This is my angry song di Miss Fayriteil (/viewuser.php?uid=181864)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** RUNAWAY ***
Capitolo 2: *** TURN BACK TIME ***
Capitolo 3: *** SALT IN THE WOUND ***
Capitolo 4: *** THE OTHER SIDE OF THE DOOR ***
Capitolo 5: *** TURN OFF THE LIGHT ***
Capitolo 6: *** POINT OF NO RETURN ***
Capitolo 7: *** DOES YOUR MOTHER KNOW ***
Capitolo 8: *** SAVE MY HEART ***
Capitolo 9: *** GOODBYE ***
Capitolo 10: *** PLEASE FORGIVE ME ***
Capitolo 11: *** COUNTING DOWN THE DAYS ***
Capitolo 12: *** LEAVE A LIGHT ON ***
Capitolo 1 *** RUNAWAY ***
Un
grazie speciale a
Thelma, che mi ha fatto da correttrice di bozze!
RUNAWAY
Non
potevo restare
lì, dovevo andarmene. Era trascorsa una settimana dalla
tempesta e più il tempo
passava, più mi rendevo conto che non potevo più
vivere a casa mia, a Seattle.
Il mio tradimento era diventato di dominio pubblico e
all’improvviso ero un’emarginata.
Solo Karev mi era rimasto accanto.
«Tutti
facciamo cose orribili, a volte» mi ha
detto un giorno. Ma io non resistevo più, non riuscivo
più a guardarla in
faccia, anzi a guardarle, Callie e Sofia. Così un giorno
sono partita. Ho fatto
le valigie al ritorno dall’ospedale: ci ho messo dentro i
miei vestiti, l’altra
mia protesi, le mie inutili scarpe con le rotelle, una vecchia foto di
noi tre
quando eravamo ancora una famiglia normale. Ho preso la mia auto e sono
andata
in aeroporto. Una volta lì ho preso il biglietto
più economico che ho trovato;
non ho guardato la destinazione non era importante. Dovevo solo
allontanarmi da
lì, il più in fretta possibile. Mi sono seduta ad
aspettare finchè non hanno
chiamato il mio volo: Springfield, in Illinois. Mi andava bene era
abbastanza
lontano da Seattle.
Quando
sono atterrata a Springfield era già
piuttosto tardi perciò avevo preso subito una camera
nell’albergo più vicino
senza avere la più pallida idea di cosa avrei fatto della
mia vita. Sono
entrata nella stanza e mi sono lasciata cadere sul letto guardandomi
intorno.
Erano anni che non prenotavo una camera singola. Ho tirato fuori dalla
valigia
la fotografia e in quel momento mi è squillato il cellulare.
«Pronto?» ho
risposto, senza essermi preoccupata di chi stesse chiamando.
«Dove
diavolo sei?» ha urlato una voce arrabbiata.
“È tornata a casa” ho pensato.
«Ciao
Callie» le ho detto stancamente. Non avevo la forza di
litigare.
« “Ciao
Callie”? Sul serio?» ha replicato lei con una
risata amara. «Ti spiego com’è
andata? Torno a casa distrutta, con la bambina che piange
perchè non ti ha
vista in tutto il giorno, entro e tu non ci sei. Nè tu
nè la tua roba, nessun
messaggio, niente di niente e tutto quello che sai dirmi è
“Ciao Callie”?
Adesso dove sei?»
«A
Springfield, in Illinois» ho detto con lo stesso tono stanco.
Lei ha ripreso ad
urlare, ma io ho smesso di ascoltarla. Ho allontanato il telefono
dall’orecchio, ho chiuso la comunicazione e l’ho
lasciato cadere sul pavimento.
Mi sono rannicchiata sul letto e ho cominciato a piangere. Ero sola,
praticamente senza sapere dove, senza un lavoro, senza niente.
Ad un
certo punto devo essermi addormentata perchè quando ho
riaperto gli occhi era
mattina. Mi sono alzata e mi sono guardata intorno. La valigia era sul
pavimento ancora chiusa, esattamente dove l’avevo lasciata la
sera prima.
Sapevo di doverla disfare, ma se l’avessi fatto, quello
avrebbe reso tutto
molto più reale. Con un sospiro l’ho aperta e ho
cominciato a mettere i vestiti
nell’armadio. Non avevo idea di quanto sarei rimasta in quel
posto, ma finchè
non mi fosse venuta un’idea migliore, mi andava benissimo.
Alla fine ho
appoggiato la foto sul comodino e mi sono accorta di avere fame. Avrei
voluto
restare sola, ma poi ho pensato che qui non mi conosceva nessuno e non
dovevo
per forza essere la donna che aveva tradito la moglie e che la
incolpava di un
errore che in realtà non aveva commesso. Potevo essere solo
Arizona, come
all’inizio.
Sarei
rimasta in quel posto per un po’ e poi avrei deciso cosa fare
della mia vita.
Ho preso questa decisione mentre il cuore mi batteva al ritmo dei nomi
delle
due donne della mia vita, che continuavano a venirmi in mente, anche se
io non
volevo. “Callie-Sofia. Callie-Sofia.
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Capitolo 2 *** TURN BACK TIME ***
Entriamo
nel vivo della song-fic! Una canzone per capitolo!
TURN BACK TIME
Due
settimane dopo ero ancora a Springfield e nell’albergo le
persone avevano cominciato a conoscermi. Avevo trovato un lavoro,
niente di che
aiutavo nell’infermeria, però era un modo per
guadagnarsi qualcosa e allo
stesso tempo non pensare al passato.
Un giorno tornavo da una
passeggiata tra i negozi. Sono passata davanti alla reception e Cindy,
la
ragazza che stava sempre al banco, mi ha richiamata. «Signora
Robbins c’è una
lettera per lei!»
«Davvero?»
ho chiesto
stupita prendendo la busta che lei mi allungava. «Chi me la
manda?»
«Una certa
Calliope
Torres» mi ha risposto lei. Io ho avuto un sussulto.
«Che c’è, la conosce?»
«Sì...
è mia moglie» le ho
detto. Sono tornata nella mia stanza e una volta lì ho
aperto la lettera. Non
mi sono chiesta neanche una volta come avesse fatto a trovarmi, non era
importante. Soprattutto non quando ho visto cosa conteneva la busta.
«Vuole il divorzio?!»
ho urlato all’aria.
Non ci potevo credere! In realtà per essere onesta, non
potevo dire di esserne
sorpresa. Non dopo tutto quello che era successo nell’ultimo
anno. Ho guardato
le carte: lei aveva già firmato. Il mio primo impulso
è stato di strappare i
fogli e buttarli via, ma poi ci ho ripensato. Non avevo la minima
intenzione di
firmare, volevo riparare il mio matrimonio non buttarlo via,
però non si poteva
mai sapere. In fondo potevamo sempre decidere di divorziare e poi
ricominciare
da capo. Owen e Cristina avevano fatto così. Poi loro si
erano lasciati
comunque, per la storia dei figli, ma quella era un’altra
faccenda. Non posso
credere che una volta sui figli la pensassi come Cristina.
Non saprei dire con
precisione cosa fosse successo, ma ad un certo punto mi sono seduta al
tavolo,
ho preso carta e penna e ho cominciato a scrivere. Non pensavo a cosa
stessi scrivendo,
mi limitavo a farlo. Ci ho messo un po’ a capire che stavo
scrivendo una sorta
di poesia.
“Give
me time to reason,
give
me time to think it through
Passing
through the season,
where
I cheated you”
Ci
avevo messo dentro tutto quello che sentivo,
tutta la mia rabbia verso me stessa, verso quello che era successo. Non
era
precisamente allegra, però mi piaceva. Era vera. La cosa
più strana è successa
dopo: ho cominciato a cantarla. La cosa mi ha sorpresa moltissimo
perchè,
insomma, io non cantavo. Sì, a volte sotto la doccia, ma
niente che facesse
sospettare che un giorno mi sarei messa a scrivere canzoni. La melodia
veniva
da sè, non avrei neanche potuto scriverla, perchè
non conoscevo le note.
“If only I could turn back
time
If only I had said what I still hide
If only I could turn back time
I would stay for the night. For
the night...” *
Comunque
quando ho finito di cantarla, ho
sorriso. Veniva bene, sul serio. In quel momento ho sentito dei rumori
fuori
dalla mia stanza, perciò ho aperto la porta. Fuori
c’era una mezza dozzina di
persone che quando mi hanno vista si sono messe ad applaudire.
«Che succede?»
ho chiesto confusa.
«Lei
è fantastica!» mi ha
detto Aaron, il ragazzo della stanza accanto alla mia.
«È molto che canta?»
«N-no
io non canto» ho
risposto sconcertata. «Io sono un chirurgo. Mia moglie... lei
sì che è brava.
Cioè anche lei è un chirurgo, ma è
davvero brava a cantare»
«È
sposata?» mi ha chiesto
un altro tizio. «Perchè è qui da sola?
Cos’è successo?»
«L’ho
tradita meno di un
mese fa. Ce l’ho avuta con lei per un anno per il fatto che
ha deciso di farmi
tagliare una gamba» in quel momento il mio pubblico aveva
avuto un sussulto
collettivo. «Dopo averla tradita sono scappata. Oggi lei ha
chiesto il
divorzio».
«Porca
miseria» ha
commentato Aaron a bassa voce, «è per questo che
cantava?»
«Credo di
sì» gli ho
risposto. In realtà non lo sapevo bene neanch’io.
Detto questo sono tornata
nella mia stanza e mi sono seduta sul letto. All’improvviso
mi è venuto in mente
che possedevo un ospedale; non ci avevo pensato in tutto quel tempo.
Callie mi
aveva mandato messaggi per tutta la mattina, ma io non li avevo neanche
letti.
Non volevo affrontarla. Ad un certo punto ho preso le carte del
divorzio e le
ho aperte. In fondo chi mi impediva di farlo? Potevo firmarle,
divorziare
ufficialmente da Callie, smettere di fare il chirurgo e diventare una
cantante.
“Ma chi voglio prendere in
giro?” mi sono detta. “Io sono un medico. E non
posso abbandonare Sofia”.
Dovevo tornare a casa e chiedere a Callie di perdonarmi, lo sapevo. Ma
allo
stesso tempo non ne avevo il coraggio. Ho preso i fogli e ho firmato,
poi ho
mandato un’e-mail a Jackson e Owen: me ne andavo.
