In tranquillo esse quisque gubernator potest

di angelikakiki
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A me piace guardarlo ***
Capitolo 2: *** Mi hai trovato, eh? ***
Capitolo 3: *** L'isola ***
Capitolo 4: *** Invidiavo le stelle ***
Capitolo 5: *** Non mi fido più ***
Capitolo 6: *** Tu tornerai a casa ***



Capitolo 1
*** A me piace guardarlo ***


Apro gli occhi. Sono viva, respiro. Mi porto una mano sulla pancia. Non sento nessun liquido simile al sangue. No, infatti. La mia mano è pulita. Era solo un sogno. Manca una settimana alla Mietitura. Non so descrivere le mie sensazioni. Ansia? No, non può essere quella. La mia famiglia non ha mai dovuto chiedere cibo extra dai Pacificatori. Il mio nome c’è appena cinque volte. Quindi, come classificare una sensazione del genere? Inquietudine. Come se stesse per succedere qualcosa. Ma non mi viene proprio in mente niente. Mi alzo dal letto e apro la finestra della mia camera. Inspiro l’aria salmastra della spiaggia. Qui si trova la mia casa: proprio davanti al mare. Che ore saranno? Forse le sei. Non amo svegliarmi tardi. Preferisco poter osservare il panorama che mi si para davanti. Ma soprattutto, voglio vederlo pescare. Ed eccolo, è sempre lì: Finnick Odair. Il Sopravvissuto ai 65esimi Hunger Games. Vive nel Villagio dei Vincitori, un fantastico quartiere provvisto di ogni lusso. È posizionato sul promontorio. Immagino che da lì ci sia un’ottima visuale. Ma Finnick viene sempre a pescare davanti casa mia. Ogni mattina. E a me piace guardarlo. Il perché, non lo so. Non ci ho mai parlato, in realtà. Né intendo farlo. So solo che è un mistero. Nonostante conosca la sua storia a memoria. Qui al Distretto 4 è una sorta di leggenda. Un tributo che ha fatto la storia, ecco. Lo vedevo ogni giorno in tv. Uccideva, pescava, e poi ancora uccideva. Ma mai un lampo di gioia o di soddisfazione nell’uccidere gli altri tributi, anzi. Per avere avuto all’epoca solo quattordici anni, nel suo sguardo si poteva leggere una sorta di compassione, mentre inforcava i suoi avversari con il suo famoso tridente. E una volta tornato qui… Niente. Lui non aveva sorriso, anzi. Sembrava quasi dispiaciuto di essere tornato. Poi, con il tempo, è tornato normale: il ragazzo di quattordici anni che amava fare castelli di sabbia e ridere con i suoi amici è l’incarnazione di questo Finnick diciannovenne. Ma cè sempre un’ombra, su di lui. Qualcosa che sembra non essersene ancora andato. E quest’ombra, è messa in luca proprio ora, su questa spiaggia. So che di tanto in tanto va a Capitol City. E ogni volta che torna, si mette a distribuire gioielli e pietre preziose ai bambini dei pescatori più poveri, i quali ci giocano come fossero semplici balocchi. Non tiene mai niente per sé. È proprio un mistero. Lo guardo ogni mattina, appena sveglia. È quasi confortante averlo lì, nonostante lui non si accorga del mio sguardo sulla sua nuca bionda. Mi fa sentire meno sola. Certo, ho sempre mia madre e i miei fratelli più grandi, ma non mi capiscono quanto vorrei. Fare amicizia, poi, è fuori discussione: io sono “ quella strana”. In realtà, non faccio niente di male: essenzialmente, dico solo quello che penso. Sempre. La sincerità è la mia stranezza. Ma non ci posso fare niente. Non riuscirei mai ad essere falsa con qualcuno. O a mentire su qualcosa. Va contro la mia natura. Tiro un sospiro mentre mi infilo velocemente i pantaloni e la camicia. Dopo la mia colazione, Finnick se ne andrà e io sarò libera di scendere per prendere la mia barchetta e controllare se i polipi sono caduti nelle mie trappole. Il concetto è semplice: metto delle anfore vuote dentro l’acqua, così che si possano poggiare sul fondo. Ad esse vi lego un filo con una piccola boa, così da sapere esattamente dove le ho posizionate. I polipi ne fanno il proprio rifugio e vi si infilano dentro. Poi, la mattina, mi basta solo andare a vedere se le ancore sono piene o no. Ad ogni modo, i polipi sono molto difficili da prendere. Me li pagheranno molto bene al mercato. Dopo essermi data un’ultima occhiata allo specchio, il mio sguardo si va a riposare sulla spiaggia. Non c’è nessuno. Come è possibile? Finnick se ne va sempre dopo la colazione. Oggi se ne è andato via prima. La cosa mi lascia un po’ delusa. Scendo le scale e apro l’armadio della cucina. Con la coda dell’occhio, vedo mamma dormire sul divano. Increspo le labbra in uno strano sorriso. Tenerezza, forse. Non saprei proprio. Tiro fuori dall’armadio una scatola di biscotti e ne mangio un paio. Alexander si è dato molto da fare per avere quei biscotti. Ha dovuto vendere un kilo di sardine fresche fresche. Ma ne è valsa la pena. Alexander, poi, è un genio con gli affari. Mio fratello ha vent’anni, ed è proprio un bel ragazzo: alto, moro e con due occhi azzurri come il mare. Niente a che vedere con me: troppo minuta per la mia età, due occhi smeraldi e capelli castani tendendi al rosso. Non sono proprio una classica bellezza del Distretto 4. Niente a che vedere con le sorelle di Finnick Odair, ecco. Mi infilo un giacchetto e apro la porta di casa. Spero solo di non aver svegliato nessuno. Ma di solito non succede mai. Mi volto di scatto per osservare il panorama in tutto il suo splendore: il mare è calmo e pacato, ma sull’acqua vi sono piccoli riflessi dorati di un sole appena sorto. Scendo la duna di sabbia e mi avventuro nella vegetazione bassa e rigogliosa. Il mio viaggio non dura tanto: in men che non si dica sono sulla spiaggia. Ed eccola! La mia barchetta rossa. Me l’aveva regalata mio padre. Vi aveva fatto dipingere  In tranquillo esse quisque gubernator potest”. Ignoro il significato di quelle parole. E le ignorerò per sempre. Mio padre era vissuto tra il lusso e lo sfarzo: mio nonno era il Sindaco del Distretto 4. Aveva studiato opere immortali, alcune di esse anche scritte in questa strana lingua. Ma ormai non ha più importanza. Mi aveva promesso che mi avrebbe svelato il contenuto della frase una volta compiuti sedici anni. Bhe, ho sedici anni. E lui è annegato. Apro il lucchetto della catena che lega la barca a una specie di anello di ferro legato a un palo posizionato lì da prima che nascessi. L’aveva costruito mio nonno. La confusione dei pensieri nella mia testa non mi rende attenta e sussulto, quando sento alle mie spalle:

“ Hey, tu!

Mi volto di scatto, con un piccollo urlo. C’è Finnick. Finnick Odair. Non so cosa rispondergli. Mi guarda con fare sfacciato, un po’ troppo compiaciuto forse. Io, dal canto mio, mi limito ad osservarlo imbarazzata.

“ Sei tu la ragazza che ogni mattina mi fissa, dico bene?” mi domanda. Ok, questo è troppo. Sento l’umiliazione e l’imbarazzo crescere dentro di me ogni secondo di più. Mollo tutto: la barca, la catena, le chiavi, e, a passo di marcia, provo a tornarmene a casa, provando a fermare le lacrime di vergogna. Lui mi blocca, mettendosi davanti a me. È veloce, molto veloce. Mi prende le braccia. Io abbasso lo sguardo. Ma cosa diamine vuole? Mortificarmi? C’è riuscito.

“ Hey… va tutto bene, ok? Perché fai così?” mi domanda. Scuoto la testa. Sono incapace anche di parlare, tanto sono imbarazzata. Forse è il momento più umiliante della mia vita.

“ Volevo solo sapere chi eri, me lo chiedevo sempre…” ammette lui. Lascia le mie braccia. Riesco ad emettere un sospiro e trovo il coraggio di guardarlo negli occhi. Ha degli occhi verdi, con lievi sfumature di castano dorato. Guardando più attentamente, riesco anche a distinguere delle macchioline grigie che circondano l’iride. Mi sorride, ma non vedo scherno nei suoi lineamenti, né ira. Sì, posso percepire… curiosità.

“ Sì, sono io. Mi dispiace davvero, non succederà più” dichiaro allontanandomi verso la barca.

“ Aspetta, aspetta! Non mi dava fastidio, ok? Cioè, puoi continuare a guardarmi tutte le volte che vuoi!” esclama raggiungendomi. Gli scocco un’occhiata carica di rimprovero. Ma chi si crede di essere? Il significato implicito delle sue parole non è proprio dei migliori.

“ Ok, forse così suona molto da ‘ragazzo presuntuoso e pieno di sé’…

“ Esatto” dichiaro scansandolo e continuando a dirigermi verso la barca. Lui non mi segue subito. Sento che è rimasto indietro e il suo sguardo mi formicola sulla testa.

“ Come ti chiami?” mi domanda.

“ Annie.

“ Piacere Annie. Finnick” mi dice raggiungendomi e tendendomi la mano, mentre recupero nella sabbia le chiavi. L’afferro in modo molto sbrigativo.

“ Bene. Adesso scusami davvero, ma devo andare a vedere i polipi hanno abboccato!” esclamo spingendo la barca verso il mare. Lui mi aiuta.

“ Ah, il classico metodo delle anfore oppure punti a qualcosa di più elaborato?” mi chiede premendo le sue mani sulla mia barca.

“ Le anfore. Gli altri trucchetti non funzionano bene come questo” affermo pensandoci su. È vero che non ne avevo sperimentati tantissimi… Ma con le anfore era molto più facile la cosa.

“ Già, penso proprio che tu abbia ragione. Senti… ti dispiace se vengo con te?” mi domanda. Ormai la barca tocca l’acqua. Ci fermiamo. Lo scruto attentamente. Sì, la barca dovrebbe poter reggere anche il suo peso, è sicuramente meno massiccio di Alexander. Ma lo voglio lì con me? Mica tanto. La sua presenza mi agita parecchio per motivi a me sconosciuti. Forse questo disagio è dovuto al fatto che l’ho visto ammazzare, scuartare e massacrare almeno dieci tributi dei 65esimi Hunger Games. Ma il suo volto dice altro. No, non è un pericolo per me, glielo leggo negli occhi. E io sono brava a capire le persone.

“ Perché?” gli chiedo. Tanto per conferma. Lui mi indica qualcosa posizionato a qualche metro di distanza. Una canna da pesca.

“ Mi serve qualcosa da portare a mia madre. Ce l’hai l’occorrente per pulire il pesce, là dentro?” mi domanda.

“ E’ ovvio” sussurro un po’ infastidita dalla sua domanda stupida. Lui sorride e corre a prendere la canna. Mi aiuta a spingere la barca e aspetta che io sia salita prima di mettersi dentro pure lui. Sto per prendere i remi, ma lui insieme: vuole remare lui. E io, in tutta sincerità, ne sono contenta. È sempre una faticaccia, soprattutto per chi ha due spalline piccole come le mie. Arriviamo alla prima boa. Tiro su l’anfora. È vuota.

“ Annie… quanti anni hai?” mi chiede nel frattempo.

“ Sedici…” rispondo io mentre ricalo giù l’anfora.

“ Io invece ne ho…

“ Diciannove. So tutto di te, Finnick!” replico indicandogli con il dito l’altra boa.

“ Oh, spero proprio di no!” afferma lui ridendo. Ha una bella risata. Argentina, squillante. Un bel suono, insomma. Sorrido anche io al suono di quella risata.

“ Allora, se sai tutto di me, possiamo anche concentrarci su di te, no?” mi domanda. Concentrarci su di me.

“ Mi dispiace, Finnick, ma ne resterai molto deluso. La mia vita non è molto interessante” gli confesso.

“ Oh, fammi indovinare allora, vediamo se ci prendo!” esclama lui mentre prendo la seconda boa.

“ Sei la più piccola della tua famiglia…” mi dice improvvisamente. Annuisco. Nel frattempo, vedo dentro l’anfora. C’è un polipo. Lo estraggo rapidamente e gli sbatto la testa contro un lato della barca.

“ … ma te la sai cavare benissimo anche da sola, senza l’aiuto di nessuno più grande di te!” conclude alla vista di questa scena.

