Akai Ito

di Hika86
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: Akai ito ***
Capitolo 2: *** 1. The Boy in the Sun ***
Capitolo 3: *** 2. Our First and Last Moment ***
Capitolo 4: *** 3. Love at First Sight ***
Capitolo 5: *** 4. Sing a Sad Song to Turn it Around ***
Capitolo 6: *** 5. The Pure Words You Said to Me ***
Capitolo 7: *** 6. Becoming a Brave Man ***
Capitolo 8: *** 7. Crossing Paths Again ***
Capitolo 9: *** 8. Please, Forget the Past ***
Capitolo 10: *** 9. A Busy Man with Busy Thoughts ***
Capitolo 11: *** 10. Beer & Words ***
Capitolo 12: *** 11. Looking at you. But you? ***
Capitolo 13: *** 12. Of Hopes and Solitude ***
Capitolo 14: *** 13. Redempion in White ***
Capitolo 15: *** 14. Illusionary Treasures ***
Capitolo 16: *** 15. Things You Want to Know are Unseen ***
Capitolo 17: *** 16. Things aren't always the S.A.M.E. ***
Capitolo 18: *** 17. You can't always get what you want ***
Capitolo 19: *** 18. Sugarless Girl ***
Capitolo 20: *** 19. I see Your True Colours ***
Capitolo 21: *** 20. Gathering Fragments of Emotions ***
Capitolo 22: *** 21. Souls that want to Shine ***
Capitolo 23: *** 22. A Bitter Aftertaste ***
Capitolo 24: *** 23. Restless Fears turn your Blue Skies into Grey ***
Capitolo 25: *** 24. The Correct Handwriting for 'Happiness' ***
Capitolo 26: *** 25. It's so Quiet I can Hear ***
Capitolo 27: *** 26. A Problem without its Name ***
Capitolo 28: *** 27. Keep on walking ***
Capitolo 29: *** 28. My feelings for you are crystal clear ***
Capitolo 30: *** 29. Staring at My Own Reflection ***
Capitolo 31: *** 30. Love&Jealousy were born Together ***
Capitolo 32: *** 31. The Night of Lonely Hearts ***
Capitolo 33: *** 32. Honesty is honestly the hardest thing ***
Capitolo 34: *** 33. Guess I'll never get to call You Mine ***
Capitolo 35: *** 34. On Today's Way Home ***
Capitolo 36: *** 35. Messed up Hearts need a Second Breath ***
Capitolo 37: *** 36. The Insecure Shiver of a Posessive Mind ***
Capitolo 38: *** 37. Mirror Mirror on the wall who's the biggest fool of all? ***
Capitolo 39: *** 38. What if I let you in more ***
Capitolo 40: *** 39. Plastic garden ***
Capitolo 41: *** 40. Sorry, for intruding a Silent Heart ***
Capitolo 42: *** 41. The only hand you'll need to hold ***
Capitolo 43: *** 42. Oh Simple Things where have You gone? ***
Capitolo 44: *** 43. No Easy Way for Uneasy Truth ***
Capitolo 45: *** 44. You started something I never had to question before ***
Capitolo 46: *** 45. The Night Sky will split Your Mind ***
Capitolo 47: *** 46. Caught in a morning shower ***
Capitolo 48: *** 47. You take my breath away ***
Capitolo 49: *** 48. A Pocket full of Sunshine ***
Capitolo 50: *** 49. So, What are You looking for? ***
Capitolo 51: *** 50. Suddently I see Why It means so much to Me ***



Capitolo 1
*** Prologo: Akai ito ***


'Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di questa persona, nè offenderla in alcun modo'

C’è una leggenda giapponese che dice che ognuno di noi nasce con un filo rosso legato al mignolo della mano sinistra. Questo filo ci lega indissolubilmente alla persona cui siamo destinati, il nostro grande amore, la nostra anima gemella. Non lo si può vedere, ma una volta che si è legati il filo non si spezzerà mai: non importa il tempo che dovrà passare, le circostanze, le distanze che ci separano, né le decisioni delle proprie famiglie o la posizione sociale.
Le anime così unite, sono destinate ad incontrarsi e prima o poi si uniranno
E se la persona cui il fato ci ha unito fosse proprio davanti ai nostri occhi e noi non riuscissimo a riconoscerla? E se la considerassimo, magari a torto, antipatica, spregevole e che non degneremmo mai neanche di uno sguardo? O ancora, se la situazione fosse tale da non renderci conto di averla trovata e noi stessimo vacillando nei dubbi? Che cosa ci assicura che quella persona sia da qualche parte? Cosa dice che non l'abbiamo già persa?
E' impossibile tagliare il filo. Non si può sfuggire al destino…

☆☆☆

«Certamente, me ne sono occupata stamattina appena entrata in ufficio» rispose la donna al cellulare mentre si alzava dal sedile dell'autobus.
⎨Lei dice? A me non sembra Miss Sheridan⎬lo sentì rispondere, alzando gli occhi al cielo. Erano due le cose che non sopportava dei capo ufficio. La prima era quando mi chiamano "Miss Sheridan": perchè il suo cognome in bocca ai giapponesi era quasi uno scempio e con quel "miss" suonava "misu sheridanu" che le era sempre sembrato il nome di una sotto marca di qualche te in foglie. «Mi scusi, posso chiederle di guardare meglio tra i file del server d'ufficio? Troverà una copia del lavoro nella cartella col nome del progetto e una nella cartella della giornata di oggi. Le ho stampato anche una copia cartacea e l'ho fatta rilegare. Gliela farò avere il prima possibile»
⎨Bene, allora torni in ufficio il più presto possibile e venga da me, perchè sarà bene chiudere quell'affare entro l'ora di pranzo di domani⎬
«Sicuramente, farò del mio meglio per passare in ufficio appena ho finito con il cliente di oggi» lo rassicurò mentre si avvicinava alle porte d'uscita del mezzo. La seconda cosa che non sopportava era la tendenza a tradurre la loro incapacità in una mancanza del personale: capitava spesso che, dato che il suo capo non sapeva usare il computer, ogni volta che non trovava qualcosa la colpa ricadeva sempre sugli impiegati. Teneva un cartelletta piena di fogli in una mano, la borsa nell'altra e il cellulare in bilico tra la spalla e la guancia: con quale dito avrebbe chiuso la conversazione non lo sapeva nemmeno lei, ma fortunatamente fu il capo a mettere giù per primo senza aggiungere altro.
L'autobus arrivò alla fermata nella periferia di Chiba. Le porte si aprirono e la borsa le si incastrò, ma con uno strattone riuscì a liberarla: una volta sul marciapiede avrebbe posato tutto a terra e si sarebbe liberata del cellulare. Conoscendo la sua goffaggine avrebbe dovuto immaginare che quella era una soluzione troppo semplice alla sua scomoda situazione perchè si risolvesse tutto in quel modo: dopo aver liberato la borsa, nella fretta di scendere per non bloccare oltre gli altri passeggeri, non si accorse di qualcuno che era impalato a pochi passi dall'uscita del bus e ci andò immancabilmente a sbattere contro. Era abituata ormai a simili scontri e si era allenata a fare attenzione prima di tutto alla parte più importante di sè che, in quel caso era la cartelletta di fogli che aveva in mano. La strinse perchè non cadesse aprendosi e sparpagliando le relazioni e i documenti minuziosamente ordinati, mentre il resto del corpo non fece caso a nient'altro: il cellulare le sfuggì dalla spalla cadendo a terra e scivolando un metro più in là, con la batteria che si staccò fragorosamente dal resto dell'apparecchio, e la presa delle dita mancò sulla borsa che cadde a terra. «Accidenti!» esclamò facendo qualche passo indietro, sbilanciata dallo scontro con l'altra persona. per fortuna non andava velocemente e non rischiò di perdere l'equilibrio tanto da cadere. «Oh mi scusi, non l'avevo vista!» esclamò il ragazzo davanti a lei. Era chiaro che non l'avesse vista, stava impalato in mezzo al marciapiede a guardare verso un locale! «Nemmeno io, mi perdoni, sono scesa di fretta dall'autobus»
«Non si è rotto vero?» chiese questi chinandosi a raccogliere il cellulare, mentre con l'altra mano si teneva il cappello in testa. Rimise a posto la batteria e glielo lasciò in mano per farglielo accendere e vedere se funzionasse. «Uhm.. no, non sembra» gli rispose lei vedendo che si accendeva: era sufficiente, quel telefono aveva fatto voli ben peggiori. «Non ha perso altro?» domandò cortesemente vedendo che lei stessa aveva recuperato la borsa da sola e guardando ai loro piedi per controllare
«No, non penso» sospirò facendo un mezzo inchino: se si fosse levato dalle scatole prima non sarebbe successo niente, ma era chiaro che non poteva dire ad un giapponese che sarebbe il caso di levarsi dai piedi quindi rispose con un semplice "Scusi ancora e grazie per l'aiuto". La discussione con il capo le aveva gustato l'umore, ma non era una buona scusa per scaricare su altri la propria frustrazione. «Oh... ma tu sei Eri!» esclamò quello improvvisamente, facendola emergere dai suoi pensieri sull'odio per il suo superiore. «Cioè, Erina san!» si corresse questi, rapidamente. La giovane donna sbattè le palpebre, perplessa e lo squadrò da capo a piedi: look anonimo, capellino di lana e occhiali da sole. «Oh ssssi... ehm... certo» annuì mentre ancora cercava nella sua mente una figura familiare, vagamente simile a quella persona. Così su due piedi non le veniva in mente nessuno «Mi spiace io non...» accennò stringendo le spalle
«Oh dev'essere per gli occhiali, che imbecille!» ridacchiò quello abbassando le lenti da sole sul naso, per mostrarle il suo sguardo «Ti ricordi di me?»
«Oh... oh my god» le sfuggì rimanendo a bocca aperta. Lo fissava con gli occhi sgranati, impietrita sul marciapiede di una viuzza qualsiasi di Chiba. Era lì, era lui. «Sakurai... Sakurai san! Sakurai Sho» balbettò quella portandosi una mano alle labbra "Oh, Mondo Gatto! No... non posso crederci"
«Io.. ssssi, sono io» rispose lui, improvvisamente titubante, aggrottando le sopracciglia «Però io...» fece per aggiungere
«Co... cosa?» domandò sforzandosi di sorridere come prima, ma era più probabile le fosse riuscita una smorfia
«Ecco... lo immaginavo» sorrise quello, un sorriso quasi amaro «Cioè è difficile che non si sappia chi sono, ma speravo ti ricordassi di me per un altro motivo. Abbiamo frequentato la stessa facoltà. Facevo economia alla Keio, classe 2001» spiegò minuziosamente lui
«Oh ma certo!» le sfuggì dalle labbra troppo velocemente: suonava come se si fosse ricordata di lui in quel momento, ma non era affatto così. Si sbrigò a cercare una frase che sistemasse la cosa. «Certo! Certo... che mi ricordo di te. Sakurai san, eri bravissimo in Inglese e in Statistica». Da quando avevano cominciato a parlare era tanto sorpresa che continuava a temere che da un momento all'altro le gambe le avrebbero ceduto. «Anche tu eri brava in Statistica, Erina san, se non sbaglio il primo posto in graduatoria per quella materia era sempre di uno di noi due» sorrise il giovane idol rimettendosi a posto gli occhiali da sole «Saresti stata la prima anche in Inglese se non avessi scelto Cinese»
«Oh beh... non sarebbe stato corretto fare Inglese» arrossì abbassando lo sguardo: si ricordava addirittura le materia che aveva scelto? «E poi sono stata bocciata ben due volte in Storia Economica»
«Lo stesso è stato per me, ma la seconda volta è andata meglio no?» lei annuì in risposta e sorrise con lui a quei ricordi. Non che si fosse dimenticata di quell'esame che entrambi non avevano passato, semplicemente non le era sembrato il caso di mostrargli che ricordasse di un suo fallimento.
Alzò lo sguardo per osservare ciò che poteva vedere del suo viso. Era ben camuffato quindi non l'aveva riconosciuto, ma ora che sapeva chi era riusciva perfettamente ad immaginare gli occhi castani dietro gli occhiali e i corti capelli scuri sotto il cappello di lana: era cambiato da quando si erano laureati sei anni prima, ma era impossibile non riconoscerlo.
Sì, conosceva Sakurai Sho. Diamine se lo conosceva!


NOTA AL TITOLO: Akai Ito 赤い糸 il significato è "filo rosso" e si riferisce ad una leggenda di origine cinese, ma presentissima anche nella tradizione giapponese.
Eccomi quiiii... so che devo ancora finire Ame e lo farò, giuro u.u
Ma ho l'inizio di questa ff in elaborazione da mesi e finalmente cominciano a delinearsi le prime idee chiare sulla storia.
Donne avvisate mezze salvate: è una ff romantica che ha come pairing principale Sho e un personaggio originale, in più saranno coinvolti anche Aiba e Jun. Questo perchè nelle mie previsioni, sempre che il tempo e la fantasia me lo permettano, questa sarà una long fic. Ma quando dico "long fic" intendo "long" con la L maiuscola: non ai livelli di beautiful ma... beh vorrei fare una cosa articolata (e sapete come mi riesce bene XD)
La particolarità della fic è che ritroverete nomi, luoghi, personaggi e situazioni di tutte le altre fic che ho scritto ("Zakuro", "Ame" e "Kaze". Chiaramente sono esclusi "5x100" e "MMA" XD): insomma anche le fic sono collegate tra loro da un filo rosso. Farò del mio meglio perchè temporalmente ogni cosa sia collocata nel momento giusto a rispettare lo svolgimento delle fic precedenti, ma la cosa buona sarà che non avrete bisogno di averle lette tutte per capire questa. (certo che se le avete lette mi fa piacere, ma non è essenziale per seguire Akai Ito)
ATTENZIONE: Come al solito... se trovate un * vuol dire che c'è una nota a fine capitolo che spiega la/le parola/e

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Capitolo 2
*** 1. The Boy in the Sun ***


Autunno 2000
Gli edifici universitari erano tutte architetture relativamente nuove e ben tenute, in stile occidentale, e le facciate erano tutte decorate seguendo uno stile unitario: mattoni a vista e cornicioni in pietra bianca levigata in blocchi. Il verde circondava l'enorme campus dove si trovavano sia gli edifici delle aule di lezione che quelli per lo sport e per le organizzazioni studentesche, c’erano poi campi da gioco, centri di ricerca, librerie, un konbini, alcune caffetterie sparse in giro per il campus, una palestra, dei piccoli ristoranti e una biblioteca.
Era un pomeriggio freddo di inizio autunno ed era in quest'ultimo ambiente che Erina si era messa a leggere un libro preso in prestito. Se ne stava seduta in terra tra uno scaffale e l'altro. Almeno metà dell'ampia sala che occupava tutto il piano terra era occupata dagli scaffali, mentre l'altra metà era adibita allo studio e alla lettura essendo disseminata di tavoli in legno lucido e sedie comode per gli studenti. Lo spazio per i libri continuava nei piani superiori ed esisteva tutta una parte d'archivio non accessibile agli studenti, dove gli addetti avrebbero cercato qualsiasi volume venisse richiesto per la consultazione o il prestito. Tutte le parti liberamente accessibili avevano delle grandi finestre esposte a sud, mentre a nord davano gli archivi, ecco perché lei si era messa tra gli scaffali vicini ai vetri: per godere del calduccio del sole, ottimo con quella esposizione.
Girò la pagina del libro respirando profondamente e cambiando posizione a terra, incrociando le gambe fasciate in un paio di jeans aderenti. Il colletto di una camicia bianca spuntava dal maglione color crema, lungo fino a metà coscia e stretto in vita da una cintura in pelle marrone scuro, stesso colore degli stivali.
L'atmosfera fu tranquilla e rilassata, oltre che silenziosa, fin quando un gruppetto di ragazze rumorose passò nel corridoio tra gli scaffali. Una di loro si bloccò poo dopo esser passata oltre lo spazio nel quale si trovava lei, fece qualche passo indietro e si sporse dallo scaffale. «Erina san!» esclamò sorridendole allegra.
Alzò lo sguardo dal suo libro e ricambiò il sorriso. «Satō san» rispose a bassa voce con un cenno del capo
«L'hai trovata?»
«Dov'è? Dov'è?» chiesero le altre due invadendo subito lo stretto corridoio per raggiungerla. Erano Nishihara e Sehiro.
«Mi cercavate?» domandò guardandole, stranita da tutto quell'interesse.
Si erano conosciute prima delle vacanze estive, al Corso Introduttivo all'Economia Giapponese e poi aveva scambiato qualche chiacchiera con loro da quando avevano ripreso le lezioni in Settembre, ma non poteva dire di essere loro amica al punto da essere cercata con tanta urgenza.
«Sì, Erina san abbiamo bisogno di una mano» spiegò Nishihara accovacciandosi davanti a lei e allungando le mani per chiuderle il libro
«Vieni con noi ti prego, devi darci un consiglio: noi non sappiamo assolutamente che fare!» incalzò Satō gesticolando per farla alzare. Erina tenne tra le mani il libro chiuso, recuperò la borsa di tela con altri quaderni e volumi e si preparò a seguirle.
«C'è qualche problema con gli esercizi di statistica?» domandò perplessa, non sarebbe stata la prima volta che qualche compagno le si rivolgeva per un aiuto in quella materia: stranamente le riusciva facile da capire e finiva sempre i problemi in un battito di ciglia.
«No, no, vieni con noi» la incitò Sehito tornando a trottare lungo il corridoio principale degli scaffali.
Le tre ragazze ridacchiarono tra loro finchè non arrivarono alla fine della "zona libri", dove la sala tornava ad essere uno spazio aperto, puntellato di tavoli e sedie: la "zona lettura". «Guarda lì!» disse Satō indicandole un tavolo
«Non indicare!» la rimproverarono le altre
«Ragazze, non alzate troppo la voce» si aggiunse Erina, non le era spiaciuta quell'improvvisa interruzione della sua lettura ma non stava bene quel continuo chiocciare nel bel mezzo della biblioteca.
Con pazienza alzò lo sguardo sulla sala e cercò con gli occhi qualcosa che attirasse la sua attenzione nella direzione indicatale. «Allora? Cosa dovrei vedere?» domandò impaziente di sapere per quale importante faccenda era stata cercata e interrotta da loro
«Come? Non lo vedi?» domandò Nishihara. «Seduto al tavolo vicino alla finestra» specificò abbassando la voce e parlandole col viso vicino alla sua spalla.
Seguì le indicazioni e individuò un ragazzo chino su un libro: l'unico seduto in pieno sole, mentre il resto della sala sembrava interamente occupata, ma solo perché tutti i posti illuminati dalle finestre erano stati evitati dagli studenti, spostatisi all’ombra.
«Ah, sì» annuì per poi guardarle incuriosita
«Lo conosci?» domandò Sehito
«No, veramente no» scosse il capo stringendosi nelle spalle
«Come no?» domandò sconvolta l'altra. «Accidenti» sospirò scoraggiata
«Mi spiegate cosa succede?» insistè
« Erina san conosce sempre un sacco di gente qui al campus, pensavamo avessi fatto amicizia anche con quel ragazzo» spiegò Nishihara sistemandosi i lunghi capelli lisci che le cadevano sulle spalle
«No, mi spiace» ripeté girandosi di nuovo ad osservarlo. «Credo frequenti il corso di Statistica comunque, se ho capito chi è. In realtà non lo vedo bene da qui»
«Che peccato, e ora?» si domandarono le tre, guardandosi tra di loro e lanciando poi uno sguardo languido al giovane ignaro seduto al tavolo
«Ma il problema qual è?» fece sbattendo le palpebre, capendo sempre meno di quella situazione
«Vorremmo chiedergli il nome, ma non sappiamo come. Pensavamo lo sapessi tu» spiegò Satō
«Scusa?» Erina la osservò strabuzzando gli occhi. «Ma se volete sapere il nome non fate prima a chiederglielo?» concluse con semplicità
«Ma non è facile!» ribattè Nishihara. «Erina san non si fa problemi, ma noi siamo timide! In che modo attacchi bottone? Voglio dire, non puoi mica andar lì e dire: "Scusa, vorrei sapere il tuo nome"!» spiegò scrollando le spalle
«No, certo che no» convenne lei. «Ma ci sono mille modi per cominciare una discussione qualsiasi qui in università»
«Oh, si è alzato!» fece notare Satō agitando una mano nell'aria per attirare la loro attenzione
«Devo parlarci io?» domandò dubbiosa Erina dato che le altre due non accennavano a seguirlo o a voler trovare un modo per approcciarlo. Questi aveva lasciato le cose sul tavolo e si era diretto ad una porta secondaria con un pacchetto di sigarette in mano. «No, no. Dobbiamo farlo noi» risposero convinte, interrogandosi sul da farsi
«Satō san, tu fumi, no? Perché non esci e fai finta di non avere l'accendino?» propose loro alzando gli occhi al soffitto
«È un'idea!» esclamò quella spalancando gli occhi. Le amiche sibilarono verso di lei per farle abbassare la voce.
«Sei l'unica che fuma tra noi, fallo!» la incoraggiarono le due
«Allora vado eh?»
«Sì, forza!»
«Ma voi non fissatemi dalle finestre, altrimenti non ce la faccio!» le avvertì prima di avviarsi. Le tre ragazze rimaste la osservarono finché non fu uscita dalla porta, dopodiché Nishihara e Sehito sospirarono.
«Siete proprio buffe» sorrise Erina nascondendo quella che sarebbe potuta diventare una risata tanto divertita da risultare offensiva
«Perché?» domandarono quelle
«Vi fate tanti problemi solo per chiedere a qualcuno il suo nome e sembra ci voglia chissà quale preparazione per domandare in prestito un accendino» spiegò cercando di non suonare scortese, come se le stesse prendendo in giro
«Non è facile per noi come lo è per te» balbettò Nishihara
«E poi è bellissimo! Già normalmente non è che io sia molto spigliata con gli sconosciuti, figurati davanti ad uno così! No, non ce la farei, sverrei dopo avergli detto solo "scusa"» spiegò Sehito
«Non guardarlo in faccia!» propose ironica Erina, ridacchiando
«Sta tornando!» annunciarono venendo che Satō rientrava nella biblioteca. Era passato troppo poco tempo perché avesse fumato tutta una sigaretta e soprattutto era tornata da sola: del ragazzo nessuna traccia.
«Allora? Gli hai parlato?» domandò alla ragazza che ritornava verso di loro camminando rigida, con gli occhi spalancati. Non parlò, scosse semplicemente il capo. «Ma come no?». L'incapacità comunicativa di quelle tre sbalordiva Erina ogni secondo di più. Non doveva chiedergli il nome, ma solo l'accendino! Era una cosa che si faceva normalmente con chiunque!
«Mi sono avviata verso la zona fumatori qui fuori, ma quando mi sono avvicinata abbastanza ha guardato verso di me e non me la sono sentita! Ho tirato dritto fingendo di dover andare da un'altra parte» spiegò coprendosi il volto con le mani. «Ho fatto una stradina secondaria e sono rientrata da un'altra porta. Non ci riesco!» sospirò. Le amiche la rimproverarono, ma allo stesso tempo capivano la sua emozione e quindi la giustificavano.
Erina scosse il capo e lanciò un'occhiata al suo libro. «Volete che gli parli io quando rientra?» domandò ancora, non aveva voglia di star lì con loro a perder tempo mentre parlottavano di un ragazzo.
«No, no, dobbiamo farlo noi!» ripeterono convinte
«Allora quando rientra andate a sedervi al suo stesso tavolo e trovate un qualsiasi pretesto per parlare: state leggendo lo stesso libro, oppure non capite un problema e gli chiedete una mano» propose ancora
«Sì, faremo così appena torna» annuirono quelle
«Bene, è facile in fin dei conti. Più facile se siete tutte insieme» sorrise loro prima di fare un mezzo inchino e girare sui tacchi per tornare verso il suo scaffale preferito: voleva finire il capitolo entro l'inizio dell'ora di Macroeconomia.
Si riaccomodò a terra, sistemò nuovamente la borsa contro i libri sul primo ripiano e socchiuse gli occhi crogiolandosi al sole che aveva abbandonato per qualche minuto. Aprì il libro sfogliando rapidamente le pagine e cercando di ritrovare il punto a cui era arrivata a leggere: le compagne glielo avevano chiuso tanto rapidamente da non essere riuscita a tenere il segno.
Nel frattempo, mentre osservava distrattamente i caratteri nei fogli che le passavano davanti agli occhi, si ricordò di aver già visto quel ragazzo: cinque volte a Statistica, due a Matematica ed era quasi certa che fosse seduto dietro di lei ad Analisi di Economia Internazionale.
Cercando di ricordare altre occasioni, piegò il capo verso la spalla destra aggrottando le sopracciglia. Non riusciva a ricordarne il viso, ma forse il ragazzo arrivato in ritardo alla Cerimonia d'Apertura dell’anno, in Marzo, era stato lui. Non era normale far tardi ad un evento tanto importante ed era strano anche il fatto che non le sembrava di aver mai visto qualcuno parlare con lui: non frequentava molto le lezioni e nessuna delle persone che Erina conoscesse gliene aveva mai parlato. Forse era timido, o era più grande e lavorava per mantenersi gli studi finendo con l’avere tempo per andare in facoltà e poca voglia di parlare con gente più piccola.
Mentre rimuginava su quelle cose ritrovò la pagina, ma in quel momento sentì dei passi rapidi che venivano verso di lei e le tre ragazze ricomparvero nel corridoio. «Erina san» la chiamarono con un sussurro, rosse in viso. «Non ce la facciamo»
«Devo parlarci io?» domandò per la terza volta, e quella sarebbe stata l'ultima prima di alzarsi da lì e lasciare la biblioteca: quel giorno era impossibile star tranquilla lì dentro.
«Per favore» biascicarono.
Nuovamente davanti alla zona lettura si tenne il libro in una mano e la borsa nell'altra, con la giacca appoggiata al braccio. Guardando i metri che la dividevano dal tavolo del ragazzo deglutì a fatica: forse era stato più facile a dirsi che a farsi. Erina non aveva mai grossi problemi ad attaccare bottone con la gente. Da quando si era trasferita a Tōkyō aveva notato che i suoi abitanti erano molto chiusi e silenziosi rispetto ai giapponesi del sud, ma questo non aveva mai costituito un problema per lei. Allora cosa la bloccava?
Fece un respiro profondo e cominciò ad attraversare a passo tranquillo la sala.
Più si avvicinava, più la figura del ragazzo le diventava chiara: aveva i capelli tagliati corti, le ciocche sul davanti erano talmente pareggiate che le ricordavano un caschetto, ma sulla nuca erano più lunghi, ed erano di un castano tanto scuro da non avere riflessi chiari al sole. Poteva vedergli le mani, grandi, dalle dita lunghe e le unghie tagliate corte, ma ben curate. Indossava una felpa con cappuccio grigia e un paio di jeans blu semplici: insomma era bello, ma non aveva la pretesa di sottolinearlo con il suo look.
A quel punto si rese conto di quale fosse il problema: era piuttosto carino e questo rendeva tutto più difficile, perché si faceva prendere dall’emozione. Inoltre, rispetto al solito, quello non era un approccio disinteressato e si sentiva gli occhi delle tre ragazze sulla schiena: non avrebbero mai potuto sentire cosa si dicevano, dato che lei di certo non avrebbe alzato la voce e il tavolo era lontano dagli scaffali, ma avrebbero scrutato ogni sua mossa e ogni loro espressione, ne era certa. Questo non la tranquillizzava.
«Scusa, è libero?» esordì in maniera banale. Quella frase l'aveva usata altre decine di volte da quando era entrata alla Keio e aveva cominciato i corsi: bastava così poco per cominciare a parlare con qualcuno.
Il ragazzo alzò la testa dal libro e la guardò rapidamente prima di osservare il tavolo vuoto e quelli vicini non occupati. «Così pare, no?» fece abbozzando un sorriso, sciogliendo l'espressione concentrata
«Sì, direi di sì» annuì Erina con una risata nervosa. Si sedette e appoggiò il libro sul tavolo prima di sistemare borsa e giacca appese alla sedia. «Sembra che alle persone non piaccia il sole» aggiunse per non far morire lì la discussione
«L'ho notato, per quello mi sono messo qui» rispose annuendo lui
«Preferisci che mi metta più in là?» chiese. Si era seduta lasciando un posto libero tra loro, ma si era avvicinata pensando solo al suo obiettivo senza riflettere sul fatto che forse non era esattamente il miglior momento per avvicinarlo se stava cercando pace per studiare. L'aveva sempre visto solo, forse non era interessato a conoscere nessuno.
«No, rimani pure. Non mi dà fastidio» la rassicurò abbassando un attimo lo sguardo sul libro che lei aveva posato sul tavolo. «È interessante?» domandò accennando al volume con la testa
«Sì. Mi annoia un po' la parte in cui introduce le cause del fenomeno, sto cercando di andare avanti rapidamente per leggere quella sugli effetti. È la più interessante» spiegò mettendo una mano su The Bubble Economy di Cristopher Woods, come a volerlo nascondere.
Quel ragazzo aveva gli occhi scuri quanto i capelli, ma nonostante ciò sembrava avere uno sguardo profondo: ogni espressione era più intensa sul suo viso. Aveva un naso proporzionato e la bocca piccola, dalle labbra piene. Erina deglutì sforzandosi di fissarle per non più di due secondi mentre lui non stava ricambiando la sua occhiata.
«Riesci a leggerlo?» domandò questi, lo sguardo sembrava brillargli al fare quella domanda
«Sì, non ho problemi con l'inglese» rispose annuendo
« Di dove sei?» domandò amichevole. «Parli bene il giapponese»
«Okinawa» rispose, leggermente infastidita. Quante volte in vita sua le avevano rivolto quella domanda? Avrebbe dovuto farsene una ragione prima o poi.
«Eh?» fece quello sgranando gli occhi. «Scusa, credevo fossi straniera»
«Capita spesso» cercò di spiegargli lei muovendo la mano davanti al viso, segno che non importava
«Ti ho visto a Statistica, ho pensato fossi, non so, irlandese?» chiese lanciando un'occhiata ai riccioli rosso fuoco che la giovane aveva raccolto in una coda dietro la nuca
«La famiglia di mio padre è americana di Oakland, ma sono nata a Naha e mia madre è giapponese» spiegò annuendo appena con il capo. Se non fosse stato per quei capelli sarebbe sembrata una giapponese: aveva dei tratti somatici particolari, a vederla vicina a dei giapponesi passava per una di loro con gli occhi appena più grandi, ma vista di fianco a degli stranieri sembrava uguale a loro, con gli occhi un po' più stretti e il naso più piccolo rispetto ad altre donne.
«Sei bilingue quindi: sei fortunata!» sorrise quello appoggiando la schiena alla sedia, allontanandosi così dal proprio libro. Era un buon segno: voleva parlare.
«Mi hai visto a Statistica dicevi?» domandò conferma
«Sì, è difficile non notarti, lo ammetto» scherzò
«Hai ragione» sorrise con lui. «Non credo di averti mai visto. Fai Economia anche tu?» mentì aggrottando le sopracciglia: non era la prima volta che diceva qualche piccola bugia per mandare avanti una discussione con uno studente sconosciuto ma già notato.
«Sì, non mi stupisco che tu non mi abbia mai visto: non riesco a frequentare molto» spiegò con una punta d'amarezza nella voce. «Ma io so chi sei, non ci sono molti stranieri da noi quindi ho immaginato fosse tuo il nome sempre in cima nella graduatoria ad ogni test» le disse prima di lanciare uno sguardo all'orologio
«Statistica mi riesce bene, tutto qui» ammise con modestia, stringendosi nelle spalle. «Beh, io sono Sheridan Erina» si presentò allora piegando il capo
«Sakurai Shō» rispose con un largo sorriso quello. «Sbaglio o non ho mai sentito nessuno chiamarti per cognome?»
«Sì, non suona molto bene "Sheridan san", no?» fece cercando di buttarla sul ridere: odiava a morte essere chiamata così. «Erina san è meglio e poi mi fa sentire molto più giapponese. Infondo sono sempre vissuta qui».
Gli sbirciò ancora una volta il viso, tornando a guardargli le labbra, il colore degli occhi e le morbide curve delle guance. Lo vide prendere fiato per parlare, ma venne interrotto. «Eri chan» si senti richiamare alle sue spalle: erano le altre tre di cui si era totalmente dimenticata non appena aveva cominciato a parlare con lui.
«Sì?» rispose secca, infastidita da quell'improvvisa familiarità,¹ una tattica per avvicinarsi e inserirsi tra lei e il nuovo ragazzo.
«Mi spiace interromperti, ma tra poco comincia Macroeconomia e dobbiamo andare fino al secondo edificio» spiegò Nishihara
«Ma no che non la interrompi» fece Satō civettuola
«Andate anche voi a Macroeconomia?» domandò il ragazzo. «Penso di poter seguire la prima ora, possiamo andare insieme» propose guardando Erina
«Va bene» accettò sorridendo timidamente, mentre dentro di sé si sentiva scoppiare.
Quel ragazzo era educato, molto carino e parlare con lui era stato facile. Poter passare anche un'ora vicini in aula sembrava un sogno. L’unico problema era se sarebbe riuscita a seguire la lezione. Si trattenne dal ridere davanti a tutti per colpa dei suoi stessi pensieri.
«Ragazze, lui è Sakurai Shō. Fa il primo anno come noi» lo presentò alle altre. Infondo era cominciato tutto proprio per quello: sapere il suo nome.
«Sakurai?» domandò sorpresa Sehito. «L'ho già sentito il tuo cognome!» esclamò beccandosi un sibilo da altri studenti che in quel luogo cercavano calma per studiare
«È possibile» parve rispondere lui, con sicurezza
«Sei quello che si classifica sempre tra i primi tre ai test di Statistica» si intromise Satō. «Certo che tra te ed Eri chan è proprio una bella sfida: e dire che io non ci capisco nulla!»
«Dovremmo chiedervi una mano ogni tanto» suggerì Nishihara. Solo quando Erina domandò il numero dell'aula le tre parvero ricordarsi improvvisamente di lei e della lezione.
Raccolsero le loro cose e uscirono per avviarsi lungo il viale alberato che attraversava il campus. Le ragazze assorbirono completamente l'attenzione di Sakurai che venne trascinato in un vortice di domande: era bastato davvero poco per togliere loro qualsiasi inibizione.
Erina rimase un passo indietro, ma non fece in tempo a fare dieci metri nel viale che già incrociava qualcuno che conosceva e la salutava. Alla fine della strada era circondata da cinque persone e chiacchierava con loro allegramente: erano tre del suo stesso corso e due senpai del terzo anno che avevano lezione nello stesso edificio. Era contenta di chiacchierare con loro, ma stare con quel gruppo sconosciuto a Sakurai e alle tre ragazze significava che non avrebbero chiacchierato tutti insieme.
Prima di prendere la stradina che portava al secondo edificio, Erina vide una compagna di corsi arrivare dal viale secondario che costeggiava il capo di atletica. «Eri san, buongiorno!» la salutò questa agitando una mano per farsi vedere in mezzo ad altri studenti che, a gruppetti, venivano dalla sua stessa direzione.
«Ida san, buongiorno» rispose al suo saluto. Fece segno agli altri di precederla e la attese perché potessero avviarsi insieme verso la lezione.
«Com'è andata la mattinata?» le domandò Ida Meiko una volta che l’ebbe raggiunta
«Bene, mi sono rifugiata in biblioteca durante Storia Economica, ho mangiato qualcosa in caffetteria e poi son tornata a leggere qualche altro capitolo» spiegò arricciando il naso, spostando gli occhi sul gruppetto di Sakurai e delle ragazze, ormai un po' distante
«Dovresti seguirla dato che non ti trovi bene con quella materia» sospirò l'amica. «Non dirmi che anche gli altri erano tutti in biblioteca con te» ridacchiò accennando alle persone che la circondavano pochi secondi prima del suo arrivo
«No, c'erano sono Nishihara san e le altre» rispose stringendosi nelle spalle. «Ho conosciuto una nuova persona» annunciò quindi
«Non saresti più l'Erina che conosco se non facessi amicizia con qualcuno di nuovo ogni giorno» ridacchiò Meiko
«Esagerata! Diciamo, una a settimana» la spintonò scherzosamente
«Non è mica poco!» rise. Aggiunse dell'altro, ma Erina smise di ascoltare l'amica quando notò che Sakurai si era girato per guardare indietro verso di lei, forse per controllare se stesse ancora andando con loro verso la lezione. «Ehi!» la richiamò subito l'altra
«Cosa?» fece tornando a prestare attenzione all’amica
«Tutto bene? Dicevo: chi hai conosciuto?» ripeté con pazienza mentre si avvicinavano alla porta d'entrata principale dell'edificio
«Ti ricordi che mi lamentavo sempre che ogni tanto nei test di statistica qualcuno mi batteva?» le chiese mentre salutava altri compagni che incrociavano man mano che si avvicinavano all'aula
«Sì, l'omonimo» annuì Meiko, parlando tra sé
«Chi? Comunque, ho conosciuto quella persona lì, questo Sakurai Shō» concluse mentre le teneva aperta la porta dell'aula. Quando entrarono, il ragazzo e le tre che lo avevano accerchiato avevano già scelto i posti e si stavano sistemando. Erina incontrò il suo sguardo e sentendo le palpitazioni che aumentavano si girò subito dall'altra parte.
«Finalmente. E chi è?» le domandò curiosa l’amica
«Proprio quello con cui stanno chiacchierando Nishihara e le sue amiche» sospirò delusa. «Volevano sapere il suo nome ma non avevano il coraggio di chiederglielo. La gente è proprio disperata!» scosse il capo, aggrottando le sopracciglia mentre cercava di guardare ovunque, tra i posti dell'aula, meno che verso il gruppetto di cui stavano parlando.
«Scusa?» la bloccò Meiko. Quando Erina la guardò vide che aveva gli occhi fissi su Sakurai
«Ho detto» fece per ripetere
«No, dico» la interruppe. «Quello? Quello è Sakurai Shō?» fece per poi guardare altrove, prima di essere notata
«Sì, lui» annuì perplessa prima di rimettersi a camminare: aveva optato per sedersi nella stessa fila del ragazzo, ma verso l'esterno, non voleva sembrare scortese a sedersi altrove dopo che avevano parlato tanto amichevolmente pochi minuti prima, ma non avrebbe nemmeno fatto la figura della poverina mettendosi proprio di fianco alle tre ochette, nella speranza che smettessero di monopolizzarlo per qualche secondo così da rivolgergli una qualsiasi domanda da dietro le loro schiene.
«Eri san, ricordi quando ti ho parlato dell'omonimo?» domando Meiko sedendosi vicina a lei, improvvisamente tesa
«Ora ricordo, sì. Che gruppo era? Uno della Johnny’s Entertainment, no?» fece confusa, sistemando il quaderno degli appunti sul tavolo
«Arashi, Eri san. Il nome era Arashi» specificò piccata quella. «Insomma, non è un omonimo come pensavo: è lui!» spiegò passandosi una mano sugli occhi
«Nh?» fece sbalordita. «Vuoi dirmi che ho appena conosciuto un idol?» domandò
«Non ho dubbi, è lui. È la pettinatura che ha nel suo drama» le spiegò abbassando la voce, sia per non farsi sentire da altri -men che meno da lui- sia perché il professore era appena entrato in aula. «Hanno debuttato a settembre di due anni fa. Forse non sono ancora tanto famosi, ma a me piacciono» continuò l'amica. «È Sakurai Shō, non ho dubbi: uno degli Arashi. Gruppo sanguigno A».
Erina dovette trattenersi a fatica dallo scoppiare a ridere mentre il professore cominciava la sua lezione. «Non posso crederci. Non dirmi che sei seriamente una loro fan?» domandò divertita
«Te l'ho detto, mi piacciono! L'ultimo singolo è uscito ad Agosto» spiegò con aria saccente
«Tutto questo ha dell'assurdo» sospirò rigirandosi la penna tra le dita.
Non poteva essere la verità. Però avrebbe spiegato perché quel ragazzo frequentasse poco e perché preferisse isolarsi. Per un attimo temette di aver fatto un grosso sbaglio: forse lo aveva spinto a fare amicizia con gente con cui non aveva minimamente voglia di avere a che fare! Timorosa, girò gli occhi per sbirciare lungo la fila, nella direzione di Shō. Il ragazzo era piegato a scrivere sul foglio, prendendo appunti, quindi Erina si concesse di osservarlo indisturbata: tutta quella bellezza aveva un perché.
Sakurai alzò gli occhi in quel momento e guardò subito verso di lei, senza soffermarsi ad osservare le persone che stavano tra di loro o l'aula dove stavano: sembrava avesse smesso di fare attenzione al suo foglio esclusivamente per cercarla. Erina mordicchiò il tappo della penna e guardò verso il professore non appena si rese conto di esser stata beccata a fissarlo.
Certo, alcune cose le erano chiare ora, ma alla luce di quella realtà non poteva fare a meno di chiedersi: cosa ci faceva all'Università Keio un idol della Johnny’s?

¹ "san" è un suffisso giapponese che si aggiunge ai nomi per indicare rispetto, mentre "chan" viene usato per i bambini, come vezzeggiativo, o tra amici.

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Capitolo 3
*** 2. Our First and Last Moment ***


Da quando si era trasferita a Tōkyō Erina aveva capito che la vita lì sarebbe costata il triplo di quanto non le fosse costata nel suo paesino alla periferia di Okinawa. Così si era cercata ben due lavoretti part time. Il primo era in un locale di Shibuya, si chiamava Oishii Ramen¹ e, come suggeriva il nome stesso, serviva ramen.
Era un lavoro facile anche se richiedeva rapidità e la costringeva a stare in piedi per tutta la durata del turno. I clienti ordinavano e pagavano il piatto scelto alla macchinetta fuori dal locale, poi entravano e si sedevano con lo scontrino aspettando il piatto. Il computer centrale, collegato alla macchina esterna, comunicava le ordinazioni facendole apparire sugli schermi dei cuochi. In tutto c'erano 5 camerieri e 3 cuochi per ogni turno. Questi continuavano a preparare gli ingredienti, mentre ai camerieri spettava di recuperarli, metterli insieme e servire il piatto. L’enorme sala aveva al centro le cucine circondate dal bancone dove si sedevano le persone. In quel modo si poteva vedere direttamente la preparazione del piatto con lo staff che lavorava sotto gli occhi di tutti.
Erina era negata a cucinare, ma era riuscita ad avere il part time come cameriera. Si era aggiustata i turni con due colleghe e un altro studente universitario così da avere spesso quello del mattino -che in realtà pochi volevano fare- e qualche volta quello pomeridiano. Il sabato e la domenica le toccavano solo una volta al mese.
Il secondo part-time era come commessa in un konbini a Meidaimae, fuori Tōkyō, per tre serate a settimana. Non era il massimo lavorare fino alla sera tardi, ma era il turno meglio pagato, senza contare che la maggior parte dei clienti erano ragazzini della zona mandati dalle madri a prendere un ingrediente mancante, uomini attempati che entravano a sfogliare delle riviste e sararīman frettolosi che compravano un bentō preconfezionato e scappavano via. Dopo le nove di sera poi non entrava quasi nessuno.
Per sette giorni dopo il loro incontro, di Sakurai Shō non ci fu traccia in università. Ed Erina ne era certa, perchè ogni volta sbirciava per l'aula sperando almeno di vederlo: forse non avrebbe più avuto la fortuna o l'occasione di parlargli, ma era tanto bello che anche solo la sua vista faceva bene agli occhi.
Mentre costeggiava il muro di cinta che delimitava il campus universitario si teneva la pancia con le mani nascoste nelle tasche, sentendo i crampi della fame che le facevano brontolare lo stomaco. La sera prima avrebbe dovuto cenare con uno dei ramen istantanei che vendeva al konbini, ma il bollitore del negozio si era rotto e aveva quindi dovuto ripiegare su uno dei bentō rimasti dalla giornata di vendita e su un hamburger che si era riscaldata al microonde, giusto per mangiare qualcosa di caldo. La mattina inoltre aveva scoperto con orrore di avere il frigorifero e la credenza di casa vuote, quindi si era affrettata ad uscire per non indugiare oltre con lo sguardo su quella desolazione. Non poteva riempirla, non ne aveva la capacità monetaria.
Doveva ammetterlo, più lavorava più spendeva: quella città era maledetta! Di solito aveva le mani bucate, era vero, ma si era imposta di controllarsi e le sembrava di esserci riuscita, eppure i soldi sparivano con la stessa velocità con cui le arrivavano nel portafoglio a fine settimana: l'affitto dell'appartamento, la ricarica della Suica,² il pranzo sempre fuori e infine lo svago che pensava di meritarsi dato quanto si dava da fare. Invece per quella settimana era quasi a secco. Avrebbe fatto un giro per il suo konbini quella sera, per decidere cosa comprare spendendo il meno possibile.
Fece l'ennesima smorfia di sofferenza quando sentì un altro brontolio salirle dalla pancia e guardò il cancello dell'entrata secondaria dell'università. Con quello che aveva faticato per superare il test d'ingresso a Marzo le sembrava crudele non essersi meritata nemmeno dei pranzi gratis. Contando quello che pagavano di tasse i suoi genitori, proprio gratis non sarebbero stati comunque.
Abbassò lo sguardo per nascondere la smorfia nella sciarpa di lana, ma il rumore di una brusca frenata le fece alzare gli occhi. Una macchina di marca europea si era fermata frettolosamente davanti al cancello. Rimase basita ad osservare il mezzo quando la portiera del passeggero si aprì e ne uscì Sakurai Shō mezzo nudo, ancora intento ad infilarsi una maglietta.
«Porca miseria, che freddo allucinante!» imprecò sistemando l'indumento nei jeans. Un altro ragazzo sui sedili posteriori abbassò il finestrino e gli passò una felpa e una giacca.
«Sei ancora lento a cambiarti Shō kun»
«Oh, ma stai zitto» borbottò lui chiudendo la portiera e prendendo la felpa, mentre saltellava sul posto per riscaldarsi. «Chi è che ti ha aiutato a mettere il costume di scena di oggi?»
«Fai poco il saputello, io almeno sono rapido, tu ci fai fare sempre tardi!»
«Jun, piantala!» dissero da dentro il veicolo. «Ti sbrighi? Noi dobbiamo andare» e come a sottolineare la cosa la macchina rimise in moto e prese a muoversi.
Shō tirava la testa fuori dalla felpa proprio in quel momento. «Cosa? Ehi!» esclamò quando vide che una mano fuori dal finestrino teneva ancora la sua giacca, ma era almeno due metri più avanti dato che l'auto si era già avviata. «Ma che scherzi cretini! Dai che ho freddo!» esclamò prendendo a correre per recuperare l'indumento
«Ciao Shō kun» canticchiarono dei ragazzi dalla vettura mentre la distanza tra loro aumentava
«Fermalo, fermalo!» esclamò allora il ragazzo, indicando la giacca ad Erina. A lei bastò allungare il braccio, quando la macchina le passò di fianco, per strapparla dalle mani dello sconosciuto sul sedile posteriore. Aveva i capelli accuratamente pettinati, la sciarpa avvolta per bene fino al mento e le guance paffute. Nei suoi occhi c'era una luce divertita che parve spegnersi quando lei gli strappò dalle mani la giacca, ma non ci fu modo di vederlo meglio o dirgli qualcosa dato che la macchina era già in corsa.
«Che razza di peste malefica!» borbottò Shō fermandosi a pochi passi da lei. «Grazie infinite»
«Figurati» gli rispose tendendogli il vestito e poi inchinandosi lievemente
Dal tono formale con cui le si era rivolto capì che non ricordava affatto chi fosse: del resto avevano parlato per pochi minuti e più di una settimana prima. Fece per continuare per la sua strada, incapace di aggiungere altro: la bellezza di quel ragazzo era sconvolgente, le faceva venire il batticuore e le sembrava di non ricordare più come fare a parlare.
«Erina san!» lo sentì dire prima che potesse allontanarsi
«Sì?» riuscì solo ad articolare, aveva gli occhi sgranati dallo stupore
«Allora ricordavo bene. Ti ricordi di me?» domandò lui finendo di chiudere i bottoni della giacca «Sono Sakurai Shō, ci siamo conosciuti un paio di giorni fa in biblioteca»
«Sette, per la verità» lo corresse senza pensarci troppo su
«Sette? Così tanti? Caspita, il tempo vola!» esclamò grattandosi il capo. Era completamente spettinato ed aveva persino sbagliato a chiudere i bottoni, saltando un'asola. «Grazie per avermi aiutato, come posso sdebitarmi?» domandò con un largo sorriso. Quello davanti a lei era un Sakurai Shō completamente diverso da quello che aveva conosciuto in biblioteca: era più allegro, più spigliato, più sorridente. Meno studente e più idol.
«Figurati, per così poco» fece lei scuotendo il capo e stringendosi nelle spalle: le venivano in mente anche troppe di cose che avrebbe potuto fare per sdebitarsi! E le idee che le attraversarono la mente la imbarazzarono a sufficienza da farle venir voglia di sparire all'istante.
«No, sul serio, qualsiasi cosa!»
«Ti ho solo recuperato una giacca, non credo che i tuoi amici ti avrebbero realmente lasciato senza» provò a ribattere
«Scherzi? Jun è infido a sufficienza» rispose storcendo il naso. «Cavoli!» esclamò improvvisamente aprendo le braccia e lanciando un'occhiata nella direzione in cui era sparita la macchina. «Lo zaino!» mugugnò con un sospiro
«Non li rivedi domani?» provò a chiedergli
«Sì, ma i libri mi servono per la lezione di oggi» brontolò passandosi una mano sugli occhi. «L'ha fatto apposta: è spietato!»
«Puoi...» tossicchiò cercando di trovare coraggio. «Puoi guardare con me. Voglio dire, se usiamo il libro puoi leggere sul mio»
«Sul serio?» domandò guardandola speranzoso
«Sì, certamente» disse con più sicurezza. Al suo fianco l’ultima volta si erano sedute le altre ragazze, quindi non c’era niente di male nel fare un po' per uno.
«Allora devo ringraziarti in qualche modo» ripeté ancora più convinto. «Che ne dici se...» cominciò lasciando la frase in sospeso, diventando pensieroso. Ebbe poco da pensare, si sentì un brontolio provenire dallo stomaco di Erina che diventò paonazza e cercò di nascondere il proprio viso dietro la sciarpa. «Ok» tentò di non ridere lui «Vada per una torta alla caffetteria del campus»
«Scusa» mormorò lei stringendosi nelle spalle. «Veramente, non devi»
«No, no, scusa tu» si interruppe di nuovo serrando le labbra, piegate in un sorriso. «Vedi, non credo di riuscire a trattenermi, fatti offrire qualcosa per farmi perdonare» concluse rapidamente, dopodiché scoppiò a ridere senza alcun ritegno.
Erina lo osservò da dietro la sciarpa: non sapeva se incavolarsi per quella reazione o incantarsi ad ascoltare le sue risate. Alla fine cominciò semplicemente a camminare, vedendo altri studenti avvicinarsi lungo il marciapiede.
«Ti sei offesa? Scusa, scusa! Sul serio, non volevo, ma hai avuto un tempismo perfetto!» esclamò lui inseguendola. «È stato troppo buffo»
«Alle fragole. E con l'aggiunta di panna sopra» gli ordinò perentoria, senza degnarlo di uno sguardo ed oltrepassando il cancello d'entrata
«Cosa?»
«E del tè caldo. Adoro l'Earl Grey» continuò trattenendo a stento una risatina divertita. «Ben zuccherato però». A quel punto Shō capì che gli stava facendo l'ordinazione per la caffetteria e, ridendo ancora, annuì allegro.
Finalmente si avviarono lungo il viale che passava tra l'edificio del liceo e il suo campo sportivo per poi proseguire dritto e continuare davanti al centro ricerche. In un primo momento cadde il silenzio tra i due. Erina era abbastanza agitata: non che potesse dirsi innamorata di qualcuno che vedeva per la seconda volta, ma era chiaro che quel ragazzo era tanto bello da sconvolgerle i pensieri e renderla nervosa. Cosa poteva dirgli? Un gruppetto di studenti in tuta tagliò loro la strada correndo dal campo di atletica della scuola.
«Come li invidio, hanno tutta quell'energia alle nove di mattina!» esclamò Shō
«Meno di un anno fa eri come loro lo sai?» fece divertita. «E invece parli come se ci fosse un abisso a dividervi»
«C'è, non pensi? Io sono all'università, loro sono solo studenti del liceo» fece atteggiandosi
«Se lo dici tu» fece per rispondere Erina, prima di venire interrotta da alcune voci che la chiamavano
«Eri san!» chiamarono un gruppo di ragazzi. Li conosceva dal corso di Economia Internazionale, dove se li era trovati di fianco e non era riuscita a trattenersi dal ridere sentendo i dialoghi tra di loro: era un gruppo di quattro amici che si conoscevano dalle elementari, quindi erano tutti molto affiatati. Avevano scelto la stessa laurea ma al terzo e quarto anno avrebbero probabilmente optato per delle specializzazioni diverse.
«Ragazzi! Buongiorno!» salutò agitando la mano verso di loro, mentre si avvicinavano
«Eri san, ci sei a Matematica dopo?» chiese uno alto
«Ti conviene non andare» ridacchiò quello con i capelli tinti di biondo scuro
«Nemmeno per sogno, non ho intenzione di dargliela vinta a quello!» ribatté Erina con decisione. «Gli farò vedere di che pasta sono fatta»
«Ma lascialo perdere» scosse il capo un altro. «È gente ignorante quella, mi chiedo come facciano persone simili ad avere un posto come insegnanti. Non è degno della tua attenzione: perché invece non ne concedi un po' a Nobo kun?» ridacchiò
«Ma la piantate di dire scemenze?» sbottò il quarto
«Se Namikawa san ha bisogno di una mano lo aiuto volentieri» rispose la ragazza sorridendo tranquilla, fingendo di non aver compreso l'allusione del terzo ragazzo alla possibile cotta che l'amico aveva per lei.
«Hai da fare?» chiese infatti questi lanciando un'occhiata a Shō
«Scusate, questo è Sakurai Shō» lo presentò con un gesto della mano. «È nel nostro stesso corso»
«Ehi!» lo salutò informalmente il primo del gruppo. «Hajime Yatate, molto piacere»
«Noboru Namikawa» fece un po' stizzito il quarto. «Non mi sembra di averti mai visto» insinuò
«Chiaro, tu vedi solo te stesso e la gente che ti interessa: sei un arrogante Nobo kun» ridacchiò il secondo. «Ken’etsu Asada, piacere di conoscerti»
«È che Sakurai san lavora molto, quindi può frequentare solo quando è libero» tentò di giustificarlo Erina
«Goro Yoshino» concluse il terzo. «Hai tutta la mia comprensione, anche io lavoro: faccio un part time ad un distributore di benzina, non è il massimo ma si guadagna abbastanza bene»
«Molto piacere, sono Sakurai Shō» concluse infine il ragazzo, spiazzato dal fiume di parole con cui il gruppo lo aveva investito. «Sono felice di conoscervi» sorrise
«Fai attenzione, se vuoi una mano da Eri san devi metterti in fila» sembrò minacciarlo Noboru
«Namikawa san» tossicchiò lei, cominciando a sentirsi in imbarazzo per quelle frecciatine. «Ragazzi, volete scusarci? Ci vediamo dopo in aula» concluse con un inchino.
Si salutarono rapidamente e i due ricominciarono a camminare. Avrebbero anche ripreso a parlare se qualcuno non avesse nuovamente chiamato la ragazza. «Taniguchi san buongiorno» rispose Erina con pazienza.
La ragazza che le si era rivolta era appena uscita dal centro ricerche. «Eri san, hai del tempo?» domandò questa in apprensione
«C'è qualche problema?»
«No, no. È che ho provato a fare i problemi di statistica, ma proprio non mi riescono. Altre due compagne avrebbero bisogno di una mano, pensi di avere cinque minuti liberi? Domani li correggerà sicuramente e hai visto come si è arrabbiato con me l'altra volta»
«Dubito ce l'abbia con te» osservò Erina. «Non sembra tipo da tormentare degli studenti»
«Ma non sono tranquilla »
«Allora li vedremo insieme. Però possiamo farlo dopo Analisi dell'Economia di domani mattina? Ora avrei da fare e finita la lezione di Matematica devo scappare»
«Sì, scusami» fece lei guardando Shō e chinando il capo. Lo osservò incantata per qualche secondo poi si avviò. Era subito chiaro a tutti quanto fosse bello quel ragazzo.
«Scusa, possiamo andare credo» fece la ragazza con un sorriso imbarazzato
«Eri chan, Eri chan! Senti questa!!» urlarono alle sue spalle: non si era mai resa conto di quanta gente conoscesse in quel campus prima di quel momento in cui invece avrebbe preferito non essere disturbata.
Si voltò pronta a fare un sorriso, ma quella che le veniva incontro era Meiko quindi spalancò gli occhi guardandola e scosse il capo, serrando le labbra. Quella si bloccò all'istante, notando che Sakurai Shō era al suo fianco. «Ah» tentennò cercando una scusa qualsiasi. «Volevo solo dirti che se fai tardi prendo un posto per te in aula»
«Grazie Ida san» si inchinarono entrambe per sostenere quella farsa e finalmente ci fu un minuto di pace in cui nessuno sembrò chiamarla. «Se hai da fare facciamo un'altra volta» disse Shō, impassibile
«No!» esclamò Erina. «Cioè, no, non è questo» spiegò guardandolo in viso, imbarazzata
«Stai morendo di fame e troppe persone si mettono tra te e la torta?» domandò ridendo. «Vieni» le disse prendendola per il braccio e trascinandola con sé tra i cespugli a lato della strada del campus
«Dove stiamo andando?» domandò seguendolo spaesata
«È una scorciatoia più tranquilla».
Dopo aver camminato tra alcuni alberi spuntarono davanti al campo di atletica dell'università: un immenso spazio aperto dove a quell'ora del mattino c'erano solo pochi che correvano. «Se tagliamo per di qua arriviamo dritti alla caffetteria» spiegò Shō indicando il grosso complesso dall'altra parte del campo
«Come fai a conoscere bene questo campus se frequenti poco?» domandò sorpresa
«Ho frequentato tutte le scuole alla Keio» spiegò, avviandosi verso la pista
«Come? Tu hai frequentato questa scuola fin dalle elementari?». L’università costava parecchio essendo privata ed anche una delle migliori del paese, quindi non riusciva ad immaginare quanto potesse costare pagare la retta dell’istituto fin dalla scuola primaria. La famiglia di Shō doveva essere ricca e facoltosa a prescindere dal fatto che lui fosse un idol. Anzi, il fatto che svolgesse un lavoro simile era abbastanza strano data la posizione che dovevano avere i genitori.
«Sì, anche mio padre ha studiato qui» spiegò lui stringendosi nelle spalle
«Capisco» mugugnò la ragazza. Ancora una volta si domandò cosa ci facesse un idol alla Keio.
Arrivarono finalmente dall'altra parte della pista ed entrarono nell'edificio della caffetteria. L'odore di dolci si sentiva già dall'entrata del piano terra.
«Come sai che lavoro?» domandò Shō sbottonandosi la giacca
«Scusa?» domandò lei alzando lo sguardo mentre sistemava la sua sullo schienale della sedia
«Prima» spiegò rimanendo in piedi. «Hai detto che frequento poco per via dei miei impegni sul lavoro»
«Mi spiace, era meglio stare zitta?» chiese accomodandosi al tavolo, poi imitata dal ragazzo. «Se devo essere sincera, credevo che ti conoscessero più persone» si azzardò a dirgli ora che ne stavano parlando
«Beh» fece quello abbassando lo sguardo, imbarazzato, e aprendo il menù. «Infondo è poco che ho cominciato, meglio godersi questa notorietà moderata finché dura» concluse alzando la mano per richiamare un inserviente.
Mentre ordinava, Erina si accorse di aver totalmente dimenticato quanto fosse affamata da quando aveva incontrato Shō: si era emozionata tanto stando al suo fianco che non ci aveva più fatto caso!
In quei giorni si era spesso domandata se un idol destinato al successo, com'era chiaro che sarebbe stato per il solo fatto di essere parte della Johnny’s, non avesse un bel carattere. Ma dovette ricredersi perchè chiacchierarono piacevolmente di argomenti normalissimi: i test di statistica nei quali erano a turno al primo posto, i professori che Shō ancora non aveva incontrato, la vita al campus. Erano discorsi banali, sì, ma erano gli stessi discorsi che faceva con tutti gli altri quindi quel ragazzo non era diverso, anzi, le sembrava persino migliore. Forse col tempo si sarebbe innamorata sul serio, o forse Shō sarebbe rimasto un semplice conoscente, però Erina si sentì felice per la possibilità di vivere quel momento, di poter trascorrere con lui quegli attimi immersi nella luce che filtrava dalle vetrate lucide della caffetteria.
Man mano che passava il tempo aumentavano le persone che correvano lungo il perimetro del campo sportivo lì davanti e la fine della prima ora del mattino era vicina, infatti il campus si era animato con chi era fuggito in anticipo dalle aule o chi era arrivato per la seconda ora. Giovani ragazzi e ragazze sorridenti, ricercatori e ricercatrici ben vestiti.
In quel momento Erina si disse che la vita a Tōkyō le piaceva, che era felice di essere lì a studiare quello che le interessava e che era bello essere seduta allo stesso tavolo con Shō. Ma non sapeva ancora che quello sarebbe stato un momento unico nell'arco della sua carriera universitaria e che non si sarebbe mai ripetuto: quella era la prima e l'ultima volta che si sarebbe intrattenuta con lui a quel modo all'università.

¹ Oishii Ramen è una catena di locali che preparano esclusivamente ramen. A Shibuya ce n'è uno nelle viuzze pedonali tra Bunkamura Dōri e Koen Dōri ed è quello descritto nel capitolo.
² Una delle due tessere per i mezzi in uso nell'area di Tōkyō

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Capitolo 4
*** 3. Love at First Sight ***


Passarono parecchie settimane, quasi due mesi, e Sakurai Shō non si vide mai al campus. Erina ne era certa per svariati motivi: primo tra tutti, molto spesso Meiko sottolineava come "Shō kun non si è presentato nemmeno oggi", secondo, ogni tanto anche lei lo cercava con lo sguardo, soprattutto alle lezioni di Statistica. Erano almeno cinque test in classe che lei si guadagnava la testa della classifica senza sforzo, staccava lo studente al secondo posto di diversi punti e non c'era gusto.
Ma era anche vero che quell'assenza era una goccia nel mare della sua vita a Tōkyō: continuava a lavorare senza sosta, ritagliava tutti gli spazi di tempo possibile per studiare, il suo appartamento era un disastro non avendo un attimo per sistemarlo e non usciva a divertirsi con gli amici da almeno due mesi. Era arrivata a livelli inimmaginabili di stress e quindi l'assenza di un compagno, per quanto bellissimo, non era così rilevante in una vita in cui lui non era compreso.
Poi Sakurai Shō ricomparve, a sorpresa, precisamente nella settimana in cui lei si era presa una febbre da cavallo. Il troppo lavoro le aveva abbassato le difese immunitarie, così le era bastato dimenticarsi la sciarpa in facoltà per una sera ed il mattino dopo era preda dei brividi di freddo.
«Avresti dovuto vederlo Eri san!» diceva Meiko al telefono con voce estasiata. «Era bellissimo!»
«Ida san, non c'è bisogno che lo veda: so com'è e dubito che la sua bellezza sia radicalmente cambiata rispetto ad un mesetto fa» ridacchiò Erina da sotto le coperte
«Sì certo, hai ragione» fece quella titubante. «Però cavoli! Troppo bello! Come possono esistere al mondo persone di quel genere?»
«E lo chiedi a me? Io di certo non rientro nella categoria. Piuttosto, mi fai avere gli appunti della settimana?» domandò trattenendo uno starnuto
«Sì, sì. Sei crudele a cambiare argomento così brutalmente però!» rise quella. «In realtà ti dà fastidio che sia tornato proprio quando non c'eri, vero?»
«Ida san» sospirò la ragazza rigirandosi sul fianco mentre teneva in mano il cellulare. «Ho pensato "cavoli, che peccato", ma di certo non sono qui a struggermi per l'opportunità persa. Ci vediamo lunedì?»
«Ci vediamo lunedì» sospirò l'amica. «Com’è possibile che quel ragazzo non ti interessi come interessa me? E dire che ci hai pure bevuto un tè insieme!»
«È solo che io sono più portata ad avere i piedi per terra piuttosto che a sognare idol irraggiungibili» tentò di spiegarsi
«Senti signorina ho-i-piedi-per-terra, l'altro giorno Sakurai Shō in persona mi è venuto a parlare chiedendomi se ero tua amica» cominciò a raccontare con tono di sufficienza
«E tu che gli hai detto?»
«Inizialmente nulla, non potevo credere che stesse parlando con me!» rispose riprendendo il suo fare entusiasta. «Comunque ha detto che siamo invitate alla sua festa di compleanno!»
«Come!?» scattò a sedere sul letto e quasi le scappò il cellulare di mano
«Esatto!»
«E quand'è?»
«Eri san, sei pessima! Il compleanno di Shō kun è il 25 Gennaio!» fece quella, quasi indignata
«Non sono una fan degli Arashi come te, quindi non ne so vita, morte e miracoli. E smettila di chiamarlo "Shō kun", non è nemmeno tuo amico!» ribatté Erina rimettendosi al caldo sotto le coperte. «Ad ogni modo, che razza di invito è? Siamo a metà Dicembre e lui ci invita più di un mese prima?» domandò storcendo il naso. Avrebbe voluto che la festa fosse stata un po' prima, Gennaio dell'anno successivo suonava come un tempo lontanissimo.
«Credo sia normale, è una persona impegnata quindi programma tutto in anticipo» tentò di giustificarlo la compagna. «Se lo rivedo cosa gli dico?»
«Che domanda cretina: se anche mi stesse antipatico verrei per farti compagnia, no? Da sola non ci andresti mai»
«No, infatti! Speravo che dicessi di sì! Ti adoro!».
La conversazione era avvenuta due settimane prima di Natale. Quando Erina tornò in università Sakurai Shō era di nuovo tornato al lavoro, ma una settimana dopo lo videro ricomparire sporadicamente, soprattutto per le lezioni del mattino. Quel giorno era seduta a metà dell'undicesima fila e stava chiacchierando con alcuni ragazzi del secondo anno che avevano avuto lezione in quell'aula l'ora prima.
«Davvero? Credo dovresti stare attenta a quel professore» le diceva uno
«Sì, l'anno scorso ha preso di mira uno studente del nostro anno. Cos'era?» rispose l'altro, erano entrambi seduti nella fila dietro di lei
«Credo che fosse per metà messicano»
«Come? Ma sul serio?» chiese lei sbalordita. «Credevo mi avesse in antipatia per qualche motivo strano tutto suo, non per razzismo» rifletté scuotendo il capo. «Com'è che lasciano lavorare con gli studenti persone simili?»
«Se non fosse per i capelli non ti avrebbe mai preso di mira, non sembri nemmeno straniera » spiegò Meiko, che sfogliava un giornale aperto sul banco
«Io li ho sempre trovati belli» azzardò uno. Erina ridacchiò leggermente imbarazzata e un improvviso brusio attirò la loro attenzione lasciando cadere nel vuoto quel commento.
«Eri san!» Meiko la colpì sul braccio in quello stesso istante
«Cosa?» domandò girandosi per sbirciare cosa vi fosse di così strabiliante sul suo giornale. Poi però si accorse che l'amica al suo fianco non stava leggendo e seguì il suo sguardo che puntava sull'entrata dell'aula.
Sakurai Shō entrava in quel momento, con lui c'erano sia Nishihara che Satō, e insieme a loro un altro paio di ragazzi. Conosceva il gruppo -difficilmente lei non conosceva qualcuno- e di certo non avevano la sua stima: erano ragazzi abbastanza sciocchi, piuttosto immaturi per la loro età. Certo, riteneva che gli uomini non sarebbero mai stati maturi quanto le donne, ma alcuni sembravano fermarsi allo stadio “sedicenni senza speranza di miglioramento” e quel gruppetto ne era un esempio.
Improvvisamente la sua stima per Shō si abbassò: perché uno intelligente come lui girava con persone del genere? Le due ragazze ridacchiavano divertite e anche lui sorrideva allegramente con i ragazzi al suo fianco: si facevano scherzetti stupidi e si punzecchiavano tra loro. Ad un certo punto gli occhi di Shō si alzarono ad osservare l'aula nella quale, al suo ingresso, si era alzato il brusio che aveva interrotto il discorso di Erina con i senpai. I loro sguardi si incrociarono e la ragazza abbassò immediatamente gli occhi, rialzandoli solo pochi secondi dopo. Lui la stava ancora guardando così alzò la mano aperta e gli sorrise impacciata, un gesto a cui rispose nello stesso modo, poi uno degli amici richiamò la sua attenzione e quel loro dialogo silenzioso finì ancora prima di cominciare.
Il professore entrò pochi secondi dopo e gli studenti presero posto.
L'ora di lezione fu un incubo. Il professore la chiamò alla lavagna dell'aula chiedendole di risolvere il problema scritto. Passò quindici minuti davanti a quei numeri cercando di capire come risolvere il quesito, mentre l'insegnante rimase in silenzio e costrinse così l'intera classe a fare altrettanto. Quella tranquillità la metteva ancora più in ansia e per quanto ci provasse non trovò modo di risolverlo.
«Allora, Sheridan san, ormai è un po' che se ne sta a scrivere su quella lavagna, no?» fece spazientito il professore. «Dicono che in America siano ad un livello più alto con la scienza e la matematica, com'è che non le riesce di risolvere questo semplice problema?».
Erina non era un tipo bellicoso quindi non rispose a quella domanda provocatoria, semplicemente rimise il gesso al suo posto e sospirò. «No, non ci riesco professore» ammise a denti stretti, sentendosi umiliata davanti all'intera classe di Matematica del primo anno
«Bene, quindi ammette che non le è possibile scrivere il risultato?». Quante volte voleva farglielo ripetere?
Già da un paio di minuti gli studenti nell'aula avevano cominciato a commentare la situazione bisbigliando, ma l'insegnante sembrava non farci caso e lei continuava a fissare la lavagna dando le spalle alla classe, ben felice che in quel momento d’umiliazione nessuno la vedesse in viso.
«Professore» una voce solitaria si alzò dai banchi
«Cosa?»
«Scusi professore» ripeté la voce. «Mi perdoni, sto cercando di risolvere questo problema, ma ho tratto le stesse conclusioni della mia compagna».
Erina sbatté le palpebre un paio di volte, incredula: era la voce di Meiko, la timidissima Meiko che, piuttosto che parlare davanti ad un’aula di studenti, si sarebbe data fuoco.
Rincuorata trovò il coraggio di voltarsi e di guardare verso gli studenti, per cercarla con lo sguardo: si era alzata in piedi per essere ben visibile e l'aveva fatto per lei. «A me non sembra ci siano errori nello svolgimento» aggiunse
«Lei dice signorina?» domandò il professore, guardando la lavagna con aria corrucciata. Solo davanti al dubbio di uno studente "normale" si faceva scrupoli?
«Ha ragione, l'errore non è nello svolgimento» si aggiunse un altro
«Prego?»
«Le mie compagne hanno ragione, le operazioni sono state svolte in maniera corretta» insisté quello
«Sakurai san, giusto?» domandò l'insegnante. «Che rarità vederla a lezione, quant'è che non la vedo tra questi banchi?» fece verso il ragazzo, riprendendo il suo solito tono acido
«Tanto tempo» rispose Shō con innocenza. «Se vuole so la risposta». Erina spalancò gli occhi guardando i numeri sulla lavagna.
«Bene, sentiamo. Il soprannominato Keio Boy ha la risposta al nostro quesito. Badi bene, non è "Che tipo di ragazza ti piace?", "Qual è l'appuntamento ideale per te?" o "Cosa pensi di trasmettere con il nuovo singolo?", ma una vera domanda. Allora?». Il professore incrociò le braccia e lo osservò, con aria di sufficienza.
«Professore, la risposta della mia compagna è svolta nel modo corretto, come le facevano notare, infatti l'errore sta nel problema dato. Credo che lei abbia scritto il primo numero in maniera sbagliata: la virgola va portata indietro di una cifra, allora così la procedura è corretta e si arriva al risultato che si vuole ottenere» spiegò candidamente il ragazzo.
Erina alzò lo sguardo sulla lavagna riempita di numeri e, come in trance, rifece i conti correggendo le poche cifre e virgole che servivano fino ad arrivare al risultato corretto. Shō aveva visto giusto, era stato il professore a sbagliarsi.
Quando tornò al posto era finita la lezione e non poté fare altro che fiondarsi su Meiko e abbracciarla con tutte le sue forze. «Ida san grazie!!» sospirò
«Macché "grazie", dovevo farlo: quel professore è veramente bastardo» farfugliò quella, era ancora tesa per aver parlato davanti a tutti
«Se non fossi intervenuta tu, sarei rimasta lì in piedi come una fessa tutto il tempo» piagnucolò «Ti offro qualcosa da mangiare per ripagarti»
«Lascia stare, regalami un respiratore per asmatici piuttosto» le disse sciogliendo l'abbraccio. «Credevo di morire! Fortuna che Shō kun mi ha dato manforte!» esclamò fingendo di togliersi il sudore dalla fronte.
Erina avrebbe dovuto ringraziare anche lui, ma già non era più in aula. Probabilmente i suoi nuovi amici lo avevano trascinato via. «Eri san, che fai adesso?» chiese Meiko. «Abbiamo mezz'ora prima della prossima lezione, vieni a mangiare un boccone con me?»
«No grazie. Credo di avere un po' da fare» si scusò mentre raccoglieva le sue cose. «Ci vediamo in aula, quindi tu divertiti con i senpai» ridacchiò facendole l'occhiolino prima di alzarsi
«Cos'è quella malizia che mi è parso di sentire nella tua voce?» domandò quella arrossendo. «Non dirmi che te la svigni per liquidarli e lasciarli a me!»
«Accettali come ringraziamento per l'aiuto» rispose con un'altra risatina, prima di scendere rapidamente le gradinate dell'aula.
Per la verità non doveva fare nulla, semplicemente non aveva soldi da buttare alla caffetteria del campus quando fare la spesa e portarsi un panino da casa costava molto meno. Intanto poteva andare a vedere i cartelloni di statistica, la lezione di qualche giorno prima si era conclusa con un test a sorpresa e, dato che era il primo dopo il ritorno quasi regolare di Shō, era ansiosa di vedere i risultati.
Si mise al collo la sciarpa e uscì dalla sezione A del quarto edificio per correre nel freddo fino al sesto. Stava spacchettando il suo panino quando notò una persona lungo il viale che aveva tutta l'aria di non sapere dove andare.
«Ehi, serve una mano?» chiese avvicinandosi. Era una delle tattiche migliori per farsi nuovi amici tra gli studenti: non avesse saputo l'informazione che le veniva chiesta, potevano cercarla insieme.
«No, no, tutto ok!» esclamò il ragazzo, indossava un cappello, un paio di occhiali da sole ed era ben bardato in un piumino pesante e una sciarpa che lo avrebbe coperto fino al naso se non l'avesse abbassata per parlare.
Erina lo squadrò stranita. «Sicuro?» domandò ancora. Lo sconosciuto guardava un foglietto e poi osservava gli edifici intorno a sé, proprio con aria smarrita.
«Sì, sì, non c'è bisogno di… auch!» fece questi inciampando, ma riuscendo miracolosamente a rimettersi in piedi
«Tutto bene? Ti sei fatto male?» chiese per pura formalità, in realtà se non avesse parlato sarebbe scoppiata a ridere: chiunque fosse quel ragazzo si muoveva in modo buffo.
«Sì, sì. Cioè no» rispose confuso. «No, voglio dire. Insomma, mi puoi aiutare?»
«Sì, certo» rispose trattenendo le risate. «Dove devi andare?»
«Veramente non lo so» disse passandosi la mano sul berretto. «Sto cercando una persona, ma non so dove potrebbe essere. Sai dirmi gli orari del primo anno di Economia? Dove posso trovarli?»
«Sono del primo anno anche io, chi stai cercando? Forse lo conosco» si propose cercando di sbirciare sul foglio
«Sì? Si chiama Sakurai» rispose lui abbassando gli occhiali sulla punta del naso.
Erina trattenne il fiato guardando lo sconosciuto negli occhi incapace di rispondergli. «Non mi dire» fece quello togliendosi il cappello. «Erano tutte bugie? Shō kun ci ha raccontato di essere popolare in università» arricciò il naso con disappunto, ma lei ancora non disse nulla, lo fissava inebetita. Quel ragazzo aveva gli occhi castano scuri, luminosi ed espressivi, i capelli lisci erano stati spettinati dal cappello ed era molto più alto di lei e snello, a giudicare da come il cappotto gli calzasse bene.
«Aspetta! Mi ricordo di te!» esclamò lui d'improvviso. «Tu hai rovinato lo scherzo di Jun a Shō. Sì, mi ricordo! È stato qualche mese fa: tu hai preso la giacca che Jun gli stava rubando» rise divertito. «Grandiosa, davvero! Ogni tanto ci prende gusto con questi dispetti e ci fa perdere ancora più tempo»
«Sei» farfugliò Erina riprendendosi dal suo mutismo. «Sei uno degli Arashi?»
«Wow! Ci conosci?» domandò candido quello, quasi sorpreso. Il sorriso che le fece subito dopo era quasi mozzafiato, gli occhi sembrarono illuminarsi. Fino a quel giorno aveva pensato che Sakurai Shō fosse bello, ma non aveva visto quel ragazzo!
«Quindi sai dove posso trovare Shō kun?» domandò quello corrucciandosi davanti a quel nuovo silenzio
«Certo!» rispose annuendo, poi si guardò intorno e aggrottò le sopracciglia. «Cioè no, veramente no» si corresse.
Aveva risposto di getto, ma effettivamente nemmeno lei sapeva dove potesse essere Shō in quel momento. Il ragazzo davanti a lei scoppiò a ridere senza ritegno, dovette addirittura tenersi la pancia con le mani. Quando si fu ripreso aveva le lacrime agli occhi.
«Hai dato la mia stessa risposta» le disse divertito. «Eri uguale».
Erina non poté fare a meno di sorridere divertita a sua volta: eppure la stava prendendo in giro! «Non è una cosa carina da dire» cercò di fargli notare
«Hai ragione! Scusami » fece quello facendosi serio d’improvviso e inchinandosi
«Aiba chan?» sentirono dire ad alta voce. Era Shō che si stava avvicinando e teneva tra le mani un bentō. «Cosa ci fai qui?» domandò sgranando gli occhi
«Cercavo te, Shō kun!» esclamò sorridendogli contento
«Sì, cercava proprio te» sottolineò Erina
«"cercavo te"? Che risposta è?» chiese ancora Shō, fissando l’amico con stupore, poi guardò la ragazza. «Vi conoscete?»
«Hai ragione, che sbadato» lo interruppe l'altro andandogli incontro senza rispondere alla sua domanda. «È che sono due ore che tento di chiamarti, volevo avvisarti che il servizio di ieri è andato in fumo»
«Che? In fumo? Che significa?»
«Allora non è solo con noi che mangi questi bentō da femminuccia?» ridacchiò quello divertito quando gli fu vicino
«Tu e Nino sul set vi nutrite solo di kappu ramen, se permetti questo è più sano: l'ha fatto mia madre» ribatté Shō chiudendo la scatola con aria scocciata. «Ti vuoi spiegare?»
«Un assistente ha rovinato i file delle foto» spiegò l'altro. «Dobbiamo rifare il servizio, Jun è su tutte le furie»
«Tutti i file? Ma non c'era un backup dei dati o una copia?» chiese lui spaesato
«Anche i manager della Johnny’s sono su tutte le furie, il mio servizio e quello del Rīdā ci sono ancora, ma tu, Nino e Jun dovete rifarli, più le foto di gruppo» concluse l’amico per poi rimettere il cappello in testa. «Pensavo fossi famoso in università, invece grazie alla tua amica qui ho scoperto che sono tutte fandonie»
«Chi? Cosa? Ma che dici?» lanciò un'occhiata ad Erina e lei nemmeno se ne accorse: tentava in tutti i modi di non fissare intensamente quel nuovo ragazzo.
«Oh, che sbadato! Non mi sono nemmeno presentato. Aiba Masaki, molto piacere» si presentò questi girandosi verso di lei e chinando il capo. «Ma forse lo sapevi già. Accidenti Shō kun, avevi detto che stavi facendo strage in università, non che fossimo tutti famosi» lo accusò l'altro
«Che cosa? Che stai dicendo?» domandò imbarazzato Shō. «Piantala di sparare scemenze. Comunque lei è Sheridan Erina san, una mia compagna di corso» gliela presentò arricciando il labbro
«Molto piacere» fece lei rimettendo a posto il panino e inchinandosi a sua volta. Avrebbe voluto trovare un modo per far rimanere Aiba lì, per parlare di più con lui. «Tra cinque minuti comincia statistica» disse invece stringendosi nelle spalle, cominciava ad avere freddo senza giacca
«Hai ragione» annuì Shō. «Sarà il caso che ti avvii, sei stata malata la settimana scorsa no? Se rimani ancora fuori rischi di ammalarti di nuovo»
«Mentre noi abbiamo un manager che continua a mandarmi mail sul cellulare e un Matsujun in preda ad una crisi isterica: se becca l'assistente colpevole lo sbrana» ridacchiò Masaki battendo una mano sulla spalla dell'amico. «Scusa se ti sottraggo ai tuoi doveri»
«Ma piantala. Sei contentissimo invece» sospirò l'altro, prima di chiudere la zip della giacca e sistemarsi la borsa sulla spalla. «Scusa, Erina san. Spero che i test siano andati bene. Li guarderai tu per me?» domandò con un mezzo sorriso
«Lo farò» annuì lei con poca convinzione.
Non c'era modo di tenere lì Aiba Masaki, né di incontrarlo ancora probabilmente. Fu presa da una profonda delusione: il suo era stato un colpo di fulmine. Aveva conosciuto molti ragazzi belli, alcuni bellissimi, Sakurai Shō ne era un esempio, ma di colpi di fulmine ne aveva avuto uno solo nella vita e quello era il secondo.
I risultati erano appesi alle bacheche, insieme a quelli di altre materie. Erina si mise la giacca sottobraccio e cominciò a scorrere gli elenchi mentre mangiava il panino che ancora non aveva toccato, le rimanevano un paio di minuti per trangugiarlo. Trovò la graduatoria e il primo nome era "Sakurai Shō". Aveva fatto ben cinque punti più di lei e un po' ne era felice, ma per certi versi ormai la riteneva una cosa meno importante di quanto non lo fosse stato prima di conoscere Masaki.

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Capitolo 5
*** 4. Sing a Sad Song to Turn it Around ***


Erina chiuse l'ultimo bottone della giacca «Io vado!» disse ai colleghi agitando la mano verso di loro
«Grazie per il duro lavoro»
«A domani»
«Ci sentiamo Eri chan!»
«Grazie per il lavoro di oggi» furono le risposte sparse.
Sorrise un'ultima volta a tutti e uscì dallo spogliatoio del personale del locale ritrovandosi in una viuzza secondaria di Shibuya. Tutti i lampioni erano colorati con decorazioni e luci natalizie, dagli altoparlanti e dagli schermi di alcuni negozi si sentivano solo canzoni adatte all'atmosfera. Era il 24 di Dicembre.
Erina sospirò guardando la nuvoletta bianca che si formò davanti ai suoi occhi. Ricordava che l'anno prima era emozionatissima per la vigilia: il ragazzo che le piaceva al liceo le aveva chiesto di uscire ed era la prima volta per lei che arrivava a quel punto con un uomo. Sorrise a quel ricordo e mise gli auricolari nelle orecchie facendo partire il lettore CD.
Dopo aver conosciuto Aiba Masaki aveva deciso di interessarsi un po' di più agli Arashi così aveva comprato un paio di riviste e si era procurata il loro primo album, uscito undici mesi prima. La canzone che preferiva era la traccia numero sei, Kansha Kangeki Ame Arashi.¹ Quei mesi di lavoro intenso, sempre impegnata a fare qualcosa, a volte la facevano sentire stanca, scoraggiata, ma da quando aveva messo quel CD nel suo lettore aveva l'impressione che tutto fosse possibile: si sentiva più energica, capace di ogni cosa.
Solo quando arrivò davanti allo Starbucks si accorse di aver dimenticato il cappello. La distanza era poca, quindi prima di attraversare l'incrocio di Shibuya, non molto trafficato alle 11 di mattina, tornò indietro a passo spedito.
«... detto niente. Perché?»
«Siete un branco di pettegoli per la miseria!».
La ragazza si bloccò a pochi passi dalla porta del locale dalla quale era uscita. C’erano due persone che discutevano alla porta, aperta quanto bastava a far passare un braccio e buttare la cenere della sigaretta nella via. L'unica persona che poteva fumare lì era il capo perché a tutti era proibito, ma lui si concedeva delle libertà che ad altri non lasciava. Siccome era un uomo che non le piaceva molto, era disposta ad aspettare cinque minuti e prendere il treno successivo pur di non incontrarlo.
«Non è questione di essere curiosi o meno. Si vede lontano chilometri che ti piace Erina san, pensavamo tutti la invitassi ad uscire»
«Lo pensavo anche io». Erina aveva appena riconosciuto dalla voce che quello che fumava non era il capo, ma un collega che stava ignorando le regole, e a quel punto del discorso sarebbe stato imbarazzante presentarsi improvvisamente davanti alla porta. Quindi si appoggiò al muro dietro la porta e rimase in attesa. «E allora? Te la fai sotto?»
«Ma che cazzo dici? Ti muovi a finire quella cosa? Se ti beccano rischiamo il posto»
«Stai tranquillo che non ci vede nessuno, c'è Ōji san che sta controllando i movimenti del capo» e prese un altro tiro: Erina vide sparire il braccio dalla porta e poi ricomparire, seguito da una nuvola di fumo bianco.
«Perché non l'hai invitata? Ha pure due tette niente male»
«Lo so, lo so. È che alla fine non me la sento. È simpatica, va bene, ha delle belle tette, e va bene anche quello, però mi farebbe strano andare in giro con una che sembra una straniera. Cioè, la gente mi guarderebbe, no?»
«Per i capelli dici?» fece l'altro. «Sì, hai ragione. E poi non concepisco le coppie miste: come fanno a capirsi, siamo talmente diversi»
«Scusate, ragazzi permesso!» esclamò Erina spalancando la porta, fingendo di aver fatto una corsa. «Ho dimenticato una cosa in spogliatoio e... ehi! Non si fuma!» esclamò
«Eri san» fecero gli altri due sorpresi. «Ma sì, non se ne accorge nessuno» fece spallucce il fumatore
«Se non faccio la spia» ridacchiò prima di sparire nello spogliatoio a prendere il cappello.
Nell’aprire l’armadietto sospirò frustrata. Poteva accettare che parlassero delle sue tette: erano uomini, quindi era inutile aspettarsi grandi discorsi da loro; ma quando la gente non la accettava perché era diversa era molto peggio. La sua diversità era frustrante per tante ragioni ed era uno dei motivi per cui era finita a venti anni a non avere molta esperienza in fatto di uomini.
Era giapponese, era nata in Giappone e vi aveva sempre vissuto, solo che niente le toglieva di dosso che una parte di sé era straniera e si vedeva. Così i ragazzi inizialmente potevano trovare affascinante quella sua particolarità, ma quando poi si arrivava a pensare a qualcosa di più concreto, come farsi vedere in giro con lei o far sapere di essere fidanzati, allora tutti si tiravano indietro.
Si lasciò andare sul sedile del treno e si mise a giocherellare con il cellulare mentre aspettava di arrivare alla stazione per il cambio. Le parole dei colleghi le avevano fatto realizzare che, tutto sommato, poteva essere una buona cosa non rivedere mai più Aiba: difficilmente con lui sarebbe finita diversamente rispetto ad altri ragazzi. Inoltre era un idol, uno famoso che non aveva mai tempo e che si sarebbe vergognato ancora di più ad uscire con una mezza straniera. In poche parole, non avrebbe funzionato.
Sospirò perdendo la quinta partita di fila, quindi sollevò lo sguardo per fissare fuori dai finestrini. E se invece, per una volta, avesse funzionato? Senza provaci non l’avrebbe mai saputo, ma dopo aver fatto quei pensieri scosse il capo sentendosi proprio come un adolescente, ingenua e speranzosa, e invece era inutile chiedersi se avrebbe funzionato o no, perché loro due non si sarebbero mai più rivisti.
Arrivò in facoltà in ritardo di mezz'ora. La lezione era già cominciata ed Erina osservò per un po' la porta chiusa concludendo poi che non aveva voglia di entrare in punta di piedi tentando di non farsi notare, cosa che anche volendo non le sarebbe riuscita.
Uscì dall'edificio e passeggiò per il viale principale dirigendosi verso la biblioteca. Una volta arrivata lasciò la giacca negli armadietti all'ingresso e cercò il libro che aveva cominciato a leggere pochi giorni prima: non era possibile prenderlo in prestito, quindi lo leggeva lì dentro tutte le volte che poteva.
La giornata non era delle migliori nemmeno dal punto di vista del tempo, ma lei si sistemò comunque nel suo corridoio preferito tra gli scaffali, vicino alle finestre. Si rannicchiò a terra e sistemò il libro vicino a sé: l'avrebbe cominciato, ma non prima di finire la pagina economica del giornale di quel giorno. L'Europa aveva consegnato i "kit" per la nuova moneta unica, i mercati erano in fermento per l'attacco dell'11 Settembre; era un inverno caldo, tanto che a volte non era in grado di distinguere la cronaca dei giornali dalle pagine di un romanzo tragicomico.
Nelle orecchie andava ancora il lettore CD.

Nei giorni senza passione
C'è un desiderio indefinito: "Credi nell'amore"
La fede che quel giorno avevi soffocato...
Da quando ti ho incontrato il mio sangue brucia

Smile Again Grazie
Smile Again Noi che
Nasciamo piangendo
Forse siamo forti nelle avversità
Smile Again Sono felice
Smile Again Che tu ci sia
Non lo dico ma il primo
Profondo amore è una tempesta²

Stava leggendo tranquillamente, anche se la brutta giornata pareva riflettersi nella parole di quella canzone in maniera inquietante, quando d'improvviso la libreria a cui era appoggiata traballò.
Staccò la schiena dal mobile pensando immediatamente che fosse una scossa di terremoto. Si tolse anche gli auricolari per ascoltare eventuali avvisi mentre già allungava le mani per raccogliere le sue cose ed eventualmente allontanarsi dalla libreria. Questa però smise di muoversi e nel silenzio e nell'immobilità della biblioteca intuì che non era una scossa, bensì qualcuno che vi si era appoggiato senza troppa delicatezza. Sentiva dei passi, ora che aveva fermato la musica, ma nel suo corridoio tra gli scaffali non c'era nessuno.
«Sakurai san» bisbigliò qualcuno alle sue spalle.
Erina si voltò notando che dall'altro lato dei ripiani, c'erano due persone. Non c'erano dubbi che una di queste fosse proprio Shō e che l'altra, quella che aveva parlato, fosse una ragazza.
«Sssh. Ci sentirà chiunque» fece lui, preoccupato
«Hai ragione, scusa » ridacchiò lei sommessamente. «Vieni qui»
«Non mi sembra una buona idea». Erina alzò gli occhi al cielo: era la giornata in cui origliava accidentalmente le conversazioni altrui? Prese tra le mani le sue cose e si accinse ad alzarsi in piedi.
«Non tirarti indietro adesso, l'hai promesso» mugugnò offesa quella
«Sì, lo so, ma non parlarne a nessuno, chiaro?»
«Me l'hai già detto venti volte: ho capito! Mi terrò per me di averti strappato un bacio nella silenziosissima biblioteca» rise ancora.
Erina si alzò in piedi guardando davanti a sé con gli occhi sgranati: quella era una conversazione che avrebbe voluto sentire ancora meno della precedente! Si mise la borsa su una spalla e si piegò per richiudere e piegare il giornale il più silenziosamente possibile.
«Guarda che se mi tocchi non ti mordo» fece la ragazza a bassa voce.
Sentendole dire diverse frasi aveva capito chi era dalla voce: era Tomochi-qualcosa, una compagna di corso. Non le aveva mai parlato e non perché non volesse, ma perché era del terzo anno e quindi la vedeva poco, inoltre era una delle ragazze più famose del campus essendo tra le più belle ed era una vera bellezza giapponese: veniva addirittura da Kyōto!³
Ad ogni modo, Erina aveva sentito a sufficienza. Finì di piegare i fogli e si allontanò fingendo di cercare qualcosa tra gli scaffali come se fosse appena passata di lì.
Dopo aver riconsegnato il libro uscì a prendere una boccata d'aria che con il passare dei mesi era diventata fredda. Si appoggiò alla pietra che sorreggeva il busto in bronzo di Fukuzawa, appena fuori dalla biblioteca, con aria pensosa.
Quanto ancora poteva cadere in basso quel ragazzo? Lo vedeva sempre andare in giro con un gruppo di imbecilli e ormai più di metà delle ragazze del corso ne era innamorata più o meno palesemente, mentre l’altra metà lo guardava con ammirazione per il solo fatto di essere un idol. Era impossibile negare che fosse un bel ragazzo, ma era anche chiaro che non facevano casa alla superficialità che Shō dimostrava in più occasioni, poche si sarebbero tirate indietro pur di passare con lui un solo giorno. Lei faceva parte di una esigua percentuale a cui non piacevano i ragazzi privi di spessore e ne era orgogliosa. Erina era convinta che l'aspetto non potesse essere tutto.
Ma Sakurai Shō non poteva essere solo quello, perché nonostante tutto quello sfoggio di idiozia in facoltà i suoi risultati accademici non peggioravano! Quindi esistevano sul serio persone diligenti e geniali, ma cretine al tempo stesso?
Riemerse da quella riflessione quando sentì suonare il cellulare. «Pronto?»
«Dove sei? Non ti ho visto in aula» fece notare Meiko
«Scusa, sono arrivata in ritardo e non me la sentivo di sgattaiolare dentro dopo mezz'ora dall'inizio»
«Hai fatto bene. Problemi sul lavoro?»
«No, tutto a posto: ho perso il treno» mentì
«Erina san?» si sentì chiamare.
Quando si voltò vide Sakurai uscire da una porta secondaria della biblioteca, poco lontana da lei, e la figura di una ragazza che si allontanava frettolosamente.
«Ho sentito la sua voce!» esclamò d'improvviso Meiko. «È lì? Ma tutte le fortune ce le hai tu, diamine!».
«Sì, è proprio lui» rispose, vedendo solo dopo l'espressione perplessa di Shō: Non poteva fargli capire di essere l’oggetto della discussione. «È la mia marca preferita: aggiungila al carrello insieme al tofu e all'insalata» aggiunse allora
«Che stai dicendo?» domandò l’amica al telefono
«Sei impegnata?» chiese il ragazzo.
Erina lo guardo combattuta. L’orgoglio provato nel preferire un altro tipo di uomini a lui si sgretolò: forse anche lei si sarebbe detta libera se le fosse stato offerto il posto di quella che Shō aveva appena lasciato andare.
«Solo un momento» rispose con un sorriso
«È lui allora! Salutamelo!» esclamò l’amica con voce sognante
«Scordatelo» esclamò stranita. «Cioè, siamo troppi stasera, non mi metterò mai a cucinare da sola. Del nabe sarà prefetto: gli ingredienti li sai»
«Ti sei bevuta il cervello? Sono uscita dall'aula, non sono mica al supermercato. Tu invece dove sei ora?»
«In università. Ci vediamo più tardi. Ciao» tentò di concludere rapidamente.
Nel frattempo Shō aveva tirato fuori una sigaretta. «Scusa, ti ho interrotto?» domandò
«No, no, tranquillo. Non era niente di importante» rispose lei scuotendo il capo e sorridendogli. Anche se il grado di stima per lui si abbassava ogni volta di più, non riusciva a calmare il proprio cuore tutte le volte che lo vedeva.
«Qualche settimana fa ho parlato con la tua amica»
«Ida san» gli suggerì
«Sì, lei. Le ho parlato di una festa in Gennaio»
«Sì, me l'ha detto» annuì Erina: se n'era dimenticata. Si era persa a pensare ad Aiba Masaki in quei giorni e la festa le era completamente sfuggita.
«Te l'ha detto che siete invitate entrambe, vero?» chiese lui osservando la sigaretta ancora spenta che si rigirava tra le dita
«Me l'ha fatto sapere. Non stavo bene quel giorno»
«Lo so» sembrò volerla interrompere. «La faccio a metà Gennaio, pensi di essere libera?» domandò ancora.
Non vista, Erina aggrottò le sopracciglia: non poteva dire di avere con Sakurai Shō un rapporto tale da giustificare quel tipo di domanda, erano solo conoscenti. «Penso di sì» annuì, sorridendo quando questi sollevò lo sguardo per fissarla
«Bene, allora ti farò avere i dettagli. È un problema se vi chiedo di non dire a nessuno di questa cosa? L'agenzia tiene molto alla privacy»
«Non ci sono problemi» suonava come quel "non parlarne a nessuno" che gli aveva sentito dire alla ragazza tra gli scaffali.
«Bene» annuì lui per poi fare un paio di passi in avanti. «Vado a fumare, ci si vede» disse chinando il capo.
Lei fece altrettanto osservandolo mentre la superava e si avviava alla zona fumatori poco distante: era stata una discussione bizzarra, completamente diversa da quella di due che si conoscevano a malapena e non somigliava nemmeno a quella che avevano avuto in caffetteria. In quel momento gli venne in mente che avrebbe potuto incontrare Aiba alla festa e si fece coraggio per chiederglielo, ma lui sembrò precederla.
«Erina san» la richiamò quando ormai era più vicino al posacenere che a lei
«Sì?»
«Eri!» la richiamò improvvisamente Meiko che arrivava di corsa dal viale principale. Doveva averla vista da lontano quando stava ancora parlando con lui. Se non si fosse sbrigata a fargli la sua domanda non avrebbe più potuto farla, ma era stato lui a cominciare a parlare per primo. Lo vide lanciare un'occhiata alla ragazza in avvicinamento e mordersi il labbro inferiore, corrucciandosi.
«Buon Natale» concluse prima di girare sui tacchi per allontanarsi e accendersi la sigaretta.

La festa di compleanno di Sakurai Shō si teneva in un locale piccolo, ma abastanza sofisticato da avere un privè sufficientemente grande da ospitare i suoi invitati. Siccome era una cena in un locale Meiko l'aveva convinta -anche se sarebbe stato più corretto dire "costretta"- a vestirsi il più elegante possibile. La ragazza era decisa a farsi notare da Shō, ma se fosse stata l'unica ben vestita si sarebbe vergognata, quindi le serviva il supporto di un'amica ed Erina non riuscì a tirarsi indietro una volta che le ebbe presentato la situazione sotto quell'ottica.
Aveva un solo vestito elegante ed usò quello perchè non poteva assolutamente permettersene un nuovo, ma accompagnò Meiko a comprarne uno. Quello che si era portata da Okinawa era in seta color petrolio, senza maniche o spalline, e arrivava fino al ginocchio. Un nastro di raso azzurro chiaro le circondava l'addome appena sotto il seno, come un obi da kimono, ma si chiudeva in un fiocco sulla sinistra. La gonna era fatta di tre strati: quello esterno si apriva sotto il fiocco a mostrare il secondo, lucido e perfettamente coprente, il terzo invece era semitrasparente ed era quello che le copriva le gambe due o tre centimetri sopra il ginocchio. Le scarpe con il tacco erano azzurre come il fiocco. Eccezionalmente aveva tenuto i capelli sciolti, cosa che non faceva quasi mai perché per evitare l'effetto criniera-di-leone ci voleva un lavoro di spazzola che solitamente non aveva voglia di fare. Aveva solo fermato sulla nuca alcune delle prime ciocche con delle forcine praticamente invisibili in quella massa scomposta di ricci.
Il colpo di fortuna di quella sera però non fu l'aver addomesticato quella chioma impossibile, né aver già avuto un vestito, ma piuttosto l'essere accolta da Aiba Masaki.
Il ragazzo dava il benvenuto a tutti quelli che arrivavano, dispensando sorrisi a destra e a manca. Quando lei e Meiko entrarono accompagnate da un uomo dello staff del locale, Masaki stava inciampando in una sedia, tenendo in mano un bicchiere ancora pieno: Erina ebbe la prontezza di fermarsi e spostarsi dietro il cameriere da usare come scudo.
«Mi spiace, mi spiace tantissimo!» esclamò il ragazzo recuperando un tovagliolo dal tavolo e avvicinandosi per asciugare il cameriere rimasto impietrito dall'improvviso impatto con il liquido freddo. «Le giuro che non sono ubriaco, è analcolico, sono solo inciampato!» chiarì terrorizzato
«Non hai bisogno di alcolici per combinare pasticci» ribatté il festeggiato che lo raggiunse con un altro tovagliolo. «Lo scusi: è fatto così». Il cameriere scosse il capo e farfugliò gentilmente qualcosa prima di andarsene, disperato per la divisa macchiata.
«Sei arrivata finalmente!» esclamò Aiba spalancando gli occhi quando vide Erina
«Ma che stai dicendo?» lo riproverò Shō colpendolo con un fazzoletto
«Sei nervoso Shō kun? Perché mai?» ridacchiò l'amico.
Nel sentire quel "finalmente” era inevitabile chiedersi se Aiba non la stesse aspettando.
Il ragazzo le sorrise e si inchinò. «Non so se ti ricordi di me»
«Aiba Masaki» dissero in coro le due ragazze. Lei lo guardava colta dallo stupore e dall'immediata gioia nel rivederlo, Meiko lo fissava con lo sguardo di chi ha visto il proprio Dio in persona e non se lo aspettava: la gioia di una fan.
«Lei è un'altra mia compagna di corso» Shō fece per presentare ad Aiba la ragazza con Erina, ma ancora non sembrava ricordarsi il suo nome: possibile che avesse invitato una persona per la quale, palesemente, non aveva interesse?
«Ida Meiko» lo precedette quella, in ogni caso. «È un grande onore fare la tua conoscenza»
«"Onore"?» domandò Aiba per poi ridere verso Shō. «"Onore", Shō kun! Ha detto "onore". Ora mi emoziono!»
«Ma di che ti emozioni?» domandò alzando gli occhi al cielo. «Siamo sicuri non fosse alcolico?» controllò il bicchiere frantumato a terra.
Masaki le invitò ad entrare nel privè per poter chiudere la porta e raccomandò loro di far attenzione ai vetri. Nella sala non c'erano molte persone dell'università: su trenta non ne riconosceva nemmeno la metà. Della facoltà riconobbe il gruppo di imbecilli con cui girava spesso Shō, Nishihara e Satō, più altre persone di cui due del secondo anno, ma la maggior parte di loro non erano donne, cosa che la stupì: che fine aveva fatto Miss baciamoci-in-biblioteca?
Quella sera la fortuna non si limitò a farle trovare Masaki a darle il benvenuto, ma si ritrovarono vicini anche durante il karaoke, il che fu più che giustificato dato che scelsero entrambi le stesse canzoni e duettarono più di un paio di volte.
Il ragazzo venne rimproverato di mangiare più degli altri, ma lui la additava sempre come degna avversaria: il punto era che tutto quel cibo era gratuito ed Erina aveva intenzione di saziarsi; però era brava a nascondere quanto mangiasse. Lei era sempre attenta a lasciare qualcosa nei piatti per non dare l’idea sbagliata, mentre Aiba non aveva una tattica e spesso, quando lo accusavano, era perché finiva addirittura le briciole di una ciotola.
Meiko passò la serata a lanciare occhiate eloquenti ad Erina e un paio di volte riuscì anche a prenderla in disparte continuando a chiederle “Andate così d’accordo, cosa c’è tra te e Aiba chan?”. Non seppe mai cosa risponderle.
Lei e Masaki finirono anche con il bisticciare amichevolmente al taglio della torta perché entrambi volevano la stessa fetta, quella con lo "yo" piccolino del nome "Shō". Si fecero tante di quelle risate che le venne mal di pancia.
«E dire che avevo invitato te temendo di non riuscire ad animare la festa» diceva Shō contenendo le risate
«Sono il tuo servizio animazione?» domandò l'altro shockato
«Fatti pagare la prossima volta» propose Erina mente svuotava il suo bicchiere
«Lo farò, accidenti» ridacchiò
«A sapere che anche Erina san aveva delle doti da Showman non ti chiamavo»
«Show girl semmai» puntualizzò lei
«Dovremmo mettere su una società» osservò l'altro. «Aaaah... sono sudato da far schifo»
«Sì, fai schifo»
«Uuuh... puzzo sul serio, senti?» propose all'amico che si tirò indietro.
Quando fece per voltarsi verso la ragazza questa alzò le mani e indietreggiò per non doverlo annusare. «Non provarci, sul serio: ci tengo al cibo che ho nello stomaco»
«Ti credo, con quello che hai mangiato» la punzecchiò lui. «Oh uffa! Va bene, allora vado fuori a prendere un po' d'aria, voi continuate a divertirvi» sorrise Masaki.
Erina fece un respiro profondo per trovare tutto il coraggio che le serviva. «Vengo con te, posso? Non sembra, ma ho caldo anche io, mi ci vorrebbe un po' di fresco»
«Non so» fece quello, come interdetto. «Va bene. Possiamo?» chiese verso Shō
«Perché lo chiedi a me?» fece quello storcendo il naso e avviandosi verso il resto degli invitati.
Dopo aver recuperato entrambi le giacche uscirono avviandosi verso il parcheggio del locale, ma dovettero fermarsi lungo il muro dell'edificio perché si era messo a piovere. «Hai visto? Non me n'ero nemmeno accorto!» esclamò Aiba tirando fuori una mano per toccare la gocce
«Come potevi accorgertene, c'è un tale baccano là dentro!» rise Erina
«Fortuna che non ci sono alcolici, altrimenti sarebbe stato peggio»
«Non possiamo berli, quindi è un bene non averli. Sarebbe un problema per voi vero?» domandò la ragazza.
Da quando era cominciata la festa non avevano ancora toccato l'argomento Arashi, né avevano fatto accenno alla loro condizione di idol. «Sì, è vero. Meglio così, decisamente» ripeté Masaki tra sé, ridendo, come preso da un ricordo personale molto divertente.
Ci fu solo silenzio per un paio di minuti, il che sarebbe dovuto essere imbarazzante, ma lei era troppo persa nei suoi pensieri per farci caso. Dopo che Aiba si era dimostrato tanto ansioso di vederla arrivare e dopo aver passato tutta la serata insieme sembrava esserci una perfetta sintonia tra loro ed essere usciti solo loro due non poteva che essere una conferma del fatto che tutto stesse andando a meraviglia.
Erina sbirciò timidamente il viso del ragazzo al suo fianco, appoggiato al muro, e in quel momento anche lui si girò ad osservarla. «Che silenzio» fece notare sorridendole, lentamente si stava rinfrescando e le guance rosse perdevano colore
«Scusa, stavo pensando» gli rispose lei che invece arrossiva
«Proprio ciò che ci si aspetta da una studentessa universitaria, no?» tentò di spiegarsi, titubante. «Degna compare di Shō kun: anche lui pensa un sacco».
Negarlo sarebbe stato crudele e forse ingiusto nei confronti del compagno, ma era quasi convinta che in università Sakurai non pensasse poi molto: non con il cervello comunque.
«Aiba san» esordì mettendosi le mani in tasca
«Nh?» mugugnò mentre quasi strabuzzava gli occhi per guardarsi le ciocche della frangetta, bagnate dal sudore
«C'è qualche ragazza che ti piace?» domandò respirando l'aria fresca della sera.
Ci fu silenzio prima che lui riuscisse a rispondere e quando lo fece sembrò improvvisamente teso. «Perché?»
«Così. Ero curiosa. È facile per voi conoscere molte persone al di fuori del vostro lavoro?»
«Sì e no. Cioè, ne ho conosciute un sacco nella mia vita e sono ancora in contatto con loro, ma se andassimo tutti all'università come Shō kun anche noi conosceremmo tante persone quante lui o ragazze carine come te. Shō kun è fortunato!» concluse con un sorrisino appena abbozzato
«Sarei carina?» domandò ridacchiando, ma dentro di sé era tesa come una corda di violino
«Eh? Cosa?» fece quello spaesato, immobilizzandosi contro il muro
«L'hai appena detto tu» gli fece notare Erina. «Se dici certe cose ad una ragazza, quella potrebbe interpretare le tue parole a suo piacimento» gli fece notare girandosi a guardarlo.
Per qualche secondo si fissarono: lei era tornata seria, incapace di nascondere oltre la sua tensione, mentre Aiba aveva un sorriso beota stampato in faccia. Davanti a quella reazione dovette ammettere di sentirsi confusa: era stata troppo ottimista? Eppure tutto aveva fatto pensare che ci fosse un minimo di interesse da parte sua, ma il ragazzo sembrava bloccato e perso nei suoi pensieri come uno che avesse perso il filo del discorso o ne avesse decisamente perso il controllo e si fosse dimenticato come voleva concludere.
«Aiba san» fece per dirgli, corrucciata, ma lui la bloccò prima che potesse dire qualsiasi cosa
«Ah, no, no, no! Ferma lì!» esclamò, finalmente muovendosi e rimettendosi in piedi dritto. «Non lo so cos'hai pensato. Mi sono divertito molto stasera, sei una persona simpatica, mi fai ridere un sacco e ho passato dei bei momenti» si bloccò guardando a terra, improvvisamente nel panico. «Però è tutto qui. Non avevo nessun secondo fine» esclamò come se fosse la cosa più sconveniente del mondo. «Mi spiace, ti ho dato quell'impressione?».
Cosa avrebbe dovuto rispondere lei a quella domanda? «Beh...» fece per prendere fiato
«Anzi no, non dire niente. Peggiorerebbe le cose. Lascia stare, voglio dire cancella. Anzi no, ricordatelo. Insomma no!» cominciò a contraddirsi gesticolando. «Sono lusingato. Mi dispiace» concluse rapidamente prima di tirare su con il naso e guardare verso la porta d'entrata. «Io mi avvio, va bene? Altrimenti si chiederanno che fine abbiamo fatto» e sparì come se avesse alle calcagna dei leoni affamati.
Erina rimase sola, al riparo del tetto dell'edificio. La pioggia continuava a cadere e il freddo tentava di entrare tra le pieghe della sua giacca. Era stranita: si era fatta avanti senza pensarci su, atteggiamento poco giapponese, ma non era riuscita a dichiararsi, anzi, non era riuscita nemmeno a cominciare a parlare che già era stata rifiutata.
E poi che razza di rifiuto era quello? Era senza parole.
Dalla tasca della giacca spuntava il lettore CD. Lo accese e si mise ad osservare il parcheggio immobile.

Sorridi ancora, grazie
Sorridi ancora, non importa quante volte
Il mio spirito si riprenderà, il mio coraggio è una sorgente
Sorridi ancora, sorridi ancora
Da solo non posso stare
Sorpreso dei miei limiti, pregherò con tutte le mie forze
L'amore è una tempesta.

¹ Kansha Kangeki Ame Arashi (Gratitudine emozione pioggia tempesta)
² Il testo della canzone di questo capitolo è quello di Kansha Kageki Ame Arashi, singolo uscito nel Novembre 2000
³ In Giappone si dice che le donne più belle ed eleganti siano quelle di Kyōto
⁴ Fondatore dell'università Keio
⁵ Scritto in hiragana "Shō" è しょう dove il secondo carattere è uno yo scritto più piccolo
⁶ Al primo anno di università si hanno tra i 18 e i 19 anni, ma la maggiore età in giappone si ha a 20 anni e prima non si possono bere alcolici.