NdA:
Ecco il nuovo capitolo! Spero vi sia piaicuto! Ringrazio chi
ha letto e messo nei preferiti e aspetto come sempre i vostri commenti!
*La
canzone in questione è “Turn back time”
degli Aqua!
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Capitolo 3 *** SALT IN THE WOUND ***
La canzone di questo capitolo è “Salt in the wound” dei Delta Spirit!
SALT IN THE WOUND
Il mattino dopo ho acceso il cellulare e ho visto che mi erano arrivate due e-mail e un SMS da Callie. L’ho aperto e l’ho letto: mi chiedeva se avevo firmato le carte e quando avevo intenzione di smettere di fare l’idiota e tornare a casa. Io le ho risposto che sì, avevo firmato le carte e gliele avrei spedite, ma che non avevo intenzione di tornare a casa. Le e-mail, una di Jackson e una di Owen, dicevano che in un certo senso capivano il mio gesto, ma chiedevano che prendessi in considerazione l’idea di tornare, prima o poi. Io ho risposto spiegando che al momento non era quello che volevo, e che non era stata una decisione difficile. L’unica cosa che mi dispiaceva era che forse non avrei potuto veder crescere Sofia. Speravo che Callie avrebbe continuato a parlarle di me, in modo che lei non mi dimenticasse, ma nella situazione attuale lo trovavo difficile.
Ho preso in mano il foglio con il testo della mia pseudo-canzone e l’ho riletto. «Se solo potessi far tornare indietro il tempo... quanto è vero...»
«Posso entrare?» ha esclamato una voce maschile mentre bussavano alla porta. Io sono andata ad aprire.
«Aaron! Che ci fai qui?» gli ho chiesto spostandomi per farlo entrare. Mi ricordava un po’ Karev, speravo solo che non mi facesse rimpiangere la scelta che avevo fatto. «Voglio aiutarti» mi ha detto. «Sono un musicista. Secondo me hai un grande talento, io ne capisco di queste cose, ma se non hai mai studiato musica non puoi farcela da sola. Potrei insegnarti e tu potresti diventare famosa. Potresti riconquistare tua moglie, Arizona!»
«Ormai ex-moglie, Aaron» gli ho risposto con un sospiro. All’improvviso era passato al tu, ma non mi dava fastidio. Lui ha spalancato gli occhi. «Ho firmato le carte del divorzio, gliele devo solo spedire. L’unica cosa è che... non so quando potrò rivedere Sofia...» per un attimo il ricordo della mia bambina mi ha sopraffatta, riempiendomi gli occhi di lacrime. «Chi è Sofia?» mi ha chiesto Aaron. Io l’ho guardato per alcuni istanti.
«È mia figlia» gli ho detto. «Ha due anni ed è davvero stupenda. Dovresti conoscerla, ti piacerebbe».
«Ne sono sicuro» ha risposto lui. Si è seduto accanto a me e ha preso il foglio con la canzone. «Allora! Il testo è molto bello e anche la melodia non è affatto male. Però bisogna scriverla, perciò... credi che sapresti ricantarla, te la ricordi? Potrei riuscire a scrivere almeno le note principali, poi posso provare a rifarla al pianoforte». Io ho annuito e abbiamo passato quella mattina a lavorare sulla mia canzone. Era entusiasmante, davvero. Non credevo che avrei potuto appassionarmi così tanto a qualcosa che non fosse la chirurgia, ma era esattamente quello che mi stava succedendo. Aaron mi aveva insegnato i primi rudimenti sulle note, su come usare il pentagramma per scriverle, su come riportarle al pianoforte.
Quel pomeriggio sono andata a spedire a Callie le carte del divorzio, poi sono tornata in albergo. L’ho chiamata per dirglielo e alla fine le ho chiesto: «Callie, mi passi Sofia? Vorrei salutarla».
«Sì... ma sai, credo che sarebbe più comodo se tornassi qui» ha risposto lei. Io ho sbuffato.
«Non tornerò a Seattle, Calliope» le ho detto. «Ho trovato un lavoro e qui a Springfield sto bene. Tra un po’ verrò a trovare mia figlia, ma rassegnati, non sarà una cosa definitiva». Callie mi ha fatto sapere che secondo lei stavo facendo un grosso errore, che Sofia avrebbe potuto dimenticarmi e me l’ha passata. Le ho parlato per un po’ e ho riattaccato. Subito dopo mi sono seduta al tavolo e ho preso carta e penna. Mi era venuta un’idea per un’altra canzone. Come l’altra volta i versi venivano da soli, non credevo fosse così semplice. Mentre scrivevo pensavo a tutta la mia vita e che anche se le mie canzoni non fossero diventate famose a me sarebbe andata bene comunque, perchè le scrivevo innanzitutto per me stessa. Firmare le carte del divorzio, parlare con Calliope e con Sofia, perfino studiare musica con Aaron, mi avevano fatto pensare. Volevo convincere me stessa che stavo bene, la mia nuova vita mi piaceva e mi sono messa a riflettere su di me, sul fatto di voler stare da sola, di non aver bisogno di nessuno. Ma forse in realtà non avevo bisogno di nessuno perchè sapevo che non sarei stata in grado di badare a qualcun altro oltre me. Quelle parole... non potevo non averle scritte io, perchè ritraevano perfettamente la mia anima.
“If there's a god in my head
Then there's a devil too
How can I tell the difference
When they both claim to be true
Maybe God is God
Maybe the Devil is me
Well I just throw my chains on
And tell myself that I'm free”
Alla fine l’ho riletta e mi soddisfaceva. Avrei voluto farla vedere subito ad Aaron, ma era tardi perciò ho preferito aspettare la mattina seguente. In effetti dopo colazione sono andata a bussare alla sua porta. Lui ha aperto subito con un gran sorriso stampato in faccia. «Ciao Arizona! Entra» mi ha detto spostandosi di lato. Sono entrata nella sua stanza che era esattamente identica alla mia, fatta eccezione per una tastiera elettrica lunga circa un metro e mezzo sul tavolo. Lui ha visto il foglio che avevo in mano. «Che cos’è?» mi ha chiesto. «Un’altra canzone?». Io ho annuito. Gliel’ho allungata e lui l’ha letta.
«Magnifica» ha sentenziato alla fine. «Hai già in mente la melodia?»
«Una specie» gli ho detto. In effetti ci avevo pensato ed era venuta quasi in automatico. Ho provato a cantarla come l’avevo immaginata e alla fine lui ha applaudito. «Arizona Robbins, tu mi farai felice» ha detto. Si è seduto al tavolo e ha preso la tastiera e una penna. «Dai, al lavoro» ha detto, cominciando a pestare sui tasti.
Perchè sarei dovuta tornare a casa? Avevo tutto quello che volevo, lì. Un amico, un lavoro, un hobby che poteva trasformarsi in una carriera mai neanche sognata. Non mi mancava niente.
NdA: Ecco il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto... correte a recensire forza! Con affetto!
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Capitolo 4 *** THE OTHER SIDE OF THE DOOR ***
In
questo capitolo c’è la canzone “The
other side of the door” di
Taylor Swift!
THE OTHER SIDE OF THE DOOR
“
Devo trovarmi una casa”. È stato questo il mio
primo pensiero
quando sono tornata nella mia stanza dopo aver lavorato con Aaron alla
canzone.
Il fatto era che avevo passato due settimane in quell’hotel
perchè volevo
convincermi che le cose potevano ancora cambiare. Ormai però
avevo deciso,
sarei rimasta lì.
Quindi avevo
comprato dei
giornali e dopo giorni di estenuanti ricerche ero riuscita a trovare un
appartamento da prendere in affitto. Aveva un buon prezzo e due camere
da
letto, cosa molto utile se un domani Sofia fosse venuta a trovarmi.
Avrei
dovuto dirlo ad Aaron, per comodità e mi ero chiesta se
fosse in città solo per
un periodo o se fosse uno di quei tipi eccentrici che preferiscono
vivere
sempre in albergo.
Dieci giorni dopo
ero
pronta al trasloco. C’era voluto più tempo del
previsto perchè la casa non era
ammobiliata, a parte un tavolo e due sedie perciò avevo
dovuto comprare quasi
tutto. E per comprare i mobili avevo dovuto lasciare il lavoro
all’infermeria e
trovarmente uno più redditizio. Avevo ancora parte del mio
vecchio stipendio,
ma prima o poi sarebbe finito. Per fortuna la mia fama di chirurgo mi
precedeva
e due ospedali mi avevano richiesta. Non conoscendoli avevo scelto
quello più
vicino a casa. Era così piccolo che il reparto di chirurgia
pediatrica era
praticamente inesistente, perciò mi limitavo a visitare i
bambini. Non mi
importava però: ormai fare il medico non era più
la mia priorità.
Alla sera il
trasferimento
era concluso e io mi sono seduta sul mio nuovo divano. Mi sono guardata
intorno
e mi sono resa conto, con un nodo allo stomaco, che
quell’appartamento era
dolorosamente familiare. A parte la disposizione dei mobili era troppo
simile
alla mia vecchia casa. Nella mia stanza c’era un letto
singolo e forse era
questa la cosa peggiore. Mentre mi stavo ancora ambientando, mettendo i
miei
vestiti nell’armadio, mi è arrivata una telefonata
che non mi aspettavo. Non
Calliope, quello avrei potuto sopportarlo, neanche qualcuno
dall’ospedale, no.
Era nientemeno che mio padre, il colonnello Robbins in persona. Il mio
primo
impulso è stato quello di spegnere il telefono e buttarlo
dalla finestra, ma
poi ho risposto. Sarebbe stato capace di venirmi a cercare e mi avrebbe
sicuramente trovata. È stato uno dei momenti più
imbarazzanti di tutta la mia
vita. «Pronto?» ho risposto con voce tremante.
«Perchè
Arizona» ha detto
la voce autoritaria di mio padre, «io chiamo a casa tua e tua
moglie mi dice
che te ne sei andata? Sei scappata nell’Illinois e
perchè? Perchè l’hai
tradita. Ora dimmi, è così che ti ho
cresciuta?»
«No
papà» ho ammesso con
gli occhi a terra, come se lui fosse stato lì accanto a me e
avesse potuto
vedermi.
«Ti
ricordi come ti ho
cresciuta?»
«Sì
papà».
«Avanti,
sentiamo». Non
erano le parole, era il tono grave e deluso che usava a farmi piegare
le
ginocchia anche se ero seduta.
