In the rain

di bibersell
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1°capitolo. Sulle note di una canzone ***
Capitolo 2: *** 2°capitolo. Come un CD ***
Capitolo 3: *** 3° capitolo. Amavo la pioggia ***
Capitolo 4: *** 4°capitolo. una sola parola ***
Capitolo 5: *** Pandemonium ***
Capitolo 6: *** Come un angelo ***
Capitolo 7: *** Romeo e Giulietta ***
Capitolo 8: *** Agente 007 ***
Capitolo 9: *** Buon Compleanno Justin ***
Capitolo 10: *** Mi sento libera. ***



Capitolo 1
*** 1°capitolo. Sulle note di una canzone ***



Festa.
Venerdì sera.

Ragazze.

Se si mettono assieme questi tre elementi, nella tua menta nasce l’immagine di una giovane sedicenne, con indosso il vestito nuovo a fiori rossi, i lunghi capelli castani che sfuggono dai fermagli e il trucco leggermente sbavato.
Con la sguardo vispo e allegro e che non vede l’ora di parlare con la migliore amica del ragazzo carino incontrato alla festa.

La mie serata era stata completamente diversa. Pizza e film con le poche care amiche e ritorno a casa alle 10 di sera. Per i giovani la notte era ancora giovane, ma non lo era per me.
Con il telefono ancora in mano attendevo l’arrivo dei mie genitori sotto la pioggia. I lunghi capelli bagnati mi nascondevano il viso e tentare di coprirmi con il maglione ormai era inutile.
Mi riparai nel sottoscala del mio parco con la speranza di trovare calore. Speranza vana anche se avrei evitato la pioggia.
Accesi il mio ipod e iniziai a camminare sperando che il tempo passasse velocemente. Quando i miei genitori sarebbero arrivati avrei potuto finalmente entrare in casa, levarmi gli abiti bagnati, darmi una ripulita e mettermi al caldo sotto le coperte nel mio morbido ed accogliente letto.
A quel pensiero fui percossa da un brivido che mi fece ricordare il freddo che provavo.
Amavo l’inverno,la pioggia. Guardare quelle goccioline d’acqua scendere da un cielo scuro e nuvoloso. Mi piaceva osservarle dalla finestra della mia camera con una tazza di fumante cioccolato caldo fra le mani. In quel momento non desideravo altro.

La riproduzione del mio ipod era arrivata a Summertime sadness di Lana Del Rey, quando una voce mi disse:- è devvaro una bella canzone-.
Alle mie orecchie quella voce risuonò nuova. Credevo di essere sola in quel buoi e freddo sottoscala.
Girai il volto in direzione della voce e i miei occhi si ritrovarono ad osservare un giovane ragazzo seduto sulla gradinata che portava ai piani superiori.
Aveva i gomiti poggiati selle ginocchia fasciate da un jeans scuro. Lo sconosciuto guardava nella mia direzione con dei grandi occhi scuri, messi in risalto dalla t-shirt rossa.
-si, è davvero una bella canzone-. Dissi abbassando lo sguardo sulle mie converse ormai completamente bagnate.
Avrei voluto alzare lo sguardo per vedere cosa stesse facendo il ragazzo a pochi passi da me, ma non ne ebbi il coraggio.
Ero fatta così, non guardavo quasi mai le persone negli occhi. Ero troppo timida. Troppo insicura.
Stavo per ricomincia a camminare, quando lui inizio a parlare.
-tuffo in piscina con i vestiti?- fece un cenno ai miei capelli e la felpa completamenti zuppe d’acqua.
-fuori piove. Sono rimasta fuori casa e sono venuta qui cercando riparo-. Dissi giocherellando con il lembo del mio maglione e sparendo che i miei genitori arrivassero il prima possibile.
-niente tuffo in piscina allora- disse scrollando le spalle. – sarà per una prossima volta.-
-contaci. Lo farò sicuramente… - avrei voluto completare la frase dicendo il suo nome, ma non lo sapevo, così non dissi nulla.
-bene-. Sorrise pulendosi le mani con i pantaloni di jeans.
Ci furono svariati secondi di silenzio. Avrei voluto continuare per la mia strada e sentire la musica, ma non sapevo cosa fare. Dovevo salutarlo, dirgli un semplice ‘ciao’ o avrei potuto semplicemente andarmene senza dire nulla.
Stavo per prendere in considerazione la seconda opzione quando il telefono di lui suonò. Se lo portò all’orecchio con evidente disagio. Non voleva fami sentire quella conversazione.
Quella era la mia occasione, avrei potuto andarmene. Gli feci un semplice ‘ciao’ con la mano e me ne andai.
Continuai a camminare sentendomi osservata nonostante sapessi che nessuno lo stesse facendo.
Sentii il rumore di un motore, mi voltai e vidi che il ragazzo con cui stavo parlando poco prima, ora era alla guida di quella moto nera. Mi resi conto che non sapevo nemmeno il suo nome e cosa ci facesse nel sottoscale del mio parco. Abitava li da una vita ma non lo avevo mai visto, eppure un tipo così non passava facilmente inosservato.
Un’ora dopo ero nel mio bel letto, con il mio pigiama, la mia cioccolata calda, la mia pioggia, ma senza i miei soliti pensieri. Tutto ciò che prima desideravo così ardentemente ora non mi soddisfacevano completamente.
Ripensai alla mia giornata. La mattinata scolastica, il ritorno a casa con la consapevolezza che il giorno dopo non si sarebbe dovuto andare a scuola, la serata con le amiche, il bagno sotto la pioggia e l’incontro di quel ragazzo.
Ma tutto sommato la giornata mi aveva lasciato qualcosa, la pioggia mi aveva fatto un bel regalo.
Il raffreddore.
Non c’era niente di più bello di un sabato passato nel letto.



NOTE D'AUTORE
Ciao (?) questa è la mia prima fanfiction e spero vi piaccia.
Onestamente io non sono molto convinta di questa storia lol
Mi farebbe piacere sapere cosa ne pensate asdfgh

 

 

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Capitolo 2
*** 2°capitolo. Come un CD ***





Lunedì.

Scuola.

Autobus.


Il raffreddore era passato e ora seduta sul sedile interno del bus, con il viso poggiato al finestrino e gli auricolari nelle orecchie che riproducevano le note di Without you di Chris Brown, attendevo di arrivare a scuola.
Avrei rivisto le mie amiche. Non le vedevo da venerdì sera alla festa.
Il sabato ero rimasta a casa con i decimi di febbre e il giorno successivo ero stata costretta ad andare a trovare la nonna con i miei genitori e il mio fratellino. Non avevo potuto nemmeno chiamare le mie compagne di avventure visto che mia madre mi aveva tolto il cellulare per aver dimenticato le chiavi di casa.
E così volevo rivedere le mie amiche, ne sentivo la mancanza.
Le conoscevo da quando stavo all’asilo. Ero rimasta senza pranzo visto che alcuni bambini, correndo mi avevano urtata ed il vassoio con il cibo si era rovesciato cadendo a terra.
Sarei rimasta a digiuno se non fosse stato per Charly. Si avvicinò con i suoi lunghi ricci neri, due grandi occhi verdi e il voluminoso abitino a pois. Mi porse la piccola manina di una bambina di 5 anni e mi disse indicando i vassoio che aveva in mano:- sai oggi non avevo molta fame, se vuoi possiamo condividere il mio pasto-..
E fu così che conobbi la mia migliore amica, la stessa che ora mi stava salutando, agitando la mano. Indossava i suoi amati vestitini colorati e svolazzanti che mi ricordavano gli anni sessanta. Charly mi riportava al passato con il suo abbigliamento e i suoi modi di fare.
Affianco a lei c’era Sarah. Era quella più simile a me. Molto introversa e riflessiva.
Nella sua assenza di stile aveva una personalità. Lei era Sarah, se ti serviva un saggio consiglio o parole dolci, lei era perfetta.
Anche esteticamente ci somigliavamo. Eravamo entrambe bionde, occhi marroni. Ma Sarah aveva i capelli corti, aveva un orecchio completamente ricoperto di piercing che noi tutte amavamo.
Eravamo due amanti delle converse e delle felpe estremamente larghe.
A completare il quartetto c’era Elise. Lei era un’ Hippie fino al midollo e anche in quel momento non si tradiva. Jeans scuri a zampa di elefante, maglia a fiori lunga e larga arricchita da un gilet di camoscio e un mastro rosa che le avvolgeva la fronte.
Viste da fuori sembravamo quattro persone con personalità troppo diverse per andare d’accordo, ma loro non sapevano il legame e il profondo affetto che ci univa.
-Ragazze scusate se non vi ho chiamato, ma mia madre mi ha tolto il cellulare. Venerdì ho dimenticato le chiavi di casa e ho dovuto aspettare i miei sotto la pioggia ricavandoci il raffreddore-. Dissi posando lo zaino a terra.
-Non ti preoccupare. Sabato ci siamo viste a casa di Charly e abbiamo visto “Le pagine della nostra vita”. Lo devi assolutamente vedere. Ho pianto tutto il tempo-. Disse Elise con voce euforica presa dell’entusiasmo.
-va bene, va bene. Lo vedrò-. Assecondai la sua richiesta sapendo che se non lo avessi fatto, la conversazione sarebbe durata per molto tempo finche non l’avrebbe avuta vinta.
Parlammo di cose futile fino al suono della campanella e ognuna di noi prese una strada diversa.
Elise si diresse all’entrata del liceo linguistico, Charly del classico, Sarah dell’artistico ed io a quella dello scientifico.
Non eravamo le amicone che avevano avuto la fortuna si stare sempre in classe insieme. Le nostre strade sono sempre state diverse, ma questo non impediva alla nostra amicizia di fiorire. Probabilmente l’ha solo rinforzata.

Tra un’ espressione di matematica, una versione di latino e un problema di chimica, le cinque ore scolastiche passarono.
Tornai a casa, feci i compiti per il giorno dopo, aiutai mio fratello a fare i suoi semplici problemi di geometria delle elementari e andai a dormire.
Ovviamente non poteva mancare uno scambio di messaggi con le mie amiche per alleggerire la giornata con delle sane risate ed augurarsi buonanotte.

E il giorno dopo non sarebbe stato diverso. La mia vita era come un cd. Finiva la riproduzione e ricominciava daccapo nello stesso ordine e con lo stesso ritmo. Non c’erano canzoni nuove, cambi di ritmo. Cambio di cd.

 

SALVEEE
lo so, questo capitolo è noioso ma serviva a farvi capire com'è ma vita della nostra protagonista.
I copitoli sono piccoli, ma più la storia prenderà forma, più diventeranno lunghi.
Se lasciate una recenzione mi fate contenta, voglio sapere cosa ne pensate.
Ora vi lascio, un bacio sdfghj

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Capitolo 3
*** 3° capitolo. Amavo la pioggia ***





Sabato.

13:53.

Via Giustiniano.


Altri sette minuti e l’ultimo giorno di scuola settimanale sarebbe finito. Sarei potuta uscire da questa galera.
Per un giorno non avrei visto gli stupidi compagni della mia classe, non avrei sentito la squillante voce delle professoresse e non mi sarei dovuta alzare presto.
Attendevo da tutta la settimana quel sabato sera. Andrò con le mie amiche al cinema a vedere “ Titanic ” in 3D.
Una delle cose che ci accomunano è questo film, è il nostro preferito.
D'altronde chi non ama Titanic? Chi non piange per una storia d’amore infranta dal destino?

La campanella suonò ed uscii dalla classe.
Oggi avrei dovuto fare la strada del ritorno da sola. Charly e Sarah il sabato non andavano a scuola mentre Elise stamattina doveva fare una visita medica.
Così sarei rimasta da sola, cosa che non mi rattristava molto. Amavo la solitudine e avrei avuto del tempo per pensare, rinchiudermi in un mondo creato dalla mia immaginazione. Un mondo fatto di elementi fantastici, di creature amabili ed amorevole. Un mondo in cui il bene vince sul male, dove i cattivi vengono uccisi dal ragazzo dai lunghi e lucenti capelli biondi che farebbe di tutto per salvare la sua amata.
Un mondo in cui mi rinchiudevo troppo spesso e che mi faceva distaccare sempre di più dalla realtà. Un mondo che avrei dovuto abbandonare per il mio bene.
Indossai le cuffiette ed iniziai a camminare nella direzione di casa sulle note di Warrior della magnifica Beth Crowley.
Ero quasi a metà strada quando sentii un lampo. Il cielo si era oscurato da quando ero uscita da scuola e il vento era aumentato. Tra poco i primi schizzi d’acqua mi avrebbero bagnato ed io non avevo l’ombrello per coprirmi.
Aumentai il ritmo del passo pur sapendo che la mia cosa fosse troppo lontana.
Come previsto iniziò a piovere e io non vedevo nemmeno l’ombra di casa.
Era una settimana che non uscivo, era da lunedì che attendevo il sabato sera per stare son le mie amiche e non volevo restare a casa per il raffreddore.
Inizia a muovermi in direzione di un palazzo, avrei aspettato che smettesse di piovere.