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Capitolo 6
*** 5. The Pure Words You Said to Me ***


Non aveva raccontato a nessuno quello che era successo e comunque non c'era nulla di cui vantarsi nell'essere stata rifiutata dopo non essere nemmeno riuscita a fare una dichiarazione degna di essere definita tale. I primi giorni si era sentita frustrata, non aveva capito nemmeno cosa fosse successo, poi si era ripresa: dopo tutto lei era stata la prima a credere che non avrebbe funzionato ed era convinta di non essere abbastanza bella, abbastanza meravigliosa, abbastanza-tutto per potersi permettere di rientrare negli interessi di un idol. Si era detta che era stato meglio così, perché essere rifiutata subito era sicuramente meglio che sprecare mesi a sognare una persona che alla fine l'avrebbe respinta. In quel caso si sarebbe sentita peggio di come invece si sentiva in quel momento.
Insomma si sentiva fortunata per quell’amore ucciso sul nascere, ma sopportare la fine di un colpo di fulmine non era facile lo stesso.
Dopo poco meno di un mese dall'accaduto, Erina stava seduta sul treno per andare verso l'università con il giornale aperto tra le mani. Le capitava spesso di dedicarsi ad un libro o di immergersi nella lettura di un quotidiano, l'aiutava a dimenticare i suoi problemi. La sua vita era diventata “pochi soldi, molto lavoro, tanto studio, zero divertimento”.
Leggendo i giornali si rendeva conto di essere grata al mondo in cui viveva, le dava sempre modo di riscoprirsi maledettamente fortunata. Non era una cosa carina da pensare, ma si sentiva meno triste quando leggeva di un terremoto a El Salvador e in India o di gente che si immolava in piazza Tiananmen. Non che godesse delle sfortune altrui, ma perlomeno si rendeva conto di quanto fosse stupido commiserarsi per sciocchi problemi d’amore quando c'erano persone che versavano in situazioni peggiori.
Girò la pagina arrivando finalmente alla sezione che più le interessava: un’accurata analisi delle decisioni che il nuovo presidente americano intendeva prendere in campo economico.¹
Quando fu prossima alla sua stazione chiuse il giornale e si preparò a scendere dal vagone. C'era un'altra notizia interessante che però non aveva niente a che vedere con tutto il resto: le vendite del primo album degli Arashi erano in aumento giorno dopo giorno e anche lei aveva contribuito.² Per quanto Shō e Masaki avessero potuto deluderla, la loro musica continuava ad essere piacevole e ad essere un valido sostegno, quindi, senza mai ammetterlo con Meiko, si era affrettata a comprare l’edizione limitata dell’album.
Uscì dai tornelli della stazione e si diresse a passo spedito lungo il viale principale. Gli alberi erano completamente spogli e alcuni dei rami più grossi avevano una striscia di neve bianca sulla parte superiore. Poteva vedere alcuni ragazzi tirarsi palle di neve nel campo di atletica e altri spintonarsi lungo il viale per far scivolare i compagni. Da quando aveva messo piede fuori casa, Erina aveva sentito l'urgenza di giocare con la neve caduta durante la notte, ma aveva dovuto lavorare e in quel momento non aveva nessun compagno con cui giocare dato che la lezione stava per cominciare e tutti erano in aula.
Lei, invece, era in ritardo, infatti quando arrivò all'edificio 3 fece le scale di corsa, ma al quarto piano le porte dell'aula erano già chiuse. «Accidenti» borbottò col fiato corto
«No, non dirmi che è già iniziata!» sentì dire dalle scale. Era Shō che saliva i gradini a due a due.
Il ragazzo aveva passato buona parte della seconda parte di Gennaio da tutt'altra parte e a lezione lo si era visto pochissimo, poi dalla settimana precedente era tornato a frequentare ogni giorno. Nonostante fossero dieci giorni che Erina continuava a vederlo, però, loro due non si erano ancora scambiati una parola. Ogni tanto si chiedeva perché lei e Meiko fossero state invitate alla sua festa di compleanno dato che da quella sera non avevano cominciato a parlarsi più di quanto non facessero precedentemente: quando si incrociavano nei corridoi si salutavano, o in aula si facevano un cenno, ma lei faceva lo stesso con un sacco di altra gente al campus, eppure non era stata invitata al loro compleanno.
«Sì, pare di sì» gli rispose Erina annuendo e stringendosi nelle spalle
«È sempre in ritardo quell’insegnante, proprio oggi doveva arrivare in orario?» sbuffò Shō raggiungendola
«Sarei dovuta venire prima. A quest'ora sarei già in aula e avrei anche potuto giocare con la neve prima di entrare» disse la giovane, prendendosela con sé stessa: come avrebbe organizzato una battaglia di palle di neve se a fine lezione fossero tutti scappati a mangiare?
«Volevi giocare?» domandò il ragazzo trattenendo una risata incredula
«È chiaro! È la prima volta che vedo la neve in vita mia» rispose cercando di difendersi
«Cosa? Come?» era sbalordito. «Sul serio?»
«Ehi, a Fukuoka fa caldo!» ribatté. «E in America ci sono andata sempre d'estate» concluse arricciando il labbro inferiore
«Allora non stiamo ad entrare» propose il ragazzo con un sorriso e la prese per il polso. «Torniamo giù»
«E la lezione?» fece Erina sgranando gli occhi
«Questo anno ha ancora 11 mesi da passare andando a lezione» le disse tirandola verso le scale. «Domani invece la neve potrebbe essersi sciolta tutta, approfittane no?» fece notare mentre scendevano.
Era dura resistere a quella tentazione: qualsiasi studente avrebbe preferito divertirsi piuttosto che passare le sue ore seduto ad un banco, ma ognuno faceva il suo dovere dando ascolto alla propria coscienza. Ma se qualcuno non l'ascoltava e istigava gli altri a fare altrettanto, a quel punto era difficile dire di no. Inoltre, non avendo mai visto la neve, Erina smaniava dalla voglia di tenerla tra le mani e di camminare nei punti in cui era più alta. Aveva cominciato a cadere il giorno prima, nel pomeriggio, ed era riuscita solo a camminare su uno strato sottile. Insomma non resistette e si lasciò trascinare da Shō. Poteva giocare con la neve anche se c'era lui: era un idiota e aveva delle amicizie di dubbio gusto, ma per fare a palle di neve non doveva trovarsi necessariamente con un Premio Nobel.
Sul retro dell'edificio 3 c'era un piccolo campo sportivo, poco usato, ma lo scartarono subito dato l’alto rischio di essere visti dal professore la cui aula aveva le finestre che davano proprio su quel lato del campus. Optarono quindi per il campo da corsa, infondo al viale che portava fino all'edificio 3.
A quell'ora, e con il freddo che faceva, non c’era nessuno. La neve era fresca e soffice, ed Erina quasi si mise a correre quando la vide da lontano. Fu costretta a rallentare quando cominciò ad affondare fino a metà polpaccio: doveva alzare di più le gambe per riuscire a fare il passo successivo. «È difficilissimo!» esclamò allargando le braccia per tenersi in equilibrio e non far cadere la borsa dalla spalla
«Cosa ti aspettavi? Che fosse come l'acqua?» domandò ridendo l'altro mentre la seguiva affondando con gli stivali nella neve fresca
«Non lo so. Sì, forse una cosa del genere. Credevo fosse più soffice, credevo di poterci camminare in mezzo, invece no! Sarebbe ancora più faticoso» spiegava guardando le orme che aveva fatto fino a quel momento
«Mi hanno detto che la prima volta che ho visto la neve avevo paura di non riuscire a galleggiare» raccontò
«Allora non sono l'unica a paragonarla all'acqua!» si difese Erina
«Ma avrò avuto cinque anni!» risero entrambi.
La ragazza fece ancora qualche passo ascoltando lo scricchiolare dei cristalli sotto la suola delle scarpe. Si chinò per prenderne una manciata nelle mani senza guanti e le vennero i brividi quando la schiacciò tra le dita e la lasciò ricadere a terra.
«Erina san» la richiamò Shō. Si voltò che ancora sorrideva come una bambina contenta davanti ad un regalo inaspettato, ma quell'espressione gioiosa si cancellò immediatamente dalla sua faccia quando una palla di neve la centrò in pieno viso. Rimase stordita per qualche attimo, in tempo perché il ragazzo potesse vedere la sua espressione e scoppiare a ridere di gusto.
«Dovresti vederti! Impagabile!» le diceva mentre si piegava in due. «Quasi meglio delle facce di Ōno kun!». Ma dovette smettere quasi subito perché Erina gli lanciò della neve a pochi centimetri dal viso.
«Ho una mira terribile» fece lei, sconcertata. «Anzi no, è colpa tua. Ti sei mosso»
«Mi hai tirato la neve?»
«Io?» domandò indicandosi. «No, ma cosa dici!» fece per poi ricominciare a camminare velocemente quando lo vide chinarsi a raccogliere un'altra palla con cui colpirla di nuovo.
«Guarda come riesco a colpirti anche se ti muovi» la minacciò mettendosi ad inseguirla e provando quel lancio difficile. Fu l'inizio di un acceso scontro che Erina perse vergognosamente.
Passarono circa venti minuti a tirarsi la neve e dei suoi tiri andarono a segno solo dieci su una quarantina, mentre più della metà di quelli di Shō la centrarono in pieno. Alla fine il campo da corsa era devastato dai loro passi e in un angolo c'era pure un cumulo più grosso, fatto dal ragazzo quando aveva tentato di costruirsi una barriera: era stato in quei minuti di scarsa difesa che lei era riuscita a colpirlo di più.
Lo scontro finì quando uno dei colpi di Erina andò a segno e lo colpì sulla guancia. Infastidito dalla neve che gli era entrata nell'orecchio Shō si era agitato per togliersela di dosso, ma muovendosi troppo aveva perso l'equilibrio ed era caduto col sedere a terra. «Che fastidio, che fastidio» farfugliava cercando di togliersi i cristalli gelidi dall'orecchio
«Scusa! Non pensavo di centrarti!» esclamò lei raggiungendolo e accovacciandosi a terra
«Che scuse sono? Stai ridendo senza alcun ritegno!» la accusò Shō
«Hai ragione. È che sei caduto in maniera ridicola» si giustificò mentre tentava di smettere di ridere. Il ragazzo cominciò a scuotere il capo come un cane che tenta di asciugarsi, schizzandole addosso la neve rimastagli attaccata ai capelli. «Che fai? Fermo, fermo!!» esclamò lei allungando le mani
«Mi vendico come posso» rispose per poi sospirare e passarsi le mani sulle ciocche bagnate. «Mi sono fatto male cadendo e ora sono stanco, quindi credo che non mi rialzerò da qui per i prossimi cinque minuti»
«Schizzarmi con i capelli è tutto quello che puoi fare da seduto eh?» sembrò schernirlo lei
«Sei ricoperta di neve» le fece notare. «Non saprei dire se sono io ad aver avuto una mira eccezionale o tu a non avere un briciolo di riflessi»
«La seconda» rispose Erina mentre toglieva gli elastici che le fermavano le trecce. Scosse la testa imitando il gesto di Shō, con la differenza che i suoi capelli erano più lunghi e molto più bagnati.
«Sei un'infame» fu il commento del compagno che rimase fermo a ricevere passivamente gli schizzi, troppo stanco e troppo dolorante per proteggersi.
«Qualcosa mi dice che sarà meglio lasciar stare le lezioni di oggi e andare a casa a cambiarci se non vogliamo ammalarci» suggerì lei passandosi le dita tra i ricci: erano tanto bagnati da riuscire a sembrare in ordine.
«Ancora due minuti» mugugnò l'altro incrociando le gambe. Erina annuì e si sedette anche lei con un sospiro.
Il silenzio che cadde tra loro fu abbastanza imbarazzante e non poté fare a meno di ricordarle quello che aveva preceduto la sua non-dichiarazione ad Aiba. «Grazie per avermi invitato» disse mentre cominciava a togliere i rimasugli di neve dalla giacca
«Dove?» domandò lui
«Qui. Se non ti avessi incontrato ora sarei in aula, al caldo, a prendere appunti da brava studentessa»
«Scusa» fece quello stringendo le spalle
«Non ero ironica, volevo ringraziarti sul serio» scosse il capo. «La neve mi piace» ridacchiò soddisfatta
«Stai bene con i capelli sciolti, dovresti lasciarli così» disse Shō di punto in bianco.
Erina alzò lo sguardo, perplessa, e lo osservò. «Grazie» rispose leggermente in imbarazzo, mentre recuperava un elastico dal suo polso e si apprestava a farsi una coda per raccoglierli di nuovo.
Shō le posò una mano sul braccio. «Lasciali così» disse ancora. Sempre più stranita, abbassò le mani e annuì tornando a guardare la neve: aveva scherzato con lui fino a quel momento in maniera del tutto normale, ma improvvisamente non riusciva più a sostenere il suo sguardo.
Lo sentì sbuffare rumorosamente e borbottare qualcosa tra sé tornando a girarsi verso il campo, dopodiché calò di nuovo il silenzio. «Avviamoci» gli suggerì cercando di alzarsi
«No» mugugnò svogliato il ragazzo
«Sì» gli fece il verso lei e si mise in piedi. «Due minuti sono passati. Domani devi lavorare no? Non vorrai assentarti a causa della febbre»
«Lavoro anche con la febbre» rispose con un sospiro il ragazzo, alzandosi svogliatamente. «A meno che non sia molto grave. Ma hai ragione, non è il caso di rimanere ancora» annuì passandosi le mani sui pantaloni prima di avviarsi.
Entrambi ripresero il viale del campus per dirigersi verso la stazione. «Mi si sono ghiacciate le dita» osservò Erina tentando di sfregare le mani tra di loro e di soffiarci sopra il respiro caldo. «Non le sento più!»
«Le mie sono già calde» sembrò vantarsi Shō
«Come hai fatto?»
«Magia! Dammi le mani» la incitò per poi metterle tra le dita un kairo.³ «Vedrai che tra poco ti tornerà la sensibilità» spiegò spingendo le mani di Erina a chiudersi per averle così entrambe a contatto con il sacchetto caldo.
Si erano fermati sotto gli alberi prima del campo sportivo ed erano ancora lontani dagli edifici delle aule. Da lì non passava nessuno dato che il cambio dell'ora era ancora lontano.
«Sì» disse piano Erina, lanciando un'occhiata rapida alla strada vuota, cominciando a sentirsi a disagio in quella situazione. «Forse sta funzionando» concluse.
A quel punto, cominciò ad agitarsi. Nonostante fosse convinta di non essere abbastanza carina per poter attirare la sua attenzione, aveva la netta sensazione che in quel momento Shō ci stesse provando con lei.
Quando la presa delle mani di Shō si fece più forte e lo sentì attirarla verso di sé il suo sospetto si fece più concreto. Non riuscì a non assecondare quella spinta e si ritrovò in un lampo a non avere più alcuno spazio che la separasse dal ragazzo, però istintivamente si era fatta indietro con il busto e quando alzò lo sguardo, per quanto molto vicini, c’era ancora un po’ di distanza tra i loro visi.
«Cosa stai cercando di fare?» domandò. Avrebbe dovuto essere una domanda retorica, era chiaro cosa stesse facendo, ma a lei non pareva possibile che accadesse una cosa del genere.
«Sto...» fece quello titubante, guardandola negli occhi. «Cioè, veramente "non sto"» si corresse corrugando la fronte. «Insomma, non sono molto bravo a parole, speravo che passare ai fatti fosse più semplice» spiegò parlando velocemente
«Ma?» Erina lo fissava attonita
«Non hai reagito come immaginavo»
«Cosa immaginavi?» chiese ancora, facendo finalmente un passo indietro. «Che mi lasciassi trascinare e ti concedessi gioiosamente un bacio appassionato?»
«Non l'ho proprio pensata con quei termini, ma diciamo di sì, pensavo a una cosa simile» ammise Shō abbassando lo sguardo a terra. «Non doveva finire così però»
«Sakurai san, sai perché non è finita così?» domandò Erina allungando la mano a prendere quella del ragazzo per ridargli il kairo con un gesto seccato. «Perché io non sono una di quelle stupide che ti fai tra gli scaffali della biblioteca». Lo vide rialzare gli occhi su di lei, stupito. «Tranquillo, ero solo nel posto sbagliato al momento sbagliato, ma credo sia abbastanza risaputo che tu rientri nella categoria dei rubacuori del nostro corso»
«Stai travisando tutto» tentò di spiegare mentre teneva ancora il sacchetto caldo nella mano, ferma a mezz’aria. «Io non ho fatto quello che volevo fare per il motivo per cui tu credi che l'abbia fatto» tentò di spiegarsi, ma ottenne solo di far arrabbiare Erina ancora di più. Non riusciva a capire se Shō fosse veramente stupido o se sperava solo di confonderla: improvvisamente mostrava pudore quando, tutte le volte che l'aveva visto con altre, non sembrava nemmeno sapere cosa significasse! Se era una tattica per sembrare più dolce e carino, con lei non avrebbe funzionato.
«Risparmiami qualsiasi discorso» sospirò spazientita. «Stavolta t'è andata male, ma sono certa che ci sono un sacco di altre ragazze che saranno felicissime di prendere il mio posto. Non dirò niente a nessuno di questo tuo clamoroso fallimento» mise le mani in tasca e fece per andarsene
«Aspetta» disse Shō camminando per mettersi davanti a lei e sbarrarle la strada
«Sakurai san, se non mi lasci passare mi arrabbio sul serio»
«Non è questo che volevo» balbettò nel panico, ma le parole gli morirono in gola e la sua frase terminò con un sospiro. Nascose il viso dietro le mani e dopo un attimo di silenzio farfugliò qualcosa da dietro le dita. «Mmh.. fh... ci»
«Eh?» domandò Erina chinandosi in avanti per cercare di sentirlo
«Mi piaci» ripeté rapidamente allontanando appena il palmo delle mani dalla bocca.
Se le fosse caduto un meteorite a pochi metri di distanza si sarebbe sorpresa meno. «No, non credo di aver sentito»
«Hai sentito perfettamente» fece imbronciato Shō. «Non farmelo ripetere, mi vergogno troppo» e detto questo, tornò a nascondersi dietro le sue mani
«Stai dicendo sul serio?» domandò lei che ancora non sapeva quale espressione fare a quell’improvvisa dichiarazione
«Ti sembra che stia scherzando? Sono serio accidenti» sospirò lui abbassando le braccia e chinando il capo. «Fin dal primo momento» spiegò. «Ti ho notata durante uno dei primi giorni di lezione. Credo sia stato una specie di colpo di fulmine, ma non ho mai avuto il coraggio di parlarti, senza contare che non ero molto presente a lezione: che senso avrebbe avuto trovare il coraggio di parlarti se poi non ti avessi rivisto per un mese, ossia il tempo necessario perché tu mi dimenticassi? Però continuavo a pensare a te e poi un giorno ti sei avvicinata per parlarmi. Mi è sembrato un miracolo quando ho avuto una seconda chance di stare con te, ho cercato una qualsiasi scusa pur di non farti andare via. Non potevo non sfruttarla, erano settimane che non ti vedevo».
Insomma a Shō la distanza faceva lo stesso effetto: ingigantiva i sentimenti e incoraggiava i castelli in aria; ma suonava tutto incredibile alle sue orecchie. Come poteva averla già notata dalla primavera precedente se gli aveva parlato per la prima volta solo in settembre?
Erina lo fissava a metà tra lo sbalordito e il confuso. Sapere che lui aveva pensato a lei per tutte le settimane in cui non si erano visti in Ottobre, ossia quasi 4 mesi prima, la disorientò. «Tutto questo ha dell'assurdo» farfugliò senza parole
«A me lo dici?»
«Sakurai san, noi nemmeno ci conosciamo» gli fece notare. «Voglio dire, ci salutiamo per i corridoi, sei il mio miglior avversario nei test di statistica, ma posso a malapena dire di essere una tua conoscente» spiegò scuotendo il capo. «Scoprire di essere quella che ti piace da mesi è qualcosa di pazzesco e di surreale. Non posso crederci»
«Surreale? Dimmi, è più surreale il fatto che per lungo tempo io non abbia mai avuto il coraggio di avvicinarti o il fatto che la ragazza che mi piace si sia dichiarata ad Aiba chan?» chiese con amarezza
«Come? Non è affatto vero» si difese subito Erina, arrossendo. «Insomma, non si può definirla “dichiarazione”, non mi ha nemmeno dato il tempo di formularla»
«È ovvio che non te l'ha dato: lui sa che mi piaci» le spiegò
«Lo sa?» era un continuo susseguirsi di colpi di scena.
Se Aiba sapeva allora si spiegavano moltissime cose. Si era chiesta come potesse ricordarsi di lei in un momento tanto insignificante come quello del giubbotto davanti ai cancelli, accaduto in Ottobre. Se però Shō gli aveva detto che c'era una ragazza che gli piaceva, era naturale che per fargli capire chi fosse gli avesse ricordato quell’episodio.
A quel punto diventava più chiaro il motivo per cui era stata invitata alla festa di compleanno, nonostante non fossero grandi amici, e la ragione per cui Aiba aveva detto quel “finalmente” al party: era stato un “finalmente” per Shō, che aspettava che arrivasse lei. Anche i complimenti quando aveva detto che era carina e che Shō era fortunato, erano tutti calcolati: Sakurai era fortunato, non lui! Aveva cercato di parlarle del suo amico perché voleva che lei si accorgesse dei sentimenti di Shō.
«È per questo che mi ha respinto in quel modo bislacco?» domandò con un filo di voce
«Non so cosa ti abbia detto esattamente, ma sì, è per quello. Quando ne abbiamo parlato tra noi era costernato: sapeva di averti ferito, ma si era messo in testa di farmi un favore cercando di essere il mio cupido; quando si è reso conto che invece stava accadendo il contrario, che ero io ad avervi fatto incontrare, si è fatto prendere dal panico» spiegò impacciato Shō
«No, io non ci sto capendo niente» scosse il capo Erina portandosi una mano alla fronte. «Se ti piaccio io cosa significano quelle tre o quattro ragazze con cui ti vedo sempre?»
«Quelle» farfugliò. «Non sono importanti. O meglio: sono carine, sto bene con loro, è solo che non pensavo che te l'avrei mai detto»
«E cosa? Esci con altre perché non hai il coraggio di tentare di avvicinare quella che ti piace?» domandò incredula. «Che modo di ragionare è il tuo?». E lei che ancora si sforzava di trovare una logica nei pensieri maschili!
«Ma tutto suona stupido se lo dici con quel tono»
«Suona stupido in qualsiasi caso» gli fece notare. «Tu non... lasciamo stare! Fammi passare» disse perentoria, quindi lo superò senza aspettare che si facesse da parte
«Un attimo, non mi hai risposto!» esclamò lui
«A questo punto hai ancora bisogno di una risposta chiara?» domandò la ragazza socchiudendo gli occhi e guardandolo arrabbiata. «Mi fa piacere che tu abbia trovato il coraggio di dirmi tutto e non posso nascondere che quando avrò sbollito mi sentirò anche lusingata da tutto questo, ma è chiaro che non mi piaci»
«Perché no? Perché ti piace Aiba?» insistè Shō. «Forse dovremmo solo conoscerci meglio»
«Non ho intenzione di conoscerti meglio Sakurai san» rispose in fretta, poi però prese un respiro profondo e tentò di migliorare il suo tono di voce per nascondere la rabbia e suonare il meno indelicata possibile. «Sarò sincera: posso considerarti solo come un conoscente o un amico con cui avere un rapporto superficiale e questo perché penso che tu sia una persona immatura, dal comportamento sciocco e dalle compagnie di dubbia intelligenza. O perlomeno in università ti vedo solo circondato da ochette e ragazzini stupidi il che non ti fa fare una gran bella figura, non tanto per il loro livello, quanto per il tuo che è indubbiamente più alto. È chiaro che lo azzeri totalmente per stare con loro, ma non mi spiego come mai» disse allargando le braccia. «Aggiungiamoci che solo un fesso andrebbe a vantarsi con gli amici di avere tutte le ragazze dell'università ai suoi piedi quando non si può dire che sia del tutto vero, ma se anche lo fosse non sarebbe una grande dimostrazione di modestia. È solo patetico!» gli spiegò. «Sei un bel ragazzo, però probabilmente ti avrei preferito meno carino, ma con più cervello» concluse.
La giacca aveva cominciato ad essere troppo bagnata, l'acqua era penetrata fino all'interno e ora la sentiva attraverso i vestiti, in più il freddo pungente dell'inverno la rendeva ghiacciata e insopportabile, se fosse rimasta lì si sarebbe ammalata. «Se vuoi un consiglio, in futuro non diventare ciò che gli altri vogliono che tu sia, ma abbi più coraggio di essere chi sei veramente. E sappi che baciare altre ragazze per evitare di affrontare i tuoi veri sentimenti è stupido e non ha alcun senso» girò sui tacchi e si allontanò a passo spedito per non dare modo al ragazzo di aggiungere altro.
Aveva sentito a sufficienza: era stata rifiutata brutalmente per assecondare l'amore di un egoista che invece non aveva il coraggio di affrontarlo, ma l'aveva per imporlo agli altri. In parte si era convinta che se Aiba non avesse saputo niente dei sentimenti di Shō, avrebbe potuto anche prenderla in considerazione, ma in realtà sapeva che semplicemente non l'avrebbe mai notata se non fosse perché era stato Shō a notarla per primo. Questo era frustrante e la frustrazione la rendeva ancora più arrabbiata.

Non si voltò. Non si voltò mai a guardare Sakurai Shō che rimaneva nel viale dell'università, solo con i suoi errori.
In futuro avrebbe rimpianto di aver dato quella risposta, avrebbe rimpianto di non aver realizzato che quel neo-ventenne timido e imbranato aveva fatto un grande sforzo per rivolgerle quelle parole. Era stata una dichiarazione sincera anche se fatta in maniera impacciata e preceduta da atteggiamenti contraddittori e gesti imprecisi dovuti alla sua sbadataggine.
Anni dopo quelle parole avrebbero luccicato nei suoi ricordi come la manifestazione di sentimenti più pura e semplice a cui avesse mai assistito.

¹ I fatti citati sono realmente accaduti nel gennaio 2001
² Arashi No. 1: Arashi wa Arashi wo Yobu, uscito il 24 Gennaio 2001
³ Un tipo di scaldamani a sacchetto molto popolare in Giappone

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Capitolo 7
*** 6. Becoming a Brave Man ***


Gennaio 2009
Come mai sei da queste parti?» domandò Shō squadrandola da capo a piedi.
Erina indossava una giacca in lana nera sopra quello che ipotizzava potesse essere un tailleur blu notte: poteva vederne solo la gonna stretta sopra il ginocchio; intorno al collo portava una sciarpa azzurra e teneva i ricci rossi legati in una coda alta sulla nuca.
«Sto svolgendo un lavoro qui vicino» gli spiegò lei stringendosi nelle spalle. «Tu invece? Ormai non sei più quello che poteva andare in giro senza troppi accorgimenti»
«Hai ragione, non posso più» sorrise divertito. «Sto facendo un giro, ho la giornata libera»
«A Chiba? Ma tu non abitavi da tutt'altra parte?» domandò Erina stupita, poi si morse il labbro e scosse la testa. «Scusa, non sono affari miei credo»
«Dove sarei dovuto andare? Ad Harajuku?» provò a scherzare il ragazzo. «Ho passato la mattinata in un Laser Game qui vicino»
«Laser game?» domandò stupita.
«Sì, non ci ero mai andato prima d’oggi»
«Sakurai san!» esclamò una voce femminile. La coppia smise subito di parlare e Shō fece istintivamente un passo indietro per allontanarsi da Erina.
Dal locale davanti a loro, quello che lui prima fissava dalla fermata, uscì una ragazza e Shō le sorrise. Il suo sorriso non doveva essere stato molto convincente perché lei lo guardò stranita.
La ragazza era bassa ed aveva i capelli corti, indossava un paio di pantaloni di una tuta, un chiodo in pelle, una sciarpa bianca e scarpe da ginnastica. «Prendi mille precauzioni e poi strilli il mio nome? Ho sbagliato: non sei una veterana!» la prese in giro Shō, quando questa si avvicinò.
Lei ed Erina si scambiarono un'occhiata e lui le osservò entrambe. «Scusate, che sbadato. Ahn san, questa è Sheridan Erina, una mia vecchia compagna dei tempi dell'università» spiegò. «Erina san, questa è Ahn Yun-seo»
«Molto piacere» fece la rossa chinando il capo
«Piacere mio. Capisci il giapponese?» domandò quella
«Sì, sono giapponese» rispose Erina con pazienza
«Ahn san, Erina san è per metà americana, ma è sempre vissuta qui, quindi parla bene il giapponese. Al contrario di te!» scherzò Shō
«Qualsiasi giapponese sa il giapponese meglio di me che non lo sono, che ragionamenti fai Sakurai san?» domandò quella aggrottando le sopracciglia. Shō le sorrise mestamente osservandola per un istante, ma non poté fare a meno di tornare a guardare Erina. Rincontrarla all'improvviso gli riportava alla mente tutti i ricordi del periodo universitario e riapriva una vecchia ferita. Una vecchia delusione. Eppure, anche se forse era stupido, si sentiva felice di averla rivista. Era addirittura più bella di un tempo.
Smise di fissare Erina quando la ragazza coreana al suo fianco lo richiamò. «Quel posto non andava bene, proviamo col prossimo» disse guardandolo confusa
«Nemmeno questo? Perché stiamo scegliendo il locale dove andare? Non va bene uno qualsiasi?» domandò sbigottito, riprendendosi
«Allora io vado» si intromise Erina per poi chinare il capo verso Yun-seo
«Hai ragione. Sei in giro per lavoro, sarai occupata» annuì Shō guardandola con gli occhi spalancati, improvvisamente si sentì agitato
«Sì, scusa. Devo fare questo lavoro per un cliente e tornare in ufficio prima di oggi per portare dei documenti al mio capo» spiegò lei stringendo tra le mani la cartelletta di fogli
«Hai ragione, ti lasciamo andare allora» si intromise Yun-seo
«Per il capo?» domandò invece il ragazzo, per trattenerla ancora a parlare con lui. «Credevo che una volta nel mondo del lavoro saresti stata tu il capo: eri brillante in università!».
Erina sembrò stupita da quelle parole e abbassò lo sguardo arrossendo: quando era imbarazzata era evidentissimo perché la sua pelle era tanto chiara che era impossibile non notare il cambiamento di colore. «Mi sono trasferita da poco più di un anno in questo ufficio, quindi sto ancora facendo la gavetta» spiegò lei impacciata. «Ogni scusa è buona per dirmi che sto sbagliando»
«Ti rendi conto che è un modo gentile per dirti che la stai trattenendo?» domandò con una punta di ironia Yun-seo.
Shō spalancò gli occhi e annuì inchinandosi leggermente. «Sì, sì! Hai ragione. Allora...» lasciò la frase in sospeso scrutando il viso della ragazza davanti a sé
«Sì» farfugliò lei inchinandosi appena
«È stato bello rivederti» riuscì a dirle finalmente. Sentiva come se lo stomaco gli si stesse chiudendo d'improvviso: possibile che gli facesse ancora quell'effetto dopo tanti anni?
«È vero, è stato bello» sorrise lei. «Buona giornata. Ahn san, è stato un piacere» salutò l'altra ragazza prima di riprendere a camminare lungo il marciapiede, allontanandosi dalla fermata dell'autobus.
La stava lasciando andare via così? Indeciso, Shō non la seguì con lo sguardo quando gli passò accanto. La vide solo con la coda dell'occhio e gli sembrò facesse un ultimo sorriso. Poi percepì una traccia del profumo che si era messa, prima che scomparisse dal suo campo visivo.
La coreana al suo fianco cominciò a muoversi impaziente: la stava lasciando andare via così? Sì, perché quel giorno doveva essere un buon amico per Ahn san e non poteva lasciarla da sola.
Si concesse almeno di voltarsi. Prima di andare verso il locale osservò Erina che si allontanava: la sua schiena, i suoi ricci, le gambe lunghe, le spalle sottili. Probabilmente la sua silhouette vista da dietro era quello che più aveva potuto osservare di lei in tutti quegli anni: un’Erina di spalle, indifferente alla sua vita, ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti. Un’Erina che non lo guardava.
La sera, una volta tornato in camera alla Johnny’s House, ancora riusciva a vedere la figura di Erina davanti a sé se chiudeva gli occhi.
«Shō kun? Shō kun?» continuavano a bussare alla porta della sua stanza e tutti quei colpi sapeva perfettamente chi fosse a farli
«Aiba chan, la smetti?»
«Shō kun, posso entrare?» chiese ancora quello. Poteva immaginarselo fuori dalla porta che saltellava impaziente.
«No, ma dico» sospirò aprendola. «Da quando ti fai scrupoli?»
«Hai acceso la tv?» domandò lanciandosi nella stanza e saltando sul suo letto afferrando al volo il telecomando. Incrociò le gambe mettendosi seduto sul bordo.
«Prego, Aiba chan, entra pure» sospirò Shō, ridacchiando sommessamente. «Che cosa c'è da vedere di così interessante?» chiese sedendosi dietro di lui, appoggiando la schiena al muro
Sullo schermo stava andando in onda la rassegna stampa serale, ma doveva essere già nella fase finale dato che erano finiti i quotidiani ordinari. In quel momento, alle spalle della conduttrice, era visibile una fotografia di alcuni articoli di giornali scandalistici.
... INCREDIBILE SOTTO MOLTI PUNTI DI VISTA. PROPRIO IN QUESTI GIORNI INFATTI IL FAMOSO GRUPPO ARASHI STA LAVORANDO ALLA PREPARAZIONE DI UNA SERIE DI VIDEO NUOVI PER LANCIARE IL TOUR ESTIVO DEL DECIMO ANNIVERSARIO DAL LORO DEBUTTO.
«Parlano di noi?» domandò Shō facendosi improvvisamente attento.
C'È QUINDI DA CHIEDERSI SE SIA STATA UNA MOSSA PUBBLICITARIA O SE VI SIA EFFETTIVAMENTE QUALCOSA DIETRO. DIAMO LA POSSIBILITA' AL PUBBLICO DI VEDERE NUOVAMENTE LE FOTO IN QUESTIONE, FATTE OGGI DA...
Shō spalancò gli occhi: era una foto che ritraeva lui e Yun-seo, quello stesso pomeriggio, nel bar dove avevano deciso di fermarsi.
«È il terzo notiziario in cui ne parlano» gli spiegò Aiba indicandogli lo schermo con il telecomando. «Qualcosa mi dice che domani ti daranno del filo da torcere in sede»
«Che rottura» sospirò lui sprofondando nel materasso, sdraiandosi in posizione fetale per non colpire l'amico con i piedi.
«È tutto qui? Sai dire solo questo?» domandò quello continuando a fissare lo schermo
«Che cosa dovrei dire?» fece nascondendo la faccia nel cuscino
«Scusa Shō kun, ma siamo nei pasticci e poi, sarò sincero, pensavo che un po' ti piacesse sul serio la Carotina».
A seguito di quella frase ci fu un lungo silenzio.
«Aiba chan» lo richiamò Shō alzando il viso dal cuscino quanto bastava per farsi sentire
«Mh?»
«Posso parlarti?»
«M-mh» annuì quello cominciando a fare zapping tra i canali
«Ho incontrato Erina oggi» esordì per poi tornare a soffocarsi nel guanciale.
Ci fu un altro lungo silenzio nella stanza.
Shō riuscì a malapena a trattenere un grido di spavento quando si sentì afferrato ai polpacci e tirato prepotentemente verso il bordo del letto. «Ma sei sce..» fece quando gli sfuggì il cuscino dalle mani
«Che hai detto!?» domandò l'amico sgranando gli occhi
«L'ho rivista vi...»
«Come?» chiese sbalordito
«Per caso» gli rispose e si strinse nelle spalle. «Ero a Chiba con Ahn san e l...»
«Come mai era lì?»
«Mi stai facendo il terzo grado?» sbottò. «Se mi lasci parlare ti racconto, se continui ad interrompermi ti sbatto fuori a calci» lo minacciò incrociando le braccia
«Ok, scusa» alzò le mani in segno di resa
«Allora, era da quelle parti per lavoro, ci siamo scontrati per caso. Le ho fatto cadere tutto a terra, ho fatto proprio la figura da fesso» ridacchiò Shō coprendosi gli occhi con una mano e appoggiando il gomito su un ginocchio. «Non avrei potuto comportarmi in maniera più stupida e impacciata! Dovevi vederla: con borsa, fogli, documenti e vestiti eleganti. Era così diversa dall'ultima volta che l'ho vista»
«Quand'è stato?» domando Aiba abbassando lo sguardo a cercare gli occhi dell'amico, chino su se stesso
«Cinque anni fa. No, sei: il giorno della laurea. Me lo ricordo come fosse ieri, eravamo ancora dei ragazzini» spiegò alzando lo sguardo. «L'ultima volta che l'ho vista indossava il kimono! E al vederla oggi in tailleur» si coprì di nuovo gli occhi con la mano e se la passò sul viso prima di guardare verso il soffitto. «Mi sono reso conto di quanto tempo sia passato» aggiunse con voce strozzata
«Calmati» sospirò Aiba. A quelle parole Shō scosse il capo e tentò di rilassarsi. «Com'era?» domandò l'amico dopo pochi minuti di silenzio
«Bellissima» rispose con un mezzo sorriso, guardando negli occhi il compagno. Aiba Masaki era l'unico a sapere di Erina e di cosa fosse successo nel cuore di Shō nove anni prima.

Febbraio 2001
La sera di quel giorno di neve Shō si presentò alla porta di casa Aiba, a Chiba. Una simile improvvisata fu sconveniente, ma era a pezzi: quella mattina si era svegliato sicuro di sé, poi le parole di una ragazza gli avevano svelato che la persona che era diventato non era qualcuno di cui andar fieri d’essere.
Passarono tre ore appoggiati al muretto di casa di Aiba, coperti da cappotti e sciarpe fino al mento perché, anche se non c'era quasi più traccia di bianco per le strade, faceva freddissimo.
Anche se parlava con un amico, per Shō non fu facile ammettere di aver sbagliato tutto, fin dal principio.
Molti anni prima, Shō non aveva avuto il sogno di diventare famoso: gli piaceva la musica e aveva cominciato in agenzia perché gliel’aveva consigliato un amico. In seguito aveva continuato perché era divertente o perché aveva sperato di far divertire anche gli altri e così, nel 2001, si era già abituato a stare sotto i riflettori, ma la differenza tra l’essere un Johnny’s Junior e debuttare con gli Arashi si era rivelata enorme: quello era il vero mondo dello spettacolo ed il vero successo. E non era risultato tutto rose e fiori.
L’ipocrisia di alcune persone e la falsità di altre non erano una novità per lui. Il fatto di avere un padre influente nel mondo politico gli aveva già reso nota questa triste realtà, ma dopo il suo debutto, quando “il figlio di Sakurai Shun” aveva appena cominciato a creare “Sakurai Shō”, simili atteggiamenti erano aumentati. La maggior parte li aveva ignorati come aveva sempre fatto, ma ora la novità era rappresentata da tante ragazze attratte da lui e disposte a tenergli compagnia in qualsiasi momento.
Quella era stata una sensazione piacevole e all’epoca se l’era spassata, anche se in realtà l'unica cosa che aveva concesso loro era stata la sua compagnia e raramente le aveva baciate, ma mai si era spinto oltre, questo perché le restrizioni dell'agenzia erano parecchie e le conseguenze sarebbero state tragiche se le avesse infrante. Comunque anche accontentarsi di circondarsi delle ragazze migliori non gli era sembrato tanto male ed era stato così fin quando non aveva cominciato l'università.
Aveva notato Erina fin da subito, era stato difficile non notarla con quei capelli che sembravano urlare: "Ehi, guardami!". L'aveva trovata immediatamente carina, interessante, ma mentre con le altre ragazze si era sempre atteggiato, in sua presenza non era riuscito nemmeno a pensare alla scusa più banale per attaccare bottone le volte in cui aveva tentato di avvicinarsi. Era stato un ragazzino sciocco ed immaturo, certo, ma non uno scemo: aveva capito di essersi innamorato e aveva capito che era per quello che non riusciva a comportarsi con lei come faceva con le altre per le quali non provava niente. La sua immaturità gli aveva fatto più volte pensare di essere patetico, soprattutto se ripensava a quanto si sentiva impacciato quando cercava un modo per sedersi vicino a lei a lezione o si avvicinava ai distributori cercando disperatamente una qualsiasi banalità da dire e non la trovava.
Ecco perché, dopo mesi di tentativi, aveva deciso che l'atteggiamento da imbecille innamorato non gli si addiceva e aveva archiviato la questione. Poi, proprio pochi giorni dopo aver preso quella decisione, era stata lei a parlargli. "Scusa, è libero?". Niente di più semplice.
Per sua sfortuna però il lavoro lo aveva trascinato via proprio quando aveva appena cominciato ad avvicinarla, ma starle lontano, invece di far spegnere la fiamma, l'aveva alimentata: quando riuscì a rincontrarla in università gli sembrava fossero passati pochi attimi e gli piaceva più di prima.
Erina era una di quelle persone che arrivava a parlare e conoscere tutti semplicemente perché era spigliata, senza troppi timori e affabile, proprio come Aiba. E, di riflesso, chiunque parlasse con lei finiva con l'ingrandire il suo cerchio di conoscenze. Capitò anche a lui: dei ragazzi lo avevano visto parlare con lei, uno di loro ne era invaghito e lo fecero entrare nel loro gruppo di amicizie sperando di attirarla. Era stato usato ancora, ne era consapevole, ma la verità era che dopo il debutto qualcosa era cambiato e non era solo l’atteggiamento delle persone: il divertimento che aveva provato da Junior era diminuito per far spazio anche ai doveri e alle responsabilità, ed essere delle figure di spicco nella società aveva cominciato a togliergli un po' di libertà. Per quello quei ragazzi erano finiti col diventare la sua compagnia di amici al campus, perché con loro si era sentito più libero.
Erano un po' stupidi per la loro età, se ne era reso conto persino lo Shō dell'epoca, eppure erano quello che stava cercando: un gruppo di stupidi. Non che gli Arashi non lo fossero abbastanza, ma dovevano esserlo con giudizio e al tempo avevano ancora difficoltà a trovare un equilibrio tra il fare gli scemi e il fare gli idol responsabili sul lavoro. I ragazzi in università invece si divertivano e basta, non avevano restrizioni sul comportamento, non gli parlavano di programmi da fare o interviste da affrontare, né gli raccontavano del possibile futuro drama. Erano ragazzi comuni, e fuori dalla JE era quello che gli serviva. Semplice spensieratezza da ventenni.
Erina però non si era mai avvicinata a loro e Shō non riusciva a capire come mai lei che legava con tutti, riservasse a quel gruppo della semplice e fredda cortesia. Per via di quella situazione, e date le sue continue assenze per impegni lavorativi, non era mai realmente riuscito a legare con lei: aveva perso la sua occasione all'inizio dei corsi e non riusciva ad intravedere un modo per averne un’altra.
Era stato Masaki a creargli quella possibilità. In quel periodo, quando i ragazzi del gruppo gli chiedevano come andasse in università, Shō scherzava dicendo loro di avere tutte le ragazze ai suoi piedi, poi ridevano e cambiavano discorso. Però Aiba, seppur sbadato, pasticcione e a volte un po' ingenuo, era sensibile e quando aveva conosciuto Erina non gli era sfuggito lo sguardo che Shō riservava a quella ragazza. Altro che sfilze di ragazze! Lui era interessato ad una soltanto. Così gli diede l'idea di chiederle di uscire per Natale e l'avrebbe anche fatto quel giorno, fuori dalla biblioteca mentre cercava di sfogare la tensione rigirandosi la sigaretta tra le mani, ma alla fine non c'era riuscito. Ancora una volta l'emozione l’aveva bloccato.
Il compleanno avrebbe dovuto essere la sua ultima possibilità e invece non andò così; era stato terribile. Masaki era rimasto coinvolto e il senso di colpa lo aveva tormentato per almeno un mese. Aveva continuato a porgere le sue scuse a Shō perché aveva involontariamente fatto innamorare di sé Erina, ma non era solo quello il problema: c’era ancora molta distanza nel loro rapporto, anche se erano compagni universitari e anche se lei era stata alla festa, lui si rendeva conto che stava facendo la figura dell'idiota per un paio di battiti in più al cuore. Ne concluse che se non fosse riuscito a parlare avrebbe sempre potuto agire, in quello era bravo.
Ma quel giorno di neve non era andata come sperava.
«Non è che mi detesta» spiegò calciando un mucchietto di neve contro il muro. «È solo che credo di farle schifo»
«Schifo? Com'è possibile? Io ti adoro!» esclamò Aiba mentre si chiudeva meglio i bottoni della giacca pesante
«Lascia stare. Prima di tutto lei è una donna e tu sei un uomo: ho il sospetto che i suoi valori siano diversi dai nostri; secondariamente tu mi conosci in maniera diversa da come mi conosce lei»
«Come puoi dire che ti conosce? Non è vero per niente! Quanto vi sarete parlati... vediamo... quattro volte in quanti mesi?»
«Credo che siano cinque volte da Aprile, quindi dieci mesi. Grazie per averlo sottolineato Aiba chan»
«Oh, dai, scusa!» allargò le braccia spazientito. «Devi comunque ammettere che il suo è un giudizio affrettato. Come può essere così arrogante da pensare di poterti giudicare e bollare come un poco di buono se in definitiva non ti conosce? Secondo me domani le sarà passata e la prossima volta che la vedi ti dirà che ci ha ripensato». Un buon amico Aiba. Anche un ingenuo e un inguaribile ottimista.
Erina non cambiò idea il giorno dopo, nè quello dopo ancora. Anzi, lei e Shō non toccarono più quell'argomento; si parlarono e svolsero persino alcuni compiti di gruppo, ma continuarono ad essere due persone distanti e fu così fino alla fine dell’università.
Non l'aveva fatta sua, non ci era riuscito o forse non ci aveva mai provato seriamente.

Gennaio 2009
Tirò il tessuto della giacca in avanti e sospirò.
«Ehi, ma non sei tu quello che sa fare il nodo alla cravatta meglio di tutti?» sbuffò Jun avvicinandosi e aiutandolo a sistemarsi. «Tutto a posto? Ti hanno strapazzato troppo in sede oggi?»
«Va tutto bene»
«Con noi puoi parlare. Ora Yun-seo non c'è, se hai qualcosa che prima era meglio non dire, adesso puoi farlo»
«Non devi preoccuparti Jun, sistemiamo questo stupido scandalo e torniamo al dormitorio: è stata una lunga giornata» lo tranquillizzò Shō e gli fece un cenno col capo, ringraziandolo per avergli sistemato la giacca e la cravatta.
Entrarono nella sala conferenze e fecero dei sorrisi di circostanza ai fotografi prima di sedersi. Nino gli lanciò un'occhiata e lui annuì impercettibilmente.
C'era una frase che gli era rimasta impressa nella mente in tutti quegli anni: "Se vuoi un consiglio, in futuro non diventare ciò che gli altri vogliono che tu sia, ma abbi più coraggio di essere chi sei veramente".
«Cosa potete dirci delle voci che hanno cominciato a girare dopo lo scandalo di una settimana fa?» domandò una giornalista.
Shō la osservò, indossava un tailleur dello stesso colore di quello di Erina. Gli venne da sorridere: quel pensiero così particolare, romantico in un certo senso, ora gli sembrava bello, importante, invece allo Shō di nove anni prima sarebbe sembrato da smidollato. Dopo tanti anni un po’ si vergognava di com’era stato, ma si consolava con l'idea di essere ormai una persona diversa.
«Si dice che sia stato architettato dall'etichetta come pubblicità gratuita al gruppo e ai lavori che state portando avanti» fece un altro reporter.
Le parole di Erina si erano radicate dentro di lui man mano che il tempo era passato, erano diventate una sua personale regola e le aveva fatte proprie così tanto da essersi dimenticato dove le avesse sentite. L'incontro inaspettato di una settimana prima a Chiba lo aveva riportato alle origini: era stata lei, il giorno in cui l'aveva respinto, a ridargli l'umiltà che aveva perso e la dignità che era giusto che conservasse, soprattutto per rispettare se stesso.
«Non c'è stato niente del genere da parte dell'etichetta» esordì Nino chinandosi in avanti per parlare nel microfono
«Ecco» fece immediatamente Shō, avvicinando il proprio e lanciando un'altra occhiata all'amico, facendogli un mezzo sorriso. «Nino, preferirei rispondere io»
«Va bene» rispose questi fingendosi un po' scocciato e tornandosene appoggiato alla sedia.
Quell'anno erano dieci dal debutto, Shō e tutti gli altri erano cresciuti attraverso esperienze comuni e personali che la vita aveva loro regalato. Erano cresciuti come artisti, come lavoratori e come uomini.
Erina era uno dei suoi più grandi rimpianti, perché lei era la ragazza: l'amore che tutti ad un certo punto incontrano e che non dimenticano mai. Anche dopo essersi fidanzati, sposati e aver avuto figli, ci sarebbe sempre stata quella particolare persona, che magari non si rivedrà mai più fino alla fine, ma che avrà sempre un posto speciale. Ecco cos’era Erina per Shō.
Quando prese fiato sapeva già che ciò che avrebbe detto sarebbero state le parole decise precedentemente con l’agenzia, perché la sua doveva essere una risposta precisa, ma in parte sapeva anche che il modo in cui l'avrebbe detta sarebbe stato la sua dichiarazione.
Chissà se lei lo stava guardando se c'era una piccola possibilità che lei stesse guardando la televisione da qualche parte. Avrebbe voluto che fosse così, che lei lo vedesse e che si rendesse conto di chi era diventato.
Era Sakurai Shō. Ed era un uomo che ora aveva il coraggio di essere se stesso.

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Capitolo 8
*** 7. Crossing Paths Again ***


Luglio 2010
Erina era sprofondata nei sedili posteriori del taxi e teneva una penna tra il naso e il labbro superiore, una calcolatrice in una mano e nell'altra un mazzo di fogli. Altre cartellette aperte stavano sparse sulle sue gambe e sul resto del sedile. Confinata in un angolo c'era un'altra donna. Entrambe vestivano un tailleur gessato nero, ma Erina portava la gonna mentre l'altra aveva un paio di pantaloni lunghi che accentuavano la sua altezza.
«Erina san, per la miseria!» esclamò questa sbuffando e togliendo il gomito dal finestrino del taxi. «La vuoi smettere per due secondi?»
«M-mh» annuì lei continuando a smanettare sulla calcolatrice con il pollice
«Dico sul serio!» sbottò togliendole la penna da sotto il naso. «E levatela, sei orrenda con quella faccia da pesce lesso»
«Ehi!» esclamò allungando la mano per riprendersi il maltolto. «Himejima san, ho accettato di venire solo se mi lasciava finire questo lavoro »
«Cosa assumo personale straniero a fare se poi si comportano tutti come dei giapponesi fanatici?» sospirò quella tornando a guardare fuori.
Le vie di Akasaka e i suoi palazzi brillanti e alti cominciavano a passare oltre il vetro. Dopo alcuni minuti la macchina si fermò. «Siamo arrivati signore » annunciò il tassista
«Era ora! Ma lo sa che è stato lento? E dire che non c'era nemmeno traffico» sbuffò ancora la donna dando delle banconote al guidatore. «Tenga il resto. Erina san, ma allora?» domandò sgranando gli occhi. «Vuoi raccogliere questi fogli? Siamo arrivate e non voglio fare tardi!»
«Come? Già arrivate?». Erina si mise la penna dietro l'orecchio per avere le mani libere e raccolse rapidamente i documenti mettendoli tutti in una stessa cartella, tranne uno che lasciò fuori per leggerlo.
Scese dalla macchina, ma quando uscì e chiuse lo sportello non riuscì a vedere niente, «Ma che?» fece in tempo a farfugliare prima che due mani le coprissero gli occhi
«Non provare a sbirciare!» esclamò la donna con lei
«Si può sapere cosa sta succedendo?» chiese allungando una mano nel vuoto
«Allora, ti ho detto che volevo te per questo lavoro, giusto? Te e nessun'altra vero?»
«Sì, lo so» rispose Erina calmandosi. «Ora mi spiega perché?»
«Voilà!» esclamò quella liberandole la vista e indicandole con un gesto del braccio l'edificio davanti al quale si trovavano. Erina alzò lo sguardo osservando ciò che aveva davanti, stringendo i fogli tra le braccia.
«Non ci posso credere» farfugliò sgranando gli occhi. «Mi ha coperto gli occhi per un palazzo? Dove diamine siamo?»
«Cosa?» sospirò perdendo la sua eccitazione. «E io che credevo che lo conoscessi. Voglio dire, che razza di fan sei?»
«Himejima san, di cosa sta parlando?» chiese corrucciata. «Non rischiamo di fare tardi?».
La donna sospirò e scosse il capo per poi avviarsi verso l'entrata. «Va bene, andiamo. Appena ti viene voglia di darmi un po' di soddisfazione e di ringraziarmi fammelo sapere. Anche un grido di gioia è ben accetto» commentò superando l'entrata a porte scorrevoli e camminando a passo sicuro sui tacchi alti. Erina scosse il capo, quindi la seguì abbassando lo sguardo sul suo foglio.
Oltrepassò l'entrata e si lasciò mettere alla giacca un pass come visitatrice, ringraziò mentre ancora leggeva con attenzione: per la verità era più concentrata su quello piuttosto che su dove andava, rischiò quasi di venir chiusa nelle porte dell'ascensore, ma fortunatamente Himejima le tenne aperte per lei. Mentre salivano tirò fuori la calcolatrice dalla tasca e fece un paio di conti annotandoli.
«Mi sono sempre chiesta come fai a far mille cose tenendole tutte in mano» sospirò la donna. «E dire che quando non lavori la gente ti tiene lontana dalle cose fragili, o sbaglio?» domandò prima che l'ascensore si bloccasse e una voce femminile annunciasse il numero del piano. «Ora potresti mettere via quel lavoro ed entrare nell'ottica di quello nuovo?» fece togliendole la penna dall'orecchio e ficcandogliela nel taschino della giacca del tailleur con un gesto seccato
«Sì, mi scusi» fu come se si fosse appena risvegliata dalla sua concentrazione
«Via i fogli, rassetta la gonna, cartella sotto il braccio» le ordinò in tono duro mentre uscivano dall'ascensore. «Sistemati i capelli e, ti prego, metti via quella calcolatrice!» sbuffò un secondo prima di girare l’angolo e stamparsi in faccia il sorriso più smagliante del suo repertorio.
Erina rallentò, si sistemò al meglio e raddrizzò la schiena cancellando dalla propria mente tutti i pensieri riguardanti il lavoro che aveva appena messo da parte.
«Siete le impiegate dell'Himejima Studio?» domandò un uomo nel corridoio
«Sì, sono Himejima Junko» rispose la donna inchinandosi e consegnando il suo biglietto da visita
«Watanabe Yūta, piacere di conoscervi» rispose quello porgendo il suo
«Sheridan Erina, una delle mie dipendenti» la presentò la donna
«Grazie per essere venute, se volete accomodarvi tra poco cominceremo. Vi assicuro che non dovrete aspettare a lungo» spiegò l’uomo con un sorriso garbato aprendo loro una porta e facendole entrare in una sala riunioni occupata da un grosso tavolo rettangolare e dalle pareti in vetro che davano sul luminoso panorama di Tōkyō, illuminata dal sole di metà Luglio.
Si sistemarono su due seggiole girevoli ed Erina si guardò intorno. «Che rarità» disse ad alta voce, guardando la lavagna bianca con ancora qualche scritta mezza cancellata. «Non capita spesso di lavorare con aziende giapponesi, cosa le ha fatto scegliere di accettare il lavoro?»
«Non è esatto dire che ho accettato il lavoro. Non me l’hanno offerto, questo è un appalto: stanno interpellando vari esperti per decidere a chi rivolgersi alla fine»
«Ecco perché è venuta lei in persona»
«Ed ecco perché ho deciso di portare la migliore dal mio ufficio» sottolineò, non senza una punta d'orgoglio
«Non sono la migliore» fece notare Erina storcendo le labbra
«Diciamo che sei tra i migliori. E vero che sei giovane e certo non riusciresti a fare meglio di Katsumi san, dato che lui ha più esperienza di te» spiegò prima di puntare un dito sul tavolo. «Ma sta in questo la mia scelta: per lavorare con gente giovane, ci vogliono giovani e modi di fare freschi e spigliati. Tu ce l'hai, quindi puoi farci avere il lavoro. Senza contare che pensavo ti saresti esaltata all’idea di trovarti qui, ma sembra proprio non ti importi».
Fissò la sua dipendente con insistenza, ma lei continuava ad ascoltarla con lo sguardo spaesato. «Lasciamo stare» scosse il capo. «Continua pure a pensare al lavoro di prima, tanto tra pochi minuti me la godrò a vedere il tuo faccino diventare ancora più pallido e riderò interiormente nel vedere come lotterai per farci avere l'appalto. Oh, non sto più nella pelle!».
Erina non sapeva se ridere o rimanere disgustata da quella donna, ma la verità era che la adorava, anche se era lunatica e strana persino per lei. Himejima Junko, suo superiore e proprietaria dell'azienda per cui lavorava da meno di un anno, era una donna di Ōsaka con un fiuto eccezionale per gli affari e un modo di fare incredibilmente aperto con i suoi dipendenti.
L'Himejima Studio era di base un’azienda che si occupava di mediazione tra diverse aziende internazionali che avessero affari in Giappone. Era stata fondata poco meno di due anni prima, ma aveva riscosso un enorme successo grazie al passaparola tra le aziende e negli ambienti stranieri di Tōkyō, soprattutto grazie al fatto che forniva assistenza e documentazione bilingue quando necessario o richiesto. Himejima Junko aveva infatti fondato la sua attività dividendola in settori: europeo, asiatico e americano. In ognuno lavoravano persone che si occupavano dei vari progetti ed erano tutti perfetti conoscitori dell'economia internazionale così come di quella giapponese, nonché esperti di una o due lingue straniere. Quello spiegava perché Erina fosse stata assunta senza incontrare alcun ostacolo: una bilingue giapponese-inglese con una buona conoscenza del cinese, laureata in Economia Internazionale con voti alti alla Keio, era un potenziale che Himejima Junko non si sarebbe mai fatta sfuggire.
A quasi un anno da quando aveva cominciato, Erina non aveva ancora un posto fisso nel settore asiatico o in quello americano, lei era il jolly preferito della Himejima, che la sfruttava ogni volta le fosse possibile sia per le lingue, con le quali si destreggiava bene, sia per il fatto che lei aveva qualcosa che tutti gli altri dipendenti non avevano: affabilità.
Quel giorno Erina era stupita perché acadeva raramente che il loro lavoro venisse richiesto da aziende giapponesi, il più delle volte erano le aziende straniere a chiedere di loro per poter trattare con quelle nostrane, non viceversa. Ma avrebbe compreso il reale significato della parola "stupore", se non cinque minuti dopo.
Tutto cominciò quando sentirono dei passi. Himejima la incitò ad alzarsi in piedi.
«Scusate l'attesa» annunciò l'uomo che le aveva accolte, aprendo la porta e facendo passare la persona che era appena arrivata. La ragazza sbatté le palpebre un paio di volte osservando il giovane che si inchinò davanti a loro. «Molto piacere, perdonatemi per avervi fatto aspettare, ma ho fatto più velocemente possibile» si scusò
«Non c'è nessun problema, siamo appena arrivate» rispose con cortesia la donna
«Sono Matsumoto Jun, lieto di conoscervi»
«Himejima Junko» fece inchinandosi e porgendogli il biglietto da visita.
Il giovane dai capelli a spazzola lo prese e si scusò. «Mi spiace di non averne uno da darle»
«Non importa, so benissimo che è lei» rispose la donna divertita.
Dopo aver letto il biglietto, il ragazzo alzò lo sguardo sulla più giovane delle due. «La sua segretaria?» domandò con garbo
«No, è una mia dipendente» rispose volgendo il capo verso Erina, abbastanza perché l'altro non la vedesse mimare una grassa risata: finalmente l’aveva stupita!
«Sheridan Erina, lieta di conoscerla» riuscì a presentarsi porgendo il suo biglietto
Quando luando lQuandui e il capo cominciarono a parlare, sedendosi al tavolo, Erina ebbe il tempo di abbassare gli occhi sul suo pass da visitatrice: c'era sopra lo stemma della Johnny's Entertainment. Forse aveva anche un vago ricordo di una delle receptionist all'entrata che le diceva qualcosa del tipo "Benvenute alla Johnny's".
«Posso chiederle come ha saputo del nostro studio?» domandò Himejima accettando poi una tazza di tè offerta dall'uomo che le aveva accolte
«Vi sorprende tanto?» fece Jun
«No» tentennò la donna, accorgendosi di aver appena ammesso da sola di essere parte di uno studio troppo piccolo perché potesse sperare in una collaborazione con un colosso come la JE.
«Credo che il mio capo non sia stupita, ma semplicemente curiosa. All'Himejima Studio capita raramente di avere a che fare con aziende esclusivamente giapponesi quindi non siamo così conosciuti nell'ambiente, o perlomeno non tanto da arrivare alle orecchie di un’agenzia imponente come la vostra» spiegò Erina intromettendosi. «Ci siamo fatti un nome nell'ambito dell'economia internazionale più che altro» concluse sistemando la situazione.
Fino a quel giorno aveva avuto davanti a sé ostinati uomini d'affari coreani o minacciosi e ricchi speculatori cinesi, quindi non avevo certo paura di parlare con un semplice personaggio dello spettacolo giapponese, anche se si trattava di Matsumoto Jun. «Capisco. Beh, è presto detto. L'anno scorso abbiamo collaborato con molti artisti e tecnici stranieri e abbiamo affidato buona parte del lavoro a Ichihashi Masato, che si è rivelato un bravo commercialista. Grazie alle sue conoscenze abbiamo avuto pochissimi problemi con i contratti per i collaboratori stranieri e quest'anno, anche se non intendiamo riproporre il progetto, ci avrebbe fatto piacere affidare di nuovo a lui tutto il lavoro»
«Quindi è stato Ichihashi san a parlarvi di noi?» si riprese Himejima
«L'ho contattato un mese fa per proporgli l'affare, ma mi ha detto di star lavorando per il vostro studio e di non potervi lasciare per fare questo lavoro. È un bravo dipendente e un uomo onesto: mi ha consigliato di prendere in considerazione di affidare a voi il lavoro, ma ha anche detto che era giusto valutassimo altre possibilità. Ecco perché questi colloqui» spiegò Jun per poi prendere dei fogli dalla pila che avevano portato nella stanza. «Questo è il progetto di lavoro, va da Luglio a fine Gennaio, coprendo tutta la durata del tour. Quest'anno mi sono personalmente riproposto di seguire nel dettaglio anche la parte finanziaria: gli altri anni abbiamo speso soldi che potevamo evitare di sperperare e non voglio ripetere l'errore. In più ho un progetto personale per i concerti e mi serve una consulenza per quanto riguarda la fattibilità della cosa, i costi e il modo migliore per attuarlo»
«Leggo che volete gestire separatamente dalla JE il pagamento del personale impiegato in ogni concerto, l'affitto degli stadi e il consumo» notò Erina spulciando i fogli
«Sì, ormai l'agenzia gestisce molti gruppi e molti fanno anche concerti nel nostro stesso periodo. Dopo l'esperienza dell'anno scorso, in cui abbiamo parzialmente gestito da soli le faccende economiche, abbiamo pensato di renderci del tutto autonomi» annuì il bel giovane appoggiandosi allo schienale della sedia
«In pratica volete sollevare l'ufficio economato della JE dal lavoro, che si occuperebbe solo degli altri gruppi, per affidarlo ad una specie di ufficio parallelo che però faccia sempre rapporto a voi e all'agenzia»
«Esattamente» annuì il ragazzo. «Più che altro all'agenzia, perché il gruppo è molto occupato e non può certo preoccuparsi ogni giorno di queste questioni, non è nemmeno il nostro lavoro» fece con un sorriso divertito
«Chiaramente» annuì Erina sorridendogli a sua volta. «Se posso...» spostò lo sguardo sulla Himejima che annuì e Jun le fece un gesto con la mano, segno che poteva parlare.
Si alzò con il foglio in mano e prese possesso della lavagna magnetica dove cominciò a scrivere le idee man mano che le venivano in mente. Di base proponeva di gestire l'ufficio alla stessa maniera in cui si sarebbe gestita l'organizzazione della produzione di uno spettacolo teatrale, perché era una cosa simile in fin dei conti. Il capo era stato chiaro: se avessero avuto quel lavoro sarebbe stato di Erina, quindi spiegò il progetto pensando anche che poi sarebbe stata lei a dover dirigere i lavori. Avrebbe svolto tutto da sola chiedendo solo l'appoggio di due consulenti dell'agenzia: uno che rimanesse sempre alla scrivania a lavorare facendo da tramite fisso con la JE, l'altro che andasse in giro con lei per i sopralluoghi e i pagamenti fungendo da ambasciatore della JE sul campo. A meno che dall’agenzia non volessero indicare dei tecnici particolari per alcuni lavori, avrebbe gestito l’evento così come avrebbero gestito uno spettacolo teatrale, andando a reclutare di persona gli addetti alle luci, al suono, i lavoratori del palco, contrattando gli stadi per sapere le date disponibili e quant'altro sarebbe servito.
In venti minuti aveva spiegato come intendeva svolgere il lavoro. «Spero di essere stata abbastanza chiara» concluse chiudendo il pennarello e riportando la completa attenzione ai suoi ascoltatori. «Ammetto di non aver mai gestito il bilancio di uno spettacolo quindi potrei non aver tenuto conto di alcuni aspetti, ma anche per quello credo che l'aiuto da parte dell'agenzia sarà fondamentale. Sarà uno scambio bilaterale: avrò bisogno di assistenza per ogni caso in cui la mia scarsa esperienza non mi faccia tener conto di qualcosa, ma sarò più che lieta di lavorare fianco a fianco, alla pari, con qualcuno della JE senza pensare che si stiano intromettendo in un lavoro che devo fare solo io».
Ci fu qualche secondo di silenzio: Jun ancora guardava il foglio e la lavagna, l'uomo al suo fianco osservava le sue scritte allibito e Himejima sogghignava soddisfatta.
«Perdonatemi» fece prendendo un bel respiro. «Da questo silenzio non capisco se state valutando la proposta o se ho detto qualcosa di sbagliato».
Il ragazzo le sorrise e poi annuì. «Sto valutando. Vaglieremo anche i progetti di altre aziende e vi faremo sapere»
«È stata esaustiva direi» annuì Watanabe al suo fianco. «Ho capito persino io che di economia non so niente»
«Sì, è stata strabiliante. Credo sia la prima volta in cui posso dire con certezza che terrò in considerazione una proposta, perché finalmente ho capito qualcosa di ciò che mi è stato detto » lo spalleggiò Jun
«Nel nsotro studio è naturale spiegare le cose complesse in maniera semplice» spiegò Erina tornando a sedersi. «Il più delle volte dobbiamo spiegare un piano aziendale a stranieri il cui vocabolario giapponese in campo economico si limita a: "quanto costano le mele?"; se siamo fortunati».
Trattenere una risata fu impossibile per gli altri tre nella stanza.
«Aggiungiamo che Sheridan san ha esperienza in campo economico da circa sei anni, ma ha cominciato a ideare progetti per conto proprio da solo un anno, quindi si può dire che ancora non è diventata una commercialista navigata e legata ai paroloni dell'economia» si intromise Himejima. «La sua giovinezza la rende più comprensibile a molti, oltre che più elastica» ridacchiò prima di alzarsi dalla sedia. «Bene, se non avete altre domande questa è la nostra proposta»
«Sì, è stata illuminante. Non ho domande» annuì l'uomo guardando Jun per avere una conferma.
I quattro si salutarono con mille inchini poi le donne ripresero l'ascensore.
«Matsumoto Jun!!!» strillò Erina non appena si chiusero le porte scorrevoli e furono le uniche parole sensate che riuscì a dire, dopodiché urlò qualche vocale a caso.
Himejima scoppiò a ridere di gusto: non sembravano più le due signore compite che erano state fino a poco prima.
«Perché non mi ha avvisato subito che stavamo entrando alla Johnny’s Entertainment?» domandò Erina sgranando gli occhi
«Credevo riconoscessi il palazzo!» si difese quella
«Non l'avevo mai visto prima» scosse il capo lei
«Pensavo che le fan degli Arashi sapessero tutto» fece una smorfia e le porte dell'ascensore si aprirono al piano terra. «Pazienza. Allora cosa mi dici?» domandò sollevando le sopracciglia
«Grazie capo, grazie!!» esclamò applaudendo come poteva con la cartelletta sotto il braccio
«Così si fa. Di più, di più: voglio sentire i complimenti» ridacchiò ridando il pass di visitatrice all'entrata
«Capo, lei è un genio. La adoro! Come le vengono queste idee?» domandò seguendola fuori. «Ha un supercervello! Il suo supercervello pensa sempre a lavori straordinari! Non sarà mica un robot?»
«Adesso basta con le scemenze» la rimproverò la donna improvvisamente.
Una settimana dopo arrivò una lettera dalla JE: avevano il lavoro.

Den-en Chofu,¹ ore 5:00
Suonò la sveglia e Shō la silenziò con un gesto deciso della mano.
Era perfettamente sveglio, la sera prima era rincasato a mezzanotte da una riunione con la redazione di NEWS ZERO, aveva cenato, fatto un po' di zapping sulla televisione, quindi era andato in camera, ma non si era mai addormentato. Era riuscito a chiudere gli occhi per un'oretta forse, abbandonandosi ad un sonno leggero e agitato, ma niente di più.
Due settimane prima aveva accolto con entusiasmo l'idea di Jun di gestire in maniera autonoma le risorse a loro disposizione per i concerti, ma pochi giorni prima gli aveva messo in mano i documenti firmati per l'avvio di quell'idea e da allora non sapeva più se continuare ad esserne entusiasta o meno. Prima di qualsiasi altro dettaglio era stato il nome di una straniera ad attirare la sua attenzione in quelle facciate piene di caratteri, quando poi aveva realizzato di chi fosse il nome si era sentito come se gli fosse caduto un pianoforte sulla testa. Di tutte le aziende di commercialisti che esistevano a Tōkyō, dovevano scegliere proprio quella in cui lavorava Erina? Ma soprattutto, tra tutti i dipendenti che probabilmente avevano in quegli uffici, perché proprio lei sarebbe stata l'incaricata per quel lavoro?
Shō aveva fatto gestire i colloqui e l'avvio del progetto a Jun, come loro portavoce, pensando che gli sarebbe servito per distrarsi un po' dato che era particolarmente depresso negli ultimi tempi e gli sembrava di vederlo sorridere solo quando si dedicava al lavoro. Ora si rendeva conto che avrebbe fatto meglio ad aiutarlo, ma era tardi: l'accordo era siglato.
Era agitato all'idea di incontrarla, ma si consolava pensando che personalmente aveva poco a che fare con l'organizzazione dei concerti: lui doveva solo fare le prove, imparare i passi, ripassare i testi di rap e aiutare con il sound check; del resto se ne occupava Jun quindi era possibile che Shō non la incrociasse mai. Era un sollievo, eppure sentiva di esserne anche dispiaciuto ed era proprio per quello che si sentiva nervoso: da qualche parte nel suo cuore desiderava effettivamente rivedere quella ragazza.
Nel mattino doveva andare sul set di un servizio fotografico, quindi decise di farsi una doccia rilassante per cancellare le tracce di tensione e stanchezza che avrebbero potuto trasparire dal suo viso. Si sarebbe vestito in stile casual e assolutamente anonimo per prendere un autobus² e arrivare allo studio fotografico che stava in periferia, tutto sommato non tanto lontano da casa sua.
Cinque minuti dopo aver aperto l'acqua stava godendosi il getto caldo sulle spalle nude e suonò il cellulare. Con un sospiro chiuse il rubinetto e aprì la porta di vetro del box doccia per allungare la mano fino al lavandino e prendere l'apparecchio.
«Pronto?» fece abbassando lo sguardo sui propri piedi e cominciando a schiacciare le goccioline sul pavimento della doccia con l’alluce
«Shō kun, buongiorno» salutò una voce pacata dall'altra parte
«'giorno Matsujun, come mai mi chiami a quest'ora?»
«Sei l'unico a svegliarsi così presto tra tutti noi» rispose con una risatina lieve
«A parte te» gli fece notare. «Avevi bisogno di qualcosa?» chiese cercando di rimanere calmo: sapeva che quella mattina ci sarebbe stata la riunione del team di lavoro per l'organizzazione del tour e sapeva che Jun avrebbe dovuto partecipare, il che significava che avrebbe incontrato Erina.
«Sì, per la verità ho chiamato te non solo perché sapevo fossi già sveglio, ma perché sei l'unico che potrebbe darmi una mano in questo momento»
«Sono tutto orecchi» lo incitò
Jun non chiedeva aiuto quasi mai e nonostante quello fosse un periodo doloroso e duro da vivere per lui continuava a lavorare come se non fosse successo nulla.
«Ho la riunione oggi, lo sai?»
«Sì, vedi di non farci fare brutta figura» scherzò mentre passava il dito sulle piastrelle della doccia per unire le gocce tra loro
«È di questo che vorrei parlarti» cominciò Jun con un sospiro. «Non voglio creare problemi, sul serio. Ne abbiamo già tanti e siamo sempre impegnati, sia come gruppo che singolarmente, ma se devo essere sincero non penso di farcela quest’anno»
«Problemi sul set del drama?»³ chiese preoccupato
«No, va tutto bene. Takeuchi san è un'ottima collega. Io sto parlando della riunione»
«Perché?» domandò di getto, agitandosi subito
«In che senso? »
«No, niente. Dimmi allora, c'è qualcosa che non capisci dei fogli? Sai che puoi chiedermi una mano per le faccende economiche: è la mia materia»
«Appunto. Vedo quanto state facendo tu e gli altri per me in questi giorni e ve ne sono grato, ma lavoro per i nostri programmi, per le sessioni fotografiche abitudinali, per le interviste, per la radio e ora c'è anche il drama e tutto quello che lo riguarda. Devo guardare in faccia la realtà: anche se più lavoro faccio, meno penso ai miei problemi, credo di essere arrivato al limite. Non posso farcela»
«Capisco, sei già abbastanza pieno così, vero?» domandò cominciando a tremare di freddo nella doccia spenta e bagnato da capo a piedi
«Sai che mi piace lavorare ai nostri concerti, ma non credo di poter seguire anche questo progetto»
«Ma principalmente devono lavorarci gli addetti, no? Mica tu» chiese aprendo la porta a vetri e cercando di legarsi in vita un asciugamano usando una mano sola
«No, l'agenzia ha chiesto che uno di noi segua il più possibile questo lavoro. Sai che hanno sempre apprezzato che fossimo noi, io di solito, a occuparci di queste cose. Speravano di poter creare un team di quattro: due dell'agenzia, l'impiegata dello studio e uno di noi che presenzi quando possibile» spiegò Jun. Aveva una voce tranquilla e di sottofondo non si sentiva alcun rumore. Shō immaginò che fosse in casa sua, steso sul divano con il computer portatile sullo stomaco.
«Non mi hanno detto niente perché sanno che mi piace farlo, ma quando mi hanno avvisato che avrebbero preferito lasciar fuori Nino da questo compito dato che sta lavorando al film, ho intuito che avrebbero preferito non coinvolgere nemmeno me, per lasciarmi concentrare sul drama di questa stagione»
«Rimaniamo io, Aiba e Ōno» riflettè, tenendo il telefono tra la spalla e la guancia per chiudere l'asciugamano con entrambe le mani
«Ad Aiba affiderei la mia vita, non scherzo, ma mai il compito di seguire l'organizzazione e il finanziamento dei nostri concerti»
«E io non li lascerei da soli» borbottò Shō pensando all’amico insieme ad Erina
«Chi?»
«Niente» sospirò il ragazzo. «Ōno non ce lo vedo e poi era tanto contento di potersi finalmente riposare e di poter tornare a pesca tra la fine di Kaibutsu kun e l'inizio del tour»
«Shō kun, tu hai tempo e poi sei l'unico ad avere addirittura le competenze per fare una cosa del genere».
Cos’era più forte, la voglia di saltare dalla gioia o di cercare una scusa qualsiasi per tirarsi indietro?
«Un attimo!» esclamò fermandosi sulla soglia del bagno. «Questo vuol dire che devo andare alla riunione di stamattina?» domandò con voce tremante
«Shō kun non sei costretto, te lo sto chiedendo come favore personale. Ma lo sai che non voglio creare altri problemi, già sto facendo preoccupare tutti voi ultimamente»
«Lo farò» rispose con improvvisa decisione
«Ma»
«Non dire altro Matsujun, se ti azzardi ad aggiungere qualcosa mi tiro subito indietro, quindi ti conviene accettare la mia disponibilità senza discutere» lo minacciò per poi ridere. «Comunque non ti taglierò fuori dalla questione e se avrò bisogno di una mano ti contatterò, quindi sii rintracciabile fino alla fine del lavoro. Ti farò una copia di tutti documenti così sarai sempre aggiornato» lo rincuorò.
Chiusa la comunicazione avrebbe dovuto sentirsi ancora più confuso di quando l’aveva cominciata, invece non lo era. Provava solo panico all’idea che, ormai era certo, avrebbe rivisto Erina, ma per quanto riguardava l’aver accettato quell’incarico invece ne era convinto, perché l’avrebbe fatto per Jun, per aiutare un suo amico e non aveva alcun dubbio sul volergli tendere una mano. Immaginava quanto gli doveva essere costato ammettere di non riuscire mentalmente a star dietro a quel lavoro che gli piaceva tanto e capiva che doveva essersi sentito molto in colpa nel chiedergli di subentrare al suo posto. Quell’estate per Jun non era stata delle migliori e ancora doveva finire, quindi Shō aveva tutta l’intenzione di aiutarlo come poteva: se svolgere quel compito al suo posto senza lamentarsi fosse servito ad alleggerirlo e farlo sentire meno in debito, allora l’avrebbe fatto.
Dopo qualche secondo gli arrivarono per mail l’orario e l’indirizzo della riunione.

Shimokitazawa, ore 8:25
La luce filtrava dalle tende oscuranti della camera ed Erina, infastidita, si girò verso il muro per continuare a dormire. Fuori dalla finestra si potevano sentire cinguettare un paio di uccellini e il suono delle biciclette sull'asfalto, lanciate a tutta velocità lungo la discesa della strada davanti a casa.
Tenendo gli occhi chiusi tastò il futon per cercare il lenzuolo e metterselo in faccia, il caldo era torrido quindi lo aveva calciato via durante la notte. Quando ritrovò un po' di ombra dietro le palpebre sospirò e ricadde immediatamente nel sonno, rilassata.
Pochi minuti dopo sentì un peso sulla spalla. «Stai dormendo?» le venne chiesto in una lingua non sua
«M-mh» farfugliò senza muoversi, ma non era una vera risposta, era stato solo un mugugno rivolto a quello che percepiva come un rumore lontano che pareva avere tono di domanda.
«Svegliati forza» e venne scossa leggermente alla spalla
«M-mh» fece ancora, scocciata, cercando di girarsi a pancia in giù per liberarsi da quella presa fastidiosa
«Eri, svegliati!» urlò la voce, sempre in quella lingua straniera. «Maledizione! Ho detto alzati!» e solo quando venne tirato via il lenzuolo, Erina aprì gli occhi.
Hang Ying, la sua coinquilina cinese, le aveva appoggiato un piede sulla spalla e tirato via la coperta.
«Che ore sono?» chiese sbattendo le palpebre più volte
«Le otto e mezza» rispose quella in giapponese, lanciando il lenzuolo lontano dal futon.
La ragazza indossava dei pantaloncini di cotone e una maglietta rosa con un cono gelato stampato sul davanti. Erina era vestita alla stessa maniera, ma la maglietta era verde. «Otto e mezza» sospirò mettendosi a pancia in su. «Otto e mezza!?» strillò subito dopo scattando in piedi. «Come "otto e mezza"?»
«Non capisci nemmeno più la tua lingua?» ironizzò quella sedendosi sul suo futon, a fianco. «Non avevi una riunione importante stamattina?»
«Sì! Sì che ce l'avevo!» Erina raggiunse l'armadio a muro e lo spalancò cominciando a rovistarvi dentro. «Cioè, ce l'ho. Sono ancora in tempo se mi sbrigo»
«Ecco, mi pareva. Visto che non ti alzavi ho pensato di svegliarti» osservò Ying che aveva in mano una ciotola dalla quale beveva di tanto in tanto
«Dovevi svegliarmi prima, scema!» esclamò l'altra tirandole una camicia addosso per protesta
«Ma sei impazzita! Ancora un po' e verso la misoshiru sul letto!» le rispose rilanciandole l'indumento. «Smettila di perdere tempo a darmi fastidio e muoviti»
«Tu non lanciare i miei vestiti!» disse tirando fuori un tailleur grigio. «Com'è questo? Com'è?» domandò con urgenza
«Devi fare la contabilità per un impresa di pompe funebri?» domandò la cinese scuotendo il capo
«E allora cosa metto?» angosciata guardò di nuovo nell'armadio
«Ma non ne abbiamo già parlato ieri? E l'altro ieri?» sospirò appoggiando la ciotola al davanzale della finestra aperta e avvicinandosi all'armadio
«Sì, ma non sono più sicura»
«Cosa? Avevamo optato per quello blu, no?» fece cercandolo tra le grucce
«Ieri l'ho tirato fuori per stirarlo e mentre aspettavo che si scaldasse il ferro ho caricato la lavatrice, così mi è caduta la candeggina sul completo»
«Eri, ma si può essere più cretini di te?» sospirò la cinese per poi chiudere l'armadio con un gesto scocciato e aprire quello di fianco. «Te ne presto uno mio, bada che mi piace un sacco, se gli fai solo un graffio ti affogo nell'ofuro»
«Allora non lo voglio. Mi conosci, lo sai che succederà sicuramente qualcosa » scosse il capo rifiutando
«Eri, sei in ritardo, hai passato tre giorni a chiederti cosa mettere dato che incontrerai i tuoi cantanti preferiti e mi hai tirato scema con questa storia, quindi diciamo che mi fido di te» concluse a denti stretti.
Erina la guardò in faccia e fece una smorfia. «Non sei stata convincente» la accusò
«No? Sono una pessima attrice»
«Allora smettila di fingere» ribatté prendendole il completo dalle mani
«E tu non prendertela. Cosa ci posso fare se so perfettamente che lasciarti in mano qualcosa significa riaverlo indietro rotto, strappato, macchiato o non riaverlo affatto perché l'hai perso?» allargò le braccia Ying. «E quello cerca di non strapparlo solo perché non ci entri di seno»
«Ammazzati» sbuffò lanciandosi verso il bagno per lavarsi
«Provvederò» sospirò la coinquilina tornando in cucina con la ciotola vuota.

Tōkyō, Akasaka, ore 9:30
Shō era arrivato in largo anticipo, la riunione sarebbe cominciata solo entro mezz'ora e ancora non c'era nessuno nella sala che avrebbero usato. Quando entrò e la vide vuota tirò un sospiro di sollievo: pensava di trovarci già qualcuno, anzi, pensava di trovarci Erina.
Si allentò il nodo della cravatta e prese il cellulare in mano quando suonò. Uscendo compose la mail di risposta mandando l'ennesima riga di scuse allo studio fotografico per essere scappato tanto in fretta dal set. Tutti l'avevano rassicurato che erano solo contenti di avere un po' di riposo tra gli scatti con lui e l'arrivo di Nino, ma Shō si sentiva comunque un maleducato: si era comportato come se volesse finire gli scatti il prima possibile, come se non ci tenesse o come se fosse una seccatura; in realtà era di fretta perché una volta finito doveva cambiarsi e scappare dalla periferia al centro di Akasaka, in sede, senza poter usare la propria auto.
Rincuorato per l’ennesima volta dai collaboratori, chiuse l'apparecchio e andò ai distributori del piano.
Osservò le bibite cercando di respirare a fondo: lo aspettava un faccia a faccia inaspettato con la sua fiamma di una volta, con l'amore di sempre, con la ragazza che l'aveva respinto e che non era mai riuscito a far sua.
«Sono una carota, sono una carota, sono una carota» mormorò tra sé scegliendo del caffè nero in lattina. Da un anno a quella parte era diventato il motto preferito degli Arashi tutte le volte che erano troppo tesi e sentivano di non riuscire a trovare la forza per affrontare il loro lavoro. Se lo ripetevano tra loro: ridacchiando tutto sembrava assumere una piega più semplice e si sentivano più coraggiosi.
Si mise a sorseggiare il caffè guardando fuori dai vetri del corridoio, scrutando le macchine che sfrecciavano nella via principale davanti al palazzo. Sperava di veder arrivare Erina per potersi preparare psicologicamente con qualche secondo di vantaggio, ma per la verità non poteva sapere quanto fosse cambiata dopo tutto il tempo che era passato. Dalla fine del secondo anno di università si erano visti pochissimo dato che per i successivi due anni avevano scelto curriculum differenti e non avevano più avuto materie in comune. Solo nell'ultimo periodo del quarto anno si erano rivisti un po’ più spesso, ma ormai non si potevano più considerare nemmeno conoscenti.
Mentre rimuginava, tamburellava due dita sul metallo della lattina e ripensava a quando l’aveva rivista un anno prima per pochi minuti. Ricordava bene quell'incontro inaspettato: era stato breve, eppure ne era rimasto colpito e gli aveva suscitato tante emozioni forti. Anche quel giorno Erina gli avrebbe fatto quell'effetto? Avrebbe addirittura dovuto lavorare al suo fianco: come sarebbe stato? E che sensazioni avrebbe provato a breve, dentro alla sala riunioni, davanti a persone estranee a ciò che aveva condiviso con lei?
Immerso nei suoi pensieri scrutava tutti i taxi che passavano lì davanti, certo che una volta arrivata l'avrebbe riconosciuta anche dal terzo piano. Eppure non poteva fare a meno di chiedersi che tipo di persona era diventata Erina: era ancora la giovane spigliata e socievole che aveva incontrato all'università o era diventata una seria donna d'affari?
Prima dell'università, Shō non sapeva che tipo di ragazze gli piacessero, poi c'era stata lei e dopo aveva cercato nelle donne una personalità completamente diversa dalla sua. Ripensandoci in quel momento era come se avesse speso anni a fuggire dall'idea di Erina, temendo di rimanere legato al suo ricordo si era messo a valutare le donne con cui uscire proprio usando lei come metro di giudizio: meno le somigliavano meglio era.
E nessuna l'aveva respinto. Semmai l'avevano lasciato o era stato lui a lasciarle. Il suo carattere non si adattava ai loro: quelle donne erano introverse, possessive e gelose, l'opposto di Erina che era sempre stata amichevole, inafferrabile e, soprattutto, non l'aveva mai amato. C'era da chiedersi se Sakurai Shō non fosse un po' masochista.
Rischiò di farsi andare il caffè di traverso quando riconobbe la chioma rossa della ragazza scendere da un taxi. Solo quando la vide sparire all'interno del palazzo si pose una domanda che per l’agitazione ancora non si era fatto, ma che avrebbe dovuto mettere tra le prime di una lunga lista: Erina era fidanzata o no?

Tōkyō, Akasaka, ore 9:45
Seduta sul sedile posteriore del taxi, Erina cercava di sistemarsi i capelli guardandosi nel piccolo specchietto del passeggero che l'autista aveva gentilmente abbassato per lei.
Fortunatamente era entrata nel vestito di Ying che era chiaramente un capo d'abbigliamento non giapponese, ma le piaceva e anche se non era un tailleur era sufficientemente elegante per indossarlo ad una riunione di lavoro. Era un vestito di seta verde aderente che le arrivava fino alle ginocchia. Aveva una scollatura dal taglio quadrato e la schiena, il collo e le maniche erano di un tessuto verde più chiaro, ricamato d'oro con intrecci simmetrici da una spalla all'altra tipicamente cinesi.
Prima di arrivare alla sede della Johnny’s Entertainment, ad Akasaka, riuscì a sistemarsi i ricci rosso fuoco in una crocchia alta sulla nuca, grazie all'uso di numerose forcine.
Pagò il tassista, ma si riprese il resto: era in situazioni finanziarie migliori rispetto ai tempi dell'università, ma non era benestante quanto Himejima san da potersi permettere simili atti di generosità.
Quando scese dall'auto quasi si sentì traballare sulle scarpe a tacco alto, non perché non fosse abituata, ma proprio perché era emozionata. Da quando aveva compreso che avrebbe potuto lavorare con gli Arashi in persona non aveva fatto altro che pensare a Shō e ad Aiba. Il più giovane non lo vedeva da anni, dalla sera in cui l'aveva rifiutata, mentre Sakurai lo aveva incontrato nell'inverno 2009, poco più di un anno prima. L'aveva riconosciuta subito.
Da quando avevano finito l'università erano passati anni ed erano cambiate tante cose. Ricordava ancora il primo CD degli Arashi che aveva preso in un negozio vicino casa il primo giorno di vendita, per averlo in edizione limitata: ora era una loro grande fan e non si perdeva nessuna puntata dei loro programmi. Quando le chiedevano chi fosse il suo preferito rispondeva sempre che era Masaki, mentre di Shō non diceva nulla. Non era propensa a far sapere in giro che erano stati compagni di università, ma ogni volta che sentiva altre fan parlare di lui non poteva fare a meno di ascoltare e, interiormente, vantarsi di conoscere un Sakurai Shō che nessuno aveva mai visto.
Ad ogni modo con il tempo si era appassionata a tutti e cinque, quindi anche incontrare Matsumoto Jun la settimana prima era stato elettrizzante e l'idea di rivederlo quella mattina la agitava.
Avrebbe incontrato anche gli altri? Aiba si sarebbe ricordato di lei? Continuava a chiederselo mentre stava sull'ascensore per arrivare alla sala della riunione.
C'era però una domanda, tra tutte, che non aveva il coraggio di porsi: con quale faccia avrebbe guardato Shō quando si fossero rivisti?
Non era quello il giorno, certo, ma prima o poi sarebbe successo quindi doveva cominciare a pensare a come comportarsi.

Akasaka, sede della Johnny’s Enterateinment, ore 10:00
«Scusi, sono in ritardo?» domandò uscendo dall'ascensore, trafelata. In realtà era la tensione a darle quell'aria ansiosa.
«Assolutamente Sheridan san, è in perfetto orario. Cominciamo alle dieci» rispose un uomo che attendeva fuori dalle porte
«Sono le dieci e qualche secondo, dovremmo essere già intorno al tavolo e aver preso il fiato per cominciare a parlare» spiegò inchinandosi. «Non so come scusarmi per il ritardo»
«Non si deve preoccupare. Sappiamo che per gli ospiti può volerci un po' di tempo per prendere il pass e raggiungerci» spiegò quello sorridendole
«La soluzione è semplice: regalatemene uno» propose lei apprestandosi a seguire i passi dell'altro
«Vedremo cosa sarà possibile fare» rispose quello rigido
«Stavo scherzando» disse guardandolo perplessa.
L'uomo le sorrise a stento. «Mi scusi, è che sono un po' nervoso. È il primo lavoro importante che i miei superiori mi affidano, è importante per me fare bella figura» spiegò fermandosi davanti ad una porta
«Non posso dire di saperne più di lei, ma le assicuro che nelle mie esperienze di lavoro di gruppo la cosa migliore si rivelava sempre essere se stessi. Se sta così sulle sue potrebbe non avere il coraggio di indicarmi un errore rischiando di compromettere tutto» ipotizzò
«Ma lei non potrebbe mai sbagliare, mi hanno detto che è molto brava. Io invece sono solo un impiegato semplice» sembrava sempre più nel panico. «Non so se può capire» spiegò abbassando la voce, ancora non aprendo l'entrata della sala. «Ma gli Arashi al momento sono il gruppo di punta dell'agenzia, occuparsi di loro significa occuparsi dell'immagine dell'agenzia stessa. Nuocere a loro significa colpire l'agenzia direttamente. È una grossa responsabilità»
«Senta» abbassò lo sguardo sul cartellino attaccato alla giacca dell'uomo. «Ogura san. Lei era felice di aver ricevuto questa opportunità, vero?»
«Chiaramente» annuì lui
«Allora la sfrutti al meglio e faccia vedere a tutti che se l'è meritata e che la loro fiducia è ben riposta. Inoltre io sono nella sua stessa situazione: ha idea di quanto sia importante questo lavoro per il mio ufficio? Se fallisco verrò probabilmente licenziata. Quindi, dato che nessuno di noi due vuol fare una brutta fine, facciamo del nostro meglio» concluse sorridendogli.
L'uomo sembrò rincuorato e annuì prima di aprire la porta. Erina sospirò, aveva fatto la sbruffona, poteva permettersi di parlare a quel modo solo perché era giovane e se avesse perso il lavoro avrebbe potuto trovarne un altro, ma quell'uomo doveva essere sulla quarantina quindi non era vecchio, ma sicuramente non avrebbe trovato facilmente altri impieghi se avesse rovinato il colosso della Johnny's Entertainment. Così parlando però si era anche fatta coraggio da sola: la tensione al pensiero di incontrare Matsumoto Jun e gli Arashi non era niente paragonata al terrore che provava all’idea di dover affrontare quel lavoro tanto importante completamente da sola. Quel pensiero le faceva venire voglia di scappare lontano urlando.
«Scusate l'attesa» annunciò Ogura aprendo la porta. «Ero andato a recuperare la signorina Sheridan all'ascensore».
Erina trattenne il fiato quando girò gli occhi nella stanza, rimanendo sulla soglia, per guardare in faccia le persone con cui avrebbe collaborato per parecchi mesi. Mancava qualcuno.
«Nessun problema, tanto Sakurai san ancora non è arrivato» rispose un secondo uomo che si alzò dalla sua sedia e le venne incontro con aria seria. «Molto piacere, io sono Kimura Setsuna» fece inchinandosi e porgendole un biglietto
«Piacere di fare la sua conoscenza. Il mio nome è Sheridan Erina» rispose completando lo scambio dei biglietti da visita
«Sheridan san è l'incaricata dell'Himejima studio, vero?» domandò questi dopo aver letto il cartoncino
«Sì, esattamente» cominciò scrutando i due uomini in viso, con attenzione. «Dato che lavoreremo per molti mesi, posso chiedervi di chiamarmi...»
«Erina san, giusto?» domandò una voce alle sue spalle.
Quando si girò, Sakurai Shō stava con un braccio alzato appoggiato allo stipite della porta.
Indossava una giacca grigia su una camicia bianca, stretta all'altezza dello stomaco da un gilet nero. La cravatta era dello stesso colore della giacca e i jeans verde acqua scuro gli calzavano a pennello sopra le scarpe nere. Il viso dalla pelle liscia aveva un sorriso appena accennato e una frangetta scompigliata arrivava fin poco sopra gli occhi scuri, brillanti, che la guardavano.
«Sì, giusto. Lo preferirei» rispose continuando a fissarlo
«Effettivamente suona un po' strano "Sheridan san", senza offesa» osservò Ogura
«Vada per "Erina san". Allora, Erina san, questo è Sakurai Shō» glielo presentò Kimura, come se ce ne fosse stato bisogno: a prescindere dal fatto che già si conoscevano, chiunque in Giappone sapeva chi fosse Sakurai Shō.

¹ E' un quartiere di lusso della zona sud di Tōkyō
² Nel Giugno 2010, in seguito a due incidenti stradali non gravi, la Johnny's Entertainment ha proibito a tutti i membri degli Arashi di guidare fino alla fine dell'anno
³ Nell'estate 2010 Matsumoto è stato protagonista del drama Natsu no Koi wa Nijiiro no kagayaku (L'amore estivo splende dei colori dell'arcobaleno)
⁴ Ōoku, le cui riprese sono cominciate nella primavera 2010 ed è uscito nelle sale in Ottobre
⁵ Ōno Satoshi è stato il protagonista dell'adattamento televisivo del famoso manga di Akibutsu kun
⁶ Quartiere della zona ovest di Tōkyō, famoso tra i giovani per essere una cittadina alternativa e per le sue numerose live-house
⁷ Vedi il capitolo 3 di Zakuro

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Capitolo 9
*** 8. Please, Forget the Past ***


Era difficile staccare gli occhi dall'uomo che aveva davanti.
In un primo momento Erina non aveva potuto fare a meno di chiedersi se quello fosse veramente Sakurai Shō. Certo, come fan degli Arashi sapeva che non esisteva più il ragazzino dalle guance paffute e gli occhi magnetici che aveva conosciuto all'università, era cresciuto e lo vedeva ogni settimana in televisione durante i programmi di varietà. Ma lo Shō del mondo dello spettacolo era tanto lontano che non era mai riuscita a farlo combaciare con lo Shō che aveva incontrato di persona: era come se fossero individui differenti e così non riuscì a non sorprendersi quando si rese conto che, rispetto ai tempi dell’università, quello che aveva davanti a sé sembrava essere un individuo totalmente sconosciuto.
Sakurai Shō era un uomo alto, dal fisico asciutto, la voce profonda e i gesti eleganti. In una mattinata di discussioni e chiacchiere, Erina aveva potuto notare come il ragazzo avesse acquisito la battuta pronta e avesse invece mantenuto la capacità di passare dai discorsi importanti e seri a quelli più giocosi e leggeri in maniera del tutto sciolta. Nonostante lui fosse l'unico a conoscere già tutti i presenti in quella stanza, dava ad ognuno il giusto grado di confidenza, dimostrando sempre rispetto.
Quando nessuno la guardava, non poteva fare a meno di fissargli le labbra carnose e più di una volta dovette sforzarsi per rimanere concentrata quando lui le parlava.
Finalmente si concessero una pausa di cinque minuti alle undici e mezza. Erina chiese gentilmente di farsi indicare il bagno e quando uscì dalla stanza si affrettò a raggiungerlo alla velocità massima che i tacchi le consentivano. Si sciacquò la faccia più volte e la nascose nel piccolo asciugamano che si portava nella borsa. Chiuse gli occhi, cercando di riordinare i propri pensieri.
Quella che aveva avuto davanti fino a quel momento non era la persona che conosceva una volta, lei ricordava un Sakurai impacciato a volte e gradasso altre, uno che faceva lo stupido con un gruppo di individui altrettanto stupidi in giro per il campus. Ora invece era cresciuto.
Seguendo gli Arashi l'aveva già visto serio, ma aveva pensato fosse una montatura per le telecamere. Già ai tempi dell’università, quando lo si vedeva sullo schermo, aveva un’aria diversa da quella del ragazzino che ciondolava per il campus. Insomma, era legittimo pensare che fosse uno che cambiava faccia solo quando stava in tv.
Erina sbirciò il proprio riflesso alzando lo sguardo dall'asciugamano e dovette ammettere di essersi sbagliata: Sakurai Shō era professionale, era diventato la persona che si era aspettata di conoscere quando aveva visto un ragazzo che studiava, serio e pacifico, nel sole della biblioteca. ma lo era diventato sei anni dopo. Inoltre era maledettamente sexy! Le foto sulle riviste non gli rendevano giustizia. L'aria affascinante mischiata all'encomiabile umiltà che aveva dimostrato quella mattina non erano fotografabili.
Arrossì raddrizzando la schiena e facendosi aria. Doveva calmarsi. Aveva un paio di idee interessanti su cosa fare sopra il tavolo spazioso della sala riunioni, ma doveva respirare a fondo, contare fino a dieci e non pensarci. Si passò due dita sugli occhi massaggiandosi le palpebre per ritrovare la concentrazione.
Quando uscì dal bagno aveva ancora due minuti di pausa, quindi svoltò qualche angolo finché non trovò i distributori del piano, vicini alle scale d'emergenza. Mise i soldi nella macchinetta e solo allora si mise a guardare cosa c'era da scegliere.
Improvvisamente qualcuno schiacciò un tasto e il distributore cominciò a vibrare e fare rumore. «Se mi offri del mugicha io ti offro quello che vuoi tu» sentì dire al suo fianco.
Shō l'aveva raggiunta e in quel momento si chinava a prendere la lattina. Lo osservò mentre si rialzava e metteva delle altre monete nella fessura. «Cosa prendi?» domandò quindi, aprendo il suo te.
Erina non rispose, schiacciò il bottone e recuperò la sua bevanda.
Quando entrambi ebbero in mano la loro scelta, il ragazzo si era appoggiato con la spalla al distributore, con le braccia incrociate, e la osservava, invece lei era rimasta impalata di fronte alla macchinetta.
«Ti ricordavo più chiacchierona» osservò lui
«Scusa, è che sono ancora un po' sorpresa» ammise guardando il suo succo
«Non ti aspettavi di vedermi nonostante sapessi di dover lavorare per gli Arashi?» domandò dubbioso
«No, non è quello. È che pensavo di incontrare Matsumoto san oggi, di solito è lui che si occupa dei vostri concerti no?»
«La sai lunga, vedo»
«Sono una vostra fan» ammise per poi nascondere l'imbarazzo cominciando a bere
«Non lo sapevo» osservò colpito
«Lo sono diventata gradualmente» rispose facendo spallucce.
Dopo il primo sorso si sentiva già più tranquilla. «Sono contenta di sapere che sarai tu ad occuparti del lavoro invece che Matsumoto san» gli sorrise azzardandosi a guardarlo
«Sul serio?» domandò stupito
«Per la verità, è il primo grosso lavoro che faccio per l’ufficio ed ero terrorizzata all'idea di doverlo affrontare da sola, senza nessun senpai che mi aiutasse. Ma tu sei una persona altrettanto preparata, se posso contare sulle tue capacità sono un po' più sollevata. Matsuj... Matsumoto san non ha le tue conoscenze» spiegò correggendosi rapidamente: si rese conto in quel momento che avrebbe dovuto fare attenzione a non chiamarle i membri degli Arashi con i loro soprannomi, come quando parlava con altre fan.
«Io invece sono preoccupato da morire» fece lui diventando serio
«Come mai?» Erina si agitò subito, temendo volesse parlare del suo rifiuto di anni prima si pentì di aver parlato in maniera tanto schietta allor. Ricordava ancora il disprezzo che gli aveva sbattuto in faccia quel giorno? Pensava fosse ancora valido?
Si morse il labbro inferiore continuando a passare da uno stato di sicurezza, al panico più completo.
«Stai ammettendo la tua parziale incapacità davanti al tuo datore di lavoro, potrei chiedere al tuo studio di mandare qualcun'altro» le rispose infine Shō
«Cosa?» la domanda le sfuggì dalla bocca in un soffio. Lo guardava allibita, e insieme terrorizzata. Voleva rimandarla a casa? Significava che si ricordava di quel giorno? A quelle idee dovette fare un respiro profondo, agitarsi non l’aiutava: lui le stava parlando di lavoro e forse lei aveva solo sbagliato a dargli confidenza, forse lui voleva tenere il loro rapporto esclusivamente sul piano professionale. Non c’era niente di male, avrebbe dovuto considerarlo solo un datore di lavoro, bello da impazzire, ma pur sempre un datore di lavoro.
Shō non riuscì a mantenere la sua faccia da poker a lungo e scoppiò a ridere pochi secondi dopo, rischiando di rovesciare del tè sulla moquette del corridoio. «Sei rimasta una credulona» notò tra le risate. «E fai sempre delle facce impagabili»
«Mi hai spaventato» sospirò sollevata. «Non so perché, ma ho sempre avuto l'impressione che tu ci provassi gusto a prendermi in giro»
«Ma è così» ammise lui ricomponendosi
«Ottimo» sbuffò la ragazza per poi osservare il grosso orologio che lui portava al polso. «Dobbiamo tornare in riunione»
«Hai ragione, andiamo» annuì avviandosi con lei. «Avrei una cosa da dirti prima di rientrare»
«Dimmi» lo incitò Erina. Si aspettava qualche frase relativa a loro, al fatto che fosse contento di lavorare con lei o di averla rivista.
«Non diciamo niente a nessuno del fatto che già ci conoscevamo» le disse invece, finendo la sua lattina e buttandola nel primo cestino che incontrò sul suo cammino. «Anzi, facciamo finta di niente anche tra di noi e comportiamoci come se non ci fossimo mai incontrati, che ne dici?» chiese con un sorriso tranquillo
«Sì, va bene» annuì prima di entrare nella sala.
Avrebbe preferito sprofondare nella moquette: qualsiasi pensiero o speranza non ancora formulata nella sua testa, si distrusse in quel momento.
Sedendosi al tavolo e sistemando i fogli pieni di appunti si chiese cosa significassero le parole di Shō. Se non poteva dargli confidenza avrebbe dovuto comportarsi come se non si conoscessero, come se lui non fosse nessuno per lei e viceversa. Sembrava che Shō la stesse allontanando. Non poteva certo considerarlo un amico dato che non c’era mai stato un rapporto di nessun tipo tra loro, ma in quel modo lui sembrava volerla relegare ad una condizione ben più inferiore di quella di una conoscente: il loro doveva essere solo un rapporto di lavoro.
La riunione terminò all'una per forza di cose: Shō doveva mangiare e fiondarsi alla TBS per registrare la puntata di Himitsu no Arashi chan che lo avrebbe tenuto impegnato fino a sera. Fortunatamente VSArashi veniva girato al mattino, quindi avrebbe avuto il pomeriggio del giorno dopo per dedicarsi al lavoro con Erina, Ogura e Kimura.
La ragazza ringraziò il gruppo di lavoro e seguì Kimura fino al decimo piano dove era stato preparato un ufficio apposta per loro. Era stato organizzato esattamente come Erina lo aveva chiesto: le pareti scorrevoli erano un'invenzione fantastica! L'ambiente era diviso in tre parti: uno con cinque scrivanie (quattro per ognuno di loro e una per eventuali collaboratori temporanei) computer, stampanti, telefoni (avevano addirittura tre numeri d'interno tutti per loro!) e quanto ci si poteva aspettare da un ufficio completamente attrezzato; il secondo era una piccola sala riunioni e il terzo sarebbe stato adibito a magazzino per raccogliere il materiale utile ai concerti. Più che altro si parlava del materiale specifico per gli Arashi come costumi, asciugamani, bottiglie, sedie pieghevoli, camerini portatili. La strumentazione tecnica sarebbe stata fornita dalle compagnie a cui avrebbero chiesto assistenza sul posto.
Avrebbero cominciato a lavorare il giorno dopo, dalle otto di mattina, e si sarebbero riuniti nel pomeriggio tardi per fare una prima riunione con anche la presenza di Shō.
Ogura aveva proposto una cena tutti insieme per festeggiare l'inizio dei lavori. Era normale fare una cosa simile negli uffici giapponesi ed Erina aveva sempre avuto spiacevoli esperienze. Immaginava che non sarebbe stato fantastico cenare con un uomo bellissimo ma che non voleva saperne di lei, però ci sarebbe stata lo stesso perché voleva legare con Ogura e Kimura con cui avrebbe lavorato tanto tempo e perché voleva creare una bella atmosfera nel team. Avrebbe collaborato con Shō fino a metà Gennaio, quindi era inutile tirarsi indietro: in qualche modo doveva convivere al fianco di quella persona che l'aveva allontanata con tanta freddezza.

Tornò a casa alle otto con un sacchetto della spesa al braccio. «Bentornata» sentì salutare
«Sono tornata» rispose a sua volta, togliendosi le scarpe e mettendole a posto con un piede per non chinarsi a farlo. Andò in cucina e trovò Ying ai fornelli. «Che odorino. Cosa prepari?» domandò annusando l'aria mentre posava il sacchetto sul tavolo
«Ramen a base di pollo, devo prepararti anche dell'altro?» rispose mente posava le bacchette da cucina e stringeva meglio il gembiule dietro la schiena
«No, va bene così» scosse il capo sistemando le cose in frigo. «Lascio lo scontrino sotto il magnete, guardalo quando vuoi. Com'è andata oggi?»
«Ho rifatto un tubetto di shampoo tre volte e mi hanno rimesso di nuovo a lavorare sulla scatola di fazzoletti» rispose storcendo il naso. Ying era una object designer, si era trasferita in Giappone già da tre anni e parlava bene la lingua, ma cambiava di continuo azienda, così era sempre l'ultima arrivata e le toccavano i lavori meno divertenti. «Tu invece? Sei arrivata in tempo?» ridacchiò. «Ero seriamente preoccupata che non ce la facessi»
«Anche io, ma ho preso un taxi. Credo di voler cancellare questo giorno dal calendario, anzi: lo farò» annunciò prendendo il pennarello dalla lavagnetta e scarabocchiando il calendario appeso all'ingresso.
«Ma come? Ieri sera eri tutta elettrizzata, non vedevi l'ora di incontrare di nuovo il famoso Matsujun!»
«Non l'ho incontrato» spiegò sparendo dietro la porta della camera per cambiarsi
«Per questo sei di cattivo umore?» continuò a domandare: il loro appartamento era piccolo e aveva solo porte scorrevoli in carta, quindi riuscivano a sentirsi perfettamente anche da una parte all'altra della casa.
«No. Sono di cattivo umore perché al suo posto ce n'era un altro»
«Non ti capisco» ammise Ying. «Invece di costringermi a farti domande di continuo perché non mi racconti?» propose scocciata
«Matsujun non era alla riunione e non verrà mai alle riunioni, perché questo lavoro è passato in mano a Shō kun, brillante laureato in Economia all'Università Keio» cominciò a spiegare. «Il che sarebbe anche una cosa positiva se non fosse che io conoscevo già Sakurai Shō dai tempi del corso di laurea e lui oggi, dopo essersi avvicinato con fare amichevole, mi ha chiaramente detto che preferisce comportarsi come se non ci fossimo mai incontrati prima: in pratica mi detesta!» concluse passando dalla stanza al bagno
«Un po' maleducato, no? Ma ci sarà un motivo, i giapponesi hanno sempre un motivo»
«I giapponesi hanno sempre dei motivi del cavolo, per quel che ne so io» ribatté Erina prima di imprecare in inglese per aver sbattuto col piede contro un piccolo gradino: c'era un leggero dislivello nel corridoio dove cominciava la zona bagno e lei ogni tanto se ne dimenticava facendosi male. «Non credo di aver afferrato quest’ultima parte della tua giornata» ammise Ying ridacchiando
«Spiritosa» sbuffò l’altra a denti stretti, saltellando verso il lavandino. «C'è una ragione, spero, ma se c'è, io non la so. O magari la so, ma sinceramente spero che non sia quella» spiegò liberando i ricci dalla crocchia in cui erano stati legati quella mattina. «Ai tempi dell'università Shō kun era una persona diversa da quella che è ora: era uno sbruffone, andava in giro con un gruppo di stupidi e si comportava da libertino, o comunque l'ho visto con più di due ragazze al campus»
«Perché non vendi questa storia ad un giornale scandalistico?» domandò Ying
«Perché non voglio infangare il nome degli Arashi con una storia così insulsa: tutti i ragazzini ventenni si comportano in maniera scema» spiegò stringendosi nelle spalle. «Mica è un crimine»
«Hai ragione, essere idioti non è un crimine, altrimenti chissà quanta gente finirebbe in galera. Se sei pronta io metto la cena in tavola»
«Sì, ci sono» rispose Erina sistemando qualche riccio con delle forcine e lasciando sciolti i capelli. «Ad ogni modo, eravamo solo conoscenti a quel tempo: avevamo parlato un paio di volte ed eravamo rivali nei test di Statistica. Insomma non era uno sconosciuto, ma nemmeno uno con cui passavo i miei quarti d'ora accademici» spiegò sedendosi a tavola e incrociando le gambe
«Siediti bene Eri, finisce che cadi dalla sedia mentre hai in mano qualcosa che può rompersi» la rimproverò Ying portando le ciotole in tavola e asciugandosi la fronte per il caldo davanti ai fornelli
«Sì, sì» sbuffò quella. «Poi un giorno, dal nulla, senza che io sospettassi niente, si dichiarò»
«A te?» domandò l'amica non riuscendo a prendere le bacchette in mano per la sorpresa
«Ecco, hai avuto la mia stessa reazione. A me? Perché a me? Me lo sono chiesto più volte. Io però non lo ritenevo un bravo ragazzo: affascinante e famoso, certo, ma non bravo e non intelligente. In parte era intelligente, ma si comportava da idiota il che lo rendeva ancora più idiota»
«Mh» annuì Ying mentre tirava su i ramen. «Ho capito cosa intendi, quel tipo di persone delle quali pensi "Sei bellissimo, però stai zitto"» riflettè la cinese
«Esatto, hai reso l'idea» rise piegandosi in due e rischiò di far cadere alcuni ricci nel brodo. «Quindi cosa credi che io abbia risposto?»
«"Sì"?»
«"No" chiaramente!» esclamò arricciando il naso. «Mica mi svendo al primo bellimbusto che incontro sulla mia strada» replicò indignata prendendo degli altri ramen.
Entrambe mangiarono il loro boccone ed Erina lanciò un'occhiata alla tv accesa in sala, a volume basso.
«Pensi che ti abbia trattato così per vendicarsi del tuo rifiuto? Quanti anni sono passati?» domandò l'amica
«Nove, eravamo al primo anno di università. Per questo non credo sia vendetta, è troppo intelligente per comportarsi in maniera tanto infantile. Però non posso fare a meno di pensare che il mio rifiuto l'avrà ferito e che quindi ora mi tenga a distanza perché mi odia. O forse vuole evitare questo ricordo e non vuole rivangarlo, o magari il suo modo di rapportarsi con le donne è cambiato in questi anni: se ora è più distaccato, temerà che io sia rimasta con l'idea di lui com’era all’epoca. Così avrà preferito dirmi di cancellare il passato per poter essere distaccato anche con me» concluse annuendo.
Rimasero in silenzio per qualche minuto finendo la loro ciotola e guardando il programma alla televisione. Erina sparecchiò e lavò i piatti mentre Ying fece una doccia e poi si accomodò sul divano a fare zapping e usare qualche chat cinese sul portatile.
Quando finì le sue mansioni, anche Erina si fece una doccia e si mise il pigiama. Attaccò l'iPod al computer per aggiornarlo e in pochi minuti spense tutto, pronta per andare in camera ad aprire il futon.
«Apro anche il tuo?» domandò sulla soglia della porta della camera
«Sì, grazie» annuì la coinquilina finendo di scrivere qualcosa e alzando lo sguardo su di lei. «Credo andrò a dormire più tardi, non vorrei svegliarti preparandolo»
«Allora faccio io» le sorrise pacata e fece per chiudere la porta. «Ma la scatola di fazzoletti l'hai finita poi?» domandò
«Macché, il cliente ha deciso che non la vuole più ovale, ma rettangolare classica» scosse il capo scocciata. «Così devo ripensare tutte le sfumature sui lati e in base a quelle rimettere la scritta. Che palle!»
«Sarà la quinta volta che ti sento dire che cambia idea» rifletté
«È la settima, per l'esattezza» annuì Ying. «Tu cosa pensi di fare? Devi lavorare fino alla fine dell'anno a questo progetto, no?»
«Sì, fino a Gennaio. Non abbandonerò il lavoro: pare che la mia presentazione sia piaciuta molto a quelli dell'agenzia quindi credo che se mi tirassi indietro e mandassimo qualcun altro dello studio potrebbero toglierci la commissione e allora Himejima san mi licenzierebbe. In più creerei tanti problemi a molte persone, quindi devo trovare un modo per sistemare la situazione in modo da renderla vivibile»
«Cos'hai da sistemare Eri?» domandò sorpresa. «Comportati come ha detto lui no? Nemmeno ti piaceva nove anni fa, goditi semplicemente la sua presenza come fan e il suo aiuto come collega» fece spallucce
«Sì, hai ragione» rispose tentennante, stringendo la mano sulla porta
«A meno che...» fece per continuare la cinese
«Farò così. Puoi abbassare un po' il volume? Buona notte» la interruppe e chiuse la porta per allontanare i rumori della televisione.
Quando finalmente si stese sul suo futon mise gli auricolari nelle orecchie e sospirò profondamente osservando il soffitto della camera.
"A meno che...".
Quelle parole l'avevano colpita. Sapeva cosa sarebbe seguito, ma non voleva sentirselo dire.
Un tempo aveva rifiutato Sakurai Shō ed era ancora convinta di aver dato la risposta giusta: era stata la verità, il ragazzo di allora non le piaceva; eppure ora, dopo nove anni, una parte di sé lo rimpiangeva. Ma solo un pochino perché sapeva che, anche se allora gli avesse dato una risposta positiva, magari non sarebbero rimasti insieme tutto il tempo fino a che non fosse diventato maturo e adulto. Forse però, se lo avesse rifiutato in maniera più carina, dopo Shō non l'avrebbe allontanata come invece aveva fatto, ma l'avrebbe considerata una buona ragazza con cui poteva parlare tranquillamente.
Le parole di quel giorno erano state giuste, la modalità no. Solo che ormai era tardi.
"A meno che...".
Si girò a pancia in giù e affondò la faccia nel cuscino.
Sapeva perché ci era rimasta così male e perché non riusciva ad accettare la richiesta di Shō di cancellare il passato: non voleva che lui dimenticasse di quando si era innamorato e aveva provato qualcosa per lei.
Sotto la neve lui le disse che l'aveva notata da subito e che aveva avuto un colpo di fulmine.
«Ironia della sorte» sospirò tra sé girando la testa di lato. «Ora sono io che mi sono innamorata all'istante e tu che non ne vuoi sapere».

