In tranquillo esse quisque gubernator potest di angelikakiki (/viewuser.php?uid=118857)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A me piace guardarlo ***
Capitolo 2: *** Mi hai trovato, eh? ***
Capitolo 3: *** L'isola ***
Capitolo 4: *** Invidiavo le stelle ***
Capitolo 5: *** Non mi fido più ***
Capitolo 6: *** Tu tornerai a casa ***
Capitolo 1 *** A me piace guardarlo ***
Apro gli occhi. Sono viva,
respiro. Mi porto una mano sulla pancia. Non sento nessun liquido
simile al
sangue. No, infatti. La mia mano è pulita. Era solo un
sogno. Manca una
settimana alla Mietitura. Non so descrivere le mie sensazioni. Ansia?
No, non può
essere quella. La mia famiglia non ha mai dovuto chiedere cibo extra
dai
Pacificatori. Il mio nome c’è appena cinque volte.
Quindi, come classificare
una sensazione del genere? Inquietudine. Come se stesse per succedere
qualcosa.
Ma non mi viene proprio in mente niente. Mi alzo dal letto e apro la
finestra
della mia camera. Inspiro l’aria salmastra della spiaggia.
Qui si trova la mia
casa: proprio davanti al mare. Che ore saranno? Forse le sei. Non amo
svegliarmi tardi. Preferisco poter osservare il panorama che mi si para
davanti. Ma soprattutto, voglio vederlo pescare. Ed eccolo,
è sempre lì:
Finnick Odair. Il Sopravvissuto ai 65esimi Hunger Games. Vive nel
Villagio dei
Vincitori, un fantastico quartiere provvisto di ogni lusso.
È posizionato sul
promontorio. Immagino che da lì ci sia un’ottima
visuale. Ma Finnick viene
sempre a pescare davanti casa mia. Ogni mattina. E a me piace
guardarlo. Il
perché, non lo so. Non ci ho mai parlato, in
realtà. Né intendo farlo. So solo
che è un mistero. Nonostante conosca la sua storia a
memoria. Qui al Distretto
4 è una sorta di leggenda. Un tributo che ha fatto la
storia, ecco. Lo vedevo
ogni giorno in tv. Uccideva, pescava, e poi ancora uccideva. Ma mai un
lampo di
gioia o di soddisfazione nell’uccidere gli altri tributi,
anzi. Per avere avuto
all’epoca solo quattordici anni, nel suo sguardo si poteva
leggere una sorta di
compassione, mentre inforcava i suoi avversari con il suo famoso
tridente. E
una volta tornato qui… Niente. Lui non aveva sorriso, anzi.
Sembrava quasi
dispiaciuto di essere tornato. Poi, con il tempo, è tornato
normale: il ragazzo
di quattordici anni che amava fare castelli di sabbia e ridere con i
suoi amici
è l’incarnazione di questo Finnick diciannovenne.
Ma cè sempre un’ombra, su di
lui. Qualcosa che sembra non essersene ancora andato. E
quest’ombra, è messa in
luca proprio ora, su questa spiaggia. So che di tanto in tanto va a
Capitol
City. E ogni volta che torna, si mette a distribuire gioielli e pietre
preziose
ai bambini dei pescatori più poveri, i quali ci giocano come
fossero semplici
balocchi. Non tiene mai niente per sé. È proprio
un mistero. Lo guardo ogni
mattina, appena sveglia. È quasi confortante averlo
lì, nonostante lui non si
accorga del mio sguardo sulla sua nuca bionda. Mi fa sentire meno sola.
Certo,
ho sempre mia madre e i miei fratelli più grandi, ma non mi
capiscono quanto
vorrei. Fare amicizia, poi, è fuori discussione: io sono
“ quella strana”. In
realtà, non faccio niente di male: essenzialmente, dico solo
quello che penso.
Sempre. La sincerità è la mia stranezza. Ma non
ci posso fare niente. Non
riuscirei mai ad essere falsa con qualcuno. O a mentire su qualcosa. Va
contro
la mia natura. Tiro un sospiro mentre mi infilo velocemente i pantaloni
e la
camicia. Dopo la mia colazione, Finnick se ne andrà e io
sarò libera di
scendere per prendere la mia barchetta e controllare se i polipi sono
caduti
nelle mie trappole. Il concetto è semplice: metto delle
anfore vuote dentro l’acqua,
così che si possano poggiare sul fondo. Ad esse vi lego un
filo con una piccola
boa, così da sapere esattamente dove le ho posizionate. I
polipi ne fanno il
proprio rifugio e vi si infilano dentro. Poi, la mattina, mi basta solo
andare
a vedere se le ancore sono piene o no. Ad ogni modo, i polipi sono
molto
difficili da prendere. Me li pagheranno molto bene al mercato. Dopo
essermi
data un’ultima occhiata allo specchio, il mio sguardo si va a
riposare sulla
spiaggia. Non c’è nessuno. Come è
possibile? Finnick se ne va sempre dopo la
colazione. Oggi se ne è andato via prima. La cosa mi lascia
un po’ delusa.
Scendo le scale e apro l’armadio della cucina. Con la coda
dell’occhio, vedo
mamma dormire sul divano. Increspo le labbra in uno strano sorriso.
Tenerezza,
forse. Non saprei proprio. Tiro fuori dall’armadio una
scatola di biscotti e ne
mangio un paio. Alexander si è dato molto da fare per avere
quei biscotti. Ha
dovuto vendere un kilo di sardine fresche fresche. Ma ne è
valsa la pena. Alexander,
poi, è un genio con gli affari. Mio fratello ha
vent’anni, ed è proprio un bel
ragazzo: alto, moro e con due occhi azzurri come il mare. Niente a che
vedere
con me: troppo minuta per la mia età, due occhi
smeraldi e capelli
castani tendendi al rosso. Non sono proprio una classica bellezza del
Distretto
4. Niente a che vedere con le sorelle di Finnick Odair, ecco. Mi infilo
un
giacchetto e apro la porta di casa. Spero solo di non aver svegliato
nessuno.
Ma di solito non succede mai. Mi volto di scatto per osservare il
panorama in
tutto il suo splendore: il mare è calmo e pacato, ma
sull’acqua vi sono piccoli
riflessi dorati di un sole appena sorto. Scendo la duna di sabbia e mi
avventuro nella vegetazione bassa e rigogliosa. Il mio viaggio non dura
tanto:
in men che non si dica sono sulla spiaggia. Ed eccola! La mia barchetta
rossa.
Me l’aveva regalata mio padre. Vi aveva fatto dipingere “ In tranquillo esse quisque gubernator
potest”. Ignoro il significato di
quelle parole. E le ignorerò per sempre. Mio padre era
vissuto tra il lusso e
lo sfarzo: mio nonno era il Sindaco del Distretto 4. Aveva studiato
opere
immortali, alcune di esse anche scritte in questa strana lingua. Ma
ormai non
ha più importanza. Mi aveva promesso che mi avrebbe svelato
il contenuto della
frase una volta compiuti sedici anni. Bhe, ho sedici anni. E lui
è annegato.
Apro il lucchetto della catena che lega la barca a una specie di anello
di
ferro legato a un palo posizionato lì da prima che nascessi.
L’aveva costruito
mio nonno. La confusione dei pensieri nella mia testa non mi rende
attenta e
sussulto, quando sento alle mie spalle:
“ Hey, tu!
Mi volto di scatto,
con un piccollo urlo. C’è Finnick. Finnick Odair.
Non so cosa rispondergli. Mi guarda con fare sfacciato, un
po’ troppo
compiaciuto forse. Io, dal canto mio, mi limito ad osservarlo
imbarazzata.
“ Sei tu la
ragazza che ogni mattina mi fissa, dico bene?” mi domanda.
Ok, questo è troppo. Sento l’umiliazione e
l’imbarazzo crescere dentro di me
ogni secondo di più. Mollo tutto: la barca, la catena, le
chiavi, e, a passo di
marcia, provo a tornarmene a casa, provando a fermare le lacrime di
vergogna. Lui
mi blocca, mettendosi davanti a me. È veloce, molto veloce.
Mi prende le
braccia. Io abbasso lo sguardo. Ma cosa diamine vuole? Mortificarmi?
C’è
riuscito.
“
Hey… va tutto bene, ok? Perché fai
così?” mi domanda. Scuoto la testa.
Sono incapace anche di parlare, tanto sono imbarazzata. Forse
è il momento più
umiliante della mia vita.
“ Volevo
solo sapere chi eri, me lo chiedevo sempre…”
ammette lui.
Lascia le mie braccia. Riesco ad emettere un sospiro e trovo il
coraggio di
guardarlo negli occhi. Ha degli occhi verdi, con lievi sfumature di
castano
dorato. Guardando più attentamente, riesco anche a
distinguere delle
macchioline grigie che circondano l’iride. Mi sorride, ma non
vedo scherno nei
suoi lineamenti, né ira. Sì, posso
percepire… curiosità.
“
Sì, sono io. Mi dispiace davvero, non succederà
più” dichiaro
allontanandomi verso la barca.
“ Aspetta,
aspetta! Non mi dava fastidio, ok? Cioè, puoi continuare a
guardarmi tutte le volte che vuoi!” esclama raggiungendomi.
Gli scocco un’occhiata
carica di rimprovero. Ma chi si crede di essere? Il significato
implicito delle
sue parole non è proprio dei migliori.
“ Ok, forse
così suona molto da ‘ragazzo presuntuoso e pieno
di sé’…
“
Esatto” dichiaro scansandolo e continuando a dirigermi verso
la barca.
Lui non mi segue subito. Sento che è rimasto indietro e il
suo sguardo mi
formicola sulla testa.
“ Come ti
chiami?” mi domanda.
“ Annie.
“ Piacere
Annie. Finnick” mi dice raggiungendomi e tendendomi la mano,
mentre recupero nella sabbia le chiavi. L’afferro in modo
molto sbrigativo.
“ Bene.
Adesso scusami davvero, ma devo andare a vedere i polipi hanno
abboccato!” esclamo spingendo la barca verso il mare. Lui mi
aiuta.
“ Ah, il
classico metodo delle anfore oppure punti a qualcosa di più
elaborato?” mi chiede premendo le sue mani sulla mia barca.
“ Le
anfore. Gli altri trucchetti non funzionano bene come questo”
affermo pensandoci su. È vero che non ne avevo sperimentati
tantissimi… Ma con
le anfore era molto più facile la cosa.
“
Già, penso proprio che tu abbia ragione. Senti…
ti dispiace se vengo
con te?” mi domanda. Ormai la barca tocca l’acqua.
Ci fermiamo. Lo scruto
attentamente. Sì, la barca dovrebbe poter reggere anche il
suo peso, è
sicuramente meno massiccio di Alexander. Ma lo voglio lì con
me? Mica tanto. La
sua presenza mi agita parecchio per motivi a me sconosciuti. Forse
questo
disagio è dovuto al fatto che l’ho visto
ammazzare, scuartare e massacrare
almeno dieci tributi dei 65esimi Hunger Games. Ma il suo volto dice
altro. No,
non è un pericolo per me, glielo leggo negli occhi. E io
sono brava a capire le
persone.
“
Perché?” gli chiedo. Tanto per conferma. Lui mi
indica qualcosa
posizionato a qualche metro di distanza. Una canna da pesca.
“ Mi serve
qualcosa da portare a mia madre. Ce l’hai
l’occorrente per
pulire il pesce, là dentro?” mi domanda.
“
E’ ovvio” sussurro un po’ infastidita
dalla sua domanda stupida. Lui
sorride e corre a prendere la canna. Mi aiuta a spingere la barca e
aspetta che
io sia salita prima di mettersi dentro pure lui. Sto per prendere i
remi, ma
lui insieme: vuole remare lui. E io, in tutta sincerità, ne
sono contenta. È sempre
una faticaccia, soprattutto per chi ha due spalline piccole come le
mie.
Arriviamo alla prima boa. Tiro su l’anfora. È
vuota.
“
Annie… quanti anni hai?” mi chiede nel frattempo.
“
Sedici…” rispondo io mentre ricalo giù
l’anfora.
“ Io invece
ne ho…
“
Diciannove. So tutto di te, Finnick!” replico indicandogli
con il dito
l’altra boa.
“ Oh, spero
proprio di no!” afferma lui ridendo. Ha una bella risata.
Argentina, squillante. Un bel suono, insomma. Sorrido anche io al suono
di
quella risata.
“ Allora,
se sai tutto di me, possiamo anche concentrarci su di te,
no?”
mi domanda. Concentrarci su di me.
“ Mi
dispiace, Finnick, ma ne resterai molto deluso. La mia vita non
è
molto interessante” gli confesso.
“ Oh, fammi
indovinare allora, vediamo se ci prendo!” esclama lui mentre
prendo la seconda boa.
“ Sei la
più piccola della tua famiglia…” mi
dice improvvisamente.
Annuisco. Nel frattempo, vedo dentro l’anfora.
C’è un polipo. Lo estraggo
rapidamente e gli sbatto la testa contro un lato della barca.
“
… ma te la sai cavare benissimo anche da sola, senza
l’aiuto di
nessuno più grande di te!” conclude alla vista di
questa scena.