Era un’ora che stavo li, immobile. Se ci sarei rimasta qualche secondo di più avrei perso la sensibilità degli arti.
Lo stomaco iniziava a brontolare.
Erano le 15:13 e da stamattina avevo mangiato solo una barretta Kinder.
Mi aveva chiamato mia madre da lavoro chiedendo se avessi mangiato e se fossi riuscita a tornare a casa in tempo, prima che iniziasse a piovere. Le avevo detto che stavo bene, al caldo stesa sul divano.
Presi coraggio e uscii allo scoperto.
La pioggia cadde sulla mia testa e sul mio corpo facendomi sussultare per l’impatto brusco. Le gocce cadevano velocemente procurandomi un leggero prurito alla pelle.
Inizia a camminare sempre più velocemente finche il mio passo non si trasformò in una corsa.
Avevo il capo chino per paura di cadere a terra. I capelli erano completamente bagnati e quella mattina non avevo messo nemmeno la felpa col cappuccio.
Avevo sempre amato la pioggia, ma ultimamente mi faceva sempre brutte sorprese.
Pioveva nei momenti meno opportuni, quando non avevo un ombrello con me.
Sarei tornata a casa con il mal di gola se ero fortunata. In quel momento speravo che non mi salisse la febbre, non avrei sopportato l’idea di passare un altro finesettimana a casa.
All’improvviso sentii un muro caldo muoversi contro il mio petto.
Riflettei sull’ultimo mio pensiero. I muri non si muovono e non sono nemmeno caldi.
Ecco, mi ero scontrata con una persona.
Speriamo non si lamenti e che me la cavi con uno ‘scusate’.
Odiavo quando le persone blateravano della mia attenzione, di quanto stessi sempre con la testa fra le nuvole e che non guardassi mai di fronte a me.
Scostai i ciuffi bagnati dal volto e blaterai uno “Scusate”.
-non si preoccupi.- disse di rimando una voce maschile. Ma alle mie orecchie non era nuova, almeno non del tutto.
Alzai la testa e vidi un giovane ragazzo dai capelli biondi bagnati e dai grandi occhi marroni contornati da folte ciglia nera dalle quali cadevano goccioline d’acqua.
Quel ragazzo era lo stesso che avevo visto la settimana prima, quando ero rimasta fuori casa senza chiavi.
-ah…sei tu.- dissi senza rendermene conto con un filo di voce. Mi diedi della stupida mentalmente sperando che non mi avesse sentito.
Ma a quanto pare, quel giorno la fortuna non era con me.
-ci conosciamo?- chiese arricciando le sopracciglia, come se stesse cercando di ricordare chi potessi essere.
-si..beh no-. Non sapevo cosa rispondere. Ci eravamo già visti, ma non ci conoscevamo, non sapevo nemmeno il suo nome. -allora si o no?- Disse sistemandosi la maglia ormai completamente bagnata.
Eravamo sotto la pioggia battente a parlare. Sembrava la tipica scenetta di un film, con la differenza che io quel ragazzo non l’avrei mai più rivisto in vita mia.
Mi prese per il braccio e mi tirò all’interno di un vicoletto coperto la un vecchio tetto fatto di tegole impolverate.
–almeno qui non ci bagneremo-. Disse spiegando il suo gesto.
Mi risistemai i capelli bagnati dietro le orecchie ed iniziai a parlare.
-Non so se ti ricordi di me. Sabato sera ci siamo incontrati nel sottoscala del mio parco. Stavo ascoltando la canzone di Lana Del Rey quando- mi interruppe con un gesto della mano.
-si mi ricordo di te. La ragazza che aveva fatto il tuffo il piscina- ridacchiò al ricordo
-anche tu hai fatto un tuffo in piscina- gli indicai la maglia e i pantaloni completamente bagnati.
Non deve aver gradito la mia risposta dato che non parlò per alcuni minuti.
Avrei potuto ricominciare a camminare, ma la pioggia si era fatta troppo forte.
Vidi l’ora sul cellulare. Erano le tre e mezza del pomeriggio ed io ero appoggiata alla parete di un vialetto con uno sconosciuto a qualche mento da me.
-se proprio dobbiamo rimanere insieme nell’attesa che spiova, potrei sapere almeno il tuo nome?- disse appoggiandosi alla parete di fronte alla mia.
-Piacere Adele. Il tuo invece?
-Justin.
E la conversazione finì lì.

Mezz’ora dopo ero finalmente arrivata a casa.
Avevo riscaldato e mangiato la pasta al forno che mia madre mi preparava ogni mattina prima di andare a lavoro.
Tra un’ora sarebbero tornati i miei genitori e il mio fratellino. Nella casa non ci sarà il silenzio che adesso aleggia nell’aria e non potrò rilassarmi sul divano.
Decisi di fare una bella doccia calda. Dopo tutto il freddo a cui ero stata esposta, la doccia era ciò che ci voleva.
Asciugai i lunghi capelli, indossai il jeans pulito, una felpa grigia ed uscii di casa.
Avevo lasciato un biglietto ai miei ricordandogli che stasera sarei rimasta a casa di Sarah a mangiare e questa volta portai con me le chiavi.
SALVEEE
questo è il terzo capitolo della storia e come potete vedere già inizia a prendere forma, tutto ha più un senso (?) almeno spero sia così lol
mi piacerebbe sapere cosa ne pansate. Se lasciate una recensione mi farete contentissima (?)
come vedete cerco di aggiornare il più presto possibile.
ora vi lascio, non voglio annoiarvi.
Un bacio asdfgh

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Capitolo 4
*** 4°capitolo. una sola parola ***





Domenica sera.

Discoteca.

Alcol.


Ed eccomi qui, seduta su uno squallido divanetto in pelle nera.
Mi ero lasciata convincere dalle mie amiche a venire in discoteca. Io odio le discoteche, ma cosa più importante odio il vestitino che mi hanno fatto indossare Sarah e Charly. Era nero, aderente e fastidiosamente corto. Ai piedi avevo le mie amate converse basse e bianche decorate con dei piccoli fiori rossi. I capelli ricadevano mossi sulle spalle, soltanto il ciuffo era legato non una molletta nera che si confondeva tra le onde bionde.
Le mie amiche erano tra la mischia, tra i tanti corpi che si sfioravano nei movimenti del ballo.
Rimbalzavano al ritmo di musica, agitando le mani in aria e urlavano le parole delle canzoni.
Ai miei occhi sembravano un’unica massa in movimento. Era difficile riconoscerli l’uni dagli altri.
Ai lati della pista c’erano le solite coppiette che si scambiavano effusioni in pubblico, senza preoccuparsi di occhi indiscreti.
Al bar c’erano gruppi di ragazzi completamenti ubriachi, che non sarebbero riusciti a vedere la differenza tra un criceto e un serpente.
Per non parlare delle ragazze nei bagni che chiacchieravano del ragazzo carino adocchiato mentre si rifacevano il trucco.
E così avevo scelto di sedermi su quel divanetto aspettando con impazienza l’ora del ritorno a casa.
Vidi Elise con il suo vestito grigio scuro avvicinarsi a me per poi sedersi al mio fianco e massaggiarsi i piedi.
-dopo tutti quei salti ho un dolore lancinante ai piedi-.
-immagino. Solo a vedere questi tacchi mi gira la testa-.
-ma dai- mi disse scuotendomi il braccio-sei sempre la solita esagerata-. Disse alzandosi e prendendomi per una mano. -vieni con me. Ti faccio vedere io come ci si diverte. Domani mi ringrazierai-.
Iniziò ad avvicinarsi alla folla.
Più ci facevamo vicine e più sentivo l’adrenalina crescere nelle vene. Sentivo l’energia della gente. Le risate, il loro buon umore era contagioso.
Mi sarebbe piaciuto divertirmi come loro, essere spensierata. Purtroppo io non ero così. Io ero quella che non sapeva divertirsi, ma per una sera avrei voluto provare quell’emozione. Essere la fonte di quell’adrenalina.
Così mi gettai. Iniziai a muovermi insieme alle miei amiche.
Ballavo a ritmo della musica, cercando di essere sciolta e disinvolta.
Provai e riprovai, ma mi sentivo sempre impacciata e fuori luogo.
Stavo per dire a Charly che non mi sentivo bene, sarei tornata a casa e ci saremmo viste il giorno successivo, quando mi sentii sfiorare i fianchi.
Sussultai per la sorpresa. Ma in una discoteca affollata era normale che ci si sfiorasse.
Mi stavo per avvicinare all’orecchio di Charly, quando due mani mi accarezzarono e mi girarono.
Rimasi a bocca aperta. Un alto ragazzo mi fronteggiava.
Era dalla statura molto imponente. Si avvicinò al mio viso e mi sussurrò: - questo vestito ti sta proprio bene. Dopo ci vediamo da me o da te?- agganciò la presa e avvicinò maggiormente i nostri corpi.
Non ero mai stata così vicina ad un corpo maschile. Non avevo dato nemmeno il primo bacio.
Cercai di liberarmi dalla sua presa. Ma ero troppo minuta rispetto ad uno di quella statura.
Girai la testa alla ricerca delle mie amiche. Non le vidi. Probabilmente erano andate al bar. -senti, non so tu cosa abbia capito-. Tentai di direi ma un colpo di tosse mi interrupe.
Non era stato lui a tossire, ma qualcun altro.
Mi voltai e vidi il ragazzo della pioggia. Vidi Justin.
-Amore, qualcuno ti sta creando dei problemi?-. disse porgendomi il cocktail che aveva in mano.
Amore? Aveva detto amore? A me? C’era qualcosa che non quadrava.
Il ragazzo allentò la presa.
-questa insulsa ragazzina sarebbe la tua fidanzata?- disse astioso girando il viso verso Justin.
-Si, è la mia ragazza e ti sarei grato se le levassi le tue mani di dosso-. Rispose avvicinandosi a me e circondandomi le spalle con un braccio.
-ma si, tienitela pure. Sai quante ce ne sono come lei qui dentro.- si voltò e se ne andò.
Justin levò il braccio dalle mie spalle e si allontanò di qualche passo.
Ero molto confusa. Perché uno sconosciuto di cui sapevo solo il nome avrebbe dovuto aiutarmi? Il suo gesto aveva un secondo fine? Aveva le stesse intensione del ragazzo di prima? Sicuramente no. Se avesse avuto un secondo fine non se ne sarebbe andato come stava facendo.
Mi avvicinai e gli dissi:- Grazie, ho apprezzato il tuo il tuo gesto.-
Si voltò e mi squadrò:- e lui ha apprezzato te. La prossima volta cerca di vestirti in un altro modo. - e se ne andò.

