L'erede dell'erede

di Circe
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fuga ***
Capitolo 2: *** Il problema ***
Capitolo 3: *** Il fuoco prende vita ***
Capitolo 4: *** La bacchetta di Sambuco ***
Capitolo 5: *** Me e nessun altro ***
Capitolo 6: *** L’unica cosa che avrei mai potuto possedere di lui ***
Capitolo 7: *** Solo un maledetto erede ***
Capitolo 8: *** Serpentese ***
Capitolo 9: *** Uroboro ***
Capitolo 10: *** Il suo padrone ***
Capitolo 11: *** Aura di fuoco, aura di oscurità ***
Capitolo 12: *** Notte di luna nuova ***
Capitolo 13: *** Punitemi, mio Signore ***
Capitolo 14: *** Il freddo fuoco del mio Signore ***
Capitolo 15: *** Notte di tempesta ***
Capitolo 16: *** L'erede ***
Capitolo 17: *** Rossi come il sangue ***
Capitolo 18: *** Attenzioni, odi e amori ***
Capitolo 19: *** Piccolo diabolico erede ***
Capitolo 20: *** Tuo padre ***
Capitolo 21: *** Inutile e fragile creatura ***
Capitolo 22: *** Magia di Yule ***
Capitolo 23: *** Sangue a tingerle le labbra ***
Capitolo 24: *** Il desiderio di Sgath ***
Capitolo 25: *** Baciatemi, fatelo voi ***
Capitolo 26: *** Può esistere l'amore? ***
Capitolo 27: *** Nuvole nere all'orizzonte ***
Capitolo 28: *** Inutile, malsano, debole amore ***
Capitolo 29: *** Restiamo uniti ***
Capitolo 30: *** La pietra di sangue ***
Capitolo 31: *** Il suo bacio ***
Capitolo 32: *** Sgath ***
Capitolo 33: *** Incubi dal passato ***
Capitolo 34: *** Eventi importanti ***
Capitolo 35: *** Racconti ***
Capitolo 36: *** Racconti Parte II ***
Capitolo 37: *** I miei genitori ***
Capitolo 38: *** Un nuovo inizio ***



Capitolo 1
*** La fuga ***


La fuga: Bellatrix

“Cosa ne faccio dei cadaveri, mio Signore?”

“Seppelliscili fuori, e lasciami solo e in silenzio, devo pensare.”

Erano state solo queste le sue parole, ed era stata solo quella la mia domanda.

Dopo di che, ero rimasta sola.

Ancora tremante e confusa, sono tornata ad afferrare la mia bacchetta quasi nuova, quella con cui avevo già eliminato tanti nemici durante la battaglia di Hogwarts, e con la quale avevo ucciso, poco prima, quella famiglia, o gruppetto di Babbani.

Con un semplice incantesimo Levicorpus, ho sollevato in un colpo tutti e quattro i corpi morti e, letteralmente, li ho lanciati verso il giardino. Io mi sono incamminata lentamente subito dopo.

Solo fuori, nel buio, ho ricominciato a respirare normalmente, a far funzionare il cervello e frenare l’adrenalina che scorreva veloce come un fiume in piena nel mio corpo.

Mi sono guardata intorno guardinga: deserto.

Tutto intorno era deserto, o quasi.

Nella brughiera il vento soffiava e sibilava, ma non sentivo freddo. Ho seppellito i cadaveri dove la terra era morbida e resa porosa dalla pioggia, non è stato difficile coprire gli indizi e le tracce.

Solo dopo ho iniziato realmente a pensare, a ricordare e mettere insieme i vari avvenimenti che si erano susseguiti a ritmo incessante, quella stessa sera.

“Mio Signore … mio Signore …?” gli avevo quasi gridato poco prima, col cuore in gola e l’angoscia alle stelle, inginocchiata a fianco a lui, ancora privo di sensi.

Temevo di perderlo di nuovo.

Temevo che questa volta sarebbe potuta essere l’ultima.

Temevo e tremavo quasi.

Non era andata come avevamo sperato.

L’incantesimo contro il bambino sopravvissuto, il ragazzo dagli strani poteri straordinari, non era affatto andato come si pensava. Nonostante l’utilizzo della bacchetta di Sambuco.

Potter era steso a terra, esanime, questo sì, ma la stessa cosa valeva anche per il mio Signore.

E io percepivo il pericolo, l’allarme, la paura.

C’era silenzio attorno, i Mangiamorte bisbigliavano appena. Sarebbero stati pronti ad abbandonare il mio Signore da un momento all’altro. Di nuovo.

Io stavo sola in mezzo alla radura con lui, avrei desiderato solo abbracciarlo e chiamarlo forte.

Non l’avrei abbandonato, non io. Mai.

Stingevo coi pugni la terra sotto le mie mani, tanto che, anche in quel momento in cui ripensavo all‘accaduto, potevo sentirne i granelli scuri di terra che mi erano rimasti attaccati alla pelle.

Poi, improvvisamente, il mio Signore ha aperto gli occhi. Il suo sguardo inconscio, che si andava a tramutare in furioso, con quell’inconfondibile colore rosso cupo, ha attraversato l’aria, l’oscurità, la mia mente.

Avrei voluto aiutarlo, proteggerlo, ho allungato la mia mano verso di lui e, improvvisamente, l’ha afferrata in una stretta violentissima, smaterializzandomi con lui in men che non si dica.

Da quell’istante non ho avuto più tempo di pensare, la sua stretta mi impediva quasi di respirare, siamo comparsi in questo luogo, a me totalmente sconosciuto, per un motivo altrettanto sconosciuto.

Ero ancora vicina a lui, potrei dire, quasi tra le sue braccia.

Ho incrociato i miei occhi coi suoi, nel buio “Mio Signore” ho esitato “perché …?”

Avrei desiderato non slacciarmi mai da quella sorta di abbraccio prepotente.

“Non capisci?” ha sibilato nervoso come risposta “qualcosa non va! Anzi, non va nulla come avrebbe dovuto.”

Poi pensieroso, quasi rivolgendosi solo a se stesso, ha aggiunto “Dobbiamo rifare tutto da capo, ricominciare dal principio.”

“Entriamo in questa torre disabitata, non voglio testimoni della nostra presenza.”

Nell’istante esatto in cui avevamo finito di parlare, ormai all’interno della torre, alcuni Babbani del vicinato, o abitanti in quel luogo, hanno raggiunto la nostra postazione, gridando, impauriti e urtati dalla presenza di intrusi.

Non ho esitato ad ucciderli uno dopo l’altro, nell’esatto istante in cui si sono tutti palesati a me. Non volevo importunassero il mio Signore, avrebbe potuto essere ancora debole dopo lo scontro, non volevo mischiarmi a nessun altro quella notte.

Ho ucciso di nuovo senza pietà, come già avevo fatto svariate volte quella stessa notte. Il mio odio era cresciuto così tanto, insieme alla frustrazione per l’ennesima evidente sconfitta, che esplodeva ad ondate di folle violenza.

Senza per altro farmi sentire meglio purtroppo.

Solo la vicinanza del mio Signore mi rendeva entusiasta. Solo il suo perseverare ancora, senza sentirsi mai definitivamente sconfitto, mi dava la forza.

Tutti questi sentimenti contrastanti si dibattevano e combattevano dentro di me lasciandomi lentamente sempre più spossata.

Cominciavo comunque a ritrovare lucidità solo in quel momento, solo fuori, col vento fresco che accarezzava le mie guance accaldate.

Ho deciso di tornare dentro, ho deciso che dovevo capire alcune cose, non potevo davvero farne a meno. Cercavo il mio Signore nelle stanze buie e fredde di quel posto che pareva quasi disabitato.

Quando l’ho visto semi sdraiato sopra un divano polveroso, mi sono inginocchiata subito al suo fianco. Ritrovando quell’intimità speciale che avevo saputo creare in tanti mesi di vicinanza. In tante serate passate vicina a lui.

“Perché mi avete portata qui, mio Signore?” ho domandato nel pieno delle mie aspettative.

Lui si è rivolto a me quasi seccato, ma mi ha detto tutto.

“Per capire, per nasconderci. Ripartire al contrattacco. Non ricordi cosa ti ho detto? Avrei voluto te al mio fianco, per la battaglia finale” ha fatto una pausa per poi aggiungere “e per quanto mi riguarda, quella battaglia, non è ancora finita. Chiaro?”

Ho annuito. Ero piena di gioia nonostante tutta la situazione.

Gioia straripante, solo per quelle parole.

“Inoltre” ha aggiunto inaspettatamente all’improvviso, facendo una pausa e guardandomi attento in viso “noi due abbiamo un problema, ricordi?”

 

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Non ce l’ho fatta a stare molto tempo senza scrivere.

E così sono qui con una nuova storia. Non so per quale motivo, ma non ha nulla a che vedere con quella che avevo intenzione di scrivere (di cui ho già scritto un paio di capitoli), anzi, è tutto un genere, una tipologia e una trama diversa.

A dire la verità non ho bene in mente cosa e come sarà (per dirla tutta, potrebbe finire nel cestino entro pochi capitoli …), ma di certo sarà una What if ambientata subito dopo la battaglia finale. (Come spero si sia capito da questo primo capitolo).

Probabilmente i personaggi e i loro caratteri prenderanno, a volte, pieghe un po’ diverse da ciò a cui siamo abituati, ma farò attenzione a non farli diventare troppo OOC.

Le pubblicazioni saranno piuttosto lente (sempre che ce ne siano altre!! Sono ancora molto indecisa!!)

A questo proposito ringrazio Julia Weasley e Alohomora che, con le loro due splendide storie, hanno fatto cadere i miei preconcetti sul genere e mi hanno aperto la fantasia! Grazie davvero ad entrambe!! Anche se non raggiungerò mai dei livelli come i vostri, mi avete tanto ispirata.

Un grazie a stellinagiocosa90 e a cedric_diggory_tassorosso, sempre pronti ad incoraggiarmi nelle mie follie. E a tutte le mie lettrici affezionate!

La storia è, come al solito nelle mie, separata ed indipendente dalla trama di tutte le altre, ma con diversi riferimenti e legami con esse.

Credo che un grosso riferimento, soprattutto in alcuni punti salienti e di partenza, sarà comunque “Sgath”

Ho detto tutto mi pare … aumenterò le informazioni strada facendo.

Intanto vi ringrazio se siete arrivate fino qui … questo è un incauto esperimento da parte mia, sopportatemi …

Ancora grazie

Circe

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Capitolo 2
*** Il problema ***


Il problema

No, onestamente non lo ricordavo.

Presa com’ero dalla foga della battaglia, confusa da tutti quegli avvenimenti improvvisi che mai e poi mai avrei pensato potessero avvenire, non avevo più minimamente pensato al problema che era sorto.

Ho allontanato l’idea e il panico con stizza “Non ci sarà nessun problema mio Signore, vedrete, fosse diversamente, lo sentirei.”

Lui mi ha guardato dubbioso, con una vena di freddezza e rabbia nello sguardo.

Rimaneva silenzioso, come in attesa di un’ulteriore risposta da parte mia.

Ancora più inquieta ho dunque aggiunto “Dovessi sbagliarmi, lo elimineremo.”

Stringendo le pupille nella mia direzione, senza muovere nessun altro muscolo, l’Oscuro Signore mi ha guardata con un’espressione che mai aveva usato con me.

Indecifrabile.

Quella condizione del tutto nuova fra noi mi stava davvero spiazzando. Ed erano passate solo poche ore da che era sorta.

Da sempre, da che l’avevo conosciuto, mi ero abituata ad essere subordinata a lui in ogni cosa. Ero abituata a vivere lontana da lui, una mia vita indipendente. Salvo nell’ultimo periodo, in casa di mia sorella, ma anche in quel caso, lui era spesso in viaggio. E io ero sola senza di lui.

Ero abituata a vederlo e parlargli a suo piacimento, quelle rare volte che voleva vedermi e restare con me.

Ero felice di sognarlo, invece di averlo fino in fondo, a desiderarlo invece che possederlo, adorarlo invece che amarlo.

Ora mi sentivo tutta diversa, la situazione era diversa, le sue scelte erano state diverse negli ultimi giorni e sentivo che qualcosa stava cambiando.

E sarebbe cambiato ancora di più strada facendo.

Continuava a fissarmi nel silenzio, come se il tempo si fosse fermato. Improvvisamente, con una freddezza che mai avrei potuto immaginare di avere stando vicina a lui, mi sono domandata se anche il mio Signore percepisse un lieve cambiamento. Qualcosa che serpeggiava inquieto e insondabile, ma presente.

Sono rimasta col dubbio.

Ha infatti rotto il silenzio freddamente “L’erede? Vorresti eliminare l’erede?”

Il tono usato mi ha pietrificata per qualche istante, continuavo a non riuscire più ad interpretare il suo volere. Raramente mi era capitato.

Poi, per fortuna, ha distolto lo sguardo, andandolo a posare altrove, con fare vagamente pensieroso e sussurrando “Suppongo sia ovvio farlo, presto e senza pietà. Compirò io l’atto, io con la mia magia.”

In quel momento continuavo ad osservarlo, stringendo le pieghe nere della mia veste tra le dita, forse per il nervosismo di non capirlo più come un tempo.

Era complicato. Ma era il mio Signore, potente, forte.

Immaginavo sapesse fare incantesimi o riti cruenti, legati alla morte di innocenti, mi immaginavo sarebbe diventato ancora più invincibile sacrificando quell‘inutile impiccio che forse mi portavo dentro.

E, forse, proprio grazie all’eliminazione di questo problema, avremmo finalmente trionfato.

Avremmo sconfitto e distrutto il bambino sopravvissuto, che negli ultimi anni aveva riempito le nostre vite di fughe ed umiliazioni.

Quando il mio Signore si era voltato a guardarmi, dritto negli occhi, osservando appena i miei capelli spettinati dal vento, forse leggendomi la mente, mentre mi venivano in testa tutte queste idee, aveva sorriso nella mia direzione.

Un sorriso strano però, che aveva qualcosa di inusuale e amaro.

Ma che presto si è trasformato in un ghigno di puro orgoglio e trionfo.

Dell’argomento non se ne sarebbe parlato più.

Almeno, così mi auguravo.

***

Durante quella stessa notte, ho fatto un giro, solitaria e silenziosa, nelle stanze di quella strana ed enorme abitazione.

Era antica e particolare, ma disgustosamente babbana. Nessun tipo di manufatto magico, nessuna traccia di magia nell’aria.

Il mio Signore era abituato a fuggire, a viaggiare, anche nelle condizioni più estreme e disagiate.

Io invece no. Mi sentivo schifata dalla mancanza di magia, inutile in quel mondo per me vuoto, senza senso.

Comunque, dopo gli anni trascorsi ad Azkaban, anche quell’orribile luogo dov’ero finita in quel momento, non mi dava eccessivamente la nausea.

Riuscivo a sopportare tante condizioni avverse dopo Azkaban. Non mi ero mai resa conto come in quel momento, di quanto fossi diversa da prima della prigione.

Più forte.

Ho sorriso nel buio assoluto delle stanze enormi.

Quasi automaticamente, ho iniziato a fare un rapido calcolo di ciò che sarebbe potuto servire il quel luogo.

Calderoni di svariate misure, boccette per le pozioni, gli intrugli e i preparati. E candele, ingredienti più o meno rari, possibilmente libri.

Avremmo dovuto premunirci per trovare un piano, un’arma, qualcosa …

Infine, con un sospiro, stringendomi le braccia al corpo, ho anche pensato mi sarebbero serviti dei vestiti.

Nonostante l’imminente arrivo dell’estate infatti, lì al nord, nel bel mezzo della brughiera, il vento tirava forte, si insinuava in ogni dove. Entrava sotto la pelle e mi faceva sentire freddo, nonostante fossi al riparo dentro quelle mura.

Solo il pensiero che il mio Signore era con me, mi faceva sentire bene, non era come la prima volta, durante la prima sconfitta. Lui scomparso e io chiusa in una fetida galera.

In un certo senso, quando mi tornava alla mente lui, nella confusione del momento, mi pervadeva una profonda eccitazione.

Forse legata alla situazione, alla sua perenne vicinanza fisica, se non emotiva. Cosa che era già più di quanto avessi mai avuto, da lui, prima.

Tutto attorno a quel pensiero, c’erano caos e confusione, paura e smarrimento. Ma non mi importava.

Lui mi scaldava come il fuoco.

Ed io non mi sarei mai allontanata dal fuoco. Il fuoco della mia vita e della mia anima.

Speravo avesse un piano. E non mi importava se ancora non me ne parlava, o se ancora non ne aveva uno, avrei aspettato con fiducia.

Mi voleva accanto a lui, questo mi bastava.

Mentre camminavo, quei pensieri mi scaldavano leggermente, sentivo lo scalpiccio delle mie scarpe sulla nuda pietra umida del pavimento. Quell’ambiente oscuro e tetro mi si confaceva abbastanza e iniziavo a sentirmi a mio agio, nonostante tutto.

Poco dopo aver impiegato il tempo nel guardarmi attorno, ho sentito il marchio bruciare appena, solo per pochi secondi. Ho frenato così ogni mio pensiero, smaterializzandomi immediatamente al fianco del mio Signore.

“Bellatrix, devi servirmi subito.” ha esordito “devo capire per quale reale motivo la bacchetta continua a non fare quegli incantesimi straordinari che le vengono attribuiti. Oppure non potrò mai riuscire a sconfiggere il ragazzo. Devo capire.”

“Cosa posso fare mio Signore?” ho chiesto avvicinandomi a lui.

Sentivo di nuovo un gran freddo, ma non capivo perché, solo la sua presenza sapevo mi avrebbe scaldata.

“Trova un luogo che possa esserci utile, il più vicino nei dintorni. Il villaggio magico più antico e sconosciuto. Quello più isolato. Tu dovresti conoscere bene questi luoghi del nord. Andrò lì come prima cosa. Qualcuno saprà, devono parlare o morire.” mi ha risposto cupo, senza dare ulteriori spiegazioni.

Sapeva che la mia famiglia ha sempre tenuto diversi contatti con tutte le famiglie antiche del paese, ipotizzava dunque io dovessi conoscere bene tutti i luoghi più magici e mistici, almeno dovessi averne avuto notizia.

Non si sbagliava, e qualcosa ricordavo ancora, nonostante fosse passato tanto tempo. Dovevo solo capire bene dove fossimo esattamente, per poi raggiungere un posto sicuro, ma pervaso di potente magia che in quei luoghi sapevo essere abbondante.

Per questo ho annuito con lentezza, ma anche con convinzione.

Non sono però riuscita a trattenere un brivido di freddo, di nuovo, nonostante fossi a fianco a lui.

Strano.

Inaspettatamente, guardandomi fissamente in tutto il corpo, e lungamente in viso, il mio Signore ha domandato “Hai freddo Bellatrix?”

Il tono era strano, insinuante, quasi satanico. Non mi spiegavo perché.

“Sì Signore, leggermente.” ho minimizzato.

“Sei pallida questa notte, terminata la battaglia, ti ho visto stanca, più stanca del solito.”

A quelle parole il mio cuore ha iniziato a battere così forte che non potevo più fare caso nemmeno al freddo che avevo sentito fino a quel momento.

Ho taciuto aspettando di sentire ancora la sua voce.

Mi guardava, mi osservava dunque. E io speravo mi volesse ancora, lì, in quel momento, smaniavo che mi prendesse così, immediatamente.

E non avrei avuto più freddo.

“Occorre procurarsi del cibo e lanciare incantesimi incendiari ai camini.” ha invece continuato voltandosi altrove. “Inoltre, dovremmo procurarci un servo che svolga questi compiti al nostro posto, e presto.”

Nonostante non fosse assolutamente ciò in cui avevo sperato, ho provato una sensazione di inaspettata felicità a quelle parole, violenta ed improvvisa felicità. Sembrava quasi si occupasse di me.

“Penserò io a procurare un servo, mio Signore, e tornerò presto con le informazioni che vi occorrono.” ho detto allora, preparandomi ad un nuovo fulmineo attacco notturno.

“Questo posto sa talmente di babbano che mi toglie l’energia vitale, dobbiamo trasformarlo in un luogo sicuro dove operare magie, trovare il modo di sbaragliare il nemico. Non è piacevole restare ancora nascosto, a tramare nell’ombra, per più di diciassette anni l’ho fatto, è giunto il momento di vincere davvero.”

Ho annuito subito, percependo la rabbia straripante dalle sue parole e la smania vitale nei suoi occhi.

Vedevo quando mi guardava, come mi guardava, mi sentivo enormemente stanca anche, e questa sensazione provocava in me un sentimento di tale abbandono a lui, da darmi piacevolissime e improvvise vertigini.

Improvvisamente mi ha preso delicatamente, o quasi, il mento fra le sue dita fredde. Non così fredde come solito però.

Ho socchiuso quasi gli occhi a quel tocco, i capelli mi sono scesi lentamente sul viso, mentre inclinavo, docile, il volto sulle sua dita.

“Sei fredda Bellatrix” ha sibilato a pochi centimetri dal mio viso “vedi di mangiare qualcosa, non mi serve a nulla una serva mezza morta.” e, dopo uno sguardo fulminante, ha aggiunto “Intesi?”

“Sì mio Signore.” ho mormorato in un sospiro eccitato dal suo gesto. Accennando poi un saluto, poco prima di uscire dalla stanza.

Nel buio ho riflettuto più freddamente: era strana quella sua insistenza. Ed altrettanto strani erano alcuni suoi accorgimenti nei miei confronti.

Camminando nel lungo corridoio che portava alle scale, col mantello appena appoggiato sulle spalle che ondeggiava ad ogni passo, ho portato lo sguardo verso il mio ventre magro, l’ho sfiorato con la mano, e quasi graffiato con le unghie.

“Lui lo vuole questo problema” ho pensato con rabbia.

Poi, senza soffermarmi oltre su quel pensiero molesto, sono uscita nella notte, sperando di prendere quanto più freddo fosse possibile.

Desiderosa di uno scontro cruento e violento contro chiunque mi si parasse davanti.

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Eccomi col secondo capitolo di questa storia (non è ancora finita nel cestino!! Forse ce la faccio a continuarla).

Ringrazio chi mi ha supportato con un commento nello scorso primo capitolo! E anche chi ha letto e continua a seguirmi.

Durante questi giorni, mi sono impegnata a pensare ad una trama più o meno generale, ho anche apportato alcune modifiche (al titolo e ai personaggi che compariranno nella storia). È tutto in via di invenzione, dunque potrebbero esserci altri cambi (anche se non sostanziali penso).

Dato che da oggi sono in vacanza (sperando di avere ancora un lavoro dopo Natale, qui non si sa mai …), vi potrò tediare ancora di più con le mie storie!!

Grazie ancora a tutte! Risponderò alle recensioni eventuali col solito modo

Approfitto della pubblicazione per augurare a tutte voi un Buon Natale e Buone vacanze!

Circe

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Capitolo 3
*** Il fuoco prende vita ***


Il fuoco prende vita

Passavano i giorni.

Il Signore Oscuro era spesso via, in luoghi piuttosto lontani, non sapevo cosa cercasse. Io mi limitavo a sondare i territori qui attorno, in cerca di villaggi magici, gruppi di popolazione di maghi purosangue e non, luoghi fortemente impregnati di energia magica per ampliare i poteri.

Avevo trovato molti villaggi utili, ma non esattamente ciò di cui avevamo bisogno. Sempre che sapessimo ciò di cui avevamo davvero bisogno.

Ogni notte, al ritorno alla torre, mi sentivo stanca, stanchissima.

Davo la colpa, o tentavo di darla, alle ricerche e alle ricognizioni notturne, al freddo e alla desolazione delle immense lande da attraversare con la scopa.

Di giorno dormivo fino a tardi per riprendermi, ma non riuscivo ugualmente a sentirmi bene prima del pomeriggio.

Avevo procurato un elfo domestico durante una delle prime ricognizioni, uccidendo la famiglia di purosangue per cui lavorava e, tramite un incantesimo di Oblivion, lo avevo fatto nostro.

Mio e dell’Oscuro Signore.

Fa uno strano effetto pensare questo …

Ogni tanto osservavo l’elfo incredula: mi trattava come una padrona di casa. Io non avevo idea, né mi interessava minimamente averla, di come si comportasse una vera padrona di casa.

Ero quasi orripilata da ciò. Poi ho avuto la buona intuizione di ordinargli di rendere il posto dove vivevamo, più consono ad abitanti maghi del nostro rango.

Aveva fatto subito del suo meglio … ma non era certo un elfo dei migliori.

In cambio imparavo, tramite i suoi assurdi discorsi, varie cose che trovavo particolari, e che andavo orgogliosa e felice di sapere.

Per esempio, sapevo che il mio Signore amava particolarmente cibarsi di insalata, uova e erbe del sottobosco come condimento ai suoi strani miscugli.

Mangiava poco, ma spesso. Dormiva poco e ad orari particolari, tipo le prime ore della mattina, o le prime ore della sera.

Per la maggior parte del tempo era comunque fuori.

Amava ammantarsi di indumenti sempre freschi e puliti, pesanti e dai disegni ricchi di simbologie. Era ordinato, mi pareva, anche se non preciso e nemmeno meticoloso, mentre io vivevo nel disordine. E come lo notava … sembrava divertito, solo a volte irritato e contrariato.

Adoravo i suoi commenti, la sua voce. Sentivo e sento il sentimento che cresce in me, pronto ad esplodere per poi accrescersi di nuovo.

Sempre.

Dopo un breve periodo iniziale, non lo vedevo più così spesso, era intento nelle sue ricerche che teneva misteriose.

A volte contavo le ore che mi separavano dal rivederlo, a volte ero io fuori per troppo tempo.

Avevo impegni, finalmente facevo qualcosa di concreto per lui, come la sua vera, unica e fedele Mangiamorte.

Ciò che da sempre sapevo essere realmente.

Ciò che da sempre avevo desiderato.

Essere io l’unica per lui, essere io l’unica al suo fianco.

E da quella volta che mi ha chiesto di combattere, in quella che avrebbe dovuto essere la battaglia finale, i miei desideri si sono improvvisamente avverati.

Questo era bastato, per un bel pezzo, a farmi sentire felice.

Col passare del tempo però, quel molesto pensiero è tornato di nuovo a ingombrare la mia mente. Nonostante il mio Signore non ne facesse parola nei suoi discorsi con me, sapevo che era semplicemente in placida attesa.

Ad un certo punto, non ho più potuto far finta di nulla.

Ogni mattina, o pomeriggio, mi alzavo dal letto col desiderio di provare quella sensazione di dolore fastidioso al ventre, o di trovare macchie di sangue sulle lenzuola.

Niente.

Ogni mattina, o pomeriggio, non succedeva assolutamente nulla di tutto ciò. Al contrario, una strana sensazione di lieve nausea mi infastidiva per alcuni istanti.

Per fortuna appunto, solo istanti.

Ogni giorno l’angoscia aumentava, e con essa aumentava il desiderio che si trattasse solo di uno sbaglio, un sogno assurdo e spiacevole.

Mi sentivo come una stupida ragazzina ingenua che aveva sbagliato tutti gli incantesimi protettivi, e che aveva fatto un grosso sbaglio.

Quella ragazzina che non ero mai stata.

Non avevo sbagliato né da giovane né da adulta.

Fino al momento in cui il mio Signore mi ha punita, e non ho avuto né la possibilità, né il tempo, né la condizione, di pensare, o tanto meno fare, un incantesimo di protezione.

Ormai erano passate settimane da quel momento, settimane anche dall’ultimo plenilunio, sarebbe stato inutile sperare ancora.

Lo sapevo bene.

Non sapevo che fare. Per la prima volta in vita mia. O quasi.

Ho deciso così di aspettarlo, lui il mio Signore, cercarlo, guardarlo e sapere i suoi ordini, sentire le sue parole.

Riproponendo quell’atmosfera che tante volte avevamo condiviso a casa di mia sorella, mi sono seduta sul vecchio divano di una stanza della torre, davanti ad un grande camino acceso da un mio incantesimo di incendio.

In sua attesa.

Mentre passava il tempo, restavo ad osservare il fuoco, a scaldarmi vicino ad esso. Mi faceva sentire stranamente bene, il tempo passava senza che quasi me ne accorgessi. Era una sensazione strana e nuova per me.

Il fuoco è sempre stato un elemento speciale, potente, che sapevo comandare nel migliore dei modi, ma mai prima d’ora mi ero sentita tanto legata ad esso, mai così tanto parte del suo calore, del suo crepitio, della sua vita e la sua luce potente.

Solo nel momento in cui ho iniziato a sentire i passi del mio Signore nella stanza, mi sono distratta, alzandomi in piedi lentamente e andando verso di lui.

Stavolta davo le spalle al camino e vedevo il fuoco riflettersi nei suoi occhi.

Lui non parlava, io neppure.

Ma vedevo come mi osservava intensamente, studiandomi attento.

Dopo diversi istanti ha distolto lo sguardo, spostandolo verso tutta la mia figura. E infine mi ha palato “Allora? Come mai mi stavi aspettando?”

Mi sono morsa le labbra a quella domanda, guardandolo poi implorante, sperando parlasse per me.

“Parla.” ha insistito.

Dunque non ho potuto fare a meno di iniziare il discroso più spinoso che potessi immaginare di fare.

“Mio Signore, sono passate diverse settimane dal plenilunio … e non ci sono novità.”

Lui ha accennato un ghigno noncurante, guardandomi poi con uno sguardo di leggera sfida “Hai semplicemente saputo ciò che io sapevo già da tempo. E che ti avevo detto già da tempo.”

“Mi dispiace mio Signore … non pensavo ci fosse davvero … non credevo possibile che …” ho quasi balbettato, senza nemmeno terminare la frase, sperando che non mi punisse anche questa volta per aver dubitato, per aver fatto e pensato di testa mia.

Avvicinandosi ha aggiunto “A suo tempo elimineremo questo problema.”

“Perché non ora mio Signore?”

“A suo tempo, ti ho detto. Mi serve il momento giusto per la mia magia. Non discutere con me.”

Sospirando ho annuito.

Mi sentivo ancora angosciata, mi sono dunque avvicinata di più a lui. Con quell’atteggiamento voglioso e spregiudicato che esprimo quando la mia voglia raggiunge gli apici.

Ha capito.

Mi desiderava. L’ho intuito dal suo sguardo sul mio seno. Dalle sue labbra appena aperte e affamate ogni volta che respiravo, e il petto si alzava e abbassava velocemente.

Molto velocemente, dato il mio desiderio ed eccitazione.

L’ho capito dalla foga con la quale è venuto verso di me, spingendomi sul grande tappeto steso a terra, davanti a quel fuoco stupendo.

Finalmente … non aspettavo altro.

Con la pelle della schiena ormai nuda, spogliata, strappata, potevo sentire i peli morbidi del tappeto chiaro, sui quali mi sospingeva per amarmi con passione. Anche se non dovrei mai usare quella parola se mi rivolgo a lui.

Amavo quella sensazione. Di me lo posso dire … l’amavo. Lo amo.

I miei capelli rimanevano spesso impigliati nella sua presa prepotente, mentre si appoggiava al tappeto dove essi poggiavano scompigliati.

Vedevo le sue dita lunghe e sottili, bianche, immerse nei miei capelli neri, le sue braccia forti e distaccate sfiorare, per caso, il mio viso bruciante.

La sua solida potentissima presa, quella che mi domava ancora e sempre, che mi faceva sentire sfrenata e spregiudicata ogni volta di più.

“Vi adoro” gli dicevo in continuazione.

Un istante dopo che si è separato da me, quando eravamo ancora stanchi e ansimanti entrambi, ha afferrato letteralmente il mio ventre con una mano, sfiorandolo con la bocca, quasi coi denti, come in un morso diabolico.

Poi ha detto una breve frase in serpentese, una frase di cui non posso nemmeno immaginare il significato.

Era rivolta a lui, lo so.

Ma quel suo gesto, quel suo modo di compierlo, quel suo sguardo e il suo fare, quella lingua che conosce solo lui, così terribilmente eccitante nel suo suono, mi hanno fatto provare, poco dopo il primo, un secondo stranissimo e potentissimo orgasmo.

Lo adoro.

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Buon anno a tutte!!

Ieri, fra festeggiamenti per il compleanno dell’Oscuro Signore, e festeggiamenti per l’ultimo dell’anno, non ho avuto tempo per pubblicare, ma ora eccomi qui col nuovo capitolo.

Qui si nota decisamente il collegamento con l’altra mia ff (Sgath, che significa oscurità) penso che sia chiaro come il sole per chi l’ha già letta, per coloro che dovessero seguire solo questa, lo dico direttamente, Bellatrix è incinta (riferimento: ultimi due capitoli di Sgath più spinn of La sua migliore Mangimorte). Mi auguro che si capisca abbastanza bene comunque, senza bisogno di leggere.

Approfitto per ringraziare anche qui tutte voi che avete votato per Sgath al contes “HarryPotterFinalContest” grazie immensamente! Un bellissimo regalo di compleanno per il Signore Oscuro che ne va tutto orgoglioso!!

Per ora non ho altro da aggiungere … forse ho perso per strada qualche spiegazione (devo ancora riprendermi dalla nottata … anzi, dalle ultime tre o quattro, ho perso il conto!) se ci fosse bisogno chiedete pure!

Grazie a tutte per le recensioni scorse

Ancora buon anno a tutte e buone vacanze

A presto

Circe

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Capitolo 4
*** La bacchetta di Sambuco ***


La bacchetta di Sambuco

Ogni notte avevamo ricominciato a parlare, dopo giorni e giorni di ricerche continue, ed ogni notte lo vedevo più inquieto, nervoso e arrabbiato.

Non era più sicuro di nulla, altrimenti mai si sarebbe abituato tanto bene alla mia presenza, al dialogo, alle domande.

Segretamente, godevo nell’essergli tanto vicina, nel potere aver accesso, ora più che mai, ai suoi pensieri e alle sue riflessioni.

Non volevo essere felice di quella condizione tanto brutta per lui e per me, ma lentamente, mi era chiaro, lo stavo diventando davvero.

Amavo di nuovo uscire durante la notte, nonostante soffrissi ancora il freddo. Il luogo sperduto in cui ci trovavamo, mi lasciava la possibilità di preparare grandi fuochi e paioli magici, di preparare e creare di tutto: pozioni, elisir, distillati, erbe liquefatte dai vari usi e consumi.

Non sapendo bene a quale situazione stessimo andando incontro, i miei esperimenti e i preparati erano davvero i più svariati, mi stupivo io stessa delle conoscenze che stavo sfoderando.

Ero bravissima in pozioni, vero, ma avevo sempre preferito gli incantesimi.

Ora iniziavo a trovare un senso reale anche a tutte quelle boccette con liquidi colorati e cangianti che mandavano bagliori nella notte.

In cambio, la bacchetta di Sambuco continuava a non funzionare a dovere, sembrava un normalissimo strumento di magia.

Conoscevo bene il mio Signore, lui voleva compiere incantesimi potenti, inimmaginabili. Mentre quella stupida bacchetta lo aveva deluso, reso impotente più di prima.

Non riuscivamo a capire il perché, sembrava che quel malvagio legnetto volesse rifiutarsi di creare magie.

Durante le mie ricerche nei villaggi di antichi saperi magici, avevo cercato svariate informazioni a tal proposito, ma non avevo trovato assolutamente nulla di davvero utile.

Desideravo da sempre stargli accanto io e solo io, farlo vincere, farlo essere ciò che desiderava essere: il migliore.

Vedevo bene, anche meglio di lui, che quella bacchetta non ci avrebbe portato da nessuna parte. Anzi, avevo sempre pensato che ci avrebbe portato solo guai; continuavo a ripetergli che è la bacchetta a dover scegliere il mago non viceversa.

Gliel’ho ripetuto prima e dopo la battaglia ad Hogwarts incessantemente.

Lui mi guardava irato, zittendomi perennemente e malamente.

Ma non potevo far altro che ribadirglielo in continuazione, so essere l’unico modo per convincerlo, anzi, per insinuargli la mia idea quando risulta diversa dalla sua.

Poi una sera, improvvisamente, mi ha chiamata a lui, indicandomi di sedermi sul pavimento al suo fianco.

La primavera qui al nord è particolarmente fresca, un tenue fuoco continuava a riscaldare la nostra conversazione.

“Sono convinto di dover cambiare tattica. Ancora una volta.” ha esordito in maniera impercettibilmente stanca, dopo attimi di silenzio e attesa da parte mia.

“La bacchetta non funziona a dovere, questo è più che chiaro. Tu asserisci che il motivo è che non avrei dovuto sceglierla io, che secondo la tradizione magica, non mi appartiene fino in fondo. Bene, allora la eliminerò dalla faccia della terra.”

Ho sgranato gli occhi. Decisioni tanto repentine sono effettivamente tipiche del mio Signore, ma che pensasse di liberarsi di quella bacchetta non l’avrei mai immaginato.

“E come faremo, quando ve ne sarete liberato mio Signore? La vostra antica bacchetta non può vincere quella di Potter, i nuclei sono uguali. Lo avete detto voi.”

Lui ha risposto freddo “Lo so bene. Dovrò pensare a un altro piano, un’alternativa. Ho bisogno di più tempo.”

Ho continuato a guardarlo adorante: era sempre in grado di stupirmi, era sempre in grado di far sentire la sua forza, il suo carattere.

Di farmi sospirare di desiderio quasi incontrollabile per lui.

Non ha badato a me e, terminato di dire quelle parole, ha estratto la bacchetta di Sambuco dalla veste, guardandola con interesse e rabbia. Gli occhi color del fuoco non si staccavano un solo attimo da quel legno scuro.

“Non posso permettere che qualcun altro utilizzi questa bacchetta potente, nessuno a parte me potrà farlo. Se io non posso, se la sua forza mi è preclusa, non mi resta che eliminarla.”

Io non guardavo la bacchetta, guardavo solo lui.

Il suo pallore era più accentuato che mai, la sua rigidità, tensione, rabbia, si percepivano nettamente dallo sguardo,

“Non possiamo più sbagliare Bella, devo trovare un piano definitivo, ed eliminare ogni minaccia, o non avremo speranza. Tu mi aiuterai.”

Per una vita ho aspettato parole simili.

È valso la pena fare tutto ciò che ho fatto per sentirmele finalmente dire. “Tutto per voi, mio Signore” ho risposto avvicinandomi.

A quel gesto, anche lui si è avvicinato a me, chinandosi leggermente verso il mio volto. Lo desideravo ancora da morire. Non si concedeva più a me tanto spesso, e mi mancava, e la mia pelle ardeva ogni volta che lo sentiva vicino.

Quella situazione mi faceva quasi svenire dalla passione che si svincolava ed esplodeva con violenza dentro di me.

Ultimamente sentivo tutto con un’intensità particolarmente forte, mai provata prima. Almeno così mi pareva.

Ho socchiuso gli occhi avvicinandomi di più.

Da così tanto non osavo sperare in un suo bacio. Un desiderio troppo sublime.

Senza degnarmi della minima considerazione, lui si è allontanato da me, avvicinandosi al fuoco.

Qualche volta ho l’impressione che mi provochi di proposito, per testare fino a che punto smanio per lui, lo venero e lo adoro.

Indubbiamente ne rimane sempre soddisfatto.

“Osserva anche tu” ma ha detto freddo “assicurati con me che scompaia, che si annulli.”

Ho annuito appena, ancora confusa ed inebriata da quella vicinanza, dal suo odore, smaniosa come non mai di sentire anche il suo sapore.

Ma non sarebbe stato possibile in quel momento. Ho cercato di calmarmi, di darmi un contegno e concentrarmi sulla sua richiesta.

Voltandomi verso il fuoco, nel giro di un istante, un’altra forte sensazione si è impadronita di me.

Di nuovo il fuoco, quell’elemento forte, invasivo, turbolento. Di nuovo quel desiderio di fare parte di esso, di comandarlo in ogni sua espressione.

Era strano.

Ho accennato al mio Signore che ero pronta per osservare la distruzione. Lui lentamente ha avvicinato la punta della bacchetta al fuoco.

È successo qualcosa.

Essa pareva fare forza per allontanarsi, vibrare fra le dita lunghe e sottili del mio Signore, reagire all’idea di essere eliminata. Una situazione strana, inspiegabile.

Siamo restati entrambi ad osservare lo strano fenomeno.

Poi, all’improvviso, una lingua di fuoco è cresciuta improvvisamente, raggiungendo la bacchetta, avvolgendola tutta.

Il mio Signore l’ha dunque lanciata completamente nel fuoco. Il crepitio del legno che bruciava, assomigliava ad un lamento sinistro di morte e dolore.

A grida di disperazione, maledizione, vendetta.

Era strano come era avvenuta l’eliminazione di quel legnetto, che già si stava riducendo lentamente in cenere.

Siamo rimasti diverso tempo, in silenzio, a guardare la fine della bacchetta leggendaria.

Ha bruciato velocemente sino alla fine.

Alzandomi poi in piedi, quando tutto si è placato, ho sentito una debolezza fortissima, qualcosa di mai provato prima e la sensazione ancora più strana che, una grande quantità di magia viaggiasse a gran velocità nelle mie vene, nei miei tessuti e nella mia carne.

Sono rimasta sconcertata per qualche istante, fino a che il Signore Oscuro non mi ha interrogata “Sei stata tu Bella?”

L’ho guardato in maniera smarrita ed interrogativa. “A far liberare quella lingua di fuoco! Sei stata tu?”

“No mio Signore. Pensavo foste stato voi.” ho risposto “io ho pensato solamente che desideravo ardentemente la bacchetta venisse eliminata ed annientata. La odiavo. Pensavo avesse preso fuoco da sola, o che appunto foste stato voi a comandare il fuoco.” mentre dicevo tutto ciò, lo guardavo fissamente, cercando di capire cosa stesse pensando.

Era attento, riflessivo, ma nulla di più.

“Pensate sia successo qualcosa di particolare?” ho domandato.

“Solo coincidenze, presumo.” ha risposto lui serio. E siamo restati in silenzio entrambi per poco tempo. Guardandoci fissamente.

“Credo sia il caso di riposare Bella. Quella bacchetta ci ha portato via tempo ed energie.”

Trovavo strano dicesse di andarci a riposare, proprio lui, che non si ferma mai e non riposa mai.

“Mio Signore …” ho azzardato quindi guardandolo in tutta la sua altezza.

“Cosa vuoi?”

Ma non ho avuto il coraggio di continuare con la mia richiesta vera, fin troppo pretenziosa: potrei dormire con voi?

Questo avrei voluto domandare.

Non ce l’ho fatta.

L’avrei fatto arrabbiare, non se lo meritava proprio, dopo che aveva avuto tanti problemi. Così ho inventato “Troveremo qualcosa di molto più potente di quella stupida, inutile bacchetta, anzi, lo troverete voi, perché voi siete il migliore.”

Mi ha semplicemente sorriso, crudelmente.

Ero felice nonostante tutto. Solo di essere con lui.

Ho sognato il fuoco quella notte, non so perché. E non sarebbe stata nemmeno l’ultima volta.

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Eccomi con un aggiornamento mattutino velocissimo.

Come vedete, l’elemento fuoco (tanto presente già in Sgath) qui inizia a prendere un’importanza sempre più fondamentale per i due innamorati (qui l‘Oscuro Signore mi ha già uccisa).

Non ho ancora introdotto l’altro personaggio importante della storia: Andromeda (e di conseguenza Teddy Lupin). Oltre che per il fatto che ho il terrore di descriverla da schifo … soprattutto perché volevo mandare un po’ avanti la storia degli altri protagonisti, sta comunque per arrivare!!

Per ora non ho altro da dire, o spiegare, ma fate pure domanda se necessario! Risponderò all’ultima recensione ricevuta sullo scorso capitolo (grazie stellinagiocosa) in giornata (spero)! E ancora grazie a tutte voi che state leggendo e o commentando! Grazie davvero tantissimo a tutte.

Ci risentiamo nelle risposte

Buon week end a tutte

Circe

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Capitolo 5
*** Me e nessun altro ***


Me e nessun altro

Spesso mi capitava di cenare con lui.

Era successo anche in passato, ma era diverso, molto diverso allora.

Finalmente eravamo soli, eravamo noi lontani da tutti, mi sentivo unita al mio Signore, vicina a lui come non mai.

Soli nella grande stanza, nel tavolo lungo, ma non abbastanza per impedirmi di guardarlo tutto il tempo, di parlargli e ammirarlo.

Era bello stare seduti di fronte l’uno all’altro, la sera tardi, quando ormai faceva buio quasi totale, e guardarlo illuminato dalle candele disposte fra noi.

Era bello restare ad ascoltare i suoi silenzi, e solo il tintinnio delle posate a scandire i minuti che passavano.

Mi sentivo davvero strana a volte, notavo come ogni suono ed ogni rumore vagamente armonico, mi facevano incantare ad ascoltarli.

A tavola, soprattutto in passato, ero abituata ad insinuarmi sempre più vicina a lui, a mostrarmi in tutta la meraviglia dei miei vestiti scollati, che lasciavano scoperto tanto di me.

Desideravo mi scoprisse tutta.

Lo desideravo anche in quei momenti a dire il vero.

Ma era leggermente diverso ora.

Per iniziare, non avevo mai mangiato così tanto durante i pranzi e le cene, nemmeno dopo l’evasione da Azkaban.

Restavo comunque sempre troppo magra. Forse perché, ogni volta che ero impegnata a mangiare, alzavo lo sguardo verso di lui e lo ammiravo incessantemente, a volte, anche di nascosto, coi capelli lunghi sul volto, che coprivano i miei sorrisi verso di lui.

Altre volte, muovendomi appena, facevo scendere qualche ciocca di capelli fin sul seno, in modo da farli giocare coi tessuti del vestito.

Speravo notasse la sensualità di quel gesto, speravo mi desiderasse ogni singola volta.

Forse per questo digerivo tutto troppo in fretta, per la grande eccitazione che provavo, e dunque non assimilavo proprio nulla.

È stato fra un boccone di bistecca e uno di insalata, preparati dall’ennesimo elfo di turno, che ho sentito quella maledetta frase.

“Sta arrivando da me.” ha detto, concentrandosi, il mio Signore, socchiudendo gli occhi lentamente ed annusando l’aria.

Io l’ho guardato indignata, sconvolta, furiosa.

“Chi, mio Signore, starebbe arrivando?” ho sibilato tentando di nascondere la furia che mi stava velocemente permeando completamente.

Non avrei mai permesso che qualcuno, chicchessia, venisse a rovinare quello che io avevo sempre voluto, ciò per cui avevo combattuto per una vita: il mio Signore.

Io e il mio Signore e nessun altro.

“Nagini sta venendo da me, mi ha trovato, sta arrivando.” ha detto tranquillo, come sollevato.

Mai ho percepito una tale scarica di gelosia dolorosa liberarsi dentro di me.

“Cosa viene a fare?” mi è sfuggito dalle labbra.

Lui mi ha guardato per un attimo in maniera curiosa, poi ha lasciato che mi consumassi nella gelosia e nell’invidia.

Mi sorrideva con un ghigno silenzioso, felice.

Tagliavo quella carne col coltello, come se dovessi uccidere con le mie stesse mani, mentre, nel silenzio, mi sentivo osservata e quasi derisa.

Poi, improvvisamente, il mio Signore ha detto qualcosa.

“Io e Nagini siamo legati. Devo anche a lei la mia salvezza, ho riposto in lei la mia eternità.”

Ho alzato lo sguardo verso di lui in maniera interrogativa, cercando di non svelare il dolore che mi avevano provocato quelle parole. Dubito che gli fosse comunque sfuggito.

Non mi ha svelato nulla sull’eternità di cui aveva parlato, non l’ha nemmeno accennata, però ha ampiamente parlato di come Nagini gli abbia salvato la vita, di come abbia potuto nutrirlo, di come siano stati insieme sempre vicini, mentre io ero a marcire ad Azkaban, a rovinarmi e degradarmi.

Per lui.

Mentre lei era con lui.

“Nagini è un serpente speciale lo sai, lei ha sangue reale, quasi divino. Come il suo antenato è stato in grado, a modo suo, di creare l’amrita, un elisir di immortalità, lei può creare un elisir simile, anche se meno abbondante, meno potente.”

Mentre parlava, lo ascoltavo rapita. Dentro di me combattevano la gelosia bruciante e la felicità, la bellezza di sentirlo parlare, raccontare, farmi partecipe, come un tempo, delle sue scoperte, delle sue magie.

“Grazie a quello, sono sopravvissuto durante i miei anni più bui. Grazie a quello, sono tornato in forze, pronto per riprendere il mio posto nel mondo magico e per avere di nuovo tutta la mia magia.”

Avevo definitivamente smesso di mangiare, sorseggiavo lentamente un po’ d’acqua per calmare il fuoco che avevo dentro.

Non mi era davvero facile placare quei sentimenti tanto forti a causa sua.

Come per magia poi, in quegli istanti in cui lui evocava e descriveva i grandi poteri di Nagini, ho sentito il suo ormai famigliare sibilo squarciare la calma della notte.

Era tornata davvero, lo aveva cercato durante tutte quelle settimane e ora era lì, con noi. Anzi, con lui, ad avvilupparsi attorno alle sue spalle e crogiolarsi nelle sue carezze.

Carezze morbide, appena accennate, come soffi di vento delicati e armoniosi.

“Vieni qui accanto Bella, devo insegnarti qualcosa.” mi ha detto poi, improvvisamente, mentre si alzava dal tavolo dirigendosi verso il divano.

L’ho seguito, sedendomi accanto a lui ed al suo rettile. Sempre appollaiata sulle sue spalle, Nagini mi guardava con strana curiosità. Mi osservava in ogni mio lato, sibilando con la lingua biforcuta, come per sentire il mio sapore nell’aria.