“ Certo che
sì, Finnick!” dichiaro contenta di aver catturato
la mia
preda. Lo guardo attentamente. Sembra che mi stia studiando.
“ Tu non
hai amici” sussurra. Resto di sasso. Ma come…?
“ E hai
sofferto tanto. È per questo. Hai difficoltà ad
aprirti con le persone,
ma quando lo fai, gli dimostri chi sei veramente, senza censure. La
gente,
allora, si spaventa. Non è facile adattarsi al cambiamento
che fai. Quindi
scappano tutti. È normale, sai? Lo fanno anche con
me” ammette alzando le
spalle. Non riesco a rispondergli. Come diamine fa a sapere…
mi ha capita
meglio lui in dieci minuti che le persone che mi conoscono da una vita.
Non è
possibile. Al mio sguardo stupito, mi risponde con un sorriso radioso.
“ Quando
hai sofferto tanto, impari a riconoscere la sofferenza
altrui!”mi
spiega velocemente Finnick. Abbasso lo sguardo.
“ Ti
riferisci agli Hunger Games?” chiedo in uno sprazzo di
coraggio.
Lui molla i remi ed afferra la canna da pesca.
“ Gli
Hunger Games… e non solo” dichiara gettando in
mare l’amo già
provvisto di esca. Il modo in cui l’ha detto mi fa capire che
la conversazione
è momentaneamente finita. Aspettiamo qualche minuto. In
questo lasso di tempo,
però, non riesco a smettere di fissarlo come una matta.
Scruta l’acqua
attentamente, rilassato però. Si vede che è un
pescatore esperto. Ma ci vuole
una buona dose di fortuna. Appena formulo questo pensiero, ecco che
qualcosa
abbocca all’amo. Certo, che stupida: un essere umano che
riesce a vincere gli
Hunger Games a quattordici anni deve essere per forza fortunatissimo.
Prendo
velocemente il materiale per pulirlo da uno dei cassetti della mia
piccola
barchetta e glielo porgo. È una scatolina metallica,
provvista di un coltello,
una grattugia per levare le squame e una piccola tavola di legno. Le
sue mani
lavorano velocemente: si vede che è abituato. E poi arriva
quel fantastico
momento: Finnick taglia la testa al pesce. Rabbrividisco un
po’. Lui sembra
accorgersene.
“ Ti
dà fastidio?” mi chiede.
“
Sì, em… lascio sempre che siano i miei fratelli a
farlo. Non mi piace
il gesto, non so. Mi spaventa” gli spiego. Spero solo che non
mi abbia preso
per una pazza scatenata.
“ No, eh?
Però non hai paura di allontanarti così tanto da
casa con un
potenziale assassino” afferma improvvisamente. Sento il suo
tono farsi più
cupo. Metto su un sorrisetto nervoso.
“ Tu non mi
farai del male.
“ Come lo
sai? Dici di sapere tutto su di me. Allora sai anche che ho
inforcato esattamente… dieci persone con il mio tridente.
Non sei spaventata?
“ Per
niente. So capire bene le persone.
“ E di me
cosa hai capito?” mi domanda.
“ Che ti
senti molto solo, Finnick” gli rispondo d’un fiato.
Lui smette
di pulire il pesce. Mi guarda negli occhi. Cosa vedo nelle sue pupille?
Paura?
Sgomento? Meraviglia? Non saprei.
“ Sai
Annie… ci hai preso. Ci hai proprio preso”
dichiara ributtandosi
nel suo lavoro. Provo a concentrarmi sull’acqua, ma i
pensieri galoppano
lontani. In silenzio, ritorniamo sulla spiaggia. Mi aiuta a scendere
dalla
barca e la riposizioniamo dove stava prima. Ho messo in una busta il
mio bel
polipo: ci potrò comprare anche il latte, se tutto va bene.
Sto chiudendo il
lucchetto, quando sento:
“
Annie…
Alzo gli occhi.
Finnick Odair mi sorride dolcemente. Cerco di non
arrossire.
“ Dimmi.
“ Grazie per oggi.
E, anche se non potrò più parlare con te, mi ha
fatto
davvero piacere conoscerti” mi dice. Non riesco ad afferrare
il senso delle sue
parole, ma, prima di averle razionalizzate, lui si volta e se ne va.
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Capitolo 2 *** Mi hai trovato, eh? ***
Mi sveglio, dolcemente stavolta.
Nessun
incubo. Ma che ore sono? È presto. È sempre
presto. Mi sveglio quasi sempre
alla stessa ora. Perfetto. Mi affaccio velocemente alla finestra. Ma
niente.
Non c’è nessuno. Sento i miei muscoli facciali
scivolarmi di dosso. Lui non è
lì. Non sta pescando. Scuoto la testa, come per far uscire
gli spiacevoli
pensieri che mi si insinuano nella testa. Arriverà. Ne sono
certa. Continuo a
scrutare la spiaggia. Di tanto in tanto, getto un’occhiata
sugli altri oggetti
della mia camera, per poi rifar posare lo sguardo fuori dalla finestra,
nella
speranza di vederlo comparire all’istante. Ma niente.
Sbuffando, comincio a
prepararmi. Butto altre occhiate, indugiando in altri punti della
spiaggia.
Forse è fuori dalla mia visuale. Ma come è
possibile? Lui viene ogni mattina. È
da tre anni che lo fa quotidianamente. E a volte, si tratteneva anche
più del
solito. Ma oggi non c’è. Sento aprirsi una porta
alle mie spalle.
“ Annie…
“ Amadeus! Sto in
mutande!” esclamo
infastidita infilandomi velocemente i pantaloni. Lui indugia sulla
porta,
aspettando che gli dia il permesso di entrare. Quando lo fa, rimango
sempre
spiazzata da quanto siamo simili: capelli color porpora, pelle chiara e
occhi
neri come la pece. Somiglia in modo impressionante a papà.
“ Scusa se ti disturbo,
mamma ha detto che
oggi va lei a prendere i polipi.
“ Ma perché vi
siete svegliati così presto?”
domando considerando questo strano evento.
“ Mamma ha avuto uno dei
suoi attacchi,
stanotte” mi spiega Amadeus. Sì, vedo le occhiaie
contornare i suoi occhi
scuri.
“ Potevate svegliarmi,
no?” gli dico stizzita,
girandomi verso la finestra. Finnick non c’è.
Stringo le labbra.
“ Lo sai che non vogliamo
farti preoccupare.
“ Il fatto che io sia la
più piccola, non vi
dà il diritto di nascondermi le cose. Adesso sta bene, vero?
Almeno questo puoi
dirmelo, spero” affermo scoccandogli un’occhiata di
fuoco. Lui annuisce
debolmente.
“ Sì,
Annie… ma per farla guarire, ci servono
le medicine giuste” dichiara mettendosi a sedere sul mio
letto. Gli vado
vicino, mettendomi a sedere senza guardarlo negli occhi.
“ Non ci arriviamo con i
soldi, eh?
“ Sarebbe inutile anche
solo provarci. Se
mettessimo da parte i soldi necessari per almeno una delle medicine che
le
servirebbero, non dureremo neanche due giorni” mi spiega tra
i denti. Il mio
sguardo indugia sulle sue mani. Ha i pugni serrati. Sbuffo. Dovremo
tenercela
così, e sperare che non muoia da un momento
all’altro, in preda ai suoi
attacchi. Il dottore si era raccomandato con noi. Ma nonostante la
tenessimo
lontana dagli stress emotivi, almeno una volta al mese, dava di matto.
Le
servono i tranquillanti, psicofarmaci, comunque. E quelli hanno un costo.
“ Voglio offrirmi
volontario” sussurra
Amadeus. Mi casca il mondo addosso. No, non può averlo detto
sul serio.
“ Che cosa? Stai
scherzando?” gli chiedo io
alzando lo sguardo. No, è terribilmente serio. Nessuna
traccia di ironia o
sarcasmo.
“ No. Io… non
posso convivere con questo peso,
Annie. È colpa mia se papà è morto e
tu lo sai. Sei l’unica che non mi odia qua
dentro” esclama con gli occhi lucidi.
“ Amadeus, non dire
assurdità…
“ E’ vero!
È colpa mia! Se non avessi voluto
per forza andare a fare quella gita sugli scogli…”
dice.
Amadeus era curiosissimo di vedere
la visuale
dagli scogli. E papà gli aveva promesso che il 14 giugno ce
l’avrebbe portato.
Solo che c’era un temporale, e il mare era mosso. Ma Amadeus
voleva andarci a
tutti i costi, anzi, il fatto che il mare fosse mosso era un motivo in
più per
osservare un panorama particolare. Mio padre non voleva, ma alla fine
aveva
caduto. E fu lì che accadde tutto. Papà
scivolò da uno degli scogli. I
tentativi di salvarlo da parte di Amadeus furono inutili. Se lo
portò via il
mare. Amadeus non aveva parlato per settimane. Mamma e Alexander lo
evitavano.
Solo io cercavo di stargli vicino, nonostante il dolore.
“ La tua morte non lo
riporterà indietro! E se
proprio vuoi suicidarti per i sensi di colpa, puoi pure andarti ad
impiccare su
quell’albero lì!” dico indicando un
alberello poco distante dal recinto di casa
nostra.
“ E chi ha detto che devo
morire? Se vincessi,
avremo i soldi necessari per…
“ Oh, andiamo, la tua
assomiglia molto di più
a una missione punitiva contro te stesso, piuttosto che a un atto di
amore
verso di mamma” affermo io incrociando le braccia. Lui scatta
sulla difensiva.
“ E comunque è
una cosa che devo decidere io e
io soltanto! Non so neanche perché te ne ho parlato! Sei
solo una bambina,
dovresti pensare agli svaghi e ai ragazzi piuttosto che atteggiarti da
adulta!”
urla alzandosi in piedi.
“ Per tua informazione ho
solo due anni in
meno di te, e dai discorsi che fai sembri tu quello poco maturo! Come
la
prenderebbe mamma, eh? Morirebbe se ti vedesse salire su quel
palco!” grido io
in preda alla rabbia, alzandomi a mia volta.
“ Ne sarebbe solo che
felice, una bocca in
meno da sfamare!
“ Vedi? Tu non vuoi
vincere, tu vuoi solo
trovare un pretesto per ammazzarti! Non dirmi che ti aspettavi un mio
assenso!
Tu puoi fare come ti pare, ma ti stai comportando da
vigliacco!” dichiaro fuori
di me. Vedo l’ira salirgli negli occhi. Diventa tutto rosso e
stringe le labbra
facendole diventare violacee. Può arrabbiarsi quanto vuole:
non cambierà quello
che penso. Con un’ultimo sguardo carico d’odio,
esce dalla mia stanza sbattendo
la porta. Mi tuffo sul letto. Ma è impazzito? Si aspettava
davvero che
appoggiassi la sua decisione? Lui vuole ammazzarsi. Ma non ha il fegato
di
suicidarsi. Vorrebbe che qualcuno lo facesse al posto suo. Ecco
perché
infastidisce tutti i ragazzi del Distretto. Ci va sempre a finire a
botte.
Spera che qualcuno, un giorno, lo finisca. Potrei ammazzarlo io, se me
lo
chiedesse. Almeno così eviteremmo queste sceneggiate da
piccolo eroe tragico e
incompreso.
Considero cosa fare durante questa
giornata.
Il pensiero di Finnick Odair mi ossessiona, ma lo scanso via
facilmente. Potrei
andare in barca e godermi il panorama. Ma no, mamma ha preso la barca.
Sento
bussare alla porta.
“ Avanti…
Entra Alexander. Mi sorride
dolcemente, mentre
mi scruta le guance. Devono essere ancora rosse per lo scatto di ira
avuto
prima. Alexander, come me, ha il fantastico dono di capire al volo le
persone.
Si siede accanto a me.
“ Che voleva
Amadeus?” mi domanda.
“ Dimostrarmi la sua
stupidità” gli rispondo
con un sorrisetto sprezzante.
“ Una cosa nuova,
insomma” afferma lui
fissando il muro della stanza. Dopo un attimo di esitazione, mi chiede:
“ Senti… ieri
mattina ti ho vista mentre
andavi a controllare i polipi. Sbaglio o con te
c’era… Finnick Odair?
Arrossisco un po’. Ma
provo a mettere su un
atteggiamento normale e distaccato.
“ Sì.
Perché me lo chiedi?
“ Perché non
sono sicuro a lasciarti con
quello lì. Si dicono cose strane su di lui” mi
dice serio.
“ Se è per gli
Hunger Games, immagino che non
avesse scelta. Lì sono tutti assassini” dichiaro
fiera e decisa. Alexander
scuote la testa.
“ No, io non mi riferisco
agli Hunger Games.
Le sue visite a Capitol City, per esempio. Ti ricordi il mio amico
Salem, il
custode della stazione? Bhe, mi ha detto che, quando Finnick va a
Capitol City,
torna sempre alle cinque di notte… Cioè, parte il
pomeriggio verso le tre e
torna alle cinque di notte. Che cosa va a fare lì fino a
quell’ora? E torna
sempre carico di gioielli o altra roba costosa. Non ti sembra
strano?” mi
domanda.