«Per
essere un bravo
marinaio nelle tempeste». Ripensandoci, quando avevo tradito
Callie? Durante
una tempesta. Dio, quanto potevo essere orribile.
«E lo
sei stata? Allora,
nei confronti di tua moglie, lo sei stata?»
«No papà» ho detto con le
lacrime agli occhi. Mi ha detto che dovevo tornare a casa e chiederle
scusa, ma
non potevo. Non ancora. Dopo aver riattaccato sono rimasta seduta al
tavolo a
guardare nel vuoto per un tempo indefinito. Dopo mi sono alzata e ho
preso
carta e penna. La mia nuova passione stava facendo bene il suo lavoro:
mi era
venuta in mente un’altra canzone. L’ho scritta di
getto e alla fine l’ho
riletta attentamente. Era perfetta.
“Me and my stupid pride
sitting here alone
Going through the
photographs,
staring at the phone
I keep going back
over things we both said
And I remember the
slamming door
and all the
things that I misread”
Ho
guardato l’ora e visto che era presto, ho deciso di
chiamare Aaron: dovevo dirglielo. Quel testo era nato da... da tutto.
Dal
trasloco, da quell’appartamento così giusto e
così sbagliato, dalle terribili,
ma vere parole di mio padre. Ho preso il cellulare per telefonare ad
Aaron,
quando è squillato e ho notato con sorpresa che era lui.
«Aaron!» ho
esclamato. «Ehi, che succede?»
«Ho una bella
notizia per te» mi ha detto. Io mi sono
fatta più attenta. «Ho parlato di te con un mio
amico. È un piccolo produttore
discografico locale, non è certo la Sony, però mi
ha detto che è interessato e
vorrebbe sentirti cantare. Insomma se ti va potremmo registrare un paio
di
pezzi e io potrei mandarglieli. Se gli piaci potrebbe addirittura
procurarti
degli ingaggi!»
«Ehm...
ingaggi?» gli ho chiesto perplessa. Spesso mi rendevo conto
di quanto ancora
fossi un’estranea nel mondo della musica.
«Sì...
insomma... potrebbe organizzare delle serate in qualche locale in modo
che tu
possa cantare lì e farti conoscere» mi ha
spiegato. Il mio cuore ha saltato un
battito. No, era una pessima idea.
«Aaron non
posso» gli ho detto. «Volevo chiamarti per dirti
che ho scritto una nuova
canzone, ma non me la sento di cantare in pubblico».
«Ma come no?» ha
detto lui deluso. «Sei brava, non lo capisci? Non
è giusto che rimanga solo tra
noi due. Ti prometto che non faccio pubblicità. Tu andrai
là, io lo dirò al
proprietaro e tu ti limiterai a cantare per i presenti. Vedrai
andrà bene!»
Alla fine era
riuscito a convincermi a farlo. Non riuscivo a crederci: stavo per
diventare
una cantante.
NdA:
Forse non fregherà niente a nessuno, ma domenica
parto per la Grecia *improvvisa un balletto di gioia* perciò
martedì non potrò
aggiornare... siete felici? Tristi? Indifferenti?
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Capitolo 5 *** TURN OFF THE LIGHT ***
La canzone di questo capitolo è “Turn off the light” di Nelly Furtado!
TURN OFF THE LIGHT
Era passato un mese da quando Aaron mi aveva proposto di cantare in quel locale, il Blue Motion, e ormai era diventato un appuntamento settimanale fisso. Era venerdì, l’ultima di quelle serate per il momento, e mi ero accorta di avere dei fan. Incredibile, vero? Quando sono entrata due ragazzi mi sono venuti incontro dicendo: «Ehi, è arrivata l’ex-chirurgo!»
Era così che Aaron mi aveva presentata: Arizona (solo il nome, vendeva di più), ex-chirurgo che dopo aver passato un brutto periodo (l’eufemismo dell’anno, grazie amico), aveva scoperto un nuovo talento. Mi stavo appassionando. Ogni venerdì io e Aaron, che ormai era diventato il mio agente, andavamo al Blue Motion e io facevo il mio spettacolo. Quella sera dentro il locale c’era appeso un manifesto con sopra un mio grosso ritratto. «Ehi, Aaron» gli ho detto indicandolo, «che diavolo significa?»
«È solo una prova per vedere come saranno davvero i manifesti» mi ha spiegato lui. «Sai per quando li appenderemo in giro».
«Ehi, ehi, ehi» l’ho interrotto all’improvviso, «credevo che la politica fosse niente pubblicità! Me l’avevi promesso! Che cosa credi di fare?»
«Ma scusa non capisci? Stai diventando famosa! Ormai qui tutti sanno chi sei e magari fra un po’ qualche altro locale ti richiederà!»
«Mi sembra di tornare a quando avevo finito la specializzazione in pediatria e gli ospedali facevano a gara per avermi» ho commentato abbandonandomi ai ricordi. Il lavoro che facevo adesso non riguardava neanche la metà di quello vecchio, ma mi andava bene così. Non sapevo neanche se avrei ripreso a fare il medico.
«Ecco giusto, pensa che sia così» ha detto Aaron. «Devi capire che la gente ama sentirti cantare. Per la tua voce, ma anche per quello che dici nelle tue canzoni. La maggior parte di queste persone si rispecchia nelle parole». Questo però, lo ammetto, mi faceva piacere. Sapere che degli estranei ascoltavano e apprezzavano quello che mi usciva dal cuore, dall’anima e da tutto era una bella sensazione. Non saprei dire con certezza il perchè. Sono salita sul piccolo palco con Aaron che suonava il piano e Jimmy, che avevo conosciuto la prima sera, alla batteria. Ho cantato con più piacere del solito: avevo una nuova canzone che non vedevo l’ora di far sentire agli altri. Sì in effetti cantare in pubblico stava cominciando a piacermi.
“It's getting so lonely inside this bed
Don't know if I should lick my wounds
or say woe is me instead
And there's an aching inside my head
It's telling me I'm better off alone
But after midnight morning will come
And the day will see if you will get some”
Parlava di quanto mi sentissi sola, del fatto che non sentivo Calliope dall’ultima volta in cui avevo parlato con Sofia e anche se fingevo che non mi importasse, in realtà ogni giorno era peggio del precedente. Però avevo iniziato a scrivere delle lettere per mia figlia che speravo la mia ex-moglie le avrebbe letto. Non volevo che si dimenticasse di me, non era giusto. Aveva già perso il padre, non poteva perdere anche me. Intanto continuavo a cantare e vedevo che la gente batteva le mani a ritmo e seguiva davvero la mia canzone. Mi sentivo viva come non mi capitava da più di un anno. Era bellissimo.
“I looked above the other day
Cuz I think I'm good and ready for a change
I live my life by the moon
If it's high play it low,
if it's harvest go slow and if it's full, then go
But after midnight morning will come
And the day will see if you're gonna get some”
Ho finito di cantare e tutti hanno applaudito. Aaron è venuto da me e mi ha messo una mano sulla spalla, sorridendo. Era bello davvero, l’atmosfera era fantastica, tutte quelle persone mi applaudivano, applaudivano me davvero e non per qualcosa che aveva a che fare con la chirurgia. Mi sentivo bene. Improvvisamente anche il manifesto con sopra la mia faccia mi piaceva. Mi sono rivolta ad Aaron.
«D’accordo facciamolo» gli ho detto. Lui mi ha lanciato un’occhiata interrogativa. «Fammi diventare famosa».
«Ci sto» mi ha risposto. «E visto che sono il tuo agente, se sarà necessario viaggiare, verrò con te».
«Viaggiare?» gli ho chiesto perplessa. Lui ha scrollato le spalle per dire sì. «Vuoi dire... andare in tournèe?»
«Perchè no» mi ha risposto. «Se piaci qui a Springfield piacerai anche a Chicago, poi anche in Montana o in California. Tu di dove sei? Cioè, prima di tutto questo, dove vivevi?»
«A Seattle» gli ho detto. «E in effetti mi piacerebbe tornarci come una donna nuova».
«Possiamo provarci» ha replicato Aaron. «Parlerò di questa cosa con il mio amico discografico. Potrebbe organizzarti altre serate e farti registrare un disco, magari».
«Addirittura?» ho esclamato. Sul serio, l’idea mi piaceva moltissimo. Diventare famosa e il resto; mi stavo immaginando di tornare a Seattle come una cantante famosa, rivedere Calliope e Sofia e tutti gli altri. Per un po’ mi sono abbandonata a queste fantasie e ho smesso di ascoltare Aaron.
«Allora sei d’accordo?» mi ha chiesto alla fine.
«Sì» ho risposto senza esitare. «Chiama il discografico, organizza le serate... voglio farlo davvero».
Il sorriso che mi ha lanciato è stato uno dei più grandi e sinceri che abbia mai visto.
NdA: sì ho aggiornato! Sorpresi? Il fatto è che domani parto di nuovo (no, non è una bella notizia), quindi forse martedì non ce la faccio. Comunque grazie a tutti e... recensite!
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Capitolo 6 *** POINT OF NO RETURN ***
La canzone di questo capitolo è “Point
of no return” dei Duran Duran!
POINT OF NO RETURN
Diventare
famosa... non capita certo da un giorno all’altro. Quello di
scrivere canzoni e cantare intanto era ancora solo un hobby, ma prima o
poi, se avessi davvero registrato un disco e avessi cominciato ad avere
delle entrate serie sarebbe diventato un lavoro. E pareva che il disco
l’avrei fatto davvero. Solo un EP (stavo imparando un sacco
di termini tecnici) perchè avevo scritto poche canzoni per
un album e secondo sia Aaron che il discografico era meglio cominciare
con qualcosa di semplice. Avrei scritto un’altra canzone e
poi avremmo cominciato ufficialmente a registrare. Io ero emozionata.
Seduta in soggiorno a casa mia mi sono messa a riflettere su quello che
mi era successo fino a quel momento. Le serate erano diventate a
offerta libera, quindi chi mi veniva a vedere pagava quello che voleva,
ma quello che rimaneva a me erano le briciole, il grosso lo prendevano
i proprietari dei locali. Ora avrei registrato un disco, il che rendeva
tutto molto più definitivo. Definitivo, non si tornava
indietro... un punto di non ritorno, insomma. Sono corsa a prendere
carta e penna, perchè mi era venuto un lampo di
genio per l’ultima canzone da mettere nell’EP.