Ci guardavamo ancora attentamente, quando il mio Signore ha aggiunto tranquillo.

“Dovesse essere utile, devi imparare ad ottenere l’elisir da lei.” mi ha detto serio. Poi ha aggiunto nervoso “Possibilmente con più abilità di quanto faceva Codaliscia.”

Ho sorriso divertita “Ovviamente, mio Signore. Io sarò sempre la migliore.”

Sorridendo freddamente alle mie parole, ha portato la mano, delicatamente, verso le fauci di lei, che subito si è distratta e non mi ha più guardata, degnando solo il suo padrone delle maggiori attenzioni.

Poggiando appena le lunghe dita sui denti affilatissimi e bianchissimi del serpente, ha stimolato piccoli punti interni ad essi con grande maestria, e alcune gocce di un liquido bianco acquoso si sono subito riversate sulla pelle del mio Signore.

Nagini non ha fatto un solo scatto, una sola rimostranza. Dedita completamente al volere di lui, non appena ha ricevuto un segno di approvazione, si è acciambellata quieta sul grande tappeto ai suoi piedi.

Avrei dovuto odiare quel liquido sconosciuto, invece non potevo che guardarlo, concentrarmi su di esso, volerlo. Dovevo averlo, poggiare le mie labbra e assaporarlo, anche un poco.

Tante volte mi ero sentita strana in quei giorni. Troppo emotiva quando lui mi faceva del male con le sue parole fredde e taglienti, troppo appassionata nel mio desiderio, nel mio bisogno di averlo, toccarlo, sentirlo, troppo violenta negli atti, nella magia. In tante occasioni avevo assassinato pur di avere un semplice libro, o un oggetto magico, un giornale con le notizie su Potter, o un ingrediente fondamentale.

E mi ero anche ripromessa di non creare scompigli per non attirare l‘attenzione su di noi.

In ogni caso, mai mi ero sentita così strana.

Senza quasi rendermene conto, silenziosa e convinta, mi sono avvicinata al mio Signore. Sinuosa e istintiva, come sempre, ma con un pizzico di decisione in più.

Troppo indisponente, di sicuro, ma non potevo fermarmi.

Ho avvicinato le mie labbra alle sue dita, dove era poggiato ancora il liquido che tanto mi attirava.

Volevo assaggiarlo come aveva fatto lui per tanto tempo.

Lui stesso mi osservava, ma senza minimamente allontanarsi, o fermarmi.

Ho poggiato la mia mano vicina alla sua, sfiorandola quasi, ma non totalmente, per non offenderlo, poi ho toccato con le mie labbra quell’elisir, assaporandolo per quanto potessi, data la scarsa quantità che mi era disponibile avere. Aveva un sapore dolce e fresco, puro, nella sua potente e ricercata magia.

Sembrava quasi latte nel colore, ma era più buono, più pieno di energia, calore, nutrimento.

Amavo tutto ciò che era caldo, caloroso, focoso, bruciante. Lo amavo molto, soprattutto negli ultimi tempi.

Ho inspiegabilmente portato un braccio a cingermi i fianchi, il ventre, appoggiando successivamente le labbra alla sua pelle.

Dopo soli pochissimi secondi mi sono scossa, e ho guardato il mio Signore in viso, per poi allontanarmi da lui lentamente.

“Scusate mio Signore.” ho detto subito.

Incredibilmente, ha avuto una reazione strana, che non mi sarei mai aspettata. Alzandosi in piedi irato ha esordito “Tu sei la mia Mangiamorte, devi servire me.” poi si è voltato e, mentre si allontanava, ha lanciato nella mia direzione un altro sguardo terribile.

“Devi fare ciò che è bene per me. Per me e nessun altro, non dimenticarlo mai. O te ne farò pentire.

Pentire sul serio.”

Questa frase, detta guardandomi in modo mai espresso prima, non mi ha lasciata minimamente indifferente.

Tante condizioni iniziavano ad essere palesi fra noi, senza essere però accennate.

I suoi poteri, i suoi bisogni, le sue influenze su di noi … e di certo non sarebbero finite qui.

Era l’erede.

Era un problema.

E il problema andava risolto, e in fretta.

……………………………....................................................................................................................

Ciao a tutte.

Sono pronta col nuovo aggiornamento, dato il tempo che è scarsissimo non pensavo di riuscire ad aggiornare prima del fine settimana, invece ieri sera ho avuto un’oretta libera e ne ho approfittato.

Sono indietro con le altre ff, ma al momento quella che riesco a scrivere più velocemente nel poco tempo libero è questa, per cui ne approfitto.

Spero di recuperare presto con le altre due.

A proposito di questo capitolo, per quanto può parere fine a se stesso, ne svelerò più avanti l’utilità, per ora resta un tantino oscuro.

Avevo comunque promesso a Lenobia di scrivere qualcosa sul triangolo Bella-Voldie-Nagini … ed eccolo qui! Spero ti sia piaciuto , in seguito tornerò a parlare di loro!

Come tutte avevate notato nei commenti agli scorsi capitoli, Bella è gelosa dell’erede, ma qui anche Voldie si dimostra molto … non geloso, ma possessivo. Sappiamo bene come lui sia più complicato di lei, riserverà dunque svariate sorprese e cambi di rotta.

Per ora non vuole che Bella “nutra” in qualche modo, anche inconsciamente, il suo erede, perché vuole che lei si prodighi solo ed esclusivamente per lui.

Credo che se deciderò di farlo nascere, questo povero erede di tali genitori, sarà il più maturo della famiglia … o il più folle, dipende!

Ho detto tutto mi pare, se avete qualche domanda, risponderò appena possibile come sempre.

Grazie davvero tanto per i commenti

A presto

Circe

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Capitolo 6
*** L’unica cosa che avrei mai potuto possedere di lui ***


L’unica cosa che avrei mai potuto possedere di lui

“Mi serve una nuova bacchetta, ora che ho distrutto l’altra. Ed è necessario che abbia un nucleo diverso. Potente come il primo, ma diverso.”

Guardavo il mio Signore dritto negli occhi mentre, durante l’alba di una mattina limpida e tersa, mi anticipava a bruciapelo la sua nuova strategia.

Tacevo, per invogliarlo a continuare.

“Staccati ora, non c’è più bisogno che mi stai tanto vicina.” aveva aggiunto subito dopo, cambiando discorso, come se fosse tornato improvvisamente alla realtà, e guardandomi disgustato.

Mi sono allontanata lentamente da lui, sistemandomi i capelli sulla schiena e coprendomi appena con la veste lasciata per terra, poco lontano da noi.

Faceva sempre l’amore con me ora … sesso con me, quando tornava dalle sue ricorrenti ricognizioni, sia che fosse nervoso, sia che fosse più tranquillo.

Era facile percepire il suo umore da come si comportava: violento oppure appassionato, presente oppure noncurante, ogni volta imparavo a capirlo maggiormente.

Nonostante l’umore saturnino che da sempre, ma soprattutto in quei giorni, caratterizzava la sua personalità, per me iniziava ad essere appena meno misterioso, e appena meno inavvicinabile.

Appena.

Inginocchiandomi poco lontano da lui, mentre restava sdraiato a pensare, ho continuato a guardarlo silenziosa.

“So bene che deve essere la bacchetta a scegliere il mago, non dubitare, ma so anche che capirò il modo di risolvere la questione.”

“Come farete per la bacchetta mio Signore? Avete ucciso e torturato tutti i fabbricanti esistenti. Che altro modo potreste trovare?”

A quelle parole si è adirato leggermente. Alzandosi appena e puntando il peso sui gomiti, mi ha lanciato uno sguardo di fuoco dritto in viso. Il fuoco era sempre talmente presente tra noi ormai, da non rimaneva spento per un solo istante, nemmeno durante quei giorni di primavera, sia che si trattasse di accenderlo nel camino, sia sulle candele.

“Sarai tu a farlo, tu mi dovrai aiutare. Per quale motivo credi che ti abbia portato qui con me altrimenti? Sarai utile ai miei scopi, come sempre. Per cui, datti da fare.”

Ho annuito subito, senza fare tanto domande, fidandomi completamente di lui “Tutto ciò che volete mio Signore, vi servirò come nessuno mai prima d’ora, ma … non ho capito come poter fare …”

“Hai perlustrato i dintorni, conosci i luoghi magici e i paesi antichi che nascondono sapienze magiche illimitate, non è vero?”

Ho annuito di nuovo.

“Trova dunque un luogo adatto dove impossessarci del volume, o dei volumi, che spiegano come costruire una bacchetta magica. I riti e i manufatti magici di questi luoghi hanno dei risvolti ancora sconosciuti, ancora più potenti di molti altri. Informati, non sbagliare.”

Ho sorriso nel buio di quella stanza dove la luce dell’alba ancora faticava ad entrare, mi sono sentita felice ed orgogliosa di ricominciare a combattere, a cercare, ad impegnarmi fino in fondo per lui.

“Sarà subito fatto mio Signore.” ho aggiunto alla fine della conversazione, sperando mi facesse cenno di riavvicinarmi, di fare sesso ancora una volta con lui.

Non mi ha nemmeno quasi guardata, troppo preso dai suoi pensieri del momento.

Ho sospirato tristemente, sentendomi già esclusa dal suo mondo e, mentre mi alzavo in piedi, ho pensato che ogni volta che mi trattava così male, in maniera improvvisamente tanto distaccata, io, per non so quale motivo, lo adoravo lo stesso sempre di più, lo cercavo e lo desideravo all’apice della mia capacità: più che mai.

Poi mi sono allontanata lasciandolo in pace, solo, come percepivo desiderasse.

Avrei dovuto aspettare la sera per uscire, in quelle ultime settimane, attendevo sempre il buio. Mi sentivo protetta, forte e potente, quasi invincibile direi, e solo di notte potevo ancora sentirmi così.

Scendevano le tenebre e io mi univo a loro.

Ogni volta.

Non ero solo io, lo sentivo. L’ho percepito sin dall’inizio da una vaga sensazione sconosciuta. Sentivo che c’era qualcosa dentro di me che mi faceva amare quei momenti, perché amava l’oscurità attorno, il silenzio del buio, il mistero della notte.

Amava soprattutto i rumori. Gli animali notturni che ululavano nei boschi limitrofi, il vento che si scatenava a folate nella vasta brughiera, le piante che muovevano rami e foglie e che nascondevano mondi misteriosi di magia persa, o sconosciuta.

Percepiva persino il rumore impercettibile della nebbia e non disdegnava il tintinnio della pioggia.

Mi faceva sentire strana, avevo sempre amato la notte, ma la notte con la luna, e mi ero sempre e solo incantata a guardare la sua falce nel cielo nero. Non avevo mai posto tutta quell’attenzione al resto.

Poi un dubbio mi ha attraversato la mente come un lampo: era lui.

Quell’idea si è fatta strada volta dopo volta, sensazione dopo sensazione.

Fino a che, quel dubbio, non è diventato certezza.

L’erede.

Il problema.

Sgáth.

Era lui.

Lui scatenava in me quel piacere avvolgente, quella perenne voglia di non separarmi mai dal mio Signore, di sentirmi stretta forte dalle sue braccia. Lui accresceva in me quegli scatti d’ira improvvisa ed incontrollata che mi portavano ad uccidere gli elfi domestici catturati, uno dopo l’altro, solo perché non rendevano il luogo dove vivevamo, un posto caldo, col fuoco acceso.

Lui amava la notte e tutto ciò che nella notte si trovava. Eccetto la luna.

Lui desiderava assaporare tutte quelle spezie nel cibo, che lo rendevano un vero fuoco al solo contatto col palato.

Lui era qualcosa che io non avevo mai conosciuto. Qualcosa che, anzi, odiavo.

Era un Mezzosangue, me ne rendevo veramente conto solo in quel momento.

Sentivo il cuore battermi all’impazzata. La rabbia crescere senza possibilità di essere liberata.

Lo sapevo in fondo, dentro di me: sarebbe stato inutile seguitare a comportarmi come avevo sempre fatto, a fingere di non sapere, di non conoscere, il vero stato di sangue del Signore Oscuro.

Sarebbe stato inutile diventare indiavolata, come ho sempre fatto, contro tutti coloro che si azzardavano ad accennare a quella condizione.

Mi sentivo atterrita e completamente confusa.

Il problema era un Mezzosangue, come lo era suo padre, e come non lo ero io.

Avrei voluto estirparmi quell’essere dal ventre con le mie sole unghie, graffiandolo via, eliminandolo con tutta la rabbia e lo schifo che mi portavo dentro nei suoi confronti.

E non pensarci più.

Eppure … eppure c’era un’altra sensazione forte, in completo contrasto con la prima, che quasi mi violentava la mente e le emozioni: sentivo e capivo molto di più il mio Signore.

La sua essenza, la sua personalità, la sua rabbia, il suo rancore.

Le sue abitudini, i suoi gusti. Era davvero diverso da me. Lo erano entrambi. L’erede era, in parte, come lui e io lo sentivo ogni attimo della mia vita, sempre di più.

Ma il problema era nostro, mio e suo, l’unica cosa che per davvero, forse, avrei mai potuto possedere di lui.

……………………………....................................................................................................................

Note:

Ben tornate a tutte!

Tra un test e l’altro del solito master che mi perseguita annualmente, sono riuscita ad aggiornare.

Originariamente, questo capitolo l’avevo scritto con anche la parte su Andromeda con Teddy, che seguiva subito sotto, ma voi sapete quanto sia allergica ai capitoli lunghi (dico la verità: non ho mai la voglia di rileggerli tutti più volte per correggerli), così ho deciso di dividerli (e correggere dunque solo la metà!)

Credo sia sufficientemente chiaro che Bella non vuole proprio il piccolo problema (noterete in futuro che gli affezionati genitori lo chiameranno molto spesso “il problema”), ma qui si rende conto che egli rappresenta anche un forte legame col suo Signore, e che possiede delle caratteristiche di lui che Bella non potrà mai sentire, se non grazie al figlio.

Ah, avrete notato il nome dell’erede … ebbene sì, alla fine mi sa che si possa ben considerare questa storia come il seguito effettivo di “Sgath” anche se giuro solennemente (come i malandrini) di non essere capace di renderla bella come l’altra (almeno per me). Spero almeno non farà troppo schifo!

Dimenticavo: umore saturnino (non ricordo se l’ho già detto) deriva dal segno zodiacale del Signore Oscuro, il capricorno, che, avendo come pianeta dominatore Saturno, è particolarmente lunatico

(almeno così ho letto!) tanto da dare questo particolare aggettivo al carattere (mi pare ne parli molto Verlaine, poeta francese).

Ultima cosa: molte di voi mi hanno chiesto di Nagini. Vi dico subito che, anche se non sarà perennemente presente nella storia, avrà un ruolo molto importante in futuro e, presto, comparirà un nuovo adorabile animaletto a tenerci compagnia!

Ora basta spiegazioni, vi ho tediato a sufficienza! Passo subito a ringraziare per i commenti per lo scorso capitolo, ai quali risponderò dopo aver fatto l’ennesimo test (in pratica stasera all’incirca). Grazie davvero per le opinioni e le impressioni, mi sono utili e mi fanno sempre molto piacere!

A presto

Circe

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Capitolo 7
*** Solo un maledetto erede ***


Teddy: Andromeda

Sentivo di nuovo Teddy piangere nella culla. Piangeva, si agitava, strillava come un matto.

In quel periodo, era davvero nervoso, ed era evidente che stesse subendo inconsciamente il trauma della violenta separazione dai genitori.

Lo prendevo in braccio, lo cullavo, gli parlavo e sorridevo, ma lo sapevo, capivo perfettamente che i miei occhi non erano quelli della sua mamma, le mie braccia non gli donavano quella sicurezza alla quale era abituato, quel calore necessario per sentirsi sereno.

La mia voce, le mie parole, non erano quelle del padre. Il mio abbraccio non era forte e rassicurante come quello di un uomo.

Se io avevo sofferto immensamente per la perdita della mia bambina, lui soffriva di certo più di me, non capiva, ma si sentiva perso, incapace persino di comprenderne il perché. Era troppo piccolo. Appena nato era già stato abbandonato, era e sarà sempre solo, senza amore e senza calore.

Come me.

Porteremo questa ferita per sempre lui ed io, questo dolore incessante che chiama dal profondo del cuore, chiede di essere lenito, di essere curato, ma non c’è nessuna speranza di poterlo fare.

La nostra vita è segnata.

Non sapevo bene come avevo fatto a sopportare tutto quello che era accaduto negli ultimi tempi, ma sapevo che mai e poi mai avrei potuto superare questo dolore.

Vivevo forse solo per il mio piccolo Teddy, mio nipote, vittima inconsapevole di una guerra annunciata e mai sventata.

Che ancora aveva molto da dire, che aveva infiniti risvolti per fare soffrire.

Sapevo che non avrei avuto pace, non avrei potuto rassegnarmi veramente a ciò che era accaduto, non fino al momento in cui lei, Bellatrix, mia sorella, avrebbe respirato ed sarebbe esistita ancora su questa terra.

Solo nel momento in cui l’avrei vista chiudere gli occhi per sempre, guardarmi, mentre esalava l’ultimo suo malefico e maledetto respiro, allora mi sarei potuta dire soddisfatta.

Avevamo un conto aperto noi due, che lo sapesse oppure no: lei, l’assassina di mia figlia e della mia famiglia. Mia sorella di sangue. Puro.

Pensavo quello e guardavo il mio Teddy.

Il piccolo assomigliava in tutto e per tutto alla mamma. Era ed è un Metamorfomagus, ce ne siamo accorti poco dopo la sua nascita, quando per le prime volte ha iniziato involontariamente a cambiare il colore dei capelli, quei pochi che aveva.

Ormai avevo compreso quali fossero i colori che prediligeva. Molto raramente essi prendevano una colorazione cupa, scura. Mentre nella maggior parte dei casi assumevano un colore azzurro intenso, molto simile al colore del mare, omogeneo e rassicurante.

Qualche volta, quel colore tendeva a diventare più chiaro, con sfumature più velate, quasi celesti, come il colore del cielo.

Mai ho visto i capelli di Teddy diventare rossi, o prendere qualsiasi tonalità di quel tipo. Pareva quasi infastidito, o estraneo al rosso. Anche quando, nei mesi più freddi, lo avvicinavo al fuoco per tenerlo con me e cullarlo, nei giorni in cui Dora me lo affidava, mai ha mostrato un interesse di qualsiasi genere per quel fenomeno che emanava calore.

Non saprei dire nemmeno a me stessa il motivo, ma questo di lui mi piaceva tanto.

Speravo mio nipote diventasse uno spirito libero, come il colore dei suoi capelli, come me, quando ho seguito i miei sogni e il mio amore.

Anche se, quando mi guardavo indietro, notavo solo che questo mio spirito libero ha portato guai a me e ai miei cari: dolore, distruzione e morte. Col senno di poi, mi domandavo sempre se non avessi fatto meglio a tenere chi amavo lontano da me.

Sarebbe vivo, oggi. Forse.

Speravo vivamente che per il piccolo Teddy non valesse la stessa maledizione che colpiva chiunque io amassi. Perché io amavo molto mio nipote e non volevo soffrisse o morisse come era successo a tutti gli altri.

Speravo fosse finita. Che il dolore per lui fosse finito.

Lo speravo sì, ma non potevo evitare di avere un brutto presentimento.

 

 

Dove fa più male: Lord Voldemort

“Mi hai procurato il libro di cui avevo bisogno, Bella?” ho domandato nell’ombra, sentendola giungere silenziosa alle mie spalle.

Per diverso tempo mi ero domandato perché l’avessi voluta con me. Prendendola via con forza e strappandola ad una morte quasi certa. Esattamente come avevo fatto un’altra volta, quella notte al ministero.

La notte in cui è iniziato tutto.

Mi domandavo per quale motivo avevo preso questa decisione improvvisa e istintiva, confermando la mia scelta di qualche anno fa, anzi, rafforzandola ancora di più.

Io volevo stare da solo a vita, invece avevo preso lei con me. Proprio in quel momento critico.

“Sì, certo, mio Signore. Ho preso quello che mi avevate richiesto e non ho lasciato tracce. Tutto secondo il vostro volere.”

Ho sorriso compiaciuto, ma sempre senza voltarmi. Ecco perché l’avevo presa con me: è un validissimo aiuto, una strega troppo dotata e fedele per lasciarla morire inutilmente.

Sorridendo tra me e me, mi sono voltato lentamente, e quando finalmente l’ho onorata del mio sguardo, l’ho vista emettere un sospiro tanto profondo, tanto adorante alla mia vista, che ho pensato fosse troppo bella e totalmente mia, di mio solo ed unico possesso, per abbandonarla ad una morte tanto inutile quanto indegna.

Sempre che qualcuno fosse riuscito ad ucciderla, lei, la mia strega.

“Bene” ho risposto frddo “mi aspettavo solo questo da te. Sei certa di non aver lasciato indizi? Ogni incanto compiuto con la magia oscura lascia un segno, lo sai bene questo, vero?” ho ribadito. Dovevo assicurarmi che nessuno potesse scoprire qualcosa della nostra presenza qui, del il nostro nascondiglio.

Non ci dovevano essere sospetti su nulla che mi riguardasse, prima del momento in cui io fossi stato pronto per tornare.

E trionfare.

Ma la risposta è stata inaspettata.

“Nessuno si accorgerà della mia magia, mio Signore.” mi ha detto un po’ incerta e timorosa, in un modo assolutamente inusuale per lei.

L’ho guardata corrucciato, cupo, allora mi ha risposto più diretta.

“L’uomo, poco dopo averlo colpito e ucciso per avere ciò che cercavo, è arso vivo.”

L’ho guardata stupito, così ha continuato “Forse ha preso fuoco un lembo della veste … non saprei, c’erano diverse candele intorno, ma trovo sia stato molto meglio così, mio Signore … non abbiamo bisogno di pensarci più.”

Mentre parlava, la guardavo fissamente, ci guardavamo fissamente.

Sapevamo entrambi, ormai, che era lui. Proprio lui. Anche Bella lo sapeva.

Era un tacito accordo, il nostro, di non entrare in argomento. Era disturbante, fastidioso parlare di lui.

Io sapevo che, prendendo con me lei, là, nella foresta, avrei portato con me anche lui.

L’altro erede.

Dovevo essere io l’unico, l’unico potente, l’unico esistente, il più grande. Avrei dovuto eliminare l’altro, subito, immediatamente, come persino Bellatrix mi aveva più volte chiesto di fare.

Invece ho deciso di attendere. Aspettare ancora. E questo mi disturba, e ancora di più mi disturba Bella, che ogni volta mi guarda, chiedendomi tacitamente di fare qualcosa, ad ucciderlo, senza che io mi decida a fare nulla.

Nulla.

Volevo attendere e avrei fatto a modo mio, come è sempre successo.

Solo per sapere, solo per capire. Solo ed unicamente per questo.

Non comprendevo la sua magia, non poteva avere una sua mente pensante, sarebbe stato impossibile, né tanto meno poteva avere una magia che agiva indipendente da tutto.

Mi sfuggiva qualcosa.

Lei, Bellatrix, credeva che io lo volessi, quel maledetto erede. Lo vedevo dal suo sguardo ogni volta che c‘era di mezzo l‘erede.

Non sopportavo quello sguardo.

“Zitta” le ho detto quindi in quel momento, anche se non aveva nemmeno aperto bocca. “Zitta” le ho ripetuto afferrandola per i capelli lunghi, neri, che sapevano di vento freddo. E l’ho avvicinata a me, di nuovo, ancora una volta.

Con violenza, con rabbia, posandole i denti sul collo. Avrei voluto lacerare i lembi di pelle, sentirla urlare dal dolore.

Per non farmi più guardare così. Come se credesse io volessi davvero quel maledetto erede.

E ben presto mi sono accorto che era ciò che stavo facendo: distruggerle la pelle del collo, delle spalle, del seno, sentire le sue urla di dolore, che inesorabilmente erano permeate di un piacere smisurato. Vedevo la pelle arrossarsi istantaneamente vicino ai miei occhi e sotto ai miei denti.

E poi lei, ansimando e gemendo, era lei che si spogliava davanti a me. Come se rispondesse istantaneamente ai miei comandi.

Frenetica, estasiata, stringendo i denti per non urlare troppo. Sentiva male e mi rendeva felice il fatto di percepirlo tanto vistosamente.

E vedere quanto, nonostante il male, anzi, forse proprio anche grazie a quello, mi desiderasse e anelasse me. Il suo Signore.

Non appena ha terminato di strapparsi i vestiti di dosso, ho smesso di arrecarle dolore sulla pelle, per potergliene arrecare immediatamente più in profondità, dentro la carne.

Dove fa più male.

E ancora, e ancora, e ancora, senza sosta.

Senza darle respiro.

Non deve pensare, mai, che io desideri davvero quell’erede.

 

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Note:

E col finire della settimana, aggiorno anche l’ultima ff!

Scusate il capitolo “doppio” forse un po’ confusionario, ma mancava la presentazione degli altri due personaggi della storia. Si tratta appunto di una presentazione, non succede poi molto, ma i tratti dei personaggi sono presenti e anche i problemi emotivi del Signore Oscuro si fanno sentire. Mentre Andromeda comparirà poco per il momento e di più in seguito, per il Signore Oscuro vale l’opposto, per cui lo rivedrete presto.

Un particolare importante proprio su Andromeda: nel fandom è spesso descritta come dolce e remissiva, amorevole e spontanea. Qui sarà in parte diversa, l’avrete notato dal fatto che odia la sorella e desidera vederla morta.

Ultima nota: anche per questa storia sto pensando al rating rosso. Per ora ancora non ho variato, nonostante le ultime immagini possano sembrare più “focose” del solito, non mi parevano da un rating tanto elevato. Se notate che possa essere già eccessivo, mi fareste un grande favore avvisandomi (io sono spregiudicata, e non mi accorgo mai di ledere la sensibilità altrui!)

Grazie di tutte le letture e i commenti sempre graditissimi!

Buon fine settimana

Circe

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Capitolo 8
*** Serpentese ***


Serpentese

Lui mi stava aspettando da qualche istante. Quando sono entrata nella stanza, era voltato verso la finestra e guardava lontano, con aria cupa e dura. Era l’espressione che assumeva ogni qual volta decideva di agire risolutamente.

“Ditemi mio Signore.” ho sussurrato avvicinandomi a lui “Il nuovo elfo mi ha detto che volevate parlarmi.”

Rhettler è l’elfo che si era procurato il mio Signore in persona, stanco dei miei continui sbalzi d’umore, aveva provveduto a catturare un servo e ad impormi di non ucciderlo per nessun motivo senza prima aver ottenuto la sua approvazione. Cercavo di mantenere la parola, ma non era facile per me non sfogare le mie sensazioni, i miei malumori, e i miei malesseri, sull’elfo domestico. E non avevo nessuno su cui farlo data la desolazione di quel luogo e dato il fatto che dovevamo mantenere un’assoluta segretezza.

Per questo, forse, avevo iniziato a sentirmi strana.

Avevo iniziato a percepire sensazioni completamente estranee alla mia persona: a volte mi sorprendevo a desiderare che, quella vita tanto particolare, non finisse poi così presto, che il mio Signore non decidesse di combattere Potter alla prima occasione possibile, al primo piano plausibile.

Mi trovavo a valutare i lati positivi di quella condizione, alla possibilità di stargli sempre vicina, lontana da tutti, solo io e lui.

Parlargli, ascoltarlo quando, raramente, mi rendeva parte dei suoi pensieri e progetti, condividere con lui le nottate, così lunghe e appassionate e guardare a fianco a lui il fuoco, sentendomi scaldare ogni singola cellula del corpo, ogni stilla di energia magica che scalpitava nel mio essere.

Era bello.

Poi però, questi pensieri scomparivano, ad ondate, lasciando il posto al bisogno di sentire di nuovo nelle mie vene l’adrenalina della guerra, dei duelli, il piacere fisico che scaturiva ogni qualvolta utilizzavo la magia oscura più potente, l’ebbrezza del potere, la sensazione di onnipotenza che provavo nell’esercitarlo su chiunque. Mi mancavano tutte queste sensazioni, la spavalderia delle notti a Nocturne Alley, gli attacchi compiuti insieme agli altri Mangiamorte, gli sguardi terrorizzati e ammirati dei passanti che incrociavo per le strade.

Mi sentivo confusa, non mi ero mai sentita così prima di allora, forse perché non avevo mai vissuto in quel modo, a fianco del mio Signore.

Quando si è voltato per parlarmi, ognuna di quelle sensazioni è tornata prepotentemente a fare da padrone nel mio inconscio.

“Ho trovato il modo, Bella. Ora so come sconfiggere Potter. O meglio, so come ottenere una bacchetta potente, ma indipendente dalla sua.”

Mi sono veramente animata a quelle parole, desideravo di nuovo ardentemente che sconfiggesse quell’onnipresente bimbetto, non potevo più sopportare di convivere con l’angoscia, nel mio animo, di vedere il mio Signore un’altra volta in difficoltà a causa di quel ragazzino.

Non avrei sopportato di perderlo ancora, non volevo più provare quel dolore, a quale, non so nemmeno io come sia riuscita a sopravvivere e a reagire.

Mi sono avvicinata speranzosa, quasi le mie mani toccavano il suo braccio, e le sue mani. Quasi, perché non osavo farlo davvero.

Ma sentivo la sua forza, il suo ardore anche da quella poca distanza. Percepivo lui, la sua essenza, il suo profumo.

Più mi avvicinavo, più il fuoco nel camino si ergeva alto.

Eravamo entrambi di fronte alla finestra in quel momento, ma, alle nostre spalle, era palese la fiamma prodigiosa, la luce che ne derivava cresceva rapidamente, come se seguisse il battito del mio cuore ogni volta che ero vicina al mio Signore. Le nostre ombre sulla finestra erano più oscure che mai, a causa del contrasto. Fuori il buio imperava.

L’atmosfera era strana, ma perfetta. Mi sentivo, per la prima volta in vita mia, a casa.

“Parlatemene, vi prego, mio Signore.” ho sussurrato spostandomi di fronte a lui, per guardarlo negli occhi e perdermi ancora un po’ nella sua espressione e nel suono freddo della sua voce, tanto tagliente da essere dolorosa.

Ha incrociato il mio sguardo, mantenendo la testa alta, il distacco del corpo in quell’istante era palese, ma mi pareva di scorgere un legame fra i nostri occhi.

Poi ha parlato attraendo tutta la mia attenzione.

“Sono venuto a conoscenza di un’altra leggenda, quella della fenice nera. Quella dal piumaggio macchiato di nero dai Babbani, dai loro orribili intrugli. Colei che è vissuta, rinascendo dalle proprie ceneri, mantenendo un piumaggio nero, per non dimenticare l’onta. Per vendicare il dolore e l’avvelenamento subito da quegli sporchi esseri inferiori, noncuranti. Tu conosci questa leggenda magica?”

Ero estasiata dalle sue parole, non avevo mai sentito parlare di nulla di simile, ma avevo già capito ogni suo intento e sapevo che avremmo potuto farcela. Ce l’avremmo fatta perché la fenice nera era come lui. il mio Signore si sentiva, in parte, come quell’animale.

L’avevo capito da quando sentivo l’erede dentro di me, sentivo le sue sensazioni e le sue emozioni. La vergogna di portare sangue babbano nelle vene, quel segno che sarebbe restato per sempre. Non ne avrei mai parlato con lui, odiavo saperlo, avrei preferito non avesse dovuto portare questo segno, ma io lo amavo … e lo adoravo. Null’altro aveva realmente importanza.

“No mio Signore, mai, ma la trovo una storia affascinante, io credo che abbiate assolutamente ragione: è questa la soluzione. Permettetemi di aiutarvi, vi prego.”

Alle mie parole ha accennato un sorriso soddisfatto “Bene, Bella, mentre io troverò la fenice nera, dunque, tu troverai il modo di creare la bacchetta in segreto, come ti ho detto, senza l’aiuto di nessuno. In seguito, la creerai per me.”

Non aspettavo altro. Ero di nuovo pronta ad agire, creare, fare magie.

Trasportata da quella sensazione, senza nemmeno pensare molto a ciò che stavo chiedendo, ho domandato “Mio Signore, dunque credo sia giunto il momento di liberarci del problema. Ormai è ora di ricominciare a fare, combattere, muoverci. L’avevate detto voi stesso, ricordate?”

Sono bastati pochi istanti di silenzio per capire che non avrei dovuto osare.

Nei suoi occhi ho visto nascere una rabbia profonda ed incontrollata, una rabbia espressa con una forza che mi ha stupita e spaventata nello stesso istante. Quella stessa forza che mi ha afferrato per le braccia istantaneamente, sbattendomi poi sul divano vicino.

Non l’avevo mai sentito urlare veramente, la sua rabbia è sempre stata più o meno controllata, almeno in mia presenza.

“Lo vuoi davvero eliminare subito, non lo sopporti più, ti dà veramente tanto fastidio?” ha domandato con una voce terribile, che mi ha fatto soltanto ammutolire.

Non potevo né annuire né scuotere la testa e la sua presa sulle mie braccia diventava ogni istante più forte, più crudele e vendicativa.

“Bene dunque, facciamolo ora.” ha aggiunto, afferrando con le sue stesse mani i lembi della mia veste e strappandoli con forza e decisione all’altezza del ventre.

Guardava quel punto come se volesse trapassarmi la carne con la sola forza dello sguardo, come se volesse distruggermi e distruggere l’erede con l’energia del suo pensiero.

Tremavo sul serio, ma volevo che mi togliesse quel peso, quell’essere estraneo che mai ho desiderato e che invece si era avvinghiato al mio corpo con tutte le sue forze.

Poi è successo qualcosa.

L’ha fatto di nuovo.

È successo tutto nel giro di pochi attimi.

Gli ha parlato ancora, solo un sibilo, ma sapevo che l’erede lo sentiva, lui lo capiva, loro erano uguali, si scambiavano segnali.

Sentivo però, in quello stesso istante, la sua magia fluire dentro me, penetrante e devastante.

“Fermatevi, mio Signore, vi prego.” ho urlato disperata. Non sapevo nemmeno perché avevo cambiato idea tanto velocemente, non volevo più che uccidesse l’erede così in fretta, senza pensarci.

In maniera del tutto sconsiderata, gli ho fermato le mani che stava posizionando sul mio ventre, gliele ho toccate entrambe, con forza.

Mentre insistevo pregandolo di fermarsi, mi ha strattonata con grande violenza, liberandosi dalla mia oltraggiosa stretta.

“Cosa succede ora?” ha chiesto infuriato.

Lo guardavo dritto negli occhi, non capivo più nulla, non capivo come fosse stato possibile che mi fossi permessa di pretendere qualcosa da lui, andare contro il suo volere anche se non lo aveva palesato, so bene comprendere ciò che desidera e ciò che lo disturba, l‘ho sempre fatto, senza bisogno che dicesse nulla. E in quel momento invece? In quel momento non capivo che strana piega stesse prendendo il nostro rapporto. Lui così strano, io tanto cambiata.

Sapevo che lui lo voleva, ma non sapevo più cosa io desiderassi davvero.

“Non uccidetelo, non liberiamocene ora, aspettate, vi prego, ho sbagliato alcune valutazioni … vi prego, vi chiedo scusa.”

Il silenzio è calato tra noi, il fuoco che prima fiammeggiava potente nel camino, si era quasi spento in pochi istanti, solo qualche fiammella tremolava fra la legna.

“Comprende il serpentese, non lo avevi capito? È l‘erede di Slyherin, è ovvio, questo forse cambia la situazione?” mi ha detto alzandosi in tutta la sua altezza, lasciandomi stravolta e sola sul divano.

Non ho potuto rispondere la verità, non ho potuto rispondere che quello l’avevo capito, ma che non avevo ancora capito il significato vero di quel particolare.

Almeno fino a quel momento.

Solo in quell’istante, ho avuto una sorta di folgorazione, ho intuito all’improvviso come fossero legati.

Di come fossero padre e figlio.

Non sapevo più che dire e come comportarmi, ero totalmente disperata per essermi comportata così male nei confronti del mio Signore, di aver agito in modo da contrariarlo, farlo soffrire, indisporre. Io, che dovrei essere la più fedele di tutti.

E non osavo nemmeno prendere in considerazione il fatto che tenessi a quell’essere che era entrato nella nostra vita come un fulmine devastante.

Come ogni volta che mi trovavo nei guai con lui, lacrime copiose e salate mi sono sgorgate dagli occhi, non sapevo più come trattenermi. Sapevo solo ripetere “Mi dispiace.”

Mentre ancora lui era alto davanti a me, ha pronunciato un’altra frase in quella lingua, ovviamente a me incomprensibile, per poi allontanarsi lentamente, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.

Ho continuato a piangere per un po’, sfiorandomi il ventre con una mano. Per la prima volta da quando c’è l’erede, non l’ho graffiato con le unghie, solo toccato.

Avevo freddo: i brividi mi percorrevano tutto il corpo, era strano in quella stagione tutto quel freddo, forse si trattava più del dolore, della paura di aver tradito il mio Signore.

Pensare alla bacchetta, alla battaglia, alla vittoria, in quel momento non mi aiutava per nulla, dovevo davvero fare i conti coi miei sentimenti e coi miei desideri più profondi.

Mi domandavo se anche lui pensava questo, se anche lui si trovava in difficoltà davanti all’erede e davanti ad ogni singola emozione.

Mi mancava la sicurezza, il potere che traevo dal mio Signore un tempo, quando riuscivo semplicemente a convincermi di adorarlo, senza pensare di amarlo, senza condividere con lui dolori e problemi.

In quel momento tutto era diverso, tutto era cambiato.

Tutto era più difficile.

Ho guardato il fuoco vicino a me, quel fuoco che di solito mi dava una forza dirompente, ma in quel momento, notavo solo braci che, lentamente, stavano finendo per spegnersi.

E non riuscivo a trarne la benché minima forza.

 

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Note:

Finalmente ce l’ho fatta ad aggiornare anche questa storia.

Ho scritto il capitolo di getto, cercando di porre l’attenzione su un paio di punti (non so se ci sono riuscita): Bellatrix sta cominciando a vivere l’amore, anziché la semplice adorazione e incontra parecchie difficoltà, come normale che sia. Vero che una relazione reale e non di fantasia l’aveva già vissuta con Rod, che era suo marito, ma con il Signore Oscuro è molto diverso, sia per il tipo che è lui, sia per le condizioni di vita in cui lui vuole restare e che lei è abituata ad accettare.

Mentre lui, come sempre nella mia visione delle cose, sente qualcosa, ma è ben lungi da ammettere che, un certo interesse per il piccolo c’è, e preferisce ucciderlo piuttosto che ammetterlo.

Continuano dunque i dubbi e ripensamenti da parte di entrambi.

L’elfo, che probabilmente avrà la sua importanza in futuro, ma soltanto in un’occasione, si chiama in quel modo in onore di Rhett Butler, cioè il protagonista maschile di “Via col vento” libro e film che amo incondizionatamente sopra ogni cosa (o quasi). E non verrà ucciso da Bella per sfogare gli ormoni della gravidanza (e così Julia non soffrirà più, tutto merito di Regulus!).

La storia della fenice nera è assolutamente inventata, contrariamente a quanto faccio di solito, non ho preso la leggenda da nessuna parte. Sto semplicemente studiando un argomento che descrive la condizione degli uccelli bloccati nelle chiazze di petrolio durante i disastri ecologici (non sono impazzita, è un argomento del mio master) e mi è venuta fuori questa idea assurda per la storia.

Direi che ho detto tutto! Scusate se mi sono dilungata.

Risponderò alle recensioni sullo scorso capitolo entro pochi giorni, mi spiace per il ritardo, ma sono impelagata fra studio e lavoro.

Grazie a tutte per le recensioni e il per il supporto sempre molto gradito!!

Circe

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Capitolo 9
*** Uroboro ***


Uroboro

Di notte uscivo spesso, finalmente iniziava a far caldo anche nelle ore più tarde della notte e adoravo restare fuori nel buio, insieme agli animali notturni.

Erano le sere in cui andavo in cerca di informazioni sulle bacchette magiche, su come costruirle, su come trovare il legno adatto e permearlo di magia, energia e potenza.

Doveva essere una bacchetta magica perfetta, era per il mio Signore …

Erano le notti in cui facevo incursione nei villaggi, nelle bettole, nei negozi più oscuri e nascosti. Cercavo libri, pergamene, disegni e appunti di ogni genere sull’argomento.

Non potevo né volevo commettere né il minimo errore, né la più stupida leggerezza.

Indossavo sempre un mantello nero, lungo fino a terra, solo i miei capelli lunghi uscivano leggermente dalla stoffa oscura, e le scarpe facevano quel rumore tipico del mio incedere sul selciato della strada, o sul legno dei pavimenti dei locali sgangherati. Portavo sempre il cappuccio alzato e non mi lasciavo avvicinare da nessuno.

Nessuno doveva sospettare, nessuno doveva riconoscermi.

Se capitava qualche situazione imprevista, ero fulminea nella mia decisione.

Un istante e l’incauto avventore stramazzava a terra fulminato dall’anatema che uccide.

E il silenzio e la notte regnavano sovrani.

A volte non era facile sguainare la bacchetta senza che nessuno attorno vedesse qualcosa. Allora capitavano strani avvenimenti.

Improvvisi ed inspiegabili ai più, che colpivano sempre nel segno, sempre quel malcapitato che mi creava problemi.

Braci ormai spente che lanciavano lingue di fuoco, fiammate fin troppo esagerate che prendevano vita da semplici candele, lanterne che improvvisamente creavano esplosioni inaspettate.

Ognuno di questi piccoli incidenti era mortale.

Mi capitava, ogni tanto, di essere orgogliosa di questi fenomeni.

Sapevo chi li provocava.

Atre volte invece, tornando a casa … o meglio, verso la torre dove avevamo preso momentanea dimora, guardavo la luce della luna penetrare fra i rami degli alberi e i rovi degli arbusti che scansavo lestamente.

A lui non piaceva la luce della luna. Ogni volta che mi soffermavo su di essa, forti vertigini mi coglievano quasi all’improvviso.

Poi arrivavano qualche brivido e il sudore freddo, la stanchezza, la debolezza.

Non amava la luce. Cercava l’oscurità e il fuoco.

Solo quello.

Aveva le idee chiare già allora.

È stato proprio in uno di quei momenti di stanchezza e quasi sconforto per l’ennesimo buco nell’acqua, che ho incontrato uno strano essere.

Appoggiata al tronco di un albero, cercavo il coraggio di tornare dal mio Signore per dire che dovevo continuare con le ricerche, perché non ero soddisfatta di alcune informazioni sul tipo di taglio da dare al ramo che ci avrebbe dovuto concedere il legno per la bacchetta.

Sapevo di non dover temere la sua ira, nemmeno da parte sua c’erano molte notizie: non era ancora stato in grado di capire gli spostamenti della fenice nera. Ugualmente, avevo imparato già da troppo tempo che il mio Signore non deve mai essere deluso per nessun motivo, che sa essere terribile e lunatico in quei casi, soprattutto quando ha dei pensieri per la testa.

Di pensieri, in quei momenti, ne aveva fin troppi. E aveva un grande problema, quello in comune con me.

Restavo lì appoggiata e speravo di tornare da lui, di avere da lui un’accoglienza speciale. Mentre mi decidevo ad incamminarmi verso la radura che circondava la torre, un rumore strisciante tra i rovi e l’erba sul terreno ha messo in allerta i miei sensi e ho trattenuto il respiro per sentire meglio.

Era strano, nessuno si era mai avvicinato a quel luogo, e nessuno avrebbe mai dovuto avvicinarsi.

Lentamente e silenziosamente, ho afferrato la bacchetta da sotto la veste, senza però estrarla.

Poi silenzio.

Sapevo di non sbagliare, c’era qualcosa, o qualcuno. Ho dovuto muovermi per prima, per farlo venire allo scoperto: ho estratto la bacchetta sussurrando “Lumos.” e una luce ha illuminato due occhi gialli con piccole pupille allungate e strettissime.

Se non fossi abituata ad amare … ad adorare incondizionatamente pupille di quello stesso identico tipo, credo mi sarei spaventata persino io.

Invece ho osservato meglio quei due occhi che mi puntavano dal basso: un serpente.

Non Nagini. Un serpente molto più piccolo, più bello e delicato, ma con sguardo deciso, come sprezzantemente diabolico, con un paio di ali lunghe e arcuate, di un rosso chiaro, quasi giallo, che spuntavano dalle scaglie del dorso.

Ne avevo sentito solamente parlare più volte, non ne avevo mai visto davvero uno, pensavo fossero leggende, invece avevo davanti un vero e proprio serpente alato, che mi guardava fissamente e sibilava minaccioso.

Eppure non avevo paura.

Anzi, mi faceva quasi sorridere quel piccolo serpentello che già provava ad aggredire con tale spregiudicatezza.

Ho abbassato la bacchetta, il buio è tornato a diffondersi completamente attorno a me e alla creatura, ci ascoltavamo reciprocamente sibilare e respirare.

Dopo poco, mi sono avviata di nuovo verso la torre, ascoltando per assicurarmi che mi seguisse, sapevo sarebbe venuto con me, per qualche motivo mi sentivo più sicura ad ogni passo: il mio ritorno a casa sarebbe stato davvero diverso, in quel momento ne ero certa, il mio Signore non si sarebbe arrabbiato con me quella sera.

Avremmo avuto altro a cui pensare.

“Mio Signore, scusate se vi disturbo, credo ci sia una novità.” ho esordito appena giunta in sua presenza.

La stanza era più buia del solito in quegli ultimi giorni: il tepore quasi estivo infatti, era tale da farci spegnere il fuoco, mantenendo accesi solo pochi lumi.

In quell’atmosfera così cupa e oscura, non so come, riuscivamo comunque a vederci perfettamente l’un l’altra, il mio Signore ed io, sempre, come mai prima di allora.

Scorgevo perfettamente i suoi occhi, il suo viso, il suo sguardo … e percepivo il suo corpo freddo e potente ogni volta che si avvicinava al mio.

Questa sensazione così forte, scatenava in me prepotenti brividi di piacere e crescente eccitazione, avevo come il sentore di non potermi mai più allontanare da lui, dal momento che mi era entrato dentro così prepotentemente, e non solo emotivamente, ma anche carnalmente.

“Quale novità?” ha mormorato voltandosi piegando la testa leggermente di lato, prendendo a guardarmi fissamente, come fa sempre quando è curioso, quando studia le persone per capire che fare di loro.

Ho voltato la testa indicandogli silenziosamente e lentamente la direzione da cui sapevo essere giunto anche il serpente alato.

Era guardingo quell’animale, e restava nell’ombra, lontano da noi.

Dallo sguardo del mio Signore però, ho capito che anche lui si era accorto della presenza di quell’animale, era un’espressione di sorpresa, ma allo stesso momento rivelava un ghigno di puro orgoglio e bramosia che andava stagliandosi sul suo volto.

“Mi ha seguito dal bosco fino a qui, credo voi potreste parlargli, capire …”

Mi sono interrotta tentennando, ho lanciato uno sguardo eloquente al mio Signore: era bello potermi capire al volo proprio con lui, anche semplicemente con uno sguardo.

Lui che aveva sempre erto un muro di ghiaccio fra noi due.

“Anche se, credo di aver capito, sia suo … il suo animale magico.” ho aggiunto dato che il Signore Oscuro restava zitto.

Sapevo che era l’animale magico dell’erede. Come Nagini lo era per il mio padrone.

Il serpente alato ci aveva trovati e seguiti per restare vicino all’erede, ed era un serpente anche lui ovviamente, come Nagini, perché Sgath sarebbe diventato l’altro erede di Slytherin.

Non sapevo però perché così presto si fosse palesato a noi, e che utilità avrebbe potuto portare.

Mentre pensavo ciò, ho sentito di nuovo il sibilo forte di quella lingua sconosciuta, scambi di battute fra il piccolo serpente e il Signore Oscuro, sempre lontani l‘uno dall‘altro, ma in contatto. Mi affascinava così tanto sentirlo parlare in quel modo, che ogni altro mio pensiero è stato messo subito da parte, e la mia attenzione si è subito spostata unicamente su di lui.

Senza nemmeno accorgermene, mi sono avvicinata.

Lentamente, assaporando il buio e il suo odore, assaporando il suono della sua voce, la crudeltà di quei suoni.

Lo volevo immensamente.

Non avevo mai osato desiderarlo in maniera tanto esplicita, avvicinandomi e muovendomi in quel modo così pretenzioso.

Quando gli sono stata così vicina da sfiorarlo con tutto il corpo, deve aver sentito il mio desiderio tanto straripante, e ha reagito subito ad esso. Ha posato il suo sguardo su di me, cercando i miei occhi.

“Sì è il suo animale magico.” ha detto guardandomi fissamente, per poi prendermi con violenza i fianchi e strattonandomi forte verso di sé.

“Cosa è venuto a fare qui ora, mio Signore?” ho domandato ansimando sempre più palesemente, mentre lui lentamente e malamente, mi toglieva i vestiti.

Aveva già iniziato a mordermi il seno, come gli piace tanto fare, quando, improvvisamente, ha alzato lo sguardo di nuovo verso il mio viso. I suoi occhi erano così vicini a me che per la prima volta ho avuto una forte sensazione di inquietudine guardandoli, inquietudine mista a paura, come se le sue pupille sottili mi ferissero dentro l’anima: un brivido che mi ha fatto sentire le vertigini per diversi istanti. Un brivido di doloroso intensissimo piacere.

Attendevo che si muovesse, o mi parlasse, inebetita da quel momento di assoluta passione sconvolgente.

“È venuto per stare con l’erede, semplicemente. E vicino all’erede resterà, uccideremo anche lui quando uccideremo l’erede.”