“ Non mi importa se
è strano. Ognuno fa quello
che vuole nella vita. So solo che non penso sia una cattiva persona. Ci hai
mai
parlato?” gli chiedo io. Lui scuote la testa. Ora capisco. Se
ci parlasse, se
ne accorgerebbe subito. Il nostro talento condiviso è
più utile di mille
racconti o confessioni varie.
“ Dovresti. Glielo si
legge negli occhi!”
dichiaro dandogli una pacca sulla spalla. Mi alzo in piedi.
“ Dove vai?” mi
chiede lui.
“ Sotto il promontorio.
Voglio andare a
nuotare un po’” gli rispondo. Esco di casa e mi
avvio verso gli scogli del
promontorio. Non sono troppo distanti, e comunque è
piacevole fare una
passeggiata sulla spiaggia. Ed eccomi arrivata. Alzo lo sguardo. Sopra
la
parete di roccia che emerge dalla sabbia, il Villaggio dei Vincitori.
Casa di
Finnick. Mi guardo intorno. Qui sotto non ci viene mai nessuno. Non
è un posto
molto conosciuto, ed è difficile nuotare qua dentro per via
degli scogli e
della corrente. Ma sono una delle migliori nuotatrici del Distretto, me
lo
dicono tutti. Mi spoglio velocemente, lasciandomi addosso solo la
biancheria
intima. E così, mi butto. Sento l’acqua salata
invadermi le membra e, una volta
tornata in superficie, sospiro. E così bello poter nuotare
lì dentro. D’un
tratto, però, sento una voce.
“ Mi hai trovato,
eh?” chiede. Mi volto.
Finnick Odair mi guarda attentamente, uscendo dal suo “
nascondiglio” dietro
uno scoglio. Nonostante la sorpresa e l’imbarazzo, riesco a
ciancicare:
“ Non ti stavo cercando!
“ Ma io mi stavo
nascondendo da te” afferma un
po’ troppo serio. Questo ragazzo parla per enigmi, non riesco
a seguirlo. Mi
avvicino verso gli scogli, per poterci parlare meglio.
“ Perché oggi
non sei venuto sulla spiaggia?”
gli domando.
“ Te l’ho
detto, no? Mi stavo nascondendo da
te” mi spiega mettendosi a sedere sullo scoglio al quale sono
aggrappata. Rido
sarcastica.
“ Sì, certo.
“ Te lo giuro. E
comunque, te ne accorgeresti
se stessi dicendo una bugia, no? Tu sei brava a capire le
persone” mi sussurra
guardando l’orizzonte. Infatti è proprio questo
che mi spaventa: non riesco ad
individuare segnali di gioco o di scherzo nel tono della sua voce.
Cerco di
cambiare argomento.
“ Non ti
tuffi?” chiedo.
“ Vorrei, ma non so
quanto la cosa ti potrebbe
far piacere” mi dice sorridendomi con lo stesso sorriso di
ieri.
“ E per quale motivo?
“ Stai in biancheria
intima, Annie” mi spiega
con una risata. Impallidisco prima di sentire il sangue salirmi sulle
guance. O
Santo Cielo, è vero. Mi spingo più
giù, facendo sprofondare le spalle sotto il
pelo dell’acqua.
“ Oh, già.
Em… allora fammi risalire, dai. E
girati, ti prego!” esclamo. Lui si volta sghignazzando, posso
sentirlo. Che
avrà da ridere non lo so. Mi arrampico sullo scoglio e
afferro i miei vestiti.
Non ho il tempo di farmi asciugare la biancheria, quindi mi infilo
velocemente
la camicetta e i pantaloni. Si bagneranno, ma non mi importa. Quando
Finnick si
volta, vedo i suoi occhi indugiare sulla parte bagnata della mia
camicia,
dovuta al contatto con il reggiseno bagnato. Ed in quel momento ho
paura. Ma
l’istante dura davvero un attimo, perché poi i
suoi occhi incontrano i miei.
“ Oggi non sono venuto
sulla spiaggia perché
non volevo rincontrarti, Annie” ammette serio.
“ E per quale assurda
ragione?” gli chiedo.
“ Perché ieri
non ho fatto altro che pensare
alla nostra conversazione” mi spiega velocemente. Ma mi sta
prendendo in giro?
“ Non vedo cosa ci sia di
male. Anche io ho
ripensato a ieri” replico sinceramente mentre mi asciugo con
un’asciugamano i
capelli.
“ Io non posso
permettermi di legarmi a
nessuno” dichiara. Lo guardo interrogativo. Indugio sui suoi
occhi. Non riesce
a guardarmi fisso. Mi sta nascondendo qualcosa. E non vuole mettermi al
corrente di quello che gli passa per la testa.
“ Ti chiederei
perché. Ma so che non me lo
dirai, dico bene?” domando io acida.
“ Ci hai preso anche
stavolta… sei
incredibile… ”afferma continuando a tenere lo
sguardo basso e accennando una
risata.
“ Ok. Ci sono delle cose
che vuoi tenerti per
te. Lo capisco. E poi, io e te non siamo amici” sussurro a
bassa voce. Lui
annuisce.
“ Esatto. E non dobbiamo
esserlo,
assolutamente. Mi dispiace, Annie” mi risponde. Sospiro.
“ Bhe, potevi dirmelo
ieri. Anzi, potevi non
avvicinarti proprio, per quanto mi riguarda. Mi avresti fatto solo che
un
favore” replico afferrando la roba e andandomene. Sento che
mi chiama. Ma non
mi volterò. Mi ha detto chiaro e tondo che non vuole/
può vedermi. Quindi i
giochi sono chiusi. Ho avuto un assaggio di Finnick Odair. E se me ne
importasse qualcosa, sarei anche triste di aver perso così
la possibilità di
conoscerlo meglio. Cosa che non sono. Credo.
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Capitolo 3 *** L'isola ***
Sto
fissando il soffitto. È mattina presto e
ancora non so cosa fare oggi. Spero solo che qualche polipo abbia
abboccato,
così almeno potrò venderlo. Mi alzo dal letto e
mi stiro le braccia. Ieri non è
stata una giornata molto produttiva: ho pescato per un po’,
ma ho ottenuto solo
due sardine. Praticamente inutili. Vado alla finestra. Nonostante
sappia che
Finnick Odair non verrà più a pescare su questa
spiaggia, ammirare il paesaggio
mattuttino è un’abitudine troppo ben radicata per
poter essere trascurata. Ma
non sono pronta a quello che sto vedendo. Finnick Odair è
lì seduto. Ma al
posto di pescare, mi sta fissando. Il suo sguardo è rivolto
verso di me. Mi
sorride e mi fa un cenno con la testa, come per dire “
scendi”. Mi guardo
intorno. Ma siamo sicuri che stia guardando proprio me? Ebbene
sì, a quanto
sembra. Mi volto dandogli le spalle. Che faccio? Scendo? Non scendo?
Tanto
prima o poi dovrò andare: i polipi mi chiamano. Apro
l’armadio: perché non
riesco a mettermi la prima cosa che trovo? Opto per un paio di
pantaloncini e
una maglietta verde. Sì, dovrebbe andare. Attraverso il
recinto e la
vegetazione, prima di arrivare sulla spiaggia. Quando guardo Finnick,
non
riesco a trovare la sua canna da pesca. È qui per me.
“
Ciao, Annie” mi dice con dolcezza. Tiro su
il mento e sospiro.
“
Dimmi, che ti serve? Vuoi uno dei miei
polipi? Li sto andando a prendere proprio ora” dichiaro
andando verso la barca.
Finnick si alza e ride.
“
No, non voglio i tuoi polipi. Voglio
portarti in un posto. Ne ho facoltà?” mi chiede in
modo pomposo, quasi per
prendermi in giro.
“
No. Io e te non siamo amici, siamo a
malapena conoscenti. Sarebbe quanto mai folle avventurarsi per mare con
una
persona con la quale non si ha confidenza, no?” gli chiedo.
“
Allora saremo due folli, mi sa” afferma lui
contento. Niente, non riesco a trattenere un sorrisetto compiaciuto. Se
l’è
giocata bene, eh?
“
Avanti, aiutami a spiangerla in mare!” gli
dico. Lui scuote la testa.
“
No, no. Stavolta ci andiamo con la mia
barca. Abbiamo qualche ora di tempo?” mi domanda. Lo guardo
dubbiosa. Sento una
voce alle mie spalle.
“
Annie!” urla Alexander. Mi prende un colpo.
Lo guardo quasi colta in flagrante. Che poi, perché? Non lo
so.
“
Alex! Senti… vai tu a controllare i polipi?”
gli domando correndogli incontro. Il suo sguardo percorre me e Finnick.
“
Sì, va bene… e tu dove vai?
“
Viene con me” annuncia Finnick smagliante. “
Piacere, Finnick Odair” dice tendendo la mano verso mio
fratello. La mascella
di Alexander si scioglie al sorriso di Finnick. Niente, questo ragazzo
conquista chiunque. La stringe quasi… calorosamente.
“
Ok, ok… ma devi stare qui per pranzo, Annie.
Niente scuse” dichiara rivolgendosi a me. Annuisco, grata che
mi lasci andare
con Finnick. E con un ultimo saluto, io e Finnick ci incamminiamo verso
il
promontorio.
“
Allora… che vogliamo fare?” chiedo a lui
sospettosa.
“
In che senso?” mi domanda a sua volta
sorridendo verso di me.
“
Nel senso… non ci capisco niente. Tu ieri
hai detto…
“
So quello che ho detto” dichiara scattante.
“ Ma i miei buoni propositi non mi impediscono di fare quello
che realmente
voglio.
“
E cosa vuoi?” gli chiedo. Gli occhi del
ragazzo si abbassano verso la sabbia, per poi cercare i miei fin troppo
rapidamente.
“
Conoscerti. È tanto egoistico da parte mia
voler stare bene con qualcuno?” mi domanda con lo spettro di
un sorriso sulle
labbra.
“
No. Non più di tanto. Ma a me risulta
difficile pensare che tu possa davvero voler conoscere me”
gli dico. Solo un
attimo dopo mi rendo conto delle parole che ho pronunciato. Lui scoppia
a
ridere.
“
Questa poi! E sentiamo, perché dovresti
pensare una cosa del genere?” mi domanda.
“
Perché tu sei Finnick Odair, una specie di
celebrità, qua in questo schifo di Distretto.
“
Ti sottovaluti parecchio.
“
Non dico questo. Dico solo che dovresti
essere circondato dallo sfarzo e gioire di ciò con altre
persone che possono
permetterselo. Insomma, dovresti snobbare le persone come me, che a
malapena
riescono ad arrivare a fine giornata” gli spiego cercando di
metterla sullo
scherzo. Ma non mi riesce molto bene. Lui scuote la testa.
“
Oh, mia povera e dolce Annie… se potessi
scegliere, butterei tutti i miei averi
nell’oceano!” grida con lo sguardo
rivolto verso il cielo. Vorrei indagare di più, ma lui mi
indica qualcosa con
il dito.
“
E’ quella” dice. Non è una barca.
È una
specie di gommone attaccato a un gancio in mezzo all’acqua,
proveniente da
Capitol City, se l’esperienza non mi inganna. È
provvisto di una specie di
motore attaccato alla parte posteriore.
“
Questo affare è veloce?” gli chiedo non
riuscendo a contenere la curiosità.
“
Più di quanto sembri” afferma. Mi aiuta a
salire sull’imbarcazione e, una volta salito anche lui,
stacca il gancio e
preme un bottone sulla parte anteriore. Io mi metto a
“prua”. È confortevole
sentire tutto questo vento scomigliarmi i capelli. È una
cosa che mi è sempre
piaciuta.
“
Dove hai detto che andiamo?” gli domando
urlando, per contrastare il rumore del vento. Non mi risponde, ma si
limita a
sorridere indicando gli scogli più avanti. Impallidisco.
“
Ma lì non ci si può andare!” grido.
Finnick
alza le spalle, ironicamente dispiaciuto. E ci addentriamo al di
là degli
scogli. Poi, improvvisamente, lo vedo cambiare rotta. Punta verso
destra,
andando oltre il promontorio. Non ero mai andata così
lontano. E ci mettiamo
poco meno di un minuto. Poi, improvvisamente, grida il mio nome e mi
indica
qualcosa a destra. Devo strizzare gli occhi per vederla. Una piccola
isoletta
si erge in mezzo al mare. Possono distinguere le palme. Il gommone
perde
velocità man mano che arriviamo e ci lasciamo trasportare
dalle onde del mare verso
la riva. Guardo l’acqua. Non ho mai visto un fondale
così chiaro, un’acqua così
azzurra come il cielo. Sull’isola vi sono delle palme
imponenti, d’un verde brillante.
Finnick, spingendo un pulsante, lascia cadere
‘qualcosa’ che si attacca sul
fondo marino, impedendo così alla barca di muoversi. Poi,
improvvisamente, si
toglie i vestiti e, con solo un piccolo slip rosso a coprirgli il
corpo, si
tuffa. Quando riemerge, vedo che l’acqua è
più bassa di quanto pensassi: gli
arriva a metà petto.
“
Dai, Annie, tuffati, così possiamo andare
sulla spiaggia!” mi dice. Mi guardo intorno. Siamo
completamente soli. Ma io
non mi sono portata il costume appresso. Finnick sembra cogliere
l’imbarazzo
della cosa.