Mi aveva insultata. Mi aveva dato della poco di buono in modo molto sottile. Non potevo permettere che qualcuno mi dicesse certe cose.
Gli andai dietro non interessandomi delle persone che ballavano intorno a me.
-non so cosa tu pensi di me o dei miei vestiti ma di certo non sono una puttana.-
-non ho voglia di discutere con te in questo momento. Ti ho visto in difficoltà e non volevo che accadesse qualcosa di brutto ad una giovane ragazza.-
Ero rimasta spiazzata. Era stato così diretto. Non mi aspettavo una risposta del genere.
-ti ringrazio. Non avrei saputo cosa fare se non fossi intervenuto.-
-figurati. Adesso puoi tornare a divertirti con le tue amiche.-
-lo farei molto volentieri se solo sapessi dove fossero.-
mi guardai attorno, ma non vidi nessuno che potesse essere una dei loro.
–credo che se ne siano andate.- dissi abbassando sempre di più il tono della voce e chinando il capo.
Justin si guardò attorno, sospirò e mi vece segno di seguirlo.
- vieni con me. Ti riaccompagno io.-
-non ti preoccupare. Tornerò a casa da sola.-
-e come torneresti che le tue amiche non ci sono?-
-a piedi. So camminare sai?-
-tu- disse puntandomi un dito contro.-vestita così, vorresti tornare a casa da sola e a piedi?- mi guardò divertito. – se ti lasciassi andare, il ‘salvataggio’ di poco prima sarebbe stato inutile-.
Si girò scuotendo il capo e uscì dalla discoteca.
Lo seguii.
Appena uscita il freddo e il vento mi colpirono. Venni percossa da un brivido lungo le gambe che risalì fino alle braccia.
-dovresti dirmi dove abiti.- disse camminando qualche passo avanti a me.
-perché fai tutto questo?- mi affrettai, cercando di raggiungerlo.
-non preoccuparti, non voglio farti niente. Voglio assicurarmi che arrivi sana e salva a casa-
-okay, questo l’ho capito. Ma la mia domanda è ‘perché’?-
Finalmente si girò guardandomi negli occhi. I suoi non erano così scuri come sembravano.
Ora che potevo vederli meglio alla luce del lampione che illuminava la strada, mi resi conto che erano di un marroncino chiaro, tendenti all’ambra.
-mettila su questo piano. Ti sto semplicemente aiutando, non voglio niente in cambio. Dopo stasera non ci rivedremo più. Certo, se ti va di andare con il ragazzo di prima, sei libera di farlo-.
Disse alzando il tono della voce e allargando le braccia accarezzando l’aria.
Mi voltai e incomincia a camminare incurante del fatto che mi seguisse o meno.
Era stato molto gentile ed altruista nell’aiutarmi. Un gesto del genere non l’avrebbero fatto in molti, ma aveva quel carattere così burbero e scontroso. Non c’era modo di parlare. I suoi modi di fare contraddicevano le sue parole.
Era come se parlasse un’altra persone, come se non fosse sempre lui.
Ma questo non era possibile. Stavo pensando cose assurde.
Mi resi conto che stavo pensando a lui. Pensavo ad una persona che non conoscevo.
Tutto girava intorno ad una sola parola.

Conoscenza.
Perché mi aveva aiutato dicendo che ero la sua ragazza.
Lui non mi conosceva.
Perché mi stava accompagnando a casa, preoccupandosi per me.
Lui non mi conosceva.
Perché io pensavo a lui.
Io non lo conoscevo.
Forse mi sbagliavo. A lui non importava di me. Probabilmente era tornato indietro in quella discoteca.
Mi voltai e vidi che era a qualche passo da me. Non se ne era andato.
Rallentai il passo permettendogli di raggiungermi.
Mi affiancò e camminammo insieme mente i nostri passi si coordinavano.

Ogni giorno percorrevo quella strada per andare a scuola. Era sempre gremita di persona.
C’erano le mamme che portavano i figli a scuola. Signori in giacca e cravatta che andavano a lavoro. Ragazze che aprivano i negozi e dei loro coetanei che andavano a scuola. Ma in quel momento quella strada era deserta.
Non l’avevo mai vista così. Non mi ero mai soffermata sui dettagli di quella via.
La mattina sembrava tanto piccola, mentre adesso era la cosa più grande che avessi mai visto illuminata soltanto da dei lampioni posti ai lati.

Quella sera faceva particolarmente freddo.
Il vento si era attenuato, ma la temperatura fredda era come tanti aghi sulla mia pelle.
Mi portai le braccia al collo cercando di riscaldarlo inutilmente.
Mi mancava la grossa sciarpa di lana che portavo sempre con me.
Incrocia le braccia al petto e cercai di abbracciarmi procurandomi calore.
Sentii un rumore simile allo sfregamento di due foglie.
Mi voltai verso Justin e vidi che si stava togliendo la felpa nera che indossava fino a poco prima.
Me la porse dicendomi:
- tieni. Prenderai un malanno se non la metterai-.
Aveva ragione, mi sai ammalata.
Feci come mi disse e la indossai.
Subito fui travolta dal calore. Fui percossa dai brividi.
Il cambio di temperatura era stato repentino. La felpa all’interno era di lana.
Misi le mani in tasca cercando di riscaldarle con il calore dell’imbottitura.
Un sospiro mi piacere uscì dalle mie labbra.
-lana. Adoro le felpe di lana-.
Justin scosse la testa e sorrise.-Già. È molto calda.-si accarezzò le braccia.
-se hai freddo, puoi prenderla- cercai di dire togliendomi la felpa, ma mi interruppe.
- No. Tienila tu. Io sto bene-.
-oh… grazie.-
Camminammo per qualche minuto in silenzio ascoltando i rumori della notte.
Il rumore delle macchine in lontananza, delle foglie che cadano, delle scarpe che battono il suolo.
-ci siamo incontrati tre volte, eppure di te conosco solo il nome.- disse Justin rompendo il ghiaccio.
-e cosa vorresti sapere?- chiesi incuriosita.
-non saprei. Partiamo dalle cose basilari. Quanti anni hai? Diciotto?-
-ne ho diciassette. Tu invece?-
-diciannove. Il mese prossimo venti.-
-auguri allora.-
-nessuno ti hai mai detto che gli auguri anticipati portano sfortuna?-
-non dirmi che sei un tipo superstizioso perché non ci credo.-
-credici invece.-
Sorrisi.
-se allora è così, ritiro gli auguri.-
Anche Justin sorrise con me. Qualche minuto dopo il sorriso si trasformò in una risata.
Ritornammo seri e mi chiese:
-non mi hai detto ancora dove abiti-
-alla fine di questo viale gira a destra. Il primo cancello è quello del mio parco. Facile no?-
-molto-
-tu dove abiti?-
-molto lontano da qui.-
-quanto?-
-devo prendere la metropolitana di Milano e scendere al capolinea. Da li sono un quarto d’ora con la macchina.-
-se abiti così lontano, cosa ci facevi stasera in quella discoteca?-
-io ci lavoro lì.-
Ero rimasta spiazzata. Lui lavorava in quella discoteca. Credevo che vivesse al centro di Milano, ma mi sbagliavo.
-ecco. Dovrebbe essere quella casa tua. Giusto?-
-si, è quella.-
Cercai le chiavi nella borsa.
L
e presi ed aprii il cancello.
-Justin ti ringrazio. Sei stato molto gentile.- dissi onestamente.
- di nulla. Notte Adele.- si volto e se ne andò con un semplice cenno di saluto.

Rientrai in casa. Ormai i miei stavano già dormendo.
Mi spogliai, posai i panni sulla sedia e mi misi il mio pigiama invernale.
Ripensai all’intera serata.
Ormai quel ragazzo non era più tanto misterioso. Sapevo qualcosa in più sul suo conto.
Ma ciò non importava, non lo avrei rivisto.
Ripensai al nostro saluto.
Era stata la prima volta che ci chiamavamo per nome.

CIAOOO
spero che il capitolo vi sia piaciuto.
come potete vedere è un pò più lungo rispetto ai capitoli precedenti e ci sono più dialoghi tra Justin e Adele
mi farebbe molto molto molto (?) piacere ricevere delle recensione e sapere cosa ne pensate.
un bacio e al prossimo capitolo c:

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Capitolo 5
*** Pandemonium ***




Lunedì.

07:43.

Sveglia.


La settimana ricominciava.
Ero di nuovo sull’autobus. Avevo le cuffiette nelle orecchie ed ascoltavo ‘Let me go’ di Avril Lavigne.
Sarei arrivata a scuola, avrei salutato le mie amiche e sarei entrata in classe.
La solita mattinata. Del resto tutti i giorni erano uguali.
Però questo pomeriggio avrei fatto qualcosa di nuovo. Sarei andata nella discoteca dell’altra sera.
Presa del freddo, dalla stanchezza e dall’imbarazzo avevo dimenticato di ridare la felpa a Justin che gentilmente mi aveva prestato e che proprio in questo momento indossavo.
Era una felpa davvero bella. Ma soprattutto calda. Era nera con una scritta bianca sulla manica destra.
Dopo scuola sarei passata dove lavorava e gliela avrei ridata.
Il bus si fermò e scesi. Vidi subito le mie amiche.
Mi avvicinai a loro e le abbracciai.
-Buongiorno!- esordii
-anche a te-. Disse Elise.
-ma che fine hai fotto ieri sera? Eri come scomparsa-. Disse Charly
-sono tornata a casa, non mi sentivo molto bene. Io vi ho cercato ma non vi ho trovate.- risposi cercando di evitare di raccontare l’incontro del ragazzo e soprattutto di dire con chi ero tornata a casa.
-siamo rimaste in discoteca fino a mezzanotte.- disse prontamente Sarah.
-a che ora te ne sei andata?- chiese gentilmente Elise.
- non lo so. Potevano essere le dieci e mezza o le undici.- risposi cercando di ricordare l’orario.
-dai ragazze. Non ci pensate. Io entro che ho il compito di matematica alla prima ora.- disse Sarah abbracciandoci.
- Sarah vengo con te.- si unì Elise ed entrambe si allontanarono da me e Charly avvicinandosi sempre di più alle loro rispettive scuole. -siamo rimaste solo io e te.- dissi.
-così pare.- rispose la mia migliore amiche pensierosa. –che ne dici di venire da me dopo scuola? È tanto che non ci vediamo solo io e te.-
-in realtà oggi sarei impegnata. Mamma torna presto da lavoro e volevo farle vedere un paio di converse che ho visto qualche giorno fa.- risposi.
Non volevo raccontare alle mie amiche di Justin.
Non saprei dire il motivo per cui non lo dissi, forse era inutile raccontare di una persona che non avrei più visto.
-capito. Sarà per la prossima volta. Ora vado. Alla prima ora ho italiano e il professore non vuole che facciamo tardi. Ci vediamo dopo.-
Ci abbracciammo e se ne andò.
Entrai anche io.
Le cinque ore passarono abbastanza velocemente, non avevo avuto materie particolarmente stancanti.
All’uscita sarei stata da sola.
Quel lunedì uscii un’ora prima. Mancava la professoressa di educazione fisica.
Presi il cellulare e mandai un messaggio alle mie amiche.

Ragazze oggi mancava la prof di fisica. Sono uscita un’ora prima.
Ci sentiamo stasera.
Baci A.


