto.
«Dove sono?» domandò, quando riuscì a fermare almeno le
lacrime. Non aveva mai visto quella stanza prima. Si alzò a sedere,
sorreggendosi con le braccia.
«Siamo nella Stanza delle Necessità.» spiegò il giovane
«Mi hai chiesto di portarti lontano, e ti ho portata qui. Nessuno può venire
qui.» e, abbozzando un sorriso, cercò di attaccarlo a lei. Lei analizzò il
fuoco, il divano e infine le pareti. Una lieve fiamma si accese nei suoi occhi.
Andreas, nel suo piccolo angolo, esultò.
«Sono... libri?» domandò, guardando le pareti sorpresa.
Andreas annuì.
«Non riesco a vederne la fine...» mormorò, guardando in
alto. Sentì un lieve tepore alla guancia. Era la mano di lui che le asciugava
una lacrima tardiva. Si incrociarono i loro sguardi, e calò il silenzio. Per un
momento nell’aria, si sentì odore di pesca e pino. Un desiderio infame entrò
nella mente della giovane, e scostò lo sguardo, per cancellare quella
tentazione. Non poteva... non poteva buttarsi nelle braccia e nelle labbra di
un altro uomo, lei era... no. No, non era più fidanzata.
Ron non esiste.
Ron...
«Ti prego non piangere...» la voce di Andreas la riportò
nella realtà. E stingendosi a lui ritrovò pian piano la calma. Andreas staccò
con dolcezza la giovane mora dal suo petto.
«Vuoi che ti prenda un libro? Ti va se lo leggiamo
assieme?» niente cura di più dai propri problemi se non quello di sprofondare
in qualche pagina di carta stampata. Di poche cose Andreas era certo, ma quello
era uno di quelli.
Si asciugò le lacrime e mugugnò un sì, sistemandosi
meglio nel divano, lasciandogli spazio. Il giovane si alzò, e guardò il dorso
dei libri.
«Non c’è scritto niente nel dorso...» la giovane osservò
Andreas analizzare i libri, con la testa china. Sorrise.
«Non importa...» vide le sue mani alzarsi e prendere un
piccolo libricino verde, con contorni dorati. Lo aprì, curioso, e dopo pochi
istanti, girò pagina.
«Ti vanno delle poesie giapponesi?» domandò, girandosi
con il volto illuminato. Hermione annuì.
Si avvicinò al divano, si sedette e, passando il braccio
intorno alla giovane, le mise il libro in grembo, stringendola nel suo
abbraccio.
Quel gesto, per la mora, fu come se avesse cancellato
l’ultima traccia di lacrima dal suo corpo, e l’ultimo barlume di freddo nel suo
petto.
Si colmò di pasticcini - apparsi stranamente nel nulla -
e di poesie giapponesi fino al sonno. Andreas, al buio, con le braci che
scaldavano ancora quella stanza, la fece adagiare al suo fianco, stringendola
in un lieve abbraccio, coprendola con la coperta, e custodendo i suoi sogni,
scacciando gli incubi e il dolore.
Era una mattinata fredda
e Andreas, con il suo mantello usato che sbatteva sulle sue spalle, stava
correndo per i corridoi grigi del castello avvolto dall’inverno imminente. La neve
sarebbe potuta cadere in qualsiasi momento. E lui era in ritardo.
«Scusami Ginny,
sono in ritardo, ma Gazza...» la giovane lo
scusò con un gesto della mano e sorrise. Le porse una borsa. Il giovane, col
fiatone, l’afferrò, diramando dalla bocca un’altra nuvoletta bianca.
«Qui dentro c’è
tutto quello che ti serve.» disse, una nuvola
di vapore si elevò sul volto candido della giovane ormai donna. Dietro la
sciarpa lei sorrise.
Il giardino era
circondato da dei gruppetti di ragazzi che parlavano, un sottofondo piacevole
si diffondeva per l’aere, tutto il castello in fermento per il Natale ormai
alle porte, almeno per quelli che rimanevano lì quel giorno. Andreas, immune
all’aria natalizia si strinse nel mantello, e ricambiò il sorriso. Aveva dei
compiti da svolgere e tutto di fretta, aveva una donna che lo aspettava
all’uscio della nascosta porta. Il pensiero all’addormentata Hermione, avvolta
nella coperta rossa, su quel divano, trasformatosi in letto, rosso anch’esso,
avvolta da parole di inchiostro e fuoco lento.
