From the beginning.

di Stay away_00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Let's play. ***
Capitolo 2: *** Hate, anger, terror and fury. ***
Capitolo 3: *** He is dead. ***
Capitolo 4: *** Dead. ***
Capitolo 5: *** Transformation ***
Capitolo 6: *** Werewolf. ***
Capitolo 7: *** You can sleep, now. ***
Capitolo 8: *** Open your eyes and screams. ***



Capitolo 1
*** Let's play. ***


Tutte le storie hanno un inizio, la maggior parte cominciano con quel teatrale “c’era una volta”, lasciando spazio alla fantasia e raffigurando un mondo completamente diverso dalla realtà in cui viviamo.

Anche noi potremmo cominciare con quella frase, quella che amano milioni di bambini, perché presenta una prospettiva felice, un lieto fine. Chi infondo non ne ha bisogno? Chi non ha bisogno di credere che dopo la tempesta ci sia qualcosa di meglio? Un principe, un castello… magari una donna. Eppure il lieto dine non c’è sempre, le storie terminano quasi sempre in malo modo, oppure semplicemente non hanno una fine, e poi ci sono quelle più particolari, in cui la fine è semplicemente l’inizio ed è di questo che parleremo, della fine che ha dato via all’inizio, della vita che è stata spesa per quel “per sempre”, ma questa volta, non sarà felice.


 Un bambino stava piangendo, chiuso nella sua camera, con le ginocchia sbucciate portate al petto e l’aria stanca, afflitta, mentre suo fratello se ne stava li ad osservarlo, quasi con aria di superiorità con la spada regalatagli da suo padre stretta in una mano.

 Non avrebbe mai saputo come consolare suo fratello, non avrebbe mai saputo che parole dire, che gesti usare, non sarebbe mai riuscito a spiccicare parole, forse perché sapeva che suo fratello si trovava nel torto. Aveva tanto insistito per combattere con lui, che era più grande, aveva già alcune sfide alle spalle, naturalmente non degne di un campione, ma poteva definirsi abbastanza capace per la sua tenera età, suo fratello lo aveva sfidato e in quello stesso istante piangeva, stupido.

 -Niklaus.-

 La voce di loro padre tuonò nella stanza, era un uomo abbastanza burbero, odiava che suo figlio si dimostrasse tanto debole, e odiava anche che proponesse a suo fratello di giocare con un arma che doveva avere l’utilità di difendersi.

 Forse seguendo quegli ideali la mano scattò alla mano del figlio piangente, le lacrime di quest’ultimo si stopparono e il suo sguardo sorpreso si posò su quello di suo padre, mentre si portava una mano tremante alla guancia e si lasciava sfuggire un ultimo, impercettibile, singhiozzo.

 Poco dopo abbassò lo sguardo e stesse in silenzio, era sicuro che tacere era l’unico modo per attenuare l’ira di suo padre, quell’ira che a parere suo era ingiustificata e stupida.

 Poco dopo la venuta di Mikael e del fratello, un’altra persona andò ad assistere al dolore del bambino, una graziosa bambina vestita di azzurro, dagli occhi dello stesso colore e con morbidi boccoli biondi che le ricadevano lungo le spalle.

 Vedendola in quel momento nessun uomo avrebbe mai pensato che non fosse munita di nessuna grazia, che anch’essa amava giocare con la spada e che le sue giornate trascorrevano allegre insieme ai suoi fratelli, essere l’unica donna in famiglia non era una gioia per la bambina, doveva rendere felice sua madre e allo stesso tempo essere degna delle aspettative e della compagnia dei suoi fratelli.

 Il viso di Niklaus si rasserenò mentre sua sorella si avvicinava e le accarezzava delicatamente una guancia, con fare amorevole e quasi materno, poi dalla guancia passò ad accarezzargli la mano e poi la afferrò con una presa salda, costringendolo ad alzarsi e ad avvertire un lieve bruciore alle ginocchia, che ovviamente non diede a vedere.

 Lui non era debole.

 Era quello che si sarebbe ripetuto all’infinito, per giorni e giorni, era quello in cui avrebbe creduto sino a quando qualcuno non gli avrebbe dimostrato il contrario, non voleva essere succube di suo padre, ne di suo fratello, non voleva dipendere da sua sorella, voleva… voleva essere autonomo, uno di quei guerrieri pieni di gloria, per cui l’onore era tutto. Non avrebbe mai ammesso che l’unica cosa che voleva era rendere fiero di lui suo padre, non avrebbe mai ammesso che desiderava ardentemente vedere quella scintilla accendersi nei suoi occhi, scintilla, che come purtroppo sapeva non sarebbe mai sbocciata, Mikael era chiuso nelle sue convinzioni e così sarebbe stato, sempre.

 Strizzò per un attimo gli occhi, poi fece qualche passo, seguendo quella che era sua sorella, seguendola come aveva sempre fatto, fidandosi di lei.

 Sospirò non appena l’aria fresca dell’autunno gli sfiorò il viso, si asciugò le lacrime e sorrisi a Rebekah.

 -Giochiamo?-

 Chiese la bambina in tono insicuro, temendo che il fratello si arrabbiasse, poi si portò la mano alle labbra e abbassò lo sguardo, facendo un piccolo passo e scoccandogli un bacio sulla guancia.

 Niklaus ghignò prima di cingere i fianchi della ragazza per qualche secondo, poi cominciò a farle il solletico, il tempo di capire quello che stava accadendo che essa già aveva cominciato a correre.

 Non ci volle molto prima che esso cominciasse a rincorrerla, ridendo, forse realmente per la prima volta da quando era cominciata quella giornata, forse perché era quello che lo rendeva realmente felice e poteva anche non dedicarsi a suo padre per qualche attimo.

 Solo qualche attimo.

 Si inumidì le labbra e feci per afferrare sua sorella quando una ragazza si piazzò di fronte a lui, bloccando la sua corsa e gli sorrise, il ragazzo non poté fare a meno di notare che alla bambina mancava il canino sinistro e trovò quel particolare estremamente divertente.

 Essa inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia, poi sospirò in modo quasi teatrale.

 -Voglio giocare.-

 Annunciò.

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Capitolo 2
*** Hate, anger, terror and fury. ***


Niklaus le cinse i fianchi per attirarla a se e baciarle lentamente il collo, mentre lei ridacchiava divertita tra le sue braccia.

Alle volte credeva di amare quell’uomo, altre invece, pensava che non avrebbe mai potuto odiare nessuno nel mondo in cui odiava lui, le scatenava dentro una marea di sentimenti che non riusciva a comprendere, una marea di sentimenti che bruciavano nel suo petto e sembravano scatenare un incendio nella sua anima, alle volte era troppo, semplicemente troppo, forse per quello aveva cercato una scappatoia, per quello aveva deciso di non rischiare e cadere in braccia altrettanto forti, ma più sicure.