“Don’t
blame yourself
Don’t
blame me
But
we’re the ones
Who
can feed the ground
So
this poison tree, don’t let it grow again
And
from this glass and broken earth
There
is a way that can be built
A
better life for everyone”
Mentre scrivevo
pensavo a quanto mi piaceva farlo e a quanto sarebbe stato fantastico
essere conosciuta in tutti gli Stati Uniti e venire pagata per qualcosa
che mi divertiva e mi faceva stare meglio. Insomma con la chirurgia
salvavo la vita a dei bambini, qua parlavo dello schifo che provavo
verso me stessa da quando avevo tradito mia moglie e tutto quello che
ne era conseguito. La mia solitudine e la lontananza da mia figlia, per
esempio. Le cose potevano ancora cambiare, ma solo io potevo
permetterlo. Stava a me.
“Maybe
things can change
Only
if you want
Maybe
things can change
Only
if you want”
Le parole venivano
da sole, come se non fossi affatto io a pensarle e le dita della mia
mano destra fossero un semplice mezzo per qualcosa anche più
grande di me. Come sempre l’ho riletta, alla fine, per
assicurarmi che andasse bene. Ho corretto alcune rime e dopo,
soddisfatta, ho chiamato Aaron per dirglielo. Erano tutte azioni che
ormai erano entrate a far parte di una routine.
«Quando cominciamo?» gli ho chiesto una volta
esauriti i convenevoli. Dall’altra parte si è
fatto silenzio, ma io ho capito che lui stava riflettendo.
«Se riesci a portarmi subito la canzone, anche settimana
prossima».
«Dici sul serio?» gli ho chiesto esterrefatta.
«Così presto? La canzone ce l’ho qui
pronta. L’ho già corretta, ma magari puoi darci
un’occhiata anche tu. Te la porto subito».
Poco
dopo ero seduta alla scrivania nella camera d’albergo di
Aaron, mentre lui parlava al telefono con Johnson, il discografico.
«Perfetto» stava dicendo. «Grazie
mille».
Ha
riattaccato e mi ha sorriso. È stato uno dei sorrisi carichi
dell’affetto più profondo e sincero che qualcuno
mi abbia mai fatto. Mi ricordava mio fratello in quel momento e mi si
è stretto il cuore. Poi però ho smesso di
pensarci e mi sono invece concentrata su quello che stava succedendo.
«Ci aspetta lunedì in studio» mi ha
detto Aaron. A questo punto abbiamo fatto il solito lavoro: io cantavo
e dopo scrivevamo la melodia con il pianoforte. Ho pensato che adesso
non avrei più voluto tornare indietro. Alla fine abbiamo
registrato la canzone e prima che me ne andassi mi ha detto che
l’avrebbe fatta avere il prima possibile a Johnson,
così anche lui poteva farsene un’idea. Subito dopo
sono tornata a casa. Ho pensato di nuovo che era un sacco che non
sentivo le mie donne e all’improvviso mi sono messa a
scrivere una lettera a Sofia. Da una parte faceva bene a me scriverle,
dall’altra speravo che sentendole leggere mia figlia mi
sentisse un po’ più vicina. Non avevo ricevuto
risposte, ma nemmeno le aspettavo.
Alla
fine mi sono concentrata di nuovo su quello che stava per succedere e
cioè l’uscita imminente del mio disco. Ho avuto un
fremito di emozione che mi ha fatto venir voglia di gridare. Avrei
registrato un CD e forse sarei andata in tour! Solo sei mesi fa se
qualcuno mi avesse parlato di tutto questo, probabilmente gli sarei
scoppiata a ridere in faccia. La mia vita era cambiata radicalmente in
pochissimo tempo. Non so da quanto tempo non pensavo più
alla mia gamba. L’avevo davvero superata, ero pronta a
perdonare Calliope.
NdA: ‘Giorno a tutti! Sono tornata! *coro di bentornata* e ho
messo un capitolo nuovo nuovo! Se vi ho fatti felici, voi fate felice
me, lasciando un commento! Pliz!
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Capitolo 7 *** DOES YOUR MOTHER KNOW ***
In questo capitolo non c’è la canzone, ma una
citazione del film “Imagine me & you”. Chi
la trova?
DOES YOUR MOTHER KNOW
Erano
passati nove mesi dall’uscita del mio disco e da allora molte
cose erano cambiate. In tre mesi avevo registrato l’EP e per
sei eravamo stati in tournèe. Avevamo fatto tutto
l’Illinois e ogni volta i concerti erano stati un vero
successo. Naturalmente all’inizio erano piccoli, raccolti,
nei locali o nei parchi e la gente non era mai tanta, però
andando avanti nel tempo, le mie canzoni passavano in radio, alla
televisione e sulle riviste si cominciava a parlare di me e il pubblico
si infoltiva sempre di più.
All’ultimo concerto, in un teatro di Chicago, per la prima
volta c’era il pienone; alcune persone non avevano trovato
posto a sedere. Ero sconcertata. In prima fila naturalmente
c’era Thalia. Diceva di essere la mia fan numero uno e non
facevo fatica a crederci. Di fan nel vero senso della parola potevo
averne forse una mezza dozzina: li avevo trovati a un paio di date,
magari quelle più vicine a casa loro, e quando mi avevano
vista mi avevano chiesto l’autografo (la prima volta ero
quasi svenuta), niente di che.
Ma non Thalia.
Immagino fosse di Springfield, l’avevo vista per la prima
volta al Blue Motion,
tra i clienti. Da allora mi aveva seguita in tutte le date e dalla
quarta in poi mi aspettava fuori per farsi autografare tutto quello che
le capitava a tiro. Credo anche che mi fotografasse di nascosto. Entro
due settimane questo atteggiamento aveva cominciato a stancarmi.
Fisicamente era certamente notevole, ventun anni, tutte le curve al
posto giusto, lunghi capelli neri e occhi scuri. Assomigliava a
Calliope, forse l’avevo notata per quello. Magari Sofia
sarebbe stata così da grande.
«Ciao Thalia» l’ho salutata
all’uscita del teatro, «sei venuta anche
stasera».
«Ciao Arizona» mi ha risposto. Mi dava del tu, a
quel punto il lei sarebbe stato fuori luogo. «Posso
accompagnarti in hotel? Ho l’auto qui vicino».
Avrei voluto dirle di no, ma in fondo un passaggio mi faceva comodo.
«D’accordo, ma non provarci con me, mentre
andiamo». Non sapevo di preciso quando mi ero accorta che ci
provava con me... forse quando mi aveva lanciato il reggiseno sul palco
la prima sera a Milwakee. Da allora ogni volta che mi vedeva tentava di
sedurmi. Parlo sul serio.
«Tenterò di controllarmi» ha risposto
cercando di non ridere. Io ho sospirato: sarebbe stato un lungo
viaggio. Dopo circa mezz’ora di momenti imbarazzanti le ho
detto: «Thalia perchè non lasci perdere? Cercati
una ragazza della tua età. E poi io sono sposata».
«Non è vero, sei divorziata» ha
ribattuto lei. «L’hanno scritto sui
giornali».
«Non devi credere a tutto quello che vedi sui
giornali» ho osservato. Lei mi ha guardata perplessa.
«Quindi non sei divorziata? E magari non sei nemmeno lesbica.
O un ex chirurgo». Sembrava molto delusa.
«No okay, ammetto che queste tre cose sono tutte
vere» ho risposto. Lei ha sorriso, soddisfatta. «Ma
comunque non c’è speranza che io mi metta con te o
qualsiasi cosa vuoi che succeda tra noi. Ho già ceduto una
volta alle lusinghe di un’altra donna e il risultato? Un
divorzio».
«Ora però non sei più sposata. Ti
prometto che se non vuoi far sapere di noi alla stampa...
sarò una tomba».
«Non è questione di far sapere o no di noi alla
stampa». Dopo un attimo di silenzio ho aggiunto:
«Thalia... tra te e me... non accadrà
mai».
«Non ho intenzione di lasciare le cose come stanno,
però» ha puntualizzato. Io mi sono subito
allarmata. Erano le stesse parole che mi aveva detto Lauren prima che
la mandassi definitivamente al diavolo. Pessimo segno.
Per fortuna eravamo arrivate al mio hotel. «Grazie del
passaggio, Thalia» ho detto sganciandomi la cintura e aprendo
la portiera. Sono corsa dentro senza guardarmi indietro e quando sono
arrivata nella mia stanza ho dato un’occhiata fuori dalla
finestra, che dava sulla strada: lei era ancora lì. Non
solo, era anche scesa dall’auto e guardava verso di me.
Quando mi ha vista mi ha salutata con la mano.
«Vattene!» le ho detto muovendo solo le labbra.
«Vai via!». Ho cominciato a gesticolare
furiosamente e a quel punto si è affacciato anche Aaron.
Thalia è risalita subito in macchina quando l’ha
visto e se n’è andata, ma pochissimo dopo
è arrivato qualcuno molto peggio di lei. Un’auto
si è fermata davanti all’hotel, ho sentito il
ronzio di un finestrino che si abbassava e visto il flash di una
macchina fotografica. I
giornalisti! Ho chiuso la finestra e tirato le tende.
Dovevano aver visto Thalia che se ne andava. Era solo la seconda volta
che li incontravo, ma li odiavo già. Non avevano rispetto
per nessuno e io non volevo pubblicità inutile. Avevo
concesso un paio di interviste alla radio e a qualche rivista, ma era
ancora presto per gli scandali.
«Ma chi era la ragazza là fuori?» mi ha
chiesto Aaron entrando nella mia stanza. «Thalia? Quella
pazza?»
«Sì, non mi lascia in pace» gli ho
detto. «Vuole una storia con me o qualcosa del genere, e io
non voglio, primo perchè è solo una ragazzina, ha
ventun anni, e poi avrei l’impressione di tradire mia
moglie... ex-moglie».
«Non capisco perchè hai firmato quelle
carte» ha osservato Aaron. «È ovvio che
sei ancora innamorata di lei».
«Dopo quello che le ho fatto passare volevo lasciarla
libera» ho risposto. «Ricostruire la sua vita,
magari con qualcuno che non sono io e non la farà soffrire
così tanto. E io... io me la caverò».