“ Certo che sì, Finnick!” dichiaro contenta di aver catturato la mia preda. Lo guardo attentamente. Sembra che mi stia studiando.

“ Tu non hai amici” sussurra. Resto di sasso. Ma come…?

“ E hai sofferto tanto. È per questo. Hai difficoltà ad aprirti con le persone, ma quando lo fai, gli dimostri chi sei veramente, senza censure. La gente, allora, si spaventa. Non è facile adattarsi al cambiamento che fai. Quindi scappano tutti. È normale, sai? Lo fanno anche con me” ammette alzando le spalle. Non riesco a rispondergli. Come diamine fa a sapere… mi ha capita meglio lui in dieci minuti che le persone che mi conoscono da una vita. Non è possibile. Al mio sguardo stupito, mi risponde con un sorriso radioso.

“ Quando hai sofferto tanto, impari a riconoscere la sofferenza altrui!”mi spiega velocemente Finnick. Abbasso lo sguardo.

“ Ti riferisci agli Hunger Games?” chiedo in uno sprazzo di coraggio. Lui molla i remi ed afferra la canna da pesca.

“ Gli Hunger Games… e non solo” dichiara gettando in mare l’amo già provvisto di esca. Il modo in cui l’ha detto mi fa capire che la conversazione è momentaneamente finita. Aspettiamo qualche minuto. In questo lasso di tempo, però, non riesco a smettere di fissarlo come una matta. Scruta l’acqua attentamente, rilassato però. Si vede che è un pescatore esperto. Ma ci vuole una buona dose di fortuna. Appena formulo questo pensiero, ecco che qualcosa abbocca all’amo. Certo, che stupida: un essere umano che riesce a vincere gli Hunger Games a quattordici anni deve essere per forza fortunatissimo. Prendo velocemente il materiale per pulirlo da uno dei cassetti della mia piccola barchetta e glielo porgo. È una scatolina metallica, provvista di un coltello, una grattugia per levare le squame e una piccola tavola di legno. Le sue mani lavorano velocemente: si vede che è abituato. E poi arriva quel fantastico momento: Finnick taglia la testa al pesce. Rabbrividisco un po’. Lui sembra accorgersene.

“ Ti dà fastidio?” mi chiede.

“ Sì, em… lascio sempre che siano i miei fratelli a farlo. Non mi piace il gesto, non so. Mi spaventa” gli spiego. Spero solo che non mi abbia preso per una pazza scatenata.

“ No, eh? Però non hai paura di allontanarti così tanto da casa con un potenziale assassino” afferma improvvisamente. Sento il suo tono farsi più cupo. Metto su un sorrisetto nervoso.

“ Tu non mi farai del male.

“ Come lo sai? Dici di sapere tutto su di me. Allora sai anche che ho inforcato esattamente… dieci persone con il mio tridente. Non sei spaventata?

“ Per niente. So capire bene le persone.

“ E di me cosa hai capito?” mi domanda.

“ Che ti senti molto solo, Finnick” gli rispondo d’un fiato. Lui smette di pulire il pesce. Mi guarda negli occhi. Cosa vedo nelle sue pupille? Paura? Sgomento? Meraviglia? Non saprei.

“ Sai Annie… ci hai preso. Ci hai proprio preso” dichiara ributtandosi nel suo lavoro. Provo a concentrarmi sull’acqua, ma i pensieri galoppano lontani. In silenzio, ritorniamo sulla spiaggia. Mi aiuta a scendere dalla barca e la riposizioniamo dove stava prima. Ho messo in una busta il mio bel polipo: ci potrò comprare anche il latte, se tutto va bene. Sto chiudendo il lucchetto, quando sento:

“ Annie…

Alzo gli occhi. Finnick Odair mi sorride dolcemente. Cerco di non arrossire.

“ Dimmi.

“ Grazie per oggi. E, anche se non potrò più parlare con te, mi ha fatto davvero piacere conoscerti” mi dice. Non riesco ad afferrare il senso delle sue parole, ma, prima di averle razionalizzate, lui si volta e se ne va.

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Capitolo 2
*** Mi hai trovato, eh? ***


Mi sveglio, dolcemente stavolta. Nessun incubo. Ma che ore sono? È presto. È sempre presto. Mi sveglio quasi sempre alla stessa ora. Perfetto. Mi affaccio velocemente alla finestra. Ma niente. Non c’è nessuno. Sento i miei muscoli facciali scivolarmi di dosso. Lui non è lì. Non sta pescando. Scuoto la testa, come per far uscire gli spiacevoli pensieri che mi si insinuano nella testa. Arriverà. Ne sono certa. Continuo a scrutare la spiaggia. Di tanto in tanto, getto un’occhiata sugli altri oggetti della mia camera, per poi rifar posare lo sguardo fuori dalla finestra, nella speranza di vederlo comparire all’istante. Ma niente. Sbuffando, comincio a prepararmi. Butto altre occhiate, indugiando in altri punti della spiaggia. Forse è fuori dalla mia visuale. Ma come è possibile? Lui viene ogni mattina. È da tre anni che lo fa quotidianamente. E a volte, si tratteneva anche più del solito. Ma oggi non c’è. Sento aprirsi una porta alle mie spalle.

“ Annie…

“ Amadeus! Sto in mutande!” esclamo infastidita infilandomi velocemente i pantaloni. Lui indugia sulla porta, aspettando che gli dia il permesso di entrare. Quando lo fa, rimango sempre spiazzata da quanto siamo simili: capelli color porpora, pelle chiara e occhi neri come la pece. Somiglia in modo impressionante a papà.

“ Scusa se ti disturbo, mamma ha detto che oggi va lei a prendere i polipi.

“ Ma perché vi siete svegliati così presto?” domando considerando questo strano evento.

“ Mamma ha avuto uno dei suoi attacchi, stanotte” mi spiega Amadeus. Sì, vedo le occhiaie contornare i suoi occhi scuri.

“ Potevate svegliarmi, no?” gli dico stizzita, girandomi verso la finestra. Finnick non c’è. Stringo le labbra.

“ Lo sai che non vogliamo farti preoccupare.

“ Il fatto che io sia la più piccola, non vi dà il diritto di nascondermi le cose. Adesso sta bene, vero? Almeno questo puoi dirmelo, spero” affermo scoccandogli un’occhiata di fuoco. Lui annuisce debolmente.

“ Sì, Annie… ma per farla guarire, ci servono le medicine giuste” dichiara mettendosi a sedere sul mio letto. Gli vado vicino, mettendomi a sedere senza guardarlo negli occhi.

“ Non ci arriviamo con i soldi, eh?

“ Sarebbe inutile anche solo provarci. Se mettessimo da parte i soldi necessari per almeno una delle medicine che le servirebbero, non dureremo neanche due giorni” mi spiega tra i denti. Il mio sguardo indugia sulle sue mani. Ha i pugni serrati. Sbuffo. Dovremo tenercela così, e sperare che non muoia da un momento all’altro, in preda ai suoi attacchi. Il dottore si era raccomandato con noi. Ma nonostante la tenessimo lontana dagli stress emotivi, almeno una volta al mese, dava di matto. Le servono i tranquillanti, psicofarmaci, comunque. E quelli hanno  un costo.

“ Voglio offrirmi volontario” sussurra Amadeus. Mi casca il mondo addosso. No, non può averlo detto sul serio.

“ Che cosa? Stai scherzando?” gli chiedo io alzando lo sguardo. No, è terribilmente serio. Nessuna traccia di ironia o sarcasmo.

“ No. Io… non posso convivere con questo peso, Annie. È colpa mia se papà è morto e tu lo sai. Sei l’unica che non mi odia qua dentro” esclama con gli occhi lucidi.

“ Amadeus, non dire assurdità…

“ E’ vero! È colpa mia! Se non avessi voluto per forza andare a fare quella gita sugli scogli…” dice.

Amadeus era curiosissimo di vedere la visuale dagli scogli. E papà gli aveva promesso che il 14 giugno ce l’avrebbe portato. Solo che c’era un temporale, e il mare era mosso. Ma Amadeus voleva andarci a tutti i costi, anzi, il fatto che il mare fosse mosso era un motivo in più per osservare un panorama particolare. Mio padre non voleva, ma alla fine aveva caduto. E fu lì che accadde tutto. Papà scivolò da uno degli scogli. I tentativi di salvarlo da parte di Amadeus furono inutili. Se lo portò via il mare. Amadeus non aveva parlato per settimane. Mamma e Alexander lo evitavano. Solo io cercavo di stargli vicino, nonostante il dolore.

“ La tua morte non lo riporterà indietro! E se proprio vuoi suicidarti per i sensi di colpa, puoi pure andarti ad impiccare su quell’albero lì!” dico indicando un alberello poco distante dal recinto di casa nostra.

“ E chi ha detto che devo morire? Se vincessi, avremo i soldi necessari per…

“ Oh, andiamo, la tua assomiglia molto di più a una missione punitiva contro te stesso, piuttosto che a un atto di amore verso di mamma” affermo io incrociando le braccia. Lui scatta sulla difensiva.

“ E comunque è una cosa che devo decidere io e io soltanto! Non so neanche perché te ne ho parlato! Sei solo una bambina, dovresti pensare agli svaghi e ai ragazzi piuttosto che atteggiarti da adulta!” urla alzandosi in piedi.

“ Per tua informazione ho solo due anni in meno di te, e dai discorsi che fai sembri tu quello poco maturo! Come la prenderebbe mamma, eh? Morirebbe se ti vedesse salire su quel palco!” grido io in preda alla rabbia, alzandomi a mia volta.

“ Ne sarebbe solo che felice, una bocca in meno da sfamare!

“ Vedi? Tu non vuoi vincere, tu vuoi solo trovare un pretesto per ammazzarti! Non dirmi che ti aspettavi un mio assenso! Tu puoi fare come ti pare, ma ti stai comportando da vigliacco!” dichiaro fuori di me. Vedo l’ira salirgli negli occhi. Diventa tutto rosso e stringe le labbra facendole diventare violacee. Può arrabbiarsi quanto vuole: non cambierà quello che penso. Con un’ultimo sguardo carico d’odio, esce dalla mia stanza sbattendo la porta. Mi tuffo sul letto. Ma è impazzito? Si aspettava davvero che appoggiassi la sua decisione? Lui vuole ammazzarsi. Ma non ha il fegato di suicidarsi. Vorrebbe che qualcuno lo facesse al posto suo. Ecco perché infastidisce tutti i ragazzi del Distretto. Ci va sempre a finire a botte. Spera che qualcuno, un giorno, lo finisca. Potrei ammazzarlo io, se me lo chiedesse. Almeno così eviteremmo queste sceneggiate da piccolo eroe tragico e incompreso.

Considero cosa fare durante questa giornata. Il pensiero di Finnick Odair mi ossessiona, ma lo scanso via facilmente. Potrei andare in barca e godermi il panorama. Ma no, mamma ha preso la barca. Sento bussare alla porta.

“ Avanti…

Entra Alexander. Mi sorride dolcemente, mentre mi scruta le guance. Devono essere ancora rosse per lo scatto di ira avuto prima. Alexander, come me, ha il fantastico dono di capire al volo le persone. Si siede accanto a me.

“ Che voleva Amadeus?” mi domanda.

“ Dimostrarmi la sua stupidità” gli rispondo con un sorrisetto sprezzante.

“ Una cosa nuova, insomma” afferma lui fissando il muro della stanza. Dopo un attimo di esitazione, mi chiede:

“ Senti… ieri mattina ti ho vista mentre andavi a controllare i polipi. Sbaglio o con te c’era… Finnick Odair?

Arrossisco un po’. Ma provo a mettere su un atteggiamento normale e distaccato.

“ Sì. Perché me lo chiedi?

“ Perché non sono sicuro a lasciarti con quello lì. Si dicono cose strane su di lui” mi dice serio.

“ Se è per gli Hunger Games, immagino che non avesse scelta. Lì sono tutti assassini” dichiaro fiera e decisa. Alexander scuote la testa.

“ No, io non mi riferisco agli Hunger Games. Le sue visite a Capitol City, per esempio. Ti ricordi il mio amico Salem, il custode della stazione? Bhe, mi ha detto che, quando Finnick va a Capitol City, torna sempre alle cinque di notte… Cioè, parte il pomeriggio verso le tre e torna alle cinque di notte. Che cosa va a fare lì fino a quell’ora? E torna sempre carico di gioielli o altra roba costosa. Non ti sembra strano?” mi domanda.