Quell’uomo, infatti non avrebbe mai potuto sapere cosa stava accadendo nel cuore della ragazza, quell’uomo, infatti non avrebbe mai compreso quali erano i suoi reali sentimenti, sia verso di lui, che suo fratello.

Tatia si voltò e posò delicatamente una mano sulla guancia del ragazzo, studiando i suoi lineamenti e puntando il suo sguardo in quegli occhi che sembravano fatti di ghiaccio, ma che in quel momento esprimevano un calore che lei non avrebbe mai pensato che si potesse provare, quella sensazione che cominciava nello stomaco e poi ti scoppiava nel petto.

Abbassò appena lo sguardo prima di increspare le labbra in un timido sorriso, poco dopo fece per unirle a quelle di lui. Ma proprio in quel momento una voce femminile alle loro spalle li fece sobbalzare.

-Rebekah, sorellina. –

La salutò l’Klaus, senza preoccuparsi del tono irritato che traspirava dalla sua voce, senza preoccuparsi di mostrarsi quasi arrabbiato, per aver interrotto quel momento di intimità tra lui e quella donna che diceva di amare, ma non si rivelò scortese quando sua sorella gli chiese di passeggiare con lei, lui accettò.

 

Erano ormai svariati minuti che camminavano lungo quel prato, il suo preferito di Rebekah, quel luogo dove da bambini avevano trascorso intere giornate, quel luogo dove tutto sembrava diventare inerente ad un’altra dimensione, quasi come se ci fosse qualcosa di magico, come se gli spiriti capissero di chi erano figli.

-Cosa ti turba? – Chiese suo fratello ad un certo punto, notando il silenzio che ormai era calato su di loro, silenzio che si manifestava ogni volta che sua sorella aveva qualcosa di importante da dirgli, come quando gli aveva raccontato che suo padre aveva intenzione di sfidarlo con la spada, a quel tempo aveva appena quindici anni, era ancora un ragazzino, ragazzino ancora perso nelle sue paure, ancora perso in tutto quello che accadeva, perso nelle convinzioni che egli gli aveva inculcato, consapevole di essere completamente impreparato di fronte a quello che gli sarebbe accaduto, e di quello Rebekah ne era a conoscenza. Conosceva tutto di suo fratello, avrebbe potuto descrivere ogni minimo dettaglio ad occhi chiusi.

Lei scosse il capo, come se fosse in lotta con se stessa, mentre si portava una mano al cuore e prendeva un piccolo respiro prima di sorridere in mondo ras sicuramente a Niklaus, poco dopo parlò:

-Niente che non possa rimettersi in senso, mi dispiace Nik.-

Quelle furono le sue uniche parole, parole che scatenarono qualcosa nella mente dell’uomo, pensieri, che sapeva non avrebbe dovuto fare.

Non si fidava ciecamente delle persone che gli stavano intorno, alle volte aveva dubbi persino su se stesso, alle volte osservava quella figura su una superficie riflettente – che sarebbe potuta essere persino le acque tranquille del fiume che scorreva vicino al suo villaggio –  e si chiedeva come mai quell’uomo non riuscisse a rendere fiere le persone che gli stavano intorno, si chiedeva come mai non eccellesse particolarmente in qualcosa, qualsiasi cosa, per rendere orgoglioso suo padre.

O anche se stesso, per sentirsi soddisfatto della persona che era, ma in quel momento non c’era nulla che lo rendesse particolarmente felice, in quel momento nulla aveva un significato preciso, in quel momento la sua realtà era costituita dall’oscurità, più pericolosa della notte e al suo centro c’era la luna, piena, luminescente, attraente. Significativa. Anche se per lui tutto quello era ancora sconosciuto.

Fu distratto da quei pensieri quando sentì la mano di sua sorella posarsi sulla spalla, esortando a camminare più veloce.

Esso non aveva il coraggio di chiedergli per cosa si dispiacesse, forse temeva ad ascoltare quella risposta, perché sicuramente non le sarebbe piaciuta, e lo capì nel momento in cui varcarono la soglia della loro capanna.

Li, tra le braccia di Elijah, suo fratello, c’era la donna che amava, quella che poche ore prima era stata stretta da lei, quella che poche ore prima gli aveva detto di amarlo.

Rimase spiazzato, la realtà aveva perso consistenza intorno a lui, anche la luna era sparita, lasciando il posto all’oscurità più totale e ad una valanga di sentimenti che non sarebbe mai riuscito a comprendere: Odio, rabbia, terrore e furia.

Erano così forti da fargli girare la testa, così veri da poterli sentire scorrere nelle sue vene, molto simili a veleno.

Solo, in quel momento si sentiva completamente e irrimediabilmente solo, forse fu quello il motivo che lo fece scattare in avanti –appena la ragazza si fu allontanata – a colpire il viso di suo fratello con un pugno.

Una, due, tre volte, sino a quando non sentii quella rabbia attenuarsi e far strada al vuoto che piano piano si stava impadronendo di lui, far strada a quel “niente” che lo aveva circondato sino a quel momento e che si era insinuato nel suo essere.

-Traditore.-

Mormorò lasciandosi cadere contro la parete, mentre Elijah rivolgeva un’occhiata furente a sua sorella e la rabbia si impadronì nuovamente di Niklaus, tanto velocemente come prima lo aveva abbandonato e forse avrebbe potuto far diventare quel sentimento il suo appiglio, forse avrebbe potuto trasformare quel niente in tutto, qualcosa di pericoloso, una vendetta ch desiderava quanto in quel momento desiderava la donna che lo aveva tradito.

Fece per colpire nuovamente suo fratello quando la voce di sua madre lo colse alla sprovvista, lei era immobile, sulla soglia, con un cesto di panni puliti tra le mani e l’aria severa, li scrutava entrambi, attentamente, poco dopo posò il cesto sul tavolo e si avvicinò ai due in un tempo che sembrava quasi infinito.

Il dolore quasi prese una forma diversa, quando la mano di Esther, colpì con forza il viso del figlio che per un attimo, solo un attimo, aveva pensato che la rabbia e l’odio potessero essere una soluzione.

Si sbagliava.

Erano l’unica soluzione. 