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Capitolo 10
*** 9. A Busy Man with Busy Thoughts ***


Dopo la riunione in sede di quella mattina Shō si catapultò in ascensore e salì quasi al volo sulla macchina che lo aspettava nel parcheggio sotterraneo della JE: grazie al cielo la sede della TBS era ad Akasaka, ma doveva ancora pranzare e cambiarsi con i vestiti del programma, oltre che passare al trucco e farsi sistemare i capelli. Solitamente gli ci voleva un'ora per essere pronto a registrare, in quel momento gli restavano invece solo quaranta minuti.
Entrò nel camerino che stava inghiottendo il terzo takoyaki della sua porzione da sei, comprata al konbini dal manager mentre aspettava nel parcheggio.
«Ohi, Shō kun!» lo salutò Nino alzando la mano quando lo vide entrare. Nonostante fosse tardi c'era solo lui nella stanza.
«Ohi» salutò lasciando cadere a terra lo zaino e allontanando una sedia dal tavolo col piede. «Gli altri?» domandò
«Matsujun è già al trucco, il Rīdā e Aiba chan ancora non sono arrivati» rispose chiudendo il quaderno di un copione
«Non avevi finito le riprese?» chiese vedendo il copione
«Mancano alcuni dialoghi e primi piani»
«Quando hai finito ruba la pelata da samurai, te la facciamo indossare in qualche programma»¹ ridacchiò chiudendo la scatola ormai vuota: era tanto di fretta che stava masticando due takoyaki insieme
«Manco per sogno, altrimenti tu dovrai recuperare la tutina da Yatterman e fare il Cliff Climb² con quella» propose l’altro con un ghigno che si trasformò in risata divertita quando Shō gli fece il gesto del personaggio.
«'ngiorno» salutò Ōno entrando in camerino con uno sbadiglio
«È già pomeriggio Rīdā, quello sbadiglio è troppo grande per farlo a quest'ora» lo riprese Nino mentre si stiracchiava sulla sedia
«C'è un’ampiezza di sbadiglio per ogni ora?»
«Ad ogni modo fai attenzione che se apri così tanto la bocca ti si blocca la mascella» lo prese in giro Shō
«E come lo faccio il programma? Così?» domandò gesticolando come se stesse presentando la trasmissione ma tenendo la bocca spalancata.
«Hirhashahihaheee!».³ Si misero a ridere tutti e tre quando si accorsero che a parlare non era stato Ōno, ma Jun che era appena arrivato ed era rimasto alle sue spalle.
«Ridillo, ridillo» supplicò Nino piegandosi in due
«Hirha» fece per ripetersi Jun, ma non riuscì a finire la parola. «Se ridi, fai ridere anche me! È impossibile farlo una seconda volta»
«"Hirha" suona bene! Com'era? "hirhashahihahe". Dovremmo cominciare la puntata così» propose Shō che si passava una mano sugli occhi dal troppo ridere
«Ci sto» annunciò Satoshi
«Mi rifiuto» rispose Jun, ma stava comunque sorridendo, il che significava che se avessero deciso di farlo sarebbe stato il primo a urlare quello stupido "hirasshaimase" ad alta voce davanti alle telecamere. «È arrivata anche la seconda truccatrice quindi potete andare in due» spiegò. «Io mi cambio e vado a farmi sistemare i capelli»
«Andiamo noi Nino?» domandò Shō
«Ossss» fu la sua risposta alzandosi dalla sedia. «E levati la salsa dei takoyaki dal labbro» lo schernì
«Credevo fosse rossetto» lo spalleggiò Ōno. «Va bene se vado per ultimo?» chiese quindi a Jun
«Cambiati e vai dal parrucchiere con Matsujun, il trucco lo puoi fare dopo» propose Shō cercando il copione della puntata tra le varie cose ammassate sul tavolo del camerino
«Ehi gente, ma Aiba chan?» chiese Jun dopo essersi tolto la camicia.
In quel momento il ragazzo comparì sulla porta, ansimante, probabilmente aveva fatto una corsa dal piano terra fino a lì.
«Scusate, scusate» pronunciò col fiatone «Non ho sentito la sveglia, non riuscivo a trovare una taxi disponibile e l'ascensore era sempre occupato, sono venuto su per le scale, scusatemi...» cercò di spiegarsi tra un respiro e l'altro, rimanendo impalato sulla soglia.
I quattro ragazzi lo fissavano silenziosi, ascoltandolo: finalmente erano di nuovo tutti e cinque insieme. Non che fosse una cosa rara, ma si erano lasciati il giovedì precedente e poi non si erano più visti: Shō era andato a Mosca per conto di NEWS ZERO e gli altri invece avevano avuto il weekend relativamente libero, come pausa prima di un periodo intenso dato che presto sarebbe cominciata la campagna per il nuovo album che sarebbe uscito entro otto giorni. Insomma, erano quattro giorni che non si trovavano insieme nella stessa stanza.
«Bentornato» pronunciarono tutti in coro, sorridendo all'ultimo ritardatario di quella mattina.
Masaki, dopo averli squadrati in silenzio uno a uno, sembrò sciogliersi davanti a quelle parole e si appoggiò allo stipite della porta con un sospiro.
«Tutto bene?» chiese Nino trovando il copione della puntata e passandolo a Shō che ancora lo cercava
«Sì, sì, tutto a posto» annuì Aiba. «Sono solo felice di vedervi»
«Nemmeno le fan rischiano lo svenimento e succede a lui che ci vede tutti i giorni» ridacchiò Shō. «Poggia le tue cose e diamoci da fare, dai» lo incitò lasciandogli in mano il suo copione e uscendo insieme a Nino per andare al trucco.
Seduto sulla poltrona, mentre lasciava che la truccatrice si occupasse di lui, ebbe il tempo di riflettere sulla sua mattinata. Dire che era al settimo cielo non rendeva l'idea di quanto fosse felice. Confrontando il ricordo che aveva di sé ai tempi dell'università con il suo comportamento di quella mattina alla JE si era sentito veramente maturo e cambiato. Era o non era un vero cambiamento il riuscire a mantenere un atteggiamento professionale e nel contempo sbirciare una donna il più possibile?
Prima di incontrare Erina aveva temuto la sua stessa reazione perchè un anno prima davanti alla fermata dell’autobus era stato un disastro. Era stato impacciato e sbadato come un ragazzino, senza contare che dopo averla rivista gli erano tornate alla mente tante di quelle emozioni che poi, con Yun-seo, si era atteggiato con troppo trasporto. Insomma se quelli erano gli effetti dopo averla vista per pochi minuti, aveva ipotizzato scene terribili in seguito ad un’intera mattinata con lei.
Per evitare qualsiasi figuraccia, in quella mezza giornata, aveva dovuto far appello a tutta la sua professionalità e il suo buon senso per non fissare gli occhi tutto il tempo esclusivamente su Erina. Era stato difficile perché ricordava una ragazza carina e allegra e si era ritrovato davanti una donna bellissima, seria e professionale. Parlava benissimo, segno che aveva studiato e lavorato tantissimo anche dopo la laurea, e non aveva perso il suo modo di fare semplice e spigliato. Ecco perché Jun era rimasto colpito dal colloquio con lei: i giorni prima l’amico si lamentava di quanto fosse noioso ascoltare i paroloni di tutti i commercialisti che aveva incontrato, poi era venuto a raccontargli entusiasta di un progetto di cui aveva capito praticamente tutto.
«Abbiamo finito» annunciò la truccatrice richiudendo la scatola del fondotinta. «Mancano ancora Ōno san e Aiba san, giusto?»
«Ti spedisco subito uno di loro, grazie mille» rispose lui con un lieve inchino prima di alzarsi dalla poltrona. Nino lo salutò con la mano: con lui non avevano ancora finito.
Si avviò da solo lungo il corridoio ripensando a come Jun gli aveva raccontato del colloquio di Erina. Era evidente che il suo amico aveva il salame sugli occhi: anche lui aveva ascoltato tutte le parole di Erina e seguito tutte le sue spiegazioni, ma se avesse dovuto raccontare di quella mattina non avrebbe parlato con entusiasmo del piano di investimento, ma il suo commento sarebbe stato: “La ragazza che ho incontrato stamattina era tanto bella che l'avrei volentieri zittita con un bacio contro il muro della sala riunioni”; o avrebbe parlato del bellissimo vestito verde che metteva in risalto le sue gambe!
Arrivato alla porta del camerino si bloccò prima di aprirla rendendosi conto che simili commenti l’avrebbero fatto sembrare un maniaco. Aprendo la porta capì che anche lui avrebbe raccontato del piano finanziario.
Quando entrò in camerino trovò Aiba già vestito con il completo per il programma, seduto al tavolo che girava le pagine del copione. Le stava guardando, sì, ma non le stava leggendo, sembrava in trance.
«Puoi andare» gli disse ad alta voce per richiamarlo
«Eh?» sobbalzò lui guardandolo stralunato
«Ho finito col trucco» gli ripeté
«Sì, allora vado» annuì chiudendo le pagine e alzandosi dalla sedia. «Matsujun ha finito due minuti fa ed è andato in studio per parlare col regista» gli spiegò ancora Aiba, prima di uscire ed avviarsi.
Shō guardò la figura dell'amico di spalle. In quegli ultimi mesi, tutte le volte che tornava dopo essere stato dalla famiglia, si era sempre comportato in modo strano per i due o tre giorni successivi e la cosa lo preoccupava un po’, ma in quel momento non si soffermò a lungo su quell'idea: se Aiba aveva un problema era inutile fargli domande, era tanto sincero che quando se ne fosse sentito in grado ne avrebbe parlato con qualcuno di loro.
Indossò i vestiti per la trasmissione e andò nel camerino del parrucchiere. Ōno stava finendo in quel momento.
«Vai!» gli disse quello allungando la mano per mimare uno scambio di testimone, come se stessero facendo una staffetta. Ridacchiarono entrambi poi uno uscì dalla stanza e l'altro si accomodò su una poltrona.
«Buongiorno» Shō salutò il ragazzo con in mano la spazzola
«Ehi, Shō kun» sorrise quello di rimando. «Alla fine come sei tornato a casa l'altra sera?»
«Ho chiamato un taxi» rispose storcendo le labbra
«Fortuna che il giorno dopo non lavoravi, mi sa che avevi bevuto troppo» lo prese in giro mentre cominciava a sistemargli i capelli
«Lasciamo stare, non ricordo quasi niente» rise nervosamente.
Non aveva delle sbronze particolarmente stravaganti e il suo atteggiamento non cambiava molto sotto l’effetto dell’alcol, però se esagerava perdeva i ricordi di ciò che succedeva. In realtà non amava alzare il gomito fino a quel punto, ma era un mese che non aveva due giorni di riposo e si era rilassato.
Aprì il copione della puntata e si mise a sfogliarlo con poca attenzione perché l'aveva già studiato la sera prima.
Nel guardare distrattamente le pagine concluse che fare il lavoro che Jun gli aveva chiesto di fare al posto suo non sarebbe stato tanto difficile: non aveva dovuto sforzarsi troppo per trovare il coraggio di parlare con Erina quindi lavorare insieme sembrava una cosa fattibile. A riprova di ciò, c’era il discorso che le aveva fatto quando l’aveva trovata da sola: all'inizio gli era sembrata un po' rigida e aveva pensato lo odiasse ancora, ma poi aveva ammesso di essere una fan degli Arashi e aveva accettato di dimenticare tutto ciò che c'era stato prima di quel giorno, quindi non avrebbe più dovuto preoccuparsi di essersi comportato da fesso con lei, perché aveva accettato di dimenticare come Shō aveva tentato di dichiararsi anni prima. Lui la ricordava ancora come la sua peggiore caduta di stile!
Ma era acqua passata, entrambi avrebbero fatto finta che non fosse successo niente e avrebbero instaurato un nuovo rapporto, il lavoro sarebbe filato liscio e lui avrebbe potuto farle la corte senza vecchi rancori o ricordi spiacevoli. In quel momento sentì di aver avuto un’importante rivelazione: era un genio!
Ridacchiò tra sé e, quando Nino si sedette di fianco a lui, cominciarono a parlare della puntata che avrebbero registrato a breve.

Il mattino successivo gli toccò la stessa trafila del pomeriggio precedente: trucco, parrucchiere e cambio d'abito, per la registrazione di VSArashi, ma lo studio era ad Odaiba (più facile da raggiungere da casa sua, ma lontano da Akasaka) e prima avrebbero fatto una prova a telecamere spente.
Quella mattina fu Nino ad arrivare con un lieve ritardo, ma tutto filò liscio, si divertirono facendo gli scemi con gli ospiti e perdendo clamorosamente a quei giochi in cui ormai avrebbero dovuto essere bravi.
Shō si cambiò rapidamente indossando un paio di jeans, una camicia bianca e un pullover grigio chiaro. Tolse il trucco e raccolse le sue cose in fretta. Dopo aver salutato gli altri tornò di corsa verso lo studio di registrazione, dove trovò Jun che stava bevendo una lattina di Pocari sulle gradinate del pubblico ormai vuote.
«Otsukaresama deshita» pronunciava con voce calma verso i vari membri dello staff del programma che gli passavano vicino.
Shō fece lo slalom tra alcuni addetti che raccoglievano i pezzi del Giant Crash che era caduto quel giorno e lo raggiunse. «Otsukare» gli disse con un sorriso, allungando la mano verso di lui. L'altro gli batté un cinque e Shō ne approfittò per stringergli le dita, trattenendole nelle sue.
«Hai da fare stasera?» gli domandò quando Jun alzò lo sguardo su di lui, incuriosito da quella presa
«Dipende da quando finisco le riprese oggi, perché?» rispose prendendo un altro sorso della sua bevanda mentre Shō gli lasciava andare la mano
«Vado ad una cena con gli altri tre membri del team per il tour, se vuoi puoi unirti» gli disse, poi aggiunse vedendolo pensieroso. «Te l'avevo detto che non ti avrei tagliato fuori da questa questione anche se lasciavi il lavoro a me. E poi è solo una cena, non parleremo di lavoro, ma nemmeno ci daremo alla pazza gioia: è una cosa tranquilla»
«Come ti ho detto, devo vedere quando finisco le scene in programma per oggi» ripeté per poi sorridergli, pacato. «Ma ti ringrazio».
Shō lo guardò negli occhi qualche secondo: capì che non sarebbe venuto in nessun caso, ma che voleva dimostrargli di essergli grato per le attenzioni che aveva per lui. «Piuttosto, sai dov'è scappato Aiba ieri dopo le riprese? Quando ha ricevuto una chiamata è fuggito via, pensavo fosse successo qualcosa a casa» domandò il più giovane
«Chissà. Non ho la più pallida idea di cosa gli passi per la testa ultimamente. Ma oggi era addirittura più allegro di ieri quindi immagino non sia niente di grave. E poi lo conosci, no?» scrollò le spalle Shō
«Sì, è capace che sia depresso per il semplice fatto di non aver avuto abbastanza soldi per prendere quello che voleva al distributore» sorrise divertito Jun per poi tendere la lattina verso l'amico. «Tieni»
«Non la finisci?»
«Non mi va più, fai finta che sia un modo per ringraziarti dell'invito» annuì alzandosi dalle gradinate. «Bene, vado a cambiarmi. Ci vediamo stasera nel caso» lo salutò e trottò via, uscendo dallo studio.
Shō salì nella multipla dai vetri oscurati trovando un bentō preconfezionato sul sedile. Salutò l'autista e si accomodò come meglio poteva, preparandosi ad affrontare il viaggio verso la sede della JE.
Ad una curva finì con lo sporcarsi il maglione e se lo tolse: andare al lavoro in jeans e camicia, per quanto non fosse precisamente uno stile casual, non era comunque la mise che avrebbe preferito. Rovistò nello zaino, dove teneva un po' tutte le cose che potevano servirgli durante il giorno, per qualsiasi evenienza (cambio pulito, un paio di asciugamani, una bottiglia d'acqua, un beauty case e molto altro), e raccattò una cravatta. Se la annodò rapidamente e scese dalla macchina pronto ad affrontare Erina e presentargli uno Shō nuovo e decisamente degno della sua approvazione.
In ufficio trovò solo Ogura e Kimura. Il primo stava parlando al telefono continuando a scusarsi.
«Buongiorno» salutò verso il secondo
«Buongiorno Sakurai san, hai finito di registrare oggi?» domandò alzando il naso dai suoi fogli
«Sì, mezz'ora fa»
«Mezz'ora? Credevo che Odaiba fosse più lontana» fece quello sorpreso
«Lo è, abbiamo rischiato di provocare degli incidenti per venire qui rapidamente» scherzò appoggiando lo zaino su una sedia. «Erina san?» domandò guardando per l'ufficio
«È in sala riunioni»
«Di già? È solo il primo giorno!»
«Si è spostata lì solo per fare una telefonata. Sta parlando con il direttore del Kokuritsu per accordarsi sui sopralluoghi e l'inizio dei lavori, ma aveva bisogno della programmazione dello stadio per compararla con la tabella di marcia che ha abbozzato stamattina. I responsabili l'hanno invitata subito ad andare là per incontrarli di persona. È stato così improvviso che Ogura san sta cancellando gli appuntamenti per accompagnarla» accennò con il capo al pover'uomo che si scusava inchinandosi davanti al telefono
«Lo fermi, posso andare io con lei» si propose Shō
«Sul serio?» domandò Kimura scattando in piedi
«Certamente, lo lasci svolgere i suoi compiti, vado io con Erina san» rispose. L'altro si inchinò ringraziandolo e andò ad interrompere Ogura, Shō invece spostò la sua attenzione sulle pareti a vetri opachi della sala riunioni attraverso le quali si intuiva una figura, ma era tanto ferma che non l'aveva notata e da lì dentro arrivava solo un lieve brusio.
Si avvicinò alla porta e bussò leggermente prima di aprirla. «Permesso» accennò a mezza voce
«... are per mail? Sì, credo sia la cosa più facile» stava dicendo Erina mentre scarabocchiava sui fogli davanti a lei, sparpagliati sul tavolo.
Alzò lo sguardo quando Shō entrò e, senza sorridere, chinò il capo in un breve inchino. Il ragazzo rispose con lo stesso gesto e chiuse la porta rimanendo in piedi in attesa.
«Va bene, allora le scriverò prima io con la lista dei documenti da mandarmi così salva il mio indirizzo. Le scrivo appena metto giù, può farmi avere la risposta il più presto possibile? Sì, per favore. Grazie, grazie mille» concluse inchinandosi e spegnendo il cordless subito dopo
«Buongiorno Erina san» sorrise Shō allegramente. «Mi hanno detto che devi andare fino al Kokuritsu»
«Non più» rispose lei alzandosi dal tavolo e raccogliendo i fogli. «Siccome stavo procurando dei problemi ad Ogura san ho convinto il direttore a farsi dare una mano da aiutanti più esperti e mandarmi i documenti tramite mail» spiegò rapidamente avvicinandosi a lui
«Capisco, sei stata brava» riuscì solo a dire per nascondere la sua delusione.
Uscirono entrambi dalla sala e la ragazza avvisò i colleghi del risultato raggiunto. «Sakurai san» aggiunse poi girandosi verso di lui. Lo disse proprio quando Shō si era imbambolato due secondi a guardarle le gambe fasciate dai jeans stretti.
«Sì?» domandò rialzando lo sguardo per sorridere come se niente fosse
«Puoi recuperare la vostra agenda di impegni per questo mese?» domandò. «Il più rapidamente possibile, anche. Vorrei fare un controllo incrociato tra il piano di impegni del Kokuritsu e i vostri così da stabilire una tabella di marcia per la preparazione del concerto»
«Ma non ti fa paura?» scherzò Kimura. «Ne pensa sempre una più del diavolo»
«Lo farò» rispose Shō
«Bene, allora tra due ore ci vediamo in sala riunioni e confrontiamo gli impegni così decidiamo come muoverci» concluse con un sorriso per poi allungare la mano a prendere la borsa. «Vado a prendere qualcosa di fresco da bere, chi vuole qualcosa?»
«Mi porti lo stesso di stamattina?» chiese Kimura
«Io niente, scendo con te: vado al mio primo incontro e ti accompagno per un pezzo di strada» rispose Ogura prendendo le sue cose
«Sakurai san?» fece Erina guardandolo
«Io un caffè» rispose stringendosi nelle spalle
«Bene, torno subito»
«Ci vediamo stasera ragazzi, farò il più in fretta possibile» salutò l'altro collega ed entrambi sparirono dietro la porta.
Shō era un po' stranito. Quel giorno si era aspettato un incontro diverso con Erina, aveva persino sperato di poter fare un primo lavoro con lei andando al Kokuritsu e invece non era successo nulla.
Con un sospiro si mise alla scrivania che gli avevano assegnato e cominciò un giro di telefonate ai vari manager e responsabili dei loro lavori. Avrebbe fatto prima a chiamare Jun, lui sicuramente aveva scritti da qualche parte una buona fetta degli impegni di tutti, ma il suo cellulare era spento quindi probabilmente era già al lavoro e non voleva disturbare chiamando il suo assistente sul set.
Due ore dopo Shō entrò in sala riunioni con la lista che gli aveva chiesto Erina e aspettò di vederla entrare. Abrebbe bevuto il suo quarto caffè freddo della giornata e ormai cominciava a sentire la stanchezza di tutte le ore di riprese: Himitsu il giorno prima e VSArashi quella mattina.
«Eccomi, mi spiace se ho fatto tardi» disse la ragazza entrando nella stanza e richiudendo la porta
«Nessun problema, mi stavo riposando un attimo mentre ti aspettavo»
«Ottimo, possiamo metterci al lavoro adesso Sakurai san» fece lei con un sorriso sedendosi dalla parte opposta del tavolo.
Shō rimase per qualche secondo interdetto: non che si aspettasse di sedere fianco a fianco, ma nemmeno tutta quella cortese freddezza.
«Questi fogli riportano i nostri impegni. Te li ho stampati su fogli colorati, così puoi sapere gli impegni di ognuno di noi e vederli separatamente. Il foglio bianco è per gli impegni di gruppo» le spiegò passandole il tutto
«Sei stato molto ordinato» la vide osservare i documenti, quasi allibita. «Fino a dove arrivano queste ricerche? Perché per cominciare basterà che arrivino al 22, la seconda data del tour»
«Sono fino al 23 così da poter pianificare eventualmente un po' di riposo per tutti noi» le rispose prontamente il ragazzo. «Hai fatto la tabella di marcia per il concerto?»
«Chiaramente» annuì passandogli una doppia copia. «Questa è per te»
«Facciamo una pianificazione insieme?» propose. «Leggimi il giorno che interessa a te e vediamo come sistemarlo con i nostri impegni»
«D'accordo. Dunque, pensavo di cominciare Domenica 15. Dovremmo fare un sopralluogo tutti insieme e pensavo di fare un meeting generale con tutti gli addetti perché facciano un giro del luogo per farsi un'idea del lavoro»
«La domenica va benissimo. Solitamente non siamo molto occupati quel giorno, purché lasciamo Nino libero di andare alla radio per il suo programma. Solitamente comincia alle 22, ma credo abbia bisogno di un'ora di preparazione e un'ora per andare dal Kokuritsu alla sede della BayFM» le spiegò annuendo e prendendo appunti sul suo foglio. «Ci vorrà tutto il giorno per fare il meeting e ascoltare domande e richieste di tutti o almeno gli altri anni era così»
«Tu l'hai già fatto?» domandò Erina
«No, è sempre Jun che fa queste cose, ma ogni tanto gli ho dovuto fare da spalla oppure ho notato delle cose guardandolo da lontano, mentre scherzavo con gli altri» spiegò scuotendo il capo. «Insomma fa tutto lui di solito. Ogni tanto abbiamo fatto i video dei dietro le quinte dei concerti» sorrise ai tanti ricordi, osservandola come se stessero facendo una conversazione di piacere, ma si riprese quasi subito. «Andiamo avanti?» disse cercando di concentrarsi
«Di solito cosa montano prima? Il palco o le passerelle?» chiese la ragazza tirando fuori delle cianografie. «Ho recuperato i progetti degli anni scorsi e so che la struttura del Kokuritsu è sempre uguale»
«Come hai fatto a procurarteli così rapidamente?» domandò Shō allibito
«Ci ho speso tutta la mattinata» rispose Erina sorridendo tra sé
«Comunque montano prima il palco» rispose lui puntando il dito sulla cianografia. «Con tutti i collegamenti alle sale interne dello stadio che usiamo per tenere i materiali, per cambiarci e quant'altro. Poi preparano i passaggi sotto le gradinate che servono a noi. E infine le passerelle per unire tutto»
«Allora il montaggio comincerà lunedì per terminare martedì con le passerelle»
«In contemporanea al montaggio del palco fanno la posa dei fili elettrici e mentre montano le passerelle, con il palco solido, istallano i mega schermi. Ma questo non ci riguarda, no?» fece dopo averle spiegato l'andamento dei lavori, ormai l'aveva visto un numero sufficiente di volte da aver capito come funzionava
«Sì, hai ragione. Stavo riflettendo: Lunedì vorrei fare una prova costumi, va bene nel pomeriggio?»
«Possiamo fare la mattina? È meno caldo e sarebbe spiacevole sudare subito nei vestiti per il concerto»
«Va bene, vada per la mattina. Vi farò sapere dove faremo le prove, ma probabilmente cercherò di parlare con le sfere alte e ci farò lasciare libero l'auditorium grande della JH»
«Non dimenticare che non possiamo…» fece per dire Shō
«.. guidare? Lo so» annuì con un mezzo sorriso. «Vedrò di farvi spostare il meno possibile, promesso»
«Sei veramente una nostra fan allora» osservò sbattendo le palpebre.
La vide abbassare il capo, imbarazzata da quel suo commento, quindi tornò al precedente discorso. «Il martedì è possibile non fare niente per il concerto? Piuttosto lavoreremo il doppio dopo, ma quel giorno abbiamo il meeting per Løve Rainbow la mattina e le riprese di Himitsu nel pomeriggio»
«Sì, mi hanno comunicato che avrete da fare per la registrazione del nuovo singolo» annuì pensierosa. «D'accordo, allora dovrete concedermi il mercoledì per il sound check»
«Si può fare, ma di mattina abbiamo le riprese di VSArashi. Quindi dovremo fare nel pomeriggio il check di gruppo e tenere quello di Jun per ultimo perché lui ha le riprese del drama quindi potrà raggiungerci solo per l'ora di cena» annuì Shō guardando il foglio violetto dell'amico, era l'agenda più piena delle cinque che aveva recuperato.
«Allora mi segno di avvisare la compagnia che si occupa dell'impianto di montare tutto entro mercoledì pomeriggio. Per giovedì intendevo fare la prova coreografie sul palco ormai montato» continuò Erina mentre il suo foglio si riempiva di appunti
«Solitamente Matsujun ha le riprese tutto il giorno di giovedì» fece notare Shō
«Allora bisogna trovare un compromesso. Non può farlo solo per metà della giornata?»
«Anche Aiba deve registrare. Di solito lo fa nel pomeriggio quindi anche Matsujun potrebbe fare le sue nella seconda metà della giornata. Gli chiederò di parlare con lo staff del drama e credo dovrà chiedere anche il venerdì perché è il giorno prima del concerto quindi sarebbe meglio si concentrasse su questo» osservò grattandosi la nuca con la punta della penna
«No, infatti. Avete da fare le prove generali per controllare che tutto fili liscio»
«Di solito ho il meeting per la puntata di NEWS ZERO» fece notare alzando lo sguardo sulla ragazza. Lo osservava seriamente quindi lui scosse il capo e riprese a scrivere i suoi appunti. «Ok, sposto. Vanno bene undici ore di prove?» domandò deglutendo a fatica
«Spero di sì. Se non accade niente che ci interrompa»
«Ottimo, perché il Rīdā va in diretta radio alle sei del mattino e Aiba chan a mezzanotte»
«Se dovessimo trattenerci fino a notte vedremo di fare prima tutte le prove di gruppo, poi quelle da singoli, Aiba san per primo» sospirò lei continuando a scrivere la sua lista. «I concerti di sabato e domenica cominciano entrambi alle 17.30» si interruppe lei guardando l'orologio al polso di Shō. «Facciamo una pausa e poi parliamo dei due giorni del concerto, che ne dici?» chiese con un sospiro
«Va bene, ho bisogno di prepararmi psicologicamente per progettare quei giorni: comunque vada sarà un massacro» sospirò riguardando il foglio prima pulito e ora riempito di scritte.
Il sabato mattina presto Nino e Jun avrebbero registrato le loro trasmissioni radio che sarebbero poi state trasmesse all'orario programmato, dopodiché si sarebbero recati tutti agli studi televisivi per registrare la loro comparsa al programma Music Lovers. Avrebbero fatto quattro concerti in due giorni: due pomeridiani e due serali. Le buone notizie erano che sabato sera Shiyagare non era in palinsesto e che domenica avrebbero avuto "solo" il concerto. Inoltre il lunedì era leggero per tutti: Jun aveva una sessione fotografica per Pia e lui compariva a NEWS ZERO la sera.
Qualche ora dopo Shō e i colleghi si avviavano nella calura di fine luglio verso il ristorante di okonomiyaki dove Kimura aveva prenotato.
Fuori dalla sede della JE quello che più lo preoccupava non era che la sua relativa libertà di quel periodo sarebbe stata occupata dalla responsabilità che si era assunto con quell'incarico, quanto il fatto che Erina non aveva dimostrato alcun atteggiamento particolarmente amichevole con lui. Non che fosse stata scorbutica o maleducata, ma loro due non avevano scherzato, non avevano fatto nessun discorso all'infuori di quelli riguardanti il lavoro e lei non lo aveva mai guardato in nessun modo particolare.
Shō invece doveva averlo fatto tutto il pomeriggio perché ogni due minuti si scopriva a fissarla; sembrava quasi che i suoi occhi volessero rifarsi di tutti quegli anni in cui non l'avevano avuta davanti.
«Sul serio?» domandava sorpreso Ogura mentre stavano tutti seduti al tavolo del locale «Non l'avrei mai detto»
«Cosa vorresti dire con questo?» domandò Shō mandando giù un altro sorso di birra
«Non volevo offendere gli Arashi, Sakurai san. Né te, Erina san» cercò di correggersi mentre girava l'okonomiyaki che si cuoceva sulla piastra. «Ma ti ho vista così seria e impegnata nel tuo lavoro che non ho minimamente pensato potessi essere una loro fan»
«Effettivamente non hai dimostrato l'entusiasmo che ci si aspetterebbe da una ragazza che segue gli Arashi da così tanti anni come dici» la prese in giro Kimura
«Stavamo parlando di lavoro» protestò Erina brandendo la spatola verso i due colleghi, era minacciosa con quella in mano. «Sul lavoro sono sempre seria, qualsiasi cosa succeda» arricciò il labbro, quasi offesa
«Quindi anche davanti a Matsujun eri seria, ma dentro di te scoppiavi di felicità?» le domandò Shō ridendo, prima di prendere un pezzo della sua porzione con le bacchette
«È chiaro. Io ho fatto la mia parte in maniera professionale finché non sono entrata in ascensore» annuì alla sua domanda.
Da qualche minuto sembrava più sciolta, si era lasciata prendere in giro anche da lui e gli aveva risposto finalmente lasciandolo fare dei discorsi che, seppur insignificanti, almeno non avevano a che fare con il lavoro.
«Cos'hai fatto?» domandò Ogura
«Ho urlato in preda ad un eccesso di allegra isteria» ammise la ragazza spalmando la salsa sul suo okonomiyaki
«Accidenti, perché non ci sono delle telecamere in quegli ascensori?» fece deluso Kimura
«È vero, avremmo potuto prendere quella parte di registrazione. Ci sarebbe stato da ridere» ipotizzò Shō ridendo solo al pensiero. «Anche gli altri avrebbero voluto vederlo e poi mi sarebbe piaciuto sentire il commento di Jun»
«Ma siete impazziti? Non avrei fatto una cosa del genere se ci fossero state telecamere» ribatté la ragazza
«Perché, lo sapevi?» chiesero gli altri tre
«No» rispose presa in contropiede. «Beh, cos'avrebbe detto Matsumoto san?» domandò quindi volgendo il capo verso Shō, guardandolo dritto negli occhi
«Cos'avrebbe detto eh?» temporeggiò per poter ricambiare il suo sguardo e allungare di qualche secondo quel momento. «Vediamo, qualcosa tipo: "Fa paura!"»
«Non è vero!» esclamò lei colpendolo leggermente sul braccio.
Risero entrambi finché Ogura non fece una domanda. «Allora, Erina san. Chi è il tuo preferito?».
Shō non sapeva che fosse una loro fan finché non gliel'aveva detto lei stessa il giorno prima, quindi non aveva idea di quale potesse essere la sua risposta. Durante quegli undici anni di lavoro con gli Arashi, aveva posto più volte quella domanda o l'aveva sentita fare ad altre fan in sua presenza, ma nessuna di quelle volte si era sentito nervoso come quella sera. Infatti, non appena realizzò la domanda che era stata posta, Shō sembrò mettersi sull'attenti e non riuscì a fare finta di niente. Fu più forte di lui: appoggiò la punta delle bacchette sull'okonomiyaki e girò il capo verso la ragazza, per guardarla mentre dava la sua risposta.
Pensò a tutte le risposte possibili: avrebbe potuto dire che era lui, per cortesia nei suoi confronti, perché era presente o perché era vero, o avrebbe potuto dire che preferiva Jun perché era il più gettonato soprattutto in quel periodo che lo si vedeva più spesso degli altri in televisione, ma anche Nino, a cui venivano dedicati molti servizi fotografici dopo la fine delle riprese di Ōoku e la prossima uscita di GANTZ quell'autunno. Tutto si sarebbe aspettato tranne la risposta che, se ci pensava bene, avrebbe dovuto essere la prima a venire in mente anche a lui.
«Il mio preferito?» fece Erina spostando per una frazione di secondo gli occhi su di lui, ma fu tanto veloce che Shō non potè nemmeno essere sicuro che l'avesse veramente fatto. «Aiba chan» rispose infine.

¹ Si riferisce alla finta rasatura che Ninomiya ha usato per girare Ōoku
² Il Cliff Climb è un gioco del programma VSArahi dove ci si deve arrampicare su una parete di sei metri per schiacciare, entro 90 secondi, i pulsanti che corrispondono ad un certo numero di punti
³ Irasshaimase (Bevenuti)
⁴ Løve Rainbow è il trentaduesimo singolo degli Arashi, uscito nel Settembre 2010

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Capitolo 11
*** 10. Beer & Words ***


Perchè farsi scrupoli?
Se l’era chiesto quella sera e se lo chiedeva anche in quel momento, schiacciata dalle persone sul treno in cui c’era ancora meno spazio vitale che alla stazione precedente.
Seguiva gli Arashi praticamente da dieci anni e Aiba chan era sempre stato il suo preferito, quindi perché dire diversamente? Ying le aveva detto che al suo posto avrebbe risposto “Shō”, per il semplice fatto che era presente e sarebbe stato più carino dire così, ma Erina avrebbe potuto anche incontrare gli altri. Quando li avesse visti, se le avessero chiesto chi preferiva, non avrebbe potuto cambiare risposta a seconda di chi aveva davanti. Inoltre, era poco probabile che Shō si aspettasse di sentirla pronunciare il suo nome dato che non la detestava, certo, ma aveva tracciato un preciso limite nel loro rapporto e lei quindi non doveva dimostrargli nessun affetto particolare. Ying non sapeva nemmeno tutta la storia dato che Erina non aveva mai raccontato a nessuno di quando si era innamorata e quasi dichiarata ad Aiba.
Scese dal treno spintonando il resto dei passeggeri e passò la carta ai tornelli per uscire prima di avviarsi lungo il marciapiede. All’incrocio attese il verde per i pedoni, attraversò e si infilò in una viuzza secondaria, rischiando di andare a sbattere contro un passante tanto era distratta. Non avrebbe dovuto arrovellarsi su simili questioni: Shō era solo un collega e il fatto che si fosse innamorata di lui era ormai irrilevante.
Con un sospiro suonò un citofono. «Wave Sound studio»
«Buongiorno, vengo da parte della Johnny's Entertainment. Avevo un appuntamento stamattina»
«Sì, terzo piano» e il portone le venne aperto.
Nell'atrio dell'edificio faceva addirittura più caldo che per strada, il che era tutto dire! Non si era vestita pesante: una camicetta sbottonata, indossata sopra una canottiera di seta rosa che ben si abbinava alla gonna bianca; eppure in quel momento avrebbe voluto strapparsi i vestiti di dosso o, in alternativa, gettarsi in una piscina.
Fissò il proprio riflesso nello specchio dell’ascensore e cercò di capire cosa ci fosse di diverso tra lei e la persona che era stata anni prima. Doveva esserci se allora lui si era dichiarato mentre ora preferiva tenerla lontana, ma dato che non riusciva a trovare nessun difetto tanto terribile da giustificare un simile cambiamento, dovette rassegnarsi ad accettare l’idea che la sua fosse solo sfortuna. A volte la vita non girava nel modo giusto: Shō avrebbe potuto essere intelligente e degno di rispetto già nove anni prima così da poter accettare da subito la sua dichiarazione, oppure lei gli avrebbe potuto rispondere in modo meno sgarbato di modo da non farsi detestare successivamente o, meglio ancora, lui avrebbe potuto rimanere innamorato fino a quel giorno. Invece ogni cosa era successa nel momento sbagliato ed era andata nella maniera peggiore, così lei si ritrovava nove anni dopo innamorata e disponibile a pagare oro purché Shō tentasse nuovamente di baciarla come quel giorno sotto la neve.
Mentre saliva verso il terzo piano si sistemò la frangia nello specchio. Le sembrò di poterselo immaginare lì con lei, vestito in maniera semplice come il giorno prima: a prima vista le era sembrato un ragazzo appena uscito dall'ufficio o un giovane impiegato nel suo periodo di gavetta. Il colpo di grazia gliel’aveva dato l'aria stanca che traspariva dal suo viso. Era normale che, una volta entrata in sala riunioni, le fosse improvvisamente venuta voglia di fargli un massaggio pur di mettergli le mani addosso?
Quando si aprirono le porte una giovane signora dietro il banco dell'ingresso le sorrise nonostante stesse parlando al telefono, allora Erina si decise ad accantonare tutti quei pensieri riguardanti l’affascinante ex-compagno di università per dedicarsi al lavoro.
«Mi scusi, può aspettare un secondo?» disse la donna parlando nella cornetta prima di rivolgersi a lei. «Sheridan Erina san, giusto?» domandò quella alzandosi in piedi ed inchinandosi
«Sì, sono io» rispose inchinandosi a sua volta
«La stanno aspettando nello studio tre: la seconda porta sulla destra del corridoio centrale» le spiegò indicandole la direzione. «Scusi se non l'accompagno»
«Si figuri, posso fare da sola. Grazie mille» si inchinò di nuovo e seguì le indicazioni date.
Doveva concentrarsi, quello era il momento di convincere il direttore della Wave Sound Studio a lavorare con loro per l'impianto audio del Kokuritsu, ma al prezzo che si era prefissa lei. Strinse nelle mani la borsa, con dentro la richiesta di collaborazione, e aprì la porta dello studio tre.
Rimuginare sugli eventi passati non serviva a niente, quel che era stato fatto non era più modificabile. Ne era convinta, ma anche se accettava tutte le mosse sbagliate di allora, i fatti della sera prima avevano fatto nascere nuove domande: le parole che Shō le aveva rivolto dopo cena non le aveva capite e continuava a non capirle.

La sera prima
«Aiba chan» rispose.
Per la prima volta in otto anni non aveva dato quella risposta con la solita sicurezza. Per un secondo le era venuta voglia di guardare Shō in viso e rispondere: "Il meraviglioso uomo al mio fianco"; ma il secondo dopo si era ricreduta e aveva fatto il nome di Aiba, come sempre. Si concentrò sull'okonomiyaki ormai cotto. Aveva fatto bene? Non aveva fatto bene? Ormai era troppo tardi per ripensarci.
«Accidenti che peccato!» esclamò Ogura. «Ti è toccato Sakurai san invece» ridacchiò
«Vero, che incredibile sfortuna» annuì con decisione Kimura
«Ehi, un attimo!» esclamò Shō. «Cosa significa? “Peccato”? “Sfortuna”?» domandò aggrottando le sopracciglia. I due colleghi ridacchiarono. «Aiba chan non sa niente di economia e finanza, in più è un pasticcione, smemorato e ritardatario» spiegò lui senza cambiare espressione. «Non dico di essere un genio, ma io ho una laurea in materia, ho poco lavoro rispetto ad altri membri in questo periodo e cerco di essere il più preciso possibile» spiegava, ma improvvisamente si bloccò.
Anche Erina aveva alzato lo sguardo e lo osservava insieme agli altri due, allibita: sembrava che si fosse arrabbiato, possibile? «E mi sono appena vendicato delle vostre cattiverie!» esclamò Shō il secondo dopo, mettendosi a ridere. «Dovreste vedere le vostre facce!».
I colleghi si rilassarono e lo rimproverarono di averli spaventati, poi, per festeggiare, ordinarono delle altre bottiglie di birra. «Kanpai!» esclamarono tutti e quattro in coro mentre colpivano i rispettivi bicchieri.
«Certo che siamo un team spaventoso» osservò Kimura sorseggiando la birra. «Voglio dire: due laureati alla Keio, un esperto come Ogura san»
«Ma lei, Kimura san, ha molta più bravura di me nel destreggiarsi con il regolamento della Johnny's Entertainment. Ha tanti agganci nell'agenzia da riuscire ad ottenere sempre tutto quello che vuole da chiunque» spiegò il collega
«È molto che lavora all'agenzia?» domandò Erina
«Abbastanza. Ormai credo siano diciassette o diciotto anni. Ma prima ho fatto circa dieci anni come manager, è per quello che conosco anche molti manager che oggi ancora lavorano come tali: sono stati miei kōhai» spiegò lui
«Sì, mi ricordo vagamente» annuì Shō, finendo la sua porzione. «Ha smesso di fare il manager qualche anno dopo il nostro debutto vero?»
«Esattamente» annuì quello. «Sono passato al lavoro da ufficio. Ogura san invece ha sempre lavorato nel campo dei concerti, pur non facendo mai da manager»
«Vero, anche se lavoro in questo campo da molto tempo, non sono molti anni che mi hanno assunto alla Johnny's. Prima lavoravo per un'etichetta indipendente e in quei casi il pubblico è così di nicchia rispetto al grande mondo dello spettacolo che bisogna fare grossi sacrifici e lavorare il doppio per sudarsi ogni copia venduta ed ogni spettatore ai concerti»
«Sembra difficile, ma anche divertente. Come è finito nell'agenzia quindi?» chiese Erina
«Fu per il primo concerto degli Arashi al Kokuritsu: dovevano riempirlo tutto e doveva essere un successo, non erano ammesse sconfitte. Avevano bisogno di più personale e mi chiesero di entrare in agenzia. Ero solo uno dei tanti del team e dopo quella volta ho sempre lavorato per concerti di altri gruppi» spiegò Ogura con un sorriso intenerito a quei ricordi. «La verità è che gli Arashi ormai hanno bisogno di ben poca pubblicità, però questo è il primo album dopo il decimo anniversario e l’agenzia ci tiene che abbia dei buoni numeri, così, dopo anni in seconda fila, quest’anno è la prima volta che mi mettono a capo della campagna pubblicitaria»
«Oggi, rispetto al primo concerto, è tutta un’altra storia però: allora bisognava incoraggiare il pubblico e indirizzarlo, mentre ormai, per assurdo, sarebbe più difficile ottenere l’utilizzo del Kokuritsu per più date invece che il pubblico per riempirlo» aggiunse Kimura
«Vero, se pure facessimo dieci giorni lì dentro credo che i ragazzi lo riempirebbero completamente per ognuna delle giornate» annuì Ogura guardando Shō.
Erina sorrise a quelle parole: in quanto fan non poteva che essere felice che gli sforzi e la bravura degli Arashi fossero indiscussi. Quando sbirciò il viso di Shō lo vide che stava arrossendo mentre appoggiava il suo bicchiere vuoto sul tavolo.
«In più siamo affiancati da due laureati della Keio, insomma cosa potremmo chiedere di più?» domandò Ogura
«Esatto, rendiamo questi concerti indimenticabili. Un altro giro e un altro brindisi!!» propose Kimura richiamando la cameriera.
Dopo sette brindisi e cinque okonomiyaki a testa uscirono dal locale che era l'una passata: erano stati quasi cacciati fuori per poter chiudere.
Dopo il quarto boccale i tre uomini al tavolo erano diventati sufficientemente alticci perché non si accorgessero che il bicchiere usato da Erina nei seguenti brindisi era sempre lo stesso: l'alcol aveva fatto effetto anche su di lei, ma la lucidità era stata sufficiente ad attuare il suo solito stratagemma per non bere più. Anche di okonomiyaki ne mangiò solo due: il terzo lo rovinò involontariamente rovesciando la birra sulla piastra, il quarto lo passò, pezzo per pezzo, dalla parte di Ogura quando nessuno la guardava e il quinto era in realtà composto da pezzi del secondo che si era tenuta in un angolo della piastra per rimetterli in bella vista spacciandoli per appena fatti. Troppe ne aveva passate in quelle feste d'ufficio per ripetere gli stessi errori negli anni e poi il giorno dopo aveva degli incontri importanti per dei contratti e non poteva presentarsi con i postumi di una sbornia o di una notte passata in bianco per il mal di stomaco.
Quando uscirono dal locale Ogura quasi non si reggeva in piedi, Kimura e Shō sembravano reggere l'alcol meglio di lui, ma il secondo era decisamente messo peggio del primo. Probabilmente Shō non poteva permettersi di alzare il gomito tante volte da abituarsi a bere più di quanto fosse invece possibile a Kimura.
«Ci penso io a riportarlo a casa» sospirò quest’ultimo, sorreggendo il collega.
«Ci vediamo domani in ufficio» li salutò per poi fermare un taxi
«Dovrò trovarne uno anche io» sospirò Erina guardando il suo cellulare. «Ormai ho perso l'ultimo treno e la batteria di questo affare non reggerà per fare una telefonata» fece stizzita. La testa le girava, si sentiva le palpebre pesanti e i pensieri ancora confusi. «Da che parte è la stazione?» domandò a Shō che si era appoggiato con la schiena contro un palo e respirava a fondo l'aria umida e appiccicosa della notte estiva tokyota
«Forse a destra, o a sinistra» farfugliò guardando la strada ormai deserta in cui si trovavano. «Sinceramente, in questo momento non riesco a ricordare nemmeno da che parte siamo arrivati»
«Ottimo, nemmeno io, per questo speravo in te» sospirò passandosi una mano sugli occhi.
Nella mente leggermente offuscata dall’alcol si fece spazio il timore di rimanere da sola in un quartiere che non conosceva e cominciò a preoccuparsi nonostante l'intontimento dato dalla birra.
«Ecco» fece d'improvviso Shō staccandosi dal palo, mentre una multipla dai vetri oscurati si fermava a pochi metri da loro. Si incamminò, non proprio in linea retta, verso la vettura e quando aprì la portiera si voltò verso di lei. «Beh, non vieni?» domandò aggrottando le sopracciglia
«Io?» domandò sgranando gli occhi ed indicandosi
«Non mi pare ci sia nessun altro in questa via oltre a me e te» rispose lui
«Ma non devi scomodarti» cominciò a dire. Ancora prima che aprisse bocca, la sua fantasia, incoraggiata dalla bevuta, aveva messo la quinta e imboccato l'autostrada dell'immaginazione ignorando tutti i limiti di velocità: questo implicava un sovrapporsi di immagini che prevedevano loro due, soli, ubriachi, in una macchina e con molti meno vestiti di quanto non ne indossassero in quel momento.
«Su, poche storie, sali. Non voglio rimanere qui un minuto di più» le disse con decisione facendo un paio di passi per raggiungerla, passarle il braccio dietro le spalle e spingerla letteralmente verso la macchina.
Erina trottò fino alla portiera. «Grazie» farfugliò. L’imbarazzo le faceva sentire ancora più caldo.
«M-mh» mormorò Shō facendo il giro della macchina e salendo dalla parte opposta.
Entrò in macchina, ancora brilla, e sentì irrigidirsi tutti i muscoli delle spalle per la confusione e la tensione improvvisa: se fosse stata un uomo avrebbe sicuramente dato un passaggio ad una collega, per educazione e per non lasciarla sola a quell'ora, quindi non capiva come mai si stesse agitando tanto. Shō non le stava proponendo niente di equivoco, l’avrebbe solo accompagnata a casa e quel pensiero la rattristò. Probabilmente era l’unica a sperare in una conclusione di serata che prevedesse lei, lui e un lenzuolo.
Arrabbiata per aver avuto una speranza tanto sciocca, afferrò con decisione la portiera e la tirò verso di sé per chiuderla. L’attimo successivo imprecò ad alta voce, mordendosi le labbra per censurarsi. Frastornata dal dolore improvviso, non riuscì a capire come si era fatta malea, ma doveva essersi appoggiata con una mano alla macchina mentre si sporgeva ad afferrare la maniglia della portiera e così se l’era chiusa sulle dita, sbattendoci contro anche il naso, dimenticando di tirarsi indietro. Quello e la birra versata sul tavolo coronavano la collezione di pasticci per quella sera.
«Che diavolo è successo?» domandò Shō guardandola dalla parte opposta del sedile e parlando con voce cantilenante
«Niente, niente» farfugliò tenendosi le mano dolorante nell'altra e appoggiando il naso ad entrambe: che figura da imbecille che stava facendo!
«Non direi, ti sei chiusa le mani nella portiera?» domandò scivolando sul sedile per avvicinarsi.
Quando lo sentì prenderle le mani per darle un'occhiata rialzò lo sguardo con le lacrime agli occhi. «Ho anche sbattuto il naso» mugugnò
«Non hai rotto il vetro vero?» domandò Shō ridacchiando mestamente mentre le teneva la mano nel suo palmo e le muoveva le dita controllando che non fossero rotte
«Disgraziato insensibile» sibilò tirando su col naso
«Scherzavo, scherzavo. Non ti fa male a muoverle?» e in risposta lei scosse il capo. «Allora, tu cerca di ricordare il tuo indirizzo, mentre io tento di ricordare dove ho messo lo zaino. Ho del ghiaccio lì».
Mente Erina comunicava l'indirizzo del suo appartamento Shō si ribaltò sui sedili in seconda fila, arrivando a sporgersi nel bagagliaio. Quando, barcollante, tornò sul loro sedile, aveva con sé una bustina piena di liquido. Lo vide piegare qualcosa contenuto al suo interno e questo rapidamente si cristallizzò.
«Voilà!» disse riprendendole la mano e mettendole il ghiaccio sulle dita. «Dato che la mia elasticità lascia spesso a desiderare, capita che io mi prenda qualche storta, soprattutto durante VSArashi, allora vado sempre in giro con alcune di queste» spiegò lasciandola curarsi le dita da sola e mettendosi seduto meglio sul sedile mentre l'auto si metteva in moto.
«È la variante fredda dei sacchetti caldi per l'inverno?» domandò lei ancora troppo brilla per cancellare dalla sua voce quel timbro da cucciolo ferito
«Non credevo te li ricordassi» fece Shō. Sembrava stupito mentre sprofondava nel sedile e chiudeva gli occhi sospirando profondamente.
«E invece sì» fece ancora lei.
Staccò gli occhi dalle dita ferite, tenendo il ghiaccio sopra di esse, e spostò la sua attenzione sul profilo del ragazzo immerso nella penombra. Le luci fuori dai finestrini erano opache e gli illuminavano la pelle del viso ogni volta che attraversavano il quadro del finestrino. L'unico rumore che Erina sentiva nell'abitacolo era il ronzio del motore e il battito del proprio cuore che le rimbombava nelle orecchie.
Le tremavano le mani, ma non sapeva se era un effetto collaterale della birra o se era perché continuava a chiedersi cosa sarebbe successo se avesse lasciato perdere il ghiaccio e lo avesse baciato. Magari si sarebbe arrabbiato e l’avrebbe fatta licenziare, ma almeno avrebbe provato. Accarezzando quell’ipotesi, si perse nei suoi stessi pensieri, socchiudendo le labbra mentre esplorava il corpo del ragazzo con lo sguardo: la curva del naso, il profilo delle sue labbra, il collo fuori dalla camicia di cui aveva slacciato i primi due bottoni, il petto muscoloso, la pancia che si alzava e si abbassava lentamente con il respiro, il ventre piatto. Sarebbe bastato un briciolo di coraggio o un po’ di sfacciataggine e avrebbe potuto sfiorargli le labbra, o anche solo toccargli il viso o accarezzargli i capelli.
Non importava quanti viaggi mentali si facesse, nella realtà non stava muovendo un muscolo. Arrossì a quei pensieri e proprio in quel momento Shō aprì gli occhi e la fissò. Si rese conto solo allora di essere rimasta a fissarlo con le labbra schiuse e l'aria sognante e sperò che la semioscurità dell'auto l’avessero nascosta.
«Che stai facendo?» domandò il ragazzo con aria sconvolta, mettendosi a sedere composto sul sedile e sgranando gli occhi
«Niente» balbettò mentre abbassava lo sguardo e il suo cervello interrompeva tutte le comunicazioni: le figuracce per quella sera non erano ancora finite?
«Macchè niente» fece frugando nello zaino. «Alza la testa, forza!» esclamò mettendole una mano sotto il mento. Lo vide avvicinarsi e, presa dal panico, serrò gli occhi e strinse le labbra, terrorizzata. Il secondo dopo sentiva che Shō le premeva un fazzoletto sul naso. «Tieni alta la testa, guarda dritto davanti a te» le diceva.
Stava perdendo sangue dal naso e quando lo realizzò si sentì le lacrime agli occhi. Cos'era peggio: venir scoperta mentre lo fissava con l'aria imbambolata o farsi fermare il sangue dal naso dalla persona che ci piace?
Lentamente riaprì gli occhi e si ritrovò a guardare da vicino il viso di Shō, tutto preso a fermarle il sangue. Si mordicchiava il labbro inferiore e aveva uno strano cipiglio.
«Sei arrabbiato?» domandò a bassa voce, da sotto il fazzoletto. Quello sembrò distendere la propria espressione e spostò gli occhi dal naso ai suoi occhi.
«Dovrei?» domandò
«Perché mi ricordo dello scaldamani» spiegò
«Perché dovrei essere arrabbiato se ti ricordi di quella cosa?»
«Perché hai detto che dovevo cancellare dalla mia testa il fatto che già ci conoscessimo» gli rispose
«Credevo avessi bevuto solo tre bicchieri!» esclamò lui, ridendo in maniera improvvisamente allegra e poi tornando a guardarla seria. Quegli sbalzi d'umore così repentini facevano impressione: era così che diventava Shō da ubriaco? «Non sono arrabbiato perché ti ricordi lo scaldamani» la rassicurò togliendole il fazzoletto da sotto il naso. «Si è fermato. Dev'essere stata la botta di prima» le fece osservare
«Grazie» disse togliendogli il fazzoletto di mano: tutto gli avrebbe lasciato tranne quel pezzo di carta insanguinato!
Erina sospirò e si appoggiò meglio al sedile con la schiena, poi si accorse che Shō era rimasto seduto al suo fianco, la schiena ben dritta e lo sguardo su di lei. «Cosa?».
«Niente» Shō sospirò passandosi una mano sugli occhi e appoggiando il gomito al sedile davanti a lei. «Puoi ricordarti tutte le stupidate che vuoi, non devi dimenticare ogni cosa. Non è quello che voglio» tentò di spiegarsi tornando a guardarla
«E cosa vuoi?» domandò strabuzzando gli occhi, confusa.
Il ragazzo prese un respiro profondo e le si avvicinò. Erina si irrigidì completamente: quell'uomo le si stava avvicinando come per baciarla e quel dialogo assurdo rese quel gesto ancora più incomprensibile. Ma lui si bloccò mantenendo i loro visi a pochi centimetri di distanza.
«Per la verità avrei voluto dimenticassi tante cose, cose che ritenevo fosse importante dimenticassi. È che mi sono pentito di quel che ho fatto, di come mi sono comportato, per questo te l'ho chiesto. Ma mi rendo conto che ormai quel che è fatto è fatto e non si può tornare indietro». La guardava tanto seriamente e parlava con un tono di voce tanto duro che il pensiero di poter essere baciata venne improvvisamente scartato, sembrava quasi minaccioso. «Se potessi decidere anche una sola cosa tra le tante che avrei voluto cancellare nel nostro passato. Beh, almeno quella, sì: sceglierei quella tra tutte» aggiunse pensieroso.
La ragazza cedette per qualche secondo e abbassò gli occhi ad osservargli le labbra, tanto vicine che avrebbe giurato di poter sentire il suo respiro sulle guance. «Capisco» pronunciò guardando altrove.
Sapeva perfettamente di cosa stava parlando: della sua dichiarazione. Poteva ricordarsi del suo passato da imbecille, delle sue insignificanti avventure con le ragazze dell'università, ma quel che lui voleva veramente era che si dimenticasse di ciò che le aveva detto sotto la neve.
Erina si morse il labbro inferiore per trattenere la tristezza che sentì riempirla improvvisamente: voleva proprio cancellare tutto e per lei non c'era alcuna speranza.
«Capisci? No, non credo proprio» scosse il capo Shō e si allontanò con un gesto seccato, rimettendosi comodo sul sedile, di nuovo distante. «Mi ero detto che impegnandomi seriamente sarei riuscito a cancellare ogni cosa io stesso. Invece stasera sono stato male quanto lo ero stato anni fa: non è cambiato niente da allora, nemmeno per te, e non ne avevo tenuto conto. Non ho tenuto conto dei tuoi sentimenti e se contro di essi non ho potuto fare niente in passato, come potrei fare qualcosa adesso? Sono passati nove anni» mugolò lui portandosi una mano alle labbra, con aria pensierosa e afflitta insieme. «Quanto può aumentare l'affetto con il tempo?».
Ci furono due minuti buoni di silenzio ed Erina ebbe il tempo di aggrottare le sopracciglia, confusa: cosa stava dicendo? Non le sembrava si riferisse alla sua dichiarazione, ma non riusciva a capire le sue parole. Aprì la bocca per esclamare un “Eh?”, ma la macchina si fermò in quel preciso istante: erano davanti all'edificio di casa sua.
L'autista la salutò, ma Shō era ancora immerso nei suoi pensieri. La ragazza attese che lui si muovesse, ma non accadde nulla. «Otsukaresama deshita» gli disse a mezza voce e Shō semplicemente alzò gli occhi su di lei, chinando impercettibilmente il capo. Erina aprì la portiera, lasciò il ghiaccio sul sedile ed uscì dalla macchina.
Cos'era appena successo in quella macchina?

Uscì dallo studio tre con un sorriso trionfante: aveva strappato un accordo più che vantaggioso per l'impianto audio da allestire al Kokuritsu. Non era più la stessa impresa degli altri anni ed Erina si era prefissata di negoziare con quella nuova per un contratto di collaborazione più vantaggioso del precedente. Era stata dura, ma era riuscita a far rientrare nell'accordo molti più servizi di quanti non fossero stati concordati negli anni precedenti.
Mentre tornava in ufficio ad Akasaka tornò alle sue elucubrazioni e ora poteva dedicarvisi senza problemi.
Quel giorno lei e Shō non si sarebbero visti: la mattina lei era stata occupata e nel pomeriggio lui e il gruppo avevano la prima parte delle registrazioni del PV di Løve Rainbow.
La sera prima era rimasta sul marciapiede impalata come una cretina a rimuginare sulle ultime parole del ragazzo, poi aveva desistito: pensava di non riuscire a capirne il senso per via dell'alcol, invece non le capiva nemmeno in quel momento in cui era perfettamente lucida.
Mentre viaggiava sulla Yamanote¹ per tornare verso l’ufficio, si convinse a trovare il modo di chiedergli cosa avesse voluto dire. Il problema era quando. Non solo non l’avrebbe visto quel giorno, ma nemmeno quello successivo: la mattina i ragazzi avrebbero avuto un servizio fotografico per il nuovo numero di Mini act e nel pomeriggio per lui c’era la riunione di NEWS ZERO. Sabato e domenica l'ufficio non lavorava e il Lunedì successivo Shō avrebbe lavorato dalle sette di mattina fino a sera con la diretta del telegiornale, mentre martedì erano previsti dei servizi fotografici al mattino e le registrazioni di Himitsu al pomeriggio.
Presa dal panico scorse l'agenda e il primo giorno in cui quel ragazzo aveva una mezza giornata libera sarebbe stato il 5 Agosto, ossia il giovedì successivo.
Appoggiando la fronte al vetro freddo delle porte della metro, unica consolazione in quella calura, dovette arrendersi davanti all’idea che sarebbe rimasta con il dubbio per una settimana.

¹ La Yamanote è la linea circolare della metropolitana di Tōkyō

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Capitolo 12
*** 11. Looking at you. But you? ***


Shō scese dalla macchina con i vetri scuri ed entrò nel palazzo sbadigliando.
«Wow! Credo di aver visto l'inizio del tuo intestino» fece notare Nino ridacchiando.
Arrivavano entrambi in quel momento all'edificio dove i fotografi di +act.mini avevano prenotato uno studio per il loro servizio.¹
«Scusa, è che sono veramente a pezzi» farfugliò il ragazzo allargando le braccia per stiracchiarsi. «Arrivi ora?»
«Sì, ero insieme ad Ō chan» annuì mentre varcava la soglia e teneva aperta la porta anche per l'amico. «Ma è scattato fuori dal taxi non appena siamo arrivati: ha detto di aver trattenuto la pipì tutto il tempo della diretta radio» ridacchiò
«Ma non poteva andare durante un pezzo musicale?» domandò Shō sgranando gli occhi
«Lo conosci» scosse il capo Nino. «Ha paura di non tornare in tempo per la fine del pezzo»
«E per quanto tempo dovrà mai pisciare?» rise anche lui
«Ma che ne so, lui e le sue fisse!».
Nino si zittì per inchinarsi quando ormai erano vicini al loro studio, dove i lavoratori attendevano davanti alla porta. «Ohayō gozaimasu» salutarono quelli
«'zaimasss» pronunciarono i due membri degli Arashi, in coro
«Siete arrivati finalmente!» esclamò Jun spuntando dalla porta del set fotografico: era già vestito, truccato e acconciato.
«Da quanto sei qui?» domandò Shō dandogli una pacca amichevole sulla schiena
«Circa un'ora» rispose l'altro con un sorriso, salutando anche Nino. «Alle undici devo essere sul set del drama»
«Sei qui dalle cinque e mezza?» chiese Nino sbalordito
«Finiremo alle dieci, ottimisticamente parlando» fece notare Shō mentre entravano tutti nella sala del set fotografico. «Come fai in un’ora ad arrivare alle riprese, vestirti per la scena, truccarti e prepararti?»
«Concluderò prima qui. Se mi date quindici minuti finisco le foto singole. Voi preparatevi così facciamo quelle di gruppo e poi me la svigno» spiegò con serietà. «Shō kun» lo chiamò poi, prima di rientrare nello studio. Aveva l’aria preoccupata. «Hai una cera orribile» gli disse solamente, quindi li salutò e tornò sotto i riflettori.
Ōno li raggiunse in quel momento. «Buongiorno Shō kun»
«Jun ha ragione, hai una faccia orrenda» annuì Nino. «Vero Rīdā?»
«Mh» annuì leggermente. «Hai dormito poco?»
«Ha bevuto tutta la sera con il team di organizzazione per il concerto» spiegò Aiba comparendo in corridoio, anche lui abbastanza insonnolito. «Devi spiegarmi con quale coraggio ti dai alla pazza gioia se il giorno dopo devi alzarti alle cinque per lavorare tutta la mattina» scosse il capo
«Ma piantala» sbuffò Shō. «A te bastano i primi due minuti di scatti per svegliarti e poi cominci a saltellare dappertutto e a parlare di continuo. Se ti liquefacessimo saresti l'energy drink più efficace del mondo»
«Ti promuoverei volentieri» disse Nino. «Scommetto che sei meglio di quello per cui faccio la pubblicità ultimamente»²
«È al cioccolato vero? Buono» sospirò Masaki
«Se Aiba chan fosse un energy drink, sarebbe al gusto di karaage» annunciò Nino
«Che schifo» Satoshi si mise a ridere. Intanto sistemarono le loro cose in camerino e cominciarono a prepararsi.
Sebbene avrebbe dovuto far più attenzione all’alcol, Shō non si pentiva di essere uscito la sera prima. Se non faceva baldoria quando gli andava, pur ignorando l'impegno successivo, non avrebbe mai trovato il momento adatto. La sua vita era così.
Ad ogni modo doveva convenire di aver esagerato la sera prima, perché la brutta cera che altri gli dicevano di avere era dovuta al fatto che aveva ancora la nausea. Oltretutto aveva dei ricordi confusi di quella cena coi colleghi.
Aiba gli si avvicinò. «Shō kun» lo chiamò. Era già vestito e pronto per il servizio: a quanto pare si era sbagliato, bastavano due minuti di preparazione per svegliarlo, non di scatti. «È una mia impressione o ultimamente Matsujun sembra se stesso solo quando si concentra sul lavoro?»
«Jun è sempre se stesso con noi. È solo che sei abituato a vederlo allegro quindi quando non lo è ti vengono i dubbi» spiegò Shō mentre metteva i vestiti per il servizio. «Ultimamente sorride solo sul lavoro, mentre a riflettori spenti no. Per questo hai quell’impressione: perché cambia totalmente» annui stringendo la cintura dei pantaloni. «Ma è sul set che non mostra il suo vero stato d’animo, mentre con noi è sempre se stesso: davanti al gruppo non finge, è triste e come tale si mostra. È chiaro ora?» domandò mettendo la camicia nei pantaloni
«Sì. È che vorrei fare qualcosa per lui, ma forse posso solo stargli vicino» fece spallucce Aiba ed entrambi lasciarono i camerini per dirigersi al set fotografico. «Fortunatamente negli ultimi tempi è il più impegnato di tutti e ha a malapena un attimo di respiro. Penso sia più facile per lui distrarsi, no? Quanto tempo ci vorrà perché gli passi questa sua tristezza?»
«Non ne ho idea» scosse il capo Shō, spostando gli occhi sul giovane che posava per le foto con aria seria e concentrata. «Ma temo sia passato troppo poco tempo. Il dolore è ancora troppo vicino».
Avevano tre ore, dalle sette alle dieci, per fare tutte le foto e Jun doveva scappare il più rapidamente possibile. Anche Shō non aveva tempo da buttare dato che nel pomeriggio aveva la riunione di NEWS ZERO.
Verso le nove fecero finalmente una pausa. I cinque ragazzi si lasciarono andare sulle sedie, stanchi per la levataccia mattutina e provati dalle prime due ore di fotografie: avevano fatto un centinaio di scatti, ma ne avevano ricavati appena cinque sufficientemente buoni da poter essere usati.
Jun, come ormai faceva da quasi un mese, si mise in disparte a leggere un libro e a bere da una bottiglietta d'acqua a piccoli sorsi. Ōno stava piegato su un tavolo a scarabocchiare sul suo taccuino mentre ascoltava la musica del suo lettore MP3, Nino si dondolava sulla sedia tenendola in bilico appoggiandosi al muro con la schiena, mentre Shō stava frugando nel suo zaino, tirando fuori tutto quello che aveva dentro.
«Che stai facendo?» domandò Nino
«I fogli di NEWS ZERO. Credevo di averli lasciati a casa, ma mia madre mi ha appena mandato una mail: in camera mia non ci sono» spiegò sbuffando mentre finiva di svuotare lo zaino di tutto ciò che conteneva, senza trovare i documenti che cercava. Non solo non ricordava niente della cena, ma era ancora talmente provato che non era nemmeno sicuro di aver preso quei fogli prima di uscire dall'ufficio.
Si sedette sul pavimento del camerino e si stropicciò gli occhi. «Maledizione, dove li ho messi?» borbottò
«Ma quando hai bevuto ieri sera?» domandò l'altro prendendolo in giro
«Shō kun, Shō kun» lo richiamò Aiba accovacciandosi al suo fianco ed abbassando la voce. «Jun sta di nuovo leggendo quel libro. Credo sia la terza volta in meno di un mese che lo ricomincia» gli fece notare sconsolato.
Nino e Shō si girarono a guardare l'amico che prendeva ancora un sorso d'acqua e girava la pagina. Era un libro sul periodo Tokugawa. Sempre lo stesso.
«Cosa vorresti fare?» sospirò l'altro. «L'ho invitato ad uscire a bere più volte o a seguirmi quando andavo fuori con gli amici, ma non ha mai accettato»
«Però parla sempre del drama, vero?» chiese Aiba
«Sì, ne ha parlato con entusiasmo anche con me» annuì. «Il lavoro lo rasserena»
«Magari con l'inizio dei concerti si riprende» suggerì Nino a mezza voce, riportando la sedia a terra e appoggiando i gomiti sulle ginocchia per piegarsi verso gli altri due. «Sapete com'è fatto, una volta che sta su un palco cambia completamente»
«Ci vogliono ancora due settimane prima dell'inizio del tour, come facciamo ad aspettare fino ad allora?» domandò Aiba scuotendo il capo
«E non abbiamo nemmeno una trasmissione dove andare ospiti in questo periodo» fece notare Shō. «Basterebbe cantare, aiuterebbe penso»
«Allora cantiamo, maledizione» replicò Masaki arricciando le labbra, deciso a non arrendersi. Si alzò in piedi e, avvicinandosi ad Ōno, gli tolse un auricolare dall'orecchio per ascoltare a sua volta.
«Che c'è?» domandò quello, alzando lo sguardo dai suoi disegni
«La conosco. Cos'è?» domandò Aiba
«È finita» fece notare Satoshi. «La prossima è degli Aerosmith»
«Il Rīdā ascolta musica straniera» fece notare Shō. «Sicuro di volerla cantare?» domandò conoscendo le scarse capacità di pronuncia di Aiba
«Sì. Rīdā dacci il via» propose Masaki
«Cantare?» domandò questo trattenendo una risata. «Ora?» gli altri due annuirono quindi il ragazzo prese gli auricolari e li mise nelle mani. Le chiuse, anche se non del tutto, ma quanto bastava per ampliare il suono con il volume del lettore alzato al massimo.
«Tu non avevi dietro la chitarra?» domandò a Nino prima che la canzone cominciasse. L'altro annuì e si alzò dalla sedia per andare a recuperare lo strumento mentre il più grande cominciò a cantare con le labbra chiuse l’inizio del pezzo.
Bastò poco perché Nino capisse che canzone fosse e si unì cominciando a strimpellare sulle corde.
«Workin' like a dog for the boss man» attaccò Ōno
«Wooh!» urlò Shō, che cominciò a battere il tempo sulla sedia in plastica
«Workin' for the company» cantò Nino
«Wooh yeaaah!» si intromise ancora Shō e fece segno ad Aiba di mettersi vicino a lui e seguirlo
«I'm bettin' on the dice I'm tossin'» cantarono gli altri due
«Wooh!» Masaki si unì all'amico nel coro
«I'm gonna have a fantasy»
«Wooh yeah!»
«But where am I gonna look? They tell me that love is blind. I really need a girl like an open book, to read between the lines!»
«Love in an elevator!» cantarono tutti e quattro insieme con Nino che cominciava a suonare con più decisione la chitarra ricordando meglio gli accordi del ritornello. «Livin' it up when I'm goin' down! Love in an elevator, Lovin' it up till I hit the ground!».
Mentre cantavano la seconda strofa, Jun alzò lo sguardo dal libro: ormai cantavano tutti e quattro convinti, anche se ogni tanto le parole erano piegate dalle risate perché Aiba non conosceva la canzone e tentava di star loro dietro come meglio poteva. Quando cominciò a capire la scena davanti a sé, il quinto membro sorrise divertito e vide Masaki fargli segno di unirsi mentre tutti in silenzio ascoltavano l'assolo di Nino.
«Love in an elevator! Livin' it up when I'm goin' down!» ripresero a cantare il ritornello. «Love in an elevator, Lovin' it up till I hit the ground!» Ōno fece un cenno a Jun per dirgli di seguirlo quando riprendeva a cantare.
«Gonna be a penthouse pauper» dissero
«Wooh!»
«Gonna be a millionare»
«Wooh yeah!!»
«I'm gonna be a real fast talker and have me a love affair» i ragazzi continuarono a cantare insieme, mentre Nino sembrava esaltarsi sempre di più con la chitarra e Shō abbandonò il coretto con Aiba, che ormai aveva capito come funzionava, per tamburellare sulla sedia con il dito e sul tavolo con una penna.
«Love in an elevator! Livin' it up when I'm goin' down! Love in an elevator...» cantarono tutti e cinque insieme, ma proprio in quel momento la porta si aprì e comparve il primo assistente del fotografo.
Tutti si zittirono improvvisamente. «Scusate, disturbo?» domandò questi con lo sguardo sorpreso al trovare i cinque Arashi radunati in un angolo del camerino: Ōno con un lettore acceso, ma senza ascoltarlo, Nino seduto con la chitarra in mano, Jun in piedi che si era persino messo ad atteggiarsi per imitare Steven Tyler, Aiba e Shō a terra e il secondo aveva appena smesso di tamburellare sulla mobilia.
«No, no» fece Jun arrossendo insieme ai compagni
«Stiamo per ricominciare» annunciò quello e fece per andarsene. «Sakurai san, in studio c’è una persona che dice di avere dei documenti per lei» aggiunse prima di richiudere la porta.
I cinque si rilassarono per due secondi, in silenzio, quindi qualcuno cominciò a ridacchiare sommessamente e gli altri cercarono di trattenersi.
«Cantiamo davanti a migliaia di persone di solito» fece osservare Nino
«Ma mi sono vergognato da morire davanti a quell'unico assistente» ridacchiò Jun
«Anche io!» esclamò Masaki alzandosi da terra. «Ma non si bussa più? Che vergogna» sospirò
«Stavo addirittura facendo la batteria contro il tavolo» rise Shō rimettendo a posto la penna ed alzandosi. «Andiamo che è meglio»
«Siamo pessimi» scosse il capo Satoshi aprendo per primo la porta. Erano stati ridicoli e forse gli assistenti avrebbero riso di loro, ma quello che contava era che Jun aveva sorriso con loro e che sarebbero rimasti al suo fianco e di chiunque del gruppo ne avrebbe avuto bisogno.
Lo studio era di nuovo pieno di persone e i ragazzi tornarono a concentrarsi sul lavoro. Le truccatrici si avvicinarono e li risistemarono uno alla volta, asciugando loro il sudore e ritoccando il fondotinta. «Sakurai san, i documenti» gli venne ricordato da una voce
«Sì, arrivo» rispose, attendendo che avessero finito con lui. Si sistemò il colletto del vestito per il servizio e si voltò verso l'entrata.
Improvvisamente cadde nel panico: Erina era lì, vicina alla porta dello studio, e quando i loro occhi si incontrarono lei gli sorrise lievemente e gli fece un cenno con il capo. Shō si dimenticò dei fogli e cominciò ad agitarsi chiedendosi se non fosse lì per qualche sciocchezza successa la sera prima: ricordava di averle dato un passaggio e che si è fatta male, poi aveva il vuoto.
Mentre le si avvicinava ricordò anche di averla guardata da vicino, ma se l’avesse baciata lei non gli avrebbe sorriso, non sarebbe andata fin lì e, soprattutto, non sarebbe sembrata così tranquilla. Quando ancora non l’aveva raggiunta, diede una rapida occhiata alla sua figura: non aveva agito in maniera sconsiderata la sera prima e non sapeva se essere fiero di se stesso o darsi del fesso per non aver approfittato dell'alcol.
La giovane indossava un paio di jeans neri meravigliosamente attillati e una canottiera in seta azzurra che si accostava bene al colore dei suoi capelli, ancora una volta raccolti in una coda alta sulla nuca.
«Buongiorno Sakurai san» salutò la ragazza
«Eh... ah!» balbettò lui ancora perso nei suoi dubbi e nel suo contemplarle il viso
«Ancora due foto di gruppo!» esclamò Aiba alle sue spalle, buttandogli le braccia al collo. «Non credere di scappare».
Shō tossì, semi soffocato dall'amico.
«Aiba chan, se lo uccidi come facciamo dopo?» venne richiamato da Jun
«Ehi, ci conosciamo?» domandò il ragazzo, rimanendo appeso al collo di Shō. Questi rimase pietrificato: possibile che Masaki, uno che non ricordava nemmeno cos’aveva mangiato la sera prima, potesse invece ricordarsi di una persona che aveva visto appena due volte in vita sua e addirittura nove anni prima? Quel che era peggio, era che Aiba era ancora il membro preferito di Erina, quindi se lui si ricordava di allora, lei ne sarebbe stata più che felice. Poteva vedere chiaramente lo sguardo allibito della ragazza che aveva davanti, ora completamente concentrato a guardare Aiba invece che lui.
«Più o meno» accennò Erina abbassando lo sguardo davanti ad Aiba
«Hai un viso familiare, quindi credo di averti già visto, ma non saprei dire dove» rifletté il ragazzo lasciando andare il collo di Shō
«Aiba chan, questa è Sheridan Erina san, era una mia compagna di università» spiegò lui cercando di nascondere l'amarezza che provava e mantenendo la cortesia prevista in quel frangente. «Attualmente è l'impiegata dell'azienda che si occupa dell'organizzazione del nostro nuovo tour»
«Erina, ma certo! L'università! Era una tua festa di compleanno, vero?» fece Masaki cominciando a ricordare. «Scusami. Avevo l’impressione di aver già visto qualcuno con i capelli come i tuoi. Accidenti come sei cambiata!» anche lui la squadrò
«È normale, sono passati tantissimi anni» rispose lei scuotendo il capo. «Anche tu sei cambiato. E poi qualcosina la ricordavi, quindi sono soddisfatta, non devi scusarti» annuì con decisione
«Bene, sono salvo» ridacchiò il ragazzo, quindi diede una pacca sulla spalla a Shō. «Muoviti che stiamo aspettando te»
gli disse
«E te! Vi volete sbrigare?!» strillò Nino dal set, seccato.
Shō deglutì con difficoltà. «Ho poco tempo, è successo qualcosa? Oggi non dovevamo vederci» fece notare. Si accorse che la sua voce era suonata fredda e distaccata quando invece avrebbe dovuto comportarsi più che amichevolmente con lei, proprio per attirare la sua attenzione e distoglierla da Aiba.
«Ogura san e Kimura san mi hanno spedito qui perché si sono accorti che hai dimenticato alcuni fogli in ufficio da noi ieri sera»
«Giusto, ieri sera. Ti ringrazio» annuì piano. «Stai bene?» domandò preoccupato
«Sì, tutto bene» annuì Erina
«Sakurai san, siamo pronti» lo richiamarono
«Eccomi!» gridò in risposta. «Hai un po' di tempo?» aggiunse poi rivolgendosi di nuovo alla ragazza, cercando di sorriderle tranquillo. «Dovremmo lavorare ancora per un'ora circa, puoi aspettare?»
«Come? Posso rimanere?» domandò lei sgranando gli occhi
«Sei una dello staff, puoi rimanere senza problemi. Sempre che tu abbia tempo e voglia» e quando la vide annuire la salutò con un cenno del capo per correre davanti alla macchina fotografica con gli altri.
Doveva essere impazzito. Le stava dando una buona occasione per vedere Aiba chan in tutto il suo splendore! Ma era pur vero che c’era anche lui e si sarebbe impegnato talmente tanto che Erina non avrebbe guardato altri oltre a lui. Presa quella decisione si concentrò al massimo sul lavoro, facendo del suo meglio.
Dopo pochi scatti Jun li salutò e scomparve in un batter d'occhio dal set, quindi si dedicarono alle foto singole e a quelle di coppia. Continuarono a lavorare senza sosta e alla fine si fecero le undici e mezza: avevano sforato di un'ora e mezza sulla tabella di marcia.
«Otsukaresama deshita» esclamarono gli assistenti ed il fotografo applaudì seguito dal resto dello staff.
Ōno, Aiba e Shō, gli ultimi rimasti del gruppo, si inchinarono applaudendo a loro volta «Otsukare, otsukare» ripetevano.
Shō scambiò qualche parola con il fotografo e l'impiegato della rivista: solitamente era Jun ad occuparsi dei discorsi di fine lavoro, ma essendo impegnato più del solito in quel periodo, capitava sempre più spesso che fosse lui a doversene occupare.
Quando terminò ed uscì dalla zona della luce dei fari del set spostò finalmente lo sguardo sulla ragazza: era stato tanto teso e concentrato su ciò che faceva che praticamente si era scordato di averla lì. Ora che ricordava nuovamente la sua presenza tornava a sentirsi agitato: forse, avendoli guardati tutto il tempo, aveva finalmente notato il suo cambiamento e il suo impegno. Ma la sua speranza si infranse in pochi secondi, perchè Erina era ancora vicina all'entrata, certo, ma stava chiacchierando con Aiba. E quello che lo ferì maggiormente, non fu il vedere che la sua attenzione era nuovamente sul suo amico invece che su di lui, ma piuttosto il realizzare come tra i due ci fosse un'atmosfera serena e rilassata che tra loro invece non c’era mai stata. Non poteva dire di aver mai parlato con lei in modo tanto disteso, anzi probabilmente non l'aveva mai fatta ridere come stava invece facendo Masaki. Dove stava sbagliando?
Sconsolato e abbattuto Shō si avviò verso il camerino, deciso, per ripicca, a far aspettare la ragazza ancora un po'. Rimise la maglietta che aveva indossato quella mattina, i jeans e la felpa leggera. Indossò anche gli occhiali e salutò Ōno. «Ci vediamo domani per la diretta di Shiyagare» disse, pronto ad uscire
«Shō kun» lo richiamò quello.
Si fermò sulla soglia e si girò a guardare l'amico. «Mh?»
L'altro lo osservò dritto negli occhi, seriamente. «Tutto bene?» gli chiese mentre rilassava le braccia e interrompeva a metà il gesto per indossare la maglietta.
Shō rimase in silenzio qualche secondo, prima di rispondere. «Sì, certo» fece sorpreso. «A domani»
«A domani» annuì l'altro che continuò a vestirsi.
Shō si avviò lungo il corridoio, pensieroso. Ōno era sempre il primo a notare i loro atteggiamenti strani: aveva notato il suo turbamento?
Spinse la pesante porta che divideva i corridoi degli studi dalle scale. Sul pianerottolo c'erano Erina e Masaki che ancora chiacchieravano tra loro. «Oh eccolo!» esclamò l'amico quando lo vide aprire la porta. «Allora vi lascio lavorare. Hai salvato il numero?» le domandò guardando il cellulare che la ragazza teneva in mano
«Sì, ti ho salvato come "A san" così non ti riconoscerà nessuno» rispose lei
«Ma tu te lo ricorderai?» fece Aiba
«Non ci avevo pensato» osservò la ragazza ed entrambi risero
«Metti solo "Masaki", potrebbe essere chiunque» suggerì. «Io posso scrivere "Erina"?»
«Certo. Allora mi fai sapere? Dopo le sette va benissimo» gli sorrise lei.
Shō alternò lo sguardo tra i due mentre si parlavano, seguendo il loro discorso a bocca aperta. «Bene, ti chiamo io, a stasera» ridacchiò il ragazzo aprendo la porta. «Shō, otsukare. A domani» lo salutò appoggiandogli una mano sulla spalla e scomparve nel corridoio oltre l'uscio.
«Scusa se ti ho fatto aspettare» pronunciò lui con un sorriso tranquillo: in realtà era preda di una tormenta di rabbia e gelosia: lui, che lavorava con lei, non aveva né il suo numero di cellulare, né la sua mail, mentre Aiba, che l’aveva rincontrata solo pochi minuti prima, sembrava aver ottenuto persino un appuntamento!
«Non c'è problema. Sono passata solo dopo aver fatto il lavoro che avevo qui in zona» rispose Erina scuotendo il capo. «Cominciamo ad uscire?»
«Sì» annuì. «Cosa dovevi fare oggi?» provò a domandarle, sperando di poter fare una discorso tanto piacevole quanto quello di Aiba.
«Ho incontrato i rappresentati dell'impresa che si è sempre occupata del palco e della struttura connessa. Mi avevano detto che il direttore era una persona scorbutica, ma non credevo così tanto» spiegò mentre scendevano le scale. «Ad ogni modo voleva ancora lavorare per voi, immagino che gli facciano molta gola i soldi che gli diamo per i servizi della sua compagnia, però sono riuscita a proporre il piano di lavoro che avevo pensato ed elaboreranno un preventivo entro il prossimo venerdì»
«Devi essere migliorata molto dai tempi dell'università» fece notare Shō aprendole la porta d'uscita
«Anche tu non sei male. Voglio dire» si corresse Erina abbassando lo sguardo mentre usciva dall'edificio. «Adesso sembri proprio una persona seria e dedita al proprio lavoro. Ammetto di non aver visto come lavoravi anni fa, quindi non ho un termine di paragone, però oggi era evidente l'impegno che metti sempre in quello che fai. Insomma, gli sforzi di tutti sono magnifici. E dire che a vedervi solo nel prodotto finale sembrate sempre rilassati e allegri»
«Cosa intendi dire?» domandò Shō: non gli pareva vero, ma quelli sembravano dei complimenti.
«Come fan, fino ad oggi ho visto solo i servizi una volta pubblicati, una pubblicità una volta girata e via dicendo. È difficile realizzare quanto lavoro ci sia dietro, quante ore si spendano per un prodotto che noi impieghiamo poco tempo a consumare. Ci vuole pazienza, immagino» annuì piano. «Siete ammirevoli. Sei ammirevole» la sentì dire a mezza voce
«Grazie» balbettò. Non poteva credere alle sue orecchie. «Quello che dici» cominciò dopo aver preso un profondo respiro. «Conta mo...» ma il cellulare della ragazza squillò in quel momento
«Scusa» gli disse interrompendolo e guardando la mail appena arrivata, dopodiché scoppiò a ridere
«Tutto bene?» le chiese colpito da quella reazione
«Sì, è solo Aiba san che mi ha mandato una mail per essere sicuro di aver scritto giusto l'indirizzo» annuì cercando di smette di ridere
«Già, un errore che sarebbe capace di fare» borbottò Shō innervosito al ricordarsi di quel loro improvviso e rapido riavvicinamento. «Avevo dimenticato che già anni fa eravate molto in sintonia»
«Vero» annuì lei chiudendo il cellulare. «Anche allora mi trovavo bene a parlare con lui»
«L’avevo notato» pronunciò storcendo il naso, ma girando lo sguardo dall'altra parte, perchè lei non si accorgesse della gelosia che cominciava ad inquinare i suoi pensieri
«Ma anche lui, come te, è impegnato con i vari lavori, quindi oggi abbiamo solo scambiato quattro parole. Per la verità non pensavo nemmeno si ricordasse di me. Vedremo cos'avrà da raccontarmi a cena stasera»
«Come?» Shō sgranò gli occhi. Pensava che Masaki avesse dato per scontato che i suoi vecchi sentimenti per Erina non fossero cambiati, ma effettivamente quella volta non aveva parlato a nessuno della fiamma che gli si era riaccesa nel cuore, nemmeno a lui.
«Tranquillo, stasera non berrò. Anche se domani è sabato» ridacchiò lei. «Giuro che non avete dato il lavoro ad un alcolizzata» promise lei seriamente
«No, certo. Non è quello» scosse il capo il ragazzo. Se quei due avessero cominciato ad uscire insieme, Shō non avrebbe avuto più alcuna chance.
«A proposito di ieri sera» cominciò Erina
«Giusto! Eri venuta a portarmi i fogli vero?» si ricordò solo in quel momento del perché lei fosse lì quel giorno, era troppo agitato da quell'improvviso sviluppo e sentì di dover parlare subito con Aiba chan per chiarire tutto.
«Sì, certo. I fogli» rispose lei. Sembrava che Shō non fosse l'unico a ricordarsi solo in quel momento perché fossero lì insieme. La ragazza gli porse una cartelletta e aggiunse. «Ascolta, prima di andare»
«Puoi scusarmi?» la interruppe lui. «Ho dimenticato una cosa in camerino e devo scappare alla riunione. Ci vediamo» la salutò con un inchino rapido prima di tornare rapidamente nell'edificio degli studi: Masaki era una lumaca a cambiarsi, quindi doveva essere ancora in camerino.
Salì i gradini due alla volta, deciso a fargli sapere che lui provava ancora qualcosa per Erina, ma si bloccò una volta arrivato al primo pianerottolo. Non poteva farlo. Che diritto aveva di dirgli una cosa simile? Erina non era di sua proprietà e se Aiba avesse voluto uscire con lei perché era interessato, Shō non poteva permettersi di dire ad uno dei suoi migliori amici di non farlo solo perché Erina l’aveva vista prima lui. Si appoggiò al corrimano con un sospiro e si guardò le scarpe da ginnastica. «Non posso» mormorò tra sé.
Aveva anche abbandonato Erina da sola sul marciapiede invece di darle un passaggio o di chiacchierare ancora un po’ dato che l’aveva fatta rimanere lì per ore. Realizzata la situazione si lanciò giù dalle scale, quasi saltando rampe intere in un solo balzo, ma quando ritornò all'entrata non c'era più nessuno davanti alla porta.
Aveva detto di volergli parlare della sera prima, quindi doveva essere successo qualcosa, ma ormai era tardi. Una macchina parcheggiò davanti a Shō che, con un sospiro rassegnato, aprì la portiera: non avrebbe avuto alcun controllo sulla serata tra Erina e Masaki, non ricordava cosa aveva combinato il giorno prima e aveva realizzato troppo tardi che lei avrebbe potuto dirgli qualcosa di importante per capirlo. La ciliegina sulla torta era che stava andando ad una riunione e non aveva ancora letto i fogli che aveva dimenticato.
Cosa stava succedendo? Perché non riusciva più a gestire le cose alla perfezione come aveva fatto fino a due settimane prima?

¹ servizio di +act.mini volume 10, uscito verso la fine di Luglio
²Si riferisce alla campagna della Chocola BB per cui Nino ha fatto da immagine. La pubblicità è uscita all'inizio di Luglio 2010 CLICK
La canzone è "Love in an elevator" degli Aerosmith


Scritto alla velocità della luce XD
Spero che siate felici *-* allora allora allora?? Uhuhuhuh guarda un po' chi si reincontra ^^ e come andrà a finire tra poche ore tra loro due quando usciranno insieme?? E Sho? E' terribilmente in ansia direi o.o che pasticcione! A volte mi chiedo se sia veramente Aiba il più combina guai del gruppo, ihihihihihihihihihihih!!!
Let me know! <3

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Capitolo 13
*** 12. Of Hopes and Solitude ***


Aveva perso un'ora davanti all'armadio e c’era voluta Ying per ricordarle che la cena con Aiba sarebbe stata dopo un giorno di lavoro: lui sarebbe arrivato dopo tre sessioni fotografiche e un pomeriggio intenso di registrazioni, stanco, affamato e certamente non ben vestito; che senso aveva indossare qualcosa di particolare se poi si fosse presentato in jeans e maglietta? E lei non poteva certo andare in giro tutta la giornata con un vestito elegante nella borsa. Dovette concordare con la coinquilina e la domenica sera se ne andò a dormire nel pieno dell'agitazione.
Il venerdì, il giorno in cui si era rincontrata con Masaki, sarebbero dovuti uscire per cenare insieme, ma il ragazzo l'aveva chiamata per avvisarla di un impegno urgente che lo avrebbe trattenuto fino all'orario in cui avrebbe dovuto cominciare il suo programma radiofonico, quindi avevano spostato l'appuntamento per lunedì sera, prima serata libera di entrambi.
Quella mattina la ragazza optò per dei pinocchietti neri, una maglietta a righe sottili bianche e nere coperta da una camicia leggera bianca, lunga, chiusa in vita con una cintura in pelle marrone.
Indossò le scarpe col tacco nere, salutò nervosamente Ying cercando di non farle notare la sua tensione per quello che la aspettava: la coinquilina non era al corrente di cosa ci fosse stato con Aiba ed Erina non aveva alcuna voglia di dare spiegazioni.
Una volta sul lavoro il nervosismo del mattino sparì quasi del tutto, anche se la sua sbadataggine rimase: scambiò un assistente qualsiasi per uno stilista importante, convinta che quelli conciati in maniera stravagante fossero le personalità più importanti nella stanza.
Si trovava con Ogura all’incontro con gli stilisti che avevano ideato i costumi di scena e loro due avrebbero valutato i bozzetti: lui li avrebbe analizzati secondo i precisi criteri di selezione che l'agenzia seguiva da anni nella scelta degli outfit per i suoi artisti, mentre lei l’avrebbe fatto dal punto di vista finanziario tenendo conto del budget a disposizione.
«Questi arancione-blu possono andare» spiegava il collega allo stilista che aveva proposto il suo progetto. «Li preferisco alla versione in giallo-verde. Oltretutto i colori si ricollegano vagamente al pantaloni utilizzati nel 2008. Direi che va bene questo»
«Ogura san, ma lei è sicuro di questo qui?» domandò Erina mostrandogli un bozzetto di quelli già approvati da lui
«Sì, perchè?» domandò quello
«Non parlo da un punto di vista stilistico, ci mancherebbe, ma penso ci siano altri progetti decisamente più belli e più fattibili, in termini di denaro e tempistica. Abbiamo solamente due settimane in fin dei conti» spiegò la ragazza
«Capisco. Puoi trovarmi una valida alternativa tra gli altri?»
«Pensavo a questi bianchi» suggerì. «Non sono la stessa cosa, sono molto più sobri, ma siamo a metà delle scelte e finora abbiamo optato per costumi con tanto di quel colore che credo che una cose così semplice potrebbe star bene»
«D’accordo. Facci sopra una appunto e pinzali insieme come gli altri. Se finiamo per oggi, possiamo passare in ufficio e faxarli agli uffici centrali per l'approvazione» annuì l’uomo dandole istruzioni in tono gentile.
Ogura era così: il primo giorno non era stato gentile e delicato solo perchè era nervoso, ma lo era di natura; era un piacere lavorare con lui, c'erano tante cose sul lato artistico che Erina non era abituata a tenere in conto, mentre per lui era il punto di vista principale e le faceva sempre vedere le cose sotto un'ottica differente. Al tempo stessi sapeva accettare le limitazioni che lei gli faceva notare quando non pensava alla realizzazione in termini di tempo e denaro speso. Non erano ancora abituati a lavorare insieme eppure avevano trovato subito un modo per gestire entrambi le diversità dell'altro: quando doveva lavorare con lui, Erina non temeva nessuno scontro o incomprensione.
Si concessero tutti una pausa di quindici minuti dopo circa quattro ore di lavoro. «Erina san» fece Ogura alzandosi dalla sedia, stiracchiando le braccia il meno vistosamente possibile. «Vado a prendere qualcosa da bere con l'assistente di Kawata sensei. Cosa ti prendo?»
«Una lattina di mugicha» rispose chinando il capo. «Grazie mille»
«Posso chiederti di telefonare a Sakurai san nel frattempo?» domandò quello.
Erina, per quanto agitata dalla prossima cena, non aveva dimenticato Shō. In realtà qualsiasi cosa succedesse, giorno dopo giorno, le era impossibile toglierselo dalla testa. Da quanto aveva assistito al servizio di +mini.act sentiva come se si fosse innamorata di nuovo di lui. Non era riuscita a staccargli gli occhi di dosso: aveva riso al vedere i cinque ragazzi fare gli stupidi, prendersi in giro e ridere come bambini davanti alla macchina fotografica, ma anche se era meraviglioso vederli tutti insieme, non era stato possibile guardare gli altri con la stessa attenzione che aveva dato a lui. Ecco perché aveva raccolto a piene mani il coraggio per fargli almeno un complimento, non appena possibile. Non era stato facile e le interruzioni non l’avevano aiutata, soprattutto perché Shō stesso era fuggito improvvisamente senza alcuna spiegazione.
Più delle parole che le aveva rivolto in macchina, erano quegli atteggiamenti ad essere un po’ strani, la confondevano. I sentimenti di Erina si scontravano con i fatti e con le parole di Shō: ormai era chiaro che quello davanti a lei era un uomo tutto d'un pezzo, diverso dalla persona che aveva conosciuto anni prima, e le piaceva ogni giorno di più, ma non poteva ignorare come lui mantenesse un atteggiamento di cortesia e collaborazione nei suoi confronti per il solo fatto che lavoravano insieme. Non riusciva a percepire alcun sentimento da parte sua.
Nonostante non si sentisse minimamente ricambiata, da venerdì a quel giorno erano passate tre notti e su tre non ce n'era stata una in cui non avesse sognato Shō. Era per quello che ogni volta che sentiva il suo nome sussultava.
«Come?» domandò balbettando
«Puoi chiamarlo per me? C'è il mio cellulare sui fogli, è l'ultimo numero che ho chiamato» rispose Ogura prima di avviarsi.
Erina recuperò l'apparecchio e fece la chiamata. Nonostante fosse spaventata all'idea di sentire la sua voce, non ebbe problemi a decidersi a chiamare: forse perché si trattava di lavoro.
«Ogura san!» sentì rispondere dopo il primo squillo
«No. Sono Erina» spiegò
«Oh» sembrò sussultare lui. «Ma il numero...»
«Sì, lo so» annuì abbassando lo sguardo. «In questo momento è occupato, quindi mi ha chiesto di chiamarti per lui»
«Capisco. Allora puoi dirmi come sta andando?»
«Sì, certamente» rispose per poi prendere un respiro profondo e cominciare a raccontare i vari scambi di quella mattina. Avrebbe potuto raccontargli tutto in maniera particolare, spigliata magari, cercando di essere simpatica, ma era sicura che non sarebbe servito, quindi si limitò ad un resoconto dettagliato e professionale delle scelte fatte fino a quel momento.
«Che cosa fai stasera?» domandò di punto in bianco il ragazzo alla parte opposta dell'apparecchio
«Come? Esco» rispose Erina, rimanendo vaga.
Il venerdì gli aveva detto con sincerità che sarebbe uscita con Aiba nella speranza di vedere una qualche reazione da parte sua, ma non aveva ottenuto niente, quindi la carta della gelosia non funzionava: Shō non provava più nulla ormai, parlargli di una sua uscita con qualcuno non avrebbe prodotto alcun risultato e quindi non c'era motivo di raccontargli dei fatti suoi.
«Capisco»
«Comunque era tutto» specificò la ragazza vedendo tornare Ogura e altri per riprendere la riunione. «Vi faremo sicuramente sapere le decisioni finali e il giorno per le misure»
«Va bene, ci sentiamo» salutò Shō, prima di chiudere la conversazione.
Erina guardò l'apparecchio, senza parole, e lo rimise sul tavolo. Non c'erano passi avanti, sembravano due sconosciuti, proprio come voleva lui.

Quella sera, arrivò al luogo dell'appuntamento con dieci minuti di ritardo, correndo a fatica sui tacchi che aveva indossato quella mattina. Inciampò sul gradino basso del marciapiede dopo aver attraversato e un passante la acchiappò al volo prima che rovinasse a terra. Si scusò più volte, facendo mille inchini, poi trottò verso l'edificio del ristorante che le era stato indicato. Quando arrivò davanti alla porta però non c'era nessuno. Era già buio e la gente le passava davanti a lei per poi tirare dritto: era una zona abbastanza animata, piena di altri piccoli locali, ma era comunque alla periferia della grande Tōkyō e non si sentiva tranquilla.
Stava cominciando ad agitarsi quando suonò il cellulare. «Pronto?» domandò dopo aver visto sul display il nome "Masaki"
«Erina san, sono io!» sentì la voce squillante del ragazzo
«Aiba san, mi spiace»
«Lo sapevo! Ero in ritardo e te ne sei già andata. Scusami» piagnucolò
«Come? No, sono io che sono in ritardo!» fece notare la ragazza. «Sono arrivata da poco»
«Ma dove sei?»
«Qui davanti!»
«Io sono appena salito per vedere se magari non mi stessi già aspettando al tavolo» ridacchiò divertito. «E mi sono pure spaventato perchè non c'eri. Ti ho chiamato credendo fossi già andata via, sono terribilmente in ritardo»
«Sempre meno di me» rise Erina «Aspettami lì»
«Va bene, non scappo!» la salutò l'altro, pimpante, prima di chiudere la discussione.
Erina salì i gradini dell'edificio due a due arrivando al primo piano in un batter d'occhio nonostante il male ai piedi. Aiba la attendeva appena dopo l'ingresso del ristorante, dietro una piccola porta in vetro opaco. «Eccoti!»
«Scusami, sono in ritardo» fece lei sorridendogli
«Lo ero anche io» le rispose scuotendo il capo. «Però tu lo sei più di me. Quindi hai ragione: scusati!»
«Non sei affatto carino» lo sgomitò trattenendo una risata.
Masaki chiese alla cameriera il tavolo nell'angolo più appartato della sala e pregò Erina di lasciarlo sedere di modo da dare le spalle alla porta. Il suo viso era riconoscibile, anche se l'aria condizionata del luogo gli dava la possibilità di tenere una sciarpa di lino leggero, la sua pettinatura era completamente cambiata e l'aria stanca gli modificava leggermente l'espressione. Inoltre, il fatto che nessuno si aspettasse di trovarlo da quelle parti lo aiutava a passare inosservato.
Ci impiegarono 20 minuti ad ordinare: continuavano a trovare cose interessanti sul menù e a cambiare idea su cosa chiedere.
Ad un certo punto Erina si piegò sul tavolo tenendosi una mano sulla pancia. «Non ridere troppo forte!» la sgridò Aiba gesticolando davanti al suo viso. «Attiri l'attenzione»
«Stai ridendo anche tu» gli fece notare prendendo fiato a fatica tra una risata e l'altra
«Sì, ma perchè ridi tu! Smettila!» disse il ragazzo mettendosi le mani tra i capelli e piegando il capo verso il basso per contenersi. Si calmarono solo quando arrivò la cameriera a servire loro i primi piatti.
«Allora, come mai questo invito?» domandò Erina mentre assaggiava i primi bocconi della pietanza. «Sei stato piuttosto misterioso venerdì scorso»
«Sì, è vero» ammise Masaki con un cenno del capo. «Oh, posso assaggiarlo?» domandò guardando il piatto della ragazza
«M-mh» annuì spostando leggermente la portata verso di lui. «Ammettilo, le parole "vorrei parlarti in privato, con tranquillità" sono piuttosto ambigue» ridacchiò divertita
«No!» esclamò subito il ragazzo, mentre masticava il boccone rubato dal piatto. «Non farti strane idee, tu non mi piaci» sentenziò con decisione.
Erina sgranò gli occhi e lo guardò ammutolita, smettendo di mangiare, anzi, rimanendo a metà del gesto che stava facendo. «Quanta sicurezza» farfugliò con un filo di voce, abbassando lo sguardo
«Oh, no, no» si corresse immediatamente lui. «Voglio dire, sì che mi piaci. Insomma, non volevo offenderti» sospirò innervosito.
Erina si trattenne a stento dallo scoppiare di nuovo a ridere in maniera scomposta. «Aiba san, non sei cambiato nonostante gli anni» scosse il capo
«Erina san» sorrise Masaki, più tranquillo, come avesse improvvisamente le idee chiare. «Voglio dire che mi piaci come persona, che mi trovo bene con te»
«Sì, lo so» annuì prendendo un sorso d'acqua. «Ho capito in che senso non ti piaccio» gli sorrise tranquilla
«Bene» fece lui, improvvisamente imbarazzato, abbassando lo sguardo sul piatto. «Grazie per non averlo fatto dire a me» sussurrò. «Detto questo spero sia chiaro che non ti ho invitato ad uscire per i miei sentimenti, ma piuttosto per quelli di Shō kun».
Per poco l'acqua che stava bevendo non le passò nel naso per tornare nel bicchiere. «S-scusa?» domandò tossendo. «Cosa c'entra Sakurai san?»
«Lo sai. Cioè, lo sappiamo» spiegò riprendendo a mangiare. «Anni fa tu l'hai rifiutato e quella è stata l'ultima volta in cui vi siete parlati seriamente. Vi siete allontanati»
«Per la verità non siamo mai stati molto vicini» ammise concentrando anche lei lo sguardo sul piatto. Parlare nuovamente di quegli eventi le faceva male, soprattutto dopo la richiesta di dimenticarli, dopo essersi innamorata di lui e dopo aver in parte rimpianto la risposta di allora.
«Sono l'unico a sapere ciò che è successo tra voi e tra di noi sono l'unico che può spiegarti cose di Shō kun che ancora non sai. Forse, se le avessi sapute al tempo, avrebbero fatto la differenza» le spiegò facendosi serio. «Se vuoi saperle, chiaramente» aggiunse
«Sì, certo!» esclamò, forse con eccessiva rapidità e trasporto. Poi si rese conto che non aveva senso stare a sentire la spiegazione di Aiba. Erano passati anni, l’aveva rifiutato e ormai Erina gli non piaceva più, mentre lei aveva un sacco di buoni motivi per farselo piacere.
«Per lungo tempo ho pensato di essere stato la causa del tuo rifiuto alla sua dichiarazione» ammise piano Aiba
«No, non lo eri. Se Shō ti avesse raccontato tutto, sapresti che l'ho rifiutato per il tipo di persona che era e per nient'altro» spiegò Erina finendo il suo piatto
«Sì, lo so. Ma prima che tu lo rifiutassi ero sinceramente convinto che l'affetto che provavi per me avesse cancellato qualsiasi possibilità per Shō. Poi quel giorno è venuto da me» spiegò Masaki che ancora stava mangiando occupando circa metà del suo tempo a parlare più che a consumare il suo pasto. «Mi ha spiegato le tue motivazioni e allora ho capito che non ero io il problema, ma era proprio lui che non ti piaceva. Al tempo non capivo perché: ho sempre stimato Shō kun, non credevo fosse possibile che una ragazza lo rifiutasse credendolo un tipo frivolo, ma devo ammettere che il suo atteggiamento di allora poteva giustificare un simile pensiero»
«Decisamente» annuì lei
«Sono qui per questo, per riscattare lo Shō kun di allora. Perché, Erina san, lo sai anche tu che non è uno stupido, anche se a volte si è comportato come tale: c'erano dei motivi dietro a quegli atteggiamenti» disse prendendo un profondo respiro, lasciando da parte il piatto. «Vedi, abbiamo debuttato che eravamo dei ragazzi. Essere Junior ed essere Arashi sono due cose totalmente differenti: la visibilità, il modo in cui ti guardano le persone, come il mondo ti accoglie e ti tratta. Cambia tutto. I primi tempi sono quelli in cui molti rischiano di perdere la testa per il successo e comportarsi in maniera arrogante, e noi eravamo dei ragazzi alle prime armi in un mondo che si divideva tra la gente che voleva il nostro successo e la gente che voleva schiacciarci. C'erano momenti in cui non sapevamo di chi fidarci all’infuori di noi stessi e non sapevamo cosa fare, oltre a lavorare con tutto il nostro impegno. Qualcuno di noi si è chiuso in se stesso, altri si sono aperti, pronti a trattare le persone approfittatrici come si meritavano»
«Tu cos'hai fatto? Se posso saperlo» lo interruppe lei
«Io? Forse sono incapace di fare qualcosa di diverso oltre al divertirmi, quindi credo che chiunque abbia pensato di usarmi deve aver capito presto che ero inutile. Così ho solo pensato a lavorare e giocare con i miei amici» ridacchiò e così fece anche lei. «Il discorso è stato diverso per alcuni di noi. Jun per esempio, oggi ha un atteggiamento da persona brillante e amichevole che lo rende una persona splendida, ma al tempo aveva adottato quel modo di fare come una copertura per celare un serio bisogno di trovare qualcuno che volesse la sua compagnia solo perché era lui, non perché era uno famoso. E nessuno di noi può biasimarlo: a volte le persone pensavano di potersi approfittare di noi, del fatto di conoscerci, per averne poi dei profitti personali. Fu il suo modo di reagire»
«E Sakurai san?» domandò mentre sul menù indicava alla cameriera il dolce che voleva
«Shō kun in apparenza non era cambiato molto: era sempre modesto e serio sul lavoro, in più tutti vedevano quanto si sforzasse a conciliare gli impegni e l'università. Dico, in apparenza, perché sappiamo entrambi che al di fuori dei suoi impegni si è comportato nel modo in cui hai visto. Però, e non lo dico solo perché sono suo amico, credo che il suo atteggiamento frivolo si manifestasse proprio perché doveva sforzarsi tanto in certi contesti quindi, per contrasto, sentiva il bisogno di comportarsi in maniera sconsiderata, di fare di testa sua. L'agenzia ha regole così strette che non abbiamo modi per "agire fuori dagli schemi”, quindi, nei limiti, Shō si è dato un po' alla pazza gioia» ridacchiò sommessamente. «Ma non ha mai fatto nulla di sconveniente, così tutto è sempre sembrato normale al gruppo. Almeno fino all'inverno del suo primo anno»
«L'ho conosciuto in quel periodo» mormorò piano Erina che ascoltava il racconto di Aiba come rapita.
Non era solo per sapere di Shō che lo ascoltava, ma anche perché era un inaspettato e inimmaginabile "dietro le quinte" del suo gruppo preferito. Da quando aveva cominciato quel lavoro, i colleghi del suo ufficio le avevano detto di comportarsi normalmente, lei stessa si era auto raccomandata di non agire da fan impazzita; ma doveva ammettere che le occasioni che le si presentavano ogni giorno le richiedevano un grosso sforzo.
«Proprio per quello cambiò» annuì Masaki. «Chi più chi meno, notammo tutti che Shō era diventato improvvisamente più sbadato, meno attento a ciò che faceva: lavorava, si impegnava, certo, ma a volte dimenticava qualcosa o aveva la testa fra le nuvole. E ti assicuro che questo non è normale per Shō kun. Non lo sarebbe nemmeno per Matsujun effettivamente» rifletté tra sé. «Lui è il migliore, non cede nemmeno ora. Scusa, sto divagando» si interruppe improvvisamente. «Insomma, quando Shō kun mi disse di essere innamorato non ne fui tanto meravigliato, i casi erano due: o una botta in testa gli aveva provocato un improvviso cambio di personalità, oppure si era invaghito di qualcuna» ridacchiò
«Aiba san, fin qui posso capire il perché si comportasse da imbecille e girasse con un gruppo di fessi anche se era sicuramente più intelligente di tutti loro. Ma non cambia il fatto che non è mai stato abbastanza sicuro di se stesso per piantare in asso le altre e avvicinare solo me, ha continuato a comportarsi da galletto ed è stato anche per quello che l'ho rifiutato» specificò Erina lasciando un ultimo angolo della sua torta e indicandogliela. «Vuoi?» domandò
«No, non mangio dolci» rispose lui scuotendo il capo
«Con chi credi di parlare?» domandò sorpresa la ragazza. «Lo so che ti piace qualsiasi tipo di cibo»
«La fan che c'è in te mi ha beccato» rise. «Mi piacciono i dolci, ma mi sono ripromesso di non mangiarne, eccetto alcune caramelle. Sarà solo per alcuni giorni, poi potrò riprendere, quindi non tentarmi» spiegò allontanando la torta offertagli
«Sei più strano di quanto non credessi» fece lei, colpita
«Ascolta, non ci sono scusanti per alcuni suoi atteggiamenti, ma del resto io non sono qui per dire che è senza colpe» spiegò il ragazzo finendo la sua acqua
«E allora cosa sei qui a fare, Aiba san? Stiamo parlando di storie vecchie» gli fece notare.
Aiba si concesse una pausa. Sembrava volesse dire qualcosa, ma non la disse, oppure stava cercando le parole migliori per spiegarsi. «Diciamo che te lo sto dicendo perché ho saputo che tu e Shō kun lavorerete insieme fino alla fine del tour e non vorrei che avessi un'opinione sbagliata di lui o che la collaborazione tra voi andasse male per via di ciò che è successo allora» concluse annuendo: sembrava voler convincere sia lei che se stesso.
«Se pensi che ci sia questo rischio perché non hai consigliato Sakurai san di chiarirsi in prima persona?»
«Perché» ancora una volta fece una pausa. «Perché è una mia congettura: io penso sia andata così. Però non volevo fare il ficcanaso dicendogli una cosa del genere. Ci tengo a lui, quindi ho pensato che mettere una buona parola con te potesse essere un buon modo per aiutarlo e insieme per non essere troppo invadente»
«Potrei essere io a dirti di non fare il ficcanaso» gli fece notare Erina
«Mi spiace» sospirò afflitto
«Sto scherzando. È bello che tu ti preoccupi così per lui, ma posso risponderti in tutta onestà che il lavoro tra me e Sakurai san si svolge senza alcun pregiudizio su fatti passati». Lo disse con un pizzico di amarezza: Shō era stato fin troppo chiaro su quell’argomento. «Ti ringrazio anche per avermi giustificato certi suoi atteggiamenti di un tempo, anche se ormai non hanno più rilevanza dato che, mi pare evidente, è ormai un uomo diverso»
«Vero?» domandò quello, con lo sguardo improvvisamente illuminato. «Ma è cambiato quasi subito sai? Credo che qualcosa sia cambiato proprio dal giorno in cui l'hai respinto»
«Gli avrò reso evidente la sua stupidità» rise Erina
«Sì. O meglio» si corresse quello. «Insomma non penso sia stato un caso. Pensaci bene. Io stesso ho recentemente imparato che a volte incontriamo persone che fanno scomparire tutto il resto, o, al contrario, il mondo appare proprio perché ci sono loro» cominciò a dirle con aria concentrata, piegandosi verso di lei. «Quello che voglio dire è che alcune persone sono tanto speciali da aprirci gli occhi, da farci vedere attraverso la nebbia che abbiamo sempre avanti a noi e che a volte rende la vita indistinta. Persone che ci fanno sentire un po' meno tristi, o un po' più felici. E quando queste persone scompaiono, o prendono un altra strada e si dividono da noi, ci mancano sempre. Di solito è a quel punto che ci accorgiamo che non sono mai state solo "persone"».
Erina guardò il ragazzo negli occhi, senza capire dove volesse arrivare con quel discorso. Ma il suo significato valeva anche per lei, che aveva realizzato quanto le piacesse Shō solo dopo aver perso qualsiasi opportunità con lui.
Bastò un rumore più forte di altri a distrarla dal loro dialogo. «Credo che le signore al tavolo sulla destra si siano girate una volta di troppo» ammise sbattendo le palpebre, ancora confusa. «Andiamo a pagare?» propose quindi recuperando la borsa.