“ Non mi importa se è strano. Ognuno fa quello che vuole nella vita. So solo che non penso sia una cattiva persona. Ci hai mai parlato?” gli chiedo io. Lui scuote la testa. Ora capisco. Se ci parlasse, se ne accorgerebbe subito. Il nostro talento condiviso è più utile di mille racconti o confessioni varie.

“ Dovresti. Glielo si legge negli occhi!” dichiaro dandogli una pacca sulla spalla. Mi alzo in piedi.

“ Dove vai?” mi chiede lui.

“ Sotto il promontorio. Voglio andare a nuotare un po’” gli rispondo. Esco di casa e mi avvio verso gli scogli del promontorio. Non sono troppo distanti, e comunque è piacevole fare una passeggiata sulla spiaggia. Ed eccomi arrivata. Alzo lo sguardo. Sopra la parete di roccia che emerge dalla sabbia, il Villaggio dei Vincitori. Casa di Finnick. Mi guardo intorno. Qui sotto non ci viene mai nessuno. Non è un posto molto conosciuto, ed è difficile nuotare qua dentro per via degli scogli e della corrente. Ma sono una delle migliori nuotatrici del Distretto, me lo dicono tutti. Mi spoglio velocemente, lasciandomi addosso solo la biancheria intima. E così, mi butto. Sento l’acqua salata invadermi le membra e, una volta tornata in superficie, sospiro. E così bello poter nuotare lì dentro. D’un tratto, però, sento una voce.

“ Mi hai trovato, eh?” chiede. Mi volto. Finnick Odair mi guarda attentamente, uscendo dal suo “ nascondiglio” dietro uno scoglio. Nonostante la sorpresa e l’imbarazzo, riesco a ciancicare:

“ Non ti stavo cercando!

“ Ma io mi stavo nascondendo da te” afferma un po’ troppo serio. Questo ragazzo parla per enigmi, non riesco a seguirlo. Mi avvicino verso gli scogli, per poterci parlare meglio.

“ Perché oggi non sei venuto sulla spiaggia?” gli domando.

“ Te l’ho detto, no? Mi stavo nascondendo da te” mi spiega mettendosi a sedere sullo scoglio al quale sono aggrappata. Rido sarcastica.

“ Sì, certo.

“ Te lo giuro. E comunque, te ne accorgeresti se stessi dicendo una bugia, no? Tu sei brava a capire le persone” mi sussurra guardando l’orizzonte. Infatti è proprio questo che mi spaventa: non riesco ad individuare segnali di gioco o di scherzo nel tono della sua voce. Cerco di cambiare argomento.

“ Non ti tuffi?” chiedo.

“ Vorrei, ma non so quanto la cosa ti potrebbe far piacere” mi dice sorridendomi con lo stesso sorriso di ieri.

“ E per quale motivo?

“ Stai in biancheria intima, Annie” mi spiega con una risata. Impallidisco prima di sentire il sangue salirmi sulle guance. O Santo Cielo, è vero. Mi spingo più giù, facendo sprofondare le spalle sotto il pelo dell’acqua.

“ Oh, già. Em… allora fammi risalire, dai. E girati, ti prego!” esclamo. Lui si volta sghignazzando, posso sentirlo. Che avrà da ridere non lo so. Mi arrampico sullo scoglio e afferro i miei vestiti. Non ho il tempo di farmi asciugare la biancheria, quindi mi infilo velocemente la camicetta e i pantaloni. Si bagneranno, ma non mi importa. Quando Finnick si volta, vedo i suoi occhi indugiare sulla parte bagnata della mia camicia, dovuta al contatto con il reggiseno bagnato. Ed in quel momento ho paura. Ma l’istante dura davvero un attimo, perché poi i suoi occhi incontrano i miei.

“ Oggi non sono venuto sulla spiaggia perché non volevo rincontrarti, Annie” ammette serio.

“ E per quale assurda ragione?” gli chiedo.

“ Perché ieri non ho fatto altro che pensare alla nostra conversazione” mi spiega velocemente. Ma mi sta prendendo in giro?

“ Non vedo cosa ci sia di male. Anche io ho ripensato a ieri” replico sinceramente mentre mi asciugo con un’asciugamano i capelli.

“ Io non posso permettermi di legarmi a nessuno” dichiara. Lo guardo interrogativo. Indugio sui suoi occhi. Non riesce a guardarmi fisso. Mi sta nascondendo qualcosa. E non vuole mettermi al corrente di quello che gli passa per la testa.

“ Ti chiederei perché. Ma so che non me lo dirai, dico bene?” domando io acida.

“ Ci hai preso anche stavolta… sei incredibile… ”afferma continuando a tenere lo sguardo basso e accennando una risata.

“ Ok. Ci sono delle cose che vuoi tenerti per te. Lo capisco. E poi, io e te non siamo amici” sussurro a bassa voce. Lui annuisce.

“ Esatto. E non dobbiamo esserlo, assolutamente. Mi dispiace, Annie” mi risponde. Sospiro.

“ Bhe, potevi dirmelo ieri. Anzi, potevi non avvicinarti proprio, per quanto mi riguarda. Mi avresti fatto solo che un favore” replico afferrando la roba e andandomene. Sento che mi chiama. Ma non mi volterò. Mi ha detto chiaro e tondo che non vuole/ può vedermi. Quindi i giochi sono chiusi. Ho avuto un assaggio di Finnick Odair. E se me ne importasse qualcosa, sarei anche triste di aver perso così la possibilità di conoscerlo meglio. Cosa che non sono. Credo.

 

 

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Capitolo 3
*** L'isola ***


Sto fissando il soffitto. È mattina presto e ancora non so cosa fare oggi. Spero solo che qualche polipo abbia abboccato, così almeno potrò venderlo. Mi alzo dal letto e mi stiro le braccia. Ieri non è stata una giornata molto produttiva: ho pescato per un po’, ma ho ottenuto solo due sardine. Praticamente inutili. Vado alla finestra. Nonostante sappia che Finnick Odair non verrà più a pescare su questa spiaggia, ammirare il paesaggio mattuttino è un’abitudine troppo ben radicata per poter essere trascurata. Ma non sono pronta a quello che sto vedendo. Finnick Odair è lì seduto. Ma al posto di pescare, mi sta fissando. Il suo sguardo è rivolto verso di me. Mi sorride e mi fa un cenno con la testa, come per dire “ scendi”. Mi guardo intorno. Ma siamo sicuri che stia guardando proprio me? Ebbene sì, a quanto sembra. Mi volto dandogli le spalle. Che faccio? Scendo? Non scendo? Tanto prima o poi dovrò andare: i polipi mi chiamano. Apro l’armadio: perché non riesco a mettermi la prima cosa che trovo? Opto per un paio di pantaloncini e una maglietta verde. Sì, dovrebbe andare. Attraverso il recinto e la vegetazione, prima di arrivare sulla spiaggia. Quando guardo Finnick, non riesco a trovare la sua canna da pesca. È qui per me.

“ Ciao, Annie” mi dice con dolcezza. Tiro su il mento e sospiro.

“ Dimmi, che ti serve? Vuoi uno dei miei polipi? Li sto andando a prendere proprio ora” dichiaro andando verso la barca. Finnick si alza e ride.

“ No, non voglio i tuoi polipi. Voglio portarti in un posto. Ne ho facoltà?” mi chiede in modo pomposo, quasi per prendermi in giro.

“ No. Io e te non siamo amici, siamo a malapena conoscenti. Sarebbe quanto mai folle avventurarsi per mare con una persona con la quale non si ha confidenza, no?” gli chiedo.

“ Allora saremo due folli, mi sa” afferma lui contento. Niente, non riesco a trattenere un sorrisetto compiaciuto. Se l’è giocata bene, eh?

“ Avanti, aiutami a spiangerla in mare!” gli dico. Lui scuote la testa.

“ No, no. Stavolta ci andiamo con la mia barca. Abbiamo qualche ora di tempo?” mi domanda. Lo guardo dubbiosa. Sento una voce alle mie spalle.

“ Annie!” urla Alexander. Mi prende un colpo. Lo guardo quasi colta in flagrante. Che poi, perché? Non lo so.

“ Alex! Senti… vai tu a controllare i polipi?” gli domando correndogli incontro. Il suo sguardo percorre me e Finnick.

“ Sì, va bene… e tu dove vai?

“ Viene con me” annuncia Finnick smagliante. “ Piacere, Finnick Odair” dice tendendo la mano verso mio fratello. La mascella di Alexander si scioglie al sorriso di Finnick. Niente, questo ragazzo conquista chiunque. La stringe quasi… calorosamente.

“ Ok, ok… ma devi stare qui per pranzo, Annie. Niente scuse” dichiara rivolgendosi a me. Annuisco, grata che mi lasci andare con Finnick. E con un ultimo saluto, io e Finnick ci incamminiamo verso il promontorio.

“ Allora… che vogliamo fare?” chiedo a lui sospettosa.

“ In che senso?” mi domanda a sua volta sorridendo verso di me.

“ Nel senso… non ci capisco niente. Tu ieri hai detto…

“ So quello che ho detto” dichiara scattante. “ Ma i miei buoni propositi non mi impediscono di fare quello che realmente voglio.

“ E cosa vuoi?” gli chiedo. Gli occhi del ragazzo si abbassano verso la sabbia, per poi cercare i miei fin troppo rapidamente.

“ Conoscerti. È tanto egoistico da parte mia voler stare bene con qualcuno?” mi domanda con lo spettro di un sorriso sulle labbra.

“ No. Non più di tanto. Ma a me risulta difficile pensare che tu possa davvero voler conoscere me” gli dico. Solo un attimo dopo mi rendo conto delle parole che ho pronunciato. Lui scoppia a ridere.

“ Questa poi! E sentiamo, perché dovresti pensare una cosa del genere?” mi domanda.

“ Perché tu sei Finnick Odair, una specie di celebrità, qua in questo schifo di Distretto.

“ Ti sottovaluti parecchio.

“ Non dico questo. Dico solo che dovresti essere circondato dallo sfarzo e gioire di ciò con altre persone che possono permetterselo. Insomma, dovresti snobbare le persone come me, che a malapena riescono ad arrivare a fine giornata” gli spiego cercando di metterla sullo scherzo. Ma non mi riesce molto bene. Lui scuote la testa.

“ Oh, mia povera e dolce Annie… se potessi scegliere, butterei tutti i miei averi nell’oceano!” grida con lo sguardo rivolto verso il cielo. Vorrei indagare di più, ma lui mi indica qualcosa con il dito.

“ E’ quella” dice. Non è una barca. È una specie di gommone attaccato a un gancio in mezzo all’acqua, proveniente da Capitol City, se l’esperienza non mi inganna. È provvisto di una specie di motore attaccato alla parte posteriore.

“ Questo affare è veloce?” gli chiedo non riuscendo a contenere la curiosità.

“ Più di quanto sembri” afferma. Mi aiuta a salire sull’imbarcazione e, una volta salito anche lui, stacca il gancio e preme un bottone sulla parte anteriore. Io mi metto a “prua”. È confortevole sentire tutto questo vento scomigliarmi i capelli. È una cosa che mi è sempre piaciuta.

“ Dove hai detto che andiamo?” gli domando urlando, per contrastare il rumore del vento. Non mi risponde, ma si limita a sorridere indicando gli scogli più avanti. Impallidisco.

“ Ma lì non ci si può andare!” grido. Finnick alza le spalle, ironicamente dispiaciuto. E ci addentriamo al di là degli scogli. Poi, improvvisamente, lo vedo cambiare rotta. Punta verso destra, andando oltre il promontorio. Non ero mai andata così lontano. E ci mettiamo poco meno di un minuto. Poi, improvvisamente, grida il mio nome e mi indica qualcosa a destra. Devo strizzare gli occhi per vederla. Una piccola isoletta si erge in mezzo al mare. Possono distinguere le palme. Il gommone perde velocità man mano che arriviamo e ci lasciamo trasportare dalle onde del mare verso la riva. Guardo l’acqua. Non ho mai visto un fondale così chiaro, un’acqua così azzurra come il cielo. Sull’isola vi sono delle palme imponenti, d’un verde brillante. Finnick, spingendo un pulsante, lascia cadere ‘qualcosa’ che si attacca sul fondo marino, impedendo così alla barca di muoversi. Poi, improvvisamente, si toglie i vestiti e, con solo un piccolo slip rosso a coprirgli il corpo, si tuffa. Quando riemerge, vedo che l’acqua è più bassa di quanto pensassi: gli arriva a metà petto.

“ Dai, Annie, tuffati, così possiamo andare sulla spiaggia!” mi dice. Mi guardo intorno. Siamo completamente soli. Ma io non mi sono portata il costume appresso. Finnick sembra cogliere l’imbarazzo della cosa.