Riposi il telefono nello zaino e mi incamminai verso il centro della città. Verso la discoteca.
Quel giorno le vie erano particolarmente affollate.
Era sorprendente come una strada potesse sembrare diversa da un giorno ad un altro. Ieri sembrava così calma e silenziosa.
Ora quegli aggettivi non si addicevano più ad una via come questa.
Da lontano intravidi l’insegna della discoteca.
‘Il Pandemonium’ era uno dei locali più conosciuti di Milano.
Se eri fortunato, potevi incontrare anche qualche personaggio famoso.
Mi avvicinai all’ingresso e poggiai la mano sulla maniglia.
Sarei entrata, gli avrei ridato la felpa e me ne sarei andata. Una cosa semplice.
Tirai un sospiro, abbassai la maniglia ed entrai.
Il locale era molto grande e luminoso. C’erano delle ragazze che pulivano i tavoli mentre altre lavavano il pavimento.
Un uomo molto alto, calvo e con degli occhi delle stesso colore del mare si avvicinò dicendomi:
-le posso essere d’aiuto signorina. È qui per un colloquio? Mi dispiace ma siamo al completo, non ci serve altro personale.-
-no, non so qui per un colloquio di lavoro.- spiegai. –ero venuta per vedere un vostro dipendente..-.
-qui lavorano tanti ragazzi. Chi sta cercando?-
-Justin…- avrei voluto dire anche il cognome, ma non lo conoscevo.
-Ah si. Guardi è laggiù, al bar.- disse indicandomi con la mano la posizione del bar.
-Grazie.-
Mi avvicinai al bancone e mi sedetti su uno sgabello.
Lo vidi di spalle, era impegnato a sistemare delle bottiglie.
Mi schiarii la voce e dissi:
-un Martini, grazie.-
Justin si girò e mi sorrise.
Si abbassò per prendere qualcosa, lo vidi afferrare una cannuccia.
Prese dei cubetti di ghiaccio ed un bicchiere di vetro e poggiò tutto sul bancone.
Mise la cannuccia e il ghiaccio nel bicchiere. Agitò una bottiglia e ne versò il contenuto nel bicchiere.
-ecco la sua coca cola.- disse sfoggiando il suo sorriso migliore.
Brutto bastardo, mi aveva fregata. ù
-Ma io avevo chiesto un Martini.-
-e io ti ho portato una coca cola.- disse appoggiandosi con i gomiti al bancone. –perché sei qui. Non dovresti essere a scuola ragazzina?- -mancava la prof dell’ultima ora.- spiegai facendo spallucce e sorseggiando un po’ della bibita.
-capito.- fece una pausa. -Indossi la mia felpa. Hai ancora freddo?-
-quasi dimenticavo.- mi tolsi la felpa e la poggiai sul bancone. –ieri sera ho dimenticato di ridartela.-
Come avevo fatto a non ricordarmi di dargli la felpa? Io ero andata lì per quel motivo.
Quel ragazzo non aveva per niente un buon effetto su di me.
Justin prese la felpa e la indossò.
-hai già mangiato?- chiese.
-no, perché?-
-bene, nemmeno io.-
-e allora?-
-come allora? Andiamo a mangiare insieme.-
Tossii. Stavo per strozzarmi con la coca cola.
-dai non fare quella faccia. È solo un pranzo.- aggiunse Justin.
-con uno sconosciuto.-
-ma se ci vediamo quasi tutti i giorni. È il destino che ci vuole far incontrare.-
-non ci incontriamo tutti i giorni. Ci siamo visti solo tre volte e per caso.-
-e la quarta non sarà per via del destino, ma per la fame.-
Sorrisi.
Uscì da dietro il bancone e si avvicino all’uomo con cui avevo parlato appena ero entrata.
Si avvicinò a me e disse:
-ho fame. Andiamo?-
-Va bene.-
Uscimmo dal Pandemonium ed il freddo mi colpì in pieno volto.
-tira molto vento oggi. Rivuoi la mia felpa?- chiese gentilmente Justin.
Oggi sembrava molto socievole, diverso dagli altri giorni.
-no, grazie. Questa volta non mi sono fatta trovare impreparata.- risposi. Aprii lo zaino e presi la giacca marrone e la mia amata sciarpa bianca di lana.
- vedo che sei molto freddolosa.- osservò Justin.
-molto- infilai la giacca e chiesi. –dove andiamo a mangiare?- mi pentii immediatamente delle mia parole. Detto così sembrava un appuntamento mentre non lo era.
- che ne dici del McDonalds?-
- che McDonalds sia- risposi sorridente.
Ci incamminammo senza dire una parola.
Entrammo nel fastfood, prendemmo le nostre ordinazioni e ci sedemmo ad un tavolo.
Iniziammo a mangiare in silenzio finché Justin disse:
-quindi mancava la prof dell’ultima ora.-
-si, la professoressa di educazione fisica.- risposi pulendomi la bocca con il fazzoletto.
-a che scuola vai?-
-allo scientifico. Alla fine di via Giustiniano.-
-ecco perché la seconda volta che ci siamo incontrati eri lì.-
-stavo tornando a casa. Di solito faccio la strada con le mie amiche, ma quel giorno ero da sola.-
-le tue amiche stanno nella tua stessa classe?-
-no. In realtà non stiamo nemmeno nella stessa scuola.- risposi mordendo il panino.
–ci conosciamo dai tempi dell’asilo.- continuai.
-vi conoscete da molto.-
-si, da un bel po’- sorrisi. –dai ora basta parlare di me. Di te che mi dici invece. Non so nemmeno come fai di cognome.-
-nemmeno io so come fai di cognome.-
-non vale. Te l’ho chiesto prima io.-
-okay. Bieber. Justin Bieber. Contenta ragazzina?-
-non molto.- mi pulii le mani e bevvi un sorso d’acqua.
Stavo per alzarmi ed andare a buttare la carta in cui c’era il panino quando suonò il mio telefono.
Lo presi e lessi sullo schermo il nome di chi mi stava chiamando.
Era mia madre.
Mi portai il telefono all’orecchio e dissi:
-ciao mamma-
-tesoro. Come stai?-
-bene mamma-
-sono contenta. Dove sei?-
-sono al centro. Oggi sono uscita prima da scuola-
-va bene tesoro. Oggi tuo padre doveva andare a prendere Chris a scuola ma ha avuto un contrattempo. potresti andare tu a prenderlo?-
-a che ora esce da scuola?-
-tra mezz’ora-
-va bene mamma. Vado a prendere io Chris-
-grazie e non ti dimenticare di fargli fare i compiti-
-certo. Adesso devo posare. Ti chiamo quando arrivo a casa-
-ciao tesoro-
Attaccai la telefonata e riposi il cellulare nello zaino.
-devi tornare a casa?- domandò Justin.
-no, devo andare a prendere Chris a scuola-
-chi è Chris?-
-è il mio fratellino-
-quanti anni ha?-
-ha otto anni. Sta in terza elementare. Tu hai fratelli?-
-si, ho un fratello e una sorella-
-sono più grandi?-
-no, sono piccolini-
-abbiamo una cosa in comune. Siamo entrambi i fratelli maggiori-
-si-. Fece una pausa. -allora, quando devi andare a prendere Chris?-
-esce tra mezz’ora, ma dovrei andare ora. La scuola non è molto vicina-
-va bene. Butto queste carte e andiamo-
-mi accompagneresti?-
-certo-
-ma non devi lavorare?-
-No, ho finito il turno alle 10. Sono rimasto per coprire Daniel, un mio collega- -
se le cose stanno così, sono contenta che mi farei compagnia-
Andò a svuotare il vassoio ed uscimmo.
-sbaglio o fa più freddo di prima?- osservai.
-forse- Sorrisi cercando di coprirmi meglio con la sciarpa.
-non mi hai ancora detto cosa ci facevi nel mio parco la prima volta che ci siamo visti- dissi voltandomi verso Justin.
-stavo aspettando Daniel-
-nel sottoscala?-
-ci dovevamo vedere da lui, ma quando sono arrivato a casa sua non c’era nessuno. Così ho aspettato nel sottoscale finché non mi ha chiamato e mi ha detto che ci vedevamo a lavoro-
Ora era tutto più chiaro.
La telefonata che aveva ricevuto quella sera era da parte di Daniel.
-allora questo Daniel è il tuo migliore amico?-
-no, niente affatto. È solo il mio collega di lavoro-
-e il migliore amico come si chiama?-
-non ho un migliore amico. Dove vivevo prima avevo degli amici. Avere un migliore amico è una cosa da ragazze-
-dove vivevi prima? Non sei di Milano?-
-no, sono venuto qui per studiare. Per adesso sto a casa di mio zio. I miei genitori vivono a Venezia.-
-Adoro Venezia. È una città così romantica-
-è davvero molto bella-
-da quanto tempo sei qui a Milano?-
-da Agosto. Sono sei mesi-
-non deve essere bello vivere lontano dalla tua famiglia-
-mi manca. L’ultima volta che l’ho visti è stato a Natale-
-immagino. Io non potrei mai stare lontana dalla mia famiglia-
Gli feci segno di girare. Eravamo arrivati fuori la scuola di mio fratello.
-tra cinque minuti dovrebbero uscire- dissi
-è questa la scuola?-
-si. Anche io ho fatto le elementari qui-
Justin si guardò attorno per poi dire:
-lì c’è una panchina. Se ci sediamo mentre aspettiamo?-
-certo. non so perché ma oggi sono stanca-
Justin sorrise.
Rimanemmo sulla panchina ad aspettare l’uscita di mio fratello.
Sentimmo suonare la campanella e i bambini uscirono insieme alle loro maestre.
-riesci a vedere tuo fratello?- mi chiese Justin.
-no, non lo vedo..aspetta eccola là-
-chi è?-
-quello con la maglietta gialla e lo zainetto dei gormiti- gli indicai la direzione con il braccio.
-si, lo vedo-
- Chris - dissi con un tono di voce alto.
Appena mi vide sorrise e mi corse incontro abbracciandomi.
- Adele!-
-Ehi. Com’è andata oggi?-
-bene. La maestra mi ha chiesto la tabellina dell’otto e mi ha messo dieci- disse saltellando.
-bravo. Mamma sarà molto contenta-
Chris iniziò a tirarmi un lembo della maglia e mi disse:
- Adele, chi è questo ragazzo?- indicò Justin.
-ciao campione. Io sono Justin, un amico di tua sorella- rispose abbassandosi all’altezza di Chris.
-va bene- rispose il mio fratellino sorridendo.
-che ne dici se ti porto lo zaino. Deve essere pesante- si offrì Justin.
-certo. sono proprio stanco oggi. Ho studiato troppo-. Rispose Chris.
Io e Justin ridemmo.
Mio fratello sapeva sempre sbalordirmi con i suoi discorsi da piccolo ometto.
Ci incamminammo verso casa mentre Justin e Chris parlavano di calcio e video giochi.
Ero contenta di vedere mio fratello così sorridente e felice.
Arrivammo fuori il parco e Chris esordì:
- Justin vuoi entrare? Ti vorrei far vedere la mia collezione di macchinine e i giochi per l’x-box-
-ora devo tornare a casa Chris. Però prometto di passare la prossima volta- rispose Justin.
Si abbassò ed abbracciò il bambino.
Si rimise in piedi e mi guardò.
Come ci saremmo salutati. L’avrei dovuto abbracciare o dirgli semplicemente ciao.
Si avvicinò e mi baciò la guancia.
Sentii un fuoco divampare all’interno del mio corpo e le mie guance fare posto al rossore.
Si scostò quasi subito dicendo:
-ciao Adele. A domani-
Non dissi nulla, rientrai in casa.
Solo quando ripensai alla mia giornata mi resi conto di quello che aveva detto.
A domani.

Salve
che dire, spero che il capitolo vi sia piaciuto.
E' un pò più lungo rispetto ai primi capitoli e ci sono più dialoghi.
Cercherò di aggiornare il più velocemente possibile.
Sarei felicissimissima (?) di ricevere delle recensioni.
Un bacio e al prossimo capitolo. Almeno lo spero lol
Ringrazio tutte quelle che seguono la storia e che recensiscono.
Vi voglio bene sdfgh

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Capitolo 6
*** Come un angelo ***





Martedì.

07:50.

Via Giustiniano.