Correva come una pazza lungo il marciapiede di una cittadina fuori città. Il borsone continuava a colpirle la schiena da quando lo aveva messo a tracolla e spostato dietro di sé perchè non le impicciasse i passi.
«Sbrigati, è tardi!» le urlava Ying in cinese, mentre correva una decina di metri più avanti a lei
«Eccomi» le ripeté Erina proprio mentre scartava un passante che aveva svoltato l'angolo in quel momento.
La corsa terminò in una folle discesa lungo una strada in pendenza: per poco non andarono a sbattere contro la porta a vetri dell'entrata dell'edificio. «Dove eravate finite voi due?» domandò una donna che attendeva nell'ingresso, camminando avanti e indietro
«Ci scusi coach» disse Ying inchinandosi
«Ci siamo perse una volta fuori dalla stazione» spiegò Erina imitando la coinquilina
«Tu ti sei persa» specificò l'altra. «Io avevo detto di andare nella direzione giusta, ma sei sempre convinta di saperne più degli altri in quanto ad orientamento»
«Sì, sì. Filate a cambiarvi, cominciamo tra cinque minuti. Almeno avete già fatto il riscaldamento» sospirò la donna spingendole verso una porta pesante sulla quale campeggiava un cartello che diceva "spogliatoio".
«Ma se sai che non mi oriento perché mi segui?» domandò Erina storcendo il naso
«Se sai di non averlo perché non lasci che sia io a guardare la cartina?» ribatté la cinese
«E tu toglimela di mano»
«Così poi mi mordi? Non ci penso proprio: guarda che quando ti impunti sei più dura di un mulo!» continuarono a punzecchiarsi finché non dovettero zittirsi per riuscire a cambiarsi rapidamente.
Quando furono pronte scesero in campo.
«Kōmō,¹ Ying, buongiorno! Vi siete perse di nuovo?» fece una ragazza seduta in panchina, mentre raccoglieva i lunghissimi capelli neri lisci in una coda di cavallo
«Mi rifiuto di rispondere a questa domanda» borbottò Ying sedendosi al suo fianco
«Si è svegliata con il piede sbagliato» fece notare Erina che era tutta concentrata a passarsi il cerotto da taping² intorno alle dita. «Sei riuscita a venire alla fine. Temevo di non vederti oggi»
«Hanno cambiato i turni ieri, ma stamattina nessuno lo sapeva quindi abbiamo fatto tutti l'orario normale. Solo in pausa è arrivato il primario che ci ha sgridato e abbiamo dovuto applicare quelli nuovi. Ho fatto doppio turno» spiegò quella con un sospiro
«Hai dormito?» domandò la cinese tirando su le ginocchiere dalle caviglie
«Più o meno. Comunque sono riuscita a vendicarmi del doppio turno chiedendo il permesso per oggi» concluse con un sorriso trionfante
«Brava Tomomi! Ero già preoccupata per la difesa» applaudì Erina
«Tranquilla: la tua centrale preferita sarà in campo» ridacchiò l'altra prima che l'arbitro fischiasse per richiamare le squadre.
«Kōmō!» chiamò il coach che aveva atteso nell'atrio
«Sì» rispose Erina raggiungendola
«Tu starai in panchina. Hang, Watanabe e Inoki!»
«Sì?» domandò Ying, timorosa
«Come in panchina? Ma dovevo giocare oggi!» protestò Erina
«Voi tre in campo. Hang, oggi giochi da libero. No, Kōmō» rispose poi la donna alla ragazza in rivolta. «È la terza partita di fila che arrivi in ritardo. Mi assicuro che la prossima volta, se vuoi giocare, ti muoverai con due ore di anticipo per sopperire alla tua incapacità di trovare le palestre anche quando sono dietro la stazione del treno» replicò il coach con un sorriso angelico. «Noriko!»
«E allora perché Ying gioca e io no? Eravamo in ritardo entrambe!» fece notare incrociando le braccia
«Hang san giocherà in quanto il suo ritardo era dovuto a te: non ha colpe» continuò a spiegare mentre chiamava le giocatrici. «Nomura, giochi anche tu e vedi di segnare quanti più punti possibili: se perdiamo questa partita siamo fuori dalle selezioni»
«Roger» rispose il ragazza dai capelli lunghi alzandosi dalla panchina
«Ho capito, è colpa mia ma» farfugliò la rossa non sapendo più cosa inventarsi
«Coach, una cosa» aggiunse quell’altra subito dopo
«Dimmi Nomura san» fece il coach, ignorando completamente Erina e scorrendo i nomi della lista
«È una partita importante e non c'è palleggiatrice migliore di Kōmō. Mi trovo bene con le sue alzate, se vuole i punti devo essere agevolata il più possibile» spiegò la giovane.
Il coach la osservò silenziosamente, mentre Erina passava lo sguardo dall'una all'altra trattenendo il fiato. «Giovedì arriverai un'ora prima e farai cinquanta giri del campo di corsa, poi al termine degli allenamenti ti fermerai a pulire tutta la palestra» le intimò la donna. «E giuro che la prima partita non importante che facciamo ti lascio in panchina» concluse così la sua minaccia e sospirò.
«Grazie Tomo tan!!!» esclamò la rossa abbracciando la compagna di squadra. «Cosa farei se non ci fossi tu?»
«Niente, come sempre. E staccati» sbottò quella sottraendosi all'abbraccio e prendendola per un orecchio. Avvicinò il viso e le sussurrò piano. «Se fai tardi anche alla prossima ti distruggo, Kōmō. E piantala con i soprannomi insulsi, usa il mio nome: ci siamo intese?» le domandò prima di lasciarla andare e avviarsi verso il centro del campo. «Ma cosa abbiamo fatto di male per avere concentrati in una sola persona sia talento che scemenza?»
domandò ad alza voce al resto della quadra
«Non è scemenza, è sbadataggine!» la corresse Erina sistemandosi le ginocchiere mentre prendeva posto in campo
«Eri, ti sei accorta che hai chiuso nel cerotto tre dita insieme?» domandò Ying
«Il pollice!» esclamò la ragazza togliendosi il nastro
«È definitivamente scemenza» sospirò Tomomi
«Ma tu ti sei evoluta come noi?» domandò la coinquilina per poi allontanarsi a recuperare la palla.

Vinsero la partita, con un vantaggio abbastanza esiguo, ma era comunque una vittoria. Era il secondo anno che la squadra rientrava nella rosa dei partecipanti alle nazionali, ma se non avessero vinto almeno una volta quel torneo non sarebbero mai passate alla serie A. Partivano anche quell'anno dal fondo della B1, ma nonostante questo il morale delle giocatrici era piuttosto alto: gli sponsor continuavano ad appoggiare la squadra, la paga non era diminuita e per le partite invernali avrebbero dato il meglio.
Erina stava seduta sui gradini della palestra ad osservare il campo seminato che si stendeva oltre la rete di ferro.
«Ecco dov'eri» sentì chiamare alle sue spalle.
Quando si girò, chinò il capo verso la figura di Tomomi che si stagliava sulla porta d'ingresso, in controluce. «Bella partita» sentenziò pensierosa
«Che fai Kōmō? Non è da te startene in disparte a riflettere, di solito sei la più casinista quando vinciamo» osservò quella mentre le si sedeva al fianco
«Non ti sei asciugata i capelli?» le domandò osservando le lunghe ciocche corvine umide, sparse disordinatamente sulle spalle
«Ci metto vent'anni come al solito: lascerò fare al caldo di agosto. E poi domani ho un'operazione, i capelli vanno sotto il capello» spiegò quella accendendosi una sigaretta. «Grazie per i passaggi di oggi, erano quasi perfetti» pronunciò dopo il primo tiro
«Quasi?» ridacchiò. «Ce la fai a farmi un complimento ogni tanto?»
«Mai, poi gongoleresti troppo» rispose l'amica socchiudendo gli occhi al venticello tiepido che arrivava dalla campagna intorno a loro. «Cosa ti tormenta?»
«È evidente?»
«Per me e Ying lo è. Ti conosciamo a sufficienza per poterlo dire con sicurezza, ma lei sa che se fosse qualcosa di serio lo confideresti solo a me» le spiegò continuando a fumare con tranquillità
«È vero, parlo sempre con te» osservò Erina giocherellando con la tracolla del borsone da palestra. «Uomini» disse infine
«Mi prendi per il culo?» chiese Tomomi sgranando gli occhi
«La smetti di uscire solo con i tuoi colleghi uomini ad ubriacarti? Stai prendendo sempre più il vizio di parlare in maniera sboccata» storse il naso la rossa. «E non ti sto prendendo in giro. Strano ma vero ogni tanto capita anche a me di averci a che fare»
«Non mi fraintendere, ma della gente che conosciamo noi, tutti sanno qual è la tua situazione e non creerebbero problemi»
«Non è uno della nostra cerchia. Tu pensi che sia possibile influenzare una persona innamorata di noi solo dicendole qualcosa?»
«Che domanda idiota» sbuffò quella. «Influenziamo sempre la gente con quello che diciamo, che siano innamorate di noi o no. È chiaro che se lo sono, probabilmente ciò che diciamo viene percepito con una profondità differente e le colpirà in maniera particolare»
«Credo di aver cambiato una persona tanti anni fa» disse pensierosa. «Intendo dire che credo sia cambiata come modo di fare, di pensare, di rapportarsi con il mondo. Mi hanno detto che certe volte alcune persone ti aprono gli occhi sul mondo: io lo avrei fatto per lui»
«Accidenti, devi avergli fatto una grande impressione. Cosa gli hai detto a questo ragazzo?» domandò incuriosita. «E perché io non ne so niente?»
«Perché è successo ai tempi dell'università e l'ho rifiutato» rispose distendendo le gambe con un sospiro. «Ma il punto è: se l'ho colpito tanto, perché ora che siamo rivisti mi ha detto di far finta di non esserci mai conosciuti prima?»
«Magari si vergogna di com'era prima che tu lo cambiassi» ipotizzò con semplicità Tomomi, spegnendo la sigaretta a terra e mettendo la cicca nel pacchetto vuoto.
La rossa rimase in silenzio per qualche attimo: era un'ipotesi a cui non aveva pensato. «Ma no, sono certa che mi abbia detto così perché vuole che io mi dimentichi della sua confessione» scosse il capo Erina
«E perchè non può essere entrambe le cose? Voglio dire che se ti ha detto di dimenticare ciò che ha detto, probabilmente è perché quando si è dichiarato era una persona di cui ora non va fiero d’essere stato. Scommetto che è stata una dichiarazione disastrosa» ridacchiò l'altra
«Abbastanza» annuì facendo spallucce. «Sbaglio o ci stanno chiamando?» domandò poi sentendo delle voci in corridoio
«Sì, saranno pronte ad andare. Io ho parcheggiato poco lontano da qui, me le saluti?» domandò Tomomi alzandosi e raccogliendo la sua borsa. «Sono distrutta e voglio solo andare a casa» sospirò
«Va bene» annuì Erina imitandola nell'alzarsi in piedi. «Grazie per avermi ascoltato, sei sempre la migliore» la abbracciò affettuosamente
«Giù le mani Kōmō: tu e i tuoi modi da gaijin»³ la prese in giro. «Vedi piuttosto di farti meno problemi e sii chiara ed esplicita con quest'uomo»
«Facile per te che dici sempre tutto quello che ti passa per la testa» replicò storcendo il naso
«Tu invece non dici mai niente. Buttarsi, ogni tanto, non fa così male» ridacchiò avviandosi. «Sarebbe anche un buon modo per farmi perdere meno tempo» concluse prima di girare sui tacchi e avviarsi verso la macchina.
Erina osservò la figura alta e magra di Tomomi che si allontanava nella penombra delle strade scarsamente illuminate di quel paesino di campagna.
Forse aveva ragione e le parole di Shō erano interpretabili in diversi modi, non solo come aveva creduto lei. Si sarebbe spiegato anche il discorso di Aiba. Forse Shō kun non la odiava allora, ma la teneva in considerazione al punto da voler cancellare com’era stato un tempo per dimostrarle che ormai era cambiato.
L’unico modo che aveva per esserne sicura era chiedere conferma a lui.

¹ significa letteralmente “capelli rossi”. Era un nome usato nel periodo Edo (1603-1868) per indicare gli stranieri portoghesi
² tipo di cerotto da mettere intorno alle dita usato dai giocatori di pallavolo e pallacanestro
³ “straniero”


Papparappappà!!! *O* ce l'ho fatta!
E finalmente la nostra Erina comincia ad avere dei dubbi: sarà mica che hai interpretato male la richiesta di Sho? Ti ci voleva Aiba, fido Aiba, che ti spiegasse qualcosa... ti ci voleva la confidente esterna per capirlo... benedetta ragazza!
E Sho? Buonanotte, è ancora lì che si rode perchè sei uscita con Aiba e pensa che ci sia l'inciucio °-° per non parlare del fatto che comincia ad essere tra le nuvole anche stavolta, dopo tanti anni.
Eri fai qualcosa tu perchè mi si sta instupidendo il personaggio XD (tra tutti e due...)

Vi avviso, non ci saranno nuovi capitoli per qualche giorno perchè io giovedì 9 ho il malefico parziale di cinese e adesso devo fare solo quello. Il 9 sera giuro che comincio a scrivere il prossimo capitolo, ma fino ad allora niente aggiornamenti. Zorry ù.ù
Ringrazio comunque isabell 1 per il suo commento *-* scalda il cuore! Grazie, grazie, grazie >.<° (la commozione di una abituata a non ricevere commenti XD)
E grazie alla mia che si sta facendo il tour de force per recuperare tutti i capitoli e mettersi in pari: 妹ちゃん、好きだよ*_*読んでくれてありがとう。
Per tutti (?) gli altri: al prossimo capitolo!! *O*

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Capitolo 14
*** 13. Redempion in White ***


Al vedere il disegno che Ōno aveva fatto, a Shō e ad Aiba prese un attacco di risa incontenibile. Fortunatamente la telecamera per le riprese del making of era sul set per seguire Jun che in quel PV era sempre al centro. Era la sigla del suo drama e come tradizione era il protagonista a stare in mezzo, così come Shō aveva avuto la posizione centrale nel PV di Troublemaker e Aiba in My Girl.
La domenica sera, quando aveva lanciato un'occhiata alla sua agenda, Shō avrebbe voluto fermare il tempo o passare direttamente alla settimana successiva: lunedì aveva due servizi in una sola mattina e il pomeriggio la preparazione di NEWS ZERO per poi fare la diretta di sera, martedì altri due servizi dalle sette alle dieci, la prima parte di riprese del PV e nel pomeriggio la registrazione di Himitsu. Insomma già dopo due giorni avrebbero potuto raccoglierlo con il cucchiaino.
Poi quel mercoledì era inesorabilmente giunto. La mattina avevano già speso un sacco di energie per la registrazione di VSArashi, non perchè fosse difficile o stancante, ma perchè dovevano sembrare assolutamente in forma e freschi come rose, cosa per niente semplice. Finita quella, erano tornati sul set del PV e dopo ore di lavoro erano state concesse due ore di riposo a tutti loro. Lo staff doveva girare prima tutte le inquadrature di Matsujun, che sarebbe poi scappato sul set del drama.
Nino si era addormentato sul divano del camerino esattamente due minuti dopo essersi steso, dichiarando "Voglio solo riposare i piedi, mica dormo!". Le ultime parole famose, ma nessuno l'aveva svegliato perchè avrebbero fatto le riprese fino alle sette di sera (o almeno così diceva l'ottimistica tabella di marcia) e un po’ di sano riposo faceva solo bene.
Il camerino era diviso in due stanze: la prima aveva un divano in pelle scura e liscia, dove dormiva Nino in quel momento, un piccolo tavolo, un mobiletto con del caffè caldo e degli appendiabiti contro le pareti; la seconda era una via di mezzo tra uno spogliatoio e una stanza per prepararsi, con i tavoli per il trucco e tutta la loro roba, sparsa ovunque. C'erano vestiti, scarpe, zaini, borse, cappelli, il copione del quarto episodio del drama di Jun, i fogli di Shimura Doubutsuen di Masaki, il blocco di disegni di Ōno, piatti di carta con pochi resti del buffet del giorno prima, occhiali da sole, bicchierini di caffè, asciugamani, bottiglie.
Fu proprio una di queste ultime che dondolò, quando Aiba diede un calcio al tavolo per sfogarsi mentre rideva. Cade e rotolò fino al bordo, finendo addosso a Shō che era caduto dalla sedia per le troppe risate. Il ragazzo si spaventò, smise all'istante di ridere e scattò a sedere. «Scusa Shō» disse l'altro che ancora rideva, cercando solo in quel momento un po' di autocontrollo
«È così divertente?» ridacchiava anche Ōno guardando il suo disegno: una caricatura di Nino che dormiva completamente abbandonato sul divano.
«Se non fai cadere qualcosa, tu non sei contento eh?» domandò Shō rimettendo la bottiglia, col nome di Jun, sul tavolo.
Lunedì mattina, al primo servizio fotografico, era rimasto un po' sulle sue e aveva evitato l'amico. Era stato pensieroso e preoccupato tutto il fine settimana per la sua cena con Erina e quando l'aveva rivisto, tutto allegro, avrebbe voluto chiedergli qualcosa, ma non aveva motivo di entrare in argomento, non senza risultare impiccione o geloso. Non poteva chiedere nulla finchè non avesse saputo con certezza le intenzioni dell'amico, così si era tormentato i primi minuti, ma poi, grazie all'allegria contagiosa di tutti, si era comportato come se nulla fosse. Durante la giornata comunque aveva scoperto che l'uscita tra di due era stata rimandata al lunedì sera e ancora una volta aveva ripreso a domandarsi cosa fare in quella situazione.
«Non è colpa mia» cercò di giustificarsi Aiba
«Ah no?»
«In realtà gli oggetti non cadono perchè sono maldestro, ma perchè vengono respinti dalla mia aura» spiegò ridendo ancora divertito. «Ho un aura protettiva come Goku»
«Goku aveva una roba del genere?» chiese dubbioso Shō. Cercò di tornare a sedere al tavolo e di rilassarsi dopo tutto quel ridere. Erano piuttosto provati, lui per primo era talmente stanco che andava avanti per inerzia, perchè sentiva di avere tutti i muscoli in tensione: se si fosse rilassato un attimo non sarebbe più riuscito a riprendere il ritmo.
«Ehi» sentì chiamare a mezza voce dalla porta. Era Jun che entrava in camerino senza fare troppo rumore per non svegliare Nino.
«Ehi. Finito?» domandò Shō
«Macchè» si strinse quello nelle spalle mentre si toglieva i vestiti di scena e li rimetteva sugli ometti
«E come fai?» chiese Aiba
«Vogliono te sul set» disse Jun rivolto a Shō prima di rispondere all'altro. «Faccio le riprese di Natsuniji per oggi e torno, tanto sul set del drama registriamo solo finchè c'è luce»
«Che rottura» sospirò l'amico
«Allora ti saluto qui, ci vediamo sabato per Shiyagare» disse Shō avviandosi fuori dal camerino, non senza prima avergli dato una pacca sulla spalla.
Jun gli sorrise annuendo e finì di indossare i suoi vestiti. «Aspetta che ti accompagno, devo dire un'ultima cosa al regista» fece saltellandogli dietro mentre si rimetteva le sue scarpe.
«Otsukare» salutò Ōno alzando lo sguardo dai fogli
«Bada che non disegni altre cose sceme» scherzò Shō, prima di avviarsi verso il set
«Otsukare Rīdā. A sabato!» salutò quindi Jun, chinando appena il capo e seguendo l'altro fuori dal camerino. «Disegni scemi?» domandò
«Ha fatto la caricatura di Nino mentre dormiva» spiegò proprio mentre passavano davanti a lui, in punta di piedi. «Abbiamo riso cinque minuti senza fermarci e Aiba chan ha fatto cadere le bottiglie addosso a me» ridacchiò fingendosi spazientito
«Tipico di Aiba chan, lo conosci no?» entrarono nella sala del set e si salutarono: Shō andò verso il gruppo di truccatrici che dovevano risistemargli un po' il colore della pelle e la piega dei capelli, mentre Jun si fermò due minuti a parlare con i tecnici prima di sparire, correndo rapidamente fuori dall'edificio. Non che fosse in ritardo, ma conoscendolo avrebbe preferito aspettare la troupe del drama piuttosto che farsi aspettare da loro.
Mentre lo sistemavano Shō non potè fare a meno di sorridere tra sé. Gli sembrava di vedere dei miglioramenti nell’amico: il giorno prima lo aveva sentito dire al cameraman che aveva sorriso senza rendersene conto; ma forse era un pensiero troppo ottimista, Jun aveva subito una grave perdita e in quel periodo recitava in un drama dove il suo personaggio si invaghiva di una persona ancora innamorata di qualcuno ormai morto. Doveva essere inevitabile per lui sentirsi coinvolto.
Shō si inchinò leggermente alle persone che avevano finito di sistemarlo e cominciò a prendere posto sul set del green screen. Il costumista lo aiutò ad indossare la giacca begie del video e lui scosse la testa per risvegliarsi un po' e sentirsi pronto a registrare. Una volta Jun aveva detto che quella canzone lo faceva sorridere.

Non dico di andare a cercare l'eternità
Domani e anche dopo, sempre,
Voglio solo stare con te

Le volte in cui entro in contatto
Con la gentilezza che mi doni
I sentimenti si accumulano
Tanto che non riesco ad esprimermi

Non ci sono incontri che non conoscano fine
Nonostante ciò, se sorriderai io ci sarò
Sei tu che mi rendi più forte
¹

Fece due o tre errori in tutto e ringraziò il cielo che la sua parte fosse finita. Sorrise, applaudì insieme allo staff e si inchinò. «Otsukare» disse prima di farsi sfilare la giacca.
Aiba era appoggiato ad un pannello e applaudiva con gli altri. «Otsukare! Hai fatto un buon lavoro eh?»
«Sì, la seconda parte era perfetta al primo ciak, ma ho fatto troppi errori»
«Strano, di solito non ne fai» osservò l'amico
«No infatti, solitamente li fai tu per tutti noi» rise prendendo un asciugamano e la bottiglia che gli aveva portato Masaki
«Ieri sono caduto dalla pedana» spiegò quello scoppiando a ridere. «Ho cantato tutto il tempo pensando "Oh, adesso cado, vero? Sì, sto per cadere... ah si, ecco che cado" eppure non cadevo!»
«È strano camminare lì sopra, no?» chiese Shō divertito
«Sì, è strano. infatti sono caduto e ho scoperto che a nessuno è successo, solo a me! Lo staff ha riso!»
«Meglio così. Se non ci fossi tu Aiba chan, saremmo solo idol stanchi» gli fece mettendogli un braccio sulla spalla. L'altro gli mise il suo intorno alla vita e si avviarono verso il camerino. «Ma dato che ci sei tu, siamo idol stanchi che ridono convulsamente» e infatti entrambi avrebbero avuto un altro attacco d'ilarità se il regista non avesse chiamato proprio Masaki per le inquadrature successive.
«A sabato eh?»
«Mh, a Sabato!» si salutarono con un sorriso smagliante.
Inutile: adorava Aiba chan, amava tutto di lui. Per quanto la situazione con Erina fosse snervante, non poteva non continuare a trattare quel ragazzo così come aveva sempre fatto, dimostrandogli quanto gli volesse bene, qualsiasi ragazza frequentasse.
Quando entrò, il camerino era piombato nel silenzio più totale: Nino dormiva ancora e Ōno continuava i suoi schizzi in pace, senza fare rumore dato che non stava neanche tanto bene, lo aveva visto prendere un medicinale per il raffreddore il giorno prima.
«Finito?» domandò quello, dopo qualche minuto che Shō aveva cominciato a cambiarsi
«Mh» rispose semplicemente infilandosi la T-shirt prima di sentire il rumore del vibracall del suo cellulare. Si passò la mano tra i capelli, per sistemarseli alla meglio dopo essersi spogliato e rivestito, poi recuperò l'apparecchio, nell'angolo dove aveva abbandonato lo zaino. Fece illuminare lo schermo per guardare il nome sul display.
«Pronto?» rispose subito, un po' sbalordito
«Shō kun, buonasera» salutarono dall'altra parte della linea
«Ogura san, buonasera. Tutto bene in ufficio?» chiese sedendosi a terra e appoggiando la schiena al muro, con un sospiro.
Realizzò in quel momento di aver finito l'infernale ammasso di impegni di quell'inizio di settimana e si sentì rinascere mentalmente.
«Non direi. Stai ancora lavorando? Possiamo parlare?» domandò l'altro in tono preoccupato, ma tradiva una certa urgenza
«Ho finito in questo momento, sei stato fortunato» rispose Shō con un mezzo sorriso. «Che succede?»
«Fortunato non tanto, è la quinta volta che chiamo. Ho immaginato fossi al lavoro, ma pensavo veramente fosse il caso di contattarti e magari farti trovare un po' di chiamate ti avrebbe allarmato nonostante la stanchezza. Mi spiace sinceramente Sakurai san» si scusò quello
«Non fa niente, purtroppo stavo registrando e ora ho sentito il cellulare per caso. Vi ho già detto di chiamarmi "Shō kun"» sembrò rimprovevarlo scherzosamente. «Allora, cos'è successo?»
«In realtà non vorrei allarmarti eccessivamente. Sono problemi che risolveremo, non c'è dubbio, è più per una questione personale che ti chiamavo» spiegò il collega più anziano
«Ma cos'è successo?» continuava a non capire
«Di tutto e di più: è stata una giornata stancante e piuttosto negativa.
La cifra per la realizzazione dei costumi sarà più alta del previsto, nonostante tutti i nostri accorgimenti. I piani alti non hanno approvato alcune scelte e hanno optato per altro, un po' più costoso. Ora bisogna incontrare nuovamente gli ideatori e gli stilisti per dire ad alcuni che il loro lavoro è stato scartato e ad altri che è stato recuperato. Erina san sperava di mandare per stasera il plico di schizzi a vari atelier per vedere la rapidità e il prezzo di realizzazione, ma è venuto fuori che gli unici che li farebbero in tempo sono anche i più costosi di tutti»
«Non vedo dove stia il problema, i nostri concerti sono sempre costati un sacco all'agenzia e nessuno ha mai detto nulla» fece notare Shō
«Lo so, anzi, lo sappiamo, ma Erina san non è riuscita a rientrare nei suoi progetti di spesa e tempo e ha cominciato ad abbattersi. In più non è arrivato il preventivo che aspettava, sarà pronto tra cinque giorni: significa che se lo accettiamo, questa società non comincerà a prepararsi con l'anticipo sperato. L'unica soluzione è cercare qualcun altro che accetti il lavoro con così poco preavviso e sia pronta a lavorare prima di cinque giorni, altrimenti non c'è motivo di cambiare»
«Questa si che è una brutta notizia» annuì pensieroso.
In realtà non stava ascoltando con molta attenzione: era troppo stanco per concentrarsi seriamente su faccende che per lui, personalmente, non erano di grande urgenza.
«Ma non hai sentito il peggio»
«Sentiamo» sospirò: voleva recuperare le sue cose e scappare in macchina per andarsene a casa.
«Il coreografo che stava preparando il corpo di ballo alla JH ha avuto un incidente durante le prove. È stato portato d'urgenza all'ospedale ed è uscito dal pronto soccorso due ore dopo con una gamba ingessata»
«Come?» Shō sembrò improvvisamente risvegliarsi e staccò la schiena dal muro
«Shō kun stai tranquillo. Non ti ho chiamato per metterti in allarme. È il mio lavoro questo, il mio e della squadra che è stata costituita apposta: risolveremo la faccenda. Puoi starne certo»
«Ok» sospirò rincuorato. «Quindi, se non è per farmi prendere uno spavento, a cosa devo questa chiamata e questo riassunto di disastri?»
«Il fatto è che per quanto sia tutto rimediabile, in un modo o nell'altro, Erina san si è terribilmente demoralizzata. Non la riconoscevamo più io e Kimura san»
«Per questi problemi?» domandò il ragazzo, facendosi nuovamente attento
«È la prima volta che lavora in questo ambiente, posso capire che per lei sia stato un brutto colpo vedere sfumati i suoi progetti e sentire così tante brutte notizie insieme. Io e Kimura san siamo tranquilli perchè sappiamo che questi disguidi sono all'ordine del giorno, anche se ammetto che la storia del coreografo è abbastanza grave. Erina san invece l'ha presa sul personale, temo pensi di aver fallito e non siamo riusciti a dissuaderla»
«Capisco» fece lui pensieroso.
Gli tornarono in mente le ricerche dell'università. Solitamente Erina era sempre molto precisa nei suoi lavori, poi una o due volte era capitato qualcosa che non era dipeso da lei e non era riuscita a fare tutto in tempo o nel modo in cui si era prefissa di fare. Aveva sentito spesso i suoi amici commentare quel suo modo esagerato di colpevolizzarsi. Era una che chiedeva molto, forse troppo, a se stessa e se la prendeva parecchio quando non riusciva a corrispondere alle proprie aspettative.
«Perchè lo venite a dire proprio a me?» domandò d'improvviso
«Abbiamo immaginato che una testarda come Erina san prendesse i tentativi di tranquillizzarla di due vecchi come noi come un modo per dirle che in realtà è successo tutto per colpa della sua inesperienza». Shō poteva sentire Kimura, in sottofondo, che replicava di non essere affatto vecchio. «Voi invece avete la stessa età e lo sai anche tu come vanno i concerti: non c'è niente di assicurato finchè non è tutto finito, il pubblico è andato a casa soddisfatto e si sono spente le luci sul palco»
«Sì, è vero. Ma cosa vi aspettate che faccia?» suonava come se fosse riluttante a fare qualcosa per la collega, ed era proprio quella l'idea che voleva dare: non doveva far capire che si stava preoccupando per Erina e che avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei.
«Non so, mandale una mail di incoraggiamento o fatti trovare domani per aiutarla» suggerì vago Ogura
«Non ho il suo indirizzo mail» spiegò Shō
«Nemmeno noi in effetti. Solitamente la chiamiamo, non le scriviamo niente. Ti lascio il numero?»
«Sì grazie» annuì per poi cercare un foglietto e qualcosa con cui scrivere.
Non l'avrebbe mai chiamata, ma aveva un'idea di gran lunga migliore e se la ragazza stava veramente ricominciando a guardare Aiba, lui poteva fare solo una cosa: farsi notare, conquistarla perchè si accorgesse di lui e del fatto che era cambiato, sì, ma non nei sentimenti.

Dopo aver avuto il numero di telefono, Shō aveva terminato le riprese ed era riuscito a recuperare l’indirizzo di Erina. Ogura e Kimura lo avevano raccomandato di chiamare in tarda serata o il mattino dopo, dato che quel giorno la ragazza era andata a lavoro portandosi una borsa da palestra: aveva detto di avere degli allenamenti fino a sera tardi.
Dalle 17 in poi, lui aveva dovuto occupare il tempo. Troppo agitato per ciò che aveva intenzione di fare non aveva nemmeno pensato di tornare a casa. Piuttosto avrebbe voluto mettersi in qualche locale tranquillo a studiare i fogli di NEWS ZERO, ma, tirandoli fuori per la prima volta quella sera, si era accorto di averne solo la metà. Probabilmente, chissà come, l'altra parte se l'era dimenticata nel suo cassetto alla redazione del programma, così si era fatto portare alla sede della NTV per recuperarli. Lì non aveva incrociato nessun collega del lavoro: ci mancava solo che scoprissero la sbadataggine che lo stava affliggendo nell'ultimo periodo. Alla gente degli studi che conosceva si era scusato dicendo di voler lavorare negli uffici della redazione per avere un po' di tranquillità. Recuperata la metà mancante, si era messo a leggere il lavoro che avrebbe svolto per la nuova puntata. Dopo quelle utili ore di studio, aveva preso il treno e si era avviato verso casa di Erina. Prendere il treno era stato un rischio, indubbiamente, ma non poteva farsi scarrozzare ovunque dall'autista, senza contare che quel colpo di testa doveva rimanere segreto a chiunque.
Appoggiò la testa al vetro delle porte del treno dell'Inokashira sen² e guardò fuori osservando la città immersa nelle luci dei lampioni e delle insegne. Vide le persone ferme davanti ai passaggi a livello sfrecciavano oltre il vetro, quelle alle stazioni dove il suo espresso non fermava, le macchine che si aggiravano a velocità moderata per le viuzze, i ristoranti più piccoli e tipici già riempiti. Era un tranquillo mercoledì sera di Tōkyō.
Quando arrivò alla stazione di Shimokitazawa erano le undici di sera. Si aggirò per le caratteristiche vie della zona, un po' più vivaci e un po' più colorate rispetto al resto di Tōkyō anche in una serata infrasettimanale, e tenne costantemente lo sguardo basso sulla cartina che si era disegnato per trovare la casa della ragazza.
Si era calcato un berretto con la visiera sulla testa e sul suo naso spiccavano un paio di occhiali dalla montatura spessa, ovviamente inutili dato che ci vedeva benissimo.
Dopo aver svoltato in svariate viuzze secondarie, lontane da quelle principali, si ritrovò di fronte ad un classico edificio di appartamenti a due piani, in mezzo ad altre case unifamiliari e piccoli edifici di tre piani al massimo. Il porticato del piano terra era invaso da un triciclo, delle biciclette parcheggiate e ombrelli lasciati fuori ad asciugare dopo la pioggia della mattina. Si decise ad avvicinarsi alle caselle della posta per cercare il numero dell'appartamento di Erina, leggendo i cognomi riportati, quando qualcuno si fermò al suo fianco. «Cerchi qualcuno?».
L'accento era chiaramente straniero e in un primo momento si emozionò pensando fosse lei. Solo quando si girò e guardò la sconosciuta si rese conto che Erina non parlava con nessun accento strano. «Sì» rispose: era meglio farsi aiutare da una vicina che mettersi a fare lo stalker davanti alle caselle della posta. «Credo che qui abiti una ragazza coi capelli rossi e le lentiggini, alta più o meno così» cercò di spiegarsi
«Sei un amico di Erina?» domandò l'altra spalancando gli occhi e lo squadrò da capo a piedi.
A sua volta Shō scrutò meglio il viso della sconosciuta alla luce del lampione vicino alle caselle: si sentiva che non era giapponese e a giudicare da quelle poche parole dette sembrava avere l'inflessione tipica dei cinesi. «Siamo colleghi di lavoro» rispose incerto
«Sei dell'ufficio dove lavora adesso? Mi aveva detto che non c'erano giovani» fece quella insospettita. «Io sono Ying Hang, la sua coinquilina. Siamo appena tornate, lei è solo rimasta indietro» gli spiegò indicandogli la strada da cui era arrivata. «Posso offrirti qualcosa mentre la aspettiamo?»
«Come? No, no grazie. La aspetto qui, è questione di pochi minuti» rispose Shō inchinandosi. Lei si era presentata e sarebbe stato educato presentarsi a sua volta, ma non se la sentiva ora che l’aveva scambiato per un collega d'ufficio.
«Bene, non ti trattengo allora. Buona notte!» concluse quella. Lo squadrò di nuovo e salì le scale per raggiungere l'appartamento.
Shō rimase di nuovo solo davanti alle cassette della posta e si pentì di ciò che aveva fatto. Nel silenzio tipico della notte, quando quasi tutti ormai dormono, realizzò la sua pazzia: era arrivato fin lì pensando di dire qualcosa per tirarla su di morale, ma non aveva idea di quali parole usare. Inoltre non le aveva mai chiesto l’indirizzo, quindi avrebbe capito che l’aveva cercato da solo: sarebbe risultato invadente e impiccione.
Guardando verso la porta al secondo piano dietro la quale era sparita la coinquilina si era quasi deciso a svignarsela.
«Sakurai san?».
Non poteva scappare. Erina lo guardava con gli occhi sgranati, bloccata sul limite dell'area di luce di un lampione. Una delle due borse da palestra che teneva sulle spalle scivolò per caderle sul piede. Fu solo grazie a quello che finalmente gli occhi della ragazza si staccarono dalla sua figura. La vide trattenere una qualsiasi esclamazione e calciare via la borsa, sollevando il piede da terra.
«Ti sei fatta male?» domandò Shō
«No, no» negò scuotendo il capo. «Cosa ci fai qui? Ti ha visto qualcuno?» domandò subito preoccupata
«Solo la tua coinquilina, ma non credo mi abbia riconosciuto»
«Così conciato, sfido io» disse lei recuperando la borsa da terra
«Tu non hai avuto dubbi però» fece notare Shō e si maledisse perché dal suo tono si poteva quasi indovinare come fosse contento che lei lo avesse riconosciuto all'istante.
«Avevi bisogno di qualcosa?» domandò Erina cambiando discorso
«Veramente so che sei tu ad aver bisogno» rispose per poi osservarla mentre si avvicinava a lui e veniva illuminata meglio. «Ma forse prima preferisci andare a cambiarti?» domandò notando finalmente che la ragazza indossava una divisa da gioco
«Mi dai due minuti?» fece lei con un inchino.
Quando gli passò di fianco notò che aveva un oggetto in mano e lo avrebbe riconosciuto tra mille: era Boku no miteiru fuukei, il loro album uscito proprio quel giorno. Il gruppo aveva avuto talmente tanto da fare ed erano tutti talmente stanchi che si erano addirittura dimenticati che l'uscita era prevista per quella mattina. Shō decise di mandare un messaggio agli altri per avvisarli, ma prima si concesse di osservare Erina mentre saliva su per le scale: la divisa le lasciava scoperta buona parte delle gambe. Poi, quando sparì dietro la porta dell’appartamento, mandò un messaggio a Jun, sperando fosse ancora sveglio.

2010/08/4 11:42 p.m.
A: Matsujun
Titolo: Terribile!!
Matsujun, oggi usciva l’album. Me n’ero totalmente dimenticato e noi non abbiamo nemmeno festeggiato

2010/08/4 11:48 p.m.
Da: Matsujun
Titolo: Re: Terribile!!
Hai ragione, ma domani devo girare tutto il giorno e Aiba ha Shimura nel pomeriggio

2010/08/4 11:50 p.m.
A: Matsujun
Titolo: Re: Re: Terribile!!
Birra al Keikarō?

Era una tradizione segreta degli Arashi: Masaki si accordava con un cameriere del ristorante di famiglia per farsi lasciare aperta la porta sul retro quando tutti se n'erano andati dopo la chiusura, dopodichè i cinque si intrufolavano silenziosi, si bevevano qualcosa seduti ad un tavolo e passavano tutta la notte a parlare. L’avevano fatto la prima volta dopo pochi mesi dal loro debutto nel 1999, anche se all’epoca non bevevano alcolici, e si erano divertiti tanto da ripetere quegli incontri più volte, finendo così col trasformarli in una tradizione. Certo, con gli anni quelle serate non erano più rimaste segrete non allo staff del Keikarō, ma non era mai stato detto loro nulla a riguardo e così continuavano a provare sempre il gusto della trasgressione quando si intrufolavano nel ristorante di notte.

2010/08/15 00:02 a.m.
Da: Matsujun
Titolo: Re: Re: Re: Terribile!!!
Si può fare. Per quell’ora avremo anche finito di lavorare. Se per il Rīdā è ok, avviso gli altri.

Quando qualcuno chiedeva "Birra al Keikarō?" era chiaro che, finiti i vari impegni, si sarebbero trovati a mezzanotte al ristorante, e Satoshi era l'unico a lavorare di venerdì mattina.
Shō sorrise tra sè per quel rapido scambio di mail. L’intesa tra gli Arashi era perfetta come al solito.
«Scusami per l'attesa» si sentì dire. Rialzò lo sguardo dal cellulare e se lo rimise rapidamente in tasca. «Tutto a posto?» chiese Erina fermandosi davanti a lui. Fu felice che, anche cambiandosi, la ragazza avesse deciso per abiti poco coprenti, dato il caldo umido e appiccicoso di quella sera di Agosto. Indossava un paio di pantaloncini di jeans e una canottiera di cotone leggero, lunga tanto da nascondere almeno la metà dei pantaloni.
«Sì, era Matsujun» rispose con un sorriso, auto imponendosi di guardarla in faccia
«Capisco. Non posso offrirti nulla?» chiese imbarazzata Erina, accennando all'appartamento
«No, tranquilla. Sono qui solo di passaggio»
«Di passaggio?» fece lei sgranando gli occhi. «Oggi lavoravi da tutt’altr parte e non vivi nemmeno in questa parte della città. Dubito che tu sia finito qui per caso» osservò sbalordita: effettivamente non era credibile.
«Ok, mi hai scoperto: ho chiesto il tuo indirizzo al mio autista» rispose lui alzando le mani in aria. «Sono qui perchè mi hanno chiamato dall'ufficio e mi hanno raccontato la giornata di oggi»
«Chiacchieroni» sbuffò Erina incrociando le braccia e arrossendo leggermente. «Quindi? Cosa sei venuto a fare?»
«Dunque» tentennò Shō. La sua voce sembrava acida, cosa che non si aspettava. «Sono sinceramente preoccupati per te. Non so come tu abbia fatto, ma li hai conquistati nel giro di pochi giorni» disse con un sorriso. «E ci tengono a te, così come apprezzano il tuo lavoro e i tuoi sforzi, quindi è normale che, vedendoti abbattuta, si siano dati pena di fare qualcosa. Però mi hanno detto che non gli dai ascolto»
«Non è che non li ascolto» cercò di giustificarsi lei. «Ma è più forte di me: avrei dovuto essere un po' più decisa nelle contrattazioni, così i collaboratori mi avrebbero preso sul serio e avrebbero fatto il loro lavoro. Invece sono troppo giovane e probabilmente non so ancora darmi il giusto tono nelle discussioni di lavoro, quindi mi hanno preso sottogamba e non hanno fatto come eravamo d'accordo»
«Ma perchè dev'essere per forza colpa tua?» domandò energicamente, per interromperla. «Non potrebbe essere l'azienda che ha avuto problemi o non è sufficientemente seria per occuparsi di questo lavoro?»
«Allora è colpa mia che scelgo compagnie inadeguate a lavorare con noi» replicò. «Era un mio incarico, io dovevo occuparmene e non è andata nel verso giusto, quindi la responsabilità è mia».
Shō la guardò con gli occhi sgranati: era più testarda di un mulo! «Va bene» annuì spazientito. «È tutta colpa tua»
«Bravo, riconoscilo» fece lei storcendo il naso
«Lo riconosco: sei troppo inesperta, troppo giovane e troppo carina per essere presa sul serio da altre compagnie. Se avessimo mandato qualcuno dall'aria più navigata avrebbero fatto il loro lavoro e invece, vedendo te, hanno preso la cosa sottogamba e ora siamo tutti nei pasticci solo per colpa tua» concluse con aria convinta, incrociando le braccia a sua volta e guardandola dritto negli occhi. «Adesso che ti ho dato una mano a piangerti addosso possiamo andare avanti e pensare come risolvere la cosa?» domandò sbuffando.
Erina lo fissò per qualche secondo, quindi sciolse l'intreccio delle braccia e annuì mestamente. «D'accordo».
Shō sorrise trionfante: aveva vinto! Ed era stato più facile del previsto, perché lei somigliava molto ad Aiba e gli era bastato usare la stessa tecnica che usava con lui per convincerlo di qualcosa quando non sembrava esserci soluzione per smuoverlo dalle sue idee. Significava che quei due erano una coppia perfetta?
«Ai primi due problemi ci penserai con Ogura san e Kimura san» cominciò con tranquillità il ragazzo
«Lo vedi? Ci vogliono loro per...»
«Per insegnarti come si fa» la interruppe infastidito. «Puoi farti tutti i progetti e gli schemi che vuoi, Erina, ma impara che l'organizzazione di un concerto non è una contrattazione per la compravendita di azioni o per un contratto di scambio economico: non c'è niente di certo e può succedere qualsiasi cosa fino all'ultimo momento, quindi mettiti il cuore in pace che questi sono solo i primi problemi che incontrerai» tentò di spiegarle con pazienza. «Ne avrai altri, puoi starne certa, e per allora non possiamo permetterci che ti pianga addosso, nascondendoti in un angolo per un giorno intero. Devi reagire» la incoraggiò annuendo con il capo.
La ragazza lo ascoltava alternando lo sguardo da lui all'asfalto. Sembrava imbronciata. Probabilmente, per una così orgogliosa, non era il massimo sentirsi rimproverare.
«Vabbè, e come la mettiamo con il coreografo?» domandò con un filo di voce
«Quello è un problema effettivamente, ma, a meno che tu non sia andata alla JH a fargli lo sgambetto, direi che quell'incidente non è colpa tua»
«No, ma il problema rimane» ribattè con decisione.
Rimasero in silenzio per svariati secondi, probabilmente Erina stava pensando ad una soluzione, ma per lui era difficile concentrarsi sulla questione. Era bastato quel momento di silenzio a dargli la possibilità di realizzare quel che aveva appena fatto: senza indugi e senza ripensamenti era passato dal sentirsi un imbecille che non sapeva cosa fare, a qualcuno che invece aveva detto esattamente ciò che andava detto. Aveva fatto un bel figurone arrivando da lei e tirandola su di morale, cosa che Aiba chan non aveva fatto; lui i guai li creava, non li risolveva.
«Hai trovato una soluzione?» gli chiese. Shō ebbe cinque secondi di puro panico: stava solo pensando a quanto fosse stato bravo e non a risolvere i problemi, quindi cosa le poteva dire?
«Beh» temporeggiò cominciando a far lavorare il cervello il più possibile per trovare qualcosa da dire entro pochi attimi. «Per questa storia del coreo...» si bloccò, spalancando gli occhi. «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima?!» esclamò mettendosi a ridere e picchiandosi una mano sulla fronte
«Sai cosa fare?» fece lei aggrottando le sopracciglia
«Forse sì, mi lasci fare una telefonata?» domandò con un sorriso smagliante sulle labbra prima di recuperare il cellulare. Osservò la ragazza annuire e fece la sua chiamata. Mentre parlava al telefono la seguì inconsciamente e si misero entrambi seduti sulle scale di metallo dell'edificio. Era tanto preso a parlare che non si era nemmeno accorto di essere entrambi sullo stesso gradino e lo spazio era stretto a sufficienza per trovarsi seduto vicino ad Erina come non era mai successo prima.
«Sì, sì, domani posso. Mi fai avere una mail se riesci a recuperare un biglietto aereo?» domandava Shō mentre concludeva la telefonata. «Ok, allora nel caso ci vediamo all'aeroporto. Tranquilla, tranquilla» rise di gusto. «Nessun lavoro domani. Grazie, chiamo io la sede. Sei un angelo! A domani» e con un allegria chiuse la comunicazione. Si voltò verso Erina che lo stava fissando e in quell'attimo si irrigidì: quand'è che si erano messi così vicini? Si sentì improvvisamente emozionato.
«Quindi?» domandò lei sollevando le sopracciglia
«Quindi domani mattina ci vediamo in ufficio e ti darò i documenti da faxare agli uffici dei piani alti per l'assunzione della nuova coreografa, poi la andiamo a prendere all'aeroporto quando atterra il suo volo. Se ne trova uno per domani, chiaramente» annuì facendosi pensieroso
«Un momento. Da dove arriva, visto che deve prendere un aereo? E perchè farne arrivare una da lontano quando possiamo prenderne un'altra, o un altro, più vicino?» fece la ragazza confusa
«Perchè lei è l'unica che dopodomani possa già mettersi ad allenare il corpo di ballo su una coreografia che ancora non conosce» rispose Shō. «Non troveremo mai qualcuno che possa prepararsi a coordinare il gruppo in un tempo più breve e il tempo a nostra disposizione è sempre meno, giusto?»
«Sì, tra dodici giorni c'è il concerto» annuì lei con aria preoccupata
«Undici, direi» la corresse guardando la data sull'orologio che era cambiata dal quattro al cinque agosto. «Fidati, lei può farlo» annuì con decisione
«Mi fido, del resto ne sai più tu di me. Chi è?» chiese incuriosita
«È coreana, ha lavorato con noi al concerto dell'anno scorso. È la ballerina più brava che io conosca e ha una rapidità di apprendimento impressionante» spiegò Shō entusiasta. «Lei può farcela a completare la preparazione del corpo di ballo. Poi conosce già l'ambiente della JH, parla giapponese e lavora nel mondo dello spettacolo anche nel suo paese, quindi sa come muoversi»
«Va bene. Speriamo che ai piani alti non facciano storie» annuì Erina, anche se poco convinta. «Significa che abbiamo risolto questo problema?» domandò timidamente
«Sì, forse l'abbiamo risolto» sorrise incoraggiante prima di sospirare guardando ancora l'orologio. «E detto questo, credo di dover andare o perderò l'ultimo treno» ammise a malincuore
«Hai ragione, è tardi!» esclamò lei riprendendosi e alzandosi in piedi. «Domani dobbiamo stare in giro tutto il giorno: ce la farai?» domandò girandosi a guardarlo preoccupata. «Hai lavorato per giorni senza mai fermarti e finalmente avresti avuto una giornata tranquilla»
«Hai ragione» sospirò abbassando lo sguardo con fare scoraggiato prima di alzarsi in piedi. «In qualche modo farò»
«Mi dispiace, è solo colpa mia se devi sforzarti così tanto. Sto creando problemi a tante persone» ammise lei inchinandosi profondamente. «Grazie per essere venuto fino a qui oggi»
«Non hai bisogno di fare tante cerimonie» le disse arrossendo. La prese per le spalle e la costrinse a rimettersi in posizione eretta. «Quando ti senti giù devi alzare lo sguardo e guardare in alto: non è in terra che si trova la forza di andare avanti» le disse seriamente.
Erina lo guardò negli occhi e rimase in silenzio finchè non fu Shō stesso ad arrossire. «Sakurai san, come sei poetico» osservò lei
«Oh ma zitta» farfugliò arrossendo ancora di più
«Come ti escono?» domandò cercando di trattenersi dal ridere
«E non ridere, l'ho fatto per te» concluse lasciandole andare le spalle
«Scusa» rispose portandosi una mano davanti al viso sforzandosi di non farlo. «Andiamo, ti accompagno alla stazione» si offrì e cominciò a camminare lungo la strada.
In un primo momento Shō sentì che quello era il momento più strano e inaspettato di quel nuovo mese. Avevano appena scherzato insieme, non era mai successo prima.
«Sakurai san» pronunciò Erina ad un certo punto, rompendo il silenzio che si era formato tra loro.
Shō quasi sussultò a quell'improvvisa parola: finora aveva sentito solo il rumore dei loro passi. «Sì?» accennò a mezza voce sbirciando la ragazza al suo fianco
«Cosa significa che devo comportarmi come se non ci fossimo mai conosciuti?» domandò lei senza esitazione nella voce.
Il giovane sgranò gli occhi e girò completamente il capo a guardarla sbalordito. Il suo cervello si fece improvvisamente vuoto, non si spiegava quella domanda improvvisa.
«Pensavo che l'avessi detto perchè mi detesti» confessò
«Eh?» dovette controllare la propria voce per non tirar fuori un urlo acuto dalle corde vocali strozzate dalla sorpresa
«Avresti le tue buone ragioni, Sakurai san, non posso biasimarti. Anni fa ti ho respinto e non dico che fosse sbagliato, ma certamente non l'ho fatto nella maniera migliore. Non ho avuto tatto, né riguardo per i tuoi sentimenti: per quanto tu sia stato maldestro, dev'esserti costato molto dirmi ciò che mi dicesti quel giorno. Il fatto che io abbia calpestato in malo modo le tue emozioni e il tuo coraggio sarebbe sufficiente a detestarmi e volermi tenere a distanza» spiegò quella continuando a guardare fisso davanti a sé. «Ho pensato fosse naturale che, costretto a lavorare con me, volessi mettere della distanza tra noi: è lecito non voler avere a che fare con chi ci ha ferito. Ma sei anche cambiato no? Sei una persona più seria ora» annuì piano. «Hai accettato di lavorare con me per serietà e impegno nei confronti della tua attività e di quella degli altri, altrimenti non avresti mai scelto di rivederci»
«Se pensi che questo sia il motivo perchè me lo domandi, per conferma?» domandò Shō che tentava di seguire il discorso
«Sì, diciamo di sì. Più che altro ero certa fosse questa la motivazione e quindi ho fatto del mio meglio per comportarmi di conseguenza, ma devo ammettere che alcuni tuoi atteggiamenti non sono affatto quelli di una persona che vuole mantenere solo un freddo rapporto di lavoro» ammise. «Voglio dire. Non che io pensi che tu voglia chissà cosa, sia chiaro, ma anche il rapporto che ho con Ogura san e Kimura san non è di solo lavoro: c'è un po' di cameratismo. Allo stesso modo, alcuni tuoi atteggiamenti non sembrano quelli di chi non vuole avere altro che una collaborazione lavorativa» la vide annuire dopo aver chiarito quel concetto
«Ti ho confuso?» domandò Shō con un po' più di sicurezza nella voce, lentamente le cose cominciavano a farsi più chiare: tutto cominciava a combaciare.
«Abbastanza, sì» annuì. «E vorrei invece che ci fosse chiarezza con te e con le persone con cui lavoro».
Shō scoppiò a ridere, non istericamente, ma una risata piena, che gli veniva dal cuore: un po' perchè quella situazione era decisamente comica, un po' perchè dentro di sè sentiva di essere la persona più felice del pianeta. Era tutto chiaro, tutti i suoi comportamenti e la sua freddezza acquistavano un senso. «Hai frainteso, Erina san» spiegò: ora che aveva capito, doveva chiarire. «Non volevo allontanarti. Ti ho fatto quella richiesta perchè sinceramente mi vergogno di ciò che feci, degli atteggiamenti che ebbi con te e vorrei sprofondare ogni volta che ci ripenso. Se potessi tornare indietro non rifarei le stesse idiozie!» le spiegò mentre arrivavano in vista della stazione. «Speravo che tu potessi dimenticare lo Shō di allora e potessi relazionarti, lavorare e parlare con me avendo chiara l'idea che la persona che hai davanti è diversa, migliore spero»
«Sì che lo sei» intervenne lei energicamente. «Infondo eravamo solo ragazzi, ora siamo adulti, è chiaro che siamo cambiati e tu sei definitivamente una persona migliore. Sei cresciuto, sei migliore. Sì».
Cos'altro gli riservavano quelle ore? Sembrava accaduto un miracolo: Erina aveva cancellato l'immagine dell'impacciato universitario e aveva fissato lo sguardo sull'uomo che era diventato. «Dici sul serio?» non riuscì a trattenersi dal chiederglielo
«Certo che sì, se tu non fossi maturato non avresti potuto dirmi le frasi di prima» annuì la ragazza con un sorriso appena accennato sulle labbra
«Devo ringraziare te se sono diventato la persona che sono oggi» fece prendendo un respiro profondo. Poteva dirglielo? Quella sera tutto sembrava possibile. «Forse esagero. Diciamo che in parte è stato anche grazie a te»
«Come?» domandò sbalordita guardandolo a sua volta
«Ricordi quello che mi dicesti quel giorno di neve? "In futuro non diventare ciò che gli altri vogliono che tu sia, ma abbi più coraggio di essere chi sei veramente"» citò. «Forse hai ragione, sei stata un po' brutale quel giorno, ma ho sempre tenuto da conto quelle parole e sono diventate parte delle mie convinzioni, di quei capisaldi a cui uno si rifà sempre quando ha bisogno di sostegno e coraggio»
«Io non immaginavo» farfugliò Erina
«Per la verità mi ero scordato chi me le aveva dette, l'ho ricordato solo un anno fa, quando ti ho rincontrato per caso. Ti ricordi?»
«Quindi ti avrei aiutato?» domandò fermandosi a pochi passi dalle scale della stazione dei treni. «Ma oggi sei stato tu a dire delle parole per aiutare me» riflettè
«Forse è da qui che dovremmo ricominciare, non credi?» domandò Shō. «Io preferirei non si ripensasse ai miei comportamenti immaturi»
«E io preferirei dimenticassi della mia completa mancanza di tatto» sorrise lei portandosi una mano alla fronte
«Allora cancelliamo tutto e ricominciamo dal fatto che ognuno di noi due ha sostenuto l'altro in qualche modo» propose il ragazzo
«Va bene: carta bianca allora?» domandò Erina allungando la mano verso di lui
«Bianchissima» annuì stringendogliela, accettando quel patto.
Era tutto vero? Era un miracolo: potevano ricominciare tutto da capo e aveva addirittura un punto a suo favore che lo metteva in buona luce. Solo quando fu già sul treno si rese conto di non aver chiesto niente della serata con Aiba chan: era un nuovo inizio, ma ancora non sapeva cosa ci fosse tra loro.

¹ è il testo di Løve Rainbow
² una linea ferroviaria dell’area di Tōkyō


Scusate il ritardo, il parziale di cinese mi ha trattenuto, in più non è stato facile pensare a questo dialogo che, tutto sommato, è molto delicato per il proseguire della fic, per i cambiamenti del rapporto tra i due protagonisti.
L'ultima parte l'ho scritta di getto e ancora non l'ho riletta. Mi perdonerete, ma è stato talmente complesso scriverlo che mi sento male a rileggerlo ora. Ho deciso di pubblicarlo lo stesso perchè magari (boh, forse) qualcuno lo sta aspettando, però se vedete degli errori fatemelo sapere. Comunque nei prossimi giorni lo rileggo con più calma =_= gnaf!
Let me know what do you think!

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Capitolo 15
*** 14. Illusionary Treasures ***


Come ogni donna che si rispetti, Erina era brava a farsi i cosiddetti “castelli in aria”. Si faceva mille problemi e rifletteva troppo sulle cose, quindi le era sembrato incredibile che tra tutti i suoi vaneggiamenti non le fosse mai venuto in mente che Shō potesse essere innamorato di un'altra. Quando aveva realizzato per la prima volta questa eventualità si era vergognata del suo egocentrismo: come aveva potuto pensare che lui, Sakurai Shō, continuasse ancora a pensare a lei dopo nove anni dalla sua dichiarazione? Con disappunto, dovette ammettere che nelle sue fantasticherie aveva tenuto conto solo di ciò che aveva fatto comodo a lei, e quello era uno dei tanti motivi per cui si diceva di smettere di rimuginare troppo sulle cose.
Un anno prima Shō era stato fotografato in atteggiamenti amichevoli con una ragazza sconosciuta al mondo dello spettacolo e, durante una conferenza stampa tenutasi per commentare la notizia, aveva ammesso di essere innamorato della ragazza con cui era stato scoperto. A parte alcune personalità della Johnny’s Entertainment, Erina probabilmente era l'unica al di fuori dell’agenzia a sapere l'identità di quella donna. L’incontro-scontro con Shō dell'anno prima era avvenuto esattamente il giorno in cui era stata scattata la foto e lui le aveva presentato la ragazza che lo accompagnava.
Non ricordava molto di quella giovane, il nome era straniero, ma Shō le aveva parlato della sua totale fiducia nella nuova coreografa e aveva detto che avevano lavorato a stretto contatto tutto il tempo del concerto dell'anno precedente: Erina infatti li aveva incontrati proprio nel periodo di preparazione di quell'evento, lo stesso della fotografia.
Mentre svoltava ad un grosso incrocio per immettersi nel traffico della via principale di Akasaka, verso la sede della JE, Erina passava dal chiedersi cosa ci fosse ancora tra quei due a convincersi che quel nuovo invito non aveva secondi fini: sicuramente era brava nel suo lavoro, perchè Shō era una persona che si impegnava seriamente in ciò che faceva e se aveva garantito per lei, era perché poteva realmente salvare la situazione. Quella valutazione però non escludeva che lui potesse essere felice di rivederla e c’era stato feeling tra loro una volta, non poteva escludere che potesse riaffiorare.
Frenò bruscamente dopo aver parcheggiato nel seminterrato della sede della JE e sospirò appoggiando la fronte al volante. «Ooooh devo smetterla!» sospirò tra sé in tono lamentoso. Recuperò lo zaino e la felpa e scese agilmente dall'auto.
Aveva temuto che alla reception le avrebbero fatto storie vedendola arrivare in jeans e maglietta, invece era bastato vedere il suo pass per farla entrare come tutti i giorni in cui indossava vestiti più adatti all'ambiente d'ufficio. Quando arrivò al piano, si aprirono le porte dell’ascensore e inaspettatamente le si presentò davanti Ninomiya Kazunari che si era fatto da parte per farla uscire. Erina doveva aver fatto una faccia strana perchè questi la guardò altrettanto stranito, ma nessuno dei due disse niente fin quando non fu la voce di Shō a rompere il silenzio.
«Nino!» lo richiamò. «Eri» fece per salutare la ragazza vedendola vicina all'amico, ma non potè finire la sua frase perché lei urlò spaventata quando l'ascensore si mise in moto per richiudersi, minacciando di schiacciarla. Shō fece per precipitarsi vicino a lei ma venne preceduto da Aiba.
«Ma che fai?» domandò quello incredulo, dopo aver messo le mani sulle porte per trattenerle. Nino nascondeva con poco successo una risatina.
«Non me ne sono accorta» si giustificò, avrebbe voluto sparire per la vergogna
«Me ne sono accorto» rise il ragazzo. «A volte capita anche a me sai?»
«Lei è la collaboratrice di cui mi parlavate?» domandò Nino, divertito
«Sì, è lei» rispose Shō, fermo al suo fianco. «Nino, ti presento Sheridan Erina san. Erina san, c’è bisogno che ti presenti Nino?» riflettè Shō aggrottando le sopracciglia
«Ninomiya Kazunari, molto piacere» fece l'altro con un inchino, non riusciva a togliersi dalle labbra quel sorrisino ilare dovuto alla figuraccia della ragazza
«Sheridan Erina, il piacere è mio»
«È una nostra fan, sai?» fece Aiba con un sorriso smagliante sul viso
«Non c'è bisogno di dirlo a tutti!» esclamò Erina
«Perchè no? È vero» rispose quello facendo l'offeso
«Sei una nostra fan? Ora mi spiego come mai avevi quella faccia» annuì tra sè Nino
«Quale faccia?» domandò la ragazza
«Noi qui siamo di casa, nessuno si sorprende a vedere un idol per i corridoi, mentre la tua faccia sembrava proprio dire: “Eeeeeh? Ninomiya Kazunari?”» ridacchiò facendo la vocina
«L'hai veramente guardato così?» la prese in giro Aiba
«Io non sono abituata» farfugliò lei cercando un modo per scusarsi, cosa difficile con qualcuno che le rideva in faccia e Masaki che rincarava la dose.
«Erina san, puoi gentilmente toglierti dalle porte dell'ascensore?» domandò Shō. «Aiba chan non può mica stare qui in eterno a tenerle aperte» fece notare. Avrebbe giurato dal suo tono che fosse un po' seccato.
«Hai ragione» biascicò Erina arrossendo fino alla radice dei capelli e chinando il capo
«Come sta andando il lavoro?» domandò Masaki lasciando le porte. «Shō kun non ti fa impazzire vero?»
«Io sono un tipo serio» fece notare l'altro
«Cosa che non si può sempre dire di te» Nino fissò Aiba
«Il mio lavoro va benissimo, Aiba chan». Le tremò appena la voce quando lo chiamò con il suo soprannome, era la prima volta che lo usava davanti ad altri dopo che lui le aveva dato il permesso. «Sono io che mi ritrovo sempre nei pasticci, ma vedrò di rimediare a tutto: non sono cose di cui dovete preoccuparvi. Il vostro compito è un altro questo è il mio. Sarà un successo, è una promessa» concluse con serietà, non voleva fare ancora la figura della sciocca davanti a Ninomiya Kazunari. Mormorò un educato "scusatemi" e sorrise serena ad Aiba quando questi la salutò con allegria, quindi si avviò lungo il corridoio.
Nino aveva ripreso a ridere leggermente. «Avevi ragione, sembra svampita come Aiba chan» lo sentì dire non appena lei svoltò l'angolo, scomparendo alla loro vista
«Cosa vorresti dire?» replicò quello
«Però è anche molto seria come te, Shō kun» e non sentì alcuna risposta da parte dell'interpellato.
Quanto Shō tornò in ufficio si misero subito al lavoro per compilare i fogli del nuovo contratto dopo aver avuto l'approvazione dagli uffici centrali, quindi ognuno si dedicò al proprio compito in attesa di partire per l'aeroporto: Shō aveva i fogli di NEWS ZERO da leggere ed Erina aveva altre mille faccende da sistemare. Ma la curiosità è femmina, quindi si concesse dieci minuti del suo tempo per leggere con più attenzione il profilo della nuova "scritturata".
Il suo nome era Ahn Yun-Seo, 24 anni, nata e cresciuta a Seoul. La lista di attestati e concorsi di danza a cui aveva partecipato, e spesso vinto, sembrava interminabile: conosceva la danza moderna in cui si era persino diplomata e aveva avuto l'abilitazione per insegnarla, la danza contemporanea, acrobatica e l’hip hop. Probabilmente gli Arashi non ballavano ai suoi livelli, ma era innegabile che questa Ahn Yun-seo, in quanto parte del mondo dello spettacolo, aveva in comune con Shō molte più cose di quante non ne avesse Erina. Loro due si erano semplicemente laureati alla stessa facoltà, non era un granchè, soprattutto dato che Shō non aveva fatto alcun lavoro legato al suo campo di studi.
Sospirò mettendo da parte i fogli e accedendo il computer che le avevano dato in dotazione per controllare le mail dei vari collaboratori. Si convinse che era inutile farsi altre domande su quei due: sarebbe andata con Shō a prendere Ahn san all'aeroporto e avrebbe potuto vedere con i suoi occhi come si comportavano.

Siccome erano diretti all'aeroporto, che era un posto abbastanza pericoloso per Shō, si erano entrambi vestiti in maniera casual per non dare nell'occhio. Avevano preso la macchina di Erina per non usare il mezzo del ragazzo che poteva destare sospetti dati i finestrini oscurati, ma non le era stato permesso di guidarla: al volante si era piazzato quello che, immaginava, fosse l'autista dei Sakurai, mentre loro due stavano sui sedili posteriori.
Per Erina era seccante lasciare ad altri l’unica macchina che avevano lei e Ying ed era strano farsi scarrozzare ovunque da un autista. Shō invece sembrava completamente a suo agio.
Mentre realizzava tutto questo, bella comoda sul sedile posteriore della sua auto, non poteva fare a meno di compiacersi del fatto che seduto lì dietro ci fosse anche lui: Sakurai Shō nella sua macchina! Avrebbe mai trovato il coraggio di lavare gli interni?.
«Si può sapere cosa c'è di così interessante su quei fogli da farti quasi sghignazzare?» domandò Shō quando la vide trattenere una risata. Si era messa a guardare i documenti del lavoro solo per nascondere il proprio divertimento al domandarsi se pulire o meno in futuro il sedile posteriore e ora le toccava inventare una scusa qualsiasi per giustificarsi e non confessargli il fatto che averlo seduto nella sua auto la emozionava moltissimo.
Mentre faceva ordine nella sua testa per cercare qualcosa da dire alzò lo sguardo e l’eventuale risposta le morì in gola: il ragazzo le era scivolato accanto, poi si era piegato verso di lei, mettendo un braccio sul sedile e sbirciando i fogli che teneva in mano. I loro visi erano vicini, non tanto da rendere quella vicinanza pericolosa, ma abbastanza da toglierle il fiato e indurla ad incantarsi ad osservare il suo meraviglioso profilo.
«È una barbosa relazione sui lavori per la costruzione del palco, cosa c'è da ridere?» scherzò Shō dopo aver dato una scorsa agli scritti, quindi la guardò ridacchiando. «Non sei mica normale» asserì quello prima di rendersi conto a sua volta della loro vicinanza. Si scambiarono un'occhiata ed Erina avrebbe voluto nascondergli il fatto di essere rimasta incantata come un'idiota a fissarlo, ma guardarlo la paralizzava, non riuscì nemmeno a trattenersi ed abbassò lo sguardo sulle sue labbra per qualche istante. La distanza sembrò diminuire tanto che avrebbe giurato di poter sentire il suo respiro caldo sulle proprie labbra.
Stava accadendo realmente o era una delle sue fantasticherie? D’istinto piegò leggermente il capo, decidendo di avvicinarsi a sua volta, e fece per chiudere gli occhi, ma in quel momento l'auto si fermò. «Siamo arrivati» annunciò l'autista.
Il movimento della frenata allontanò Shō che smise di guardarla in faccia e si voltò per aprire la portiera come se non fosse successo nulla. Era stata talmente tesa da accartocciare i fogli che aveva tra le mani. Non sapeva spiegarsi cosa fosse successo, ma il rumore della portiera che si chiudeva la risvegliò e scese a sua volta dalla vettura.
Entrambi indossarono gli occhiali e Shō si sistemò un cappellino con la visiera e un leggero foulard intorno al collo. Sapevano dove andare per attendere l'arrivo del volo dalla Corea quindi si avviarono ed Erina rimase quattro passi più indietro: con tutta la gente che c'era a Narita era una buona distanza per non perdersi di vista, ma anche per non dar l’idea di essere lì insieme.
La ragazza andava avanti senza far molto caso a dove metteva i piedi. Continuava a rivivere nella sua mente ciò che era appena successo e cercava di capire se vi fosse qualcosa che facesse capire se era stato reale o meno. Schivò il set di valigie di una straniera ed infine si fermarono uno di fianco all'altro, pigiati nella folla che attendeva gli arrivi dei voli internazionali.
«Che accidenti fai?» domandò Erina a denti stretti, guardando il cartoncino che Shō aveva tirato fuori dal suo zaino e che aveva alzato sulla testa quando uscirono le prime persone dalle porte automatiche.
«Non posso mica mettermi ad urlare il suo nome, no?» fece lui stringendosi nelle spalle, senza abbassare il foglio
«No, hai ragione, sbandierare il disegno di una carota attira decisamente meno l'attenzione» fece notare. Lui le lanciò un'occhiata, senza reagire alle sue parole.
Sbuffò togliendogli il cartello dalle dita. «Dà qui. Almeno fallo tenere a me» spiegò. Si mise a scrutare i volti di tutte le persone orientali che venivano in quella direzione: era in ansia e la tensione cresceva più era il tempo che dovevano aspettare, perché non si ricordava il viso della ragazza che cercavano e aveva il terrore di trovarsi davanti ad una coreana stupenda contro la quale non avrebbe mai avuto alcuna chance.
Ad un certo punto notò un viso che si era illuminato al vedere il disegno della carota. Shō, al suo fianco, alzò una mano agitandola leggermente e fece segno di uscire dalla fila. La sconosciuta spinse la valigia e aumentò il passo per superare il flusso di gente che usciva dalle porte come lei e scartò sulla sinistra, raggiungendoli.
«Carotina!» la salutò il ragazzo sorridendole raggiante.
L'espressione di lei era altrettanto euforica. «Shō kun! Quanto tempo!» esclamò trottandogli incontro finchè non si bloccò a pochi passi. «Grazie per essere venuto a prendermi» si inchinò educatamente
«Figurati, era il minimo per il favore che ci stai facendo» rispose lui riprendendo il disegno della carota dalle dita di Erina. «Ti accompagniamo alla JH in macchina»
«Ma sei sicuro di poterlo fare? Posso anche andare con la tua assistente» la coreana spostò lo sguardo su Erina
«Lavoro all'organizzazione del concerto» rispose lei infastidita
«Lei è Sheridan Erina. È un po’ come se fosse un tuo superiore, Yun» ridacchiò Shō mettendosi a camminare verso l'uscita e prendendole la valigia. «Comunque puoi stare tranquilla, oggi non ho lavori» quindi caddero nel silenzio più totale mentre tornavano verso la macchina, così ebbe qualche minuto per inquadrare fisicamente la sua rivale. Era alta più o meno quanto Ninomiya e quella mattina Erina aveva constato di persona di essere più bassa di lui, il che significava che era una nanerottola anche in confronto a Yun-seo.
Uno a zero per la coreana.
La nuova arrivata era magra come solo gli orientali potevano esserlo ed Erina non aveva il loro stesso fisico asciutto, ma quello tutto curve tipico degli occidentali. In cambio però aveva un seno un po' più prosperoso rispetto agli standard giapponesi.
Uno a uno per lei.
Per il resto, Yun-seo aveva la bellezza tipica degli orientali: capelli lisci, neri, viso carino, occhi piccoli; nulla a che vedere con la foresta di ricci rossi di Erina e i suoi occhi grandi, con un vago taglio a mandorla.
Due a uno per la coreana.
Inoltre lavorava nello stesso ambiente di Shō.
Tre a uno.
Anche se sembrava aver perso, Erina si era sentita più leggera vedendo la reazione composta che avevano avuto entrambi nel salutarsi. E con quel senso di sollievo aveva accettato di sedersi davanti, al posto del passeggero, lasciando gli altri due sui sedili posteriori. La sua tranquillità scomparve quando, una volta messo in moto, la coreana aveva messo il braccio intorno al collo di Shō attirandolo verso di sè.
«Cos'era quella carota, eh?»
«Mi fai male! Mi fai male!!» strillò il ragazzo, stritolato dalla ballerina che gli sfregava le nocche contro la testa
«E "carotina"? Carotina?! Devi proprio infilare il dito nella piaga?» continuò a torturarlo stringendolo a sé
«Va bene, scusa! Scusa!! Adesso mollami» piagnucolò Shō che venne liberato. «Sei manesca come sempre, speravo che fossi diventata più femminile»
«Io sono femminile» ribattè quella piccata, tirando su con il naso
«Ciao Yun» la salutò di nuovo il ragazzo con un sorriso, dopo qualche secondo di silenzio. Il suo tono di voce suonava pieno di commozione, dolcezza forse.
«Ciao Shō kun» rispose quella, e l'espressione dura che aveva sul viso che si sciolse in un sorriso divertito. «È un sacco di tempo che non ci vediamo»
«Decisamente. Cinque o sei mesi?» rispose quello
«Credo sei» annuì.
Durante il viaggio fino alla JH Erina potè intervenire poche volte: Shō la presentò di nuovo a Yun-seo e ogni tanto le fece qualche domanda inerente ai loro discorsi, ma per il resto i due sul sedile posteriore passarono il tempo a raccontarsi dei fatti propri e ricordare il passato. Era sconfortante.
Erina sarebbe dovuta tornare in ufficio a lavorare, ma era decisa a seguirli ancora per il resto del pomeriggio per finire di farsi un'idea sul loro rapporto, così li seguì fino alla JH, acronimo di Johnny's House, e vide quel posto per la prima volta: una specie di campus completo di tutto ciò di cui i suoi abitanti avessero bisogno. I vari edifici (segreterie per la gestione, mensa, dormitori, palestre, sale prova, sale ballo, palestra, caffetteria e via dicendo) erano circondati da un muro che delimitava l'area, e probabilmente serviva anche a limitare la visione al suo interno. Anche se ogni artista aveva una casa propria, capitava che alcuni si stabilissero anche per settimane nelle stanze a disposizione lì.
Accompagnarono Yun-seo all'edificio del piccolo dormitorio femminile non potè fare a meno di constatare come la ragazza si muovesse completamente a suo agio in quel luogo, salutò addirittura il custode del dormitorio! Mentre attendevano che si sistemasse in camera, lei e Shō si sedettero su una panchina del parco, poco distanti dall'entrata dell'edificio.
«Mi son dimenticata di darle questo» osservò Erina mentre frugava nel suo zaino per ingannare il tempo: il silenzio che era calato tra loro era imbarazzante.
«Cos'è?» domandò lui sbirciando i fogli che aveva tirato fuori
«È la tabella di marcia del lavoro da svolgere. Me l'hanno fatta avere dalla sede poco prima di uscire e ho pensato di stamparla per fargliela avere subito. Però non c'è in coreano, va bene lo stesso?» domandò tendendogli il plico perchè gli desse una sfogliata
«No» fece sul momento lui, poi si corresse. «Cioè sì, va bene anche così. Ci penserò io a darle una mano per capirlo» lo osservò sorridere, un sorriso a metà tra il divertito e il tenero.
Le faceva rabbia vederlo così. «Come ti pare» rispose brusca stringendosi nelle spalle. Con la coda dell'occhio non potè fare a meno di notare come Shō avesse alzato lo sguardo su di lei a quella risposta scortese e si maledisse per non essere riuscita a nascondere il fastidio.
«Shō kun! Erina san!» li richiamò Aiba che arrivava in quel momento dal viale che portava al dormitorio maschile, molto più grande di quello femminile. «È proprio la giornata degli incontri oggi» ridacchiò.
Shō fece per rispondere al saluto, ma lei lo anticipò. «Aiba chan, come mai sei qui?» domandò rapida, alzandosi dalla panchina e camminandogli incontro: voleva solo fuggire da quel momento terribile e dal fatto che lui quella mattina aveva avuto occhi solo per la coreana.
«Quando sono qui a Tōkyō per lavorare non torno a casa a Chiba» spiegò il ragazzo. «Ho un appartamento, ma sono sempre da solo e non è che mi piaccia molto, così ogni tanto vengo qui. Posso chiacchierare con i Junior, incontrare membri di altri gruppi, a volte guardiamo dei film insieme»
«Non riesco ad immaginarmi che film possano mai vedere degli idol» riflettè lei, non le era difficile trovare dei modi per allungare la sua chiacchierata con Aiba, che in quel momento era la sua ancora di salvezza.
«Che film vuoi che vediamo? Siamo persone normali, mica esseri strani» osservò l'altro
«Certo. Non è che magari guardate i vostri?» domandò prendendolo in giro
«Giuro che l’ultimo visto non era nostro!» rispose lui alzando le mani in aria, in segno di innocenza. «Però il lunedì sera vado spesso in sala comune a guardare il drama di Matsujun con alcuni kōhai»
«È diverso che guardare i propri» osservò la ragazza. «Guardare il drama di un compagno è una cosa carina, mentre guardare i propri non è poco modesto?»
«Hai ragione, non possiamo peccare di immodestia noi idol» annuì incrociando le braccia. «Facciamo sempre un sacco di pubblicità e programmi, se guardassi la televisione sarebbe pura immodestia. Dovrei smettere»
«Non esagerare, scemo!» esclamò Erina mettendosi a ridere con lui
«Scemo? Non chiamarmi "scemo"! L'hai sentita?» chiese quello verso Shō, alle spalle della ragazza che evitava di guardarlo. Perchè non poteva essere tutto semplice come lo era con Aiba chan?
«Ora vi saluto» disse quindi il giovane, sistemandosi la borsa a tracolla. «Devo andare alle riprese di Shimura»
«Hai un secondo solo da dedicarmi?» domandò Erina, a bruciapelo: avrebbe dato di tutto pur di non tornare sulla panchina vicina al collega.
«Adesso? Veramente dovrei proprio andare» fece osservare lui
«Se vengo qui domani mattina e ti offro una colazione?» domandò pensando di tentare il ragazzo con il cibo. «Per farmi perdonare dello "scemo"» aggiunse
«Va bene, ci sto» si convinse. «Allora a domani» la salutò, quindi lanciò un'occhiata a Shō. «Ci vediamo stasera. Poi organizziamo per sabato» lo salutò agitando la mano
«Sicuro. Yun sarà contenta!» sorrise lui e lo salutò a sua volta
«Buon lavoro» si inchinò Erina osservandolo mentre si allontanava.
Si era convinta che Aiba avrebbe potuto essere un’ottima fonte di informazioni se voleva farsi un'idea di cosa fosse successo l'anno precedente tra Shō e la coreana, dato che era abbastanza amico di entrambi da poterle raccontare qualche dettaglio. Quindi decise che non aveva più bisogno di stare ad ascoltare gli amichevoli discorsi tra Shō e Ahn san quindi tornò in ufficio per completare la sua giornata di lavoro.
Il mattino dopo si svegliò senza aver dormito bene, con un nodo allo stomaco e poca voglia di buttarsi nella calca mattutina del treno per andare verso Tōkyō. Solo il pensiero di fare colazione con Aiba chan la spinse ad alzarsi dal futon.
«Che ci fai già in piedi?» chiese Ying mentre rimestava nella sua ciotola di riso con le bacchette
«Faccio colazione fuori» rispose passandole davanti per andare verso il bagno
«Capito» mugugnò quella.
Ying era un angelo, la migliore coinquilina che potesse avere: non era mai invadente e accettava di sapere solo quello che lei era disposta a dirle. La sera prima non aveva chiesto niente quando aveva visto Erina tornare a casa e andare diretta a letto, senza cena e senza doccia. Lei si era sentita troppo triste e ferita per dedicarsi a qualcosa come il cibo e questo doveva aver stranito parecchio la sua amica. Inoltre era strano che non sorridesse, quindi la sua fuga triste verso il letto doveva essere stata preoccupante, ma nonostante questo non le aveva domandato nulla.
Arrivò alla JH e stranamente Aiba era lì in orario ad aspettarla. «Buongiorno Erina san!» la salutò raggiante
«Buongiorno Aiba chan» rispose con altrettanta energia: solo lui riusciva a trasmettergli allegria qualsiasi fosse la situazione. «Sei in orario. Non so perchè non me l'aspettavo» scherzò seguendolo alla caffetteria del campus
«Sei cattiva. Posso sembrare svampito, ma sono quasi sempre in orario, è Jun il ritardatario» replicò preparando il vassoio per mostrarle come fare a prendere la colazione.
«Com'è che non c'è quasi nessuno?» notò la ragazza
«Sono le otto di mattina: chi deve lavorare è già partito per gli studi, chi non deve lavorare si concede un'ora di sonno in più; la colazione qui finisce alle dieci» spiegò riempiendosi il vassoio
«Capisco, e tu che ci fai in piedi se non hai lavori?»
«Tu cominci alle nove, quindi dobbiamo fare colazione prima per non farti fare tardi» spiegò stupito, come se fosse naturale che un idol impegnato come lui si svegliasse più presto di quanto non gli fosse invece concesso per quel giorno solo per vedere lei e per soddisfare un suo capriccio. Aiba Masaki sembrava una bella persona se si leggevano le interviste di gruppo o si guardavano i video e i concerti, ma quando lo si conosceva era molto più che una bella persona. Erina lo adorava.
Si accomodarono in un angolo della sala: avevano entrambi i vassoi pieni, ma il ragazzo aveva preso circa il doppio del cibo che aveva preso lei. «Allora» esordì. «Di cosa avevi bisogno? Guarda che se è per avere di una mano su lavoro te la darei volentieri, ma sicuramente Shō kun è più bravo di me»
«No, non c'entra con il lavoro» scosse il capo lei
«È una nuova ed appassionante dichiarazione?» scherzò ridendo di gusto
«Non ritiro più lo "scemo" di ieri» lo minacciò arricciando il naso. Ma scherzarono solo per qualche altro minuto, poi lei raccolse il suo coraggio. «Volevo chiederti» farfugliò, ammutolendosi di nuovo l'attimo successivo.
Come estorcere ad Aiba informazioni sul rapporto tra quei due senza fargli capire che voleva saperlo perchè innamorata di Shō? Si era tormentata sulla questione tutta la notte. «Ecco, stranamente ho avuto qualche problema a relazionarmi con Ahn san. Di solito non ho questo tipo di problemi, sono la prima a farsi avanti con le persone» cercò di rendere la sua scusa convincente con qualche gesto ed espressione dispiaciuta. «Ma effettivamente è stato Sakurai san a portare avanti la discussione tra noi tre ieri e mi sono sentita un po' in colpa a fare la figura della persona silenziosa, forse sono risultata chiusa e scontrosa. Voi la conoscete abbastanza bene, giusto? O comunque meglio di me: che tipo di persona è?» domandò infine
«Non fatico a credere che tu abbia avuto difficoltà» ridacchiò Masaki sorseggiando la zuppa di miso. «Tutti noi le abbiamo avute con lei: non ha un carattere facile, ma ti assicuro che è un pezzo di pane. È un po' emotiva, ma non è cattiva: assolutamente no!» la difese quello. «E posso capire cosa intendi quando dici che è stato difficile fare un discorso a tre. Come dire, Shō kun e Yun hanno avuto un trascorso molto particolare» lo osservò annuire e sorridere sotto i baffi per poi afferrare la ciotola di cibo e affondarci le bacchette
«Particolare?» domandò Erina deglutendo a fatica il suo boccone di riso
«Sì, a causa di vari avvenimenti tra loro si è sviluppato un rapporto un po' più speciale che con noi quattro. L'anno scorso ero certo che Shō kun si fosse innamorato di lei».
Era ciò che voleva sapere, o meglio, cercava una conferma chiara o una smentita definitiva di quel sospetto e l’aveva avuta. Ma avrebbe preferito la seconda.
«E invece?» chiese per approfondire quel senso di dubbio dato dall'ultima frase di Aiba
«Ecco» lui sollevò lo sguardo dal cibo e guadò verso il soffitto. In un primo momento era sembrato pronto a rispondere, poi chissà quale pensiero doveva avergli attraversato la testa, fatto sta che si moderò subito con le risposte. «Non credo stia a me parlare del rapporto di altre due persone. È una cosa tra loro» disse infine, molto diplomaticamente. «Ma posso assicurarti che, a parte ciò, Yun sa fare il suo lavoro molto bene e se le dai un po' di tempo vedrai che riuscirai ad inquadrarla per capire come comportarti con lei» concluse annuendo.
Era chiaro che non sarebbe riuscita a sapere niente di più da lui, ma già quel poco che aveva raccolto era sufficiente. Cosa fare quindi? Non c'era speranza per lei, oppure avrebbe dovuto lottare perchè Shō dimenticasse la possibile cotta per la coreana e notasse quella che invece aveva lei?

In questo capitolo si fa riferimento allo scandalo (completamente inventato) raccontato tra il 5° e il 6° capitolo di Zakuro. Se non avete letto la ff state tranquilli che capirete comunque di cosa si parla ^_* Anche la JH non esiste, me la sono inventata io per la prima volta in quella ff.


Wahahaha son infida con i miei personaggi, potete dirmelo: io lo ammetto!
Sempre più casini, sempre di più! Proprio ora che si erano chiariti definitivamente ecco che si fa avanti un altro imprevisto! E quello che è successo in auto? Sarà successo sul serio? Oppure se l'è immaginato lei? O magari è successo, ma non era quello che lei credeva!
E non è che Erina sta facendo un po' troppo affidamento su Masackuccio nostro?
Oh che bello vederli (i personaggi) che si tormentano!! Fatemi sapere che ve ne pare *-* (e intanto siamo al 6 Agosto XD sono pignooooola)

Un ringraziamento speciale a isabell 1 per i commenti *_* come già ti ho detto... mi commuovi! ç-ç Spero che questo nuovo capitolo sia altrettanto appassionante come gli altri! *chu*

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Capitolo 16
*** 15. Things You Want to Know are Unseen ***


Tenne la chiave a breve distanza dal lettore ottico vicino al cancello che si aprì scorrendo verso sinistra. Attraversò il breve vialetto di pietre fino alla porta di casa e girò la chiave nella toppa il più silenziosamente possibile. Dopo averci impiegato un'eternità, o almeno così parve a lui, la serratura scattò e la porta si aprì senza fare rumore.
Si tolse le scarpe per infilare le ciabatte e andare dritto in camera sua. Salì le scale a fatica tanta era la stanchezza e una volta al primo piano gli sembrò addirittura di vedere due persone infondo al corridoio invece che una, ma fu solo la sensazione di un attimo.
«Ma lo sai che ore sono?» gli venne sussurrato una volta che fu vicino alla porta della propria stanza
«Sì, e tu dovresti dormire» rispose Shō biascicando
«Tu pure. E non trattarmi come una mocciosa» replicò l'altra storcendo il naso, aveva gli occhi socchiusi per il sonno
«Vale anche per te, nanerottola» sussurrò in risposta ed aprì la porta. «Scusa se ti ho svegliato. Notte Mei chan»
«Notte nīsan»¹ ed entrambi entrarono nelle proprie stanze.
Finalmente solo e al sicuro tra le mura della sua camera, Shō guardò la sveglia: era il 6 agosto ed erano esattamente le cinque di mattina. Vide la fioca luce dei lampioni, oltre il giardino, spegnersi proprio mentre riapriva gli occhi dopo essersi tolto la maglietta. Puzzava di fumo e birra. Si tolse stancamente i pantaloni e indossò lo yukata da casa legando l'obi come meglio gli riusciva. Buttò vestiti e calzini sulla sedia e poi si abbandonò sul letto con uno dei sospiri più profondi che avesse mai fatto in vita sua: era distrutto perché era in giro dalle sette del giorno prima e ancora non aveva dormito, ma ancora di più lo era per tutte le emozioni che aveva avuto in quelle ore.
Allungò la mano verso la finestra poco sopra il suo letto, spingendola di lato per aprirla: quella stanza era un forno! Probabilmente nessuno l’aveva arieggiata dopo il caldo del pomeriggio e il fatto che fosse passata la notte non significava che avesse fatto più fresco, non in quella stagione e non a Tōkyō. Socchiuse gli occhi godendo del soffio di vento che gli solleticò il petto seminudo grazie all'apertura dello yukata. L'aria era calda, ma non quanto quella che riempiva la stanza.

Il giorno prima avrebbe dovuto essere il primo di una nuova relazione e avrebbe potuto rivedere Yun-seo, così quella mattina si era alzato con tutta la carica possibile: non stava nella pelle per vedere che tipo di rapporto si sarebbe instaurato tra lui ed Erina ora che si erano chiariti: ma l’entusiasmo aveva cominciato a calare quando era entrato in ufficio e aveva trovato Nino e Aiba ad aspettarlo. Erano lì perché credevano che Yun-seo sarebbe arrivata a breve e che l'avrebbero incontrata agli uffici di Akasaka dove avrebbe prima di tutto firmato il contratto d'incarico. Chiaramente Shō era stato contento di vederli, ma il suo problema erano sempre Masaki: Erina sarebbe arrivata sicuramente entro breve e l'ultima cosa che voleva era vederli insieme perchè ancora non sapeva cosa ci fosse tra loro.
Non era riuscito a trovare un modo per mandar via rapidamente i suoi amici dato che Kimura e Ogura erano stati contagiati dalla parlantina di Aiba chan ed erano finiti col prendere un po' in giro Nino, così Shō aveva trovato ottima l'idea di spalleggiarli per punzecchiare il suo ego ed invogliarlo così ad andarsene, ma non aveva funzionato.
Erina e Aiba si erano incontrati davanti all’ascensore e Masaki aveva bloccato le porte dell’ascensore per lei. Sarebbe stato galante se l’avesse fatto Shō e invece, quando era il momento di inciampare per dar tempo agli altri di agire più velocemente, il suo amico non sbagliava un passo! Certo, pensare di fermare le porte dell'ascensore solo per farsi notare poteva sembrare sciocco, però sarebbe stato ottimo per farsi notare da lei.
Guardandoli scherzare come se lui non fosse nemmeno lì lo scoraggiò definitivamente, con lui non era mai stato così. Il nervosismo provato trovando i due amici in ufficio si era trasformato in frustrazione quando Masaki l'aveva preceduto, e la gelosia per il suo affiatamento con Erina gli aveva suscitato una rabbia che gli aveva avvelenato i pensieri per tutta la mattinata prima di prendere la macchina e andare all'aeroporto.
A quel punto ogni cosa lo imbestialiva ed era salito in macchina con uno stato d'animo tutt'altro che allegro, eppure il vederla sorridere gli risollevava l'umore. Da quando erano partiti aveva cercato infruttuosamente un modo per cominciare una conversazione dato che quella mattina non avevano chiacchierato una sola volta. Poi il suo corpo s'era mosso da solo ed era stata solo la frenata della macchina a bloccarlo in tempo: aveva fatto tanta fatica per ricominciare il loro rapporto da zero e come prima cosa era stato sul punto di baciarla a tradimento con la stessa modalità usata anni prima durante la sua disastrosa dichiarazione. Allora era tornato a sentirsi arrabbiato, ma con se stesso.
Yun-seo in un certo senso era stata una benedizione: la coreana non era ricollegabile a nessun pensiero negativo quindi parlarle era più facile e più rilassante; così aveva dedicato la maggior parte della sua attenzione alla ballerina piuttosto che ad Erina. Sapeva che sarebbe risultato maleducato, ma aveva sperato nel suo solito coinvolgimento e la sua solita affabilità dato il suo carattere aperto e amichevole. Quel giorno invece era stata taciturna e fredda. Non aveva saputo spiegarsi quella reazione fin quando non aveva pensato che forse stava studiando la coreana: doveva l’aveva riconosciuta. Essendo una fan degli Arashi, Erina doveva essere a conoscenza della sua cotta per una misteriosa ragazza, notizia che l’anno precedente lui aveva confermato annunciando i suoi sentimenti pubblicamente. Lei, più di altri, non aveva ragione per non crederci, dato che aveva incontrato lui e Yun-seo a Chiba proprio il giorno in cui era stata scattata la foto che aveva scatenato lo scandalo. La verità invece, conosciuta solo dalla coreana, dagli Arashi e dall'agenzia, era che quella notizia era stata una montatura ideata da Nino per attirare il vero fidanzato della ballerina in Giappone, di modo che chiarissero la loro relazione.
Prima di addormentarsi profondamente, Shō pensò di non essersi mai innamorato di Yun-seo proprio perché aveva incontrato Erina in quel periodo. Anche se avevano parlato per pochi minuti, erano stati sufficienti a ridestare in lui i sentimenti che aveva provato per lei, soffocando quelli che avrebbe potuto sviluppare per un’altra. Era quello l’effetto che gli faceva Erina, era la donna che inseguiva da una vita e quando le stava vicino perdeva qualsiasi interesse per tutte le altre.

Ore dopo spalancò gli occhi e si ritrovò a fissare il muro di camera sua. Era ancora steso sul letto, fradicio di sudore per non aver tirato la tenda della finestra attraverso la quale il sole gli aveva scaldato il corpo. Deglutì e rotolò verso la parte in ombra del materasso lanciando un'occhiata all'orologio sulla scrivania. Era l'una e mezza di pomeriggio, quindi aveva sonnecchiato per otto ore e non poteva permettersi altro relax, anche se gliene sarebbero servite il triplo per riposarsi veramente di tutte le sue fatiche. Il problema era che non le aveva e non sarebbe riuscito a recuperarle nemmeno nel fine settimana: più si avvicinavano le date dei concerti, meno tempo aveva.
Con un sospiro si mise a sedere, chiuse per bene finestra e tende e accese l'aria condizionata: alle tre di pomeriggio ci sarebbe stata la riunione per NEWS ZERO, ma aveva studiato i suoi documenti, quindi aveva tempo a sufficienza per fare una doccia prima di andare agli uffici. Dondolò un po' su se stesso, attendendo di svegliarsi del tutto quindi respirò profondamente e si alzò dal letto per togliersi i vestiti e attraversare il corridoio in mutande. «Shō chan, ma ti sembra il caso?» ridacchiò la madre, che passava in quel momento
«'ngiorno mamma» bofonchiò
«Ti preparo qualcosa?» domandò quella scompigliandogli i capelli già disordinati
«Dai, mamma!» fece lui cercando di farsi indietro. «Mi fai il bentō?» domandò con voce sonnecchiante
«Ci vuoi l'uovo?»
«Non mi va. Ci metti dei takoyaki?» domandò mentre stava già aprendo la porta del bagno
«Dovrei cucinarli e se non sbaglio tu non hai tempo per aspettare che siano pronti. Ti faccio del tamago kake gohan,² è più veloce da preparare» spiegò
«Va bene. Ah!» esclamò già dentro al bagno, spuntando solo con la testa da dietro la porta. «Non torno a casa stasera»
«Non sei tornato nemmeno ieri, eppure non hai avvisato» spiegò sorpresa la donna
«Avrò un po' di sessioni di ballo intensivo nel fine settimana, quindi credo dormirò nella stanza alla JH»
«Ma poi lunedì sera hai la diretta, quando ti rivedo?» chiese la madre, preoccupata, ferma in mezzo al corridoio
«Non lo so, devo sentire gli altri. Martedì mattina abbiamo un servizio, se rimangono alla JH vado con loro, almeno andiamo insieme, altrimenti ognuno per conto proprio»
«Ho capito, ho capito. Ti cambio le lenzuola così le troverai fresche quando tornerai» rise divertita, scuotendo il capo: ormai conosceva suo figlio e la sua banda e, se non era cambiato niente, sarebbero rimasti tutti alla JH con l'intenzione di fare un torneo alla Wii di Ninomiya per poi finire tutti addormentati nel giro di quaranta minuti.
Il ragazzo chiuse la porta e si spogliò completamente per entrare nella doccia. Doveva imporsi pensieri diversi da quelli che potevano aver scatenato i suoi sogni in quelle ore o l'acqua fredda non gli sarebbe servita. Infatti aveva sognato Erina. Gli era successa la stessa cosa l'anno prima quando si erano incontrati: era rimasta nei suoi sogni per i sei giorni successivi; la differenza ora era che la vedeva molto più frequentemente, quindi era facile che comparisse tutte le notti e i suoi non erano sempre sogni casti e tranquilli.
Per distrarsi ripensò alla serata precedente, passata al Keikarō, come promesso. Non c'era modo di risollevare il morale di Jun, rimaneva chiuso in se stesso senza raccontare nulla e loro non potevano né volevano forzarlo. Il ragazzo insisteva che dovevano preoccuparsi un po' meno di lui e più del gruppo: mancava poco alle prime date del concerto, tutti avevano grandi aspettative, era appena uscito l'album e non erano mancati i commenti alle vendite dei primi due giorni o le comparazioni con quelle degli album più vecchi. Man mano che l’estate andava avanti, la pressione e gli impegni aumentavano.
Dopo aver cambiato l'acqua da fredda a calda, chiuse gli occhi mettendo completamente la testa sotto il getto, focalizzando la propria attenzione sulle gocce che si insinuavano tra i capelli e scivolavano lungo il collo e le spalle muscolose. Il suo corpo si bagnò rapidamente e la pelle nuda si scaldò. Quando sentì di essersi rilassato a sufficienza chiuse il getto e le ultime gocce d'acqua calda gli rotolarono sul petto e lungo il ventre. Rimase con le braccia appoggiate al muro della doccia per pochi secondi, poi uscì: era il momento di prepararsi ad affrontare la giornata.

La riunione per NEWS ZERO finì intorno alle sei: tre ore di lavoro intorno ad un tavolo erano una quantità accettabile per la sua mente stanca. Doveva ammetterlo, anche se aveva bisogno di dormire non vedeva l'ora di arrivare alla JH per mettersi a lavorare con Yun-seo e il corpo di ballo. Aveva troppi pensieri per la testa, quindi non aveva dormito molto profondamente e non sentiva di aver riposato: gli serviva un modo per distrarsi, scaricare il nervosismo e spendere tutte le energie così da arrivare a fine giornata tanto stanco da non avere la forza di pensare e poter dormire finalmente in pace. Le prove di danza facevano la caso suo, allora salutò i colleghi di NEWS ZERO, recuperò il borsone e si fece accompagnare alla JH.
Quando arrivò, mezz'ora dopo, non si diede nemmeno il tempo di sistemarsi in camera: buttò il bagaglio sul letto, indossò qualcosa di comodo e si fiondò alle sale di allenamento. All'ingresso gli dissero che Ōno, Nino e Aiba erano già arrivati. Se conosceva abbastanza il Rīdā, lui doveva essere sotto allenamento dall'ora di colazione, mentre Aiba e Nino erano probabilmente arrivati con un po' di ritardo, ma erano stati sicuramente spinti dall'altro a impegnarsi fin da subito.
Shō si fermò sulla soglia della sala e rispose a qualche saluto dei ragazzi del corpo di ballo, ma non si dissero altro: erano tutti incantati a guardare Satoshi e Yun-seo che provavano i passi in mezzo alla sala. Shizukana yoru ni risuonava a tutto volume ed entrambi si muovevano a tempo. I passi della ragazza non erano perfetti, ma riusciva a seguire il ritmo.
«Pazzesco vero?» domandò Nino affiancandolo. «È arrivata ieri no?»
«M-mh» annuì Shō, completamente rapito da quel ballo: Ōno era sempre un incanto quando si muoveva e vedere qualcuno che gli stava dietro era strabiliante.
«Sai cos'hanno detto i ragazzi? Che ieri ha ballato fino a notte fonda e stamattina, quando il Rīdā è arrivato alle otto, era già qui. Magari non è mai andata a dormire» suggerì
«Sarebbe da lei» annuì ancora. «Ieri mi sono allenato con loro e la sera abbiamo fatto il mio pezzo, poi però l'ho salutata per venire al Keikarō da voi. Non mi stupirebbe se fosse rimasta qui anche dopo che me ne sono andato, avrà studiato ancora i passi. Com'è andata oggi?»
«Ha già imparato tutta la coreografia della prima metà del concerto. Per la verità ancora non sa spiegarla al gruppo, riesce solo a ripeterla e a vedere quando sbagliano, ma va bene anche così dato che i ragazzi sono settimane che provano quindi le basi già le hanno»
«E com'è che ora stanno facendo il solo del Rīdā?»
«Siamo un po' esausti: ci ha concesso solo due ore di pausa per poi fare un ripasso generale e completo prima di cena» continuò Nino parlando di modo che gli altri non li sentissero, ma abbastanza forte da farsi sentire nonostante la musica. «È severissima! Chi l'avrebbe immaginato?» ed entrambi ridacchiarono.
Yun-seo e Satoshi completarono il pezzo e l'intero corpo di ballo scoppiò in un fragoroso applauso. Shō li guardò ridere, sudati da capo a piedi, e stringersi la mano. La ragazza ne approfittò per tirare Ōno verso di sé ed abbracciarlo. Lui le diede un paio di pacche sulla schiena, ridacchiando, quindi la incitò a continuare. Quella scena disorientò molto Shō, in tutti quei mesi senza vedere la coreana si era dimenticato che quella ragazza aveva passato quasi un anno intero a stretto contatto con loro, quindi era normale che si comportasse in maniera familiare con loro; lui invece non era più abituato a vedere qualcuno esterno al gruppo che si prendeva certe libertà con loro.
«Bene! Pausa finita, dobbiamo ripassare tutto quello che abbiamo fatto oggi e poi potremo mangiare»
«Ma sarà un'ora e mezza di ballo contando le pause» replicò qualcuno
«Chi di voi non è abituato a simili ritmi è bene che lo diventi perchè nei concerti è così e non potete fermarvi: il pubblico è lì per vedervi, non potete deluderlo» spiegò mettendosi le mani sui fianchi. Indossava una canotta larga, lunga fino a metà coscia, probabilmente da uomo, ma aveva avuto l'accortezza di mettere una maglietta più corta e stretta sotto, o con tutto quel movimento sarebbe stato come vederla nuda! Shō ridacchiò constatando che, nonostante i suoi atteggiamenti un po' "ruvidi" e poco femminili, faceva sempre qualcosa che ricordava che era una donna. In quel momento lei gli puntò il dito contro. «Dato che Shō kun se la ride tanto, starà in prima fila con me» non sapeva che era proprio ciò che lui desiderava: fatica.
«Buona sera Yu-Yun» salutò muovendo la mano e mettendo da parte la piccola sacca che si era portato dietro. Si mise davanti agli specchi che coprivano una delle pareti più lunghe della sala, al fianco della coreana, e attese che la musica partisse lanciando un'occhiata agli altri tre compagni al centro della fila di ballerini, subito dietro di lui.
Ci impiegarono ben due ore e quando la coreana annunciò che per quel giorno avevano finito ci fu un sospiro di sollievo da parte di tutti presenti. Le file di ballerini si sciolsero e tutti si catapultarono a recuperare le proprie cose per poi scappare in mensa: avevano ancora trenta minuti prima che chiudesse. «Otsukaresama sensei»
«Grazie sensei»
«A domani»
«Otsukaresama deshita» salutarono i ragazzi man mano che uscivano
«Otsukare» salutò lei
«Asciugati o ti prenderai un accidente» le disse Ōno passandole un asciugamano
«Grazie. Otsukare» rispose con un sorriso
«Come ci si sente ad essere chiamata "sensei"?» domandò Aiba ridacchiando
«Fa tenerezza. La nostra carota è cresciuta in questi mesi» pronunciò Nino fingendosi intenerito e passandole una mano tra i capelli. «Che schifo! Sei sudata marcia!»
«Giù le mani!» esclamò quella cercando di sottrarsi
«Bleah. Lavati!» continuò a prenderla in giro
«Ma sentitelo! Fai più schifo di me, ti gocciola il sudore dal naso, nonno Nino!» ribattè a tono e tutti gli altri si misero a ridere
«Nonno?!» chiesero. «Da dove esce "nonno"?»
«Una volta si è chiamato "nonno" da solo» rispose Yun-seo
«Non è vero!» arrossì lui scuotendo il capo con forza, schizzando sudore addosso a tutti
«Che schifo, Nino kun!» esclamò la ballerina
«Piantala!» si lamentò Shō
«Sembri un cane!! Che schifo!» ridacchiò Ōno
«Avevo detto "papà", non “nonno”!» ribattè il giovane guardandoli inviperito, poi cambiò improvvisamente espressione. «È arrivato Matsujun» lo indicò agli altri, raggiante. Il ragazzo stava fuori dalla porta della sala, attendendo che tutti i ballerini fossero usciti, così da avere libero il passaggio per entrare.
«Matsujun?» domandò allora Yun-seo, voltandosi verso l'entrata e cominciando a correre verso di lui non appena l'ebbe visto. Il ragazzo ebbe giusto il tempo di entrare e fare due passi sul parquet della sala prima che lei lo raggiungesse e si fermasse a pochi passi di distanza biascicando un: "È passato tanto tempo". Era chiaro che si stava trattenendo, lo slancio con cui era corsa verso Jun era spontaneo, quel saluto così contenuto non lo era per niente. Lui la guardò stranito. «Possibile che tu sia ancora così formale con noi?» domandò per poi appoggiare la borsa in terra e aprire le braccia. «Vieni qui, scema» la invitò. Yun-seo non se lo fece ripetere due volte e lo abbracciò alla vita, stringendolo con tutta la forza che aveva. «Ciao» sospirò sorridente Jun, mettendole una mano sulla testa mentre con l'altra le abbracciava le spalle. «È veramente passato un sacco di tempo, tutto bene piccoletta?».
Shō, seduto su una delle panchine della sala, osservava la scena da sotto l’asciugamano che si era messo in testa. Non potè far a meno di notare come l'espressione di Jun si fosse fatta distesa, quasi serena, non appena aveva incontrato la coreana. I due parlarono per qualche minuto isolandosi dagli altri e nessuno li disturbò. Dopotutto, ognuno di loro a proprio modo, vedeva Yun come una sorellina minore e Jun sembrava il fratellone che la difendeva a spada tratta. Era sicuramente successo qualcosa durante il tour precedente, perchè era chiaro che anche tra loro c'era un legame speciale.
«Andiamo a mangiare? Ho una fame incredibile e ho poco tempo prima di andare in sala di registrazione» si lamentò Masaki
«Andiamo, andiamo» annuì Nino. «È da otto ore che non tocchiamo cibo»
«Jun vieni con noi?» domandò Satoshi recuperando le sue cose prima di uscire da lì
«No, grazie ragazzi. Mi son fatto fare un panino in mensa e me lo mangio in camera. Voglio solo fare una doccia e buttarmi sul letto» spiegò lui rimettendosi la borsa sulla spalla mentre teneva un braccio sulle spalle di Yun-seo. «Passi a trovarmi prima di andare dormire?» le domandò
«Matsujun hentai!!»³ strillò Nino ridendo, stavano uscendo tutti insieme
«Ti sembrano proposte da fare ad alta voce?» domandò Shō scuotendo il capo, serio
«Hentai-Jun! Hentai-Jun!» canticchiò Aiba trottando lungo il corridoio
«Cretini» boffonchiò lui arrossendo e sciogliendo l'abbraccio con la ragazza che stava ridendo divertita
«Lasciali parlare, sono solo invidiosi» suggerì quando le furono passate le prime risate incontenibili
«Oh certo!» esclamò Nino. «I primi tempi dopo la tua partenza ho cercato una Yun-seo peluche, ma poi ho pensato con orrore che una cosa simile mi avrebbe trasmesso parole strane nel sonno: non voglio disimparare la mia lingua»
«Nino kun! Non trasmetto niente nel sonno!» spiegò la ragazza offesa. «E male che vada almeno sapresti ancora leggere. Non posso farti dimenticare i granchi che sai».
I ragazzi la osservarono, fermandosi sulla soglia dell'edificio. «Granchi?» domandò Ōno
«Granchi nella testa» ripetè Aiba
«Kanji!» esclamò Shō. «Volevi dire kanji, non granchi»⁴ e si mise a ridere insieme agli altri.
La coreana non aveva scusanti per quell'errore quindi assistette impotente a quella derisione, ma non durò troppo: lo stomaco richiamava l'attenzione di tutti. «Comunque non posso, Matsujun» rispose infine. «Finito di mangiare torno in sala, ma ci vediamo domani mattina a colazione»
«Va bene, ma sappi che mi troverai in mensa molto presto perchè alle dieci e venti ho la diretta radio» le ricordò lui prima di salutare tutti e dirigersi verso il dormitorio.
Una volta in mensa, gli arashi non si sedettero vicini, ma ognuno si sedette con altre persone: Aiba, Nino e Shō raggiunsero alcuni componenti dei Kanjiani e dei N.E.W.S., Aiba si mise ad un altro tavolo con dei Junior e Yun-seo e Ōno mangiarono con altri ragazzi del corpo di ballo, anche se lei ingurgitò la sua cena molto rapidamente prima di sparire, probabilmente per tornare ad allenarsi.
Dopo il pasto Shō venne invitato da Nino e Aiba ad un torneo con la Playstation per approfittare del fatto che qualcuno dei presenti aveva il gioco dei mondiali 2010, ma declinò: si sarebbe di nuovo stancato mentalmente se avesse giocato con i videogiochi, mentre continuava ad essere convinto di aver bisogno di fatica fisica. Arrivato in camera sistemò il bagaglio, il letto e le cose in bagno. Fece prendere aria alla stanza concedendosi di fissare il cielo buio di Tōkyō fino alle nove, quindi recuperò la borsa della palestra e tornò alla sala da ballo dov'era stato poche ore prima.
Come era prevedibile Yun-seo era lì, ma quando entrò la musica non era la loro. Doveva essere qualcosa che lei già conosceva bene perchè si muoveva con sicurezza e il testo non era in giapponese. Richiuse la porta facendo attenzione a non fare troppo rumore e posò le proprie cose a lato cominciato a fare un po' di stretching mentre la osservava. Non c'era da meravigliarsi che riuscisse a stare dietro a Ōno dopo aver provato il suo pezzo solo un paio di volte: se possibile la sua bravura era aumentata dall'ultima volta che l'aveva vista ballare qualcosa che non fosse una loro canzone.
Quando si fermò era nuovamente coperta di sudore, non si era nemmeno cambiata la maglietta: Yun-seo era una stacanovista certe volte, Nino aveva ragione, ma la conoscevano a sufficienza da sapere che la sua non era una pretesa eccessiva nei propri confronti o nei confronti degli altri, semplicemente amava ballare, era il suo lavoro, ciò che faceva da anni, a cui stava dedicando la vita, e doveva aver preso il suo incarico sul serio.
«Shō kun!» esclamò lei quando lo notò riflesso nello specchio. Si precipitò a spegnere lo stereo. «Non ti avevo visto arrivare»
«Ho fatto piano apposta. Che pezzo era?» domandò il ragazzo alzandosi in piedi e sciogliendo i muscoli mentre girava il collo per far scrocchiare le ossa
«I passi per un gruppo coreano»
«Li hai inventati tu?» chiese raggiungendola al centro della stanza
«No, ma li ho insegnati sì. Ormai collaboro spesso con gli artisti della SM Enterateinment»
«È musica completamente diversa dalla nostra»
«Sì, sono generi diversi» annuì. «Come mai sei qui? Credevo fossi stanco come tutti gli altri»
«Sì. Lo sono» disse con poca convinzione passandosi una mano tra i capelli. «Ma diciamo che non lo sono a sufficienza. Mi lasceresti ballare con te?»
«Va bene» sorrise lei mettendosi una fascia tra i capelli per tenere indietro la frangia. «Ma sappi che stanotte devo fare la seconda parte del concerto, quindi se rimani qui dovrai darmi una mano»
«Affare fatto: tu fammi stancare e io ti darò una mano; anche se credo saranno più le volte in cui tu correggerai me, piuttosto che il contrario» e risero entrambi prima di mettersi al lavoro.