“
Sei vuoi mi giro…” sussurra cercando di
trattenere un sorrisetto. Mi sa tanto di provocazione, così,
senza dirgli
niente, mi tolgo la maglietta e i pantaloncini e mi tuffo. La sua
sorpresa è
tangibile, quando riemergo dall’acqua. Combattendo contro il
rossore, provo a
guardarlo con fare di sfida. Ma non mi sembra la faccia di uno che ha
perso,
anzi. Nuotiamo fino alla spiaggia. Lui è un nuotatore
esperto, si vede dal modo
in cui muove la braccia, con un ritmo fin troppo regolare. Io anche me
la cavo
bene, però: riesco a stargli dietro, sebbene a fatica. La
corrente ci trascina
sulla spiaggia, dove la sabbia è fina come la farina e
morbida come il burro.
Mi ci abbandono letteralmente, sdraindomici sopra. È una
sensazione
meravigliosa. Anche lui fa lo stesso, mettendosi comodamente sdraiato
al sole.
Oggi nel cielo non ci sono nuvole. Inspiro la brezza: stranamente non
riconosco
quel tipico odore di pescato tipico del nostro Distretto e questa
è la cosa più
bella di sempre.
“
Annie…” mi sussurra. Io ho gli occhi chiusi,
ma sento la luce del sole venire meno. Li apro. Finnick mi fa ombra.
“
Sì?” rispondo con la voce un po’
impastata.
“
Ci credi al destino?” mi chiede. Mi metto
anche io a sedere, senza guardarlo negli occhi. Mi limito a fissare il
mare. Il
mare. Quel luogo meraviglioso che amo. Quel luogo terribile che mi ha
portato
via mio padre.
“
Sì” dichiaro dopo qualche istante.
“
Anche io. Secondo me è una forza che
sconvolge l’ordine delle cose, ed è inutile
provare a fare resistenza, no?” mi
domanda fissandomi. Io decido di non incrociare il suo sguardo, quando
gli
annuisco velocemente. Lui sospira.
“
Bene. Io e te Annie non dovremmo essere
amici. Ma… L’altro ieri… per la prima
volta dopo cinque anni… non mi sono
sentito… solo, proprio come hai detto tu. Non lo so, sento
che c’è qualcosa
dentro di te che… che mi capisce. E questa cosa mi serve.
Quindi… anche se, a
mio avviso, rimpiangerai questo giorno… Annie, vorresti
essere mia amica?” mi
domanda sorridendo. Ed è in quel momento che mi accorgo di
quanto sia bello il
suo sorriso. È magnetico, è intrigante,
è ambiguo, gioioso ma marcato dalla
sofferenza. Non riesco a rimanere impassibile. Gli sorrido dolcemente
e,
tenendo un braccio, gli accarezzo la guancia per poi tornare a guardare
il
mare. È solo nell’attimo seguente che mi rendo
conto di quello che ho fatto e
arrossisco tutta. Ma perché l’ho fatto? Quanto
sono cretina? Non riesco a
capire il motivo di ciò. So solo che mi ha
ispirato… dolcezza e tenerezza con quel
discorso. E io l’ho accarezzato. So di essermi presa troppa
confidenza, quando
mi giro e gli grido un impacciato “ Oddio, scusami,
davvero!”
Ma
lui non mi sente. Ha gli occhi chiusi,
nonostante il capo sia rivolto verso di me. Apre gli occhi. Brillando
come due
diamanti.
“
Puoi… puoi farlo ancora?” mi domanda.
Rimango allibita da tale richiesta. Non so come reagire, quindi, faccio
abbassare lo sguardo sulla sabbia. Sento la sua risata argentina. Si
sta
avvicinando a me, vedo la sua ombra attaccarsi alla mia. Sento un
braccio
cingermi le spalle. Sussulto e faccio per allontanarmi, ma lui mi
stringe a sé.
La sua pelle è calda e liscia, al contrario della mia,
invasa da piccoli
brividi, immagino dovuti al freddo. Non capisco il motivo di tutta
questa confidenza,
ma mi lascio trasportare. Sto parlando di quella sensazione di quando
lascio
fluttuare i miei capelli al vento, oppure di quando mi tuffo
nell’acqua gelida
ma piena di vita. Mi lascio andare un sospiro liberatorio. Finnick mi
ha
stretto in un abbraccio, fuori dal quale vi sono tutti i miei problemi.
Scivolano via dal mio corpo, come ruscelli, Alexander, Amadeus, gli
Hunger
Games, mia madre, mio padre, il latte, i polipi… per far spazio a una
fiamma, che sento irradiarsi
dentro al mio petto. Non riesco a fare a meno di sorridere. Chiudo gli
occhi
inspirando a fondo, ancora e ancora. Quelle mani calde sulle mie
braccia sono
salde e sicure, come un porto di salvezza dopo la tempesta. Lascio
cadere il
mio capo sulla spalla. Non so perché lo faccio, ho
momentaneamente perso il
controllo dei miei gesti e della situazione in generale, ma mi piace. A
lui
questo nuovo contatto non dispiace, anzi, anche lui poggia la sua testa
delicatamente sopra la mia.
“
Sì, sarà proprio una gran bella
amicizia”
dichiara con una risatina. Annuisco senza avere il coraggio di emettere
alcun
suono. Non so se questa sensazione può essere definita
“ amicizia”. Non ho
molti termini di paragone su cui basarmi. Ma so che io sto bene. In
questo
momento sono felice. E mi basta. Anche senza starci troppo a pensare.
Mi alzo
di scatto. Lui, interrogativo, mi guarda.
“
Voglio farmi un bagno” dichiaro avanzando
verso l’acqua. Lui mi segue, e in un batter
d’occhio, siamo a mollo. Ridiamo,
scherziamo, ci tiriamo l’acqua e ancora ridiamo. Lui mi trova
particolarmente
spiritosa e la cosa non mi dispiace. Mi accorgo di non aver mai sorriso
così
tanto. Quest’isola è bellissima. Tutto
è bellissimo. Lui compreso. Adesso che
lo vedo meglio, capisco perché ha vinto gli Hunger Games.
Non è questione di
forza o di carattere, per quanto ne sia comunque ben provvisto:
è proprio
bello. Capelli dorati, visibilmente schiariti dal sole e dal mare,
occhi verdi
e intensi, labbra rosse e definite e un corpo definito e muscoloso. E
me ne
accorgo solo ora. Per quale assurda ragione? Forse sono un
po’ troppo con la
testa tra le nuvole. L’isola, per esempio? Perché
non mi sono mai accorta della
sua esitenza? Oh, giusto, sarebbe vietato attraversare gli scogli. Ma
allora
perché Finnick lo fa?
“
Finnick… ma tu come hai fatto a scoprire
questo posto? Non ci si potrebbe andare, no?” chiedo io un
po’ titubante. Lui
sorride, scompigliandosi i capelli zuppi con la mano sinistra.
“
Mi ci ha portato Mags. La mia mentore”
spiega lui semplicemente.
“
Oh, em… quella signora con i capelli
grigi…?” chiedo io. Gli si illuminano gli occhi.
“
Sì, lei. È l’unica amica che ho. Poi
vabbè,
ci sei tu ora” mi dice. Arrossisco e cerco di deviare il
discorso.
“
Ho capito. E perché qui non ci si può
venire? Cioè, tutti al Distretto…
“
E’ un segreto. È una zona d’accesso per
solo
Vincitori. Se ti avventurassi con la tua barca oltre gli scogli,
verresti
respinta indietro da un campo di forza. Invece la mia barca ha un
dispositivo
speciale capace di disattivarlo” mi spiega con una nota
d’amarezza nella voce.
“ Sai, a noi Vincitori è
permesso godere
di questa vista spettacolare e di fare quello che ci pare con questo
posto. Ma
la libertà ha un prezzo” mi sussurra amaramente
incrociando le braccia. Lo vedo
assorto in mari che io non posso esplorare. A causa delle sue parole,
mi
spuntano i brividi. E sento improvvisamente freddo. Anzi, comincio
proprio a
tremare. Lui sembra accorgersene.
“
Hai freddo? Ti ho inquietata?” mi domanda.
“
Un po’ sì. A volte non ti capisco quando
parli. Ma comunque è per il freddo, è da mezzora
che stiamo in acqua” osservo
guardandomi i polpastrelli ridotti a materiali rugosi. Si avvicina e mi
abbraccia, accarezzandomi la testa. Sento i brividi ballare sulla
schiena e sul
collo. Con un sorriso quasi riconoscente sui nostri volti, ritorniamo
alla
barca. Mi rivesto velocente, quando lui si volta e mi chiede:
“
C’è qualche ragazzo geloso con il quale
dovrò fare i conti, una volta tornati al
Distretto?” mi domanda. Scuoto la
testa.
“
Oh, no, no. Cioè, sempre che tu per
‘ragazzo’ non intenda i miei fratelli. Ma in caso
contrario… no, nessuno”
ammetto. Sì, mi sembra soddisfatto quando preme il pulsante
per staccare il
gommone dal fondo. Mi chiedo perché anche io lo sia.
Percorriamo il viaggio in
silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Finnick Odari mi ha
praticamente
chiesto se ho un fidanzato. Un fidanzato vuol dire una… una
storia d’amore. Io,
sfortunatamente, non sono molto pratica in queste cose. Non ho mai
avuto
nessuno e, per quello che mi ricordo, mamma e papà non si
sono mai lasciati
andare a grandi manifestazioni d’affetto.
Una volta ho visto mio fratello baciarsi appassionatamente
con una
ragazza di nome Emmy, ma niente di più. Non saprei neanche
da che parte
iniziare. E soprattutto… come si fa a capire se si
è innamorati di una persona?
Non lo so. Ma, cosa ancora più importante… cosa
provo per Finnick? Lui l’ha
chiamata amicizia, no? Eppure qualcosa dentro di me mi dice che non
è proprio
così. Ma ancora devo pensarci bene. Dopo aver attraccato, mi
accompagna a casa.
Ridiamo e scherziamo felicemente, parlando di cose stupide, dal nostro
pesce
preferito fino al taglio di capelli più strano che ci siamo
mai fatti.
“
Ti posso vedere anche stasera?” mi domanda. Non
riesco a rispondergli che qualcuno mi chiama:
“
Annie!
E’
Alexander. Non faccio in tempo a rispondere
a Finnick, ma lui capisce un ‘sì’.
“
Ok, senti… Alle nove e mezza al faro, ci
stai?
“
Ma è pieno di Pacificatori…
“
Non oggi, fidati di me. Ci stai?
“
Annie!
“
Sì, ci sto.
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Capitolo 4 *** Invidiavo le stelle ***
“ Mamma, io
esco” dico subito dopo cena
infilandomi gli stivali all’ingresso. Mia madre impallidisce,
mentre i miei
fratelli mi guardano male.
“ Dove vai?”
chiede Alexander. Sospiro.
“ Vado al faro. Con
Finnick” dico apertamente.
Vedo la mascella di Amadeus contrarsi.
“ No, Annie, non penso
proprio” sussurra
amaramente. Alexander mi fissa intensamente, come se volesse studiarmi
meglio.
“ Non è sempre
pieno di Pacificatori, lì?” mi
domanda.
“ Non stasera, da quello
che dice Finnick. Lui
li conosce, , è uno dei Vincitori e va e viene da Capitol
City. Finché starò
con lui, non mi succederà niente” dichiaro
prendendo il giacchetto dalla
potrona. Alexander sospira, guardando mia madre, pallida in volto. I
suoi occhi
azzurri saettano da una parte all’altra.
“ Tu che dici, la
mandiamo?” domanda lei a mio
fratello. Sbuffo. Alexander non è mio padre, io faccio
quello che voglio.
“ Sì, possiamo
mandarcela. Ma solo per questa
volta. E non fare tardi” mi dice calmo. Amadeus è
in procinto di dire qualcosa,
ma, a uno sguardo di Alexander, si blocca. Con un sorriso tirato, esco
di casa
sbattendo la porta e mi avventuro per la spiaggia. È
così calma, così pacata e
buia. Ma è accogliente. Mi incammino verso sinistra, nella
direzione del faro.
Sono dieci minuti a piedi, che non mi pesano per niente. Anzi, adoro
quell’aria
un po’ pungente che viene a quest’ora. Mi fa
dimenticare i problemi, le
frustrazioni. Vedo Finnick ai piedi del faro. Mi sta aspettando.
Effettivamente, ci aveva preso: non c’è nessun
Pacificatore in giro. Di solito
è il loro luogo di ritrovo.
“ Perché non
c’è nessuno?” chiedo io.
“ E’
mercoledì. Si beve a casa di Arrew, il
mercoledì” mi spiega semplicemente. Mi domando
mentalmente come fa a saperlo,
ma, prima che possa formulare la domanda, lui tira fuori un mazzo di
chiavi e
apre la prta del faro.
“ Allora…
entriamo?” domanda. Mi blocco.
“
E’… è una cosa sicura?” gli
chiedo. Lui si
avvicina a me e mi guarda dritta negli occhi. Ancora quei brividi.