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Capitolo 3
*** He is dead. ***


 

Era passato poco più di un mese, Niklaus all’inizio aveva tentato di far finta di nulla, aveva giocato con Henrik e sua sorella, aveva combattuto in modo scherzoso con Elijah – ricevendo una lavata di capo da suo padre, quella volta temeva che lo avrebbe ucciso. Gli faceva così paura – ma poi aveva ceduto e si era limitato a passare il tempo chiuso nella sua camera, ne usciva soltanto per la caccia mattutina, il pranzo e la cena, per il resto era chiuso in se stesso, cercava di sbollire la rabbia che ogni volta lo assaliva quando vedeva suo fratello, temeva che a lui non importasse.

Il pensiero di Tatia e Elijah insieme era devastante, ma non riusciva a trascinare i piedi oltre quella porta. Non riusciva a stare meglio.

Si chiedeva come avesse potuto la donna, che diceva di amarlo di comportarsi in quel modo, sapeva che era attratta anche da suo fratello, ma non pensava che avrebbe mai fatto una cosa del genere, non pensava fosse da lei.

Credeva di conoscerla, e, evidentemente si sbagliava.

Forse erano quei sentimenti a guidare le sue azioni, era tardo pomeriggio e di li a poco i suoi genitori lo avrebbero chiamato per andare nello grotte, dove i lupi non potevano arrivare, perché si, quella notte ci sarebbe stata la luna piena.

Quello spicchio che aveva contemplato molte volte, troppe e non aveva mai avuto l’agio di poterselo godere in pace, era costretto a scappare, come se la sua vita fosse un eterna fuga.

 

[…]

 

La grotta era troppo stretta quella sera, era come se le pareti potessero chiudersi sul suo corpo da un momento all’altro, oppure avessero potuto semplicemente avvicinarlo a suo fratello, forse era proprio per quel motivo che non riusciva a dormire.

Provava a chiudere gli occhi, ma immagini e ululati si sovrapponevano, costringendolo a tenere gli occhi aperti, nonostante lui non volesse, nonostante desiderasse che quella giornata passasse in fretta, aveva solo bisogno di tornare in camera sua, aveva bisogno di stendersi sul suo letto e avvertire che sarebbe andato tutto bene, perché era così che andava, sempre.

Ma non per lui.

Forse per quello aveva cominciato a camminare avanti e indietro per lo spazio che aveva a disposizione, troppo agitato, avrebbe potuto dire, si prese il viso tra le mani e si chinò, ringhiando appena, poco dopo prese la sua decisione.

Aspettò che tutti dormissero  profondamente prima di dirigersi verso l’uscita della grotta, ma quando stava per fare un passo fuori, si sentì afferrare per la manica.

-Portami con te. –

Era un flebile sussurro, quasi timido, quello del suo fratellino, mentre lo guardava con occhi imploranti, aveva sempre saputo che per lui era un modello di comportamento, aveva intuito che in quel mese lo aveva deluso più e più volte, ma forse, neanche pensò in quel momento.

Afferrò la mano di suo fratello e la strinse con forza, poco dopo fece un passo oltre la soglia, non sarebbe accaduto nulla di male.

Camminarono sino a trovarsi nei pressi del fiume, c’erano ululati in lontananza, ma nulla di troppo vicino, Niklaus si avvicinò all’acqua e si sciacquò il viso, mentre ridacchiava ad una battuta del suo fratellino.

D’un tratto, un urlo strozzato, si voltò di scatto per essere faccia faccia con suo i grandi occhi gialli di un lupo.

Rimase paralizzato a quella vista, non riusciva a muoversi, non riusciva a pensare, era semplicemente andato, era semplicemente… aveva paura, ma allo stesso tempo ne era terribilmente attratto, allo stesso tempo sentiva un sapore amaro sulle labbra mentre sulla schiena sentì un brivido di eccitazione, le mani avevano cominciato a formicolare, era pronto.

Pronto a difendersi.

Fece per scattare in avanti, ma il lupo fece qualche passo indietro, sino a quando non corse nella direzione opposta

Niklaus si fiondò sul corpo di suo fratello, aveva due brutte ferite a squarciargli il petto, lo afferrò per le spalle, strattonandolo appena.

L’eccitazione aveva lasciato spazio alla paura, puro terrore.

-Herink…- Sussurrò, non sapendo cosa fare, mentre la sua voce lasciava trapelare quello che voleva e le lacrime cominciavano a colargli copiose lungo le guancie, era scosso dai tremiti, non sapeva cosa fare.

Prese suo fratello tra le braccia e lo strinse forte a se, come se a quel punto avesse potuto proteggerlo, ma non poteva, non poteva far nulla, era morto, il suo fratellino era morto e lui non era riuscito a proteggerlo.

Era colpa sua, doveva stare più attento.

Lo aveva deluso… per l’ultima volta.

Aspettò sino a quando non intravide le prime luci del mattino, a quel punto lo prese tra le braccia e cominciò a correre.

-Madre! –

Urlò appena intravide casa sua, la prima a corrergli incontro fu Rebekah, mentre lui continuava ad urlare e poggiava Henrik sul terriccio, poco dopo si sedette e portò le ginocchia al petto.

-I lupi.. –

Aveva paura, in quel momento aveva seriamente paura, l’unica cosa rassicurante erano le mani di sua sorella, sul capo e sulla spalla, si appoggiò a lei, indeciso sul da farsi, poco dopo si alzò velocemente e corse via.

Corse veloce, come se lo stessero inseguendo e forse realmente scappava, scappava da quella realtà che lo aveva assalito, da quella pioggia gelata che gli era caduta addosso, scappava dalle sue lacrime, perché nessuno avrebbe dovuto vederlo piangere, scappava perché semplicemente non poteva fare altro.

Era colpa sua, sua.

E non riusciva a fare a meno di ripeterlo, non riusciva a fare a meno di pensare che non avrebbe più udito la voce di suo fratello, nessun modello di comportamento. Solo-

Arrivato nei pressi del fiume, neanche accorse di essere andato a sbattere contro qualcuno, afferrò la ragazza per le spalle, per impedirle di cadere all’indietro e puntò i suoi occhi in quelli di lei, trattenendo il respiro.

Tatia.

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Capitolo 4
*** Dead. ***


Rimase incantato da quegli occhi, quasi come se improvvisamente avessero spazzato via tutto il dolore, quasi come se improvvisamente avessero deciso di ridare un po’ di pace a quel suo povero cuore, ormai distrutto.

Aveva perso tutti quelli che amava.

Aveva perso suo fratello Elijah e la donna che tanto aveva bramato per semplice orgoglio, molte volte in quell’ultimo mese aveva desiderato dire a suo fratello quanto ci tenesse a lui, e che la famiglia era più importante di qualsiasi donna, ma alla fine non c’era mai riuscito, alla fine l’orgoglio e la rabbia avevano sempre avuto la meglio.