Era bello essere una cantante, fare i concerti, venire applaudita e
ammirata per le mie canzoni, ma la cosa finiva lì. E
sicuramente non volevo inguaiarmi con una ragazzina appena maggiorenne
che avevo notato solo perchè assomigliava alla mia
ex-moglie. Stavo diventando famosa e quella era senza dubbio
la parte negativa. Aaron ha interrotto il filo dei miei pensieri.
«Comunque ti volevo dire... sei passata su una radio
nazionale per la prima volta! Il tuo nome sta uscendo dai confini
dell’Illinois finalmente! Se scrivi altre canzoni potremo
registrare un vero album e fare un grande tour in tutti gli stati! Ti
parlo di una cosa lunga anche un anno. Potremmo andare anche a
Seattle!». Non c’era niente da fare, il suo
entusiasmo era contagioso.
«Una radio nazionale?
Mi prendi in giro? Mi metto subito a scrivere altro per
l’album e non vedo l’ora di cominciare il
tour!». E così ho fatto. Non appena Aaron se
n’è andato, mi sono seduta al tavolo della cucina
e mi sono messa a riflettere.
Negli ultimi tre mesi del mio primo anno da cantante sono andata avanti
a scrivere canzoni. Le scrivevo ancora a seconda di quello che mi
diceva il cuore, ma forse alcune non sarebbero mai nate senza alcuni
eventi che sarebbero successi di lì a qualche settimana.
Intanto quella era l’ultima sera a Chicago, il giorno dopo
saremmo tornati a Springfield. Io ero contenta: avevo bisogno di
stabilità anche se sicuramente non sarei riuscita a
liberarmi di Thalia. Però ripensando al mio primo tour ho
sorriso: era stato bellissimo e non vedevo l’ora di sapere
cosa mi riservava il futuro. La cosa migliore era che il
futuro era solo mio e potevo scriverlo come volevo io. Suonava
decisamente bene.
NdA: niente, solo... grazie di tutto e buona lettura!
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Capitolo 8 *** SAVE MY HEART ***
In questo capitolo c’è la canzone “Save my heart” di Erika!
SAVE MY HEART
Il primo evento ha avuto luogo verso la metà di aprile. Era un martedì mattina qualsiasi e io avevo appena finito di fare colazione. Ad un certo punto mi è squillato il telefono ed era Aaron. «Indovina?» ha esordito. «No, non indovini. Hanno parlato di te su 97 rock, la radio principale di New York! Tu forse non sai cosa significa, ma finire su quella radio, dopo meno di un anno che canti ufficialmente, equivale a una vera e propria consacrazione! È una bellissima notizia!»
«Accidenti... non me l’aspettavo!» ho risposto stupefatta. Non potevo definirmi un’esperta di radio, ma qualcosa stavo imparando e comunque mi fidavo di Aaron. Avevo scritto un paio di canzoni in quel periodo, ma nessuna che mi convincesse fino in fondo. Però sapere quella notizia mi aveva fatto venire in mente una specie di idea.
Uno sguardo al calendario (erano mesi che non sentivo Calliope), uno alla foto di noi tre e uno alla lettera che stavo scrivendo a Sofia, hanno fatto il resto. Mi sono seduta di schianto alla scrivania e ho preso carta e penna. Sentivo che questa era la volta buona, avrei scritto una canzone degna di essere chiamata tale. Ci ho comunque riflettuto un po’, volevo che fosse perfetta. Mentre la scrivevo mi è venuta in automatico anche la melodia e io per prima sono rimasta sorpresa dal pensarla così elettronica: era molto diversa dalle altre mie canzoni. E non so da dove venisse quel ritmo.
“I’m the one who left you just to be free, (to be free)
Now I know
You are the only one for me,
I’m alone since I wanted to change my way
Now I know
That was my biggest mistake.”
Quando avevo appena cominciato a scrivere il ritornello hanno suonato alla porta. Sono andata ad aprire e mi sono trovata davanti un enorme mazzo di rose rosse. «Ti prego, no» mi sono detta a bassa voce.
«Mi scusi» una testa è spuntata fuori da dietro il mazzo. «Sono arrivati questi per lei. se mi fa una firma qui...»
«Certo» ho risposto firmando il foglio che il ragazzo mi allungava. Poi mi ha scaricato in mano i fiori e se n’è andato. Sono rientrata in casa chiudendomi la porta alle spalle, mentre con la mano cercavo il biglietto. C’era di sicuro se me li aveva mandati chi pensavo io. Alla fine l’ho trovato e l’ho aperto. “Aspetto di assistere a un altro tuo concerto. Non riesco neanche a dormire se tu non ci sei. T”. Oh mio Dio... questa cosa stava diventando ridicola. Ho preso una specie di vaso che avevo lì, l’ho riempito d’acqua e ci ho messo dentro i fiori. Poi mi sono riseduta al tavolo e ho affondato la faccia tra le mani. Ci mancava Thalia. Come se non avessi già abbastanza problemi di mio, come se non avessi nient’altro a cui pensare. Ma era colpa mia, era tutta colpa mia. Se io non avessi... e ora Calliope chissà dov’era, con chi era... ma era inutile starci a pensare. Ho preso la penna e ho scritto di getto il ritornello. Era tutto lì, nero su bianco, quella era la mia anima.
“I miss all your phone calls and all
Your sweet world
Only photos, bitter feelings and memories.
There’s no sunshine and no rainbow
In my soul, if I catch you
I won’t leave you anymore”
Poco dopo ho finito di scrivere e ho fatto le solite cose: l’ho riletta e ho chiamato Aaron. A lui potevo dire dei fiori.
«Aaron, mi ha mandato dei fiori, ti rendi conto?» gli ho detto, quando abbiamo finito di parlare della canzone.
«Chi ti ha mandato dei fiori?» mi ha chiesto lui. Poi si è risposto da solo. «Ma è ovvio. Thalia».
«Sì, esatto. Senti, io non so cosa fare, più di dirle di lasciar perdere! Okay adesso non importa. Vengo a portarti la canzone e preparati perchè stavolta non basterà il pianoforte». Aaron mi ha detto che andava bene e che mi aspettava. E mi ha anche detto di fare attenzione a uscire di casa per i giornalisti. Io ero piuttosto scettica, ma ho comunque deciso che in caso avrei chiamato un taxi. Ho preso la borsa e ho aperto la porta. Sono stata subito assalita da un mare di giornalisti che scattavano foto e facevano domande. Ovviamente Aaron aveva ragione.
«Arizona da questa parte! Arizona solo una parola! Come va il tuo divorzio? È vero che sei fidanzata? Dai, Arizona solo un sorriso! Quando uscirà la prossima canzone?»
Le urla si accavallavano e io non riuscivo nemmeno a pensare. «Lasciatemi in pace, per favore» ho risposto in tono freddo. In quel momento una macchina si è fermata di fronte a me e la portiera del passeggero si è aperta. «Sali, sbrigati!» mi ha gridato una voce familiare. Io ho chiuso per un attimo gli occhi, sconfortata. Il mio incubo peggiore si stava avverando, ma nonostante questo sono corsa nell’auto di Thalia; ho chiuso la portiera e lei è partita sgommando.
«Ti rendi conto che domani ci sarà un articolo su di noi, nei giornali di gossip?» le ho detto. «A proposito, cosa ti è saltato in testa di mandarmi delle rose?»
«Ti sono piaciute vero?» mi ha chiesto con un sorriso malizioso. Io ho involontariamente ricambiato.
«Sì, mi sono piaciute...» ho risposto. Poi mi sono riscossa. «Non è questo il punto! Senti ti sono grata per avermi salvata dai giornalisti, ma non credere che questo cambi qualcosa tra noi».
«Domani tutti penseranno che stiamo insieme» mi ha ricordato lei. Io ho alzato gli occhi al cielo. «Quindi che problema c’è se la facciamo diventare una notizia vera?»
«C’è che io non voglio stare con nessuno Thalia» ho risposto secca. Lei ha fermato l’auto e mi ha guardata a lungo, in silenzio. «Dove stavi andando?» mi ha chiesto. Io le ho detto che stavo andando da Aaron, in hotel. Lei ha annuito e mi ci ha portato. Quando siamo arrivate, io ho aperto la portiera e sono scesa. Lei è partita a tutta velocità senza salutarmi. Non che la cosa mi turbasse più di tanto. Sono entrata nell’hotel: stavo ancora cercando di vedere il lato comico di quella situazione e volevo parlarne ad Aaron. E non volevo pensare ai miei fatti personali spiattellati su qualche rivista patinata, per il momento.
NdA: Ecco il nuovo capitolo! Sappiate che sono molto delusa dal numero delle recensioni. Mi sembra di scrivere per nessuno! Suvvia! Comunque grazie a tutti!
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Capitolo 9 *** GOODBYE ***
In
questo
capitolo c’è la canzone
“Goodbye” di Avril Lavigne!
GOODBYE
Invece
per
il secondo evento importante ho dovuto aspettare fino a settembre. E questa volta era stato
ancora più
sorprendente: mi aveva telefonato Calliope. La cosa mi aveva
sconcertata
moltissimo perchè era talmente tanto che non la sentivo che
ormai pensavo, e in
fondo speravo, che si fosse dimenticata di me. Lo speravo per il suo
bene, ma
in realtà l’idea non mi piaceva per niente.
«Pronto?»
ho risposto stupita. «Callie? Sei
proprio tu?»
«Ciao Arizona»
mi ha detto quasi esitante.
«Come stai? Sofia chiede sempre di te, le manchi
tanto».
«Anche
lei mi manca» ho sospirato. Quasi non
osavo dire la frase successiva. «E tu... anche tu mi
manchi». Callie non ha
detto niente.
«Senti...
ti volevo parlare» ha replicato
invece. «Sai sono arrivate le nuove matricole e ce
n’è una... si
chiama Penny. Non è male, è abbastanza
brava. È una specializzanda della Wilson, che lavora spesso
con me in questo
periodo e insomma lei...». In quel momento io l’ho
interrotta.
«Mi fa
piacere, insomma, sono felice per te,
ma ora devo andare» ho detto. Non potevo sopportare
l’idea di lei e un’altra
donna. È vero che non stavamo più insieme,
eravamo divorziate e io ero anche a
mezza nazione di distanza da lei, ma era comunque una cosa tremenda.
«No
Arizona, non è come credi tu...» ha
cominciato lei, con qualcosa che poteva essere urgenza nel tono della
voce, ma
io ancora una volta non l’ho lasciata parlare.
«Non
devi darmi nessuna spiegazione,
Calliope, è la vita e io me la sono cercata. Ora devo
davvero andare. Addio».