“ Le cose che faremo
insieme sono tutte sicure
al cento per cento. Mi credi?” mi domanda. È
impossibile non fidarsi di Finnick
Odair. Quindi annuisco velocemente, prima di addentrarmi con lui nel
faro.
Saliamo delle piccole scale a chiocciola, in silenzio. Arriviamo in
cima, in
una specie di balconcino cicolare con una grande fanale al centro. Da
lì
proviene da luce del faro, quando è acceso. Finnick si siede
e i suoi occhi
percorrono il mare. Io lo imito, meravigliata. Da qui su è
tutto… magico. La
luce della luna e delle stelle illumina il mare lievemente increspato,
dando
vita a tanti piccoli riflessi argentati. Anche le nuvole assorbono quei
raggi,
diventati quasi fluorescenti. La spiaggia è lattea e
spettrale allo stesso
tempo. È uno spettacolo davvero suggestivo.
“
E’… bellissimo” dico meravigliata.
Finnick
annuisce.
“ Già, lo
è. E me ne accorgo solo ora”
afferma.
“ C’eri
già stato?” gli chiedo.
“ Sì. Da solo.
E mi disgustava” dichiara con
una nota amara nella voce. Rimango allibita.
“
Perché?” gli domando.
“ Perché
invidiavo le stelle” mi spiega come
se fosse la cosa più semplice del mondo. Non so se ridere o
indagare più a
fondo. Opto per la seconda strada.
“ Invidiavi le
… stelle?
“ Sì. Loro
sono lontane da tutto ciò, dal
tutti i problemi, dal Distretto, dalla vita in generale. Il loro unico
compito
è brillare ed essere guardate. Sono bellissime, ma nessuno
può usare la loro
bellezza per ricattarle o ferirle. Sono belle, quindi brillano. Non
c’è cosa
più facile di questa. E non sono mai sole. Si fanno
compagnia a vicenda,
brillando insieme, condividendo una stessa bellezza superiore. Le
odiavo, fino
ad ora. Adesso capisco che forse ho anche io trovato qualcuno con cui
brillare”
sussurra con la voce tremante. Non capisco il significato delle sue
parole. Ma
percepisco che esse nascondono più di quanto
potrò mai capire. E la cosa mi
spaventa.
“
Finnick…” bisbiglio avvicinandomi. Lui si
scansa.
“ Solo… solo
un secondo…” mi chiede con voce
impastata, allontandosi. Intravedo uno luccichio nei suoi occhi.
Lacrime.
Sospiro a fondo. Gli voglio concedere un minuto per riprendersi da
qualcosa che
mi sfugge, ma che capisco essere più grande di me. Dopo
qualche istante di
sospiri e di strani rumori nasali, si calma. Mi onora di un grande
sorriso, e
mi afferra la mano.
“ Ti va di…
nuotare?” mi chiede. Guardo
l’acqua. Sembra un enorme pozzo nero. Ed è
pericoloso nuotare di notte. È per
questo che è vietato. Alzo gli occhi verso Finnick: ha
ripreso quel calore
irresistibile, quindi non sono stupita dal fatto di pronunciare un
debole “
sì”. Scendiamo velocemente le scale verso la
spiaggia. È tutto buio ora, ancora
più di prima. Lui si spoglia velocemente e si tuffa. Io, non
proprio così
spavalda, faccio tutto lentamente, guardandomi intorno. Ma, alla fine,
riesco
ad entrare in acqua. La sua pelle liscia riflette la luna, mentre nuoto
verso
di lui.
“Posso chiederti una
cosa, Annie?” mi domanda.
“ Sì.
Certo” gli dico affabilmente. Lui si
volta e mi guarda dritta negli occhi.
“ Se dovessi scegliere
tra te e i tuoi cari,
chi sceglieresti?” mi chiede. Sembra una domanda come
un’altra. Ma io so che è
più importante di quanto non lasci intravedere.
“ Io… non lo
so. Non ci ho mai pensato”
affermo sinceramente.
“ Non ti è mai
capitato di fare qualcosa di
molto… brutto… solo per tenere al sicuro le
persone che ami?
“ No. Io… ho i
miei fratelli che, bene o male,
hanno sempre badato a me e a mia madre. Dopo la morte di mio padre,
hanno
lavorato duramente per farci vivere nel migliore dei modi. Certo, io
contribuisco, ma senza di loro saremmo perse. Una volta hanno persino
tentato
di comprare una delle medicine per mamma… per quanto la cosa
sia difficile,
ecco” concludo frettolosamente. Ma che mi è preso?
Perché gli ho detto una cosa
del genere? Praticamente gli ho raccontato la mia vita in poche frasi.
Io e i
miei fratelli ci eravamo promessi di essere molto discreti nel parlare
della
situazione di mamma. Se la notizia fosse giunta alle orecchie
sbagliate,
potevano anche buttarla in un manicomio, o portarcela via in altri
modi. Finnick
mette su un’espressione stupita e allarmata.
“ Perché,
cos’ha tua madre?” mi domanda.
Sospiro. Ormai è tardi per tornare indietro.
“ Soffre di qualcosa che
i medici hanno
definito… schizofrenia. È una specie di malattia
mentale, il punto è che la
porta a fare cose che potrebbero… ucciderla. Tipo sbattere
la testa contro la
teiera… una volta l’abbiamo trovata
così. E il cuore gli batte a mille, rischia
un infarto. E… E le medicine costano, costano troppo. Non
possiamo
permettercele” gli spiego provando a restare calma. Non
voglio che capisca la
mia ansia, la mia preoccupazione. Lui mi abbraccia di getto.
“ Gliele
comprerò io” mi annuncia. Scuoto la
testa staccandomi.
“ No, Finnick, non posso
accettare.
Seriamente. Hanno un prezzo troppo elevato, e, anche se costassero
pochissimo,
sono sempre soldi tuoi e non voglio…
“ Annie, io sono ricco da
far schifo, davvero.
Non so neanche come utilizzare i soldi che ho, se non farli ristagnare
nella
cassaforte fino alla mia morte. Ma se posso aiutare tua
madre…
“ Non voglio farti pena.
Capito?” gli dico
provando a fare l’espressione più dura che ho.
“ Non
c’è niente di male ad ammettere quanto
ci si sente fragili. Guarda me prima” ammette con un
sorrisino. Ed è qui che
accade. Scoppio a piangere fragorosamente al suono delle sue parole.
Lui mi stringe
forte e mi bacia la testa. Io non conosco Finnick Odair. Ma in qualche
modo, mi
sta aiutando. Mi ci aggrappo, con tutta la forza che ho. Capisco ora
quanto mi
sovrasta in altezza e per corporatura, sembro una bambina. Mi accarezza
la
schiena. Prego che non avverta i miei brividi.
“
C’è qualcos’altro che ti
turba?” mi domanda
con dolcezza. Annuisco.
“ Mio fratello vuole
offrirsi volontario agli
Hunger Games…
“ NO!” esclama
staccandosi. Vedo i suoi occhi…
impauriti. Non ne capisco il motivo.
“ No, Annie, promettimi
che proverai a fargli
cambiare idea!
“ Dice che solo
così riusciremo ad avere le
medicine per mamma…
“ Vi pagherò
tutte le medicine del mondo,
digli questo, ma non può farlo! Annie, sto dicendo sul
serio, non permettergli
di rovinarsi la vita!” esclama. Arriccio il naso.
“ Potrebbe vincere,
però, sai? È forte, è
molto astuto e…
“ Preferirei che morisse
lì dentro, piuttosto
che vederlo vincere agli Hunger Games!” afferma lui
portandosi una mano sulla
fronte. Rimango allibita.
“ Scusa, cosa hai
detto?” chiedo. Non posso
aver sentito bene.
“ Quello che hai sentito!
Annie… quei giochi…
sapendo quello che mi sarebbe aspettato dopo, avrei fatto di tutto per
morire
il prima possibile! È un inferno vivere così,
Annie… E non solo per me, ma
anche per tutti quelli che mi circondano… ti prego, devi
accettare i miei
soldi! Se non vuoi farlo per orgoglio, fallo per tuo fratello, ti
supllico!”
grida. Rimango di sasso a cercare di capire il significato delle sue
parole.
Non ci riesco proprio. Misteri, solo misteri. E io mi sono stufata di
sentirlo
parlare per enigmi. Ma mi costringo a cercare di decifrare la sua
espressione.
È davvero spaventato a morte. Ed è sincero. Mi
devo fidare di lui, di Finnick
Odair.
“ Ok. Ci
proverò” prometto. Lui pare
rilassarsi. Mi abbraccia di nuovo.
“ Lo so che ti sembro
indecifrabile. Lo
capisco. Ma sappi che c’è un motivo. Ti prego,
credimi” mi supplica. Annuisco
tra le sue braccia. Il battito del suo cuore è veloce.
Sì, Finnick mi sta
nascondendo qualcosa. Ma non voglio mettergli pressione. Me la
dirà, prima o
poi. Siamo amici, no? Poggia le sue labbra sulla mia fronte. Non so
perché
permetto a un mezzo sconosciuto di fare tutto ciò. Ma mi
piace. Mi sento…
calma. Calma come il mare che ci circonda. Alzo lo sguardo verso le
stelle.
“ Sì, sono
proprio belle, le stelle” ammetto.
Lui sorride.
“ Sì,
bellissima” dichiara. Distolgo i miei
occhi dal cielo per posarsi sui suoi. Mi fissa quasi…
estasiato. Sento le mie
guance farsi rosse.
“ Io…
devo tornare a casa” affermo
borbottando. Lui annuisce senza cancellare il sorriso sulle sue labbra
e
nuotiamo verso la riva. Ho il cuore a mille. E davvero, tutto questo
non ha
senso. Ma è fantastico. Come lui.
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Capitolo 5 *** Non mi fido più ***
E tre giornate passano
così veloci con
Finnick. Abbiamo fatto tante cose insieme: la mattina mi aiuta a
prendere i
polipi, il pomeriggio, dopo aver mangiato ognuno a casa propria,
andiamo
sull’isola, dove scherziamo, ridiamo e peschiamo, e dopo cena
passiamo la notte
sulla spiaggia. Ieri siamo anche riusciti a vedere l’alba.
Siamo stati
abbracciati tutta la notte. Sì, mi piace Finnick Odair. Ma
ancora non so capire
quanto e in che modo. Mi batte il cuore a mille ogni volta che lo vedo.
Possibile che mi stia… innamorando di Finnick Odair? Non lo
so. Ma a volte l’ho
sorpreso a guardarmi attentamente con fare dolce. E più
volte mi prende la
mano. Dovrà pur significare qualcosa, no? Peccato che non
abbia troppi termini
di paragone.
Mi sveglio a mezzoggiorno, grazie a
un’entrata
plateale di Amadeus.
“ Domani
c’è la Mietitura” esclama facendomi
sussultare.
Ancora in stato confusionale, provo a
guardarlo attentamente. Devo riconoscere di aver
trascurato molto la mia
famiglia in questi giorni. Amadeus mi sembra molto più
pallido e magro del
solito. Ora che
riesco a mettere a fuoco
i suoi contorni, lo guardo con fare truce.
“ Eh già. E
allora? Non mi dire che vuoi
offrirti volontario!” esclamo mettendomi a sedere. Infatti
non aveva nessuna
scusante, ormai. Finnick si ostinava a depositare ogni mattina un paio
di
gioielli fuori dalla nostra porta. Alexander aveva insistito
affinché glieli
restituissi, ma quando avevo accennato l’argomento a Finnick,
lui mi aveva
detto “ O li prendi, oppure li butto in mezzo
all’oceano. A te la scelta”. E
ovviamente, quella non era una scelta. Sarebbe stato un terribile
spreco. E
dopo proteste varie, anche Alexander aveva dovuto ammettere che quei
gioielli
facevano comodo a mamma. E’ incredibile di come il suo stato
sia migliorato nel
giro di tre giorni. E’ quasi… felice. E la cosa
rende me più spensierata. Si è
anche scomposta, l’altra sera: prima di uscire mi ha
sussurrato un “ ti voglio
bene”. Un miracolo che mi ha fatto salire le lacrime agli
occhi. Amadeus annuisce
implacabile. Sbuffo alzandomi in
piedi.
“ Basta, Amadeus! Ormai
abbiamo le medicine
per mamma. Finnick…
“ Oh, non mi parlare di
Finnick Odair! Non
voglio avere niente a che fare con lui, non voglio dovergli qualcosa!
Soprattutto dopo quello che ha detto su di te” urla quasi
fuori di sé. Rimango
pietrificata.
“ Per quale ragione,
scusami? Che ha detto su
di me? ” chiedo mettendo da parte la rabbia. Finnick parlava
di me? Con chi?
“ Stamattina.
L’ho sentito mentre parlava a
quel Pacificatore, Brattes. Brattes ha detto che vi aveva visti
insieme, e lui
gli ha risposto che ti sta illudendo un po’, così,
per divertimento e che di te
non gliene importa niente!” mi spiega. Sento le gambe
afflosciarsi. Mi rimetto
seduta. Non è possibile. Finnick… lui ci tiene a
me… no? Mi era sembrato di sì.
Doveva essere sì. Io… io sento che sto
cominciando a piangere. Anzi, ormai è
tardi: sono in lacrime. Perché ha detto una cosa del genere?