Perché infondo non esisteva nulla più importante di quella donna, alla fine non esisteva nulla più importante di quell’amore malsano che si sentiva scorrere nelle vene.

Eppure in quel momento la lasciò quasi come se si fosse scottato e arretrò come se fosse un piccolo animale in trappola.

Una lapre assediata dal cacciatore.

Un uomo, assediato da quegli occhi.

-Klaus.-

Sussurrò lei, con un filo di voce. Quella voce dolce come miele caldo, quella voce che aveva la forza di riscaldargli il cuore, anche gelato com’era dalla morte del suo fratellino.

Si sentiva spaesato, confuso dalle lacrime e dal dolore, forse per quello non battè ciglio quando sentii la mano di Tatia sfiorargli una guancia e ancora una volta quella voce calda.

-Nik, perché piangi? –

Stava piangendo?

Lo ricordava vagamente.

In quel momento nella sua mente c’era solo lei. Lei, come l’angelo che era venuto a salvarlo dal baratro.

“L’orgoglio, Niklaus. Dov’è finito il tuo orgoglio?”

Gli chiedeva una voce, in un angolo lontano dei suoi pensieri.

“E’ morto insieme ad Henrik, il mio orgoglio. Ho bisogno di lei.”

Disse a quella voce, quasi disperato e con quella stessa disperazione si avventò sulle labbra della ragazza, quelle labbra che con il passare dei secondi aveva bramato sempre di più.

Minuti dopo i loro vestiti erano sull’erba e i due stesi accanto ad essi, alle sponde del fiume.

Le labbra di lui esploravano il corpo della ragazza, come se non la vedesse da anni; Il collo, il seno, il ventre, mentre lei lo stringeva sempre di più a se.

Si sentiva bruciare, sentiva che non era la cosa giusta, sentiva lo sguardo di Henrik su di lui, sentiva il cuore battergli e quell’amore scoppiargli dentro, insieme alla rabbia, ma non si fermò. E quella mattinata fu consumata dall’amore del giovane e il silenzio interrotto soltando dai loro gemiti.

 

Niklaus aveva passato tutta la giornata fuori casa, dopo quello che era accaduto non era riuscito a guardare la donna negli occhi ed era quasi scappato via, ed era sicuro che sarebbe accaduta la stessa cosa se avesse visto Elijah.

Era sicuro che lui avrebbe capito, quindi preferiva rimanere da solo, preferiva cadere nel suo dolore, ai piedi dell’albero dove lui e Rebekah erano soliti giocare quando erano bambini.

Una volta, quando tutto andava bene, quando ancora non poteva comprendere l’odio di suo padre e non poteva soffrirne, quando ancora non era innamorato e aiutava sua sorella a raccogliere dei fiori per la mamma, quando ancora tutto poteva definirsi normale, o felice.

Quando ancora i lupi non avevano ucciso quel suo amato fratello. Quel bambino che aveva tutta la vita davanti, colui che ancora non aveva conosciuto il dolore ne aveva imparato ad amare.
Era morto per colpa sua, era solo colpa sua.

Neanche si era accorto di essersi addormentato, sino a quando non sentii una mano gentile posarsi sulla sua spalla, e quando aprì gli occhi vide lo sguardo freddo e allo stesso tempo amorevole di sua sorella, dietro di essa, uno spicchio di luna.

Era già sera.

-Rebekah, sei venuta a cercarmi?-

La realtà di quello che era accaduto gli piombò addosso dopo quella frase e si appiattì contro il tronco dell’albero, a quel punto sua sorella lo abbracciò, come non avrebbe potuto fare nessun’altro, come non aveva mai fatto nessun’altro.

E lui si beò del suo profumo, come se fosse la prima volta che quelle braccia lo stringevano, come se fosse la prima volta che si sentiva tanto protetto.

Restarono così per ore, o forse furono soltanto minuti, a quella domanda non avrebbe mai trovato una risposta.

Fatto sta che appena tornarono a casa suo fratello Elijah lo chiamò in disparte, dicenogli che gli doveva parlare.

Neanche il tempo di trovarsi lontani dagli occhi indiscreti della propria famiglia, che il fratello maggiore lo spinse contro la parete e gli ringhiò contro.

-Tatia è venuta da me oggi. –

Dissi in tono tranquillo, un tono che non rispecchiava affatto i suoi movimenti, alla fine Niklaus si era trovato impreparato, non sapeva cosa fare.

-Tatia? –

Chiese. E in quel momento il sogno in cui aveva vissuto si sgretolò. Tatia aveva detto tutto ad Elijah, lei se ne era pentita o lo aveva fatto solo per pietà, questo non lo sapeva, ma lei aveva detto tutto.

-Cosa c’è che non va in te, Niklaus?-

Il suo tono era nuovamente cambiato, triste.

-Tuo frtaello è morto, smettila di pensare a lei, anche solo per un attimo. Smettila. –

Rincasò, lasciando il fratello sbigottito e spaesato.

Solo in mezzo all’oscurità che piano piano lo stava avvolgendo, quell’oscurità che quella stessa notte avrebbe preso il sopravvento sulle sue azioni.

Tornò anch’esso in casa, silenzioso come un fantasma e si sedette a tavola, bevendo il vino e mangiando il cibo che suo padre aveva dedicato alla morte di suo fratello.

La morte che lui aveva procurato.

 

E dopo minuti di silenzio, che a lui parvero ore alzò lo sguardo su suo padre, non riuscì a formulare nessun pensiero, che la spada dell’uomo chi trapassò il cuore, o i pezzi che gli rimanevano. 

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Capitolo 5
*** Transformation ***


Gli occhi di Klaus si aprirono, posandosi immediatamente sulla figura di Rebekah, stesa accanto a lui. Non ricordava cosa fosse successo, forse il dolore. Quello gli premeva nella mente e non riusciva a disfarsene, era li, promemoria dell’atto orribile che aveva compiuto suo padre. Quel dolore al petto, allucinante, era durato meno di un secondo.

Sbattè un paio di volte le palpebre, poi il suo sguardo corse alla casacca, sporca di sangue.

Suo padre lo aveva ucciso. Era quello il pensiero che gli tormentava la mente, poi un altro, prepotente e inutile, stupido e impossibile.

Se suo padre lo aveva ucciso, perché in quel momento respirava, pensava e… provava dolore?

Perché in quel momento sentiva una rabbia cieca invadergli la mente? Al pensiero di Tatia, Elijah, suo padre… tutto sembrava sconvolgerlo in una maniera nuova ed orribile, sentiva quelle emozioni prendere il sopravvento su di lui e attanagliargli lo stomaco, stringerlo in una morsa ferrea e promettergli sofferenze.