“ Sei vuoi mi giro…” sussurra cercando di trattenere un sorrisetto. Mi sa tanto di provocazione, così, senza dirgli niente, mi tolgo la maglietta e i pantaloncini e mi tuffo. La sua sorpresa è tangibile, quando riemergo dall’acqua. Combattendo contro il rossore, provo a guardarlo con fare di sfida. Ma non mi sembra la faccia di uno che ha perso, anzi. Nuotiamo fino alla spiaggia. Lui è un nuotatore esperto, si vede dal modo in cui muove la braccia, con un ritmo fin troppo regolare. Io anche me la cavo bene, però: riesco a stargli dietro, sebbene a fatica. La corrente ci trascina sulla spiaggia, dove la sabbia è fina come la farina e morbida come il burro. Mi ci abbandono letteralmente, sdraindomici sopra. È una sensazione meravigliosa. Anche lui fa lo stesso, mettendosi comodamente sdraiato al sole. Oggi nel cielo non ci sono nuvole. Inspiro la brezza: stranamente non riconosco quel tipico odore di pescato tipico del nostro Distretto e questa è la cosa più bella di sempre.

“ Annie…” mi sussurra. Io ho gli occhi chiusi, ma sento la luce del sole venire meno. Li apro. Finnick mi fa ombra.

“ Sì?” rispondo con la voce un po’ impastata.

“ Ci credi al destino?” mi chiede. Mi metto anche io a sedere, senza guardarlo negli occhi. Mi limito a fissare il mare. Il mare. Quel luogo meraviglioso che amo. Quel luogo terribile che mi ha portato via mio padre.

“ Sì” dichiaro dopo qualche istante.

“ Anche io. Secondo me è una forza che sconvolge l’ordine delle cose, ed è inutile provare a fare resistenza, no?” mi domanda fissandomi. Io decido di non incrociare il suo sguardo, quando gli annuisco velocemente. Lui sospira.

“ Bene. Io e te Annie non dovremmo essere amici. Ma… L’altro ieri… per la prima volta dopo cinque anni… non mi sono sentito… solo, proprio come hai detto tu. Non lo so, sento che c’è qualcosa dentro di te che… che mi capisce. E questa cosa mi serve. Quindi… anche se, a mio avviso, rimpiangerai questo giorno… Annie, vorresti essere mia amica?” mi domanda sorridendo. Ed è in quel momento che mi accorgo di quanto sia bello il suo sorriso. È magnetico, è intrigante, è ambiguo, gioioso ma marcato dalla sofferenza. Non riesco a rimanere impassibile. Gli sorrido dolcemente e, tenendo un braccio, gli accarezzo la guancia per poi tornare a guardare il mare. È solo nell’attimo seguente che mi rendo conto di quello che ho fatto e arrossisco tutta. Ma perché l’ho fatto? Quanto sono cretina? Non riesco a capire il motivo di ciò. So solo che mi ha ispirato… dolcezza e tenerezza con quel discorso. E io l’ho accarezzato. So di essermi presa troppa confidenza, quando mi giro e gli grido un impacciato “ Oddio, scusami, davvero!”

Ma lui non mi sente. Ha gli occhi chiusi, nonostante il capo sia rivolto verso di me. Apre gli occhi. Brillando come due diamanti.

“ Puoi… puoi farlo ancora?” mi domanda. Rimango allibita da tale richiesta. Non so come reagire, quindi, faccio abbassare lo sguardo sulla sabbia. Sento la sua risata argentina. Si sta avvicinando a me, vedo la sua ombra attaccarsi alla mia. Sento un braccio cingermi le spalle. Sussulto e faccio per allontanarmi, ma lui mi stringe a sé. La sua pelle è calda e liscia, al contrario della mia, invasa da piccoli brividi, immagino dovuti al freddo. Non capisco il motivo di tutta questa confidenza, ma mi lascio trasportare. Sto parlando di quella sensazione di quando lascio fluttuare i miei capelli al vento, oppure di quando mi tuffo nell’acqua gelida ma piena di vita. Mi lascio andare un sospiro liberatorio. Finnick mi ha stretto in un abbraccio, fuori dal quale vi sono tutti i miei problemi. Scivolano via dal mio corpo, come ruscelli, Alexander, Amadeus, gli Hunger Games, mia madre, mio padre, il latte, i polipi…  per far spazio a una fiamma, che sento irradiarsi dentro al mio petto. Non riesco a fare a meno di sorridere. Chiudo gli occhi inspirando a fondo, ancora e ancora. Quelle mani calde sulle mie braccia sono salde e sicure, come un porto di salvezza dopo la tempesta. Lascio cadere il mio capo sulla spalla. Non so perché lo faccio, ho momentaneamente perso il controllo dei miei gesti e della situazione in generale, ma mi piace. A lui questo nuovo contatto non dispiace, anzi, anche lui poggia la sua testa delicatamente sopra la mia.

“ Sì, sarà proprio una gran bella amicizia” dichiara con una risatina. Annuisco senza avere il coraggio di emettere alcun suono. Non so se questa sensazione può essere definita “ amicizia”. Non ho molti termini di paragone su cui basarmi. Ma so che io sto bene. In questo momento sono felice. E mi basta. Anche senza starci troppo a pensare. Mi alzo di scatto. Lui, interrogativo, mi guarda.

“ Voglio farmi un bagno” dichiaro avanzando verso l’acqua. Lui mi segue, e in un batter d’occhio, siamo a mollo. Ridiamo, scherziamo, ci tiriamo l’acqua e ancora ridiamo. Lui mi trova particolarmente spiritosa e la cosa non mi dispiace. Mi accorgo di non aver mai sorriso così tanto. Quest’isola è bellissima. Tutto è bellissimo. Lui compreso. Adesso che lo vedo meglio, capisco perché ha vinto gli Hunger Games. Non è questione di forza o di carattere, per quanto ne sia comunque ben provvisto: è proprio bello. Capelli dorati, visibilmente schiariti dal sole e dal mare, occhi verdi e intensi, labbra rosse e definite e un corpo definito e muscoloso. E me ne accorgo solo ora. Per quale assurda ragione? Forse sono un po’ troppo con la testa tra le nuvole. L’isola, per esempio? Perché non mi sono mai accorta della sua esitenza? Oh, giusto, sarebbe vietato attraversare gli scogli. Ma allora perché Finnick lo fa?

“ Finnick… ma tu come hai fatto a scoprire questo posto? Non ci si potrebbe andare, no?” chiedo io un po’ titubante. Lui sorride, scompigliandosi i capelli zuppi con la mano sinistra.

“ Mi ci ha portato Mags. La mia mentore” spiega lui semplicemente.

“ Oh, em… quella signora con i capelli grigi…?” chiedo io. Gli si illuminano gli occhi.

“ Sì, lei. È l’unica amica che ho. Poi vabbè, ci sei tu ora” mi dice. Arrossisco e cerco di deviare il discorso.

“ Ho capito. E perché qui non ci si può venire? Cioè, tutti al Distretto…

“ E’ un segreto. È una zona d’accesso per solo Vincitori. Se ti avventurassi con la tua barca oltre gli scogli, verresti respinta indietro da un campo di forza. Invece la mia barca ha un dispositivo speciale capace di disattivarlo” mi spiega con una nota d’amarezza nella voce. “ Sai, a noi Vincitori  è permesso godere di questa vista spettacolare e di fare quello che ci pare con questo posto. Ma la libertà ha un prezzo” mi sussurra amaramente incrociando le braccia. Lo vedo assorto in mari che io non posso esplorare. A causa delle sue parole, mi spuntano i brividi. E sento improvvisamente freddo. Anzi, comincio proprio a tremare. Lui sembra accorgersene.

“ Hai freddo? Ti ho inquietata?” mi domanda.

“ Un po’ sì. A volte non ti capisco quando parli. Ma comunque è per il freddo, è da mezzora che stiamo in acqua” osservo guardandomi i polpastrelli ridotti a materiali rugosi. Si avvicina e mi abbraccia, accarezzandomi la testa. Sento i brividi ballare sulla schiena e sul collo. Con un sorriso quasi riconoscente sui nostri volti, ritorniamo alla barca. Mi rivesto velocente, quando lui si volta e mi chiede:

“ C’è qualche ragazzo geloso con il quale dovrò fare i conti, una volta tornati al Distretto?” mi domanda. Scuoto la testa.

“ Oh, no, no. Cioè, sempre che tu per ‘ragazzo’ non intenda i miei fratelli. Ma in caso contrario… no, nessuno” ammetto. Sì, mi sembra soddisfatto quando preme il pulsante per staccare il gommone dal fondo. Mi chiedo perché anche io lo sia. Percorriamo il viaggio in silenzio, ognuno assorto nei propri pensieri. Finnick Odari mi ha praticamente chiesto se ho un fidanzato. Un fidanzato vuol dire una… una storia d’amore. Io, sfortunatamente, non sono molto pratica in queste cose. Non ho mai avuto nessuno e, per quello che mi ricordo, mamma e papà non si sono mai lasciati andare a grandi manifestazioni d’affetto.  Una volta ho visto mio fratello baciarsi appassionatamente con una ragazza di nome Emmy, ma niente di più. Non saprei neanche da che parte iniziare. E soprattutto… come si fa a capire se si è innamorati di una persona? Non lo so. Ma, cosa ancora più importante… cosa provo per Finnick? Lui l’ha chiamata amicizia, no? Eppure qualcosa dentro di me mi dice che non è proprio così. Ma ancora devo pensarci bene. Dopo aver attraccato, mi accompagna a casa. Ridiamo e scherziamo felicemente, parlando di cose stupide, dal nostro pesce preferito fino al taglio di capelli più strano che ci siamo mai fatti.

“ Ti posso vedere anche stasera?” mi domanda. Non riesco a rispondergli che qualcuno mi chiama:

“ Annie!

E’ Alexander. Non faccio in tempo a rispondere a Finnick, ma lui capisce un ‘sì’.

“ Ok, senti… Alle nove e mezza al faro, ci stai?

“ Ma è pieno di Pacificatori…

“ Non oggi, fidati di me. Ci stai?

“ Annie!

“ Sì, ci sto.

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Capitolo 4
*** Invidiavo le stelle ***


“ Mamma, io esco” dico subito dopo cena infilandomi gli stivali all’ingresso. Mia madre impallidisce, mentre i miei fratelli mi guardano male.

“ Dove vai?” chiede Alexander. Sospiro.

“ Vado al faro. Con Finnick” dico apertamente. Vedo la mascella di Amadeus contrarsi.

“ No, Annie, non penso proprio” sussurra amaramente. Alexander mi fissa intensamente, come se volesse studiarmi meglio.

“ Non è sempre pieno di Pacificatori, lì?” mi domanda.

“ Non stasera, da quello che dice Finnick. Lui li conosce, , è uno dei Vincitori e va e viene da Capitol City. Finché starò con lui, non mi succederà niente” dichiaro prendendo il giacchetto dalla potrona. Alexander sospira, guardando mia madre, pallida in volto. I suoi occhi azzurri saettano da una parte all’altra.

“ Tu che dici, la mandiamo?” domanda lei a mio fratello. Sbuffo. Alexander non è mio padre, io faccio quello che voglio.

“ Sì, possiamo mandarcela. Ma solo per questa volta. E non fare tardi” mi dice calmo. Amadeus è in procinto di dire qualcosa, ma, a uno sguardo di Alexander, si blocca. Con un sorriso tirato, esco di casa sbattendo la porta e mi avventuro per la spiaggia. È così calma, così pacata e buia. Ma è accogliente. Mi incammino verso sinistra, nella direzione del faro. Sono dieci minuti a piedi, che non mi pesano per niente. Anzi, adoro quell’aria un po’ pungente che viene a quest’ora. Mi fa dimenticare i problemi, le frustrazioni. Vedo Finnick ai piedi del faro. Mi sta aspettando. Effettivamente, ci aveva preso: non c’è nessun Pacificatore in giro. Di solito è il loro luogo di ritrovo.

“ Perché non c’è nessuno?” chiedo io.

“ E’ mercoledì. Si beve a casa di Arrew, il mercoledì” mi spiega semplicemente. Mi domando mentalmente come fa a saperlo, ma, prima che possa formulare la domanda, lui tira fuori un mazzo di chiavi e apre la prta del faro.

“ Allora… entriamo?” domanda. Mi blocco.

“ E’… è una cosa sicura?” gli chiedo. Lui si avvicina a me e mi guarda dritta negli occhi. Ancora quei brividi.