Ho chiuso la comunicazione e messo giù il telefono. Non
saprei dire come ci sono
riuscita, ma non ho pianto e invece ho deciso di sfogarmi nel modo che
ormai
preferivo: scrivendo. Ho creato una nuova canzone quasi dal nulla e in
pochissimo tempo. Le dicevo addio, per davvero, e non so
perchè, mentre
scrivevo riuscivo a pensare quasi solo ai suoi occhi. Quegli occhi
scuri,
meravigliosi e magici, che forse non avrei più rivisto.
“Goodbye,
brown eyes
Goodbye for now
Goodbye, sunshine
Take care of yourself”
Era solo uno
il motivo per cui il pensiero di Callie
con un’altra mi provocava un dolore fisico e per cui
l’idea di una relazione
con Thalia, anche la meno impegnativa, mi spaventava e mi riempiva
quasi di
orrore: ero innamorata di lei. In realtà non
l’avevo mai negato, nè a me stessa
nè ad Aaron, ma a quanto pare Calliope era andata avanti e a
me non restava
altro da fare che dirle addio e continuare a pensare a lei. E poi
c’era Sofia.
Nostra figlia rendeva tutto più complicato. Il punto era che
non vedevo l’ora
di tornare a casa e riabbracciare la mia bambina. Avrei messo lei al
primo
posto e mi andava bene.
Ma una cosa
non sarebbe mai cambiata e cioè quello che io provavo per
Callie. L’amavo
ancora e probabilmente l’avrei amata per tutta il resto della
mia vita. E
nonostante questo non ero pentita del divorzio, perchè come
avevo detto ad
Aaron, io non la meritavo, l’avevo fatta soffrire troppe
volte, perciò era
molto meglio per entrambe che io mi facessi da parte.
“I
have to go, I have to go, I
have to go
And leave you alone
But always know, always know, always know
That I love you so, I love you so, oh.
I love you
so”.
Quando
ho chiamato Aaron mi sentivo strana. Forse perchè quella
canzone era
molto personale, più delle altre. Cioè, parlavo
sempre della mia storia, ma era
la prima volta che parlavo chiaramente di lei, avevo scritto dei suoi
occhi.
Volevo farla vedere a lui, prima, dovevo decidere se mi andava bene che
venisse
pubblicata. Naturalmente quando sono andata in hotel, Aaron mi ha detto
che era
stupenda e che solo un pazzo non l’avrebbe pubblicata.
«E tu non sei pazzo,
vero?» gli ho chiesto.
«Ovviamente
no» mi ha risposto.
Ormai mi sembrava quasi strano pensare a un momento della mia vita
diverso da
quello. Il periodo in cui avevo fatto il chirurgo, anche se
infinitamente più
lungo del mio anno da cantante, mi dava l’impressione che
appartenesse a
un’altra vita.
Poco dopo sono
tornata a casa e in
pratica come sono entrata mi è
squillato
il cellulare ed era di nuovo Callie.
«Ciao
Callie!» ho risposto. «Due
volte in un giorno, che succede?»
«Dovrebbe
essere una specie di
scherzo strano?» mi ha chiesto con voce incredula. Io le ho
chiesto di che
accidenti stesse parlando.
«Mi
è venuto in mente di mettere la
radio oggi in sala operatoria, non so perchè» ha
detto. «E immagina la mia
sorpresa quando un tizio ha parlato del nuovo successo
dell’astro nascente
Arizona. E poi sento una canzone e indovina? Quella che canta sei tu!
Da quanto
fai la cantante? E quando pensavi di dirmelo?»
Quella sua frase
però mi ha
irritata. «Se vuoi saperlo, non pensavo di dirtelo, almeno
non ufficialmente. Forse
dimentichi che non siamo più sposate e che la mia vita non
è più affar tuo.
Vai, divertiti con Penny, fai la tua vita. Io farò la
mia». Ho riattaccato
ancora arrabbiata. Ma chi si credeva di essere? Si comportava ancora
come se
fossimo sposate, mentre invece non era così, vivevamo in due
stati diversi,
chissà quando ci saremmo riviste e poi lei aveva
un’altra.
Però in
tutto questo c’era una nota
positiva. Callie mi aveva sentito alla radio, ero arrivata fino a
Seattle! Era
una bellissima notizia. Adesso ero sicura che avrei pubblicato la
canzone. La
telefonata di Callie mi aveva motivata tantissimo. Non vedevo
l’ora di fare il
lungo tour in cui saremmo andati a Seattle. In quella mi è
squillato di nuovo
il cellulare. “Non può essere di nuovo
Callie” ho pensato. Infatti era Aaron.
Meglio così.
«Ehi
Aaron!» ho esclamato. «Sai
volevo giusto parlare con te! Ho sentito...»
«No
Arizona, ascolta» mi ha
interrotto lui. Aveva una voce strana. «Su Internet ho visto
il nuovo numero di
In Touch, esce domani.
C’è un
articolo su di te. Su te e Thalia». Io sono rimasta in
silenzio, scioccata,
fissando senza vederla la parete di fronte a me.
NdA:
due cose. Settimana prossima non riesco ad
aggiornare, sono schifosamente sotto esami T.T però prometto
che il martedì
dopo ci sarò! E, spiacente, ma siamo quasi giunti alla
fine... purtroppo
mancano solo tre capitoli, o meglio, tre canzoni!
Noto con piacere che le recensioni sono aumentate. Continuate
così! Grazie a
tutti!
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Capitolo 10 *** PLEASE FORGIVE ME ***
La
canzone
di questo capitolo è “Please forgive me”
di Bryan Adams.
PLEASE FORGIVE ME
Non
ci
potevo davvero credere. «Ma come? Quando? Cioè...
non è possibile» ho
balbettato. «L’hai... l’hai letto? Di
cosa parla? Ci sono delle foto? Ma certo,
ci sono di sicuro. Che foto sono? Dio, è assurdo».
«Okay,
Arizona, ti devi calmare» mi ha detto
Aaron. «Respira profondamente e calmati. Allora,
sì l’ho letto l’articolo. Non
è molto lungo e c’è solo una foto. Si
vede te che entri nell’auto di Thalia. E
il testo parla un po’ dei tuoi ultimi successi e si chiede se
forse hai
ritrovato l’amore. Tutto qui. Ma dimmi... di quando
è la foto?»
«Oddio
ma quella foto è di quel giorno...
ricordi quando ti avevo detto che Thalia mi aveva mandato dei
fiori?»
«Sì,
mi ricordo...» ha risposto lui, ma io
non l’ho quasi lasciato finire di parlare.
«Ecco,
poi io sono uscita di casa
e c’era pieno di giornalisti. Quindi
stavo pensando a come evitarli e a un certo punto è comparsa
Thalia in macchina
che poi mi ha accompagnato in hotel da te». Lui è
rimasto in silenzio per un
paio di secondi.
«Ma
quella storia risale a settimane fa!
Forse hanno messo un articolo su di te e scelto la prima foto che hanno
trovato in
archivio» ha osservato lui.
«Senti
Aaron» ho detto, con voce esitante.
«Credi... credi che Callie lo leggerà?»
«Callie?»
mi ha fatto eco lui. «Se lei è una
che legge le riviste di cronaca rosa... sì, temo di
sì». A quelle parole mi è
sfuggito un gemito involontario.
Dieci giorni dopo
ho scoperto che la mia
ex-moglie aveva letto In Touch.
Eccome.
Ero seduta al
tavolo del soggiorno
lambiccandomi il cervello per pensare a una canzone e mi è
squillato il
telefono. «Pronto?» ho risposto forse
più bruscamente di quanto intendessi: ero
molto concentrata. Non credevo fosse lei. O forse speravo
non fosse lei.
«Ciao
Arizona...» ha esordito. Non mi stava insultando. Forse non
aveva letto
l’articolo. Oppure stava solo prendendo tempo. «Che
stai facendo?»
«Io?»
le ho chiesto stupita. Non mi aspettavo
certo quella domanda. «Stavo... ehm, stavo cercando di
scrivere una canzone
nuova...»
«E sei
da sola? Non c’è... com’era?»
ho
sentito in sottofondo rumore di carta smossa. Ahia. «Ah,
sì. Thalia?»
«Hai
letto In Touch» ho
osservato. Lei ha sospirato. «Sì l’ho
letto, nella
sala d’aspetto del pediatra. Ho portato Sofia a fare il
controllo. L’ho anche
rubato. Non voglio giudicare, è solo... tra me e Penny non
c’è niente,stavo
cercando di dirtelo l’ultima volta che ci siamo sentite. Quindi se l’hai
fatto solo perchè eri
gelosa...»
«Non sto
con Thalia, Calliope. Lei vorrebbe,
ma è una bambina. Quella foto... fuori da casa mia
c’erano dei giornalisti, lei
è arrivata e mi ha accompagnata in hotel dal mio agente.
Tutto qui. E non so
perchè fosse lì. Quindi... non stai con
Penny?» mi sentivo sollevata.
«No!
Come potrei? Avrei... avrei ancora
l’impressione di tradirti» mi ha risposto Callie.
Io ho sorriso con le lacrime
agli occhi. Non avrebbe voluto tradirmi, nonostante tutto.
«Questo
è lo stesso motivo per cui io non sto
con Thalia...» le ho detto. Lei si è schiarita la
gola. «Va bene... ora devo
andare» ha detto.
«Sì,
certo... allora ciao. Salutami Sofia» ho
replicato. Lei mi ha detto che l’avrebbe fatto e ha
riattaccato. Io ho messo
giù il telefono e preso carta e penna. Sapevo cosa scrivere
era perfetta.
Dovevo chiederle scusa, per tutto.
“Please
forgive me –
I know not what I do
Please forgive me –
I can’t stop loving you
Don’t deny me – this
pain I’m going through
Please forgive me – if I need you like I do
Please believe me –
every word I say is true
Please forgive me –
I can’t stop loving you”
Dovevo
tornare a casa, lo sapevo. La testa mi dicevo di farlo, il
cuore... quello era rimasto lì. C’era solo una
cosa che me lo impediva. Avevo
paura. Una paura tremenda di affrontare tutto il casino che mi ero
lasciata
alle spalle. Avevo abbandonato mia moglie e mia figlia, quella era
l’unica
verità. Potevo anche continuare a mentire a me stessa,
dicendo che me n’ero
andata per lasciarle libere, ma in realtà ancora una volta
dopo un problema ero
fuggita. Mi ero comportata da vera egoista. E ora è arrivato
il momento di
tornare e cominciare a sistemare le cose. O almeno dovevo provarci.