-Nik? E’ sangue? –

Fu sua sorella a distoglierlo dai suoi pensieri, non fece in tempo a rispondergli che nella camera entrò suo padre, tra le braccia stringeva una ragazza, poteva tenere si e no l’età di sua sorella Rebekah. Prese il pugnale che tante volte gli aveva visto adoperare in caccia e tagliò il polso alla donna, avvicinandolo al volto della ragazza spaventata ai suoi piedì.

-No! –

Klaus si precipitò accanto a sua sorella, cercando di fare qualcosa, cercando di proteggerla da quell’uomo che gli aveva fatto del male, cercando di fare qualcosa, quel qualcosa che prima non era riuscito a fare, ma suo padre lo spinse via, provvisto di una forza nuova, una forza sconosciuta. E poi vide quella scena, sua sorella che cominciava a bere dal polso della ragazza. La sua faccia non era disgustata, tutt’altro, sembrava che gli piacesse, come una delle zuppe che cucinava la loro madre. In quel momento l’uomo si sentì spaesato.

Cosa succedeva? Era un incubo quello? Uno scherzo crudele degli spiriti che sua madre venerava? Non lo sapeva, forse non voleva saperlo e non sapeva che fare quando suo padre avvicinò anche a lui la ragazza, gli premette una mano dietro la nuca e lo spinse in avanti, costringendolo ad assaggiare quel sangue.

Aveva un sapore nuovo, differente.

Era buono e più beveva più ne voleva. E più quel liquido scendeva lungo la sua gola, più sentiva una sensazione di potere nascergli nello stomaco. Si sentiva forte, invulnerabile. Per qualche attimo, si sentìì quasi all’altezza di suo padre.

Prese il braccio della ragazza e se lo premette di più sulle labbra, sentendo un dolore alle gengive e i canini allungarsi e affondare nella carne, quasi come se fosse necessario.

Non riusciva a pensare ad altro che a quella sete che gli era scoppiata nella mente e che mano a mano stava placando.

Poi, suo padre gli rubò la ragazza dalle braccia, ormai morente e la spinse in un angolo della camera, poi riservò uno sguardo ai due, ormai vampiri. Infine, cominciò a parlare.

 

Per quanto si sforzasse Niklaus non riusciva a capire le ragioni che avevano spinto suo padre a fare loro una cosa del genere. Non capiva perché l’immortalità e la forza per lui fossero tanto importanti, eppure anch’esso se ne sentiva attratto e se gli avrebbero chiesto di rinunciarci non lo avrebbe fatto.

Per la prima volta avvertiva che nessuno avrebbe mai potuto fargli del male, suo padre o sua madre non lo avrebbero più deriso, non si sarebbe più sentito il terzo in comodo. Non avrebbe più pianto. In quel momento ne era sicuro, non ci sarebbe stato più posto per le lacrime, se per sentirsi triste, ne per Tatia. In quel momento aveva compreso a fondo quello che era diventato e per la prima volta in tanti anni non aveva odiato se stesso, anzi. Si era sentito bene, libero.

Chiuse gli occhi per qualche attimo, poi si allontanò dalla sua famiglia, che in quel momento si trovavano radunati intorno al tavolo, come quando si doveva discutere di qualcosa di importante.

Ma in quel momento non c’era nulla per cui discutere, suo padre li aveva condannati all’oblio e all’eternità.

Suo padre li aveva condannati alla solitudine e al potere e quasi quella cosa gli piaceva, non sarebbe tornato indietro.

Arrivò al fiume, dove la mattina del giorno prima Tatia era stata sua, dove aveva trascorso innumerevoli giornate insieme ad Henrik e dove poteva sentirsi al sicuro, dove poteva almeno sperare di non essere solo. In quel momento c’erano lui e i suoi ricordi.

Sino a quando non sentii una mano posarsi sulla sua spalla e due labbra morbide e calde baciargli una guancia.

In un primo attimo pensò, o sperò che fosse sua sorella, ma non era così. Gli occhi da cerbiatta di Tatia lo scrutavano vagamente intimorita. Come se lui fosse una bestia feroce che poteva attaccarla da un momento all’altro. E Niklaus si sentiva proprio così in quel momento, si sentiva fuori controllo. Sentiva la rabbia, la paura e l’amore scoppiargli dentro e mescolarsi, rendendolo incapace di distinguere quello che provava, quello che stava accadendo.

-Nik… - La donna non continuò la frase, si limitò a mostrargli il polso fasciato, li, dove si potevano intravedere ancora della macchioline di sangue e lui poteva giorare di sentirne l’odore e desiderare quel liquido. Sentiva la gola in fiamme e una sete tremenda farsi strada in lui, ma resò in silenzio, aspettando che continuasse.

-Cosa ha fatto tua madre? –

Chiese infine, portandosi il polso al petto e stringendolo a se. Suo padre gli aveva raccontato anche di quel particolare. Aveva detto che Tatia era andata a trovarli, si era trattenuta pochi minuti con Elijah – aveva detto che piangeva – e poi aveva fatto per andare via, ma Esther glielo aveva impedito e aveva usato il suo sangue per la trasformazione.

L’uomo scosse la testa, rifiutandosi di parlare. Non voleva che lei sapesse.

La ragazza si prese il viso tra le mani  e cominciò a ridere, una risata amara, che il vampiro avrebbe ricordato con lo scorrere dei secoli, avrebbe fatto parte dei suoi incubi peggiori e dei suoi sogni più belli.

-Tua madre voleva uccidermi! Per quello che ho detto ad Elijah, ne sono sicura. Nik, devi capirmi, è stato tutto un errore. Amo lui, ho sempre amato lui. Ma voglio bene anche a te e… sono così confusa… -

Cominciò a parlare, senza mettersi un freno e non calcolando le sue parole, mentre il cuore del giovane perdeva un battito, mentre quel cuore si sgretolava e diventava nero come la pece. Mentre quel cuore si colmava di rabbia.

“Amo lui.”

Era stata pietà, era stata semplicemente pietà, lei non lo aveva mai amato, lei non avrebbe mai pensato a lui nel mondo in cui pensava ad Elijah.

Si mise in piedi, di fronte alla fanciulla.

Non avrebbe mai sorriso, come sorrideva ad Elijah.

Non avrebbero avuto dei bambini.

Non si sarebbero sposati.

Semplicemente non sarebbero mai stati insieme, o lei avrebbe tradito suo fratello. E lui? Lo avrebbe mai fatto.

-Sta zitta! –

Urlò, con la rabbia visibile nei suoi occhi pieni di lacrime. Con la rabbia che gli faceva tremare le mani.