«Grazie mille.» rispose, riponendo la borsa dentro la sua
tracolla grigia.
«Non mi devi...» ma la frase
della rossa venne interrotta da un grido.
«ANDREAS!» era Ron. Infuriato, vermiglio tanto quanto i
suoi capelli. E armato di bacchetta puntata all’uomo. Andreas lo fissò, le mani
in tasca.
«Ron.» proruppe il giovane, nient’affatto preoccupato.
Ginny sobbalzò. Non si aspettava un’azione simile dal fratello, uomo mansueto.
Era vestito solo dalla divisa, e tremava. Ma non si sapeva se per l’ira o per
il gelo.
«È tutta colpa tua!» proruppe, e Ginny si sentì
allontanata da una mano forte. Harry guardava i due giovani, ora nel silenzio,
in mezzo al giardino ghiacciato del castello, trattenendo la donna amata al
fianco. Nessuno osava fiatare o mettersi in mezzo. Gli occhi della scolaresca
sul giovane dai capelli scuri. Andreas si stizzì.
Harry fiutò un odore acre nell’aria, odore di battaglia. I
ricordi della guerra freschi nella sua mente come se fosse stata ieri. Il
sangue sulla fronte di Ginny... I ricordi di Piton... Lily...
«Mia? Ti avevo avvisato che se avessi perpetuato nel tuo
agire avresti perso.» Andreas era calmo, come se la bacchetta puntata addosso a
sé non fosse nulla. Gli occhi ghiacciati spaccavano i ciuffi sul suo volto. Erano
ricolmi di una rabbia che ancora non aveva dissipato. «Sei tu lo stolto.» un
fulmine attraversò l’aria, che andò a infrangersi su una barriera. Andreas
aveva semplicemente alzato la mano.
«NON OFFENDERMI! È COLPA TUA!» e continuò, lanciando una
scarica di incantesimi di colori diversi, urlandoli, con forza. Essi cozzavano
contro la barriera che, forte nella sua potente magia, non cadeva. Andreas era
impassibile. Poi un’onda d’urto esplose nell’aria, e Ron fu letteralmente
scagliato contro la parete di pietra alle sue spalle. Flebili stralci di
incantesimo rosso nell’aria. Uno Schiantesimo, e abbastanza potente da
sollevare dal terreno l’avversario. Un tonfo secco si espanse nell’aria. La
mano tesa, gli occhi dilatati. Andreas si fece sfuggire un ghigno.
Per terra giaceva la bacchetta, ora inerme. Il giovane
avanzò, i suoi capelli tirati indietro, il volto perfetto pizzicato dal freddo
ormai invernale. Le guance fredde. Malfoy sorrise, alla vista di Weasley a
terra.
«Non è colpa mia. È solo tua. Tu hai perso lo sport, tu i
punti della casa, tu la donna che facevi finta di amare.» la voce di Andreas,
seppur bassa, era come amplificata nel giardino del castello. Ed era glaciale. Rompeva
persino il ghiaccio oltre le sue scarpe. S’incuneava nel cuore di tutti, percependo
la sua furia sulla pelle. Ginny sentì un brivido, e si strinse a Harry. Quel
giovane, quando si arrabbiava, faceva veramente paura.
Ron sputò sangue, cercando di rialzarsi. Andreas intanto aveva
preso in mano la bacchetta.
«Io ti avevo avvisato che se tu l’avessi fatta soffrire
l’avresti pagata cara.» la guardò, come si guarda qualcosa di ripugnante.
Poi una scossa di fulmine attaccò la barriera di Andreas.
«Harry Potter.» il giovane mago aveva in mano la
bacchetta, puntata contro Andreas. La famosa bacchetta che aveva visto più
volte quella dell’Oscuro Signore in battaglia. Sempre alla pari. Rimandando quello
scontro che fu fatale per quest’ultimo. «Colui che ha sconfitto Voldemort, il
Signore Oscuro.» il ciglio di Harry si alzò. C’era qualcosa di strano in quel
ragazzo. Un ricordo. Un tic. Si toccò la cicatrice. «Riconosco le tue capacità,
ma la guerra e le vicende magiche mi sono state sempre estranee, quindi scusami
se non mi interessa un fico secco della tua fama. Ma spero vivamente tu non
voglia metterti contro di me.» il rosso, riverso a terra, guardava Andreas dal
basso, la sua bacchetta ancora nelle sue mani. «Sai, la magia scorre nelle mie
vene, nelle mie mani. So fare e mantenere più di un incantesimo alla volta.»