“ Le cose che faremo insieme sono tutte sicure al cento per cento. Mi credi?” mi domanda. È impossibile non fidarsi di Finnick Odair. Quindi annuisco velocemente, prima di addentrarmi con lui nel faro. Saliamo delle piccole scale a chiocciola, in silenzio. Arriviamo in cima, in una specie di balconcino cicolare con una grande fanale al centro. Da lì proviene da luce del faro, quando è acceso. Finnick si siede e i suoi occhi percorrono il mare. Io lo imito, meravigliata. Da qui su è tutto… magico. La luce della luna e delle stelle illumina il mare lievemente increspato, dando vita a tanti piccoli riflessi argentati. Anche le nuvole assorbono quei raggi, diventati quasi fluorescenti. La spiaggia è lattea e spettrale allo stesso tempo. È uno spettacolo davvero suggestivo.

“ E’… bellissimo” dico meravigliata. Finnick annuisce.

“ Già, lo è. E me ne accorgo solo ora” afferma.

“ C’eri già stato?” gli chiedo.

“ Sì. Da solo. E mi disgustava” dichiara con una nota amara nella voce. Rimango allibita.

“ Perché?” gli domando.

“ Perché invidiavo le stelle” mi spiega come se fosse la cosa più semplice del mondo. Non so se ridere o indagare più a fondo. Opto per la seconda strada.

“ Invidiavi le … stelle?

“ Sì. Loro sono lontane da tutto ciò, dal tutti i problemi, dal Distretto, dalla vita in generale. Il loro unico compito è brillare ed essere guardate. Sono bellissime, ma nessuno può usare la loro bellezza per ricattarle o ferirle. Sono belle, quindi brillano. Non c’è cosa più facile di questa. E non sono mai sole. Si fanno compagnia a vicenda, brillando insieme, condividendo una stessa bellezza superiore. Le odiavo, fino ad ora. Adesso capisco che forse ho anche io trovato qualcuno con cui brillare” sussurra con la voce tremante. Non capisco il significato delle sue parole. Ma percepisco che esse nascondono più di quanto potrò mai capire. E la cosa mi spaventa.

“ Finnick…” bisbiglio avvicinandomi. Lui si scansa.

“ Solo… solo un secondo…” mi chiede con voce impastata, allontandosi. Intravedo uno luccichio nei suoi occhi. Lacrime. Sospiro a fondo. Gli voglio concedere un minuto per riprendersi da qualcosa che mi sfugge, ma che capisco essere più grande di me. Dopo qualche istante di sospiri e di strani rumori nasali, si calma. Mi onora di un grande sorriso, e mi afferra la mano.

“ Ti va di… nuotare?” mi chiede. Guardo l’acqua. Sembra un enorme pozzo nero. Ed è pericoloso nuotare di notte. È per questo che è vietato. Alzo gli occhi verso Finnick: ha ripreso quel calore irresistibile, quindi non sono stupita dal fatto di pronunciare un debole “ sì”. Scendiamo velocemente le scale verso la spiaggia. È tutto buio ora, ancora più di prima. Lui si spoglia velocemente e si tuffa. Io, non proprio così spavalda, faccio tutto lentamente, guardandomi intorno. Ma, alla fine, riesco ad entrare in acqua. La sua pelle liscia riflette la luna, mentre nuoto verso di lui.

“Posso chiederti una cosa, Annie?” mi domanda.

“ Sì. Certo” gli dico affabilmente. Lui si volta e mi guarda dritta negli occhi.

“ Se dovessi scegliere tra te e i tuoi cari, chi sceglieresti?” mi chiede. Sembra una domanda come un’altra. Ma io so che è più importante di quanto non lasci intravedere.

“ Io… non lo so. Non ci ho mai pensato” affermo sinceramente.

“ Non ti è mai capitato di fare qualcosa di molto… brutto… solo per tenere al sicuro le persone che ami?

“ No. Io… ho i miei fratelli che, bene o male, hanno sempre badato a me e a mia madre. Dopo la morte di mio padre, hanno lavorato duramente per farci vivere nel migliore dei modi. Certo, io contribuisco, ma senza di loro saremmo perse. Una volta hanno persino tentato di comprare una delle medicine per mamma… per quanto la cosa sia difficile, ecco” concludo frettolosamente. Ma che mi è preso? Perché gli ho detto una cosa del genere? Praticamente gli ho raccontato la mia vita in poche frasi. Io e i miei fratelli ci eravamo promessi di essere molto discreti nel parlare della situazione di mamma. Se la notizia fosse giunta alle orecchie sbagliate, potevano anche buttarla in un manicomio, o portarcela via in altri modi. Finnick mette su un’espressione stupita e allarmata.

“ Perché, cos’ha tua madre?” mi domanda. Sospiro. Ormai è tardi per tornare indietro.

“ Soffre di qualcosa che i medici hanno definito… schizofrenia. È una specie di malattia mentale, il punto è che la porta a fare cose che potrebbero… ucciderla. Tipo sbattere la testa contro la teiera… una volta l’abbiamo trovata così. E il cuore gli batte a mille, rischia un infarto. E… E le medicine costano, costano troppo. Non possiamo permettercele” gli spiego provando a restare calma. Non voglio che capisca la mia ansia, la mia preoccupazione. Lui mi abbraccia di getto.

“ Gliele comprerò io” mi annuncia. Scuoto la testa staccandomi.

“ No, Finnick, non posso accettare. Seriamente. Hanno un prezzo troppo elevato, e, anche se costassero pochissimo, sono sempre soldi tuoi e non voglio…

“ Annie, io sono ricco da far schifo, davvero. Non so neanche come utilizzare i soldi che ho, se non farli ristagnare nella cassaforte fino alla mia morte. Ma se posso aiutare tua madre…

“ Non voglio farti pena. Capito?” gli dico provando a fare l’espressione più dura che ho.

“ Non c’è niente di male ad ammettere quanto ci si sente fragili. Guarda me prima” ammette con un sorrisino. Ed è qui che accade. Scoppio a piangere fragorosamente al suono delle sue parole. Lui mi stringe forte e mi bacia la testa. Io non conosco Finnick Odair. Ma in qualche modo, mi sta aiutando. Mi ci aggrappo, con tutta la forza che ho. Capisco ora quanto mi sovrasta in altezza e per corporatura, sembro una bambina. Mi accarezza la schiena. Prego che non avverta i miei brividi.

“ C’è qualcos’altro che ti turba?” mi domanda con dolcezza. Annuisco.

“ Mio fratello vuole offrirsi volontario agli Hunger Games…

“ NO!” esclama staccandosi. Vedo i suoi occhi… impauriti. Non ne capisco il motivo.

“ No, Annie, promettimi che proverai a fargli cambiare idea!

“ Dice che solo così riusciremo ad avere le medicine per mamma…

“ Vi pagherò tutte le medicine del mondo, digli questo, ma non può farlo! Annie, sto dicendo sul serio, non permettergli di rovinarsi la vita!” esclama. Arriccio il naso.

“ Potrebbe vincere, però, sai? È forte, è molto astuto e…

“ Preferirei che morisse lì dentro, piuttosto che vederlo vincere agli Hunger Games!” afferma lui portandosi una mano sulla fronte. Rimango allibita.

“ Scusa, cosa hai detto?” chiedo. Non posso aver sentito bene.

“ Quello che hai sentito! Annie… quei giochi… sapendo quello che mi sarebbe aspettato dopo, avrei fatto di tutto per morire il prima possibile! È un inferno vivere così, Annie… E non solo per me, ma anche per tutti quelli che mi circondano… ti prego, devi accettare i miei soldi! Se non vuoi farlo per orgoglio, fallo per tuo fratello, ti supllico!” grida. Rimango di sasso a cercare di capire il significato delle sue parole. Non ci riesco proprio. Misteri, solo misteri. E io mi sono stufata di sentirlo parlare per enigmi. Ma mi costringo a cercare di decifrare la sua espressione. È davvero spaventato a morte. Ed è sincero. Mi devo fidare di lui, di Finnick Odair.

“ Ok. Ci proverò” prometto. Lui pare rilassarsi. Mi abbraccia di nuovo.

“ Lo so che ti sembro indecifrabile. Lo capisco. Ma sappi che c’è un motivo. Ti prego, credimi” mi supplica. Annuisco tra le sue braccia. Il battito del suo cuore è veloce. Sì, Finnick mi sta nascondendo qualcosa. Ma non voglio mettergli pressione. Me la dirà, prima o poi. Siamo amici, no? Poggia le sue labbra sulla mia fronte. Non so perché permetto a un mezzo sconosciuto di fare tutto ciò. Ma mi piace. Mi sento… calma. Calma come il mare che ci circonda. Alzo lo sguardo verso le stelle.

“ Sì, sono proprio belle, le stelle” ammetto. Lui sorride.

“ Sì, bellissima” dichiara. Distolgo i miei occhi dal cielo per posarsi sui suoi. Mi fissa quasi… estasiato. Sento le mie guance farsi rosse.

“ Io… devo tornare a casa” affermo borbottando. Lui annuisce senza cancellare il sorriso sulle sue labbra e nuotiamo verso la riva. Ho il cuore a mille. E davvero, tutto questo non ha senso. Ma è fantastico. Come lui.

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Capitolo 5
*** Non mi fido più ***


E tre giornate passano così veloci con Finnick. Abbiamo fatto tante cose insieme: la mattina mi aiuta a prendere i polipi, il pomeriggio, dopo aver mangiato ognuno a casa propria, andiamo sull’isola, dove scherziamo, ridiamo e peschiamo, e dopo cena passiamo la notte sulla spiaggia. Ieri siamo anche riusciti a vedere l’alba. Siamo stati abbracciati tutta la notte. Sì, mi piace Finnick Odair. Ma ancora non so capire quanto e in che modo. Mi batte il cuore a mille ogni volta che lo vedo. Possibile che mi stia… innamorando di Finnick Odair? Non lo so. Ma a volte l’ho sorpreso a guardarmi attentamente con fare dolce. E più volte mi prende la mano. Dovrà pur significare qualcosa, no? Peccato che non abbia troppi termini di paragone.

Mi sveglio a mezzoggiorno, grazie a un’entrata plateale di Amadeus.

“ Domani c’è la Mietitura” esclama facendomi sussultare. Ancora in stato confusionale, provo a  guardarlo attentamente. Devo riconoscere di aver trascurato molto la mia famiglia in questi giorni. Amadeus mi sembra molto più pallido e magro del solito.  Ora che riesco a mettere a fuoco i suoi contorni, lo guardo con fare truce.

“ Eh già. E allora? Non mi dire che vuoi offrirti volontario!” esclamo mettendomi a sedere. Infatti non aveva nessuna scusante, ormai. Finnick si ostinava a depositare ogni mattina un paio di gioielli fuori dalla nostra porta. Alexander aveva insistito affinché glieli restituissi, ma quando avevo accennato l’argomento a Finnick, lui mi aveva detto “ O li prendi, oppure li butto in mezzo all’oceano. A te la scelta”. E ovviamente, quella non era una scelta. Sarebbe stato un terribile spreco. E dopo proteste varie, anche Alexander aveva dovuto ammettere che quei gioielli facevano comodo a mamma. E’ incredibile di come il suo stato sia migliorato nel giro di tre giorni. E’ quasi… felice. E la cosa rende me più spensierata. Si è anche scomposta, l’altra sera: prima di uscire mi ha sussurrato un “ ti voglio bene”. Un miracolo che mi ha fatto salire le lacrime agli occhi. Amadeus  annuisce implacabile. Sbuffo alzandomi in piedi.

“ Basta, Amadeus! Ormai abbiamo le medicine per mamma. Finnick…

“ Oh, non mi parlare di Finnick Odair! Non voglio avere niente a che fare con lui, non voglio dovergli qualcosa! Soprattutto dopo quello che ha detto su di te” urla quasi fuori di sé. Rimango pietrificata.

“ Per quale ragione, scusami? Che ha detto su di me? ” chiedo mettendo da parte la rabbia. Finnick parlava di me? Con chi?

“ Stamattina. L’ho sentito mentre parlava a quel Pacificatore, Brattes. Brattes ha detto che vi aveva visti insieme, e lui gli ha risposto che ti sta illudendo un po’, così, per divertimento e che di te non gliene importa niente!” mi spiega. Sento le gambe afflosciarsi. Mi rimetto seduta. Non è possibile. Finnick… lui ci tiene a me… no? Mi era sembrato di sì. Doveva essere sì. Io… io sento che sto cominciando a piangere. Anzi, ormai è tardi: sono in lacrime. Perché ha detto una cosa del genere? Non capisco…

“ Ne sei… sicuro?” chiedo a Amadeus. Lui annuisce in modo quasi grave. So che non mi sta mentendo. Non lo farebbe mai. Si siede vicino a me.