La rabbia che lo spinse ad afferrare con una mano la gola della ragazza e con l’altra strappargli il cuore. Quel cuore che non sarebbe mai stato suo. Quel cuore che non doveva appartenere a nessun’altro.

E in quel momento ci fu il silenzio, nessun pianto. Persino nella sua testa tutto aveva taciuto.

E poi, come se fosse arrivato in ritardo il tonfo del corpo della ragazza sull’erba, insieme ad esso il cuore della ragazza.

In un primo mento il ragazzo non capì cosa stesse succendendo, sentiva l’odore del sangue, della morte.

Si ritrovò a portarsi la mano alle labbra e ad assaggiare il sangue della donna che aveva tanto amato, poi abbassò il capo, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. Poco dopo si inginocchiò accanto al cadevere e urlò, sia per il dolore fisico che psicologico. Sentiva come se tutte le ossa del suo corpo si stessero rompendo e se qualcuno lo avrebbe visto in quel momento avrebbe giorato che i suoi occhi erano diventati color oro.

A quel punto, quando il dolore fu passato, sentii le lacrime cominciare a scorrergli sul viso, mentre si chinava e poggiava il capo sul petto della ragazza, cominciando a piangere, sino a quando non sentii una presenza alle sue spalle.

-Niklaus. –

La voce di Elijah. 

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Capitolo 6
*** Werewolf. ***


Era la voce di suo fratello quella che aveva appena udito, ed era il corpo della persona che entrambi amavano quello che stringeva tra le braccia. Neanche ci pensava più ai dolori che pochi attimi prima lo avevano scosso. Ormai pensava soltanto alla voce di suo fratello che pronunciava il suo nome e che quello stesso nome, poco prima era stato pronunciato dalla bocca della donna morta.

Niklaus era paralizzato. Dalla paura o dalla sorpresa non avrebbe mai saputo dirlo. Paura di quello che suo fratello avrebbe potuto fare, paura dell’odio che avrebbe potuto provare. Quell’odio che aveva provato lui per Tatia, quell’odio che l’aveva spinta a strapparla il cuore dal petto, sentendosi un animale feroce, sentendosi qualcuno che meritava di essere abbattuto.

Era ancora ferma, sul corpo della donna, con le lacrime che gli rigavano le guance, il sangue che gli aveva imbrattato una buona parte del viso, quella con cui si era appoggiato alla donna e anche le mani ne erano ricoperte. Aveva sentito i passi leggeri di suo fratello, come  la melodia di una condanna a morte, aveva udito il fiato di lui spezzarsi e il gelo trapassarlo come mille schegge.

-Elijah… -

Voleva giustificarsi, ma non sapeva cosa dire. “Elijah, lei ti amava.”

Sarebbe stato un motivo in più per scatenare le ire del fratello e di certo non voleva quello. Voleva che tutto si riparasse, voleva tornare al mondo di prima e se magari ci avesse riflettuto qualche attimo in più. Solo un attimo, probabilmente non avrebbe ucciso quella donna.

Non capì cosa successe, ma si ritrovò steso sul terriccio, ad incassare i colpi che gli dava suo fratello, a capire, a credere di meritarseli, ad udire le urla di dolore di quest’ultimo, il risentimento e lo strazio. C’era qualcosa di poetico negli occhi bagnati di suo fratello, qualcosa di poetico in quell’aria stanca e furibonda allo stesso tempo, e poi ci fu semplicemente il buio, una spada gli aveva trapassato il petto per la seconda volta.

 

 […]

 

 Erano passate settimane dalla lite tra Niklaus e Elijah, settimane dalla morte di Tatia e quella sera ci sarebbe stata la luna piena.

Ormai parlava con suo fratello solo quando quest’ultimo qui sputava addosso parole velenose e cariche d’odio e lui rispondeva con lo stesso tono.

“Neanche tu, fratello, puoi immaginare l’eccitazione che mi ha colto strappando il cuore alla tua amata.”

Diceva.

Forse non sempre quelle parole erano veritiere, ma vedeva l’espressione di suoi fratello rabbuiarsi ogni volta che le pronunciava e a malincuore quello gli causava un moto di gioia che non avrebbe dovuto provare e stupidamente se ne vergognava. Si vergognava del fatto, che per quel breve periodo aveva odiato davvero suo fratello.

Ma quello non importava, non quella sera, c’era altro a cui pensare.

Avevano tardato, sua madre e i suoi fratelli si trovavano già alle grotte, mentre suo padre, lui ed Elijah erano rimasti a casa ancora qualche ora, non capiva cosa dovesse fare suo padre, ma quando ebbe finito li esortò per fare in fretta e raggiungere il resto della famiglia.

Fu quella notte, che iniziò tutto, forse il primo cambiamento di Niklaus.

Il suo secondo pezzo di umanità che gli veniva brutalmente strappato via.

Si trovavano al centro del bosco quando cominciarono i dolori.

La schiena. Le braccia, le gambe, il viso…

Sentiva le ossa sgretolarsi e rimarginarsi, prendere nuova forma, sentiva il suo essere andare in frantumi e poi rimarginarsi.

Sentiva gli occhi dei suoi familiari addosso e non poteva fare a meno di vergognarsi e sentirsi nudo.

Sentiva i canini allungarsi e gli occhi diventargli – non rossi – gialli, aveva gli occhi gialli.

Era quello che continuava a ripetere suo padre.

Aveva gli occhi di un lupo.

-Padre… -

Implorò con un filo di voce, faceva troppo male. Tutto quello era dominato da un dolore atroce che non riusciva a controllare, lacrime di dolore gli cadevano sul viso e da li al terriccio, mentre i raggi della luna illuminavano il suo volto.

Lanciò un urlo di dolore, due, cento…

Non riusciva più a distinguere la sua figura, stentava a riconoscersi.

Chiuse gli occhi, li chiuse solo per qualche attimo, ma quando li riaprii tutto era cambiato.

Sentiva il terriccio sotto le mani… le zampe. Quelle erano zampe.

Vedeva lo sguardo disgustato e spaventato di suo padre, quello sorpreso di Elijah e non riusciva a fare altro che compiacersene.

Dalla sua gola uscì un ringhio. Non era la sua voce.

Lui era una bestia, lui era un animale.

Era un lupo.

Non si era mai sentito così strano, o potente, non aveva mai avvertito quella sete al centro della gola, ne visto quell’espressione sul volto di suo padre.

Era un lupo, era forte. Era davvero forte, non come suo padre, ma di più. Poteva fargli del male, poteva ucciderlo se desiderava.

Eppure, alzò il muso di fronte ai due uomini, quasi con aria orgogliosa, poi corse nella direzione opposta.