Nell’aria si alzò alto l’urlo di dolore di Ron, preso da una specie di fuoco
dentro, trafitto da mille e più pugnali, senza sangue. Andreas sogghignò,
gustandosi la visione del suo nemico a terra, dolorante. Era un ghigno maligno.
Malfoy, appoggiato alla pietra, lontano spettatore, rabbrividì.
«Lascialo andare. È sbagliato quello che stai facendo,
Andreas, anche se non lo sai. Ha avuto la sua punizione, ora lascialo.».
«NO! Lui deve soffrire quanto e più di lei!» urlò,
perdendo il controllo «Dimmi Potter, difendi il tuo amico, ma chi ha difeso
Hermione dalle percosse di quest’animale?! Chi sapeva di questo!?» il silenzio
si erse alto come una montagna nel giardino. Nel volto del Ragazzo
Sopravvissuto si disegnò il dubbio.
«Ah, è vero, nessuno lo sapeva.» le urla di Ron si ersero
ancora più alte. Il dolore aumentò. Nelle mani di Andreas si disegnò un
contorno verde.
«Questo verme ha osato picchiarla.» gli occhi sfrecciavano fuoco, e i due giovani incrociarono
lo sguardo per un secondo. Harry abbassò la bacchetta, non credendo alle parole
di Andreas. Tutti, nel giardino, rimasero basiti. «Tu mi chiami mostro, ma in
realtà l’unico mostro qua sei tu.» disse, rivolgendosi a Ron, che continuava
nonostante il dolore e le lacrime a non staccare lo sguardo da lui. Andreas
spezzò in due la bacchetta. Si poté udire un sussulto dalla platea. Nessuno
aveva mai fatto un atto simile a un mago. Era come redimerlo a meno di una
feccia. A una punizione superiore alla reclusione.
«Quando si ama veramente
una persona, non la si picchia mai. Nemmeno con un fiore.» lasciò cadere i due
pezzi di legno, ormai irreparabile. Caddero con suono acuto sulla pietra. Ron
osservò il suo movimento fino al pavimento, e non alzò più gli occhi, conscio
di essere colpevole ma, forte nel suo orgoglio, non parlò.
«Io non picchierei mai Hermione, neanche se andasse della
mia stessa vita. E tu lo fai per rabbia. Ebbene, adesso ti faccio vedere io
quanto possa essere dolorosa la mia,
di rabbia.» alzò la mano e si sentì un urlo acuto nel giardino, Ron che si
dimenava per terra, le mani di Andreas contornate da questo alone verde che
aumentava sempre di più. La testa del rosso era ripiena di un urlo acuto, come
di sirena. Gli occhi di Andreas, dilatati, esprimevano il piacere nel
provocargli dolore. E iniziavano a diventare rossi. Desiderosi di più dolore.
Hermione... Le sue mani...
Il giovane abbassò le mani. Ron smise di urlare.
«Hermione...» sussurrò, sentito solo da se stesso. Passò
lo sguardo sul rosso. «Non merita nemmeno di essere chiamato uomo questa
feccia. Men che meno mago.» e pestò la sua bacchetta, e sputò sopra il corpo
ansante di Ron.
«Ora dimmi, Potter, tu da che parte stai?» gli occhi ora
fissavano quelli verdi di Harry, che fissavano il pavimento. Spostò lo sguardo
su Ginny. Il suo sguardo era più brillante di sentimenti. Era colorato di disgusto,
incredibilità, rabbia.
«Ginny? Cosa pensi di tuo fratello, ora che sai che
picchiava la tua migliore amica?» la giovane non si mosse. Aveva le mani che
tremavano.
«Non rispondere a incantesimi, Potter. Tu sai benissimo
che io sono più forte di te. E Perderai.» affermò Andreas.
«Dimmi Harry, tu picchieresti mai Ginny?» Harry alzò lo
sguardo, muto. Ginny seguì lo sguardo di Andreas.
«No.» rispose veloce.
«Perché la ami, giusto?» il silenzio rispose alla
domanda.