Furono tre ore di lavoro intenso. Il cielo fuori dall'edificio passò dal cobalto al blu più scuro, tipico della notte fonda. Nei viali della JH non c'era nessuno perché anche i più ligi al lavoro avevano abbandonato gli uffici della direzione, mentre le cucine e la mensa erano chiuse e buona parte delle stanze dei dormitori erano ormai silenziose dato che quasi tutti avevano spento le luci per dormire e riposarsi prima dell'inevitabile sveglia mattutina: non esisteva weekend di riposo nel mondo dello spettacolo. La sala da ballo del primo piano dove si trovavano Yun-seo e Shō era uno dei pochi ambienti con ancora le luci accese e avevano anche la musica a tutto volume. Sulle ultime note di Kansha Kangeki Ame Arashi conclusero l’allenamento, anche se quell'ultimo pezzo era stato ballato solo dalla coreana dato che il gruppo durante quel pezzo era solito girare per gli stadi e salutare il pubblico.
Shō spense lo stereo e nella stanza si sentì solo il respiro affannato della coreana, ferma nell'ultima posizione assunta durante il ballo e con gli occhi sulla propria immagine riflessa nello specchio. Prese l'asciugamano e glielo portò quando finalmente la vide raddrizzare la schiena. Mentre la ragazza si asciugava il sudore, lui prese un sorso dalla bottiglia d'acqua che si era portato dietro e guardò fuori dalla finestra il buio della notte e le pozze di luce dei lampioni lungo i vialetti del campus.
«Sei stanco adesso?» domandò la ballerina da dietro la stoffa, mentre se la passava sul viso
«Mh» annuì pensieroso
«Se domani ballerai peggio degli altri non usare questo allenamento extra come scusa» scherzò lei
«Ma figurati, per chi mi hai preso? Dirò che è tutta colpa tua» le rispose, ma non rise alla sua stessa battuta, fece solo un sorrisino stanco.
Si misero su una delle panchine della sala e rimasero in silenzio per due buoni minuti. «C'è qualcosa che non va?» domandò quindi la giovane
«Cosa te lo fa pensare?» fece lui, stancamente
«Ti impegni sempre molto, ma in tanto tempo che abbiamo lavorato insieme non ti ho mai visto allenarti nel ballo più delle ore necessarie» spiegò la coreana
«Sono un pezzo di legno, me lo dicono sempre» farfugliò Shō, come se lo avessero offeso in quel momento. «Forse è per questo che alla fine ballo solo quando devo: preferisco impegnarmi in qualcosa che mi riesce meglio»
«Quindi dev'esserci qualcosa di particolare che ti spinge a fare questo lavoro extra. Ti hanno detto che sei peggiorato?» chiese tentando evidentemente di trattenere una risatina
«Adesso non esageriamo! Mi impegno anche se non sono bravissimo, quindi non posso peggiorare» replicò ridendo e sollevando le sopracciglia, sorpreso. «A meno che non me lo voglia far notare tu, adesso» aggiunse pensieroso
«No, no, giuro che non era un modo intricato per dirti che fai più schifo dell'anno scorso»
«Allora lo prenderò come un modo intricato per farmi un complimento» e risero entrambi. Quando si calmarono cadde di nuovo del silenzio, Shō aveva quasi l'impressione di sentire un ronzio, forse per il fatto che avevano sentito la musica ad alto volume fino a poco prima. «Come va con il tuo ragazzo?» domandò di punto in bianco, volgendo il capo verso la ragazza.
Lei lo guardò un po' sorpresa e fece passare qualche secondo prima di rispondere. «Cos'è successo? Un anno fa conoscevo un Sakurai Shō che mi incitava ad affrontare le mie emozioni, a viverle completamente, mentre ora la persona che ho avanti sembra scappare dalle sue, rifugiandosi nel lavoro»
«Avevo veramente bisogno di stancarmi. Ho tanto lavoro in questo periodo e dormo molto poco, solo che ogni volta che riesco a riposare non riesco a svegliarmi con la sensazione di aver veramente ricaricato le batterie. È come se dormire mi stancasse ancora di più, così il giorno dopo sono più sfibrato di quello precedente» spiegò facendosi serio. Non sarebbe riuscito a nascondere la situazione con Erina per molto tempo e Yun-seo non era delicata e riservata come i membri degli Arashi: pensa una cosa e la diceva senza troppi giri di parole; quindi prima o poi gli avrebbe chiesto qualcosa di quella faccenda. «Come si fa a capire le donne?» domandò di punto in bianco, passandosi le mani sugli occhi e rannicchiandosi sulla panchina
«Una donna?!» esclamò lei, al colmo della sorpresa. Lo guardava con gli occhi sgranati e la bocca aperta, ma parve riprendersi subito. «Ho capito, è la tua collega. Come si chiama? Sheridan» annuì
«Come l'hai capito?» domandò sbalordito. «Non possono averti detto qualcosa gli altri, nessuno di loro sa niente. Come hai fatto?»
«”Come”?» chiese aggrottando le sopracciglia. «È evidente. Si vede che lei, insomma, diciamo che è intuito femminile» balbettò con poca convinzione
«Intuito femminile? Tu?» fece spallucce. «Sarà»
«"sarà" cosa? Non ridere» replicò la coreana offesa. «Si può sapere cosa c'è di complicato? Se ti piace diglielo»
«Lo vedi? Non sei femminile, sei brutale» le fece notare Shō. «Pensi che sia tutto così semplice?»
«Ma lo è. Io con Chang ho fatto così» spiegò stingendosi nelle spalle
«Magari in Corea fate così, in Giappone no. Non posso far caso solo ai miei sentimenti, inoltre mi ero già dichiarato a lei una volta ricevendo un chiaro rifiuto, il che comporta che non posso dichiararmi un'altra volta così alla leggera»
«Ti ci vedo proprio a fare una dichiarazione d'amore, Shō kun. Come mai ti ha rifiutato? Ero convinta che in un simile frangente qualsiasi donna sarebbe svenuta e poi avrebbe accettato prima di venir trasportata d'urgenza al pronto soccorso»
«La pianti di dire idiozie?» domandò lui scuotendo il capo. «Mi sono dichiarato tantissimi anni fa, ma lei al tempo era innamorata di Aiba chan, mentre di me aveva una cattiva opinione. Ci siamo persi di vista per molto tempo e adesso che siamo di nuovo in contatto ho il sospetto che tra loro ci sia del tenero»
«Tra lei e Aiba chan?» domandò sbalordita. «Sapevo che sei scemo, ma non pensavo a questi livelli. Per me hai frainteso»
«Ma cosa ne vuoi sapere tu che non li hai mai visti insieme?» aggrottò le sopracciglia risentito
«E tu invece cosa vuoi sapere sulle donne?» chiese stancamente. «Mi sembra che tu abbia già capito tutto da solo: è l'amante di Aiba chan» sentenziò Yun-seo lapidaria
«No, non lo è!» replicò energicamente. «O forse sì, ma anche no. Ci sono certi atteggiamenti che non capisco, a volte sembra avere occhi solo per lui, a volte invece sembra ben disposta nei miei confronti»
«"ben disposta"? Che pazienza» sospirò la coreana scuotendo il capo. «Va bene, non vuoi farle una dichiarazione un'altra volta dopo essere stato respinto, fin qui posso comprenderti, ma mi stai dicendo che non ti farai avanti perchè temi di metterti tra lei e il tuo amico?»
«Diciamo che è così. Però vorrei anche fare qualcosa perchè ho l'impressione che certi atteggiamenti indichino che stavolta potrebbe dirmi di sì. E questi maledetti dubbi mi stanno facendo uscire matto» spiegò infervorato. Riprese fiato quindi trattenne a stento una risata. «Pazzesco, ad un anno di distanza si sono invertite le parti. Mi fa impressione parlare a te dei miei problemi di cuore»
«Effettivamente è raro che un uomo esterni così i suoi sentimenti» ridacchiò lei. «Ma credo sia abbastanza normale per uno come te. Ti ho sempre visto come una persona che vive molto intensamente le sue emozioni. E non è così strano che tu lo faccia con me, dopotutto i tuoi dubbi riguardano uno del gruppo e non puoi certo coinvolgere qualcuno degli altri. Tutto sommato siamo buoni amici e l'anno scorso le parti erano invertite» spiegò annuendo. «Sono in debito e devo fare qualcosa per ringraziarti»
«Ma finiscila, ciò che abbiamo farro non era per avere qualcosa in cambio. O meglio sì, per avere in cambio la tua completa attenzione sul lavoro. Siamo pari direi»
«Se lo dici tu» si strinse lei nelle spalle. «Ma se volessi comunque un consiglio o un aiuto, sappi che avrei un'idea» gli disse in tono vago.
Shō rimase in silenzio poi girò gli occhi nella sua direzione. «Sentiamo» mormorò, aveva paura di sentire cos'avesse partorito il cervello dell'amica
«Vuoi capire se le piaci tu o Aiba chan, giusto?» lui annuì. «Dissipato questo dubbio saprai se agire o meno»
«E come vorresti farlo»
«Lo stile Ninomiya insegna» sorrise lei, maliziosa
«No, scordatelo! L'agenzia non ci scuserebbe un altro polverone simile!» esclamò il giovane, scattando in piedi
«Innamorarti ti rinscemisce, Shō kun?» domandò lei sospirando. «Non c'è bisogno di far scoppiare uno scandalo nazionale! Siamo tutti qui, ogni giorno a contatto e impegnati nello stesso lavoro quindi basterà che quando c'è lei, noi due ci facciamo vedere insieme»
«Papà Nino ha avuto una brutta influenza su di te» deglutì Shō, spaventato da quell'idea. «Scordatelo, non è il mio stile» concluse raccogliendo asciugamano e bottiglia per rimetterli nella borsa
«Peccato» ridacchiò la coreana
«Buona notte Yu-Yun» salutò alzando gli occhi al cielo e scuotendo il capo. Non attese il suo saluto in risposta: era veramente a pezzi a quel punto della giornata, esattamente come aveva voluto, e l'unica cosa che agognava in quel momento era il suo letto al dormitorio. Lo aspettava un weekend di ballo, un lavoro di corpo, movimento, ritmo e concentrazione.

Come aveva previsto sua madre, Shō rimase a dormire alla JH anche il lunedì sera dopo la diretta di NEWS ZERO. Nonostante quel giorno fosse di riposo per tutti perché era l'ultimo prima della settimane infernale che portava al concerto, molti di loro la mattina continuarono a lavorare alle prove. Ōno era tornato a casa, anche perché era quello che aveva meno bisogno di allenamento per la coreografia, mentre Aiba era scomparso dopo la colazione salutando tutti per schizzare via su un taxi senza dire dove andasse e a fare cosa. Nino lo aveva preso in giro dato che, con molta probabilità, era tornato a casa sentendo la mancanza della famiglia: era quasi una settimana che mancava.
Nel pomeriggio Shō decise di lasciare la JH e andare ad Akasaka. Aveva un po' di tempo ed era giusto andarci: seguire quella parte di lavori era compito suo, anche se non rientrava nella sua agenda di impegni, ma spesso quell'incarico veniva scavalcato da lavori più importanti, quindi quando aveva dei momenti liberi doveva dedicarvisi.
Il sole di inizio Agosto scottava implacabile nel centro della grande metropoli e dall'asfalto si alzava un'aria tanto calda che l'immagine degli edifici più lontani tremava leggermente. Con un po' di malessere Shō passò dal caldo umido e afoso al fresco artificiale dell'edificio della Johnny's. Alla reception lo salutarono e lui rispose con un cenno prima di andare a prendere l'ascensore. Si sentiva sereno quel giorno, quel fine settimana di fatica gli aveva concesso poco tempo per pensare e la sera era andato a dormire con tanta stanchezza in corpo da non ricordare che sogni avesse fatto.
Quando aprì la porta trovò solo Kimura alle prese con una telefonata. Si inchinò verso di lui che, senza smettere di parlare, si inchinò a sua volta, quindi posò la borsa sulla scrivania e diede un'occhiata ai fogli che gli erano stati lasciati ben ordinati. La calligrafia era quella di Erina e ogni piccolo plico aveva un foglietto con una breve spiegazione di cosa fossero. Il primo che sfogliò diceva: "Planimetrie, progetti e preventivo istallazioni. Che bello essere al Kokuritsu!". Un altro recitava: "Schizzi definitivi dei costumi di scena. Oltre la pioggia c'è l'arcobaleno!". Quello messo in evidenza più di altri riportava: "Tabella di marcia per la settimana del concerto. Mettiamocela tutta!".⁵
Sfogliò le pagine che si trovavano sotto quel foglio e quasi si sentì mancare. Quella riportata sulla carta era una tabella di marcia massacrante, se si contava che dovevano anche fare tutti i soliti lavori -radio, riprese dei programmi TV e servizi fotografici- e probabilmente c'era anche qualcosa riguardante il singolo nuovo perché avevano finito la registrazione della canzone e del PV, ma ancora non sapevano niente delle altre canzoni contenute nel disco.
Finalmente Kimura finì la sua chiamata. «Buongiorno Sakurai san»
«Shō kun» lo corresse lui. «Buongiorno Kimura san, come mai sei solo?» sorrise
«Non sono solo. Ogura san è in giro, sì, ma Erina san è in sala riunioni da una decina di minuti»
«Con chi?» domandò guardando verso i vetri opachi. Vedeva due sagome, ma non vi aveva fatto caso.
«È passato di qui Aiba san per parlare con lei»
«Non ne sapevo niente» rispose sgranando gli occhi per poi avviarsi verso la porta. Anche se con un po' di timore, abbassò la maniglia ed entrò nella sala. Li trovò entrambi piegati sul tavolo, Aiba teneva una mano della ragazza tra le proprie e aveva il capo chinato per guardare in basso. Un enorme mazzo di fiori stava posato al centro del tavolo.
«Va bene» stava rispondendo lei mentre Shō apriva la porta. Quando lo vide entrare spalancò gli occhi e ritrasse la mano. «Aiba chan» lo avvisò a bassa voce accennando con il capo verso la porta
«Ciao Shō kun» gli disse lui arrossendo di colpo
«Buongiorno Sakurai san» lo salutò Erina scattando in piedi con un sorriso smagliante. «Non credevo passassi oggi. Hai visto i fogli sulla scrivania?»
«Sì» annuì Shō, bloccato sull'entrata della sala riunioni. «Potete scusarmi un secondo?» domandò tornando verso la sua scrivania. Recuperò il cellulare dalla borsa, lasciò l'ufficio e compose un numero lungo il corridoio. Si fermò ad attendere la risposta vicino ai distributori del piano.
«Pronto? Ah, ciao!» salutò colto alla sprovvista. «Sì, lo so. Me la passi? È una cosa veloce, grazie» e si rimise in attesa per qualche minuto mentre dall'altra parte sentiva le loro canzoni ad alto volume. «Yu-yun? Sono io. Ascolta, ti ricordi la tua proposta dell’altra sera? Sì quella, non stare a dirla ad alta voce per carità: Nino sarà ancora lì vicino, se scopre qualcosa è la fine» spiegò alzando gli occhi al cielo. «Volevo dirti che ci sto. Sì, sul serio. Non ridere, carota! Non è successo niente, te lo racconto quando ci vediamo. Tu ci stai? Bene, allora siamo d'accordo, scusa se ti ho disturbato mentre lavoravi, ci vediamo stasera in camera di Nino. Ciao!» e chiuse la comunicazione. Per qualche secondo osservò il distributore, come in trance, poi si riprese, scrollò le spalle e si riavviò verso gli uffici.

¹ "fratello maggiore"
² è un tipico piatto giapponese, usato soprattutto per la colazione: consiste in un uovo sbattuto con la soia, successivamente versato e mescolato insieme al riso FOTO
³ “pervertito”
⁴ ha detto kani, ossia granchio, invece di kanji, i caratteri giapponesi
⁵ sono citazioni di canzoni o frasi degli Arashi, a volte riadattate, e che ho poi tradotto in italiano. In ordine: Arashi de yokatta (riadattato in Kokuritsu de yokatta), Kaze ni mukou he niji ga kakatte iru (da Kaze no mukou he), Ganbare! (da Fight song).


Scusate il ritardo, ho occupato il tempo con le feste, poi ho scritto Nuvole (la one shot per il compleanno di Aiba) e mi son messa in testa di tradurla in inglese (cosa che poi ho fatto). Insomma ne ho avute di cose per la testa, ma finalmente ecco il capitolo.
Ok devo ammetterlo, la parte migliore del capitolo è anche la meno significativa ai fini della trama: ossia Sho nudo sotto la doccia XD Ahahahaha!!! Ma oh... ero ispirata u.u
E' stato un po' un parto sto capitolo. Dentro di me mi lamento tutte le volte che faccio capitoli infiniti e poi, in definitiva, c'è una sola scena in tutto quello che racconto; stavolta che è lungo ma ci sono tante scene non sono contenta comunque =_= mavvaff... vammi a capì!
Ho riscritto il capitolo 2 volte e ho tolto completamente una parte che però era bella quindi la inserirò in un'altra occasione con le dovute modifiche.

Due richieste:
1) chi non ha letto Zakuro se la sentirebbe di dirmi che ne pensa di Yun-seo? XD sono mortalmente curiosa °.°
2) abbiate pazienza, temo proprio che il prossimo capitolo difficilmente sarà prima del 21 di gennaio. Devo preparare due esami veramente tosti che saranno uno il 20 e uno il 21 e devo seriamente cominciare a mettermi sotto o non combinerò niente e non posso permettermelo. Se ogni tanto farò qualche pausa non è escluso che mi metta a scrivere (contando che io le ff le penso di notte XD) ma non posso assicurarvi che un pezzo lì e un pezzo qua si arrivi a pubblicare il nuovo capitolo prima del 21

Concludo il 2010 con il 15esimo capitolo di questa ff... spero sia di buon auspicio! I love you... ♡ buon anno gioie!!

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Capitolo 17
*** 16. Things aren't always the S.A.M.E. ***


Erina attraversò il corridoio a grandi passi dopo aver chiesto ai colleghi di potersi assentare qualche minuto. Si portò dietro anche la borsa e la appoggiò sulla superficie dei lavandini del bagno femminile con un gesto seccato. Vi appoggiò anche le mani ed osservò il suo riflesso nello specchio: i ricci erano perfettamente domati da una stretta treccia che partiva dalla sommità del capo e il trucco era ben fatto, ma pochi secondi dopo non c'era già più dato che cominciò a sciacquarsi ripetutamente il viso. Si fermò solo una decina di manciate d'acqua fredda dopo.
La giornata non era cominciata nel migliore dei modi. Solitamente combinava qualche disastro fin dalle prime ore della mattina, quindi non c'era mai una giornata perfetta, ma in quel caso si trattava di situazioni spiacevoli che non dipendevano da lei e che si trascinavano da giorni.
Una volta asciugati il viso e le mani riaprì la borsa e recuperò una piccola trousse aprendola sul ripiano del lavabo. Allo stesso tempo avviò una chiamata dal cellulare mettendosi l'auricolare all'orecchio destro. Attese una risposta prima di cominciare a rifarsi il trucco e ci vollero ben 10 squilli prima che qualcuno rispondesse. «Sì» fu il monosillabo biascicato da una voce impastata dal sonno
«Buongiorno» salutò Erina regolando il volume dell'auricolare ora che cominciava a sentire qualcuno dall'altra parte
«Chi è?» domandò la donna dall'altra parte della linea. Si sentì un frusciare di tessuto in sottofondo e quindi un bip.
«Io» rispose
«Certe risposte idiote puoi darle solo tu, Kōmō» pronunciò l'altra con una nota di irritazione nella voce. «Ma porca miseria! Sono le dieci, come accidenti ti salta in mente di chiamarmi a quest'ora?»
«La gente normale a quest'ora è già in piedi che lavora, Tomomi tan»
«Crepa» borbottò rigirandosi ancora tra le coperte e soffocando qualche altro insulto contro il cuscino. «Ho avuto un intervento d'urgenza prima che finissi il turno e sono tornata a casa alle quattro, dopo sedici ore di lavoro, perciò risparmiami le tue menate: la gente normale non lavora così tanto, quindi noi anormali possiamo dormire fino a tardi senza che qualche idiota chiami sul nostro cellulare»
«Possiamo parlare?» domandò Erina mentre apriva la scatola dell'ombretto azzurro e blu
«E che cosa stiamo facendo adesso?» domandò Tomomi sarcastica
«Per ora mi stai insultando, ma magari preferivi tornare a dormire»
«Mi hai appena svegliato dopo un turno massacrante e hai interrotto un sogno in cui ero con il primario di radiologia, quindi evita la tua ironia incomprensibile e passi al dunque altrimenti ti chiudo il telefono in faccia» mormorò l'altra a denti stretti, la voce era mezzo attutita dalle coperte
«Se pensi che l'interruzione dei tuoi sogni erotici sia la disgrazia peggiore che ti possa capitare stai tranquilla che dopo che ti avrò raccontato cosa è capitato a me, ti sentirai improvvisamente fortunata» ribattè la rossa, con un velo di acidità nella voce
«Che stress. Io lo sapevo che sarebbe successo: te lo leggevo in faccia domenica durante la partita»
«Significa che ti aspettavi una mia chiamata prima o poi?» domandò chiudendo un occhio per cominciare a colorare la palpebra
«Ti denuncerei per disturbo alla quiete privata, Kōmō. Ora sputa il rospo o non sarò più in vena di ascoltarti se continui a temporeggiare»
«Va bene, va bene. Da dove comincio?» si chiese, intenta a stendere il trucco prima su un occhio poi sull'altro. «Cominciamo da giovedì. Ti ricordi che ti ho parlato di quel tizio che mi piace?»
«Mh» mugugnò Tomomi in risposta
«Lo prendo per un sì. Chiamiamolo S. Alla fine ho seguito il tuo consiglio e mi sono chiarita con lui riguardo le sue parole: effettivamente le avevo mal interpretate, ma anche lui non aveva capito bene alcuni miei atteggiamenti. Comunque abbiamo concluso che entrambi volevamo cominciare un'amicizia senza tener conto di quel che era successo in passato. Fin qui tutto a posto, però il giorno dopo, ossia Giovedì scorso, io ed S. abbiamo dovuto lavorare insieme: siamo andati a prendere una collaboratrice e lui cos'ha fatto? Mi ha ignorato tutto il giorno per dare la sua attenzione esclusivamente a quella che chiameremo A. Mi segui?»
«Sì, sì, ti seguo» rispose controvoglia la sua interlocutrice
«Bene, ho passato la giornata a rodermi dall'invidia quindi il giorno dopo ho chiesto a M. informazioni sulla relazione tra S. e A. e cosa ho scoperto? Che effettivamente c’è qualcosa tra loro. Aggiungiamo anche che S. mi ha ignorato per i successivi quattro giorni!» esclamò chiudendo la scatola dell'ombretto e guardandosi nello specchio per controllare la quantità di colore su entrambi gli occhi. «Non dico che mi dovesse chiamare, del resto abbiamo appena cominciato ad essere più che conoscenti, ma una mail giusto per sapere se va tutto bene? È così che si dà il via ad un'amicizia»
«Ognuno ha i suoi metodi: tu sorridi e attacchi bottone con la gente rompendole le palle, io comincio con una birra. S. è astemio» ridacchiò l'amica spostandosi di nuovo tra le lenzuola del letto
«Beve eccome. Qualsiasi siano le cose da fare per far avviare un'amicizia, lui non ne ha fatta manco una. Si è ripresentato oggi, a sorpresa, e sai quando? Puoi immaginare in che momento? Proprio mentre M. se ne stava davanti a me a supplicarmi per fargli un favore»
«E allora?»
«Eravamo soli con un mazzo di rose rosse sulla scrivania e ci mancava poco mi supplicasse in ginocchio, ma S. non sa di cosa stessimo parlando e potrebbe aver frainteso»
«Sinceramente, Kōmō, se non ti ha chiamata la sua offerta di amicizia potrebbe essere stata puramente formale: magari non gli interessa essere amici, ma solo essere dei buoni conoscenti e lavorare bene. Quindi potrebbe anche non fregargliene un accidente della proposta di emmepuntato e delle sue rose» le fece notare con molta razionalità. «A proposito, cosa voleva da te con un mazzo di fiori? Non una proposta, ne deduco»
«I fiori non sono per me. Mi ha chiesto di andare a prendere qualcuno domani all'aeroporto. Lui lavorerà tutto il tempo, ma ci teneva moltissimo ad andare ad accogliere questa persona, però non può chiedere ai suoi amici di fargli questa cortesia»
«Ma chi è questo M. allora? Possibile che non lo conosca? Se arriva a chiederti cose simili dovete essere molto amici» la sonnolenza stava svanendo dalla voce di Tomomi man mano che continuavano a parlare e la curiosità la stava svegliando gradualmente
«È una storia un po' complessa» ammise Erina aprendo il cappuccio della matita nera. «Un tempo lui mi piaceva e S. lo sa, per questo la scena che ha visto potrebbe sembrare equivoca. Il punto è che sono stufa: so che sono molto impegnati, ma non è che io stia qui a girarmi i pollici»
«Non potevi dire di no a questa storia dell’aeroporto?»
«No. Dopotutto ho sfruttato M. troppe volte anche senza che lui lo sapesse, quindi glielo devo»
«Dimmi Kōmō» cominciò la donna dall'altro capo del telefono mentre si sentiva di sottofondo il ronzio di un frigorifero aperto. «Pensi che i problemi di cuore siano una giustificazione sufficiente a tirarmi giù dal letto?»
«Ma non è tutto! Aggiungi che sono infuriata per la partita di domenica» le ricordò.
Tomomi rimase in silenzio per qualche secondo: era un tasto dolente per entrambe. La squadra aveva perso una partita amichevole contro una delle squadre che avrebbero probabilmente affrontato ai primi incontri del campionato che sarebbe iniziato a breve: non era un buon segno, poteva voler dire che il gruppo non era abbastanza forte nemmeno per passare la prima partita del girone. «Abbiamo tempo per migliorare» asserì la donna. «E comunque sorvoliamo: il mio umore è già nero, non peggioriamolo ulteriormente»
«Pensi che il mio sia alle stelle?» sbuffò storcendo il naso, mentre richiudeva la matita e la rimetteva nella trousse. «Ma sai qual è il colmo?»
«Hai le tue cose?» domandò ridendo
«Esatto. Non l'avrei detto in questi termini, ma sì» grugnì infastidita .«Voglio rinascere uomo. Tra poco dovrò prendere la seconda pastiglia di antidolorifici»
«La seconda in una mattina? Ma che schifezze prendi? Se hai tempo i prossimi giorni passa da me, ti dò io qualcosa che funzioni» sospirò aprendo degli sportelli cigolanti. «Questo spiega tutto: tu non sei mai arrabbiata, semmai ti intristisci. Vedrai che sono solo questi quattro o cinque giorni e poi ti passa»
«Non ho mai reagito a questo modo durante il ciclo» puntualizzò Erina richiudendo la scatola dei trucchi e rimettendola nella borsa
«Hai un lavoro grosso tra le mani, no? Sarai più stressata del solito, ecco tutto. Poi ci si mette anche il tuo essepuntato. Cosa significa? Essepuntato-tronzo?»
«Ti ho già detto di smettere di uscire con i tuoi colleghi e farti più amiche femmine» fece la rossa mettendo la borsa sulla spalla e avviandosi all'uscita del bagno. «L'anno scorso non parlavi in questo modo»
«Non rompere. Sono le donne del mio reparto che si sono inacidite da quando hanno saputo che il posto di primario sarà mio dalla prossima primavera. Facevano a gara a chi si imbellettava di più per ingraziarsi il primario, ma quando hanno saputo che il posto l'avrebbe avuto l'unica che lavorava sodo invece di lucidarsi i tacchi a spillo, hanno deciso di non parlarmi più».
Erina scoppiò a ridere. «Che colleghe carine che hai»
«Poco male, sono uscita con i ragazzi per festeggiare la mia promozione. Non sopporto la maggior parte degli uomini, ma almeno quelli che lavorano con me sono persone oneste sul lavoro»
«Non cercano di sedurti pur di avere dei vantaggi dato che sarai una loro superiore?» chiese svoltando un angolo e cominciando a percorrere il corridoio sul quale affacciava il suo ufficio
«Figurati. A loro piacciono le ragazze carine, dolci e tenere, non se la fila nessuno una donna primario seria, ligia al dovere e rigida anche nella vita privata» la sentì bere prima di riprendere a parlare. «E poi sono tutti uomini che mi stanno bene come amici e basta. Non mi interessano in altri termini»
«Ho il sospetto che non troverai un uomo facilmente»
«Parla quella che si innamora di un disinteressato Essepuntato e si fa beccare da lui con la vecchia fiamma Emmepuntato a cui prima ha chiesto notizie di Apuntata: sai che conosco un bravo psicologo? E poi non dovresti essere al lavoro?» domandò realizzando da quanti minuti stessero parlando
«Infatti sto tornando verso l’ufficio, grazie per avermi ascoltato Tomomi rin» disse fermandosi a due metri dalla porta, abbassando la voce
«Kōmō, ringraziami solo se la prossima volta non avrò più voglia di strozzarti: piantala con questi nomignoli del cavolo!»
«Ti voglio bene!» sorrise Erina prima di chiudere la comunicazione. Rientrò in ufficio rimettendo il cellulare nella borsa e cercando di darsi un contegno, tornò verso la propria scrivania senza guardare verso Shō, anche se l'avrebbe fatto volentieri. Ogura le aveva premurosamente lasciato un post-IT con i nomi delle persone che l'avevano cercata al telefono mentre non era in ufficio e Kimura la placcò prima che potesse mettersi a fare qualsiasi cosa.
«Tutto bene?» domandò squadrandola
«Sì, avevo bisogno di dieci minuti di tranquillità. È tutto a posto» annuì con un sorriso mettendo la borsa sulla sedia e guardando i fogli che il collega aveva in mano. «Devo fare qualcosa di urgente?»
«Bisognerebbe organizzare il breathing di domenica. Ho sempre preferito lasciarlo fare alle donne, avete più gusto di me per queste cose» rise l'uomo lasciandole il plico. «Trovi tutti i contatti che l'agenzia usa di solito per organizzare simili eventi: sanno come lavorare in simili contesti. Ti ho scritto anche altre cose di cui tener conto: delle indicazioni dato che non hai mai fatto una cosa simile»
«Già» sentenziò. Effettivamente era un po' che faceva anche lavori che esulavano dal suo compito di consulenza e pratiche in ambito economico. «Le leggerò con attenzione» annuì sbirciando le scritte
«Mi dispiace, stai facendo anche un sacco di incarichi extra» fece Kimura chinando il capo
«È divertente!» si affrettò a dire: il suo modo di fare aveva lasciato trapelare un fastidio che invece non aveva intenzione di riversare sul collega, che aveva frainteso. «Faticoso, ma divertente. Davvero, non è un problema. Per quando deve essere pronto?»
«Contando che oggi è il 9 e l'incontro è il 15, direi il prima possibile» spiegò con un sorriso tranquillo. «Ma puoi fare le telefonate che ti ha lasciato Ogura san prima di occupartene. A proposito, ci hanno detto dalla JH che la nuova coreografa ha imposto dei ritmi severi al corpo di ballo, ma che così hanno recuperato tutto il tempo perso. Come l'hai trovata?» domandò Kimura.
Sentir parlare di Ahn san la irritò: aveva rubato il tempo di Shō per giorni interi, quindi meno ne sentiva parlare meglio era. Si era maledetta per averla assunta senza nemmeno controllare chi fosse o che rapporto avesse con lui. «È stato Sakurai san a suggerirla» liquidò la domanda indicandogli con un dito il meraviglioso ragazzo seduto dietro la sua scrivania a leggere qualcosa. In quel modo si liberò dell'argomento con garbo e potè concentrarsi sul suo lavoro.
Organizzare il breathing del 15 non sembrava una cosa complicata, avrebbe solo dovuto fare dei giri di telefonate interminabili e aggiungere anche quello a tutti gli altri incarichi per l'organizzazione dei concerti. Per fortuna ci avrebbe dovuto pensare solo per cinque giorni.
Spese parecchie ore concentrata sul lavoro, arrivando a dimenticarsi persino dove si trovava, e solo l'ora di pranzo la distrasse dal suo impegno. Kimura e Ogura la invitarono a pranzare con loro, come tutti i giorni, ma non era giornata e sforzarsi di apparire carina e bendisposta tutto il tempo le risultava difficile con il cattivo umore e il nervoso che aveva addosso. Declinò l'offerta adducendo un generale malessere e si scusò. Divenne tesa quando si rese conto che anche Shō non era andato con i colleghi a mangiare e quindi doveva essere rimasto seduto alla scrivania alle sue spalle. Sentiva un prurito strano alla schiena: sapere di averlo lì la emozionava, ma la turbava non vedere cosa stesse facendo o se la stesse osservando. Non riuscendo a sopportare una simile pressione, decise di alzarsi e prendere una tazza di tè caldo dal termos che tenevano in un angolo dell'ufficio, vicino alla finestra.
«Qualcosa non va?» sentì domandare.
Si spaventò al sentirsi rivolgere improvvisamente la parola e ancora di più la spaventò ritrovarsi Shō alle spalle. Fece un salto sul posto e la tazza le tremò tra le dita, non abbastanza per cadere, ma a sufficienza per rovesciare un po' del contenuto sulla maglietta del ragazzo. Lo vide fare un salto indietro nel tentativo di non venire bagnato, ma fu inutile «Scusami!» esclamò sgranando gli occhi. «Sarà bollente! Ti prendo un fazzoletto»
«Scotta!! Che ti è successo?!» esclamò allontanando la maglietta dalla pelle.
In un primo momento Erina rimase spiazzata: da una persona pacata come Shō kun si sarebbe aspettata un tono diverso. Appoggiò la tazza al mobile e recuperò un tovagliolo vicino alla caraffa, quando lo guardò in faccia vide che non sorrideva. «Mi dispiace molto. Non l'ho fatto apposta» pigolò chinando il capo
«Ci mancava» sospirò lui. «Non importa, lascia perdere: cosa pensi che faccia un fazzoletto?» scosse il capo e prese a soffiare dentro il collo della maglietta allontanandosi da lei
«Non lo so» rispose, senza parole. «Io volevo solo fare qualcosa»
«Lascia stare» rispose il ragazzo tornando verso la sua scrivania. Erina lo osservò camminare, tenendo fisso su di lui uno sguardo incredulo. Alla fine si decise a prendere un bicchiere di cartoncino, lo accartocciò e lo lanciò nella sua direzione. Lo colpì alla spalla. «Ehi!» esclamò Shō girandosi. «Ti sei bevuta il cervello?» domandò.
In quel momento era difficile dire chi fosse il più sorpreso tra i due. «E il tuo te lo sei sgranocchiato a colazione?» replicò arricciando il naso, parlare con Tomomi le faceva un brutto effetto. «Ti ho chiesto scusa: so che non è molto e che un fazzoletto non aiuta, ma perlomeno potesti non rispondermi a quel modo»
«Mi hai versato addosso il tè bollente!» esclamò. «Cosa vorresti? Un premio?»
«Chiaro che no!» fece, sempre più spiazzata da quell'acidità. «Ti ho detto che non l'ho fatto apposta, non mi sembra il caso di rispondermi a quel modo!»
«Non…» fece per dire Shō, poi si bloccò: non c'era modo di avere ragione. «Fai più attenzione. È tutta la mattina che ti vedo distratta: ti intrattieni con Aiba chan, stai in bagno le ore e ti bevi il tè! Vuoi veramente lavorare per il nostro concerto?»
«Talmente tanto che ho fatto mille telefonate per quel breathing inutile!» esclamò, decisa a non trattenere più la sua frustrazione. «E adesso, se non ti dispiace, vado a mangiare il mio meritato pranzo, prima di andare ad un incontro importante per il vostro mega concerto» sentenziò con acidità, abbandonando il tè e recuperando la borsa
«Ma non hai appena detto agli altri che non stai bene?» domandò Shō dubbioso
«Adesso invece muoio di fame, d'accordo? Sono fatti miei!» rispose aprendo la porta
«Certo che sono fatti tuoi» concluse quello prima che lei uscisse dall’ufficio.
Erina riprese a pensare lucidamente solo quando fu immobile dentro all'ascensore. Cosa significava tutto quello che era appena successo? Ma soprattutto perchè? Non si capacitava di come avessero potuto litigare e guardava il suo riflesso sbiadito sulle rifiniture lucide delle porte dell'ascensore con aria inebetita. Più si interrogava sull'accaduto meno trovava significato in quell'assurdo litigio. Per cosa poi? Per del tè su una maglietta.

Il giorno dopo pioveva a dirotto. L'autostrada liscia e asfaltata che portava da Tōkyō all'aeroporto internazionale di Narita era quasi lucida. Le macchine sfrecciavano rapide e silenziose e la "piccola scatola di sardine" che guidava Erina era tra queste macchine: l'aveva ribattezzata così da quando si era accorta, durante uno dei viaggi in America per andare a trovare i nonni, che le utilitarie usate in Giappone erano più simili a quel tipo di oggetto che non a delle macchine vere e proprie come quelle che aveva visto in terra straniera.
Non fu affatto facile trovare un parcheggio nei pressi di Narita,ma in un modo o nell'altro riuscì a trovare un posto mentre una famigliola usciva dal parcheggio con un multipla e se ne andava sorridente. Scese dalla vettura recuperando il mazzo di rose dal sedile posteriore: si era conservato bene nel cartoccio dei kappu ramen che Ying aveva riempito di acqua per usarlo come vaso. Fortunatamente la compagna non le aveva chiesto nulla dei fiori e lei non avrebbe trovato la forza di spiegare come stavano le cose. Probabilmente aveva pensato glieli avessero regalati i colleghi, sapeva che lavorava in un ufficio solamente maschile.
Quella mattina si sentiva più tranquilla, il giorno prima si sarebbe mangiata vivo chiunque per colpa dell'atteggiamento di Shō. Non si capacitava di come avesse potuto pensare che fosse diventato un uomo maturo. Si era scritta su un foglio: "La percentuale di figaggine non diminuisce il tasso di scemenza insito naturalmente in ogni esponente del sesso maschile: primo teorema scientifico sugli uomini della Teoria Kōmo"; e intendeva tenerlo come monito personale, quindi aveva strappato il pezzo di carta e l'aveva riposto nell'agenda con cura.
Si diresse verso le uscite degli arrivi internazionali. Aiba le aveva mandato un messaggio quella mattina presto dicendole che avrebbe semplicemente dovuto portare quel mazzo enorme con sè, l'avrebbero riconosciuta per quello. Era stata una buona idea, certamente, ma la gente la fissava a metà tra lo sbigottito e l'incuriosito: lei, e un po' tutti i giapponesi, associava i regali ridondanti ai modi di fare galanti tipici degli occidentali, quindi era ben strano vedere un simile mazzo lì a Narita, inoltre era una ragazza a portarlo, mentre sarebbe stato più logico vederlo portare da un ragazzo colto da un eccesso di romanticismo. Le porte degli arrivi si aprirono più volte, ma nessuno le si avvicinò. Dopo trenta minuti di attesa cominciò a temere che la persona che era venuta ad accogliere non l'avesse notata e rimpianse di non aver chiesto ad Aiba il numero o di non avergli detto di dare il suo a questa persona. Nessuno dei due ci aveva pensato, sembrava che anche a distanza di anni continuassero ad andare avanti sugli stessi binari di sbadataggine.
Stava per prendere il cellulare e scrivergli una mail in cui spiegargli la situazione, ma si rese conto che Aiba stava sicuramente lavorando e non le avrebbe risposto prima dell'ora di pranzo. Si morse il labbro inferiore e cancellò il testo scritto fino a quel momento: sarebbero stati soldi spesi inutilmente. Mentre chiudeva il cellulare notò nuovamente delle persone avvicinarsi a lei, era normale dato che si trovava nella folla di chi attendeva gli arrivi, ma fino a quel momento nessuno degli individui avvicinatisi era chi stava aspettando. Quella volta fu diverso: Erina passò lo sguardo sul gruppetto che si avvicinava, scrutando i visi di ognuno per controllare se qualcuno non fosse interessato alle rose che portava tra le braccia, e quella fu la volta buona. Una ragazza nella folla spalancò leggermente gli occhi vedendo l'enorme mazzo e poi spostò lo sguardo su di lei, mentre cominciava a camminare con più decisione nella sua direzione.
«Hello? Sorry...» farfugliò in un primo momento. «Mi capisce? Io credo che quei fiori siano per me» cominciò quella, timorosa
«Sei l'amica di Aiba chan?» domandò Erina senza troppi giri di parole
«Sì» annuì la sconosciuta, probabilmente sorpresa di sentirla parlare giapponese
«Lieta di fare la sua conoscenza» si inchinò leggermente, per non rovesciare le rose. «Sheridan Erina, Aiba chan mi ha chiesto di venirla a prendere»
«Hanayaka Kokoro, piacere mio» rispose a sua volta. «Pensavo che non mi capisse»
«Sono per metà giapponese» spiegò con pazienza
«Mi scusi. Pensavo sarebbe venuto lui in realtà, per questo quando mi sono avvicinata ero un po' incerta» si giustificò
«Stamattina aveva del lavoro da fare e i suoi impegni non sono prorogabili purtroppo» spiegò Erina. «Posso suggerire uno scambio? Le lascio i fiori e in cambio porto io la valigia»
«È sicura? Non è troppo pesante?» domandò, ma gliela porse quando Erina le fece capire di volersi sbarazzare dei fiori al più presto.
«Per curiosità, cosa le aveva raccontato?» domandò lei dopo aver fatto lo scambio
«"Segui una grossa macchia rossa tra la folla"» citò quella, sistemando il mazzo tra le braccia.
Erina scoppiò a ridere cominciando ad avviarsi verso le porte .«Ma è scemo? Avrebbe potuto esserci qualsiasi cosa grande e rossa e non ci saremmo mai incrociate!»
«Infatti credevo ci sarebbe stato lui a controllare, mi chiedo come abbia potuto essere così ingenuo da mandare ad incontrarsi due persone che nemmeno si conoscono» spiegò scuotendo il capo
«Sono qui in macchina, Aiba chan mi ha chiesto di venire e accompagnarla a casa. L'avrebbe fatto lui, ma per lavoro non sarà libero prima di questa sera» le spiegò la situazione mentre si avviavano verso l'auto
«Capisco. Grazie mille, non avrebbe dovuto disturbarla, avrei preso il treno come chiunque!» spiegò arrossendo e chinando il capo
«Sembrava tenerci molto» le spiegò con un sorrisino. Mentre apriva la macchina e sistemava la valigia nel bagagliaio lanciò un'occhiata più attenta alla ragazza che era con lei. Aveva il corpo snello, i capelli lunghi e gli occhi scuri ed era molto carina. Sembrava diversa da molte altre giovani giapponesi: aveva un'aria semplice, il viso pulito, le mani curate ma dalle unghie corte. Era una ragazza qualsiasi, ma sembrava carina. Avrebbe scommesso la mano destra che ad Aiba piaceva e che era pienamente ricambiato. «Hanayaka san, giusto?» domandò mettendo in moto ed uscendo dal parcheggio
«Sì»
«Posso chiederle quanti anni ha?»
«Ventisei» rispose lei senza scomporsi. Ne aveva due meno di Aiba. «Lei è un amica di Aiba san?» le domandò quella appoggiando il gomito al finestrino e girando lo sguardo verso di lei. Erina doveva tenere gli occhi sulla strada e non poteva ricambiare l'occhiata, ma Kokoro doveva saperlo bene, quindi quella domanda così posta assumeva volontariamente molti significati non espressi a parole. Aveva un sapore ostile.
«Possiamo usare un linguaggio meno formale, va bene? Ho solo due anni più di te» sorrise. «Per rispondere alla tua domanda: non saprei» disse pensierosa. Erano amici? Erano usciti a mangiare insieme, avevano molte cose in comune, avevano parlato molto, Masaki le aveva persino chiesto un favore, però non poteva dire di conoscerlo come si dovrebbe conoscere un amico. «È una situazione complicata da definire. Non so spiegarmela nemmeno io» spiegò per poi aggiungere. «Meglio non pensarci o mi viene il mal di testa per lo sforzo!» ridacchiò cercando di alleggerire la sua prima frase che poteva essere fraintesa. «Direi che la cosa più facile da dire con chiarezza è che lavoro per il gruppo: sono parte del team che sta organizzando il loro prossimo tour»
«Capisco. Lavorate insieme quindi?» non suonava per niente convinta
«Non proprio, no» scosse il capo. «In che zona devo portarti?» domandò per sviare il discorso almeno momentaneamente
«La imposto sul navigatore?» fece indicando lo schermo incorporato al cruscotto
«Sì, grazie» annuì. «Tu invece? Come lo hai conosciuto?» approfittò di quel momento per girare la domanda ed evitare che gliene facesse altre: non aveva alcuna intenzione di essere messa sotto torchio, non era dell’umore giusto.
«Siamo vicini di casa» spiegò Kokoro stringendo le spalle e finendo di impostare la via
«Ma dai. Non me l'aspettavo proprio»
«Che avesse dei vicini di casa?» domandò trattenendo una risata, finalmente sorrideva in maniera naturale
«Sì»
«Sì?»
«Cioè no!» esclamò subito dopo. «Voglio dire, è chiaro che anche Aiba chan ha dei vicini di casa, ma non avevo mai pensato alla loro esistenza» spiegò sconcertata. Quello stupore era in parte finzione, stava solo cercando di comportarsi in maniera meno ingessata per sciogliere il ghiaccio, ma era anche vero che non aveva mai pensato ai vicini di casa degli Arashi.
La sua tattica funzionò, e se pure Kokoro si dimostrò essere una ragazza timida che non si sbottonava più di tanto, riuscirono a passare un viaggio piacevole, evitando silenzi imbarazzanti. Certo, il silenzio era improbabile se uno degli interlocutori era Erina, ma lei stessa non si rendeva conto di come il suo modo di fare spingesse le persone a comportarsi in maniera più sciolta lasciando da parte molta della loro formalità. Scoprì che era originaria di Yokohama e viveva a Chiba solo da qualche anno, quando si era trasferita per vivere da sola.
La ragazza si fece lasciare davanti alla stazione dei treni ed Erina la aiutò a scaricare il bagaglio. Si salutarono con mille inchini e con un sorriso meno di circostanza rispetto a quello che si erano fatte all'aeroporto. Sulla via del ritorno si rese conto di non averle nemmeno chiesto che lavoro facesse, ma magari si sarebbero riviste: di certo era più simpatica di Ahn Yun-seo e l'ipotesi che le piacesse di più solo perchè non sembrava puntare allo stesso ragazzo che piaceva a lei, come invece faceva la coreana, non le sfiorò nemmeno l'anticamera del cervello.


Torno alla riscossa!! Yuppidù!! Non mi sembra vero di poter scrivere *_* aaaah che bello!!
Peccato che il risultato non sia altrettanto soddisfacente sì, avete capito bene... sto capitolo non mi entusiasma: mi piace solo la parte della telefonata (voto: 9 -> la sola presenza di Tomomi rende tutto più bello XD), poi viene quella dell'incontro (voto: 6) e solo per ultima quella nell'ufficio (voto: 4).
Che devo farci? Non posso riscriverlo più di tanto, le difficoltà nella stesa sono date: a) dal fatto che già nella schematizzazione dei capitoli sapevo che sarebbe stato un passaggio debole; b) è un botto che non scrivo e devo in qualche modo riprendere le fila di tutto, non è facile!

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Capitolo 18
*** 17. You can't always get what you want ***


La sveglia del cellulare suonò: era la sigla del drama estivo di Jun, Løve Rainbow, il nuovo singolo. Aiba allungò il braccio fuori dal lenzuolo che nella notte gli si era stropicciato addosso e intorno al petto, appoggiò la mano sull'apparecchio e schiacciò un tasto per zittirlo. Con un sospiro calciò da una parte il tessuto, si girò su un fianco e si riaddormentò.
Fuori dalla finestra aperta il sole era già sorto, ma il campus era ancora immerso nel silenzio e nella tranquillità, tanto che il rumore del traffico al cancello d'entrata, ben lontano dal dormitorio, era quasi udibile anche lì. Un uccellino che cinguettava su uno degli alberi davanti all'edificio e il ronzio di un condizionatore completavano la tranquillità in cui era immersa quella mattinata di agosto alla JH. Pochi secondi dopo la sveglia riprese a suonare a volume più alto proprio dal punto più energico del ritornello. Sobbalzò e spalancò gli occhi. «Che spavento» borbottò prendendo il cellulare e lo disattivò definitivamente.
Con un sospiro Aiba si mise a sedere e sbattè le palpebre per riprendersi. Quando guardò fuori dalla finestra si accorse che il tempo era migliorato rispetto al giorno prima: splendeva il sole e il cielo era quasi del tutto sgombro dalle nuvole. Questo lo fece sorridere allegramente e, anche se era ancora un po' intontito di sonno, si sentì improvvisamente pieno di tutta l'energia che gli serviva per affrontare la giornata.

2010/08/12 06:08 a.m.
A: ChibiKo
Titolo: Buongiorno!
BUONGIORNO! (*^ ・^)ノ⌒☆ Come stai oggi? Ti sei ripresa un po' dal fuso? Spero di non averti svegliato, ma oggi è una bellissima giornata (^ε^)♪

Mandò la mail e poi si avviò verso il bagno.
Quella notte aveva fatto tanto caldo che alla fine si era tolto il pigiama ed era rimasto a dormire in boxer, quindi si levò solo quelli prima di ficcarsi sotto una doccia rinfrescante.
Quando ne uscì, circa dieci minuti dopo, si sentì completamente rigenerato. Sul display del cellulare lampeggiava già l'avviso di risposta.

2010/08/12 06:12 a.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: Buongiorno!
Buongiorno Aiba san. No, non risento molto del fuso: strano vero? v(^-^) Sono sveglia da un'oretta perchè volevo preparare dei dolci per Marika chan, Ryo chan e Akito chan. Chissà se hanno sentito la mia mancanza in questi giorni...

Aiba ridacchiò mentre si sfregava i capelli con l'asciugamano. Indossò l'accappatoio e prese a scrivere la risposta mentre indossava i vestiti di quel giorno.

2010/08/12 06:18 a.m.
A: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Buongiorno!
Saranno felicissimi! Lo sarei anche io, che invidia~ (`ε´) Anche io voglio un dolce di prima mattina! (≧▽≦) Oggi cosa fai? Ricominci già a lavorare?

Si concentrò per mettersi i calzini, cosa che gli riusciva difficile con una mano sola. Si controllò allo specchio, passandosi una mano tra le ciocche di capelli ancora umidi: li avrebbero sistemati agli studi quindi era inutile perdere tempo ad asciugarli per bene, mentre averli fuori posto lo avrebbe aiutato nel tragitto dalla JH agli studi, che avrebbe fatto con i mezzi e doveva quindi essere poco riconoscibile.
Preparò la borsa con dentro tutto l'occorrente per quel giorno e dei vestiti di ricambio.

2010/08/122 06:23 a.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Re: Buongiorno!
Riapriamo domani. Anche se oggi vorrei andare al negozio per controllare come sono andati i lavori e per rivedere la padrona. Tu cosa fai? Lavori anche oggi, vero?

Lesse con un sorriso, scorrendo il testo sullo schermo del cellulare mentre scendeva le scale del dormitorio e si dirigeva verso l'uscita dalle porte scorrevoli con la borsa in spalla.
«Aiba chan!» si sentì richiamare mentre camminava lungo i viali della JH, diretto verso la mensa. Si voltò e vide Yun-seo che gli correva incontro, arrivando dalla piscina.
«Buongiorno Carotina!»
«Come mi hai chiamato?!» domandò quella accigliandosi. «Dove stai andando?» aveva una borsa da palestra che le dondolava dalla spalla sinistra
«A fare colazione. sarebbe ora, sai?» rise il ragazzo. «Tu come mai sei già in piedi? Cominciate le prove alle dieci e ieri dopo cena eri ancora in sala a provare. Non ti starai sforzando troppo?»
«Sei preoccupato?» fece Yun-seo con un sorrisino a metà tra la gratitudine e il divertimento. «Dormo abbastanza, tranquillo. Facciamo colazione insieme?»
«Va bene, rispondo a questa mail e sono tuo» annuì il Aiba abbassando lo sguardo sul cellulare
«Sì, sì. Per punizione però dovrai portarmi in braccio!» esclamò quella portandosi alle sue spalle e saltandogli addosso, cingendogli agilmente la vita con le gambe e tenendosi con le mani alle sue spalle. Masaki, per quanto molto più alto di lei, rischiò di perdere l'equilibrio e cadere all'indietro. «Sei un attentato alla vita altrui!» esclamò piegandosi in avanti per trovare un modo di portarla a cavacecio senza cadere.

2010/08/12 06:31 a.m.
A: ChibiKo
Titolo: Proposta
Abbiamo le riprese stamattina. Perchè non vieni a trovarmi? Ieri ero occupato, ma oggi nel pomeriggio sono libero!

«Che scrivi?» domandò Yun-seo appoggiando il mento sulla spalla di Aiba e sbirciando cosa stesse facendo
«Invito un amico» rispose concentrato, prima di mandare la mail e chiudere il cellulare. «Allora, che ci sei andata a fare in piscina di prima mattina?» domandò per cambiare discorso, sapendo che la scusa dell'amico non avrebbe retto se fossero seguite altre domande.
Masaki era consapevole di avere un segreto e di non essere capace di nasconderlo bene. Anche i ragazzi sospettavano qualcosa già da tempo, ma lo conoscevano a sufficienza da sapere che non sarebbe servito chiedere chiarimenti: prima o poi li avrebbe dati; e quello era il giorno in cui l’avrebbe fatto. Il suo rapporto con Yun-seo era diverso da quello che aveva con gli Arashi e avrebbe potuto dirle ogni cosa senza troppi problemi, ma proprio perchè i ragazzi ancora non sapevano nulla, non se la sentiva di raccontare qualcosa ad altri prima di aver informato loro.
La mail di risposta arrivò mentre mangiava la sua colazione in compagnia di Yun-seo e un paio di ballerini.

2010/08/12 06:47 a.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: Proposta
Venire da te? (((゜д゜;))) Ma io non saprei nemmeno muovermi in uno studio televisivo! E poi non mi faranno mai entrare. Volevo anche passare dalla padrona... non so...

Trattenne una risatina perchè stava leggendo il cellulare cercando di non farsi notare dai suoi interlocutori: il fatto che Kokoro fosse spaventata era molto tenero.

2010/08/12 06:50 a.m.
A: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Proposta
Ti prego~ m(..)m Ti prego!! Parlerò con chi di dovere e potrai entrare. Alle 11.20 abbiamo una pausa. Dopo puoi seguire l'ultima parte e ce ne andiamo insieme. Dai! Ti divertirai, te l'assicuro!

Alzò lo sguardo verso la finestra della mensa e diede uno sguardo al parco all'esterno e alla bella giornata che si faceva sempre più luminosa. Qualche secondo dopo fece una risatina allegra difficilmente contenibile, realizzando che finalmente lui e Kokoro erano di nuovo vicini, sotto lo stesso cielo.
«Che diamine c'è in quella zuppa di miso?» domandò la coreana vedendolo comportarsi così, mentre aveva la ciotola tra le mani.
Gli altri risero. «Aiba senpai è sempre così» annuirono loro
«Sono quasi le sette vero? Devo assolutamente avviarmi o non farò mai in tempo per la registrazione» si riprese lui improvvisamente
«Ti chiamiamo un taxi senpai?» domandarono i ragazzi
«No, no. Vado con i mezzi stamattina» rispose alzandosi dal tavolo e prendendo il vassoio con sè per sparecchiare la sua parte. «Grazie comunque. Otsukare ne!» salutò chinando il capo
«Otsukare senpai!» risposero loro
«Ti unisci a noi questo pomeriggio? O hai da fare con il tuo amico?» domandò la ballerina
«Pensavo di arrivare più tardi. Tu che dici: avrei bisogno di più allenamento?» domandò Aiba, improvvisamente preoccupato
«Hai sempre bisogno di allenamento, ma tanto sbagli comunque, quindi vai pure» lo prese in giro lei agitando la mano nell'aria.
Aiba salutò di nuovo tutti e recuperò la borsa avviandosi ai cancelli della JH. Quello che aveva detto Yun-Seo non era rassicurante, ma non voleva finire le riprese e tornare alla sala prove, almeno il pranzo avrebbe voluto farlo con serenità e solo dopo sarebbe tornato ai suoi doveri.
Si tormentò per poco, fino a quando arrivò l'ennesima mail di risposta.

2010/08/12 07:18 a.m.
A: ChibiKo
Titolo: Oook
Va bene, va bene. Dimmi come fare e dove andare, cercherò di vincere la paura.

Scrisse un ultimo messaggio mentre attendeva l'autobus, con gli occhiali da sole calati sul naso e un berretto male indossato sui capelli umidicci.

2010/08/12 07:25 a.m.
A: ChibiKo
Titolo: Re: Oook
VITTORIA! v(^-^)v Appena sono agli studi mi accordo e ti faccio sapere. Ora mi avvio! A dopo~ 三 (/ ^^)/

«Si può sapere cosa stai facendo lì da dieci minuti?» domandò Nino affiancandosi ad Aiba davanti alla finestra del camerino che dava sulle vie interne degli studi della Fuji TV. Il ragazzo rimase in silenzio i primi secondi, rimanendo con gli occhi fissi verso il cielo che si vedeva oltre i tetti degli edifici del complesso.
«Niente, pensavo» rispose infine con un sorrisino, stringendosi nelle spalle. Agli occhi dei suoi amici sembrava strano e avrebbe voluto comportarsi come sempre, ma gli era praticamente impossibile: si era accordato con le persone all'ingresso degli studi e aveva fatto preparare un pass da visitatore per Kokoro, quindi avrebbe dovuto aspettare solo qualche ora e l'avrebbe rivista. Non stava più nella pelle.
Finì di mettere i vestiti per il programma e si avviò con gli altri verso lo studio di registrazione. «Retsu go!!» esclamò alzando un braccio verso l'alto e aprendo con entusiasmo la porta
«Perchè? Chi manca?»¹ domandò Shō guardandosi intorno
«Credo fosse inglese» sospirò Nino scuotendo il capo. «Chi lo capisce più quello là!».
Ad un certo punto della mattinata, mentre i tecnici preparavano il set del gioco successivo di VSArashi, gli si avvicinò una delle ospiti. «Aiba chan, oggi sembri in forma! Se possibile sorridi più del solito» constatò divertita
«Allora non era una mia impressione» notò Shō avvicinandosi. «Che cosa ti ridi?»
«Ridere fa bene all'anima, Shō kun dovrebbe ridere un po' di più, non è vero?» domandò Masaki alla ragazza
«Secondo me anche lui ride parecchio» scherzò lei
«Visto? Non è che ridere solo quando c'è un perché significa esser meno allegri. Anzi, è ridere senza motivo che significa essere un po' scemi» lo canzonò l'amico, ma non gli rispose, ridacchiò divertito e lasciò correre: quel giorno potevano dirgli qualsiasi cosa, lui non se la sarebbe presa. La sua soddisfazione sarebbe stata vedere le loro facce quando avrebbe raccontato loro di Kokoro. A quel pensiero ridacchiò nuovamente da solo.
«Cominciamo a girare. Aiba san sta bene?» domandarono i tecnici, finita la pausa
«Credo di no» rispose Nino guardandolo mentre si piegava in un angolo a trattenere le risate
«Allegria compulsiva?» domandò Jun incrociando le braccia e sorridendo, sconcertato.
Finirono di registrare il segmento del gioco per le nove circa, quindi si concessero tutti la solita pausa di quell'ora, inoltre era il turno del Pinball Runner e c'erano tutte le strutture da montare in un angolo e il meccanismo da provare, insomma dovevano fermarsi per un po'. I ragazzi andarono dietro le quinte, mentre lo studio era invaso dal vociare del pubblico. «Rīdā, come va la tosse?» domandava Jun mentre bevevano qualcosa di fresco
«Credo meglio»
«Gli è preso un attacco prima» scherzò Nino. «Non è tosse è un rumorino fastidioso. Smettila per favore»² rise
«Non dipende da me, non so perchè ce l'ho» ribattè Ōno
«Scusate» fece qualcuno dello staff, avvicinandosi
«Siamo già pronti?» domandò Shō sgranando gli occhi
«No, no. È solo che alle porte degli studi c'è una persona che dice di lavorare per voi e che cerca Aiba san» spiegò quell'altro
«Chi è che ti cerca?» domandarono i ragazzi sorpresi
«Io» il ragazzo sbattè le palpebre: era troppo presto perchè fosse lei. «Vado a vedere» disse e si avviò alle porte d'entrata degli studi. Il cuore gli batteva all'impazzata, temeva quasi gli sarebbe schizzato via. Erano passati molti giorni dall'ultima volta che si era visto con Kokoro prima della partenza per l'Europa: era cambiata? Come avrebbe dovuto salutarla? Fece un sospiro appoggiando la mano sulla maniglia: inutile porsi mille domande, entro pochi secondi l'avrebbe saputo.
Come si aspettava, fuori dalla porta c'era una donna, ma non quella che sperava lui. Appoggiata alla parete trovò Erina: scarpe col tacco, gonna in cotone al ginocchio e canottiera blu stretta da una cintura sottile più volte girata in vita; ripiegato sul braccio portava un maglioncino leggero e aveva la borsa che dondolava dal polso, così da tenere le mani libere di portare un plico di fogli dallo spessore non indifferente. In parte si sentì sollevato: tenere Kokoro dietro le quinte più tempo del previsto avrebbe potuto essere problematico. «Eri san! Come mai sei qui?» chiese sorpreso
«Buongiorno Aiba chan!» salutò quella con un sorrisino appena accennato. «Scusa se ti disturbo, ma volevo parlarti e poi devo consegnare qualcosa al gruppo»
«Quelli sono per noi?» domandò accennando ai fogli.
Erina annuì. «Esatto! Ma prima che arrivino gli altri» accennò quella. Aiba deglutì: che fosse successo qualcosa? «Volevo dirti che sono andata all'aeroporto ieri e che Hanayaka san è arrivata a casa sana e salva»
«Me l'avevi anche scritto per mail». Squadrò la giovane davanti a sè: come aveva capito che avrebbe voluto che qualcuno gli raccontasse com'era Kokoro dopo tanti giorni. «Come ti è sembrata?»
«Cosa intendi?» domandò lei, candidamente
«Stava bene?»
«Sì, era d'accordo con me nel pensare che sei uno sciocco: come hai potuto correre il rischio che non ci incrociassimo dicendole solo di seguire qualcosa di rosso? Potevi dirle che stavo lì ad aspettarla, no?» scosse il capo, muovendo i ricci avanti e indietro. «Comunque stava bene. Almeno credo, infondo le hai mandato una sconosciuta, non è che in pochi minuti abbiamo sviluppato un grado di intimità tale da permettermi di sapere veramente come stesse» si strinse nelle spalle
«È troppo sincera, se ci fosse stato qualcosa che non andava l'avresti visto» le spiegò, lui la conosceva e sapeva che era così
«Era molto dispiaciuta che tu non fossi lì al mio posto» ridacchiò furbescamente Erina, quindi si staccò dalla parete e gli passò di fianco. «Vado a consegnare i fogli agli altri» gli sussurrò lanciandogli un'occhiata carica di significato.
A Masaki non piaceva Erina. Erano due persone in sintonia, ci scherzava facilmente come se si conoscessero da tanto, ma come donna non era per niente il suo tipo. Prima di tutto era troppo formosa per i suoi gusti: forse era stato deviato dal suo ambiente dove tutte le donne erano modelle o attrici particolarmente magre, ma lui preferiva il fisico asciutto e delicato: in secondo luogo non riusciva proprio a farsi piacere le straniere, era carina, ma quel rosso sulla propria ragazza lo avrebbe disturbato non poco. Infine, Erina aveva l'aria della ragazza qualsiasi, mentre Kokoro si vedeva da lontano che era una persona speciale: era aggraziata in ogni suo gesto, compiva ogni azione con delicatezza senza mai strafare; la donna che camminava davanti a lui nel corridoio, invece, aveva un carattere esuberante e inarrestabile, un po' come lui, e probabilmente era proprio per quella somiglianza che raramente pensava a lei come ad una ragazza o un possibile oggetto di desiderio.
Non l'avrebbe mai detto a Shō comunque, una volta gli piaceva quella ragazza e non poteva escludere che le cose fossero rimaste uguali ad anni prima. C'erano però delle occasioni, pochissime, in cui persino a lui Erina dava i brividi, in senso positivo. E uno di quei momenti era stato poco prima, quando lo aveva guardato negli occhi. Se c'era una cosa bella in quella donna era lo sguardo: aveva gli occhi scuri come quelli di qualsiasi giapponese, ma molto più grandi ed era in essi che Shō si era perso molto tempo prima.
Aiba seguì Erina nella sala dove gli altri stavano facendo la pausa. La ragazza, dopo aver salutato professionalmente i presenti, spiegò e distribuì i fogli per un incontro preliminare che si sarebbe tenuto il 15 di quel mese. La osservò quando gli diede la sua copia e si rese conto in quel momento che non si era mai domandato se Shō fosse ancora innamorato di lei o no. Avevano cominciato a lavorare insieme: come si sentiva? C'è ancora qualcosa?
«Aiba chan?» si sentì richiamare e rialzò il capo con gli occhi sgranati
«Sì?»
«"sì" cosa? Non mi stavi nemmeno ascoltando!» esclamò Erina sospirando
«Sheridan san, Aiba chan è sempre così: inutile prendersela» spiegò Nino con un mezzo sorrisino
«Sì, scusate» farfugliò lei inchinandosi. Masaki la osservò: era molto professionale, bisognava ammetterlo. Era davanti ad un gruppo di cui era fan e si sforzava di comportarsi come se nulla fosse. Succedeva abbastanza spesso ormai di finire a lavorare con persone che erano anche loro fan, ma erano sempre del loro stesso giro: tecnici, conduttori, cantanti, attori, segretari di studi; per loro era normale incontrare celebrità. Le persone estranee a quell'ambiente erano rare.
«Membri degli Arashi» chiamarono dalla porta d'entrata, era un tecnico dello studio. «Siamo pronti a ricominciare»
«Sì!» risposero in coro
«Non abbiamo finito con questo, vero?» domandò Jun, garbato, guardando la giovane. «Se hai tempo, alle undici circa facciamo un'altra pausa, puoi continuare dopo a spiegarci l'attività» spiegò alzandosi insieme agli altri. Masaki osservò Shō che chiacchierava con Ōno mettendo a posto i fogli appena ricevuti. Non aveva rivolto la parola ad Erina ad eccezione di un saluto cordiale, nè lei l'aveva rivolta direttamente a lui: non sembrava esserci nulla tra loro.
«Ho tempo. sì, ma non voglio disturbare i lavori» rispose la rossa
«Adesso chiediamo ai tecnici se possono tenerti dietro le quinte» annuì Jun con un sorriso gentile.

Ogni tanto, quando non inquadrato, si ritrovava a cercare la figura di Erina, dietro le quinte, ma l'aveva vista una sola volta mentre la facevano spostare per accomodarsi da qualche parte e poi era scomparsa: si preoccupava di capire se per lo staff fosse un problema averla lì, prchè se così era, anche per Kokoro sarebbe stato difficile rimanere.
Fortunatamente il gioco lo coinvolse a sufficienza da distrarlo dopo i primi cinque minuti e lo studio intero scoppiò in un applauso fragoroso quando vennero spente le telecamere per il cambio scena. Si inchinarono e si congratularono con le ospiti. «Venti minuti di pausa» annunciarono dalla regia: dovevano montare l'ultimo gioco.
«Ho una sete» si lamentò Ōno mentre si avviavano verso i camerini
«Hai finito la tua bottiglia prima, Rīdā, per calmare la tua tossetta» fece notare Nino. «Ti dò un sorso della mia se rinunci alla tua prossima giornata di pesca»
«Mai» rispose ridacchiando, mentre l'amico gli passava un braccio sulle spalle e lo stringeva a sé, fingendosi uno yakuza minaccioso
«È uno scambio equo, forza, forza»
«Lo sta maltrattando di nuovo?» domandò Jun
«Sì, lo sta maltrattando. Nino kun, piantala» ridacchiò Shō
«Perchè non vai a chiamare Eri chan? Sicuramente non verrà da sola per paura di disturbarci» fece notare Aiba all'amico. «È troppo intimorita»
«Intimorita?» domandò Satoshi cercando di scrollarsi di dosso Nino
«Non proporre agli altri cose che puoi fare da te» replicò Shō con una risatina forzata. «Vai e chiamala invece di mandare me»
«È una nostra fan da un sacco di anni» spiegava Nino. «L'hai vista la sua faccia quando è entrata nella stanza? Ci ha guardato tutti con lo sguardo allucinato, sembrava l'avessero fotografata con il flash alla massima potenza tanto ha spalancato gli occhi»
«Non li ha spalancati, sono grandi perchè ha i tratti stranieri» replicò Shō, piccato.
Masaki si ritrovò a storcere le labbra per il disappunto, non riusciva a capire cosa pensasse l'amico: non sembrava particolarmente interessato alla presenza di Erina, eppure mostrava un po’ di riguardo per lei. Forse era dovuto solo al fatto che era una conoscente di vecchia data e nient'altro, ma Aiba pensava tutto in positivo per via del suo stesso stato d'animo. Si decise ad andare a chiamarla quando, girato l'angolo, la trovarono che scribacchiava su alcuni fogli, in piedi vicina alla porta del camerino.
«Aspettavi noi, Sheridan san?» domandò Jun facendosi avanti per primo, erano un po' tutti imbarazzati perchè avevano parlato proprio di lei fino a pochi secondi prima e non sapevano cos'avesse sentito delle loro parole.
«Sì, scusatemi, ho seguito un po' delle riprese, ma poi ho preferito tornare di qui per fare qualche lavoro che mi ero portata dietro» disse inchinandosi
«Non devi scusarti, mi spiace che ti stiamo facendo perdere tempo» rispose lui
«Non mi state facendo perdere niente, il mio collega mi ha seguito fin qui, così non dovrò tornare fino in ufficio e andremo direttamente al prossimo lavoro. È tutto a posto, sul serio» spiegò lei arrossendo e chinando il capo a guardare a terra
«Potevi entrare e usare il tavolo sai?» fece notare Nino avvicinandosi a lei e aprendole la porta del camerino. Se Aiba lo conosceva abbastanza, poteva immaginare che quell'insolito gesto era dettato puramente dalla voglia di torturare un po' la poverina che era già sufficientemente in imbarazzo davanti alla gentilezza di Jun.
«Non mi sembrava il caso» farfugliò infatti, sempre più in difficoltà
«Ragazzi, smettetela dai» sospirò Masaki mettendosi al fianco della rossa. «È qui per lavorare, non per farsi maltrattare da voi» fece arricciando il naso, mentre lanciava un'occhiata eloquente a Nino che rideva sotto i baffi
«Parla quello che prima nemmeno la ascoltava» sospirò Shō scuotendo il capo ed entrando nel camerino. Non aveva tutti i torti.
«Scusa Eri chan, giuro che adesso ti ascolto» disse quindi, chinando il capo. «Mi ero distratto» concluse, sinceramente costernato
«Vi conoscete?» domandò Jun sgranando gli occhi
«Dunque» Masaki rialzò lo sguardo e osservò in viso la giovane donna davanti a sè. Erano amici? Avevano condiviso una cena e una colazione e si erano parlati spesso in quei giorni, ma tutto sommato non si conoscevano così bene. Lui si era vergognato molto a chiederle di andare a prendere Kokoro il giorno prima, ma nella sua situazione non poteva chiederlo a nessuno dei suoi amici, nè alla sua famiglia: quella relazione era ancora segreta e non voleva parlarne con nessuno prima che con gli Arashi, mentre una persona con cui non aveva ancora così tanta intimità come Erina non avrebbe fatto domande indiscrete. Si fidava di lei, non avrebbe raccontato in giro di quel che aveva fatto per lui: delle rose, di Kokoro, di quel che forse aveva intuito ci fosse tra loro due. «Direi di sì, no?» rispose infine
«Sì, direi che ci conosciamo» scoppiò a ridere lei: era la prima volta che rideva così da quando era arrivata agli studi
«Aiba chan, non ce ne hai mai parlato» si intromise Satoshi
«Credevamo fossi solo una persona che lavorava per l'agenzia» aggiunse Jun. «Non sapevo vi conosceste, non ne ho avuto notizia»
«Ho pensato di non dirlo al colloquio» spiegò subito Erina al giovane idol che aveva presenziato quel giorno. «Non mi sembrava corretto, poteva essere interpretato come un modo per chiedere di avere il lavoro»
«Ma da quanto vi conoscete?» domandò Nino.
Masaki cominciò in quel momento a sentirsi a disagio: i ragazzi sapevano essere terribilmente impiccioni e stavano male indirizzando la loro curiosità, in più si preoccupò di come Kokoro avrebbe potuto reagire ad un simile interrogatorio se l’avessero fatto anche a lei. Erina poteva tenere testa a tutti, ma per lei, così riservata e silenziosa, non sarebbe stato semplice. Fortunatamente furono tolti d'impiccio da un saluto proveniente dal fondo del corridoio. «Buongiorno, ragazzi!»
«Ogura san, buongiorno!» salutarono tutti chinando il capo
«Otsukaresama deshita» fece l'uomo, educato, e tutti e quattro risposero. «Avete finito con le riprese?»
«Ancora no» scosse il capo Jun, mentre Nino e Ōno entravano nel camerino. «Stanno montando l'ultimo gioco»
«Ho interrotto qualcosa? Eri san, sembri sul punto di scoppiare in uno dei tuoi animati discorsi» ridacchiò il collega
«Abbiamo appena scoperto che Aiba chan e Sheridan san si conoscevano già prima»
«La chiama "Eri chan"!!»³ scherzò Nino da dentro la stanza
«Ma sul serio?» domandò Ogura. «Eri san, questa non ce l'avevi detta!» esclamò il collega al colmo dello stupore. «Sapevamo solo che era il tuo preferito»
«Il tuo preferito?» chiesero Masaki e Jun, in coro: difficile dire chi fosse il più sorpreso.
La ragazza li guardò tutti e tre, sbattendo le palpebre e diventando sempre più rossa in viso. «Non capisco cosa ci sia da meravigliarsi. Voglio dire, tutte le fan hanno un preferito, no?» farfugliò stringendosi nelle spalle
«Sì, certo, ma ce l'hai raccontato con grande sicurezza una sera e ora viene fuori questo precedente» disse Ogura, chiaramente con l'intento di punzecchiarla, ma quella situazione non pareva piacerle e nemmeno ad Aiba faceva impazzire. Era stupito per aver scoperto di essere lui il membro preferito di Erina, non Shō, e ricordava che una volta gli si era dichiarata, ma si rifiutava di pensare che provasse ancora qualcosa per lui.
«Non sarà che tra voi c'è qualcosa? Era per questo che eri tutto su di giri oggi, Aiba chan?» domandò Jun, tutto divertito
«Ma chan sei innamorato?» fece Nino affacciandosi dalla porta. «Questo spiegherebbe i tuoi atteggiamenti degli ultimi giorni: l'innamoramento è una buona causa di rimbecillimento ulteriore a quello che hai di tu di base» riflettè
«Rimbecillimento?» domandò sconcertato Aiba: non sapeva più che pesci prendere davanti alla piega che stava prendendo quel discorso. Adesso con quali parole avrebbe presentato Kokoro agli altri? A quel pensiero si battè una mano sulla fronte «Kokoro!» esclamò. «Io stavo aspettando una persona!» disse scuotendo il capo con decisione e lanciò un'occhiata ad Erina, l'unica che poteva capire di cosa stesse parlando. Infatti la vide aggrottare le sopracciglia e scuotere il capo come a chiedergli cosa c'entrasse quel nome in quel momento.
«Giusto, c'era una persona con me prima, era lei?» suggerì Ogura, guardando il corridoio. «Dov'è? Ero sicuro fosse entrata con me»
«Era con lei Ogura san?» domandò Masaki, improvvisamente preso dal panico. «Chi era?»
«Non lo so, era una ragazza carina: capelli mossi, magra. Aveva un pass da visitatore: magari è andata direttamente nello studio» riflettè l'uomo, stringendosi nelle spalle.
«Magari è ancora fuori, vado a vedere» disse Aiba raggiungendo la porta praticamente di corsa. Non poteva essere andata agli studi, perchè se era entrata insieme ad Ogura l'unico modo per raggiungerli era passare di fianco a loro. Sulla porta non trovò nessuno, nè dentro, nè all'esterno. Guardò a destra e a sinistra ma non c'era anima viva. Uscì dalla porta e si avviò di corsa verso i cancelli d'entrata degli studi: se era arrivata e aveva preso il pass gliel'avrebbero potuto dire con certezza solo lì.
«Salve» salutò l'agente che stava di guardia all'entrata. «Senta, il pass che ho chiesto stamattina?» domandò
«Salve. Il pass?» fece quello controllando dei fogli. «Il numero ventitré? È qui» rispose prendendolo dalla scrivania e porgendoglielo
«Non è venuto nessuno a chiederlo?» chiese quasi saltellando su se stesso, impaziente, nervoso e preoccupato
«Vediamo. Hanno firmato circa dieci minuti fa per l'entrata e la controfirma d'uscita è stata fatta poco fa. Era la ragazza carina che è passata prima» rispose con un sorrisino
«Poco fa? Da che parte è andata? Dov'è? È appena andata via?» per poco non saltava in braccio all'uomo, mentre si sporgeva nel gabbiotto per controllare gli orari in cui erano state lasciate le firme sul foglio del guardiano.
«Verso la fermata credo. Da quella parte». Aiba non se lo fece ripetere due volte.
Indossava ancora i vestiti di scena, che comprendevano un'orribile camicia rosa con una fantasia nera quasi psichedelica, ma si fiondò in strada senza pensare che con tutto il trucco per le riprese e la messa in piega era ben riconoscibile e rischiava di essere seguito o visto da qualcuno con Kokoro, sempre che fosse riuscito a raggiungerla. Riconobbe la tonalità castano chiara dei suoi capelli, il corpo sottile, lo stile semplice dei vestiti. «Ko...» si trattenne dal chiamarla per nome e si corresse. «Hanayaka san!!» urlò accelerando il passo per raggiungerla.
La giovane si voltò verso di lui e lo osservò mentre correva nella sua direzione, ma la sua occhiata durò pochi secondi prima che un autobus si fermasse lì vicino. La vide girarsi dall'altra parte, quasi sdegnata, e salire al volo sul mezzo. Masaki lo raggiunse dopo che le porte si furono chiuse ed ebbe solo pochi secondi per vedere quella che doveva essere la sua ragazza, osservarlo da dietro il vetro dei finestrini con un'occhiata gelida. La fissò imbambolato finchè l'autobus glielo permise. Era meravigliosa, forse più di quanto ricordasse, ma era arrabbiata. Terribilmente arrabbiata. Aveva sentito la discussione in corridoio e aveva equivocato: non c'era altra spiegazione.

¹ il prefisso retsu significa "meno", "inferiore", mentre go è "cinque". Dato che gli Arashi sono cinque Shō, che non ha capito "let's go", pensa che manchi qualcuno.
² Durante la puntata di VSArashi del 12 Agosto 2010 Ōno continuava a tossicchiare
³ il suffisso chan viene usato per fare il vezzeggiativo di un nome di persona, il che presuppone un rapporto confidenziale (anche sentimentale a volte) tra le due persone.


Ed ecco il 17!! How is it? Eh? Eh? QUESTO sì, che mi piace di più, sperando di non aver scritto le cose facendole avvenire in maniera troppo rapida o.o (rileggo le cose dopo mesi e mi dico "uh, bella merda!" e le riscriverei da capo XD ollè) l'unica pecca? Il titolo XD diciamo che potrebbe essere provvisorio, per ora on mi viene in mente nulla, ma voglio pubblicare quindi nel caso ci ripenserò più avanti.
C'è una bella novità nella narrazione di questo capitolo *.* mi mancava questo POV ihihihihih!!! a voi no?
Quando pensate che la situazione sia critica poi vi scrivo dei capitoli in cui, non si sa come, va pure peggio come non si credeva possibile! Ditelo che vi stupisco, su su, ditelo *scrittrice impazzita*

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Capitolo 19
*** 18. Sugarless Girl ***


Kokoro aprì lo sportello del forno e si scostò da una parte per evitare la ventata calda che l'avrebbe altrimenti investita in pieno. La cucina si riempì dell'odore dei croissant appena fatti che invase anche il salotto dato che tra le due stanze c'era solo una parete di bambù intrecciato. Erano le sette del mattino e il sole faceva fatica a fare luce da dietro le grandi nuvole sparse per il cielo, ma quando si diradavano per qualche minuto, i raggi caldi passavano attraverso la finestra e illuminavano i tatami del salotto e il tavolino basso. L'atmosfera era tranquilla, da fuori si sentiva solo qualche macchina silenziosa passare ogni tanto, ma per il resto i rumori erano tutti di sveglie lontane e di discorsi sommessi, quelli tipici della mattina appena alzati.
Infilò i guanti per prendere la teglia e spostarla con attenzione sul tavolo della cucina. Osservò i dolci dorati e sorrise tra sè mettendo le mani sui fianchi mentre li rimirava. Venne distratta dal rumore di passi e urletti che attraversarono improvvisamente il corridoio fuori dalla porta di casa. «Neesan!!»
«Kokoro neesan!!» dei bambini chiamavano a gran voce bussando sulla porta dell'appartamento
«Eccomi, eccomi!» esclamò togliendosi i guanti e raggiungendo l'entrata. «Buongiorno Akito chan! Buongiorno Ryo chan!»
«Buongiorno!» sorrisero i due maschietti di 5 e 8 anni. «Senti che odorino!» esclamò il primo
«Cos'hai fatto?» domandò l'amico facendosi avanti e sbirciando oltre l'ingresso
«Croissant, sono dolci francesi che ho imparato mentre ero via» spiegò la giovane ragazza. «Quale tipo di marmellata ci volete dentro?»
«Albicocche!» rispose Akito senza pensarci su e l'amico, dopo qualche secondo, annuì
«Va bene, datemi due minuti» annuì lei con un ampio sorriso sul viso e lasciò aperta la porta tornando nella cucina che si affacciava sull'entrata. Mentre chiedeva ai bambini cos'avrebbero fatto quel giorno a scuola, farcì due dolci, prese dei tovaglioli in carta di riso colorata e ce li avvolse per poi consegnarglieli. «Attenti a non farli cadere lungo la strada e mangiate piano che sono ancora caldi»
«Grazie neesan!» esclamarono loro in coro. Presero ognuno il proprio dolce e si avviarono verso la scuola.
La giovane rimase sulla porta e li osservò: non appena questi non la guardarono più sul suo viso tornò un'espressione seria e infondo agli occhi brillava un po' di tristezza. «Se un giorno te ne andrai come faranno?» si sentì domandare da una voce alle sue spalle. Un ragazzo con la tipica divisa scura delle scuole medie stava camminando verso di lei.
«Insegnerò le ricette alle mamme» rispose indossando ancora una maschera d’allegria. «Però una parte di me vorrebbe che non mangiassero mai più dolci, per lasciarli legati al mio ricordo. Sono egoista vero?» domandò scuotendo il capo. «Ne vuoi uno anche tu?»
«Servirebbe dirti di no? Hai sempre fatto una porzione anche per me» pronunciò quello seccato
«Ti sei tagliato i capelli di recente? Ti stanno bene» fece la giovane allungando una mano per toccare le ciocche corte del ragazzino
«Non toccarli!» esclamò lui scostandosi. «Ci ho messo ore a sistemarli con il gel»
«Ma senti, Makoto kun sta crescendo!» esclamò ridendo, per niente offesa da quel fare scostante, poi rientrò in casa. «Arancia, vero?» domandò già aprendo il barattolo di marmellata
«Ma si possono mangiare quei cosi? Non mi fido della cucina tedesca» rispose lui, leggermente acido
«È francese, scemotto» lo corresse sistemando la nuova porzione di croissant. «Tua sorella dov'è?»
«Marika si è presa il raffreddore» rispose lui appoggiandosi allo stipite della porta d'entrata. «È proprio vero che solo gli scemi si ammalano in estate»
«Ecco qui» annunciò porgendogli il suo dolce. «Adesso ne preparo due e glieli porto su. Tu fai il bravo a scuola»
«Quando la smetterai di trattarmi come un poppante? Ti comporti con me come una vecchia zitella senza figli o nipoti»
«Makoto kun» sospirò lei. «Lo farò quando imparerai a comportarti da ragazzo maturo invece che da bambino maleducato. Fai attenzione a quel che dici, un giorno potrei offendermi» gli spiegò con un sorriso, meno allegro, ma più pacato. Il ragazzino non rispose nulla, arrossì e borbottò qualcosa girando sui tacchi per andarsene.
Kokoro si appoggiò a sua volta contro lo stipite della porta e incrociò le braccia guardandolo mentre si avviava con quel passo svogliato che faceva parte della sua nuova immagine di uomo duro. Aveva quell'atteggiamento strano solo con lei? Si era sempre comportata amichevolmente nei suoi confronti, ma ormai era uno studente di terza media e un uomo in formazione, forse avrebbe dovuto mettere più distanza tra loro, perchè sapeva che Makoto era infatuato di lei. Pensava a lui come ad un fratello minore e anche se era quello con meno anni di differenza rispetto agli altri bambini del condominio, erano pur sempre tredici!
Sospirò passandosi le mani sul grembiule, quindi scosse il capo e si staccò dalla porta per rientrare in casa: doveva cambiare il suo atteggiamento, senza dubbio. La sera prima, ad esempio, lui l'aveva vista piangere e Kokoro, invece di comportarsi da adulta e tacere, gli aveva raccontato tutto di Aiba. Pessimo errore.
Il flusso dei suoi pensieri venne interrotto dalla figura di Makoto che rientrava correndo. «Ho appena visto quello là scendere da un auto» le disse sgranando gli occhi. In mano aveva ancora metà della brioche fumante.
«Chi?» domandò spaesata Kokoro
«Il tuo fidanzato!» spiegò lui storcendo il naso. Un movimento alle spalle di Makoto attirò la sua attenzione: un bel ragazzo dal viso sorridente oltrepassava in quel momento il cancello del giardino: era proprio Aiba.
«Accidenti» imprecò lei a denti stretti. «Digli che non sono in casa!» spiegò allo scolaro, poi si fiondò nell'appartamento e chiuse la porta a doppia mandata. In quei secondi il suo cuore aveva cominciato a battere all'impazzata, non per la paura, ma proprio perché vedere quel ragazzo la emozionava.
Kokoro aveva conosciuto Aiba Masaki per puro caso, perchè l’anno prima si era trasferita nello stesso quartiere della casa della sua famiglia e lui, un giorno, era stato mandato dalla madre a comprare dei dolci al negozio dove lavorava lei: in un primo momento non l'aveva riconosciuto, poi la padrona del negozio le aveva svelato chi fosse. Kokoro non aveva una televisione e non ascoltava nemmeno tanta musica quindi non aveva riconosciuto Aiba Masaki, del famoso gruppo pop Arashi. Dopo quel primo incontro si erano incrociati più volte nel quartiere e avevano chiacchierato molto. Lui era stato il primo a baciarla, ma quando lei aveva preso a sua volta l'iniziativa, era scomparso. Forse era fuggito, ma Kokoro ormai si era innamorata di lui: del Masaki dolce, generoso e gentile che aveva incontrato di persona, non del ragazzo nello schermo televisivo o sulle riviste. Per mesi ci fu solo silenzio tra loro a cui era seguita la sua dichiarazione fallimentare, ma in qualche modo tutto si era sistemato e lui l’aveva accettata: Kokoro era partita per qualche settimana l'estero, ma era diventata la fidanzata di Aiba Masaki. Cos'era successo dopo? Lui aveva detto di voler far chiarezza dentro di sé, ma mentre lei era in Francia non si era fatto sentire nè per messaggio, nè per mail e non aveva fatto nessuna chiamata. Kokoro era stata molto occupata con il corso di pasticceria, ma tornata in Giappone era convinta di voler mettere in chiaro il loro rapporto, parlando con calma, eppure le sue speranze si erano infrante nel giro di pochi secondi: mesi di fantasie, giorni di pazienza e speranza di rivederlo presto, distrutti da poche semplici parole.
Nel corridoio non ci furono rumori e pensò che Makoto si fosse avviato, così che lei non avrebbe sentito nessun discorso, invece il ragazzo stava solo aspettando che il nuovo arrivato lo raggiungesse. «Buongiorno!» sentì salutare da Masaki, quando varcò il portone del condominio
«Ciao» rispose Makoto, un po' svogliato
«Ti ricordi me?» domandò l'altro. «Mesi fa sono venuto ad aiutarvi»
«Mi ricordo di te: Aiba Masaki. Difficile dimenticarsi, non credi?» lo interruppe
«Ho fatto così tanti disastri?» ridacchiò. «Mi spiace molto, però è stato divertente e la casa è ancora bella come appena dipinta!».
Kokoro, dietro la porta, alzò gli occhi al cielo: non capiva l'ostilità di Makoto o se la faceva scivolare addosso facendo finta di nulla? «Se cerchi Kokoro chan non c'è» lo interruppe il ragazzo. «È uscita poco fa per andare al lavoro, non ha tempo da buttare come te».
Aiba rimase in silenzio per qualche secondo. «È arrabbiata eh?» domandò il giovane idol
«Tu che dici?» rispose duro l'altro. «Credo sarebbe più felice se non ti facessi più vedere. Faresti un favore a tutti»
«Capisco. Anzi, no, in realtà non capisco molto, ma preferirei fosse lei a dirmelo» riflettè Masaki. «Troverò un modo per aver tempo di tornare qui quando lei è in casa. Grazie mille» disse pacato e lo sentì fare qualche passo, forse per allontanarsi, ma venne bloccato dalla successiva esclamazione del giovane vicino di casa
«Non tornare. È meglio» pronunciò in tono duro
«Sono parole di Kokoro o sono le tue speranze?» domandò quindi Aiba, fortunatamente il suo tono continuava a suonare tranquillo
«Che importanza ha?»
«Lo ha, Su...» barbettò. «Scusa, non ricordo come ti chiami» ammise imbarazzato
«Takahashi Makoto» rispose il ragazzino. «Ma non importa, non mi aspettavo che lo ricordassi»
«Makoto kun»
«Non chiamarmi per nome!» esclamò quello
«Takahashi san, allora. Io spero che qualsiasi cosa accada tra me e Kokoro avrai rispetto dei suoi sentimenti e del mio lavoro»
«Cosa intendi? Che non devo andare in giro a dire che stavi con lei? Che non dovrei dirle che mi piace?» chiese infastidito. «Stai tranquillo, non dirò che hai fatto innamorare una ragazza e poi l'hai tradita. I miei sentimenti però non ti riguardano. Ora sparisci, non è casa tua questa» concluse Makoto, poi non si sentì altro dal corridoio: se si fossero detti qualcosa in giardino lei non l'avrebbe udito.
Kokoro rimase appoggiata alla porta di casa, arricciò il labbro e strinse le palpebre sentendo le lacrime affacciarsi ai suoi occhi. Scosse il capo e, per non cadere preda del pianto, si dedicò ai croissant per Marika chan. Non poteva far a meno di chiedersi se era giusto comportarsi in quel modo, però Aiba l'aveva tradita in quei venti giorni di lontananza quindi era giusto essere arrabbiata. Fin dall'inizio aveva immaginato che la loro storia sarebbe stata troppo bella per essere vera e infatti sembrava si fosse preso solo una cotta, era bastato un periodo di lontananza e ne aveva trovata già un'altra. Kokoro aveva vissuto un'illusione meravigliosa, ma non era la realtà. Sospirò alzando lo sguardo dai dolci e tirando su con il naso. Non voleva più vederlo e voleva solo che sparisse dalla sua vita. Si sentiva un'idiota a pensare di aver creduto alle parole di Aiba e aver sperato di poter veramente avere una storia con lui. Si sentiva una stupida e si vergognava di quanto fosse stata sprovveduta: aveva persino perso tempo a riflettere su quella situazione! Poteva innamorarsi di un uomo che era circondato da donne più belle e che lo vedevano più spesso di lei? Un uomo simile era giusto per lei? Si era sempre risposta "sì".
Quando ricordò il dolcissimo discorso sul Chibi Masaki e la Chibi Kokoro che si erano fatti all'aeroporto, non riuscì più a trattenersi e pianse in maniera più pacata e silenziosa rispetto alla sera prima: si sentiva come un cane che si leccava le ferite. In una parola, patetica. Kokoro si passò il dorso della mano sugli occhi e scosse il capo, cercando di riprendersi. Si vestì rapidamente per andare al lavoro e quando uscì dall'appartamento erano ormai passati trenta minuti da quando non sentiva più alcun rumore nel corridoio, quindi era sicura che non ci fosse più nessuno. Il suo vicino uscì nel suo stesso momento, si salutarono con un sorriso e si augurarono buona giornata. Dal suo sguardo non aveva captato nessuna occhiata strana, quindi era probabile che i suoi occhi non si fossero arrossati. Salì al primo piano a portare i dolci per la bambina malata e salutò per avviarsi anche lei al lavoro, scacciando dalla sua mente tutti i pensieri tristi su quel tradimento.
Con un respiro profondo oltrepassò la soglia del portone del condominio color celeste e cercò di farsi forza mentalmente, per prepararsi al primo giorno di lavoro dopo il viaggio, per essere forte, per sopportare il dolore almeno finchè era fuori casa. «Ci avrei scommesso!» esclamò qualcuno al suo fianco, non appena fu uscita di casa. Kokoro girò lo sguardo notando solo in quel momento una figura appoggiata al muro dell'edificio: Masaki non era andato via.
Rimase pietrificata: tutto il coraggio che aveva appena cominciato a raccogliere si dissolse come neve al sole. La figura del giovane immerso nella luce del sole mattutino era tanto bella da toglierle il fiato. Stava per rimettersi a piangere, quindi girò la testa di scatto e decise di fuggire scendendo rapidamente i gradini per allontanarsi. Si continuava a ripetere di non poter rimanere davanti a lui un solo secondo e teneva gli occhi spalancati dal terrore davanti alle emozioni intense che la stavano travolgendo: meraviglia, amore per quel dolcissimo ragazzo, odio per quel che aveva fatto.
«Non puoi andartene così» ribattè quello seguendola, prendendola per il braccio e avvicinandola a sè.
Spaventata che volesse abbracciarla mise subito le mani avanti per tenerlo lontano. «Ti prego, lasciami» riuscì a pigolare debolmente
«Non voglio farti niente, Hanayaka san» spiegò quello, sorpreso
«Lasciami» ripetè girando gli occhi sul cortile per evitare di guardarlo e solo quando si sentì libera dalla sua presa fece dei passi all'indietro. «Scusa, non voglio più vederti. Non tornare più qui» concluse. Impaurita all'idea di una sua qualsiasi risposta, si allontanò tanto rapidamente che quasi si mise a correre, come nelle scene dei peggior film romantici.

Dalla fine di Luglio fino a quel giorno, il negozio di dolci tradizionali "Wagashi"¹ di Chiba era rimasto chiuso per ristrutturazioni. Dopo anni che non vi faceva lavori, la padrona si era finalmente decisa a sistemare tutti i piccoli problemi dell'edificio per rimodernare anche la cucina e curare gli interni del negozio che era un ambiente in stile tradizionale e richiedeva quindi molta manutenzione. Approfittando di quell'interruzione temporanea del lavoro, Kokoro era partita per un corso di cucina all'estero, ma una volta tornata aveva temuto che la cucina, il suo ambiente fosse cambiata totalmente dopo i lavori, tanto da non ritrovarcisi più. Fortunatamente non fu così: il forno era nuovo e migliore, le pareti ridipinte avevano alcune nuove mensole e mobili per utensili e ingredienti, ma il grosso tavolo di legno centrale non era cambiato, il ripiano vicino al forno era lo stesso bancone di pietra intagliata che aveva trovato lì fin dal primo giorno. Era ancora il suo habitat, solo tirato a lucido. Le modifiche maggiori avevano riguardato il negozio, la parte "pubblica": il legno del bancone e del parquet erano nuovi e le travi massicce e scure del soffitto ancora odoravano della foresta da cui venivano, inoltre l'ambiente si era rimpicciolito un po' per far spazio ad una piccola saletta da tè. La padrona le aveva accennato di quel progetto prima dell'inizio dei lavori, voleva lasciare a lei la gestione del negozio e dedicarsi di più ai clienti, soprattutto dopo che negli ultimi tre anni quel piccolo angolo di tradizione si era fatto un nome in città, nelle pagine locali dei giornali di Tōkyō e nell'ambiente dolciario stesso. Coloro che sarebbero andati a gustare tè e dolci in quel piccolo angolo non sarebbero stati solo clienti affezionati, ma anche intenditori del settore e giornalisti. Poteva essere un angolo elegante per qualsiasi piccolo momento particolare di privati o gruppi che volessero organizzare qualcosa. E poi la padrona amava avere a che fare con le persone: era affabile, simpatica e sfacciata quanto la sua età le concedeva, mentre Kokoro in negozio era una facciata giovane e fresca, un buon primo impatto per chiunque, inesperto del settore dolciario, vi si affacciasse per la prima volta.
Oltrepassata la soglia, la giovane entrò subito di quell'ambiente così familiare, ma insieme nuovo e diverso. Senza pensarci troppo accese il forno, sistemò alcuni ingredienti sul tavolo, tirò fuori gli utensili necessari, accese i fuochi dei fornelli mettendoci sopra alcune pentole e solo allora si fermò. Face qualche passo indietro e osservò la scena: il calore del forno, il rumore delicato dei fuochi accesi, la farina che imbiancava il tavolo e gli ingredienti aperti; era la sua dimensione, era il suo piccolo, meraviglioso e prezioso mondo. Strinse le labbra in un sorriso sottile e si sarebbe rimessa a piangere, questa volta per la felicità e la commozione: aveva provato tanta nostalgia di quel posto. La familiarità e il gradevole tepore della cucina erano il suo conforto. Come era già successo in passato, anche in quel momento la sua ferita sarebbe guarita più in fretta se i dolci l'avessero aiutata a non focalizzarcisi troppo.
«Cosa fai lì impalata?» domandò la padrona entrando nella cucina e trovandola ferma vicina alla porta che dava sul retro, per contemplare meglio lo spazio in cui lavorava. «Quando chiudiamo per pranzo mi insegni ad usare i nuovi fuochi? Il tecnico ci ha provato, ma parlava in maniera troppo difficile e una vecchia come me ha bisogno di spiegazioni semplici» ridacchiò scuotendo il capo
«Sì, lo farò» rispose Kokoro, inchinandosi leggermente. «C'è già qualcuno!» esclamò quindi, sentendo il furin² appeso alla porta che tintinnava
«Vai allora, su!» la incitò l'anziana donna sorridendole come avrebbe fatto una nonna con la nipote
«Posso davvero?» domandò sgranando gli occhi. «Sono i primi clienti da quando abbiamo chiuso per lavori»
«Il negozio è una tua responsabilità ora, quindi a te l'onore» sottolineò avvicinandosi alle pentole, segno che avrebbe tenuto d'occhio lei la preparazione. La giovane passò le mani sul grembiule, poi se lo tolse rapidamente, prese la giacca della divisa del negozio e la indossò sopra la leggera maglia di lino che indossava per cucinare. Anche la divisa del negozio era cambiata: indossava sempre una gonna stretta intorno alle gambe, lunga fino al ginocchio, ma la giacca ora riprendeva il modello del kimono giapponese: collo a V, maniche lunghe e si chiudeva tramite una cintura sottile che doveva ricordare un semplice obi. «Benvenuti!» salutò cortesemente, con un sorriso sul viso
«Buongiorno» salutò la cliente da davanti al bancone, alzando gli occhi dalla vetrinetta con alcuni dolci in esposizione. «Tu?» domandò questa quando la vide.
Kokoro rimase pietrificata riconoscendo nella cliente la giovane dai capelli rossi che era andata a prenderla all'aeroporto. La stessa con cui Aiba l'aveva tradita. Cercando di mantenere il sangue freddo, si inchinò con educazione.
«Salve» salutò una seconda ragazza che fino a quel momento era rimasta rannicchiata a terra per guardare i dolci posti più in basso nella vetrina del bancone. Dall'aspetto era più asiatica della prima, ma aveva l’accento straniero.
«Cosa posso servirvi?» domandò Kokoro, rimanendo dietro il bancone
«Questo posto è tuo?» domandò sorpresa Erina
«No, anche se ho molte responsabilità» rispose scuotendo il capo. Era stranita e nel panico, ma era abituata a mostrare una facciata di cortesia ai clienti. «Devo chiamarvi la padrona?» domandò
«Sì grazie, non per essere sgarbata, ma siamo qui per parlare di lavoro» spiegò la rossa mentre la sua compare puntava il dito sul vetro
«Eri, voglio quello» le disse
«Va bene, allora ce lo facciamo preparare prima di andarcene» rispose abbassando lo sguardo sul dolce indicato. «Ying! Ma il più costoso dovevi scegliere?» si lagnò
«Volevi farti perdonare?» chiese incrociando le braccia l'altra. «Allora voglio quello»
«Arrivo subito» disse Kokoro prima di inchinarsi e tornare in cucina. Richiamò la padrona spiegandole chi ci fosse nel negozio e prese l'occorrente per incartare il dolce scelto dalla ragazza sconosciuta. Quando ritornò nel negozio per preparare la confezione ascoltò il discorso che stava facendo. «Sì, certo che so chi sono» diceva l'anziana emozionata. «È un onore, cosa posso fare per voi?»
«Vede, stiamo organizzando un incontro con varie figure importanti per la buona riuscita del progetto e ci è stato consigliato da qualcuno di rivolgerci a voi per il rinfresco. Cercando delle informazioni però non ho capito se fate servizio cathering»
«Immagino sia stato il figlio degli Aiba» annuì piano quella. «Anche crescendo è rimasto un bravo bambino» e Kokoro avrebbe avuto qualcosa da ridire su quel punto, ma tacque e continuò il suo lavoro mettendo il dolce su un vassoietto.
«Precisamente lui» annuì Erina. «Pensa sia fattibile? Mi rendo conto che ha dato il vostro nome sulla fiducia ed è stato un bel gesto, ma il servizio richiesto è serio e se non potete offrircelo dovremo chiedere altrove»
«Possiamo farlo» rispose senza pensarci troppo la padrona. Kokoro la vide abbassare lo sguardo su di lei, rapidamente, ma non ricambiò, continuando a piegare il cartoncino per creare una rudimentale gabbia intorno al dolce, prima di impacchettarlo, di modo che la carta della confezione non rovinasse la decorazione.
«Non facciamo cathering, ma ho conoscenze nell'ambiente. Forniremo il materiale e loro si occuperanno di gestire il tutto. A voi sta bene?» domandò l'anziana
«Certo» annuì con decisione la rossa. «Le lascio i fogli con la descrizione del lavoro, se vuole le mando anche una copia elettronica» spiegò lasciandole una cartelletta intestata dell'agenzia con dentro gli incartamenti della proposta
«Te ne occupi tu?» domandò la padrona alla sua giovane assistente che ripiegava ad arte la carta per fare un pacchetto. «Bene» annunciò allora, vedendola annuire in silenzio. «Darò un'occhiata a questi fogli. Ci troverò anche i contatti immagino»
«C'è tutto, non esiti a chiamarci» annuì cortese Erina. La giovane commessa sbirciò il suo volto. Che fosse stato il suo fascino esotico ad attirare Aiba? Era impossibile non notarla con quei capelli.
Tornò a guardare il pacchetto quando l'altra si accorse del suo sguardo e lo ricambiò. Le aveva sorriso, tranquilla, e continuava a trattarla normalmente. Probabilmente non sapeva niente di quello che c'era stato tra lei e Masaki: quella ragazza l'aveva portata in giro in macchina e aveva scherzato senza dare il minimo segno di disagio al parlare con lei, che avrebbe dovuto essere la fidanzata di Aiba, quindi era plausibile che il ragazzo non le avesse mai accennato dell'impegno tra loro.
La padrona ringraziò mille volte per averle prese in considerazione e propose di regalare loro il dolce che avevano chiesto, ma Erina aveva insistito per pagare, sembrava una cosa tra lei e l'amica che l'accompagnava. Poi l'anziana si ritirò con i fogli; Kokoro avrebbe scommesso che la signora fosse al settimo cielo: amava quel tipo di attività, andava in solluchero tutte le volte che poteva portare alla ribalta la pasticceria tradizionale e, soprattutto, quando poteva farlo entrando in contatto con tante persone come ad un rinfresco.
Completò il pacchetto, fece lo scontrino e comunicò il prezzo alla rossa. «Sei fortunata» le disse Erina mentre le porgeva i soldi. «La persona per cui lavori sembra veramente simpatica, è un bel vantaggio»
«Grazie mille» rispose inchinandosi mentre le dava il resto. Non le era ben chiaro se la stesse ringraziando per l'acquisto o per i complimenti fatti alla sua superiore.
«Sono rimasta sorpresa» aggiunse l'altra, che non sembrava affatto scoraggiata dalla sua cortese freddezza. «È stato Aiba chan a suggerirci questo posto, ma non pensavo ci lavorassi tu. Vi conoscete meglio di quanto non mi avessi lasciato intendere il primo giorno!». Kokoro non sapeva se era più forte la sua voglia di strozzarla o lo stupore totale che provava di fronte a quelle frasi provocatorie dette con un candore tale da lasciare poco spazio ai dubbi: quella donna non sapeva niente di lei e Masaki. Lui aeva mandato Erina a prenderla all'aeroporto sperando che Kokoro si rendesse conto da sola che era finita e che lei era quella nuova? Le aveva scritto dei messaggi convincendola ad andare agli studi così da mostrarle il loro rapporto? Ma per quale motivo ora avrebbe proposto un lavoro che li avrebbe fatti rincontrare ancora una volta?
«Stanno lavorando, lo sai? Lasciamoli fare» si intromise la giovane sconosciuta che accompagnava Erina, dopo che Kokoro era rimasta muta prolungando un imbarazzante silenzio
«Giusto, scusami, mi metto sempre a parlare a caso!» ridacchiò la rossa passandosi una mano dietro la nuca. «Allora aspetterò vostre notizie: buon lavoro» la salutò con un chino
«Buona giornata» si unì l'altra, con in mano il dolce che aveva chiesto
«Grazie di tutto» rispose Kokoro inchinandosi a sua volta. Le osservò che uscivano parlottando allegramente tra loro, entrambe fasciate in due tailleur dai colori chiari, probabilmente dirette ai propri uffici. Con amarezza le venne da pensare che se l'orientale dai capelli corti lavorava con Masaki avrebbe potuto essere la prossima.
«Hanayaka san?» si sentì richiamare. Si girò, quasi spaventata, e vide la piccola sagoma della proprietaria sulla soglia che dalla cucina dava sullo spazio dietro al bancone. «Qualcosa non va?» domandò con aria preoccupata. «Non ti piace il nuovo negozio oppure sei ancora con la testa in Francia?» le domandò. Nella sua voce c'era divertimento, dato che era una sostenitrice dei dolci tradizionali l'aveva presa in giro più volte per l'idea di quel viaggio in Europa, ma era chiaro che aveva notato qualcosa di strano in lei.
«No, è tutto bellissimo qui e sono felice di essere tornata» nonostante le brutte notizie quella non era una bugia
«Allora cosa c'è? Non ti piace la proposta che ci hanno fatto?» insisté quella
«No. Non è quello» scosse il capo, ma non era una brava bugiarda, non con la padrona
«Se preferisci posso declinare» pronunciò quella con sicurezza e per Kokoro fu una forte tentazione. Quasi sicuramente avrebbe dovuto presenziale al rinfresco, ci sarebbe stato anche Masaki ed era ingenuo sperare che sarebbe stato tanto occupato da non trovare modo di avvicinarsi e dirle mezza frase. Non voleva più avere niente a che fare con lui, ma la signora ci teneva ed era una bella notizia per ricominciare con una marcia in più l'attività dopo la ristrutturazione.
Kokoro fece un sospiro e preparò il suo miglior sorriso. «Pensavo solo che mi sentivo più alta delle clienti. Abbiamo alzato il pavimento o sono cresciuta io?» domandò camminando sul nuovo parquet dietro il bancone
«È più alto!» rispose ridacchiando l'altra. «Ormai sei troppo grande per crescere ancora, Hanayaka san»
«Il riso per i mochi!» esclamò Kokoro ricordandosi di una delle pentole sul fuoco. «Non cominciamo a bruciare qualcosa fin dal primo giorno» rise superando la signora e tornando in cucina
«È impossibile con te, sei troppo scrupolosa» ribattè la padrona, prima che la campanella del negozio suonasse di nuovo e un cliente la salutasse.

¹ gli wagashi sono i dolci tradizionali giapponesi, in generale. La parola si scrive 和菓子 (il secondo e il terzo carattere significano dolci, mentre l primo carattere indica che sono giapponesi), ma il nome del negozio è scritto con i kanji 我菓子 (dove il primo carattere significa io, mio oppure noi, nostro)
² tradizionale campanella a vento


E questo capitolo mi piace? Ahahah domanda legittima dopo le mie lamentele (su me stessa) degli ultimi capitoli. Credo di sì. Una parte di me mi rimprovera per aver fatto un altro capitolo statico (ohddio in realtà ci sono 2 colpi di scena: statico sto par di palle... cos'è un capitolo non statico per me allora? Uno in cui corrono tutti? O_o non mi capisco!), ma buona parte di me apprezza questa parte. Kokoro... è la prima volta che scrivo qualcosa dal punto di vista di questa ragazza, che è la coprotagonista di "Ame", ma quella ff è raccontata solo dal POV di Aiba e di lei non si sa niente, niente, niente... se non quello che dice e i gesti che fa, ma sempre visti e interpretati dagli occhi di Aiba.
Agli occhi di chi ci ama siamo quasi perfetti all'inizio, ma Kokoro è sì una brava e bella ragazza, ma molto meno perfetta di quanto non pensi Aiba, di quanto ci sia sembrata in Ame. Non mi piacciono i personaggi perfetti, per quanto io li ami cerco sempre di dare loro dei difetti più o meno gravi perchè, se amo il realismo nell'ambientazione, mi applico anche per rendere tali i personaggi: perfetti non sono reali, particolareggiati con luci e ombre vanno già meglio. Esempi? Venero Aiba, ma lo ritraggo anche capriccioso, uno che si impone sulle persone anche se in maniera molto "dolce", uno che a volte riflette troppo, o troppo poco, o che non sembra sufficientemente deciso in ciò che dice o fa. Amo Sho, ma sotto la sua sicurezza sul lavoro c'è molta insicurezza personale, è un po' vanitoso con se stesso e spesso si fa dominare dalle emozioni senza ragionare molto (in realtà è il suo carattere principale per me, da quando ho pensato al personaggio "sho" in Zakuro: emozioni, passione).
Ma se è un lavoro complesso dare difetti ai propri bieniamini quando può essere complesso darli a persone inesistenti? Personaggi da immaginare da zero. Solitamente cerco di pensarli a tutto tondo, magari comincio a pensare alla storia come la voglio iniziare e quindi come mi serva si comporti il personaggio, ma poi lo penso tutto: nome, nascita, carattere, tic, caratteristiche; non lascio niente al caso. E allora Erina ha dei complessi personali sul proprio aspetto che si ripercuotono in lei causandole spesso poca fiducia in sè, rassegnazione nel proprio atteggiamento, e.. beh ha anche il difetto di essere distratta, dimenticare, fermarsi troppo, combinarne sempre qualcuna sbagliata.
Oh cacchio.. scusate... tutta sta pappardella (aaargh) per dire che Kokoro era sembrata troppo perfetta in Ame forse, e "distruggere" la sua immagine qui non è stato facile. No "distruggere" non va bene... cambiare nemmeno... forse è meglio dire: darle spessore, darle una prospettiva, una profondità.
Avrete notato che i miei OC femminili sono spesso donne molto forti, con problemi e difetti, ma si base coraggiose e forti. Non mi piacciono i personaggi piagnucoloni, viziati o troppo insicuri, mi fanno saltare i nervi e dire "e allora fanculo! Piangiti addosso e che me ne frega a me? ". Ma non posso nemmeno fare tutti personaggi uguali, allora Kokoro è forte perchè ha una passione, lavora e studia il suo lavoro con sicurezza nel suo sogno, vive sola, si è trasferita lontana dalla famiglia con coraggio, ma... lei è una persona delicata. Non di quel delicato che mi dà sui nervi o non mi piacerebbe, ma l'immagine della "ragazza della porta accanto" stava bene con un'idea di delicatezza. E così ne è uscita una ragazza che aveva preso il coraggio a due mani accettando una relazione difficile, ma che, davanti all'immediato e completo fallimento, invece di reagire, scappa. Delicata, fragile, è terrorizzata di stare troppo male, quindi vuole solo tagliare fuori Aiba dalla sua vita per non doverci pensare più: occhio non vede...
Sono la prima a dire "che cazzo fai? In realtà lui non ti ha tradito e tu non lo sai.. ma se sei sicura che l'abbia fatto invece di scappare dagli un calcio nei coglioni e digli che è uno stronzo", ma Kokoro non è così: è un mochi che se lo schiacci tra due dita si deforma e perde la sua bellezza. Una reazione del genere è più da Yun-seo no? XD
Ah la pianto... sto facendo un analisi inutile che nemmeno ve ne frega niente... forse avevo semplicemente bisogno di mettere per iscritto tutto quello che ho dovuto rimuginare per scrivere questo capitolo. Ah no! Ecco perché l'avevo fatto *ritrova il filo del discorso* per spiegar(vi)mi perché i piace il capitolo anche se non c'è gente che corre(?)! XD Perchè c'è stato tutto questo dietro, perchè è l'affermazione di un personaggio-Kokoro più tondo, più profondo e sviluppato. oh yeah...

Dopo questo trip scrivo che ieri mattina ho cominciato a pensare alla storia dopo il capitolo 20 (come qualcuno ricorderà, ho pensato i capitoli con precisione fino al 20 e con quello si chiuderà, idealmente, una prima parte della storia) quindi sono lieta di assicurarvi che... ancora non vedo la fine di questa ff °.° (e tutte si disperarono!)
Byez!

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Capitolo 20
*** 19. I see Your True Colours ***


Continuava ad esserci un tempo variabile in quei giorni. La sera prima aveva piovuto incessantemente, mentre quella mattina il sole splendeva senza che nessuna nuvola infastidisse i suoi caldissimi raggi. Le gocce sulle foglie verdi degli alberi risplendevano come piccoli diamanti ed era proprio una di queste gocce che Aiba continuava a fissare, immerso nei suoi pensieri. Ad onor del vero era una goccia d'acqua spruzzata da qualcuno dello staff sul mazzo di fiori che avevano ricevuto al loro arrivo agli studi, per festeggiare il loro nuovo singolo. Aiba teneva il mento appoggiato alle nocche delle mani, aperte sul tavolo del camerino vicino allo studio di Music Station.
«Aiba chan» sentì richiamare. Era Ōno che si sedeva a cavalcioni della sedia di fianco a lui e si appoggiava allo schienale con il petto. «Mi dai una mano? Non riesco ad annodarla bene» spiegò mostrandogli la cravatta
«Uhn» annuì con un mezzo sorriso, girandosi verso di lui per aiutarlo.
Alle loro spalle gli altri tre continuavano a provare un passo che a Shō non riusciva. «Heart beat... ho problemi a questo punto» spiegava cantando il pezzo
«Guarda, dal centro del palco fai questi passi: uno, due...» cercava di mostrargli Jun
«Avremmo dovuto provarlo di più. È perchè non lo balliamo al concerto e allora non lo facciamo abbastanza spesso» si lagnava Nino tenendo il tempo per gli altri con le dita sul tavolo
«C'è qualcosa che non va?» gli chiese Ōno a bassa voce, mentre Aiba lo aiutava
«Mh?» domandò lui mentre intrecciava il tessuto
«So, anzi, sappiamo che se succede qualcosa vieni a dircelo, ma ultimamente abbiamo cominciato a preoccuparci seriamente» spiegò stringendosi nelle spalle
«Si capiva, eh?» domandò chinando il capo
«Sì, si capiva» si limitò a rispondergli. «Negli ultimi tempi qualcosa non quadra. Jun è sempre Jun, ma passa un brutto periodo, Shō è di cattivo umore da due o tre giorni e tu invece sei triste, è evidente»
«Capisco» annuì stringendo il nodo. «Sono innamorato» ammise infine. Dopo mesi di silenzio in cui non aveva detto niente a nessuno di loro non aveva intenzione di spifferare tutto subito e a quel modo, ma riconosceva che era venuto il momento di scoprire qualche carta. «Però la situazione è sempre stata complessa. Ci ho messo tanto a rendermi conto di questi sentimenti e quando ce l'ho fatta ho rischiato che fosse troppo tardi, ma sono rapido a correre io» spiegò dicendo ad alta voce quell'osservazione che certo Satoshi non poteva capire. «Pensavo fosse tutto chiaro quindi e invece adesso non lo è più. Non so cosa fare, non sono stato capito e lei non vuole vedermi. Però lo sai, io non voglio forzare nessuno».
Ōno era stato tranquillo ad ascoltarlo straparlare per qualche secondo, poi sembrò lasciare apposta un po' di silenzio tra loro prima di aprir bocca. «Ma se ci tieni, non credi di dover insistere? Non sei uno che scoccia le persone, ma a volte è bene trovare il coraggio di farlo» spiegò lisciando la cravatta che Masaki gli aveva annodato
«E se questo la allontanasse ancora di più? Non voglio» sembrò piagnucolare, sistemandosi la manica destra
«Allora mettiamola così: se non facessi nulla e lasciassi decidere a lei, pensi che rimarrebbe?» domandò piegando il colletto della camicia
«Sì» rispose in un primo momento. «No» ammise poi. Aveva risposto spinto dall'orgoglio e dalla voglia di avere ragione, ma se non avesse insistito, Kokoro sarebbe scomparsa dalla sua vita perchè era arrabbiata ed era rimasta ferita al punto che Aiba aveva temuto di vedere la sua figura sbriciolarsi tra le sue dita quando l'aveva bloccata fuori dalla porta di casa. Come poteva insistere se reagiva a quel modo? «Andrebbe via in ogni caso» concluse, angosciato
«Bene, questo significa che si allontanerà se non dici niente ma anche se dici qualcosa» fece tranquillo Satoshi. «Quindi vale la pena insistere. "Io ho fatto tutto quello che potevo" potrai dire senza avere rimpianti» concluse per poi chinare il capo con un mezzo sorrisino. «Grazie dell'aiuto» gli disse sereno, quindi si alzò e raggiunse gli altri per provare i passi un'ultima volta.
Masaki rimase sulla sua sedia, con un gomito appoggiato al tavolo. Aveva ragione Ōno: se non faceva qualcosa non avrebbe mai saputo come avrebbe potuto finire. Sospirò alzando gli occhi al soffitto, pensieroso, ma in quel momento arrivò una mail al suo cellulare.