Lui era un licantropo, e le conseguenze di quella scoperta gli stavano cadendo addosso una ad una.

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Capitolo 7
*** You can sleep, now. ***


Aprì gli occhi e fu invaso dalla luce lunare, che in quel momento traspirava tra gli alberi, sbatté un paio di volte le palpebre e in pochi secondi i ricordi della notte precedente gli piombarono addosso come una pioggia gelata.

Si mise a sedere, accorgendosi solo in quell’istante che non indossava alcun indumento e che suo padre e suo fratello lo stavano osservando, come se dall’accaduto fossero passati soltanto pochi minuti e non una notte intera.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma dalle sue labbra non uscì nessun suono e quindi ci rinunciò, non gli sembrava il caso di dire qualcosa, e in realtà non avrebbe saputo neanche che parole pronunciare, a quel punto desiderò non avere voce, oppure di scomparire nella boscaglia, addirittura non esistere.

Elijah gli gettò un paio di calzoni e una casacca, poi voltò lo sguardo, mentre quello di Mikal rimaneva incollato su di lui, lo sguardo di quell’uomo che in realtà non era suo padre, ma un estraneo che lo aveva accudito e criticato, un estraneo che lo aveva deriso, e in quel momento ne comprendeva il motivo.

Si  vestì lentamente, come se volesse ritardare al più possibile il momento in cui avrebbe dovuto affrontare la sua famiglia, e forse era porprio quello che voleva fare. Non voleva sentire addosso lo sguardo della sua sorellina – sorellastra? – ne quello di sua madre, non voleva sentirsi un mostro, anche se la colpa dell’accaduto non era di certo sua.

Si mise in piedi e osservò il cielo, c’era una luna quasi piena, tranne per un piccolo spicchio e le stelle le facevano da contorto in quella che era una splendida visione, mentre alcuni raggi di sole, luce fioca e morente traspiravano ancora tra gli alberi. Dovevano essere all’incirca le otto di sera, aveva dormito tanto, troppo.

Non sapeva quanti giorni erano passati, quanto tempo fosse rimasto alle sembianze di lupo.

Mikael lo afferrò saldamente e in modo del tutto indelicato per un braccio e cominciò a trascinarlo. Niklaus ancora non spicciava parola, mentre il padre era furente di rabbia, mentre la sua stretta ne era il motivo. Mancava una leggera pressione in più e sicuramente gli avrebbe rotto il braccio, anche se da quello sarebbero nati dei lividi sarebbero guariti in meno di dieci secondi.

Voleva ucciderlo? Non poteva, avevano bruciato la quercia, ed era sicuro che non fosse rimasto neanche un pezzetto di legno, o una foglia di quell’albero, era sicuro che nessuno avrebbe potuto fargli del male. Ma in quel momento non ne era del tutto sicuro.

Suo fratello lo allontanò dal padre e gli posò una mano sulla spalla, quasi in segno di conforto. Era il primo contatto fisico che avevano da quando Niklaus si era svegliato nel bosco, dopo la sua morte e quella della sua amata, anche se non aveva trovato il corpo di Tatia.

La famiglia era ancora in lutto, ma non sapevano come fosse accaduto e il bambino della donna si era trovato inaspettatamente senza una madre, ma l’uomo a tutto quello non aveva fatto caso. Aveva semplicemente finto che non gli importasse, aveva semplicemente finto che tutto quello non lo riguardasse direttamente. Aveva finto che non avesse preso quello che era suo di diritto, il cuore della donna.

Vide che lo stavano scortando in una piccola radura, non l’aveva mai vista e doveva trovarsi sul retro della loro abitazione, non scorgeva occhi indiscreti, ma semplicemente tutta la sua famiglia.

C’era Rebekah, qualche metro più in la, che si stringeva le braccia al petto e nei suoi occhi c’era un aria compassionevole, ma appena incrociò il suo sguardo quello di lei si scostò a torturarsi le unghie, quasi come se si vergognasse a guardarlo. Kol invece si trovava dietro di lei, con le mani dietro la schiena e un aria pensierosa, ogni tanto rivolgeva occhiate di rabbia alla loro madre e l’ibrido poteva ben intuirne il motivo. La donna si trovava, invece, vicino ad una specie di croce costruita con pali di legno, la esaminava e tastava le catene che si trovavano all’estremità del legno.

E infine osservò suo fratello Finn, accanto a sua madre, che osservava quasi con aria invidiosa l’operato della donna.

Klaus fu scortato vicino ad Esther e legato ai pali.

-E’ per il tuo bene, fratello. –

Gli sussurrò all’orecchio Elijah, quasi in tono di scuse, mentre sistemava l’ultima catena intorno al braccio dell’uomo.

In quel momento ancora non capiva cosa aveva in mente la sua famiglia, ma quando vide il Grimorio tra le mani di sua madre, tutto gli fu chiaro.

-No! – Urlò, cercando di divincolarsi e rivolgendo uno sguardo disperato a suo fratello e a Rebekah.

- Non potete farlo…  - Continuò in tono sommesso.

Poi si voltò verso suo padre, sentendo la gola seccarsi e e la rabbia farsi strada in lui.

Una rabbia strana, che non aveva provato neanche quando aveva ucciso Tatia, ne quando lei aveva detto di amare suo fratello. Una rabbia che non era sua e che allo stesso tempo gli apparteneva nel più soddisfacente dei modi. Una rabbia che poteva scaturire solo alla consapevolezza che le persone più importanti della tua vita volessero privarti di una parte importante del tuo misero essere. Quella parte che per qualche attimo ti aveva fatto sentire potente, un buon guerriero, quella parte che aveva segnato tutto. Loro volevano portargliela via.

O volevano ucciderlo?

No. Era sicuro che Rebekah non lo avrebbe permesso, era sicuro che sua sorella sarebbe stata sempre al suo fianco. Allora perché non interveniva.

-Padre! –

Aggiunse, ma il suo tono era derisorio, una completa presa in giro, nella sua voce non c’era disperazione o supplica, ma rancore e rabbia, quei sentimenti che per tanto tempo aveva provato ma che non aveva mai avuto il coraggio di dimostrargli.

Le labbra di Mikael erano sigillate a formare un espressione furiosa, mentre quelle di Esther si schiusero a recitare l’incantesimo e in quel momento il corpo di Niklaus fu scosso dal dolore che aveva provato alla sua prima trasformazione.

Urlava, ma era sicuro che gli altri erano incapaci di sentirlo, strattonava le catene, cercava di sottrarsi a quel supplizio, senza alcun successo.

Aprì la bocca per dire qualcosa, ma quello che uscì fu soltanto un altro grido, più forte degli altri.