«Allora non difendere il macellaio, ma la vittima. Oppure
la guerra ha fatto andare di testa anche te?» e con quella frase se ne andò a
profonde falcate dal giardino. Nel giardino si erse un castello di sguardi e
disgusto. Tutti rivolti su Ron che, prendendo le ultime forze, si rialzò.
Aiutato solo da una donna. Quella stessa donna che aveva usato per tradire. Il
Ferchirante aveva dato una lezione a tutti. Persino a Harry Potter.
«Me la pagherai, Wizard...» proruppe, tra la tosse e il
dolore, Ron «... io quello lo ammazzo.» Lavanda passò uno sguardo preoccupato
al giovane che amava, e vide un buco nero nei suoi occhi, che tanto ammirava.
Il buco profondo e oscuro dell’odio. La donna preferì scostare lo sguardo,
impaurita, e aiutarlo a dirigersi all’infermeria in silenzio.
«Andreas!» la voce di Hermione gli pervase le orecchie
quando lui varcò la soglia della porta magica, scomparendo dietro la sua
schiena, assorbita dalla libreria. Lei, con i capelli scompigliati dal sonno,
lo guardava con quello sguardo corrucciato, le braccia incrociate e il piede
che batteva sul terreno. Il giovane, dimentico degli ultimi avvenimenti, le
sorrise.
«Scusami, ti sei già svegliata... volevo arrivare prima...»
sul volto della donna si disegnò il sospetto.
«Per fare cosa?» domandò ferma ancora nel suo fastidio.
Il giovane tirò fuori dalla tracolla la borsa datale da Ginny.
«Il cambio, così puoi uscire in ordine.» Hermione,
sorpresa, abbandonò le braccia sui fianchi, e sentì un calore sul volto. Era
uscito prima solo per lei. Prese la borsa, sentendosi in colpa per come lo
aveva trattato. Andreas sorrise, non aveva ancora tirato fuori il bello.
«Aspetta, ancora una cosa...» e dalle mani, con un “puf”
e una piccola nuvoletta di fumo, apparvero un piccolo mazzo di margherite e una
vaschetta di pasticcini.
La donna rimase sorpresa. Si portò una mano al volto. Aveva
le lacrime agli occhi e non sapeva perché.
Ron, non ti
ho mai visto farmi un regalo simile, non ti ho mai visto cortese con me...
«Ehi, non piangere...» Andreas la guardava da oltre i
fiori - che, pensò la giovane, profumavano come appena colti - e si avvicinò
con gli occhi dispiaciuti. Si nascose dietro i capelli, e mise i fiori su un
ripiano.
«Scusami, non dovevo... Solo, volevo farti sorridere con
una piccola magia, non farti piangere...» e Hermione sorrise. Andreas vide il
sole in mezzo a una nuvola di pioggia. Esiste la luce oltre la nebbia.
«Non fa niente Andreas, non è colpa tua... è mia...
brutti pensieri...» poi, ricomponendosi, prese i fiori e li mise dentro un
vaso, inspirandone il profumo. È stato così dolce. Un regalo gentile.
Avrei
preferito delle rose...
Hermione zittì i suoi pensieri, e aprì la scatola di
pasticcini, scoprendosi affamata.
«Tu mi farai ingrassare, Wizard. Mi stai viziando con
tutti questi dolci.» il giovane mago sorrise, sedendosi con dubbia grazia sul
divano rosso, giaciglio di entrambi.
«Mangi prima di farti la doccia?» domandò Andreas, e
Hermione fermò il secondo morso.
«Come?» il moro divenne rosso, e si nascose dietro i
capelli.
«Ecco, non sapendo le tue abitudini ti ho portato un
cambio...ecco...completo...» il rosso
si poteva vedere come un semaforo a un chilometro di distanza, con la nebbia. La
giovane sorrise, alla timidezza di lui.
«Scusami, ma come hai fatto a prenderli?» domandò, memore
delle scale magiche che impedivano di far entrare i ragazzi nel dormitorio
femminile.
«Ginny è andata al posto mio... le scale tremavano in
modo strano sotto i miei piedi, e quando sono arrivato a metà rampa Ginny mi ha
vista salire. È rimasta basita. Le ho spiegato la situazione, e mi ha detto che
forse era meglio se andava lei.» Hermione rimase per la seconda volta sorpresa
in pochi minuti. Le scale non si erano trasformate in rampa...? Era un
incantesimo potente, quello che governava il castello, e lui aveva in sé così
tanta magia da fare interferenza? Hermione si addolcì. Quel ragazzo non sapeva
nemmeno quanto potente sarebbe potuto diventare in futuro. Forse anche più di Silente.