Intanto
potevo cominciare a chiedere scusa così, anche se sapevo che
non sarebbe stato
abbastanza.
“One
thing I’m sure
of – is the way we make love
And one thing I
depend on – is for us to stay strong
With every word and
every breathe I’m praying
That’s what I’m saying”
Più
tardi stavo parlando al telefono con Aaron. Non mi azzardavo
più a
uscire di casa se non era strettamente necessario. Gli avevo parlato
dell’equivoco poi risolto riguardo l’articolo di In Touch e poi eravamo passati a
discutere della canzone.
«Aaron,
io ho deciso» gli ho
detto. «Voglio tornare a casa. Non so se sono pronta, ma
è quello che devo
fare».
«Va
bene» ha risposto. «Allora
organizziamo il tour nazionale. Però non potremo partire
subito. Dobbiamo
organizzare tutto, le date, i posti...»
«Quindi
quando possiamo
partire?» gli ho chiesto. «Non voglio aspettare
troppo».
«Io
direi a gennaio, o comunque
dopo Natale» ha osservato lui. «Dobbiamo preparare
un sacco di cose e non è una
passeggiata. E so che tu vuoi andare a Seattle, ma se ti fermerai
lì, direi di
lasciarla come ultima tappa».
«Va
bene, allora... aspetterò».
Del resto cos’altro potevo fare? Abbiamo deciso che nel
frattempo avrei
cominciato a registrare il mio primo vero album e quella era una
bellissima
notizia. Avrei dovuto scrivere altre due canzoni e poi potevamo
partire.
Ma la notizia
migliore era
un’altra. Finalmente avrei fatto il tour lungo un anno e alla
fine sarei andata
anche a Seattle. Non ci potevo credere: tornavo a casa.
NdA: Eccomi tornata! Chiedo perdono, ma la sessione di
settembre non è
clemente con nessuno. Grazie a tutti quelli che hanno letto, recensito
e
recensiranno!
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Capitolo 11 *** COUNTING DOWN THE DAYS ***
La canzone di questo capitolo è “Counting down the days” di Natalie Imbruglia!
COUNTING DOWN THE DAYS
Eravamo in viaggio da due mesi ormai. Eravamo partiti all’inizio di gennaio, dopo il secondo Natale di fila che passavo senza la mia famiglia. Ora ci trovavamo in Minnesota dopo un lungo periodo sulla East Coast, tra cui due folgoranti serate a New York. Prima di partire avevo iniziato a registrare l’album e adesso ogni tanto andavo avanti, perchè Johnson era venuto con noi e si era portato tutto il necessario. Erano giorni bellissimi, ma io non vedevo l’ora di tornare a casa. Ebbene sì, da quando avevo deciso che era arrivato il momento ero diventata impaziente. Tenevo addirittura il conto dei giorni che mancavano per arrivare a Seattle. Ero felice, ma allo stesso tempo terrorizzata. Ero stata via da casa quasi due anni, era un tempo infinito.
Ovviamente sarebbero passati ancora parecchi mesi prima di arrivare a Seattle, avevamo deciso che sarebbe stata l’ultima tappa, eppure non riuscivo a resistere dal fare il conto alla rovescia ogni giorno. Non sentivo Calliope e Sofia dal giorno di Natale, quando le avevo chiamate su Skype per avere l’impressione di vederle davvero. Era incredibile quanto fosse cresciuta la mia piccola. Averle viste così era stato ancora più duro, perchè davano l’impressione di essere vicine, ma io sapevo che non era vero. E da quel giorno più che mai ero diventata impaziente di tornare a casa. Aaron aveva deciso che se io avessi deciso di restare a Seattle a fare la cantante, anche lui si sarebbe trasferito. Era carino da parte sua.
Inoltre proprio la cosa del conto alla rovescia mi aveva dato l’idea per una canzone che mi piaceva particolarmente. Parlava di quello che provavo in quel periodo, dell’emozione a pensare che stavo tornando, al fatto che Callie avesse ragione quando mi diceva di tornare a casa, anche solo per Sofia. Ora stavo tornando davvero ed era per entrambe. Dovevo chiedere perdono a Calliope, anzi implorarlo, e sperare che mi riaccettasse nella sua vita. Ho preso in mano il testo e l’ho riletto, concentrandomi su un pezzo per volta.
“You were right.
And I don’t wanna be here if you’re gonna be there.
Was that supposed to happen?
I’ll hold tight.
I’ll remember to smile.
Though it has been a while.
And without you does it matter?”
Più la leggevo e più mi piaceva, sul serio. Intanto pensavo ai concerti già passati e a quelli che ci dovevano ancora essere. Era stato incredibile vedere tutta quella gente, arrivata per vedermi cantare e sentire la frase magica: «Questa data è sold-out». Era una bella sensazione.
Naturalmente non mi ero liberata di Thalia, sarei stata un’illusa a crederlo. Veniva ancora ai miei concerti, però si era decisamente calmata. L’avevo vista l’ultima volta a New York, poi non più. Si era fatta autografare un braccio, ma non mi aveva detto niente. Forse in fondo l’articolo di In Touch aveva turbato anche lei. Non potevo saperlo e sinceramente neanche mi interessava. Nel frattempo stavo andando avanti a leggere attentamente la canzone. Adesso ero arrivata al ritornello.
“I want to travel through time.
See your surprise.
I’d hold you so tight.
I’m counting down the days tonight.
I just want to be a million miles away from here.
I’m counting down the days”
Sono arrivata alla fine e ho messo via il foglio. Mi rendevo conto che non sarei più tornata in Illinois, di sicuro non durante quel tour. Era un pensiero strano, in fondo era stato casa mia per un anno. Un anno che avevo anche vissuto molto intensamente. Si scoprivano un sacco di cose a non vivere in un ospedale. E si potevano fare un sacco di cose. Non sapevo dire se sarei tornata a fare il chirurgo e forse prima o poi sarebbe successo, ma per il momento non era quello che volevo. E avevo anche deciso che non avrei più sentito Callie fino a che non fossimo arrivati a Seattle e Aaron mi aveva promesso che saremmo stati lì prima di Natale. Ero stata contenta di saperlo, perchè altrimenti sarebbe stato il terzo di seguito che festeggiavo da sola.
Due mesi di concerti quasi quotidiani dopo eravamo arrivati in Arizona. Era stata una mia richiesta specifica, perchè era vero che il mio nome non veniva dallo stato, però faceva comunque un bell’effetto. Guardavo i nomi delle città che stavamo passando... mi venivano in mente i nomignoli che mi dava Nick. Mi è scesa una lacrima lungo una guancia, mi sembrava di sentirlo. «Cavolo Phoenix. Sei una cantante, e chi se l’aspettava?»
Mi mancava Nick. Così come mi mancava Tim. Ma non volevo pensarci in quel momento. Avevo cancellato un altro giorno dal calendario, un giorno in meno che mi separava da Seattle. Ero felice, per tutto. Quel tour era la cosa più bella che mi fosse capitata negli ultimi tre anni. Viaggiavamo molto ed era pesante, ma non avrei fatto cambio con la vita di prima. Ho guardato Aaron e gli ho sorriso.
«Che c’è?» mi ha chiesto lui ricambiando. Io ho provato un’improvvisa voglia di abbracciarlo.
«Niente, sono felice» gli ho risposto. «Quando arriveremo a Seattle ti presenterò Calliope, Sofia e gli altri!»
«Riprenderai a fare il chirurgo?» mi ha chiesto. Io ho guardato davanti a me per un po’.
«Non credo» ho osservato. «No. O almeno non subito». Lui ha annuito.
«Qualunque cosa succederà, io sarò comunque tuo amico». A questo punto non ho più saputo resistere. Sono corsa ad abbracciarlo. «E questo perchè?» ha esclamato con un sorriso sorpreso. Io ho ricambiato.
«Per essere quello che sei» gli ho risposto tornando a sedermi.
NdA: Ecco il nuovo capitolo! Spero vi sia piaciuto! Purtroppo, martedì prossimo sarà l’ultimo. Ve lo dico in anticipo così vi preparate. Dopo gradirei moltissimo leggere un vostro commento! =D |
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Capitolo 12 *** LEAVE A LIGHT ON ***
In questo capitolo c’è “Leave a light on” di Belinda Carlisle. Noterete che l’ho messa tutta. Quasi.
LEAVE A LIGHT ON
Era metà dicembre. Era mattina ed eravamo in viaggio: stavamo entrando a Seattle in quel momento. Mi sembrava impossibile, il momento che aspettavo da un anno era finalmente arrivato. Quella sera ci sarebbe stato l’ultimo concerto e avrei visto Calliope e Sofia. O almeno lo speravo. Speravo con tutta me stessa che sarebbero venute alla serata e non potevano non saperlo perchè in giro per la città c’era pieno di manifesti con la mia faccia. Ero seriamente più famosa di quanto potessi immaginare!
Siamo arrivati all’hotel e ci siamo sistemati subito nelle nostre stanze. Quella sera era importante e io volevo essere pronta. Avrei cantato tutte le canzoni di cui ero tanto orgogliosa, compresa una che avevo appena finito di scrivere. Era importante che Callie ci fosse, perchè per la maggior parte le canzoni erano dedicate a lei. Ero nervosa, ma finalmente mi sentivo pronta: ero tornata a casa e quella sera avrei affrontato la mia ex-moglie e tutta la mia vecchia vita. Era ora di ricominciare.
Ore dopo
Era arrivata la sera e ormai mancavano pochi minuti al concerto. Ci trovavamo in un teatro di cui avevo sempre ignorato l’esistenza nonostante avessi abitato a Seattle per anni. Questo la diceva lunga su quanto fosse emozionante la mia vita di prima.
Mi trovavo dietro le quinte e stavo aspettando che mi annunciassero. Ho sbirciato da dietro il sipario verso il palco e la platea. Mi si è fermato il cuore: Calliope era lì, seduta in una delle prime file. E c’erano Cristina, la Bailey, Meredith... c’erano tutti! Mi sono allontanata dal sipario con il cuore in gola. In quel momento Aaron è venuto verso di me. «Non posso farlo» gli ho detto.
«Come sarebbe? Certo che puoi farlo!» mi ha risposto con sguardo severo. Io ho indicato la tenda alle mie spalle.