Quella frase tagliente non mi ha affatto sorpresa. Se ora io propendevo per non liberarci dell’erede, almeno per il momento, lui era convintissimo di farlo, ma, stranamente, ne parlava sempre al futuro.

Tutta quella confusione tra noi, quelle parole di morte, quel sentore di odio e rancore, mi hanno eccitata oltre misura. Gli ho porto di nuovo il seno, perché continuasse a morderlo come prima, anzi, più di prima.

Non mi importava se ero irrispettosa nei suoi confronti, se domandavo invece di prendere ordini, non riuscivo a fermarmi già da tanto tempo ormai e lui, inspiegabilmente, mi assecondava.

Sempre più spesso.

Quella notte si scorgeva solo una falce di luna che faceva entrare poca luce dalla finestra, e una fresca brezza mi accarezzava la pelle arrossata dai morsi e dalle prese feroci.

L’erede restava buono: attorno a noi, l’oscurità era sufficiente per farlo star quieto dentro di me, lasciava sempre, avevo notato, che mi prendessi tutto il piacere che il mio Signore sapeva darmi in quei momenti di unione.

A volte credevo che tutta questa passione fra noi lo rinforzasse, che il fuoco che c’era fra il mio Signore e me lo rinvigorisse sempre di più, volta dopo volta.

Quando le nostre urla si placavano, calando man mano di intensità dopo l’apice, il mio Signore non restava mai vicino a me, non lo sopportava più di pochi istanti.

Segretamente era uno dei miei desideri più grandi: restare accanto a lui, anche per poco, dopo quegli amplessi sfrenati.

Come era un mio desiderio dargli quel bacio … quello che non mi aveva mai concesso.

Nemmeno quella volta è restato vicino a me, ma, prima di allontanarsi, quando ancora eravamo semi sdraiati sul pavimento, ha sprecato qualche istante del suo tempo e mi ha lanciato l’ennesimo sguardo misterioso.

Era come se attendesse una mia reazione, qualche mia parola.

“Come lo chiameremo, mio Signore?” ho detto d’impulso, senza capire perché i miei pensieri, e forse anche i suoi, sempre più spesso finissero a quel maledetto erede e a ciò che lo riguardava..

“Uroboro” ha risposto immediatamente, come se ci pensasse già da tempo.

“Fino a che non li uccideremo entrambi, si chiamerà Uroboro.”

Dopo aver guardato il mio sorriso compiaciuto, è scomparso nell’ombra, lasciandomi sola nel buio.

Ho sospirato stancamente dopo averlo guardato andar via. Mi sentivo dolorante, come sempre, e beatamente esausta.

Mi sono lasciata cadere di nuovo sul pavimento, fra i miei vestiti abbandonati e spiegazzati e i miei capelli scompigliati.

Uroboro per quel serpente era perfetto, mi piaceva.

“Non gli ho nemmeno detto che l’erede si chiamerà Sgath.” ho poi sospirato silenziosamente, chiudendo gli occhi per alcuni istanti e riassaporando ancora una volta, il dolore lancinante che sentivo fra le membra.

Mi faceva sentire sua, sempre di più, sempre più a fondo, ogni singola volta che mi possedeva.

Sembrava quasi lo facesse sempre più volontariamente.

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Note:

Scusate se vi ho fatto aspettare.

Per un po’ di tempo ho riflettuto se eliminare anche questa storia (ho sfoltito parecchio le mie vecchie pubblicazioni ultimamente), ma alla fine ho deciso di portarla avanti, ecco perché del ritardo. Ho anche dovuto lavorare molto ultimamente e dare l’ennesimo esame, per cui diverse cose si sono sommate, ma ora eccomi qui.

Aggiungo qualcosa sul significato del nome del serpente Uroboro, anche lui avrà uno spazio più avanti nella storia (a breve a dire il vero).

Per il resto non devo dire altro sul capitolo, i due protagonisti sono ancora indietro con i piani per riaffrontare Harry, (per forza, dato che passano buona parte del loro tempo in altre occupazioni …), ma non tarderanno ancora per molto tempo.

Grazie a tutti per seguirmi e al prossimo aggiornamento.

Ecco qui la spiegazione del nome:

Uroboro è un simbolo antico che rappresenta un serpente che si morde la coda, ricreandosi continuamente e formando così un cerchio. Rappresenta la natura ciclica delle cose, la teoria di un continuo ritorno (quest’ultima caratteristica mi ricorda l‘Oscuro Signore).

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Capitolo 10
*** Il suo padrone ***


Il suo padrone: Lord Voldemort

Stavo inseguendo la fenice da settimane ormai, e la mia pazienza stava raggiungendo i limiti.

La leggenda diceva che sarebbe dovuta venire lei da me, doveva essere lei a capire che sarò io lo spietato e inesorabile assassino che distruggerà i Mezzosangue e, in seguito, i Babbani. Così che anche lei, la fenice nera dai poteri illimitati, potrà essere vendicata.

I maghi saranno, alla fine, gli unici padroni di questo mondo ormai contaminato dalla feccia, e sapranno ripulirlo, renderlo di nuovo permeato di magia. E fra loro, io sarò il mago più potente di tutti.

Quando la fenice si sarà postata, finalmente, sul mio braccio sinistro, solo il sinistro, e avrà alzato il suo becco in segno di orgoglio e sacrificio, potrò avere la mia piuma nera, strappandola direttamente dal suo manto e appropriarmene per la mia bacchetta magica.

Potter non avrà scampo allora: finalmente i nuclei delle nostre armi non saranno più esattamente gemelli, in più, io avrò i poteri diabolici e malvagi della fenice nera.

L’animale mistico e magico più potente e oscuro di tutti.

Sapevo che quel momento sarebbe arrivato, alla fine, e continuavo dunque a seguirla nei suoi voli, nei suoi viaggi apparentemente senza meta precisa.

Sui fiordi della Norvegia, sulle isole del nord della Scozia, in mezzo alle sconfinate brughiere e fra le radure mistiche dove sono ambientate le più antiche e potenti leggende magiche.

Spesso la vedevo volare davanti al disco lunare, dove il contrasto fra il suo manto nero e la luna lattea mi faceva letteralmente vibrare la carne e i muscoli di bramosia.

Tante volte ho provato il profondo istinto di balzarle addosso, attaccarla, ucciderla anche, e strapparle quella piuma che tanto desideravo, ma ero abbastanza intelligente da capire che non sarebbe servito a nulla, che la sua magia sarebbe svanita e avrei perso la possibilità di usufruirne.

Così attendevo.

Quei viaggi, quei momenti di solitudine totale, immerso nella più oscura magia, erano comunque i momenti migliori, i più interessanti. Quando tornavo al rifugio invece, comparivano alla mia vista svariati problemi.

Problemi che odiavo e avevo sempre odiato.

Invece mi perseguitavano da sempre, e sempre i soliti.

Sempre Bellatrix.

I suoi occhi erano diventati, negli ultimi tempi, ancora più infuocati, ancora più appassionati. Sembravano persino felici.

Lei era ogni giorno più desiderabile, vederla alle prese con oggetti magici, pozioni, alambicchi e legni di ogni genere, mi faceva tornare in mente i tempi in cui eravamo forti, potenti, i padroni incontrastati del mondo magico, ma non solo …

C’era qualcosa di fisico in lei, qualcosa di femminile e stregonesco, qualcosa che me la faceva desiderare, e per questo, detestare.

I suoi fianchi erano diventati più morbidi e flessuosi, il suo seno cresceva, anche se in maniera poco percepibile, probabilmente a causa dell’erede. La sua pelle era profumata più del solito, e sapeva adorare non solo col pensiero, come faceva prima di quei momenti, ma anche col corpo, coi suoi movimenti lenti e crudeli.

Poi c’era, appunto, l’erede.

Ogni volta che mi avvicinavo a Bella, per pura e semplice passione, godimento, per placare rabbia, frustrazione e attese, ecco che succedeva qualcosa attorno, l’atmosfera diventava calda, bruciante. Il fuoco reagiva a ogni mio singolo tocco sulla sua pelle.

L’erede, mi era chiarissimo, risentiva in maniera forte dei desideri di Bellatrix, delle sue emozioni, della sua passione.

Reagivano quasi all’unisono, acuendo i loro poteri del fuoco l’un con l’altra, forse grazie ai loro caratteri focosi.

Non mi restava che osservare gli atteggiamenti di questo erede.

Percepivo che si fortificava ogni volta che prendevo Bella, o quando lei si avvicinava a me, provocando una mia forte reazione.

S’indeboliva invece fortemente a ogni contrasto, anche il più piccolo, fra me e la mia strega.

Era straordinariamente potente, questo era chiaro, ma non percepivo fino a che punto.

Fisicamente, la sua presenza iniziava a notarsi già, anche se era appena percepibile. Quando osservavo Bella, nuda sotto di me, con quel modo di muoversi tanto seducente e peccaminoso, notavo il suo ventre non più così piatto, ma con un accenno di rotondità, e ricordavo la presenza incombente dell’erede.

M’infastidiva, come m’infastidiva quando lei mi guardava in quel modo che chiamava “adorazione“, ma che nascondeva ben altro, lo sapevo ormai.

“Tollererò,” mi dicevo silenziosamente “fino al momento in cui avrò bisogno di lei.”

“Solo fino a quel momento, questo è certo.”

Aveva notato anche lei quel fenomeno, l’erede che cresceva dentro di lei e, presumibilmente, le toglieva quella bellezza e quella libertà di cui sapevo essere tanto fiera e orgogliosa. Non le andava a genio.

Anzi non sopportava la situazione.

“Perché non mangi Bellatrix?” le ho domandato ghignando, a tavola soli per la cena, durante una serata buia e piovosa.

Ero rimasto alla torre quella notte, e lei con me: il tempo era contrario alle ricerche magiche di ogni genere.

Era una condizione strana, sembrava di essere tornati a villa Malfoy, ma di essere soli. La cena preparata dal nuovo elfo era finalmente decente e la vista di Bella che rinunciava al cibo mi era risultata subito molto strana.

Dopo la prigionia, non ha mai rinunciato nemmeno ad un piccolo pezzo di cibo, invece, già da un po’, notavo la sua renitenza.

Nell’attimo in cui mi sono domandato il perché, l’ho compreso automaticamente: non voleva ingrassare, non voleva la più piccola traccia d’inestetismo per continuare a piacere a me, il suo Signore.

E faceva bene. Non sopporto l’imperfezione.

Poi c’era dell’altro, restavo in silenzio e glielo leggevo nella mente: non le piacevano le tracce della gravidanza. Non era fatta per essere madre, era fatta per essere donna.

Strega.

La mia strega. Di mio esclusivo possesso.

E aveva ragione anche in questo.

Abbiamo fatto un grosso errore a non uccidere l’erede! Colpa sua, lei mi ha fermato quella volta, lei e solo lei, dovevo punirla.

“Allora, perché non mangi?” ho incalzato con più cattiveria di prima.

Tentennava, osservava incerta le pietanze esposte sul grande tavolo, non sapeva che dire, come esprimersi e spiegarsi. Io volevo invece che cedesse, che parlasse, che fosse lei, ancora una volta, a implorare di uccidere il problema.

Dato che non parlava, ho insistito crudelmente “Non vuoi che si noti, vero? È assolutamente inutile, lo sai? Si nota già, e presto sarà ancora peggio, non ti basterà non mangiare.”

Il suo sguardo muto, in seguito a quelle parole, è stato talmente eloquente che ho pensato non avesse più intenzione di mangiare per indebolire l’erede fino a farlo morire a causa della fame. Bellatrix ne sarebbe sicuramente stata capace.

A volte si comporta e appare lei stessa una bambina, piagnucolosa e spregiudicata allo stesso tempo.

“Non ho nessuna intenzione di accettare al mio fianco a combattere una smidollata senza forze, ti conviene non fare storie.” le ho intimato quasi contro la mia stessa volontà.

“Se non farai ciò che ti compete, sappilo, ucciderò te e l’erede in un colpo solo, non mi farò certo scrupoli in tal senso, vedi di valere per me un po’ più di quanto vale lui, o farete la stessa identica fine.”

Mi osservava mentre dicevo queste parole, con sguardo stranamente imperturbabile.

“Va bene, mio Signore.” ha detto, e, lentamente, ha iniziato a tagliare una bistecca cucinata al sangue, non smentendosi mai. Penso di non aver mai visto nessuno, uomo o donna, tanto famelico di sangue quanto quella strega.

Il silenzio regnava nella stanza semi buia.

“Mio Signore,” ha iniziato dopo poco “sono passati mesi da quando è successo.”

L’ho guardata in maniera interrogativa, interrompendola per avere spiegazioni, quindi ha aggiunto:

“Da quando è successo che mi avete punita, da quando mi avete presa in quel modo, e mi avete fatto concepire l’erede …”

Una furia inattesa persino a me stesso si è scatenata in me, alzandomi di scatto, guardandola dall’alto, le ho preso un braccio strattonandola fortemente, facendola alzare di peso dalla tavola e sollevandola fin vicino al mio volto.

Le facevo male, si vedeva, ma restava zitta, allora ho stretto più forte, trasferendo calore inumano, per magia, dalla mia mano verso la sua pelle.

Ha gridato leggermente, nonostante l’orgoglio che la frenava anche davanti a me, ma non ha alcuna possibilità di non soffrire se osa tanto, e tremava di paura, lo sentivo dai suoi muscoli stretti dalla mia mano.

“Io non ho certamente nessuna colpa, non osare. Di ciò che è successo, la responsabilità è solamente tua.”

“Non ho chiesto io di essere punita in quel modo.” ha risposto indisponente, con la voce rotta dal pianto.

Questo era troppo, si permetteva troppo, anche di rispondermi, di incolparmi della presenza dell’erede.

“Potrei punirti in modo ancora peggiore se solo lo volessi, lo sai. E ti assicuro che lo farò molto presto se continui a ribellarti a me, sciocca, sei semplicemente la mia serva, colei che è stata fedele più di chiunque. E se ti ho voluto con me, è solamente perche hai più capacità di altri.”

Mi guardava sofferente, con la tristezza che iniziava ad inondarle gli occhi e lo sguardo.

“Non metterti in testa altre assurdità.”

Ha annuito ancora una volta silenziosa, desolata.

I miei pensieri però erano ormai altri, volevo che si sentisse mia, in mio potere e in mio possesso, come si è sempre sentita.

Che non osasse mai più ribellarsi.

Ero pronto a scagliare su di lei la mia ira, ad umiliarla ancora una volta, come avevo fatto in precedenza. Era una questione di potere.

Dovevo sentirla sotto il mio volere, totalmente e completamente.

Era diventato un bisogno frequente, per me.

Le ho lasciato il braccio per afferrarle i fianchi, sulla pelle le era già comparso un livido vistoso ed eloquente, anelavo di lasciare segni ovunque, per questo la stretta sul ventre e sui fianchi è diventata, quasi da sola, di una prepotenza inaudita.

Inaspettatamente, pochissimi istanti dopo, mi ha guardato con malizia, sussurrandomi appena:

“Va bene la punizione dell’altra volta, mio Signore. Tutto ciò che desiderate. Io vi voglio sentire ancora in quel modo.”

Mi ha strappato un sorriso di soddisfazione, un ghigno di orgoglio verso me stesso, perché quella strega l’avevo praticamente creata io.

Riesce sempre ad essere la migliore, anche nei suoi spregiudicati gusti sessuali.

L’ho avuta come volevo, come lei desiderava.

Solo dopo ha osato parlare, solo in seguito a quei momenti di intenso e diabolico piacere, trattenendomi vicino a lei per diversi istanti.

“Mio Signore,” ha iniziato con voce intensa e sussurrante, quella voce stanca e straordinariamente soddisfatta, quel tono che la differenzia tanto da tutte le altre.

“Prima, mio Signore … volevo solamente dirvi che abbiamo aspettato già parecchi mesi ormai, ma che so già come si dovrebbe chiamare l’erede.”

Immediatamente mi sono allontanato da lei. Non avevo nessuna intenzione di perdere tempo in certe inutili assurdità.

Prima di lasciarla definitivamente nel buio della sala da pranzo però, ho afferrato una candela e l’ho avvicinata a lei.

I capelli scompigliati sul viso e sulle spalle nude, il trucco sbavato sugli occhi, le piccole lacerazioni sulla pelle … tutto la faceva sembrare ancora più diabolica e inquietante di quello che è solitamente.

Una strega davvero.

“Che nome?” ho domandato freddo mentre la osservavo.

“Sgá th.” ha risposto fremendo, guardandomi attentamente in attesa di un mio cenno.

“Oscurità?”

Ho spostato il mio sguardo nel suo, nel silenzio, e lei ha annuito lentamente.

Ancora silenzio.

Non m’importava, certo, non m’importava nulla, ugualmente ho fatto un cenno di assenso col capo, allontanandomi subito dopo. Come sempre.

Si meritava una gentilezza da parte mia, in fondo, ero sempre il suo Signore.

Il suo padrone. Me lo aveva dimostrato ancora una volta.

……………………………....................

 

Note:

Aggiornamento più veloce del solito, ma ultimamente sto scrivendo molto di questa ff, siamo quasi a metà della storia e presto ci saranno i capitoli centrali.

Non è tutto oro ciò che luccica, per cui i due potrebbero riservare scombussolamenti all’apparente condizione a cui sono giunti finora.

Credo che entro poco torneranno anche Andromeda e Teddy (dovevano comparire già qui ma poi mi sono dilungata sul Signore Oscuro …).

In questo capitolo ho fatto svariati riferimenti all’altra mia ff (ovviamente “Sgath che significa oscurità”) sul nome dell’erede e sulla modalità in cui è avvenuto il concepimento (questo è poi descritto sullo spin off “La sua migliore Mangiamorte”) ugualmente spero che la storia risulti chiara lo stesso, se c’è bisogno, chiedete pure, vi illuminerò io!

Ultima cosa: qui Bella e Voldie si rimpallano la responsabilità di avere generato l’erede … ho infatti pensato che, nonostante siano adulti, nonostante siano crudeli, il peso di un figlio indesiderato resti comunque. Quindi, mentre Voldie mai e poi mai prenderebbe in considerazione l’idea di essere responsabile (automaticamente lui ritiene responsabile lei, almeno apparentemente), Bella ritiene responsabile lui che, nell‘ira della punizione (ormai famosa), non ha certo lasciato spazio a discussioni e precauzioni (ricordo di aver letto che maghi e streghe compiono incantesimi di protezione per evitare concepimenti).

Mi pare di aver detto tutto! Come sempre ringrazio tanto chi commenta!! So che ci sono pochi commenti e che probabilmente la storia non piace particolarmente, o non piace quanto la prima ecc … l‘avevo messo in conto decidendo di continuarla!

Non avevo intenzione di cancellare questa per questo motivo (era più che altro un mio dubbio sul riuscire a terminarla), ormai comunque è tutto a posto, e la storia vedrà di certo una fine, come tutte le altre!

Per cui, come sempre, grazie ancora e alla prossima

Circe

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Capitolo 11
*** Aura di fuoco, aura di oscurità ***


Aura di fuoco, aura di oscurità: Bellatrix

Nei giorni più caldi dellestate, gli avvenimenti si sono susseguiti a un ritmo piuttosto frenetico.

Fuori, nei campi e nei prati, il sole batteva piuttosto forte, faceva caldo, mentre allinterno di quellantica torre, le spesse mura che ci circondavano, riparavano dai raggi potenti mantenendo fresco allinterno.

Uroboro si aggirava spesso fra le mura della torre, come nei boschi attorno.

Cresceva rapidamente, pur mantenendosi lo snello serpente con particolari doti scattanti che era, quando l‘avevo incontrato. Aveva scaglie sempre più splendenti e le ali leggermente più grandi, iniziava solo vagamente a prendere stretta confidenza con noi, ma si avvicinava spesso a me con palese interesse.

Le giornate sembravano scorrere lentamente, le nottate erano invece più lunghe, più impegnative ed esaltanti.

Aspettavo la notte di luna nuova del mese per tagliare il legno utile alla costruzione della nuova bacchetta, impiegavo tempo a cercare il legno di tasso nel punto del bosco più pregno di energia, e lalbero più imponente di tutti, doveva essere il prescelto.

Più linfa trasportavano le piante, infatti, più il loro legno era energicamente pregiato. Durante le perlustrazioni notturne, avevo raccolto una quantità straordinaria d’informazioni su come creare la bacchetta, sapevo avrei potuto fare concorrenza al migliore tra i maghi creatori di strumenti magici.

Volevo fare qualcosa di realmente perfetto per il mio Signore.

Poi c’erano le mattine e le giornate solitarie, tristi. Non amavo stare sola e inoperosa in quel luogo sperduto, senza fare nulla. Il Signore Oscuro era però spesso in viaggio, per avere la piuma di fenice nera ed io dovevo mantenere l’anonimato e non dare nell’occhio.

La mattina mi alzavo, mi pettinavo davanti allo specchio enorme che avevo tenuto allinterno delle camere private e mi vestivo.

Avevo sempre una gran fame, se ritardavo la colazione, o restavo nel letto troppo a lungo, crampi piuttosto forti mi tormentavano lo stomaco, e non potevo fare a meno di mangiare subito.

L’elfo mi portava la colazione a letto, come ai bei tempi. Sarebbe stato tutto perfetto, se non per la presenza quel problema che mi assillava.

Ogni giorno la cintura della mia veste diventava più fastidiosa, sono arrivata nel giro di poco tempo ad allentarla di diverso spazio, per quanto, al contrario, desiderassi stringerla in maniera sempre maggiore.

Non volevo si vedesse e non desideravo si notassero i miei fianchi più larghi e armoniosi. Per quanto un tempo ho odiato essere troppo magra dopo la prigionia, in quel momento non sopportavo tutta quell’armonia delle membra.

Mi osservavo spesso allo specchio, nell’ombra, e vedevo il mio sguardo mutare, una volta inquieto e un’altra cupo, spesso non capivo nemmeno io i sentimenti che provavo verso di lui.

L’erede.

La frenesia di quei giorni è iniziata così, una mattina, quando il mio Signore è comparso in silenzio nella mia stanza, alle mie spalle e ho intravisto la sua immagine nera riflessa nello specchio.

Osservava attentamente la mia espressione e lo stesso faceva per il mio ventre. Teneva la testa piegata leggermente di lato, com’era solito fare, poi ha alzato il mento, guardandomi dall’alto in basso, attraverso le nostre immagini riflesse nello specchio.

C’era silenzio mentre ci guardavamo reciprocamente.

“Ho bisogno che tu venga con me oggi. Desidero averti al mio fianco per l’inseguimento della fenice.”

Le sue parole mi hanno riempito di gioia, mentre ogni altro pensiero veniva spazzato via immediatamente. Sfiorava i miei capelli con le sue dita lunghe, faceva uno strano effetto quell’immagine allo specchio. Le sue dita bianche fra i miei capelli neri, i suoi movimenti forti e caparbi risplendevano attraverso quell’oggetto magico come un messaggio, come se dipingessero quanto gli appartenessi, quanto mi manipolasse come più desiderava, e quanto mi piaceva tutto ciò. Non solo, allo stesso tempo, pareva quasi non volesse allontanarsi da me, restava vicino, come legato da un campo magnetico, e ogni volta che ci trovavamo così legati, così vicini, era palese quanto il potere attorno a noi crescesse, come un’aura di fuoco.

Credo fosse ormai chiaro per entrambi: l’erede assumeva potere ogni volta che la nostra oscurità si fondeva.

Forse è stato proprio a causa di ciò che gli avvenimenti hanno preso una piega tanto inaspettata.

 

L’arrivo di Felpato: Andromeda

Da quando Lord Voldemort si è ritirato, l’atmosfera che si respira nel mondo magico è di totale dubbio e attesa. Tutti sappiamo che ritornerà e probabilmente lo farà presto, ma non sappiamo come e quando. È già scomparso una volta, per più di dieci anni, è sentore generale che questa volta non ci farà attendere tanto, e sarà la volta definitiva. La paura che serpeggiava nei suoi confronti è però diminuita, ormai siamo alla resa dei conti, nessuno ha ormai molto da perdere e tutti siamo pronti ad affrontare ciò che ci aspetta, per noi, per i nostri figli, per i nostri nipoti.

Le perdite sono state tante, da ambo le parti, e resta grande angoscia, risentimento e disperazione, ogni volta che si parla di lui, però, lo si fa col suo nome, Voldemort: basta nascondersi dietro al silenzio e alla paura.

L’atmosfera va da una cupa serpeggiante sensazione di attesa e una forte voglia di tornare a vivere la nostra vita in tranquillità, piena di colori, sapori, odori.

Grande forza e semplicità viene proprio da quel coraggioso ragazzo di nome Harry Potter, che col suo esempio tanto ci ha insegnato.

Lui sa che lo dovrà affrontare e capisce che la speranza di tutti noi è riposta in lui. Ho imparato a conoscere questo ragazzo negli ultimi mesi, Teddy pare provare una simpatia istintiva e innata per lui, che Harry ricambia con dolcezza e affetto.

“Buon giorno Andromeda,” mi ha detto sulla soglia di casa mia una mattina di pochi giorni fa “sono venuto per portare a Teddy una sorpresa.”

Da poco tempo ci davamo del tu, da ancor meno eravamo entrati in maggiore confidenza, e non mi aspettavo certo di vedere un tal genere di sorpresa.

Harry, infatti, ha guardato in basso, sempre fermo sull’uscio di casa, con me che ero talmente stupita da dimenticare persino di invitarlo a entrare, improvvisamente un cucciolo paffuto e peloso ha fatto capolino a fianco alle gambe del ragazzo.

Era una cagnolino, ma con chiare fattezze lupesche, il pelo fulvo e occhi dolci, ma pericolosamente tendenti al selvatico.

Ho guardato Harry sconvolta, senza riuscire a proferire una parola. Solo nel momento in cui lui si è chinato per fare le coccole al nuovo venuto, mi sono addolcita un po’ …

“Quella sarebbe la sorpresa per Teddy?” ho domandato preoccupata. Rimanendo chinato, Harry ha alzato il capo raggiante:

“Sì, sono certo che Dora avrebbe apprezzato,” sapevo che aveva perfettamente ragione: nessuno conosceva Dora meglio di me.

Poi ha continuato:

“Forse Remus avrebbe avuto qualcosa da ridire conoscendolo … ma era solo, bisognoso di cure e io credo che questo cucciolo vorrebbe stare con Teddy e Teddy con lui.”

Per la prima volta, mi sentivo d’accordo con l’ipotetica opinione di mio cognato Remus. Mi pareva di vederli ancora davanti a me, lui e la mia Dora, a battibeccare su una questione del genere.

Ho sorriso e, a quel punto, l’ho fatto entrare in casa insieme al piccolo cane - lupo.

“Vieni, Teddy è qui con me, stavo preparando qualche erba nuova da conservare per l’inverno.”

Ogni volta che mi impegno in qualche lavoretto, adagio Teddy vicino a me su un largo divano perché non cada mentre si gira e si volta, o guarda le sue manine ammirato, per poi addormentarsi.

“Accomodati Harry, preparo una tisana.”

Era strano per un ragazzino della sua età: Harry era rapito a giocare con Teddy, a parlargli e sorridergli.

Lo osservavo mentre preparavo infusi ed erbe, teneva a distanza il cucciolo e Teddy lo guardava con grandi occhi pieni d’interesse, di un blu scuro come un profondo abisso.

Pensavo avrebbe cambiato leggermente il colore dei suoi occhi col passare dei mesi, invece sono rimasti circa identici.

Il cucciolo gli piaceva: era calmo e sorrideva, agitando le manine come per volerlo afferrare, Harry era palesemente orgoglioso che quel regalo fosse stato apprezzato, credo si sentisse nei confronti di Teddy, come si sentiva Sirius nei suoi confronti: più che un padre. Sia Harry sia Teddy sono rimasti orfani prestissimo.

Non solo, Harry desiderava che Teddy provasse lo stesso affetto che lui sentiva per Sirius.

Io speravo ci riuscisse. La magia di quel ragazzo era così poco ostentata e forte allo stesso tempo, che ero certa che avrebbe sconfitto qualunque mago, anche il più potente di tutti.

Ho portato la tisana ad Harry, sedendomi vicino a Teddy e prendendolo in braccio per fargli sfiorare il piccolo cucciolo con attenzione.

“Ha poteri magici questo animale?” ho domandato distrattamente, mentre cercavo di far fare conoscenza ai piccoli cane e padrone.

“Hem …, a dire il vero, no … ma ha il potere dell’amore di sicuro. E poi è vispo e allegro.” guardando lo sguardo imbarazzato di Harry e le sue parole quasi di giustificazione, mi sono subito pentita di quella domanda. A volte vorrei davvero perdere le mie abitudini di soppesare gran parte delle cose sotto l’aspetto magico e non magico, ma è così radicato questo in me, che faccio moltissima fatica.

“Non importa,” ho subito detto comprensiva, con tono che mi veniva dal cuore “lo terremo con noi, Teddy ne è felice, si vede.”

Un grande sorriso è spuntato sui due volti vicini, sia in quello del ragazzo, che aveva capito tutto, sia in quello del mio piccolo, che sentiva e percepiva ogni sentimento attorno a sé.

“Ora ti devo salutare, scusami se la visita è stata breve, ma non voglio mettere più in pericolo nessuno.” ha aggiunto Harry poco dopo, finendo la sua tisana con un sorriso soddisfatto.

“Sei proprio brava a preparare queste bevande, aiutano il morale. Sei veramente dotata con questo tipo di magia.”

Ho sorriso tristemente, avevo sentito quel ragazzo usare la parola “datata” in un unico caso: per descrivere la potenza di mia sorella, ma in quel caso aveva detto “straordinariamente dotata“, non era un ragazzo di molte parole, ma sapeva sempre cogliere l’essenza delle persone.

“Aspetta Harry,” ho esclamato velocemente, alzandomi con lui dal divano. Il cucciolo ci guardava dal basso e sgambettava per tutto il tappeto attorno ai nostri piedi.

Teddy si sporgeva con lo sguardo dalle mie braccia, probabilmente per seguire i movimenti e i giochi del suo nuovo amico.

“Mi lasci qui a badare a queste due piccole pesti? Almeno aiutami a trovare un nome al cane.”

Lui ha osservato silenzioso il cucciolo che già aveva iniziato a mordere gli angoli del tappeto.

Poi ha accarezzato i capelli di Teddy che ha piagnucolato un po‘, muovendosi agitatamente.

“Io credo che sarebbe bello chiamarlo Felpato.”

Non sapevo della storia di mio cugino Sirius e del suo segreto, me lo avrebbero raccontato solo in seguito, ma il nome mi è piaciuto immediatamente.

“Bene allora,” ho esclamato “lo chiameremo Felpato.”

……………………………..........

Note:

Ultimamente sono molto in ritardo con gli aggiornamenti. Mi scuso, ma ho un po’ di cose da fare. Tra l’altro sto aggiornando soprattutto questa ff perché è quella che al momento più mi dà ispirazione.

Come potete vedere, ora entrambi i piccoli hanno il loro animale magico … scusate la piccola copiatura riguardante Felpato … non ho saputo resistere (anche a causa di care amiche amanti di questi personaggi! Ogni riferimento, per esempio, ad Alohomora (che saluto tanto e ringrazio) è puramente casuale! )

Il riferimento che Andromeda fa al pensiero di Harry su quanto sia dotata la sorella, l’ho ripreso dal commento di Harry stesso fatto nel capitolo “Villa Malfoy” del libro 7, ho ipotizzato che potesse averlo detto anche in altre occasioni.

Ho risposto quasi a tutte le recensioni, me ne mancano solo un paio a cui risponderò di ceto domani (perdonatemi, tanto mi dovete sopportare ogni giorno …)

Non ho avuto tanto tempo per correggere il capitolo, lo rileggerò per bene domani comunque! Scusate per i vari errori se ne troverete. Grazie a chi ha deciso di recensire per la prima volta questa storia, è stato un piacere avere nuovi commenti! Spero di sentirvi ancora. Le letture silenziose, seppur tante, mi lasciavano interdetta, non capivo se la storia piaceva o meno.

Grazie a chi recensisce da sempre ovviamente!!

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Capitolo 12
*** Notte di luna nuova ***


Notte di luna nuova: Lord Voldemort

Quel giorno, indubbiamente, ha deciso tutto.

Non potevo sopportare di subire ancora quella situazione, io, proprio io, abbassarmi a cotanto orrore, subire una condizione così da debole.

La guardavo, vedevo quel sorriso e quella strana gioia, il legame che ostentava nei miei confronti, così forte, così mutato.

Sì certo, ostentava, è ovvio, perché mai le ho dato il permesso, né la ragione, di sentirlo effettivamente, di sapere che era vero. Quella confidenza mi stavano irritando non poco.

“Mio Signore,” mi diceva talvolta, sempre più spesso, nel buio dei boschi, o delle radure, illuminata dalla fiamma del fuoco divampante dei falò accanto a noi, quella luce tremula, ma potente, la rendeva viva e forte, affascinante come non mai.

Io accennavo uno sguardo verso di lei, irritato, scontroso, eppure stanco e soddisfatto.

Senza aspettare risposta da parte mia, continuava emozionata e stremata “Restate con me, solo un attimo, un attimo ancora.”

Mi guardava implorante, voleva sempre che restassi con lei dopo … sempre più a lungo. Io lo odiavo.

Guardavo la sua pelle nuda, il suo seno vicino a me, i capelli talvolta mescolati all’erba, a piccoli ramoscelli, che la rendevano selvaggia come una belva, una bestia feroce.

Mi avvicinavo, la facevo sperare …

E me ne andavo lontano subito dopo.

Volevo ferirla. Avrei dovuto ordinarle di adorarmi come prima.

E non avrei dovuto ordinarle di seguirmi per le ricerche quella volta, né avrei dovuto farlo per le poche settimane successive.

Lei era cambiata, fin troppo cambiata.

Era troppo maliziosa, con me. Si permetteva di irritarsi, con me. Era propositiva, intraprendente, temeraria, a fianco a me, e parlava senza essere interrogata da me.

Io ero il suo padrone, nient’altro, a tratti pareva non ricordarlo.

Non solo il suo comportamento, anche tutto il suo fisico provocava più che mai.

I capelli erano tornati più selvaggi di prima, soprattutto se restavamo fuori a lungo, al vento della sera: odiavo quando, a causa proprio del vento, sfioravano le mie braccia, o le mie spalle.

La facevano sentire troppo vicina a me, le regalavano quel profumo di vento, che avrebbe dovuto appartenere solo a me.

Odiavo quando la vedevo seguire con lo sguardo la fenice, nel cielo nero, tra gli spazi vuoti attorno a noi, umidi e odorosi di solo natura incontaminata, poi voltarsi verso di me, e con quel tono languido e noioso, chiedermi:

“Mio Signore, non verrà da noi nemmeno oggi … potremmo tornare alla torre, o nei boschi insieme?”

E mi guardava increspando le labbra rosso sangue, in un moto di seducente desiderio incontrollato.

Involontariamente, non faceva che mischiare la mia frustrazione, con la mia rabbia, col desiderio. Ne nascevano sempre gli amplessi più devastanti.

Non ha mai avuto paura di essi.

Dal canto mio volevo sconfiggere Potter, e non potevo sopportare che la mia presunta migliore Mangiamorte pensasse a tutt’altra faccenda.

Si permetteva poi di parlare della sua potente magia, affiancandosi a me in maniera vivace e prorompente, trasmettendo un fuoco e una fisicità che parevano moltiplicarsi insieme alle ore che passavano.

Che passava vicina a me.

“Mio Signore,” mi informava frequentemente “ho deciso di usare il legno di tasso dell’albero a fianco al piccolo lago, è il più antico e di certo racchiude la magia più potente. Ho pensato di incidere sul legno i simboli delle rune che vi possano essere più utili per rafforzare il potere della bacchetta, per aumentare il potere magico.” quando sentiva silenzio si avvicinava leggermente e insisteva:

“Cosa ne pensate?”

Buona idea. Pensa sempre ottimamente quando si tratta di magia.

Mischia i poteri dei simboli runici con il potere della bacchetta.

È da sempre la strega più dotata che conosca.

Io annuivo ad ogni sua idea brillante, null’altro.

Quel tono deciso nelle sue parole, quel quasi sfiorarmi per richiamare la mia attenzione, quel suo fare così poco sottomesso.

Mi faceva sentire irritato, mi trasmetteva fragilità, e io non sono fragile, né debole.

Non ero più adorato come un tempo … ero … niente.

Non avrei permesso oltre che non mi adorasse più.

Il giorno in cui ho intuito per la prima volta, vagamente, che non mi adorava più, e tutto è cambiato.

Era colpa di quella condizione che stavamo vivendo, era colpa di Bellatrix e della sua sfrontatezza, del suo carattere indomabile ed infuocato, della sua magia potente. Si prendeva troppe libertà, diventava fin troppo affascinante a volte.

E poi … era colpa dell’erede.

Sì lui, l’erede. Potente, misterioso, inquietante.

Avevo osservato attentamente la sua evoluzione, per quanto potevo. Da qualche mese a questa parte, i suoi poteri avevano iniziato a palesarsi, l’avevo notato io e l’aveva notato anche Bella, che percepiva nettamente di questi poteri.

Lo sentivamo entrambi a distanza, e restavamo silenziosi fra noi.

Sarebbe diventato un mago di fuoco, questo era certo, come sua … come Bella. Dimostrava uno strano potere ancora prima di nascere, che non riuscivo a collegare con nulla in particolare, non sapevo perché e come l’avesse sviluppato, era un mago particolare, imprevedibile e sconosciuto.

Chiaramente capiva bene e avrebbe parlato il serpentese, un giorno, se avessi deciso di farlo nascere.

Indubbiamente l’origine di tutti quei cambiamenti era lui, palesemente ci voleva legare, e andava contro la mia volontà.

Io mai mi sarei legato.

Mai.

Erano passate quasi cinque lunazioni da quando era stato concepito: una notte di luna nuova, quando la notte è completamente oscura.

Bella, ho notato, non resta più rapita dalla luce della luna di notte, come faceva quando era mia allieva, e come ha sempre fatto da adulta, sola, avvolta nel silenzio. In quel periodo spesso la evitava.

Era l’influsso del mio erede. Era chiaro. Potente, sempre di più.

Lei restava magra perché non mangiava, voleva restare sempre uguale, ma era indubbio che Sgath esistesse, e crescesse man mano, anche se forse indebolito dai capricci di Bella.

Già … Sgath, oscurità … stava facendo succedere qualcosa. Troppe cose.

La mia Mangiamorte non mi adorava più come un tempo, e io perdevo tempo ad osservare la magia di lei e di lui.

Nel momento più delicato della battaglia.

No, non l’avrei mai permesso. Non questo.

Mi ero deciso: avrei agito di lì a poco tempo.

……………………………................

Note:

Non ho molto da dire sul capitolo, anche perché non succede molto, è più un’introspezione psicologica sui cambiamenti interni alla coppia (se così si può chiamare)

Entro pochi capitoli ci saranno le prima svolte più importanti. E in seguito ritroveremo anche i buoni!!

Ora vado perché ho un po’ di cose da fare stasera (un sabba …).

Grazie per le recensioni, spero che anche questo capitolo sia piaciuto.

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Capitolo 13
*** Punitemi, mio Signore ***


Punitemi, mio Signore: Bellatrix

Ero stesa sul letto, sola, stanca. L’estate pareva bruciare come non mai, e non era mai successo prima, soprattutto in questo luogo dell’Inghilterra.

Il calore mi prendeva ovunque, la testa mi doleva in maniera quasi delirante e mi sentivo senza forze.

Era uno stato che sentivo sempre più spesso da quando c’era lui dentro di me.

Iniziavo a pensare che tutta questa sensazione strana e del tutto nuova, non venisse da fuori, non dipendesse dall’estate, ma nascesse dentro di me.

Non sapevo bene che fare, tutta la mia caparbietà e combattività al momento parevano essersi liquefatte col calore.

Ho sfiorato il ventre di nuovo, come facevo all’inizio, sfregando le unghie sul vestito.

Era tutto diverso da prima, quando mi sentivo bene anche solo notando quanto fosse magro e piatto, ora mi sorgeva un brivido di angoscia e pungente terrore al tocco con quel ventre così vivo, così cresciuto.

Sospirando, ho allontanato il più possibile quei sentimenti odiosi.

“Sgath …” ho sussurrato, concentrandomi su di lui e togliendo le unghie che usavo per graffiarlo.

Non so nemmeno io perché lo stessi facendo: io, proprio io, rivolgermi così a quell’essere che cresceva togliendomi forza e autonomia … non potevo sopportarlo.

Non appena ho compiuto quel gesto strano però, il calore è leggermente diminuito e ho smesso di sudare copiosamente.

Lui c’era … lo sentivo straordinariamente, ogni giorno di più.

Tante piccole sensazioni, tanti piccoli avvenimenti particolari: anche la mia magia stava subendo cambiamenti.

Era più improvvisa ed inaspettata, a volte quasi fantasiosa. Faticavo a controllarla pienamente, aveva vampate di potenza e violenza e momenti di delicatezza appena accennata. Era una nuova scoperta e non mi dispiaceva.

Non so come avrei fatto ad affrontare una battaglia in questa situazione e in tali condizioni, anche se sono forte, non sarebbe stato facile.

Ho scacciato anche questi pensieri dalla mia mante, non ci volevo riflettere.

Respirando la leggera brezza che entrava dalla finestra, ho chiuso gli occhi per qualche istante, cercando col pensiero l’immagine del mio Signore.

Avevo terribilmente bisogno di lui in quel momento e lo sapevo, lo volevo e lo desideravo da morire, nell’unico modo in cui lo potevo sentire tutto mio.

Poco dopo essermi ripresa vagamente, mi sono alzata piano dal letto, i vestiti neri sono ricaduti lunghi fino al pavimento e ho scostato i capelli dal viso, buttandoli giù lunghi sulla schiena, poi sono uscita dalla stanza.

Camminavo sempre scalza di nuovo, come poco dopo la fuga da Azkaban.

Sotto il raso e i pizzi leggeri, non si notava ancora molto che ero incinta … ma qualcosa era cambiato nella mia figura nonostante mi rifiutassi categoricamente di mangiare decentemente.

Ho iniziato a camminare verso la sua stanza che i capelli restavano ancora appiccicati alla pelle del collo e delle spalle, quel caldo e quella passione ancora mi bruciavano così tanto da farmi scendere gocce di sudore lungo la schiena.

Volevo lui ossessivamente.

“Mio Signore,” gli ho detto comparendo all’uscio della porta “posso entrare?”

Mi ha semplicemente guardata facendomi un cenno col capo, stranamente poi si è alzato in piedi mentre mi avvicinavo a lui.

Di nuovo mi sentivo strana.

Non sapevo più se gli stavo ubbidendo o no, non sapevo se avrei dovuto pretendere qualcosa da lui, o dovevo limitarmi ad essere la sua fedele servitrice, non sapevo se ero ancora la sua migliore Mangiamorte, o volevo semplicemente averlo solo per me, come in quel momento, senza null’altro per la testa.

“Punitemi, mio Signore.” ho detto di getto, sentendo che meritavo una punizione per tutto questo.

Poi ho lasciato che diventasse silenzio. Che mi osservasse stupito e attento.

Non solo meritavo la punizione, la volevo e la desideravo ardentemente.

“Punitemi ancora, come l’ultima volta. Come quando abbiamo concepito Sgath durante la luna nuova.”

I suoi occhi mi hanno guardato con incredibile forza, forse rabbia, passione violenta, ma io sono andata avanti come un‘onda impetuosa.

“Punitemi, me lo merito, lo voglio ora come non mai.”

 

Oscure premonizioni: Andromeda

Mentre sistemavo piatti e bicchieri dopo il bel pranzo che avevo preparato per me e ripulivo l’occorrente per Teddy, sentivo il fresco dell’acqua che scorreva sulle mie mani e sulle stoviglie, era piacevole dato il caldo là fuori, si notava come l’estate fosse proprio arrivata.

Quell’anno l’estate non mi aveva portato la solita sensazione di felicità che percepivo in quel periodo dell’anno.

Al contrario, nonostante il sole, la luce, i colori tipici che avevo sempre amato, sentivo premonizioni oscure e misteriose.

Sapevo che non erano generate solamente dalla triste condizione che mi portavo dentro: c‘era dell‘altro. Molto altro che non riuscivo a captare a fondo.

Erano vaghe ma vere premonizioni, da tanto non ne avevo avute, ricordo bene come siano sempre state presenti in tutto l’arco della mia vita, forse qualche scherzo del mio sangue puro, dei poteri della mia famiglia, non saprei dire.

Sentivo chiaramente un evento in atto, qualcosa che avrebbe creato un cambiamento nella mia vita, scompiglio, disastro, o devastazione.

Sì, la mia vita stava cambiando, di nuovo, e non avevo idea di come.

Avevo già perso tutto. Cos’altro sarebbe potuto succedere?

Mi sono voltata verso Teddy: da quando era arrivato Felpato in casa, il piccolo era cambiato. Rideva di più ed era più tranquillo. Mangiava anche più volentieri, sia il latte dal biberon, sia le prime pappe che gli preparavo con amore e maestria.

Sembrava quasi che le due anime, insieme, si capissero e si mescolassero a vicenda, e che Felpato riuscisse a lenire i dolori del piccolo Teddy, quelli che nemmeno lui era in grado di capire e cogliere, perché troppo piccolo.

Quando Felpato ha iniziato ad interagire strettamente con Teddy mi sentivo parecchio in ansia: quel cane aveva la delicatezza di un troll e l’entusiasmo tipico dei cuccioli lo portava ovunque.

Teddy era molto piccolo e avrebbe potuto farsi male in ogni modo, anche per una semplice zampata.

Poi ho iniziato ad osservarli, il mio piccolo pareva essere così interessato e affezionato al cane che non ho avuto cuore di separarli, di togliergli anche questo semplice affetto. E mai scelta è stata più giusta.

Teddy si è rinforzato, si aggrappa al pelo del suo cane che nemmeno si lamenta delle tirate e diventa ogni giorno più allegro. Lo guarda e gli sorride, gli tocca il muso e Felpato con un guizzo si allontana senza fargli male. Li ho persino visti dormire vicini sul divano o sul tappeto.

Il cucciolo è magico. Questo mi viene da pensare ogni volta che li vedo insieme, devo chiedere ad Harry Potter se ha compiuto una di quelle sua splendide magie di bontà anche sul cane che ha regalato al piccolo.

Teddy cresce come un piccolo selvaggio già a pochi mesi di vita, questo può anche essere vero, ma ha sangue di lupo e, se io non ne sono orgogliosa per nulla, si vede comunque, e un giorno potrebbe esserlo lui stesso, così orgoglioso, come lo era Ninfadora del suo Remus.

Per fortuna che non è comunque un lupo mannaro: una disgrazia in meno.

Erano davvero su Teddy le mie sensazioni e brutte premonizioni?

O erano su me stessa, su entrambi, su tutti e tre, Felpato compreso?

Sentivo la forza oscura crescere attorno, sentivo l’avanzare dell’ignoto, della distruzione.

L’Oscuro Signore stava forse tornando per la battaglia finale, per ucciderci tutti? Era questo?

Non ero affatto convinta, credevo in Harry Potter come tutti stavamo facendo nell‘ultimo periodo, ma non ero capace di andare a fondo a quelle premonizioni e mi preoccupavano.

Ugualmente, ancora una volta nella mia vita, ho scelto di non avere paura, di prendere tutto ciò che avevo e andare avanti per la mia strada, con coraggio e forza.

Invece di chiuderci in casa per la paura e l’attesa, ho deciso di uscire.

Ho scelto per Teddy la magliettina con un bel lupetto disegnato davanti: gli piace molto, non fa mai storie quando la infiliamo addosso e gli sta d’incanto, sui suoi capelli di quell’azzurro che diventa ogni giorno più intenso.

Dalla credenza del mobile del salotto, quella di cui era tanto orgoglioso Ted, ho preso il guinzaglio nuovo per Felpato e siamo usciti nel parco vicino a casa per giocare e prendere aria tutti insieme.

In quell’attimo ho ribadito a me stessa che, nonostante le premonizioni belle o brutte, non mi stancherò mai di lottare. Come ho sempre fatto in tutta la mia vita.

Per me stessa e soprattutto per coloro che amo. Per coloro che sono rimasti.

Resta a dormire qui: Lord Voledmort

Lo dovevo immaginare, ho sbagliato ad aspettare, anche con la decisione già presa, ho atteso.

Troppo.

Quando lei si è fatta avanti, con quel modo incerto e provocante allo stesso tempo, credevo la situazione fosse sotto controllo, la sentivo sotto controllo e lo era.

Quello sguardo accaldato dall’afa e dalla passione, quell’incedere sinuoso e sensuale negli abiti aderenti a causa del sudore sparso su tutta la sua pelle, i capelli lunghi e le labbra scure, di un rosso cupo e malvagio … sembrava essere appena risalita direttamente dalle fiamme dell’inferno, dalle braci e dalla cenere incandescente.

“Punitemi, mio Signore.” mi diceva con voce suadente e piena di sospiri.

Mi ha spiazzato, ma era tutto sotto controllo.

La guardavo, mi piacevano quei sospiri, il tono reso lento e quasi delirante dal troppo desiderio.

“Punitemi ancora, come l’ultima volta. Come quando abbiamo concepito Sgath durante la luna nuova.”

Lì ha iniziato a cambiare qualcosa.

Già in quel momento dovevo iniziare a fermarmi, allarmarmi. Un brutto moto di sensibilità fisica ha permeato le mie membra al ricordo di quel momento, della forza, del piacere di quella punizione. Quella notte maledetta, con la luna nuova.