Ero fuori scuola con Sarah ed Elise.
Charly aveva la febbre e non sarebbe venuta a scuola.
Tra dieci minuti iniziavano le lezioni.
Le mie amiche parlavano e scherzavano, ma io facevo finta di ridere con loro.
Pensavo solo alle sue parole.
A domani.
Cosa avrebbe voluto mai dire. Ma cosa più importante, oggi lo avrei rivisto?
Non potevo permettere che quel ragazzo facesse quello strano effetto su di me. Non potevo permettermi distrazioni.
- Adele tu che ne dici?-. Disse Elise.
- Cosa? Ah si per me va bene -. Risposi anche se non avevo la più pallida idea di cosa stessero dicendo.
- Cosa hai oggi? Sembri così strana. È successo qualcosa?-. Si preoccupò Sarah.
- Niente. Sarà un po’ di stanchezza, non vi preoccupate-. Risposi prendendo lo zaino che avevo posato sul muretto. – Ora è meglio che vada. Le lezioni inizieranno tra poco-. Le abbracciai e mi incamminai.
Stavo per entrare quando qualcuno mi affiancò.
Mi voltai e vidi Justin.
Cosa ci faceva nella mia scuola? Perché era lì? Era la risposta a quel “a domani”?
- Cosa ci fai qui? -. Chiesi
- Se ti dicessi che una moto è parcheggiata dietro il cortile della scuola e che nel mio zaino ci sono due panini, cosa mi diresti? -
- Che sei pazzo -
- Dai. Facciamo un giro e mi fai vedere la città. Ti ricordo che sono nuovo e non ho visto nulla di Milano che non sia il Pandemonium -
- Non giocare sporco Bieber. Oggi ho scuola è non la posso marinarla -
- Non dirmi che non l’hai mai fatto in vita tua? -
- Ti sorprenderò ma no -
- Perfetto. È il momento adatto per iniziare -
- Non dire stupidaggini, magari ci vediamo oggi pomeriggio -
- Ma oggi lavoro. Guarda che bella giornata, non fa nemmeno freddo. Sarebbe sprecato trascorrerla in un’aula buia -
Aveva ragione. Avrei voluto andare con lui e passeggiare per le strade di Milano.
- Va bene. però si fa a modo mio -. Risposi.
- E come sarebbe? -
- Non voglio marinare la scuola senza dirlo a mia madre. La chiamerò e le dirò che non mi sono sentita bene -
- Va bene. Fai come vuoi -
Presi il telefono e composi il numero di mia madre.
- Pronto?-
- Mamma sono Adele -
- Oh ciao tesoro. Va tutto bene?-
- Si, ma non mi sento molto bene. Oggi potrei rimanere a casa? -
- Cosa ti senti? Stamattina sembrava che stessi bene -
- Si, ma mentre venivo a scuola mi è venuto un forte mal di pancia. Preferirei tornare a casa -
- Oh tesero, se è così allora torna a casa. Oggi farò il possibile per tornare prima da lavoro -
- Grazie mamma -
- Adele vai a casa e riposati. Magari preparati una camomilla -
- Lo farò -
- E se il dolore aumenta, chiamami e ti dico cosa devi prendere. D’accordo? -
- Si mamma. Adesso devo posare, sta arrivando l’autobus -
- Va bene tesoro. Dopo chiamami, non farmi stare in pensiero -
- Ti chiamo, non ti preoccupare. Ciao mamma -
- A dopo Adele -
Riattaccai e posai il telefono.
- Stava arrivando l’autobus eh?-. Chiese Justin con occhi furbi.
- Guarda che è colpa tua se ho mentito a mia madre. Ecco adesso mi sento anche in colpa. Contento? -
- Dopo la bella giornata che passerai, ti renderai conto che sarà valsa la pena dire una piccola bugia -
- Non farmene pentire -
Ci incamminammo sul retro della scuola.
- Mai stata in moto? -. Mi chiese Justin.
- Mai -
- Allora tieniti forte -. Disse porgendomi il casco.
- Come si mette?-
- Dai a me. Faccio io-. Mi poggiò il casco sulla nuca e lo allacciò sfiorandomi il mento. Aveva le mani calde ed il tocco delicato.
Alzò il capo ed i nostri sguardi si incontrarono. Vidi meglio i suoi occhi.
Sembrava che cambiassero tonalità ogni giorno.
Erano di un marroncino molto chiaro, sembravano d’ambra, puro oro con qualche striatura di verde.
La sua mano toccava ancora il mio mento e i nostri volti erano troppo vicini.
Mi schiarii la voce e Justin disse:
- Fatto. Ora è chiuso bene -
- Grazie -
Justin salì sulla moto.
- Tocca a te -. Disse facendomi segno di salire.
- Okay -
Salii e mi sistemai in equilibrio.
- Vai piano -. Dissi.
- Mantieniti -
- Dove? -
- A me -. Mi prese la mani e le appoggiò sui suoi fianchi.
- Tieniti stretta -
- Va bene -
E partì.
Il vento mi colpiva il volto mandandomi i capelli in bocca.
Quella mattina c’era il sole e non faceva molto freddo.
Era la giornata ideale per un giro in moto.
Mi strinsi maggiormente a Justin.
Quel giorno indossava una giacca di pelle nera e una t-shirt dello stesso colore.
A differenza degli altri giorni, non portava il jeans, ma un pantalone beige.
I capelli erano alzati senza l’aiuto della gelatina. Erano uguali alle altre volte che lo aveva visto. Sembravano immutabili e profumanti.
Al dire il vero erano molto profumati.
Non ero mai stata brava a distinguere i sapori, ma quelli sapevano di cocco e miele.
- Allora come va il tuo primo viaggio in moto? -. Mi chiese Justin risvegliandomi dai miei pensieri.
- Bene. Molto bene -
- Allora la prossima volta verrò con questa bambina -
La prossima volta? Questo ragazzo voleva tenermi sulle spine.
- La tua bambina? -
- Si, la mia Roberta. Mi accompagna in tutti i miei viaggi -
- Roberta? Hai dato un nome alla tua moto?-
- Certo. Voi ragazze date dei nomi alle vostre bambole e io li do alle mie moto -
- È una cosa inquietante -
- Parli così perché non hai ancora conosciuto Wendy -
- Wendy? Sarebbe la macchina? -
- Non dire cretinate. La macchina si chiama Rita. Wendy è mia cugina. Lei si che è inquietante, ha dato un nome anche al suo tostapane -
- Al tostapane? È una cosa di famiglia dare nomi agli oggetti? -
- Si. Direi che è una cosa di famiglia -
Ridemmo.
- Allora, dove andiamo? -. Chiese Justin.
- Non saprei -
- Di solito dove vai? -
- Al parco, con le mie amiche -
- Andremo al parco allora. Dov’è? -
- Alla prossima gira a destra -
- Ai suoi ordini -
Gli indicai la strada ed arrivammo a destinazione in meno di dieci minuti.
Parcheggiò la moto e ci addentrammo nella villa.
-Quando vieni qui cosa fai? -. Mi chiese Justin.
- Vengo con le mie amiche, ci stendiamo sull’erba e parliamo -
- Emozionante -. Disse ironicamente
- Invece è divertente sai. Non viene mai nessuno qui, stiamo solo noi. È un po’ come avere un grande giardino fuori casa -
Anche quel giorno non c’era nessuno, fatta eccezione per una bambina e sua nonna. Mi ricordavano il mio passato.
Ogni domenica, mio nonno mi portava sulle giostre di questa villa.
Mi faceva salire sull’altalena e io gli chiedevo di spingermi.
Gli dicevo che volevo toccare il cielo, che volevo diventare un angelo e lui mi spingeva sempre più forte.
Adesso lui è il mio sogno, ora è un angelo del paradiso. Ci guarda dall’alto e ci protegge.
La bambina disse alla nonna:
- Da grande voglio avere le ali. Grande ali bianche. Come quelle degli angeli -
- Amore mio, ma tu già sei un angelo. Sei il mio piccolo angelo -. Rispose l’anziana baciando la fronte della bimba.
Quel gesto racchiudeva così tanti ricordi.
L’infanzia era una cosa stupenda e nessuno aveva il diritto di togliertela.
Afferrai istintivamente il braccio di Justin e lo portai vicino all’altalena.
Mi sedetti su una di esse.
-Sai – iniziai a dire dandomi una leggera spinta con i piedi. – Quando ero piccola, venivo qui con mio nonno. Lui passava a prendermi a casa e insieme venivamo qui. Mi portava su tutte le giostre, ma io adoravo l’altalena. Era bella la sensazione di leggerezza che si provava. Era come se riuscissi a volare e toccare il cielo -
- Tutti i bambini adorano l’altalena -
- Io volevo diventare un angelo -. Risposi come se non avessi sentito la voce di Justin. - Ora lo è mio nonno. Lui è un angelo, il più bello. Sono sicura che in questo momento mi stia sentendo. Ti voglio bene nonnino -
Justin si mise dietro di me ed iniziò a spingere l’altalena.
- Vola. Chiudi gli occhi ed immagina di avere due grandi ali. Sbattile più che puoi e vola in cielo -
E lo feci.
Chiusi gli occhi ed aprii la mante.
Lo vidi.
Vidi mio nonno.
Non c’era niente di più bello dell’immaginazione.
Mi alzai dal dondolo e di avvicinai a Justin.
Mi gettai tra le sue braccia e sussurrai un ‘Grazie’.
Mi accarezzò i capelli.
Non saprei dire quanto tempo rimanemmo così.
Si allontanò da me e mi toccò una guancia.
-Va tutto bene -. Disse cercando di rassicurarmi.
Annuii e mi allontanai.
-Forse è meglio se mi accompagni a casa. Mia madre dovrebbe tornare prima -. Dissi.
- Ve bene -
Ci incamminammo verso la moto, ma questa volta feci scivolare la mia mano nulla sua.
Mi riaccompagnò a casa.
Ci salutammo con un gesto della mano ed un semplice ‘ciao’ quasi sussurrato.
Non c’erano stati baci d’addio o carezze.
Nulla di tutto ciò.
CHIARIMENTI SULLA STORIA
Come molte di voi hanno detto, questa storia è diversa dalle altre.
Lui non è un gangster, lei non è una suora di clausura (?)
Sono due giovani ragazzi attratti l'uno dall'altra.
Ma avrà anche un finale diverso dalle altre storie?
Questo lo potrete sapere solo leggendo la storia.
Questo capitolo è un pò corto, ma spero che vi sia piaciuto lo stesso.
Mi farebbe piacere ricevere delle recensioni e ringrazio tutte quello che hanno recensino gli scorsi capitoli.
Un bacio e alla prossima, spero (?)

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Capitolo 7
*** Romeo e Giulietta ***