2010/08/13 12:54 p.m.
Da: Erichan
Titolo: Prima di confermare…
Abbiamo stabilito i termini di collaborazione con il "Wagashi" (^^) Sono veramente affidabili, avevi ragione. Ma tu sei sicuro che vada bene così? Sembra che Hanayaka san non ne sia molto entusiasta.

Era Erina.
«Ti sbrighi? Proviamo un ultima volta prima di andare: il Minisute¹ sarà tra poco!» lo richiamò Nino
«Eccomi, prontissimo!» esclamò con un sorriso raggiante sulle labbra dopo aver mandato la risposta.

2010/08/13 12:55 p.m.
A: Erichan
Titolo: Re: Prima di confermare…
Non è una cosa di cui tu ti debba preoccupare. Lascia fare a me e vedrai che entro stasera tutto sarà sistemato.

Erano pronti per quella puntata: vestiti indossati impeccabilmente, capelli ben acconciati e sorrisi smaglianti. Tutto doveva essere perfetto.
Avrebbero portato sugli schermi la coreografia di Moving on e Troublemaker. Quest'ultima era una canzone che li divertiva molto, ma non l'avevano mai fatta live tutti insieme. Yun-seo li aveva aiutati a rivedere i passi nei giorni precedenti e ora erano pronti per fare scintille, o almeno quella era l'intenzione di quattro di loro: Jun attraversava un periodo difficile e gli altri non perdevano occasione per trasmettergli il loro appoggio e per fargli capire che erano tutti lì per lui se aveva bisogno. Quella performance doveva essere elettrizzante perché avevano decretato che sarebbe stato un piccolo regalo per lui, ogni sorriso sarebbe stato per il loro compagno.
E ci riuscirono, a fine puntata ricevettero mille complimenti, fecero vedere loro la ripresa della performance e rimasero a bocca aperta. Tutti i loro sorrisi, sinceri e preziosi, erano stati ripresi al meglio e avevano trasmesso la gioia che avevano voluto esprimere. I movimenti erano stati quasi impeccabili e ogni loro gesto sembrava veramente lasciarsi dietro una scia di luccicante energia. Si erano divertiti talmente tanto che Jun aveva giocato con loro sul palco e Ōno e Shō si erano sbellicati dalle risate.
Aiba si sentì prendere per mano mentre guardavano il video rapiti. Era Nino che intanto stringeva le labbra in un'espressione che diceva: "Ce l'abbiamo fatta!". Gliela strinse a sua volta e prese quella di Ōno con l'altra, in un silenzioso messaggio a catena.
Stavano finendo di cambiarsi per lasciare gli studi e Masaki, stanco, si era buttato sul divano in un angolo del camerino, fissando intorno a sè. I suoi occhi si posarono su Shō, che si stava allacciando i jeans consumati intorno alla vita magra. Non chiacchieravano tra loro da un po' di tempo. Non che loro due di solito si mettessero seduti da qualche parte a confessarsi, ma succedeva spesso di trovarsi negli stessi bar o ristoranti quando non erano con il gruppo e allora condividevano un tavolo per chiacchierare. Ma in quel periodo Shō era occupato col lavoro e quando era libero probabilmente andava nella camera alla JH o a casa sua a riposarsi. Masaki continuò a fissarlo mentre questi rispondeva al cellulare. «Kimura san? Sì, capisco. Buongiorno» improvvisamente il suo viso si fece serio. Finì di allacciare la cintura tenendo il cellulare tra l'orecchio e la spalla. «Perchè me lo chiedi? Lo sai che ho la riunione nel pomeriggio. Sì, va bene. Ti ascolto, ok?» suonava scocciato. Era inusuale vedere Shō con un simile atteggiamento: anche se in quei giorni era di cattivo umore, era pur sempre un professionista e non scaricava su nessuno i suoi problemi personali. Quel fare brusco non era da lui e Aiba rimase sorpreso.
«Ti spicci?» domandò Nino in quel momento, dandogli una pacca sulla spalla. Masaki si spaventò e annuì silenzioso. Si alzò dal divano e recuperò la maglietta che doveva rimettersi, tenendosi non troppo distante da Shō: non era educato origliare la sua conversazione, ma non poteva farne a meno tanto era incuriosito.
«Sì, lo sono. Va bene. Lo sai anche tu che non abbiamo impegni o no? Siamo liberi per quello! Sì, va bene» sembrava veramente speranzoso di metter giù il più rapidamente possibile. «Ok, ci sentiamo» finalmente ci riuscì. Lo sentì richiudere il cellulare che rimbalzò sul tavolo, buttato lì in malo modo.
Ōno alzò lo sguardo dalle scarpe che si stava allacciando, osservò Shō con gli occhi sgranati e poi spostò l'attenzione su Aiba, guardandolo con aria perplessa, ma lui fece spallucce: non sapeva cosa stesse succedendo, nè se ci fosse da preoccuparsi.
«Io sono pronto, vi prendo qualcosa da bere prima di andare via?» domandò Satoshi rompendo il silenzio che aveva raggelato l'atmosfera della stanza
«Pocari» fece Nino prima di entrare in bagno e aprire il rubinetto
«Per me ocha» rispose Jun alzando la mano mentre si sistemava la felpa sulle spalle, guardando allo specchio i capelli che si erano scompigliati nello svestirsi
«Vado a mangiare tra poco» scosse il capo Aiba, mentre Shō mugugnò qualcosa in risposta e si sistemò la Tshirt.
A Masaki non piaceva quell'atmosfera, quindi prese un profondo respiro e, finito di sistemarsi per bene i vestiti andò dritto verso l'amico. «Vieni a mangiare con me?» gli propose
«No, grazie» rispose prontamente
«Hai da fare?» domandò abbassando il tono di voce
«Buon appetito» sospirò l'altro, senza effettivamente rispondere alla domanda
«Era una chiamata dall'ufficio vero? C'è qualche problema? Io non lavoro fino a stanotte, se vuoi posso darti una mano: non sono bravissimo, ma se posso aiutarti lo faccio volentieri»
«No, non c'è nessun problema» scosse il capo il moro. «Piuttosto, dato che la senti così spesso, dì ad Erina san di non rompermi le scatole su cose che mi ha già detto mille volte, usando la scusa che sono altri a dirle di ricordarmelo. È patetica» spiegò seccato calcandosi il cappellino con la visiera sulla testa e pulendo gli occhiali da sole con il bordo della maglietta.
«Avete litigato?» domandò, sbalordito
«Ma cosa te lo dico a fare?» domandò quindi Shō, inforcando gli occhiali e volgendosi verso di lui. «Prenderesti le sue difese no? Siete così simili, tu sì che la capisci! Tutti prendono le sue difese, anche in ufficio!» scosse il capo e si mise lo zaino sulle spalle. «Devo cambiarmi per andare alla riunione di NEWS ZERO, ci vediamo domani sera» salutò sbuffando
«Ci sei a cena?» domandò Nino spuntando dal bagno, mentre ancora si stava togliendo alcuni residui di trucco
«Non lo so» rispose prima di uscire.
Nel silenzio, i tre rimasti si scambiarono uno sguardo allibito. «Mi aspettavo sbattesse la porta, ad esser sincero»
«Non siamo tutti teatrali come te, Nino» replicò Jun ridacchiando. «Ha problemi in ufficio? Forse dovrei parlare con loro» riflettè
«Aiba chan, ne sai qualcosa?»
«Veramente sono sorpreso quanto voi» scosse il capo Masaki
«Perchè non glielo chiedi? Sei quello con cui parla di più, o no?» propose Nino. «Sicuramente aspetta solo che qualcuno si preoccupi per lui e gli faccia sputare il rospo»
«Forse sarebbe meglio se riprendessi in mano il lavoro per il concerto» intervenne Jun, perso nelle sue riflessioni: sicuramente stava già cominciando a pensare ad un modo per incastrare tutti i suoi lavori con quello. Nino spalancò gli occhi, preoccupato, e guardò Aiba passandosi l'indice davanti alla gola mentre scuoteva il capo, segno che doveva farlo smettere immediatamente di accarezzare quell'ipotesi o gliel'avrebbe fatta pagare cara.
«Ma no!» esclamò quindi Masaki, incerto su cosa dire. «Adesso adesso vado a parlargli, vedrai che non è niente di grave!» spiegò prendendo le sue cose alla rinfusa. Jun lo osservava, dubbioso. «Eri chan è una ragazza adorabile, sicuramente c'è stata un'incomprensione» gli spiegò ancora, avviandosi verso la porta mentre saltellava su un piede per infilarsi la scarpa. «Adesso vado, lascia fare a me eh? Non pensarci proprio!» gli intimò a caso, puntandogli addosso il dito prima di catapultarsi fuori dalla stanza.
Saltellò nel corridoio mentre si infilava la seconda scarpa e ridacchiò da solo quando pensò che con quel gruppo di cinque membri, ognuno coi suoi problemi, non c'era mai da annoiarsi. Una truccatrice che gli passava di fianco in quel momento lo osservò perplessa. «Otsukare» farfugliò lui arrossendo e allontanandosi rapidamente, non poteva fare a meno di ridere anche di se stesso.
Si diresse rapidamente verso l'uscita sperando di fermare Shō sulle scale prima che se ne andasse, ma la voce del Rīdā lo fece rallentare. «.. già detto no?»
«Ah sì?» sentì Shō rispondere. Erano una ventina di metri più avanti e non l'avevano notato.
«Non importa» scosse il capo il più grande. «Sai che apprezzo il lavoro che fai. Ti siamo tutti riconoscenti»
«Sì» annuì l'altro
«Ma non è eccessivo prendersela con Aiba chan?» e il ragazzo in questione deglutì: se parlavano di lui non poteva comparire dal nulla. Sospirò e con uno scatto si nascose dietro una pianta, a lato del corridoio. Aveva già origliato una conversazione quel giorno, ma ormai era più forte di lui: si accovacciò a terra con la schiena contro il muro.
«Sì, lo è» annuì Shō. «Ma non ce la faccio più!» sbottò infine, con un sospiro, appoggiando lo zaino a terra con un gesto secco. «È colpa di quella ragazza, lei mi farà diventare pazzo!»
«Chi?» sgranò gli occhi Ōno. Anche Masaki rimase sbalordito, ma lui sapeva perfettamente di chi stesse parlando Shō, mentre Satoshi non era in camerino quando lui aveva fatto la sua breve scenata su Erina. Non sapeva nemmeno dei precedenti tra loro! Con emozione staccò una foglia dalla pianta davanti a sè, stropicciandola tra le dita: era sicuro di stare per scoprire qualcosa di interessante.
«Lei. Erina san» ammise infine Shō, rendendosi conto di essersi lasciato sfuggire qualche parola di troppo
«La ragazza della divisione economica per l'organizzazione del concerto?» domandò Satoshi, con un tono che sembrava dire: "Quella tizia insignificante dell'altro giorno?".
«Già» annuì Shō recuperando lo zaino. «Non riusciamo ad andare d'accordo» farfugliò a denti stretti
«Chiedi una mano ad Aiba, loro sembrano intendersela» gli suggerì ridacchiando divertito, ma smise subito, probabilmente notando come l'umore di Shō fosse ulteriormente peggiorato a quella frase. «Non sarà che è proprio per quello che non gli stai parlando da qualche giorno?» gli domandò. Masaki capì al volo ciò che stava insinuando Satoshi. «Ti piace?» fece Ōno
«Gli piace ancora» bisbigliò all'unisono Aiba, tra sè. Non riusciva a capire come fosse possibile, dato che il giorno prima nemmeno si erano parlati, ma poi ricordò che anche ai tempi dell'università era stato così: Shō faceva finta di niente e nascondeva i suoi sentimenti a chiunque anche allora.
«Forse» rispose a denti stretti
«Ah sì?» e ci fu ancora una pausa. «Sono certo che conosci perfettamente qual è il confine tra vita e lavoro, però parla con Aiba, altrimenti lo sai che si intristisce e piagnucola con noi tutto il tempo in cui non ci sei»
«Sì, lascia fare a me» annuì l’altro. «Ci vediamo». Si salutarono entrambi con un gesto della mano ed ognuno andò nella sua direzione.
Il Rīdā era il migliore, come sempre: rimproverare apertamente Shō per il suo atteggiamento scostante lo avrebbe fatto innervosire ancora di più, invece lui aveva trovato le parole giuste per dirgli le stesse cose senza che si arrabbiasse. Satoshi gli passò davanti con tre lattine tra le braccia. «Ti stimo» gli disse Masaki commosso e quello per poco non fece cadere tutto per terra per lo spavento
«Ma che cosa stai facendo?» riuscì solo a domandargli, sconcertato al vederlo dietro una pianta circondato da foglioline stropicciate.

Era passata l'ora di cena. Era già buio e le nuvole erano tornate a coprire il cielo. Moltissime persone a quell'ora erano già ritornate a casa e avevano già cenato, Aiba invece no e sentiva i morsi della fame mentre camminava rapidamente per le viuzze di Chiba. Si era fatto lasciare ad un incrocio qualsiasi dal taxi che aveva chiamato dagli studi. Sarebbe volentieri passato a casa, non solo per mangiare ma anche per salutare la famiglia, però mancava ancora qualche ora alla chiusura del ristorante, quindi suo padre e Yūsuke dovevano essere ancora al lavoro. Le luci della casa celeste sul fiume erano quasi tutte accese, così si limitò ad entrare dal cancello e a sporgersi per vedere le finestre sul lato sinistro: l'appartamento che cercava era illuminato. Entrò dal portone e camminò lungo il corridoio del piano terra fino alla seconda porta sulla sinistra. Da dietro il legno poteva sentire il ronzio pacato e continuo di un vecchio forno elettrico e altri rumori di stoviglie. Rimase impalato a guardare le venature scure della porta, ascoltando quel sottofondo: quei suoni così privati e casalinghi gli ricordavano quelli della cucina di casa sua, quando sua nonna e sua madre cucinavano qualcosa. Era un rumore che sentiva fin da quando era piccolo e gli faceva riprovare la sicurezza di casa, il calore della famiglia e la luminosità del suo piccolo mondo privato.
Dopo qualche minuto, finalmente, si decise a suonare il campanello. «Arrivo!» sentì rispondere prontamente dall'interno dell'appartamento.
La catena della porta venne tolta, altri meccanismi girarono e finalmente vide comparire la minuta figura di Kokoro, nel quadro dell'ingresso. Indossava un grembiule da cucina, che si stava levando nel frattempo, e aveva i capelli raccolti in due trecce. Non si aspettava di trovarlo lì e Masaki contava proprio sull'effetto sorpresa. «Buona sera» azzardò sollevando una mano a salutarla. La risposta fu il secco suono della porta che si richiudeva. Aiba rimase a guardare il legno con ancora un mezzo sorrisino sulla faccia: non si aspettava certo di vederla felice, ma nemmeno una reazione simile.
«Vattene» sentì dire a mezza voce. Doveva essere ancora davanti alla porta perchè l'aveva sentita bene.
«Non lo farò finchè non mi avrai ascoltato» pronunciò dopo aver raccolto tutto il coraggio possibile. Fece un profondo respiro, come preparandosi ad un tuffo. «Mi ascolterai?»
«No» rispose lei. «Non voglio ascoltare le tue scuse»
«Non sono venuto qui a scusarmi» disse aggrottando le sopracciglia
«Allora non voglio proprio stare a sentire qualsiasi altra cosa tu abbia da dirmi: ho già compreso tutto e tratto le mie conclusioni»
«È per quello che sono qui»
«Zitto. Te la puoi risparmiare. Per favore, sparisci» intuiva dalla voce, sempre più debole, che Kokoro stava per mettersi a piangere, se non aveva già cominciato, ed era assurdo: stava piangendo per un motivo che non esisteva!
«Non ti chiedo molto, ti prego. Due minuti, due di numero. Puoi cronometrarmi se vuoi, poi girerò sui tacchi e me ne andrò. Per sempre, se vorrai» provò a supplicarla ancora
«No, vai via ora!» esclamò, per poi aggiungere a voce più bassa. «Non farmi urlare, non voglio che i vicini sentano. Chiudiamola in maniera pacifica»
«Non mi importa dei vicini!» esclamò a sua volta Aiba, battendo il pugno contro la porta. «NonècomecredituiononstoconErinasan» disse quella frase il più velocemente possibile prima che Kokoro lo interrompesse di nuovo.
«Non ho capito nulla» sentì dire dall'interno dell'appartamento
«Non sto con Erina san» provò a dire più lentamente. «Siamo amici e basta. Siccome c'è molta sintonia, gli altri ci stavano prendendo in giro, ma sono solo degli imbecilli» cominciò a dire, sentendo che lo stava lasciando parlare
«Da che pulpito» fece quell'altra con cattiveria
«Sì, lo sai che sono il più scemo: sono il re del regno degli scemi, Aiba Masaki III di Scemolandia. Ho un sedano al posto dello scettro e in testa porto la tavoletta del cesso come corona» disse disperato. «Ma ti giuro che quello che dico è la verità. Abbiamo un amico in comune e lui è innamorato di lei» tentò di spiegare senza scendere nei dettagli
«Lei non ha negato davanti a quelle insinuazioni, magari le piaci» lo accusò Kokoro
«E questo dovrebbe importarmi? Cioè sì, mi importa perchè a quel punto sarei d'ostacolo al mio amico, ma non sono qui per parlare dei sentimenti degli altri, ma dei miei: io so cosa provo» si bloccò pensando di non volerle fare una nuova dichiarazione: non lì e non parlando alla porta. «Quello che voglio dire» cercò di riordinare i pensieri. «Ecco, voglio dire che da quando sei partita non ho toccato dolci. L'ultimo è stata la caramella che mi hai dato in aeroporto. Ma io sto morendo dalla voglia di mangiarmi una torta, dei bignè o dei biscotti. Se non mi importasse più nulla di te avrei preso il primo budino alla vaniglia che attraversava il mio cammino, giusto?».
In quel momento la porta si aprì leggermente, uno spiraglio che gli fece intravedere metà del viso della ragazza. «Perchè avresti fatto una cosa così stupida?» domandò piano
«Perchè Chibi Aiba vuole mangiare solo i dolci di Chibi Kokoro! O quelli o niente!».
Pronunciò quella frase, stupidissima, con tutta la serietà del mondo. Kokoro lo guardò negli occhi e scosse il capo. «Pensi che basti una frase carina? Non hai idea di come mi sia sentita» ribattè guardandolo arrabbiata, il viso rabbuiato da un'espressione accigliata. «Non ho fatto altro che pensare a te mentre ero via e tu non hai mai scritto una mail, nè un messaggio. Che razza di fidanzato è uno che non si fa sentire per venti giorni? Di sicuro non è il tipo di ragazzo che voglio io» e Masaki non potè trattenersi dal deglutire: non aveva scusanti. «Sei sparito. A me non sta bene così e ammetterai anche tu che se sparisci e poi ti vedo con un'altra al mio ritorno, non ci vuole un laureato in ingegneria delle comunicazioni per capire cos'è successo»
«Ingegneria di invasioni?» domandò Aiba confuso
«Comunicazioni, scemo!»² ribattè piccata quella. «Se ti è tutto chiaro ora sparisci» concluse. Il ragazzo si accorse allora che Kokoro stava per richiudere la porta, quindi mise la mano sullo stipite facendosi schiacciare le dita pur di bloccarla.
Soffocò un mugolio disperato sentendo il dolore attanagliargli le dita e le ossa. La sentì esclamare di sorpresa prima di riaprire immediatamente l'ingresso. Sicuramente stava dicendogli qualcosa sul re degli scemi, ma non riuscì a prestarle attenzione: provava troppo dolore. Strinse le labbra tra loro e con i denti serrati si decise a dirle un'ultima frase. «Sei stata l'unica a pensare al tradimento, io non ho mai nemmeno sfiorato l'idea». Con un lamento fece per lasciarsi scivolare a terra, ma la ragazza lo afferrò per le spalle e lo tirò in casa. Incespicò sui suoi stessi piedi, trascinato nell'ingresso. Sentì la porta richiudersi alle sue spalle e vide Kokoro lasciarlo lì prima di andare in cucina e aprire il frigorifero. Sbattè le palpebre un paio di volte guardandosi intorno: il dolore diminutiva molto lentamente, ma dopo i primi secondi di quella lancinante sensazione era riuscito almeno a recuperare la lucidità per ragionare su ciò che gli stava succedendo.
«Togliti le scarpe e vieni qui, adesso metto il ghiaccio in un panno» gli disse la giovane mentre faceva uscire dei cubetti da un portaghiaccio e li metteva dentro un fazzoletto di stoffa. Per effetto del dolore Masaki sembrava incapace di fare per bene qualsiasi movimento, ma riuscì a sfilarsi le scarpe, mettendo in disordine quelle ben allineate nell'ingresso. Si avvicinò lentamente, poi Kokoro lo prese per il polso costringendolo ad allargare le dita. «Presto, prima che ti rimanga il segno» lo incitò mettendogli il fagotto di stoffa gelata sulle nocche
«Posso sedermi?» pigolò quando il freddo sembrò fargli più male della botta presa.
Kokoro gli indicò la sedia che aveva dietro di sè e lui ci si lasciò cadere. «Grazie» mugugnò ancora un po' rintronato
«Dammi» sospirò lei sedendoglisi davanti e riprendendo la borsa fredda per tenergliela sulla mano ferita: doveva aver capito che a Masaki bastava congelarsene una, due era un po' troppo, così gli tenne il ghiaccio.
Rimasero in silenzio, con le mani sul tavolo e lo sguardo fisso su di esse, per chissà quanti minuti. Ogni tanto lei scostava il rimedio freddo per dargli un po' di sollievo, poi lo rimetteva sulle nocche precisamente quando ad Aiba sembrava che il dolore stesse per tornare ad essere più forte del suo principio di assideramento. Il ragazzo alzò lo sguardo ed osservò l'ambiente intorno a sè: il forno era acceso e dentro poteva scorgere una teglia ma non cosa vi fosse sopra, da un bollitore saliva del fumo, c'erano un paio di ciotole vuote ma ancora sporche dell'ingrediente che avevano contenuto ed erano state lasciate al centro del tavolo, mentre alcune fruste e altri strumenti spuntavano dal lavello in attesa di essere lavati. «Non è cambiato niente qui» osservò a bassa voce
«È passato un po' di tempo da quando sei entrato l'ultima volta» riflettè Kokoro, imitando il suo pacato tono di voce
«Non c'era il forno acceso» le fece notare
«Gli hanabira mochi non hanno bisogno del forno» gli spiegò
«Noi stavamo litigando prima, vero?» le domandò a bruciapelo.
Kokoro fece una pausa trattenendo il fiato. «Sei rumoroso» si lamentò con poca convinzione.
Masaki avrebbe scommesso che fosse persino arrossita un poco. «Cosa c'è lì dentro?» domandò quindi
«Croissant francesi» rispose alzando di nuovo il giaccio dalla sua mano
«Kuro? Li bruci?»³
«Perchè stasera sembri parlare una lingua diversa?» ribattè lei
«Colpa delle carote» spiegò stringendosi nelle spalle: la cena con Yun-seo gli aveva fatto male. Quando Kokoro gli chiese cosa volesse dire scosse il capo e non disse niente: sembrava aver appena capito la storia di Erina, non era il momento di affrontare anche il discorso di Yun-seo.
«La riesci a muovere?» domandò le ragazza continuando a guardargli la mano. Fece una prova e tutto sommato sembrava che il dolore fosse passato e che non ci fosse niente di rotto. «Teniamo il ghiaccio ancora un po', spero non ti vengano fuori dei lividi» sospirò.
Invece di lasciarle appoggiare nuovamente il ghiaccio sulle sue nocche, Aiba fece scivolare la mano da sotto il fagotto freddo e la appoggiò su quella della ragazza. Kokoro sembrò irrigidirsi e lui staccò la schiena dalla sedia per piegarsi in avanti, verso di lei. «Mi sei mancata» sussurrò guardando il suo profilo e poi passando lo sguardo sulle curve morbide delle ciocche di capelli che erano sfuggite alle trecce. Forse non avrebbe dovuto comportarsi a quel modo dopo un litigio, soprattutto perchè non era chiaro se lei avesse capito il malinteso o meno, ma ora che stava meglio non riusciva più a trattenersi: aveva aspettato il ritorno di quella bellissima ragazza per più di venti giorni e aveva pensato a lei tutto il tempo (il fatto che avesse dimenticato di scriverle era solo dovuto alla sua stupidaggine: proprio non ci aveva pensato, credeva che in Francia non le sarebbe arrivato nessun messaggio) e ora che l'aveva così vicina non sarebbe riuscito a trattenersi un secondo più. Quando fu a poco più di una decina di centimetri dal suo viso respirò profondamente, per assicurarsi che, anche dopo tutto quel tempo, Kokoro profumasse ancora di biscotti e dolci casalinghi.
«Che cosa fai?» mormorò la ragazza facendosi leggermente indietro e girandosi a guardarlo negli occhi
«Non ti lascerò andare via di nuovo. Se sei arrabbiata e vuoi cacciarmi tornerò ancora e ancora» le disse seriamente: era inconcepibile che la lasciasse fuggire ora che aveva assaporato di nuovo la sua presenza e che ricordava com'era parlare con lei e sentirla vicina.
«E io ti denuncio» fu la risposta di Kokoro, ma sulle sue labbra stava chiaramente spuntando un timido sorriso
«E io mi pagherò la cauzione e tornerò» ribattè con decisione, facendosi più avanti
«E io ti denuncerò di nuovo e cambierò casa» gli disse senza cedere
«E io evaderò e verrò a trovarti al lavoro» si avvicinò tanto al suo viso che avrebbero dovuto strabuzzare gli occhi per continuare a guardarsi
«E io mi suiciderò e tu non potrai fare nulla» lo sbeffeggiò prima che il ragazzo coprisse il resto dello spazio che li superava e le chiudesse le labbra con le proprie. Le strinse leggermente la mano ancora posata sul ghiaccio e, quando fu sicuro che non aveva intenzione di evitare quel contatto, le passò l'altra mano sulla vita, accarezzandole i fianchi, finchè non li ebbe abbracciati. La strinse, spingendola verso di sè e Kokoro si ritrovò costretta a scivolargli sulle ginocchia e metterglisi in braccio.
«Non dirlo mai più» la rimproverò seriamente, staccando la bocca da quella della giovane. I suoi pensieri erano volati a Jun e una fitta al cuore gli aveva cambiato l'umore per qualche secondo. Lei lo vide tanto cupo e deciso che annuì timidamente e lasciò il ghiaccio passandogli le braccia intorno al collo. Le strinse la vita con entrambe le braccia, appoggiandole le mani sulla schiena, per spingerla contro di sé. Fu lei a baciarlo a quel punto e non era il bacio a stampo che le aveva dato lui. Mentre le accarezzava la lingua con la propria perse il senso del tempo e una calda sensazione di euforia ed eccitazione gli causò addirittura un capogiro. Si strinse alla ragazza, unico appiglio solido e reale in quel momento di cieca e frastornante ebrezza. La sentiva passagli le dita tra le ciocche dei corti capelli scuri e respirare più profondamente ogni secondo che passava. L'eccitazione era arrivata al tal punto che nemmeno lui riusciva più a stare fermo e dopo averle accarezzato la schiena era riuscito a far passare una mano sotto la Tshirt leggera che Kokoro indossava quella sera. Era arrivato ad accarezzarle la pelle nuda del fianco e con la punta delle lunghe dita aveva quasi l'impressione di cominciare a percepire la temperatura maggiore che doveva scaldarle il petto, ma in quel momento suonò la sveglia del forno.
Entrambi ebbero la sensazione che il cuore fosse schizzato loro in gola per poi tornare a posto una volta che il suono finì e il ronzio del forno diminuì gradualmente. «Ho temuto di morire seriamente stavolta» biascicò Aiba con ancora gli occhi sgranati per lo spavento. In risposta Kokoro si mise a ridere e si piegò su di lui, nascondendo il viso nell'incavo tra la sua spalla e il collo. «Ma cosa ti ridi? Mi sono preso un accidente!» esclamò arricciando il labbro. Le posò sulla schiena nuda la mano ghiacciata, per ripicca, e lei fece uno stillo raddrizzandosi immediatamente.
«Ma sei scemo?» esclamò alzandosi in piedi per scappare dal suo tocco ghiacciato. «Sei freddissimo, stupido!» lo accusò tenendosi le mani sulla schiena
«Sei scema quanto me, sai?»
«Non è vero, sei tu il re di scemolandia: nessuno ti batte!» replicò ripetendo le parole che aveva detto Masaki fuori della porta. Quindi ridacchiò e si avvicinò al forno aprendolo per controllare la teglia.
«Tu sei la regina allora: il tuo scettro è una frusta per dolci e la corona sarà fatta di mochi» replicò Aiba osservandola di spalle: indossava una maglietta di un vecchio cartone animato, Shin chan,⁴ e i pantaloni di una tuta.
«Non è vero, il mio scettro è la spada Kusanagi»⁵ si ribellò la ragazza mentre spostava la teglia calda dal forno al centro del tavolo
«Sei una regina, non una condottiera dell'Impero di Yamato» replicò piccato Aiba alzandosi in piedi a sua volta. Risero entrambi mentre la ragazza si toglieva i guanti che aveva usato per prendere la teglia calda. Quando si voltò per tornare al tavolo si ritrovò Masaki davanti e si spaventò di nuovo. Il giovane la spinse contro la cucina con tutto il corpo e tornò ad avvicinare il proprio viso mentre con una mano le accarezzava i capelli a lato del viso. «Significa che abbiamo fatto pace?» sussurrò guardandole con attenzione le sopracciglia sottili, il naso piccolo e le labbra rosate.
«Sembrerebbe di sì» mugugnò Kokoro, un po' restia ad ammettere la sconfitta
«Credi a quello che ti ho detto?» la domandò piano, baciandole delicatamente una guancia
«Sì» rispose con un filo di voce. «Ti credo»
«Quando si possono mangiare quei croissant?» chiese Masaki, improvvisamente
«Come?» fece lei, stupita da quel repentino cambiamento di discorso. «Devono raffreddarsi, domani mattina li riscaldo una seconda volta» tentò di spiegargli, confusa
«Ci si può mettere dentro qualcosa?» insistè baciandole anche la fronte
«Sì, certo. Ho almeno sei marmellate diverse nella credenza» gli rispose muovendo appena il capo, cercando di seguire i movimenti del ragazzo e i dolci baci che le lasciava sulla pelle, che niente avevano a che vedere con discorso che stavano facendo.
«Volevo assaggiarne uno» concluse in tono vago baciandole anche l’altra guancia
«Ma si mangiano domani mattina» gli fece notare e la risposta di Aiba fu solo un lieve "m-mh" accompagnato dall'annuire del capo. «Vuoi aspettare qui fino a domani mattina?» domandò Kokoro che a quel punto aveva capito dove volesse andare a parare il ragazzo così generoso di effusioni. Quando si sentì fare quella domanda, la guardò negli occhi: non aveva il coraggio di ammettere ciò che gli passava per la mente, ma il suo sguardo intenso valeva più di qualsiasi risposta potesse darle.
L'attimo dopo però Masaki sbattè le palpebre e gli tornò alla mente un pensiero importante. «La trasmissione!» si lagnò
«Come?» domandò Kokoro, spaesata
«Devo registrare il programma radiofonico tra poco più di un'ora e sono ancora qui. Accidenti!» si staccò da lei controvoglia. «Sono già in un ritardo mostruoso» borbottò infastidito
«Allora è meglio se vai» annuì la ragazza
«Ma non sei più arrabbiata vero?» chiese rapidamente.
Lei lo guardò perplessa poi si trattenne appena dal ridere. «No, che non lo sono! E adesso vai!»
«Va bene. Non hai proprio niente da darmi? Non ho nemmeno cenato per venire qui» piagnucolò avviandosi all'ingresso e rimettendosi le scarpe
«Sì, ci sono ancora dei biscotti di ieri» gli rispose aprendo la dispensa e mettendosi a frugare tra varie scatole decorate e disposte negli scaffali in ordine cromatico. Gli lasciò un sacchetto di carta del negozio riempito con quei dolcetti e si salutarono con un bacio rapido prima che lui scappasse fuori dall'edificio con il cellulare all'orecchio per chiamare un altro taxi.

¹ segmento di apertura del programma televisivo Music Station ² tsūshinkō gaku (通信工学) è ingegneria delle comunicazioni, mentre Aiba capisce shinkō gaku ( 侵攻学) che non esiste ³ giapponesizzata, la parola croissant si dice kurowassanクロワッサン e kuro ( 黒) in giapponese significa nero ⁴ l’anime Crayon Shin chan del 1990 ⁵ uno dei tre sacri tesori simboli del Giappone


Fuochi d'artificio!!
Amo questo capitolo! (miracolo!) Immagino si intuisca la mia smodata passione per quel live di Løve Rainbow. Già la canzone è splendida, ma quella performance è semplicemente divina: il loro sorrisi sono meravigliosi, ogni mossa è perfetta, sembrano veramente essere avvolti da un'aura di luce.. tutto sembra possibile! Dato che anche un altro paio di live di questa stessa canzone sono meravigliosi, ho pensato che ci stesse bene l'ipotesi che il gruppo legasse quel pezzo a delle sensazioni particolari.
Comunque... non commenterò altro, uhuhuhuh!! Il capitolo si commenta da solo direi!
Vorrei solo scusarmi per le tante note °.° lo sapete che sono una fissata e ficco roba della tradizione/società giapponese un po' ovunque! Eppure lo so che sono dettagli! Ma... non riesco a non metterli. Ah... sono una malata dei dettagli, ricoveratemi!

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Capitolo 21
*** 20. Gathering Fragments of Emotions ***


Erano in ritardo e la cosa lo rendeva più nervoso di quanto già non fosse. Nel pulmino erano tutti molto silenziosi: Ōno e Nino sonnecchiavano con la testa appoggiata l'uno all'altro, colpa della stanchezza post-pranzo, Jun osservava impaziente fuori dal finestrino e Masaki bisticciava con la cravatta da più di venti minuti. Normalmente Shō lo avrebbe aiutato, ma in quel momento aveva poca voglia di parlare con chiunque.
Ormai era talmente confuso da non sapere più che fare: continuava a dimenticare materiale e appuntamenti, e la cosa era arrivata a livelli veramente frustranti. Quella settimana, inoltre, era stata un vero delirio e stavano per arrivare sette giorni d'inferno. Tutto il lavoro per la preparazione del concerto si stava per concretizzare e l'aver collaborato lo rendeva complice di un possibile successo, ma anche di un altrettanto possibile fallimento. Era una grande responsabilità davanti agli altri, davanti a tutti i fan e finalmente aveva capito perchè lasciavano sempre che fosse Jun ad occuparsi di quella parte del lavoro: lui era più tagliato per occuparsene, ormai era abituato a quella pressione. Si passò le dita sugli occhi quando il sole lo accecò, spuntando da dietro un edificio. Quel giorno avrebbe rivisto Erina e ancora non si erano chiariti dopo il litigio alla JE. Si rendeva conto che doveva farlo: quella era tutta tensione che si accumulava in un momento in cui invece avrebbe dovuto concentrarsi solo sul lavoro, ma che parole avrebbe potuto usare? Da quando tutti avevano preso in giro lei e Aiba chan dicendo che li vedevano bene insieme, Shō aveva avuto il terrore di parlare con entrambi per il timore di sentire dalla loro bocca una conferma. Ma se Erina era facile da evitare, Aiba chan era tutta un’altra storia. La situazione, insomma, si era fatta complicata a sufficienza da non capire più come fosse giusto comportarsi, ma Shō aveva talmente tante cose da fare che non trovava mai tempo per riflettere a sufficienza per chiarirsi le idee.
Si fermarono fuori dal Kokuritsu e Jun smontò al volo dal mezzo. «Siamo stati fortunati che la domenica non ci sia traffico!» esclamò tenendo la portiera aperta. «Sbrighiamoci forza».
Smontarono e si lanciarono di corsa verso l'entrata riservata al personale. Un paio di addetti li salutarono trafelati e diedero loro le indicazioni per arrivare alla sala degli uffici dello stadio per raggiungere l'incontro. Non che servisse, ormai conoscevano a menadito quel posto, ma dopo un anno che non ci entravano -ed essendo in ritardo- era meglio andare a colpo sicuro là dov'erano attesi.
«Arashi!» si sentirono chiamati quando finirono di salire le scale di corsa: era Ogura che li salutava dal fondo di un corridoio, alzando la mano in aria per farsi vedere da loro. «Da questa parte forza!»
«Scusi il ritardo!» esclamò Jun mentre lo raggiungevano. «Siamo veramente mortificati»
«Risparmiate le scuse per i collaboratori in sala» fece quello scuotendo il capo, seriamente. «Ora sistematevi ed entrate» spiegò loro con un sospiro
«Questo è il programma» Erina, al fianco dell'uomo, si aggiunse al dialogo e porse al giovane un libricino di carta patinata.
Ognuno dei cinque ragazzi li salutò e presero in mano il volume porto dalla ragazza. Shō riuscì a farfugliare a malapena un "buongiorno" e non perchè gli riuscisse difficile parlare dopo il litigio avuto, ma perché era completamente catturato dall'elegante donna davanti ai suoi occhi. Non gli fu possibile soffermarcisi troppo: Ōno aprì la porta d'ingresso e una voce amplificata da un microfono arrivò alle sue orecchie ricordandogli che era lì per l'incontro ufficiale prima dell'inizio dei lavori per il loro concerto, era lì per lavoro.

Erina osservò la porta che si chiudeva nascondendo gli Arashi alla sua vista. «Sei stata bravissima» si complimentò Ogura, al suo fianco
«Come?» domandò riprendendosi dai suoi pensieri. Girò lo sguardo perplesso verso il collega più anziano.
«Inizialmente eri molto tesa, invece sei stata un'impeccabile valletta: gli ospiti hanno avuto il programma e hanno sorriso tutti quanti, hai un'allegria contagiosa» ridacchiò quello passando una mano sul tavolo ormai sgombro
«La ringrazio, Ogura san. Ero tesa inizialmente, è vero, ma averla al mio fianco è stato d'aiuto» rispose lei con garbo facendo un inchino verso l'uomo
«Sei troppo modesta. In realtà ho temuto di vederti cedere nel momento in cui sono arrivati i ragazzi. Come loro fan avresti potuto emozionarti tanto da non riuscire più a parlare» la prese in giro
«Non sono così poco seria!» esclamò fingendosi risentita. «Mi sono emozionata è vero, ma so come comportarmi in maniera professionale!» rispose Erina ripiegando la tovaglia candida usata sul tavolo. «Dovremmo andare a controllare la sala del rinfresco, non pensa?»
«Sì, andiamo» annuì quello avviandosi lungo il corridoio per raggiungere una delle prime porte, tramite la quale si accedeva alla grande sala che è stata data loro per il rinfresco dei partecipanti.
«Negli ultimi giorni Shō kun ha potuto collaborare poco con noi, vero?» chiese improvvisamente Ogura. La ragazza trasalì e strinse le mani sulla tovaglia ripiegata: forse era cola sua se lui si era fatto vedere raramente in quei giorni. «Erina san?» domandò l'uomo, accortosi di quella reazione
«Sì, è vero» annuì appena. Non riusciva a farsi passare i sentimenti che provava per quel ragazzo: anche se avevano litigato, anche se si era arrabbiata tantissimo con lui e anche se probabilmente la sua vecchia fiamma era arrivata in Giappone. La notte lo sognava ancora, sognava di non avergli mai risposto male, di non avergli tirato addosso nessun bicchiere e che nessuna bella coreana si fosse messa tra loro: Sakurai Shō le sorrideva e nelle sue fantasie quell’espressione dolcissima era esclusivamente per lei.
«È successo qualcosa vero?» domandò il collega
«No, perchè?» cercò di difendersi
«Hai la faccia di una che sta per mettersi a piangere» fu la risposta dell'uomo che si fermò fuori dalla porta della sala, voltandosi verso di lei. La ragazza si passò i polpastrelli sulle palpebre: effettivamente le bruciavano gli occhi. «Erina san, sia io che Kimura san non siamo nati ieri. È stato chiaro fin dall'inizio che c'era qualcosa tra voi, ma non era chiaro cosa: se affetto o l'esatto contrario. Capire Shō kun non è facile: è un giovane molto impegnato e perennemente sotto pressione, sappiamo per esperienza che è difficile interpretare gli umori degli idol quando sono all'apice di un periodo intenso. Inoltre non lo incontriamo a sufficienza, ma solo sporadicamente. Tu invece sei con noi ogni giorno e nonostante ti impegni molto per nascondere cosa provi, sei un libro aperto»
«No veramente, non c'è niente» cerco di difendersi. «Facciamo un po' difficoltà ad andare d'accordo, ma tutto sta andando bene, no?». Non se la sentiva di mentire al suo collega di lavoro, una persona per cui provava una grande stima, ma non poteva nemmeno raccontargli tutto, quindi provò a cambiare discorso.
«Il lavoro è perfetto, Erina san, ma non puoi essere tanto ingenua da pensare che questa vostra difficoltà non sia percepita in ufficio o dai collaboratori» annuì quello e la giovane, di tutta risposta, abbassò il capo, sconfortata. A quella reazione l’uomo fece un lieve inchino. «Devi scusarmi se sono stato insistente» disse. «Adesso diamoci da fare, va bene?» domandò apprensivo: non la vedeva più in viso e temeva di averla fatta piangere.
«Prima di entrare posso prendere in prestito la sua spalla?» mormorò piano.
Ogura sorrise dolcemente e, come risposta, le posò una mano sulla testa, prima che lei stessa facesse mezzo passo in avanti. Appoggiò la fronte alla spalla del collega e sospirò. Doveva essere pronta a tutto, così cercò di raccogliere tutto il coraggio che aveva in quei pochi secondi a disposizione. Se qualcosa fosse andato storto aveva degli ottimi colleghi con sé, c’era Tomomi con il suo linguaggio da scaricatore di porto e c’era Ying con la sua dolce e silenziosa presenza. Raddrizzò la schiena e annuì lievemente tra sè. «Possiamo andare» disse con un sorriso
«Mangiamo qualcosa anche noi oggi, eh? Ce lo meritiamo, non credi?» rise Ogura aprendo la porta e lasciandole il passo.
Aveva preso la sua decisione: sarebbe entrata in “modalità da gaijin”, sarebbe stata schietta e sincera lasciando da parte le mezze parole. Se con Shō non aveva speranze tanto valeva dichiararsi ed essere rifiutata una volta per tutte.

Si era già trovato in situazioni come quella. «Vuoi stare fermo?» domandò Nino strabuzzando gli occhi, esasperato
«Scusa» farfugliò Aiba. «Ma non ce la faccio più a stare qui». Il problema non era che non sopportava simili riunioni, erano parte del suo lavoro e le accettava, ma quel giorno non vedeva l'ora di chiudere il discorso e andare al buffet. Aveva anche un discreto appetito, certo, ma sapeva anche che quel giorno dietro il tavolo dei dolci ci sarebbe stata Kokoro.
Un po’ si vergognava del suo comportamento del giorno prima: non era più arrabbiata, ma si erano appena chiariti che lui le era saltato addosso! A quel ricordo si mise le mani sugli occhi e mormorò qualche insulto a se stesso. Poi si zittì, si sfregò gli occhi e alzò lo sguardo al soffitto.
«Si può sapere che cos'hai? Sembri ubriaco» gli bisbigliò Nino, suo vicino di posto. «Piantala di fare tutte quelle facce. Scommetto che non stai ascoltando niente della spiegazione»
«Eh? Sì, scusa» fece Aiba riprendendosi e aprendo il libricino per capire a che punto della spiegazione dei lavori fossero arrivati. Fortunatamente non dovette aspettare molto tempo e l'incontro finì. Ci furono gli applausi di circostanza, gli incoraggiamenti vari e poi vennero lasciati liberi di andare al rinfresco.
«Accidenti, due ore di spiegazione!» sospirò Jun affiancando i compagni lungo il corridoio
«Ōno san si stava appisolando» fece notare Yun-seo, ridendo. Li aveva raggiunti mentre uscivano tutti in massa dalla sala conferenze. «Aiba chan, stai bene, mi sembravi un po' tormentato» fece notare guardandolo preoccupata
«Tutto bene, tutto bene» annuì arrossendo leggermente
«Non ha fatto altro che sospirare tutto il tempo» bofonchiò Nino. «Ora facciamolo mangiare così la pianta»
«Andiamo allora, andiamo!» li incoraggiò lei.
Masaki non potè fare a meno di sgranare gli occhi quando vide la giovane ballerina coreana prendere Shō sottobraccio, sorridergli e spingerlo a superarli, per entrare prima di loro nella sala. Il ragazzo non si sottrasse a quel gesto: la guardò arrossendo appena e, ad una risatina divertita di lei, si lasciò trasportare. Gli altri quattro superarono l'ingresso subito dopo di loro. Aiba guardò con aria confusa la coppia che si addentrava nel salone: due giorni prima Shō aveva parlato con Satoshi ammettendo di essere innamorato di Erina, allora perchè ora stava sottobraccio con Yun-seo? E lei non aveva il fidanzato in Corea?
«Mi sono perso qualcosa?» gli domandò Jun affiancandolo mentre gli porgeva un bicchiere di acqua Perrier
«Non so che dire» rispose lui sbattendo le palpebre. Non capiva come, proprio quando le cose sembravano chiare, diventavano improvvisamente più confuse di prima.

Tese un piattino facendo un ampio sorriso. «Prego, si goda il rinfresco» pronunciò serafica prima di spostare lo sguardo sulla persona successiva. Aveva l'ordine tassativo di essere carina, gentile e sorridente per tutto il pomeriggio, finchè non fosse finito il rinfresco. L'unica altra volta in cui aveva dovuto fare una cosa del genere era stato durante un concorso di dolci, mesi prima, ed era stata una tortura: non era portata per sopportare quel tipo di situazioni pubbliche per lungo tempo. Oltretutto non si sentiva molto bene: la padrona del locale le aveva fatto troppo stretto il nodo dell'obi e si sentiva soffocare.
Il suo piccolo momento di gioia lo ebbe quando finalmente, dopo alcuni gruppetti di ospiti, vide Masaki entrare in sala. Era vestito con la giacca e la cravatta, non lo aveva mai visto così elegante: in quel momento sicuramente si sentì mancare per l'emozione più che per la poca aria, che pure non aiutava. Il completo blu scuro gli stava benissimo e lo osservò entrare pensieroso, mentre faceva qualche smorfia nonostante non stesse parlando con nessuno: era buffissimo!
«Scusi, potrei avere un paio di questi?» le domandò una giovane dal vestito color porpora e l'accento straniero
«Ma lo sai cos'hanno dentro almeno?» domandò il giovane che stava sottobraccio con lei
«No, ma sono dolci! I dolci sono sempre buoni, cosa importa con che ingredienti son fatti?» ribattè quella.
Attendendo la loro scelta Kokoro ebbe tempo di squadrare la strana coppia e, solo dopo diversi secondi, riconobbe il ragazzo davanti a lei come Sakurai Shō. Annuì alla richiesta della straniera e la servì. Aveva pensato che fosse lui la persona innamorata della rossa, Erina, ma ora che lo vedeva con quella ragazza dai capelli corti doveva ricredersi.
«Non c'è bisogno che mi stritoli il braccio a questo modo sai?» fece Shō, anche lui in completo scuro e cravatta
«Come? Allora non hai idea di cosa sia stritolare un braccio se pensi che io ora lo stia facendo» spiegò quella scuotendo il capo. «Questo è stritolare» ridacchiò stringendogli l'avambraccio mentre si allontanavano dal tavolo
«Smettila Yu-Yun, ho capito!» esclamò quello, piegandosi per cercare di sfuggire a quella dolorosa presa.
Una volta che si furono allontanati, Kokoro potè tornare a cercare Aiba con gli occhi. Gli si era avvicinato un altro ragazzo con un corto taglio a spazzola. Cercando di ricordare le facce sulla copertina del cd che aveva comprato qualche mese prima, le sembrò che quella persona fosse Matsumoto Jun, aveva anche visto la sua foto in una pubblicità a Shibuya. In quel momento Masaki si guardò intorno e la vide tra la folla. La sua occhiata non fu particolare e durò poco dato che l'amico gli stava parlando, quindi Kokoro rimase delusa. Distogliendo lo sguardo cercò di convincersi che Aiba stava lavorando e non poteva far caso a lei, al massimo avrebbe camminato fino al manco per prendersi qualcosa da mangiare. Fece un sospiro rassegnato e sorrise alla persona successiva che le chiese un paio di dolci su un piatto.
Dieci minuti dopo Aiba non si era mosso dal punto in cui si era fermato appena entrato nella sala, le persone continuavano a circondare lui e gli altri Arashi. Chi di loro era riuscito a recuperare qualcosa da mangiare prima di quel blocco era stato fortunato, ma lui, Matsumoto e Ōno non erano stati abbastanza rapidi e avevano solo un bicchiere, ormai quasi vuoto, tra le dita. Kokoro non avrebbe perso la pazienza e sarebbe rimasta in attesa, o almeno così pensò fin quando non vide una ragazza avvicinarsi al gruppetto e fare mille inchini prima di trascinare via proprio Masaki. Era Erina. Si agitò immediatamente, mentre un piatto le tremava nella mano: le aveva parlato mezz'ora prima, quando aveva fatto un giro con il suo superiore per controllare che ogni cosa del rinfresco fosse pronta. Non appena l'aveva vista, Kokoro era rimasta sbalordita perchè le volte in cui l'aveva incontrata non le era sembrava una brutta ragazza e quel pomeriggio invece sembrava un'altra: indossava un corto vestito di seta color perla, lungo fino a metà coscia e chiuso poco sotto le clavicole da una fascia di raso nero e un fiocco sulla sinistra. Le pieghe luminose del vestito lo rendevano elegante e per niente volgare nonostante le lasciasse completamente nude spalle e braccia e fosse anche abbastanza corto. Ma non era il frusciare della seta a renderla bella quel pomeriggio, nè il perfetto abbinamento del vestito con gli accessori e neanche gli orecchini d'argento che le pendevano dalle orecchie. Era il contrasto tra il candore del vestito e l'improbabile colore della massa di ricci a renderla bella e difficile da non notare. I ricci rosso fuoco le arrivavano appena oltre le spalle ed erano lasciati liberi da qualsiasi acconciatura, solo le ciocche che partivano da sopra la fronte erano tirate all'indietro e fermate, dietro la nuca, da un kanzashi¹ di fiori bianchi.
Kokoro si arrabbiò perché era bella e perchè era stata l'unica in grado di allontanare il suo ragazzo da chi lo costringeva sempre nello stesso punto della sala. Seguì con gli occhi i passi di entrambi, mentre Erina portava Aiba in un angolo della sala, trascinandolo per un braccio: per un attimo le sembrò di rivedere in loro la coppia di Sakurai e della straniera, anche se l'atteggiamento non era certo così appiccicoso, ma bastò a peggiorare ancora di più il suo umore.

«Senza la stampa possiamo comportarci così, ma non esagerare» spiegò Shō a Yun-seo quando si fermarono davanti ad una delle finestre della sala. I raggi caldi del sole entravano indisturbati dato che non c'erano tende, ma l'aria condizionata era accesa quasi al massimo, quindi era addirittura un piacere venire riscaldati per qualche minuto in quei quadrati di luce.
«Non era questo che volevi?» domandò la ballerina addentando un dolce
«Sì, certo» rispose in un primo momento. «O meglio, voglio vedere la sua reazione, ma non dobbiamo arrivare al punto che il nostro atteggiamento sia così esplicito da portare qualcuno a parlarne fuori da questa stanza. Abbiamo già avuto problemi con gli scandali, non creiamocene da soli, va bene?» domandò guardandola in viso. «Che c'è?» chiese vedendola immobile con gli occhi sgranati
«È buonissimo!» esclamò porgendogli il dolce che aveva assaggiato
«Che esagerata» ridacchiò Shō, prendendo tra le dita il boccone offertogli e mangiandolo a sua volta. Rimase immobile ad assaporarlo e spalancò gli occhi. Lui e Yun-seo si guardarono portandosi una mano davanti alla bocca. «Very good!!» esclamarono alzando il pollice verso l'alto, poi scoppiarono a ridere.
«Cosa state facendo voi due? Fate giocare anche me» si intromise Nino con un piatto pieno di dolci diversi
«Nonno, hai assaggiato questo?» domandò Yun-seo indicandogliene uno
«M-mh» scosse il capo quello, mentre ne masticava un altro. In un secondo la coreana gli aveva già rubato il pasticcino dal piatto e l'aveva mangiato intero, così cominciarono a bisticciare.
Shō si appoggiò al vetro, ridacchiando. Guardando i due che litigavano, pensò ancora quanto fosse ridicolo pensare che potesse esserci qualcosa tra lui e Yun-seo: la coreana era come una sorella per lui, ma doveva sembrare convincente per far funzionare il piano elaborato da lei. Girò lo sguardo ad osservare la sala, cercando la figura di Erina: da quando erano usciti dalla sala dell'incontro aveva cominciato a tormentarsi perchè voleva vederla, voleva averla di nuovo davanti come quando erano appena arrivati per poi fermare il tempo ed osservarla con calma. Era come un sogno diventato realtà: dal primo momento che l'aveva vista in università, anni prima, i suoi capelli erano stati la prima cosa che aveva notato e che aveva attirato la sua attenzione, poterle accarezzare i ricci che le dondolavano sulle spalle era sempre stata una sua piccola fantasia, una specie di stupido feticismo. E quel giorno Erina non aveva una coda, nè una treccia, nè uno chignon, ma una cascata di fuoco le accarezzava le spalle e le incorniciava il viso esaltando la spruzzata di lentiggini che aveva sulle guance. Persino il vestito, che pure era bello e mostrava le sue gambe, passava in secondo piano.
Fu grazie al colore acceso della sua chioma che localizzò la posizione della giovane nella sala gremita di persone. Era anche lei in un angolo e parlava da sola con Aiba. Shō strinse le labbra: non pensava sarebbe mai stato geloso di un amico. Il fastidio e il sentimento di ostilità che tornava a infiammargli il cuore non fece che peggiorare quando vide Erina abbassare il capo e Masaki sorriderle appoggiando una mano sul suo capo. Il fatto che avesse toccato la ragazza che lui sognava da una vita e che avesse potuto accarezzare i ricci che tanto gli piacevano lo irritò terribilmente. Girò la testa dall'altra parte per non guardarli, deglutendo a fatica. Da quando era diventato così codardo?

Aveva avuto l'impressione di aver sentito un rumore. Era stato tanto simile allo schiocco delle tavolette di cioccolata quando vengono spezzate: secco, duro, ma immensamente dolce. Vedere Shō entrare in sala tenendo sottobraccio Ahn Yun-Seo l'aveva pietrificata. Aveva seguito la ballerina con gli occhi per cinque minuti, senza capacitarsi di come quella scena potesse essere reale. Col busto sottile fasciato nel vestito di lucida stoffa porpora, la coreana sembrava lasciarsi dietro una scia di scintillante felicità. Una cintura di seta nera le stringeva la vita prima che il vestito cominciasse a piegarsi morbido in una corta gonna, a palloncino, tutta pieghe. A confronto, Erina si sentiva un piccolo fantasmino grassoccio.
Li guardò mentre prendevano da mangiare e si allontanavano scherzando: la loro distanza fisica era praticamente nulla e se Shō le permetteva un simile comportamento in pubblico significava che tra loro non si era solo riaccesa una fiamma, ma che doveva esistere un qualche rapporto, anche se Aiba aveva detto che non era così. Si arrabbiò all'istante e riuscì finalmente a staccare gli occhi dalla coppia sorridente per cercare la figura di Masaki tra la folla. Il poverino era circondato da alcuni collaboratori, molti dei quali nuovi dell'ambiente, che avevano avvicinato lui, Jun e Ōno per presentarsi e parlare con le star dell'evento. Il primo sapeva destreggiarsi perfettamente e con assoluto garbo, il secondo invece era di poche parole, quindi le persone con lui portavano avanti il discorso che volevano e ricevevano segni di assenso, diventando così sicure di essere ascoltate. Masaki invece sembrava un pesce fuor d'acqua: eppure era il suo lavoro, doveva essere abituato ad essere circondato da collaboratori e da curiosi. Continuava a buttare l'occhio verso il cibo e ad annuire distratto a chi gli rivolgeva la parola. Al vederlo così non sapeva se rimanere arrabbiata con lui o se provare pena. Con un mix di entrambe attraversò la sala a grandi passi e gli si avvicinò. «Aiba san» lo richiamò mettendogli una mano sul braccio
«Sheridan san» rispose quello rivolgendosi a lei in maniera formale
«Signori scusate, posso rubarvi Aiba san per qualche minuto? L'organizzazione avrebbe bisogno di discutere di alcune cose che lo riguardano» fece Erina sfoderando un sorriso smagliante e inchinandosi educatamente. Al primo cenno di assenso lo afferrò per la giacca e lo trascinò via. «Prego, mi segua» fece allontanandosi per parlare in un angolo più appartato rispetto al resto del rinfresco.
«Grazie per avermi salvato» piagnucolò Masaki. «Non ce la facevo più. Grazie, grazie, grazie» fece, per poi accennare ad allontanarsi
«No, dove pensi di andare?» gli chiese continuando a tenerlo per l'avambraccio. «Hai delle risposte da darmi»
«Scusa?» chiese il ragazzo sbattendo le palpebre, sorpreso
«Non fare quell'aria innocente! Mi dici che non c'è niente tra quei due e me li vedo entrare in sala che si tengono sottobraccio?» domandò indicando con un cenno del capo la direzione in cui si trovavano Shō e Yun-Seo. Tra lei e Aiba calò il silenzio per qualche secondo, il tempo sufficiente perchè una strana luce passasse negli occhi del ragazzo e lei si rendesse conto di essersi esposta troppo. «Voglio dire, hanno idea di cosa significhi comportarsi in quel modo in pubblico?» domandò lanciando andare il braccio del ragazzo. «Va bene che non c'è la stampa perché è un incontro di organizzazione informale e non pubblico, ma non pensano che qualcuno possa dire ciò che ha visto qui dentro?» tentò di correggersi per aggiustare il tiro delle sue affermazioni.
Le sembrò di sentire Aiba trattenere a stento una risatina. «Perchè non vai ad avvertirli tu?» domandò mettendole una mano sulla nuca, quasi con fare canzonatorio. Forse aveva capito tutto. Erina alzò timidamente gli occhi per sbirciare il viso del ragazzo davanti a lei. Inaspettatamente non sorrideva, guardava alle sue spalle con un'espressione di angoscia negli occhi limpidi e scuri.

Quando casualmente alzò gli occhi da un'imbarazzata Erina, trovò quelli glaciali di Kokoro, evidentemente infuriata. Non era successo nulla, ma come glielo avrebbe spiegato? Anche se le avesse rivelato che era Shō l’amico innamorato di Erina, non gli avrebbe creduto, non dopo averlo visto con Yun-Seo.
La fidanzata girò di scatto il capo e mutò completamente espressione, sorridendo gelida e cortese alla persona che le rivolgeva la parola.
«Aiba chan?» si sentì richiamare. La ragazza davanti a sè lo guardava interrogativa.
«Ora lasciami stare per favore» la liquidò brusco staccando la mano da lei e rimanendo impigliato con le dita nel kanzashi che le legava i capelli. Tentando di liberarsi glielo sfilò involontariamente e lo fece cadere a terra. Erina trattenne a stento un'esclamazione di dolore dato che le aveva letteralmente strappato la spilla dai capelli. «Scusami. Non volevo» farfugliò mentre alcune persone si erano girate a fissarli
«Non è niente» rispose piano quella. «Stai bene?» domandò quindi guardandolo preoccupata.
Aiba deglutì e osservò intorno a loro chi li guardava, ma colse solo lo sguardo distante e infuriato di Kokoro. «No, va tutto bene, scusami» si inchinò e girò sui tacchi: doveva allontanarsi. Tutta la fatica che aveva fatto la sera prima era diventata inutile in una frazione di secondo: Kokoro doveva essersi convinta che lui le aveva raccontato una bugia e a quel punto non sapeva più come rimediare.
«Non è normale, ho detto qualcosa che non va?» insistè la ragazza fermandolo per il braccio.
Di tutta risposta Masaki lo alzò dando uno strattone per liberarsi dalla presa di Erina. «Niente» ripetè secco, ma il secondo dopo se ne pentì: era stato scortese e capiva che alla ragazza piacesse Shō e si aspettasse un aiuto da lui, ma non poteva farlo, non quel giorno. Si sistemò la giacca e si allontanò, uscendo dalla sala.
Quando chiuse la porta il corridoio gli sembrò incredibilmente silenzioso e calmo. I neon luminosi sembravano rendere quello spazio artificiale e ostile. Era tanto nervoso che sentiva il bisogno di fumarsi una sigaretta, ma non poteva farlo lì dentro e non poteva uscire a cercare un'area fumatori, non quando era vestito in quel modo distinto: rischiava di venire riconosciuto all'istante. Ancora più innervosito da quell'impossibilità si mise a passeggiare avanti e indietro lungo la stessa porzione di spazio, con le mani nelle tasche del completo. Era stato maleducato con Erina che non se lo meritava e gli stava chiedendo aiuto, ma era anche preoccupato per Kokoro: non voleva litigare di nuovo con lei. Borbottò qualcosa a mezza voce incassando la testa tra le spalle, arrabbiandosi con se stesso: era la sua ragazza, era normale che avesse la priorità sugli altri, sempre che lo fosse ancora dato quanto doveva essere arrabbiata. Perchè quella relazione sembrava sempre destinata a finire nelle stesse dodici ore in cui cominciava?
Quando sentì una porta aprirsi guardò in quella direzione nella speranza che fosse Kokoro, corsa a chiedere spiegazioni, ma chiaramente non era così: lei stava lavorando e non poteva permettersi di raggiungerlo. Infatti sulla soglia comparve Shō. Masaki lo osservò sorpreso. «Comincia a far caldo là dentro, vero?» gli domandò con un mezzo sorriso
«Sì, ma hai raggelato a sufficienza l'atmosfera, tranquillo» gli fece notare quello, stringendosi nelle spalle. Si guardarono in silenzio per qualche secondo finchè lui non riprese a parlare. «Non ti sei comportato bene con Erina san, non credi sarebbe il caso di entrare e chiederle scusa?» domandò
«No, non è il caso» rispose prontamente Aiba
Shō rimase di stucco. «Aiba chan ti rendi conto di ciò che stai dicendo?»
«Sì, ma è così: non posso» gli disse scuotendo il capo
«Ci è rimasta veramente male, non puoi comportarti così con una ragazza» sembrava rimproverarlo
«No infatti, non si ferisce la propria ragazza, quindi non posso rientrare a chiedere scusa ad Eri chan. Non adesso» continuò deciso. «Magari più tardi» aggiunse piano.
L'amico aprì la bocca per dire qualcosa, ma rimase senza parole. «Ma ti stai ascoltando? È assurdo!»
«No, non voglio sentire!» esclamò lui mettendosi le mani sulle orecchie: non avrebbe perso Kokoro una terza volta, a costo di risultare cafone. Sentì vacillare la sua convinzione quando vide la figurina imbarazzata di Erina comparire sulla soglia della seconda porta della sala, alle spalle di Shō: erano buoni amici dopotutto, una parte di lui non poteva non sentirsi un verme per averla trattata male.
«Sakurai san, non importa» pigolò quella stringendo tra le dita il kanzashi che era caduto a terra
«"non importa"? Sì che importa, lui non ha visto come ci sei rimasta male, abbandonata in sala» ribattè Shō con una nota di acidità nella voce ora che era comparsa la ragazza
«Avrà avuto le sue buone ragioni, ne sono certa» tentò di difenderlo lei
«Come? Io a voi due non vi capisco» sbottò arrabbiato
«Non hai niente da capire, non c'entri con questa storia quindi stanne fuori per favore» esclamò Erina, arrabbiandosi a sua volta davanti al tono di voce che aveva assunto Shō
«Hai ragione, certo. Non sono fatti miei, no?» domandò lui
«Esattamente. Ora tornatene dalla tua dama: non si sa mai che abbia bisogno di una traduzione».
Aiba li guardava con le mani sulle orecchie -ma sentiva tutto- e la bocca aperta. Alternava lo sguardo dall'uno all'altro in quello scambio di battute, l’apice di una situazione insostenibile.

Non era propriamente arrabbiata. Voleva credere alle parole che Aiba le aveva detto la sera prima e che quei baci fossero stati dati perchè l'amava sul serio, ma non aveva potuto fare a meno di sentirsi divorata da una gelosia terrificante quando lo aveva visto comportarsi in maniera tanto carina con Erina. La loro scenetta poi sembrava essersi conclusa come la più classica scena drammatica di un film. Forse era solo la sua fantasia, ma sembrava quasi che lei lo avesse preso da parte per fargli una scenata di gelosia e che lui l'avesse scaricata in malo modo, avendo deciso di stare con Kokoro.
«Scusi» si sentì chiamare
«Mi dica» cercò di ricomporsi e ricostruire il sorriso.
Chi le aveva rivolto la parola era un ragazzo dal viso tondo e i capelli corti a spazzola. «Non ci conosciamo vero?» domandò questo.
Kokoro lo guardò sbalordita, rimanendo con il piattino a mezz'aria: come mai Ōno Satoshi le stava rivolgendo la parola? «No, cosa posso darle?» gli rispose con un sorriso appena accennato, le era ancora difficile ricostruire completamente la sua maschera di gentilezza.
«Due minuti del tuo tempo, grazie» le sorrise pacato e tranquillo.
Ōno era l'unico degli Arashi, senza contare Aiba, di cui avesse visto qualche lavoro: i bambini del condominio si erano fissati con il drama di Kaibutsu-kun² la primavera precedente e ogni tanto Kokoro aveva fatto loro compagnia mentre guardavano qualche puntata.
«Non posso, chi si occuperà dei dolci al posto mio?»
«Faccio io, si prenda pure due minuti di pausa» si propose lo stesso ragazzo. «Scommettiamo che quando torna gli invitati si saranno mangiati tutto?»
«Ma cosa dovrei fare?» domandò ancora, sempre più confusa
«C’è proprio bisogno che glielo dica io?» fece girando intorno al tavolo e mettendosi al suo fianco, pronto a darle il cambio. «Bastano due minuti, no?»
«Ma lei»
«Diciamo che lui aveva bisogno di confidarsi e passavo di lì in quel momento, così sono venuto a sapere un paio di cose» spiegò vagamente, stringendosi nelle spalle. «Matsujun, mi dai una mano?» richiamò l'amico
«Che fai Rīda?» domandò quello, interrompendo la sua discussione con Ogura. Titubante Kokoro si tolse il cartellino dello staff e si avviò verso una delle porte d'uscita della sala, mentre i due ragazzi si organizzavano.
«Di che accidenti stai parlando?!» sentì esclamare all'esterno, una volta aperta la porta. Colpita dalla forza di quella voce, Kokoro sgusciò in corridoio prima che qualche parola arrivasse fino ad orecchie indiscrete dentro la sala. Era uscita dalla porta più a destra, mentre erano tutti vicini alla porta centrale, quella da cui era uscito Masaki alcuni minuti prima. La ragazza non si spiegava cosa stesse succedendo: Sakurai san e Sheridan san stavano litigando ad alta voce e Aiba si teneva le orecchie tappate con le mani.
«Stai tirando dentro Yun-Seo?»
«Sì, la sto tirando dentro. Che comportamento è il tuo? Ti sei dimostrato molto più inopportuno di Aiba chan» spiegava la bella ragazza dai capelli rossi
«E cosa c'è di più inopportuno che trattar male la propria ragazza?» domandò Shō incrociando le braccia al petto. Kokoro serrò le labbra, rimanendo addossata alla porta.
«Vediamo, forse, fare i piccioncini davanti agli invitati?» gli rispose acida. «E chi avrebbe trattato male chi? Stai delirando»
«Io deliro? E tu allora?»
«ADESSO BASTA!» strillò Masaki staccando le mani dalle orecchie e stringendole a pugno, tenendo le braccia tese lungo il corpo. Gli altri due si zittirono, osservandolo spaventati: sembrava si fossero addirittura dimenticati che fosse lì ad ascoltare tutto quel discorso. «Io non so chi piaccia a voi due, ma la mia ragazza è Kokoro e non permetterò che le vostre stupide incomprensioni ci mettano i bastoni tra le ruote ora che stava andando tutto per il meglio» li accusò puntando il dito contro di loro. «Spero che questo sia chiaro, ora vedete di chiarire le cose tra di voi, perchè io non voglio saperne più niente. Sono stufo!» concluse alzando le braccia e tornando dentro la sala del ricevimento con uno sbuffo seccato.

Nel momento in cui Aiba tornò in sala, Kokoro fece lo stesso e chise la porta rumorosamente, apposta per farsi sentire e attirare l'attenzione del ragazzo che la guardò sorpreso. Capì immediatamente che doveva essere uscita giusto in tempo per sentire le sue ultime parole, anche se non capiva come fosse stato possibile per lei allontanarsi dal banchetto. Le andò incontro preoccupato, mentre la ragazza sorrideva. «Io» cominciò a dire cercando le parole giuste
«Non importa» gli disse la giovane.
Si fermarono all'ultimo momento, a pochi centimetri l'uno dall'altra, ma senza toccarsi. «Non devi dire nulla sai? Ho capito» sorrise Kokoro
«Non sei più arrabbiata?» chiese preoccupato Masaki
«No, non so, non ero proprio arrabbiata. Non so spiegarlo, ma scusami» gli spiegò unendo le mani tra loro, piegando il capo. «Credo di aver sbagliato»
«Non importa, non importa: se non sei arrabbiata non è importante» farfugliò incredulo
«Devi lavorare stasera?» gli chiese la ragazza
«No, ma domani cominciamo i preparativi per il concerto della prossima settimana» rispose, ancora stordito
«Puoi accompagnarmi a casa?»
«Non posso guidare»³
«Taxi allora: io pago l'andata» propose in ultima opzione prima di girarsi e andare verso il banchetto dei dolci.

Fuori intanto Erina e Shō erano stati abbandonati alle loro incomprensioni. Il rumore della porta che si chiudeva li aveva fatti sobbalzare ed entrambi erano rimasti impalati nel corridoio, in silenzio.
Si guardarono per un secondo, poi abbassarono gli occhi a terra. «Abbiamo esagerato con lui» ammise Shō mestamente
«Sì, temo di sì» annuì piano la ragazza
«Chi diamine è Kokoro?»
«Una ragazza di Chiba» rispose Erina: se Masaki non aveva ancora raccontato nulla ai suoi più cari amici doveva esserci una ragione, quindi non sarebbe stata lei a spifferare tutto.
«Credevi seriamente che io ed Aiba chan stessimo insieme?»
«Ecco» balbettò Shō per poi zittirsi e riflettere attentamente alla risposta. «Suppergiù. Voglio dire: anni fa ti piaceva, giusto? Andate d'accordo, è la persona che più ammiri tra tutti noi»
«È vero, ma non basta andare d'accordo con qualcuno perchè io mi innamori di questa persona» lo interruppe lei guardandosi la punta dei piedi, confusa e insicura di come sarebbe andata a finire quella discussione. «Una volta mi piaceva, ma sono passati tanti anni ed è il mio preferito tra gli Arashi sì, ma lo vedi anche tu che siamo stupidi allo stesso modo»
«Non sei stupida» la corresse Shō ed Erina arrossì
«Con gli anni i sentimenti cambiano. Non posso dire di conoscere bene Aiba chan, ma stiamo costruendo una bella amicizia e mi ha chiesto di occuparmi della ragazza di Chiba perchè si fidava di me. Forse per quello sembravamo affiatati: avevamo un segreto da mantenere» cercò di spiegare, parlando lentamente di modo da cercare le parole giuste da dire. «Non posso credere che tu abbia pensato che tra me e lui ci fosse qualcosa di romantico»
«Potrei dire la stessa cosa di te» la rimbeccò Shō
«Come scusa?» esclamò contrariata, alzando lo sguardo per piantare gli occhi nei suoi. «Cos'ho fatto stavolta?»
«A parte che certe volte proprio non capisco con che criterio ti escano le parole di bocca, ma anche tu hai creduto che io stessi con Yun-seo» le spiegò il ragazzo gesticolando con una mano nell'aria
«E con me tutto il resto della sala» replicò Erina, piccata
«Non c'è niente tra me e lei così come non c'è tra te ed Aiba»
«Non si direbbe, e devi ammettere che il vostro atteggiamento è stato molto più equivoco del nostro» gli fece notare alzando un dito in aria, come una maestrina
«Quello» fece per spiegare, agitandosi, ma subito si bloccò e serrò le labbra. Spostò lo sguardo a guardare un punto a caso della parete del corridoio: non poteva dirle che l'aveva fatto per vedere se si sarebbe ingelosita, per scoprire se provava qualcosa per lui o era già completamente innamorata di Aiba.
«Perchè?» rimbeccò la giovane davanti a lui
«Tu non conosci il rapporto che lega ognuno di noi ad una persona così particolare come lei» cercò di spiegare lentamente mentre cercava le frasi migliori da dire per concludere quel discorso dal quale ancora non sapeva come uscire. «È come una sorella»
«Non era un atteggiamento da sorella» insistette.
A quel punto Shō si sentì nuovamente infastidito e sbuffò. «Ma insomma, cosa vuoi? Non dirmi che eri gelosa di lei!» esclamò di getto.
Si guardarono nuovamente negli occhi capendo entrambi nello stesso momento cosa quelle parole volessero insinuare: Shō si decise a non ritrattare quella domanda ed Erina fu colta dall'ansia. Aveva pensato di dichiararsi qualche ora prima, ma in quel momento non le sembrava affatto una buona idea. Essere rifiutata non sarebbe stato bello, ma venire rifiutata in malo modo, data l'atmosfera che si era creata, sarebbe stato anche peggio. «Non sto parlando di gelosia, sto solo dicendo che a me sembra che tu non ti sia reso conto dell'atteggiamento che avete tenuto tu e Ahn-san? Se tra voi non c'è nulla e trapelasse qualcosa al di fuori di questo incontro sarebbe un pasticcio, o sbaglio?» domandò per poi sospirare e scuotere il capo. «No, lasciamo stare. Sono cose che sicuramente sai meglio di me ed io non sono nessuno per dirti cosa fare o non fare nel tuo lavoro. Sono una stupida» unì le mani in grembo e fece un profondo inchino. «Ti prego scusami»
«Non importa, rialzati» farfugliò rapidamente Shō, colpito ed imbarazzato da quelle improvvise scuse. «Rialzati su, non è il caso».
Erina tornò con il busto eretto e gli occhi puntati a terra. Con le mani si tolse i ricci da davanti gli occhi.«Si è rotto?» domandò il ragazzo accennando al kanzashi che lei teneva in mano
«No, è intero, ma dovrei andare in bagno a sistemarlo»
«Posso provare?» le chiese tendendo un mano.
Erina lo guardò perplessa, poi annuì silenziosamente lasciandogli i fiori nel palmo della mano e girandosi per dargli le spalle. Non poteva nemmeno immaginare quali sentimenti si agitassero nel cuore del ragazzo che era con lei, al quale aveva accordato un'occasione che lui sognava da una vita. Shō le accarezzò alcune ciocche ai lati del viso e passò le dita nella massa di ricci per raccogliere quelli che avrebbero dovuto essere fermati nuovamente dal fermaglio. Era facile farlo mentre rimaneva alle sue spalle dato che la sovrastava di circa dieci centimetri. «Credo di dovermi scusare anche io» pronunciò ad un certo punto il ragazzo, gli occhi e l'attenzione tutta sui riccioli rossi che teneva tra i polpastrelli
«Per cosa?» gli domandò sorpresa
«In periodi di forte stress cerchiamo di non scaricare il cattivo umore sugli altri membri, ma se succede siamo tutti abituati: lavoriamo insieme quasi tutti i giorni da più di dieci anni, abbiamo sempre trovato un modo per supportarci e sopportarci a vicenda qualsiasi cosa succedesse. Con i collaboratori invece non è così semplice, ma il più delle volte basta rimanere concentrati sul lavoro per non si scaricare il nervoso su di loro. In ufficio da voi è diverso però: non devo lavorare tutto il tempo, è un vostro compito, io devo solo affiancarvi, quindi posso comportarmi normalmente. Per questo mi sono comportato male con te» spiegava mentre tentava più volte di fissare tutte le ciocche di capelli che voleva fermare col pettine. «Ma nè tu, nè Ogura san, nè Kimura san, siete tenuti a sopportare il mio malumore. È normale che tu ti sia arrabbiata con me quando ho fatto quella scenata per un semplice caffè» provò a scusarsi.
In parte era stato sicuramente per lo stress, ma una buona metà delle motivazioni che lo avevano fatto reagire a quel modo erano dovute al fatto che l'aveva vista con Aiba e li credeva in buoni, anzi ottimi, rapporti. Questo però non poteva certo dirlo.
«Sì, sei stato uno stronzo» gli rispose Erina, candidamente
«Se mi scusi per quel comportamento io ti perdono per avermi sgridato su cose che non ti riguardano» concluse, mentre finalmente riusciva a chiudere la pettinatura. Con la mano aperta passò le dita sulle morbide onde di fuoco che aveva davanti agli occhi: vi avrebbe volentieri nascosto il viso mentre le abbracciava le spalle nude.
«Ci sto» gli rispose lei dandogli il fianco, sfilandogli così i capelli da sotto le dita.
Erina raccolse un minimo di coraggio e, trovandolo con una mano ancora sollevata, ebbe la temerarietà di stringergliela con la propria lasciandole entrambe sollevate. «Sembra che l'inizio dell'amicizia che avevamo concordato sia stato rimandato a causa di qualche incomprensione e del brutto periodo. Se non c'è altro, e se la proposta è ancora valida, ritentiamo sul serio stavolta?» domandò con un timido sorriso. Di "altre cose" ce ne sarebbero state, sia per lui che per lei -non domandate, non fatte, non dette- ma sembrava essersi appena conclusa un'incomprensione che aveva rischiato di mandare tutto all'aria. Nessuno dei due se la sentì di aggiungere altro col rischio di andare subito a minare un rapporto appena nato.
«Ok» annuì Shō, sorridendo a sua volta
«Erina san! Sakurai san!» li chiamarono. La porta centrale si aprì e Kimura comparve sull'uscio. «Eccovi qui! Stiamo per concludere la cerimonia, venite?».
I due ragazzi si lasciarono la mano e risposero in coro. «Sì»
«"Sì" cosa? Su forza!» disse l'uomo facendogli segno di rientrare. I due lo seguirono scusandosi per essersi assentati, ma ridacchiavano entrambi, non suonavano come scuse molto sentite.

¹ ornamento usato per le acconciature femminili
² (in italia Carletto principe del mostri) Live action andato in onda tra Aprile e Giugno 2010
³ in seguito a due incidenti automobilistici all’inizio del 2010 (uno di Nino e uno di Jun)l’agenzia ha vietato la guida a tutto il gruppo fino alla fine dell’anno


Capitolo 20!
Un paio di annunci: 1) si era paventato (in uno dei siti dove pubblico la ff) un possibile sondaggio sul miglior personaggio femminile, ma ho deciso di rimandarlo per una serie di ragioni: conoscete ancora poco alcuni personaggi, ho pensato di fare dei capitoli extra (tipo spin off) che si focalizzino su di loro; 2) ci metterò un po' a scrivere il prossimo capitolo perchè devo ancora pianificare il resto della storia, ebbene sì; 3) questa non è la fine della ff XD ha un leggero sapore di finale, è vero, ma non è che la fine dell'inizio. Ho mille idee sparse che devo però ordinare e suddividere in capitoli. Io ve l'avevo detto che progettavo di fare una ff lunga, me spias XD In questo modo almeno anche chi è rimasto indietro potrà mettersi in pari, dai!
Ringrazio chi sta leggendo la ff, anche se non commenta. Farebbe piacere, ed è anche utile per me sapere di eventuali critiche, ma va bene anche così ^^ Spero vi stiate divertendo a leggere! Io a scrivere sì! *-*
A parte ciò... che si dice di questo fantomatico 20esimo capitolo? La struttura e il POV sono stati completamente stravolti e cambiati rispetto ai capitoli precedenti, ma progettavo da tempo di farlo così. In tutto ciò che è stato raccontato prima, il POV era uno e ogni piccolo avvenimento ha contribuito ad alimentare la tensione che aumentava, aumentava, aumentava... fare un capitolo così dinamico mi è servito a dare a questa situazione un senso di confusione che si è ben conclusa con lo scoppio di Aiba *-* Ah... scusatemi, ma io adoro fare questi giochini di scrittura. Sono pignola nei dettagli e non solo in quello... raramente scrivo cose a caso, è sempre tutto molto studiato XD ("Kaze" è stato un caso a parte, una scrittura di getto e si vede O_o) Nei prossimi capitoli l'atmosfera cambierà, verranno meglio approfonditi altri personaggi e alte relazioni, tra cui la figura afflitta del piccolo Jun ♥ non mi son dimenticata di te patato, tranquillo~

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Capitolo 22
*** 21. Souls that want to Shine ***


Il sole batteva implacabile sull'asfalto e nonostante fosse già tardo pomeriggio, la frescura serale tardava a farsi sentire. Erina sapeva che finché fossero rimaste in città non ci sarebbe stato sollievo: bisognava uscire dal dedalo di strade e dal caos della metropoli per sentire un po’ di sollievo dalla calura.
«Che diavolo» sbottò Tomomi al suo fianco mentre la spintonava colpendola alla spalla. Erina si sbilanciò di lato ed evitò così un palo. «Potresti guardare dove vai?» le domandò l'amica a denti stretti
«Scusa» rispose la rossa spaesata, rimettendosi a camminare guardando avanti
«Se vai a sbattere e diventi più cretina di adesso non garantisco di poterti sopportare» sbottò l’altra mentre riprendeva al volo la borsa da ginnastica della ragazza, dato che le stava per scivolarle dalla spalla. «Ma insomma!» esclamò esasperata
«Vincere le fa un brutto effetto coach! Dovremmo continuare a perdere!» esclamò Ying alzando la voce per farsi sentire dall'allenatrice che camminava più avanti
«Come ti salta in mente?» domandò Erina
«Kōmō, ti pestiamo se dici ancora una cosa simile» risero le compagne di squadra
«Non l'ho detta io!» ribatté arricciando il labbro inferiore. «Non vincevamo da un sacco di tempo ed è come essere in uno stato di beatitudine, ma non significa che non mi piaccia» tentò di spiegarsi rimettendo la borsa sulla spalla
«Che tristezza, se la metti così sembriamo veramente una squadra scarsa» sbuffò Tomomi mentre tirava fuori un pacchetto di sigarette dalla borsa
«Sono veramente di buon umore» ridacchiò invece la rossa incrociando le dita delle mani dietro la nuca e tornando a guardare in aria.
Avrebbe segnato quel giorno, il 21 Agosto, sul calendario: avevano conquistato una vittoria magnifica, molto sudata ma anche molto soddisfacente. Quell'episodio inoltre migliorava il suo umore che si era un po' incrinato quella settimana. Shō e gli Arashi avevano avuto prove massacranti quella settimana e avevano lavorato a un ritmo serrato e costante che sarebbe culminato con i concerti quella sera e la successiva. Erina aveva incontrato il ragazzo per l'ultima volta cinque giorni prima, era passato in ufficio, aveva salutato e poi era andato al Kokuritsu con Ogura. Erina si continuava a ripetere di dover aspettare, che la cosa importante era che tra loro fosse tutto chiarito: avrebbe solo dovuto dimostrargli i suoi sentimenti e lui avrebbe capito. Ma come, se lui non c'era mai?
Sospirò mentre seguiva con gli occhi gli intrecci dei fili elettrici sopra le loro teste, poi, mentre si ripeteva di avere pazienza, abbassò lo sguardo, ma non in tempo per evitare la persona con la quale si scontrò. Fortunatamente né lei né lo sconosciuto andavano veloci, quindi si presero solo un grosso spavento e rimbalzarono l'uno contro l'altro.
«Arrangiati: dove cammini tu sono affari tuoi» aveva borbottato Tomomi
«Mi scusi» disse Erina chinando il capo
«Scusi lei, ero sovrappensiero» rispose l'altra persona
«Io non guardavo dove andavo. Hanayaka san!» esclamò poi la rossa squadrando la giovane ragazza davanti a sé
«Sheridan san, che sorpresa». Nessuna delle due aveva riconosciuto l'altra, in un primo momento: Erina, invece di vestire un vestito formale o elegante come quando lavorava, era con la divisa da gioco, mentre Kokoro indossava un paio di pinocchietti di jeans slavati e una canottiera con i disegni della serie televisiva di Monchicchi,¹ niente a che vedere con la divisa del suo negozio.
«Neesan! Abbiamo deciso che preferiamo i videogiochi!» esclamò una piccola truppa di bimbi uscendo saltellante dal konbini vicino
«Adesso andiamo» rispose Kokoro facendo cenno con la mano mentre teneva tra le dita un ghiacciolo azzurro
«Che famiglia numerosa che hai» osservò Erina guardando i piccoli sul marciapiede che parlavano concitati tra di loro
«Sono i figli dei miei vicini di casa. Stasera andiamo a vedere i fuochi d'artificio sul fiume»
«Fuochi?!» esclamò interrompendola
«Sì» annuì guardandola stranita. «Tu dove stai andando vestita così?»
«Abbiamo fatto una partita e stiamo tornando a casa» spiegò indicando la squadra che, alle spalle di Kokoro, si era fermata alcuni metri più avanti. «Però i fuochi...»
«Kōmō, ti muovi?» domandarono le compagne
«Sì, un attimo!» strillò in risposta
«Non immaginavo facessi sport» osservò l'altra
«Perché sembro troppo cicciotta, vero?» domandò ridacchiando la rossa
«No, non intendevo quello» arrossì Kokoro. «Voglio dire che sei in forma, ma credevo andassi in palestra come tanti. Non sembri una persona da gioco di squadra»
«Kōmō! Ti prendo a calci nel sedere se non ti muovi! Sono stanca e voglio andare a casa!» la minacciò Tomomi brandendo la sigaretta che avrebbe potuto fumarsi solo nella zona fumatori vicina alla stazione dei treni
«Come no? Sì, che lo sono. È la mia squadra che non è fatta per il "Gioco di Erina"» sbuffò alzando gli occhi al cielo. «Gente, andate avanti. Ci vediamo domani» disse mettendo le mani sui fianchi, nonostante la borsa pesante le rendesse più difficili i movimenti
«Brava, brava, non fare tardi!» le dissero le altre muovendo le mani per salutarla
«Non siete mia madre!» rispose indispettita. Le altre risero, urlarono un: "ci vediamo"; e andarono per la loro strada. Solo Ying tornò verso Erina. «Cosa vuoi fare?» le domandò pacata, poi sorrise a Kokoro, riconoscendola, e si inchinò verso di lei. «Buonasera»
«Buonasera» rispose l'altra inchinandosi a sua volta
«Sono stanca e non mi va di scappare per prendere il treno. E poi ci sono i fuochi!» esclamò Erina facendo un sorriso smagliante alla coinquilina
«Sul serio?» chiese la cinese guardando la ragazza con il ghiacciolo in mano. Quando quella annuì, alzò gli occhi al cielo. «Bene, l'abbiamo persa» sospirò
«Andiamo a vederli? Andiamo?» domandava la rossa, entusiasta
«Sì, sì, ma te la porti da sola la borsa, quindi non stancarti troppo. Possiamo disturbarti?» chiese a Kokoro
«Non c'è problema. Stiamo andando alla sala giochi prima di cenare lungo il fiume» rispose ricominciando a camminare mentre i bambini urlavano di volersi avviare
«Allora è deciso!» annunciò Erina al colmo della gioia. «Possiamo offrirti qualcosa per il disturbo?»
«Nessun disturbo» rispose semplicemente inchinando il capo, in un cenno di ringraziamento
«Neechan! Vogliamo i gettoni!» la richiamarono i bambini ed il gruppo così composto entrò nella sala giochi.

Ying ed Erina presero un paio di Häagen-Dazs da un distributore e si sedettero sulle panchine fuori dal locale, troppo rumoroso per due che erano state in mezzo al trambusto di una partita fino a poco prima. «Eri» pronunciò la cinese
«Nh?» fece l'amica alzando lo sguardo dalle striature dorate del gusto biscotto nel liquido alla crema
«Cos'hai in mente?»
«Che il gusto anguria forse era più rinfrescante» rispose mischiando con il cucchiaino nel bicchiere di cartone
«Sai di cosa parlo. Hai una passione smodata per i fuochi d'artificio, ma non è sufficiente a non farti tornare a casa dopo una partita: la tua pigrizia sarebbe più forte, quindi dev’esserci dell’altro sotto»
«Che cosa cattiva da dire» ribatté la rossa arricciando il naso
«Ma è vero. E poi i bambini non ti piacciono» fece spallucce quella, bevendo la fine del suo gelato
«Voglio parlare con Hanayaka san» le spiegò infine. «Mi piace, ma credo ci siano state delle incomprensioni. Sarebbe brutto se non mi impegnassi per appianare gli equivoci tra me e la ragazza di un mio amico, no?»
«Non sapevo stesse con qualcuno che conosci» ammise la cinese buttando il bicchierino nel cestino vicino alle panchine. «Pensavo ci avessi solo lavorato insieme»
«In realtà è così» annuì Erina deglutendo a fatica. Era uno di quei momenti in cui si sentiva in colpa verso Ying: lei era la persona con cui condivideva la casa, con cui passava buona parte della sua vita e che conosceva ormai da tanto tempo, eppure il loro livello di confidenza era più basso di quanto non ci sarebbe aspettato. Per quanto riguardava emozioni e sentimenti non le nascondeva niente e poteva manifestare apertamente sofferenza e allegria con lei, ma quando era il momento di parlare e raccontarsi, si bloccava sempre. «E poi volevo chiederle dei consigli su Shō» concluse leccando il cucchiaino in plastica
«Sì?»
«Già» annuì. «Che caldo, accidenti!» esclamò finendo il gelato e alzando gli occhi verso il cielo. Si mise a fissare le sfumature del tramonto. Non poteva fare a meno di chiedersi come avesse fatto una come Kokoro a far innamorare di sé Aiba chan. Era carina e gentile, ma andava in giro con la maglietta di Monchicchi! Se lei avesse dovuto vestirsi da Ohayō! Spank² per conquistare Shō, si sarebbe tirata indietro.
«Va tutto bene?» domandò Kokoro spuntando dalla porta d'ingresso della sala giochi
«Tutto bene, grazie mille» rispose Ying inchinandosi
«Scusatemi, ho dovuto dare una mano ai bambini per avere i gettoni dei giochi. Posso sedermi con voi? Se rimango ancora un po' qui dentro mi esploderà la testa»
«Sì, certo» annuì la rossa facendole spazio sulla panchina.
Kokoro andò ad accomodarsi al suo fianco e rimase in silenzio mentre si sventolava con un uchiwa in plastica, coperto dagli adesivi di una pubblicità.
«Devo andarmene?» domandò Ying dopo un minuto di silenzio in cui nessuna delle altre due aveva accennato ad aprir bocca
«Come? No, no! Certo che no» scosse il capo Kokoro
«Scusaci, forse non ci saremmo dovute unire» sospirò Erina
«Un po' tardi per dire una cosa simile, non credi?» fece notare la cinese
«Non c'è nessun problema, sono contenta che siate volute rimanere. Effettivamente c'era qualcosa di cui volevo parlare con Sheridan san, ma non sapevo proprio come contattarti» spiegò l'altra
«Avevate ancora il numero del nostro ufficio, no?» fece lei sorpresa. «Solitamente rispondo io»
«Sì, ce l'abbiamo ancora, ma non era una cosa di lavoro e non mi sembrava il caso di disturbare per una questione personale» cercò di spiegarsi
«Qualcosa di personale?» domandò squadrandola
«Ecco, volevo scusarmi» esordì inchinandosi all'istante verso Erina, rimanendo seduta sulla panchina. «Ho tenuto un comportamento freddo nei tuoi confronti, a tratti anche maleducato, e non te lo meritavi»
«Non ho potuto fare a meno di percepire la distanza che hai voluto mantenere fin dal primo momento, ma posso assicurarti che non sei stata maleducata. Voglio dire, l'ho interpretata come una cosa naturale» rifletté la rossa
«In che senso?»
«Era chiaro che fossi una persona importante per Aiba chan ed ero abbastanza sicura che lo ricambiassi. Dal tuo punto di vista, il rapporto tra me e lui poteva essere mal interpretato, o comunque il fatto che arrivasse a fidarsi così tanto di me, poteva essere una buona giustificazione per provare della gelosia nei miei confronti»
«Sono mortificata, ho frainteso tutto» mugugnò Kokoro tenendo basso lo sguardo
«No, non hai niente per cui scusarti. Non mi hai trattato male e io non me la sono presa» scosse il capo Erina. «Oltretutto» fece una pausa guardando il cemento del marciapiede: a volte le era difficile ammettere i suoi errori davanti agli altri. «Credo di essermi comportata come hai fatto ti, ma nei confronti di un'altra persona, quindi sono l'ultima che può biasimarti» spiegò evitando di accusarsi direttamente
«Parli del fatto che hai evitato me, Erina san?» domandò una terza voce
«Eh?» domandò lei verso Ying che semplicemente le indicò una ragazza appoggiata al distributore. Era talmente incredibile da non sembrare possibile, ma Ahn Yun-Seo se ne stava appoggiata alla macchinetta sorseggiando una bibita in lattina, e fissandole con tranquillità.
«Ahn san? Che sorpresa!» esclamò Erina sgranando gli occhi al vedere la coreana
«Potrei dire altrettanto» sorrise quella. «Come mai da queste parti?»
«Avevamo una partita in una palestra di zona nel pomeriggio, poi abbiamo incontrato Hanayaka san e ci siamo fermate» spiegò confusa la riccia
«Ora mi ricordo: è la ragazza di Sakurai san!» esclamò sorpresa Kokoro, improvvisamente ricordandosi dove aveva visto Yun-seo: non era stato facile riconoscere la bella straniera dall'abito scollato come la stessa persona che stava davanti a loro in pantaloni militari e canottiera di cotone leggero.
«Ci conosciamo?» domandò la coreana aggrottando le sopracciglia
«Hanayaka san era parte dello staff del rinfresco di domenica scorsa» spiegò Erina
«Hanayaka Kokoro, molto piacere» si presentò la ragazza alzandosi dalla panchina
«Ahn Yun-Seo. Ma non sono la ragazza di Shō kun, altrimenti dubito che Sheridan san mi rivolgerebbe così facilmente la parola» ridacchiò la ballerina prendendo un altro sorso dalla sua lattina, mentre Erina diventava gradualmente dello stesso colore dei suoi capelli.
«Fatemi capire, Ahn san non è la ragazza di Sakurai san? Credevo che lo fosse, e anche tu, no?» domandò Kokoro confusa, guardando Erina
«Una cosa del genere» farfugliò quella, che avrebbe preferito scomparire invece che subire le maliziose insinuazioni di Yun-seo. «Per quello credo di essermi comportata con lei come tu hai fatto nei miei confronti» confermò infine la rossa
«Ma non hai bisogno di scusarti, mi son comportata in modo esagerato apposta» ridacchiò la ballerina
«Come?»
«Ho capito subito che ti piace Shō kun, volevo vedere come ti saresti comportata» le spiegò stringendosi nelle spalle. «È stato un trucco più efficiente del previsto: avete addirittura litigato, o sbaglio?» fece nuovamente un sorrisino a metà tra il divertito e il malizioso
«Scusa? Come ti è saltato in mente?» replicò duramente Erina. «Noi due non ci conosciamo nemmeno, come puoi aver agito in maniera tanto sprovveduta solo sull'ipotesi che potesse piacermi Sakurai san?»
«Veramente era chiaro anche a me che ti piacesse, una volta che vi ho visti bisticciare fuori dalla sala» si intromise Kokoro. La rossa le vissò sbalordita, non pensava di essere così trasparente
«Tu, invece» riprese Yun-seo, approfittando della pausa di imbarazzo di Erina. «Sei la vera ragazza di Aiba chan, sbaglio?» domandò puntando il dito contro Kokoro
«Come lo sai?» farfugliò aggrottando le sopracciglia. « Non l’abbiamo detto a nessuno»
«Siamo amici. Mi aveva accennato qualcosa nei giorni passati e dopo l'incontro al rinfresco mi rimanevano ben pochi dubbi sull'identità di questa nuova ragazza. Inoltre ho degli ottimi informatori e alleati» sorrise, alludendo agli altri tre ragazzi del gruppo.
«State addirittura insieme?» domandò sgomenta Erina, sembrava che quel giorno le sorprese non finissero più
«Teoricamente già da metà Luglio, ma sono partita per l'estero subito dopo e poi ci sono stati dei problemi» spiegò imbarazzata Kokoro
«Mi dispiace. Immagino che uno di questi problemi sia stata io» la interruppe la rossa
«Sì, ma ora è tutto a posto, quindi va bene così» annuì piano. «Vivi da queste parti?» domandò quindi alla coreana
«Io?» domandò mentre buttava la lattina. «No, no. Ero venuta a scaricare un po' di tensione prima del concerto»
«Fino a Chiba?» domandò Erina, sapendo quant'era distante il Kokuritsu da lì
«L'unico laser game che so raggiungere dal mio dormitorio si trova da queste parti»³ spiegò Yun-seo, improvvisamente a disagio. Si staccò dal distributore e non aggiunse altro.
«Ma chi è esattamente?» domandò la giovane pasticciera alla rossa, che la conosceva meglio di lei
«È una professionista ingaggiata dall'agenzia per allenare il corpo di ballo per il tour di quest’anno»
«Sono una loro amica» la interruppe la coreana. «E una collega. Ma ho un bellissimo fidanzato che aspetta il mio ritorno a Seoul, quindi potete stare tranquille» concluse con un sorrisino serafico. «Mi dispiace di aver creato incomprensioni. Non so come spiegarmi» si fece improvvisamente seria, cominciando a parlare lentamente per cercare le parole giuste in una lingua che non era la sua. «Voglio molto bene ai ragazzi. Me ne sono andata via per quasi mezzo anno e sono successe tante cose: Aiba si è fidanzato, Jun ha... insomma, sono successe molte cose e mi sono preoccupata. Forse giudicherete questo mio atteggiamento eccessivamente protettivo e inopportuno per una che è quasi un'estranea nella loro vita» le osservò aspettandosi una qualche replica, ma nessuna delle due fece alcun cenno. «Però loro mi hanno aiutato molto quando abbiamo lavorato insieme per la prima volta, non solo per quanto riguarda il lavoro, ma anche con delle questioni personali. Sono stati indispensabili per il mio benessere di allora, quindi ho intenzione di fare qualcosa per ricambiare. Tu ti rendi conto dell'enorme fortuna che hai?» domandò guardando Kokoro. «Apri gli occhi e sii consapevole del ragazzo fantastico, bellissimo ed eccezionale che ti ha scelto. E tu» aggiunse lanciando ad Erina uno sguardo severo. «Azzardati a fare del male a Shō kun, a mettere un piede in fallo o ad essere corta, che verrò a cercarti» concluse.
«Corta?» chiese la rossa
«Cosa ho detto io?» fece dubbiosa la coreana, improvvisamente preoccupata
«Suppongo volesse dire "errore"»⁴ si intromise pacata Ying, che stava sulla panchina ad ascoltarle
«Mi succede ogni tanto» si scusò staccandosi dal distributore a cui era appoggiata. «Bene, direi che vado adesso: devo aiutare il corpo di ballo a prepararsi. Buona serata!» sospirò muovendo la mano verso le ragazze e chinando il capo verso Ying. La guardarono che si allontanava a passo svelto in direzione della stazione.
«Pazzesco. Chi era quella?» domandò ancora Kokoro, girando verso Erina uno sguardo a metà tra il perplesso e il sorpreso. «Non sa niente di me, non sa niente del rapporto che ho con Aiba san, quindi non ha alcun diritto di parlarmi così» sembrava infastidita
«In parte però ha ragione, no? Dovremmo fare attenzione e renderci conto della fortuna che abbiamo» spiegò la rossa stringendosi nelle spalle
«Tu non hai ancora alcuna fortuna o sbaglio?» le ricordò Kokoro. «Non stai con Sakurai san, no?»
«Non ricordarmelo!» sospirò Erina mettendosi le mani sulle orecchie. «Maledizione! Maledizione! Devi dirmi come hai fatto: ci sarà un trucco che hai usato con Aiba chan e che posso usare anche con Shō»
«Quale trucco?» domandò ridendo l'altra. «Io non ho fatto proprio niente»
«Ma deve esserci, altrimenti non saprei proprio che fare. Per te qual è l'asso nella manica, Ying?» domandò voltandosi verso l'amica, rimasta in disparte fino a quel momento.
La cinese la osservava già da prima che Erina si voltasse a guardarla, ma non cambiò affatto espressione quando si guardarono in faccia. «Non ne ho idea» scosse il capo quella. «Io torno a casa, ci vediamo» le disse quindi alzandosi dalla panchina e mettendosi la borsa sulle spalle
«Vai di già? E i fuochi?» domandò sbalordita
«Cominciano tra poco» spiegò Kokoro
«Sono stanca, Eri chan. Abbiamo fatto una partita faticosa. Ci vediamo» la salutò, leggermente alterata. Si inchinò verso l'altra ragazza, quindi si avviò nella stessa direzione per la quale era scomparsa Yun-seo.
Erina sospirò e non poté fare a meno di guardare l'amica di spalle che se ne andava a passo svelto. «Abbiamo detto qualcosa di sbagliato?» domandò Kokoro
«Non credo. Le parlerò più tardi, è la mia coinquilina» spiegò con un sorrisino poco convinto.
I bambini uscirono dalla sala giochi mentre discutevano di tentativi di baro, trucchetti poco leciti ai videogiochi e pura fortuna nelle vincite. Fortunatamente Kokoro sembrava saperci fare e guidò il gruppo fino alle sponde del fiume tenendo d'occhio tutti quanti, senza che infastidissero la sua chiacchierata con Erina: doveva aver intuito che i bambini non le andavano a genio. Si sedettero sul prato stendendo i teli di plastica che avevano portato e attesero l'inizio dello spettacolo mentre mangiavano dango e takoyaki bollenti.
Kokoro emanava un'aura luminosa e tranquilla. Le veniva da paragonarla al luccicare del sole riflesso sull'acqua, non avrebbe saputo come altro definirla. Erina, che aveva un carattere molto meno pacato, trovava nella sua compagnia una sorta di inaspettato rifugio e ogni suo atteggiamento sembrava avere il potere di tranquillizzarla, di renderla più consapevole di ciò che la circondava. Doveva riconoscere che tendeva a farsi piacere chiunque, indistintamente, eppure per una volta poteva affermare che non era solo quella sua predisposizione a creare una bella atmosfera tra di loro: lei e Kokoro erano molto diverse ma, per qualche strana chimica, l'atmosfera tra loro era un perfetto equilibrio di elementi opposti.

Tornò a casa con l'ultimo treno da Shibuya. La strada da Chiba a Shimokitazawa era stata lunghissima dato che si trattava di due cittadine ai lati opposti della vasta area della Municipalità di Tōkyō, e in quel modo aveva avuto tutto il tempo per riposarsi, seduta sui morbidi sedili dei treni mezzi vuoti. Quando rientrò, l'amica stava già dormendo. A mezzanotte ormai passata fece una doccia calda ed uscì dall'ofuro per sedersi al tavolo di casa con ancora addosso il grosso asciugamano della doccia e i ricci umidi liberi sulle spalle. L'acqua che aveva messo a scaldare stava cominciando a bollire quando sentì il cellulare vibrare dentro la borsa. Tenne la mano sul nodo dell'asciugamano, perché non si slacciasse, e si piegò a frugare nel borsone.
Quando vide sul display che il numero era sconosciuto ebbe la tentazione di zittire l'apparecchio: chi mai poteva chiamarla a quell'ora della notte? «Pronto?» chiese rimanendo accovacciata davanti al borsone aperto
«Erina san?» una voce squillante le rispose dall'altra parte
«Sakurai san?» domandò, rischiando di chiamare per nome il ragazzo tanta fu la sorpresa al sentire la sua voce
«Sì, buona sera!! Stavi dormendo?» chiese allegro, ma lei era tanto stupita da non riuscire ad articolare una risposta. «O dormi ancora adesso? » aggiunse non sentendola parlare
«No. Ci sono, scusa. È che sono un po' sorpresa» spiegò sbattendo le palpebre
«Vero? Non avrei dovuto chiamare a quest'ora. Perdonami!» esclamò, sembrava veramente su di giri. Se Erina non avesse saputo che il primo concerto doveva essere finito da circa due ore, avrebbe detto che sembrava ubriaco. Invece doveva essere l’adrenalina dopo ore di performance live a dargli tutta la carica che sentiva ancora nella sua voce.
«Non importa» scosse il capo
«Mi andava di sentirti» spiegò lui
«Hai fatto bene allora» cercò di rispondergli con voce ferma, nascondendo come quell'affermazione l'avesse invece imbarazzata. «Com'è andata?»
«È stato meraviglioso!» esclamò: sembrava che fino a quel momento non avesse aspettato altro che quella domanda. «Dovevi vederci! Il palco! E l'acqua! E le luci!! Non ho sbagliato nemmeno un passo, sai? »
«Perché? Di solito sbagli?»
«No. Cioè, a volte faccio dei movimenti un po' approssimativi, ma oggi ero proprio carico. Sentivo come un "ooooooh" in crescendo dentro la mia testa» le spiegò tutto eccitato. Evitò di fargli notare come la cosa suonasse vagamente inquietante; Erina lo trovava tenero mentre le raccontava di quella sera: era emozionato come un bambino, tanto su di giri da risultare difficile credere che potesse ancora reagire così dopo undici anni che faceva concerti live di quel genere. «E dovevi vederci dietro le quinte! Era un "oooooh" continuo tra tutti noi! Prima di uscire sul palco, mentre ci cambiavamo! È andato tutto liscio, incredibile! Hai fatto un lavoro magnifico!»
«Veramente io non ho fatto nulla» gli fece notare ridacchiando mentre si rialzava e andava a spegnere il fuoco sotto la teiera
«Come no? Sei tu che hai contattato tutti quelli che hanno gestito il concerto: ha funzionato tutto a meraviglia! Eccezionale! Davvero!! Persino il Rīdā non ha avuto problemi con il microfono!»
«Sul serio?» rise di cuore la ragazza. «Questo sì che è un evento! Evviva i microfoni funzionanti! A Matsumoto san è dispiaciuto non condividere con lui il suo?» domandò divertita
«Non gliel'ho chiesto! Ma abbiamo ancora la data di domani e quelle a fine mese, per non parlare degli impianti che dovremo allestire in futuro nelle altre tappe del tour: tutto può succedere no?»
«Anche questo è vero» annuì
«Ah, devo mettere giù. Sono quasi a casa» disse Shō
«Eri in macchina?» domandò stupita
«Sì, ho scaricato un po' di entusiasmo con i ragazzi, ma eravamo tutti stanchi e se abbiamo un concerto anche il giorno dopo non ci fermiamo a lungo a parlare per non stancarci ulteriormente. Mentre ero in viaggio però ho sentito di avere ancora un po' di emozioni da confidare»
«Capisco» si mordicchiò il labbro inferiore e versò l'acqua calda sulla bustina della tisana che aveva messo nella tazza. Il fatto che Shō avesse chiamato proprio lei per raccontare la sua esperienza e cercare un appoggio le dava una buona motivazione per montarsi la testa. Eppure non voleva illudersi troppo: il suo nome doveva essere semplicemente uno dei primi della rubrica del telefono dato che era improbabile che l'avesse scritto in kanji.⁵
«Ora credo di essere più tranquillo» spiegò mentre di sottofondo si sentiva la frenata della macchina. «Riuscirò ad addormentarmi più facilmente, spero! » ridacchiò
«Lo spero, mi sa che ne hai bisogno» annuì Erina girando il cucchiaino nella tazza
«Otsukare sama»
«Otsukaresama deshita» rispose lei. «Fate del vostro meglio anche domani»
«Sarà fatto. Buonanotte»
«Buonanotte» disse prima di chiudere la conversazione.
Bevve la tisana a piccoli sorsi continuando a ripetersi che dopo quella telefonata il loro rapporto suonava molto più intimo rispetto a quello che avrebbe dovuto esserci tra due semplici colleghi di lavoro, e si lasciò pervadere dalla gioia dell'aver ricevuto una sua chiamata dopo cinque giorni di silenzio.

¹ Monchicchi (che si legge chiaramente "monciccì") è una serie di bambole, create nel 1974, da cui hanno poi tratto anche una serie TV "Futago no Monchicchi", andata in onda in Giappone nel 1980. In Italia è andata in onda la prima volta nel 1986.
² Titolo originale dell'anime conosciuto in italia come "Hello Spank"
³ Si parla del laser game in cui sono andati Yun-seo e Sho nel capitolo 6 di Zakuro.
⁴ machigai=errore / mijikai=corto
⁵ L'ordine alfabetico giapponese è diverso dal nostro. Inoltre l'ordine automatico delle parole mette prima quelle in hiragana, poi quelle in katakana e infine i kanji. Solitamente i nomi delle persone sono scritti in kanji, ma Erina dà per scontato che, essendo i kanji del suo nome dei caratteri difficili, Sho abbia scritto il suo in hiragana o in katakana, ritrovandolo così tra i primi della rubrica.


Quasi finita la progettazione dei capitoli. in realtà ho ancora alcuni dubbi su alcune cose: scriverle o non scriverle? Dove metterle?
A parte questo, almeno l'80% di nuovi capitoli della storia è stato sistemato, per questo posso assicurare che come minimo i capitoli raddoppieranno. Se arriveranno ad essere 50 non lo so ancora, appunto perchè devo ancora sistemare un 20% e perchè devo, lo ammetto, devo ancora ideare un buon finale XD
Parlando di questo capitolo... è un po' di passaggio ed introduzione. E' stata la prima volta che le tre ragazze si sono trovate tutte insieme e si sono parlate, confrontate. Le "guardavo", le immaginavo sul marciapiede di una strada di Chiba. Mi sono emozionata.
Vi direte che c'è poco da emozionarsi dato che non è che succeda chissà cosa, ma io mi son sentita così. Era la prima volta che si affrontavano così le mie tre protagoniste. Quando ho scritto Zakuro e Ame non avevo mai pensato che ci sarebbe stata una terza ff in cui si sarebbe incontrate le ragazze. Inoltre, in quanto ideatrice dei loro profili psicologici (so che suona altisonante detto così, ma non saprei come meglio dirlo) mi sono sentita soddisfatta di come ogni parola e ogni reazione in questo dialogo rispecchiasse esattamente come pensavo avrebbero agito. Non avevo ideato niente del loro discorso, avevo in mente solo che si sarebbero incontrate e che avrebbero chiarito. Non sapevo chi sarebbe andato e chi sarebbe rimasto, le reazioni, le parole... niente. Hanno agito e hanno deciso da sole che Yun sarebbe andata via dopo aver lanciato la sua "sfida", che Erina sarebbe rimasta fino alla fine, etc etc...
Ok la smetto.

Quel che mi addolora cmq... è che siccome la ff è lunga è certo che non la finirò mai entro fine Giugno. Questo significa che se parto non andrò avanti a scriverla fino a metà settembre.
Anche se è bello pensare che scrivere una ff mi duri un anno! *_*
Vabbè è ancora presto per pensare a questo XD
gomen!