«Vado a cambiarmi e arrivo...» disse lei, ingurgitando
velocemente il secondo pasticcino prima di entrare in una porta comparsa all’improvviso
dietro i libri, affianco al camino. Il giovane la seguì con lo sguardo, e
quando chiuse la porta si scoprì ad averle fissato il fondoschiena. Diventò
rosso e si diede un colpo sulla testa, ricordando le buone maniere. Ma era pur
sempre un giovane in fase di crescita, un ragazzo che stava diventando uomo.
Certi istinti erano pur sempre normali.
NO, non con
Hermione. Lei è speciale. Non è una delle tante.
Ma, nell’attesa che lei finisse, lui si scopriva a vagare
col pensiero al suo corpo. Lei, nuda, sotto l’acqua corrente della doccia, i
suoi capelli, bagnati, che scendevano oltre il collo, a coprire parzialmente il
petto...
Un altro pugno calò sulla sua testa.
«Wizard, basta.» parlò a se stesso, e decise di impegnare
la mente con altro che quei pensieri impuri sulla donna che amava.
Iniziò a formulare incantesimi, tanto per allenamento,
imparando a pronunciarli con la mente. Si trovava ancora in difficoltà con
quelli più complicati. Si rese conto del tempo che era passato quando vide la
giovane uscire vestita di camicia e gilet accompagnati da un paio di jeans, i
capelli bagnati, che lo guardava mentre, con un asciugamano bianco in mano, li
stringeva tra le mani.
«Che stai facendo?» domandò, osservando le sue mani che
sprigionavano energia pura.
«Niente...» disse, abbandonando l’incantesimo. I suoi
capelli bagnati...erano proprio come li aveva immaginati «Dovresti
asciugarteli, se no ti prendi un malanno.» si avvicinò, nella mente un parco
incantesimo, e i capelli, sotto il suo tocco delicato, iniziarono a diventare
asciutti. Hermione, bloccata a fissare il suo volto così improvvisamente vicino
a lei mentre le asciugava con un incantesimo. Ancora quel desiderio impuro nella
mente. Il suo corpo però stava per attuare ciò che invece la mente comandava di
non fare. Si fermò a metà gesto. Andreas si era mosso, girando dietro di lei. Hermione,
rossa in volto, ringraziò con timidezza, e iniziò a pensare.
«Ma tu ti sei cambiato?» domandò lei.
«No.» rispose, e lei si voltò, arrabbiata. Lui confuse il
suo rossore per il calore dell’affermazione.
«E allora va!» disse, indicandogli il bagno, le mani sui
fianchi. Andreas non si era aspettato una reazione simile.
«Va bene, mamma!» disse, scherzando, e varcò la soglia
del bagno. Hermione si sedette, asciugandosi i capelli ormai non più bagnati ma
umidi davanti al fuoco, mentre la mente vagava. Sentì l’acqua scorrere. Chissà che
corpo nascondeva sotto quella divisa di seconda mano, più grande di lui. Ricordò
le cicatrici sulla schiena, viste tempo fa. Si domandò come se le abbia potute
fare. I suoi capelli erano belli, così neri e lisci... ma forse un po’ troppo
lunghi.
«Andreas!» chiamò e lui, spaventato per il tono
perentorio che aveva la sua voce, uscì dimentico della maglia.
«Che c’è!?» domandò, accorgendosi poi di essere a petto
nudo. Hermione diventò rossa. Lui ancora di più.
«S-Scusa!» si nascose dietro la porta, un rovistio di
vestiti, e poi uscì stavolta vestito. «Dimmi...» disse, stavolta più
tranquillo. Lei gli guardava in modo malsano i capelli.
«Ti devi tagliare i capelli.».
Silenzio.
«Come scusa?!» Andreas era incredulo. Nelle mani della
giovane apparvero delle forbici.
«Siediti.» era un ordine. Lui si sedette e non si mosse. Lei,
memore dei giorni di fuga passati nella guerra e dei capelli tagliati a Harry,
iniziò, professionale come una parrucchiera.
«Per favore, non farmeli troppo corti...» chiese lui, e
lei annuì. Pochi minuti e cadde una cascata di capelli.