«Ci sono tutti quanti!» ho esclamato in un sussurro terrorizzato. «Calliope, Sofia e tutti quelli dell’ospedale! Scherziamo? Non posso farcela!»
«Sì che ce la fai. Non ci pensare, vai su quel palco e sii grande». Da lì sentivo la voce del presentatore. Quando ha urlato il mio nome Aaron mi ha dato una piccola spinta e sono uscita sul palco. Quando mi ha vista il pubblico ha iniziato a strillare ed applaudire, imitato qualche istante dopo da un certo gruppo seduto in seconda fila. Delle ragazze avevano striscioni colorati. Forse non sarebbe stato poi tanto terribile. Se riuscivo a non guardare la seconda fila vedevo tutte facce sconosciute, quindi potevo benissimo essere in Mississipi invece che a Seattle. Ho cominciato a cantare e all’improvviso mi sentivo di nuovo me stessa. Il pubblico non aveva più nessun potere, io e la mia musica potevamo conquistare il mondo in quel momento. Arrivata alla terza canzone ho smesso di lottare contro la forza incredibile che mi attirava verso Callie come una calamita e ho guardato lei per il resto della serata. Lei mi ha restituito lo sguardo con espressione indecifrabile. Non riuscivo a capire cosa stesse pensando, nonostante la conoscessi così bene. Gli altri invece dopo lo shock iniziale si erano fatti prendere dalla musica e cantavano con me. Forse le conoscevano già.
Ero arrivata all’ultima canzone ormai, era stato un bellissimo concerto. Quella che stavo per interpretare era quella nuova, non l’aveva sentita ancora nessuno tranne Aaron e Johnson che mi aveva aiutato con gli effetti musicali. Era dedicata a Callie più delle altre: mentre la scrivevo e poi la leggevo mi sembrava di parlare con lei.
«Ho ancora una canzone per voi» ho annunciato. «È nuova, non l’ho mai cantata in pubblico prima d’ora. La voglio dedicare alla mia ex-moglie che nonostante tutto stasera è venuta a vedermi cantare». Callie mi ha guardata. Poi ho iniziato a cantare.
“Take my hand
Tell me what you are feeling
Understand
This is just the beginning
Although I have to go
It makes me feel like crying
I don’t know when I’ll see you again”
Mi succedeva sempre quando cantavo: tutto quello che c’era intorno a me spariva. C’eravamo solo io e la mia musica. Il resto, tutto il resto diventava confuso e poco importante per quei due o tre minuti in cui durava la canzone. Ora però era diverso. Tutto era sparito come sempre, ma questa volta non eravamo solo io e la musica. C’era anche Callie. Quello era il nostro momento, esistevamo solo noi due in tutta la Terra. Non c’era nemmeno Sofia, non saprei spiegare il perchè.
“Darling leave a light on for me
I’ll be there before you close the door
To give you all the love that you need
Darling leave a light on for me
‘cause when the world takes me away
You are still the air that I breathe
I can’t explain, I don’t know
Just how far I have to go
But darling I’ll keep the key
Just leave a light on for me”
Non riuscivo a staccare i miei occhi dai suoi e potevo vedere (possibile?) che aveva gli occhi lucidi. Ho sentito che anche i miei si stavano riempiendo di lacrime e ho pregato intensamente di non fare qualche figuraccia per l’emozione, come scoppiare a piangere davanti a tutti o dimenticarmi le parole. Sarebbe stato imbarazzante. Per cercare di riprendermi ho provato a distogliere lo sguardo da Callie, ma era impossibile: mi attirava davvero come una calamita. Non ero più padrona del mio corpo, non riuscivo neanche a chiudere gli occhi. Potevo solo andare avanti a cantare, fino alla fine.
“Yes I know
What I’m asking is crazy
You could go
Just get tired of waiting
But if I lose your love
Torn out by my desire
That would be the one regret of my life”
Ho finito di cantare, la musica si è fermata e la realtà è tornata nella sua concretezza, travolgendomi con la forza di un treno e facendomi barcollare. Ogni singola persona del pubblico si era alzata in piedi, applaudivano e gridavano mentre potevo dire con una certa sicurezza di aver visto le labbra di Calliope formare le parole “Ti amo”. I miei amici applaudivano increduli e Sofia saltava sulla sedia tutta emozionata. «Grazie» ho detto con voce tremante. «Grazie a tutti».
Ho voltato le spalle al pubblico e sono tornata dietro le quinte, dove c’era Aaron ad aspettarmi. Come mi ha vista mi ha abbracciata. «Credo che potrei sposarti in questo momento, Arizona Robbins» mi ha detto. «Sei stata fenomenale, stratosferica».
«Senti Aaron...» ho cominciato io. «Vorrei... vorrei incontrare gli altri dopo. Cioè non tutto il pubblico, solo i miei amici e la mia famiglia».
«Ma certo» ha risposto. È sparito e ho sentito che annunciava sul palco: «Tutti quelli che possono dire di conoscere Arizona Robbins da prima che cominciasse a cantare sono invitati nel suo camerino. Gli altri potranno vederla più tardi fuori dal teatro». Ho sorriso tra me. Aaron era davvero unico.
Sono andata nel mio camerino e mentre aspettavo gli altri ho preso dei fogli che non guardavo da quasi due anni: le carte del divorzio, o meglio le copie che mi ero fatta da conservare. Le ho studiate per alcuni minuti riflettendo, c’era qualcosa che non mi tornava... In quel momento hanno bussato alla porta e sono andata ad aprire. C’erano tutti: Cristina, Meredith, la Bailey, Derek, Owen... tutti i miei amici dell’ospedale, era incredibile. Sono entrati nella stanza e ci sono stati abbracci, complimenti e il resto finchè Cristina ha preso la parola. «Arizona abbiamo una sorpresa per te. È qui solo per pochi giorni e quando ha saputo del concerto è voluta assolutamente venire a vederti». Il cuore mi è balzato nel petto. Stava forse parlando di...?
«Teddy!» ho esclamato con un sorriso enorme quando l’ho vista. L’ho abbracciata d’impulso. «Non ci posso credere, che bello vederti! Come stai?»
«Io benissimo, il Medcom è pazzesco, davvero. Ma tu quanti casini hai combinato nell’ultimo periodo?». Io ho riso, aveva ragione. Abbiamo parlato per un po’, finchè non ho visto Callie sulla soglia. Mi si è gelato il sorriso sulle labbra e gli altri si sono girati. «Va bene, noi andiamo» ha detto Meredith. Sono usciti tutti e io e Callie siamo rimaste immobili a guardarci, per tre interminabili secondi, poi è arrivato qualcosa di piccolo, che correva e che ha gridato: «Mamma!»
«Sofia!» ho esclamato prendendola in braccio. Era cresciuta tantissimo e assomigliava sempre di più a Calliope. «Sei bellissima, ma guardati! Come sei diventata grande!»
«Mi sei mancata, mamma» ha detto lei sorridendo. Io ho ricambiato con gli occhi umidi. «Anche tu piccola».
«Arizona... vorrei parlarti, puoi?» si è inserita Callie all’improvviso. Io ho annuito e rimesso Sofia a terra. «Tesoro, che ne dici di andare con la zia Cristina, mentre io e la mamma parliamo per un po’?». Lei ha annuito ed è corsa via. Io e Calliope ci siamo guardate negli occhi. «Senti...» ha cominciato lei, ma io l’ho interrotta. Finalmente era arrivato il momento che stavo immaginando da mesi.
«No, Calliope, adesso parlo io» le ho detto. «Mi dispiace. Lo so che sembra una frase inutile, ma è così. Mi dispiace di averti tradita, di averti incolpata per la gamba, di essere scappata così e di avervi abbandonate. Riuscirai mai a perdonarmi?»
«Arizona io... non vedevo l’ora che tornassi, mi sei mancata così tanto... sono pentita di aver chiesto il divorzio, non avrei dovuto» mi ha risposto. Questa frase mi ha fatto capire cosa ci fosse di strano in quelle carte. Le ho prese dal tavolo e le ho fatte a pezzi davanti ai suoi occhi. «Che diavolo stai facendo?» ha esclamato.
L’ho presa per le spalle e l’ho guardata dritto negli occhi. «Il nostro divorzio non ha senso» le ho detto.
«Che vuoi dire?» mi ha chiesto. Io ho sorriso.
«Guardiamo in faccia la realtà, Calliope. Non possiamo divorziare legalmente perchè non siamo legalmente sposate. Ma» ho aggiunto anticipando la sua osservazione, «secondo Dio noi siamo sempre state sposate. Lui è ovunque, no? Questo vuol dire che c’era anche quando la Bailey ci dichiarava moglie e moglie. E questo è molto più importante di un paio di stupide carte, me l’hai insegnato tu. Perciò tu sei ancora mia moglie e io sono ancora la tua. Quindi la domanda è: vuoi tornare con me?»
«Vuoi andare in municipio a finire quello che abbiamo cominciato?» mi ha chiesto lei alla fine.
«Speravo proprio che tu me lo chiedessi». Lei mi ha sorriso e poi l’ha fatto: mi ha baciata. Ho avuto l’impressione che il mio cuore ricominciasse finalmente a battere, dopo essere rimasto freddo e morto per due anni. Siamo uscite insieme e Sofia era lì che ci aspettava insieme a Cristina. «Sofia, stasera torno a casa con te e la mamma. Sei contenta?». Per tutta risposta lei ha cominciato a strillare e saltare per tutto il corridoio.
Alla fine l’abbiamo fatto. Siamo tornate a casa insieme e due settimane dopo, giusto il tempo di prepararci, ci siamo sposate. Una cosa molto semplice, solo noi due in municipio. Il matrimonio vero l’avevamo già fatto, questo era solo per noi. È stata una cosa immediata perchè entrambe non vedevamo l’ora di farlo. Finalmente eravamo di nuovo una famiglia.
Non ho smesso di fare la cantante, lo sono ancora. Aaron ha mantenuto la promessa e si è trasferito qui a Seattle. Gli abbiamo venduto l’appartamento di Mark, ci sembrava giusto farlo. Sono felice e non potrei esserlo di più.
NdA: Eccoci alla fine di questo viaggio! Divertiti? Io moltissimo a scrivere. Ho voluto lasciarvi un capitolo più lungo per l’occasione. Niente grazie infinite a tutti e... alla prossima! =D
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