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Capitolo 23
*** 22. A Bitter Aftertaste ***


Quando Shō entrò nel camerino, tornando dai distributori del piano superiore, erano arrivati tutti. «Buongiorno» salutò verso Nino e Aiba
«Buongiorno» salutarono in coro i due senza però girarsi verso di lui: i parrucchieri erano impegnati a sistemare i loro capelli prima della registrazione, quindi non dovevano muoversi.
«Hai letto la terza pagina?» domandò Jun avvicinandoglisi. Shō gli prestò attenzione e si mise a chiacchierare tranquillamente con lui leggendo il canovaccio della puntata. Forse era presto per esserne sicuro dato che erano passati solo due giorni dal concerto, ma Shō aveva l'impressione che l'umore di Jun avesse cominciato a migliorare dopo il primo live: lavoravano duramente per dare emozioni dalle persone, ma anche il pubblico dava loro una grande forza. Era uno scambio in entrambe le direzioni: grazie a persone che credevano in loro, che contavano su quello che loro tentavano di trasmettere, anche gli Arashi erano capaci di andare avanti.
«Che espressione intensa» pronunciò Aiba che gli comparve al fianco, con il viso ad una manciata di centimetri da lui
«Che espressione cretina» ribatté Shō, girando appena il viso verso di lui. «Sei tanto vicino che stai strabuzzando gli occhi»
«Posso fare di meglio, guarda» ridacchiò incrociandoli ancora di più.
Risero entrambi mentre il parrucchiere che si era occupato di Nino uscì lasciandoli soli. «Dieci minuti e cominciamo!» annunciò un aiuto regia affacciandosi e richiudendo la porta
«Sì» risposero tutti in coro, ognuno alzando gli occhi da ciò che stava facendo, tranne Ōno che aprì un occhio senza muoversi dal divanetto. Rimasero il silenzio. Erano tutti allegri, ma parlavano poco. La stanchezza continuava a farsi sentire: non bastava un lunedì per riprendersi da un weekend di concerti, senza contare che il giorno prima sia Shō che Jun, a differenza degli altri, avevano lavorato.
«Ecco» d'un tratto la voce di Aiba ruppe la tranquillità del camerino
«Nh?» mugugnò Nino continuando a guardare la rivista che stava sfogliando invece di leggere il copione
«Avreste cinque minuti da dedicarmi?» domandò piano.
Quella domanda era insolita da parte sua: di solito se voleva attenzione faceva baccano o diceva una sciocchezza e l'aveva; se invece la chiedeva con tanto garbo significava che doveva dire qualcosa che voleva ascoltassero seriamente. «Che succede?» domandò Shō chiudendo il copione e appoggiandolo sul tavolo
«Niente, però desidero dirvi una cosa e vorrei che mi ascoltaste» spiegò con un sorriso tranquillo. «Dopo le riprese dovete scappare tutti?»
«Perché dopo?» domandò Nino. «Diccelo ora, no?»
«Ha ragione. Abbiamo tempo» annuì Jun.
Masaki spostò lo sguardo sul Rīdā, che era perfettamente sveglio e annuì per incoraggiarlo a parlare: Shō non poté fare a meno di chiedersi se quel furbo di Satoshi non sapesse già qualcosa. Aiba staccò la schiena dalla sedia, raddrizzandola, appoggiò le mani sulle ginocchia tendendo le braccia per assumere una posizione più composta. Guardò a terra e prese un respiro profondo prima di guardarli tutti «Mi sono fidanzato» annunciò. Trattenne il fiato per qualche secondo, prima di correggersi. «Cioè, detta così sembra una cosa ufficiale con anelli e tutto» scosse il capo, imbarazzato. «Voglio semplicemente dire che ho una ragazza»
«Sumire?» domandò Nino
«No, no. Lei non la sento da mesi ormai» scosse il capo Aiba. «Questa è una cosa seria: o meglio, per me lo è»
«Ma chi è?» domandò Shō. Tra tutti era il più sbalordito: non solo aveva sempre pensato che l’amico fosse innamorato di Erina, ma non aveva mai preso in considerazione che potesse avere altre donne per la testa.
«È» Masaki fece per riprendere a parlare
«No, aspetta: pasticciera!» esclamò Shō. C'improvviso si era ricordato di ciò che Aiba aveva detto al rinfresco, ma allora lui era troppo preso dal litigio con Erina e non aveva dato troppo peso a quelle parole.
Aiba sbatté le palpebre, sorpreso. «Come lo sai?»
«”Come sa” cosa? Ehi, cosa ci siamo persi?» chiese stizzito Nino. «Se non è Sumire, da dove spunta questa? Ammetto di averti preso in giro ultimamente per il tuo comportamento da adolescentello alla prima cotta, ma non pensavo fossi serio»
«Vuoi prenderlo in giro ora?» commentò Jun, incredulo
«Non è una cotta!» esclamò con decisione Aiba, stringendo le mani e chiudendole a pugno. Si zittirono tutti davanti a quell'uscita così convinta. «Sto parlando sul serio. Lei è una mia vicina, più o meno: si è trasferita nel mio stesso quartiere un po' di tempo fa, per questo ci siamo conosciuti» cercò di spiegarsi
«Quando vi siete conosciuti?» chiese Nino
«All'inizio della primavera di quest'anno. Ero stato mandato a comprare dei dolci da mangiare durante l'hanami¹ e lei lavora nella pasticceria tradizionale del quartiere»
«Ci stai prendendo in giro o è la verità?» domandò Shō, stranito
«È la verità, perché?» rispose Aiba, colpito da quella strana domanda
«È assurdo!» esclamò quello. «Sembra la trama di un manga per ragazzine» e Jun si disse d'accordo
«Però è così» insistette Masaki, arrossendo. «Mi piaceva e io piacevo a lei, ma non ci siamo messi insieme subito. Abbiamo passato tantissimi mesi senza conoscere i reciproci sentimenti. La prima a dichiararsi è stata lei, il mese scorso»
«A Luglio?» lo bloccò Ōno. «Quindi c'entra qualcosa con il fatto che hai passato due settimane senza mangiare dolci?» domandò aggrottando le sopracciglia
«Precisamente» annuì abbassando lo sguardo. «È successo perché non ho risposto subito alla sua dichiarazione. Sono stato combattuto per molto tempo, poi ho improvvisamente scoperto che sarebbe andata all'estero per due settimane e sono riuscito a dirle tutto solo prima che prendesse l'aereo» spiegò con serietà. «Poi è tornata e abbiamo avuto qualche incomprensione: non le ho mai scritto quando era via e si è arrabbiata» ammise vergognandosi. «Ma ci siamo chiariti, abbiamo dissipato gli ultimi problemi in questi giorni e adesso è tutto a posto, per questo ho pensato di potervi dire tutto solo ora».
Quando il suo racconto finì, i ragazzi ridacchiarono o tirarono un sospiro di sollievo. «Avevamo notato già da un po' che qualcosa bolliva in pentola» sospirò Jun. «Stavamo solo aspettando che ce ne parlassi tu volontariamente»
«Sei un libro aperto Aiba chan» annuì Nino. «Ma hai anche un modo tutto tuo di ragionare che non sempre capiamo, quindi abbiamo smesso di farci domande anche quando è chiaro che qualcosa non va, tanto sappiamo che al momento giusto vieni a dirci tutto. È quello che è successo, no?»
«Mi spiace di avervi fatto preoccupare» disse Masaki
«Va bene così» annuì Satoshi. «A noi vai bene così Aiba chan, non devi chiedere scusa» e tutti annuirono con un sorriso.
Il ragazzo li guardò uno ad uno, con le lacrime agli occhi. «Ragazzi!» esclamò commosso. «Vi voglio bene!». Gli altri risero.
«Si comincia!!» annunciò l'assistente affacciandosi al camerino e lasciando aperta la porta.
«Pensandoci, non vi sembra che sia proprio Aiba-style innamorarsi della ragazza della porta accanto?» domandò Shō ridendo di cuore mentre uscivano dalla stanza
«Dici sul serio?» chiese quello, colpito
«Hai ragione, è proprio da Aiba chan» rise Ōno avviandosi lungo il corridoio degli studi
«Quando ce la presenti?» domandò Nino con un ghignetto stampato in faccia
«Sembri un maniaco. Aiba chan non presentargliela» lo prese in giro Jun. «Non ci hai ancora detto come si chiama»
«Kokoro» disse Shō. «Adesso mi ricordo: al rinfresco per il concerto mi hai detto che ti piaceva una "Kokoro"»
«Tu sapevi e hai lasciato passare giorni e giorni senza dirci niente? Senza domandargli chiarimenti?» fece sbalordito Nino. «Sei imperdonabile! Come hai potuto? Come hai fatto? Io non sarei riuscito a dormire, divorato dalla curiosità»
«Sarà proprio per questo che tu non ne hai saputo nulla?» lo accusò Jun, che stava comunque ridendo di gusto
«Si chiama Hanayaka Kokoro» rispose Aiba, in tono orgoglio
«Hanayaka Kokoro, eh?» domandò pensieroso Ōno. «Caspita, che bel nome. Comunque lo si scriva ha un bel significato».²
Entrarono nello studio di registrazione e si fermarono prima del varco per l'entrata in scena, il direttore diede loro le prime indicazioni mentre gli operatori dietro le quinte istruivano il pubblico sui segnali che sarebbero stati dati loro. I ragazzi ringraziarono per la spiegazione e rimasero in silenzio, aspettando il segnale per entrare in studio.
«Aiba chan» Shō sentì Jun che richiamava l'amico a bassa voce, per non essere udito da altri oltre a loro. «Grazie per la sincerità»
«Ma che dici? Grazie a voi per avermi ascoltato. Ero un po' teso» ridacchiò spensierato quello
«So che non sono fatti miei, mi considererai un impiccione, ma volevo solamente assicurarmi che fosse tutto a posto tra te e questa Hanayaka san» fece con un mezzo sorriso. «Hai detto di aver aspettato a parlarle e che hai chiarito solo all'ultimo. Posso?»
«Parla» lo incitò l'amico
«Non farlo mai più» scosse il capo. «Forse ti sembrerò presuntuoso» farfugliò passandosi una mano sugli occhi. «Però non puoi mai sapere cosa succederà: non rimandare le cose importanti, non vorrei che tu avessi rimpianti. Capisci cosa voglio dire?» domandò piano. Shō, Nino e Satoshi, continuarono a guardare avanti a sé, rimanendo in silenzio.
«Sì, capisco» confermò Masaki con serietà.
Capivano tutti il significato profondo di quelle parole: non era presunzione, ma era una preoccupazione reale e sentita da parte di Jun e sapevano anche perché.

Erina uscì dalla sala riunioni che stavano ancora ridendo di gusto. «Allora vi ringrazio ancora per l'opportunità che ci avete offerto» diceva l'uomo con il viso abbronzato
«Grazie a voi per il prezioso aiuto, spero vogliate accordarcelo anche per le prossime date» disse Ogura uscendo dietro di lui
«Anche perché se non lo farete ci ritroveremo seriamente nei guai, si immagina un concerto al buio?» scosse il capo la ragazza, che veniva per ultima e chiudeva la porta.
L'uomo rise di gusto. «Potete contare su di noi anche per le date al Tōkyō Dome» li rassicurò. «Purchè la vostra segretaria sia ancora la signorina, ha una simpatia travolgente» disse con uno smagliante sorriso rivolto ad Erina. Lei arrossì e ringraziò con un inchino, poi, dopo altri innumerevoli inchini, l'ospite uscì dall'ufficio in compagnia del collega. Avevano discusso per ben due ore con il rappresentante della compagnia a cui avevano affidato l'allestimento e la cura delle luci del concerto: c'erano stati alcuni intoppi ed incomprensioni durante i due live di quel weekend e avevano chiesto un compenso maggiore a quello pattuito.
«Mi sembra che sia andata bene, sbaglio?» fece Kimura dalla sua scrivania
«Sì, abbiamo chiarito e probabilmente accetteranno il compenso pattuito all'inizio» annuì lei con un sorriso
«Certo che quando vuoi una cosa, riesci sempre ad ottenerla» ridacchiò il collega. «Si può sapere come fai?»
«Sono abile e scaltra» rispose arricciando il naso
«A me sembra piuttosto che tu abbia fatto colpo su di lui» ridacchiò.
Il telefono suonò in quel momento ed Erina si avvicinò alla scrivania per rispondere. Mentre parlava alzò lo sguardo verso i vetri dell'ufficio. Fuori cominciava ad essere scuro e poteva vedere così la sua figura riflessa debolmente sulla superficie trasparente delle finestre. Si sedette alla scrivania ed accavallò le gambe girandosi verso il resto della stanza: aveva preso il vizio di girare a destra e a sinistra sulle seggioline girevoli in dotazione.
Mentre guardava il riflesso dell'ufficio nei vetri si accorse della porta che si apriva. Il cuore le arrivò in gola e tornò giù in pochi secondi: Shō era comparso sulla porta, dopo aver bussato ed essere entrato silenzioso, sentendo che lei stava parlando. «Sì, sì, certamente» rispose la giovane distrattamente, prima di volgere il capo verso l'entrata. Si inchinò timidamente per salutarlo. «Può mandarceli via email, ha l'indirizzo vero?» diceva nel mentre.
Lui rispose con un sorriso, quindi le passò davanti per avviarsi alla scrivania di Kimura che lo salutò a mezza voce. «Shō kun, buona sera!».
Erina non riuscì a trattenersi dal guardarlo da capo a piedi, come se si nutrisse della sua figura. Dato che le era impossibile trattenersi ne approfittò anche per guardargli il fondoschiena.
«Non credevo che passassi» diceva il collega
«Buona sera. Sì, manca poco alla fine del vostro orario di lavoro, ma era tanto che non passavo e dopo il concerto non ho avuto modo di vedervi e ringraziarvi» spiegò il ragazzo.
Indossava una camicia a quadri, sbottonata, celeste chiaro, con sotto una canottiera grigia che gli rimaneva aderente al corpo mettendogli in risalto i pettorali. Ad Erina piaceva vestito in qualsiasi modo, ma quando lo vedeva entrare in ufficio in jeans, con quello stile così casual, si diceva sempre che se mai avessero avuto un appuntamento l'avrebbe voluto vestito a quel modo. Intanto ringraziò al telefono e interruppe la comunicazione.
«Buona sera Erina san» la salutò lui. Non si erano visti per giorni, dato che lui era stato risucchiato dal vortice di prove e impegni pre-concerto, così, dopo la loro promessa di essere amici, non avevano più avuto occasione di parlare.
«Che sorpresa Sakurai san, eri da queste parti?» domandò cercando di fingersi tranquilla
«Veramente no, ma mi sembrava giusto passare da voi»
«Dice di volerci ringraziare per il lavoro svolto, ma manca Ogura san» spiegò Kimura
«È uscito poco fa con un collaboratore, mi spiace. Siamo stati molto occupati anche noi» spiegò la ragazza
«Hai una copia dei risultati dei primi concerti?» domandò il giovane avviandosi alla scrivania assegnatagli, per posare lo zaino che si portava sempre dietro
«Sì, l'ho stampata oggi» si ricordò. Rovistò tra le sue carte e recuperò il plico con sopra il biglietto che riportava il suo nome. «Ecco» fece per alzarsi, ma se lo ritrovò inaspettatamente di fianco alla scrivania e sobbalzò. Era tesa dal momento in cui era entrato.
«Grazie» rispose Shō prendendo i fogli e guardando il post-IT giallo. «Questa volta non ci hai scritto niente?» domandò fingendosi deluso
«Come?» fece lei spaesata
«Sugli altri bigliettini mettevi delle frasi. Erano carine» spiegò
«Le ho stampate stamattina e non ho avuto modo di farlo» cercò di giustificarsi abbassando lo sguardo.
«Va bene, va bene, non importa. Però non mi dispiacevano» le disse divertito prima di tornare alla sua scrivania.

Si piegò sui fogli, incrociando le braccia sulla scrivania, e puntò gli occhi sulle prime righe, ma si mise a pensare a tutto, meno che a ciò che stava guardando. Mentre si mordicchiava il labbro inferiore si domandò perché fosse passato: il giorno dopo non avrebbe avuto niente da fare dopo pranzo, quindi perché non aveva resistito e rimandato ad allora? Doveva essere sembrato un cretino dato che si era presentato all’ultimo momento, quando mancava un’ora e avrebbero tutti finito di lavorare. Chi mai sarebbe andato in ufficio alla fine della giornata lavorativa?
Piegò il braccio per appoggiare la guancia ad una mano e alzò gli occhi per guardare verso la finestra. Il fatto che fuori fosse ormai scuro gli dava la possibilità di vedere l'ufficio riflesso nei vetri e quindi di sbirciare i movimenti di Erina senza rischiare di essere visto da lei. Indossava una camicia bianca a maniche corte e una gonna di seta color indaco che le stringeva il corpo partendo poco sotto il seno, finendo quasi al ginocchio. La stoffa leggera si piegava ad ogni movimento e lei doveva essersi seduta con poca attenzione, così il bordo della gonna si era sollevato leggermente. Quando era entrato in ufficio la prima cosa che aveva notato erano le sue gambe snelle, allungate dalle eleganti scarpe bianche col tacco. Non si capacitava di come facesse a camminare con quelle trappole ai piedi, ma ogni volta che vedeva le sue gambe cominciava a fantasticare. Apparentemente comunque era riuscito a nascondere l'effetto che gli aveva fatto quella visione: la guardò muoversi per l'ufficio, poi si costrinse a degnare di un'occhiata veloce il lavoro che aveva stampato per lui.
Non sapeva bene come comportarsi: ormai non doveva trattenersi perché Aiba era innamorato di lei, ma non poteva escludere che le potesse piacesse qualcuno di cui lui non conoscesse l’esistenza.
I suoi occhi erano fermi su una riga del foglio, la rilesse una paio di volte e aggrottò le sopracciglia, quindi, pensieroso, si alzò dalla scrivania e si avvicinò a quella della ragazza. «Sì?» domandò lei, dopo che Shō si era fermato al suo fianco senza dire niente, continuando a guardare il foglio.
«Scusa» si riscosse il ragazzo. «Puoi spiegarmi un attimo questi conti? Non riesco a capire» disse appoggiando i fogli davanti ad Erina
«Certamente, quali di preciso?» chiese abbassando lo sguardo sulla tabella
«Queste righe qui, forse mi sfugge qualcosa dell'accordo?» domandò piegandosi ad indicarle la riga. La giovane rimase qualche secondo in silenzio a rileggere il punto indicato poi annuì e cominciò a spiegare, ma furono quegli attimi di silente rilettura a dare a Shō l'occasione di distrarsi di nuovo: si era piegato abbassandosi su di lei, così era finito con l'avvicinarsi più del normale. I ricci che erano sfuggiti alla crocchia sulla nuca della ragazza le dondolavano piano lungo il collo bianco e lui si era fermato a guardarli, respirando il profumo dello shampoo. Seppur ammaliato da quella visione, era ancora abbastanza lucido da rendersi conto che il tono della voce di Erina si stava esaurendo, segno che la sua spiegazione sarebbe presto finita. «Puoi chiarirmi anche questo punto?» domandò a mezza voce, indicando una riga qualsiasi di una tabella a fondo pagina. La ragazza sembrò irrigidirsi per qualche secondo, quindi annuì e riprese a parlargli. Lieto di aver allungato facilmente quell'attimo, continuò a guardarle la pelle chiara e seguì con gli occhi la linea morbida del collo, sbirciando il punto in cui si univano le clavicole.
«Comunque c'è una tabella riassuntiva a fine fascicolo, ho pensato fosse comodo farla in casi come questo» concluse Erina girandosi verso di lui. «Va bene?»
«Nh?» sbatté le palpebre e la guardò. La distanza tra loro era troppo breve per una semplice chiacchierata di lavoro e la vide arrossire non appena incrociò il suo sguardo.
«Sì, penso di sì» annuì Shō sorridendo, leggermente divertito: non si chiese se lei avesse notato o meno dove stava guardando, era eccitante vederla arrossire. Non poteva sapere se provasse qualcosa per lui, ma perlomeno non era indifferente. Riprese il suo foglio e la ringraziò tornando alla sua scrivania.

Erina si riempì un bicchiere con l'acqua della bottiglietta che aveva sulla scrivania, facendo dei lunghi respiri per calmarsi. Aver visto Shō da tanto vicino senza potersi preparare psicologicamente era stato piuttosto emozionante, anche se non poteva fare a meno di chiedersi se avesse ascoltato ciò che gli aveva detto: le era sembrato con la testa da tutt'altra parte. Arricciò il labbro inferiore, ma si mise una mano sul collo, accarezzandolo. Aveva sentito il suo respiro sulla pelle e non aveva potuto fare a meno di arrossire, bloccata dall’emozione quando lo aveva sentito parlarle praticamente nell'orecchio. Socchiuse le labbra e fantasticò su quali parole avrebbe voluto sentirsi sussurrare da lui, ma ci pensarono i movimenti di Kimura a risvegliarla prima che si spingesse troppo in là con la fantasia. «Io comincio ad andare o perdo il treno. Ci vediamo domani Erina san» salutò l'uomo spegnendo la luce della scrivania e raccogliendo rapidamente le sue cose. «Shō kun, organizziamo una nuova uscita tutti insieme così potremo festeggiare tra noi»
«A presto Kimura san, otsukaresama deshita» salutò Shō inchinandosi
«Otsukare, otsukare» rispose quello trafelato, prima di uscire. Il rumore secco della porta che si chiudeva sembrò rimbombare nell'ufficio, la cui aria cominciò a farsi tesa: Kimura li aveva lasciati soli.
«Ah!» esclamò l'uomo riaprendo la porta. Sia Erina che Shō saltarono sulla sedia. «Scusate» ridacchiò. «Dicevo, ricordati che se hai bisogno, puoi lasciare i fogli sulla mia scrivania prima di andare» fece rivolto ad Erina prima di sgusciare nuovamente fuori dalla porta.
Entrambi rimasero a guardare l'uscio con gli occhi sgranati. «Diavolo! Mi ha fatto prendere un colpo!» esclamò Shō
«Anche a me, Kimura san è ninja»
«Tu hai sentito che abbassava la maniglia?» domandò stupito
«Per niente»
«Come fai a lavorare con questa gente paurosa?» ridacchiò Shō scuotendo il capo
«Solo Kimura san è così. Ogura san inciampa sempre dappertutto, quindi c'è quasi sempre qualche rumore a precedere il suo arrivo» spiegò Erina riflettendo. «Per quello ci meravigliamo sempre del passo leggero di Kimura san. Un giorno a pranzo abbiamo ipotizzato la scala gerarchica dell'antica famiglia Ninja dei Kimura» rise ricordando quei momenti di svago sul lavoro
«Voglio saperla anche io un giorno» si impuntò Shō. «Accidenti! Sembra che vi divertiate un sacco voi tre, mi piacerebbe essere più presente!» esclamò con un sospiro, chiudendo i fascicoli.
Erina non rispose subito, ma spense il computer e la luce sulla scrivania. «Farebbe piacere a tutti averti con noi, ma hai già tanto da fare. Il vostro è un lavoro importante, tante persone contano su di voi: non puoi deluderle» spiegò pacata la ragazza mentre sistemava i fogli e le penne
«Forse hai ragione, non dovrei lamentarmi. Non è giusto, infondo sono uno dei pochi al mondo che fa un lavoro divertente. A volte non sembra nemmeno un lavoro» rifletté
«Però siete diventati molto famosi e dovete mantenere un certo standard, non dovete deludere le aspettative del pubblico: queste cose non ti pesano?» domandò alzandosi e mettendo gli ultimi fascicoli sulle scrivanie dei colleghi. «Io spesso devo solo contare dei numeri. È una responsabilità, ma non è più difficile avere a che fare con le emozioni delle persone?». Shō non le rispose e lei rimase in silenzio a chiedersi come fossero passati da una situazione tesa, a parlare di sciocchezze e poi ancora di cose serie. «Forse ho parlato troppo» sospirò non sentendo alcuna risposta dal ragazzo e recuperò la borsa
«No, scusa. Stavo solo riflettendo» rispose infine. «Hai detto delle belle parole e sono rimasto colpito, non l’avevo mai pensata in questi termini» sorrise alzandosi dalla sedia a sua volta
«Grazie» farfugliò Erina abbassando lo sguardo e avviandosi verso la porta dell'ufficio. Le faceva piacere aver avuto quella discussione, ma realizzò che avrebbe anche potuto approfittare del momento dato che non capitava spesso di rimanere da soli, ma cosa gli avrebbe potuto dire: “Non ti sembra che faccia caldo in questo ufficio”? Scuotendo il capo, fece per aprire la porta, ma lo spiraglio creato si richiuse subito dopo, sotto la spinta della mano di Shō. Le era arrivato al fianco e l'aveva trattenuta. «Sì?» domandò guardandolo stupita.
Solo con quei tacchi vertiginosi Erina arrivava alla stessa altezza del giovane e poteva guardarlo negli occhi senza problemi. La guardava con serietà e decisione, ma in pochi attimi quella compostezza parve sciogliersi come neve al sole. Il ragazzo abbassò lo sguardo e scosse il capo. «Niente, niente. È solo che mi chiedevo se avessi la serata libera» spiegò parlando rapidamente. «Cioè, non oggi. Intendo uno di questi giorni»
«Una serata libera?» chiese Erina senza fiato
«Sì»
«Io?»
«Sì» rispose Shō aggrottando le sopracciglia.
Erina non credeva alle sue orecchie. «Cioè, scusa se te lo chiedo. È solo che vorrei capire bene» provò a formulare una domanda sensata. «Ma è una domanda fatta così, tanto per sapere cosa scrivo sulla mia agenda degli impegni, oppure mi stai chiedendo di uscire?»
«No, sto facendo una ricerca per il mio prossimo servizio: "Cosa fanno in media le giovani tokyote la sera"» rispose Shō storcendo il naso
«Oh» annuì lei
«Ma "oh" cosa? Ti sto prendendo in giro!» esclamò il ragazzo
«Ho capito» annuì lei confusa. «E quindi?». Si rendeva conto di suonare cretina, ma già l'ipotesi che Shō le potesse chiedere di uscire le mandava in tilt il cervello, se poi lui cominciava a confonderla e a prenderla in giro, non ci avrebbe capito niente.
«Ti sto chiedendo di uscire» ammise infine il giovane. «Volevo chiedere a Jun di fare un’uscita tranquilla e ho pensato che accetterebbe più facilmente se uscisse con persone che non sono del nostro ambiente» le disse staccando la mano dalla porta
«Ammetto di non capire» fece Erina. «Cosa c'entra Matsumoto san?»
«Ecco, negli ultimi mesi era giù di morale, ma da domenica sembra stare meglio. È anche venuto al piccolo party con lo staff, sabato sera dopo il primo concerto. Pensavo che stavolta potrebbe accettare» cercò di spiegarsi
«Dovremmo uscire io, te e Matsumoto san?» chiese con la voce che le si alzava di un'ottava. Uscire loro due era con conto, uscire lei e due membri degli Arashi era un altro, ma entrambe erano delle vere e proprie botte di fortuna.
«Se non devi scappare a casa ti spiego» fece lui accennando ad uscire in corridoio. Erina annuì. Chiusero le luci e si avviarono in silenzio verso l'ascensore. Oltrepassarono le porte scorrevoli e Shō schiacciò il pulsante del piano terra. «Per quel che ne sappiamo noi, sono quasi due mesi che Matsujun non esce. Rifiuta i nostri inviti; gentilmente, ma li rifiuta. Noi siamo stati comprensivi e non abbiamo insistito, ma dopo un po' abbiamo smesso di chiederglielo, pensando che anche per lui non dovesse essere facile rifiutare ogni volta»
«Credo che avrei avuto la vostra stessa reazione» annuì Erina. «E il fatto che il suo umore sia migliorato dopo i concerti ti ha spinto a pensare che ora invece potrebbe accettare?»
«Sì, o perlomeno vorrei fare un tentativo» annuì Shō
«E perché mai con me? Nemmeno ci conosciamo» domandò sorpresa
«Per quello. Magari uscire con qualcuno con cui non ha bisogno di fare grandi discorsi lo aiuta. E poi, ad esser sincero» fece una pausa squadrandola. «Sei l'unica persona che conosco che piaccia a chiunque incontri, quindi è praticamente impossibile che non si trovi bene con una tipa adattabile come te, Erina san»
«Spero che sia un complimento» bofonchiò dubbiosa
«Lo è, per lui sarà come avere un secondo Aiba. E loro due vanno molto d'accordo!» rise divertito il ragazzo
«Ehi, no! Questa non era carina!» esclamò indispettita. «E poi, scusami, ma non credo sia il caso di uscire da sola con due uomini»
«Pensi che potremmo farti qualcosa?» la guardò incuriosito mentre si aprivano le porte dell'ascensore. «Non potremmo mai. In quanto idol dobbiamo avere sempre comportamenti responsabili».
«Proprio per questo. Nello sfortunato caso in cui dovessero scoprirci, non sarebbe bello se si scoprisse che due membri degli Arashi sono usciti con una sola ragazza»
«Pensi che con due sarebbe meno scandaloso?» domandò lui con un risatina nervosa
«Penso che con due donne uno scandalo per un ménage à trois sia evitabile e che sia più plausibile l'idea di un'uscita tra amici» spiegò attraversando l’atrio e oltrepassando le porte, arrivando all'aperto. L'aria calda che si alzava dal marciapiede era irrespirabile.
«E tu pensi di conoscere qualcuno che sappia comportarsi in maniera normale se uscisse con due personaggi famosi?» domandò il ragazzo con il tono di chi è poco convinto.
Erina rimase in silenzio, pensierosa. Si erano fermati entrambi davanti all'entrata della JE. «Intanto dimmi quando» sospirò e prese il cellulare dalla tasca cercando il calendario
«Il ventinove sera?» propose lui. «Credo che Matsujun non debba registrare e noi non dovremmo alzarci troppo presto il giorno dopo»
«È domenica, non posso: ho gli allenamenti» scosse il capo la rossa. «Possiamo fare tra una settimana? La sera del martedì è sempre tranquilla per voi e il mercoledì mattina le riprese non cominciano molto presto, giusto? Inoltre in un giorno feriale c'è meno gente in giro la sera» rifletté guardando il calendario
«Sì, hai ragione. Non avevo pensato al fatto che fosse un week end» annuì. «Quindi il trentuno?» lei annuì. «Va bene, lo propongo a Jun. Tu sapresti trovare qualcuno di libero il martedì sera?» sembrava sempre un po' scettico.
Erina guardò il calendario: chi mai se la sarebbe sentita di uscire a bere qualcosa nel mezzo della settimana? Chi, tra le persone che conosceva, non avrebbe fatto scenate di panico al dover uscire con dei personaggi famosi? «Trovata!» esclamò d'improvviso. «Lei va benissimo, ne sono certa. Lascia fare a me» sorrise
«Va bene mi fido» annuì rincuorato. «Ti ringrazio per aver accettato, mi aiuteresti molto» si inchinò leggermente. «Posso darti un passaggio a casa?»
«Accetterei volentieri, ma si vede lontano un miglio che hai bisogno di riposare. Vai diretto a casa e dormi» scosse il capo. Sarebbe tornata con lui, ma doveva essere stata una giornata difficile per Shō e non se la sentiva di assecondare un capriccio personale a discapito della sua salute.
«Sakurai san» domandò dopo che si furono salutati, prima che ognuno si voltasse per andare nella propria direzione. «Sono indiscreta se ti chiedo il motivo per cui Matsumoto san era triste in questi mesi? Suppongo fosse uno dei motivi per cui non è stato lui ad occuparsi dell'organizzazione insieme a noi» rifletté
«Non se n'è occupato lui perché ha il drama da girare: sono molti anni che non ne fa uno in estate, quindi non si è mai posta la questione prima d’ora. Per come è fatto lui, credo avrebbe fatto entrambe le cose in una situazione normale, ma immagino che sia stato il suo stato d'animo ad indurlo a prendere questa decisione finale» spiegò Shō stringendo la mano sulla cinghia dello zaino che gli pendeva da una spalla
«Te lo chiedo solo per evitare di fare delle gaffe quando usciremo. Non mi sto lamentando del fatto che non abbiamo lavorato con lui: anche tu stai facendo del tuo meglio» aggiunse con un filo di voce.
Shō le sorrise, ma improvvisamente sembrò un sorriso triste invece che divertito o dolce, com'era di solito. Rimase in silenzio qualche secondo, fissando il cielo scuro e le cime dei palazzi illuminati del quartiere di Akasaka. «Ai primi di Luglio è morta una persona a cui teneva molto» disse poi, tutto d'un fiato.

¹ L'hanami, come dice il suo stesso nome (hana -fiori- mi -guardare) è la tradizione di fare un picknick sotto i ciliegi per osservarne la fioritura
² Si fa riferimento al fatto che i nomi giapponesi vengono scritti con i caratteri cinesi e che spesso il significato dei nomi dipende quindi dai caratteri usati. Per scrivere il nome di Kokoro ci sono molte possibilità, ma tutte le combinazioni di caratteri possibili hanno dei significati molto belli.


Ma perchè pubblico sempre di notte O_o
Mah XD
Mi piace questo capitolo *sorrisetto malizioso* ma lascio a voi i commenti.
Io invece dirò che già tempo fa mi ero messa a pensare ai nomi dei personaggi femminili scritti in kanji. Il cognome di Kokoro era stato pensato già un anno fa, anche prima di scrivere "Ame". Era un bellissimo cognome che avevo trovato e che volevo usare prima o poi: lei è perfetta per averlo. Dopodichè, parlando di Akai ito in particolare, il nome di Tomomi è stato il primo che ho pensato in kanji. Sapevo già come si scriveva e proprio per come viene scritto stava bene su di lei. Poi quando ho cominciato a scrivere questo capitolo ho risolto che dovevo cominciare a scegliere anche i nomi delle altre e quelli per i cognomi (chi sa il coreano sa che anche i loro nomi hanno dei corrispettivi hanjia, quindi anche Yu-yun ha i suoi ^.^).
E' stato divertentissimo! XD
Ok scusate questa divagazione °_° non gliene frega niente a nessuno lo so >__<
Ma se esistesse qualcuno interessato farò la spiegazione dei kanji scelti ^^"
Altra cosa che non frega a nessuno: è da quando scrivevo Ame che volevo far dire a qualcuno che mettersi con la vicina di casa era una cosa molto da Aiba. Sono felice!! (solo io ho simili stupide felicità per dettagli così ridicoli o.o)
Enjoy! (?)

P.S. il capitolo è dedicato a a nakashima. che è ammalata con una febbre preoccupante >.< rimettiti presto!!

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Capitolo 24
*** 23. Restless Fears turn your Blue Skies into Grey ***


Il giorno del rinfresco Aiba aveva accompagnato Kokoro a casa, in taxi, e le aveva chiesto se poteva passare a salutarla qualche sera, dato che per un po' di tempo sarebbe stato impegnato con i preparativi del concerto e non avrebbero avuto molte occasioni per vedersi.
La settimana successiva quindi aveva sempre preso un taxi ed era tornato a Chiba invece di tornare alla JH con gli altri dopo le prove allo stadio. Il problema fu che le loro prove durarono svariate ore, così certi giorni arrivò a casa della ragazza anche alle due di notte! Salutarla e tornare a dormire in città sarebbe stato abbastanza stancante per farlo desistere da quelle visite, così si era fermato a dormire occupando il divano, non perché Kokoro non lo volesse in camera -o almeno sperava non fosse per quello- ma perché ogni sera faceva giusto in tempo a salutarla e sedersi prima di cadere addormentato.
Erano andati avanti così tutta la settimana e Kokoro ogni volta l'aveva accolto con l'espressione mezzo addormentata e l'aveva fatto accomodare sul divano pur sapendo che si sarebbe addormentato non appena gli avesse dato le spalle, ma non si era mai arrabbiata per via degli orari a cui lui si era presentato.
Nonostante l'avesse quasi trattata come il portiere notturno di un albergo, la mattina Aiba si risvegliava sempre circondato dai cuscini, con un lenzuolo addosso e una colazione al sacco pronta sul tavolinetto. L’unico modo che aveva trovato per contraccambiare quelle gentilezze era stato sistemare il divano, prendere il cibo e uscire lasciando tutto in ordine. Insomma, anche se quelle visite erano state architettare per vedersi di più, si erano incrociati solo per pochi minuti e non avevano parlato quasi mai, essendo entrambi troppo stanchi.
La settimana dopo il weekend di concerti, Masaki era tornato alla JH e aveva ripreso il solito ritmo di lavoro. Poi il mercoledì si era riposato a sufficienza per realizzare di aver sfruttato Kokoro per cinque giorni e di non averla più contattata nei cinque successivi: non era stato molto carino. Consapevole della sua colpa non aveva trovato il coraggio di chiamarla, quindi le aveva scritto, ma lo scambio di mail era stato piuttosto freddo.

2010/08/25 03:16 p.m.
A: ChibiKo
Titolo: In un momento di calma…
È stata una settimana dura ε=(´・`) Finalmente ho potuto riposarmi un po’. Grazie di tutto

2010/08/25 06:43 p.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: In un momento di calma…
Otsukaresama deshita. Ti meriti un po’ di riposo

2010/08/25 06:56 p.m.
A: ChibiKo
Titolo: Re: Re: In un momento di calma…
Sei arrabbiata?|・;)Spero di no! Il 27 mattina sono libero, ti va di vederci? (°////°)

2010/08/25 07:03 p.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Re: In un momento di calma…
È un venerdì, io lavoro

2010/08/25 07:21 p.m.
A: ChibiKo
Titolo: Ti preeeego!!
AAA━━Σ(゚Д゚|||)━━RGH! È VERO! Ma potresti chiedere un permesso, no? Solo mezza giornata! La mattina non ci saranno tanti clienti, vediamoci di mattina

2010/08/25 07:26 p.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: Ti preeeego
Non è così facile, non posso lasciare da sola la maestra

2010/08/25 07:32 p.m.
A: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Ti preeeego
○| ̄|_ Beh, ma puoi provarci, no? Chiedile se la va bene… altrimenti troveremo un altro modo. Però prima fai un tentativo

2010/08/25 07:40 p.m.
Da: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Re: Ti preeeego
Le parlerò domani mattina e ti farò sapere

2010/08/25 07:42 p.m.
A: ChibiKo
Titolo: Re: Re: Re: Re: Ti preeeego
Yeah! Aspetto la tua mail (≧∇≦)

Il giovedì a pranzo era arrivata la conferma. Masaki le aveva mandato ora e luogo dell'incontro ed era rimasto sulle spine tutto il tempo: sapeva di essere colpevole e temeva una sfuriata, ma era convinto che se Kokoro fosse stata realmente arrabbiata, non avrebbe mai risposto alle sue mail né avrebbe accettato di vederlo.
Si calcò il cappellino sulla testa spostando di lato la visiera e continuò a bere la bibita dalla cannuccia. Sudava tantissimo mentre si allontanava dal banchetto del "Mr. Bean" di Shibuya con un bicchiere medio di bibita fresca in mano: sul treno era rimasto dalla parte colpita dal sole e l'aria condizionata non era servita a nulla. Passò per il bagno della stazione per sistemarsi e respirare profondamente, ma non ci fu niente da fare: era nervoso, nonostante avesse avuto ben sette giorni per prepararsi psicologicamente!
Borbottò qualcosa a denti stretti mentre si avvicinava ai tornelli del controllo biglietti, passò il suo e superò la barriera. Uscì dalla stazione di Shibuya spingendosi gli occhiali da sole sul naso e guardandosi in giro. Scrutò tra le poche persone che passavano per la piazza di Hachiko davanti alla stazione e infine la vide: Kokoro indossava un vestito leggero, lungo fin sopra il ginocchio e dalle maniche a tre quarti, color rosa e crema. Leggeva un libricino che teneva con una sola mano, mentre una borsa bianca le dondolava dal braccio piegato. Da lontano gli sembrò più alta del solito, ma quando si fu avvicinato si rese conto che era solo un’illusione data dai tacchi e dalle gambe lasciate più scoperte rispetto a quando indossava la divisa del lavoro. E nonostante le scarpe, lui continuava a superarla di qualche centimetro.
Prima di distoglierla dalla sua lettura rallentò e abbassò le lenti degli occhiali da sole per guardarla, quasi con soddisfazione. Kokoro gli sembrava sempre più carina ogni volta che la rivedeva ed era sicuro che, se non fosse stato venerdì mattina ma sabato pomeriggio, qualche ragazzo l’avrebbe già avvicinata.
Come se gli avesse letto nel pensiero, un uomo si avvicinò a lei ed Aiba si mise subito sull'attenti, pronto a rivendicare la sua proprietà. Vide Kokoro alzare lo sguardo dalle pagine e ruotare il polso per guardare l'orologio bianco che portava al polso. I due si scambiarono un inchino e Masaki tirò un sospiro di sollievo: le aveva solo chiesto l'ora!
La ragazza stava per abbassare nuovamente gli occhi sulla pagina ma doveva aver intuito che qualcuno la stava fissando, infatti, dopo qualche attimo passato a scrutare le persone che le passavano davanti, individuò Masaki e lo guardò stranita: non lo aveva riconosciuto. Probabilmente vedeva solo un ragazzo fermo in mezzo alla piazza che la fissava. Si guardarono per qualche secondo, poi lui aprì le labbra per lasciar andare la cannuccia e sorriderle, decidendosi finalmente a muovere una mano per salutarla. Le si illuminò il viso e si mise a ridere divertita, con una mano davanti alla bocca. «Buongiorno. Perché ridi?» le domandò quando la raggiunse
«Aiba san, buongiorno» rispose facendo un piccolo inchino. «Niente, è che sembravi un pazzo guardone» ridacchiò
«Prego?» fece scuotendo il bicchiere ormai vuoto
«Un tizio sospetto con gli occhiali da sole mi fissa, cosa dovrei pensare?»
«Che hai affascinato uno sconosciuto, che mi sto sentendo male, che sono un alieno che cerca di comunicare telepaticamente» suggerì. «Non un pazzo guardone!».
La giovane lo guardò con le sopracciglia sollevate. «Dubito che la gente ipotizzi prima di tutto quelle scemenze»
«”Affascinare qualcuno” è una scemenza?» chiese stupito
«Non di per sé» rispose
«Pensi di non essere abbastanza carina?»
«Cambiamo discorso?» propose abbassando lo sguardo. «Sei sicuro che possiamo incontrarci qui?»
«Se non teniamo nessun comportamento strano, sì. È venerdì mattina, molte persone lavorano o sono a scuola, chi passa per Shibuya nei giorni lavorativi ha poco tempo di guardarsi intorno e far caso a tutti quelli intorno a sé»
«È comunque un grosso rischio, no?» chiese apprensiva
«Vado spesso in giro con gli amici, anche in quartieri molto affollati: non è mai successo niente. Qualcuno mi ha riconosciuto quando sono andato al cinema da solo però» spiegò stringendosi nelle spalle
«Allora mi fido di quel che dici tu, saprai come comportarti» annuì Kokoro. «Andiamo quindi?»
«Andiamo» annuì Aiba con un sorriso, pronto a seguirla. Lasciarono la piazzetta di Hachiko e si avviarono verso l'incrocio mentre la ragazza cominciava a raccontargli la sua settimana. «Dove vuoi andare?» chiese Masaki mentre attraversavano
«Voglio fare una cosa divertente, ma non voglio anticiparti nulla!» annunciò ridacchiando tra sé
«Così mi incuriosisci» sbuffò lui. «Ah! Andiamo allo Sweet Paradise!» propose
«Lo conosci?» domandò lei sorpresa, scansando una persona mentre camminavano
«Certo che sì! Chi non lo conosce a Tōkyō?» rise. «E poi non ho fatto colazione» le spiegò mentre rallentava per rimanere un poco più indietro
«Io nemmeno, pensavo giusto di andarci» spiegò colpita, mentre cercava di seguire con lo sguardo i movimenti di Aiba che passava alla sua destra, mettendosi così tra lei e le altre persone che potevano venirle addosso.
«Allora è telepatia» spiegò allegro lui. Kokoro non rispose, arrossendo leggermente nel notare quel piccolo gesto di cavalleria da parte del ragazzo.
Si fermarono davanti alla Tower Records e lei andò diretta all'ascensore. «Per la verità di solito andavo all'HMV, ma ha chiuso cinque giorni fa»
«Davvero?» domandò schockato Masaki. «Accidenti, ci ho comprato il mio primo CD quando ero ragazzo»
«Era il vostro?» lo prese in giro Kokoro
«No, a noi mandano una copia gratis di tutto quello che facciamo» spiegò tranquillo e quando la guardò in faccia la vide tanto sorpresa che ebbe timore di aver detto qualcosa di sbagliato. «Cosa?»
«Niente, sei fortunato. Le fan devono sempre comprarsi tutto, immagino» rifletté girandosi verso le porte dell'ascensore che si aprirono al primo piano. Dalle grandi vetrate entravano i raggi del sole, già abbastanza alto in cielo da superare con la loro luce i grandi edifici dall'altra parte della strada.
«Ho uno stipendio anche grazie a quello» annuì Aiba. «Siamo sempre grati ai fan»
«Significa che io ti sto per dare lo stipendio?» mormorò a bassa voce, in parte divertita. Lo guidò tra i vari scaffali per arrivare a quello dedicato alle uscite dell'agenzia, dove la scritta "JOHNNY'S" le segnalava. «Ecco» fece Kokoro indicandoglielo
«Cosa cerchi?» domandò Aiba guardando i cartellini colorati e scritti fitti che indicavano i vari CD e singoli
«Ti ho detto che ho comprato un paio di singoli, vero? Voglio ascoltarne un altro, ma devi consigliarmelo tu» gli spiegò
«Cosa?» fece spaesato. «Io? Ma non sono un esperto di musica»
«Che scemo!» rise quella. «Magari non lo sei, ok, ma almeno i vostri CD li conoscerai! Mi sembrava divertente farmi consigliare da te qualcosa di tuo»
«Io? Consigliarti qualcosa degli Arashi?» si indicò da solo, puntandosi il dito contro il naso, incredulo. «Come ti vengono in mente certe idee assurde?»
«Dai, fai finta che non siano tuoi e consigliamene uno» lo incoraggiò.
Entrambi si accovacciarono davanti allo scaffale, occupato interamente dalle uscite del gruppo, ed osservarono le copertine. Nonostante in un primo momento sembrasse strano, alla fine Masaki ci prese gusto e cominciò a fingersi un grande critico di musica indicando una lunga lista di possibili pecche di ogni loro uscita. Lei lo ascoltava ridendo e cercava di elencare lati positivi, ma tutto sommato non era una grande esperta di Arashi, quindi non riusciva a ribattere con affermazioni decisive come quelle del ragazzo. «Insomma, non c'è mai niente che vada bene in questi Arashi» sospirò alla fine Kokoro. «Come faccio a scegliere cosa comprare?»
«Non comprare niente, te l'ho detto: questi cinque tizi non fanno altro che giocare tutto il tempo, come puoi chiamarli professionisti? Hanno sfondato solo per il loro aspetto» Aiba scosse il capo
«Non si salva nemmeno un piccolo singolo?»
«No, prendi qualcosa degli Hey! Say! JUMP piuttosto» ridacchiò, indicandole l'album uscito pochi mesi prima
«Sei crudele nei loro confronti! Io credo invece che siano persone che si impegnano molto. Al massimo... ecco questo qui, tra tutti» gli indicò il suo viso sulla copertina di "Happiness". «Ha proprio l’aria di uno scansafatiche» rise
«È il peggiore di tutti, credi a me» annuì Masaki con decisione, cercando di trattenere le risate
«Scusate» sentirono sussurrare alle loro spalle.
Kokoro si voltò e alzò lo sguardo trovando una cliente in piedi dietro di loro. «Ci scusi, siamo proprio in mezzo» disse alzandosi in piedi e facendosi da parte. Aiba la imitò e abbassò un poco la visiera del cappellino, girando lo sguardo dall'altra parte.
«Non siete fan degli Arashi, vero?» domandò la sconosciuta mentre prendeva una copia di "To be Free"
«Ecco» farfugliò Kokoro stringendo tra le mani la borsa bianca
«Non ho potuto fare a meno di ascoltarvi, mi dispiace» ammise quella facendo un mezzo inchino. «A me piacciono molto, li seguo dal 2004, da quando Aiba chan lesse una sua lettera al gruppo, durante un programma televisivo». Kokoro lanciò un'occhiata rapida verso il ragazzo in questione, ma lui non mosse un muscolo: teneva le mani in tasca e ascoltava con fare distratto. «Mi ha commosso molto e allora ho capito che non mi trovavo davanti a dei semplici cantanti, ma che era un gruppo di amici. Quando poi ho ascoltato con attenzione la loro musica ho capito che non erano solo dei bei ragazzi, ma che avevano anche un animo splendente e che lo mostravano proprio tramite le canzoni» spiegava quella, a mezza voce, ma concitata. «Dovreste ascoltarli un po' prima di giudicare».
La giovane pasticciera la guardava con gli occhi sgranati. «Sì, certo» farfugliò passandosi le dita tra i capelli
«Mi scusi, sono proprio un impicciona» sospirò quell'altra, mortificata. «È che sono una grande fan di Aiba chan e non ho resistito quando vi ho sentito parlare di lui» spiegò. Doveva essere una studentessa universitaria: era molto giovane e per essere in giro a quell'ora sicuramente non andava a scuola, né lavorava in un ufficio. «Mi scusi moltissimo» si inchinò con un sorriso imbarazzato e si allontanò verso le casse.
Kokoro e Masaki rimasero in silenzio per qualche secondo, poi lui fece un sospiro e alzò gli occhiali da sole passandosi le dita sugli occhi lucidi. «Stai piangendo Aiba san?» domandò lei stupita
«Mi ha commosso!» spiegò tirando su con il naso. «Se fosse possibile andrei lì ad abbracciarla e a dirle quanto le sono grato» fece asciugandosi la mano sulla camicia. «È grazie a persone così che siamo arrivati fino ad oggi. Non so se siamo veramente straordinari come dice, ma facciamo sempre del nostro meglio per trasmettere qualcosa di positivo ed è grazie al supporto di tutti che questi sentimenti sono in grado di raggiungere tante persone».
Kokoro non disse niente, ma prese un'altra copia dello stesso singolo che aveva comprato la sconosciuta. «Andiamo?» domandò piano. All’improvviso sentiva dentro di sé un sentimento strano: possibile che fosse gelosa di quella ragazza?
Una volta fuori, serrò tra loro le dita delle mani guardando distrattamente le vetrine dei tanti negozi di Shibuya: non poteva capire il discorso di quella fan, quella ragazza conosceva un lato di Aiba che le era totalmente estraneo -quello lavorativo, impegnato, pubblico- e inoltre erano anni che lo seguiva, lo guardava e magari fantasticava su di lui! Le sue parole avevano commosso il suo ragazzo al punto che l'avrebbe addirittura abbracciata, ma Kokoro non poteva nemmeno tenerlo per mano. Mentre pensava a tutto questo tornarono davanti allo Tsutaya vicino alla stazione e presero la strada per andare al locale di dolci. Passarono vicini ad un negozio con in vetrina un cartonato degli Arashi: era chiaro e colorato e vi campeggiava il titolo del nuovo album. Lo sguardo serio di Aiba catturò per primo la sua attenzione.
«Tutto bene?» domandò spensierato lui, piegandosi appena a guardarla
«Sì. Ero soprappensiero, scusa» rispose lei, ma aveva mentito. Guardando quel cartonato ancora una volta deglutì a fatica: stava facendo la cosa giusta? Conosceva veramente la persona con cui era uscita? Aveva sempre pensato di sì, ma se non fosse stato vero? «Facciamo a gara a chi mangia più dolci?» propose cercando di scacciare dalla sua mente quelle domande
«Sicura? Guarda che mangio tanto io» fece Masaki con un sorrisino di sfida
«Infatti ho detto "più dolci", non "più dolce". Non bisogna mangiarne per forza in grande quantità, ma tipi diversi» rispose piccata, alzando un dito in aria. «Per quanto possano piacerti i dolci scommetto che tu non sei abituato a mescolare tanti gusti» lo sbeffeggiò prima di entrare nell'edificio che ospitava lo Sweets paradise.
Aiba scelse il tavolo dove sedersi, vicini alla finestra, con un posto che dava le spalle al resto della sala. Kokoro si sedette nervosamente. «Allora facciamo così, il primo giro lo scelgo io per entrambi» propose il ragazzo mettendo la giacca sulla sedia. «Tu aspettami qui, ok?»
«Va bene. Cominciamo con cinque dolci?» domandò lei appoggiando i gomiti sul tavolo, aprendo il menù delle bevande
«Bene! Vado e torno» annuì tutto sorridente prima di avviarsi verso il buffet.
La ragazza appoggiò il mento alla mano destra e seguì Masaki con lo sguardo, girando le pagine del menù senza nemmeno leggerlo. Lei conosceva un giovane sincero e spontaneo e si era innamorata di lui per quello, perché reagiva con naturalezza, non era costruito e non nascondeva i suoi pensieri e le sue emozioni dietro una maschera. Era trasparente nonostante fosse un idol, ossia parte di un mondo basato su finzione e teatralità. Eppure fu proprio quell’elemento a spaventarla improvvisamente: conosceva veramente la persona che aveva davanti? E se fossero stati pizzicati insieme cosa sarebbe successo? Avrebbe perso la sua popolarità? Avrebbero chiesto loro di lasciarsi? Avrebbero dovuto smentire? E se fosse stata riconosciuta e qualche fan gelosa le avesse fatto qualche dispetto?
«Fatto!» annunciò Aiba tornando al tavolo e interrompendo il flusso di pensieri di Kokoro. Il ragazzo appoggiò i piattini al tavolo. «Che faccia. Dalla tua espressione si direbbe che le bevande facciano schifo» ridacchiò sedendosi al suo posto. Aveva tolto gli occhiali da sole, ma teneva il cappello.
«No, ho scelto cosa bere» rispose con un sorriso tirato. Richiamò la cameriera e ordinò. Imponendosi di stare calma, respirò profondamente è affondò la forchetta nella prima torta. «Pistacchio!» esclamò dopo il primo assaggio. «È buonissima!»
«Vero? Ho scelto per dieci minuti cosa mangiare per primo» spiegò tutto contento. «Assaggia quella bianca, quella con le striature gialle»
«Che fai, mi usi come cavia?» domandò aggrottando le sopracciglia, tornando poi a sorridere. «Tu intanto assaggia quella lì, quella verde scuro. Come ti è venuto in mente di prendere delle torte così buffe?» ridacchiò
«Ma come, non ci hai fatto caso?» domandò indicandole una ad una le fette messe in fila nel piatto. «Le ho scelte apposta, le ho messe in ordine cromatico dalla più scura alla più chiara». Kokoro guardò attentamente il piatto: effettivamente Masaki le aveva posizionate apposta per far risaltare la sfumatura. Farfugliò qualcosa mentre rideva, metà divertita e metà intenerita da quella scelta.
«Quella bianca con le striature gialle è un suggerimento per quando andrai tu a scegliere cosa assaggiare» le spiegò divertito lui.

C'erano molte cose che Masaki avrebbe avrebbe voluto fare, ma non poteva: prendere Kokoro per mano, camminarle più vicino, tenerle la borsa; ma era felice lo stesso. La osservava mentre assaggiava i dolci scelti: adorava vederla spalancare gli occhi ogni volta che sentiva un nuovo sapore, guardare come le si illuminava il viso ed esclamava l'ingrediente principale. Gli veniva da ridere, ma si tratteneva perché era troppo carina e non voleva farle pensare che la stesse deridendo.
Quando lei tornò dalla sua scelta portò cinque fette sulle tonalità del giallo, dalla più chiara alla più scura che aveva anche delle fragole. «Quindi devo scegliere qualcosa di rosso dopo?» rise Aiba.
Si misero a mangiare i nuovi dolci e, dopo la prima forchettata, lanciò un'occhiata generale al locale. Constatò che era tutto tranquillo, nessuno guardava dalla loro parte, anche perché a quell'ora del mattino il locale era semideserto. Quando tornò a prestare attenzione a Kokoro si rese conto che era improvvisamente calato il silenzio. «Oh scusa, sono buone!» disse annuendo.
La giovane si passò il tovagliolo sulle labbra e smise di mangiare. «In realtà, c'era qualcosa di cui volevo parlarti» esordì, improvvisamente seria. Aiba aveva notato qualche attimo di smarrimento da parte sua mentre erano in giro e non vi aveva dato peso, ma in quel momento Kokoro aveva la stessa espressione seria, quasi irrigidita. «Sono stata molto felice di averti visto spesso la settimana del concerto. Non ci siamo proprio “visti”, ma era bello vederti arrivare ogni sera, svegliarmi al mattino e ritrovare le lenzuola piegate e la colazione scomparsa, sapendo che l'avevi presa con te» spiegò abbassando gli occhi e arrossendo leggermente.
«Forse sei portata per fare la moglie se ti piacciono queste cose» cercò di scherzare dopo aver deglutito una forchettata di torta al limone. La vide alzare gli occhi, stupita, e arrossire ancora di più. «Voglio dire che, insomma, intendo in futuro, no? E poi l'avevo già capito che sai prenderti cura delle persone» spiegò balbettando
«Sono stata felice, perché sembravi contare su di me. Però …»
«A proposito!» la interruppe. Sapeva perfettamente cosa stava per dirgli, ma non aveva intenzione di affrontare quell’argomento, non in quel momento in cui tutto stava andando bene. «Ho detto agli altri che stiamo insieme» annunciò sforzandosi di sorridere
«Cosa?» domandò Kokoro spalancando la bocca
«Sì, la mia famiglia ancora non lo sa. Effettivamente sembra strano che lo dica prima ai ragazzi piuttosto che a mia madre, vero?» domandò ridacchiando. «Ma credo che qualcuno in casa già lo sospetti. Comunque parlerò anche con loro» continuò a spiegare, pur di non fermarsi e di sviare il discorso cominciò a raccontare delle reazioni di ognuno dei ragazzi, lasciandole poco spazio per replicare qualcosa. Avrebbero parlato solo di cose piacevoli e lei avrebbe continuato a sorridere. In futuro si sarebbe inventato qualche gesto carino per farsi perdonare.
«Aiba san» lo interruppe lei
«Aspetta, aspetta! Questa devo raccontartela»
«Aiba san, seriamente!» gli disse facendosi avanti sul tavolo e guardandolo, quasi arrabbiata.
Masaki si zittì e deglutì a fatica. «Cosa?» domandò
«Sono due minuti che le ragazze del tavolo infondo a destra ci fissano» spiegò Kokoro abbassando la voce. «All'inizio mi dava solo fastidio e non capivo, poi ho realizzato che forse stanno guardando te»
«Capisco» farfugliò sollevato. «Cosa?!» fece il secondo dopo lanciando un'occhiata al tavolo indicato. «Accidenti» sospirò rimettendosi gli occhiali da sole e alzandosi dal tavolo
«Dove vai?» chiese Kokoro seguendo i suoi movimenti
«Adesso inchinati e ringraziami» le disse a bassa voce inchinandosi educatamente a sua volta. «Io esco, ti aspetto vicino all'ascensore entro due minuti»
«Come?» era incredula
«Fai come ti dico. Se andiamo via insieme penseranno a qualcosa, a una cosa che è meglio non pensino» si mise la giacca, la ringraziò a voce alta e lasciò la sua parte di soldi sul tavolo, quindi si allontanò uscendo dal locale. Trottò lungo il corridoio e raggiunse l'ascensore rapidamente. In quel modo, se pure avessero capito che era qualcuno di famoso, non avrebbero pensato che stesse uscendo con una donna. Dipendeva anche quando avevano cominciato a guardarlo, perché era poco credibile che ridesse tanto con una persona con cui doveva organizzare un lavoro.
Si appoggiò al muro con un sospiro: era stato sfortunato che fosse accaduta una cosa simile proprio al primo appuntamento. Kokoro gli era sembrata totalmente spaesata e forse si era spaventata vedendolo andare via. Cinque minuti dopo la vide arrivare, ma si era preoccupato non vedendola dopo i due minuti concordati. Lo raggiunse trafelata, toccando i capelli con aria preoccupata. «Che cosa è successo?» domandò
«Niente, tutto a posto» rispose lei, freddamente
«Dimmi cosa è successo» insistette prendendola per il polso.
La vide abbassare lo sguardo sulla sua presa. «Mi hanno solo avvicinato chiedendomi se tu fossi qualcuno di famoso» spiegò
«Cosa hai detto?» chiese lasciandola andare, sembrava un po' spaventata
«Che sei un attore e io il tuo manager. Ma sei un talento emergente un po' fissato con l'idea che tutti ti riconoscano dopo poche apparizioni in tv, quindi hai esagerato con la reazione» spiegò la ragazza chiamando l'ascensore.
Aiba tirò un sospiro di sollievo. «Accidenti, te la sei cavata bene. Io cominciavo a spaventarmi. Non avevamo detto due minuti?»
«Mi hanno bloccato, dovevo allontanarmi senza far pensare che ti stessi seguendo, no?» domandò freddamente lei.
Il giovane cominciò a preoccuparsi: stava uscendo con una ragazza del tutto normale, non con una modella o simili, non aveva idea di cosa significasse essere famosi e andare in giro in mezzo alla gente, non aveva idea della sua vita quotidiana a Tōkyō e di come comportarsi; eppure si era ritrovata improvvisamente davanti ad una situazione difficile e strana per lei.
In ascensore calò il silenzio, e sempre senza dire niente uscirono in strada, ritrovandosi di nuovo nella piazza di Shibuya, ora decisamente più trafficata essendo vicina l'ora di pranzo: gli impiegati part time lasciavano il lavoro, alcune scuole finivano le lezioni, i lavoratori uscivano in pausa pranzo. «Torno a casa» annunciò Kokoro
«Ti cerco un taxi» propose Masaki. Il silenzio tra loro era spaventoso. Conosceva la rabbia di quella ragazza: di solito era una dolce, tenera, sempre disponibile, paziente e accondiscendente, ma quando si sentiva ferita e arrabbiata mostrava un orgoglio ben saldo e si difendeva con prepotenza. Quando aveva creduto in una storia tra lui ed Erina, infatti, era stata quasi spietata.
«No, torno con il treno» rispose lei
«Ma potremmo fare un po' di strada insieme» spiegò impacciato
«Come puoi pensare a una cosa simile?» domandò guardandolo negli occhi. «Dopo che ti sei, anzi, che ci siamo tanto adoperati per comportarci come se non stessimo uscendo insieme. Adesso vorresti salire su un taxi con me, rendendo palese che stai accompagnando una ragazza?» scosse il capo. «Salutiamoci e lascia che prenda il treno, come faresti con qualsiasi amica» concluse inchinandosi.
Prima che si voltasse per andarsene Aiba la bloccò prendendola per mano. «Aspetta, non posso nemmeno salutarti?» domandò, ma gli morirono le parole in bocca quando Kokoro si ritirò di scatto e sentì le sue dita sfuggire facilmente alla sua presa. Si guardarono in faccia. «Stai...» fece per dirle, ma la vide voltarsi e andarsene a passi rapidi approfittando del verde del semaforo che stava per spegnersi. «... piangendo?».
Rimase impalato al centro del marciapiede, osservando l'esile figura della ragazza vestita di chiaro che si confondeva tra la folla man mano che si allontanava.

«Pronto? Sono Sheridan» sentì rispondere dopo i primi due squilli
«Erina san!» esclamò con voce strozzata
«Chi è?» fece quella stranita
«Hanayaka Kokoro» le spiegò trattenendo a stento un singhiozzo
«Hanayaka san! Non avevo ancora salvato il tuo numero sulla rubrica. Cioè avevo la tua chiamata, dovevo salvarlo da lì, ma me ne sono dimenticata e le chiamate dopo hanno cancellato la tua dallo storico delle attività, quindi... stai piangendo?»
«Sì» ammise tirando su con il naso, la voce spezzata dalle lacrime
«Cos'è successo?»
«Aiba san. Credo di averlo ferito. Non volevo, ma mi sono spaventata. Avevo già tanti pensieri e poi non mi ha lasciato spiegare, mi sono spaventata e l'ho trattato male»
«Eh? Aiba chan cosa? Un attimo, un attimo. Respira e spiegami lentamente cos'è successo».
Le raccontò dell'appuntamento con il ragazzo e dell'improvviso panico che l'aveva assalita mentre erano in giro, dopo aver parlato con la fan al negozio di dischi. «Non pensavo potesse accadermi. Ci ho pensato a lungo sai? Quando ho passato due settimane in Francia mi ero imposta di riflettere attentamente sulla mia scelta. Cioè, avevo già riflettuto prima di dichiararmi e già al tempo non era stato facile, ma forse l'avevo fatto con troppa leggerezza: all’epoca non pensavo che avrebbe accettato i miei sentimenti, forse per quello in un primo momento non ci avevo pensato seriamente»
«Quindi la prima volta ci hai riflettuto, ma ti sei detta: "vabbè, tanto dirà di no"»
«Precisamente. Poi prima di partire si è dichiarato a sua volta e allora le cose dovevano cambiare: dovevo riflettere davvero e così ho fatto. Credevo di aver sviscerato la situazione con obiettività dato che ero lontana e sono ancora convinta di averlo fatto, ma trovarsi davanti alla realtà è stato diverso»
«Sì, posso immaginare. Mi sembra di capire che sei entrata un po' nel panico».
Le raccontò dell'accaduto alla caffetteria, di come si fosse improvvisamente trovata davanti ad una situazione che non si era mai nemmeno immaginata, che non aveva saputo gestire e che l'aveva spaventata sbattendole in faccia la realtà: stava con un ragazzo stupendo, ma nessuno doveva saperlo, non doveva nemmeno diventare un sospetto, quindi il loro rapporto non sarebbe mai stato normale. Immaginare e accettare una situazione simile era diverso che ritrovarsi davanti ad una circostanza reale in cui Aiba era dovuto fuggire e lei aveva dovuto mentire.
«Probabilmente sarei entrata nel panico anche io. Una volta siamo usciti a cena e alcuni ad un tavolo credo l’abbiano riconosciuto. Ma è diverso, sicuramente sia io che lui ci siamo fatti meno problemi perché siamo solo amici e ammettere che non eravamo lì per un'uscita romantica avrebbe significato solo dire la verità. Con te no, mentire e non poter dire: "Sì, sono con il mio ragazzo che mi ha invitato ad un appuntamento"; dev'essere doloroso»
«Vorrei urlarlo al mondo intero» ammise Kokoro che si era un po' calmata. «Vorrei dirlo ad ogni persona che incontro: "Lo vede quel ragazzo sul poster? È il mio ragazzo! Mi piace un sacco!". E vorrei dirlo a tutte le ragazze e le donne come quella di oggi che diceva di essere una sua fan: "Lo so anche io che è fantastico, ma no: non può piacerti perché adesso è mio"».
Erina ridacchiò dall'altra parte della cornetta. «Correggimi se sbaglio, Hanayaka san, ma mi sembri un po' possessiva» le disse. «Sei stata subito gelosa di me ed Aiba chan e hai preferito trarre le tue conclusioni e farti divorare dalla rabbia invece che controllare quale fosse la verità. Hai guardato storto anche Ahn san, no? E adesso vorresti dire a tutte che sta con te nella speranza che smettano di farselo piacere? Che smettano magari di farsi delle fantasie su di lui?»
«Detto così suona strano» fece Kokoro, imbronciata. «Ma al diavolo: sì, è così! Non dirmi che tu non ti sentiresti nemmeno un po' gelosa se delle ragazze guardassero il tuo Shō facendo certi pensieri»
«Non è "il mio Shō"» puntualizzò la rossa. «E no, non sarei gelosa. Penserei "Fatevi tutte le fantasie che volete, tanto io sono l'unica che può trasformare tutti quei pensieri in meravigliosa realtà". Sì, qualsiasi, anche la più estrema. E me la riderei sotto i baffi».
L'altra rimase in silenzio. «Sei inquietante» mormorò infine
«Non dire così!» rise Erina. «Mi dicevi di un altro problema?»
«Sì, più o meno. Ti ho detto che è stato da me la settimana del concerto»
«Che andava e veniva, sì»
«Ma la settimana dopo non ha scritto e non si è fatto vedere. Mi bastava una mail che dicesse: "Tutto bene il concerto, ci sentiamo nei prossimi giorni". Non mi sembra di chiedere la luna! Un minimo di riguardo»
«Effettivamente si direbbe quasi che ti abbia usata come albergo. Anzi, come Bed&Breakfast!» tentò di sdrammatizzare. «Gliel'hai fatto presente?»
«Volevo farlo, ma mi ha interrotto e si è messo a parlare. Era così allegro che non ho più avuto il coraggio di dire niente»
«Ma se ti tieni tutto dentro prima o poi esplodi, come è già successo» disse Erina, come se la sgridasse. «Ascolta, ho qualcosa che può aiutarti a risolvere la questione»
«Sarebbe?»
«Il 31 esco con Shō»
«Esci con Sakurai san?!» esclamò sorpresa. «Me lo dici così?»
«Non è un appuntamento» specificò. «O meglio, sì lo è, ma non per uscire noi due. Ha detto di voler portare fuori Matsujun per tirarlo su di morale e vorrebbe uscissi con loro perché sono un pagliaccio e quindi lo tirerei sicuramente su di morale»
«Ti ha detto così?» domandò allibita
«No, ma riassumendo direi che il significato è quello. Non mi ha chiesto di uscire perché voleva me, ma solo perché non voleva gente del loro ambiente: preferiva portare qualcuno di esterno per fare un'uscita leggera. Ho detto che era meglio se mi fossi fatta accompagnare da un'altra persona. Ti pare? Uscire da sola con loro sarebbe pericolosissimo. Quindi, non siamo soli e non mi ha invitato perché voleva uscire con me, però è sempre un appuntamento con lui, no?»
«Erina san, non devi giustificarti con me se sei eccitata all'idea di passare una serata in sua compagnia, anche se sarete in compagnia» spiegò Kokoro. «Ma che c'entra con il mio problema?»
«Pensavo di far venire te. Shō kun voleva qualcuno che non impazzisse all'uscire con due personaggi famosi e che si comportasse con discrezione. Sarebbe un buon modo per imparare a capire come si esce con persone come loro senza che ti venga l'ansia come con Aiba chan. Inoltre penso che se tu uscissi a conoscere i suoi amici, che lui ha persino avvisato prima della sua stessa famiglia, sarebbe un segno più che significativo da parte tua: con il tuo atteggiamento di oggi non stai pensando di lasciarlo, ti sei solo spaventata. Sbaglio?»
«È con questa parlantina che strappi accordi vantaggiosi?» domandò allibita Kokoro. «Aiba san mi aveva accennato qualcosa del tuo lavoro, che sei brava, che ottieni quello che vuoi, ma... caspita!»
«Sì, sono un genio lo so. Allora ci stai?» domandò divertita Erina
«No» rispose prontamente
«Come "no"?» esclamò. «Perché?»
«Non posso. Forse incontrare loro mi spaventa ancora di più: sarebbe come ufficializzare tutto. Mi sento insicura adesso, non so»
«Stai pensando di lasciarlo?» chiese a mezza voce, lentamente
«No!» esclamò, per poi ritrattare abbassando il tono. «Non lo so. Ho bisogno di riflettere. Mi dispiace di non poterti aiutare, dovrai cercare qualcun'altra». Rimasero in silenzio per un minuto buono, ognuna persa nei suoi pensieri. «Grazie per avermi ascoltato. Non sapevo chi chiamare, nessuna delle mie amiche è al corrente della cosa e ovviamente non posso raccontare niente»
«Sì, lo capisco» fece Erina dall'altro capo del telefono. «Mi ha fatto piacere parlare con te e anche ascoltarti. Infondo è così anche per me, no? Sei l'unica con cui posso parlare della mia situazione senza usare nomi in codice»
«Hai ragione. Possiamo solo sostenerci fra di noi, non c'è nessun altro» annuì Kokoro mentre il timer del forno suonava
«Posso chiamarti “Kokoro”?» domandò la rossa. «Puoi chiamarmi per nome anche tu»
«Io ti chiamo già per nome. Me l'hai chiesto tu, ricordi? Perché non ti piace il tuo cognome» le rispose l'altra, ridendo
«Sì, ma dici "Erina san", è formale. Chiamami come fanno le mie amiche»
«Kōmō?» rise ancora più forte
«"Eri chan", va benissimo» borbottò indispettita
«Va bene: allora grazie per avermi ascoltato, Eri chan» ripeté, in tono un po' ossequioso
«Così sembra che tu mi stia prendendo in giro».
Avevano dei problemi, tutti per colpa di ragazzi troppo belli e troppo famosi, ma l'aver trovato una sorta di alleata ed il poter contare l'una sull'altra rincuorava entrambe al punto che, nonostante le preoccupazioni, potevano ancora ridere di gusto.


Gli esami non aiutano la rapidità nella stesura dei capitoli. Maledizione.
In realtà, in parte, la lentezza con cui ho scritto questo capitolo è dovuta anche a un senso di sfiducia. Scrivo fic het in un fandom in cui lo yaoi è prediletto, quindi già di mio so che non sarò seguitissima, e... sì, l'ho sempre detto che scrivo prima di tutto per me stessa. Ma è pure vero che non ha senso scrivere se non c'è chi legge. Se veramente non mi importasse proprio nulla allora non scriverei: mi farei i viaggi mentali nella mia testa e sarebbe morta lì.
Comunque sono pronta e so che l'attenzione per fic simili non avranno mai quella dedicata ad altri generi. Eppure, permetterete anche a me ogni tanto di abbattermi? In realtà negli ultimi giorni di meno, ma le settimane scorse ero parecchio, parecchio scoraggiata, ecco perchè non ho praticamente scritto. Dato che ora mi è passata invece ho ripreso e ho concluso, ma ero talmente giù che ho seriamente pensato di mollare tutto e vaffambagno: cancellare la fic, abbandonarla e tanti saluti.
Ah vabbè... il prossimo capitolo è tutto per Jun, ve l'avevo detto che non sarebbe rimasto in disparte in questa fic! Anche perchè arriva il 31, il giorno dell'appuntamento ShoxErina. Uuuh.. cosa mai succederà?
Miau! (??)

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Capitolo 25
*** 24. The Correct Handwriting for 'Happiness' ***


Stop! Andava bene così. Per oggi abbiamo finito in esterni» annunciò il regista. «Otsukaresama deshita!».
Si sollevò un coro di risposte. «Otsukaresama deshita!»
«Otsukare»
«Due ore di pausa, ci si vede agli studi!»
«Otsukaresama deshita».
L'assistente portò un'asciugamano e una bottiglietta di tè freddo. «Grazie» mormorò Jun con un sorriso gentile prima di cominciare a bere
«Otsukaresama deshita» gli disse Yuko, l’attrice sua collega, avvicinandosi
«Takeuchi san, otsukaresama deshita» rispose facendo un profondo inchino.
Lei scoppiò a ridere. «Sei ancora così formale?» domandò divertita. «Ormai sono mesi che giriamo insieme, non hai più bisogno di essere così cerimonioso»
«Mi spiace» rispose imbarazzato, stringendosi nelle spalle
«Sì, sì, ti dispiace tutte le volte e quella successiva ti comporti allo stesso modo» scosse il capo la donna. «Hai fatto uno splendido lavoro oggi. L'ultima scena è venuta bene, non trovi?»
«Sì, spero sia venuta come voleva il regista» annuì Jun prima di passarsi l'asciugamano sul viso per togliere il sudore che gli bagnava la pelle. Girare in estate aveva quell'inconveniente: sudavano tutti tantissimo e la regia invece pretendeva che i personaggi sullo schermo fossero asciutti, il che richiedeva un grande spreco di asciugamani ogni volta che si faceva uno stacco. Questo a sua volta implicava risistemare il trucco, i vestiti e le acconciature.
«Jun kun!! Jun kun!!» si sentì chiamare tra la folla di tecnici che smontavano gli attrezzi e ritiravano le telecamere per riportare tutto sui camion. «Jun kun!» una bambina spuntò tra le gambe delle persone
«Sei chan!» esclamò il ragazzo, stupito. Si piegò sulle ginocchia mettendosi l'asciugamano sulle spalle. «Come mai sei qui? Non devi girare negli studi oggi?»
«Jun kun, otsukaresama deshita!» pronunciò la bambina, calcando l'accento sull'ultima sillaba prima di inchinarsi
«Grazie» annuì sorridendole debolmente
«Volevo salutarti e ho chiesto alla mia manager di passare dal set perché non ci vedremo molto nei prossimi giorni» spiegò la bambina
«Seiran chan sa che sarai molto occupato con il concerto e che le prossime riprese che farai insieme a lei saranno tra una settimana» spiegò Yuko. «Sei stata carina a passare a salutare Matsumoto san» disse alla bambina
«È perché Jun kun è un bravo senpai e mi aiuta sempre» annuì la piccola. «Mi raccomando, metticela tutta al concerto» fece ancora verso il ragazzo
«Sì, farò del mio meglio» rispose lui con un cenno di assenso. «Grazie Sei chan. Buon lavoro anche a te». Subito dopo spuntò la manager che cercava disperatamente la bambina sfuggita al suo controllo.
«Seiran è una bambina molto brava» osservò Yuko. «Sono sicura che diventerà una bellissima ragazza e una splendida attrice»
«Non posso crederci: ha detto che la aiuto?» Jun scosse il capo, incredulo
«È vero, no? Ogni tanto vi ho visti ripassare le battute prima delle registrazioni» osservò la collega
«L'ho solo ascoltata, non ha mai avuto bisogno di indicazioni di interpretazione» scosse il capo il giovane. «Dovrei essere io a ringraziarla: ho imparato tantissimo da lei e sono quasi certo che abbia ancora qualcosa da insegnarmi, prima della fine»
«Dovremmo ringraziarla tutti, se ti ho visto sorridere fuori dal set era solo in sua compagnia» gli fece notare Yuko.
Jun non disse niente, colpito da quella osservazione: era la prima volta che gli facevano notare una cosa simile. «Mi dispiace» disse infine, con un inchino
«Lascia stare» scosse il capo Yuko. «La mia osservazione era completamente fuori luogo, scusami tu». L'assistente di Jun aveva recuperato le sue cose e le aveva sistemate e raggruppate da una parte. «Devi lavorare questa sera vero?» domandò la donna per cambiare discorso, accompagnandolo verso la strada principale
«Sì, dobbiamo registrare la puntata di Shiyagare. Grazie» fece Jun verso il ragazzo che lo assisteva. «Ci vediamo Lunedì» gli disse per salutarlo
«Sì» annuì quello. «Ho già avvisato il regista che devi finire prima di cena per poter andare alle prove del concerto» spiegò lasciandogli la borsa con le sue cose
«Va bene, ti ringrazio moltissimo» rispose Jun inchinandosi. «Otsukaresama deshita»
«Otsukaresama deshita. A Lunedì» l’assistente si inchinò anche a Yuko prima di allontanarsi
«Devi provare ancora qualcosa per il concerto?» domandò lei
«Sì, dobbiamo testare di nuovo tutti gli impianti, perciò la prossima sarà ancora una settimana di prove: sound check, tempistiche, coreografie e tutto il resto. Credo finiremo oltre la mezzanotte ogni giorno, come al solito» spiegò lui alzando un braccio per chiamare un taxi
«Non finirò mai di stupirmi tutte le volte che mi rendo conto di quanto lavoro facciate» ridacchiò l’altra. «Allora buona registrazione stasera»
«Grazie» rispose lui aprendo la portiera della vettura e posando la borsa sul sedile. «È stato bello lavorare insieme anche oggi con te, Takeuchi san. Otsukaresama deshita» fece inchinandosi
«Otsukaresama deshita» rispose Yuko a sua volta, poi rimase sul marciapiede ad osservare il giovane idol che entrava in macchina e richiudeva la portiera.

Era passato un mese e mezzo circa da quando era cominciato quel periodo impegnativo, all’insegna della tensione costante e con uno sforzo mai eccessivo. Jun aveva tantissimo lavoro da svolgere infatti, ma era una cosa voluta e calcolata perché si era riempito l'agenda con precisione, attento che gli impegni movimentassero più giornate possibili, senza che arrivassero a distruggerlo fisicamente. Era stanco, era sempre in giro a fare qualcosa, dormiva solo quattro o cinque ore a notte e si sentiva sempre sul punto di non farcela più, ma andava avanti, perché tutto era incastrato con precisione e con un'attenzione quasi morbosa. Viveva come se stesse correndo lungo il ciglio di un burrone immaginario: un solo passo falso e sarebbe caduto nel buio più nero; ma la sua meticolosità serviva ad evitarlo, affinché ogni passo di quel percorso fosse a pochi millimetri dallo strapiombo. Così facendo si teneva costantemente all'erta, con i sensi svegli e impegnati, senza possibilità di distrazione o momenti di pausa e relax. Se l’avesse fatto, avrebbe rallentato, si sarebbe messo a camminare e avrebbe avuto l'occasione di guardare nel buio denso e angosciante aldilà dello strapiombo, avrebbe potuto pensare ad altro che non fosse il suo lavoro ed era proprio ciò che stava cercando di evitare.
Nella sua minuziosa tabella di marcia però, Jun non aveva trovato modo di evitare i momenti morti in cui non c'era nulla a tenerlo occupato. In quei casi camminava lentamente sul sicuro sentiero a fianco del burrone e alzava lo sguardo per contemplare la crescente l'oscurità profonda. Accadeva quando doveva andare da una parte all'altra, nei viaggi tra i diversi studi, durante i minuti prima di prendere sonno o nelle pause pranzo.
Lungo la strada chiese al tassista di fermarsi davanti ad un Lawson per entrare rapidamente a prendere qualcosa da mangiare, pagare e tornare in macchina. Mentre la macchina correva, osservò le strade di Tōkyō masticando i suoi tramezzini di tonno e uovo; ultimamente aveva ripreso a mangiare regolarmente a colazione, pranzo e cena, mentre il mese precedente aveva sbocconcellato qualcosa solo quando i crampi di fame erano diventati più insistenti. Aveva notato quel cambiamento dalla settimana delle prove e la domenica del concerto si era spazzolato addirittura due scodelle intere di ramen: aveva sudato tantissimo, ma era uscito dal locale soddisfatto ed era andato a dormire sprofondando in un sonno tranquillo e senza sogni. Per qualche ragione, insomma, aveva ritrovato l'appetito e mangiare in compagnia lo aiutava a distogliere lo sguardo dal buio che lo circondava.
Socchiuse gli occhi. Al silenzio e alla solitudine degli spostamenti non aveva trovato rimedio e, che lo volesse o no, stava per rimettersi a pensare a se stesso, stava per alzare ancora una volta lo sguardo al nero cupo della solitudine che circondava la sua anima in corsa.
«Scusi» accennò d'improvviso il tassista.
Jun sobbalzò e girò il capo per guardare gli occhi dell'altro riflessi nello specchietto retrovisore. «Sì?» domandò abbassando gli occhiali con l'indice della mano destra
«Immagino che le capiterà spesso, mi perdoni. Ma posso chiederle se lei è chi penso che sia?» fece impacciato l'uomo
«Sì. Cioè, "sì" può chiedere, ma non so chi lei pensa che io sia» rispose sbattendo le palpebre. In realtà non accadeva spesso che i tassisti gli chiedessero chi fosse, erano sempre molto riservati.
«Mi perdoni, forse mi sbaglio, ma sarei pronto a giurare di star portando sul mio taxi Matsumoto Jun, degli Arashi» rispose per poi scuotere il capo. «Ma sicuramente mi sbaglio»
«No, ha ragione. Sono solo stupito che un uomo della sua età mi riconosca» rispose il giovane che era rimasto in silenzio qualche secondo dopo la congettura dell'autista. Non era molto giovane, anzi, doveva essere quasi prossimo alla pensione.
«È che sono iscritto al vostro fan club» rispose quello, fermandosi ad un semaforo
«Come? Lei?» domandò Jun stupito
«È strano vero?» rise sommessamente. «Ho una figlia che è della vostra stessa generazione. Vi segue da tantissimi anni e dopo un po', siccome era difficile avere un biglietto per i vostri concerti, ha chiesto a me e a mia moglie di iscriverci per avere più possibilità» spiegò ripartendo
«Capisco. Non pensavo ci fossero situazioni come questa» annuì addentando di nuovo il suo tramezzino. «Mi spiace, mi sa che stiamo infastidendo la sua famiglia» rifletté
«Ma si figuri!» rise di gusto quello. «Quando lavoro di notte sono contento perché so che mia moglie è a casa che guarda i vostri programmi alla televisione. Si diverte sempre tantissimo»
«Sul serio?» domandò incuriosito. «Lavora spesso fino a tardi?»
«A volte capita, i giovani hanno voglia di divertirsi quando è buio e così in città rimangono a lavorare soprattutto i più anziani di noi» annuì. «Ultimamente faccio spesso i fine settimana, mi pagano di più» spiegò con pazienza. «E mia moglie si può guardare in pace il vostro programma. Come si chiama? Quello nuovo»
«Shiyagare. Arashi ni Shiyagare» rispose Jun con un sorriso: non era più tanto nuovo quel programma.¹
«Quello, esatto! È sempre così felice quando può guardare ciò che le piace in televisione, se ci sono io dice che guardo solo i telegiornali!».
Jun rimase in silenzio, lasciando chiacchierare l’autista, senza trovare la forza di fermarlo: il lavoro era cominciato alle sei del mattino ed era durato sette ore, mentre ora lo aspettava un pomeriggio di riprese che sarebbero finite per cena, quindi doveva risparmiare le energie.
«E poi, se guarda la televisione non si lamenta che lavoro troppo o che non sto con lei» continuava quello. Jun ridacchiò, rendendosi conto che non desiderava interrompere quel dialogo: inaspettatamente aveva trovato un compagno per il pranzo e per il viaggio, non voleva che smettesse di distrarlo dai suoi pensieri cupi. «Insomma ci fa piacere essere iscritti, è grazie a voi che si sente meno sola» annuì con decisione il tassista svoltando a destra. «Anche se ultimamente è difficile. Anche il nostro settore ha problemi e rischiamo di essere licenziati da un giorno all'altro. Noi vecchi, dico. Se succedesse sarei veramente nei guai» sorrise appena. «Ma non ci va di cancellare l'iscrizione, non costa tanto, quindi va bene così» aggiunse subito dopo
«Grazie. Non so cosa dire» spiegò Jun ripiegando la plastica che conteneva i tramezzini ormai finiti. «Sembra sia un periodo difficile per lei, eppure in qualche modo continua ad appoggiarci e mi sembra sia felice»
«Come? Felice?» domandò il tassista sollevando le sopracciglia. «Sì, in un certo senso sì»
«È ammirevole, eppure non mi sembra che se la stia passando bene» rifletté Jun. Si pentì subito di aver detto quella frase, si sentì sfacciato e impiccione.
«Dipende» rispose quello facendo spallucce. «Cosa si intende per "felicità"? Io penso che la vita sia fatta di piccole emozioni, non solo di grandi cose come lo studio, l'amore, le perdite importanti, come pensano in tanti. Una giovane donna che ride con un'amica al cellulare, un ragazzo che sfoglia i progetti da presentare in ufficio, qualcuno che torna a casa dopo una giornata di duro lavoro: ogni giorno succedono tante piccole cose che creano felicità e chi lo sa meglio di me, che vedo il mondo passare su quel sedile?»
«Lei chiamerebbe "felicità" ognuno di quei momenti?» domandò Jun, scettico
«Sì e no. Come dire, penso ci siano tanti piccoli momenti gioiosi nelle nostre vite e che tra di essi si nascondano granelli di felicità. Presi singolarmente sembrano ben poca cosa, giusto? Eppure credo siano così tanti che non riusciremmo a tenerli tutti in una mano o a contarli. Allora non chiameresti "felicità" quell'insieme?» domandò guardandolo nello specchietto retrovisore. «Sarà che sono vecchio ormai, ma sembra che per le persone la felicità debba essere per forza una sola e molto grande. Solo che una cosa simile dura poco, quindi il resto del tempo si disperano?»
«Non credo. Saremmo circondati da persone tristi altrimenti» rifletté il ragazzo
«Esattamente!» esclamò quello ridendo. «Esattamente. E non è così: le persone spesso ridono, quindi non è vero che sono felici sono in quelle grandi occasioni, non è vero che la felicità è una e intensa, ma è un insieme di tanti momenti sparpagliati nel corso della nostra vita» concluse il vecchio guidatore, soddisfatto di aver centrato l'obiettivo e di aver dimostrato di aver ragione. Jun non rispose niente, rimase in silenzio con la mente svuotata di ogni pensiero. «Accidenti, devi scusarmi. Come siamo finiti a fare questi discorsi?» rise l’uomo per poi fermarsi davanti ai cancelli degli studi.

Gli cadde il copione di mano. «Cosa?» domandò allibito
«Ti supplico, ti prego, ti scongiuro!» fece Shō, si era addirittura inginocchiato sulla sedia di fianco alla sua e aveva unito le mani davanti al viso. «Non dirmi di no, in cambio farò tutto quel che vuoi!».
Jun sbatté le palpebre un paio di volte e si chinò a raccogliere il fogli che aveva lasciato cadere. «Posso sapere perché hai tirato in mezzo me?» domandò tranquillo, appiattendo le pagine sul tavolo. Lui e Shō erano stati i primi ad arrivare agli studi di registrazione quindi non c’era nessun altro oltre a loro nel camerino.
«Non è che ci sia un vero perché» farfugliò l’amico abbassando lo sguardo. «È stato un attimo, non mi sono nemmeno reso conto di quel che stavo per fare se non dopo averlo fatto: l'ho invitata ad uscire con slancio e solo dopo mi son fatto prendere dal panico»
«E mi hai usato come scusa?»
«Sì» rispose imbarazzato
«Scusa se mi permetto, Shō kun, ma sei un bel ragazzo, sei spigliato, aperto, abituato a trattare con chiunque senza troppi problemi, quindi mi spieghi perché davanti ad una singola ragazza non riesci a fare altrettanto?» domandò con un mezzo sorrisino. Conosceva Shō da undici anni e li avevano trascorsi fianco a fianco quasi tutti i giorni, eppure non l'aveva mai visto tentennare a quel modo davanti ad una ragazza. Qualcuna c'era stata prima: un paio di modelle, un'attrice; roba di poco conto, e non aveva mai avuto alcun problema ad avvicinarle. In quel momento invece sembrava che trovasse difficile persino avere il coraggio di parlare sinceramente con quella nuova fiamma.
«È diverso» rispose Shō. «Questo non è lavoro. È una cosa importante» si bloccò mettendosi a sedere normalmente. «Sai, ci sono quelle volte in cui tieni ad una cosa tanto, ma talmente tanto, che hai paura di fare qualcosa per averla perché è talmente bella e importante che quasi preferisci vivere nel tepore del suo sogno e nell'illusione che non facendo nulla tutto si sistemerà da solo. Rischiare di fare una mossa per ottenerla ti spaventa, perché potresti farcela, certo, ma potresti anche fallire. Io cerco il coraggio di rischiare, ma ogni volta che faccio cinque passi avanti ne faccio anche tre indietro» gli spiegò l'amico, evidentemente confuso.
Jun smise di fissare le pagine del copione e lo richiuse. «Va bene, verrò con te» annuì. «A patto che farai del tuo meglio per fare cinque passi avanti e solo due indietro» gli intimò guardandolo in viso.
Lo vide sorridere felice e annuire ubbidiente. «Sì, lo prometto! Farò del mio meglio!» esclamò
«Aspetta, non dirmi che rischio di fare il terzo incomodo?» si domandò portandosi un dito sulle labbra, aggrottando le sopracciglia
«No, non devi preoccuparti, Erina san porterà un'amica con sé» spiegò Shō
«Chi?» domandò Jun, improvvisamente agitato
«Non lo so, ma le ho raccomandato di trovare qualcuno che non impazzisca ad uscire con noi due» spiegò l'amico annuendo. «Mi domando se ce la farà»
«Hai chiesto di portare un’amica che non si faccia venire una crisi isterica all'uscire con due personaggi famosi?» domandò allibito. «Facevi prima a chiederle di andare fino a Shanghai a nuoto» scosse il capo
«Sono certo che ce la farà» sembrava convinto
«E sentiamo, quando sarebbe questa uscita?» domandò con un sospiro. «Spero non stasera, dato che abbiamo la diretta»
«Ok, sembro un po' confuso ultimamente, ma so bene che il sabato sera lavoriamo» spiegò piccato Shō. «Fra tre giorni e... buongiorno Nino kun!»
«Ohi» il ragazzo che era appena entrato in camerino salutò togliendosi le cuffiette dalle orecchie
«Martedì? Ma abbiamo le riprese di Himitsu il pomeriggio» gli fece notare Jun, mentre alzava una mano a salutare l'amico arrivato in quel momento
«Meglio, no? Andiamo insieme» propose l'altro, serafico.
Jun sospirò, sconfitto. Shō le aveva pensate proprio tutte: sapeva perfettamente che lui non aveva voglia di uscire in quel periodo e aveva la faccia tosta di fargli quelle espressioni innocenti quando era chiaro che non gli stava offrendo alcuna via di fuga. Sbuffò mentre passava il dito sugli angoli delle pagine. Non poteva dirgli di no, non tanto perché sembrava non avergli lasciato scelta, ma perché quegli espedienti indicavano che era sincero: lo aveva veramente tirato in mezzo per caso. Inoltre più ci pensava più trovava ragioni per aiutare Shō: l’amico in quei mesi aveva fatto molto per lui e Jun avrebbe dovuto ringraziarlo per settimane, perché non l’aveva mai forzato a fare qualcosa e non l’aveva mai fatto sentire in colpa quando aveva detto “no”. Inoltre, sapeva di non poter rimanere con quella sensazione di infelicità per sempre, doveva ritrovare il vecchio se stesso e cominciare a riprendersi.
«Allora ti scrivo qui dove ci troviamo» disse Shō mentre si piegava sul suo copione a scribacchiargli un indirizzo
«Aspetta, non ti ho mica detto che vengo! E poi non hai appena detto che andiamo insieme?» chiese stupito
«Non ti riconosco più Matsujun: lo sai che può succedere qualsiasi cosa con il nostro lavoro» rispose strabuzzando gli occhi «È per ogni evenienza»
«Vai ad un appuntamento?» domandò Nino sbirciando cos'aveva scritto Shō sul copione. «Non sarà la ragazza che abbiamo conosciuto alle registrazioni?» ridacchiò
«Ma và! Nino fatti i fatti tuoi» esclamò lui arrossendo e cercando di allontanare l'amico, mettendogli una mano sullo stomaco per spingerlo via. «Cambiati, forza. Non hai da fare?»
«Ti vergogni Shō kun?» domandò quello con un ghigno. «Se ti vergogni allora è importante» ridacchiò
«Cosa dici? È una scemenza! Non posso uscire con una ragazza senza che sia qualcosa di serio?»
«E allora perché fai il misterioso? Dai, vengo io se J non vuole»
«Ho detto "no", vai a cambiarti» si lagnò
«Vado io con Shō» dichiarò quindi Jun
«Accetti?» fece lui sorridendo raggiante e finì di scrivergli le informazioni quando l'amico annuì
«No dai, invita anche me» insisteva Nino, in vena di molestare Shō dopo aver scoperto quel suo punto debole.
Il moro guardò l'indirizzo e l'orario scritti nell'angolo in alto di pagina tre del suo copione di quella sera. Era un appuntamento all'ora di cena, nonostante non sapessero se avrebbero finito presto di girare: come poteva dare un appuntamento ad un orario così insicuro? Era l’ennesima prova che doveva veramente essersi fatto avanti con uno slancio di coraggio. «Ehi voi due, la smettete di bisticciare?» sospirò guardandoli con apprensione. «Andiamo a prepararci su» li incitò.

In zona doveva esserci l'ultimo matsuri estivo: le ragazze in yukata erano tantissime e anche molti ragazzi lo indossavano. Il fiume più vicino era a due fermate da lì, quindi le persone passavano davanti alla stazione in fretta per prendere il treno e arrivare in tempo prima dell'inizio dei fuochi. Era una fortuna per Jun, perché così nessuno gli badava.
Aveva messo un borsalino scuro e si era tolto le lenti che aveva su da quella mattina, indossando un paio di occhiali dalla spessa montatura blu. Mancavano cinque minuti all'ora dell'appuntamento e Shō ancora non si vedeva. Il gruppo aveva finito le riprese più presto del solito e dato che l'appuntamento era alle otto, Jun aveva avuto due ore per tornare alla JH, farsi una doccia e cambiarsi. Shō non era andato con lui perché lo avevano trattenuto agli studi.
Con un sospiro tirò fuori un pacchetto di Mild Seven e si avviò alla smoking area vicina alla stazione.³ Si sedette sul bordo in cemento che circondava un’aiuola di alberi rialzata a circa un metro dal terreno e si mise a frugare nella borsa alla ricerca dell'accendino, tenendo la sigaretta tra le labbra. Era nervoso perché era molto tempo che non usciva con qualcuno. Agli altri aveva raccontato di essere andato a mangiare fuori con degli amici ogni tanto, ma aveva mentito perché loro si preoccupavano sempre e sperava che così smettessero di chiedergli di uscire.
«Che palle» sbuffò, stufo di cercare l’accendino.
«Prego» sentì dire.
Quando si girò, vide una ragazza che gli tendeva il suo. «Grazie» rispose chinando il capo e prendendolo per accendersi la sigaretta. «Grazie mille» fece restituendoglielo
«E di che?» rispose quella stringendosi nelle spalle.
Jun fece un lungo tiro guardando la via affollata davanti a sé. Le ragazze indossavano yukata diversi e sgargianti, si incontravano ed entravano in stazione divise in chiassosi gruppetti. Una banda di universitari le stava seguendo offrendosi di tenere loro compagnia. Due bambine si rincorrevano richiamandosi tra di loro e incitando la madre a seguirle più velocemente, ma lei faceva fatica a camminare con i geta ai piedi. Un uomo usciva da un ristorante di soba portandosi dietro una bancarella su ruote: probabilmente avrebbe cercato di vendere qualche porzione in confezioni da asporto, ma doveva sbrigarsi o le persone avrebbero già trovato da mangiare prima del suo arrivo.
«Aspetta qualcuno?» sentì chiedere. Era di nuovo la ragazza che gli aveva prestato l'accendino. Anche lei indossava lo yukata ed era seduta sul muretto dell'aiuola come lui, solo un po' più distante. Jun annuì e in quel momento si sentì un forte sibilo seguito da uno scoppio. Alzarono entrambi gli occhi al cielo pensando di vedere l’inizio dei fuochi d’artificio, ma era buio e non si vedevano nemmeno le stelle. «Devono essere dall'altra parte della stazione» osservò quella
«Li perderai» osservò lui. Non aveva molta voglia di parlare, soprattutto non con una donna sconosciuta, dato che avrebbe aumentato le chance di essere riconosciuto.
«Sto ancora aspettando la mia amica» spiegò lei, poi rimasero ancora in silenzio.
Seguirono altri scoppi. La luce di alcuni dei fuochi più alti arrivò a proiettare dei flash colorati persino nella piazzetta antistante la stazione dove stavano loro. Jun prese ancora un tiro dalla sigaretta e guardò il cellulare: era l'ora dell'appuntamento e ancora non aveva ricevuto nessuna notizia. Avrebbe riconosciuto Erina tra la folla, ma ormai la piazzetta era semideserta, quindi non era difficile constatare come né lei né Shō fossero ancora arrivati.
Guardò distrattamente la brace della sigaretta, arancione acceso, poi sbirciò la giovane poco distante. Indossava uno yukata blu dai grossi fiori bianchi e un obi bordeaux dalle sfumature rosse e bianche. Aveva i capelli neri e lisci, raccolti in uno chignon alto sulla testa. Alcune ciocche più corte erano sfuggite all'acconciatura e le accarezzavano le guance. Per qualche secondo rimase incantato a fissarla, osservandone il profilo, l'aria pensierosa, il collo lungo e sottile. Si ritrovò a pensare che se Shiori avesse indossato uno yukata, sarebbe sembrata elegante come quella ragazza. Forse avrebbe scelto una stoffa di colore chiaro e delle decorazioni meno appariscenti e avrebbe camminato con la sua solita eleganza, anche con dei geta ai piedi.
La sconosciuta si voltò verso di lui, sentendosi osservata, e Jun ebbe l'impressione si averla fatta preoccupare con quelle occhiate insistenti. «Che cosa fumi?» domandò notando che la sigaretta tra le dita della ragazza era nera
«Questa è una Sobraine Black Russian» rispose allungando la mano verso di lui per mostrargliela. «Me le faccio mandare apposta ogni tanto»
«Buone?»
«Non saprei: non mi piace fumare, per me sono tutte cattive allo stesso modo. Di solito fumo le Silk Cut⁴ perché sono leggere» spiegò alzandosi in piedi e passandogli davanti per raggiungere il posacenere e spegnere la sigaretta.
«Se non ti piacciono perché le fumi?» domandò colpito Jun
«Le Black Russian hanno un bel pacchetto, è elegante» fece frugando nella propria borsa. Doveva essere alta pressappoco quando lui, infatti lo yukata le andava corto e non le stava molto bene. «Poi, come dire, a volte si fanno cose stupide per il semplice gusto di farle» spiegò ancora, stringendosi nelle spalle mentre tirava fuori un pacchetto di salviettine profumate. «Come se ci si volesse autopunire. Sembra scemo, ma c'è parecchia gente che lo fa»
«È comprensibile». Capiva fin troppo bene quel sentimento. «Tanto prima o poi moriremo, giusto?» domandò soffiando il fumo sulla punta della sigaretta accesa
«Che pensiero negativo» osservò lei passandosi le mani in una delle salviette che aveva tirato fuori. «Devi punirti anche tu per qualcosa?».
Il giovane idol fece un ultimo tiro, mentre continuava a paragonare la sconosciuta a Shiori: non avrebbe mai fatto una cosa poco elegante come fumare e poi Jun pensava che le donne fumatrici non fossero affascinanti. «No, per la verità no» rispose infine, scuotendo il capo. «A me fumare piace»
«Tanto meglio» concluse lei con un sorriso. «Scusami» lo salutò con un breve inchino quando le squillò il cellulare.
Jun si alzò e spense la sigaretta a sua volta. Era arrivato da dieci minuti ed erano tutti in ritardo, che fosse successo qualcosa?
«Hai idea di quanto mi sia costato venire qui oggi?» sentì dire ad alta voce. Era la ragazza dallo yukata blu che parlava al cellulare. «Perché ti devi fare tutti questi problemi? Mi fai venire i nervi!». Si scambiarono un'occhiata: lei abbassò subito la voce e Jun trattenne a stento una risata, quel modo brusco di imporsi gli ricordava tantissimo Shiori, ma quando realizzò di aver pensato a lei ancora una volta, tornò serio.
Si mise in piedi in mezzo allo spiazzo e guardò i fuochi che arrivavano tanto in alto che poteva vederli sopra il tetto della stazione. Quella serata doveva servire a distrarlo, ma si era trasformata in un’attesa solitaria e quell’attesa era uno di quei momenti di vuoto da cui tentava sempre di sfuggire. Ricordò un sogno fatto in quei giorni. Da quando Shiori non era più nella sua vita, lui non era più riuscito a sognarla; nelle immagini del suo subconscio lei non appariva mai e del suo passaggio non ve n’era traccia, solo lui la ricordava. Sbuffò e strinse le dita tra loro, dentro le tasche, deglutendo nel tentativo di scogliere quel groppo che sentiva in gola e che non gli permetteva di respirare normalmente.
«Scusa» lo richiamò la sconosciuta. «Posso chiederti una sigaretta?» domandò aggrottando le sopracciglia, come infastidita dal dovergli chiedere quel favore
«Le hai finite?»
«Sono forti, non posso fumarne due a così poca distanza»
«Non so quanta differenza ci sia tra i due tipi, ma tieni» rispose tirandone fuori una delle sue. Lo ringraziò e tornò vicina all'albero per fumare, ma stavolta rimase in piedi per poter guardare anche lei i fuochi. «Devi autopunirti per molte cose?» domandò Jun, incuriosito
«Non è qualcosa che possa quantificare. Comunque questa è solo una sigaretta di nervoso»
«Il tuo nervosismo accelererà la tua fine di questo passo». Avrebbe voluto dire quella frase con la giusta amarezza con la quale l'aveva pensata, ma con una sconosciuta non sarebbe stato cortese usare quel tono e aveva cercato un modo per mitigarlo, simulando una risata strozzata.
«È divertente?» domandò lei prendendo il primo tiro
«Scusa» disse abbassando lo sguardo. Era confuso dal suo stesso comportamento.
«Non importa, se la pensassi come te, riderei anche io» annuì tranquilla, non sembrava offesa
«Come me?»
«Sì. Hai detto che prima o poi moriremo tutti, giusto? Allora che io fumi di più o fumi di meno è indifferente: sono comunque destinata a morire, tanto vale fumare tutte le volte che voglio finché posso» fece spallucce. «Dato che non condivido, non rido, però mi chiedo cosa ci sia di divertente: vivi guardando il mondo che ti scorre davanti, aspettando solo il giorno della fine, perché tanto è il destino di tutti? Bella schifezza»
«Scusa» riuscì solo a rispondere.
«Lascia stare» scosse il capo lei. «È stata una giornataccia, non so più cosa sto dicendo, né perché mi sono messa a parlare con te» aggrottò le sopracciglia. «Prima di dire altre sciocchezze tornerò a casa. Scusami».
Jun osservò il sorriso stanco della sconosciuta: chissà che giornata aveva avuto per finire a parlare con uno depresso come lui. «Non importa» scosse il capo
«Comunque cerca di farti forza» concluse lei prima di fargli un inchino per salutarlo e allontanarsi.
Il ragazzo la guardò stranito, poi sorrise tra sé, sinceramente divertito: quanto tempo era passato dall’ultima volta che aveva sorriso così? Guardò l'orario sul cellulare e scoprì che era arrivato un messaggio.

2010/08/31 21:22 p.m.
Da: Shō kun
Titolo: Scusa! m(_ _)m
Le cose agli studi vanno per le lunghe, ho già avvisato Erina san. Salta tutto: perdonami

Jun storse il naso, ma Shō aveva fatto tanta fatica per quell’appuntamento che quasi gli dispiacque che fosse saltato. Non riuscì nemmeno ad arrabbiarsi per essere stato avvisato tardi.
Richiamò un taxi e diede l'indirizzo della JH.

2010/08/31 21:33 p.m.
A: Shō kun
Titolo: Re: Scusa! m(_ _)m
Fino a poco tempo fa mi sembrava di non avere niente di importante, nulla per cui sorridere: volevo dormire sotto le stelle e volevo svegliarmi nella luce del mattino. A parte queste due cose, il resto mi era diventato quasi indifferente. Andavo avanti per inerzia, senza tenere conto di voi, dei vostri sentimenti e di quanto abbiate fatto per me.
Come ho potuto? Sono stato così egoista… stavo sbagliando, vero?
Fammi sapere quando decidi di uscire di nuovo con Erina san: verrò con te ogni volta che vorrai.

Guardando le strade scure della città da dietro il finestrino, sentì che stava per addormentarsi, preda della stanchezza, ma prima scrisse quel messaggio, pieno di gratitudine mista a dispiacere, dolore e anche un pizzico di felicità. Quello era uno dei suoi granelli?

¹ Arashi ni Shiyagare è cominciato nell'Aprile del 2010, ossia 5 mesi prima del giorno in cui si svolge questo capitolo
² La Mild Seven è una delle marche di sigarette più vendute al mondo, è prodotta dalla Japan Tobacco
³ In giappone è vietato fumare per strada. Esistono appositi punti di fumo che possono essere una piccola area segnalata con dei cartelli all'interno di un parco di un tempio, oppure uno spazio vicino a dei posaceneri, delle panchine e ai cartelli che lo segnalano o ancora, delle vere e proprie camere di vetro in cui entrare a fumare (come quella presente a Shibuya, vicino ad Hachiko)
⁴ Altra marca di sigarette


Capitolo scritto di 5 minuti in 5 minuti, tra uno studio e l'altro (accendevo il pc, scrivevo 5 minuti, spegnevo, studiavo, accendevo, scrivevo e via dicendo). Eppure non è stato un problema spezzettare così la stesura.
Come pensavo, per me scrivere di Junnie è straordinariamente semplice, o perlomeno scrivere del Matsujun che ho costruito io e che spero sembri verosimile (ohddio, qui ancora non si è visto molto, ma chi ha letto Kaze può essersi fatto un'idea). Quando devo scrivere di Junnie comincio a pigiare sui tasti e non mi fermo più (la verità è che inizialmente questo capitolo era lungo il doppio, ma non andava bene così XD ho tagliato cose belle ma superflue e ho tenuto un po' l'essenziale).
Un po' perchè io l'ho scritto in diversi momenti, ma anche questo capitolo ha parti che si svolgono in giorni diversi, cosa che praticamente in questa ff non capita mai O_O un capitolo, un momento, o comunque un giorno solo. Ahahahah!! Vabbè basta farmi seghe mentali: da stanotte penserò al prossimo capitolo (avevo già cominciato ieri, ma continuavo a tornare con la testa al cinese e alla fine ho dormito di merda facendo solo incubi... me lo sento, quest'anno non lo passo ._. ok, hem... la smetto che non gliene frega niente a nessuno °.°)

Grazie a Shizuka che ha scritto l'ultima volta, grazie per il sostegno ^^ Come ti ho risposto: puoi stare tranquilla, quello di cui ho scritto è stato un periodo che già quando l'ho raccontato era finito (o non l'avrei mai raccontato: non scaricherei sui lettori le mie crisi di scrittrice!). Però intanto ho scoperto il nome di un'altra lettrice! Cioè ogni capitolo ha in media 25 letture e giuro che non sono io che mi autoleggo! Ahahah! Quindi qualcuno ci sarà pure: è bello saperne almeno il nome ^^ I miei lettori sono molto shizuka na (=tranquilli) come siggerisce il suo nick (si, ok.. la smetto coi giochini di parole che chi non sail giapponese non può capire >__<)
Vi lovvo tantissimo!
Con il capitolo di Junnie, la "crisi" tra la coppia di chibi e (quello che sembrerebbe) l'avvicinamento tra Erina e Shoccino ci avviciniamo a quasi (e forse) la metà della ff. Siamo in zona calda... uuuuh. *passa le patate al cartoccio*

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Capitolo 26
*** 25. It's so Quiet I can Hear ***


Le riprese di Himitsu no Arashi chan erano finite al solito orario, ma non c'era stato motivo per trattenere Shō più a lungo, quindi il ragazzo aveva salutato i membri frettolosamente senza trattenersi in chiacchiere: tanto sarebbero usciti insieme la sera del giorno dopo per festeggiare sia la fine dei concerti al Kokuritsu, sia l'uscita del nuovo singolo, prevista proprio per quel giorno.
Si era cambiato e in un batter d'occhio e si era accomodato sul sedile posteriore dell'auto, concedendosi un po' di meritato relax almeno nel tragitto dagli studi alla sede della JE. Dal 24 Agosto, giorno in cui aveva chiesto ad Erina di uscire, erano passate due settimane in cui era successo di tutto: avevano annunciato l'uscita del singolo Dear Snow per l'inizio di Ottobre, avevano faticato e portato a termine la seconda due-giorni di concerto e quel sabato avevano anche avuto la notizia che sarebbe stato inaugurato un aereo della JAL con le loro facce sopra! Fortunatamente la domenica aveva potuto riposare, mentre lunedì avevano fatto i servizi fotografici per "Duet" e "Potato" e quella mattina avevano registrato la puntata di Music Station e una loro trasmissione.
Arrivò nel parcheggio sotterraneo della sede, lasciò le sue cose in macchina e si diresse verso l'ascensore. Erano le sei e mezza di sera e in ufficio avrebbero finito di lavorare entro mezz'ora, ma ormai non era più strano vederlo passare a fare un saluto all'ultimo minuto. Oltrepassò le porte dell'ascensore e premette il bottone del piano, progettando di invitare tutti a bere qualcosa quella sera, ma d'improvviso l'ascensore si bloccò e Shō si ritrovò con il sedere a terra. «Accidenti» bofonchiò mentre si accendeva la debolissima luce di emergenza all’interno dell’abitacolo. Non si vedeva quasi niente, quindi allungò la mano per tastare intorno a sé e sentire dove fosse la parete. Si rialzò in piedi massaggiandosi il fondoschiena e si tenne al corrimano lungo le pareti per attendere il ritorno di corrente.
Sbuffò con impazienza fissando l’inutile lucina sopra la porta: voleva incontrare Erina, ma quel blocco gli stava facendo perdere momenti preziosi. Nonostante il lavoro, infatti, era felice: non solo quel che faceva gli piaceva, ma anche con Erina la situazione era migliorata. Lei non si era arrabbiata per il mancato appuntamento del 31 e anche con la quantità di lavoro che lui aveva dovuto svolgere, era riuscito ad incontrarla spesso: le strutture e gli impianti del Kokuritsu erano già stati collaudati nelle prime date, così, non dovendo lavorare fino a tardi, gli era stato possibile recarsi agli uffici ogni tanto. Altre volte erano stati addirittura i suoi colleghi ed Erina ad andare allo stadio! Infatti un giorno Erina e Ogura si erano presentati al Kokuritsu per sistemare alcuni accordi per le tempistiche di smantellamento delle strutture. Durante una pausa dalle prove, Shō aveva trovato modo di chiacchierare con lei e aveva avvertito un'atmosfera diversa: ridevano e scherzavano con naturalezza, come non era mai successo. Poi, quando Ogura l'aveva chiamata per andare via, l'aveva vista tirare fuori una sacca dalla borsa e consegnargliela. Arrossendo gli aveva detto che era un bentō in cui aveva messo miele e fettine di limone, un cibo che solitamente serviva a dare energie agli sportivi, ma che per lui andava bene dato che doveva muoversi molto e le prove erano sotto il sole. Shō era rimasto basito, ma aveva accettato il pensiero riuscendo a dirle solo poche parole prima che lei se la svignasse imbarazzata, incalzata dai richiami del collega. Ormai era chiaro che alcuni suoi atteggiamenti avevano preso una sfumatura più che amichevole.
Improvvisamente tornò la corrente e la partenza fu sempre poco delicata, ma ormai Shō si reggeva saldamente alle pareti. Uscì dall'ascensore e raggiunse l'ufficio con un sorriso raggiante. «Buona sera!» salutò ad alta voce aprendo la porta
«Che energia Sakurai san» fu la risposta che ricevette. «Buonasera a te».
In ufficio c'era solo Erina. «Gli altri?» domandò richiudendo la porta alle sue spalle
«Già andati» gli disse finendo di radunare alcuni fogli in una scatola. «E sei stato fortunato ad incontrare me: anche io sto per andare»
«Hai già finito?» fece con una punta di delusione nella voce
«Veramente oggi non ho lavorato» ridacchiò. «Sono passata dal mio ufficio in mattinata e basta». Questo spiegava come mai indossasse scarpe col tacco, pinocchietti di jeans e camicia bianca un po' scollata: non era affatto una mise da ufficio. «Ho fatto un po' di shopping nel pomeriggio, era un sacco che non lo facevo» sorrise contenta
«Sei uscita con delle amiche?» domandò avvicinandosi e appoggiandosi con la gamba alla sua scrivania mentre le parlava e la lasciava finire di sistemare le sue cose.
«Sono andata in giro con la mia coinquilina»
«Quella straniera che ho conosciuto anche io, vero?» fece cercando di ricordare il suo viso. Non riusciva a richiamarlo alla mente perché tutto quello che ricordava di quel giorno erano i malintesi chiariti e le gambe di Erina che la divisa da gioco aveva lasciato in bella mostra.
«Sì, lei. È cinese» annuì la ragazza richiudendo la scatola. I braccialetti argentati che portava ai polsi tintinnavano leggermente.
«Non vedo sacchetti qui in giro però. Non dirmi che hai sfruttato la tua coinquilina come portaborse!» fece spalancando gli occhi
«Ma sei impazzito? Certo che no!» esclamò colpendogli il braccio. «Li ho lasciati nella macchina di Fujim... un amico» sembrò correggersi
«Chi?» fece immediatamente Shō
«Fujimiya san, un collega del mio ufficio. Quando sono passata da loro ho scoperto che anche lui veniva da queste parti così ho accettato un passaggio in macchina» gli spiegò. «Si è offerto di riaccompagnarmi a casa, quindi appena mi fa uno squillo chiudo tutto e scendo».
Il ragazzo la osservava, contrariato. «Ma chi è questo?» fece ancora, senza poter evitare di suonare un po' duro nel fare quella domanda
«Mi hai ascoltato?» fece Erina incrociando le braccia. «È un mio collega di lavoro. Ti ricordi che lavoro per una società? Voi pagate loro per quello che faccio io, dato che lavoro alla Johnny's solo temporaneamente. Ecco perché sto raccogliendo alcune cose»
«Perché le raccogli?» fece lui. Improvvisamente gli stava venendo paura: si era completamente scordato che Erina non era un'impiegata della Johnny's Enterateiment, che non era normale che lavorasse lì o che fosse in contatto con il mondo di cui lui faceva parte.
«Sei più stanco del solito vero?» fece lei con un sorriso comprensivo. «Entro questa settimana tornerò al mio lavoro. Il prossimo concerto è a fine Ottobre, perciò riprenderò le attività per la Johnny's solo a metà del prossimo mese. Dato che si farà ad Ōsaka dovrò andare là, quindi prima mi toccherà fare un bel po' di lavoro per la mia compagnia così che possano fare a meno di me in quei giorni».
Fu come se a Shō fosse caduto il soffitto sulla testa, e pure un pezzo bello grosso. Era l’inizio di Settembre, se Erina se ne fosse andata non l'avrebbe vista per più di un mese, sempre che una volta organizzato il concerto, lei non tornasse a Tōkyō, mentre loro sarebbero rimasti al Kyōcera Dome a lavorare.
«Questo è Fujimiya» fece lei sentendo squillare il cellulare. «Pronto? Fujimiya san! Sì, adesso scendo. Ma và, cretino!» Shō la guardò ridere divertita. «Sì, grazie, arrivo». Erina mise alcuni documenti ben ripiegati nella borsa e lasciò la scatola con le sue cose in un angolo della scrivania. «Scendi con me?» gli chiese. Il giovane ebbe appena la forza di annuire, poi spensero i computer e le luci prima di uscire.