“ Mi dispiace, ok? Ma ti giuro che è quello che ho sentito. E non voglio dovergli più qualcosa. Stamattina per poco non l’ammazzavo. C’era anche Alexander con me, ha dovuto trattenermi, stavo per dare una lezione a quel deficiente, ma… niente, tra la folla era difficile. Se lo rivedo lo ammazzo, nessuno può trattarti così o prendersi gioco di te in questo modo. Annie, non vale la pena sprecare tempo per uno come lui.

“ Ma… le medicine… e i gioielli e… l’isola…” comincio. No. Non può averlo detto sul serio. Il bagno di notte, qualche giorno fa… La sua epressione quando mi guarda… eppure avevo sentito… ormai non importa più. Amadeus alza le spalle. Sembra dispiaciuto.

“ Domani mi offrirò volontario alla Mietitura. E non c’è niente che mi possa fare cambiare idea, Annie!” dice alzandosi e sbattendo la porta. Rimango di sasso lì, sul letto, a fissare il muro bianco per quella che mi sembra un’eternità. Mi tremano un po’ le mani. Non so come reagire. Possibile che mi sia sbagliata così tanto su una persona? Non saprei. Effettivamente, non ho mai aperto il mio cuore a qualcuno… prima che conoscessi Finnick. Pensavo fosse diverso… ma ormai non ha più importanza. Sento una voce chiamarmi fuori dalla finestra. È proprio Finnick. Corro verso la porta, prima che Amadeus possa prenderlo a pugni. Ma è troppo tardi: mio fratello è stato più veloce, e si sta rivolgendo a Finnick con fare minaccioso.

“ L’hai illusa per bene mia sorella, eh?” urla. Finnick è pietrificato.

“ Non capisco…” ciancica confusamente. Vedo un braccio di Amadeus alzarsi. Lo blocco.

“ Ci penso io, ok? Non ti immischiare!” gli urlo parando Finnick con la mia presenza. Amadeus abbassa il pugno. Guarda prima me e poi Finnick.

“ Sì, sarà meglio. Anche se ammetto che spaccarti quel bel visino mi piacerebbe da morire. Ma… è tutto tuo” esclama entrando in casa. Mi giro lentamente. Finnick sembra spaventato e confuso. Cammino lontano da casa, dirigendomi verso la spiaggia. Anche Finnick lo fa, sento il suo passo dietro il mio. Arriviamo in riva al mare. Non oso guardarlo negli occhi. Mi ha illusa. E devo essere chiara e concisa con lui. Quel momento di sofferenza pura che ho provato dentro la mia stanza mi ha fatto capire che devo guardare la realtà: Finnick Odair non potrà mai interessarsi a Annie Cresta. Mi ha solo illuso. Per noia? Per il brio di una nuova conquista? Per puro interesse fisico? Non lo so. E, in tutta onestà, non voglio saperlo. Pensavo che fosse mio amico, e, per un momento, anche… qualcosa di più.

“ Voglio che tu sparisca dalla mia vita” affermo decisa. “ Non voglio più vederti” dico alzando lo sguardo. Vedo la scintilla negli occhi di Finnick farsi piccola piccola, fino a sparire. Disperazione, sembra. È un ottimo attore, non c’è che dire.

“ Annie…

“ Non mi importa. Ciao” esclamo voltandomi. Lui mi afferra per un polso.

“ Prima dimmi perché. E poi ti lascerò andare” mi spiega senza guardarmi in faccia. Mi libero dalla sua presa. Gli vado vicina, alzandomi in punta dei piedi per guardarlo dritta negli occhi.

“ Io non ho bisogno del tuo permesso per andarmene, hai capito? Tu pensi di essere un dio sceso in terra, Finnick Odair, la celebrità del Distretto 4… ma fattelo dire, tu non sei nessuno! Non hai il diritto di impormi niente, e non ti devo nessuna spiegazione!” esclamo in preda alla rabbia.

“ Allora te lo chiedo gentilmente, Annie” afferma in modo pacato. “ Perché? Posso saperlo? Dammi un solo motivo e ti giuro che uscirò dalla tua vita per sempre!” giura.

“ Lo sai benissimo perché!!!” urlo fuori di me, allontanandomi un po’. Mi siedo sulla sabbia, prendendomi la testa tra le mani.

“ Quanto sono stupida… Pensavo che fossimo amici… che in una settimana noi… ci fossimo avvicinati… non ho mai avuto un rapporto così con qualcuno… e poi scopro… che mi stai illudendo… Amadeus ti ha sentito al mercato…” provo a dire. Ma le lacrime che ho agli occhi non mi permettono di essere troppo eloquente. Lui pare capire e si siede vicino a me. Apre la bocca leggermente. Sta per confermare tutto. Me lo sento. Meglio. Così almeno potrò accettare la bruta realtà dei fatti.

“ Annie, l’ho fatto per te, per noi. Non capisci che se qualcuno potesse sapere di me, di te… ti metterei in pericolo… e… e non voglio… io non posso permettere che tu… che tu faccia la fine di tutte le persone a cui volevo bene!” mi spiega. Alzo gli occhi su di lui. Intravedo un luccichio. Delle lacrime. Perché?

“ Non capisco… Io non capisco mai niente di quello che dici…” dico tremando un po’. Scuote la testa.

“ Lo so” afferma ridendo amaramente. “ Non puoi capire. E io non posso dirtelo, peggiorerei le cose. Ma… nessuno deve sapere che…” comincia. Si interrompe. Prende un sospiro e guarda il mare.

“ Che?” domando io. Che cosa?

“ Che mi sto innamorando di te, Annie” dichiara. Il mondo sembra fermarsi. Anche le onde sono statiche, così come il vento che ha smesso di soffiare. Non… non può essere vero. Sta mentendo, è chiaro. Eppure non vedo traccia di ironia, né di forzatura nella sua epsressione. È dura, grave, come se avesse detto qualcosa di spiacevolmente vero. Come se fosse dispiaciuto di averlo detto.

“ Non… non è vero” affermo asciugandomi le lacrime. Finnick mi prende il volto tra le mani. Provo a scostarmi, ma lui mi blocca, e dopo qualche secondo, smetto di combattere e mi limito a non guardarlo in faccia.

“ Annie… guardami, per favore” mi incita. Alzo gli occhi sul suo volto. Il suo sguardo è intenso, serio e deciso.

“ Io… non permetterò che nessuno, stavolta… ti porti via da me. Hai capito?” mi chiede. Non oso annuire. Non oso fare niente. Fa tutto lui. Avvicina le sue labbra alle mie. Sento il suo respiro. È teso, è un respiro nervoso. Chiudo gli occhi. Io… non voglio baciarlo, o sì? E mentre fa combaciare le nostre bocche, non posso fare a meno di pensare che è la più bella sensazione che abbia mai provato. Le sue labbra cominciano a muoversi lentamente, abbracciando e avvolgendo le mie che, dapprima immobili e pietrificate, cominciano timidamente a muoversi. Dalla mia faccia, le sue mani scivolano sulla mia schiena, e mi avvicinano al suo petto. Vorrei fare anche io qualcosa. Porto le mie mani dietro la sua nuca, incontrando i suoi capelli. Apro un po’ gli occhi. No, non è un sogno: è tutto così reale, così vero e tangibile. E in quel bacio, sento tante parole che in una settimana avrei voluto dire. Avrei voluto dirgli che ogni volta che lo vedo mi batte il cuore. Avrei voluto dirgli che con lui mi dimentico tutti i miei problemi. Vorrei dire tante cose anche adesso. Ma penso che il modo in cui ci stiamo baciando sia speciale e molto comunicativo. Il nostro bacio non ha niente a che vedere con i baci clandestini che vedevo spesso tra quei ragazzi che si rifugiavano dietro il molo a pasticciare con le labbra. Il nostro è lento, calmo, senza fretta, delicato. Sento dei passi. Sarà Amadeus?

“ Ah, non ti importa, eh, Odair?” dice una voce gelida. Mi stacco da Finnick. È uno dei Pacificatori. È Brattes. Finnick resta in silenzio. Guarda lui, poi guarda me. Comincia a parlarmi. La sua voce è diversa. La sua epsressione è diversa. Spavalda, arrogante, presuntuosa.

“ Bhe, che dire, Brattes? Sei un guastafeste! Pensavo di illuderla ancora un po’, sai, il tempo di ricavarne una sorta di piacere! Ma niente, sei arrivato tu e hai rovinato tutto!” esclama alzandosi in piedi. Una sorta di… piacere? Ma che gioco è questo? Sta scherzando? Il Pacificatore mi scruta sospettoso.

“ Odair, Odair, Odair… Non impari mai, eh?” afferma. Non afferro il significato delle sue parole. Non ci sto capendo proprio niente. Finnick mi guarda con fare disgustato.

“ Brattes, fidati, questa ragazzina ha una cotta per me… volevo solo sfruttarla a mio vantaggio! Mi dispiace, cara, che Brattes abbia distrutto il tuo fantastico sogno ad occhi aperti… ma spero che vorrai concederti lo stesso, anche sapendo di non significare niente per me!” afferma. Non può dire sul serio. No… mi alzo in piedi e indietreggio.

“ Tu…” dico tra i denti. Odio. Ora capisco. Innamorato di me? Oh, no. Non a quanto dice. Sta negando tutto. È un vigliacco.

“ Tu… brutto stronzo…” affermo prendendolo a pugni sul petto. Ma, inutile dirlo, non gli faccio niente. Ride crudelmente, guardando Brattes.

“ Mamma mia… un peperino, eh? Peccato, non eri da sprecare, ma dato che il nostro amico qui ha rotto l’idillio…” aggiunge. Scoppio a piangere per la rabbia. Mi giro e me ne vado, lasciando che quei due a parlare. Raggiungo casa mia. Amadeus, vedendo le mie lacrime, penso che non possa fare a meno di supporre che abbia rotto definitivamente con Finnick Odair. Supposizione corretta, direi. Mi ricnhiudo nella mia stanza. Guardo la finestra. Brattes si allontana velocemente, mentre Finnick lo rincorre. Vedo che si stanno urlando in faccia. Poi, improvvisamente, Brattes mette una mano sulla spalla di Finnick. Non so cosa gli stia dicendo. E non mi importa. Brattes se ne va. Quando è abbastanza lontano, vedo Finnick dirigersi verso di me. Arriva fino a sotto casa mia. Bussa alla porta. Mi fiondo in soggiorno, ma, come al solito, Amadeus fa prima di me.

“ Ha chiuso con te! E’ meglio se la lasci stare!” esclama. Finnick mi guarda, mentre scendo le scale.

“ Annie, ti prego, lascia che ti spieghi…

“ No! Volevi fare… volevi solo quello, eh? Bhe, io non sono nelle condizioni di darti quello che vuoi! Vai al diavolo, Finnick!” esclamo in preda alla rabbia, con grande orgoglio di Amadeus. Finnick sospira.

“ Io… non posso darti torto” dichiara ancora sul ciglio della porta. Amadeus sorride.

“ Bravo… e adesso, sparisci!” urla fuori di sé sbattendogli la porta in faccia. Mi fiondo tra le braccia accoglienti di mio fratello. Lo sento sospirare.

“ Tranquilla. Domani tanto se ne andrà a Capitol City” mi spiega. Mi stacco da lui. Che vuol dire?

“ Eh?

“ E’ un mentore. Te ne sei scordata?” domanda. Oh, sì. È vero. Tra tutto quello che era successo, mi ero scordata la parte più brutta di Finnick Odair, una volta all’anno, lui deve recarsi a Capitol City ad assistere alla strage e a baciarsi con qualche bella ragazza attraente. Giusto. Chissà perché, ma non riesco a capacitarmi delle sue doti nel recitare. Con me sembrava una persona completamente diversa. Mi aveva convinta. Ma adesso, mi ricordo chi è: il pavone di Capitol City, il rubacuori donnaiolo che vuole solo apparire. Passo il pomeriggio così, in camera, a chiedermi fino a che punto sia in grado una persona di mentirmi. Eppure… eppure qualcosa non mi quadra. Nonostante il suo tono fosse spavaldo e sfacciato, mentre parlava con Brattes… i suoi occhi erano lucidi. Tanto lucidi. Che stesse… mentendo? Non lo so. Non voglio neanche scoprirlo. Ha detto delle cose orrende. Non mi rimane che cenare e andare a dormire, affogando i miei pensieri nel cuscino. Domani c’è la Mietitura.