Quando rientrai in casa non c’era nessuno.
Mi stesi sul divano ed accesi la tv.
Girai vari canali, ma non c’era nulla di particolarmente interessante.
Spensi la televisione e andai in cucina.
Presi il succo d’arancia dal frigo.
Lo stavo per versare nel bicchiere quando il telefono squillò.
Lo presi e lo portai all’orecchio:
- Pronto? -
- Tesoro, sono la mamma –
- Ciao mamma –
- Come stai? –
- Meglio. Tra quanto torni a casa? –
-Una decina di minuti. Già dovrei essere lì, ma c’è un po’ di traffico –
- Non ti preoccupare. Stavo per andare a riposarmi –
-Va bene tesoro. Ci vediamo tra poco –
- A dopo –
Posai il telefono, bevvi il succo ed andai in camera.
Mi stesi sul letto e mi addormentai.
I sogni che feci erano contrastanti e confusi.
C’erano fiamme e legna che bruciava finché non apparve un cielo limpido. Un grande prato fiorito e tanti uccellini in volo.
Poi di nuovo il fuoco.
Forse stava salendo la febbre.
Fui risvegliata dal rumore della porta che si apriva.
Vidi mia madre.
- Tesoro, c’è una visita per te –
- Chi è? –
- Un tuo compagno di scuola –
- Come si chiama? –
- Mi sembra che abbia detto di chiamarsi Justin –
Justin? Cosa ci faceva in casa mia?
Mia madre aprì maggiormente la porta in mondo da permettermi di vedere Justin.
Indossava gli stessi abiti della mattina ma con se aveva una busta.
-Ehi – esordì.
- Ciao – risposi timidamente.
- Io vado in cucina. Adele se hai bisogno chiamami –. Disse mia madre uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
- Che ci fai qui? –. Chiesi allarmandomi.
- Anche io sono così contento di vederti –. Disse con voce fastidiosamente dolce.
Si avvicinò al letto e si sedette ai suoi piedi.
– Volevo sapere come stavi. Ti avrei chiamata ma non ho il tuo numero. Così sono passato –. Disse con noncuranza.
Si era preoccupato. Era passato a casa mia per sapere come stavo.
Questi erano pensieri troppo dolci ed inadeguati da fare.
- Allora?-. Disse Justin.
- Allora cosa? -. Chiesi non capendo a cosa si riferisse.
- Come stai? –
- Bene se escludiamo il mal di testa, mal di gola e mal di pancia. Ah, quasi dimenticavo. Non ho mangiato nulla. –
- E secondo te questa busta a cosa serve? –
- Non lo so. Justin oggi non sono in vena di giochi a trabocchetti –
- Va bene -. Aprì la busta e ne tirò fuori una vaschetta di cartone marrone. – Venendo qui ho visto il Cup Cap’s e mi sono fermato a prendere delle ciambelle e due ice-cappuccini al caramello. Lo so, non è il massimo come pranzo ma sempre meglio di nulla. No? –
- Io adoro l’ice-cappuccino al caramello. -
- Allora cosa aspetti a berlo ?–
Presi il bicchiere di cartone tra le mani.
- Prendi quella sedia -. Dissi indicando la zona della stanza in cui c’era l’armadio.
Justin si alzò e la presa.
- Portala qui. Ci appoggiamo le cose-. Continuai.
- E io dove mi siedo? –
- Dove stavi prima. Vicino a me sul letto –
Iniziammo a mangiare le ciambelle.
-Come facevi a sapere che amo l’ice-cappuccino –. Chiesi.
- Non lo sapevo –
- Ma bene –
Ridemmo.
- Domani vai a scuola? -. Disse Justin.
- Si. Domani esco alle tre. Ho un progetto di giornalismo le ultime due ore –
- Ci vediamo il pomeriggio. Così mi fai vedere altri posti della città –
- Mi piacerebbe molto, ma devo studiare per il compito d’inglese –
- Capito –
- Il giovedì pomeriggio è perfetto per un giro in città –
- Devo lavorare tutto il giorno –
- Alla fine Milano non è niente di che. La solita città. Non ti perdi nulla. -
La maniglia della porta si mosse.
La porta si aprì e tra ragazze entrarono.
Le mie migliori amiche.
- Adele tua mamma ci ha dett- Sarah si interruppe. – Ciao -. Disse guardando Justin.
- Ciao-. Rispose lui.
- Era da molto tempo che non vedevo tuo fratello, ma non credevo fosse cresciuto così tanto –. Osservò Charly. -
Lui non è mio fratello. È Justin, un mio amico –. Risposi.
- Va bene ragazze, forse per me è arrivato il momento di andare–.
Disse Justin alzandosi dal letto e avviandosi alla porta. - È stato un piacere fare la vostra conoscenza -.
E se ne andò.
-Adele chi era quel ragazzo? – chiese Elise.
- L’ho già detto, un amico –. Risposi
- E perché noi non lo abbiamo mai visto? -. Chiese Charly.
- Non lo conosco da molto tempo -. M i giustificai.
- Sembravate così amichevoli – disse Sarah.
- Ma cosa dici Sarah –. Risposi con voce stridula.
- Adele alle prese con la prima cotta –. Cantilenò Elise.
- Dai ragazze non fate così – Charly prese le mie difese. – A chi non piacerebbe un tipo così -. Come non detto, non stava affatto difendendomi.
- Non è il mio tipo -. Constatò Elise.
- Ma nemmeno il mio, però non si può dire che non abbia un bel visino –. Disse Sarah.
- Potremmo cambiare argomento? -. Chiesi.
- Come vuoi -. Acconsentì Charly.
- Perché siete venute? -. Chesi.
- Stamattina ti abbiamo vista fuori scuola, ma all’uscita non c’eri. Così siamo passate a casa tua-. Spiegò Elise.
- Non mi sono sentita molto bene e sono tornata a casa -.
Non avevo mai mentito alle mie amiche e non mi piace farlo.
Quel ragazzo stava stravolgendo la mia vita senza che me ne rendessi conto.
Le tre fecero un cenno di consenso con il capo.
-Ragazze forse è meglio se andiamo –. Disse Sarah.
- Già. Domani la prof di italiano mi interroga e devo studiare -. Continuò Elise.
- Vengo anche io con voi –. Acconsentì Charly.
Si avvicinarono alla porta per andarsene ed Elise disse: -L prossima volta ci racconterai tutto di quel ragazzo. Non te la caverai così -.
Ed uscirono.
Domani sarebbero iniziate le domande, ma cosa avrei potuto dirle; che lo avevo incontrato per puro caso e che con noi c’era sempre la pioggia. Che mi ha dato la sua felpa e per questo ci siamo rivisti.
Che quella mattina non ero andata a scuola per fare un giro in moto con lui.
Quel ragazzo non faceva decisamente per me.
Da quando lo conoscevo avevo fatto cose che non avrei mai potuto pensare di compiere.
Sentii un rumore simile alla rottura di un vetro.
Forse Chris aveva di nuovo rotto una lampada giocando con la palla.
Il rumore si ripeté.
Però questa volta vidi qualcosa di nero colpire la finestra.
Un sasso.
Un sasso gettato contro la finestra.
Mi avvicinai e la aprii.
Mi affacciai e dissi:
-Mi dispiace dirti che non sei originale. Romeo ho già avuto questa idea –
- Oh mia Adele, se io non sono originale tu tendi a dimenticare le cose -. Rispose Justin.
- E cosa avrei dimenticato sentiamo –
- La cosa per cui sono venuto fin qua –
- E sarebbe? –
- Il tuo numero di telefono –
- Sono quasi sicura che Romeo quel giorno non abbia chiesto a Giulietta il suo numero di telefono –
- Ma noi non siamo Romeo e Giulietta. Noi siamo Justin e Adele –
- Adele e Justin se mai –
- Come vuole signorina -. Disse facendo un inchino.
- Questa versione di Romeo non mi dispiace poi così tanto sai? –
- Io sono la sua versione remixata –
- E io chi sarei? –
- Una versione peggiore di Giulietta –
- Ti do un altro tentativo –
- Mi vorresti far restare tutto il pomeriggio sotto il tuo balcone? –
-Giulietta ha fatto –
- Ma tu non sei Giulietta –
- Proprio per questo adesso rientro in casa –
- Ma non mi hai dato ancora il numero –
- E se non te lo volessi dare? –
- Canterò sotto questo balcone per tutta la sera –
- Una visione abbastanza inquietante –
- Ancora di più di Wendy e il suo tostapane? –
- Alla pari –
- Adele,scendi. Tuo fratello ha bisogno d'aiuto con i compiti -. Si sentì la voce urlante di mia madre.
- È meglio se vai Justin –. Dissi.
Mi avvicinai alla scrivania, scrissi il numero e glielo lanciai.
– Questo è quello che volevi -.
Mi tirai indietro e richiusi la finestra.
- Ora scendo mamma -. Urlai in modo che la mia voce si sentisse anche la piano di sotto.
Aiutai Chris con i suoi problemi di matematica e feci i miei.
Senza che me rendessi conto la notte era calata e le lancette dell'orologio segnavano le dieci e mezza di sera.
Mi stesi nel letto pronta per andare a dormire quando il mio telefono squillò.
Era un messaggio.
Da parte di Charly.

Notte A.
Domani voglio tutti i dettegli di come vi siete conosciuti tu e il magico biondo.
C.


Da Adele
A Charly

Magico biondo? Dimmi che ho letto male e che ho urgente bisogno di un paio di occhiali.
A.


Da Charly
A Adele

Hai letto benissimo mia cara.
È biondo ed ha qualcosa di magico nello sguardo.
Di conseguenza il suo soprannome è magico biondo.
C.


Da Adele
A Charly

Se lo dici tu C. mi fido.
Ora vado a dormire. Domani è una lunga giornata.
A.


Posai il telefono sul comodino.
Dopo qualche minuto sentii il tipico rumore che fanno i cellulari quando è arrivato un messaggio.
Lo presi e lessi.

Se stai leggendo questo messaggio sappi che non dovresti.
Domani hai scuola e a quest’ora dovresti dormire invece di leggere le stupidaggini che scrivo.
Ad ogni modo, questo è il mio numero.
Salvalo.
Buonanotte Adele.
Justin.


Un sorriso spuntò sul mio viso.
Anche i suoi messaggi erano diversi.

Salvai il numero e posai il telefono sul comodino.
Mi addormentai pensando alla buonanotte di Justin.




ED ECCO LA NOSTA ADELE!


SALVE

Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Mi scuso per il ritardo, ma in questi giorni non ho avuto il tempo per scrivere.
Il capitolo non è molto lungo, ma ho preferito aggiornare con un capitolo un pò più corto che non aggiornare affatto lol
Ringrazio tutte quelle che seguono la storia e che recensiscono.
Mi sembra inutile dire che mi farebbe tanto tanto tanto tanto tanto piacere ricevere delle recensioni.
Un bacio e spero di mettere presto il prossimo capitolo sdfghj

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Capitolo 8
*** Agente 007 ***





Mi piacerebbe dire che i giorni successivi trascorsero velocemente, ma non fu così.
Uscivo di casa solo per andare a scuola.
Quando tornavo studiavo e andavo a dormire.
Tutti i giorni erano così.
Justin? Non lo rividi.
Ci sentivamo solo la sera tramite messaggi.
Ci raccontavamo la giornata e ci auguravamo la buonanotte.

Quel giorno era sabato e tra qualche ora sarei andata al Pandemonium.
Già, proprio dove lavorava Justin.
Mi sarei dovuta vestire ed uscire.
Il problema era: cosa indossavo?
Ammetto che volevo sembrare carina. Volevo piacergli.

Aprii l'armadio e presi un paio di calzamaglie nere.
Infilai un vestitino dello stesso colore di panno che cadeva dritto e non seguiva le forme del corpo.
Ai piedi avevo un paio di stivaletti neri con la base di gomma e senza tacco.
Odiavo i tacchi e non li avrei mai messi.
Andai in bagno. Mi pettinai e presi il borsello in cui erano riposti i trucchi di mia madre.
Cercai il lucido rosa chiaro e lo misi sulle labbra per poi passare il mascare sulle ciglia lunghe.
Presi il cappotto grigio, la mega borsa da studentessa nera e la mia fidata sciarpa nera.

Quella sera i miei non c’erano.
Erano a casa di amici per la solita partita a carte del sabato sera.
Aprii la porta, uscii e la richiusi alle mie spalle.
Il gelido vento di Febbraio mi travolse in pieno volto.
Camminai per le strade affollate di Milano.
Non mi fermai finché non vidi l’insegna luminosa del Pandemonium.
Entrai e il calore del locare mi avvolse insieme all’odore di fumo.
Uno dei motivi per cui non amavo le discoteche era quello: odiavo il tabacco.
Mi avvicinai al bar e subito vidi Justin.
Gli sorrisi.
-Se venuta veramente – Mi salutò lui.
- E cosa credevi –
- Che non saresti venuta –
- Se non ti fa piacere che sia qui posso benissimo andarmene –
- Un gin tonic, grazie –. Disse un ragazzo dall’altra parte del bancone.
- Arriva subito -. Rispose Justin.
L’osservai mentre preparava la bibita.
Mentre prendeva la bottiglia e l’agitava.
Mentre versava il liquido nel bicchiere.
Mentre tagliava le fettine di limone e le metteva sul bicchiere come decorazione.
Osservavo ogni suo minimo movimento.
Mentre scuoteva il capo per scostarsi il ciuffo biondo che era caduto sul viso.
Osservai il movimento del braccio e ogni cosa sulla quale i suoi occhi si posavano.
Ogni cosa che lui vedeva.
E osservavo me.

Non avevo mai avuto pensieri di questo tipo. Che Sarah avesse ragione? Mi piaceva il magico biondo come lo chiamava Charly?
-Ecco a te –. Disse Justin servendo il ragazzo che successivamente prese il bicchiere e se ne andò.
La serata passò così; osservavo Justin in ogni suo minimo movimento.
Ogni tanto ci scambiavamo qualche parolina accompagnata da una risata.
Mi riaccompagnò a casa e ci salutammo con un bacio sulla guancia.

Anche la settimana successiva passò allo stesso modo e anche quelle dopo.
Fino alla fine di Febbraio.
Durante la settimana ci sentivamo sempre più spesso.
Tra messaggi e telefonate era come se fossimo insieme.
Il sabato sera andavo al Pandemonium e lo vedevo.
Una di quelle sere conobbi anche Daniel, l’amico e collega di Justin.
Era molto simpatico ed affettuoso.
Certe volte c’era anche la sua fidanzata, Judy, e io avevo l’opportunità di parlare con qualcuno che non avesse il nome di Justin o di Daniel. Quella sera era l’ultimo sabato di Febbraio e mancavano solo tre giorni al primo di Marzo, il giorno del compleanno di Justin.
-Daniel tra un po’ è il compleanno di Justin -. Dissi.
- Lo so. Ne stavo parlando appunto stamattina con Judy, lei aveva pensata ad organizzargli una festa –
- Ne ha parlato anche a me, ma Justin ha detto esplicitamente che non vuole feste –
- Il solito rompiscatole. Chi lo avrebbe mai detto che ad un tipo così non piacevano le feste –
- Già-
- Tu cosa volevi fargli? –
- Non lo so. Ultimamente dice spesso che gli manca la sua famiglia. Avevo pensato di farla venire qui a Milano –
- E se mandiamo lui a Venezia?-
- Questa è una buona idea!-
- Allora dico a Judy che gli regaliamo due biglietti per Venezia –
- Due? Perché due? –
- Tu andrai insieme a lui. Da solo non partirà mai –
Mi sarebbe piaciuto molto passare qualche giorno insieme a lui a Venezia.
Ma il problema era: come lo dicevo ai miei?
-Ne sarei molto felice, ma non credo che i miei genitori mi facciano venire-
- Non ci avevo pensato –
- Ed ecco come si complicano le cose –
- E se gli presenti Justin -
- Pessima idea –
- E se andate dalla mattina alla sera. Ai tuoi dici che stai a casa di un’amica e torni verso le otto di sera? –
- Si potrebbe fare. Venezia non dista molto in treno –
- Andate a casa dei genitori di Justin, li salutate e poi tornate –
- E per sera sto a casa –
- Esatto –
- E se qualcosa va storto? Non posso mentire ai miei –
- È un piano a prova di bomba, nulla andrà male –

E fu così che il giorno dopo comprammo i biglietti del treno diretti alla città natale di Justin.
La mattina del primo Marzo Justin sarebbe passato a prendermi e saremmo andati al parco per festeggiare il compleanno.
Ma lui non sapeva che Daniel e Judy ci avrebbero accompagnai alla stazione.