Gli occhi gli bruciavano terribilmente e così anche la gola, sentiva le gengive pulsare e la mente che mano a mano si annebbiava, poi i suoi occhi si chiusero, ma il colore che lo circondò non fu nero, ma rosso sangue.

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Capitolo 8
*** Open your eyes and screams. ***


DUE SETTIMANE DOPO.

 

Non c’è modo per prepararsi al dolore, non c’è modo di prevenire quella scossa che ti tormenta tutto il corpo, quel senso di disperazione che ti parte dallo stomaco e che alle volte sembra semplicemente irreale. Non c’è modo di dire alle voci nella tua testa di smetterla di urlare, perché loro non lo faranno e tu brami solo il silenzio, quel maledetto silenzio che non ti è stato concesso neanche nel mondo degli incubi in cui sei stato catapultato. Vorresti continuare a dormire, perso in quel terribile mondo tinto di un color cremisi, quel mondo che credi di meritare, quel mondo che aspettavi da notti intere, quello che bramavi quando avevi ucciso la tua amata, quello in cui non avevi il coraggio di imbatterti. Il mondo dei morti. Il mondo in cui avresti avuto il tuo vero padre, la donna che amavi e il tuo fratellino. Il mondo in cui tutto sarebbe stato più semplice, perché non ci sarebbe stato dolore ma un infinita pace mista a rimpianto.

Invece, quel mondo non voleva lasciarti andare, il mondo in cui eri cresciuto ti rivoleva indietro e ti richiamava con sussurri appena accennati, bisbigli e distintamente senti le tue urla.

E’ la tua voce.

Ed è dolore quello che stai provando e sai che una volta sveglio sarà più intenso.

Non senti più nulla.

Ma le urla continuano. Ormai l’ibrido – l’abominio, il mostro, il vampiro. Niklaus – teme che non smetteranno mai.

Aprì lentamente gli occhi, sentendo la calda luce del sole sui suoi zigomi e il corpo intorpidito, come se fosse stato steso su quel letto settimane, invece che una sola notte. Avvertiva uno strano bruciore alla gola e tutto quello non faceva che infastidirlo, aveva fame.

E a quel punto i suoi occhi si granarono,  i canini si allungarono e squadrò la stanza, cercando una fonte di cibo, ma quello che vide furono soltanto Esther e Mikael, che lo osservavano, vicino alla soglia della porta.

Erano giorni che sua madre lo ignorava e che suo padre lo trattava come un reietto. Ma infondo non era così? Non era il suo figlio bastardo? Non era motivo di vergogna?

A quel punto la sete diventò secondaria. Non capiva cosa ci facessero quelle due persone nella sua camera, dopo che per giorni, badare a lui era diventato qualcosa di trascurabile.

Qualcosa che avevano il dovere di trascurare.

-Voi. –

Sussurrò con voce roca, carica di disprezzo, e con un certo sforzo, ad ogni parola sentiva sulle labbra il sapore di sangue fresco.

Deglutì e si mise faticosamente in piedi, prima di stringere i pugni in una stupida stretta, che sicuramente avrebbe dato ad intendere quanto fosse infuriato, e quanto stesse cercando di controllarsi. Anche se il controllo, dal momento della strasformazione non era stato affatto il suo forte.

Non avevano ancora affrontato l’argomento, non c’era stato nessun confronto, niente che desse a vedere buone intenzioni da parte di entrambi, anche se lui aveva cercato di dimenticare tutto.

Il dolore della trasformazione in vampiro e quella in licantropo, il dolore che gli avevano procurato, facendogli quello stupido torto e assopendo la sua parte mannara,  cercando di prevenire un pericolo inesistente.

-Suppongo siate qui per scortarmi sulla tomba di mio padre. –

Disse Niklaus, con voce carica d’astio, rivolgendo uno sguardo disinteressato a Mikael, pensando quante volte aveva sognato di pronunciare quelle parole, parlando dell’uomo che gli si trovava di fronte. Ma purtroppo lui non moriva.

-Desideravo abortire, Niklaus. –

Sua madre non curò minimamente la sensibilità con cui pronunciò quelle parole e ignorò la richiesta del vampiro, attirando però la sua attenzione, ferendolo in un modo in cui lui non si sarebbe mai aspettato. Forse perché sapeva quanto fossero veritiere quelle parole.

-Ma il tuo vero padre non me l’ha permesso. Gli spiriti non me l’hanno permesso, mi hanno costretto a dare alla luce il frutto del disonore della nostra famiglia, ma ora tutti sanno. –

Niklaus trattenne il respiro a quelle parole. L’avevano costretta. L’avevano costretta a darlo alla luce, l’avevano costretta ad amarlo e a crescerlo come se fosse il figlio di Mikael, avevano costretto quell’uomo a credere che lui fosse suo figlio.

E anche l’ultimo frammento del suo povero animo era stato dato alle fiamme, quel fuoco che sembrava crescergli intorno, quel calore che lo stava ustionando dall’interno. Quella grida che unicamente lui poteva udire. Tutto quello, lo stava divorando.

Forse per quello scattò in avanti, afferrando sua madre per le spalle e spingendola contro la parete.

-Fate silenzio. –

Urlò, non curandosi di suo padre, pronto ad intervenire. Ma lui era più veloce, lui doveva essere più veloce.

-Siete voi la sgualdrina. Voi avete voluto tutto questo, voi mi avete fatto tutto questo. –

Sentiva la rabbia crescergli dentro, come gli era capitato altre volte, come gli sarebbe capitato nuovamente in futuro e per la seconda volta, non potette fare a meno di ritrovarsi in cuore umano tra le mani. Il cuore di suo madre, mentre suo padre con uno strattone lo allontanava dal corpo, ormai morto, di sua moglie.

A quel punto il ragazzo si prese il capo tra le mani tremanti, respirando a fatica, facendo di tutto per non urlare, per non mandare via quella frustrazione, quell’angoscia che gli stava schiacciando il petto e alla fine, quando aprì la bocca, per dire qualcosa a suo padre, per far valere qualcosa l’espressione dolorante che Mikael aveva dipinta sul volto, per far contare qualcosa tutto quello…

Inaspettatamente Niklaus scoppiò in un accesa risata, tanto che dovette chinarsi e poggiare le mani sulle ginocchia.

Mentre suo padre gli rivolgeva uno sguardo carico di rabbia, odio. Vendetta. Mentre l’uomo gli rivolgeva uno dei tanti sguardi che troppe volte aveva visto nello specchio.

E dopo quello, Mikael diventò solo un ricordo, che sarebbe tornato a tormentarlo dopo anni.

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