Una sensazione molto violenta, seguita, subito dopo, dal pensiero dell’erede.

Strano quel pensiero.

Non le rispondevo.

Lei mi guardava con occhi ardenti, neri, pieni di desiderio.

Non ho più pensato che dovesse adorarmi, mi sono momentaneamente distratto e non l’ho più voluta punire per desiderarmi anziché adorarmi.

Errore, ancora un altro errore.

Silenzio, buio e ancora silenzio.

“Punitemi, me lo merito, lo voglio ora come non mai.” ha insistito lei, avvicinandosi, porgendomi il suo seno appena coperto dalla veste nera, porgendomi la pelle accaldata e pronta ad eccitarsi ad un semplice tocco.

Strega.

L’ho attratta a me con violenza, voltandola e buttandola sulle lenzuola.

Sorrideva.

Riusciva sempre ad ottenere tutto.

Anche da me.

Non doveva andare così, invece è andata esattamente in quel modo, nonostante io non volessi farle piacere in nessun senso.

L’ho posseduta in quel modo, per troppo poco tempo: troppo incontrollabile quella passione per riuscire ad assaporarla a lungo.

Nel silenzio finale, quando ancora ansimava, non so se per il piacere o per il dolore, ha accennato ad avvicinarsi con le labbra a me.

L’ho guardata a lungo, senza muovere un muscolo, né dire una parola, pochi istanti dopo quel gesto, dopo quei momenti di silenzio, una lieve aura di stupore le si è palesata nello sguardo, come se non si aspettasse quel momento.

Troppe volte le avevo negato un bacio e ci aveva rinunciato.

Finalmente.

Ora non capiva più cosa stessi facendo, non si è allontanata rassegnata, ma si è avvicinata lentamente.

Non potevo distogliere l’attenzione da quelle labbra scure, rosse scure come il sangue.

La guardavo con durezza, ma lei si avvicinava, spostando continuamente il suo sguardo dai miei occhi alle mie labbra sottili.

Sentivo quasi batterle il cuore, e il sangue fluire impazzito in tutto il suo corpo, sentivo le emozioni, le sue sensazioni.

Non le mie.

Io non ne possiedo. Le odio.

Nessun bacio Bella, mai. Me l’ero già detto in passato.

Lo sai.

In quell’esatto istante, veloce come un serpente minacciato, mi sono allontanato da lei.

Da lei e Sgath.

Sentivo troppo caldo in quel momento, sentivo il sangue di lei troppo puro, troppo ricolmo di magia.

Non sarò debole, mai.

Mi sono alzato in piedi guardandola dall’alto, nuda, bella, vulnerabile davanti a me, sempre e solo davanti a me.

“Resta a dormire qui.” le ho intimato.

Volevo sapere dove trovarla, volevo sapere dove avrei potuto agire per liberarmi di quella magia, di quel fuoco che stava continuamente indebolendomi.

Liberarmi di Sgath.

 

…………………………….............

Note:

Oggi capitolo triplo (in un certo senso) per preparare ad alcuni fatti importanti.

La parte di Andromeda (soprattutto il titolo e le premonizioni) riprendono il tema iniziale di “Sgath che significa oscurità” il richiamo è voluto, ma le conseguenze le vedrete più avanti.

Mentre per quanto riguarda l’ultima parte, quella del Signore Oscuro, molti punti sono conseguenti a ciò che avveniva proprio in “Sgath” ma credo si possa capire anche senza leggere nulla della ff precedente.

Mi pare di aver spiegato tutto, se manca qualcosa avvisatemi pure.

Dovrei riuscire a rispondere alle scorse recensioni nel giro di un paio di giorni, mi spiace non averlo fatto prima, ma è stato un periodo un po’ brutto. Mi spiace davvero! E vi ringrazio ovviamente per seguirmi e commentare le nuove evoluzioni.

Grazie a tutte! Al prossimo aggiornamento.

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Capitolo 14
*** Il freddo fuoco del mio Signore ***


Il freddo fuoco del mio Signore: Bellatrix

Sapevo che non era il tipo da concedere romanticherie, che non si sarebbe fatto avvicinare tanto facilmente, che non mi avrebbe permesso di entrare nel suo cuore come mi aveva permesso di entrare nel suo letto.

Lo sapevo.

Eppure, il permesso di dormirci, in quel letto, è stata fra le concessioni più uniche e preziose che il mio Signore mi avesse mai fatto.

Non volevo in nessun modo sprecarla, perdere tempo a pensare perché lo avesse fatto, o a qualsiasi altro significato nascosto dietro alla sua azione del momento.

Era solo mia e tale sarebbe stata per sempre.

Ne ero certissima.

Appena l’ho sentito uscire dalla grande porta che dava sui corridoi interni, sono restata sola, nel silenzio.

Improvvisamente, dal nulla, esistevo solo io, io e il suo profumo freddo e sfuggente, io e il calore delle lenzuola dove avevamo consumato l‘ennesima punizione, io e tutte le mie sensazioni per lui.

Dolore, sofferenza, ossessione, adorazione, amore.

L’amore, che non esiste, lo so, e che per questo odiavo provare incondizionatamente, perennemente, e ostentatamente, per lui.

È lui che mi tortura l’anima come tortura la pelle del mio braccio sinistro: lui il diavolo, io la strega, da sempre … per sempre.

Mi sono rigirata fra le lenzuola, cercando una posizione più calda, come più protetta. Le ho alzate leggermente sulle spalle, lasciandomi coprire tutta, come se cercassi un suo abbraccio. Un abbraccio che non arriverà mai.

Ho appoggiato il volto sul cuscino, strofinandolo leggermente, volevo una carezza, uno sguardo … il suo amore.

A quel pensiero, improvvisamente, una stretta insopportabile allo stomaco mi ha fatto quasi morire dal dolore, per poi dirigersi su fino al cervello, facendomi ancora male, impedendomi i normali pensieri. Solo uno capeggiava e rimbombava ovunque, dalle viscere alla memoria, dal cuore all’anima: il più doloroso.

Lui non ama.

“Perché no, mio Signore?” ho vagamente sussurrato, con una voce talmente dolorante che sembrava stridere persino alle mie orecchie.

Piangevo sempre davanti a lui, era liberatorio, sola invece, non riuscivo a versare nemmeno una lacrima.

Ho cercato di stringere più forte le lenzuola attorno a me e d’improvviso una valanga di ricordi mi sono piombati addosso con il loro sapore dolce di dolore. Non ho un solo ricordo completamente bello col mio Signore, nemmeno uno. Sono sopravvissuta così ad Azkaban, perché nessun Dissennatore può togliere i ricordi più splendidi, se allo stesso tempo sono anche pieni di lacerazione e male.

Dopo la prigione, ce ne sono stati mille altri. Sempre più intensi.

Il fuoco perenne del camino di villa Malfoy, il vento sulla terrazza nel buio della notte, il suo tocco violento fra la mia carne, la prima volta che mi ha presa, quella notte di pochi anni fa, e il rumore dei vestiti che mi strappava con lenta crudeltà …

Stringevo così forte i denti sulle labbra ad ogni singola visione ad occhi chiusi, ad ogni singolo pensiero, che ho iniziato a sentire il sapore del sangue.

Mentre sorridevo, mi bruciava effettivamente il labbro inferiore, e sorridevo perché sentivo ancora una volta la stessa sensazione, la sensazione che mi aveva provocato lui, con quello schiaffo, quell’unica volta che aveva avvicinato le sue labbra alle mie, tanto tempo fa ormai.

Sentivo ormai il mio respiro concitato, sapevo di essere giunta al limite delle mie forze, ho lasciato i polmoni allentarsi e ho sperato che i ricordi mi abbandonassero come il respiro che esalavo piano.

Di nuovo calma ho rilassato tutti i muscoli, lasciando morbidamente le mie membra sul letto, c’era solo il mio respiro nel buio, ero completamente sola.

Io, nel letto del mio Signore.

Percepivo ancora umido fra le cosce, dappertutto … mi piaceva, mi faceva sentire di sua completa e totale proprietà.

Senza quasi rendermi conto di ciò che stavo per fare, ho spostato la mano sulla pelle umida, accarezzandola piano e trattenendo quell‘umidità ormai appena accennata, quella parte di lui che tante volte ormai mi aveva lasciato dentro, da quando c’era Sgath fra noi.

L’ho sentita tra le dita mentre il cuore batteva troppo, mi faceva male, così, lentamente, l’ho portata vicina per sfiorarla.

“Baciatemi, mio Signore.” ho sussurrato, o forse solo pensato, mentre le mie labbra la toccavano appena.

Solo dopo poco ho posato la mano sul cuscino, vicina al mio volto e l’ho guardata felice.

Sorridendo ho chiuso gli occhi e mi sono abbandonata al calore sulle lenzuola, calore che ormai era solo il mio.

Soltanto poco prima di addormentarmi, vagamente, ho fatto caso ad un evento particolare: ho sentito il vento cambiare molto velocemente, e sbattere sempre più forte sui vetri delle finestre, mentre l’aria diventava più fredda man mano.

Era strano, inusuale per quel periodo.

Al momento comunque non mi importava.

Al momento sentivo solo il freddo fuoco del mio Signore.

……………………………..

Note:

Eccomi con l’aggiornamento! Vado più veloce perché questi capitoli erano già più o meno pronti nella mia mente e non sono particolarmente lunghi.

In questo in particolare ho dovuto fare numerosi riferimenti alla ff precedente, in particolare i luoghi di incontro tra Bellatrix e l’Oscuro Signore (davanti al camino di villa Malfoy e sulla terrazza sempre della villa) e due riferimenti a due capitoli precisi (“Da lasciarci entrambi senza fiato! E “Questo era un bacio, mio Signore?” rispettivamente per i vestiti strappati e la prima volta che i due fanno sesso, mentre l‘altro per il sapore di sangue sulle labbra).

Per il resto mi pare non ci sia altro da dire, si prepara un evento drammatico, questo è chiaro, spero di poter aggiornare presto.

Ringrazio per le letture e le recensioni, come sempre risponderò in ritardo … in un paio di giorni però, arriverò da tutte!

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Capitolo 15
*** Notte di tempesta ***


Notte di tempesta

Quella notte si era improvvisamente scatenata una tempesta, a tarda notte, con pioggia e vento sferzanti e potenti.

Nessun tuono o lampo all’orizzonte.

Solo vento e tanta pioggia.

La pioggia, tutta quell’acqua mi facevano sentire una sensazione strana di debolezza, nausea, malore.

Mi ero svegliata lentamente, senza muovermi dal letto, perché era quello del mio Signore. Sentivo le imposte che sbattevano, ma non violentemente, e lasciavano insinuare il vento che, a volte, muoveva leggermente le fiamme delle poche candele rimaste accese nella stanza.

Sentivo freddo nonostante fosse il periodo più caldo dell’anno, nonostante tutto il calore e il sudore di quelle giornate, un freddo strano, eccessivo.

Per questo mi ero messa per bene sotto le lenzuola, per cercare di riscaldarmi con quegli indumenti leggeri, e avevo acceso il fuoco con un tocco della bacchetta ma, stranamente, risultava poco potente, riscaldava a malapena.

Quella notte era diventata improvvisamente poco accogliente.

Inspiegabilmente ho stretto le braccia sul mio ventre, mi sentivo le vertigini.

Tentavo di non dirlo a me stessa, ma avevo una strana sensazione, come timore, paura.

Non ho quasi fatto in tempo a percepirla completamente, che ho sentito dei passi lenti entrare nella stanza: il mio Signore era tornato da me. Raramente mi era successo di vederlo entrare in camera senza un chiaro motivo sessuale. Anzi, probabilmente mai.

Per questo mi sono voltata verso di lui, alzandomi a sedere sul letto: in quel momento non dava nemmeno per un attimo l’idea di voler avere rapporti sessuali, anzi, il suo sguardo non pareva avere in mente nulla di vagamente piacevole.

Non so come, ma avevo già capito tutto.

Il suo pallore era più pronunciato del solito, mi impressionava e rassicurava allo stesso tempo, era inquieto, come me.

Questo me lo faceva sentire vicino, ma allo stesso tempo, sapevo bene che lui non stava mai realmente molto vicino ad una persona.

I suoi occhi quasi brillavano di lampi di luce rossa, come se anche da essi scaturisse la sua magia, la sua energia distruttiva.

Le sue intenzioni diaboliche.

Si era fermato sulla porta ad osservarmi lungamente.

Mi ero appoggiata al cuscino ricambiando il suo sguardo, pronta a sentirlo, accontentarlo nei suoi desideri, anche i più incerti.

“Ditemi, mio Signore.”

Lui però restava fermo, come soprappensiero, senza parlare.

Dopo alcuni interminabili istanti di silenzio, ha posato il suo sguardo sul mio ventre, appena gonfio. Poi mi ha guardato serio in volto:

“Il problema sta esistendo davvero, e fin troppo. Carne, fuoco, magia … basta così, è giunta l’ora.”

Ho trattenuto per un attimo il respiro.

Voleva eliminarlo, finalmente si era deciso.

Mentre lo vedevo avvicinarsi lentamente a me, così convinto, così inesorabile, ho capito che non ero assolutamente più sicura di nulla.

Il problema era il suo erede … e il mio erede. Aveva ricominciato a chiamarlo il problema, il mio Sgath …

Lo stavamo distruggendo, cancellando, eliminando ed estirpando.

E avevo insistito io. E quanto avevo insistito: gli sguardi, l’odio, la paura, persino le parole, talvolta.

Ormai non osavo più dire nulla, non volevo in nessun modo contraddire il mio Signore, volevo ubbidire e farlo felice. Avevo solo il terrore che facesse male anche a me.

O forse non solo a me.

L’ho guardato con paura mentre mi si sedeva accanto.

“Non ci vorrà molto, è l’unico momento adatto. Il più preciso e perfetto.”

Mentre diceva quelle parole, era stranamente concentrato, non mi guardava, guardava solo in basso, verso il mio ventre, quasi a sondare ciò che avevo dentro di me, quasi a volerlo penetrare per osservare dentro.

Poi, dopo un altro lungo silenzio, si è scosso di nuovo guardandomi negli occhi con strana vivacità “Sentirai solo un lieve dolore.”

Quelle parole, dette con quello sguardo, non so perché, mi hanno spaventato ancora di più. La sua decisione, la sua sicurezza, al contrario della mia indecisione ed emotività, mi rendevano davvero confusa, mi sentivo strana.

Io, proprio io che ero stata così convinta.

“Non succederà nulla? Siete sicuro?” lui si è limitato ad alzare le spalle, non spazientito, ma sbrigativo.

Ho trovato il coraggio di aggiungere:

“Come lo sapete?”

A quella domanda mi ha guardato perplesso, poi ha risposto freddamente:

“Non fare l’ingenua ora, Bella. Sai anche tu cosa si fa degli innocenti nuovi nati per invocare la magia oscura. Te l’ho spiegato varie volte.”

In quel momento l’avevo dimenticato, o non avevo collegato per bene.

Senza nemmeno pensare, senza riflettere, ho insistito:

“L’avete fatto altre volte? Con un essere vostro?” non so perché domandavo tutte quelle inutilità. Improvvisamente, la situazione nella quale ci trovavamo mi interessava meno che sapere particolari sulla sua vita privata e sconosciuta.

Anche se faceva male.

Lui mi faceva sempre male.

E lo amavo e lo amo, incondizionatamente.

A quella domanda ha fatto un ghigno selvaggio, che raramente gli avevo visto in volto:

“Ho avuto tante donne, di ogni tipo, mai un figlio … domandati perché.”

Non ci avevo mai riflettuto su, mai. Ora però l’avevo capito quel perché, e capivo anche che la storia stava per ripetersi.

C’era qualcosa che rifiutavo talmente tanto in tutto questo che mi sentivo di vomitare. Continuavo a guardarlo negli occhi pieni di angoscia e domande e sapevo, d’altra parte, che stava avendo fin troppa pazienza con me.

Il mio Signore aveva capito più di me ciò che sentivo in quei momenti, sapeva che non volevo essere paragonata alle altre: io ero di più, molto di più. Io ero la più purosangue di tutte, la sua migliore Mangiamorte, la sua strega più potente.

E Sgath …

Sgath era di più di un offerta all‘oscurità, era l’erede dell‘erede. Il sangue più potente del mondo magico attuale.

Mi osservava per accedere alla mia mente con il legilimens, sembrava pensieroso, a volte percepivo dubbi o ripensamenti, ma forse era solo la mia immaginazione.

Dopo poco, ho deciso di fare semplicemente ciò che voleva lui, come sempre. In questo modo tutto è sempre stato più facile per me, più piacevole e più forte.

Lui, sempre lui nella mia vita. Nessun altro.

Mi sono dunque sdraiata sul letto, porgendogli il mio corpo e il mio ventre, cercavo di guardare altrove, di sembrare tranquilla e decisa.

Si è spazientito comunque:

“Stai tremando, Bella.” ha detto con tono brusco, seccato.

“Solo appena, mio Signore,” ho risposto interdetta “non riesco a controllarmi così tanto. Ho paura.”

Il tremore, notavo, c’era davvero, ma era praticamente impercettibile, e mi sembrava fin troppo poco per la situazione in cui mi trovavo, mentre lui pretendeva l’assoluta normalità.

“Paura del tuo Signore?” ha domandato alzando la testa orgoglioso.

“Sei brava, l‘ho sempre detto. Fai bene ad averne.”

Ho sorriso, quella frase così tipica mi ha ridato calore.

Ha appellato un grande bicchiere, ricolmo di liquido scuro. Forse solo whisky incendiario, o forse quello, con una qualche pozione mescolata dentro.

“Bevi, non sentirai troppo male e non dovrai tremare di paura.” ha aggiunto irato.

Ho ubbidito senza tante discussioni, mandando giù due sorsi enormi per me, svuotando così più di metà del bicchiere.

Era whisky incendiario sì, ma mi pareva straordinariamente pesante, particolare.

Mi faceva sentire quasi completamente bene e mi faceva sentire ancora meglio il fatto che lui mi guardasse, come per aspettare un mio cenno prima di iniziare.

Mi fidavo ciecamente di lui, mi sono sempre fidata e sempre mi fiderò. In maniera totale. Mi sono presa ancora un po’ di tempo, giusto per finire il bicchiere e averne un solo sorso di un altro.

Ho sospirato ricambiando il suo sguardo, in maniera adorante.

Lui ha capito che era il momento, io non capivo più nulla e non mi ricordo più molto.

Solo le sue dita fredde sul mio ventre, verso il basso del mio ventre. Le sue parole in quella lingua sconosciuta, ma che mi affascina sempre, ogni volta che lo sento sibilarla.

Quella lingua che conosceva anche Sgath. Il nostro Sgath.

Dopo poco tempo, un dolore forte, quasi improvviso.

Che continuava e continuava.

Sentivo il dolore quasi come fosse lontano, distaccato da me.

Un sogno.

E poi il sangue caldo che mi scorreva fra le gambe. Era poco quel sangue, ricordo di averlo trovato un fatto strano.

E ho bevuto ancora, perché aveva ripreso a farmi male, molto male.

Prima di addormentarmi, se ben ricordo, ho guardato il mio Signore di nuovo. Ero stravolta, sentivo caldo e freddo ad ondate improvvise, la mente era completamente andata.

Avrei voluto dirgli “Vi amo.”

Spero di non aver proferito parola.

………………………….

Note:

Vi lascio senza note questa volta … perché non saprei cosa dire su questo capitolo, o darei troppi spoiler per il seguito!

Però prometto che risponderò esaurientemente alle nuove recensioni (se deciderete di farle) e di quelle vecchie, con cui sono ovviamente indietro!

Grazie a tutte come sempre!!

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Capitolo 16
*** L'erede ***


L’erede

Diverse ore dopo mi sono svegliata leggermente intontita, stanca e dolorante.

Ho aperto gli occhi lentamente e ricordato a fatica gli eventi accaduti poco prima.

Guardandomi intorno per la stanza, ho notato le poche candele lasciate accese, emanavano ancora una luce flebile, che mi faceva leggermente male agli occhi. Sono rimasta sdraiata per qualche istante, mentre mi strofinavo con le mani il viso e le tempie, poi ho cercato di concentrarmi su quanto successo tempo prima.

L’avevamo fatto, alla fine.

L’avevamo ucciso: era morto.

Non se ne sarebbe parlato mai più, non sarebbe mai più esistito il problema.

Sospirando profondamente, mi sono messa a sedere sul letto e ho guardato vagamente me stessa al di fuori: le cosce portavano ancora abbondanti tracce di sangue, ormai secco, arrivavano fin quasi alle ginocchia; stessa cosa valeva per le lenzuola, ancora leggermente attorcigliate alle gambe, mentre la sottoveste era tutta scompigliata all’altezza dell’addome.

A quella visione, una strana sensazione di disagio mai provata prima mi è salita lentamente fino al cervello.

Non mi era mai capitato di vedermi così, né di sentirmi così.

Forse ad Azkaban … ma no: ad Azkaban era diverso, molto diverso.

Ora invece avevo proprio la nausea.

Mi sentivo insicura, dubbiosa, ero stravolta e lui non era con me. Il mio Signore non c’era lì e mi sentivo sola ancora una volta, ma in maniera molto più intensa.

Ho dato la colpa all’alcol, alla pozione ingerita la sera per non sentire il dolore di quella cosa.

Non ci volevo pensare, ho provato ad alzarmi, nonostante il dolore alle membra, nonostante la sensazione che mi si lacerasse la carne fra le gambe, e che mi bruciasse tutt’attorno. Mi sono messa in piedi, alzando lo sguardo verso il buio.

Forte, potente come sempre, una strega invincibile: non era cambiato nulla.

Non volevo cedere a quelle brutte sensazioni provate fino a poco prima, non mi era facile e, nonostante mi sentissi molto debole, ho voluto fare un bagno caldo.

Mi ha sempre fatto bene dopo l’evasione da Azkaban. Mi fa provare quel caldo che spesso mi manca dal mio Signore. Lava via ciò che non mi piace, lasciando la parte migliore di me.

Quella forte.

Quella che ama il Signore Oscuro e non pensa a nient‘altro se non a lui.

La stanza da bagno di quella torre enorme era molto antica, nonostante la famiglia che vi abitava non fosse certo di antica stirpe purosangue.

La vasca era grande, alta, con piedi a zampa di leone e smaltata di bianco perlaceo. Era quasi bella come quella a villa Malfoy, ma non così lucida. Ho scaldato l’acqua con un semplice incantesimo, volteggiando la bacchetta distrattamente.

Ho indugiato lì per parecchio tempo, lavando via le tracce di sangue, lasciandomi bruciare leggermente le lacerazioni che mi aveva procurato quella cosa, perché l’acqua tanto calda sembrava quasi un disinfettante benefico, che mi pervadeva di calore.

Massaggiandomi i capelli con calma, per ritrovare la lucidità che tanto desideravo, mi sono rilassata quasi completamente.

Quasi.

Quella lucidità che desideravo infatti non è mai più tornata del tutto.

Dopo i momenti da poco trascorsi e prima di quelli che sapevo sarebbero arrivati, è stato come se la mia vita fosse cambiata impercettibilmente, anche se talmente in profondità da non accorgermene in maniera conscia.

Dopo lungo tempo ho sospirato, dovevo uscire di lì prima o poi: così l’ho fatto.

Dopo essermi asciugata e aver indossato una sottoveste pulita e leggera, lasciando i capelli appena umidi sulle spalle, mi sono recata ai piani più bassi, nel grande salone dove di solito trovavo il mio Signore.

Era ancora leggermente buio fuori e vedevo, dal corridoio, il baluginare del fuoco probabilmente acceso nel camino. Mi sono domandata come mai, dato che non faceva più freddo, anzi, il caldo era percepibile anche a quell’ora dell’alba, ci fosse il camino acceso nella stanza.

Ho tentennato. Volevo vedere il mio Signore, ma non sapevo lui come sarebbe stato con me, se freddo o leggermente gentile.

Solo quando mi sono decisa ad entrare nella sala, ho capito il perché di quel fuoco.

In quell’atmosfera buia, illuminata solo da quello, in un silenzio oscuro interrotto solo dal suo crepitare, ho notato Uroboro attorcigliato a pochi passi dal camino.

Uroboro … che vagava inspiegabilmente sempre a poca distanza da me, se ne stava buono non lontano dal Signore Oscuro.

Mi sono avvicinata sistemando i capelli che ricadevano davanti agli occhi.

Fra le sue spire teneva lui.

Sgath.

L’ho subito capito che era lui, non ho avuto il tempo di stupirmi, di pensare a cosa fosse successo e perché. Sapevo solo che l’erede era vivo.

Credo di essermi sentita felice, o sollevata, contrariamente a ciò che avevo sempre pensato, ma non capivo bene.

Di certo, però, più passavo gli istanti lì ferma e incapace di muovermi, più ero contenta come una bambina a cui è giunta la prima bacchetta magica: un gioco nuovo e prodigioso da scoprire.

Appena mi sono avvicinata al fuoco, il mio Signore mi ha puntato gli occhi addosso, impassibile e cupo, nell’ombra, freddissimo nei suoi atteggiamenti e lontano dall’erede.

Era assurdo.

Non sapevo perché lo avesse fatto, non sapevo perché lo avesse salvato, ma non mi importava: ancora una volta aveva fatto qualcosa di imprevedibile, qualcosa che mi aveva resa felice, come sempre.

Avrei dovuto sempre e solo contare su di lui, affidarmi a lui, senza pensare, come da sempre faccio.

Perché lui è il mio Signore e non sbaglia mai.

Con un cenno ho chiesto di potermi avvicinare al piccolo, a quell’essere strano, e lui ha acconsentito con una semplice occhiata.

Sgath. Ho sorriso guardandolo.

Era proprio piccolo, fermo lì, indifeso da far pena, sofferente forse … l’avevo tenuto per soli cinque mesi, e ora giaceva, debole e affannato al calore del camino, avvolto dal suo animale magico che lo proteggeva.

Mi sono seduta accanto a loro, guardandolo sempre e accostandomi a lui con una delicatezza che non sapevo nemmeno di avere, ho scostato i miei capelli morbidi e ancora umidi perché non gli trasmettessero il freddo. Sembrava tremendamente fragile, quasi morente.

Solo quando ha aperto gli occhi ho notato la sua fiamma vitale.

Quel fuoco gli dava energia vitale, era il suo elemento, lo sapevamo sia io che il mio Signore, per questo, forse, lo aveva adagiato lì.

O forse era stato semplicemente per opera di Uroboro.

Sgath aveva gli occhi di uno spiccato rosso rubino, tanto da farmi fermare il cuore per un momento: era davvero figlio di suo padre.

Anche i capelli erano strani. Qualche ciuffo spuntava sparuto già appena nato e anch’esso era rosso come i rubini. Sembrava un piccolo fuoco ardente.

Senza nemmeno rendermi conto del perché, mi sono rivolta al mio Signore per chiedere se avesse bisogno di mangiare.

“No, ho risolto io,” ha risposto guardandomi impassibile, come se parlasse di una pozione “l’elisir di Nagini nutrirà lui come ha nutrito me, rinforzerà lui come ha fatto con me quando avevo bisogno.”

Ho sorriso rassicurata, chissà poi perché, e ho sfiorato Sgath per la prima volta. Lui si è mosso appena sulle scaglie lucide e piumate di Uroboro, il serpente alato si avvicinava solo a me perché sapeva già di essere l’animale magico dell’erede. Subito infatti lo ha stretto per bene di nuovo fra le sue spire avvicinandosi contemporaneamente ancora di più al fuoco.

Sgath ha richiuso gli occhi man mano che si scaldava col suo elemento e si è riaddormentato.

Credo.

Non mi capacitavo di cosa esattamente fosse successo, né di cosa avrebbe significato tutto quello in avvenire. Guardavo questo piccolo estraneo entrato nella nostra vita, mia e dell’Oscuro Signore, proprio quando quella che era solo la mia vita è diventata la nostra.

Lo amavo e lo odiavo allo stesso momento, mi pesava, ero gelosa, ma sapevo che era mio e lo volevo per me. Mi domandavo anche il motivo per cui l’Oscuro Signore avesse agito in quel modo, perché l‘avesse tenuto in vita.

Mi chiedevo se l’avesse preso in braccio, se l’avesse guardato, accarezzato, lui, che non si accosta mai a nessuno.

Poi un pensiero improvviso è sorto nella mia mente: sarebbe vissuto? Si sarebbe salvato?

Sembrava veramente debole.

Passava il tempo. Stavo trascurando qualcun altro di importante.

Ho messo quindi subito da parte tutte le mie domande e, alzandomi, mi sono sistemata di nuovo i capelli e mi sono diretta verso il mio Signore, che osservava la scena da lontano, immerso nell’oscurità della stanza.

Mentre mi affiancavo a lui, un piccolo raggio del sole nascente ha fatto capolino nella stanza, tingendola di un colore rosso acceso.

Mi sentivo davvero strana, come se tutto andasse bene e male allo stesso tempo, come se il potere fosse ai massimi e ai minimi livelli nello stesso momento.

L’atmosfera tinta di rosso era ancora più strana, ma era percepibile che in quel momento ero legata al mio Signore più che mai prima d’ora, e questo, in quel momento, mi bastava, sapevo che mi sarebbe bastato per sempre.

……………………..

Note:

Così Sgath si è salvato! Era immaginabile, dai … non vi ho tenuto poi tanto col fiato sospeso. Questo capitolo mi è venuto in mente mesi e mesi fa (infatti ce l’ho scritto quasi da un anno …) mentre ripassavo per una lezione di embriologia in cui spiegavano che un feto umano è vitale già al 5 mese di gravidanza e che con incubatrici e cure varie già a quell’età i piccoli possono sopravvivere (un po’ a fatica). Mi sono detta: se ci riescono i babbani, vuoi che non ci riescano i maghi che creano Horcrux e rivivono dopo l’anatema che uccide?

Così l’ho fatto fare all’Oscuro Signore!

Facendo più o meno i calcoli del periodo in cui è stato concepito Sgath (che ho descritto nella ff “La sua migliore Mangiamorte”) è nato ad Agosto, ed è un segno di fuoco! (per chi segue tutte le mie ff, si era anche capito che era un mago di fuoco come Bellatrix).

Ebbene sì, segno del leone … proprio come Harry!!

 

Direi che ho concluso con le note! Non vedrete il Signore Oscuro cambiare i pannolini, tranquille! Mi inventerò qualcosa … (non so cosa).

Stavolta ho risposto a tutte le recensioni, quindi non mi resta che ringraziarvi tutte e darvi appuntamento al prossimo capitolo.

Il periodo è quello che è, l’ispirazione fa quello che le pare, e non ho più capitoli già scritti, per cui non so se sarà tanto presto! Spero continuerete a seguire comunque.

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Capitolo 17
*** Rossi come il sangue ***


Rossi come il sangue: Lord Voldemort

Guardavo lui nel buio della stanza, lo guardavo quasi in continuazione, io nell’oscurità e lui davanti a quel fuoco ardente: l’unico elemento che lo scaldava e che, di sicuro, contribuiva a tenerlo in vita.

Era incredibilmente debole in quel momento, e io odio i deboli.

Nonostante questo lo guardavo. Non per assicurarmi che non morisse, che anzi continuasse a respirare, alzando pian piano e regolarmente il piccolo petto: no di certo! Lo osservavo solo per capire com’era fatto.

Avevo visto tanti bambini appena nati all’orfanotrofio, tanti da averne la nausea, quei corpicini rugosi e umidicci, quella vulnerabilità estrema … ma lui era diverso.

Era speciale.

Aveva pianto non appena lo avevo afferrato e allontanato dalla carne di sua ... di Bella.

Aveva pianto, urlato e strepitato.

Doveva nascere già morto, già annientato, e invece era vivo e voleva vivere, cinque mesi non sono tanti, ma evidentemente avevamo aspettato troppo, tentennato eccessivamente.

Colpa di Bellatrix.

Dovevo ucciderlo immediatamente, in quel momento, ma improvvisamente ha aperto gli occhi con fatica, ma deciso, guardandomi davvero, guardando dritto nei miei.

Aveva occhi rossi come il sangue.

Rossi fin dalla nascita, dal suo primo istante di vita.

Non ho più voluto ucciderlo, è stata la decisione di un attimo: troppo rossi quegli occhi.

Era tutto silenzio intorno, meno che i suoi pianti, che si facevano man mano meno invadenti. Eravamo in tre, fermi su quel letto pieno del sangue di Bella, quel sangue così puro da sapere di ferro dolciastro, e spargere quel sapore ovunque nella stanza buia.

Sgath mi aveva guardato: di certo mi aveva riconosciuto.

Lei aveva perso conoscenza: c’eravamo solo noi due quindi, uno di fronte all’altro, gli eredi di Salazar Slythrin.

Non era come gli altri, lui era diverso.

Era speciale.

L’ho afferrato e allontanato, alzandomi in piedi e abbandonando il letto, richiamando subito Nagini al mio cospetto.

Prima di lasciare la stanza, ho lanciato un’occhiata a Bellatrix: era pallida, ma non sembrava sofferente, respirava tranquillamente, ho sfiorato la sua guancia dall’alto, con le dita, lentamente. Aveva la pelle calda, di sicuro non sarebbe morta.

Bene.

L’ho lasciata coi segni del suo sangue di cui erano ancora sporche mie dita, i segni di una carezza. Non se n’è accorta.

Bene.

Fuori da quella stanza il buio era ancora più totale, solo in quel momento l’erede ha smesso lentamente di piangere.

Il silenzio regnava sovrano.

Nagini nutriva Sgath per la prima volta mentre alimentavo il fuoco nel camino, nel mentre, anche il serpente alato giungeva da chissà dove, per avvolgere e riscaldare quell’essere dagli occhi straordinariamente rossi e selvaggi.

Era tutto un fuoco.

Nella stanza così buia faceva caldo, straordinariamente caldo. La rabbia per quel che stava accadendo la sentivo forte in me.

Non volevo andasse così, non erano i miei piani quelli, tutti i miei piani erano stati distrutti in quell’ultimo periodo: gli Horcrux, la battaglia finale, quella che Bella chiama adorazione, e ora anche quell’essere debole e fragile.

Ero nervoso, molto nervoso, ma avevo ugualmente placato il vento freddo che generavo in quei casi.

Per Sgath? Per proteggerlo dal freddo?

No … comunque generare vento non sarebbe servito a risolvere i problemi: perché dunque sprecare la mia energia magica?

Passavano i minuti, poi le ore. Lo osservavo.

Continuava a respirare, a fatica, lentamente, ma continuava.

Stava passando quella prima notte di agosto.

Solo molto più tardi è giunta Bella, in tutta la sua oscura purezza di sangue, in quell’aura nera che la contraddistingue ogni giorno di più.

Era felice, l’ho notato subito, contenta e soddisfatta di me, ancora una volta il suo Signore aveva esaudito i suoi desideri più profondi e i suoi bisogni più nascosti.

Come sempre da quando era una ragazzina.

Senza di me non poteva vivere, e questo mi piaceva.

E le piaceva.

Li osservavo da lontano, la studiavo.

Sembrava più delicata del solito, più attenta: solo col suo Sgath è così, il suo Sgath … come lo chiamava lei, anche se credeva che non lo sapessi.

Illusa: io sapevo e so tutto. Io leggo la mente.

Spietata con tutti, meno che con l’erede, capace di odiare tutti, tanto quanto sa adorare me: è strana Bella.

Una bambina lei stessa. Giovane, sensuale, devastante nel suo fuoco.

Poi l’ho vista avvicinarsi, ma non ho cambiato espressione, ho solo seguito il suo volto.

Quando si è affiancata a me, un raggio di sole nascente, anch’esso rosso come il fuoco, le ha illuminato il volto: non aveva il rossetto rosso sangue in quel momento e, per la prima volta, la vedevo con le labbra leggermente pallide.

E di nuovo coi capelli umidi, come quella volta, quella volta di tanti anni fa.

Improvvisamente ho avuto di nuovo il forte desiderio di riempirle quelle labbra di sangue: avrei voluto morderle fino a farle male.

A ferirla ancora, ma facendole male, male come mai prima d’ora.

…………………………….....

Note:

Ho un bel po’ di cose da dire, prima di tutto non pensavo di aggiornare tanto presto, ma dato il brutto tempo oggi pomeriggio ho buttato giù tutto il capitolo di filato. Di solito aspetto prima di pubblicare, così da correggere e aggiungere se noto che manca qualcosa … ma questo credo lo lascerò tale quale, per cui …

Come si sarà capito, è la versione del Signore Oscuro sull’ultimo importante avvenimento.

Come notate non c’è un vero perché al suo atto di voler salvare l’erede, se non quello che ha gli occhi rossi sangue.

Insomma … gli ricordava troppo se stesso, questo volevo intendere!! Tanto più che capisce che lui, praticamente destinato a morire, vuole vivere a tutti i costi, altra cosa che gli ricorda se stesso …! D’altra parte gli occhi sono lo specchio dell’anima.

Presto noterete che, a parte i capelli rossi, Sgath sarà uguale a sua madre, meno che per gli occhi … che sono gli occhi del padre.

L’esatto opposto di Harry.

Andando avanti così, con tutte queste smancerie, metterò presto l’avviso OOC alla storia, tranquille!!

Nelle ultime righe, c’è un riferimento preciso a “Sgath, che significa oscurità” quando si parla di “quella volta di tanti anni fa” quando Bella aveva i capelli bagnati (il capitolo, eventualmente, è questo: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=435049&i=1)

Altra cosa: quando lui si riferisce a Bella come “giovane” o “lei stessa una bambina” è ovviamente perché lui è molto più vecchio di lei, in verità non è che Bella sia più effettivamente così giovane.

Come spesso accade, non ho ancora finito di rispondere a tutte le recensioni … ma non mi ridurrò troppo aventi. In caso, lo dico anche qui, potete richiedere di entrare nel gruppo dove si parla delle mie storie e altre, andando nel mio profilo, di solito lì sono più veloce a rispondere.

 

Volevo fare un ringraziamento speciale perché, con lo scorso capitolo, ho notato che le letture sono state tantissime.

E che qualche nuovo lettore ha anche commentato.

Grazie davvero!

Direi che ho finito di tediarvi! Ora pubblico, alla prossima.

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Capitolo 18
*** Attenzioni, odi e amori ***


Attenzioni, odi e amori

Poco dopo la nascita di Sgath, la temperatura aveva iniziato a diventare più fresca, il tempo era più spesso piovoso, e l’umidità era palpabile nell’aria.

Avevo iniziato ad avere voglia di andarmene da quel posto. Non reggevo più di stare sempre ferma, inattiva, come bloccata. Quella sensazione, quella condizione, mi iniziava a dare la nausea, mi sentivo soffocare.

Ero felice solo quando il Signore Oscuro si degnava di restare fermo anche lui in quella torre, senza allontanarsi dalla radura.

Effettivamente, succedeva abbastanza spesso.

C’era una forza che non ci permetteva di allontanarci troppo tempo da quel piccolo essere ancora morente.

Anche se era debole e inutile, anzi, era un vero e proprio peso, nessuno di noi lo diceva apertamente e anzi, entrambi restavamo lì.

Sentivo un’infinita rabbia nei confronti dell‘erede, per quanto erede tendevo ad odiarlo a tratti: se non fosse stato per lui, non saremmo stati fermi e impotenti; con ogni probabilità il mio Signore avrebbe fatto enormi progressi con la ricerca della fenice, e io con la creazione della bacchetta.

Di lì a poco, immaginavo, avremmo potuto vincere la battaglia e la guerra, smettendo di nasconderci qui come topi.

Solo a causa del piccolo non stava succedendo niente di tutto ciò: la vita, i momenti, il tempo, tutto mi scorreva davanti agli occhi e lo vedevo andare via, senza agire, senza uno scopo.

A tratti mi pentivo di avere desiderato che il mio Signore lo salvasse, per poi pentirmi di quello stesso pensiero.

Mi si scatenava una gran rabbia dentro … e allora andavo a vedere se fosse ancora vivo.

Era bello Sgath … era l’unica nota positiva dell’averlo: il fatto di poterlo guardare, magari mentre dormiva.

Dopo qualche settimana da che era venuto al mondo, sembrava essere leggermente cresciuto, anche se rimaneva magro e un po’ sproporzionato, a mio parere.

“Sono tutti così.” mi diceva il mio Signore improvvisamente. Mi leggeva la mente e mi rispondeva ad alta voce, alle spalle.

Sentivo sempre un’ emozione fortissima quando, inaspettatamente, compariva accanto a me. Quando sondava nella mia mente i pensieri e io non avevo bisogno di esprimerli. Adoravo che penetrasse in me, in ogni modo, anche in quello.

Mi voltavo verso di lui e tacevo.

Restavamo a guardarci a poca distanza l’uno dall’altra, senza parlare. La sentivo una condizione strana, come se pretendesse qualcosa da me.

A volte mi chiedevo se non desiderasse che io tornassi a tentare di baciarlo, come facevo un tempo.

Dal canto mio, avevo rinunciato ormai, mi ero rassegnata al fatto che era inutile chiedere quel genere di gesti, ma lui, dal momento in cui ha capito ciò, ha iniziato a guardarmi, ad accostarsi a me in maniera strana, enigmatica.

Non lo capivo.

“Quando sono nati da poco, sono tutti così.” aggiungeva, avvicinandosi ancora.

“Sproporzionati, come pensi tu.”

Sorridevo vagamente a quelle parole. A dire il vero, mi incantavo a guardarlo.

Sempre così duro, freddo, distaccato … eppure … qualcosa era cambiato da quel giorno in cui ero tornata dopo tutti quegli anni ad Azkaban.

Era cambiato dopo che mi aveva posseduta quella prima volta, la notte del Ministero. Era cambiato prima di punirmi tanto brutalmente la notte in cui Potter era fuggito, ed era cambiato dopo aver notato che non stavo più sanguinando, che ero incinta.

È cambiato, da quando c’è Sgath più che mai.

Il Signore Oscuro non l’aveva sfiorato nemmeno una volta, almeno, io non lo avevo mai visto farlo. Eppure, aveva una considerazione diversa per lui, speciale.

Retthler, l’elfo domestico, si occupava di tutto.

Per fortuna che non avevo ucciso anche lui, o sarebbe stato un guaio.

Sgath, degno figlio di suo padre, piangeva poco, a volte, solo quando mi vedeva entrare nella stanza, urlava e strepitava.

Forse era troppo debole anche per piangere e, quando lo faceva, era per totale disperazione.

In quei rari casi, mi sedevo a fianco a Uroboro, in silenzio e davanti al fuoco, e gli davo l’elisir di Nagini con le mie mani.

Non lo prendevo mai in braccio, restavo seduta per terra a pochi centimetri da lui, era il serpente che si muoveva cercando di mantenere la posizione migliore e sibilava parole che non potevo capire in direzione del piccolo.

Era un’atmosfera irreale, c’era fin troppo caldo con quel fuoco, ma Sgaht era fragile e debole, non avevo visto mai nulla e nessuno così, prima di allora. Beveva quella sorta di latte con avidità, come se sapesse che lo poteva salvare.

Sembrava me ne chiedesse sempre di più.

Avevo imparato a notare che le fiamme si alzavano sempre leggermente quando prendeva da mangiare, e ci illuminavano completamente. I nostri sguardi si incrociavano spesso mentre succhiava voracemente quella strana sostanza lattiginosa: aveva gli occhi di suo padre, e una luce forte, arrabbiata, si sprigionava da essi, impalpabile e incomprensibile, ma chiara.

Nei momenti in cui pativa, o era visibilmente sofferente, le fiamme tendevano a diminuire man mano, fin quasi a spegnersi.

Era un fenomeno strano, incontrollabile anche da lui, sicuramente.

All’inizio non mi importava cosa ne sarebbe stato di Sgath, ma dopo poche volte in sua compagnia, anche per pochi istanti, avevo iniziato ad avere paura che morisse.

Non dicevo al mio Signore di questa paura: lui, al contrario, era certo che sarebbe sopravvissuto.

Era molto più sicuro di me.

Dava gli ordini a Retthler su cosa fare, serio, rigido, mai arrabbiato. Sapeva tanto di come si dovevano trattare i bambini piccoli, o forse ero io che sapevo davvero poco, ma non avevo mai osato chiedere nulla in proposito.

Non dovevano essere argomenti piacevoli di cui chiedere al mio Signore.

Credevo di aver imparato qualcosa di lui finalmente, pensavo di aver capito come non adirarlo, e come compiacerlo. Speravo di aver colto come farmi … apprezzare più del normale.

Invece mi sbagliavo. Troppo imprevedibile, scostante, troppo oscuro.

È stato un giorno, all’improvviso, che mi sono resa conto di non aver capito ancora nulla di lui, e che mi piaceva proprio così.

“Trovi che mi somigli?” mi ha chiesto a bruciapelo ad un tratto, comparendo e fermandosi a fianco a me, giusto prima che Sgath smettesse di succhiare l’elisir.

Nagini, presenza a cui avevo dovuto abituarmi nonostante la mia folle gelosia, scivolava anch’essa accanto ad Uroboro con aria strana, silenziosa e circospetta. Ho alzato lo sguardo verso di lui.

Ero seduta per terra, praticamente ai suoi piedi. Ci guardavamo intensamente, la domanda mi aveva stupita e non poco.

“A tratti, mio Signore.” ho risposto senza muovermi.

Pochi istanti dopo ho voltato lo sguardo verso Sgath, solo per guardare, ancora una volta, i suoi occhi.

Ho scatenato l’inferno con quella mossa.

Mi ha afferrato forte il polso per tirarmi in piedi a forza. In pochi attimi l’ho avuto davanti, imponente più che mai. La sua stretta mi faceva male, ma quel moto di rabbia mi piaceva.

“Devi guardare me quando ti parlo, capito? Me!” ha detto con rabbia, conficcando quasi le unghie nella mia carne.

Sentivo la testa girarmi, una frenesia splendida. Troppo improvvisamente la tensione fra noi era salita, in un instante: dal nulla al tutto.

Mi piaceva quella sensazione, ho atteso un po’ godendomela.

“Certo, mio Signore.” ho risposto in un soffio, mentre mi sentivo bagnata dappertutto.

Era geloso?

Impossibile. Eppure questo pensiero mi stava facendo impazzire dall’eccitazione. Improvvisa, istantanea, pura eccitazione.

Sempre strattonandomi, mi ha accostata a sé. A pochi centimetri dal suo volto, dalla sua pelle, dalle sue labbra.

Il respiro mi si stava facendo affannoso.

“Non tenti più di baciarmi, piccola maledetta sgualdrina.”

A quelle parole, ho sentito una fiamma divamparmi dentro, dall’inguine, al ventre, al seno. Sul polso che stringeva con tutta quella forza, sentivo pulsare violento il sangue accelerato dai battiti troppo forti, troppo eccitati, del mio cuore.

Da quanto tempo non mi chiamava più così …

Era geloso? Voleva le mie attenzioni? Quelle cha aveva sempre crudelmente respinto?

Si era avvicinato così tanto, che ho semplicemente socchiuso le labbra per avere le sue, per sentirle finalmente, sfiorandolo poi, spregiudicata e provocante, con le cosce e col seno, avvicinandomi sensualmente al suo corpo.

Nel momento più bello, con uno strattone al braccio e una spinta feroce, mi ha fatto semplicemente cadere a terra, davanti a lui. Non ho sentito per niente male.

Non potevo smettere di guardarlo, di aspettarlo.

Mentre ridevo di tutta quella situazione, come mai avrei dovuto ridere davanti a lui, sicura e contenta, ho socchiuso le ginocchia invitandolo silenziosamente ad entrare.

Senza dire una parole

Mi ha presa lì, come desideravamo, a pochi metri dal fuoco, a pochi metri da Sgath, con le fiamme che crescevano spropositatamente nel camino, e illuminando di rosso intenso tutta la stanza.

…………………………….........

Note:

Scrivo le note velocemente perché ho un po’ di cose da fare, ma per qualche motivo ho voluto aggiornare subito …

Il piccolo sopravvive, come vedete, e i deliziosi genitori si adattano a lui anche se a malincuore e con modalità differenti.

Può parere che il Signore Oscuro sia geloso del piccolo, come qualcuna di voi si era domandata, in realtà, è adirato perché in generale gli mancano quelle attenzioni da parte di Bella che lui stesso aveva schifato in precedenza …

Bella invece non è tanto gelosa quanto arrabbiata: si sente bloccata, non riesce a mettersi in mostra e fare magie per il suo Signore e questo la infastidisce moltissimo.

Insomma, Sgath crea scompigli amorosi …

Quando Bella dice “Speravo di aver colto come farmi … apprezzare più del normale.” in realtà intende “farmi amare” ma ovviamente non lo pensa e non lo dice chiaramente …

Dalle ultime frasi, si nota, forse, come avevo accennato nei capitoli scorsi, che il piccoletto trae forza dall’unione e dalla passione dei due genitori. (Tutto il suo essere, al momento, è rappresentato dal fuoco).

Ci sarà un perché a questo, anche se non fondamentale, ma lo spiegherò più avanti.

Direi che è tutto! Capitolo piuttosto discorsivo, ma voglio crogiolarmi un po’ su queste fantasie prima di passare alla fase “svolta alla storia“.

Grazie a tutte per le recensioni allo scorso capitolo! Mi hanno fatto molto piacere!

Sono indietro con le risposte, ho voluto aggiornare comunque, ma magari la prossima volta evito e prima rispondo, poi pubblico! Scusate ancora.

Ovviamente mi farò sentire in questi giorni per recuperare tutto!

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Capitolo 19
*** Piccolo diabolico erede ***


Piccolo diabolico erede: Lord Voldemort

Sentivo il richiamo della fenice: era chiaro e prepotente, un suono portatomi dal vento.