«Grazie... Vedi, non me li tagliavo dall’ultima volta che
lo aveva fatto la mia mamma... prima che...» gli si spezzò la voce. Hermione
non fermò il suo operato, ma il suo sguardo si colorò di dispiacere sincero.
«Non mi ringraziare... consideralo un favore in cambio di
quello che hai fatto tu a me.».
Lei completò la sua opera in pochi minuti, ripulendo con
la bacchetta. Andreas andò a specchiarsi in bagno. Non si riconosceva più. Erano
cortissimi. Tranne la frangia, era abbastanza lunga da toccargli le
sopracciglia.
Il suo volto era visibile. E si scoprì stranamente bello,
con quel taglio un po’ sbarazzino.
Chissà,
forse così posso conquistarla...
Cucì il suo desiderio dentro un cassetto dei desideri, e
uscì, sorridente.
«Ti va una sfida?» gli domandò lei, seduti entrambi sul
divano, mentre lei consumava la sua colazione a base di pasticcini alla frutta.
Lui la osservò. Aveva un poco di panna sul labbro superiore. Nella mente un
desiderio imponente di toglierla con la lingua.
«Come scusa?» si scambiarono uno sguardo di intesa.
«Hai firmato la tua condanna a morte, Wizard, accettando.»
Hermione si alzò, armata di bacchetta. Lui sprizzò una scintilla dalle dita.
«Sbagli, quella che perderà sarai tu, Granger.» la stanza
mutò in pochi secondi. Ora era immensa, con specchi che riflettevano i due
avversari, lontani ormai dieci metri l’uno dall’altra.
Silenzio.
«Prima le signore.» disse l’uomo, inchinandosi. La
bacchetta di lei fischiò, la barriera si formò pochi secondi prima che l’incantesimo
raggiungesse il corpo di lui. Capì che non scherzava, Hermione. Andreas si
concentrò.
Iniziò uno scambio d’incantesimi, controincantesimi
e barriere. Colori sgargianti, fischi e botti si espansero per la stanza, ma
non si poteva capire chi stava vincendo e chi perdendo.
«Uff, sei brava Hermione.» proruppe Andreas, col fiatone.
Non era abituato a sfide così lunghe. Si sentiva come svuotato, la magia non
traboccava più, ora scorreva come un fiume placido.
«Anche tu non sei male, non ho trovato ancora nessuno che
stesse alla pari con me.» rispose la donna, continuando lo scambio d’incantesimi.
Ma l’ago della bilancia di quello scontro non accennava a
muoversi né verso l’uno né verso l’altra.
La magia di Wizard era sì potente ma ancora maldestra, da
modellare, da dosare. Invece Hermione le dava la forma giusta, come un cuneo
contro una lapide di marmo.
Quando Wizard sentì la barriera cedere contro gli
incantesimi di lei si dichiarò arreso.
«Basta, mi arrendo! Sono stanco... non avevo mai fatto
tanti incantesimi prima d’ora... e non ho neppure fatto colazione...» disse,
con una patina di sudore sulla fronte. Hermione abbassò immediatamente la
bacchetta.
«Perché non me lo hai detto prima, scusa?!» domandò,
dispiaciuta per il fatto di aver fatto sforzare il giovane in una fatica a
stomaco vuoto.
«Te l’ho detto, stamattina ero di fretta perché volevo
arrivare prima che tu ti svegliassi...» Hermione sorrise, mise la bacchetta in
tasca e si avvicinò a lui, che si era appoggiato sulle ginocchia.
«Ti senti meglio ora?» domandò, scostandogli un ciuffo
dalla fronte. Il giovane fermò lo sguardo su di lei, il cuore a mille. Ancora
quel malsano desiderio di baciarla nella mente.
«Ora... sì.» e sfiorò le sue labbra con le proprie.
Hermione rimase sorpresa e all’inizio non rispose al gesto.
D’un tratto esplose confusione, dubbi, l’immagine di Ron. E
poi tutto sparì. E chiuse gli occhi, poggiando delicatamente una mano al volto
di lui. Si perse nel sentire le sue labbra e, poi timidamente, la sua lingua.
Approfondendo il bacio. Persa nei suoi pensieri.
“Questo è il mio addio, voglio...ricominciare.” perse il
contatto con il suo corpo, affondando in quella sensazione piena di
improvvisazione e dolcezza. Desiderio e amore.