 

 

Mi alzo in piedi di scatto, come trasportata da una forza magica che mi tira per le orecchie. Mietitura. Mietitura. Mietitura. Mi tremano le mani, mentre guardo fuori dalla finestra. Lui non c’è. Non c’è. Ok. Non mi interessa. Sento bussare alla porta, mentre mi sistemo i capelli.

“ Chi è?” domando. Nella stanza entra Amadeus. Ancora.

“ Annie, lo farò” esclama. Sbuffo. Non capisce. Non può farlo.

“ Basta dire assurdità. Che ore sono?” chiedo io.

“ Le dieci e mezza. Alle undici e mezza si scende in piazza” mi dice. Ma non c’è bisogno di rimarcarlo. So già tutto. Scendo in cucina, dove provo a mangiare qualcosa, sotto gli occhi di mamma, innegabilmente terrorizzati. Ogni anno è così. E io ancora no ci ho fatto l’abitudine. Sentiamo la porta bussare. Mi alzo e vado ad aprire. È Finnick Odair. Mi prende per un braccio e mi trascina fuori. Sono troppo sorpresa per ribellarmi. La sua espressione è dura e seria.

“ Dì a tua madre che tornerai tra poco” mi ordina.

“ Tu non puoi…

“ ANNIE, DIGLIELO, E’ UNA COSA SERIA, TI PREGO!” sbotta lui. È tutto rosso e i suoi occhi sono contornati da un paio di occhiaie giganti. Non so perché, ma mi convinco. Rientro in casa, avvertendo mamma. Mi rivolge un’occhiata stupita, prima di intravedere Finnick fuori la porta. Non sa niente della nostra litigata di ieri, così mi fa lieve accenno del capo. Finnick mi fa cenno di seguirlo sulla spiaggia. Lo seguo, sospettosa. Che vuole dirmi di così importante e serio? Non lo so. E in realtà, vorrei che non mi interessasse. Ma l’espressione con cui l’ha detto… il tono allarmato… Si ferma in riva al mare. Esattamente nello stesso punto in cui stavamo ieri. Mi salgono le lacrime solo a pensarci.

“ Che cosa vuoi? Che cos’era quel tono allarmato? Un altro dei tuoi trucchi?” domando. Lui non mi guarda. Fissa il mare.

“ Vorrei fosse così. Ma devi andartene. Scappa. Porta con te i tuoi fratelli. Ti darò la mia barca. Non si accorgeranno della tua fuga. Devi andare dalla parte opposta all’isola. Penso che potrai raggiungere tranquillamente il Distretto 3. Chiedi di una certa… Mafalda Torrent. È una vecchia… amica. Digli che sei mia cugina. Ci crederà. E… porta con te la tua famiglia. Avvertili subito. E scappa, prima della Mietitura!” esclama guardandomi negli occhi con fare serio. Rido.

“ Stai scherzando?

“ No. No, Annie, ti prego. Devi fidarti di me. Ti ho messa in pericolo. È tutta colpa mia. Non avrei mai voluto… te, soprattutto, ma Brattes… me l’ha fatto capire, Annie. Ho paura che possa succedere davvero. Ti prego. In seguito riuscirò a procurarti dei falsi documenti, conosco delle persone che possono aiutarti. Non puoi chiedermi di vederti morire… sapendo che la causa sono io” afferma. Mi allarmo. Che vuol dire?

“ Non capisco. A che ti tai riferendo?” domando.

“ Non capisci? Sarai tu il tributo femmina degli Hunger Games di quest’anno. E solo per colpa mia. Mia e del mio egoismo…” singhiozza. No. Non è possibile. Mi volto.

“ Stai mentendo. Tu non puoi saperlo. Quei biglietti vengono sorteggiati. È tutta una questione di fortuna” affermo. No. Non gli credo. Vuole spaventarmi. Vuole togliermi di torno. Cosa pensa, che possa dire a tutte le ragazze con cui ci prova che vuole solo… portarsele a letto? È questo il suo obiettivo? Oppure vuole semplicemente disfarsi di me perché si sente in colpa. Non può davvero pretendere che io gli creda. E poi, lui che ne sa? Perché, poi, ‘ per colpa sua’?

“ Annie, il sorteggio è truccato. Devi ascoltarmi!

“ Io non ti credo più, Odair” dichiaro. Finnick sospira.

“ Lo so. Annie, lo capisco, sul serio. Ma devi fidarti, ti prego” mi implora. Sondo la sua espressione. Mi sembra… serio. Ma è un bravo attore, ormai lo so. Mi giro.

“ No. Non commetterò due volte lo stesso errore. Vuoi mandarmi via, vuoi sbarazzarti di me. Bhe, io non vado da nessuna parte. Non perché un povero pazzo mi ha detto questa assurdità” affermo andandomene. Finnick mi chiama. Ma io non mi volto a guardarlo. Tra poche ore lui sarà a Capitol City. E io, invece starò qui al Distretto 4. Spero.

 

Mi infilo in silenzio il mio vestito, sotto gli occhi terrorizzati di mamma. E’ color lilla, lungo fino ai piedi e cinto in vita da un sottile nasto viola. Non sta troppo bene con il colore dei miei capelli, ma non mi importa. Questo vestito apparteneva a mamma quando aveva la mia età. Indosso sempre lo stesso, ogni anno. Penso che mi porti fortuna. Amadeus mi sta aspettando alla porta. Lascio che mamma mi sistemi i capelli in una stretta coda alta, così da mettere in risalto le spalline elaborate del mio vestito. Riesce anche a mormorare un “ Sei splendida”. La ringrazio con un bacio alla guancia, prima di scendere nel soggiorno. Anche Amadeus rimane un po’ stordito dalla mia visione. Probabilmente perché non è abituato a vedermi conciata in questo modo. Mi apre la porta, e ci dirigiamo in piazza. Essa è gremita di gente, e piena di Pacificatori. Dobbiamo separarci per farci prelevare il sangue. Mi afferra le spalle.

“ Annie… ti voglio bene, questo lo sai, vero?” mi chiede. Vuole andare volontario. È deciso, lo vedo nei suoi occhi. Annuisco e provo anche a dire qualcosa, ma mi stringe velocemente tra le sue braccia e si allontana. Sospiro tremando come una foglia. No. Non può andare volontario. Non lo farà davvero, ne sono sicura. Mi avvicino alla fila. Vedo Finnick seduto su una sedia posizionata sul palco. Sta parlando con Felixa, l’altra mentore. Inutile dire che sta facendo gli occhi dolci a Finnick in modo vergognoso. Ingoio dentro di me la rabbia. Tanto a lui non gliene è mai importato nulla di me. Meglio accettare la realtà, basta essere tristi per Finnick Odair. Mi pungono il dito velocemente, e mi ordinano di mettermi in fila con le altre ragazze. Riconosco parecchi volti noti: le ragazze più popolari del Distretto, che, nonostante la situazione tragica, non fanno altro che commentare il nuovo taglio di capelli di Odair. Sbuffo. Mi chiedo se ci sia un limite alla meschinità umana. Il presentatore arriva sul palco. È sempre lo stesso: Glaxus Fuhermaan. È un uomo sulla quarantina, impacciato e svogliato, con una pancia sproporzionata rispetto al corpo. Si vede che ha cercato di ingannare i segni del tempo: probabilmente si è fatto qualche ritocco al viso a Capitol City. Perché un volto del genere non può essere considerato naturale: è troppo tirato e informe.

“ Buongiorno, Distretto 4! Felici Hunger Games e…

“ Possa la fortuna sempre essere a vostro favore” sussurro io guardando Amadeus, bianco cadaverico ma con uno sguardo deciso. Non può farlo davvero… Non può. Come al solito, c’è un breve discorso del Sindaco, un omino basso ed esile, con due baffi lunghissimi. Mi viene un po’ da ridire, nonostante la Mietitura. Le mani cominciano a tremare in modo vistoso e spero di riuscire a calmarmi per non svenire in mezzo alla folla. Tanto non chiameranno il mio nome. C’è solo quattro volte, non ho mai preso cibo extra da loro… quel compito spetta ad Amadeus. Infatti il suo nome sta nell’urna esattamente venti volte. E se lo chiamassero comunque, anche se non si offrisse volontario? Comunque sono certa che a mamma prenderebbe un colpo. No. Non può essere chiamato lui. Non dobbiamo… Non dobbiamo essere sorteggiati. Niente, ormai tremo tutta. È l’attesa che è tremenda. Contraggo la mandibola. Sta partendo il video. Quello che ci fanno vedere ogni anno, per ricordarci di quanto loro siano superiori a noi. Non è giusto, non è bello. Ma adesso, devo pensare a calmarmi. Faccio lievi respiri. Chiudo gli occhi. Devo stare calma, devo. Lo devo a mio fratello, a mamma, ad Alexander, che adesso starà vendendo i miei polipi al mercato… Apro gli occhi. Lo sguardo di Finnick mi trapassa letteralmente. Mi guarda intensamente, quasi… arrabbiato con me. Felixa, invece, si limita a guardare il video. Il sindaco si sta massacrando l’estremità dei baffi con le dita. Glaxus guarda in modo annoiato la folla. Appena il video si conclude, mi manca il respiro. Eccoci qui. Ci siamo. È arrivato il momento. Non sono pronta. Voglio scappare. Voglio andare via lontano, magari a quell’isola che Finnick mi aveva mostrato, con Amadeus, mamma miracolosamente guarita, Alexander, Finnick, innamorato di me… Ok, sto delirando.

“ E adesso… il tributo femmina di quest’anno” esclama Glaxius. Chiudo gli occhi. Le mani ormai sono impazzite. Mi stringo il labbro inferiore con i denti. Esce un po’ di sangue.

“ Annie Cresta.

No. No. No. Non ha detto davvero il mio nome. Deve esserci stato un errore. Adesso dirà che ha letto male, che si è sbagliato, che non è davvero uscito quel bigliettino… Lo dirà. Aspetto qualche secondo. No, nessuno dice niente. Sento delle mani che mi afferrano decise. Le assecondo. Mi scortano da qualche parte. Sul palco. Volo. Non sento niente. Niente. Forse, un urlo. In lontanza. Guardo Finnick. Ha gli occhi lucidi. È distrutto. Aveva ragione. Toccava a me. Perché? Non lo so. Dì, qualcosa, Annie, mi stanno dicendo. Mi stanno dicendo qualcosa. Che cosa? Di dire ciao. Ok, dirò ciao. Ciao. No, non mi esce niente dalla bocca. Qualcuno poi dice qualcos’altro. Chiamano un nome. Il nome di qualcuno. Maschio. No, mio fratello non dice niente. Lo sto guardando ora, sta zitto e piange. Piange. Amadeus che piange è strano da vedere. Ma piange. Sento qualcuno affiancarmi. Un nome. Manuel Keist. Ok. Non lo conosco. Meglio. Non avrò rimorsi, quando dovrò ucciderlo. E non ce li avrà lui quando, più probabilmente, ucciderà me.

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Capitolo 6
*** Tu tornerai a casa ***


“ Annie!” esclama una voce alle mie spalle. Amadeus mi abbraccia forte. So che è lui per il profumo che emette. Non saprei come definirlo. Io non riesco a dire niente. Sono in uno stato confusionale, penso. Non so neanche dove mi trovo. Non so. Sento altre braccia familiari. Più esili. Mamma.

“ Annie, tesoro, vedrai che andrà tutto bene… “ singhiozza. Annuisco. Quasi non capisco a cosa si stia riferendo. Oh, sì. Hunger Games. Bene. Mi lascia. Altra braccia, ancora. Forti, possenti. Ma stavolta non mi mi avvolgono. Mi stringono le spalle. Guardo in faccia quello che penso essere Alexander. La sua voce è quasi ovattata.

“ Annie tu sei in gamba. Sai nuotare bene. Sei intelligente, ce la puoi fare. E poi sei bella, avrai tutti gli sponsor di questo mondo. Gioca bene le tue carte, puoi vincere!” mi dice. Posso vincere. Che meravigliosa bugia. Guardo Amadeus.

“ Non ti sei offerto volontario, bene!” affermo velocemente. I suoi occhi sono disperati.

“ Annie, io…

“ Tempo scaduto” dichiara un Pacificatore allontanando mamma da me. Amadeus mi guarda a lungo.