Non capisco…
“ Ne sei…
sicuro?” chiedo a Amadeus. Lui
annuisce in modo quasi grave. So che non mi sta mentendo. Non lo
farebbe mai.
Si siede vicino a me.
“ Mi dispiace, ok? Ma ti
giuro che è quello
che ho sentito. E non voglio dovergli più qualcosa.
Stamattina per poco non
l’ammazzavo. C’era anche Alexander con me, ha
dovuto trattenermi, stavo per
dare una lezione a quel deficiente, ma… niente, tra la folla
era difficile. Se
lo rivedo lo ammazzo, nessuno può trattarti così
o prendersi gioco di te in
questo modo. Annie, non vale la pena sprecare tempo per uno come lui.
“ Ma… le
medicine… e i gioielli e…
l’isola…” comincio.
No. Non può averlo detto sul serio. Il bagno di notte,
qualche giorno fa… La
sua epressione quando mi guarda… eppure avevo
sentito… ormai non importa più.
Amadeus alza le spalle. Sembra dispiaciuto.
“ Domani mi
offrirò volontario alla Mietitura.
E non c’è niente che mi possa fare cambiare idea,
Annie!” dice alzandosi e
sbattendo la porta. Rimango di sasso lì, sul letto, a
fissare il muro bianco
per quella che mi sembra un’eternità. Mi tremano
un po’ le mani. Non so come
reagire. Possibile che mi sia sbagliata così tanto su una
persona? Non saprei.
Effettivamente, non ho mai aperto il mio cuore a qualcuno…
prima che conoscessi
Finnick. Pensavo fosse diverso… ma ormai non ha
più importanza. Sento una voce
chiamarmi fuori dalla finestra. È proprio Finnick. Corro
verso la porta, prima
che Amadeus possa prenderlo a pugni. Ma è troppo tardi: mio
fratello è stato
più veloce, e si sta rivolgendo a Finnick con fare
minaccioso.
“ L’hai illusa
per bene mia sorella, eh?”
urla. Finnick è pietrificato.
“ Non
capisco…” ciancica confusamente. Vedo un
braccio di Amadeus alzarsi. Lo blocco.
“ Ci penso io, ok? Non ti
immischiare!” gli
urlo parando Finnick con la mia presenza. Amadeus abbassa il pugno.
Guarda
prima me e poi Finnick.
“ Sì,
sarà meglio. Anche se ammetto che
spaccarti quel bel visino mi piacerebbe da morire. Ma…
è tutto tuo” esclama
entrando in casa. Mi giro lentamente. Finnick sembra spaventato e
confuso.
Cammino lontano da casa, dirigendomi verso la spiaggia. Anche Finnick
lo fa,
sento il suo passo dietro il mio. Arriviamo in riva al mare. Non oso
guardarlo
negli occhi. Mi ha illusa. E devo essere chiara e concisa con lui. Quel
momento
di sofferenza pura che ho provato dentro la mia stanza mi ha fatto
capire che
devo guardare la realtà: Finnick Odair non potrà
mai interessarsi a Annie
Cresta. Mi ha solo illuso. Per noia? Per il brio di una nuova
conquista? Per
puro interesse fisico? Non lo so. E, in tutta onestà, non
voglio saperlo.
Pensavo che fosse mio amico, e, per un momento, anche…
qualcosa di più.
“ Voglio che tu sparisca
dalla mia vita”
affermo decisa. “ Non voglio più
vederti” dico alzando lo sguardo. Vedo la
scintilla negli occhi di Finnick farsi piccola piccola, fino a sparire.
Disperazione, sembra. È un ottimo attore, non
c’è che dire.
“ Annie…
“ Non mi importa.
Ciao” esclamo voltandomi.
Lui mi afferra per un polso.
“ Prima dimmi
perché. E poi ti lascerò andare”
mi spiega senza guardarmi in faccia. Mi libero dalla sua presa. Gli
vado
vicina, alzandomi in punta dei piedi per guardarlo dritta negli occhi.
“ Io non ho bisogno del
tuo permesso per
andarmene, hai capito? Tu pensi di essere un dio sceso in terra,
Finnick Odair,
la celebrità del Distretto 4… ma fattelo dire, tu
non sei nessuno! Non hai il
diritto di impormi niente, e non ti devo nessuna
spiegazione!” esclamo in preda
alla rabbia.
“ Allora te lo chiedo
gentilmente, Annie”
afferma in modo pacato. “ Perché? Posso saperlo?
Dammi un solo motivo e ti
giuro che uscirò dalla tua vita per sempre!”
giura.
“ Lo sai benissimo
perché!!!” urlo fuori di
me, allontanandomi un po’. Mi siedo sulla sabbia, prendendomi
la testa tra le
mani.
“ Quanto sono
stupida… Pensavo che fossimo
amici… che in una settimana noi… ci fossimo
avvicinati… non ho mai avuto un
rapporto così con qualcuno… e poi
scopro… che mi stai illudendo… Amadeus ti ha
sentito al mercato…” provo a dire. Ma le lacrime
che ho agli occhi non mi
permettono di essere troppo eloquente. Lui pare capire e si siede
vicino a me.
Apre la bocca leggermente. Sta per confermare tutto. Me lo sento.
Meglio. Così
almeno potrò accettare la bruta realtà dei fatti.
“ Annie, l’ho
fatto per te, per noi. Non
capisci che se qualcuno potesse sapere di me, di te… ti
metterei in pericolo…
e… e non voglio… io non posso permettere che
tu… che tu faccia la fine di tutte
le persone a cui volevo bene!” mi spiega. Alzo gli occhi su
di lui. Intravedo
un luccichio. Delle lacrime. Perché?
“ Non capisco…
Io non capisco mai niente di
quello che dici…” dico tremando un po’.
Scuote la testa.
“ Lo so”
afferma ridendo amaramente. “ Non
puoi capire. E io non posso dirtelo, peggiorerei le cose.
Ma… nessuno deve
sapere che…” comincia. Si interrompe. Prende un
sospiro e guarda il mare.
“ Che?” domando
io. Che cosa?
“ Che mi sto innamorando
di te, Annie”
dichiara. Il mondo sembra fermarsi. Anche le onde sono statiche,
così come il
vento che ha smesso di soffiare. Non… non può
essere vero. Sta mentendo, è
chiaro. Eppure non vedo traccia di ironia, né di forzatura
nella sua
epsressione. È dura, grave, come se avesse detto qualcosa di
spiacevolmente
vero. Come se fosse dispiaciuto di averlo detto.
“ Non… non
è vero” affermo asciugandomi le
lacrime. Finnick mi prende il volto tra le mani. Provo a scostarmi, ma
lui mi
blocca, e dopo qualche secondo, smetto di combattere e mi limito a non
guardarlo in faccia.
“ Annie…
guardami, per favore” mi incita. Alzo
gli occhi sul suo volto. Il suo sguardo è intenso, serio e
deciso.
“ Io… non
permetterò che nessuno, stavolta… ti
porti via da me. Hai capito?” mi chiede. Non oso annuire. Non
oso fare niente.
Fa tutto lui. Avvicina le sue labbra alle mie. Sento il suo respiro.
È teso, è
un respiro nervoso. Chiudo gli occhi. Io… non voglio
baciarlo, o sì? E mentre
fa combaciare le nostre bocche, non posso fare a meno di pensare che
è la più
bella sensazione che abbia mai provato. Le sue labbra cominciano a
muoversi
lentamente, abbracciando e avvolgendo le mie che, dapprima immobili e
pietrificate, cominciano timidamente a muoversi. Dalla mia faccia, le
sue mani
scivolano sulla mia schiena, e mi avvicinano al suo petto. Vorrei fare
anche io
qualcosa. Porto le mie mani dietro la sua nuca, incontrando i suoi
capelli.
Apro un po’ gli occhi. No, non è un sogno:
è tutto così reale, così vero e
tangibile. E in quel bacio, sento tante parole che in una settimana
avrei
voluto dire. Avrei voluto dirgli che ogni volta che lo vedo mi batte il
cuore.
Avrei voluto dirgli che con lui mi dimentico tutti i miei problemi.
Vorrei dire
tante cose anche adesso. Ma penso che il modo in cui ci stiamo baciando
sia
speciale e molto comunicativo. Il nostro bacio non ha niente a che
vedere con i
baci clandestini che vedevo spesso tra quei ragazzi che si rifugiavano
dietro
il molo a pasticciare con le labbra. Il nostro è lento,
calmo, senza fretta,
delicato. Sento dei passi. Sarà Amadeus?
“ Ah, non ti importa, eh,
Odair?” dice una
voce gelida. Mi stacco da Finnick. È uno dei Pacificatori.
È Brattes. Finnick
resta in silenzio. Guarda lui, poi guarda me. Comincia a parlarmi. La
sua voce
è diversa. La sua epsressione è diversa.
Spavalda, arrogante, presuntuosa.
“ Bhe, che dire, Brattes?
Sei un guastafeste!
Pensavo di illuderla ancora un po’, sai, il tempo di
ricavarne una sorta di
piacere! Ma niente, sei arrivato tu e hai rovinato tutto!”
esclama alzandosi in
piedi. Una sorta di… piacere? Ma che gioco è
questo? Sta scherzando? Il
Pacificatore mi scruta sospettoso.
“ Odair, Odair,
Odair… Non impari mai, eh?”
afferma. Non afferro il significato delle sue parole. Non ci sto
capendo
proprio niente. Finnick mi guarda con fare disgustato.
“ Brattes, fidati, questa
ragazzina ha una
cotta per me… volevo solo sfruttarla a mio vantaggio! Mi
dispiace, cara, che
Brattes abbia distrutto il tuo fantastico sogno ad occhi
aperti… ma spero che
vorrai concederti lo stesso, anche sapendo di non significare niente
per me!”
afferma. Non può dire sul serio. No… mi alzo in
piedi e indietreggio.
“
Tu…” dico tra i denti. Odio. Ora capisco.
Innamorato di me? Oh, no. Non a quanto dice. Sta negando tutto.
È un vigliacco.
“ Tu… brutto
stronzo…” affermo prendendolo a
pugni sul petto. Ma, inutile dirlo, non gli faccio niente. Ride
crudelmente,
guardando Brattes.
“ Mamma mia…
un peperino, eh? Peccato, non eri
da sprecare, ma dato che il nostro amico qui ha rotto
l’idillio…” aggiunge.
Scoppio a piangere per la rabbia. Mi giro e me ne vado, lasciando che
quei due
a parlare. Raggiungo casa mia. Amadeus, vedendo le mie lacrime, penso
che non
possa fare a meno di supporre che abbia rotto definitivamente con
Finnick
Odair. Supposizione corretta, direi. Mi ricnhiudo nella mia stanza.
Guardo la
finestra. Brattes si allontana velocemente, mentre Finnick lo rincorre.
Vedo
che si stanno urlando in faccia. Poi, improvvisamente, Brattes mette
una mano
sulla spalla di Finnick. Non so cosa gli stia dicendo. E non mi
importa.
Brattes se ne va. Quando è abbastanza lontano, vedo Finnick
dirigersi verso di
me. Arriva fino a sotto casa mia. Bussa alla porta. Mi fiondo in
soggiorno, ma,
come al solito, Amadeus fa prima di me.
“ Ha chiuso con te!
E’ meglio se la lasci
stare!” esclama. Finnick mi guarda, mentre scendo le scale.
“ Annie, ti prego, lascia
che ti spieghi…
“ No! Volevi
fare… volevi solo quello, eh?
Bhe, io non sono nelle condizioni di darti quello che vuoi! Vai al
diavolo,
Finnick!” esclamo in preda alla rabbia, con grande orgoglio
di Amadeus. Finnick
sospira.
“ Io… non
posso darti torto” dichiara ancora
sul ciglio della porta. Amadeus sorride.
“ Bravo… e
adesso, sparisci!” urla fuori di sé
sbattendogli la porta in faccia. Mi fiondo tra le braccia accoglienti
di mio
fratello. Lo sento sospirare.
“ Tranquilla. Domani
tanto se ne andrà a
Capitol City” mi spiega. Mi stacco da lui. Che vuol dire?
“ Eh?
“ E’ un
mentore. Te ne sei scordata?” domanda.
Oh, sì. È vero. Tra tutto quello che era
successo, mi ero scordata la parte più
brutta di Finnick Odair, una volta all’anno, lui deve recarsi
a Capitol City ad
assistere alla strage e a baciarsi con qualche bella ragazza attraente.
Giusto.
Chissà perché, ma non riesco a capacitarmi delle
sue doti nel recitare. Con me
sembrava una persona completamente diversa. Mi aveva convinta. Ma
adesso, mi
ricordo chi è: il pavone di Capitol City, il rubacuori
donnaiolo che vuole solo
apparire. Passo il pomeriggio così, in camera, a chiedermi
fino a che punto sia
in grado una persona di mentirmi. Eppure… eppure qualcosa
non mi quadra.
Nonostante il suo tono fosse spavaldo e sfacciato, mentre parlava con
Brattes…
i suoi occhi erano lucidi. Tanto lucidi. Che stesse…
mentendo? Non lo so. Non
voglio neanche scoprirlo. Ha detto delle cose orrende. Non mi rimane
che cenare
e andare a dormire, affogando i miei pensieri nel cuscino. Domani
c’è la
Mietitura.