“Ron non è più una cosa mia, forse non lo è mai stato... Mi
sono solo presa in giro. Avevo tutto davanti, i suoi occhi, i suoi gesti, i
suoi...tradimenti... eppure continuavo, illudendomi. Ma ora...ho la verità. E
lui”.
«Hermione...».
“La sua voce, il suo richiamo...è così profondo, dolce...”.
«Hermione...».
“La sua voce ansante...è così sensuale...”.
«...fermati.».
Hermione si bloccò. Aprì gli occhi. Andreas la guardava,
rosso in volto e col fiatone. E poi sentì una presenza strana stretta nella sua
presa. Era dura. Pulsante. E calda. Si accorse di avergli messo una mano nei
pantaloni.
Ritrasse la mano, come scottata, diventata rossa in volto e
iniziando a domandarsi da quando era diventata così...audace nei rapporti.
Neanche con Ron era stata così. Anzi, mai.
«I-io... scusa.»
si nascose dietro i capelli, allontanandosi quatta quatta.
«Non mi
devi chiedere scusa, solo...non voglio che... inizi così.» la donna alzò lo
sguardo. Lui era timido, e tentava di ricomporsi.
«Non
voglio un rapporto...di quel
genere...» affermò, grattandosi i capelli. Maledisse la mancanza del suo
ciuffo, barriera utile per i momenti imbarazzanti.
Lei
nascose la mano dietro la schiena.
«Capisco...»
lui le strappò un bacio casto. Lei rimase sorpresa, di nuovo.
«Andiamoci
piano, ok?» le disse, giocando con una sua ciocca. «Sei importante per me...»
soffiò dolcemente, passando dolcemente la mano sulla schiena, raggiungendo la
mano. La strinse forte.
«Ok.»
rispose lei, sorridendogli timidamente.
«Te la
senti di uscire?» domandò lui, e lei annuì.
Stavano
scendendo le scale insieme, mano nella mano, quando videro uno sciame di
studenti correre verso una direzione.
Neville
passò davanti a loro e, riconoscendoli, si fermò.
«Presto,
correte!» disse, ignorando la loro vicinanza. Era agitato e lo dimostrava
platealmente.
«Cosa
succede, Neville?» domandò Hermione, spaesata. Stava accadendo qualcosa di
strano a Hogwarts.
«Harry
e Ginny si stanno azzuffando! E di brutto anche, devi fermarli!» disse, e
iniziò a correre, intimandoli di seguirlo.
Correndo
per una rampa di scale e poi per un corridoio affollato, passarono vicino
all’infermeria e raggiunsero l’uscita dal castello e poi uno dei tanti
chioschi.
Un
cerchio di studenti di varie classi stava intorno a una coppia che sfavillava
di incantesimi potenti. Le urla di Ginny si potevano udire a distanza.
«NON
OSARE DIFENDERLO!» la rossa, circondata da una barriera protettiva, sfavillava
incantesimi potenti e chiassosi, avvolta d’aura rosso fuoco, i contraccolpi
degli incantesimi scuotevano i suoi lunghi capelli ramati, e gli occhi, verdi,
urlavano ira. Sembrava un’amazzone guerriera. Solo che invece di un’ascia, in
mano, aveva una bacchetta. E così, era ancora più pericolosa.
«Ginny
fermati!» urlò Hermione, gettandosi nel cerchio formatosi intorno ai due
sfidanti. Harry, dall’altra parte, col fiatone e scosso, cercava di non nuocere
alla donna, e di evitare brutti colpi. Una barriera sottile si formò intorno
alla castana, accorsa non armata. La concentrazione di Andreas era palpabile
nell’aria.
Gli
incantesimi si fermarono, ma le bacchette non si abbassarono.
Hermione
sentiva, come una carezza, la protezione di lui, e provò sollievo per quell’atto.
«Hermione!»
Ginny la vide, e gli occhi si ricoprirono di lacrime. «Scusami...» mozzò col
fiato un singhiozzo, che represse con la rabbia. Una vampata di fuoco sgorgò
dalla punta della bacchetta, venne spenta dall’acqua di Harry.
«Ginny,
non è colpa tua! Sono io...che ho scelto di non parlartene...» disse la
ragazza, imbarazzata. Le guance imporporate. Andreas sentì il cuore palpitare
per la bellezza.