Mi affacciavo alla finestra e guardavo nel buio ogni volta, cercavo la sua sagoma nera, più nera della notte, anche se sapevo essere troppo lontana per scorgerla realmente. Ormai era ora di tornare a cercare, era passato molto tempo. Me lo annunciava lei stessa, se non mi fossi mosso, l’avrei persa definitivamente.

Ero nervoso.

L’erede mi stava distraendo e non avrei dovuto permetterlo, me l’ero ripromesso.

L’erede, o come lo chiamava Bella, Sgath, quell’essere con gli occhi troppo uguali ai miei per eliminarlo o per annientarlo, stava assorbendo il mio tempo più del dovuto.

Molto più del dovuto.

Un essere misterioso Sgath, potente, che perseguitava i miei pensieri come li aveva perseguitati tante volte in precedenza l’immagine di Bella.

Non che la maledetta immagine di lei mi avesse finalmente abbandonato, peggio: erano diventati due.

Due esseri diabolici e velenosi che non avrei dovuto lasciar avvicinare a me così tanto, mai.

Invece mi ostinavo a commettere troppi errori, di ogni tipo. Errori con Potter, errori con loro.

I dolori lancinanti alla testa continuavano e non si placavano. La mia volontà allontanava il Bambino Sopravvissuto, che, involontariamente, stabiliva un contatto a volte forte, a volte vago.

Era troppo presto per incontrarlo.

Troppa confusione: non era il momento.

Passavano i giorni, passavano le settimane. L’autunno iniziava a tingere di giallo e di rosso l’atmosfera attorno a noi. Il bosco, la foresta, il sottobosco, la terra.

Era rosso il colore dominante: scuro, chiaro, acceso, cupo, antico, ma sempre rosso, ovunque quel colore.

Come gli occhi di Sgath, come i suoi capelli che spuntavano quasi folti ormai, scompigliati e ribelli come lingue di fuoco.

Bella lo prendeva in braccio notavo, lo faceva sempre più spesso man mano che passava il tempo, e rideva sfrontatamente con lui, lo avvicinava, lo sfiorava, lo girava e rigirava fra le sue braccia. Due fiamme che giocano e danzano l’un con l’altra.

Lui, fin troppo piccolo e fragile: una piccola nullità che sopravviveva e sfida la mia strega. Non so con che forza riuscisse a vivere.

Eppure sembrava trarre forza ogni giorno di più.

Bella si è avvicinata a lui cauta col passare dei giorni e poi, col passare delle settimane, si sono congiunti come doveva essere.

Io non l’ho mai toccato, né mai lo farò.

Mi guardava Sgath, mi osservava, ma non sorrideva.

Sorrideva solo a sua … a Bella.

Allungava la sua piccola insignificante manina e mi chiamava con i suoi occhi, come se volesse parlare, come se volesse afferrarmi, capirmi.

Nessuno lo potrà fare, nemmeno lui.

Afferrarmi? Capirmi?

No, io dovevo trovare la fenice, ognuno ha il suo desiderio, il suo destino.

“Bella,” mi sono rivolto improvvisamente a lei risoluto, tornando subito al presente, scacciando quegli inutili pensieri “hai tutto pronto per la bacchetta?”

La mia voce alle sue orecchie è come un richiamo, nel buio della camera da letto è sufficientemente vicina per vederla bene, avrei potuto quasi toccarla, farle male … di nuovo …

L‘ho guardata: la sua pelle, le sue membra vive e vivaci, il suo seno, le sue labbra.

Quelle labbra. Le desideravo ogni giorno di più.

Maledette.

Sentendo le mie parole, ha adagiato il piccolo fra le lenzuola e la coperta, a fianco a lei.

L’ha avvolto al caldo, con un tocco quasi delicato, dopo averlo tenuto vicino, fra le braccia, pelle a pelle, dopo aver provato a fargli afferrare la sua bacchetta. Ricordavo come i bambini all’orfanotrofio afferravano i giocattoli per neonati, lui giocava con una bacchetta tanto potente.

Sgath era davvero diverso, era suo, e Bella si divertiva come una bambina fra me e l‘erede: per lei è sempre stato tutto un gioco divertente.

Dopo averlo abbandonato solo, a lato del letto, ha strisciato fino a me fra le lenzuola, suadente, provocante.

Restava sempre nuda dopo, nella speranza di rifarlo, o forse semplicemente perché le piaceva restare così.

“Devi smettere di giocare con lui, Bella. È debole e non è un giocattolo.”

Non ha risposto subito, ma si è voltata semplicemente verso Sgath. L’abbiamo guardato insieme, con la bacchetta di noce che non poteva certo tenere in mano, ma che toccava e tentava di afferrare malamente in vari modi.

“Va bene mio Signore,” ha risposto mentre io ancora guardavo l’erede “farò come volete voi.”

Era di buon umore negli ultimi tempi. Stava facendosi tante speranze, non avevo bisogno di leggerlo nella sua mente, era chiaro dai suoi occhi.

Non importava: si sarebbe svegliata presto da sogni e fantasticherie.

L’amore non esiste. E non avrebbe iniziato certo ad esistere da quei momenti in avanti.

“Rispondi alla domanda che ti ho fatto.” ho intimato nervoso.

“Ho tutto pronto da tempo, mio Signore, lo sapete già. Fra pochi giorni sarà notte di esbat. Se preferite, posso fare già le prove. Non arriverò impreparata al giusto momento.”

Ho annuito pensieroso.

Ero soddisfatto in verità, lei era preparata, sempre un’ottima strega nonostante le sue varie e troppe distrazioni.

“Domani partirò di nuovo per cercare la fenice.” le ho annunciato.

“Mio Signore …” ha subito detto in un sospiro, come allarmata. Si è voltata poi sul letto, poggiandosi sui gomiti e guardandomi con occhi disperati.

Finalmente stava soffrendo di nuovo.

Per me. Per la mia lontananza.

“Sì?” ho insistito io su questa sofferenza.

Le leggevo nella mente che voleva chiedermi di non abbandonarla, di non andare.

Sciocca.

Tacevo e la guardavo fissamente: volevo misurare davvero la sua sfrontatezza si sarebbe spinta ad osare chiedere una cosa simile.

“Cosa mi vuoi dire Bella?”

Si era avvicinata ancora.

Nuda, bella, provocante, si mordeva le labbra umide, senza trucco, attenta, indecisa, silenziosa, ma trepidante.

Non osava.

E io aspettavo.

E lei non parlava.

Poi ha socchiuso le labbra, prendendo un sospiro più lungo.

Ero pronto ormai a sentire quelle parole.

“Nulla, mio Signore. Sono contenta che me lo abbiate annunciato.”

L’ho odiata.

L’ho maledetta dentro di me, ero furioso.

Lei, invece, mi ha sorriso provocante, come se nulla fosse. Voleva farlo di nuovo, probabilmente.

Continuavo ad odiarla. Più la guardavo, più la rabbia montava.

Ho aspettato che si avvicinasse di nuovo, lentamente, per afferrarle d’improvviso i capelli.

Stretti, quasi più forte del solito, per farle male, per spaventarla.

“Non avrai nulla, strega, non ci sperare. Cosa cercavi di dire poco fa? Cosa osavi desiderare?” ho ribadito furiosamente, quasi attaccando il suo volt o al mio, stringendo quei capelli ribelli.

Tali quali quelli di mio … tali quali quelli di Sgath. Solo neri come la notte, invece che rossi come il fuoco.

E ho stretto di più, rubandole un grido a metà fra il dolore e una parvente eccitazione.

“Volevo chiedervi … di rimanere, mio Signore. Di non abbandonarmi.”

Ho allentato leggermente la presa, più soddisfatto.

“Perché vi adoro, mio Signore. Posso vivere solo se ci siete voi accanto a me. La vostra presenza mi piace. Vi adoro più che mai.”

A quelle parole ho abbandonato i capelli e afferrato i suoi fianchi.

Faceva bene a restare nuda dopo averlo fatto.

La mia piccola sgualdrina.

Tornava spesso utile ultimamente.

Non solo per noi.

Ogni volta, ogni singola volta che succedeva di unirmi a lei, notavo le fiamme ardere potenti nel camino. E illuminare di rosso cupo tutta la stanza, ovunque fossimo se c’era anche lui.

Il piccolo in quei momenti stava buono, calmo, e prendeva salute e potere come dall‘elisir di Nagini.

Piccolo diabolico erede.

 

…………………………….......

Note:

Nonostante la follia delle ragazze del gruppo delle mie ff (e non aggiungo altro altrimenti le mie grazie finiscono anche qui) sono riuscita ad aggiornare!!

Grazie a tutte, mie adorate!!

Su questo capitolo ho poco da dire, soltanto che mi permetto di far sbagliare tante volte il Signore Oscuro che si ripromette le cose e poi cambia idea o non le mantiene, solo perché, effettivamente, la Rowling non gliene fa combinare una buona, soprattutto alla fine!

Per il resto, nulla di speciale da spiegare, tranne che il piccolo Sgath sta diventando “parte della famiglia”.

Se noterete, prima c’era solo Bella “la mia piccola sgualdrina” ora c’è anche il figlioletto “il piccolo diabolico erede”. Insomma, il nostro eroe è in piena crisi di affettività!

Grazie a tutte coloro che mi hanno recensita, l’ultimo capitolo è tornato alle antiche glorie di Sgaht! Ve ne sono molto grata. Ho iniziato a rispondere e finirò entro pochi giorni!

Grazie ancora!

E a presto con qualche altro aggiornamento lampo, chissà.

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Capitolo 20
*** Tuo padre ***


Tuo padre

I primi giorni di solitudine dopo tanto tempo passato fianco a fianco del mio Signore erano stati terribili: mi mancava più che mai, sentivo un bisogno fisico, quasi soffocante, di lui.

Passavo tutto il tempo con l’erede e solo col passare dei giorni sono riuscita a stare meglio. Leggermente meglio.

Il piccolo, invece, sembrava reagire in maniera completamente opposta alla mia. Non capivo come facesse, ma aveva percepito la mancanza di qualcuno nella sua vita e la reazione era stata tanto improvvisa quanto violenta e drammatica.

All’inizio non c’era avvenimento o momento della giornata che non condividessi con Sgath: i suoi occhi e il suo sguardo così particolare per un bambino tanto piccolo mi facevano sentire felice, mi ricordavano il mio Signore.

Ogni volta che mi sento felice, percepisco una straordinaria potenza dentro di me, e volevo trasmettere a lui.

Se ancora era l’elisir di Nagini a nutrirlo più e più volte al giorno, ed era Uroboro a cullarlo e a tenerlo costantemente d’occhio, io non perdevo occasione per passare il mio tempo con lui.

Non certo perché mi piacesse eccessivamente, odio i bambini, ma non avevo nessun altro.

E lui era speciale.

Non c’era rito, lungo o breve, che non condividessi, che non compissi in sua presenza. Non c’era incantesimo magnifico o infimo che non creassi davanti ai suoi occhi; lo facevo giocare con la bacchetta magica ogni volta che agitava le manine.

Non c’era ingrediente raro o meno che non gli facessi guardare e toccare prima di usarlo per una qualsiasi pozione, e non c’era formula che non gli canticchiassi a memoria, tante volte, come se dovesse impararla anche lui: mi rendeva soddisfatta vederlo curioso per quelle strane cantilene. Non esisteva evocazione che non gli raccontassi per filo e per segno mentre mi guardava quasi attento in quelle lunghe notti rischiarate solo dalla luce della luna.

Sembrava capire, anche se era ovvio che non fosse vero, ma quell’aria misteriosa che assumeva talvolta mi faceva dubitare che non fosse in grado di comprendere ciò che gli avveniva attorno.

Alla fine di ogni incanto sorrideva.

Quando strillava disperato, invece, non lo sopportavo proprio e gridavo più forte di lui, chiamando Rhettler, l’elfo domestico, che lo cambiasse.

Strillava però sempre più spesso col passare dei giorni e delle settimane, e sempre meno spesso era per essere cambiato, o per fame.

Diventava nervoso, profondamente agitato.

Forse si sentiva solo, proprio come me, mentre il tempo passava inesorabile.

Una notte, la notte di esbat di quello stesso mese, il momento in cui avrei dovuto fare la prova per richiedere il legno all’albero di tasso, ho preso l’erede con me, per la prima volta, all’interno del cerchio magico.

Prima di prelevare il legno dall’albero, perché questo conceda i suoi massimi poteri, l’esbat vuole la creazione di un rito all’interno del cerchio magico.

Eravamo dunque insieme, Sgath ed io, fra le candele e i simboli magici, alla luce totale della luna piena.

Era la luna di nebbia e l’atmosfera diventava sempre particolare durante quelle notti: il buio si tingeva completamente di luce biancastra, dando un aspetto vago ed inconsistente a tutti gli oggetti e i paesaggi attorno. Era un effetto stranamente magico dovuto alla comparsa di una nebbiolina che saliva fitta dalla fredda terra, senza però arrivare a coprire la luna.

La lasciava invece limpida e potente in tutto il suo argenteo splendore.

I raggi pieni di quella magia si posavano sui capelli di Sgath in maniera curiosa e rischiaravano i ciuffi folti di capelli rosso scuro.

Era felice di stare nel cerchio magico con me, ero sicura: rideva e ridevamo insieme, giocavamo a far muovere il fuoco delle candele, lo faceva insieme a me, inconsapevolmente, come un gioco innocente, insieme giocavamo col fuoco.

Gli facevo vedere com’era bello essere potenti. Com’era divertente comandare la magia, gli elementi, la natura e il mondo.

Era vero, era speciale.

Per tanto tempo abbiamo continuato a stare bene lui ed io, senza curarci di nulla e di nessuno, niente poteva scalfire quei momenti di sfrenata felicità; fino a che, improvvisamente, è diventato più mogio, più e sempre più nel giro di pochi istanti.

Fino ad iniziare a tremare prima piano, poi sempre più forte, ancora rannicchiato fra le mie braccia.

Tutta la magia si è spenta in quegli attimi.

Non riuscivo più a ridere e giocare, non sarei riuscita a fare magie e nemmeno a decidermi ad abbandonarlo da solo, in seguito, per cercare il legno di tasso.

Ho dovuto lasciar passare un po’ di tempo prima di realizzare che davvero Sgath stava di nuovo male e io non volevo fregarmene. Questa volta.

“Dopotutto,” riflettevo “si trattava semplicemente di una prova, non della bacchetta vera; dopotutto,” continuavo fra me e me “ho ogni particolare riguardante la bacchetta sotto controllo.”

Non potevo lasciare Sgath.

Temevo effettivamente che il Signore Oscuro si sarebbe infuriato se non lo avessi messo al primo posto, lui era sempre al di sopra di qualsiasi cosa e glielo dovevo e volevo dimostrare.

Sapevo anche che si sarebbe potuto infuriare allo stesso modo se avessi lasciato l’erede da solo. Lui era troppo imprevedibile, dovevo agire d’istinto, come sempre avevo fatto e come sempre avevo deciso per il meglio.

Ho stretto il piccolo fra le braccia: era freddo e non aveva la febbre.

Ho guardato la luna: l’unico mio desiderio in quel momento era uscire nei boschi, come sempre, senza problemi ad impressionarmi.

Quando l’ho sentito tremare di nuovo, sempre più frequentemente e sempre più violentemente, ho preso una decisione istintiva e nient’affatto razionale: mi sono allontanata da quella stanza selvaggia per tornare nella sala che occupavamo col piccolo. Quel luogo gli era famigliare e c’era caldo sapevo sarebbe stato meglio.

Avvicinandomi al camino ho fatto alzare le fiamme il più possibile.

Non è servito a nulla.

Sgath tremava ancora e mi guardava impaurito, come se capisse, come se avesse paura di ciò che gli stava succedendo: era sofferente come all’inizio, quando l’avevamo fatto nascere troppo presto per ucciderlo, ed era vivo per un momentaneo ripensamento del Signore Oscuro, quando ancora rischiava di morire da un istante all‘altro, e nessuno si occupava realmente di lui.

Forse lo sentiva.

Ho richiamato a me una calda coperta e l‘ho avvolto.

Mi è venuta seriamente paura: più lo accostavo a me, più sentivo quel tremore venire dal profondo delle sue membra, come se soffrisse di un freddo ancestrale.

L’ho stretto forte. L’ho stretto come avrei voluto fare col mio Signore ogni volta che avevo il terrore che mi abbandonasse, o che non mi considerasse la migliore. L’ho stretto come avrei voluto stringere il mio Signore accanto a me dopo aver fatto sesso, quando per me era aver fatto l‘amore e per lui no.

L’ho stretto forte per paura di perderlo, cercando di scaldarlo perché la smettesse di tremare e riprendesse a giocare come prima. Con me.

Lui però non smetteva.

Non volevo morisse, non volevo più, come prima, che gli succedesse qualcosa per liberarmi di lui definitivamente e senza addossarmi colpe.

Lo guardavo e non riuscivo a parlargli.

Mi guardava disperato senza poter piangere, poi chiudeva gli occhi per affrontare ogni singolo attacco di brividi.

Le coperte non riuscivano a scaldarlo completamente. Io non riuscivo a scaldarlo completamente.

Sapevo benissimo cosa mancava, anzi, chi mancava.

Era chiaro.

Sapevamo bene il mio Signore ed io come le fiamme nel camino diventavano forti e allegre quando eravamo vicini, era semplice accorgersi di come il fuoco scoppiettava perennemente quando lui mi parlava e mi guardava le labbra e il seno in quel modo tanto vorace.

Era splendido notare come bruciasse intensamente quel fuoco quando io lo provocavo e lui si arrabbiava con me, o fingeva di punirmi.

Le fiamme divampavano violente tutte le volte che mi possedeva con tanta voglia e desiderio. Lungamente, ripetutamente.

Sempre.

Sì, sapevo già cosa avrei dovuto fare.

Ho avvolto Sgath in altre coperte, coricandolo sul divano davanti al fuoco e mi sono seduta sul tappeto, a fianco a lui.

Dovevo solo trovare il coraggio.

Ho guardato ancora una volta quegli occhi di quel rosso così cupo e profondo, e mi sembravano troppo sofferenti e impauriti

“Ora chiamiamo tuo padre.” gli ho sussurrato vicina, sorpresa io stessa di ciò che mi era venuto in mente di pronunciare.

Ho alzato la manica della veste ricamata ed è apparso, nero come non mai, il teschio col serpente. Era grande, bello e oscuro su tutto l‘avambraccio sinistro.

Mentre lo toccavo speravo che il Signore Oscuro non s’infuriasse perché lo avevo distolto dalla ricerca della fenice nera, non era proprio il momento di affrontare la sua ira quello.

Ho guardato Sgath, mentre toglievo le dita dal tatuaggio, quel tocco era un richiamo: sarebbe tornato da me, lo sapevo, come ho sempre saputo tutto di lui.

“Chiamiamo tuo padre.”… le parole che avevo proferito all’erede poco prima, mentre ero tanto vicina a lui da fargliele sicuramente arrivare al cuore, sarebbero rimaste per sempre un segreto tra noi.

Eravamo in due, dopotutto, ad avere un bisogno vitale del Signore Oscuro.

 

 

……………………………...

Note:

Ed ecco l’aggiornamento serale (a costo di uscire in ritardo, ho preso gusto ad aggiornare o venerdì o sabato sera)!

Direi che in queste note non ho molto da spiegare, anche perché è un capitolo descrittivo e un po’ noioso.

Volevo descrivere però qualcosa della vita particolare di questi personaggi e approfondire il legame che c’è fra di loro, anche se nessuno, ovviamente, lo dimostra a gesti e parole. Forse sono stata pure troppo romantica, ma ormai la storia ha preso vita a sé, che ci posso fare??

Non ricordo molto bene se per chiamare l’Oscuro Signore i Mangiamorte usano la bacchetta o bastano le dita per toccare il Marchio Nero! A me è sembrato più bello col tocco della dita, soprattutto per una come Bella e così ho messo.

Ultima nota: l’esbat, per chi ancora non lo sapesse (vi ho fatto una testa così con sabba ed esbat) è la notte di luna piena.

La luna di nebbia è la luna piena che cade nel mese di novembre circa, quindi Sgath è nato da circa 3 mesi. Bella se lo spupazza come un giocattolino, ma il piccolo è ancora debole.

Grazie a tutte per le tante e bellissime recensioni, mi fanno molto piacere e mi trasmettono entusiasmo (infatti sto scrivendo un sacco ultimamente!!). Scusate se ancora non ho risposto alle ultime, lo farò a breve.

Grazie ancora a tutte e a presto

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Capitolo 21
*** Inutile e fragile creatura ***


Inutile e fragile creatura

Il Signore Oscuro ha impiegato pochi istanti prima di comparirmi davanti in tutta la sua potenza.

Quella figura alta, magra e nera, si stagliava davanti a me come un’ombra minacciosa. In quell’istante ho vagamente intuito che forse ero stata leggermente precipitosa a chiamarlo a me. Ancora seduta sul tappeto e appoggiata al divano accanto a Sgath, ho alzato lo sguardo tremante fino ai suoi occhi, per non distoglierlo poi più.

Era arrivato materializzandosi in una nube nera, alta e leggermente fredda, smuovendo il vento che penetrava nella stanza a causa delle imposte antiche di legno umido della torre che facevano entrare l‘aria esterna, facendo tremare le fiamme del camino e provocandomi un brivido appena accennato sulla pelle e nella carne, ma mai un brivido è stato più chiaro nel mio cuore.

Ci siamo scambiati uno sguardo di fuoco, nel totale silenzio e nell’immobilità, io ai suoi piedi con le vesti che si stendevano morbide su quell’enorme tappeto e lui alto davanti a me, a pochissima distanza.

Le fiamme tremavano frenetiche, creando un gioco di movimenti di ombre in tutta la stanza compreso il soffitto.

Ha atteso qualche secondo prima di muoversi, sapevo che aveva capito. Ho trattenuto il fiato, incapace persino di respirare.

Speravo non si infuriasse.

Poi, senza che me ne accorgessi quasi, sì è chinato afferrando il mio polso fra le dita, sollevandomi di peso.

Quelle dita all’apparenza lunghe e sottili stringevano così forte da farmi male, da racchiudermi totalmente il polso, con la carne che iniziava a pulsare di sangue raffermo per la stretta.

In quell’istante le fiamme hanno iniziato a danzare.

Non tremavano più, il movimento era divenuto armonioso sulle pareti, come fuoco alimentato da una brezza leggera e giocosa.

Ho osservato per un attimo le ombre tranquille alle pareti e solo dopo ho osato tornare a guardare il mio Signore.

“Sgath, piccolo maghetto infernale, da che parte stai?” mi sono chiesta senza distogliere lo sguardo dagli stessi occhi rossi del padre.

Troppo uguali per avere due anime diverse. Avrei dovuto capirlo subito.

“Mio Signore …” ho azzardato dolorante, cercando di fargli intendere, con lo sguardo, che mi stava facendo veramente male.

La sua risposta è stata una stretta ancora più dolorosa, ancora più forte. Mentre mi guardava furibondo, mi teneva quasi sollevata da terra. Il mio corpo però, anziché percepire soltanto il dolore, si era già concentrato sull’estrema vicinanza al suo: le nostre vesti si sfioravano, il mio viso era così vicino al suo petto da poter sentire chiaramente il profumo del vento e del bosco oscuro che tanto lo contraddistinguevano e me lo facevano desiderare da sempre.

I fianchi si sfioravano appena, le ossa di entrambi, così magri e sciupati dal tempo, dalla prigione e dalla magia oscura, quelle ossa sporgenti si percepivano le une con le altre sviluppando un chiaro segno di appartenenza. Le sue così forti, nonostante tutto, le mie così sottili da far male.

I suoi occhi bruciavano così tanto che man mano iniziavo a sentire calde lacrime bagnare i miei.

“Tu hai osato distrarmi un’altra volta.”

Continuavo a guardarlo in silenzio.

“Non è affatto la prima volta che mi richiami a te per una sciocchezza, o per un completo fallimento.”

Di nuovo silenzio, e di nuovo la sua mano si è stretta sul mio polso avvicinandomi completamente. Ormai ci toccavamo completamente, non potevo distogliere un solo secondo i miei occhi dai suoi.

“E sai già cosa ti è successo l’ultima volta.”

Non ho potuto trattenere un piccolo sorriso a quel ricordo. Non volevo certo provocarlo ancora di più, ma è stata proprio quella volta in fondo, che ci ha messo nei guai ancora di più.

Non volevo offenderlo e non ho detto nulla. Per contro, lui mi ha strattonato ancora di più. Forse ha capito.

“Per cosa mi hai chiamato?”

Non sapevo come dirlo. Comunque lo sapeva già, ne ero certa.

La sua vicinanza mi ipnotizzava. Il suo odore mi rendeva completamente persa. Volevo assaggiare il suo sapore, volevo perdermi fra quelle labbra sottili e diaboliche, fredde e voraci. Avevo capito che gli piaceva che glielo chiedessi e non ho esitato un solo istante.

Era venuto da me per proteggermi, questo era certo e improvvisamente mi importava poco che fosse arrabbiato.

Ho cercato di nuovo, ancora una volta quel suo bacio.

I miei occhi puntavano i suoi, poi la sua bocca, poi di nuovo quel rosso oscuro. Mandavano messaggi di desiderio, di richiesta supplicante.

Ho sentito la sua mano sollevarmi leggermente più vicina a lui. Potevo arrivarci, potevo quasi baciarlo, ma si è scostato di pochissimo, continuando a guardarmi fissa: mi stava sfidando.

Il mio desiderio così spregiudicato in quel momento l’aveva davvero distratto. Ero felice di questo.

Ha stretto di nuovo, sollevandomi di più, riportando la mia attenzione subito verso di lui. Sentivo male, sentivo molto male, ma non mi importava, mi sono avvicinata ancora alle sue labbra, socchiudendo le mie, come sempre.

Come gli piace.

Si è scostato ancora, molto meno di prima. La testa mi girava: troppo il desiderio che sentivo di assaporare lui.

Di nuovo quella sfida nel suo sguardo, di nuovo quella stretta, per sollevarmi ancora. Non fluiva più il sangue, non sentivo più né il polso né la mano.

La sensibilità era scomparsa.

Ho alzato l’altra mano, per appoggiami leggermente, sfiorando la sua veste e sentendo lui: il mio Signore.

Non resistevo più appesa a quella stretta.

Non se l’aspettava … forse. Mi ha lasciata avvicinare tanto da sentire il suo respiro freddo, il suo sensuale gelo e mischiarlo al mio caldo respiro d‘amore.

Le labbra si sono quasi sfiorate quando mi ha allontanata con uno strattone, mi ha guardata fissamente negli occhi, e quella volta mi ha spinto violentemente di nuovo a terra.

Finito il tentativo di seduzione.

Finito il tentativo di non farlo arrabbiare con me.

Ho sorriso, e non ho smesso un solo secondo di desiderarlo con l’espressione dei miei occhi scuri.

“Per cosa mi hai chiamato, ti ho chiesto.” ha domandato ancora.

Ho sorriso di nuovo, ero stupita: erano così chiari i suoi pensieri in quel momento, non aveva posto alcuna barriera. Ho percepito chiaramente che alla sua domanda aveva omesso qualcosa.

“Per cosa mi hai chiamato, ti ho chiesto, mia piccola sgualdrina.” questo voleva dire.

Questo gridava fortemente la sua mente in quel momento.

Non sapevo che pensasse questo di me. Ne ero felice, entusiasta.

“Per Sgath.” ho risposto subito e sinceramente “fino a poco fa stava male, tremava ed era freddo come il ghiaccio. Sembrava morente o comunque estremamente sofferente, scusatemi, vi prego, mio Signore.”

Ho distolto lo sguardo da lui per osservare il piccolo diavolo che sembrava già stare molto meglio: non tremava più e teneva gli occhi aperti. Apparivano effettivamente stanchi e provati, ed era fermo, o quasi, fra il mare di coperte che gli avevo avvolto addosso poco prima. Sembrava cullato dall’ombra delle fiamme. Esse avevano chiaramente ripreso a danzare tranquille non appena il Signore Oscuro aveva afferrato il mio braccio.

Quel tocco, il contatto fra noi, aveva trasformato ogni cosa.

Il Signore Oscuro è rimasto concentrato un momento a riflettere, lo vedevo dallo sguardo, ma già le barriere erano state alzate sui suoi pensieri più profondi.

Improvvisamente il sibilo di un serpente è uscito dalle sue labbra, più misterioso e selvatico che mai.

L’erede, che prima guardava sonnacchioso e stanco la scena, ha subito voltato lo sguardo verso di lui, quasi attento. I suoi occhi rossi si sono chiaramente incontrati con altri occhi rossi, molto più crudeli e selvaggi e il contatto è rimasto, forte, per diversi istanti.

Poi il Signore Oscuro mi ha guardata, avvicinandosi al camino, tendendo le mani verso il calore del fuoco: doveva venire da molto più a nord per sentire freddo e per aver bisogno di riscaldarsi.

“Fa i capricci.”

Rimasi stupita da quella frase.

“Sì, fa i capricci,” ha insistito con tono freddo “dopotutto, buon sangue non mente, o sbaglio?” ha concluso poi, rivolgendosi a me.

Si riferiva ai miei di capricci, al bisogno di lui, alle mie richieste di baci e di amore. Si riferiva al fatto che lo volevo sempre vicino. Come facevo io, aveva iniziato fin da subito a fare Sgath.

“Inoltre, ti ho già detto di non giocarci come fosse un divertimento qualsiasi. Quell’inutile creatura è troppo debole per giocare con te con la magia. Troppo fragile.”

“Sì, mio Signore, scusate.” ho risposto subito affiancandomi a lui davanti al fuoco e allungando anch’io le mani verso la fiamma scalpitante.

Sul polso si era formato un livido enorme e ben visibile che risplendeva di viola nella luce rossa del camino.

Eravamo di nuovo insieme, guardavo il mio Signore pensieroso e ombroso a fianco a me e pensavo che sarebbe andato via di lì a poco tempo, ma intanto era tornato, e si era solo leggermente arrabbiato.

Quell’inutile creatura, fragile ed ingenua, aveva voluto che tornassimo uniti, anche se per poco tempo, fra una ricerca e l’altra, e aveva ottenuto quasi un bacio fra noi.

Voleva averci entrambi fusi insieme per diventare più forte e potente, lo sentivo, mi parlava attraverso il fuoco.

In una volta, per caso, sempre quell’inutile e fragile creatura, come lo considerava il mio Signore, aveva fatto sì che avvenisse molto più di ciò che avevo ottenuto io in una vita.

“Dopotutto,” pensavo ancora in silenzio, guardando discreta il Signore Oscuro ancora accanto a me “è pur sempre suo figlio.”

…………………………….....

Note:

Come annunciato, ecco qui l’aggiornamento lampo!

Niente di particolare da dire sul capitolo: l’accenno che viene fatto alla prima volta che Bella chiama l’Oscuro Signore distraendolo, e relativa punizione di lui nei suoi confronti, è da collegarsi alla scorsa ff, quando i due, fra le altre cose, concepiscono Sgath! Per questo che lei sorride e anche lui capisce …

Ma credo che ormai lo sappiate praticamente tutte! Ne abbiamo parlato anche ieri nel gruppo con la colonna sonora GRUNGE.

Altro piccolo appunto: Sgath soffre psicologicamente e fisicamente quando i genitori per qualche motivo si allontanano l’uno dall’altra. O anche da lui. Questo particolare tornerà per gran parte della sua vita, forse perché è nato non amato e non voluto come suo padre prima di lui, ha dunque paura dell'abbandono, della solitudine e della mancanza del loro "affetto"… se così si può chiamare!

Direi che è tutto qui per stasera!

Grazie a tutte!

Stavolta ho già iniziato a rispondere alle recensioni, finirò più presto del solito!

 

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Capitolo 22
*** Magia di Yule ***


Magia di Yule

La notte di Yule è sempre magica, fra le più magiche dell’anno.

Il suo freddo si faceva sentire forte fra quelle mura, il suo buio penetrava l’aria, tramite il vento, in ogni sua forma, in ogni sua ombra.

Fuori, tutt’attorno alla radura, fino all’orizzonte, la notte era limpida come un diamante, la luna non era bianca e lattiginosa, ma emanava sfumature blu cobalto, pareva elettrica come l’oscurità piena di incanti che circondava tutto.

Ero sola con Sgath quella notte, e non volevo perdere quella magia, sentivo che sarebbe successo qualcosa d’importante, il mio intuito non ha mai sbagliato su certe sensazioni.

Guardavo l’erede e lo percepivo anche da lui.

Era un mago strano… mio figlio. Era imprevedibile, e a volte mi metteva persino inquietudine: così piccolo e così misterioso, sembrava possedere dentro di sé tutti i segreti dell’universo oscuro. La luce delle stelle in lui non esisteva, odiava la luce della luna e strillava ogni volta che mi fermavo a guardarla.

Ogni notte, tutte, tranne quella: quella in cui la luna era blu cobalto e a Sgath non dava alcun fastidio.

A tarda ora ho iniziato ad accendere le candele per attrarre la magia del solstizio d’inverno; in tutta la stanza avevo disegnato un enorme pentacolo di fuoco e sentivo finalmente l’energia magica scorrere potente nelle mie vene.

Il fuoco delle candele scaldava appena l’aria gelida, ma quella luce dava l’impressione di essere in mezzo alle fiamme dell’inferno.

Poco lontano dal pentacolo che avevo disegnato sul pavimento, il freddo era penetrante ed intenso. Mi sono dunque mossa e ho afferrato Sgath fra le mie braccia, era adagiato poco lontano da me e non volevo riprendesse a tremare come era successo varie volte dopo la prima.

Non avevo più osato chiamare il Signore Oscuro, così quei tremori erano divenuti sempre più rari e meno intensi. Volevo comunque evitarli.

Odiavo vederlo sofferente.

L’ho sfiorato prima di prenderlo. Durante quelle lunghe settimane di inattività, le mie unghie erano diventate così lunghe da sembrare artigli, dipinte di nero onice come piaceva al mio Signore.

Ogni volta che afferravo il corpicino dell’erede fra le mani, lo graffiavo quasi e lui, a quel tocco, mi guardava e le guardava, quelle unghie. Non era per nulla intimorito, ma piuttosto divertito da quel tocco sadico.

Era cresciuto e diventava ogni giorno più ardito, non aveva mai sonno la notte, mentre dormiva spesso durante il giorno. Per questo non si perdeva mai un solo rito, incantesimo o invocazione notturna ai poteri oscuri.

Adoravo sdraiarmi in mezzo al fuoco delle candele, durante questi eventi, e osservare la notte venire dentro di me; ho fatto dunque la stessa cosa insieme a lui, prendendolo accanto a me nel pentacolo di fuoco.

Era a suo agio: appoggiata con un gomito a terra e con la mano che mi reggeva la tempia, lo guardavo osservare le candele, lo avvolgevo col mio grande scialle di lana nera e giocavo con lui.

Abbiamo giocato per ore con incanti di vario genere.

Quando gli occhi mi si chiudevano per il sonno, ancora sdraiata fra lana e fuoco, la notte più lunga dell’anno non accennava a lasciare il posto alle prime luci dell’alba e Sgath ancora non dormiva.

Vedevo le candele aumentare e diminuire l‘intensità della fiamma a tempi particolari, le vedevo disegnare ombre più o meno macabre sulle pareti, danzando un ritmo che conosceva solo l’erede.

Illuminavano a tratti Uroboro, il serpente alato che mai ci abbandonava, rendendolo a tratti enorme e minaccioso come un drago e a tratti di nuovo serpente, bello e sinuoso nelle sue grandi ali.

Non si fermava mai.

Quando le candele hanno iniziato a prendere anche le diverse colorazioni del fuoco, gialle, rosse, arancioni e blu, poi bianche a tratti, ho sussurrato stanca:

“Smetti di giocare, Sgath. È ora di dormire.”

Subito si è calmato, e la stanza ha ripreso l’atmosfera infernale dell’inizio, abbandonando ogni aspetto giocoso.

Ha chiuso gli occhi per poco tempo, per poi iniziare di nuovo ad agitarsi fino a frignare palesemente.

Mi stavo arrabbiando sul serio, ma lui non accennava a smettere. Il tempo fuori da quella stanza stava improvvisamente cambiando, sentivo un vento freddo e insistente sbattere continuamente sulle finestre, girare impazzito fra gli alberi e la brughiera poco lontana. Il rumore che provocava ricordava l’ululato di un branco di lupi alla luna.

Mi sono alzata da terra per affacciarmi alla finestra. Queste notti mi avevano sempre affascinata, ma percepivo qualcosa di diverso, di più forte o più magico del normale.

Da dietro i vetri non si notava nulla di particolare: sono dunque uscita.

Appena messo piede sul terrazzo diroccato, un’aria gelida color del ghiaccio mi ha trapassato le membra. I capelli ormai molto lunghi mi hanno coperto il viso, impedendomi subito di volgere lo sguardo alla luna.

Ho alzato le dita per scostarli, le maniche larghe del vestito sono scese lunghe sul braccio, lasciando nudo il polso che sembrava congelarsi al tocco col vento.

La luna lontana nel cielo splendeva di uno strano blu, sembrava mischiarsi alla notte, ma non c’era solo la luna.

Mi sono sporta alla balaustra di pietra e ho visto chiaramente un uccello nero che volteggiava nel buio, oscurando a tratti la luna nel suo volo aggraziato.

Volava vicina, sempre più vicina: la fenice nera.

La vedevo chiara davanti a me, volteggiava in ampi cerchi eleganti nel silenzio della notte.

Sono restata per un attimo a guardarla: vedevo la fenice finalmente, la soluzione a tutti i nostri guai.

La vittoria, il potere, l’amore che non esiste.

Avevo tutto davanti a me.

Sgath, solo dentro la stanza, aveva ripreso a piagnucolare ed agitarsi, non mi importava, non gli ho badato minimamente per lungo tempo, persa nei miei sogni di vittoria e trionfo, impegnata a pensare che a quel punto avrei potuto chiamare il mio Signore. Avevo trovato la fenice per lui, o meglio, lei era venuta da me, e io l’avrei reso felice.

La sua migliore Mangiamorte. Ancora una volta.

Mentre stavo per afferrare la manica del braccio sinistro e scoprire il teschio, il piccolo diabolico erede ha urlato e strillato insopportabilmente.

Avrei voluto ucciderlo.

L’ho guardato con ira e rabbia per diversi attimi. Ho alzato le fiamme attorno a lui, perché lo circondassero potenti, molto più potenti di quelle che originava lui. Doveva imparare che ero brava a far soffrire chi si metteva fra me e il mio Signore, se avessi voluto l‘avrei semplicemente arso vivo.

Eppure non ha dato il minimo cenno di placarsi.

Mi sono avvicinata a lui senza pensare a cosa volessi veramente fare, oppure, forse ho collegato che non aveva mai sbagliato a riunire me e il mio Signore, che lui era infallibile in certe cose, molto più di me.

Ha teso le braccia verso di me. A terra guardava tutta la mia figura nera senza paura, mi chiamava.

L’ho afferrato e stretto in braccio portandolo fuori, verso la fenice, non mi importava del freddo.

Il vento ha subito scompigliato i suoi capelli rossi sottili ma folti, i suoi occhi brillavano felici a quell‘aria capricciosa e violenta.

L’erede era un mago particolare, era chiaro, ma quel che è successo dopo non era spiegabile in nessun modo.

Nemmeno per me.

Guardavamo il cielo insieme, la fenice volava ancora, faceva strane figure nell’aria, ma era vicina, sempre più vicina.

Ho alzato il braccio libero, il sinistro, col destro tenevo stretta quella creatura a cui, in quel momento, sentivo di volere più bene che mai.

Sul mio polso magro, che si stagliava davanti ai nostri occhi contro la luna, si è posata in pochi attimi proprio lei, la fenice. Le sue unghie, la presa forte degli artigli mi ha fatto male, uno di quei mali perfetti che sento quando il mio Signore entra nella mia carne e il piacere mi divora. Uno di quei mali che hanno il retrogusto della vittoria.

Non su Harry Potter, non su coloro che ci privano della magia, no. La vittoria sull’incapacità del mio Signore di amarmi.

Avevo la fenice, e ora mi avrebbe amata, ne ero certa.

Ho avvicinato lentamente il polso al mio viso, a Sgath e me: lei, posata ferma lì sopra non si è mossa, era tranquilla e ci osservava.

Più nera di un corvo, col piumaggio così oscuro da tendere al blu, era l’animale più strano e mistico che avessi mai visto in vita mia.

Ho avvicinato il teschio nero col serpente alle mie labbra, l’ho sfiorato con esse, spiegandole al tocco in un sorriso e ho baciato la pelle marchiata a fuoco, mordendola e succhiandola appassionatamente.

Sono rimasta poi ferma qualche istante, aspettavo il mio Signore entro attimi.

…………………………….

Note:

Stavolta ho impiegato parecchio per aggiornare, scusate ma ho avuto parecchie cose a cui pensare e mi è sfuggita la parte delle ff!

Ora eccomi qui con l’aggiornamento che, devo ammetterlo, più che una vera e propria storia è un susseguirsi di immagini di alcuni avvenimenti (arte sperimentale………).

Direi che non ho nulla da commentare su questo capitolo, la fenice pare essere molto vicina ormai, e fra poco se ne renderà conto anche l’Oscuro Signore (che al momento la cercava altrove).

Yule è il giorno del solstizio d’inverno, per cui tecnicamente oggi! Anche se il sabba vero e proprio è partito già il 21 dicembre. È una serata particolarmente ricca di magia… infatti!

Ora passo ai ringraziamenti! Mi manca poco per finire la carrellata di risposte alle vostre recensioni di cui sono sempre strafelice!

Approfitto dell’aggiornamento per augurare a tutte buon sabba (per chi è strega o mago) e buon natale (a tutti gli altri)!

Circe

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Capitolo 23
*** Sangue a tingerle le labbra ***


Sangue a tingerle le labbra: Lord Voldemort

Ancora una volta mi aveva chiamato, e ancora una volta ero andato da lei.

Se si fosse trattato dell’ennesimo falso allarme, non so che le avrei potuto fare di male: odiavo quel suo chiamare, accorrere e vedere che nulla di ciò che speravo, nulla di ciò che volevo, era stato effettivamente realizzato.

Odiavo la soddisfazione che traevo dalla particolare punizione che ne scaturiva, odiavo doverla sempre perdonare.

Sembrava quasi che io la volessi davvero perdonare.

Doverle guardare quegli occhi scuri e diabolici, quelle labbra sempre più attraenti e fragili, che avrebbero brillato di rosso sangue al mio sublime tocco.

Odiavo tutto di lei.

Quella volta però è stata diversa, quella volta non era per un falso allarme che mi aveva ricondotto da lei.

E la visione fu splendida: nel buio della notte, nel freddo di quel momento era lì, bella più che mai, oscura più di ogni altra creatura. Era la fenica nera.

Bella la teneva leggermente alta, poggiata sul suo polso magro, le grandi ali della fenice si confondevano con le maniche del suo vestito nero ricamato.

Rimasi per molto ad osservare quella scena, meditativo e perplesso studiavo la situazione: come poteva essere che la fenice fosse andata da lei e non da me?

Come poteva averla ottenuta con tanta facilità e naturalezza? Sembrava quasi che l’animale la guardasse e la osservasse attenta, mentre Bella guardava me, estasiata e felice, come ogni volta che mi vede giungere nell’ombra.

Mentre mi avvicinavo, i miei passi risuonavano sul marmo della terrazza, scandivano il tempo che mi separava da lei, scandivano i miei pensieri su di lei.

La odiavo così tanto.

Così bella e con quel prezioso essere in suo possesso.

Sapevo benissimo che era la fenice a scegliere a chi avvicinarsi, a chi fare il suo dono, non potevo prendermi la piuma e farla finita, no, dovevo avere il comando della fenice da lei, non potevo permettermi sbagli.

E Bella è complicata, misteriosa a volte, ma nessuna donna era mai riuscita a resistere alle mie lusinghe. Figuriamoci lei che non aveva mai voluto resistere.

Eppure non ero convinto.

Qualcosa non tornava in tutto quel mio pensiero, dovevo capire meglio. Non appena decisi di avvicinarmi a Bella, di sfiorarla quasi, prima di domandarle la fenice, quella ha sbattuto le ali allontanandosi da entrambi.

Io mi avvicinavo e lei si allontanava: ero furioso, ma non potevo fare nulla. Tacevo e guardavo verso Bella indignato.

Lei sembrava stupita, interdetta, ma non abbassava lo sguardo, continuava a guardarmi dritto negli occhi. Non comprendevo il perché fosse incerta: avrebbe dovuto capire che la fenice ubbidiva a lei e solo a lei in quel momento.

Dunque lo faceva di proposito, voleva qualcosa da me, per questo taceva anche lei e mi guardava.

Mi sono dunque avvicinato di più. Potevo sentire il suo cuore battere forte, vedere le vene pulsare per il sangue che scorreva veloce, la tensione dei suoi muscoli era palpabile nella poca aria che ci separava. Mi piaceva quel trasporto nei miei confronti, quella dipendenza così ostentata e accentuata.

Le sfiorai la guancia con le dita, scendendo lentamente sempre più giù, fino al collo, lentamente, guardandola fissamente.

Volevo la mia fenice come lei voleva me.

Mi guardava con sguardo perso, allo stesso tempo ardente.

Voleva quel bacio, lo desiderava da anni, lo agognava senza sosta, fra desiderio e rassegnazione.

Se glielo avessi dato, la piuma nera per la mia bacchetta sarebbe di certo stata mia.

Un bacio… un bacio significava molto.

Significava vedere ancora il sangue tingere le sue labbra, significava non doversi più accontentare del rossetto che le colorava in quel modo, significava poter vedere il dolore vero, la sofferenza, le gocce cupe che sapevano di ferro e magia pura ravvivare la pelle più pallida.

Per un attimo ho fatto e pensato solo ad avvicinarmi e afferrarle la nuca con vigore, veloce, quasi fulmineo, lei mi guardava con ansia e desiderio, socchiudendo le labbra ad ondate di passione bramosa: la guardavo continuamente, attimo dopo attimo. Il momento prima di commettere quell’errore ho voluto fermarmi.

Lacrime di frustrazione le hanno appena velato gli occhi, non mi sono però sfuggite: io odio le lacrime, anche se appena accennate. Le ho lasciato i capelli che tenevo con forza, distogliendo lo sguardo dal suo.

Sgath, che si trovava in braccio a Bella fin dall’inizio, ci osservava in silenzio, il suo sguardo e il suo fare hanno attratto la mia attenzione, distogliendola completamente dal bacio.

Come poteva un bambino così piccolo stare perfettamente zitto in tal maniera?

Osservare tutto così attentamente?

Anche la fenice sembrava ferma immobile, come in attesa.

Bella aveva capito che le avrei donato ciò che più desiderava, le avrei dato quel bacio maledetto pur di avere la piuma di quell‘essere, ma ugualmente la fenice non si offriva a me.

Perché, se ubbidiva a Bellatrix?

In un attimo ebbi una folgorazione: la fenice non apparteneva affatto a Bella, non era lei che la legava. Non solo, lei sapeva bene di non possedere la fenice, lo aveva quantomeno intuito e aveva taciuto. Era rimasta zitta per ottenere comunque quel bacio.

Diabolica strega. Mia creatura.

Ma non poteva dissimulare fino in fondo: la fenice apparteneva a Sgath.

A quei pensieri, la mia presa su di lei cambiò di nuovo: le dita che prima le sfioravano il collo e la nuca si insinuarono di nuovo fra i suoi capelli folti e neri, ma la strinsi violentemente, avvicinando il suo viso al mio.

Emise un grido di dolore e piacere così sensuale che dovetti stringere ancora di più per farle veramente e solamente male, così da farmi guardare attentamente da lei.

“Non provare mai più a fare giochi simili con me!” le dissi non appena sentii il suo respiro vicino alle mia labbra.

“Non capisco cosa intendete, mio Signore...” disse soltanto, sfidando il mio sguardo.

“La fenice è di quest’essere che tieni fra le braccia, questo intendo.”

Lei mi guardava ancora interdetta.

“Pensavo appartenesse a te. Invece dobbiamo sapere cosa vuole lui, dobbiamo farlo contento, o non mi concederà mai ciò che voglio.”

Bella iniziava ad intuire qualcosa, forse era vero che non mi aveva voluto ingannare. Le lasciai i capelli lentamente, poi entrambi girammo lo guardo verso il piccolo mago oscuro.

La fenice in quel momento sbatté le ali per riprendere la sua danza nel cielo sopra di noi. Lentamente, nel silenzio di quegli attimi, si percepiva solo il battito delle ali enormi ed eleganti.

Volevo concentrami su quell‘assurda ed irritante situazione, su Sgath che dimostrava capacità e poteri oscuri e sfuggenti. Volevo concentrarmi solo su quello che avrei dovuto fare per avere il nucleo della mia bacchetta e lo feci, lo feci immediatamente e con convinzione; ma quella sensazione, quel desiderio, quella frenesia che anticipava il bacio che volevo dare a Bella, non lo scordai per molto tempo.

Mi torturò la mente e il corpo ogni attimo più violentemente, e per vari giorni a venire.

 

…………………………….....

Note:

Scusate per gli aggiornamenti saltuari, ultimamente faccio davvero fatica a seguire le ff per cui prevedo ritardi generalizzati.

Comunque appena sento il bisogno di scrivere parto col capitolo e infatti eccolo qui! (L’ho corretto velocemente, domani ci do un’altra occhiata più attenta).