Mi alzo in piedi di scatto, come
trasportata
da una forza magica che mi tira per le orecchie. Mietitura. Mietitura.
Mietitura. Mi tremano le mani, mentre guardo fuori dalla finestra. Lui
non c’è.
Non c’è. Ok. Non mi interessa. Sento bussare alla
porta, mentre mi sistemo i
capelli.
“ Chi
è?” domando. Nella stanza entra Amadeus.
Ancora.
“ Annie, lo
farò” esclama. Sbuffo. Non
capisce. Non può farlo.
“ Basta dire
assurdità. Che ore sono?” chiedo
io.
“ Le dieci e mezza. Alle
undici e mezza si
scende in piazza” mi dice. Ma non c’è
bisogno di rimarcarlo. So già tutto.
Scendo in cucina, dove provo a mangiare qualcosa, sotto gli occhi di
mamma,
innegabilmente terrorizzati. Ogni anno è così. E
io ancora no ci ho fatto
l’abitudine. Sentiamo la porta bussare. Mi alzo e vado ad
aprire. È Finnick
Odair. Mi prende per un braccio e mi trascina fuori. Sono troppo
sorpresa per
ribellarmi. La sua espressione è dura e seria.
“ Dì a tua
madre che tornerai tra poco” mi
ordina.
“ Tu non puoi…
“ ANNIE, DIGLIELO,
E’ UNA COSA SERIA, TI
PREGO!” sbotta lui. È tutto rosso e i suoi occhi
sono contornati da un paio di
occhiaie giganti. Non so perché, ma mi convinco. Rientro in
casa, avvertendo
mamma. Mi rivolge un’occhiata stupita, prima di intravedere
Finnick fuori la
porta. Non sa niente della nostra litigata di ieri, così mi
fa lieve accenno
del capo. Finnick mi fa cenno di seguirlo sulla spiaggia. Lo seguo,
sospettosa.
Che vuole dirmi di così importante e serio? Non lo so. E in
realtà, vorrei che
non mi interessasse. Ma l’espressione con cui l’ha
detto… il tono allarmato… Si
ferma in riva al mare. Esattamente nello stesso punto in cui stavamo
ieri. Mi
salgono le lacrime solo a pensarci.
“ Che cosa vuoi? Che
cos’era quel tono
allarmato? Un altro dei tuoi trucchi?” domando. Lui non mi
guarda. Fissa il
mare.
“ Vorrei fosse
così. Ma devi andartene.
Scappa. Porta con te i tuoi fratelli. Ti darò la mia barca.
Non si accorgeranno
della tua fuga. Devi andare dalla parte opposta all’isola.
Penso che potrai
raggiungere tranquillamente il Distretto 3. Chiedi di una
certa… Mafalda
Torrent. È una vecchia… amica. Digli che sei mia
cugina. Ci crederà. E… porta
con te la tua famiglia. Avvertili subito. E scappa, prima della
Mietitura!”
esclama guardandomi negli occhi con fare serio. Rido.
“ Stai scherzando?
“ No. No, Annie, ti
prego. Devi fidarti di me.
Ti ho messa in pericolo. È tutta colpa mia. Non avrei mai
voluto… te,
soprattutto, ma Brattes… me l’ha fatto capire,
Annie. Ho paura che possa
succedere davvero. Ti prego. In seguito riuscirò a
procurarti dei falsi
documenti, conosco delle persone che possono aiutarti. Non puoi chiedermi
di
vederti morire… sapendo che la causa sono io”
afferma. Mi allarmo. Che vuol
dire?
“ Non capisco. A che ti
tai riferendo?”
domando.
“ Non capisci? Sarai tu
il tributo femmina
degli Hunger Games di quest’anno. E solo per colpa mia. Mia e
del mio egoismo…”
singhiozza. No. Non è possibile. Mi volto.
“ Stai mentendo. Tu non
puoi saperlo. Quei
biglietti vengono sorteggiati. È tutta una questione di
fortuna” affermo. No.
Non gli credo. Vuole spaventarmi. Vuole togliermi di torno. Cosa pensa,
che
possa dire a tutte le ragazze con cui ci prova che vuole
solo… portarsele a
letto? È questo il suo obiettivo? Oppure vuole semplicemente
disfarsi di me
perché si sente in colpa. Non può davvero
pretendere che io gli creda. E poi,
lui che ne sa? Perché, poi, ‘ per colpa
sua’?
“ Annie, il sorteggio
è truccato. Devi
ascoltarmi!
“ Io non ti credo
più, Odair” dichiaro.
Finnick sospira.
“ Lo so. Annie, lo
capisco, sul serio. Ma devi
fidarti, ti prego” mi implora. Sondo la sua espressione. Mi
sembra… serio. Ma è
un bravo attore, ormai lo so. Mi giro.
“ No. Non
commetterò due volte lo stesso
errore. Vuoi mandarmi via, vuoi sbarazzarti di me. Bhe, io non vado da
nessuna
parte. Non perché un povero pazzo mi ha detto questa
assurdità” affermo
andandomene. Finnick mi chiama. Ma io non mi volto a guardarlo. Tra
poche ore
lui sarà a Capitol City. E io, invece starò qui
al Distretto 4. Spero.
Mi infilo in silenzio il mio
vestito, sotto
gli occhi terrorizzati di mamma. E’ color lilla, lungo fino
ai piedi e cinto in
vita da un sottile nasto viola. Non sta troppo bene con il colore dei
miei
capelli, ma non mi importa. Questo vestito apparteneva a mamma quando
aveva la
mia età. Indosso sempre lo stesso, ogni anno. Penso che mi
porti fortuna.
Amadeus mi sta aspettando alla porta. Lascio che mamma mi sistemi i
capelli in
una stretta coda alta, così da mettere in risalto le
spalline elaborate del mio
vestito. Riesce anche a mormorare un “ Sei
splendida”. La ringrazio con un
bacio alla guancia, prima di scendere nel soggiorno. Anche Amadeus
rimane un po’
stordito dalla mia visione. Probabilmente perché non
è abituato a vedermi
conciata in questo modo. Mi apre la porta, e ci dirigiamo in piazza.
Essa è
gremita di gente, e piena di Pacificatori. Dobbiamo separarci per farci
prelevare il sangue. Mi afferra le spalle.
“ Annie… ti
voglio bene, questo lo sai, vero?”
mi chiede. Vuole andare volontario. È deciso, lo vedo nei
suoi occhi. Annuisco
e provo anche a dire qualcosa, ma mi stringe velocemente tra le sue
braccia e
si allontana. Sospiro tremando come una foglia. No. Non può
andare volontario.
Non lo farà davvero, ne sono sicura. Mi avvicino alla fila.
Vedo Finnick seduto
su una sedia posizionata sul palco. Sta parlando con Felixa,
l’altra mentore.
Inutile dire che sta facendo gli occhi dolci a Finnick in modo
vergognoso.
Ingoio dentro di me la rabbia. Tanto a lui non gliene è mai
importato nulla di
me. Meglio accettare la realtà, basta essere tristi per
Finnick Odair. Mi
pungono il dito velocemente, e mi ordinano di mettermi in fila con le
altre
ragazze. Riconosco parecchi volti noti: le ragazze più
popolari del Distretto,
che, nonostante la situazione tragica, non fanno altro che commentare
il nuovo
taglio di capelli di Odair. Sbuffo. Mi chiedo se ci sia un limite alla
meschinità umana. Il presentatore arriva sul palco.
È sempre lo stesso: Glaxus
Fuhermaan. È un uomo sulla quarantina, impacciato e
svogliato, con una pancia
sproporzionata rispetto al corpo. Si vede che ha cercato di ingannare i
segni
del tempo: probabilmente si è fatto qualche ritocco al viso
a Capitol City.
Perché un volto del genere non può essere
considerato naturale: è troppo tirato
e informe.
“ Buongiorno, Distretto
4! Felici Hunger Games
e…
“ Possa la fortuna sempre
essere a vostro
favore” sussurro io guardando Amadeus, bianco cadaverico ma
con uno sguardo
deciso. Non può farlo davvero… Non
può. Come al solito, c’è un breve
discorso
del Sindaco, un omino basso ed esile, con due baffi lunghissimi. Mi
viene un
po’ da ridire, nonostante la Mietitura. Le mani cominciano a
tremare in modo vistoso
e spero di riuscire a calmarmi per non svenire in mezzo alla folla.
Tanto non
chiameranno il mio nome. C’è solo quattro volte,
non ho mai preso cibo extra da
loro… quel compito spetta ad Amadeus. Infatti il suo nome
sta nell’urna
esattamente venti volte. E se lo chiamassero comunque, anche se non si
offrisse
volontario? Comunque sono certa che a mamma prenderebbe un colpo. No.
Non può
essere chiamato lui. Non dobbiamo… Non dobbiamo essere
sorteggiati. Niente,
ormai tremo tutta. È l’attesa che è
tremenda. Contraggo la mandibola. Sta
partendo il video. Quello che ci fanno vedere ogni anno, per ricordarci
di
quanto loro siano superiori a noi. Non è giusto, non
è bello. Ma adesso, devo
pensare a calmarmi. Faccio lievi respiri. Chiudo gli occhi. Devo stare
calma,
devo. Lo devo a mio fratello, a mamma, ad Alexander, che adesso
starà vendendo
i miei polipi al mercato… Apro gli occhi. Lo sguardo di
Finnick mi trapassa
letteralmente. Mi guarda intensamente, quasi… arrabbiato con
me. Felixa,
invece, si limita a guardare il video. Il sindaco si sta massacrando
l’estremità dei baffi con le dita. Glaxus guarda
in modo annoiato la folla.
Appena il video si conclude, mi manca il respiro. Eccoci qui. Ci siamo.
È
arrivato il momento. Non sono pronta. Voglio scappare. Voglio andare
via
lontano, magari a quell’isola che Finnick mi aveva mostrato,
con Amadeus, mamma
miracolosamente guarita, Alexander, Finnick, innamorato di
me… Ok, sto
delirando.
“ E adesso… il
tributo femmina di quest’anno”
esclama Glaxius. Chiudo gli occhi. Le mani ormai sono impazzite. Mi
stringo il
labbro inferiore con i denti. Esce un po’ di sangue.
“ Annie Cresta.
No. No. No. Non ha detto
davvero il mio nome.
Deve esserci stato un errore. Adesso dirà che ha letto male,
che si è
sbagliato, che non è davvero uscito quel
bigliettino… Lo dirà. Aspetto qualche
secondo. No, nessuno dice niente. Sento delle mani che mi afferrano
decise. Le
assecondo. Mi scortano da qualche parte. Sul palco. Volo. Non sento
niente.
Niente. Forse, un urlo. In lontanza. Guardo Finnick. Ha gli occhi
lucidi. È
distrutto. Aveva ragione. Toccava a me. Perché? Non lo so.
Dì, qualcosa, Annie,
mi stanno dicendo. Mi stanno dicendo qualcosa. Che cosa? Di dire ciao.
Ok, dirò
ciao. Ciao. No, non mi esce niente dalla bocca. Qualcuno poi dice
qualcos’altro. Chiamano un nome. Il nome di qualcuno.
Maschio. No, mio fratello
non dice niente. Lo sto guardando ora, sta zitto e piange. Piange.
Amadeus che
piange è strano da vedere. Ma piange. Sento qualcuno
affiancarmi. Un nome.
Manuel Keist. Ok. Non lo conosco. Meglio. Non avrò rimorsi,
quando dovrò
ucciderlo. E non ce li avrà lui quando, più
probabilmente, ucciderà me.
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Capitolo 6 *** Tu tornerai a casa ***
“ Annie!”
esclama una voce alle mie spalle.
Amadeus mi abbraccia forte. So che è lui per il profumo che
emette. Non saprei
come definirlo. Io non riesco a dire niente. Sono in uno stato
confusionale,
penso. Non so neanche dove mi trovo. Non so. Sento altre braccia
familiari. Più
esili. Mamma.
“ Annie, tesoro, vedrai
che andrà tutto bene…
“ singhiozza. Annuisco. Quasi non capisco a cosa si stia
riferendo. Oh, sì.
Hunger Games. Bene. Mi lascia. Altra braccia, ancora. Forti, possenti.
Ma
stavolta non mi mi avvolgono. Mi stringono le spalle. Guardo in faccia
quello
che penso essere Alexander. La sua voce è quasi ovattata.
“ Annie tu sei in gamba.
Sai nuotare bene. Sei
intelligente, ce la puoi fare. E poi sei bella, avrai tutti gli sponsor
di
questo mondo. Gioca bene le tue carte, puoi vincere!” mi
dice. Posso vincere.
Che meravigliosa bugia. Guardo Amadeus.
“ Non ti sei offerto
volontario, bene!”
affermo velocemente. I suoi occhi sono disperati.
“ Annie, io…
“ Tempo
scaduto” dichiara un Pacificatore
allontanando mamma da me. Amadeus mi guarda a lungo.
“ Ci rivedremo
presto” afferma uscendo dalla
saletta. Rimango di sasso. È la prima volta che mio fratello
mi dice una bugia.