Daniel mi procurò il numero di telefono di casa di Justin.
Parlai con la madre che a quanto sembrava si chiamava Pattie.
Le dissi di essere un’amica di suo figlio e le spiegai l’idea.
La madre subito si mostrò entusiasta.
I miei sarebbero andati a lavoro alle sette e mezza e tornavano verso le otto e mezza.

Il piano era organizzato nei minimi dettagli.
Speravo che andasse tutto bene.
Quel giorno mi sarei sentita molto James Bond in Agente 007.
Anzi nel mio caso sarebbe stato Adele Lower in Buon compleanno Justin 1 Marzo 2013


 DANIEL:



DANIEL E JUDY



CHRIS





SALVE!

Vi piace il banner?
L'ha fatto una mia amica. L' adoro asdfgh
Passando alla storia.
Questa capitolo è una merda, lo so.
Però è importante per il capitolo succesivo in cui succederanno molte cose, tra cui una molto 'interessante' asdfghj
So anche che è molto corto, ma mi farò perdonare con il prossimo. PROMESSO.
Spero che recensirete la storia e che continuerete a seguirla.
Ringrazio tutte le raggazze che hanno recensito c:
Un bacio grande quanto l'America e alla prossima asdfghj

P.s. nel precedente capitolo c'è la foto della nostra Adele c;

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Capitolo 9
*** Buon Compleanno Justin ***




1° Marzo.

Justin

Mattina


Le lancette dell’orologio segnavano le sette del mattino.
Justin sarebbe passato alle otto.
Avevo un’ ora per prepararmi.
Corsi in bagno a farmi la doccia e lavare i capelli.
Lasciai che l’acqua mi cadesse sul corpo bagnandomi e massaggiandomi.
Quello era sempre stato un momento di riflessione e meditazione in cui sviluppavo il pensiero.
Quel giorno ero il ventesimo compleanno di Justin.
Saremmo andati a trovare i suoi genitori a Venezia.
Uscii dalla doccia e mi avvolsi in un asciugamano.
Asciugai i capelli lasciando che si formassero delle onde.
Andai in camera ed aprii l’armadio.
Presi il vestitino beige con le bretelle e dei piccoli fiorellini rossi ed una felpa rossa.
Per le scarpe optai per una paio di converse basse rosse.
Quella mattina non mi truccai, volevo essere al naturale.
Controllai l’ora e vidi che erano le otto meno dieci.
Presi la borsa ed uscii di casa aspettando Justin fuori.
Dopo una quindicina di minuti vidi una Range Rover nera accostare vicino al vile di casa mia.
Era la macchina di Justin.
Lo sportello si aprì e ne uscì un ragazzo dai capelli biondi alzati in una cresta. Con un paio di jeans scuri ed una t-shirt rossa e una camicia aperta a scacchi bianca, rossa e blu. Al piedi aveva un paio di vans rosse.
-Ehi, sei bellissima -. Esordì venendomi incontro e abbracciandomi.
- Anche tu non sei niente male –
- Mi sono tirato a lucido –
Risi.
-Tanti auguri Justin. Da oggi sei un ventenne –
- Grazie. Mi sto facendo vecchio, già vent’anni –
- Oggi si torna a casa presto, l’anziano deve riposare -. Dissi salendo in macchina.
- Dopo ti faccio vedere io l’anziano cosa combina -. Rispose mettendo in moto l’auto.
- E cosa vorresti fare? –
- Dopo lo scoprirai –
Risi.
-Daniel e Judy già dovrebbero essere al parco -. Dissi cambiando discorso.
- Judy mi ha mandato un messaggio dieci minuti fa e mi ha detto che erano già arrivati –
- Manchiamo solo noi. Aspetta hai detto Judy? –
- Si, perché sei gelosa? –
-E perché mai. Mica siamo fidanzati –
- Infatti, perché dovresti –
Sorrisi.
-Non vedo nessuna busta con te –. Osservò Justin.
- Tranquillo. Il mio regalo ce l’ha Daniel –
- Allora mi hai fatto il regalo –
- Certo. Un compleanno senza regalo non è un compleanno –
- Hai ragione –
Arrivammo al parco e Justin parcheggiò l’auto.
Ci avviammo all’interno della villa comunale.
Su una panchina erano seduti Daniel e Judy che si baciavano.
Ci avvicinammo e Justin tossì dicendo: - Buongiorno!-
I due innamorati si separarono e Daniel si schiarì la voce.
-Ehi, auguri amico-
- Buon compleanno Justin –. Si unì Judy.
- Grazie. E il mio regalo? –. Rispose Justin.
- Ma come sei curioso -. Dissi.
- Adele è il momento di dirglielo altrimenti faremo tardi-. Rispose Daniel.
- Vorrà dire che parleremo in macchina -. Dissi rivolgendomi a Daniel.
- Dirmi cosa?-. Chiese Justin.
- Su andiamo-. Concluse Daniel.
Ci avviammo alla macchina di Daniel. Lui e Judy si sedettero d’avanti, mentre io e Justin nei posti anteriori.
-Allora? Dove stiamo andando? -. Incalzò Justin.
-Abbiamo preso la macchina perché al tuo regalo ci devi arrivare-. Spiego enigmaticamente Daniel.
- E questo cosa significherà mai?-. Protestò Justin voltandosi verso di me.
- Daniel dove li hai messi? -. Risposi incrociando lo sguardo del ragazzo attraverso lo specchietto.
- Stanno tutte e due nella borsa di Judy-. Disse.
- Allora sei anche tu complice di questo gioco?-. Disse Justin puntando il dito contro Judy.
- E bene si-. Rispose la mora.
- E i miei alleati dove sono?-. Continuò Justin guardandosi attorno con fare teatrale.
- Su non fare tante lamentele. Si adulto e aspetta –. Risposi.
- Come vuole Giulietta-
- Giulietta? E chi sarebbe? -. Chiese scettico Daniel.
- Nulla. Guida tu che è meglio-. Rispose Justin.
Rimanemmo in silenzio per il resto del viaggio.
Da casa alla stazione ci volevano due ore di macchina.
All’improvviso ci fermammo.
- Ragazzi siamo arrivati o meglio siete arrivati-. Esordì Daniel.
- Adele spiegherai tutto a Justin in treno. Il vostro parte tra cinque minuti –. Disse Judy.
- Oddio, tra cinque minuti? -. Dissi per poi continuare. – Justin scendi da questa cazzo di macchina e muoviti. Corri.-
- Non dimenticatevi i biglietti -. Ci ricordò Judy
- E fate buon viaggio piccioncini -. Concluse Daniel.
- Guarda, non ti tiro qualcosa perché non c’è tempo-. Disse Justin.
- Ecco, muovi il culo Bieber-. Urlai.
- Vengo, vengo -. Rispose.
Corremmo per tutto la stazione cercando il nostro binario.
Soltanto quando ci fummo seduti, tirai un sospiro di sollievo.
-Allora ora puoi spiegarmi tutto?-. Chiese Justin.
- Certo. È molto semplice. Stiamo andando a Venezia -
- Che cosa? Dove stiamo andando noi? –
- A Venezia, a trovare i tuoi. Ho già parlato con tua madre?-
- Cosa hai fatto tu? E con chi avresti parlato? –
- Con tua madre –
- Questo l’ avevo capito –
- Noi pensavamo che ti avrebbe fatto piacere rivedere la tua famiglia -
- Infatti è così, è solo che sono rimasto… spiazzato –
- Oh.. allora sei contento? –
- Certo. E così oggi conoscerai i miei genitori –
- Non mi ci far pensare, già mi tremano le gambe –
- Non sono così male escludendo Wendy –
- E come dimenticarsi dell’amata cuginetta –
- Già-
Tra una chiacchiera e un’altra il viaggio passò.
Justin mi parlò della sua famiglia, soprattutto dei suoi due fratellini, Jaxon e Jazmine.
Mi disse che quando era molto piccolo i suoi genitori si separarono, ma che aveva mantenuto i rapporti col padre.
Mi raccontò di quando aveva vinto la sua prima partita ad hockey.
Mi raccontò un po’ di se.

Quando arrivammo e il treno si fermò, scendemmo e ci incamminammo al di fuori della stazione.
Prendemmo un autobus e scendemmo alla settima fermata.
Entrammo in un vicoletto. Era molto stretto e fatto di pietra grigia.
Alla fine c’era un’antica casa dipinta con le tonalità del giallo. Justin la indicò dicendo:- Quella è casa mia, dove sono cresciuto –
- È così maestosa ed imponente. È stupenda -.
Justin mi rivolse uno dei sorrisi più dolci e premurosi che avessi mai visto.
-Che aspettiamo ad entrare? -. Disse il festeggiato.
Tirai un sospiro.
-Andiamo –
Mi prese la mano e salimmo le scale che ci condussero fuori la porta di casa sua.
Bussò il campanello.
Ci venne ad aprire una giovane donna mora.
Non era molto alta ma aveva due occhi splendidi.
Portava un semplice pantalone nero con una maglietta azzurra ed il tipico grembiule da cucina.
Aveva le mani poco curate, le tipiche mani delle mamma.
Quella doveva essere Pattie, la madre di Justin.
-Figlio mio -. Disse la donna con una voce estremamente rilassante e rotta dal pianto.
Andò incontrò al ragazzo di fianco a me e lo abbracciò.
Lo avvolse in un turbine di emozioni: di sollievo, di amore, di dolcezza, di protezione.
L’aggettivo ‘protettivo’ era il più adatto per Pattie.
- Figlio mio come stai? Ti vedo sciupato-.
- Sto bene mamma, mai stato meglio –
- Sono contenta amore. Entrate in casa non state li impalati –
Io e Justin entrammo in casa.
-Justin io ti ho insegnato l’educazione perché non ne fai mai buon uso. Presentaci la tua graziosa amica-
-Tua madre voleva dire che lei ed io ti abbiamo imparato l’educazione - . Disse un uomo molto alto e muscoloso.
Doveva essere il padre di Justin. Il signor Bieber.
-Certo Jeremy, come vuoi-. Lo liquidò velocemente Pattie.
- Mamma, papà lei è Adele, una mia amica-. Disse Justin rispondendo alla domanda della madre.
- Piacere-. Dissi porgendo la mano ai due genitori davanti a me.
- In casa Bieber non ci stringiamo le mani, noi ci abbracciamo-. Disse Jeremy.
- Non fare il Don Giovanni figliolo. Lascia questo compito a Justin -. Disse un’anziana signora.
Aveva i capelli corti e tutti bianchi.
Nonostante il clima primaverile di Marzo portava uno scialle di lana azzurra.
- Nonna-. Urlò Justin andandole incontro e abbracciandola.
- Le mamme sono sempre le solite -. Farfugliò Jeremy.
- E Jazmine e Jaxon dove sono?-. Chiese Justin.
- Sono nella tua vecchia camera a giocare con Wendy -. Rispose Pattie.
La porta di casa si apri e ne spuntarono due uomini sulla trentina.
Erano entrambi molto curati, alti e mori.
-Raphael, Stephan-. Urlò di nuovo Justin abbracciandoli.– Mi siete mancati. I miei zii preferiti-. Continuò.
Un rumore di passi si sentì. Non erano dei normali passi, era una corsa.
Mi girai e vidi tre bambini correre incontro a Justin per poi saltargli addosso.
-Mi sei mancato fratellone-. Disse un bambini biondo.
-Anche a me, anche a me-. Continuò una bambina dai capelli biondo scuro.
La terza bambina tirava il pantalone di Justin e disse indicandomi: -Chi è quella?-
- Quella è Adele, una mia amica-. Rispose Justin.
- Ce la presenti?-. Chiese la bimba imbraccio a Justin.
-Certo. Adele loro sono i miei fratellini: Jaxon -. Indicò il bambino biondo. – e Jazmine -. Indicò la bimba dai capelli biondo scuro. – e lei è Wandy, mia cugina-. Disse indicando la bambina che gli tirava i pantaloni.
Wandy, la Wandy del tostapane era una bambina?
Oh povera me.
-Bambini aiutate la zia Pattie ad apparecchiare-. Disse Jeremy.
- Se posso essere d’aiuto in cucina- ma la nonna non mi fece finire la frase dicendo: –Cara accompagnami a sedermi sul divano-.
-Vengo anche io con voi-. Disse Justin quando Jazmine e Jaxon andarono insieme al padre in cucina.
Ci accomodammo in salotto.
Io e la nonna su un divano, gli zii di Justin di fronte a noi ed il festeggiato sulla poltrona.
-Justin io e Stephan ti abbiamo portato un regalo dalla Spagna-. Disse Rapahel.
- Anche io ti ho fatto qualcosa tesoro-. Continuò la nonna.
-Oh nonna non dovevi-. Rispose Justin. -
Certo che dovevo, è il tuo compleanno.- Prese una busta ai piedi del divano a la diede al nipote che la aprì.
All’interno c’era un maglione beige di lana fatto a mano.
Glielo aveva fatto la nonna.
-Grazie nonna-. Disse Justin alzandosi e andandola ad abbracciare.
-Ed ora il nostro. Tesoro lo vai a prendere tu?-. Disse gentilmente Raphael a Stepahn.
Stavano insieme.
Gli zii di Justin erano fidanzati.
Stephan entrò nella stanza con in mano una chitarra. Justin saltò giù dalla sedia.
-Ditemi che non è vero. Non mi avete veramente comprato una chitarra-
- Certo che te la abbiamo comprata-. Rispose Raphael.
Stephan diede la chitarra a Justin che iniziò ad accarezzarla e a toccarla come se fosse la cosa più preziosa al mondo.
Iniziò a strimpellare qualche note fino a quando non si sentì la voce di Pattie che disse:
-Ragazzi è pronto. Venite a tavola -.