Non ho molto da dire: spiego solo che Bella non aveva effettivamente nessuna intenzione di ingannare il suo signore nascondendo che non fosse lei a saper richiamare la fenice, è che proprio non ci pensava. Troppo innamorata per poter pensare a piani, inganni e dissimulazioni nei confronti di lui (che al contrario subito pensa male).

Nemmeno stavolta l’ha baciata, ma avrete notato che qualcosa in lui è cambiato. Per cui… chissà mai…

Ebbene sì, la fenice ha deciso di ubbidire al volere del piccoletto di casa… per cui ora staremo a vedere come la spunterà il suo papà!!

Chiedo scusa per le risposte alle recensioni, se riuscirò risponderò, ma forse questo giro dovrò saltare perché ho ancora mille cose da fare!

Scusate ancora di tutti questi ritardi!

Grazie per continuare a seguirmi!!

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Capitolo 24
*** Il desiderio di Sgath ***


Il desiderio di Sgath: Lord Voldemort

Quei giorni passavano lenti, troppo lenti e apparentemente tranquilli: mi rendevano nervoso.

Non avevo trovato ancora una soluzione all’ennesimo problema che mi si era parato davanti, non capivo come quel piccolo esserino insignificante potesse avere il potere di controllare l’oggetto del mio desiderio, la fenice, e non riuscivo a scorgere la benché minima possibilità di appropriarmi di essa.

Dovevo tentare qualcosa, di questo ero certo.

“Bella…” avevo dunque chiesto ad un certo punto, ottenendo subito al sua attenzione: mi aveva guardato immediatamente, senza parlare; era poco lontana da me, immersa nei suoi pensieri e nella sua adorazione, con quel suo sguardo tanto particolare, con quegli occhi neri e vivi, spietati.

“Ho bisogno di sapere qual è la tua opinione su un argomento importante. L’erede… com’è possibile che possegga la fenice?” mi era costato molto fare quella domanda, ma sapevo benissimo quanto tempo lei passasse col piccolo marmocchio, come i due fossero in qualche modo legati da qualcosa che io non volevo condividere. Sapevo benissimo che se qualcuno poteva far qualcosa per aiutarmi a risolvere quel problema e farlo in fretta, questa era proprio lei.

Era rimasta zitta per qualche attimo, come pensierosa.

“Non lo so, mio Signore,” aveva poi detto lentamente, spostando il suo sguardo e la sua attenzione sull’erede che dormiva beato poco lontano.

“Ho pensato molto anch’io a questa situazione, a questo potere che Sgath ha sulla fenice che invece dovreste avere voi, ma non sono riuscita a trovare nessuna spiegazione e nessuna soluzione. Sono mortificata per questo, mio Signore.”

Nemmeno lei era riuscita a capire qualcosa; lei, che ultimamente sembrava impegnata a diventare sempre più attraente.

Per un attimo i miei occhi si sono posati su quelle labbra.

Di nuovo.

Ancora una volta.

Non volevo, ma ultimamente sembrava inevitabile.

Non volevo, e non capivo se quella diabolica strega si fosse accorta di queste terribili debolezze da parte mia.

Sembrava così ingenua ai miei occhi, così bambina. Poi, improvvisamente, ha sorriso appena, come se sapesse che la stavo osservando.

E la stavo osservando con interesse.

Mi faceva innervosire: troppo mistero, troppa sensualità in quel sorriso appena accennato.

Troppo odioso e dannoso coinvolgimento il mio: sentivo che mi distraeva dai miei intenti.

Poi Bella aveva rotto di nuovo il silenzio:

“Forse dovremmo osservare l’erede con più attenzione entrambi, mio Signore, al momento non mi è per nulla facile comprendere ciò che desidera, ma forse con un po‘ di tempo ed impegno risulterà più facile.”

Dicendo ciò, stranamente senza attendere la mia risposta, si era alzata e avvicinata al piccolo, prendendolo in braccio quasi delicatamente.

Quasi.

Non era ancora così attenta, era sempre Bella: la cattiva.

Sgath, che si era dunque svegliato improvvisamente, ha fatto una smorfia capricciosa. Non ha pianto affatto, però: anche lui, come me da bambino, non piangeva molto facilmente.

Andavo quasi orgoglioso di questa sua caratteristica.

Ha invece tuffato il suo viso fra i capelli di Bella, nascondendosi subito nella loro oscurità.

Quella mescolanza era incantevole: i capelli rosso inferno, morbidi e sottili, mischiati a crini neri come la notte.

Erano quasi belli insieme, quei due.

Mentre pensavo a questo, ed ero preso da quelle immagini, mi sono distratto forse troppo e di nuovo, dopo non so più quanto tempo: una visione lampo ha saettato nella mia mente provocando un dolore indescrivibile all’anima.

Al mio frammento preziosissimo di anima.

Di nuovo lui: il ragazzo sopravvissuto. Lui e altri momenti della sua vita: una ragazza dai capelli rossi, tutta lentigginosa, i sorrisi e i loro sciocchi baci.

Odiosi baci.

Poi altre immagini: gli amici, le parole, la preoccupazione e i dubbi.

Mi teme, mi aspetta.

E infine l’abbraccio ad un bambino.

L’unica immagine che si è prolungata nella mia mente per più di alcuni secondi: un bambino a me sconosciuto, coi capelli di uno strano colore celeste. Sorrisi fra i due, gioia, amore.

Amore.

Inutile debole sentimento.

Poi le immagini si sono bloccate e non ho detto nulla, non volevo che Bella si accorgesse di quelle visioni, nemmeno del dolore provato: già una volta, per un istante, ha voluto sfiorarmi per aiutarmi in un frangente simile.

Io non ho bisogno di nessuno.

Allora l‘ho guardata, l’ho osservata di nuovo, con Sgath fra le braccia. Iniziavo a pensare: che sia tutto collegato? Le mie visioni hanno sempre significato qualcosa.

Ma in che modo?

Non riuscivo a cogliere.

Restavo ostinatamente zitto, lontano. Bella se n’era accorta e aveva capito che doveva lasciarmi in pace a pensare, a riflettere.

Si era avvicinata, con Sgath fra le braccia, alla grande vetrata appannata dal calore dell’interno della stanza, fuori era freddo e buio.

Non distoglievo lo sguardo da loro nemmeno per un istante: stavo capendo, stavo collegando qualcosa di indefinito.

Bella ha passato la sua mano sul vetro freddo della finestra, liberando una porzione di superficie per guardare la notte.

Le unghie rosse sangue spiccavano infuocate in contrasto col vetro biancastro, e in contrasto anche col buio che si intravedeva oltre.

Voltandosi leggermente, ha indirizzato lo sguardo dell’erede verso l’universo pieno di stelle che si vedevano appena nella notte semilimpida di quel periodo.

“Sgath, osserva le stelle!” ha detto suadente, con voce avvolgente e piena di potere e mistero. “Da queste entità potrai sempre ricavare una quantità quasi infinita di energia e potere magico. Le stelle non smettono mai di dare energia.”

L’erede ha mosso la testa assonnato, dubitavo seriamente potesse capire ciò che lei raccontava.

Per quanto fosse il mio erede, non poteva essere così potente e così cosciente.

“Guarda là, Sgath, la stella rossa, come i tuoi capelli: è Aldebaran, fa parte della costellazione del Toro.”

Io non ho minimamente distolto lo sguardo dai due: Bella lo teneva in braccio e gli parlava guardando le stelle, più presa dal potere di esse che da Sgath stesso.

“Il toro ha la magia di venere, dea dell’amore e della passione; ha intensità e gelosia che donano la forza. Poi vedi? Sta pronto ad attaccare il cacciatore, cioè Orione. Le stelle di Orione brillano poco più in basso.”

Ero piuttosto disturbato da certe attenzioni di Bella verso l’erede, i suoi racconti da strega purosangue rivolti ad un marmocchio insignificante e troppo piccolo per capire certe perle.

“Orione ha una stella che si chiama come me, sai? È quella, è Bellatrix. Lei ti darà sempre più potere di tutte le altre stelle dell‘universo di cui farai uso, ti darà potere oscuro. Perché è la mia stella.”

A quelle parole Sgath ha iniziato a muovere leggermente le mani: una l’ha sbattuta fra le labbra di Bella che l’ha subito morsa con vigore, provocando nell’erede un immediato moto di rabbia. Lei ha quindi lasciato subito la presa e ha riso felice.

Improvvisamente ho pensato che Sgath era davvero figlio della costellazione del leone, la guardavo vagamente interessato, sempre in quel cielo che si scorgeva dal vetro.

Non mi piaceva essere orgoglioso di lui, odiavo sentirmi così, odiavo lui e Bella in maniera molto marcata in quei momenti.

“Gli egiziani,” aveva poi ripreso lei “da cui deriva una delle magie più antiche, consideravano queste stelle di Orione come un tributo al dio della luce, che si chiamava Osiride, infatti molti miei parenti, e quindi tuoi antenati, sono esponenti di una potente magia bianca. Non io, io ti ho donato solo oscurità, così come dice il tuo nome.”

Mi ha fatto quasi sorridere quella frase, mi chiedevo come fossimo arrivati a tanto. Poi, improvvisamente, mentre ascoltavo Bella che parlava, l’immagine di Potter ha violato la mia anima e la mia mente con veemenza, ancora più dolorosa di prima, e ancora era l’immagine del sorriso di quel bimbo dagli strani capelli.

Il suo sorriso mentre Potter lo teneva in braccio, mentre gli mostrava come accarezzare il pelo folto di un cane, mentre gli prendeva le mani e gli parlava.

Ero schifato. Disgustato, offeso. Provavo un dolore allucinante.

Eppure, proprio in quel momento, ecco l’illuminazione: il desiderio di Sgath.

Forse avevo capito: la fenice sarebbe stata mia molto presto.

 

……………………………...

Note:

Era un bel po’ che non mi davo da fare per aggiornare, scusatemi! Ora sono qui.

Devo solamente fare un paio di precisazioni sul capitolo:

- L’episodio a cui si riferisce il Signore Oscuro quando dice che Bella ha tentato di aiutarlo durante una delle sue visioni, non si trova in questa ff, ma su “Sgath, che significa oscurità”

- Per quanto riguarda il bimbo che Lord Voldemort vede insieme ad Harry, si tratta ovviamente di Teddy, è da lui che l’Oscuro Signore capisce qualcosa di più sul suo di figlio! Le storie inizieranno a fondersi man mano che si va avanti.

- Sgath è nato ad agosto, per cui sotto il segno del leone (segno di fuoco come l’elemento che lui comanda).

Mi par di aver detto tutto!

Stavolta ho anche risposto a quasi tutte le recensioni! Credo finirò stasera o sabato di rispondere alle ultime che mi avete lasciato.

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Capitolo 25
*** Baciatemi, fatelo voi ***


Baciatemi, fatelo voi: Bella

I giorni continuavano a scorrere più veloci di quanto si potesse pensare: non succedeva nulla di nuovo, in verità, ma questo nulla, questo continuo perenne contatto col mio Signore rendeva gli attimi così splendidi e pieni da concentrare tutta la vita e tutto il tempo dell’universo in un istante. Tutto ciò che non avevo mai potuto vivere con lui e vicina a lui, in un’intera vita prima di ora, lo stavo vivendo nel giro di un tempo brevissimo ed eccitantissimo.

Sentivo da parte sua un’inquietudine nuova, strana, moti turbolenti del suo animo che si mostravano attraverso i suoi movimenti, i suoi occhi, i suoi sguardi misteriosi e sfuggenti.

A volte, quando gli ero accanto per caso o per qualche ragione, potevo facilmente percepire che mi guardava e mi sondava silenzioso. Sentivo la sua mente nella mia, il rosso dei suoi occhi sulle mie labbra e sulla mia pelle come mai era capitato prima d’ora. Se capitava di volgere i miei occhi nei suoi, subito si allontanava stizzito, quasi irato.

Sentivo il ghiaccio e il freddo scendere fra noi. Era nervoso per la situazione, irato per quella condizione che non controllava più tanto bene come aveva imparato a fare in passato.

Questo mi faceva sentire felice: mi dava un brivido di potere nei suoi confronti che non ero abituata ad avere, né a gestire, ma mi rendeva forte come non mai. Sentivo perfettamente che qualcosa in lui stava mutando lentamente, qualcosa scompariva piano, per lasciare posto ad altro di misterioso e sconosciuto.

Come il tramonto lascia spazio alla notte scura e avvolgente.

Io giocavo con tutto ciò come una bambina emozionata e contenta, provocavo le sue inaspettate reazioni come una diabolica strega malvagia e torturatrice.

Non lo sentivo mai infelice.

Non lo vedevo inquieto e ossessivamente ambizioso come all’inizio, prima di Azkaban, non lo vedevo nemmeno freddo e irato come dopo Azkaban e prima dell’ultima battaglia.

No, non era più così infelice.

E io mi sentivo radiosa, oscura come non mai.

Non era comunque tutto qui, mai tutto è splendido col mio Signore: il dolore, la paura e la sofferenza sono inscindibili dalla felicità, dall’eccitazione e dall’amore che non esiste.

Il fatto di sentirlo così strano mi lasciava anche incerta. Lui era lui: il mio Signore, il mio padrone, colui che sempre aveva deciso, agito, fatto e disfatto, colui che sapeva e comandava, colui che guidava e puniva.

Ora non era diverso, ma impercettibilmente certi particolari sfuggivano al suo controllo. E io me ne rendevo conto.

Ogni volta che ero vicina al suo viso, al suo sguardo e alla sua pelle, quando potevo sentire il freddo profumo di bosco che emanava, il terribile sapore del suo essere a così lieve distanza, allora qualcosa restava in sospeso fra noi, preso in un vortice di tutto e nulla che non riusciva ad esprimere.

Prima desideravo ardentemente afferrare e fondere quelle labbra alle mie, era un desiderio forte, violento, perenne. Ora, al contrario, attendevo. Aspettavo e cercavo di capire me e lui.

Lui, così grande e potente, forte e inarrivabile. Ancora così inarrivabile?

Avevo quasi paura, un fremito mi prendeva ogni volta in cui la vicinanza e i silenzi si tingevano di un significato particolare, violento, forte. Non potevo che fermare la mia foga: qualcosa dentro me mi diceva di attendere.

Come sarebbe stato? Cosa sarebbe successo poi?

Dubbi veri, tangibili e reali.

Era segno che, finalmente, lo sentivo possibile.

Non era più un desiderio irrealizzabile il mio, una preghiera sognante che mai sarebbe stata esaudita. Se avessi chiesto, forse lui avrebbe accettato; se avessi provato, forse lui non si sarebbe scansato questa volta, non avrebbe riso di me, non mi avrebbe ferita una volta di più ancora.

Più questa consapevolezza si faceva strada nel mio cuore, più la mia incertezza cresceva e il desiderio di quel bacio esplodeva violento più che mai nella mia anima e nel mio corpo.

"Baciatemi, mio Signore…" sussurravo più a me stessa che a lui. "Non voglio essere io a farlo, baciatemi voi, mio Signore…"

Tornate a comandarmi, a prendermi e a farmi sentire tutta la vostra forza e la vostra passione, la magia che non si spegne mai. Baciatemi, mio Signore.

Fatelo voi.

Questo volevo, ormai l‘avevo quasi capito: che lo facesse lui. Per farmi amare, anche se l’amore non esiste.

Tutto allora avrebbe iniziato ad avere un senso migliore, ne ero certa.

Mentre io ero impegnata in questi pensieri, lui, di sicuro, ne aveva ben altri. Restava il problema della fenice nera che lo impensieriva decisamente, ne ero consapevole.

Da come osservava l’erede, il padrone della fenice, capivo che tentennava, che temporeggiava. Da qualche tempo a questa parte mi pareva avesse capito cosa fare per risolvere la questione, ma evidentemente non era tanto facile per lui mettere in atto la soluzione. Doveva essere proprio difficoltoso se aspettava tanto tempo prima di agire e non aveva né chiesto il mio parere, né il mio aiuto.

Avevo comunque imparato a capirlo, seppur vagamente, e aspettare i suoi tempi, i suoi pensieri e i suoi piani senza fare troppe domande.

Sgath, il centro di tutto, cresceva velocemente e diventava sempre più bello. I suoi occhi, di quel rosso cupo molto intenso, diventavano sempre più cupi e sempre più rossi intensi, come il fuoco nero che esce dai vulcani e si staglia contro la notte.

I capelli diventavano ogni giorno più folti e selvatici, belli, vivi e luminosi come lingue di fuoco incandescente.

Non gli avevo fatto prendere nessun giocattolo per bambini, non ne vedevo la necessità: Uroboro non smetteva mai di scivolargli intorno, di volare sopra la sua testa disegnando forme fantasiose e significative, per poi mutare colore ad ogni suo tocco. Sibilava spesso, anche, e lo circondava ancora fra le sue spire ogni volta che il piccolo si mostrava sofferente per qualcosa.

La fenice nera, ora che era fra noi, volava e cantava con un verso melodico, cupo e strano, tutto particolare.

Sgath capiva solo il serpentese, di questo ero certa, ma il verso della fenice era affascinante per tutti noi, e lo ascoltavamo nel silenzio e nella misteriosa calma della notte. Cantava solo in certi momenti, quando il buio era più penetrante.

Altrimenti il piccolo stava con me, in mezzo a mille oggetti magici che guardava e toccava con grande interesse: forme, colori, magie e incantesimi che ne scaturivano lo divertivano molto più dei normali giochi per bambini che avevo sempre visto usare quando ero giovane e tutti attorno a me avevano piccoli maghetti a cui badare.

Gli davo molto spesso anche la mia bacchetta fra le mani, era il giocattolo che più amava e col quale più si divertiva, anche senza usarla realmente.

Una sera in cui il vento aveva ripreso a soffiare forte ed impetuoso, capii che qualcosa stava cambiando. Era un vento freddo e capriccioso, cambiava direzione spesso e si poteva percepire tutta la sua violenza e la sua forza dai rumori della natura fuori.

Era il vento del mio Signore.

Presi il piccolo e lo portai vicino al fuoco, poco lontano da dove il Signore Oscuro restava seduto, spesso, durante la sera. Inconsciamente gli mostravo Sgath: sapevo, in segreto, che voleva vederlo, guardarlo, essere contento e orgoglioso di lui, ma mai e poi mai si sarebbe abbassato tanto da chiederlo espressamente, o avvicinarsi lui per primo.

Quella volta il mio Signore alzò lo sguardo verso Sgath proprio nel momento in cui, avvicinandomi, iniziai a sentire il tepore del fuoco vicino. Si alzò, quasi di scatto, poco dopo, accostandosi lentamente a noi.

Sembrava risoluto: sapevo che aveva preso la sua decisione definitiva e attendevo di sapere quale fosse, sentivo il battito del mio cuore accelerare, e una strana sensazione di angoscia mordere le viscere del mio stomaco.

Sapevo, in fondo, che non avrebbe fatto nulla di male realmente, ma avevo paura. Avevo paura di soffrire, o che facesse soffrire Sgath. Ogni attimo che passava, quella sensazione cresceva sempre di più.

Mi guardò fissamente negli occhi, senza parlare. Di nuovo l’attesa. Quel silenzio prolungato era una tortura, un tedio senza sosta, ma non potevo e non volevo fare nulla se non attendere le sue azioni.

Poco dopo indirizzò lo sguardo verso Sgath, lo fissò a lungo.

Si guardavano, padre e figlio, come non avevano mai fatto, o meglio, come il Signore Oscuro non aveva mai guardato suo figlio. Al contrario, Sgath lo faceva molto più spesso.

Poi, improvvisamente e morbidamente, sibilanti parole in serpentese uscirono dalle labbra del mio Signore. Non potevo capire cosa dicesse, ma era comunque un suono sublime per me.

Rabbrividivo di piacere ogni volta che sentivo quella voce e quel tono, sembrava scaturire dalle profondità di un bosco e richiamarmi all’attenzione più sconfinata e totale.

Anche Sgath era attento quanto me, ma la sua espressione era sorridente e rilassata, non fece minimamente sentire la sua voce, ancora parlava solo con gli sguardi, ma erano già sguardi pieni di fuoco.

Fu di nuovo il mio Signore che, inaspettatamente, continuò quello strano dialogo. Allungò la sua mano magra, pallida e sottile verso quella piccola e paffuta dell’erede. Sgath, fra le mie braccia, lo guardava ancora, la mano del mio Signore restava ferma immobile a pochissima distanza. In questo attimo di immobilità e sospensione totale, i loro occhi erano costantemente legati, come a leggersi la mente.

Sgath teneva la testolina leggermente piegata vicino al mio braccio, l’Oscuro Signore invece aveva il capo leggermente piegato dall’altro lato, come è solito fare lui mentre osserva e pensa.

Io guardavo sempre il mio Signore, ma erano così simili entrambi in quel momento, uguali tanto da spaventarmi quasi.

Ad un certo momento anche Sgath ha allungato maldestramente il braccio e la mano. Sembrava agitare una piccola ala che si muove per volare per la prima volta, arrivando poco dopo a sfiorare il palmo della mano del Signore Oscuro.

Fu in quel momento di fugace e lieve contatto, che qualcosa accadde improvvisamente.

 

……………………………...

 

Note:

Ciao a tutte ragazze! Finalmente pubblico senza particolari ritardi, però lo faccio senza aver risposto alle scorse recensioni. Domani e dopodomani probabilmente non sarò a casa e se avessi aspettato ad aggiornare avrei rimandato a lungo, spero non sia un problema per voi.

In caso ci sia bisogno rispondo di sicuro ad ogni dubbio e domanda o chiacchiera nel gruppo di fb sulle mie storie! A quello dedico molto più tempo (appena ce l’ho il tempo). Scusate ancora.

Note al capitolo:

Questo è un capitolo un po’ strano che mischia molti pensieri, pochi eventi e un cambiamento sostanziale.

L’unico vero evento è che l’Oscuro Signore ha capito come ottenere da Sgath la fenice, per cui la piuma, per cui lentamente ci sarà una svolta alla storia (ebbene prima o poi dovrà finire anche questa…) perché potranno affrontare la battaglia finale con la nuova bacchetta.

Il cambiamento sostanziale invece riguarda Bella: in questo periodo ha avuto modo di restare molto tempo a stretto contatto col suo Signore Oscuro, lui è cambiato (oggettivamente poco, ma soggettivamente, per un tipo come lui, è cambiato molto), lei pure… ormai non vuole più accontentarsi di rubare un bacio al suo Signore, o cercare di baciarlo di sua iniziativa. Vuole che sia lui a baciarla!

In questo modo i significati si uniscono: nella ff precedente il Signore Oscuro spiegava di non volerla baciare perché un bacio rappresentava l’amore (devo ammettere che non mi ricordo il capitolo esatto a cui faccio riferimento), ora, qui, lo capisce anche lei e osa pretenderlo da lui.

Vedremo che succederà.

Ho terminato anche questo papiro! Grazie per la pazienza!

A presto

Circe

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Capitolo 26
*** Può esistere l'amore? ***


Può esistere l’amore?: Bella

Fu davvero strano, qualcosa di inaspettato e improvviso, veloce e fugace, poteva quasi sembrare un’illusione ottica. Se non fossi stata tanto vicina avrei dubitato di ciò che avevo visto.

Nell’attimo in cui padre e figlio si sfiorarono appena, un lampo oscuro si sprigionò dalle loro mani, una sorta di fiamma nera che subito dopo si dissolse in un’intensa folata di vento. Un vento intenso, ma impalpabile, che scompigliò visibilmente i miei capelli e quelli di Sgath.

Per pochi istanti a seguire più nulla. Silenzio e attesa; poi il rumore di uno sbattere lento d’ali iniziò a farsi strada tutt’intorno.

Io subito guardai verso il mio Signore: era ancora concentrato e attento verso il piccolo, non accennava a staccare la sua mano pallida e magra, elegante nella sua spettralità, da quella paffuta e prepotente di Sgath; i suoi occhi di fuoco erano fermi sul punto di contatto, spostandosi solo talvolta verso quelli del piccolo che tenevo ancora in braccio.

Sgath a modo suo giocava, picchiettava il palmo di quella mano sconosciuta con un sorriso soddisfatto e contento, ogni contatto faceva scaturire fiammate oscure sempre più potenti e calorose che si disperdevano nell’aria attorno a noi. Erano sempre più visibili ed intense dopo la prima volta.

Sentivo che la fenice si stava avvicinando, disegnava cerchi, arabeschi e rune nell’aria col suo volo lento ed elegante. Era richiamata da quella strana oscurità che emanava l’erede ogni qual volta otteneva ciò che più desiderava.

Il suo volere più grande era dunque quello di sfiorare suo padre, di creare un contatto con lui. Probabilmente desiderava di più, molto di più, ma non avrebbe ottenuto nulla, il Signore Oscuro non è un padre come tutti gli altri e aveva già concesso a sufficienza. Questo pensavo, guardandoli in silenzio, anche se non potevo saperlo con certezza: stavano succedendo innumerevoli avvenimenti e cambiamenti in quel periodo, come se l’impossibile stesse lentamente e impercettibilmente diventando possibile.

Come se i sogni più arditi e irrealizzabili potessero improvvisamente diventare realtà.

Sentii improvvisamente il cuore impazzire a quel pensiero, sentii i battiti moltiplicarsi nel petto fin quasi a farmi male, l’anima iniziò a muoversi come in un vortice di passione ed incredulità mai sentito né percepito prima di allora.

L’impossibile stava davvero diventando possibile e io me ne stavo rendendo conto davvero solo in quel momento. Lentamente, senza capire realmente come e perché.

E quando.

E l’amore? Poteva esistere l’amore?

Fra i capelli che mi ricadevano sul viso, osai alzare lo sguardo sulle labbra sottili e taglienti del Signore Oscuro, poi guardai i suoi occhi, il suo viso.

Restare sempre con lui, solo con lui, parlargli, sentirmi posseduta completamente, mente e corpo, ogni attimo della nostra vita. Così mi sento davvero viva, davvero felice e potente, in grado di fare qualsiasi impresa lui voglia, in grado di compiere qualsiasi magia io desideri.

Solo quello era il mio desiderio e lo sarebbe stato per sempre. È questo che davvero non esiste?

L’amore.

Lo guardavo così intensamente che nel momento in cui l’ho visto alzare anche il suo sguardo verso di me, non ho potuto fare a meno di mantenere gli occhi fermi, attenti. Il fuoco dei suoi catturò il mio sguardo in pochi secondi senza permettermi nulla se non lasciarmi leggere tutto… la mente, l’anima, il corpo, il desiderio.

Ancora una volta poteva sapere tutto di me, senza difese.

Non ho fatto nemmeno in tempo a pensare che l’amore non esiste.

Non so se fu grazie a Sgath, per un segno del destino, o della magia, ma in quell’attimo e per quel pensiero non riuscì punirmi, né rimproverarmi minimamente: la fenice giunse a lui posandosi sul polso sinistro, la cui mano era ancora ferma a sfiorare suo figlio, e lo distrasse totalmente da quel momento magico che stavamo vivendo noi due.

Lo vidi scambiare un’occhiata fugace col figlio, per poi concentrarsi immediatamente sulla fenice, accarezzare con cupidigia le sue penne e piume.

In quel momento sembrava solamente accarezzare quel manto di un nero lucido e intenso, poi capii che stava sondando, col tocco, la penna più adatta, stava godendosi l’attimo della ricerca finale, della vittoria, del trionfo della magia oscura.

Era bellissimo in quel momento, erano splendidi quei suoi occhi pieni di gioia trionfale.

Lo guardai estasiata ed adorante per diversi istanti.

Poco dopo, Sgath tornò a dimenarsi fra le mie braccia, perdendo ogni interesse verso il padre e acquistandolo invece per i miei capelli lunghi e liberi su spalle e schiena.

Sorrisi quasi dolcemente a Sgath distogliendo anch’io lo sguardo dal Signore Oscuro e dalla fenice: avevo paura che se mi avesse guardato di nuovo, stavolta avrebbe percepito troppo fortemente l’amore e mi avrebbe punita peggio che mai.

Poi, improvvisamente, sentii chiamare il mio nome dal mio Signore e fu come un lampo nel cuore.

Tutta la mia attenzione tornò su di lui:

“Abbiamo la piuma di fenice, ora tocca a te, mia strega, mia Bella, ottenere la bacchetta più potente.” disse guardandomi dall’altro, con sguardo fiero, folle di cupa felicità, mostrandomi fra le sue dita la piuma nera, grande, bella e splendente; contrastava violenta nel bianco pallore delle sue mani.

Nella mia mente echeggiava soltanto “Mia Bella”: le parole che più mi rendevano felice in quell’istante che ci avrebbe cambiato la vita.

Allungai la mia mano verso la sua per afferrare la penna, non appena la toccai, sfiorando anche le sue dita fredde, mi strinse forte la mano, tirandomi a sé con violenza e desiderio, con un trasporto che non avevo ancora percepito prima di allora. Taceva e stringeva forte la mia mano, tanto che iniziavo a sentire male, e lui non faceva che forzare sempre più.

Mi avvicinava a sé, guardandomi le labbra intensamente. Le socchiusi leggermente pregandolo con quell’atto.

Ero certa che lo avrebbe fatto, mi avrebbe baciata, a lungo e con violenza. Mi guardava e non si scostava, anzi, mi avvicinava a sé.

Allora era vero: l’impossibile poteva diventare possibile, l’amore poteva esistere. Lo voleva anche lui e lo sentivo.

Sorridevo quasi nella sicurezza che percepivo chiaramente in me.

Nell’istante più splendido ed intenso però, qualcosa andò totalmente storto, qualcosa di inaspettato, di improvviso e tremendo: Sgath iniziò a strillare come un matto, rovinando completamente quell’istante di puro desiderio e insperato amore.

Piangeva urlando come non mai, fra le mie braccia al centro di quel momento di fuoco.

Avevo già desiderato tante volte uccidere mio figlio, ma non riuscii inaspettatamente a desiderarlo ancora una volta, quella volta in particolare.

Il Signore Oscuro mi guardò mordendosi forte le labbra inequivocabilmente, distolse velocemente lo sguardo e lo portò verso l’uccello nero. Lasciò la mia mano e allungò delicatamente il polso con l’animale appollaiato sopra, in direzione del piccolo erede piangente e strillante.

Fu gentile, forse perché sapeva benissimo che era grazie al piccolo se ora aveva la sua piuma, porse la fenice vicino a Sgath con delicatezza.

Non appena le piume morbide della testa andarono a sfiorare la guancia di Sgath accarezzandola, l’erede si calmò leggermente, mantenendo solo lo sguardo leggermente cupo.

Si arrabbiava facilmente il piccolo, esternando una rabbia focosa e improvvisa come un incendio che poi tendeva a spegnarsi velocemente.

Lo appoggiai sul letto col suo nuovo animale magico tornato a fargli compagnia e mi scordai presto del suo pianto: il Signore Oscuro si era avvicinato di nuovo, stringendomi tutta e mordendo lentamente, ma sempre fortemente, la base del mio collo, sfiorandomi sempre più intensamente il seno. Quei morsi creavano in me, per la prima volta, un’intensa serie di reazioni fra brividi e dolori che riuscì ben presto a mandarmi in estasi.

Infilai la piuma così preziosa nella tasca della mia veste e chiusi tutto il mondo fuori dalla mia mente e dai miei sensi.

Mi sdraiai sul letto, sotto di lui, sapevo che quel bacio sarebbe arrivato presto o tardi, ma ora il piacere che faceva incendiare in me iniziava a sconvolgere tutto il mio corpo e i miei sensi facendomi perdere completamente in altri pensieri estranei anche ai baci.

Guardai per l’ultimo attimo Sgath, impegnato a giocare poco lontano da noi, rotolandosi sul letto per afferrare le piume lunghe e morbide della coda della fenice, lui ormai era tranquillo; era riuscito a rovinare tutto ed era tornato comunque sereno: degno figlio di suo padre.

Poi distolsi definitivamente lo sguardo e l‘interesse, lo abbassai sorridendo sul mio seno, dove sentivo e guardavo, con un piacere fuori dall’ordinario, il mio Signore succhiare con passione i miei capezzoli turgidi, l’uno e l’altro, insaziabile come sempre.

Lo adoravo, adoravo quando mi faceva così, lo trovavo irresistibile e vedevo come a lui per primo piaceva e si eccitava.

Erano quelli i momenti in cui il mondo non esisteva e tutto per noi diventava possibile.

Anche l’amore.

……………………………..........

Note:

Finalmente ho avuto voglia di scrivere! Mi sono costretta un po’ ma ecco il parto… è un po’ romantico lo so, ma è un momento in cui tutto va bene ai due protagonisti per cui l’odio e la rabbia che si portano sempre dietro doveva calare almeno in parte (almeno, io la penso così), tanto più che i piani di conquista e il regno della magia oscura ecc vengono mantenuti senza ombra di dubbio.

Bella comunque inizia ad intravedere che l’amore possa esistere… bisogna vedere lui cosa ne pensa ovviamente… non intende mettere in dubbio i dettami del suo Signore ovviamente, ma lo vede cambiare e questo la fa guardare a ciò che lei realmente pensa.

Pochi giorni fa mi erano venuti in mente un paio di particolari per la trama, ma ora li ho scordati!!! Spero mi ritornino in mente perché mi piacevano molto.

A tal proposito ringrazio moltissimo Cubo, Erodiade e Latis Lensherr perché con le loro recensioni all’ultimo capitolo in particolare, mi hanno dato l’analisi che mi occorreva (o che volevo sentire…) e gli spunti giusti per andare avanti! Un grazie davvero speciale!

Ovviamente grazie anche a tutte le altre che mi seguono e che mi recensiscono perché ogni commento per me è bello e utile!

Agli ultimi risponderò entro sera! Ora aggiorno perché vi ho fatto aspettare molto.

Alla prossima

Circe

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Capitolo 27
*** Nuvole nere all'orizzonte ***


Nuvole nere all’orizzonte: Andromeda

Ogni volta che volevo restar sola con me stessa e coi miei pensieri, lasciavo il piccolo Teddy a casa Weasley, da Harry Potter, e camminavo per Diagn Alley senza una meta particolare, arrivavo poi fin al termine di quella via brulicante di maghi, inoltrandomi nei luoghi dispersi e appartati di quel luogo.

Tante volte li avevo esplorati in gioventù, quando con Ted scappavamo, correndo, mano nella mano, per fuggire ad occhi indiscreti e vivere tutto il nostro amore fra la pace di quei luoghi, con l’emozione di fare qualcosa di nascosto, proibito e quasi tremendo.

Almeno, ai miei occhi quella nostra relazione era così.

Teddy cresceva velocemente, ancora più velocemente di quanto mi ricordassi della mia Ninfadora.

Nonostante il suo carattere a volte ombroso, a volte diffidente, trovavo che fosse sempre felice di trovarsi fra le braccia di Harry Potter, di giocare con lui e farsi trasportare sulla scopa del ragazzo. Nonostante io morissi di paura ogni volta che li guardavo innalzarsi in volo, mi piaceva vederlo ridere così e vedere i suoi capelli confondersi con l’azzurro del cielo.

I due erano davvero molto legati, c’era qualcosa fra loro che sentivo andare al di là dell’affetto reciproco che nasce istantaneamente fra due persone, mi pareva piuttosto qualcosa di innato, qualcosa che li legava profondamente e indissolubilmente.

Temevo che il mio piccolo potesse perdere anche quel legame con quel ragazzo così speciale, temevo che Harry Potter potesse morire e, egoisticamente, temevo che ci avrebbe lasciati tutti nelle mani di lui, di quel pazzo assassino.

Non volevo che Teddy, una volta scomparso Harry, dovesse prendere il suo posto come mago da sacrificare in nome di un bene che non arrivava mai.

Tutti coloro che amo e amavo sono morti in nome di qualcosa che non riusciamo mai ad ottenere: la pace, l’amore, l’armonia, una vita felice e sincera.

Al contrario, soprattutto negli ultimi giorni notavo nuvole nere protrarsi all’orizzonte, vento freddo e cielo oscuro fare sempre più spesso capolino attorno a noi, in tutto lo spazio e l’aria circostante.

Le notti erano sempre senza luna.

Né falci di luna, né luna piena. Il nostro satellite risultava sempre più spesso oscuro, nero, la luce mancava completamente, questo strano fenomeno rendeva la notte sempre più fredda e spaventosa.

“Chi poteva amare così tanto l’oscurità?” mi domandavo.

“Chi può avere poteri tanto forti e occulti da rendere le notti così oscure e nere?”

Nemmeno lui, nemmeno Lord Voldemort sarebbe stato capace di ciò, forse non aveva tali poteri, ne ero quasi certa, almeno così avevo compreso dai discorsi di Ninfadora, che come Auror aveva sempre discusso e parlato anche con me di maghi oscuri, e di magia oscura; così avevo compreso anche dai membri dell’Ordine della Fenice, che tante volte avevano avuto a che fare proprio con lui, il Signore Oscuro.

Non potevo capire, quest’incertezza piena di presentimenti nefasti mi dava i brividi e una morsa mi attanagliava sempre di più la bocca dello stomaco.

Rimpiangevo quelle notti di luna piena, quando l’oscurità non era totale, quando la luce bianca arrivava a rendere tutto più caldo e tranquillo.

Rimpiangevo sempre di più quei momenti, anche quando, piena di paura, osservavo Teddy guardare quel cerchio bianchissimo nel cielo. Era rapito, quasi selvaggio, e temevo ogni secondo che si rivelasse un licantropo come il padre.

La paura che sentivo in quel momento però, non era nulla se paragonata con il nuovo terrore che si sprigionava dal mio cuore al pensiero che anche a Teddy, appunto, sarebbe potuto succedere qualcosa di irreparabile.

Non era facile ricacciare in fondo al cuore quei pensieri, camminavo e camminavo senza badare al tempo che passava, solo nel momento in cui arrivavo al grande albero del parco, quello più nascosto e appartato, solo allora trovavo un po’ di coraggio e consolazione.

Osservavo il tronco, con le dita scorrevo lungo la corteccia ruvida, quasi ad occhi chiusi, potevo riconoscere il punto esatto in cui, così tanto tempo fa ormai, avevo inciso con la punta della bacchetta la scritta “T. ed A. insieme per sempre”.

Ricordo perfettamente ogni attimo rubato ai miei genitori durante le compere di inizio anno scolastico, ogni sorriso scambiato col mio giovane amore, quando ancora aveva i capelli castani così chiari da sembrare quasi dorati, ricordo la mia mano sfiorare quella di Ted, le dita intrecciate strette alle sue, quando ridevamo felici delle piccole romanticherie che potevamo concederci.

Pensavo fortemente a mio marito, a tutti in nostri ricordi felici insieme, mi facevano ritrovare il coraggio perduto. Ovunque lui si trovasse ora, chiedevo con tutto il cuore che potesse proteggere il nostro piccolo Teddy, nostro nipote.

Ero rimasta sola, ma cercavo l’appoggio dei miei cari da lontano, non potevo permettermi crolli o cedimenti, non ho mai potuto permettermi crolli o cedimenti in tutta la mia vita, dovevo andare avanti come avevo fatto da sempre, con coraggio e convinzione.

Questo pensavo.

Null’altro, non potevo pensare a Ninfadora, mia figlia, la mia unica figlia, non avrei mai retto il dolore della perdita, i ricordi avrebbero solo moltiplicato il dolore.

Allora, ritrovata un po’ di forza, tornavo fra le altre persone, in mezzo alla società, fra i dubbi e la paura della gente, fra le chiacchiere e l’attesa, nell’atmosfera talvolta elettrica e talvolta stagnante. Tutti aspettavamo lui: una sua mossa.

Il Signore Oscuro.

E il terrore serpeggiava più o meno palesemente.

Aspettavamo che si muovessero quelle nuvole nere all’orizzonte. Che si muovessero verso di noi. Il fatto di vederle ogni giorno là, ferme, come in attesa, metteva a tutti un senso di soffocamento di cui nessuno parlava, un senso di freddo che tutti percepivamo, senza potere porvi rimedio.

Respirai e mi feci ancora più forza, senza sapere nemmeno io da dove mi venisse.

Tornai a prendere Teddy e il suo bel cane, Sirius. I due erano sempre attaccati, ogni tanto il piccolo muoveva i primi passi attaccandosi al pelo dell’animale che sopportava pazientemente, salvo poi scrollarsi di dosso il bambino con irruenza, originando così pianti devastanti.

I due comunque si divertivano e nulla sembrava poter ledere quell’amicizia così stravagante fra un bimbo così piccolo e un cucciolo quasi adorabile.

Casa Weasley era un bel posto dove lasciarli: pieno di calore, colori e voci affettuose, forse uno dei pochi luoghi che ancora si sforzava di mantenere allegria e affetto.

“Buongiorno, bentornata.” sentii dire poco distante da me da una voce giovanile e in fondo un po‘ ingenua, ma allo stesso tempo sicura, risoluta.

Era l’inconfondibile tono di Harry, quel ragazzino prodigioso: mi guardava, come suo solito, con occhi incerti e duri, a volte un po’ titubanti, impiegava sempre alcuni attimi prima di addolcire il suo sguardo nei miei confronti, come se dovesse controllare che davvero non fossi una nemica.

Risposi a quel saluto con un cenno di sorriso, e senza aspettare troppo tempo recuperai Teddy e Sirius. Non riuscivo ancora del tutto ad abituarmi alla calda accoglienza dei Weasley e al modo rumoroso e gioviale che aveva la maggior parte delle persone che mi circondavano.

Sapevo che questo mio atteggiamento era la pesante eredità lasciatami dalla mia famiglia, e avrei voluto cambiare, condividere più parole ed emozioni con tutti coloro che mi erano accanto, ma non ne ero realmente capace.

Fu però Harry ad avvicinarsi a me:

“Dovrei parlarle un momento, signora, se ha un po‘ di tempo da dedicarmi.” mi disse quasi a bruciapelo.

Annuii quasi istantaneamente intuendo l’importanza di quella richiesta.

Ci allontanammo camminando velocemente nel piccolo parco della casa, Sirius trotterellava ai nostri piedi mentre Teddy, che faceva capire di volere restare in braccio, sembrava comunque vagamente attento alle nostre mosse.

Harry iniziò a parlare in maniera un po’ esitante, poi sempre più sicura e convinta:

“In questi giorni che passano sempre più lenti ho capito una cosa importante: devo cercare io Voldemort, non posso più aspettare, non ce la faccio più a vedere la tensione dipinta sui volti di chi mi circonda, non riesco più a sopportare il peso dell’ansia e della paura dei loro cuori. Mi sento responsabile.”

Ci guardavamo in silenzio, capivo perfettamente le sue parole, capivo lo stato d‘animo di quel ragazzo così giovane eppure così sensibile, così buono nel senso più profondo del termine. Era coraggioso e, allo stesso tempo, rassegnato al suo destino di vincere o morire.

Capivo tutto, ma sapevo anche che c’era dell’altro.

“Tocca a me cercarlo e trovarlo, tocca a me sconfiggerlo, o essere sconfitto.”

Era pronto a sacrificarsi. Lo vedevo dai suoi occhi, dal suo sguardo, dal tono di quelle parole e frasi, avevo già visto tutto quanto già nella voce e nello sguardo di mia figlia, durante quell’ultima notte di atrocità, la notte in cui sentii la sua voce per l‘ultima volta.

Sentii i brividi a quei pensieri, gli occhi che bruciavano intensamente.

“Se non dovessi farcela…” iniziò poi ancora più serio richiamando tutta la mia attenzione. Mi guardava con quegli occhi così verdi e così intensi che parlavano da soli. Fece un sospiro per prendere aria e continuare, ma subito lo bloccai con un cenno e risposi:

“Non aggiungere altro, Harry. So bene cosa hai capito nel tuo cuore e cosa dunque vuoi dirmi, l’ho intuito anch’io, semplicemente guardandovi, osservandovi insieme. Vedendo i vostri occhi e i vostri gesti l‘uno per l‘altro.”

“Forse ci sbagliamo.” fece lui puntando i suoi occhi affranti sul piccolo Teddy, accarezzando i bellissimi capelli color cobalto che ancora si perdevano con l’azzurro del cielo al tramonto.

“A pensarci bene,” aggiunse esitando “non abbiamo nessun vero legame il piccolo ed io, nulla che può far pensare che tocchi proprio a lui, come è toccato a me. Nessuna cicatrice… nulla.”

Sapevo in cuor mio che nessuno dei due si sbagliava, eravamo certi che Teddy era troppo legato ad Harry perché ciò non rappresentasse un segno del destino, un legame più indissolubile della parentela stessa, anche se inspiegabile.

Se quel ragazzo avesse fallito, l’altro avrebbe di sicuro preso il suo posto in quella lotta infinita contro il male, evidentemente era destino, un misterioso destino li legava.

Tacemmo entrambi, non volevamo dire null’altro, solo osservare la magia attorno a noi e sperare.

Mentre in silenzio tutti e tre guardavamo il sole tramontare in quel piccolo giardino casalingo e curato, il cielo limpido e azzurro veniva lentamente tinto di arancione, arancione sempre più scuro, fino a diventare rosso, di un rosso fuoco vivace e bruciante. Come se una fiamma incandescente ci stesse circondando e bruciando completamente, avvolgendoci nelle sue intense fiamme e nelle sue lunghe spire.

………………………….

Note:

Dopo un secolo che manco e che prometto novità da Teddy e Andromeda, eccomi con un accenno sui due.

Ora passo alle note: se vi ricordate dai capitoli precedenti, colui che ama le notti senza luna, già da quando doveva ancora nascere e dava fastidi alla mamma, altri non era che Sgath.

Il tramonto che tinge di rosso il cielo attorno, precedentemente blu (le nuvole oscure incombenti di cui parla Andromeda sono ancora soltanto all’orizzonte) non è altro che l’incombere delle fiamme (dato che Sgath è un mago di fuoco), mentre per ora sappiamo solo che Teddy non ama il fuoco e quando è felice o sereno i suoi capelli acquistano una colorazione blu-azzurra.

Il carattere ombroso di Teddy e il suo ammirare la luna vengono entrambi dal fatto che il papà era un lupo mannaro, qualche tratto resta anche nel piccolo che, infatti, lega immediatamente con un cane lupo dai tratti marcatamente lupeschi.

Il resto sul piccolo mago resterà tutto da scoprire prossimamente.

Il capitolo l’ho scritto un po’ in fretta, ma soprattutto corretto un po’ velocemente fra una scossa di terremoto e l’altra, per cui mi scuso se è scritto un po’ male!! Anzi grazie se qualcuno si prenderà la briga di correggerlo, comunque io gli darò un’ulteriore correzione domani o stasera.

Grazie a tutte e alla prossima! Per commenti domande risposte ecc, ci sentiamo sul gruppo!!

Circe

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Capitolo 28
*** Inutile, malsano, debole amore ***


Inutile, malsano, debole amore: Lord Voldemort

Avevo finalmente terminato il mio lavoro di ricerca della piuma per la bacchetta, potevo dunque fermarmi ad osservare ciò che accadeva attorno a me, studiare bene le prossime mosse.

La costruzione della bacchetta era stata già demandata a Bella in precedenza.

Era molto abile e metteva un grande impegno per farmi felice e rendermi potente, sapevo che per certi incantesimi magici oscuri era particolarmente portata, non avevo bisogno di controllarla, ma mi piaceva osservare.

Operava in particolari ore della notte quando la luce lunare era perfetta, creava il suo cerchio magico di fuoco e lì, lentamente, forgiava il mio nuovo strumento di vittoria.

Non lavorava tutte le notti, a volte si limitava a uscire per cercare il legno, a scegliere le rune da intagliare sulla bacchetta, a leggere ad alta voce a Sgath le magie dell‘alchimia, quelle più utili per adattare il nucleo al legno, ad attendere le lunazioni. La costruzione vera e propria avveniva nelle notti di luna piena e le notti di luna nuova.

Era interessante restare a guardare la mia strega purosangue che con una grazia e una capacità straordinarie, devo ammetterlo, maneggiava il legno di tasso, e la piuma di fenice nera.

Quelle mani magre che si muovevano sapientemente, le unghie rosso cupo che spiccavano nella notte, mi ricordano ogni volta di più i graffi lasciati sulla carne nei momenti di passione e sofferenza.

La guardavo sempre attentamente, nel buio delle notti di luna nuova, il fuoco la illuminava tutta, dandole quell’aria forte e appassionata che caratterizzava il suo animo.

Tingeva di rosso i suoi abiti neri, i suoi lunghi capelli oscuri, il suo sguardo, talvolta, si alzava e trapassava quelle fiamme, e arrivava dritto al mio. Quegli occhi erano perennemente pieni di passione e devozione.

Nelle notti di luna piena, la stanza era invece completamente priva di luce, se non quella che proveniva da fuori, dalla luna stessa. Allora la piuma di fenice risplendeva nel suo nero brillante e rifletteva i raggi con intensità funesta.

La luce chiara contrastava con la figura di Bella, coi suoi movimenti per i riti oscuri e coi drappi nerissimi del vestito. Tutta la sua figura era in contrasto col bianco candore della luna, ma questa si posava su di lei come una carezza fredda e spettrale, dandole un’immagine di mistero e attrazione inequivocabilmente magica.

Tutto questo era estremamente affascinante perché mi ricordava la magia in tutta la sua bellezza.

Seduto immobile e silenzioso sulla mia poltrona, immerso nella più completa oscurità, non potevo staccarle gli occhi di dosso.

E ciò, da un lato, mi rendeva inquieto molto irritato.

Bella era tutta bella, tutta.

Eppure c’era qualcosa che spiccava alla mia vista più di tutto il resto, qualcosa che mi dava il tormento ogni singola notte in cui la osservavo così, senza sosta e senza parole…

Erano le labbra.

Quelle labbra talvolta rosso cupo, talvolta quasi nere, oppure viola. Quelle labbra erano sempre fastidiosamente attraenti, anche quando erano lasciate naturali, più pallide e trascurate del solito, facevano lo stesso effetto.