“ Ci rivedremo presto” afferma uscendo dalla saletta. Rimango di sasso. È la prima volta che mio fratello mi dice una bugia. Appena chiudono la porta, sento le gambe cedermi. Mi rannicchio sul pavimento. So che è stupido e infantile, ma è la cosa più giusta da fare, ora. Tremo tutta. Qualcuno apre la porta. Saranno i Pacificatori, forse sono venuti a dirmi che è il momento di prendere il treno. No. Delle mani familiari mi accarezzano. È Finnick.

“ Annie… Annie, che cosa ti ho fatto…” mormora singhiozzando. Non capisco. Non capisco niente. Voglio morire. Voglio morire ora. Lui continua a parlare, ma io non lo sento. Sto guardando un punto del pavimento. È strano, l’asse di legno è leggermente scheggiata. Che strano.

“ Annie!” esclama. Ritorno alla realtà. Che vuole? Lo guardo attentamente. Sembra in procinto di dirmi qualcosa. Ma non lo fa. Si alza e se ne va. Bene. Che mi lasciasse sola. Che tutti mi lasciassero sola. Voglio passare gli ultimi istanti della mia vita in pace. Delle mani mi tirano su. Pacificatori, stavolta. Sento qualcuno che dice qualcosa. Ma non lo so. Sono già sul treno, quando mi risveglio dal mio stato di trance. Tocca a me. Stavolta tocca a me. Sono seduta accanto a questo ragazzo di cui non ricordo il nome. Guarda fuori dal finestrino, e io non riesco a fare a meno di scrutarlo. Adesso che sto riacquistando lucidità, mi rendo conto che è proprio bello. Perché non l’avevo mai visto al Distretto? Non saprei. Sarà perché non frequento i ragazzi della mia età. Lui si accorge del mio sguardo.

“ Adesso mi senti?” mi chiede. Annuisco. Che vuol dire?

“ Sì. Perché non dovrei?” domando. Lui scuote la testa. Bello, molto bello. I suoi capelli sono castani, e ha due occhi blu come il mare, che luccicano come i diamanti che ci porta Finnick a casa. Le sue labbra sono rosse, carnose, ben definite. Ha una corporatura slanciata e muscolosa.

“ Perché prima ho provato a parlarti, ma tu ti limitavi a fissarmi come una pazza. Adesso stai bene?” chiede.

“ Sì, sto bene” dichiaro leggermente scocciata. Mi ha praticamente dato della pazza. Lui sospira, passandosi una mano tra i capelli.

“ Bene. Tu sei Annie Cresta, eh? Sei la sorella di Alex?

“ Sì.

“ Già. Piacere, Manuel Keist. Vendo le ostriche a tuo fratello” mi spiega tendendomi la mano, che afferro prontamente. Mi degna di un sorriso.

“ Tu li conosci già?

“ Chi?

“ I nostri mentori.

“ Oh” sospiro. Sì, io li conosco. O meglio, ne conosco uno. Lo conosco molto bene, direi.

“ ‘Oh’ non è una risposta” dichiara lui con un sorrisino arrogante. Storco la mandibola.

“ Sì, ne conosco uno. Finnick Odair. Va meglio così?” chiedo sprezzante. Lui annuisce, leggermente divertito. Evito di guardarlo. Già non mi piace. Sento dei rumori dietro di me. Manuel si volta, e io decido di imitarlo. Finnick e Felixa. Finnick sembra più pallido del solito, mentre ostenta quel largo sorriso così familiare. Non mi guarda, però. Al contrario, invece, sento gli occhi ambrati di Felixa agganciarsi ai miei. Nella stanza, entra anche Glaxus che, con un’occhiata eloquente, si sdraia sulla poltrona e afferra una bottiglia posizionata lì vicino. Finnick anche si siede su una poltrona, seguito da Felixa.

“ Allora… so che siete spaventati, ma, intanto, vorrei presentarmi. Io sono Finnick e lei è Felixa. E… cercheremo di aiutarvi a vincere gli Hunger Games” esordisce. Sbuffo rumorosamente. Felixa mi scruta attentamente.

“ Ma sappiate che solo uno di voi due uscirà da lì… e, nella maggior parte dei casi, i mentori incidono notevolemente sul risultato della competizione!” afferma. Alzo le sopracciglia con aria di sfida. Non mi piace. Non mi piace il suo tono. Chi si crede di essere? Increspo le labbra amaramente.

“ Ok, allora… cosa dobbiamo fare?” chiede subito Manuel. Finnick sospira e comincia a parlare.

“ Dovete piacere alla gente. Dovete crearvi un’immagine, puntare su una storia d’effetto, commuovente, far sì che abbiate una schiera di persone adoranti pronte a sponsorizzarvi in tutti i modi possibili… questo è il trucco!” esclama.

“ Per te dovrebbe essere facile, sei un bel ragazzo, a capitol City perderanno la testa per te!” spiega Felixa con il tono più seducente che ha. Sbuffo infastidita.

“ Mentre tu… tesoro, dimmi che sei più interessante di quello che sembri…” mi dice mielosa, cingendo con le mani il braccio di Finnick. Mi alzo in piedi.

“ Solo perché non vado a fare la puttana in giro come te, non vuol dire che non possa essere interessante!” esclamo. Felixa Stafford: la ragazza che ha vinto i sessantasettesimi Hunger Games facendo innamorare tutti i tributi maschi di lei, comportandosi in modo svenevole, per poi mettergli gli uni contro gli altri. Lei si alza in piedi, con i suoi occhi ambrati fiammeggianti.

“ Stupida ragazzina, tu non sai niente di me!” urla rossa in viso. Finnick anche si alza, prendendole un braccio.

“ Fantastico, fantastico, no? Felixa, non è proprio quello che stavamo cercando? Un bel peperino! Sai quanto il pubblico ami i caratteri ribelli e impulsivi! Perfetto, possiamo lavorarci sopra!” dice contentissimo. Quella sua gioia mi irrita parecchio.

“ Bene, adesso che abbiamo definito la mia immagine, posso sapere dov’è la mia stanza?” domando ad alta voce.

“ La seconda porta a sinistra, vostra maestà” sussurra Glaxus, ancora disteso sulla poltrona.

“ Grazie!” urlo dirigendomi verso il corridoio.

“ Dio, sono troppo vecchio per queste scenate…” lo sento borbottare. Arrivo alla porta della mia stanza e, con un gemito carico di rabbia, entro dentro. La stanza è carina, circolare, con un bel letto soffice. Mi ci butto sopra. Il viaggio sarà lungo. Con le mani, tocco le coperte. Sono morbide e vellutate. A casa ce le sognamo delle coperte così. Voglio il rumore del mare. Le mie orecchie sono invase dal rumore del treno. Non mi piace. Non lo voglio così. Non ce la faccio. Mi raggomitolo su me stessa. Piango. Non è giusto. Non ha senso. Niente ha senso. Lì fuori ci sono solo persone a me ostili. Manuel, che mi ucciderà senza farsi troppi problemi, Felixa, che, se potesse, mi ammazzerebbe ancor prima di entrare nell’Arena, Glaxus, che probabilmente mi starà reputando una ragazzina viziata e… Finnick. Che… mi ha illusa. Ma c’era ancora un interrogativo nella mia testa. Come faceva a sapere che sarei stata estratta proprio io? Non lo so. Sento qualcuno che bussa. Mi alzo con le lacrime agli occhi. È la cameriera. Mi porta un vassoio carico di cibo.

“ Io… non lo voglio. Lo rimandi indietro. Scusi” affermo prima di chiuderle la porta in faccia. Mi rituffo sul letto. Pensassero tutti quello che vogliono. Non toccherò il cibo di Capitol City. Non mi importa quanto io abbia fame. Preferisco morire di fame piuttosto che ingurgitare il cibo della mia prigione. Passo la serata così, sdraiata sul letto, con gli occhi sbarrati. Di tanto in tanto, sento delle lacrime scendermi sulle guance. Non voglio andare nell’Arena. Non voglio. Voglio tornare a casa. Sento qualcun altro che bussa. Sarà di nuovo la cameriera. Mi alzo scocciata. Quante volte dovrò rifiutare il cibo che… è Finnick. Provo a chiudergli la porta in faccia, ma lui è più forte di me, ed entra nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle. Mi afferra i polsi. Provo a divincolarmi, a liberarmi dalla sua presa, ma lui mi sbatte sul letto, immobilizzandomi. Urlo, ma mi mette una mano sulla bocca. Sono immobilizzata. Piango.

“ Annie… mi dispiace… ti giuro che mi dispiace… non doveva accadere questo…” sussurra con gli occhi lucidi, liberandomi. Mi metto seduta sul letto, singhiozzando. Lui mi abbraccia. E io lo lascio fare. Non so perché glielo stia permettendo. Ma sento la tensione cadere su di me tutta insieme. E il suo abbraccio non è che una chiave che apre la porta alle mie emozioni.

“ Io non tornerò più a casa… non rivedrò più mia madre… i miei fratelli… perché? Io non capisco…” esclamo tremando come una foglia. Lui mi stringe più forte.

“ E poi Felixa mi odia, e Manuel è più forte di me, non ce la farò mai…” mi lamento. Sembro una bambina. Finnick mi dà un bacio sulla testa.

“ E tu… tu mi hai illusa, mi ha baciata, e ora ti strusci su Felixa e io non riesco a capacitarmene… e tu sapevi che il mio nome sarebbe stato estratto, ma non capisco perché…” sussurro. Finnick abbandona la mia presa. Si mette in ginocchio davanti a me. Mi prende il viso tra le mani.

“ Annie… ascoltami. Ti prego… puoi guardarmi?” mi chiede. Annuisco e alzo gli occhi. I suoi sono gonfi di lacrime.

“ Tu sei stata sorteggiata perché Capitol City ha capito che tra me e te c’era qualcosa. Io sono una loro proprietà, Annie. Quando saremo lì, mi vedrai sempre circondato da donne di tutte le età. È sempre così. E’ questo il mio lavoro. E, per permettermi di concentrarmi sul mio compito, hanno ucciso tutta la mia famiglia. Mi rimane solo Mags” afferma.

“ Io… non capisco. Le tue sorelle…?” domando confusa.

“ Uccise. Tutti sono morti. Mia madre, mio padre… tutti. Tutto questo perché mi ero inizialmente rifiutato di… di essere un dipendente di Capitol City. E perché non potevo permettermi distrazioni. Ma hanno scoperto che ci sei tu, ora… e io sono stato egoista. Ti ho messo io in questa situazione… e mi dispiace, Annie. Ma voglio confortarti. Io ti farò vincere” sussurra.

“ Come? È impossibile” affermo il scansandomi un po’. Lui si alza.

“ No, non è impossibile. Ho un sacco di amici potenti a Capitol City. Ti sponsorizzeranno tutti. Tu sei bella, Annie. E convincerò Manuel ad averti come alleata. Ti proteggerà. Fidati di me. Io ti farò uscire dall’Arena” mi spiega. Scuoto la testa.

“ E perché dovrei fidarmi di te?

“ Annie, mi sembra ovvio, no? Io ti amo. Davvero.

“ Felixa ti si struscia addosso come un gatto che fa le fusa, pensi che io possa…

“ Felixa non significa niente per me. Nessuna significava niente per me. Ma poi, mi hai trovato” mi dice dolcemente, sedendosi vicino a me. Mi guardo le mani. Finnick Odair. Il tono della sua voce è… sincero. Io ho il dono innato per capire le persone, no? E adesso… perché dovrei dubitarne? Se quello che mi ha detto è vero, questo spiegherebbe molte cose. Il suo comportamento quando è arrivato il Pacificatore… tutto avrebbe un senso. Annuisco velocemente, mentre mi stendo sul letto, rannicchiandomi. Lui si siede vicino a me e mi accarezza la testa.

“ Davvero non vuoi niente da mangiare?” mi chiede. Scuoto la testa. Mi stampa un bacio sulla fronte, prima di alzarsi e allontanarsi.

“ Io… vado in camera mia, Annie. Mi troverai lì se… se avrai bisogno di me” afferma afferrando la maniglia della porta. Mi metto seduta di scatto.

“ Oppure… potresti restare con me. Io… non lo so. Mi sento sola qui in questa camera. È troppo grande” gli spiego. Ma la verità è un’altra: la presenza di Finnick mi calma, mi riporta alla realtà. Vedo i suoi occhi verdi luccicare un po’. Sorride.

“ Ma certo che posso restare” afferma. Si avvicina al letto e, dopo essersi steso, mi abbraccia.

“ Tu tornerai a casa… te lo prometto” dichiara. E con un ultimo sorriso, sprofondo nel mondo dei sogni.

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