Salve
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Questo è solo la prima parte del capitolo dedicato al compleanno Justin.
Nei prossimi giorni sarò inpegnata con la scuola.
Non sapendo tra quanto avrei potuto pubblicare il capitolo intero, ho deciso di pubblicarne una parte.
Spero che continuerete a seguire la storia e a recensirla.
Ringrazio tutte le ragazze che già lo fanno lol
Un bacione e al prossimo capitolo.
p.s. in questa parte Justin e Adele non sono stati molto tempo da soli, ma il resto del capitolo sarà dedicato tutto a loro due c:

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Capitolo 10
*** Mi sento libera. ***



Quella era stato di sicuro il pranzo più lungo e più bello della mia vita.
Non avevo mai riso così tanto.
Gli zii di Justin erano esilaranti, non riuscivano ad essere seri, scherzavano sempre.
Anche l’umorismo di Jeremy faceva compagnia a quello di Stephan e Raphael.
Ma c’era Pattie che con l’autorità di una madre di famiglia riportava l’ordine.
Charlotte, la nonna di Justin, era molto dolce e non perdeva occasione per giocare con i suoi nipotini.
Jaxon, Jazmine e la dolce Wendy adoravano la loro nonna, volevano sempre stare tra le sue braccia e farsi raccontare delle storie dell’amorevole anziana.
Erano le cinque del pomeriggio e alle sei avremo dovuto prendere il treno per tornare a Milano.
Pattie rivolgendosi a Jeremy disse:
-Mio caro, abbiamo fatto proprio un cattivo lavoro con nostro figlio, non ha portato nemmeno Adele a fare un giro per Venezia. E’ una così bella città.-
-Justin un Bieber non si comporta così-. Rispose Jeremy puntando il dito contro il figlio con fare teatrale.
- Figliolo tu si che facevi fare i giri alle tue ragazze. Facevano molti giri-. Disse Charlotte con fare malizioso.
- Okay, okay. Ho capito- Ribattè Justin alzando le mani.
Guardò l’ora sull’orologio che aveva sul polso.
–Sono le cinque. È ora di andare-.
- A che ora avete il treno?-. Chiese Pattie.
- Alle sei mamma-.
Pattie annuì con la testa.
-Dai Adele saluta tutti e andiamo. Ti porto anche a fare una piccola passeggiata per Venezia-. Disse Justin guardando la madre.
- Questo è mio nipote-. Disse Raphael.
Mi alzai dalla sedia e salutai con forti abbracci e baci sulla guancia tutti i parenti di Justin.
I fratellini di Justin non volevano che se ne andasse ma lui aveva promesso che sarebbe tornato molto presto. Si erano stretti il mignolo promettendoselo.
Jazmine aveva detto che se aveva dato il suo mignolino non si poteva tirare in dietro.
Justin salutò tutti e sui loro volti si leggeva la tristezza che l’addio lasciava sempre.
Quello però era un arrivederci, lo sapevano tutti.
Potevano solo sperare in quel ‘a presto’ che non si sa mai quando avverrà.
Solo il tempo può avverare i nostri desideri.

Scendemmo le scale del palazzo ad arrivammo il quel vicoletto che stamattina tanto mi aveva affascinata.
I muri erano ricoperti di antichi mattoncini grigi adornati da qualche piccola finestra in legno.
Il vocoletto era molto stretto, sembrava quasi che le due pareti si toccassero.
Usciti dal vicoletto ci avviammo sul corso.
Venezia non era molto affollata, almeno non quanto Milano.
C’erano tanti bambini che giocavano insieme e si divertivano a fare a turno per salire sulle giostre.
Le madri di quei bimbi erano sedute su una panchina e conversavano.
Forse parlavano dei loro figli o su quale ricetta fosse la migliore.
Fui riportata alla realtà dalla stretta di Justin.
-Andiamo via da qui, c’è troppa gente-. Disse.
- Come vuoi-. Risposi.
- Mai stata in gondola?-
- Mai, non sono mai venuta a Venezia –
- Le orecchie di un veneziano non possono sentire quest’eresia. Dobbiamo rimediare –
- Ti ricordo che tra un’ora abbiamo il treno –
- Un giro in gondola e poi andiamo alla stazione-
- Va bene –
Mi prese per mano e mi trascino lontano da quel posto.
Camminammo lungo il corso, percorremmo una lunga strada in discesa.
Riuscivo quasi a scorgere l’azzurro scuro di un fiumiciattolo.
Restammo in silenzio finche non arrivammo a destinazione, ma quel silenzio non mi dispiaceva.
Potei pensare a tutto quello che era accaduto quel giorno e nell’ultimo periodo della mia vita.
Oggi avevo conosciuto la famiglia di Justin mentendo alla mia.
Mi sentivo in colpa, non avevo mai fatto una cosa del genere.
Ero partita all’insaputa di tutti e di tutto.
Questo non mi rendeva una bella persona.
In me c’erano sentimenti conflittuali.
Da una parte mi sentivo in colpa per i mie genitori, ma dall’altra non sarei potuta mai essere più felice di così. Quello era stato di sicuro uno dei giorni più belli della mia vita.
Da quando conoscevo Justin tutto sembrava bello, anche la cosa più brutta con lui era speciale.
Persino fare i compiti di latino avrebbe avuto il suo fascino.
Per non parlare della morbidezza della sua pelle e delle sue mani.
Avrei voluto stare sempre mano nella mano con lui.
Passeggiare per le strade di Milano mano nella mano con lui.
Guardare un film stesi sul divano e con la mano nella sua mano.
Sarebbe stato bello accarezzargli quei morbidi capelli dorati e lasciare che le mie dita arricciassero quei ciuffetti ribelli che uscivano della sua perfetta acconciatura.
Mi stavo innamorando di Justin.
L’avevo ammesso a me stessa: mi ero innamorata del ragazzo della pioggia.
Ma lui cosa provava per me? Ricambiava?
No, sicuramente no.
-Ecco-
Sentii la sua voce dire a bassa voce.
-Questa è una gondola-.
Si allontanò di qualche passo da me e fece un leggero unchino.
– Mi concede questo onore Mademoiselle?-
- Certamente mia Romeo- . Risposi inchinandomi.
Mi porse il braccio e lo afferrai immediatamente.
Ci avvicinammo alla gondola e Justin parlò con chi ‘guidava’ la gondola.
-Cosa vi siete detti?-. Gli chiesi incuriosita.
- Gli ho detto dove dobbiamo andare, dove voglio che ti porti-
-oh..va bene-. Feci spallucce e salii sulla gondola.
Era molto piccola e rossa.
Aveva il bordo verde scuro e una piccola panchina sul davanti fatta con una trave di legno.
Ci sedemmo su di essa, mentre il ‘marinaio’ remava alle nostre spalle canticchiando le parole di una canzone italiana.

“ Non sono una persona esemplare,
Molte cose desidererei non aver mai fatto,
Ma continuo ad imparare”


-La conosco questa canzone-. Osservai ad alta voce.
- Lo so, l’ho vista nella tua playlist-. Rispose Justin tranquillamente.

“Non avrei mai voluto farti questo.
E quindi devo dirti prima di andare via
Che voglio solo che tu sappia che...”


-L’adoro. E’ così romantica-.
- Lo so, per questo ho voluto che cantasse questa canzone-. Ribatte Justin.
- Per questo? Volevi creare una situazione romantica?-.
- Venezia è o non è la città dell’amore?-.
- Già la città dell’amore..-. Che stupida.
Credevo davvero che lo avesse fatto per me.

“Ho trovato una ragione per me,
Per cambiare quello ero solito essere.
Una ragione per ricominciare di nuovo”


Il marinaio continuava a cantare mentre il sole calava davanti i nostri occhi.
Stavamo navigando in un fiume di Venezia su una gondola mentre la notte si preparava ad abbracciare la città dell’amore e la luna baciava i sogni dei veneziani.
Il sole sarebbe andato via e si sarebbe portato via quella splendida giornata.
Le stelle sarebbero arrivata dando il benvenuto ad una nuova notte.

“La ragione sei tu”.

Un brivido mi corse lungo la schiena.
Quella voce roca e suadente mi aveva sussurrato all’orecchio quelle parole.
La sua voce.
Voltai il viso di qualche centimetro e vidi due pozzi d’ambra pura fissarmi.
I nostri nasi si sfioravano.
Le mie labbra percepivano il suo respiro.
In un attimo i nostri visi erano uniti l’uno all’altro, non c’era distanza.
Nulla avrebbe potuto separarci o rovinare quel momento.
Quello fu il mio primo vero bacio.
Non avrei mai immaginato che sarebbe stato così intenso e avrebbe saputo di libertà.
Da quando era entrato nella mia vita, Justin mi aveva stravolta come una tempesta stravolge il mare.
Come l’incontro di due occhi ti stravolgono .
Da quando era entra nella mia vita avevo fatto cose che non avrei mai pensata do fare.
Ero andata in moto, avevo detto qualche bugia.
Ero andata tutti i sabati in discoteca.
Avevo fatto filone.
Mi aveva dato quella leggerezza che mancava alle mie ali per spiccare il volo.
Mi aveva dato quella leggerezza che dovrebbero avere tutte le ragazze della mia età.
Mi aveva fatto godere la vita, la mia innocenza e la mia giovane età.
E se mi sentivo così felice era solo merito suo.
-Grazie-. Sussurrai a fior di labbra.

Quasi tre ore dopo eravamo in macchina.
Avevamo preso il treno in orario ed avevamo fatto lo stesso viaggio di quella mattina, ma quella volta eravamo mano nella mano.
Ora eravamo seduti su un taxi che era quasi arrivato a casa mia.
Il braccio di Justin mi circondava il fianco ed il mio volto era nascosto nel suo petto mentre stampavo piccoli baci sul tuo torso.
Con l’altra mano mi accarezzava i capelli.
Non c’era nulla di più perfetto.
-Ragazzi siamo arrivati-. Disse la voce dell’uomo alla guida.
Mi ricomposi e Justin aprì lo sportello e mi aiutò a scendere dell’auto.
Mi accompagnò fino alla porta.
-A quanto pare siamo arrivati-. Disse Justin in modo impacciato, non lo avevo mai visto così.
- Già-. Risposi. – Ci vediamo domani-. Continuai.
Justin si avvicinò a me con passo sicuro, circondò i miei fianchi e mi avvicinò al suo corpo.
Quando i nostri sguardi si incatenarono perse tutta la sua sicurezza.
Questa volta fui io a fare la prima mossa.
A baciarlo per prima.
-Ti amo Adele-

 

SALVE!
Lo so, sono pessima.
Chiedo scusa per il ritardo, ma spero di essermi fatta perdonare con questo capitolo.
So che non è molto lungo, ma è il meglio che sono riuscita a fare.
Spero vi piaccia.
Passando alla storia, ci stiamo avvicinando alla fine lol
Ringrazio tutte le ragazze che recensiscono. Vi adoro asdfg

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