Non volevo baciarle, non potevo cedere.

Eppure i miei occhi tornavano ossessivamente lì, la mia immaginazione sfuggiva, seppur raramente, al mio spietato controllo e con una violenza che quasi non aveva eguali.

No, cedere, mai.

Non a lei, non a quel sentimento che chiamava adorazione, ma che altri non era che amore.

Inutile, malsano, debole amore.

Un bacio: l’amore.

Avrebbe capito i miei pensieri, forse, se mi avesse osservato con maggiore attenzione, se non fosse stata impegnata per me nei suoi incanti, se non fossi stato perennemente avvolto nell’oscurità.

Ero sicuro di esserle ancora infinitamente superiore, soddisfatto di riflettere e osservare in segreto, fra i miei insondabili pensieri nascosti.

Inizialmente, nella mia infinita potenza e oscurità, non avevo notato un indiscreto sguardo silenzioso, quei due occhi rosso cupissimo che tanto assomigliavano ai miei e che sembravano comprendere molto. Troppo, a dire il vero, per uno stupido e inutile mago di quell’età.

Sgath giocava col fuoco del cerchio magico non lontano da sua madre, guardava rune e simboli magici fluttuare intorno a sé, giocava coi legni di scarto della bacchetta da intagliare. Restava buono e lontano da me, non lo volevo fra i piedi.

Poi me ne accorsi.

All’improvviso, l’erede mi lanciò uno sguardo, i nostri occhi si intrecciato velocissimi e per un istante lui fissò i suoi nei miei. Quel rosso cupo mi fece capire che sapeva tutto di me, di Bella, di ciò che gli stava succedendo intorno. E più sapeva più diventava potente.

Fu una folgorazione improvvisa, ma potente, del tutto inspiegabile… se non fosse che è mio… che l’ho generato io.

Avevo vagamente percepito che si era creato un legame molto forte fra lui ed Uroboro, il suo serpente.

A volte captavo fra loro pensieri, immagini, sensazioni scambiate nella lingua dei serpenti, nel modo dei serpenti, con l’anima selvaggia di un serpente.

Forse era tramite il suo animale magico che l’erede sviluppava un istinto tanto spiccato e così selvatico. E una volontà tanto forte.

Non solo.

Non vi era attimo in cui non venisse a contatto con la magia: i giochi solitari e i giochi insieme a Bella che lo lasciava libero di esprimersi con tutto; le atmosfere misteriose e oscure che lo circondavano in quel luogo così mistico e sconosciuto; le storie sulla luna e le stelle che Bella non si stancava mai di raccontargli quando erano soli senza di me; e soprattutto quel suo saper istintivamente sempre generare cambiamenti nell’intensità de fuoco a seconda del suo umore, del suo volere e dei suoi capricci.

Era istintivamente un mago oscuro che assoggettava la natura come più gli piaceva.

Oggettivamente era mago molto potente.

Non poteva essere altrimenti: l’avevo generato io.

All’improvviso mi venne un’idea.

Non volevo creare un legame fra noi, questo mai. Non pensavo nemmeno che avrei perso il duello con Potter, non avevo paura tanto da dover cambiare i miei piani.

Non lasciavo nessuno spazio a sentimentalismi, mai e poi mai.

Se mi si era palesata quell’idea in testa, era solo per utilità, semplice e fondamentale utilità.

Mi alzai di scatto dalla sedia in cui mi trovavo e avanzai lungo tutta la stanza, andando verso la mia strega.

“Bella…” le dissi a costo di distrarla dalla creazione della bacchetta.

“Sì, mio Signore?” fece lei alzando lo sguardo verso di me, colpendomi la vista con quelle labbra di un nero tanto luccicante quanto desiderabile.

“Dobbiamo creare una pietra di sangue.” dissi lentamente senza distogliere gli occhi dalla sua bocca.

Se ne accorse sicuramente. Avrei voluto ucciderla per quell’intelligenza che non sbaglia quasi mai.

Posò delicatamente la bacchetta sul pavimento all’interno del cerchio di fuoco, e lasciò scivolare nelle mani di Sgath una gran quantità di rune antiche, poi si avvicinò lentamente a me, attraversando come nulla fosse tutte quelle fiamme basse e crepitanti.

Sorrideva appena, ma chiaramente.

Il fuoco la rendeva sempre più bella ogni volta che lo dominava.

Le cicatrici che ancora portava da Azkaban erano accese e molto visibili in tutto quel calore, i lividi che le lasciavo dopo le nostre unioni più violente prendevano un colore viola acceso che invitava solo a ricoprirla del mio male ancora una volta, e sempre.

La magrezza scheletrica era ormai scomparsa e aveva lasciato il posto ad una figura più in carne, seppur magra.

Questo mi permetteva ancora di prenderla con un solo braccio e stringerle forte i fianchi legandoli a me, lasciandole poco respiro e nessuna libertà di movimento.

“Perché sorridi?” chiesi avvicinandola, così stretta e dominata, al mio viso.

Restò zitta qualche istante, guardandomi e abbandonandosi ai miei occhi e alla mia forza.

Adoravo quando faceva così, ma non sopportavo di adorare qualcosa… quella cosa.

Strinsi più forte, strattonandola ancora:

“Rispondimi.” le intimai per farmi passare la rabbia. Per distrarmi da lei.

“Perché, mio Signore, è la prima volta che mi dite che dobbiamo fare qualcosa, voi ed io, insieme.”

Ora la scansai subito e malamente.

Non poteva essere che non avessi mai usato quel modo di dire, si stava sbagliando. E comunque, era appunto solo un modo di dire.

Mai e poi mai avrei davvero intenso, nel profondo, di fare qualcosa con qualcun altro, meno che mai con Bellatrix.

Io sono sempre solo, e faccio tutto da solo.

 

……………………………....

Note:

Non ho molto di particolare da dire nelle note, spiegherò meglio cos’è una pietra di sangue nei capitoli successivi, mentre tutti gli altri riferimenti credo siano più chiari.

Per quanto riguarda i personaggi, direi che ormai è chiaro che il Signore Oscuro pensi intensamente ai baci e inizi ad adorare qualcosa di Bella, anche se lungi da lui ammetterlo.

Per quanto riguarda Sgath, non è più un neonato e si sta abituando alle dinamiche dei suoi amabili genitori, anche se ovviamente lo fa d’istinto.

Grazie a tutte coloro che ancora mi seguono e mi scrivono nonostante i ritardi di aggiornamenti e risposte!

A presto, ragazze!

Circe

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Capitolo 29
*** Restiamo uniti ***


Restiamo uniti: Andromeda

 

Teddy stava diventando proprio un bel bambino. Non lo pensavo solo perché ero la sua nonna, ma perché era chiaro quando passeggiavamo fra la folla. Tante persone si voltavano e fermavano a salutarci, appoggiando la mano fra i folti capelli del piccolo, scompigliando quel mare di blu che lo contraddistingueva così bene anche nella comunità di maghi da sempre piuttosto eccentrica e stravagante.

Mio nipote a volte sorrideva appena, a volte guardava curioso e studiava la persona che stava compiendo quel gesto nei suoi confronti. Sembrava crescere rapidamente e osservare sempre più a fondo il mondo che gli girava attorno.

Fra una caduta rovinosa e un aiuto provvidenziale del suo fedele cagnolino, stava anche rapidamente imparando a camminare, ormai non aveva quasi più bisogno del mio aiuto, questo almeno nella nostra casa o nel piccolo giardino.

Dopo i primi tempi molto duri, il suo carattere insicuro e piagnucoloso aveva finalmente lasciato spazio ad un atteggiamento molto più tranquillo e allegro, anche se non è certo quel tipo di bimbo che ride volentieri o che dà confidenza con le persone sconosciute.

Sono molto orgogliosa di lui, dimostra quella forza necessaria per vivere già in così tenera età. Non poteva essere altrimenti essendo rimasto orfano così presto doveva farsi forza o si sarebbe perso nel dolore.

Negli ultimi mesi passati nella comunità magica, ho avuto modo di legare con molti di coloro che non avevo mai frequentato prima d’ora.

È stato un bene, dopo tanti mesi di sofferenza, sentirmi di nuovo parlare e talvolta ridere con gente diversa e disponibile. Mio marito è morto da poco tempo, penso ancora moltissimo a lui, ma il sentirmi di nuovo apprezzata, guardata, riempita di gentilezze e complimenti è per me un toccasana, un modo per riaprirmi a ciò che di bello è restato da vivere. Se qualcosa di bello per me è rimasto davvero.

Teddy resta la mia vita. L’unico legame che ho ancora con la mia bambina. Non voglio però soffocarlo, mi rendo conto di averlo fatto troppo finora: troppo preoccupata che gli accadesse qualcosa, troppo impaurita dal fatto che potesse soffrire.

Ho scelto di aprirmi di nuovo all’amore anche di altre persone, anche e soprattutto nei suoi confronti. È stato così che ha acquisito, oltre ad un fantastico padrino, Harry, che gli fa quasi da papà, anche una zietta niente male: la piccola di casa Weasley, Ginny.

Una bella ragazza dai capelli rossi e lo sguardo vivace ed intelligente, il carattere allegro e fermo nelle sue decisioni e comportamenti, sicuramente legata sentimentalmente ad Harry anche se non lo danno a vedere pubblicamente, questa ragazzina, dicevo, spende sempre diverso tempo in compagnia del piccolo, quasi ad allenarsi ad avere un bambino tutto suo, o forse perché abituata ad essere circondata da tanti fratelli e parenti di cui occuparsi e con cui parlare.

Teddy poi ha sciolto il cuore anche una quasi nonna: la signora Weasley. Era molto dura all’inizio, inflessibile e distaccata. Questo lato del suo carattere che vedevo essere innaturale, le veniva probabilmente dalle tante sofferenze e preoccupazioni per la sua numerosa famiglia. Si chiudeva per difendersi, per non legarsi e non dover soffrire più. Infondo la capivo. Imparando a conoscerla bene poi, la distinguevo anche da come la credevamo ai tempi della scuola: noiosa e sempliciotta. Mi accorgevo di non averla mai conosciuta veramente nonostante avessimo un certo grado di parentela. Mi è parsa una donna forte e abile, capace di dare molto amore e difendere le persone che ama con tanta convinzione e dedizione, cosa che io non sono mai riuscita a fare. Non possiedo il suo spirito di rinuncia, la sua capacità di mettermi da parte e appoggiare le persone che amo.

È dovuta arrivare questa guerra perché, nonostante tutto, io riuscissi a togliermi alcuni pregiudizi e antipatie che mi portavo dietro fin da bambina o ragazzina.

È da quando mi sforzo di frequentare di più questa casa dove si svolge la maggior parte della vita di queste persone che Teddy è più felice e sereno: ne sono contenta con lui e per me. Non si finisce mai di imparare dagli altri.

È nel piccolo giardino, vicino all’orto, oppure nella calda e accogliente sala da pranzo della casa che mi fermavo con Teddy, Harry ed i suoi amici, Molly Arthur ed altri dell’Ordine della Fenice. C’erano quasi tutti i superstiti del primo grande scontro, e parlavamo per ore ed ore nei lunghi pomeriggi di attesa: parlavamo della guerra, dei problemi, delle piccole gioie… ma discutevamo soprattutto di Lord Voldemort.

Mi ero sempre mantenuta distaccata dal combattimento vero e proprio, ma dopo la morte di mia figlia qualcosa in me aveva iniziato lentamente a mutare.

Rabbia e richiesta di giustizia, dolore e bisogno di ricominciare in una società più autentica e tranquilla, nostalgia e bisogno di fiducia, mi spingevano nella stessa direzione presa dalla mia bambina molto tempo prima di me. Ho sempre avuto paura per lei, ma allo stesso tempo ho sempre ammirato il suo coraggio ed ero orgogliosa di questo lato di lei, l’ho spesso ostacolata e me ne pento, le sue scelte non erano altro che le mie stesse, solo una generazione più avanti.

Ho maturato questo nel tempo, in quell’anno di solitudine e strazio che è seguito alla sua morte.

Ora sentivo il bisogno di agire, di dire la mia opinione; la vicinanza con chi era sempre stato in prima linea nella lotta mi dava sicurezza e coraggio. Loro mi ascoltavano e io avevo lentamente imparato ad ascoltare loro. Ne capivo i dolori, la determinazione e gli ideai.

Sentivo il loro modo di ragionare, di vedere la guerra e i combattimenti, vedevo l’ardore nei loro occhi.

Solo Harry Potter appariva diverso.

I capelli scompigliati e il viso teso, i lineamenti tristi. Non era come gli altri sotto nessun punto di vista. I suoi occhi di un verde intenso erano profondi e pieni di dolore velato. sembravano quasi rassegnati ad una sapienza infinita di cui, probabilmente, nessuno di noi sarebbe mai riuscito a capire o conoscere l’origine. Aveva una voce dolce e allo stesso tempo irruente, che ne tradiva il nervosismo, la paura l’orrore, ma soprattutto ne tradiva la disarmante giovinezza davanti ad una situazione così grande e complicata persino per molti adulti. Lui era semplicemente un ragazzo.

Ero certa avesse qualcosa in mente. Qualcosa che riguardava lui solo.

Nelle lunghe chiacchierate e discussioni a cui avevo preso parte ultimamente però, avevo capito che tutti insieme avremmo potuto essere una forza spaventosa, qualcosa che persino Lord Voldemort avrebbe dovuto temere. Avevo imparato a fare dei calcoli più tattici: quel mago oscuro non aveva più nessuno, non aveva più i suoi Mangiamorte, non poteva contare su nessun tipo di influenza nascosta. Non c’era nulla, era fuggito solo, con Bella, null’altro.

Noi invece eravamo tanti ancora, anche se non più quelli di prima.

Fu così che improvvisamente, ad un certo momento, capii dove, forse, stavamo sbagliando.

Quel giorno, Molly portò il tè al mirtillo con biscotti fatti a mano per tutti, biscotti al cioccolato e frutti di bosco. I ragazzi che erano presenti si avventarono sui pasticcini, noi più adulti e anziani sul tè. Era un pomeriggio piuttosto teso anche se la conversazione seguiva una linea di pacata tranquillità.

Fu Ron a parlare dopo aver mangiato una buona porzione di biscotti, buttò lì una frase con apparente noncuranza:

“Harry ha intenzione di andare in cerca di Voldemort, e vuole farlo molto presto.”

La frese sortì l’effetto voluto, ci lasciò tutti basiti. Anche se era una decisione che tutti sapevamo avrebbe preso, il sentirlo fece un effetto clamoroso.

Harry si mosse nella sua poltrona a disagio e lanciò un’occhiata di rimprovero a Ron: probabilmente non approvava il fatto di divulgare la notizia, non voleva, a parer mio, mettere ansie o preoccupazioni negli animi di altre persone, né desiderava decidessimo di prendere parte al pericolo che aveva deciso di correre da solo.

Calò il silenzio per qualche istante, un silenzio pesante, finché non fu Hermione ad intervenire:

“Io disapprovo totalmente, è un rischio troppo grosso.”

Furono gli unici a dire qualcosa, gli altri tacevano e attendevano le parole del ragazzo che, dall’atteggiamento, pareva invece aver già deciso tutto da solo. La ragazza era visibilmente preoccupata, si tormentava le mani e guardava insistentemente Harry per cogliere un cenno da lui. Il giovane però teneva lo sguardo basso, deciso, ostinato. Hermione si morse le labbra e dopo poco abbassò lo sguardo anche lei nel silenzio generale… forse troppo abituata a vedere l’amico addossarsi impegni e responsabilità troppo grandi per lui. Anche lei rassegnata.

Ron ed Hermione l’avrebbero comunque in qualche modo aiutato, ero certa, si capiva dal loro sguardo, dalla loro vicinanza all’amico di sempre.

Avevano ragione. Era questa la strada giusta.

Fui completamente stupita quando, dopo diversi istanti di silenzio e riflessione, decisi io di parlare, quasi come se quel discorso uscisse dalle mie labbra distaccato dalla mia volontà.

“Dobbiamo restare uniti,” dissi improvvisamente, e vidi tutti voltarsi verso di me “nessuno deve sacrificarsi, Harry l’ha già fatto una volta ed è stata l’unica necessaria per se stesso e per noi, ora è il momento di restare tutti uniti e combattere insieme contro l’oscurità. Voldemort è rimasto da solo, non commettiamo il suo stesso errore.”

Il silenzio cadde ancora intorno a noi, spostai il mio sguardo verso Harry che scuoteva la testa impercettibilmente.

Non era d’accordo, era convinto di dover essere lui ad andare incontro al Lord Voldemort per morire, o per ucciderlo. Avevamo anche scorto in Teddy l’unico che avrebbe potuto farlo al suo posto: l’erede della battaglia nel caso Harry fosse morto.

Ora ero certa che non doveva essere così. Parlai di nuovo.

“Basta Harry! Basta col dolore che hai dovuto provare tu, basta coi martiri e coi sacrifici. Basta col pensiero che sia tu a doverti sacrificare per tutti noi. L’hai già fatto una volta, non potevi fare altrimenti, ma ora le cose stanno in maniera molto diversa. Combattiamolo insieme, siamo una forza unita e compatta, Voldemort è solo perché vuole stare solo, ed è questa la sua più grande debolezza.”

A quelle ultime parole Harry alzò lo sguardo colpito, puntò i suoi occhi verdi e profondi nei miei, cercava una conferma, una forza, la sincerità e forse anche un po’ di quella protezione che mai nella sua vita aveva davvero avuto.

La ebbe, e in quel momento capii che l’avevo convinto.

 

……………………………………

Note:

Inizio con lo scusarmi perché ho scritto il capitolo di fretta… spero di non aver fatto troppi errori, ho riletto e sistemato qualcosa, ma di certo mi è sfuggito qualcosa.

Dato che sono in ritardo pubblico ugualmente, se trovate qualche strafalcione, fatemelo notare nella eventuale recensione please!

Sulla trama non ho particolari cose da dire, ho ripreso le fila della storia di Andromeda che, come vedete, prende un ruolo più attivo nei fatti che precedono l’ultima battaglia.

Vi ringrazio di aver pazientato fino ad ora per leggere il capitolo (chi lo ha fatto) e vi do appuntamento a presto (più o meno) per gli aggiornamenti!!

Grazie a tutte

Circe

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Capitolo 30
*** La pietra di sangue ***


La pietra di sangue: Bella

 

Facemmo davvero qualcosa insieme.

Lui ed io insieme: un evento così straordinariamente impossibile ed impensabile solo un anno prima. Inimmaginabile anche solo pensarlo.

In un primo momento non potevo credere alla sua domanda, soprattutto non riuscivo a realizzare il significato che si nascondeva dietro quella richiesta. Rimanevo esterrefatta e ammutolita davanti a lui, guardandolo incessantemente e profondamente. Dalle mie viscere però, era già nata una fiammata di fuoco che mi entusiasmava tutta e mi rendeva viva: un misto di sorpresa, eccitazione, felicità ed entusiasmo.

Il mio Signore ed io.

Insieme.

Preparammo dunque per davvero la pietra di sangue per Sgath, ciò che mi aveva richiesto lui per il piccolo erede. Una pietra rossa scura che poteva facilmente passare per un rubino a chi non si intendesse di magia oscura, ma che veniva fatta col sangue, cristallizzata con la magia nera e che possedeva forti poteri di protezione e non solo.

Non si trattava di un’operazione difficile, nemmeno particolarmente lunga da compiere: era infatti magia oscura avanzata, ma assolutamente alla nostra portata. Il Signore Oscuro però desiderava portare a compimento tutto il rito di preparazione insieme a me: questa era per me la vera sorpresa, il vero cambiamento.

Per il rituale scegliemmo una notte senza luna, di quelle che piacevano così tanto a Sgath: il figlio dell’oscurità.

Decidemmo di uscire nel parco di fronte alla rocca in cui ci trovavamo nascosti, lì l’ambientazione era perfetta: nessuna luce lunare che rischiarasse le tenebre, il rumore del vento sibilante proveniente dal bosco circostante a riempirci le narici e sfiorarci la pelle, e il verso sinistro degli animali notturni così ritmico e inebriante che faceva da sottofondo all’atmosfera lugubre e onirica che si era creata quella notte.

L’Oscuro Signore non perse tempo e iniziò subito a posizionare gli strumenti di rito.

Non osai chiedere di incidere la sua pelle con l’athame, ma lui lo fece con la mia, muovendo lentamente e profondamente il pugnale sacro sul palmo della mia mano.

Sentii dolore, molto dolore, soprattutto per la lentezza con cui compiva il gesto, il mio sguardo era, nonostante questo, troppo impegnato a guardare lui per lamentarmi di quel male. Non mi sfuggì nemmeno di notare quanto gli piacesse quel rituale, e quanto godesse nel vedere il mio sangue sotto la lama, di quanto sorridesse nel vederlo sgorgare dalla ferita.

I miei occhi erano incatenati dalla sua espressione, dal suo viso e dal suo sguardo infuocato, da quell’espressione malata e tagliente che avrebbe benissimo potuto, da sola, incidere la mia carne fino in profondità.

Poco dopo incise da solo il suo palmo, velocemente, senza tentennamenti.

 

Lasciammo cadere alcune gocce di sangue in una piccola ciotola di cristallo purificato, usammo sia il suo, sia il mio, perché il tutto risultasse più potente e più elaborato. Vidi davvero bene il suo sangue e mi incantai su di esso per diversi istanti.

Era la prima volta che lo vedevo, la prima volta che palesemente riflettevo sul fatto che il mio magicamente puro si mischiasse così perfettamente al suo… magicamente impuro. Erano uguali, notai: stesso colore, stessa consistenza, stesso odore. Alzai lo sguardo verso i suoi occhi. Guardandolo, desiderai ardentemente di baciarlo, di stringerlo e di farmi stringere, toccarci e amarci. Pensai anche a come potesse sentirsi davanti a quella situazione, mi chiesi se pensava anche lui, come me, alle questioni di purezza e magia.

Sentivo il suo profumo da così vicino, quell’odore freddo di vento che spira dai boschi e sottoboschi, dalle nere foreste impregnate di nebbia, tutto mischiato all’odore ferroso del nostro sangue unito insieme nel rito.

Solo nel momento in cui pronunciò le parole dell’incantesimo mi ridestai dai miei pensieri e dai miei sogni e desideri di lui.

“La pietra è pronta.” disse piegando la testa di lato, osservando nel contenitore il sangue prendere forma lucida e solida. Osservai e subito sorrisi anch’io alla trasformazione.

Pensai fosse venuto il momento di fare una domanda al mio Signore che già da un po' mi torturava la mente.

“Mio Signore,” azzardai “perché avete preso questa decisione? A cosa può servire, all’erede, una pietra di sangue, del nostro sangue, quando ci siamo noi?”

Mi fulminò letteralmente con lo sguardo. La tensione iniziò a crescere.

Non avrei dovuto fare quella domanda… forse lui aveva frainteso. Non volevo mettere in dubbio la sua vittoria schiacciante sul ragazzo sopravvissuto.

L’avevo deluso ancora una volta. Con una semplice domanda.

Eppure volevo sapere: perché creare qualcosa che legasse per sempre Sgath a noi? Non era sicuro allora di vincere?

Mi mordevo le labbra, non volevo abbassare lo sguardo e rinunciare ad una risposta. Nel momento in cui lo vedevo reagire così, volevo capire ancora più di prima. Possibile che prendesse anche solo in considerazione l’idea di venire sconfitto?

No, non era possibile.

Eppure non mi rispondeva. Il suo sguardo, al contrario, diventava pieno di rabbia e risentimento.

Quando lo ferisco nell’anima.

Mi prese la mano ferita nella carne e mi fece male. Quel suo modo violento di avvicinarmi a lui e travolgermi con la sua rabbia e passione mi aveva sempre fatto un effetto di meravigliosa eccitazione. Ora mi metteva leggermente paura e tanto dolore.

“Non hai ancora imparato a non discutere i miei ordini.” disse in un fil di voce cupa.

Strinsi le palpebre e riuscii a rispondere, sforzandomi, che non volevo discutere, che non mi sarei mai permessa, ma volevo capire.

“Non discutere, ho detto.” insistette avvicinandosi ancora di più a me, alzando molto la voce rispetto a prima. Quella vicinanza mi toglieva come sempre ogni pensiero, ogni volontà e riflessione logica, se non quella di ubbidire a lui, ai suoi desideri e alla sua volontà così prepotente e protettiva.

“Scusatemi, mio Signore.” dissi con un sospiro liberatorio.

 Mi lasciò libera dalla stretta, ma non dal suo sguardo. Non parlammo, né quasi respirammo. Eravamo vicini, così vicini da sentire i battiti del cuore. Non so dire per quanto tempo durò quell’attimo così intenso e, a suo modo, violento.

Ruppe lui il silenzio scostando lo sguardo.

“Dai la pietra a Sgath, fai in modo che resti sempre con lui, inventa tu come fare.” disse voltandosi lentamente, allontanandosi da me e lasciandomi ferma impalata a ripensare a quel momento sfuggente, ma scolpito nella mia anima per sempre.

Un accenno, un preludio… poi il silenzio.

Fu solo dopo diverse ore che ripresi il dialogo con lui: avevo pensato qualcosa di terribile, di oltraggioso e improponibile per mio maestro, nonostante ciò glielo volli dire. Non sapevo che ciò avrebbe così cambiato la nostra unione, così folgorato la mia vita. Lo feci quasi per caso, lo dissi così, per gioco e per amore.

Fu così.

Fu buio, buio e selvaggio, fu fulmineo, violento, improvviso, indiscreto, iroso, irato e appassionato. Fu sconvolgente… l’evento più sconvolgente di tutta la mia folle esistenza a lui sempre dedicata.

Fu tutto ciò che mi restava ancora da desiderare.

 

…………………………………

 

Note:

La pietra di sangue che dà protezione e comunicazione non è una mia invenzione, l’ho presa da un libro fantasy letto tanto tempo fa e ci ho ricamato su a seconda della mia fantasia e dei miei scopi.

L’athame è invece uno strumento realmente esistente (ovvero una sorta di pugnale) usato in alcuni rituali delle religioni pagane (stregoneria).

 

Grazie a tutte per le letture e a chi recensisce un particolare grazie! Per novità sugli aggiornamenti vi rimando al gruppo su fb!

Circe

 

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Capitolo 31
*** Il suo bacio ***


Il suo bacio: Bellatrix

Impiegai diverso tempo per riprendermi. Passarono ore prima che quella sensazione di folle inconsapevolezza di una gioia tanto sfolgorante quanto intensa, lasciasse il posto alla comprensione che quell’evento, tutto d’un tratto, tutto in un momento, era davvero accaduto.

Quasi non mi pareva possibile.

Guardavo il buio intenso davanti ai miei occhi, lo sconfinato nero del cielo che si confondeva, nell’ora più intensamente buia e silenziosa, con l’oscurità della natura immersa nella notte. Era tutt’uno quel paesaggio, gli alberi, la terra fredda e scura, il cielo nero, quel colore, quell’aria pungente ed elettrica, tutto sembrava avvolgermi.

Mi sfiorai le labbra con due dita della mano sinistra, lentamente.

Sollevai lo sguardo verso le stelle invisibili, cercavo quei puntini luminosi che disegnavano il cielo, ma la nebbiolina copriva tutto sotto una coltre vaga e solo la luna riusciva a brillare, seppur opaca, in alto nel cielo.

Ero sola, il mio Signore ed io non ci eravamo detti una sola singola parola dopo quel momento di unione così profonda, ma anche tanto immediata e fuggevole. Forse non sarebbe successo più, forse non avrebbe ammesso ancora un gesto simile. Ma nonostante i silenzi, nonostante il suo carattere, nonostante ciò che non vorrà mai ammettere di sentire, io sapevo che era vero, che lo sentiva anche lui… nonostante non volesse ammetterlo, né lo avrebbe ammesso mai. Sapevo che era amore, che era naturale e che sarebbe continuato in eterno.

Perché io lo amavo e lo amavo appassionatamente. E lui… lui anche.

Anche se così non sembrava, io avevo imparato a conoscerlo, a sondare la sua anima oscura e violentata, misteriosa e crudele, spietata.

Io e solo io.

Feci qualche passo attraverso quel balcone diroccato, mi avviai verso la stanza vuota all’interno, inondai i polmoni dell’aria oscura e fredda della notte e rientrai chiudendo le alte finestre della torre. Mi buttai letteralmente sul letto poco lontano, la luce della luna entrava dalle finestre fendendo la notte e bruciandomi gli occhi: li coprii con il braccio sinistro, avvicinando il marchio nero al mio viso. Sentivo il pizzicore del pizzo della manica solleticarmi la pelle, il tessuto lungo e largo sui polsi scendere dolcemente fra i capelli sparsi.

Nel buio totale potei ripensare a quei momenti. Ripensai alle parole, ai movimenti e ai toni che fecero divampare l’incendio:

“Mio Signore, potete ascoltarmi? Posso parlarvi ancora?”

Ero tornata all’attacco sulla pietra di sangue, continuavo a non capire le sue intenzioni, continuavo ad avere paura, in qualche modo, che lui stesso temesse per la sua vita e che volesse preservare Sgath.

Io senza di lui sarei morta: di paura, di dolore, di solitudine, d’amore. Dovevo quindi sapere, non potevo restare nel dubbio di poterlo perdere, che mi abbandonasse ancora una volta, ma definitivamente.

Lui sapeva, sapeva tutto; e se dunque temeva, avrei dovuto temere anch’io, se invece mi ero sbagliata, e quella pietra aveva un altro significato, non avrei avuto paura di nulla e di nessuno, perché lui sarebbe stato con me.

“Mio Signore, vi prego, spiegatemi perché avete voluto preparare quella pietra e mi avete ordinato di darla all’erede.”

A questa domanda iniziò a prestarmi attenzione, non si voltò verso di me, ma smise di interessarsi a ciò che stava facendo per ascoltarmi, dunque insistei subito:

“L’avete fatta perché potesse metterci in comunicazione in qualche modo con l’erede… dovesse succedere qualcosa. Ma cosa dovrebbe succedere? Cosa temete, mio Signore?”

La voce mi tremava: non volevo sapere la risposta, eppure la pretendevo. E anche il fatto di pretendere qualcosa da lui… non è facile.

Si voltò di scatto verso di me, io indietreggiai d’istinto vedendo i suoi occhi fiammeggianti di rabbia, ma non volli smettere di domandare.

“Non crederò mai che voi temiate di essere messo in difficoltà di qualsiasi genere da quel ragazzo maledetto. Non è vero, non è questo, vero, mio Signore?”

Lui avanzava verso di me, ad ogni passo il suo manto nero frusciava leggermente e il pallore del suo viso aumentava per la collera. Sentivo man mano il suo corpo avvicinarsi al mio, lo percepivo sempre, come se fossimo legati, come se vibrassimo all’unisono io con lui, lui con me.

“Non dovresti nemmeno averle certe idee, Bella.”

“Ma… mio Signore, voi stesso, il vostro comportamento…” non riuscivo a proferire frase di senso compiuto, non riuscivo a comunicargli che il suo stesso modo di fare mi faceva impensierire.

“Non pensare, non dire, smettila.” mi ripeté di nuovo, fermo davanti a me.

Qualcosa a quel punto si ruppe in me, qualcosa come una infinita quantità d’acqua che improvvisamente rompe gli argini che la tenevano ingabbiata dentro da troppo tempo, e inonda tutto ciò che la circonda, veloce, irruente, violenta. Parlai di nuovo, quasi urlai.

“No, mio Signore, non posso smettere di chiedere: ho paura, ho paura che mi lasciate sola di nuovo, voglio sapere cosa provate, perché agite in questo modo con Sgath, voglio sapere…”

“Stai zitta, ti ho detto!” mi interruppe di nuovo con furore, con veemenza. Qualcosa però lo frenava dal comportarsi come al solito: non mi prendeva, non mi scuoteva e non mi faceva male.

Non mi importava più di nulla. Insistei.

“Mio Signore, ditemi perché, voglio sapere perché…” il ritmo della conversazione era concitato, le frasi brevi, veloci, agitate; i respiri velocizzati, pieni di ansia, le voci acute.

“Ditemelo, mio Signore! Vi prego.”

Non piangevo, ero troppo convinta di voler sapere ormai, ma non andai più avanti, non mi uscivano più parole. I nostri sguardi si incrociarono velocemente, nei suoi occhi vedevo il fuoco della rabbia e della passione.

Sentii il mio respiro fermarsi improvvisamente, forse insieme al suo, o forse no. Per alcuni istanti ci fu un silenzio strano, pieno di tensione potente, sia dei muscoli che della mente, tensione di frasi non dette né mai accennate, di sentimenti taciuti e sensazioni negate, di violenza inaudita e di terrore lacerante.

In quel momento ebbi la consapevolezza improvvisa, nitida, vivida e violenta che mi avrebbe baciata.

Non disse un altro “taci” non mi disse di stare zitta, non mi punì, né urlò. Scese verso di me con rabbia, piegandosi velocemente, senza lasciare tempo e spazio a nulla, nemmeno ad un fuggevole pensiero. Non voleva che chiedessi o aggiungessi nulla, non sopportava di sentirsi porre nuovamente quelle domande che odiava, era troppo convinto della sua risposta per potermi mentire. Voleva fermarmi e lo fece in maniera sorprendente.

Sentii solo le sue labbra avvolgere le mie, bagnarle con passione e violenza.

Non feci in tempo a chiudere gli occhi, a perdermi subito in quel bacio… lo feci qualche istante dopo. Lui non lo fece mai.

Sentii la sua lingua fra le labbra penetrare e penetrare sempre di più, per poi stringersi e congiungersi alla mia, lottare in maniera violenta, sempre più violenta, per conquistare il predominio di quel bacio appassionato e sfrenato.

Lo sentii spingere, avvicinarsi a me, dominarmi ovunque; lottammo ancora con violenza, in quel singolo sublime bacio per il predominio dell’amore, e vinse ancora lui, nonostante tutto, nonostante la sua terribile avversità. Lui, che muovendo le labbra fra le mie con una tale passione violenta, risultava assolutamente irraggiungibile.

Mi piegai al suo volere, ai suoi movimenti duri e lascivi, forti e spietati, avvolgenti e arroganti. Mi piegai alle sue dita fredde che improvvisamente strinsero il mio viso, prima sul collo poi sulla guancia, toccandomi e volgendomi a suo piacimento, ancora e ancora.

Non fu un bel bacio, fu il suo bacio.

Non volevo finisse. Invece finì… dopo tanto, immenso tempo.

Guardai i suoi occhi smarrita, estasiata, fragile e felice.

Lui era più stupito di me: fissava i miei occhi e respirava affannosamente ancora vicino al mio viso. Senza dire una parola si voltò verso l’uscita e mi lasciò sola nella stanza buia.

 

……………………………………….

 

Note:

Finalmente, dopo che Bella ci sperava fin dalla prima ff, ecco che è arrivato il bacio!! Ormai era doveroso farli baciare questi due, anche se sono rimasta col dubbio di farlo accadere o non fino ad alcuni mesi fa…

Ciò significa che questa ff sta volgendo al termine, soprattutto per quanto riguarda la storia dei due protagonisti, perché il finale sarà dedicato ad altri personaggi (anche se ancora non so bene come si svolgerà in pratica) e sarà di pochi capitoli.

Spero che dopo tanta attesa il capitolo non sia stato una totale delusione… fatemi sapere! L’ho organizzato in maniera esattamente uguale al capitolo di Sgath in cui i due fanno l’amore per la prima volta: Bella è sola e ricorda gli avvenimenti appena accaduti.

Grazie a tutte

Circe

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Capitolo 32
*** Sgath ***


Sgath: Andromeda

L’inverno era di nuovo alle porte: il freddo diveniva sempre più intenso e pungente, le giornate erano grigie e umide, tutta l’aria intorno sembrava coperta da una coltre di nebbia e umidità. Nonostante questo, il silenzio e il mistero che imperversavano un tempo, ogni qual volta arrivavano i giorni di nebbia, non erano più così minacciosi ed inquietanti; l’incubo del Signore Oscuro non c’era più, eravamo liberi, nessuno se ne preoccupava più e finalmente questo alleggerimento delle nostre anime era una condizione definitiva, sicura.

Lui e la sua signora del male avevano finalmente terminato di vivere, di uccidere, di fare del male e di portare terrore e paura ovunque fosse nominato il loro nome.

Non esisteva più alcuna traccia di loro.

Tutti gli altri Mangiamorte erano da tempo anch’essi morti o incarcerati, non destavano alcuna paura.

Mi sentivo orgogliosa di aver contribuito a tutto questo, sia con le idee sia coi fatti, ora mia figlia avrebbe potuto essere davvero orgogliosa di me e avrebbe potuto essere tranquilla per il suo Teddy.

Sì, finalmente il piccolo stava bene: rideva, giocava, parlava confusamente col suo nuovo fratellino e col suo amico peloso; sinceramente non avevo mai visto Ted tanto felice.

Gli occhi blu gli ridevano quasi ogni momento, era curioso di scoprire ogni cosa lo circondasse nulla gli sfuggiva soprattutto se era affiancato dall’enorme cane fulvo che aveva, con ogni ragione, ereditato il nome di Sirius. I capelli quasi perennemente di un blu intenso, erano sottili e ordinati, ricordavano le onde del mare quando manca il vento… quasi invogliassero a concedergli una carezza più del dovuto, un sorriso strappato per quel bel viso sereno e sorridente.

Cresceva in fretta e diventava bellissimo.

Frequentavamo spesso casa Weasley, la Tana; Molly riempiva di biscotti il mio piccolo nipotino ed Harry lo faceva salire sulla scopa. Lo lasciavo fare, nonostante fosse contrarissima a sottoporlo a questo inutile pericolo alla sua tenera età. D’altra parte Harry era praticamente un adulto, sapeva occuparsi perfettamente di Ted. Dopo la sconfitta del Signore Oscuro, quel ragazzo era cambiato, era più tranquillo e sereno, ma forse un po’ più triste di come avevo imparato a conoscerlo; forse, era semplicemente cresciuto. Il suo sguardo profondo e il suo sorriso pacato lasciavano intravedere ogni dolore subito e difficoltà superata, quel ragazzo era un eroe, il suo coraggio e la sua generosità erano fuori dal comune e io lo ammiravo sinceramente.

Come tutto il mondo magico senza nessuno escluso.

Ero felice e orgogliosa che mio nipote ed Harry Potter andassero così d’accordo e fossero così uniti al di là di tutto: un rapporto così stretto, il loro, da sfuggire a qualsiasi spiegazione.

Mi preoccupava di più il bambino che avevo preso con me da dopo la guerra: Sgath.

Sgath sembrava allegro e contento: mangiava, giocava e cercava il contatto umano continuamente, come se gli fosse mancato. Era attivo, attento e pronto a qualsiasi attività, gioco e avventura. Buono, ubbidiente e spesso sorridente, sembrava andare d’accordo con tutte le persone che lo circondavano, seppur mantenendo una certa riservatezza, addirittura timidezza.

Sembrava un normalissimo bambino che esce da un difficile momento, eppure, non parlava.

Non diceva una parola, non avevo mai sentito la sua voce, né un accenno ad essa.

Nonostante avesse già da tempo l’età per farlo, il piccolo non diceva una parola, non provava nemmeno ad emettere suono. Ero abituata alle difficoltà di crescere un bambino senza i genitori, affrontando i grandi e piccoli problemi che notavo nel loro animo a causa di ciò, ma Sgath era particolare, sembrava ci fosse in lui uno strappo più profondo che mai, una lacerazione incolmabile dell’anima.

Già tempo prima avevo tentato di rivolgermi ad un Medimago:

“Il bambino è sano e al momento sta bene, signora… è molto vivace, reagisce bene a qualsiasi stimolo e non presenta nessun problema fisico.” mi disse.

“Eppure non parla.” fece una pausa e accarezzò il piccolo sui fiammeggianti capelli di uno strano rosso scurissimo, dritti come le fiamme di un incendio. Poi continuò senza distogliere lo sguardo da lui.

“Da ciò che ci ha raccontato, da quel che ci è dato sapere, la sua salute generale resta piuttosto cagionevole, forse per via di una malattia contratta poco dopo la nascita, forse per una nascita prematura. Il fatto però che ora non parli per nulla, può essere legato più ad un fattore psicologico che a qualcosa di fisico.”

Guardavo il Medimago e lo ascoltavo attentamente: restava vicino a Sgath che sgambettava sulla sedia impaziente di andarsene. Lo osservava ancora, sembrava voler capire quanto ancora gli sfuggiva, voleva anche lui aiutarlo, curarlo.

Poi ritornò a parlarmi:

“L’attuale rifiuto del bambino di parlare, quindi di interagire completamente, può essere dovuto ad un trauma psicologico piuttosto che ad uno fisico.”

L’avevo bene immaginato: averlo trovato con un semplice elfo domestico ad accudirlo, nel bel mezzo della battaglia, solo abbandonato in un bosco, di notte, deve essere stata un’esperienza durissima per un bambino così piccolo.

Probabilmente i genitori erano morti in battaglia, o poco prima. Accadde tutto per caso, come fosse stato pensato dal destino che incontrai Sgath. Quell’elfo aveva attratto la mia attenzione consegnandomi poi il piccolo quasi come se fossi io la madre, o come se mi avesse scambiato per lei… poi scomparve spaventato, senza lasciare traccia di nulla e di nessuno.

Potevo abbandonarlo? Avrebbe potuto essere Teddy, solo, senza genitori, né parenti.

 “Quindi, signora, le consiglio di attendere.” disse il Medimago riportandomi alla realtà.

“Cerchi di creare per questo bambino un ambiente normale, tranquillo e pieno di affetto, in modo da sbloccare il trauma e dargli la possibilità di superarlo. Lo terremo controllato periodicamente, in modo da non rischiare aggravamenti fisici, o psicologici e cercheremo anche di comprendere se è dotato di poteri magici, o meno.”

Il Medimago sembrava confidare che Sgath avrebbe potuto guarire, parlare ed essere assolutamente normale. Mi sembrava una persona concreta e preparata: presi il piccolo per mano e, rincuorata, me ne andai.

Ci reimmergemmo fuori, nella via brulicante di maghi e streghe.

Diagon Alley era tornato il vecchio quartiere di una volta: strade brulicanti di maghi, elfi domestici e scope, voci, grida, risate o lamentele, vetrine di ogni sorta. Sgath sembrava sempre eccitato e felice durante le passeggiate per quel luogo e io approfittavo delle sue visite dal Medimago per fare un po’ di spese.

Spesso comparivamo insieme Sgath ed io, quando venivo per le visite dal Medimago, Teddy restava a casa Weasley.

Io gli tenevo la mano per non farlo scappare da un negozio all’altro, lui sempre in compagnia del serpente alato Uroboro, che restava attorcigliato al suo polso, salendo vicino al volto per la spalla quando dovevano comunicare: loro si capivano incredibilmente bene.

Iniziavo ad affezionarmi comunque anch’io al suo modo di parlare: lo sguardo attento, attratto da una vetrina, la sua manina che afferrava stretta la mia e tentava di indicarmi ciò che desiderava e il sorriso pieno quando comprendeva che avevo capito il suo volere.

Il guizzo di soddisfazione negli occhi color rubino quando comprendeva che avrei acconsentito al suo volere.

Nonostante la pelle pallida e la magrezza piuttosto pronunciata, sebbene io tentassi di farlo mangiare molto, nonostante la sua apparente fragilità, talvolta, a tratti, appariva più forte del previsto. Avevo imparato a capire che, sotto sotto, aveva un carattere forte e volitivo che si manifestava in maniera molto sottile e misteriosa, ma raramente si poteva sfuggire al suo silenzioso volere.

Sgath, vieni subito qui!” dissi subito, vedendolo trotterellare improvvisamente, da solo, verso il negozio di incantesimi e formule magiche. Era affascinato da alcune vetrine, irrimediabilmente attratto.

Per fortuna tornava sempre da me senza storie, ubbidiente, quando lo richiamavo o sgridavo; tornò pian paino mentre il sole gli illuminava il viso e, contemporaneamente, la pietra rosso cupo che portava al collo.

Mi dava una strana sensazione quella pietra.

L’avevo trovata fra le sue manine, afferrata stretta stretta, il giorno che lo incontrai per la prima volta. Dietro, nell’incastonatura in argento, vidi scritto  “A Sgath”. La trovavo curiosa come dedica, ma poco dopo capii che Sgath doveva essere il nome del piccolo. Un nome curioso, molto curioso… ma decisi di lasciarglielo. Aveva un fascino particolare, e in un certo modo, che non saprei dire, mi pareva gli si adattasse perfettamente.

Poco dopo feci costruire un piccolo ciondolo e glielo misi al collo fin dalla più tenera età, perché non se ne separasse mai.

“A Sgath” era scritto sull’argento dov’era incastonata la pietra, inciso con una calligrafia pittoresca e originale. La pietra era particolare, sembrava un rubino, ma il suo colore non era particolarmente trasparente, sembrava color del sangue. D’altra parte anche il bambino sembrava aver gli occhi color del sangue, solo un po’ più scuri. La qual cosa mi colpì particolarmente.

 Sgath significa oscurità.

Avevo imparato bene la lingua gaelica quando ero ancora giovane, a casa mia, dai Black. Sapevo quindi il significato particolare di quel nome. Forse i veri genitori di Sgath erano dei purosangue, o persone con radici magiche molto antiche: non tutti ormai conoscono il gaelico.

Sono molto legata a Sgath. Come Ted è legato ad Harry Potter.

Quando tuffo la mano fra i suoi capelli folti, dritti, rossi come il fuoco, scompigliati e avvolgenti, quando osservo come si muove, come mi guarda e sorride… mi sembra quasi di ritornare ad un tempo lontano, a qualcosa di infantile e di passato, come se fosse parte di me da sempre. Come se quel fuoco che porta dento, appena percepibile. tutto quell’entusiasmo ed energia, io l’avessi conosciuto da sempre.

 

……………………………………………………….

 

Note:

Ebbene sì, devo spiegare molte cose… ho fatto un salto temporale abbastanza lungo, saltando tutta la parte che concerne la battaglia finale e la mia versione di questa, ma non temete perché ci tornerò sopra.

Anche le fan della coppia oscura non devono temere perché, gli avvenimenti che precedono la morte di Voldy e Bella, verranno ripresi, anche se sotto forma di flash back, con i due protagonisti ampiamente descritti.

Avevo avvisato che ormai eravamo alla fine della ff, forse, con questa nuova versione che mi è venuta prepotentemente in mente (tanto che il capitolo l’ho dovuto scrivere così), questa si allungherà di alcuni capitoli rispetto a ciò che avevo preventivato. 

Per ora vi lascio alle domande, commenti e quant’altro, se ne avete! Ci sentiamo sul gruppo!

Grazie

Circe

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Capitolo 33
*** Incubi dal passato ***


Incubi dal passato: Andromeda

Erano passati quasi due anni, ormai, da quella notte, era passata tanta acqua sotto i ponti, tanto tempo di pace e normalità. Nonostante ciò, facevo ripetutamente ancora quel sogno. Non spesso, non frequentemente, ma lo facevo.

Iniziava sempre nella foresta proibita vicina alla scuola: quello che era stato il punto di ritrovo di quella battaglia.

Il sogno era sempre intenso allo stesso modo, non svanivano i ricordi man mano che passava il tempo: ero sempre circondata dal buio della foresta nella notte, dal freddo di quella sera di primavera, dall’incertezza di una guerra senza fine… eppure sapevo di non aver nulla da perdere.

Nel sogno come nella passata realtà combattevo, e combattevo strenuamente, senza pensare e senza fermarmi; fu poi per caso che me la trovai davanti.

Sempre, improvvisamente, era lì, nel sonno: un incubo oscuro che tornava a farmi visita perennemente.

La sognavo ancora, costretta dunque a ricordarla sempre.

Era inconfondibile con la sua arte nel combattere, con la violenza che infondeva negli incantesimi, col fuoco dei suoi occhi e della sua magia, la forza e il potere che avevo imparato a conoscere già quando eravamo poco più che bambine.

Era inconfondibile il suo manto scuro, elegante e ricercato nella battaglia, così fascinoso a modo suo e il terribile tatuaggio nero che portava sul braccio, quel marchio che ostentava con orgoglio.

Anche nel sogno la sentivo ridere, confondevo sogno con realtà di quei momenti, tanto erano simili e stampati nella memoria.

Quella risata mi fece come impazzire. Nel fragore della battaglia, in mezzo a incantesimi urlati e sussurrati, nel rumore dei battiti di tutti i cuori che galoppavano a ritmo di tamburi, la sua risata mi scatenò l’inferno.

Nulla avrebbe potuto trattenermi.

“Bella!” urlai verso di lei “Bella, guardami!”

Si voltò e mi guardò senza paura; non solo mi osservava, non solo teneva alti gli occhi davanti a me, occhi scuri e penetranti di crudeltà, non solo ciò: lei infatti si divertiva. Si entusiasmava come una bambina durante un gioco appassionante e divertente. Godeva nel combattere contro quel groppuscolo di persone che, insieme a me, si era raccolto attorno ad Harry Potter per combattere il suo Signore e lei stessa. I superstiti del male.

Aveva alzato uno scudo di nebbia e si proteggeva tramite questo dagli incantesimi avversi, facendosi così beffe di tutti noi che non conoscevamo le potenti arti oscure.

Combatteva per quell’uomo, come sempre, incurante di tutto, sicura di sé, uccideva persone come fossero mosche, nessuno sembrava vincere davanti al suo straordinario potere oscuro.

Rideva come se nulla fosse, e rivolse quella risata anche a me. Forse fu questo il grande errore.