Appena chiudono la porta, sento le gambe cedermi. Mi rannicchio sul
pavimento.
So che è stupido e infantile, ma è la cosa
più giusta da fare, ora. Tremo
tutta. Qualcuno apre la porta. Saranno i Pacificatori, forse sono
venuti a
dirmi che è il momento di prendere il treno. No. Delle mani
familiari mi
accarezzano. È Finnick.
“ Annie…
Annie, che cosa ti ho fatto…” mormora
singhiozzando. Non capisco. Non capisco niente. Voglio morire. Voglio
morire
ora. Lui continua a parlare, ma io non lo sento. Sto guardando un punto
del
pavimento. È strano, l’asse di legno è
leggermente scheggiata. Che strano.
“ Annie!”
esclama. Ritorno alla realtà. Che
vuole? Lo guardo attentamente. Sembra in procinto di dirmi qualcosa. Ma
non lo
fa. Si alza e se ne va. Bene. Che mi lasciasse sola. Che tutti mi
lasciassero
sola. Voglio passare gli ultimi istanti della mia vita in pace. Delle
mani mi
tirano su. Pacificatori, stavolta. Sento qualcuno che dice qualcosa. Ma
non lo
so. Sono già sul treno, quando mi risveglio dal mio stato di
trance. Tocca a
me. Stavolta tocca a me. Sono seduta accanto a questo ragazzo di cui
non
ricordo il nome. Guarda fuori dal finestrino, e io non riesco a fare a
meno di
scrutarlo. Adesso che sto riacquistando lucidità, mi rendo
conto che è proprio
bello. Perché non l’avevo mai visto al Distretto?
Non saprei. Sarà perché non
frequento i ragazzi della mia età. Lui si accorge del mio
sguardo.
“ Adesso mi
senti?” mi chiede. Annuisco. Che
vuol dire?
“ Sì.
Perché non dovrei?” domando. Lui scuote
la testa. Bello, molto bello. I suoi capelli sono castani, e ha due
occhi blu
come il mare, che luccicano come i diamanti che ci porta Finnick a
casa. Le sue
labbra sono rosse, carnose, ben definite. Ha una corporatura slanciata
e
muscolosa.
“ Perché prima
ho provato a parlarti, ma tu ti
limitavi a fissarmi come una pazza. Adesso stai bene?”
chiede.
“ Sì, sto
bene” dichiaro leggermente
scocciata. Mi ha praticamente dato della pazza. Lui sospira, passandosi
una
mano tra i capelli.
“ Bene. Tu sei Annie
Cresta, eh? Sei la
sorella di Alex?
“ Sì.
“ Già.
Piacere, Manuel Keist. Vendo le
ostriche a tuo fratello” mi spiega tendendomi la mano, che
afferro prontamente.
Mi degna di un sorriso.
“ Tu li conosci
già?
“ Chi?
“ I nostri mentori.
“ Oh” sospiro.
Sì, io li conosco. O meglio, ne
conosco uno. Lo conosco molto bene, direi.
“
‘Oh’ non è una risposta”
dichiara lui con un
sorrisino arrogante. Storco la mandibola.
“ Sì, ne
conosco uno. Finnick Odair. Va meglio
così?” chiedo sprezzante. Lui annuisce,
leggermente divertito. Evito di
guardarlo. Già non mi piace. Sento dei rumori dietro di me.
Manuel si volta, e
io decido di imitarlo. Finnick e Felixa. Finnick sembra più
pallido del solito,
mentre ostenta quel largo sorriso così familiare. Non mi
guarda, però. Al
contrario, invece, sento gli occhi ambrati di Felixa agganciarsi ai
miei. Nella
stanza, entra anche Glaxus che, con un’occhiata eloquente, si
sdraia sulla
poltrona e afferra una bottiglia posizionata lì vicino.
Finnick anche si siede
su una poltrona, seguito da Felixa.
“ Allora… so
che siete spaventati, ma,
intanto, vorrei presentarmi. Io sono Finnick e lei è Felixa.
E… cercheremo di
aiutarvi a vincere gli Hunger Games” esordisce. Sbuffo
rumorosamente. Felixa mi
scruta attentamente.
“ Ma sappiate che solo
uno di voi due uscirà
da lì… e, nella maggior parte dei casi, i mentori
incidono notevolemente sul
risultato della competizione!” afferma. Alzo le sopracciglia
con aria di sfida.
Non mi piace. Non mi piace il suo tono. Chi si crede di essere?
Increspo le
labbra amaramente.
“ Ok, allora…
cosa dobbiamo fare?” chiede
subito Manuel. Finnick sospira e comincia a parlare.
“ Dovete piacere alla
gente. Dovete crearvi
un’immagine, puntare su una storia d’effetto,
commuovente, far sì che abbiate
una schiera di persone adoranti pronte a sponsorizzarvi in tutti i modi
possibili… questo è il trucco!”
esclama.
“ Per te dovrebbe essere
facile, sei un bel
ragazzo, a capitol City perderanno la testa per te!” spiega
Felixa con il tono
più seducente che ha. Sbuffo infastidita.
“ Mentre tu…
tesoro, dimmi che sei più
interessante di quello che sembri…” mi dice
mielosa, cingendo con le mani il
braccio di Finnick. Mi alzo in piedi.
“ Solo perché
non vado a fare la puttana in
giro come te, non vuol dire che non possa essere
interessante!” esclamo. Felixa
Stafford: la ragazza che ha vinto i sessantasettesimi Hunger Games
facendo
innamorare tutti i tributi maschi di lei, comportandosi in modo
svenevole, per
poi mettergli gli uni contro gli altri. Lei si alza in piedi, con i
suoi occhi
ambrati fiammeggianti.
“ Stupida ragazzina, tu
non sai niente di me!”
urla rossa in viso. Finnick anche si alza, prendendole un braccio.
“ Fantastico, fantastico,
no? Felixa, non è
proprio quello che stavamo cercando? Un bel peperino! Sai quanto il
pubblico
ami i caratteri ribelli e impulsivi! Perfetto, possiamo lavorarci
sopra!” dice
contentissimo. Quella sua gioia mi irrita parecchio.
“ Bene, adesso che
abbiamo definito la mia
immagine, posso sapere dov’è la mia
stanza?” domando ad alta voce.
“ La seconda porta a
sinistra, vostra maestà”
sussurra Glaxus, ancora disteso sulla poltrona.
“ Grazie!” urlo
dirigendomi verso il
corridoio.
“ Dio, sono troppo
vecchio per queste
scenate…” lo sento borbottare. Arrivo alla porta
della mia stanza e, con un
gemito carico di rabbia, entro dentro. La stanza è carina,
circolare, con un
bel letto soffice. Mi ci butto sopra. Il viaggio sarà lungo.
Con le mani, tocco
le coperte. Sono morbide e vellutate. A casa ce le sognamo delle
coperte così.
Voglio il rumore del mare. Le mie orecchie sono invase dal rumore del
treno.
Non mi piace. Non lo voglio così. Non ce la faccio. Mi
raggomitolo su me
stessa. Piango. Non è giusto. Non ha senso. Niente ha senso.
Lì fuori ci sono
solo persone a me ostili. Manuel, che mi ucciderà senza
farsi troppi problemi,
Felixa, che, se potesse, mi ammazzerebbe ancor prima di entrare
nell’Arena,
Glaxus, che probabilmente mi starà reputando una ragazzina
viziata e… Finnick.
Che… mi ha illusa. Ma c’era ancora un
interrogativo nella mia testa. Come
faceva a sapere che sarei stata estratta proprio io? Non lo so. Sento
qualcuno
che bussa. Mi alzo con le lacrime agli occhi. È la
cameriera. Mi porta un
vassoio carico di cibo.
“ Io… non lo
voglio. Lo rimandi indietro.
Scusi” affermo prima di chiuderle la porta in faccia. Mi
rituffo sul letto.
Pensassero tutti quello che vogliono. Non toccherò il cibo
di Capitol City. Non
mi importa quanto io abbia fame. Preferisco morire di fame piuttosto
che
ingurgitare il cibo della mia prigione. Passo la serata
così, sdraiata sul
letto, con gli occhi sbarrati. Di tanto in tanto, sento delle lacrime
scendermi
sulle guance. Non voglio andare nell’Arena. Non voglio.
Voglio tornare a casa.
Sento qualcun altro che bussa. Sarà di nuovo la cameriera.
Mi alzo scocciata.
Quante volte dovrò rifiutare il cibo che…
è Finnick. Provo a chiudergli la
porta in faccia, ma lui è più forte di me, ed
entra nella stanza, chiudendosi
la porta alle spalle. Mi afferra i polsi. Provo a divincolarmi, a
liberarmi
dalla sua presa, ma lui mi sbatte sul letto, immobilizzandomi. Urlo, ma
mi
mette una mano sulla bocca. Sono immobilizzata. Piango.
“ Annie… mi
dispiace… ti giuro che mi
dispiace… non doveva accadere questo…”
sussurra con gli occhi lucidi,
liberandomi. Mi metto seduta sul letto, singhiozzando. Lui mi
abbraccia. E io
lo lascio fare. Non so perché glielo stia permettendo. Ma
sento la tensione
cadere su di me tutta insieme. E il suo abbraccio non è che
una chiave che apre
la porta alle mie emozioni.
“ Io non
tornerò più a casa… non
rivedrò più
mia madre… i miei fratelli… perché? Io
non capisco…” esclamo tremando come una
foglia. Lui mi stringe più forte.
“ E poi Felixa mi odia, e
Manuel è più forte
di me, non ce la farò mai…” mi lamento.
Sembro una bambina. Finnick mi dà un
bacio sulla testa.
“ E tu… tu mi
hai illusa, mi ha baciata, e ora
ti strusci su Felixa e io non riesco a capacitarmene… e tu
sapevi che il mio
nome sarebbe stato estratto, ma non capisco
perché…” sussurro. Finnick
abbandona la mia presa. Si mette in ginocchio davanti a me. Mi prende
il viso
tra le mani.
“ Annie…
ascoltami. Ti prego… puoi guardarmi?”
mi chiede. Annuisco e alzo gli occhi. I suoi sono gonfi di lacrime.
“ Tu sei stata
sorteggiata perché Capitol City
ha capito che tra me e te c’era qualcosa. Io sono una loro
proprietà, Annie.
Quando saremo lì, mi vedrai sempre circondato da donne di
tutte le età. È
sempre così. E’ questo il mio lavoro. E, per
permettermi di concentrarmi sul
mio compito, hanno ucciso tutta la mia famiglia. Mi rimane solo
Mags” afferma.
“ Io… non
capisco. Le tue sorelle…?” domando
confusa.
“ Uccise. Tutti sono
morti. Mia madre, mio
padre… tutti. Tutto questo perché mi ero
inizialmente rifiutato di… di essere
un dipendente di Capitol City. E perché non potevo
permettermi distrazioni. Ma
hanno scoperto che ci sei tu, ora… e io sono stato egoista.
Ti ho messo io in
questa situazione… e mi dispiace, Annie. Ma voglio
confortarti. Io ti farò
vincere” sussurra.
“ Come? È
impossibile” affermo il scansandomi
un po’. Lui si alza.
“ No, non è
impossibile. Ho un sacco di amici
potenti a Capitol City. Ti sponsorizzeranno tutti. Tu sei bella, Annie.
E
convincerò Manuel ad averti come alleata. Ti
proteggerà. Fidati di me. Io ti
farò uscire dall’Arena” mi spiega.
Scuoto la testa.
“ E perché
dovrei fidarmi di te?
“ Annie, mi sembra ovvio,
no? Io ti amo.
Davvero.
“ Felixa ti si struscia
addosso come un gatto
che fa le fusa, pensi che io possa…
“ Felixa non significa
niente per me. Nessuna
significava niente per me. Ma poi, mi hai trovato” mi dice
dolcemente,
sedendosi vicino a me. Mi guardo le mani. Finnick Odair. Il tono della
sua voce
è… sincero. Io ho il dono innato per capire le
persone, no? E adesso… perché
dovrei dubitarne? Se quello che mi ha detto è vero, questo
spiegherebbe molte
cose. Il suo comportamento quando è arrivato il
Pacificatore… tutto avrebbe un
senso. Annuisco velocemente, mentre mi stendo sul letto,
rannicchiandomi. Lui
si siede vicino a me e mi accarezza la testa.
“ Davvero non vuoi niente
da mangiare?” mi
chiede. Scuoto la testa. Mi stampa un bacio sulla fronte, prima di
alzarsi e
allontanarsi.
“ Io… vado in
camera mia, Annie. Mi troverai
lì se… se avrai bisogno di me” afferma
afferrando la maniglia della porta. Mi
metto seduta di scatto.
“ Oppure…
potresti restare con me. Io… non lo
so. Mi sento sola qui in questa camera. È troppo
grande” gli spiego. Ma la
verità è un’altra: la presenza di
Finnick mi calma, mi riporta alla realtà.
Vedo i suoi occhi verdi luccicare un po’. Sorride.
“ Ma certo che posso
restare” afferma. Si avvicina
al letto e, dopo essersi steso, mi abbraccia.
“ Tu tornerai a
casa… te lo prometto”
dichiara. E con un ultimo sorriso, sprofondo nel mondo dei sogni.
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