«Harry,
Ginny, abbassate le bacchette!» intimò l’amica, ma nessuno dei due lo fece.
«Lui,
questo stronzo insiste a difendere il
suo amico da quello che ti ha fatto!» urlò Ginny, avvampata dalla rabbia. Ancora
fuoco. Ancora acqua.
«Ginny,
ti prego, non lo sto difendendo, sto soltanto dicendo che dovremmo ascoltare
anche la versione di tuo fratello prima di decidere...» ma fu interrotto.
«LUI
non è più.» ogni incantesimo scandiva una parola.
«MIO
FRATELLO!» un potente Riducto attraversò l’aria tra i
due avversari, scuotendo le pietre del pavimento del chiosco. Il contraccolpo
con il contro incantesimo fu tale che un’onda d’urto si propagò nell’aria,
respingendo gli alunni accerchiati ad allontanarsi ancora di più.
«Andreas
non è la voce della verità!» disse Harry, rinforzando la barriera. Il colpo
della donna lo aveva incrinato. Era potente, soprattutto quando è arrabbiata.
Ed era anche straordinariamente bella.
«Io ho
solo detto il vero!» ribadì il giovane, uscendo dal cerchio. Si appostò dietro
le spalle della giovane riccia, sentì l’incantesimo di protezione aumentare.
«Harry...»
la donna chiamò l’amico. Lui, che l’aveva sempre ascoltata. Sempre protetta. «...lui
dice il vero.» le ultime parole furono un colpo duro per il giovane. Un fremito
lo scosse, e rimase basito. Venire a sapere che il tuo migliore amico ha fatto
violenza alla tua migliore amica ti sconvolge l’esistenza.
Infine,
abbassò la bacchetta. Ginny fece altrettanto, vedendolo scosso. La rabbia l’aveva
condotta a quello, ma ora la pietà l’attraversò vedendolo sconvolto. Ripose la
bacchetta, raggiunse Hermione e l’abbracciò. La strinse forte, come per
chiederle perdono, come se fosse stata lei, e non suo fratello, a farle del
male.
«Hermione...
mi dispiace tanto...» piagnucolò sulla sua spalla. La riccia la strinse a sé. «Perché...
non me lo hai detto?».
«Perché
conoscendoti gli avresti spezzato tutte le ossa. E lui non è bravo come Harry a
proteggersi dai tuoi incantesimi.» rispose ridendo, anche se un senso di
malinconia la pervase.
Si
staccarono, e guardarono verso Harry, inginocchiato a terra. La bacchetta
abbandonata lì vicino.
Andreas
gli si avvicinò, raccolse la bacchetta, e gli posò una mano sulla spalla. Era calda,
sentì Harry.
Lo guardò,
e lui gli tese la mano per aiutarsi ad alzarsi.
Si
alzò, ma lo sguardo rimase a terra. Andreas sorrideva mestamente, e gli
riconsegnò la stecca magica.
«Ammiro
il tuo coraggio e la tua determinazione.» gli disse, e Harry lo trafisse col
suo sguardo pieno di verde pianura.
Il
gruppo di ragazzi che prima faceva da platea iniziò a sciogliersi, preoccupati
dei professori che sarebbero accorsi di lì a poco.
Neville
si avvicinò a Harry.
«Ehi,
amico...ti ricordi cosa mi disse Silente, il primo anno qui, a Hogwarts?» gli
domandò, dandogli una pacca sulla spalla. Andreas lo guardò interrogativo,
sulla sua fronte si vedeva ancora il segno rosso di una profonda cicatrice. Ed
era alto. Straordinariamente alto.
«Che ci
vuole coraggio ad affrontare i nemici. Ma molto, molto più coraggio nell’affrontare
gli amici.» ripeté Harry, perso in vaghi ricordi di un uomo vecchio dalla folta
barba bianca e occhi azzurri.
«Esatto.
Ora basta, prima che ti pietrifico, come ha fatto Hermione.» la ragazza rise
della battuta, mentre Andreas teneva sotto controllo il cuore, per evitare che
fuggisse verso le labbra calde e dolci della donna che glielo aveva rubato.
«Ma che
è caspiterina è successo qui!?» la voce della McGranitt spezzò l’incantesimo e
tutti, con sguardo dispiaciuto - soprattutto Ginny - guardarono in basso,
sentendosi colpevoli di aver rovinato il chiosco della scuola.