Era particolare quel modo di ridere, e me ne ricordava un’altro altrettanto particolare: loro… così simili, così diversi.

Mi ricordò il mio splendido cugino! Erano straordinariamente simili e terribilmente opposti Sirius e Bellatrix, fin da bambini.

Fu forse proprio lui a fare il miracolo?

Nel sogno il suo potere e il mio a volte si sovrappongono come se fosse uno solo.

Insieme all’immagine di Sirius mi vennero in mente tutte le immagini delle persone che amavo, tutte uccise da lei, da mia sorella.

Allora sentii qualcosa, sentii una forza sprigionarsi dento di me, senza nemmeno pensare, la trasferii alla bacchetta come fosse un semplice incantesimo.

Ma era molto di più.

Durante i sogni sento ancora quel particolare calore nella mano, come se l’energia si fosse triplicata, la sensazione è così potente che mi sveglia, quasi sempre allo stesso punto del sogno. Quando torno in me tremo ancora leggermente per questa scarica che si libera in me al solo ricordo di quell’istante.

Mi serve sempre un po’ di tempo per comprendere che sono nel mio letto, nella mia casa e non in piena battaglia.

Mi sveglio e ripenso, collego realtà con la fantasia, tanta era la concitazione che resta tutto confuso nella mia mente.

Ricordo l’incantesimo illuminato di oro, un colore così particolare per una magia, lo rivedo uscire dalla mia bacchetta così velocemente da colpirla in pieno, devastarla completamente; ricordo poi solamente di essermi sentita stanca e leggera. Come in una nuvoletta silenziosa e bianca, come se mi avessero tolto un peso, una sensazione opprimente di minaccia.

Per rendermi conto realmente di ciò che avevo fatto nel momento della battaglia dovetti guardare i volti dei miei compagni: i ragazzi traumatizzati, le madri che avevano perso i figli come me, i guerrieri che tentavano l’impossibile per compiere il loro dovere.

Fu leggendo quegli sguardi che capii realmente cosa avevo appena fatto: avevo ucciso Bellatrix Lestrange. Non avrebbe più stroncato la vita di nessuno.

L’avevo uccisa io, con le mie stesse mani, i miei stessi poteri e ne ero felice, sollevata.

“Morta…” ripeto ogni volta che faccio quel sogno “non esiste più, finita.” mi calmo e mi alzo a sedere sul letto.

A volte mi stropiccio gli occhi, a volte mi massaggio le tempie. In quell’occasione feci un sospiro lungo e pensieroso e mi risistemai i capelli. L’incubo era finito e io non avevo più forze, ma non dovevo più temere.

Vedevo il suo copro in terra, ancora magro e sciupato, ormai agonizzante. Un piccolo rivoletto di sangue le sgorgava dalla tempia e un altro dalle labbra: un’immagine terribilmente reale nell’oscurità della mia stanza da letto. E poi la scena successiva, disgustosa e raccapricciante.

Scossi la testa e accesi alcune candele bisbigliando “Lumos.” Non volevo pensarci più.

Di ciò che avvenne in seguito, l’importante era solamente che avevamo sconfitto il male, lo avevamo eliminato tutti insieme, con l’unione delle forze, null’altro.

Decisi di dare un’occhiata ai bambini e intanto calmarmi un po’. Ogni volta che mi capitava di svegliarmi la notte e ripensare all’ultima battaglia, guardavo i piccoli come per assicurarmi che stessero bene, che non gli venisse fatto nulla di male.

Andai prima da Teddy: a lui avevo lasciato la camera di Ninfadora, dove l’atmosfera era calda e protettiva e lo potevo avere vicino. Sirius dormiva sul tappeto vicino alla finestra e Teddy nel suo lettino era tranquillo, dormiva beato come sempre.

Sgath, lo immaginavo già, non l’avrei trovato a dormire tranquillo.

Cambiai stanza e andai nella sua, più piccolina e appartata rispetto a quella di Teddy, ma l’avevo sistemata con amore e attenzioni per accoglierlo al meglio.

Sgath sembrava capire spesso i miei sogni, soprattutto quello. Lo trovai infatti sveglio, quasi attento, lo sentivo nel buio guardarmi col suo sguardo enigmatico e le labbra mute. Il serpente alato sempre al suo fianco.

Lo accarezzai per qualche istante mormorandogli dolci parole, il piccolo si calmava pian piano, ma non si riaddormentava mai facilmente.

Prendeva sonno solo ed esclusivamente quando mi allontanavo completamente, portando via con me anche quella piccola fonte di luce che era la mia bacchetta magica.

Nella stanza calava la più completa oscurità.

Dormiva solo in pieno buio, nel silenzio. Questo mi stupiva sempre di lui, ma non mi era nemmeno del tutto nuova quell’abitudine, così strana per i bambini, ma non riuscivo in nessun modo a ricordare dove l’avessi mai potuta sentire precedentemente.

Tornavo sempre a letto pensierosa ed erano quasi le prima luci dell’alba.

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Capitolo 34
*** Eventi importanti ***


Eventi importanti: Andromeda

 

L’evento più importante di quel periodo fu il matrimonio di Harry Potter, il ragazzo sopravvissuto, che si unì felicemente con l’eroina della squadra di Quiddich femminile più forte del momento: Ginny Weasley.

Erano passati così tanti anni ormai dalla vittoria finale e ognuno di noi aveva ricominciato una vita normale, il ritorno in auge del prodigioso ragazzo che ci salvò dall’Oscuro Signore, riaprì in parte però vecchi racconti, vecchie ferite, vecchi discorsi.

Quell’evento tanto importante per la piccola comunità magica, portò per me e per chi mi circondava svariate novità che ci aprirono ad un futuro migliore. Fu dunque un felice evento sotto tutti gli aspetti.

La coppia protagonista era radiosa e contenta come raramente si può vedere anche durante un matrimonio: dopo le tante disavventure, problemi e angosce che avevano dovuto passare, i due ragazzi apparivano più maturi e capaci rispetto alla normalità della loro età, tranquilli e innamorati al di là di convenzioni e promesse, era un piacere osservarli parlottare e ridere fra banchetti e invitati, nel parco fatto di alberi e natura già rigogliosa nella primavera ormai inoltrata.

La sposa era incantevole e spigliata, vivace e molto affascinante, lo sposo appariva più timido e riservato, ma comunque entusiasta ed innamorato, i suoi occhi non erano che per la giovane sposa.

Si meritava finalmente la felicità, anzi, e l’era più che meritata. Non aveva esitato un momento a sacrificarsi per il bene comune, non aveva esitato a sacrificarsi di nuovo, una seconda volta, quando aveva deciso di affrontare Voldemort da solo, uno ad uno, come voleva ostinatamente fare il suo nemico.

Solo il fatto di accettare, nell’attimo finale, l’intervento di tutti noi ha fatto sì che il nemico venisse definitivamente sconfitto. È stato un atto di fiducia e umiltà da parte di Harry, qualcosa che l’Oscuro Signore non è arrivato a capire a causa della sua ossessione ormai palese per la solitudine, per la mania di incentrare sempre tutto su di sé.

Anche lui aveva una potente alleata, ma non ha saputo capire il potere dell’unione, che fa la forza. Harry ha compreso invece in extremis l’importanza dell’apporto magico di tutti i suoi amici e alleati messi insieme, ha capito il bisogno di tutti di unire il potere e sconfiggere così, con un’ondata di energia inimmaginabile, il potere oscuro di quel mostro di Lord Voldemort.

In caso contrario la magia oscura di quest’ultimo avrebbe avuto il sopravvento perché più potente.

Feci un sospiro di sollievo inaspettato, compiacendomi che fosse andata così, e decisi di non pensarci più.

Il pomeriggio fu pieno di musiche antiche, balli e allegri festeggiamenti, andò avanti fino all’arrivo della sera, quando solo pochi intimi si raggrupparono per salutare e chiacchierare ancora una volta con la coppia del giorno.

Avevo riportato in casa Weasley i bambini, ormai era buio e avevano giocato, corso, riso e ballato durante tutta la giornata, immaginavo fossero stanchi. Decisi quindi di salutare e tornare a casa.

Sgath ancora non parlava, mentre Teddy era un gran chiacchierone e salutava tutti in allegria, i due si compensavano benissimo in questa, come in molte altre cose, era diventato difficile tener dietro a quei due scatenati.

Harry prese in braccio Teddy non senza un po’ di fatica, ormai il mio piccolo stava crescendo e non era facile né sollevarlo, né tenerlo buono.

“Tieni Teddy, prima che tu vada via, voglio darti un regalo che spero ti piacerà molto. Ora che la nonna ti sta insegnando a leggere, mi piacerebbe lo tenessi tu.”

Con queste parole gli pose un pacchetto regalo con un bellissimo nastro rosso. A Teddy brillarono gli occhi.

“E questo invece è per te, piccolo!” aggiunse il giovane sposo porgendo un altro pacchetto molto simile al primo, questa volta a Sgath che li guardava da terra incuriosito.

I bambini aprirono i regali all’unisono dopo aver ringraziato Harry. Il ringraziamento del piccolo Sgath fu silenzioso, ma eloquente: l’espressività dei suoi occhi di quel colore particolare non potevano sfuggire a nessuno.

Si trattava di due libri di fiabe, uno dei quali, quello per Teddy, era intitolato “Le fiabe di Beda il Bardo”. Conoscevo bene il significato di quel libro per Harry e, soprattutto, di una delle storie in particolare.

Infatti, poco dopo, mentre i bimbi si misero a sfogliare per controllare le immagini di entrambi i libri, anche Harmione entrò nella conversazione.

“Ho voluto io che Teddy avesse la copia originale lasciatami da Silente, Andromeda.”

Disse subito, rivolgendosi a me con gentilezza, mentre ancora ringraziavo Harry per i suoi doni. Sapevo il motivo, ma la lasciai comunque parlare.

“Mi piacerebbe che Teddy conoscesse fino in fondo le storie della magia e le storie della realtà e della battaglia contro Voldemort, quella che hanno combattuto anche i suoi genitori…”

Annuii convinta, era fondamentale anche per me questo punto.

“Gli racconterò tutto, non dubitare.”

Lei mi sorrise subito, poi aggiunse:

“Un giorno capirà i punti di vista di tutti e saprà avere una sua visione del mondo giusta e personale. Anche la scuola lo aiuterà, Hogwarts è una scuola stupenda, per me tutto è iniziato da lì.”

Ci guardammo tutti con lo stesso sguardo e, probabilmente, con la stessa convinzione nella mente, giovani e meno giovani, uomini e donne. Per tutti valeva la stessa cosa: le nostre vite, le nostre esperienze e avventure erano proprio iniziate da lì, da Hogwarts.

Sembrava che la bella giornata stesse volgendo al termine completamente ma non fu così. Dopo quelle frasi su come la scuola fosse stata importante per la nostra vita, Harry aggiunse una piccola curiosità, qualcosa che all’apparenza sembrava senza grande importanza, ma che fece accadere una cosa incredibile.

“Quella scuola è magica per tutti noi, persino per Voldemort lo era. Proprio là, proprio nel luogo più misterioso e selvaggio della scuola, ho lasciato andare uno dei doni della morte di cui parla il libro! La pietra della resurrezione. Non l’ho mai più cercata.”

Fu una curiosità particolare per tutti. Di certo, però, nessuno poteva immaginare che questa frase avrebbe sortito una reazione così improvvisa, inaspettata e sconvolgente.

Pochi attimi dopo, infatti, una vocina leggera, un po’ esitante e leggermente sibilante ruppe il silenzio.

“Cos’è la pietra della resurrezione? E i doni della morte cosa sono?”

Nel silenzio stupito e incredulo, tutti ci girammo verso colui che aveva pronunciato quelle parole in maniera decisa e curiosa.

Sembrava incredibile e impossibile. Nessuno di noi aveva mai sentito la sua voce, non aveva mai proferito parola da più di sei anni, da quando era comparso, come per magia, nelle nostre vite.

In quel momento così strano, invece, Sgath aveva davvero parlato per la prima volta.

Mi alzai e corsi ad abbracciarlo, sperando che non fosse anche l’ultima volta che udivo la sua voce.

 

………………………………..

 

Note:

-          Lentamente ci avviciniamo alla fine e anche Sgath inizia a parlare. All’inizio non sapevo se farlo parlare improvvisamente, non avevo idea se fosse realistico o meno, poi giusto qualche giorno fa, ho letto di un bimbo muto che parlava col gatto da parecchio tempo prima che si scoprisse che appunto non era muto.

Dato che avevo intenzione di svelare che lui stesso ha spesso parlato con Uroboro in segreto, ho subito approfittato della notizia.

-          Una variazione rispetto al libro che ho voluto evidenziare è stata che Harry non vince da solo contro Voldy con tutto quel saltellare di bacchette che non ho mai capito… ho preferito semplicemente contrapporre il fatto che, mentre Voldy combatteva ostinatamente solo, nonostante la presenza di Bella, Harry ha capito l’importanza dell’unione. Grazie proprio all’unione di poteri diversi è riuscito a sconfiggere Voldy e la sua magia oscura (compresa la bacchetta di piuma di fenice nera…).

Spiegherò meglio come si sono svolte le cose nei capitoli successivi, anche se non saranno molti.

Direi che ho detto tutto!

Grazie per le letture e a chi ancora recensisce! Sono contenta che siate arrivate fin quasi alla fine…!!

Circe

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Capitolo 35
*** Racconti ***


Racconti: Andromeda

Harry prese il piccolo Sgath sulle ginocchia e mise Teddy seduto sul tavolo, poi, con calma e partecipazione, iniziò a raccontare la storia dei Doni della Morte. Fece tutto come se non fosse successo alcunché.

Era un buon ragazzo, non voleva mostrare nessuno stupore per aver sentito per la prima volta il bambino parlare, non voleva intimidirlo, ma farlo sentire accolto, come se avesse fatto la cosa più giusta e normale di questo mondo.

Harry era buono e positivo di natura, mi scoprii a pensare che, probabilmente, oltre che un buon marito, sarebbe stato anche un bravo padre.

I miei pensieri erano però tutti rapiti da quel bambino dai capelli rossi rubino e da quegli occhi vivi ed intelligenti che ora ascoltava attento il racconto del ragazzo che lo teneva in braccio: era così misterioso, così strano e particolare, eppure era riuscito a catturare tutto il mio amore e il mio affetto, ero immensamente felice che avesse parlato e dovevo reprimere lacrime di gioia che spingevano prepotenti fra le palpebre.

Pian piano si erano avvicinati a me alcuni invitati, silenziosamente e discretamente facevano brevi commenti, mi sfioravano la spalla per affetto, tutti gesti che mi facevano comprendere che avevano sentito e avevano visto il mio bambino che finalmente parlava come tutti.

Io speravo ardentemente che da quel momento non si sarebbe più fermato.

Li guardavo, il tempo passava, i bambini domandavano e chiedevano: erano curiosi, avidi di particolari di quella storia a parer mio un po’ inquietante. Ero felice: Sgath parlava, le domande venivano soprattutto da lui, senza esitazione e senza troppa timidezza si rivolgeva ad Harry come se lo conoscesse da sempre, come se avessero conversato da anni.

“E dove hai lasciato la pietra, Harry?” aveva chiesto ad un certo punto, puntando lo sguardo negli occhi del giovane.

“Sai Sgath, vicino alla scuola dove andrai tu fra qualche tempo…” poi correggendosi aggiunse:  “fra qualche anno… c’è una foresta fitta e buia, silenziosa e oscura, il cui buio e silenzio sono rotti soltanto da animali selvatici, sconosciuti e mitici… ecco, là ho abbandonato la pietra, fra radici, foglie, muschi e gelida terra.”

Trovavo che Harry fosse bravo a raccontare le storie, a rendere la Foresta Proibita così particolare e fantastica; quando il racconto sembrava volgere al termine, il giovane venne interrotto di nuovo, questa volta da Teddy.

“Raccontaci della scuola Harry! La nonna non ci dice mai nulla, ma noi siamo tutti e due curiosi di sapere…”

Sgath lo interruppe subito.

“Abbiamo visto alcune immagini sui libri, sembra un castello gigantesco, tutto pieno di magie!” subito dopo questa frase, i due bimbi si guardarono e quasi scoppiarono a ridere, poi Teddy aggiunse veloce:

“Veramente è Sgath che ha visto tutte quelle immagini sui libri, io mi annoio, preferisco guardare le foto delle scope volanti!”

Harry scoppiò a ridere, Hermione alzò gli occhi al cielo piena di disperazione… poi il bellissimo racconto di com’era la scuola dei maghi e delle streghe iniziò.

Fu Harry il primo a raccontare; con la sua voce calda e morbida, fece ritornare alla memoria di noi tutti le meraviglie della scuola e lo stupore per tutto ciò che era, era stato e sarebbe diventato.

Hogwarts è un enorme castello nel mezzo di alte montagne, sembra splendido e grandioso a prima vista… e tale rimane anche in seguito, quando lo si scopre e conosce più o meno a fondo.

Gli studenti lo raggiungono prendendo il treno dalla stazione di King's Cross, a Londra. Lo si riconosce subito, è arroccato sopra un'enorme scogliera e di fronte c’è il Lago Nero. Un lago meraviglioso e allo stesso tempo oscuro, che si estende per molte miglia e, pensate, al di sotto del quale si dirama una parte della scuola stessa.”

Harry fece una pausa d’effetto, i bambini lo ascoltavano in silenzio e con entrambi gli occhi sgranati, trattenendo il fiato a quest’ultima grande rivelazione.

Io sorrisi… ricordavo bene quella parte del castello: la mia Sala Comune. I ricordi giunsero alla mia mente come acque di un fiume in piena, ma li ricacciai con forza indietro: erano ancora troppo dolorosi per me i ricordi della giovinezza, troppo pieni di Ted, di amore e amicizia.

Ripresi subito il filo del racconto, questa volta però fu Hermione a riprendere a parlare:

Hogwarts è un castello stile gotico, a tratti romanico. Sono stili artistici, capite?” i bambini non si mostrarono particolarmente interessati, ma lei continuò incurante:

“Ci sono grandi arcate e tante vetrate, i soffitti sono alti, anzi, altissimi, contornati esternamente da torri e torrette. Il castello poi è diviso in due zone collegate tra di loro da ponti sospesi. Molto romantici… ma voi siete ancora piccoli, capirete…!

Inoltre è grandissimo, pieno di studenti con mantelli da apprendisti e cappelli da streghe e stregoni che brulicano fra ballatoi, cortili, ponti, torri e corridoi! Per non parlare dei giardini e dei sotterranei. Si narra che il tutto sia protetto da una serie di incantesimi che lo salverebbero dagli occhi indiscreti dei Babbani.”

Hermione si fermò. Forse non voleva esagerare con le nozioni… trattandosi pur sempre di bambini, al contrario i piccoli vollero che continuasse. Allora, probabilmente, decise di iniziare con la parte più interessante per ogni futuro studente: le quattro case.

 “Nello stemma della scuola c’è scritto: "Draco Dormiens Nunquam Titillandus", che in latino, una lingua molto antica, significa "non disturbare il drago che dorme".

Pensate che più di mille anni fa circa, quando i tempi, le usanze e rapporti fra la gente erano molto diversi da quelli che conosciamo noi oggi, quattro maghi famosissimi e bravissimi dell'epoca, Godric Grifondoro, Tosca Tassorosso, Priscilla Corvonero e Salazar Serpeverde, decisero di fondare una scuola in cui educare giovani che mostrassero doti magiche.

Costruirono così questo grande castello, lontano dagli occhi dei Babbani, poiché, dovete sapere, in quegli anni maghi e streghe erano continuamente perseguitati.

Poco tempo dopo l'apertura della scuola, tra i fondatori, nacquero però dei disaccordi: ognuno voleva selezionare i suoi allievi in base a caratteristiche precise. Fu proprio per questo che formarono quattro gruppi in cui dividere gli allievi, questi antichi gruppi, sono quelle che noi oggi conosciamo come le quattro case: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde, che, come noterete, portano ancora i cognomi dei quattro fondatori.

E pensate che, prima di morire, Godric Grifondoro, effettuò una magia sul suo cappello, conosciuto ancora oggi come Cappello Parlante: questo acquisì una mente, cioè una capacità di pensare, così da poter smistare nelle quattro case gli studenti arrivati ad Hogwarts dopo la morte dei quattro fondatori, mantenendo i criteri di selezione da loro decisi.”

Altra pausa enfatizzante.

A questo punto i due bambini erano rapiti dal racconto. Non ci fu nemmeno bisogno che chiedessero di più di queste case, né di questo cappello che li avrebbe conosciuti al primo tocco più nel profondo di chiunque altro, e li avrebbe destinati ad un futuro bello quanto sconosciuto: il loro sguardo era talmente eloquente che fu Harry a riprendere il discorso:

“Come avrete capito, all'interno della scuola gli studenti sono suddivisi in quattro case, l'assegnazione ad una di esse viene decisa all'inizio del primo anno dal Cappello Parlante, esso viene indossato a turno da tutti i nuovi studenti durante un'apposita cerimonia, lo Smistamento, che si tiene appena giunti alla scuola, prima del banchetto iniziale. Una volta indossato, il cappello, che è in grado di scrutare nel cervello dei ragazzi, valuta le caratteristiche dello studente e lo assegna di conseguenza alla casa più appropriata per lui. Una volta che è stato smistato, per lo studente inizia tutta una continua magia, come se non fosse già stata abbastanza quella del cappello.

È tutto molto bello, entusiasmante e pieno di sorprese. Avrete la possibilità di entrare nella vostra Sala Comune e nel dormitorio, potrete frequenta le lezioni, vedere le biblioteche, mangiare nella Sala Grande e passeggiare per i giardini enormi.

Le case saranno sempre una sorta di famiglia all'interno della scuola, visto che gli studenti passano la maggior parte del tempo insieme con quei compagni. E pensate, c’è anche un campionato scolastico di Quidditch!”

A quelle ultime parole, gli occhi di Teddy brillarono…

“Di quale squadra potrei fare parte?” chiese dopo poco con molto entusiasmo.

Sgath taceva mordendosi il labbro inferiore.

“Dovrai attendere di essere smistato, poi potrai provare ad entrare nella squadra della tua casa, ma dovrai prepararti molto bene, ricordati!”

Teddy scese giù dal tavolo con un balzo entusiasta gridando subito dopo:

“Vado subito ad allenarmi! Vieni Sgath?”

Volevo fermare Teddy, era tardi e preferivo tornare a casa. Purtroppo le curiosità dell’altro mio nipote rallentarono ancora le cose.

“Aspettami, voglio sapere come faccio a conoscere la casa in cui andrò a finire prima di andare a scuola. Non possiamo aspettare tanto tempo!”

Si rivolse subito ad Harry senza badare alle rimostranze di Teddy che tentava di insistere sul fatto che avrebbe dovuto aspettare.

“Harry, dimmelo per favore, lo voglio sapere subito!”

Rimanemmo stupiti dall’insistenza del piccolo, non voleva assolutamente aspettare, ma Harry lo calmò con pazienza.

“Purtroppo non è possibile, solo il Cappello Parlante potrà smistarti veramente, solo lui saprà a quale casa apparterrai… dovrai per forza aspettare, mi dispiace Sgath…”

Il bimbo restava triste e perplesso, ma non insistette più.

 “La prossima volta che ci vedremo, prometto, vi parlerò delle case di Hogarts… e allora faremo ipotesi e scommesse su dove potreste finire, siete d’accordo?”

Prima che potessero controbattere e chiedere di avere notizie sulle case in quel momento, presi giubbottini e regali e dissi che sarebbe stato bene andare ora, che si era fatto tardi.

I due sposi erano stanchi e la giornata versava ormai al termine. I bambini accettarono di buon grado la decisione, seppur borbottando, poi però si misero a confabulare tra loro mentre si vestivano per correre in cortile. Harry mi lanciò silenzioso uno sguardo sollevato in segno di ringraziamento e sorrise sentendo i commenti dei piccoli.

Sgath, hai sentito? Hai parlato! Ora finalmente potremmo capirci meglio! Era ora che ti decidessi!”

“Certo che ho parlato, ma perché mi interessava l’argomento… tu invece non dici mai cose così interessanti…”

Uscirono dalla casa spintonandosi allegri, e io mi accodai a loro dopo aver salutato tutti, ero felice di quel bellissimo giorno passato a quel modo.

Felice di aver finalmente sentito Sgath parlare tanto bene.

 

 

……………………….

Note:

Questo capitolo ripete molte cose già ben conosciute dai libri della Rowling (e da lei meglio descritte…), ma era necessario per presentare la scuola ai due bambini….

Molte parti della descrizione del castello, delle case e della storia sono presi da Wikipedia (con leggere diversificazioni e piccole aggiunte).

Anche il prossimo capitolo sarà ricco di descrizioni di questo genere, portate pazienza… dopo seguiranno gli ultimi 3 o 4 capitoli finali in cui verranno svelate alcune cose e chiarite altre.

Grazie a tutte che siete arrivate fin qui!

Circe

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Capitolo 36
*** Racconti Parte II ***


Racconti Parte II: Andromeda

Ero decisa a prendere un precettore per i miei bambini.

Non era usuale per chiunque, anzi, era un’idea piuttosto rara nel mondo magico, ma quando ero bambina i miei genitori l’avevano fatto per me e per le mie sorelle: avevamo tutte iniziato gli studi molto prima degli undici anni, in cui iniziava la scuola di magia e stregoneria, e ho sempre trovato questo molto utile alla mia educazione alle mie idee e alla mia crescita. Era forse una delle azioni più utili che avessero fatto i miei parenti per me, dunque volevo fare anch’io lo stesso per i miei bambini.

Volevo le stesse opportunità anche per i piccoli Teddy e Sgath ovviamente, desideravo imparassero per bene a leggere e scrivere e anche a contare. Se avessero desiderato poi, avrei fatto impartire loro anche lezioni di arte, o musica e ogni sorta di desiderio avessero espresso, ma era importante per me che non tralasciassero in nessun modo le materie base.

La prima persona che mi venne in mente per aiutarmi in questo frangente fu Hermione Granger. Ero bene a conoscenza della sua reputazione di studiosa e sapevo che manteneva stretti contatti anche con il mondo Babbano.

Un giorno mi recai dunque da lei insieme ai due bambini per chiedere informazioni su cosa potessi fare.

La giovane fu gentilissima e disponibile.

“Avete voglia di imparare tante nuove cose, bambini?” chiese poco dopo averci fatto entrare nella sua casa e averci fatto accomodare nel piccolo salottino adibito a sala da pranzo e studio, con davanti abbondanti tazze di thè e tanti pasticcini.

Teddy non rispose e rimase perplesso: era troppo impegnato a scegliere i biscotti con più cioccolato, inoltre sapevo che il mio nipote più grandicello aveva già sviluppato una grande passione per il Quiddich e il suo interesse degli ultimi tempi era incentrato soprattutto su quel gioco. Poco altro poteva colpirlo particolarmente.

Sgath, al contrario, sembrava lievemente più interessato, nonostante sembrasse crescere timido e introverso, soprattuto con gli adulti, e soprattutto con gli estranei, si lanciò in alcune domande che visibilmente destavano la sua infinita curiosità.

“Cosa dovremo imparare? E che differenza c’è fra quelle cose che impareremmo ora e quelle che invece ci insegneranno alla scuola di maghi?”

Sgath era intelligente e curioso per la sua età, dimostrava uno spirito critico che non avevo mai notato in bambini così piccoli, Teddy era più innocente, più entusiasta delle cose e più sicuro: imputavo la differenza sostanziale fra i due alla primissima infanzia dei due. Il primo, forse, non aveva totalmente superato i suoi traumi e il secondo, invece, dopo un primo periodo difficoltoso, aveva aperto piano piano la sua anima e di conseguenza anche il suo carattere al mondo esterno.

“Ora vi racconterò quello che tutti i bambini del mondo devono e dovrebbero imparare e che anche voi dovrete apprendere in un periodo di tempo abbastanza lungo…”

Detto ciò Hermione sorrise, prese fiato e si lanciò in un lungo, ma sempre coinvolgente racconto a proposito delle materie ed argomenti di studio che io sapevo corrispondere più o meno a ciò che lei stessa aveva imparato a scuola, nel mondo dei Babbani. Raccontò tutto con tale trasporto che riuscì ad interessare persino Teddy.

Quella ragazza aveva una tale passione per la cultura, la lettura, la conoscenza e il sapere in generale, che incantò persino me.

Dopo lungo tempo, parole e spiegazioni, fu Teddy ad interrompere la nostra interlocutrice.

Iniziò cauto capendo di interrompere un flusso di informazioni per chiedere qualcosa che con esse aveva poco a che fare.

“Ti ricordi, Hermione, quando con Harry avevi promesso di raccontarci di Hogwarts? Dovevi raccontarci di quando verremo assegnati alle case…”

Subito intervenne Sgath:

“Vero!!” urlò stupito di essersene dimenticato “dai, raccontaci adesso!!”

Scossi la testa sorridendo, evidentemente due piccoli maghi sono maghi nell’anima e nel sangue, nulla li può interessare più di alcune caratteristiche di Hogwarts.

Anche Hermione sorrise, mi lanciò uno sguardo di sottecchi, come per chiedermi il permesso di parlare; io annuii con la testa.

“Bene ragazzi… dato che ormai siete sufficientemente grandi per capire, vi descriverò per bene le case in cui potreste capitare una volta a scuola, ma poi, promettete, vi impegnerete nelle materie base che vi permetteranno di esprimervi al meglio come maghi… un giorno.”

Fu così che la giovane iniziò la sua dettagliata descrizione di Hogwarts, mentre io mi distraevo con alcuni suoi libri dai più svariati argomenti, tutti con una stessa linea conduttrice: i diritti delle creature magiche.

I bambini si sedettero sul tappeto accanto a lei.

“Allora, dovete sapere che le case sono quattro: Grifondoro, Tassorosso, Corvonero e Serpeverde. Ognuna legata a caratteristiche e modi di fare diversi.

La casa di Grifondoro, per esempio, richiede coraggio, audacia, lealtà e nobiltà. Nello stemma è presente un leone d'oro in campo scarlatto, cioè rosso; il fondatore della casa è Godric Grifondoro, uno dei quattro maghi più famosi della storia, a cui appartenne la famosa spada che solo un vero Grifondoro può estrarre dal Cappello Parlante nel momento del bisogno. Gli studenti si caratterizzano, come Godric, per il loro coraggio, audacia, cortesia e il lanciarsi in molte sfide, anche se ciò li porta ad agire prima di pensare e spesso disubbidire alle regole. La sala comune della casa è situata in una delle torri del castello. Io appartenevo ai Grifondoro, per questo vi sono particolarmente affezionata…”

Hermione terminò il discorso con enfasi evidenziando l’ultima frase: i due bimbi rimasero affascinati, ma non la interruppero.

“La casa di Serpeverde, invece,” continuò “richiede ambizione, furbizia ed intraprendenza e talvolta anche malignità. Lo stemma della casa è un serpente d'argento in campo verde. Sono i nemici da sempre dei Grifondoro, anche se devo ammettere che ha ospitato personaggi interessanti,talvolta molto coraggiosi e leali. La sala comune è situata nei sotterranei, in una stanza lunga e bassa pervasa da una luce verdastra poiché posizionata direttamente sotto il lago della scuola, l’ho sentita descrivere più volte da Harry e Ron… perché l’hanno visitata durante una delle nostre grandi imprese!”

Fece una pausa e sorrise divertita. Poi continuò in tono cupo.

“Quella di Serpeverde è la casa con la reputazione più oscura. Infatti da essa sono usciti più maghi malvagi che da ogni altra casa. Grande importanza viene data alla cosiddetta purezza di sangue, proprio dalla convinzione di Salazar Serpeverde in merito alla superiorità dei maghi discendenti da più generazioni magiche. Ciò lo portò a rifiutare studenti mezzosangue o nati Babbani, causando anche il litigio con gli altri fondatori. Tuttavia la purezza del sangue non è una discriminante, in quanto sono o sono stati presenti diversi studenti non purosangue, primo fra tutti Tom Riddle stesso, ovvero Voldemort di cui vi ha parlato la zia. Dopo la morte di Voldemort, la casa diventa più transigente sulla questione del sangue, anche se la sua reputazione oscura rimane tuttora. Altra particolarità dei Serpeverde è la costante ed attenta valutazione delle situazioni, che li porta a prenderne parte o a starne fuori; per questo sono accusati dai Grifondoro di essere dei vigliacchi.

Pare che il grande mago Merlino appartenesse a questa casa.”

I piccoli erano sempre più estasiati: il mago Merlino era il protagonista di tante storie che raccontavo la sera prima di farli addormentare, un personaggio ormai mitico. Voldemort, invece, capeggiava in vari racconti miei e di tante persone che li circondavano, proprio perché faceva parte della storia recente.

Ancora una volta però, non dissero una parola, dunque Hermione continuò.

“La casa di Corvonero richiede intelligenza, creatività, apprendimento e saggezza. Non ultimo una naturale bellezza e tendenza alla raffinatezza di aspetto e stile. Lo stemma della casa è un'aquila di bronzo in campo blu. Nella sala comune è presente il busto della fondatrice Priscilla che indossa una riproduzione del diadema una volta perduto, ora ritrovato. Al contrario di quanto accade per le altre case, non bisogna conoscere una parola d'ordine, bensì rispondere ad una domanda sempre diversa per entrarvi. Se non si sa la risposta si deve aspettare che qualcuno dia la risposta giusta. I Corvonero sono attratti dal sapere, il che li porta a studiare molto più di chiunque altro, anche se non vi mancano soggetti stravaganti. La frase di Corvonero, incisa anche sul Diadema perduto è: "Un ingegno smisurato per il mago è dono grato".

Infine, la casa di Tassorosso, richiede costanza, tolleranza, pazienza e correttezza. L'animale della casa è un tasso, mentre i colori sono il giallo e il nero. La sala comune è situata nel seminterrato, vicino alle cucine e l'ingresso è nascosto in una catasta di botti. La sala comune e i dormitori, pare, sono di forma circolare e ricordano le tane dei tassi, ma io non l’ho mai vista personalmente. La casa di Tassorosso raramente si ricopre di gloria, ma un ragazzo di nome Cedric Diggory gliene ha regalata una buona quantità durante un torneo importante, che si tiene periodicamente fra le scuola di maghi.”

Prima di terminare il discorso, Hermione fece una piccola pausa e in seguito ad essa, con voce dolce e delicata, rivolgendosi a Teddy, aggiunse:

“L’ Auror Ninfadora Tonks, la tua mamma, Teddy, apparteneva proprio a questa casa! Mentre il tuo papà, membro dell’Ordine della Fenice, era un Grifondoro.”

Un silenzio carico di pensieri e ricordi calò nella stanza come un velo di eterna e dolce tristezza, nessuno disse più nulla, anche i bambini, di solito rumorosi e allegri, rimasero zitti per diversi istanti.

Quando ci congedammo, quando Hermione mi salutò con la promessa di occuparsi della faccenda dei precettori, i piccoli ricominciarono gradatamente a chiacchierare, ridere e giocare tra loro; entrambi, ovviamente, non fecero altro che ipotizzare in quale casa sarebbero stati smistati una volta ad Hogwarts e andarono avanti, valutando le ipotesi più svariate, per molti giorni a venire.

 

……………….

Note:

Dopo secoli sono tornata! Con questo capitolo sono finiti quelli descrittivi, dal prossimo ci saranno azioni e spiegazioni…

Non ho potuto però evitare di descrivere anch’io le quattro case e immaginare in quali di esse finiranno Teddy e Sgath.

Lascio immaginare anche voi!

A presto

Circe

 

 

 

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Capitolo 37
*** I miei genitori ***


Tema: I miei genitori (malacopia)

Di Ted Lupin

I miei genitori sono morti nella guerra contro i maghi oscuri per cui io ora vivo solo con mia nonna e mio fratello, che non è proprio mio fratello. Anche i suoi genitori sono morti, pensiamo, nella solita guerra e mia nonna l’ha preso con sé.

La nostra famiglia così formata è felice, anche se mio fratello prima non parlava per il trauma, ora invece parla, per cui si vede che sta meglio e gli è passato il dolore.

A me invece non passa, anche se ho sempre parlato senza problemi, ma il dolore lo sento lo stesso.

Spesso ripenso al fatto che non ho né un papà, né una mamma, ma non lo dico alla nonna, perché vedo che diventa troppo triste. Ho però un amico che mi capisce davvero bene, anche senza bisogno di spiegarsi, forse perché anche lui è cresciuto senza i genitori.

Si chiama Harry Potter e ha vinto la guerra per noi.

Non mi piace immaginare come sarebbe stato avere i genitori perché non ci riesco, è troppo diverso da come sono abituato io, però mi piace immaginare mamma e papà com’erano.

Ho molte foto dei miei genitori e li osservo spesso e la nonna, qualche volta, mi descrive lungamente sia mio padre che mia madre e io li penso esattamente così:

Papà: papà sembra agile e forte come un lupo, anche se era magro e pallido, ma dentro di lui so che era forte. Poi immagino fosse buono e generoso, perché aveva un bel sorriso, anche se riservato. Amava di sicuro molto la mamma, perché la stringeva sempre e sembrava volerla proteggere da tutto. In foto sembrano diversissimi, ma quando si guardavano negli occhi diventano una persona sola, cioè i miei genitori.

Mamma: dalla mamma ho preso sicuramente i miei capelli che cambiano colore come i suoi. Quando la vedo in foto, ha sempre i capelli di un colore diverso, allegro e (sgargiante: guardare sul vocabolario). Quindi lei era sempre contenta, attiva e piena di idee bellissime.

Mia mamma poi aveva vestiti bellissimi, ancora più strani e originali di tutte le ragazze che si vedono in giro, era unica e irripetibile e sono felice di avere i suoi capelli, che voglio restino sempre colorati di colori vivi come i suoi.

Era molto bella e aveva un bel sorriso. Ancora più della nonna.

A dire la verità, mi mancano molto entrambi, anche se non vorrei dirlo perché la nonna si impegna sempre tanto per evitare di vedermi triste, sarebbe brutto darle un dispiacere.

Però è vero che vorrei i miei genitori.

 

Tema: I miei genitori (bella copia)

Di Ted Lupin

Purtroppo i miei genitori sono morti e io non so dire molto su di loro. Però vivo con mia nonna (e mio fratello adottivo) a cui voglio molto bene e che mi vuole molto bene.

Loro li posso descrivere.

La mia nonna è ancora molto bella e sembra giovane, anche se magari non lo è più. Ha gli occhi molto buoni e un aspetto elegante. A volte è molto triste, io me ne accorgo e mi dispiace, però cerca sempre di farci essere contenti, di farci giocare e ci insegna moltissime cose.

Purtroppo odia che io vada sulla scopa: ha paura che mi faccia male, ma io so di essere bravissimo e non cado mai. Anche quello che io chiamo zio, ma che non è proprio mio zio, ma il grande Harry Potter, anche lui, dice che sono molto bravo a Quiddich.

Mia nonna ed Harry Potter sono come genitori per me, così non sento tanto la mancanza dei miei e mi sento felice.

 

Tema: I miei genitori (malacopia)

Di Sgath Black

Io non ho più i genitori che credo siano morti nella guerra fra maghi, per questo sono stato adottato da Andromeda e Ted (Ted è mio fratello) e vivo con loro nella loro casa.

Non penso che Black sia il mio vero cognome, è quello della zia Andromeda, ma mi piace molto Black e lei, ridendo, ha detto che me lo regala volentieri.

Sgath invece è il mio vero nome, e anche questo mi piace molto.

Ne siamo sicuri per tanti motivi: l’elfo che mi teneva in braccio il giorno che mi hanno trovato, mi ha portato da Andromeda ripetendo il mio nome. Doveva essere l’elfo dei miei genitori e deve essere stata loro l’idea di chiamarmi così.

Poi ho un medaglione che dietro ha inciso (guardare sul vocabolario “inciso”) “A Sgath” e la zia dice che deve essere un regalo importante e che lo devo tenere con amore.

Io lo tengo e gli do molta importanza dentro di me, perché è bellissimo e a volte sembra mandarmi dei messaggi, sembra che possa parlare. È una pietra rossa come il sangue, sempre molto calda. A volte mi pare che la mia vita coi miei genitori fosse molto diversa da quella che ho qui.

Più piena di magia; ma mi sa che sia la mia immaginazione.

Dei miei genitori poi non ho ricordi… solo alcune immagini, o scene vaghe, non so se sono ricordi veri.

Mamma: credo che la mamma sembrasse oscura come la notte, forse è stata lei a darmi il nome che significa oscurità. Era bellissima, mi faceva giocare col fuoco e con altre magie.

Papà: ho più ricordi di mio padre perché lui mi parlava. Parlavamo una lingua nostra, solo nostra, che io sapevo già parlare, che la mamma non capiva, e che ora non uso più. Mia padre aveva gli occhi rossi un po’ simili ai miei, mi guardava sempre solo negli occhi e ci capivamo sempre al volo.

Questo è ciò che credo di ricordarmi.

Mio padre era introverso (guardare sul vocabolario “introverso”), ma se si arrabbiava mi faceva paura nell’anima, e stavo buono; la mamma sapeva di fuoco e con lei era come avere la stessa anima.

I miei genitori non posso dire che mi manchino, perché non li conosco. E il mondo di magia che mi ricordo quando stavo con loro, che ero piccolissimo, magari non esiste davvero e me lo immagino io

Però si amavano molto, si mescolavano come fuoco e vento e io lo sentivo sempre. Mi pare.

Era come stare nei racconti dei sabba che si leggono sui libri.

 

Tema: I miei genitori (bella copia)

Di Sgath Black

I miei veri genitori sono morti per cui io non li posso descrivere in quanto non ricordo nulla di loro, o quasi. Però ho avuto una grande fortuna, e cioè che sono stato trovato e adottato da una persona che io considero la mia famiglia e che chiamo zia. Lei si chiama Andromeda e ha un nipote di nome Ted, detto Teddy, che è come se fosse mio fratello.

Andromeda mi piace molto, si prende molta cura di me e mi vuole bene, e anch’io gliene voglio tanto.

È bella e ha qualcosa che mi fa sentire tanto vicino a lei, come una vera zia o mamma, anche se so che è solo una mia impressione, forse proprio per il bene che ci vogliamo.

Anche Teddy è un fratello che mi piace molto, perché sa fare mille giochi e non si arrende mai davanti a niente, non è un rammollito come molti bambini che conosciamo. Spesso parla troppo e non legge mai niente, oppure si fissa a volare sulla scopa e parlare solo di Quiddich, ma io lo sopporto lo stesso.

Per cui non ho due genitori, ma comunque sono contento nella mia famiglia.

 

…………………………………….

 

Note:

Questo capitolo è molto diverso dagli altri. Ho voluto descrivere la situazione dal punto di vista dei due bambini ancora prima di andare a Hogwarts e di conoscere tante cose a proposito del loro futuro. Ho approfittato del fatto che Andromeda ha deciso, nei capitoli scorsi, di affidarli ad un maestro per imparare a leggere scrivere ecc...

Penso che questo sarà il penultimo capitolo, o all’incirca il penultimo. Per coloro che mi seguono dagli albori, riconoscerete di sicuro alcuni rimandi alle mie ff precedenti…

Ringrazio chi ancora mi segue nonostante i miei tanti ritardi e vi assicuro che arriverò alla fine della storia.

Circe

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Capitolo 38
*** Un nuovo inizio ***


Un nuovo inizio: Sgath

Era sera inoltrata, tutti i miei compagni dormivano già, ero l’unico sveglio in quella notte senza luna, buia, scura e penetrante.

Erano le notti che più amavo e che più mi facevano sentire sicuro. So che è strano per un bambino, per giunta della mia età, essere così tranquillo nell’oscurità e nella solitudine, so che tutti hanno persino paura del buio, ma non io. Al contrario: mi piace.

In quella notte senza luna me ne stavo vicino al fuoco crepitante nel caminetto della mia Sala Comune, era la prima sera che passavo lì, il primo giorno ad Hogwarts. Sarebbe stata la mia nuova casa per i prossimi sette anni, ero lontano da tutti per la prima volta e questo sì che, a dire il vero, mi intimoriva tanto.

Mi guardavo intorno: non avrei mai pensato di finire lì, proprio in quella Sala Comune, nessuno aveva mai vagliato quella possibilità. Avevo sempre immaginato di finire insieme a Teddy e di restare insieme a lui anche durante la scuola.

Invece il destino aveva voluto diversamente.

Cercavo di immaginare cosa stesse facendo, come fosse la sua Sala Comune, il suo dormitorio, se stesse dormendo o se anche lui stesse osservando ciò che lo circondava: la magia, la storia, il misticismo di questi luoghi.

Più mi guardavo intorno, più osservavo l’oscurità attorno a me e i riverberi e il fuoco nel camino, più mi sentivo sicuro, al posto giusto. Ritrovavo lentamente qualcosa che avevo perduto.

Forse era davvero il mio destino, la magia che tornava da me.

Teddy probabilmente stava provando la stessa sensazione? E tutti gli altri ragazzi giunti ad Hogwarts insieme a me quel giorno?

Forse a mio fratello importava più di fare amicizia, di legare coi nuovi compagni, gli interessava scoprire i dormitori, immaginare i campi da Quiddich e poi riposare, in vista delle nuove avventure dell’indomani.

Quando il Cappello Parlante si è posato sulla sua testa, era eccitatissimo e i capelli si erano tinti di rosso acceso, quasi volessero richiamare i colori della sua futura casa.

Senza nessuna incertezza il Cappello aveva gridato “Grifondoro” e lui aveva sorriso raggiante.

Ero contento anch’io per lui; sapevamo entrambi che desiderava diventare un Grifondoro come suo padre, come Harry e i suoi amici, vivere tutte le avventure che gli avevano raccontato, sentirsi più vicino alle persone che non aveva mai potuto conoscere e a cui voleva bene dal profondo del cuore.

Io, al contrario, non avevo una netta preferenza, non so nulla di me o di chi c’è stato prima di me e non mi importa; desidero solo essere un bravo mago… anzi, il più bravo dei maghi!

Pensavamo saremmo finiti entrambi a Grifondoro.

Non è stato così.

Mi guardavo attorno e mi piaceva molto dove stavo, più passava il tempo più mi sentivo orgoglioso, più forte, più completo. Tutto sembrava ricordarmi qualcosa, riportare in superficie sensazioni, sentimenti e poteri ormai nascosti.

Non riuscivo in nessun modo a costringermi ad andare a dormire. Un’ondata di oscurità sembrava inondarmi l’anima. Il buio, la notte, l’assenza della luna, il fuoco, la mamma…

La mamma…

Tutto mi faceva pensare a mia madre, senza alcun motivo.

Ai momenti passati con lei, forse…

Avrei voluto ricordare anche qualche sensazione legata a mio padre, ma in quel momento non riuscivo. Custodivo solo gelosamente il nostro segreto, la nostra lingua segreta che nessuno poteva comprendere tranne noi. Tenevo quella conoscenza dentro di me come un tesoro, come se un giorno avesse potuto aprirmi un mondo diverso, tutto nuovo e pieno di magia.

Sfioravo i simboli della mia casa sparsi per la Sala Comune come se solo loro avessero potuto capire, come se potessero sentire cosa mi stava succedendo. Uroboro ascoltava i miei pensieri volteggiando nell’aria; guardandolo nel riverbero verde smeraldo di quella grande stanza, capivo che era già tutto scritto, che lui era stato con me fin dall’inizio, da sempre.

Lui era un serpente alato e la mia casa portava il simbolo dei serpenti… qualcosa doveva pur significare.

Lui sapeva parlare quella lingua.

Il fuoco nel camino invece che spegnersi col passare delle ore, prendeva vita, sembrava seguisse i miei pensieri, che si ravvivasse con essi. Mi sembrava di avere potere sul fuoco e potere sui serpenti.

Non avevo più paura. In quel momento sentivo la vicinanza di qualcosa di speciale.

Solo alle primissime luci dell’alba avevo deciso di andare a dormire, non mi importava se sarei stato già stanco alle prime lezioni, avrei avuto tempo per recuperare; quella notte, invece, era stata speciale per me, irripetibile.

All’inizio di tutto questo non capivo, ero rimasto stupito di dove mi trovavo, come perso e di nuovo abbandonato; ma a seguito di quelle lunghe ore passate tra riflessione e magia, quasi un sogno, solo allora mi sono ritrovato, ho ritrovato qualcosa di mio che non sapevo, o non ero sicuro di avere.

Allora sono stato felice che il Cappello Parlante, appena appoggiato sul mio capo, abbia gridato senza esitazione:

Sgath Black… indubbiamente… a Serpeverde.”

 

…………………………

 

Note:

Finalmente, dopo tanti ritardi e tanto rimandare, eccomi qui col finale. Anche questa storia è terminata. Mi spiace per coloro che si aspettavano un ritorno di Bella e Voldy, ma non sono riuscita a metter nulla su di loro che non costringesse la trama ad un cambiamento o allungamento radicale, oppure che non sembrasse un’aggiunta posticcia che nulla aveva a che fare con la storia.

Il piccolo Sgath cresce, sviluppa le sue attitudini, ricorda il passato nella sua anima e ovviamente la storia ricomincia… avrete notato tutte infatti che Teddy è un Grifondoro e Sgath un Serpeverde… anche se al momento sono fratelli e si vogliono un gran bene, non si sa cosa possa cambiare nella vita… e come si evolvano le cose!

A voi la scelta!

Grazie per essere state con me fino alla conclusione, avermi seguito, letto, immaginato e sognato insieme a questi “bellissimi” personaggi; grazie per esservi affezionate anche al piccoletto di mia invenzione.

Un grande saluto a tutte e anche a coloro che verranno e leggeranno in seguito.

Circe

 

 

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