Erina era raggiante: fare shopping le migliorava l'umore e le alleggeriva il portafoglio. Non faceva spesso compere ed era una buona cosa dato che sarebbe stata capace di spendere cinquantamila yen¹ in un paio d'ore, ma avendo un affitto da pagare, le bollette e la spesa evitava di darsi occasioni per sfogare quel suo vizio. Aveva deciso di approfittare di quel giorno libero e del fatto che anche Ying lo avesse per uscire con lei e passare un po' di tempo insieme.
Ultimamente in casa non c'era un'aria distesa, ma lei non se n'era nemmeno accorta distratta com'era. Era stata Tomomi a farle notare che la cinese era di cattivo umore: aveva un buono spirito di osservazione e le era bastato vederlo un paio di volte agli allenamenti per capire che Ying era più scostante del solito e stava molto meno appiccicata a Erina; la rossa invece non se n'era resa conto, eppure la vedeva tutti i giorni in casa. L'amica era una persona silenziosa e riservata di natura, quindi il suo essere scostante le sembrava normale; se poi si aggiungeva che ultimamente Erina era stata presa da altro, non le era stato proprio possibile notare se i silenzi tra loro si fossero allungati. Per quello le aveva proposto di fare dello shopping insieme e la giornata era andata bene, non aveva notato niente di strano: o Ying era tornata di buon umore, o la causa del suo cambiamento non era lei.
Comunque non erano state solo le spese a farla star bene, ma anche il fatto che il suo rapporto con Shō migliorasse di giorno in giorno. L’appuntamento, se così lo si poteva chiamare, era saltato, ma il solo fatto che fosse esistito quell’accordo era stato un passo avanti. Quel giorno si era fatta prendere dal panico: era rimasta ore davanti all'armadio a chiedersi cosa indossare, poi davanti allo specchio per capire come truccarsi e dopo ancora aveva continuato a chiedersi con quale coraggio si sarebbe presentata a due degli idol più belli di tutto il Giappone. In quella situazione si era sentita quasi sollevata leggendo la mail di Shō che annullava tutto.
Nonostante quel buco nell’acqua, in seguito si erano visti spesso, avevano chiacchierato con scioltezza, scherzato. Le capitava spesso di ripensare ad un giorno in cui, proprio come un cavaliere coraggioso, Shō le aveva fatto da scudo evitando che montagne di scatoloni le cadessero addosso nei magazzini dello stadio. Quel giorno stava semplicemente curiosando in giro e lui l'aveva incrociata per caso. L'aveva richiamata, lei si era spaventata pensando di essere in una zona vietata e, a causa della sua solita sbadataggine, aveva colpito e fatto cadere pile e pile di scatole. Shō l’aveva protetta dal crollo e fortunatamente erano stati solo scatoloni pieni di fili elettrici quindi lui si era fatto male, ma intanto Erina era finita contro la parete con il corpo di lui che le faceva da scudo: ritrovarselo così vicino l’aveva mandata in solluchero e per ricambiare e scusarsi del disastro, aveva trovato il coraggio di preparare qualcosa per lui. Anche in quel caso però era stata un disastro: invece di spiegargli che gli dispiaceva e che l'aveva fatto per ringraziarlo, gli aveva sbattuto in mano il bentō che aveva preparato e se l'era data a gambe prima di morire per la vergogna.
Insomma negli ultimi tempi il rapporto tra di loro sembrava aver preso finalmente la strada giusta, tanto che a volte aveva l'impressione che certi atteggiamenti non fossero affatto da semplici amici. Persino Kimura sembrava aver intuito che c’era qualcosa tra loro, ma Erina detestava quel tipo di situazioni in cui tutti davano per scontato che tutto fosse chiaro quando invece lei, diretta interessata, non poteva dirsi altrettanto sicura. Era talmente sbadata e poco attenta che tante cose, se non dette, non le capiva da sola, quindi sapeva che se non le si parlava in maniera chiara e diretta, non sarebbe mai stata sicura come invece gli altri pretendevano di essere. Il problema era che i giapponesi non erano propensi a quel tipo di schiettezza, men che meno in campo amoroso.
«Tu invece? Cos'hai fatto oggi?» domandò Erina. Lo vide appoggiarsi alla parete di fondo e aggrapparsi al corrimano, quindi lei si appoggiò all’altro lato dello stretto abitacolo.
«Abbiamo registrato Music Station» rispose Shō
«Quando andrà in onda?»
«Tra due giorni» disse ancora. Improvvisamente gli sembrò più scostante, eppure non le sembrava di aver detto nulla di sbagliato. «Andiamo?» si sentì domandare
«Dove?» Erina si girò a guardarlo, spaesata
«Giù» fece Shō aggrottando le sopracciglia, accennandole alla pulsantiera dell'ascensore che lei ancora non aveva premuto
«Sì, sì!» annuì e premette per il piano terra, confusa. «Avevate anche le registrazioni di Himitsu vero? Dev'essere stata una giornata faticosa. E io che me la sono spassata»
«Ecco perché guadagno più di te» fece lui accennando un sorrisino
«Come sei scortese» gli disse arricciando il naso.
Shō stava per ribattere in qualche modo, ma l'ascensore si bloccò d'improvviso e le luci si spensero. Erina fece appena in tempo a fare un'esclamazione di sorpresa poi cadde a terra come un sacco di patate. Quando riaprì gli occhi per capire cosa fosse successo, era buio. «Che male» bofonchiò sentendo dolore al ginocchio che aveva sbattuto cadendo
«Lo dici a me? È la seconda botta che prendo» lo sentì lamentarsi. La sua voce le arrivò da molto vicino. Le mani del ragazzo l'avevano afferrata per le braccia quando, perdendo l'equilibrio, gli era quasi caduta addosso. In quel modo lui aveva lasciato il corrimano e avevano perso entrambi la stabilità. Ora erano a terra, lui con la schiena contro la parete e lei inginocchiata tra le sue gambe. Resasi finalmente conto della situazione si sentì il viso in fiamme. La luce d'emergenza fortunatamente era tanto debole che lui non avrebbe mai visto il suo colorito.
«È normale che succeda una cosa simile?» chiese Shō
«È tutto il giorno che ci sono cali di corrente, per questo dopo pranzo Ogura san e Kimura san hanno deciso di fare dei lavori fuori: usare i computer e i telefoni era impossibile. A volte è mancata anche per mezz'ora» spiegò Erina con un filo di voce. «Mi spiace, ti ho fatto cadere»
«Non importa, ti sei fatta male?»
«Un po' al ginocchio, ma sto bene. Mi hai trattenuto» e lo stava ancora facendo, infatti non accennava a lasciarle le braccia
«Spero non sia niente di grave, forse dovresti farti controllare più tardi» le propose Shō.
La sua voce era vicinissima ed Erina si sentiva molto piccola appoggiata contro quel petto ampio. «Figurati. Non è niente» balbettò. «Tu? Stai bene?»
«Mi ero già fatto male quando si è bloccato mentre salivo, stavolta ho sbattuto la schiena quando ti ho afferrato» spiegò muovendo il collo, come per sentire se la spina dorsale fosse ancora intera
«Accidenti, scusa!» esclamò alzando lo sguardo, sentendosi terribilmente in colpa. Si mosse troppo rapidamente e Shō non ebbe tempo di spostarsi, così sentì il suo mento sbatterle contro la nuca. Esclamarono entrambi di dolore: la rossa non sapeva più se si sentiva le lacrime agli occhi per le botte o per la figuraccia.
«Sei veramente un pericolo pubblico» si mise a ridere Shō dopo i primi secondi. «Nemmeno i congegni di Doraemon² facevano tanti pasticci»
«Sei cattivo, Sakurai san! Non lo faccio apposta!»
«Ci mancherebbe!» continuò divertito
«E poi i suoi macchinari erano perfetti. Era Nobita che abusava dei loro poteri e mandava tutto all’aria»
«Allora sei Nobita» le propose
«Non ci pensare nemmeno. Non ho bisogno di congegni io: faccio disastri anche senza!» esclamò arricciando il labbro
«Sembra che tu ti stia vantando, sai? Non c'è niente di cui vantarsi» le fece notare sempre più divertito. «Insomma, sei solo un congegno difettoso»
«Funziono benissimo io! Nobita sarai tu» sbuffò
«Stai insinuando che è colpa mia? Non mi sembra di star abusando di te» fece notare e il secondo dopo smise di ridere, accorgendosi troppo tardi di ciò che aveva detto.
Anche Erina si irrigidì e tornò ad arrossire. «Scusa, ora mi alzo» mormorò decidendo di rimettersi in piedi: era già un minuto che erano seduti a terra quasi abbracciati.
Si mosse per rimettersi in piedi, ma sentì Shō sussurrare. «No». La spinse nuovamente a terra, la strinse a sé mettendole le mani sulla schiena per non lasciarle modo di muoversi.
La ragazza rimase senza parole. Nella semioscurità non vedeva quasi niente, ma erano così vicini che non c'era bisogno degli occhi, capiva semplicemente ascoltando il suo corpo: la stava abbracciando, facendole tenere la testa appoggiata alla sua spalla, la sua presa era forte, percepiva la tensione dei muscoli delle braccia e del petto e sentiva il calore del suo corpo sotto i vestiti. Dalla sua posizione poteva anche cogliere l'odore dell'ammorbidente della polo che indossava e un ultimo residuo del profumo che probabilmente si era messo ore prima, all'inizio della giornata. «Rimani qui» lo sentì sussurrare. La sua voce era profonda, ascoltata da così vicino sembrava ancora più calda e seducente, e le sue labbra le stavano sfiorando il lobo dell'orecchio.
«Sakurai san?» farfugliò deglutendo a fatica, ma Shō non accennava a lasciarla andare.
«Scusa» fece il ragazzo dopo qualche secondo, allentando la presa. «Però è meglio se stai seduta o quando ripartirà rischierai di cadere di nuovo, » spiegò.
Erina annuì ma cercò di mettere un po’ di distanza tra loro se voleva sopravvivere all’emozione. Mentre si allontanava cercò di guardarlo nel buio e, intuendo le sue labbra a pochissimi centimetri di distanza, si bloccò. L'aveva fatto senza rifletterci troppo, forse dando per scontato che il buio non avrebbe mai svelato dove lei guardasse, e invece si rese conto troppo tardi che ormai i loro occhi si erano abituati al buio: se lei vedeva i connotati del suo viso anche lui doveva poter fare altrettanto; infatti Shō colse immediatamente l'occhiata diretta alle sue labbra e ai suoi occhi subito dopo, quindi doveva averla vista mentre lo osservava languidamente.
Il ragazzo le stropicciò la camicia sulla schiena serrando le dita sul tessuto, come se volesse farle capire che, anche se non la stava più stringendo, non l'avrebbe comunque fatta indietreggiare più di quanto avesse già fatto. «Eri» le sussurrò con un soffio sulle labbra. Lei sentì un leggero capogiro e un brivido: era una scossa di adrenalina data da quel gesto e da quell’unico eccitante sussurro. Continuarono a guardarsi negli occhi e poi a guardare le labbra dell'altro, controllando quanta distanza ancora ci fosse a dividerli, una distanza che sembrava diminuire gradualmente.
Erina fece per chiudere gli occhi, ma nell'ascensore tornò la luce e il meccanismo ripartì bruscamente. Stando seduti a terra non sentirono il movimento, che avrebbe invece fatto fare loro un salto se fossero stati ancora in piedi, quindi rimasero pressoché immobili a fissarsi.
«Accidenti se era buio!» esclamò Shō improvvisamente, girando il viso di lato. «Non mi sono nemmeno accorto delle distanze» ridacchiò
«Già» farfugliò lei sgranando gli occhi e abbassando lo sguardo
«Possiamo alzarci. Se si aprono le porte e ci trovano così cosa diremmo?» propose il ragazzo lasciandola andare. Erina annuì e prima di alzarsi sbirciò il suo viso: era imbarazzato quanto lei.
Si rimisero in piedi ripulendosi i vestiti e il cellulare di Erina squillò di nuovo. «Scusami» disse verso Shō prima di rispondere. «Pronto? Fujimiya san, sono rimasta bloccata in ascensore» aggrottò le sopracciglia. «No, no, è ripartito. Non c'è bisogno di preoccuparsi. Ora arrivo» concluse chiudendo la conversazione. «Mi ero dimenticata di lui» sorrise imbarazzata
«Era arrabbiato?» domandò Shō
«No, era solo un po' troppo preoccupato. Ogni tanto esagera» scosse il capo e finalmente arrivarono a piano terra.
Erina fece per uscire, quando le porte si aprirono, ma vide che il ragazzo non si muoveva. «Non vieni?» domandò stranita
«La macchina mi aspetta nel sotterraneo» spiegò. «Ci vediamo domani» la salutò chinando un poco il capo
«Ci vediamo?» domandò lei spalancando gli occhi
«Sì, ho le riprese la mattina, ma il pomeriggio sono libero» spiegò Shō annuendo. «Sempre che tu lo voglia» si azzardò a dire il ragazzo
«Sì!» rispose di getto. «Voglio dire, farebbe piacere a tutti» si corresse con un sorrisino
«E a te?» lo sentì insistere.
Erina lo guardò colpita: quella era una domanda piuttosto diretta per essere fatta da un giapponese. «Mi farebbe piacere» rispose con un sorriso. «A domani allora» salutò girandosi, pronta a uscire dall’ascensore, ma le porte le si erano richiuse in faccia e, prima che potesse fare un passo di modo che si riaprissero, Shō parlò ancora. «Un attimo» la richiamò mettendosi al suo fianco. «Venerdì sei libera?»
«Venerdì?» domandò. « Credo di sì. Che numero è?»
«Il dieci. Devo ancora sentire Jun, ma credo verrà» spiegò. «Puoi sentire la tua amica e farmi sapere?»
«Sì, d'accordo» gli rispose. «Ora, Nobita, puoi lasciarmi andare prima che multino il mio collega per parcheggio in zona di carico e scarico?» domandò divertita. Si sorrisero a vicenda e lui la lasciò passare. Erina uscì ridacchiando e fece qualche passo nell'atrio prima di voltarsi a guardarlo di nuovo. Le porte si stavano richiudendo, ma Shō la stava ancora guardando con un sorriso e la salutò con un gesto della mano prima di scomparire.
Improvvisamente Erina fu certa che quello che era successo in ascensore era stata la realtà e che Shō aveva voluto veramente fare ciò che aveva fatto. A quel punto se non fosse stata nell'atrio della sede di una grossa azienda di talenti, si sarebbe messa ad urlare.

¹ poco meno di 400 euro
² Doraemon, protagonista di un manga/anime molto famoso, era un gatto spaziale venuto dal futuro che ad ogni puntata tirava fuori strani congegni di cui puntualmente Nobita, il bimbo terrestre che lo ospitava, abusava creando un pasticcio.


Ho pensato a questo capitolo durante tutte le notti di preparazione all'esame scritto di Cinese. Ci ho pensato talmente tanto che fatto l'esame avevo ormai finito il capitolo nella mia testa o.o dall'inizio alla fine, virgole comprese, più o meno. Ho solo dovuto scriverlo. L'ho fatto per metà il pomeriggio del giorno dell'esame (dopo averlo fatto intendo) e per una metà poco fa anche se domani ho l'esame di giapponese scritto e dovrei studiare. Sono una disgraziata °_°
Oh, se qualcuno di voi non lo sapesse: i giapponesi sono... LENTI, non espliciti e maledettamente timidi. Quindi se pure Sho non è propriamente una polenta, ma più istintivo... non potete aspettarvi un tipo mediterraneo: aperto, esplicito e via dicendo. Senza contare che... devo ricordarvi che fine ha fatto l'ultima volta che è stato spiccio con Erina? Certi schiaffi bruciano sempre nell'orgoglio =P Let me know what do you think *.*

Ringrazio sia Shizuka, per le belle parole che mi hanno addirittura commossa(!), che isabell, per esser sempre qui a farmi sentire il suo sostegno ^^
Ah, mi son dimenticata di avvisare qui. Il mio viaggio in Giappone è, chiaramente, saltato. Non starò a menarvela sui perchè e i percome, nè su quanto ci sia stata male, non è la sede e magari nemmeno ve ne frega. A chi legge però interesserà sapere che comunque a questo punto rimarrò nella calda Milano per tutto l'estate. Da sabato comincio a cercare un bel part-time (ci sarà qualcuno che ha bisogno di una con livello avanzato di inglese e spagnolo e livello intermedio di cinese e giapponese, no??), il che, in sostanza, significa che la fic non subirà una battuta d'arresto estiva ma continuerò a scrivere. Contenti?
Beh dai, cerchiamo di vedere i lati positivi no?

SPOILERRRR prossimo capitolo: abbiamo lasciato le coppia di Chibi dopo un saluto piuttosto freddo da parte di Kokoro. Qualcuno ha detto di capire le fisime di Kokoro, che sono naturali. Eh... ma cosa fareste al posto suo? u.u prossimo capitolo is coming soon!


La fanfiction è in fase di revisione. Revisione che per ora è arrivata a questo capitolo.
Se nei prossimi capitoli notate un improvviso cambiamento di stile, è normale: da quando ho cominciato a scrivere sono passati più di due anni, anni in cui il mio stile è cambiato; per amore della ff e pignoleria mia li sto rivedendo di modo da darle uno stile unitario, ma è un lavoro lungo (viene rivista e corretta da altre 2 persone oltre a me). Per ora siamo arrivate qui ^^

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Capitolo 27
*** 26. A Problem without its Name ***


Era mattina presto e dalle case vicine, con le finestre ancora aperte in quegli ultimi giorni di calore settembrino, si sentivano tanti rumori: le persone consumavano la loro colazione spostando le ciotole di riso e le tazze di caffè, qualcuno chiamava a gran voce chi ancora non si era svegliato, oppure si sentivano le suonerie delle sveglie che si accendevano improvvisamente. Le strade invece erano ancora tranquille, anche se le ombre delle case non era più così lunghe e infondo alla via era già arrivato il camioncino verde acqua per la raccolta dei rifiuti.
Kokoro stava spazzando mestamente davanti al negozio, ancora non aveva indossato la divisa del negozio dato che aprivano entro un'ora e doveva prima sistemare alcune cose, tra cui finire i dolci che aveva cominciato alle quattro di quella stessa mattina. Indossava un paio di jeans consumati e una maglietta celeste a maniche corte che usava spesso quando doveva passare le ore a cucinare. Intorno alla vita aveva legato un grembiule bianco con qualche vecchia macchia. Davanti al negozio si erano posate alcune -probabilmente le primissime- foglie cadute dagli alberi e della polvere, così, in attesa di poter riprendere a lavorare sui dolci che dovevano riposare per un po', si era messa prima a sistemare i noren appesi alla porta d'entrata e poi a passare la scopa davanti all'ingresso.
Non tirava vento, ma il cielo comunque non era del tutto sereno. Un po' come lei: a vederla non sembrava avesse problemi, ma in realtà erano giorni che continuava ad avere pensieri. Erano quasi due settimane che non sentiva Aiba. Dopo la paura dei primi giorni, che l'aveva paralizzata tanto da non capire più come comportarsi, era riuscita a calmarsi e a concludere che la cosa migliore era parlarne con lui, ma era già passata una settimana e non aveva trovato un modo per contattarlo che la soddisfacesse. Come doveva attaccare bottone? Con che scusa chiamarlo? Tergiversare e poi parlargli dei suoi problemi, oppure andare dritta alla questione? Proprio per questi dubbi, le due o tre volte in cui lui aveva chiamato, lei non aveva risposto. Per un timore o per l'altro le settimane erano diventate quasi due e a quel punto non sapeva nemmeno con quale coraggio tornare a parlargli dopo averlo ignorato. Ogni giorno si diceva che doveva essere quello giusto per risentirlo, ma alla fine andava a dormire che non aveva combinato niente e rimandava al successivo.
Con un sospiro lanciò un'occhiata infondo alla strada: il camioncino della spazzatura si faceva sempre più vicino. "Non dovrei fare così" si disse appoggiandosi alla scopa e scrutando meglio a destra e a sinistra "Infondo la maestra non era sicura di aver visto proprio lui e ogni tanto è successo che scambiasse suo fratello per lui. Ma se fosse lui invece?". Si mordicchiò il labbro e guardò l'orario sull'orologio da polso. La proprietaria del negozio aveva raccontato di aver intravisto Masaki nel combini vicino a dove abitava, ma non le era stato possibile vederlo chiaramente per esserne sicura. "Magari è tornato dalla famiglia nei giorni dopo il concerto e passerà di qui" pensò guardando un primo salary man uscire di casa pronunciando il classico "ittekimasu" e trottare rapido in direzione della stazione "Deve venire... non si è visto ieri, lo vedrò oggi. Perchè non dovrebbe?". Si avvicinava l'orario in cui tutti uscivano di casa per andare a scuola o al lavoro e i bambini del condominio sarebbero passati dal negozio entro una ventina di minuti per ritirare la loro solita merenda. Dato che aveva dovuto lavorare all'alba non avrebbe potuto essere a casa per distribuirli e quindi sarebbero venuti loro da lei. "Devo ancora preparare le confezioni" concluse prendendo la scopa in mano, saldamente, pronta a rientrare. «Hanayaka san, buongiorno!» si sentì salutare. Alcune mamme uscivano da casa con due figli a testa sulle biciclette, pronte a portarli a scuola. «Buongiorno!» rispose con un sorriso e un inchino. "La maestra si arrabbierà se scoprirà che delle clienti mi hanno visto vestita così, sarà meglio cambiarsi" si disse rientrando nel negozio e mettendo a posto la scopa. Si fermò davanti alla vetrinetta del bancone, vuota per metà, riflettendo su come sistemare i dolci preparati quella mattina. "Quelli verde chiaro li metto a destra, poi quelli gialli e per ultimi quelli rossi con gli azuki" progettava togliendosi un elastico dal polso e raccogliendo i capelli con le mani "Sì, magari è presto ancora, ma mi piace... una scala cromatica come se si passasse dal verde estivo al rosso autunnale" fece un sorrisino soddisfatto, poi sentì suonare la campanella appesa sopra la porta d'ingresso. «Mi spiace, apriamo alle otto e mezza» pronunciò automaticamente "No, altri clienti prima che mi sia messa la divisa!" sbuffò tra sè. «Può tornare tra un...» fece preparando un sorriso cortese da sfoggiare al cliente entrato per poi girarsi verso l'ingresso
«Non devo comprare nulla, ho solo bisogno di cinque minuti del tempo della vostra commessa» spiegò il ragazzo appena entrato mentre la porta si richiudeva alle sue spalle, con un secondo scampanellio. «Aiba san» mormorò Kokoro per poi serrare le labbra e abbassare lo sguardo, colpevole. Era successo esattamente ciò che sperava, a volte sembrava che quel ragazzo le leggesse la mente, però aveva sempre lo stesso problema: come parlargli e cosa dirgli? «Hanayaka san, è molto che non ci vediamo» la salutò con un timido sorriso
«E' vero» annuì piano, alzando appena lo sguardo su di lui. Aveva un borsone a tracolla, quindi doveva essere veramente stato qualche giorno dalla famiglia. «Stai andando al lavoro?» domandò
«No, ho da fare solo nel pomeriggio, quindi stamattina esco con degli amici. Dopo gli ultimi concerti ero stanchissimo: ho dormito un giorno intero; poi ne ho lavorati altri due. Era ora di stare un po' con le persone che conosco quindi ieri sono stato una mezza giornata con la mia famiglia, oggi tocca a loro». "Io quindi non sono contemplata?" si domandò provando una cocente delusione "Ma che cosa pretendo? Se non fossi stata così vigliacca e avessimo parlato sarei stata inclusa. E invece...". «Ho capito. Avevi bisogno di me?» domandò quindi, cominciando a sentirsi sempre più nervosa
«Sì, volevo parlarti perchè non sono riuscito a contattarti fino ad oggi e... beh, forse è il caso di parlare di persona a questo punto» spiegò lui annuendo. "Questo punto? Quale punto?" si domandò in preda all'angoscia. «Siamo soli?» domandò
«Sì, la maestra arriva mezz'ora dopo l'apertura» rispose
«Bene, sarebbe stato problematico non poter parlare con chiarezza» annuì con un mezzo sorriso «Devi scusarmi, io... non sono molto bravo a parole. Già sono maldestro con i movimenti, figurati a parlare. Ho passato un sacco di giorni a pianificare le cose da dire e invece... accidenti adesso ho dimenticato tutto! "biiiip" tracciato piatto!» ridacchiò nervosamente «Quindi penso che la farò breve: ho fatto qualcosa che non va?».

Sperava di essere già nella fase in cui non avrebbe dovuto preoccuparsi di sentire poco la propria ragazza, perchè lei già sa com'è la sua vita, quali sono i suoi ritmi (terribilmente serrati) e le sue priorità. Invece non era così, non perchè Kokoro non lo sapesse, ma perchè sembrava che ancora non si fossero del tutto appianate e chiarite le questioni base tra loro. Per questo il non averla sentita a lungo lo aveva allarmato quando invece non avrebbe dovuto essere così, peggiorava la situazione il fatto che lui aveva provato a chiamarla, ma lei non aveva nemmeno risposto. Ormai conosceva Kokoro: era una ragazza che prediligeva le cose più semplici, ripetitive, o meglio familiari, che pretendeva molto da se stessa e poco dagli altri, ma su quel poco puntava tutto e se qualcosa andava male cominciava a farsi mille problemi. Tutto normale, chiaramente, lo era un po' meno invece quando la sua reazione a questo "andar male" era chiudersi in se stessa, rimuginare troppo, evitare gli altri, rimuginare ancora e, cosa peggiore, trarre le proprie conclusioni in completa autonomia seguendo molto spesso una logica bianca&nera, piuttosto che aperta alle possibili sfumature. Che sfumature poteva cogliere se l'unico punto di vista che teneva in considerazione era il proprio?
Così era successo nei loro vari piccoli problemi: era accaduto qualcosa e lei lo aveva tenuto fuori dalla questione -che pure lo riguardava- decidendo da sola quale fosse la soluzione migliore. E così, ci avrebbe scommesso, stava facendo anche quella volta. Doveva essere successo qualcosa, l'ultima volta che si erano visti, e probabilmente era dipeso da un suo errore, ma invece di averglielo fatto notare aveva incassato il colpo e poi era sparita senza farsi sentire: aveva cominciato il suo solitario rimuginamento. "Stavolta non andrà così" pensava dentro di sè mentre si preparava ad affrontare Kokoro, presentandosi direttamente davanti a lei "Se ho sbagliato qualcosa, se qualcosa non va, stavolta deve dirmelo e dobbiamo parlarne. Non starò un'altra volta ad ascoltare le sue lapidarie conclusioni e ad affannarmi per farle cambiare idea una volta che l'ha già presa: piuttosto mi affannerò adesso a capire e correggere il problema. Sarà sicuramente meno difficile che farlo dopo uno scontro frontale con le sue convinzioni".
Aiba era fatto così, lui non rimuginava moltissimo e il più delle volte non coglieva gesti o frasi cruciali. Così poteva dire qualcosa di estremamente intelligente o bello avendo la sensazione di star semplicemente pronunciando come poteva le parole che meglio esprimessero i suoi sentimenti, oppure poteva dire qualcosa di molto stupido pensando semplicemente di dire la prima sciocchezza che gli passava per la testa, o di fare una battuta, scherzando. Doveva essere così che aveva sbagliato con Kokoro, quindi voleva sapere qual'era stato il suo errore e correggersi, spiegandole come stavano le cose: molto probabilmente aveva solo detto una scemata e lei stava rimuginando su una cosa che lui aveva detto senza alcuna cattiveria... magari senza nemmeno averci ragionato!
«No, niente» rispose la ragazza scuotendo il capo, dopoc he le ebbe fatto la domanda cruciale. «Sei sicura? Io veramente sono piuttosto convinto di aver sbagliato qualcosa quando siamo usciti, quindi ci ho riflettuto parecchio, ma, scusami, non riesco proprio a capire quando e cosa posso aver fatto» ammise con un sospiro sofferente «Proprio non ci riesco! Non ho una gran memoria, quindi in realtà molte cose che ho detto non le ricordo... anzi no, a dirla tutta, non ne ricordo nessuna di preciso, però so cos'abbiamo fatto, ricordo il senso generale dei nostri discorsi e non capisco dove sia il problema». Ammise. "So che questo mio essere poco riflessivo non è sempre un pregio, anzi, può ferire qualcuno o farmi commettere delle scemenze... ma io sono un po' scemo, no? Anche se è sbagliato preferisco ammetterlo ed essere sincero davanti a Kokoro, così la spingerò ad imitarmi e a farla uscire dai suoi solitari scervellamenti: spiegami cosa ho fatto, chiaro e tondo, e giro che chiarirò tutto". Sembrava un piano perfetto, quasi troppo elaborato per essere stato ideato da un sempliciotto come lui, ma quando si trattava di cose che gli stavano a cuore diventava più macchiavellico di Nino.
«Non hai detto niente che non va» gli rispose ancora lei. Era chiaro che non aveva il coraggio di guardarlo in faccia, teneva lo sguardo basso e si stropicciava il grembiule con le dita; quella sua inaspettata comparsa al negozio, prima dell'orario d'apertura, doveva averla scombussolata. «Ma qualcosa dev'essere pur successo, il tuo comportamento non è normale. O meglio... o non è normale o sei una persona completamente diversa da quella che credevo di conoscere» concluse il ragazzo. Cominciava a sentirsi confuso: tutta quella storia e poi veniva fuori che non aveva sbagliato niente? Se fosse stata un uscita così perfetta allora perchè lei lo aveva salutato così freddamente al termine di quell'appuntamento? Perchè lo aveva evitato in tutti quei giorni? «Non hai fatto niente» tentò di ripetere Kokoro con voce roca «Non volontariamente almeno... o forse nemmeno involontariamente. No, non hai fatto niente... anzi no, hai fatto qualcosa sì, però sono io che non l'ho presa bene, ma... non lo so...» aveva la voce che le tremava. Anche se teneva lo sguardo basso lo vedeva anche lui che le stavano venendo le lacrime agli occhi. «Scusa, sono io che non lo so cosa fare. Penso di essere io il problema» disse lei cominciando finalmente a spiegarsi «Sei stato splendido l'altro giorno. Uscire con te è stata la cosa più bella che mi sia mai successa. Ci siamo divertiti, abbiamo riso. E' successo altre volte quest'anno, è vero, ma ero terribilmente felice perchè per la prima volta le tue risate erano solo per me, le tue parole erano solo per me. Ogni volta che parlavi...» strinse le labbra mentre cominciava a lacrimare, fece un respiro profondo e riprese. «Quando parlavi, parlavi a me. Era tutto per me e sono stata così felice»
«Ma qual'è il problema allora?» domandò Aiba con una nota di angoscia nella voce: se possibile si sentiva sempre più confuso ad ogni sua parola. Erano dolcissime le sue parole, l'avrebbe abbracciata ridendo senza sosta per aver sentito delle cose così belle delle da lei, se solo non ci fosse stata tutta quella cornice di incomprensibilità. Il fatto, poi, che si fosse messa a piangere non rendeva per niente allegra la situazione: era agitata, erano parole confuse; e non riuscendo a comprendere quella situazione Aiba cominciava seriamente a spaventarsi. Dentro di sè comincio a pensare "Ti prego, non lasciarmi" con feroce insistenza. «Quelle cose erano tutte per me, ma tu no. Tu non lo sei» scosse il capo la giovane, singhiozzando «Accidenti, adesso mi faccio prendere dall'isteria» farfugliò passandosi le mani sugli occhi mentre i singhiozzi le facevano tremare le spalle. «Ehi... calma, calma» fece a bassa voce il ragazzo allungando una mano verso il suo viso. La stava tranquillizzando, ma lui stesso non era affatto rilassato: forse stava solo facendo la figura del fesso a consolare una ragazza che stava semplicemente trovando un modo carino per scaricarlo. "Non c'è niente da piangere! Perchè stai piangendo? Smettila, io volevo solo capire cosa non va! Non sta succedendo niente... vero?" cercava di calmarsi. Non sapeva se le avrebbe accarezzato la guancia o se le avrebbe portato via le lacrime, ma alla fine dovette bloccare quel suo gesto a metà: erano in un luogo pubblico, benchè soli, e non poteva rischiare. «Che cosa intendi dire?» chiese quindi serrando le dita in un pugno e riabbassando il braccio, toccarla forse lo avrebbe tranquillizzato, ma non poteva farlo. Respirò profondamente, richiamando a sè tutta la propria pazienza e il suo controllo: in questo ormai era bravo e infatti funzionò. «Questo» rispose infine Kokoro, indicandogli il pungo che aveva appena fatto «Non posso prenderti per mano quando voglio, non puoi consolarmi se ne ho bisogno. Ma una fan potresti abbracciarla no? Puoi stringerle la mano»
«Ma non andrò mai a trovarla a casa, nè lei potrà mai prepararmi la colazione e lasciarmela sul tavolo da portare via la mattina dopo» spiegò confuso, senza pensarci su due volte «Preferiresti tenermi per mano per strada, piuttosto che vedermi attraversare la città dopo una giornata di lavoro solo per vederti?»
«No!» esclamò prontamente Kokoro «Voglio... vorrei entrambi» spiegò. Probabilmente stava per rimettersi a piangere. Era quello che voleva? Più intimità? «Ma lo...» fece per ribattere
«Lo so!» lo interruppe con la voce che le si alzò di un'ottava anche per colpa del singhiozzo che aveva accompagnato quelle parole «Sono stata la prima a riflettere su queste cose, sono stata io a dirti, quando mi sono dichiarata, che ci avevo pensato e che non mi interessava. Ho promesso che avrei lavorato su me stessa mentre ero all'estero, ma...» si lasciò andare ad un paio di singhiozzi e tirò su col naso prima di continuare «La verità è che tra accettare una cosa solo immaginata e accettarla dopo che la si è vissuta realmente c'è un abisso ben più grande di quanto non credessi. Differenze, dettagli e sensazioni di cui non avevo tenuto conto»
«Ma sapevi che sono un personaggio pubblico, che ho dei fan e delle responsabilità verso di loro. Un contratto e degli obblighi» pronunciò Masaki, suonava disorientato, spaventato persino a se stesso. "Sapevi tutto questo, hai accettato tutto lo stesso e adesso ti rendi conto che non ti sta bene? Questo... questo cosa significa?" si domandò spostando lo sguardo sui dolci nella vetrina del bancone, per qualche secondo la paura lo disorientò. "Significa che dopo essere riuscito ad avere la persona che amo, questa adesso si tira indietro e mi.. mi lascia?". «Ma a me non importa se non ci possiamo sentire per settimane, se devi partire un mese a fare un servizio nella Papuania del Sud!» esclamò Kokoro passandosi ancora le mani sugli occhi «Io sono felice se hai da fare, se le persone ti sostengono e se ti diverti. Vorrei solo... solo...» farfugliò e si zittì. "Cosa vuoi?" si domandò Aiba tornando a guardarla.

"Se so che ha degli obblighi e deve comportarsi una data maniera, se mi sta bene anche se non sarà un fidanzato sempre presente... cosa voglio allora?". «... tsulando no purinsu kai!*» i bambini entrarono nel negozio canticchiando in coro
«Buongiorno Kokoro chan!» salutò Marika che veniva dietro i due maschietti. La ragazza deglutì a fatica, sgranando gli occhi e Masaki fece un passo indietro. «Oh, sorellona piangi?» domandò la bambina lasciando andare la porta e correndo verso di lei
«Piangi? Perchè?» chiesero gli altri due bambini. Un rumore secco all'entrata richiamò l'attenzione di tutti: Makoto, che veniva per ultimo dietro a tutti, era andato a sbattere contro la porta che Marika aveva lasciato andare in fretta. I bambini si misero a ridere «Insomma, accidenti a voi» borbottò il ragazzo tenendosi il naso
«Mi dispiace Makoto kun, ti sei fato male?» domandò la giovane donna «Abbiamo una cassetta del pronto soccorso sul retro» spiegò cercando di controllare la propria voce e darle un tono normale
«No, tutto ok» rispose arrossendo lievemente e distogliendo lo sguardo da lei si accorse di Aiba «Oh...» riuscì solo a dire
«C'è anche il fratellone!» strillarono i bambini andandogli intorno «E' tantissimo che non ti vediamo!»
«Vero? Sono stato un sacco occupato» rispose lui dopo aver deglutito a fatica, cercando di nascondere rapidamente il proprio turbamento «Ho lavorato un sacco!»
«Che lavoro fai fratellone?» domandarono eccitati. Mentre quelli erano presi da Masaki, Makoto lo ignorò per tornare a guardarla. Kokoro incrociò il suo sguardo e capì che anche lui aveva notato gli occhi rossi e le lacrime che, essendole appena scese, non aveva fatto in tempo ad asciugare. «Va-vado a prendervi i dolci» annunciò quindi, defilandosi rapidamente per sfuggire al suo sguardo. Anche con quel ragazzino il rapporto era confusionario: non sapeva più come comportarsi dal giorno in cui lo aveva sentito dichiarare i suoi sentimenti per lei ad Aiba. Non era presente con loro, ma Makoto sapeva che da dietro la porta lei li stava ascoltando, quindi in un certo senso lo aveva fatto proprio perchè anche lei sapesse. Però Kokoro aveva intuito da tempo quei sentimenti, semplicemente non aveva fatto niente nè per incoraggiarlo, nè per scoraggiarlo, lo aveva solo trattato bene perchè provava affetto per lui come per gli altri bambini: era come un fratello minore. Da quella dichiarazione invece aveva capito che il suo tentativo di ignorare quella cotta non l'aveva incoraggiata o scoraggiata, ma nemmeno fermata! Così alla fine si era trasformata in un sentimento un po' più profondo, almeno quanto un ragazzino della sua età poteva provare: e dato che doveva essere la prima volta che si innamorava, quasi certamente stava provando quel sentimento con tutta l'intensità e l'innocenza tipiche delle prime volte. Nonostante avesse capito il proprio errore, però, Kokoro si era astenuta dal rispondergli anche quella volta: non le aveva dichiarato i suoi sentimenti in faccia e questo le dava la possibilità di continuare ad ignorare la situazione. A Makoto non sarebbe piaciuta la risposta e, volendogli bene, non voleva farlo soffrire se aveva modo di evitarlo. Makoto però era un ragazzo impulsivo -infatti creava problemi a scuola ogni tanto- quindi Kokoro temeva che da un momento all'altro si sarebbe dichiarato apertamente e lei non avrebbe avuto scampo. Ecco perchè ogni tanto lo evitava ed ecco perchè la compresenza sua e di Aiba la agitava più di quanto già non fosse: i pochi incontri tra loro in quei mesi non erano esattamente classificabili come pacifici.
Sistemò i dolcetti nei loro incarti, rapidamente, e li chiuse per bene per portarli ai bambini. Non aveva tempo per sciacquarsi la faccia, ma si soffiò il naso e si asciugò per bene gli occhi. Quando tornò nell'ingresso Aiba stava ancora parlando del suo lavoro «No, non sono un giocatore! E' vero che siamo andati in un grande stadio, ma abbiamo fatto una ristrutturazione, quindi non era più come prima e io dovevo cantare»
«Che animale è?**» domandò Akito
«In che senso?» fece il ragazzo confuso
«Canti negli zoo, fratellone?» chiesero prima che squillasse il cellulare e lui li dovesse abbandonare per rispondere. «Ragazzi, forza, prendete i vostri dolci e andate a scuola prima di far tardi» disse Kokoro tenendo loro gli incarti ora che non erano più distratti da Aiba «Li accompagni tu fino all'incrocio?» domandò a Makoto dandogli il suo
«Grazie sorellona» ringraziarono i bambini «Allora noi andiamo!» esclamarono muovendo le mani anche verso Masaki che in un angolo concludeva la sua conversazione la cellulare. I bambini si misero a saltellare davanti alla vetrina e a schiamazzare confrontando i dolci che avevano avuto. «Ci penso io» annuì il ragazzino «Smettila di preparare queste cose anche per me. Quando lo capirai che non sono più un marmocchio?» sbuffò scocciato, evidentemente nervoso lanciò una rapida occhiata al ragazzo che aveva spento il cellulare e tornava ad avvicinarsi a Kokoro. «Probabilmente mai, è l'abitudine» sorrise lei continuando a tendergli la sua porzione
«Allora levatela, non lo voglio!» sbottò pronto ad andarsene
«Non ti sembra di essere un po' maleducato?» domandò basito Masaki «Se non lo vuoi, basta che rifiuti e ringrazi. Solo perchè la conosci non sei giustificato a rispondere in quel modo»
«Ma fatti i fattacci tuoi» replicò acido Makoto «Se l'ultimo che può parlare a sua difesa sai?» lo accusò
«Ragazzi, non importa» cercò di interromperli lei «Ora vai a scuola, te lo lascio da parte se lo vuoi venire a prendere quando sono finite le lezioni» propose nella speranza di riuscire a separarli
«Perchè te la prendi con me adesso?» domandò Aiba
«Ma sei stupido o lo fai apposta?» chiese il ragazzino «Lo capisco subito quando le fai qualcosa di male, sai? Si deprime e cucina dei dolci schifosi. Anzi, lo capisce tutto il quartiere!» sbottò arrabbiato «In queste ultime settimane non ha cucinato niente di nuovo e la padrona del negozio ha dovuto preparare la maggior parte dei dolci dato che questa scema era tanto depressa da non riuscire a combinare niente di buono»
«Makoto, smettila!» esclamò Kokoro arrossendo fino alla radice dei capelli: era vero che quando non era di buon umore non le riusciva niente in cucina, ma non pensava che la cosa fosse evidente a chiunque! "Non ti ci mettere anche tu, lasciaci stare" si lamentò tra sè "Lasciaci parlare ora che è qui. Ho già troppi dubbi e troppi pensieri, non aggiungerti anche tu!". «Vogliamo parlare di qualche settimana fa? Sono tornato dalle lezioni mattutine e l'ho vista rientrare in casa che piangeva. Ha passato le notti successive a frignare tanto che quando la incrociavo la mattina aveva ancora gli occhi gonfi» raccontò con la frustrazione e la rabbia che gli deformavano la voce «E' sicuramente colpa tua e per come la vedo io, tutte le volte che ti incontra finisce che la ferisci o la fai arrabbiare» lo accusò. Effettivamente anche l'ultima volta che li aveva beccati insieme stavano litigando: per quanto ne sapeva lui, quindi, il loro rapporto doveva essere fatto esclusivamente di litigi e lacrime. «Non è così Makoto, per favore» cercò di calmarlo sentendo che le stavano tornando le lacrime "Smettila! Smettila! Stai solo peggiorando la situazione"
«E com'è?» incalzò guardandola negli occhi
«Io penso che la cosa non ti riguardi, sbaglio?» fece tranquillo Masaki «Hanayaka san è adulta, sa capire da sola cosa vuole»
«Vuoi questo?» domandò allora, sempre rivolto a Kokoro «Vuoi un idol figo? Non importa che sia una persona orribile? Dovresti preferire qualcuno di meno bello, ma che sappia essere gentile e trattarti nella giusta maniera»
«Non conosci nemmeno Aiba san, non giudicare così le persone» gli rispose la ragazza, cercando di darsi un tono un po' più deciso, nonostante il groppo in gola che le faceva tremare la voce. «Ti odio, sei una scema!» le gridò contro improvvisamente. La raggiunse togliendole il dolce di mano con un gesto secco «Ehi...» farfugliò lei, colpita da quel modo brusco. Il secondo successivo ancora non aveva realizzato che Makoto le stava stampando un bacio sulla labbra, a tradimento, e quando capì la situazione lui si era nuovamente allontanato. Un bacio, anche se rapidissimo, era peggio che dichiararsi apertamente. «Ben ti sta, cretina» le ridacchiò istericamente in faccia, rosso come un peperone, quindi si avviò verso l'uscita «E pure a te. Ti odio!» concluse verso Masaki. Con aria di sfida prese un morso del dolce e uscì dal negozio con la bocca piena e le guance gonfie come quelle un criceto.

La campanella della porta tintinnò al richiudersi della porta. Aiba e Kokoro erano di nuovo soli. Osservarono i bambini allontanarsi circondando Makoto che tossiva: il boccone doveva essergli andato di traverso. «S-scusalo, ha un temperamento un po'... un po' così» farfugliò sconclusionata la ragazza. «Non credevo arrivasse a tanto» fece lui tranquillo. "Io ti ammazzo" pensò il ragazzo osservando la schiena dello scolaro che si allontanava per strada. Sul momento era rimasto allibito e sconcertato, ma ora che quel piccolo tifone di ormoni adolescenziali era passato Aiba sentiva crescere dentro di sè una gelosia che non aveva mai provato prima. «Io... nemmeno io, veramente» bisbigliò Kokoro portandosi una mano alla bocca. "Giuro che la prossima volta che lo incontro io gli... gli..." Masaki non era portato alle minacce, quindi non riuscì nemmeno a concludere i suoi stessi pensieri "Non si fa così con le ragazze degli altri e poi... e poi le ragazze degli altri non si fanno fregare in questo modo!". Insoffisfatto si accigliò. «Perchè non ti sei tirata indietro?» domandò, guardandola in viso
«Come?» disse, spiazzata dalla domanda, guardando i suoi occhi per la prima volta da quando era entrato
«Ti ha baciato, avresti potuto evitarlo» le spiegò cominciando ad infervorarsi dentro di sè, era la gelosia che cominciava a farsia vanti prepotente nel suo cuore e contaminava tutti i suoi pensieri. «No, non è vero. Non mi sono resa conto di niente finchè non l'aveva già fatto» spiegò scuotendo il capo
«Allora perchè non gli hai detto niente dopo?» insistè «"Non farlo mai più" o "Come ti salta in testa, maniaco?"»
«I-io...» farfugliò. "Non sai rispondere? Sì che sai rispondere... non rimanere zitta. Perchè se rimani zitta significa che sei contenta di quello che è successo" pensò il ragazzo che cominciava a sragionare, influenzato dalla gelosia e dalla rabbia: perchè la sua ragazza con lui litigava e con un altro si sbaciucchiava? Era un destino profondamente ingiusto ai suoi occhi... scordandosi del fatto che la causa di quel litigio era lui. «Non so cosa dire» concluse Kokoro spaesata
«Ho capito» annuì Aiba "Veramente no" ammise però a se stesso «Prima mi hanno chiamato gli amici, stanno aspettando alla stazione. Mi sono fermato più del dovuto e sto facendo tardi» spiegò il ragazzo rimettendo il cellulare nel borsone «Allora ciao» concluse. Le fece un sorriso tirato e si inchinò. Lei si inchinò a sua volta, senza parole. "Allora ciao? Allora ciao?! Cosa significa "allora ciao"?" si domandava, completamente nel panico. stava per andarsene e quella separazione cominciava a far scemare la gelosia e ad accrescere la tristezza. Dopo aver aperto la porta e sentì una forza trattenerlo tirando il borsone. «No, no! Aiba san aspetta!» lo richiamò Kokoro
«Wah! Mi vuoi uccidere?!» esclamò lui sentendosi sbilanciato all'indietro e rischiando di cadere a terra
«Scusa, scusa, scusa... però non uscire! Aspetta un secondo» fece lei parlando rapidamente e lasciandolo andare. A metà tra la speranza di chiarire tutto per il meglio e il terrore di venire ora scaricato con quattro parole, Aiba richiuse la porta e tornò a guardarla «Che cosa c'è?»
«Ecco» fece lei respirando piano, cercando così di non rimettersi a piangere «Non dire che hai capito. Io non ho capito!» esclamò, con una nota di panico nella voce «Sono ancora confusa, esattamente come prima. Come puoi aver capito se io non l'ho fatto?»
«Hanayaka san» fece lui deglutendo, doveva trovare una risposta convincente che gli desse il tempo di riorganizzare le idee. «Non lo so, penso di aver capito che sei confusa. Prima eravamo sicuri tutti e due, no? Quindi abbiamo provato ad essere quello che pensavamo di voler essere, ma ora che l'abbiamo fatto è cambiato qualcosa. Non abbiamo più la sicurezza di prima: tu sei confusa, giusto?»
«Sì, io... sì, penso di essere confusa» annuì «Ma non so cosa fare»
«Allora facciamo così» pronunciò Aiba prendendo un respiro profondo «Prova a pensarci un po' su e a chiarire le idee, cercherò di fare lo stesso. Poi ci sentiamo e vediamo cosa fare»
«D'accordo» annuì mestamente Kokoro. Si salutarono rapidamente e Masaki uscì dal negozio, mettendosi a camminare lungo la strada verso la stazione. "Non ci siamo lasciati" constatò sentendosi un po' sollevato "O meglio... ho evitato di farmi lasciare, questo sono riuscito ad evitarlo. Tutto il resto: bacio, lacrime, angoscia e fase di stallo; no, ma questo sì. Faccio meglio a lamentarmi di tutto il resto o a gioire di questo?" cominciò a tormentarsi. Il suo bel piano iniziale era andato in fumo: si erano parlati chiaramente, certo, si erano chiaramente detti di non avere le idee chiare e di non sapere cosa fare. Era come entrare in casa, esclamare "Mamma che disordine!" e uscire di nuovo senza aver rimesso a posto niente. "Chibi Masaki ha sempre la casa in disordine" sospirò attraversando la strada insieme ad un gruppetto di bambini delle elementari "E' come se Chibi Masaki e Chibi Kokoro avessero messo su casa troppo in fretta e con mobili di seconda mano che non c'entrano niente l'uno con l'altro... e come se non bastasse è venuto a suonare alla porta Oni-Makoto che ha tentato di abbindolare Chibi Kokoro con l'offerta di una villa di lusso a Izu!" concluse rabbioso.

⎨Ed è finita così?⎬
«Si, Erina. Pensi sarebbe stato meglio se avesse concluso mollandomi?» Kokoro aveva chiamato l'unica persona con cui potesse parlare di quel suo problema. Chiamare le sue amiche non avrebbe avuto senso: non avrebbe potuto spiegare tutta la situazione e le avrebbe irritate se avesse cominciato a fare la misteriosa. Senza contare che ancora nessuno sapeva che lei era fidanzata, con quale coraggio ora chiamava qualcuna per raccontare non solo che lo era, ma anche che già rischiava di non esserlo più?
⎨No, chiaro che no. Non so... qualcosa tipo "violenza, sangue, alè-alè". Avrebbe dovuto spaccargli la faccia a quel ragazzino! Oppure tu avresti dovuto dargli uno schiaffo⎬
«Sei ubriaca, Erina?» domandò dubbiosa. L'aveva chiamata la sera, appena tornata dal lavoro, scoppiato letteralmente in lacrime non appena l'aveva sentita rispondere al cellulare. Nel consolarla le aveva detto di chiamarla per nome così improvvisamente l'informalità tra loro si era abbassata.⎨Ma va! Ok, la smetto di dire fesserie... speravo di farti ridere un po', ma mi sa che proprio non sei in vena...⎬
«Ti ringrazio per il tentativo» ed effettivamente sorrise un po' «Che dici? Adesso è come se fossimo in pausa?»
⎨Sì... suppongo di sì⎬
«Sono un campione: se mi chiedessero come ho fatto a finire in un periodo di pausa dopo un solo mese che sto con un ragazzo non saprei spiegarlo! E' pura genialità!» sbuffò stendendosi sul letto «Sono veramente una cretina»
⎨Non credo. Come dire... forse, per quanto tu e lui ci abbiate pensato, una volta che era ora di cominciare a frequentare l'avete fatto smettendo di rifletterci come... come se per fare un triplo salto mortale dal trampolino basti pensare "ora faccio un triplo salto mortale" e basta. Una volta che ci si tuffa bisogna continuare a pensarci e coordinarsi, no? Altrimenti non fai un triplo salto mortale, semplicemente precipiti in acqua e ti fai un male boia⎬
«Ma tu usi sempre metafore così strambe?» domandò osservando il soffitto "E' proprio vero, questa ragazza ragiona per paragoni scemi, come Masaki"
⎨No! O forse si... non è questo il punto. Non è che basta volerlo perchè si avveri, non basta dire "accetto che il mio ragazzo è un superidol, idolatrato dalle folle" per riuscire magicamente a sopportare di non poterlo tenere per mano per evitare uno scandalo, non poter dire a tutti con chi stai e via discorrendo. Forse sei stata un po' ingenua⎬
«Forse sì... temo di averlo ferito molto con la mia ingenuità»
⎨Beh, ormai è fatta. Mettiamola così, secondo me hai due opzioni: lo lasci, e metti fine ai dubbi e alle sofferenze di entrambi, rimani con lui e cercate di usare un po' di più il cervello. Mi sembra che siate una coppia di romanticoni e mi sembra anche che la tua non sia una semplice cotta, quindi è praticamente escluso che tu scelga la prima possibilità. Ma devi capire che non è una relazione come le altre: no puoi ragionarci su e poi agire sperando che tutto vada come previsto, devi ragionarci su e andarci con i piedi di piombo. Infondo, cioè... stai con uno dei ragazzi più belli e popolari della nazione: non vorrai mica che sia tutto facile dopo questa botta di fortuna!⎬
«E come la mettiamo con il fatto che ora potrebbe essere Aiba san a non volermi?» domandò girandosi a pancia in giù e guardando verso il salotto, mettendo il cellulare sull'orecchio libero «Sembrava infuriato oggi dopo quello che ha fatto Makoto»
⎨Devi presentarmi questo ragazzo... dev'essere spassoso!⎬
«Nemmeno per idea. E' molto sensibile per la sua età, non voglio che tu gli rida in faccia pensando che non ha possibilità con me»
⎨Le ha?⎬
«No!» esclamò, come scandalizzata
⎨Allora diglielo. E' la prima cosa da fare: a volte troppa gentilezza può fare male⎬
«Già una volta ho fatto lo stesso errore... sembra che io non abbia imparato»
⎨Ma si innamorano tutti di te i minorenni?⎬
«Come ti viene in mente?» domandò arrossendo «Il ragazzo che frequentavo prima... parlo di lui. Lo avevo lasciato, ma non sono mai stata molto chiara ed incisiva per paura di ferirlo, così lui ha cominciato a tormentarmi ed io ho sofferto a lungo non sapendo come sbarazzarmene» fece una pausa, organizzando il proprio discorso per evitare di raccontare degli episodi più violenti di quel periodo «Invece di troncare definitivamente, anche rischiando di ferirlo molto, ho temporeggiato peggiorando le cose. Ripeto sempre gli stessi errori...»
⎨Ah, forse Aiba chan mi ha raccontato qualcosa. Ha detto di averti difeso con coraggio, ma che poi l'hai sgridato⎬rise la rossa dall'altra parte della linea
«Stava rischiando molto senza nemmeno ragionarci su» sospirò «Ma credo che abbia agito in quel modo anche perchè non sapeva bene com'era la situazione»
⎨Allora è un problema ricorrente tra voi due...⎬
«Sarebbe?»
⎨Non parlate. Non gli dici come stanno le cose e lui reagisce d'istinto. Non gli hai raccontato di come lo scontro con la realtà sia stato shockante e diverso, anzi ti sei chiusa nei tuoi pensieri e lo hai volutamente ignorato. Ci credo che è venuto a farti un agguato al negozio!⎬esclamò l'altra⎨Vedi... in parte capisco Aiba chan. Siamo un po' stupidi alla stessa maniera: se le cose non ci vengono dette in maniera chiara è difficile che le capiamo. Credo sia questo che lo porta ad essere spesso molto schietto... ed è questo che piace di lui a tantissime fan: il fatto che sia semplice e puro, che non si nasconda dietro cose dette o non detto. Alle persone che non capiscono le cose troppo complesse o dette in maniera oscura viene naturale parlare con schiettezza così che intorno a sè tutto possa essere il più chiaro possibile.
Non ti ha mostrato la sua commozione per le parole della fan perchè pensava di volerti fare ingelosire, solo la gente dalla mente complicata riesce a fare macchinazioni simili. Semplicemente non sarà riuscito a tenersi tutto dentro e l'ha espresso. Con te può farlo, sei la sua ragazza no?⎬
«Lo capisci meglio di me... avevo ragione a pensare che staresti meglio tu con lui» piagnucolò autocommiserandosi
⎨Non ci penso nemmeno! Due svampiti come noi non riuscirebbero nemmeno ad avere un appuntamento perchè a turno ci dimenticheremmo di averlo!⎬esclamò l'amica ridendo. Era chiaro che adorava Masaki, Kokoro sapeva che era il suo preferito nel gruppo, ma doveva averlo detto perchè pensava che fosse proprio quello che lei aveva bisogno di sentirsi dire: "al di là di tutto, sei tu quella che sta bene con lui". Effettivamente era proprio quello che sperava le venisse detto.⎨E poi a me piace Sho kun⎬ammise Erina subito dopo
«Giusto, come sta andando?» domandò subito. Si rese conto in quel momento di aver tenuto l'altra al telefono per un'ora parlando solo di sè e senza domandarle niente di lei: era stata veramente maleducata. La risposta dall'altro capo del telefono fu una risatina soffocata. «Significa bene, immagino» ridacchiò
⎨Veramente la mia è tutta ipotesi, però continuiamo ad andare super d'accordo! E' sempre gentile, la tensione che c'era tra noi un po' di tempo fa sembra completamente scomparsa. Adesso chiacchieriamo di qualsiasi cosa, ci prendiamo in giro come degli scemi e... ma non vorrei dirlo troppo ad alta voce... mi sa che stavamo per baciarci!⎬rise tutta contenta
«Cosa significa "mi sa che"? O vi siete baciati o non vi siete baciati» fece Kokoro, confusa. Erina riusciva a dare dei consigli tutto sommato molto chiari agli altri, a presentare le situazioni ingarbugliate in maniera molto semplice tanto che dopo averla ascoltata lo stato delle cose tra lei e Aiba non sembrava più così irrecuperabile e terrificante. Eppure, quando si trattava di se stessa sembrava incappare esattamente nelle stesse complessità di tutti, quelle da cui era tanto abile a tirar fuori gli altri: quando si trattava di sè tutto diventava vago, ingarbugliato e poco chiaro, esattamente quel tipo di cose che -per sua stessa ammissione- non capiva.⎨Voglio che, no, non ci siamo baciati effettivamente, ma probabilmente stavamo per farlo! Voglio dire, eravamo da soli, abbracciati, al buio...⎬
«Dove eravate?!» esclamò saltando a sedere
⎨In ascensore...⎬rispose tranquilla. Kokoro si smontò subito e tornò ad accasciarsi sul materasso: da quella descrizione chissà cos'aveva pensato!⎨Insomma, è stato lui a tenermi abbracciata, però sai... boh... era buio, non è che si vedesse bene. Quando si sono riaccese le luci eravamo ad un soffio l'uno dall'altro: non posso dire con certezza che sia stato solo perchè non sapeva bene dov'ero io o perchè effettivamente voleva baciarmi. Oh! E poi! E poi, e poi, e poi... posso raccontarti ancora una cosa o ti sto annoiando?⎬
«Vorrai scherzare? Sei stata un'ora a decifrare le mie frasi singhiozzanti» rispose rimettendosi supina
⎨Oh per fortuna! Non so con chi altro parlare di queste cose⎬
«Non hai una coinquilina tu?» le riusciva difficile credere che una persona iperattiva e vivace come Erina non avesse nessuno a cui raccontare le sue vicende sentimentali
⎨Sì, ma... beh ultimamente è un po' nervosa. Sembra che ogni volta che le parlo, soprattutto se le parlo di queste faccende, si irriti ancora di più... e poi, anche se sa chi è Sho, non le ho raccontato tutto. Per esempio la storia di Aiba ai tempi dell'università non gliel'ho mai raccontata⎬
«Ho capito... beh cosa volevi raccontarmi quindi?»
⎨Uh, giusto, giusto! Te l'avevo detto che dovevamo uscire? Sì, te l'avevo detto perchè ti avevo chiesto di venire con me, fifona. Comunque... dato che la scorsa volta è saltata abbiamo stabilito una nuova data: è domani⎬sembrò trattenere a tento un urletto⎨Ho bisogno di una mano, non so cosa mettermi, non so come comportarmi, non so cosa dire⎬sentenziò in tono epico
«Bene, allora, ovunque tu sia adesso alzati, apri l'armadio e vediamo!» esclamò. Tutto sommato aiutare Erina a vestirsi sembrava un modo divertente per distrarsi dai suoi problemi: le parole di Masaki di quel giorno avevano un gusto terribilmente amaro e lei non sapeva come cancellarlo, il ricordo dei suoi occhi belli, scuri come il cioccolato fondente, ma spenti, la tormentavano. Se lei ed Erina avessero chiuso la comunicazione in quel momento, avrebbe passato una serata in casa sola con quei ricordi dolorosi.

*Stanno cantando "Yukai tsuukai Kaibutsu-kun" che è, già prima che Ohno ne facesse una cover, una delle sigle dell'anime di Kaibutsu kun (in italia "Carletto, principe dei mostri")
**ristrutturazione in giapponese si dice "risutora" e i bambini, che non conoscono parole difficili, pensano ad un animale a metà tra lo scoiattolo (risu) e la tigre (tora)


Cazzarola, non riuscivo a trovare niente da ascoltare mentre scrivere T^T aiut! Ho bisogno di musica nuova!
Speriamo che gli Arashi si spiccino con il nuovo album e che sia bello (e un po' meno unz dell'ultimo. Non è che non mi sia piaciuto ma in linea di massima preferisco le ballad e la roba un po' più melodica).
A parte ciò posso dire di aver lavorato ancora sulla panificazione della storia e ufficialmente i capitoli saranno 49. Chi mi conosce sa che sono una pignola a livelli clinici (o cinici?) quindi troverò un modo per farne 50 (+ epilogo). Però non è che voglio allungare la brodaglia eh!
Cercherò di fare tutto per bene e di sfruttare al meglio un capitolo in più.
Significa che lo scorso capitolo era il giro di boa. Sì. La verità è che deve ancora succedere tanto di quella roba che il vero giro di boa (ossia l'inizio di una conclusione seria) sarà al capitolo 47 °_° pff... vabbè lasciamo stare! XD
Che ne dite? Ne parlavo con un amica ieri, secondo lei la colpa è di Kokoro. Per me non c'è una vera e propria colpa, c'è solo tanta confusione. Cosa vuole veramente? Lo so cosa vuole (sono la scrittrice, è ovvio che lo so!), è solo che ancora non è riuscita a dargli un nome.

Prossimamente comincerò la stesura dei capitoli extra/speciali sulle protagoniste femminili ^.*

Sono felice del commento di Shizuka! *_* Ho un grosso blocco personale nello scrivere i momenti più hot delle ff: io mi vergogno tantissimo!! E per me un momento hot era pure quello dello scorso capitolo! Così ci metto eoni a scriverlo ed ere giurassiche a correggerlo dandogli una forma che mi piaccia. Anche nelle ff altrui sono poche le scene di questo genere che non mi urtano, trovare autori che riescano a scrivere di questo aspetto in maniera che io riesca ad apprezzarla è difficile (ma ce ne sono grazie al cielo!!) e li invidio sempre un sacco perchè io non riuscrò mai a fare come loro T^T Quindi... beh, sono contenta se il mio sforzo è piaciuto a qualcuno!

Tanto per dirvi un po' i cazzacci miei... ho finito gli esami di lingue con una bella insufficienza in cinese e un 28 sbrilluccicoso in giapponese *_* abahbihbuhbuh *afonia dovuta alla felicità* Ora cominciano gli esami "normali" e cercherò di darmi da fare anche per trovare tempo di scrivere anche perchè ho molti, molti progettini! (intanto ve lo annuncio: entro la prossima settimana scriveremo l'ultimo fantomatico capitolo di MMA. Era ora!!)
Stay tuned! (nemmeno fossi in radio)

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Capitolo 28
*** 27. Keep on walking ***


Uscì dalla stanza e si avviò lungo il corridoio camminando a passo spedito. Entrò nell'ufficio che non c'era ancora nessuno: era stata la prima a finire. Si abbandonò sulla sedia sbuffando e mosse il mouse per far riaccendere lo schermo del computer. "Vedi tu se oltre a finire a quest'ora mi tocca pure stare fuori la sera per fare compagnia a quella benedetta ragazza. Ma se deve uscire con qualcuno non può fare da sola? Deve proprio tirar dentro anche me? Come se fossi la donna più libera di questo pianeta: ma prego, tanto mi giro i pollici quindici ore su ventiquattro e le rimanenti otto le passo a dormire!" storse il naso e riempì dei moduli telematici sul computer battendo rapidamente le dita sulla tastiera "Ma perchè prendermela con lei? La colpa è del tizio con cui deve uscire: come caspita gli è venuto in mente di tirar in mezzo un amico? Oh beh, lei è talmente rimbecillita che non credo l'abbia nemmeno sfiorata l'idea che il terzo incomodo sia solo una scusa perchè lui non aveva il coraggio di invitarla ad uscire da soli. Ma gli uomini di oggi non ce le hanno più le palle? Accidenti, conoscendo Erina scommetto che si vede che è innamorata di lui anche da dietro un muro di cemento armato, quindi perchè non ci arriva anche questo tizio e non realizza che se la invita per un'uscita a due non verrà respinto?" strinse i denti nervosamente. «Oh, hai già finito?» sentì chiedere alle sue spalle
«E tu?» fece a sua volta
«Sì, in questo momento» rispose un ragazzo giovane, più o meno della stessa età della donna, sedendosi ad un'altra scrivania con il suo stesso atteggiamento stanco «Quante ore hai lavorato?»
«Che ore sono?» domandò guardando poi l'orologio sullo schermo «Diciotto, ma sono riuscita a dormicchiare per due ore intere in pausa pranzo» annunciò in tono sarcastico
«Vai a casa a riposare che è meglio. Vuoi un passaggio? Te lo dò volentieri»
«Lascia stare» scosse il capo «Ho da fare stasera, sono stata invitata a mangiare fuori»
«Ma sul serio?» fece quello sgranando gli occhi. A quella domanda la giovane donna spense il computer con un gesto secco sul tasto di Invio e gli lanciò un'occhiata raggelante «Sì, Koji, sul serio» fece risentita
«Oh no... io volevo dire che...» tentò di giustificarsi l'altro
«Vado a cambiarmi dato che vado pure in un locale di classe. Buona serata» tagliò corto. Detto questo si spinse all'indietro sulla sedia con le rotelle e poi si alzò uscendo dall'ufficio con fare risentito. "Piccolo impertinente" sbuffò dalle narici "Ti sposterò il turno della prossima settimana, così impari, razza di cafone". Entrò nello spogliatoio femminile e aprì il suo armadietto usando le chiavi che portava appese al collo insieme al cartellino con il nome e il cercapersone. "Ok, ammettiamolo: non ha tutti i torti a stupirsi così tanto. La mia vita sociale non è così attiva. Se esco con qualcuno è sempre con i colleghi, mentre le uniche persone che vedo al di fuori di qui sono Erina e Ying e... oh accidenti" appoggiò la testa al metallo dell'armadietto, sgranando gli occhi "La mia vita sociale suona triste persino a me se la metto in questi termini. Meglio non pensarci" scosse il capo e si guardò intorno nello spogliatoio. Una ragazza più giovane di lei la guardava stranita. «Buona sera» salutò timida
«Buona sera» rispose con voce ferma: era stata beccata mentre faceva le smorfie e sospirava da sola, persa nei suoi pensieri, ma non per quello poteva perdere il suo proverbiale contegno. Appese il camice alla stampella dentro il proprio armadietto e, recuperando un borsone capiente dal fondo, andò a farsi una doccia rapida. Nonostante fossero mesi che non indossava uno dei suoi abiti si rese conto che ci entrava ancora, anzi, tra lo stress del lavoro e lo sport forse aveva perso qualche chilo e la cosa non la entusiasmò affatto. "Se vado sotto peso rischio di diventare più debole fisicamente e di non reggere più i ritmi di lavoro. Sarà il caso di controllare quanto e cosa mangiare per un po'" riflettè mentre si guardava nello specchio. Mise nel borsone gli asciugamani e recuperò gli accessori da toeletta. Aveva finito prima di tutte le colleghe per potersi sistemare in pace, senza che nessuna la vedesse mettersi in tiro e cominciasse a spettegolare. Asciugò con cura i capelli lisci, lunghi oltre le spalle, e legò le prime ciocche dietro la nuca, raccogliendole in un piccolo chignon. Si truccò gli occhi e mise un'abbondante dose di correttore sotto gli occhi per coprire le occhiaie. Appesa ad un secondo ometto aveva messo una borsa scura che si accostava al vestito, vi spostò gli oggetti più importanti e richiuse l'armadietto prendendo con sè tutto tranne il camice. In quel momento sentì aprirsi la porta dello spogliatoio "Oh, merda!" serrò le labbra tra loro e sgattaiolò rapidamente verso l'uscita. «Fuchou*!» si sentì richiamare quando aveva già un piede fuori dalla porta. Si voltò tirando l'anta a sè per coprirsi e spuntare nella stanza con la sola testa «Si?» domandò
«Stava già andando?» domandarono le colleghe, entrate in gruppo
«Sì, sono molto stanca quindi sono di fretta» tagliò corto, con voce fredda «Avevate bisogno di qualcosa?» "Se dici di sì domani ti metto in disordine le cartelle appena nessuno mi vede". Probabilmente il suo pensiero minaccioso aveva influenzato anche il suo sguardo, perchè la giovane abbassò lo sguardo «No, niente. Buona serata Fuchou» concluse
«Otsukaresama deshita» salutarono le altre
«Buona serata» fece lei chinando il capo e chiudendo la porta con un gesto secco. Rimase appoggiata alla porta, senza muoversi. «A volte quella donna mi spaventa» «Io la detesto» «Lasciamola stare ragazze». Si concesse di ascoltare solo quelle prime parole quindi si diresse trafelata all'uscita d'emergenza, prima che qualcuno passasse per il corridoio.
Dopo aver cambiato le scarpe da interno** con un paio dal tacco basso, si diresse verso una delle due stazioni più vicine. Sul treno, diretta a Roppongi, non poteva fare a meno di guardarsi nel riflesso del vetro delle porte: non le importava delle colleghe, non doveva star loro simpatica, era un loro superiore quindi non aveva bisogno di darsi pena, l'importante era che le portassero rispetto. Se l'avessero vista con quel vestito avrebbero cominciato a parlare, magari a dire malignità e a quel punto sarebbe stato difficile tenerle a bada dato che già non correva buon sangue. "Spero non abbiano notato il trucco" riflettè riprendendo il borsone dal portabagagli prima di scendere "No, forse no. Sono talmente abituate a pensare a me come ad una bacchettona che non fanno nemmeno caso quando indosso una gonna invece del solito paio di jeans" ridacchiò tra sè e il salaryman di fianco a lei la guardò per due secondi, stranito. Fortunatamente era la sua fermata e scese. Lasciò il borsone in uno degli armadietti della stazione***, controllò di avere le cose più importanti nella borsa che avrebbe portato con sè quella sera e si avviò verso il locale.
L'aria si era fatta più leggera, l'umidità e il caldo estivo cominciavano a scemare giorno dopo giorno, più si andava verso l'autunno. Faceva ancora un discreto caldo, ma si evitava di sudare dopo pochi secondi che si stava lontani da un condizionatore. L'atmosfera di Roppongi, il quartiere dei divertimenti di Tokyo, era luminosa e palpitante. Gruppi di amici e amiche che si incontravano, coppie che entravano nei locali, impiegati appena usciti dagli uffici che andavano a rilassarsi in qualche pub. «Prego, vieni a trovarci se ti va» disse un ragazzo porgendole gentilmente un volantino. Non aveva bisogno di guardare cosa vi fosse scritto per capire cosa fosse, semplicemente ignorò quello che le era stato detto e continuò a camminare. «Prego» sentì ripetere alle sue spalle mentre si allontanava. "Spiacente, tesoro, ma non entrerò mai più in un host club" pensò dentro di sè prima di trattenere a stento una risatina, perdendosi nei ricordi "E comunque non ho nè i soldi, nè la forza di passare una serata circondata da tipi brillanti: vuoi un bicchiere? Mangi della frutta? Cosa fai nella vita? ... chiudi quella ciabatta?". Si fermò ad un incrocio attendendo il verde e guardandosi intorno vide il suo riflesso nella vetrina del locale all'angolo opposto rispetto a dove si trovava lei "Speriamo che questi ragazzi non siano degli esagitati. Dato che sono amici suoi non mi meraviglierei se lo fossero. Potrei diventare violenta se cominciassero a fare casino intorno al tavolo di un pub, a proporre gare di bevute o peggio! ... se stessimo per andare in una discoteca?" rabbrividì "Ma no, non è tipo. E poi lo sa che ho appena staccato dal lavoro, non mi trascinerebbe mai in situazioni in cui non avrei la forza fisica di sopravvivere". Attraversò sulle strisce continuando a guardarsi nel riflesso quindi svoltò lanciandosi un'ultima occhiata di sufficienza. Dopo un quarto d'ora di scarpinamento arrivò al locale: si trovava in una via secondaria, lontana dalle arterie principali del quartiere, la via era tranquilla e poco illuminata dato che era principalmente di edifici ospitanti negozi, chiusi la sera. Individuò dove fosse l'entrata vedendo alcuni gruppetti di persone che salivano e scendevano da una scala che portava ad un seminterrato. Man mano che si avvicinava si rese conto che doveva essere un locale abbastanza esclusivo: era appartato, ma dall'insegna raffinata e vide anche un paio di buttafuori davanti alla porta infondo alle scale. Ogni volta che si apriva ne usciva il suono un po' sporco e ruvido tipico delle esibizioni dal vivo.
«Dov'è finita quella cretina?» domandò a denti stretti. Di tutta risposta le arrivò una mail「Tomomi tan~ mi sono persa! Adesso cerco di farmi aiutare, intanto guardati intorno, i nostri accompagnatori dovrebbero essere lì: se vedi una coppia di due ragazzi talmente belli da sembrare un ologramma sono loro senza dubbio. Matsumoto e Sakurai」. «Che descrizione approssimativa e inutile, Kōmō...»

Jun arrivava direttamente dal set del drama. Fortunatamente avevano fatto delle riprese in interni, quindi aveva potuto usare la doccia degli studi e si era cambiato rapidamente. Quella mattina aveva recuperato gli ultimi vestiti puliti dall'armadio della camera alla JH e li aveva ficcati in borsa. Risultato? Era vestito molto casual, non elegante, ma non era nemmeno sciatto: un paio di pantaloni neri, una maglietta chiara e un gilet in gessato che teneva sbottonato. Scese dal taxi che si fermò precisamente davanti al locale. "Ma io amo quell'uomo" pensò leggendo l'insegna del locale e sorridendo felice. Sho decisamente sapeva quale tipo di serate preferiva. Non gli sembrava di vederlo lì fuori con il completo che metteva per le riunioni di NEWS ZERO del venerdì. "Eppure ho fatto di tutto per non arrivare in anticipo ed evitare tutto questo" si lamentò con se stesso, poi dovendo aspettare e non potendo spostarsi verso le vie principali alla ricerca di un punto per fumare decise di passare il tempo leggendo dalla vetrina il listino prezzi, gli avvisi e il menù del karaoke davanti al locale. "Accidenti, sono di nuovo solo in un altro momento di vuoto. Speriamo che qualcuno si sbrighi ad arrivare" fece scorrere il dito lungo il listino prezzi, come se lo stesse realmente leggendo "Pensandoci... sono quasi due mesi che non esco la sera a divertirmi e rilassarmi e anche oggi non credo l'avrei mai fatto. E invece eccomi qui. Però se ho deciso di venire alla fine, non è per lui... ma per me. La felicità è fatta di tanti momenti, giusto? Se non cerco quei momenti non saranno loro a venire da me ed io non costruirò mai niente. Non andrò mai avanti e invece... invece è giusto fare così". Si accorse che la cassiera all'ingresso del karaoke lo fissava dato che erano un paio di minuti che lui leggeva le scritte in vetrina e il listino prezzi -non così chilometrico- senza decidersi ad entrare. Premette l'indice sulla montatura spessa degli occhiali, calcandoseli meglio sul naso, quindi si voltò e tornò a guardare la strada "Chiaramente sono qui anche per far compagnia a Sho" si infilò le mani nelle tasche dei pantaloni osservando i gruppi di persone che andavano e venivano per la strada, molti entravano o uscivano dal locale. Un gruppo di amici aspettava lì fuori come lui. "Certo che poteva dirmelo chi è la ragazza che gli piace! Non faccio la piattola come Nino, ma sono curioso pure io se mi si lascia sulle spine fino all'ultimo! Magari è una famosissima e ha preferito non dirmelo prima?" cominciò a fare congetture per distrarsi "Lei?" cominciò adocchiando tutte le ragazze fuori dal locale "A giudicare da come si tiene per mano con quell'altro... no. L'altra? No, mi rifiuto... è vestita in maniera terribile. Ah... magari è quella che sta arrivando... impossibile! E' più alta di lui". «Buona sera!! Cosa stai facendo?» domandò Sho che corricchiava verso di lui arrivando dalla parte opposta della via
«Cercavo di indovinare chi fosse la tua misteriosa donna, ma non credo sia ancora arrivata» gli rispose alzando la mano in segno di saluto
«Se fosse qui te ne renderesti conto» ridacchiò quello fermandosi al suo fianco con un leggero fiatone «Comunque ho appena ricevuto una sua mail»
«E cosa dice?» domandò allungando il collo per vedere lo schermo del cellulare
«Che si è persa e cercherà di chiedere aiuto a qualcuno per arrivare qui. Intanto dice che la sua amica è arrivata» fece scorrere il messaggio «"Se vedete una ragazza altissima e tutta sola dev'essere lei. Si chiama Nomura Tomomi"»
«Dev'essere quella» disse subito Jun indicandogli con un cenno del capo la ragazza alta che aveva scartato pochi attimi prima come potenziale innamorata di Sho. Anche lei alzò lo sguardo dal suo cellulare e si guardò intorno finchè non fissò lo sguardo su di loro. Entrambi fecero un cenno e le andarono incontro mentre anche la donna faceva lo stesso. «Voi siete...» cominciò quella quando ancora due metri li separavano, abbassò lo sguardo sullo schermo del cellulare riaccendendolo «Matsumoto san e Sakurai san?» domandò rileggendo i loro nomi che, immaginò Jun, dovevano essere scritti nella sua mail. "Questa poi... Erina san non le ha detto con chi sarebbe uscita?" pensò divertito "Non sono l'unico insomma". «Siamo noi» rispose con un mezzo inchino
«Sono Nomura Tomomi. A quanto pare la persona che avrebbe dovuto farci incontrare si è persa» annunciò chiudendo di scatto l'apparecchio
«Sì, ha avvisato anche noi» rispose Sho «Ha detto che si è persa, possibile?»
«Mi sorprendere del contrario» spiegò sospirando e facendo spallucce
«Vuoi dire che fa tardi spesso?» domandò quello sgranando gli occhi
«No, quello che fa spesso è perdersi. Far tardi è solo la logica conseguenza» spiegò sorridendo rassegnata. Quello scambio di battute diede a Jun il tempo di osservare la nuova ragazza. Portava delle scarpe col tacco basso ed era lo stesso alta quanto lui, indossava un vestito in stoffa elastica, aderente e nero, lungo fino alle ginocchia. Le lasciava la schiena nuda, ma non era particolarmente scollato sul davanti mentre braccia, spalle e collo erano coperti da dell'elegante pizzo nero. "Ha buon gusto perlomeno" si compiacque tra sè "Rimane solo da capire se è simpatica e allora avrò scampato la maledizione del terzo incomodo: la compagnia di una ragazza brutta e noiosa". «Quindi... Sakurai è...» accennò spostando lo sguardo su Jun e squadrandolo da capo a piedi, il che lo richiamò con l'attenzione al loro dialogo
«Io, sono io» fece Sho alzando la mano. "Ho avuto l'impressione che mi abbia fatto un completo check up con gli occhi" pensò Jun, lievemente imbarazzato. «Oh ah...» farfugliò la donna «Quindi tu sei Essepuntato e tu...»
«Essepuntato?»
«Matsumoto Jun, molto piacere. Lui è Sakurai Sho» propose il riccio «Pensi ci metterà molto Erina san?»
«Oh... credo di no» disse indicando il fondo della strada. Entrambi gli idol si girarono e videro avvicinarsi una figurina in controluce, per via dei forti lampioni della via principale. «Se quella ragazza che sta correndo inciamperà nel... sì, è lei» concluse Tomomi. Entrambi si misero a ridacchiare, Erina era inciampata nel gradino del marciapiede. «Vi conoscete bene?» domandò Jun
«Troppo» fu la secca risposta, ma guardandola in viso il suo sorriso per l'amica era dolce: pronunciava delle frasi pungenti, ma sembrava che lo facesse proprio perchè la loro amicizia era profonda a sufficienza per essere cattiva nei confronti di Erina. Ricordava Nino. «Scusate, scusate» disse la rossa fermandosi davanti a loro con il fiatone «E dire che mi ero fatta una mappa. Poi però dopo qualche incrocio qualcosa non mi quadrava... ho seguito le indicazioni che mi ero segnata, ma sono finita davanti ad un negozio di parrucche e non capivo» cercò di spiegarsi
«Ma come hai fatto?» sospirò Tomomi prendendole il foglio dalla mano. Lo guardò per qualche secondo quindi lo girò verso di loro. «Ripensateci, avete assunto un'imbecille» pronunciò mostrando loro le linee rette che Erina aveva tracciato per segnarsi la strada senza che vi fosse nessun altro segno o scritta
«Da che parte si legge?» domandò Jun accigliandosi «Erina san, non mi meraviglio che tu ti sia persa con un disegno così approssimativo»
«Ti ha fermato qualcuno per strada? Ti ha dato fastidio qualcuno?» domandò l'amica
«No... no cioè, hanno tentato di invitarmi in un paio di hostclub, ma è normale da queste parti» spiegò mostrando quattro volantini promozionali. Jun ridacchiò divertito, cominciava a capire perchè quella ragazza andasse d'accordo con Aiba come gli avevano raccontato. «Ad ogni modo... buonasera Erina san» la salutò
«Matsumoto san» si inchinò la rossa «Mi fa piacere rivederti. Sakurai san» salutò l'altro ragazzo. Sho non rispose e Jun girò lo sguardo per guardare l'amico: era imbambolato a guardare la ragazza con la bocca semi aperta. Fece un sospiro e quindi, con molta discrezione, gli diede un pizzicotto dietro la schiena. «Oh!» si riprese quello «Buonasera. Sono... sono felice che tu sia riuscita ad arrivare»
«G-grazie... mi spiace di avervi fatto aspettare» rispose quella. "Lui sembra un pesce boccheggiante e lei è appena arrossita così tanto che la si vedrebbe lampeggiare al buio" pensò il riccio osservandoli "Questi due non me la raccontano giusta: o è successo qualcosa da quando mi ha invitato Sho ad oggi, oppure sono ciechi se non si rendono conto di starsi atteggiando come la più ridicola coppietta di innamorati". «Bene, entriamo?» propose per sbloccare quei due che parevano incantanti uno davanti all'altro
«Si, ho prenotato a mio nome» rispose l'amico riprendendosi. Si avviarono verso le scale, mentre Sho lo prendeva per il braccio e lo trascinava in avanti. Con la coda dell'occhio Jun poteva vedere Tomomi fare lo stesso con Erina. «Ti senti bene Sho kun?» domandò a bassa voce mentre scendevano le scale, trattenendo a stendo le risate: non aveva mai visto l'amico tanto ammaliato da una donna. «Non lasciarci soli» gli impose quello «Altrimenti non rispondo più di me stesso» sembrava terribilmente serio.

«Tomomi tan!» sorrise Erina raggiante, quando Tomomi la prese per il braccio tirandola a sè, rimanendo qualche passo dietro i ragazzi. La donna era pronta a dirle qualcosa, ma davanti a quel saluto si fece seria «Kōmō, se hai intenzione di passare tutta la sera a chiamarmi con i tuoi soliti nomignoli cretini giuro che ti smerdo davanti al tuo moroso prima che tu possa dire "cosa beviamo?"» la minacciò. L'altra la guardò terrorizzata e poi scoppiò a ridere «Sei di buon umore vedo!» esclamò
«Sei seria o devo incazzarmi?» le domandò aggrottando le sopracciglia
«Tomomi rin, se non mi insultavi appena mi vedevi avrebbe significato che eri arrabbiata per il mio ritardo» le spiegò prendendola sottobraccio «Invece mi hai minacciato crudelmente, sei la solita insomma» sorrise soddisfatta, fingendo di strusciarsi a lei come un gatto
«Veramente, Kōmō, sono anni che mi chiedo se sei scema o mangi sassi» sospirò «Ma non tentare di cambiare discorso» le disse puntandole contro il dito mentre cominciavano a scendere le scale «Come ti sei vestita?»
«In che senso? Non va bene così?» rispose la rossa aggrappandosi al corrimano per scendere le scale con attenzione, essendo sui tacchi
«No! Cioè, sì va anche bene. Il punto è che pensavo fosse una cottarella, Kōmō! Questo non è un vestito da "mi piaciucchia, gli piaciucchio: oh ma che bello!". Quello che hai addosso è per situazioni di tutt'altro genere!» farfugliò cercando di non farsi sentire
«Non capisco, cos'ha che non va? Io e Kokoro chan abbiamo decretato che fosse la scelta migliore, non sapendo il tipo di locale in cui saremmo andati» spiegò Erina «Li hai riconosciuti senza sforzo vero? L'indicazione "sono belli come un ologramma" è stata utile? Sho kun è bellissimo stasera. Dev'essersi cambiato dopo il lavoro, è veramente sexy con quei jeans a vita bassa» sospirò subito dopo, mentre entravano nel locale e il ragazzo si avvicinava al bar. Tomomi osservò il giovane che parlava con il personale e si faceva indicare il tavolo, poi guardò l'amica. "No ma prego, fissalo ancora un po' e vedrai che i vestiti gli si consumeranno a sufficienza da sparire" sbuffò "Ma cosa ti passa per il cervello a te?" concluse tra sè, interdetta. Raggiunsero il tavolo e avanzò la scusa che dopo la corsa Erina doveva rinfrescarsi un po', quindi la trascinò in bagno per parlarle senza che i due accompagnatori potessero sentirle. «Non ho bisogno di rinfrescarmi» fece l'amica una volta davanti ai lavandini
«Che mi importa» sbottò Tomomi «Allora vuoi spiegarmi questa situazione? Credo di essere rimasta indietro con le puntate, mi fai un riassunto? No perchè, l'ultima volta che ho sentito parlare di Essepuntato eri gelosa di un'altra che lo allontanava dal lavoro con te. Il fatto che tu ti dispiaccia di un bel collega che non può lavorare con te è ancora accettabile, ma ora è tutta un'altra storia: credo tu mi debba qualche spiegazione»
«Riguardo a cosa?» domandò la rossa appoggiandosi al marmo di un lavandino
«Voglio sapere che intenzioni hai e che devo fare io. Finora ho fatto finta di niente, Kōmō. Sai che odio spettegolare e farmi i fatti degli altri, ma prima pensavo fosse solo un'infatuazione: lavori con uno molto carino e ti fai qualche viaggio mentale; non c'è niente di male» spiegò seriamente «Ma adesso hai finito con quel lavoro, vero?»
«Per un po'... sì» annuì
«Ecco. E invece di tornare con la testa alla tua solita vita sei rimasta con questa fissa per Essepuntato. Anzi, sei arrivata al punto che ci stai uscendo insieme. In quanto tua amica comincio a farmi domande»
«Stiamo uscendo in gruppo, non da soli» la corresse «E non capisco ancora il punto» fece aggrottando le sopracciglia
«Erina» sospirò Tomomi incrociando le braccia «Devo venire io a ricordarti che prima di questo misterioso lavoro, di cui non puoi raccontare niente a nessuno, tu stavi per...»
«Ah! Questa canzone è bellissima!» la interruppe rapidamente la rossa, sentendo il pezzo che avevano cominciato a suonare in sala «Su, andiamo, non possiamo lasciarli da soli fin dall'inizio, sarebbe scortese» e tornò verso la porta, per uscire
«Ehi, non fare la gnorri con me!» ribattè bloccandola prima che afferrasse la maniglia «Io devo sapere come comportarmi»
«Non lo so nemmeno io» rispose l'altra «Non lo so, davvero. Ma non voglio toccare quell'argomento adesso. Voglio vedere come va stasera e poi pensarci»
«Vuoi vedere se Essepuntato è seriamente interessato a te?» domandò «Ma ci hai riflettuto? Stai per tornare al tuo ufficio, è tutta un'altra situazione lì. Se lui fosse interessato come faresti là? E io cosa dovrei fare? Non voglio che tu faccia sciocchezze che possano ferire te stessa e chi ti sta intorno. Non sai perdonarti quando fai del male a qualcuno...»
«Non fare niente, va bene?» sospirò Erina «Divertiti stasera, svagati e non pensare a questa faccenda. E non si chiama "Essepuntato", chiamalo Sakurai, sii la solita e non pensarci troppo: aspetto questa serata da quando l'ho rivisto» spiegò con voce sognante «Sono giorni che non chiudo occhio pensando ad oggi. Ci tengo, ci tengo tantissimo. Ti prego...». Tomomi la guardò, quando faceva così non riusciva a resisterle. «Sei una seccatura. Girati» le ordinò
«Come?»
«Ho detto girati su» ripetè prendendola per le spalle e muovendola a sua piacimento di modo da avere la sua nuca davanti agli occhi. In pochi gesti disfò lo chignon in cui aveva raccolto i ricci e, ignorando le proteste dell'amica, le cambiò completamente acconciatura: sciolse i capelli e raccolse alcune delle ciocche in una piccola coda ricciuta poco sopra l'orecchio destro, mentre il resto dei boccoli era libero sulle spalle. «Non lo so cos'hai in testa, non voglio rovinarti la serata se questo è quello che vuoi... semplicemente mi preoccupo per te» sussurrò sistemandole le ciocche che ricadevano dall'elastico
«Sì, lo so... scusa» mormorò la rossa sbirciando la propria figura nello specchio
«Allora... vuoi fare colpo su un uomo? Usa tutte le armi che hai a disposizione» dal tono usato sembrava rimproverarla «Te lo diciamo sempre che stai meglio con i capelli sciolti, Kōmō»
«Posso chiederti un ultimo favore? Almeno per stasera chiamami per nome»
«Oh... ma certo, Eri chan» annuì Tomomi sbattendo le ciglia «Va bene così? Se però ti sento storpiare il mio nome una sola volta giuro che urlerò "kōmō" per tutto il locale... e ti ficcherò le olive del mio martini nelle narici» aggiunse dopo un pausa. "Le ho fatto tutta una bella ramanzina e adesso la rendo pure più bella? Mah..." rimproverò se stessa mentre uscivano dal bagno. La verità era che Tomomi non riusciva a far finta di niente e a non assecondare quell'innamoramento che sembrava rendere tanto speciale quella serata. «Oh, piuttosto. Si può sapere perchè non mi hai voluto dire chi erano i ragazzi con cui saremmo uscite? Mi aspettavo chissà cosa e invece sono due tipi normalissimi» domandò ad Erina, quando ormai mancavano pochi passi dal tavolo. I due ragazzi avevano lasciato il menù aperto per loro e guardavano la band sul palco dall'altra parte del grande salone. «Sembrano normali vero?» ridacchiò quella «Sono membri degli Arashi». Tomomi ci rimase di sasso. In un attimo le tornarono in mente alcuni cartelloni pubblicitari per strada, certi spot in onda sugli schermi dei treni della Yamanote, qualche programma visto a casa di altri (lei non guardava mai la tv). Le fu chiaro allora che l'impressione di averli già visti, avuta quando li aveva incontrati fuori dal locale, era reale. Nonostante lo sbalordimento continuò a muoversi, era abituata a comportarsi normalmente anche mentre nella sua testa tutto si fermava: si sedette sullo sgabello, si scusò con gli altri due per averci messo molto e ficcò il naso nel menù. "Io-la-ammazzo! Ma avvisarmi prima no?" pensò scorrendo con gli occhi la lista dei drink senza leggerla "Va bene, non seguo il gruppo e non me ne interesso, ma... per la miseria! Cosa costa dirmi 'sai, stasera usciamo con due idol'? Almeno avvisami che non saremo con due gonzi qualsiasi". «Hai scelto?» domandò Jun dall'altra parte del tavolo. Le stava davanti perchè si era seduta di modo che anche Erina potesse stare di fronte a Sho, non avrebbe potuto non guardarla messi a quel modo e dopo tutto quel casino (ed era solo l'inizio della serata) doveva far caso a quanto era bella la sua amica! «Sto ancora cercando la pagina degli analcolici» sentenziò con un sospiro
«Oh bene, a quanto pare non sono l'unico a cui non piace molto bere» fece il ragazzo sorridendo cordiale «Sono nella penultima pagina»
«Ma non è vero, Tomomi beve. Perchè non stasera?» domandò Erina
«Non ho cenato prima di venire qui. Ho finito il mio turno troppo tardi e non ho trovato il tempo di mangiare niente lungo la strada» spiegò
«Pazzesco, sembra una cosa che diremmo noi!» esclamò Sho, sbalordito, e Jun rise «Non ti fa impressione sentirlo dire da qualcun altro?». La ragazza li osservò: erano stupendi.. e contemporaneamente normali. Era la prima volta che incontrava dei personaggi famosi, non si era mai chiesta come sarebbero stati dal vero, ma probabilmente non si aspettava che fossero tanto spontanei. "Ora è chiaro perchè Erina non ha mai potuto parlare del suo lavoro... e io che ho pure chiesto chi fosse Sakurai! Che figuraccia! Saranno abituatissimi ad incontrare gente che sa perfettamente chi sono e io invece ho sbagliato clamorosamente, pensando che il più carino dei due fosse quello che piaceva a lei!" si maledì mentalmente. Fu proprio lui a parlarle di nuovo «Nomura san, che lavoro fai?» domandò Jun
«Sono caposala in un ospedale» rispose per poi scorrere la lista degli analcolici
«Ed Erina san ti ha fatto venire qui dopo il lavoro. E' senza cuore!» scherzò Sho guardando la rossa con un sorriso di scherno. Eppure Tomomi era certa che l'occhiata che le aveva lanciato fosse più dolce di quanto un "prendere in giro" richiedesse. «Ma... ma non era obbligata, gliel'ho chiesto prima!» ribattè debolmente quella, arrossendo
«Hanno anche qualcosa da mangiare sul menù» spiegò Jun allungando la mano e girandole le pagine al contrario «Qui ecco»
«Grazie, ma credo non mangerò nulla. Ormai è un po' tardi» rispose Tomomi gentilmente. Il ragazzo chiamò il cameriere e ordinò per tutti.
Il locale si trovava in un seminterrato ed era principalmente un grande salone. Dalla parto opposta rispetto all'entrata si trovava un palco dove alcuni gruppetti suonavano alternandosi ogni sera, la programmazione dei live del mese era elencata su una locandina appesa in giro per la sala e il genere più suonato era il rock, anche se certe serate era prevista anche musica blues e una volta alla settimana si teneva un DJset di musica più commerciale. Davanti al palco uno spazio tenuto libero era adibito a pista da ballo, delimitata da alcune colonne che lo dividevano dal resto del locale. Ci si poteva sedere al bancone oppure ai tavoli, tutti da quattro, molto alti, circondati da sedie-sgabello sulle quali arrampicarsi. A quanto raccontò loro Sho, che aveva scelto il posto, quello era un posto frequentato soprattutto da atleti famosi e gente dello spettacolo, anche se intendeva più che altro "gente che lavora con le star" piuttosto che le star vere e proprie. L'ambiente era effettivamente quello di un locale abbastanza sofisticato, come piace alle persone di un certo status, in cui però si respirava un atmosfera molto informale e semplice: erano tutte persone impegnate ogni giorno nel loro duro lavoro e quindi avevano solo voglia di rilassarsi, senza doversi preoccupare troppo di chi avevano intorno, di cosa facevano... per questo, in un angolo, era segnalato l'accesso ad alcuni privè.
Pur non seguendo il gruppo, non guardando la televisione e non ascoltando musica, non sapere almeno dell'esistenza di un gruppo chiamato "Arashi" e di quanto fossero popolari era pressochè impossibile. Per Tomomi però, non seguendo lo spettacolo giapponese, ricordare le loro facce non era possibile. Inoltre tutto si sarebbe aspettata quella sera, fuorchè uscire con dei ragazzi copertina. Guardandoli bene poteva ricordare di aver visto Jun nella pubblicità della Kirin, e quell'estate la città ne era stata tappezzata, così come in quella di un drama, ma non è che potesse ricordare le facce di tutti quelli che comparivano nelle pubblicità in giro per Tokyo! Inizialmente ebbe il timore di passare la serata con due tipi insopportabili, non conosceva gente famosa, ma lo stereotipo la voleva stupida, piena di sè e, alla lunga, poco interessante. Non fece nemmeno in tempo a preoccuparsi della questione che i fatti smentirono subito quell'idea. Jun e Sho avevano chiaramente un rapporto uguale a quello che aveva lei con Erina: amici da una vita. Inoltre era chiaro che fossero abituati a parlare con il pubblico, o comunque con persone sconosciute. Il dialogo tra loro era sempre brillante, sapevano prendersi in giro e prendere in giro loro due, senza però offenderle, sapevano mettersi in gioco nei discorsi e a volte si scambiavano le battute alla perfezione. Non riusciva a credere all'atmosfera che si era creata: avevano discusso tutti insieme del lavoro che avevano fatto quel giorno, di come aveva lavorato Erina per il concerto, di come le due ragazze si erano conosciute (e con quello i due idol si fecero un sacco di risate) e molto altro. Nella coppia però era Jun a spiccare di più, in parte perchè Sho ogni tanto si perdeva a fissare Erina (e viceversa), ma anche perchè Tomomi ebbe subito l'impressione che quel ragazzo fosse l'esatto opposto dello stereotipo della star. Non poteva dire che fosse una persona colta, ma di certo non era un ragazzo stupido: chi proponeva gli argomenti di conversazione era lui, aveva sempre un'opinione su tutto e anche molto chiara, ma accettava sempre di ascoltare quella degli altri; il che faceva cadere non solo lo stereotipo della star noiosa, ma anche di quella egocentrica. Sia Sho che Jun, parlando del loro lavoro, erano visibilmente entusiasti, ma se si faceva loro qualche complimento si imbarazzavano e sminuivano tutto. La loro modestia era disarmante.
Chi parlava comunque, erano principalmente Tomomi e Jun. Sho ed Erina partecipavano, chiaramente, ma nessuno dei due riusciva ad evitare di lanciare occhiate all'altro e ogni volta che incrociavano gli sguardi, imbarazzati, si giravano a guardare la sala con fare distratto. Era già una quarantina di minuti che andavano avanti così. "Ma questi due... ma che problemi hanno?" si lamentò tra sè Tomomi. Quando la band attaccò con un nuovo pezzo Erina sembrò risvegliarsi e si girò a guardare verso il palco con gli occhi illuminati: i pezzi suonati era principalmente di rock americano, quindi doveva conoscerli bene e quello pareva piacerle parecchio, così ne approfittò. «Vero Erichan?» domandò per richiamare la sua attenzione sul discorso
«Eh? Cosa?» fece quella tornando a guardarli
«Non stavi ascoltando vero? Vuoi che andiamo un po' in pista?»
«Oh, ti va?» domandò la rossa sorpresa
«Sì, va bene, ma un pezzo soltanto, è già tanto che ho la forza di camminare... figurati ballare» sospirò
«Andate sotto il palco?» domandò Jun quando si alzarono dal tavolo
«Questo pezzo le piace, la accompagno così scarica un po' la tensione, ma quando è finito io torno» spiegò sorridendogli rassegnata «Se lei vorrà rimanere in pista la lascerò da sola» aggiunse con un sospiro mentre passava alle spalle di Sho, nella speranza che cogliesse le sue parole.

«Tu» pronunciò Jun prendendo un sorso dal suo bicchiere «Sei cotto» e lo rimise sul tavolo. Sho si limitò ad annuire continuando a guardare verso la pista davanti al palco. «E' lei quindi?» insistette
«Eh?» domandò quello girandosi a guardarlo
«Hai la testa tra le nuvole da un po' di tempo, è per colpa sua?» chiese con un sorrisino divertito stampato in faccia «Non credevo ti piacessero le straniere»
«Non è straniera» ribattè «Non del tutto, per lo meno. E comunque sì, le prime cose che mi colpirono anni fa furono proprio quelle che la rendono una mezza straniera» ammise
«Anni fa?» fece sbalordito, appoggiandosi al tavolo e sgranando gli occhi. Non credeva alle sue orecchie. «Penso di essermi perso qualcosa... la conoscevi già?»
«Era una mia compagna di università. Mi piaceva già all'epoca, ma lei mi detestava e quindi mi ha respinto» spiegò l'amico. Nonostante stesse parlando con lui non lo guardava affatto: non riusciva a staccare gli occhi dalla ragazza in pista a quanto pareva. «Adesso l'hai rivista, ti piace ancora e finalmente ti ricambia» concluse con un sorriso soddisfatto
«Mi ricambia? Non lo so mica!» esclamò finalmente ricambiando il suo sguardo «Non le ho detto niente, andiamo solo molto d'accordo. Certamente molto più di allora»
«Scusa se mi permetto Sho kun, ma è evidente che le piaci. Posso capire che tu non voglia esporti dopo che sei rimasto scottato una volta, ma a me sembra che tra voi vada tutto bene. Chiacchierate, scherzate... insomma, che motivo c'era di invitare anche me e quindi di tirare in mezzo anche Nomura san che è chiaramente distrutta dopo lavoro?». L'amico sospirò e prese un sorso dal proprio bicchiere «Matsujun, mi prendi per fesso?» domandò quello «Sono due mesi che tutti ti chiediamo di uscire con noi, di fare un giro, guardare un film, giocare insieme. La risposta è sempre "no". Ti sei chiuso in te stesso e ne avevi tutti i motivi, quindi nessuno ha insistito e abbiamo continuato a chiederti di uscire semplicemente perchè non ti sentissi lasciato solo. Dopo due mesi però ho pensato che fosse il momento di smetterla di trattarti coi guanti» spiegò il ragazzo guardandolo dritto negli occhi
«E quindi mi tiri fuori da casa con un tranello simile?» domandò incredulo
«E quindi» sospirò Sho «Dato che penso sia il momento di cominciare a reagire, ma sapendo che non saresti mai uscito, ho pensato che fosse una buona idea spingerti per una sera fuori casa fingendo che tu lo faccia per me, invece che per te. Non fraintendermi, avevo veramente bisogno di qualcuno che venisse con me o non avrei mai avuto il coraggio di invitarla»
«Quindi pensi che uscendo stasera tu mi stia mostrando che il mondo va avanti, quanto sia bello, e che sia il momento di superare la mia tristezza?» fece ironico. Sho kun era un amico speciale, aveva fatto la cosa giusta al momento giusto: gli aveva dato quell'invito proprio quando lui stesso cominciava a pensare che era il momento di fare uno sforzo e andare avanti. Aveva ragione su tutto insomma, ma Jun era orgoglioso e sul momento proprio non gli andava di dirgli quanto avesse ragione, così gli riuscì solo da reagire fingendo che non avesse apprezzato il suo gesto, che non si stesse divertendo e che quella serata fosse solo una seccatura. Eppure non se lo meritava. «No, il mondo può anche fare schifo. Volevo solo che ti rendessi conto che nonostante ciò che è successo noi siamo ancora qui, non ci hai perso e ci sono ancora tante persone che è bello conoscere, senza che i tuoi sentimenti per Shiori comincino a perdere di significato» concluse Sho prima che Tomomi tornasse al tavolo, da sola. «Non posso reggere un secondo pezzo» si lamentò raggiungendoli con le gambe tremanti
«Siediti, siediti» la invitò Jun, spostandole la sedia «E' già tanto che tu sia uscita con noi dopo il lavoro»
«Grazie...» sussurrò lei sedendosi «Dunque... Sakurai san?» la ragazza lo richiamò
«Si?» rispose quello, come mettendosi sull'attenti
«Posso chiederti un favore? Non mi fido a lasciarla là da sola: sbadata com'è potrebbe rompere il naso a qualcuno con una gomitata... e poi non so: potrebbe avvicinarla chiunque» gli sorrise angelica «Ti andrebbe di seguirla tu per me?»
«Uh... io? Sì, va bene» annuì. Jun lo vide deglutire nervosamente, scendere dalla sedia e avviarsi. «Geniale» farfugliò il riccio squadrando la donna rimasta al tavolo con lui «Hai accettato di accompagnarla solo per poter tornare a far andare Sho kun al posto tuo»
«Mi sorprende che tu l'abbia capito. Ho recitato così male?» domandò quella bevendo dal bicchiere, assetata dopo tutto quel movimento
«No, no... penso solo di essere meno rimbambito dall'innamoramento rispetto a Sho kun. E' stata una trovata geniale» rispose
«Troppo buono, troppo buono» rise lei «Con un amica come Eri chan, dopo anni, è ormai un'abitudine escogitare trucchi perchè faccia quello che non vorrebbe fare, o che non avrebbe il coraggio di fare, senza che se ne accorga. E' così facilmente raggirabile» sospirò divertita
«Dev'essere un'amica impegnativa» osservò Jun
«A volte, sì»
«Mi dispiace che per tutta questa farsa tu sia dovuta venire qui dopo una giornata di lavoro. Se vuoi ti offro il prossimo drink per scusarmi al posto di Sho» si propose. "E' chiaro che io sono stato invitato anche perchè Sho era preoccupato per me, ma per lei questa serata è a tutti gli effetti un uscita priva di senso. Io sono stato invitato per avere un'occasione di svago, ma lei è qui veramente solo per fare da terzo incomodo" riflettè tra sè "Per di più non conosce bene il gruppo, quindi non po' nemmeno pensare che perlomeno ha incontrato qualcuno di famoso a cui teneva! Mi sento in colpa...". «Ma figurati!» rise mentre recuperava la borsa e ci frugava dentro «Sul serio, nonostante la stanchezza mi sto divertendo. Quei due sono nel loro mondo da quando si sono visti, ma sono contenta che ci sia tu a farmi compagnia durante questa serata». Il ragazzo serrò le labbra e non disse nulla. Girò lo sguardo verso la pista per cercare l'amico. Quello di Tomomi era stato un complimento, molto sottile, molto elegante e anche molto discreto, eppure particolarmente significativo. Lei non poteva saperlo, ma per Jun sentirsi dire che la sua compagnia era piacevole era un complimento prezioso, per certi versi. Proprio lui, che in quei mesi non sopportava la sua stessa compagnia, che si trovava cupo e triste. "Del resto, penso sia anche grazie al fatto che mi adeguo a chi sta con me. Ero preoccupato di trovarmi davanti una ragazza noiosa, scontata e invece penso di non aver mai fatto una conversazione così stimolante da secoli! Erina san sa scegliersi le amiche, bisogna riconoscerlo" pensò prima di tornare a guardare Tomomi dopo qualche minuto di silenzio. La ragazza aveva avvicinato il posacenere e si era accesa una sigaretta. «Scusa, ti dà fastidio?» domandò
«No, no» scosse il capo guardando le dita lunghe della donna mentre faceva cadere la cenere «Oh, quelle sigarette le conosco!» esclamò
«Sul serio?» fece Tomomi sorpresa «Me le faccio spedire perchè non sono Giapponesi, è raro che qualcuno le conosca». Jun aggrottò le sopracciglia e la guardò in faccia «No...» farfugliò allibito «Hai uno yukata blu a fiori con un obi a sfumature rosse e bianche?» chiese
«Eh? S-si, ma... come lo sai?» la donna sembrò improvvisamente spaventata
«La scorsa volta, quando l'appuntamento è saltato, l'ho saputo tardi ed ero già davanti alla stazione quando Sho kun mi ha avvisato. Ho parlato con una ragazza che fumava le stesse sigarette» spiegò sbalordito «Eri tu, vero?»
«Sei il ragazzo che vede il mondo nero» sembrò ricordarsi in quel momento di quell'evento insignificante capitato giorni prima
«E tu sei quella che fuma solo per autopunirsi» ricordò, come se rinfacciandole quella cosa potesse difendersi dal fatto che effettivamente i suoi pensieri erano un po' cupi in quel periodo «Non sapevo fossi tu l'amica di Erina san»
«Ma com'ero vestita te lo ricordi perfettamente direi» osservò la donna «Strano ricordarsi simili dettagli in una sconosciuta qualsiasi». Come avrebbe potuto spiegarle che se la ricordava solo per il fatto che aveva perso tempo a tentare di sovrapporre la sua immagine in yukata con quella di Shiori? Non sarebbe stato carino. «Mi piacciono i vestiti, quindi sono sempre molto attento a cosa indossano le persone» si giustificò, non era nemmeno una bugia. Lei sorrise divertita e spense la sigaretta. «Anche tu ricordi bene quei discorsi» le fece notare
«Sì, ma non puoi negare che fossero discorsi un po' buffi da fare con uno sconosciuto» gli spiegò Tomomi con un sorriso tranquillo. Era dall'inizio della serata che l'aveva notato, quella ragazza sembrava abituata a fare un sorriso libero da qualsiasi turbamento: nonostante fosse stanca e visibilmente a pezzi (la mano le tremava leggermente quando teneva la sigaretta e si muoveva ormai molto poco, con le poche forze che ancora aveva) la sua era comunque un'espressione dolce, rassicurante. «Quindi sei tu... Matsumoto san. Eri chan ogni tanto mi ha fatto sentire le vostre canzoni, oppure ha parlato di voi... credevo foste ragazzi più solari» osservò pacata. Non lo stava accusando, non suonava delusa, era solo una constatazione. «Lo siamo... sono io che no sto attraversando un bel periodo» spiegò appoggiando la schiena alla sedia alta
«Spero che in televisione tu non faccia discorsi così cupi»
«Veramente non guardi nessuno dei nostri programmi?» domandò incuriosito: ogni tanto si stupiva se qualcuno li guardava e si imbarazzava quando facevano loro complimenti, ma ogni tanto gli sembrava strano che ci fossero persone che non li avessero mai visti. «No, veramente ho una televisione a casa, ma non la uso spesso. Faccio turni tali al lavoro che ho a malapena la forza di mangiare e trascinarmi a letto» spiegò e Jun annuì, suonava tanto come la sua vita di quel periodo. «Sembra veramente un lavoro difficile... in che reparto lavori?» domandò il ragazzo
«Cardiologia, ma dato che vivo una vita scialba e consacrata al solo lavoro i miei superiori ne approfittano e ogni tanto mi spediscono a dare una mano al Pronto Soccorso» rispose facendo spallucce. Jun non disse niente, si era semplicemente irrigidito. Se non fosse stato di vitale importanza avrebbe anche smesso di respirare. «Scusa, è stata una brutta risposta» si corresse rapidamente Tomomi, vedendo la sua reazione «Era un po' cinica, mi dispiace. Non dovrei dire queste cose a qualcuno che ho appena conosciuto»
«No... no, no» si riprese il giovane facendosi avanti sul tavolo e scuotendo il capo «Scusami tu, non era una reazione alla tua risposta. Era cinica, sì, ma apprezzo la schiettezza, veramente» cercò di giustificarsi. Era la verità, non era stato quel suo lamentarsi così spontaneo che l'aveva lasciato interdetto. Aveva apprezzato la compagnia di Tomomi fin dal primo momento, era stato veramente contento di non essere finito a fare da terzo incomodo al fianco di un quarto incomodo noioso. La rigidità che lo aveva colpito per qualche attimo era semplicemente dovuto al fatto che lavorava in cardiologia, quando gliel'aveva sentito dire era rimasto esterrefatto da quanto il destino sembrasse volerlo tenere ancorato alla sua tristezza in tutti i modi. Jun si sforzava di passare una sera tranquilla, per distrarsi, per non pensare troppo, e la ragazza con cui doveva passare la maggior parte della serata richiamava alla sua mente, tra tutti i ricordi, proprio quelli più dolorosi.

*Fuchou (婦長) dovrebbe essere l'equivalente di "caposala". Sul posto di lavoro è normale che si chiami i colleghi per il loro titolo o carica invece che per cognome.
** Dentro agli edifici pubblici (come scuole e ospedali) non si possono indossare le scarpe con cui si va in giro per strada. Esistono pantofole o scarpe da interni apposta per stare all'interno di questi luoghi e che quindi, viceversa, non possono essere usate per andare in giro.
*** Tutte le stazioni principali dei treni hanno degli armadietti in cui è possibile mettere dentro le proprie cose.


Incredible! I did it!! O_O
Anbelivabol!
Sto capitolo è stato un parto T___T
1) perchè ho dovuto muovere per bene un personaggio che non avevo mai dovuto muovere bene prima. Entrare nella sua psicologia, capire come si comporterebbe, etc... 2) perchè questa serata/appuntamento è un momento importante, devono succedere tante cose (tante anche piccole, ma comunque importanti) e rischiavo continuamente di fare un capitolo pieno di roba mal raccontata, che senso ha infarcire una storia di tanta bella roba se poi la forma fa schifo?; 3) perchè il capitolo ha cominciato a diventare lunghissimo O.O allora l'ho spezzato e mi son dedicata per bene a questa prima parte; 4) perchè volevo il colpo di scena, ci tenevo a lasciare sbalordito chi legge quando finalmente capisce chi è la persona che ho pensato per Jun ^^
Questo personaggio ancora non lo si conosce bene, lo so, ma sono curiosa di sapere le prime impressioni: l'avreste mai detto? Ce li vede insieme quei due?
Comunque... amo Jun T_T mi manca Kaze... devo scrivere più spesso di lui, è troppo bello! (e poi mi riesce bene, nel senso chemi viene senza problemi: se poi riesca bene nel senso che racconto roba bella... sta a voi dirlo, non a me!)

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Capitolo 29
*** 28. My feelings for you are crystal clear ***


Erina si mischiò tra la folla insieme alla sua amica. Sho le osservò, per nulla sorpreso del fatto che la ragazza si fosse lanciata in pista così rapidamente: tutto sommato era da lei, di natura tendente alla socializzazione, buttarsi nella mischia a ballare con gente conosciuta. La vedeva comparire e scomparire nella folla, ma sfortunatamente quel locale non era una discoteca e le luci non erano molto forti. Doveva individuarla ogni volta che qualche persona più alta di lei non gli intralciava la vista. Era facile seguirla comunque, il colore dei capelli era unico e poi teneva Tomomi per mano, le stava vicina e la sua altezza superava quella di molti: se teneva d'occhio la mora avrebbe sempre saputo dov'era Erina. Trattenne una risata divertita quando la vide scusarsi con una persona per averle pestato il piede. "Ha deciso di uccidermi stasera?" si domandò appoggiando il mento al palmo della propria mano. Non riusciva a staccarle gli occhi di dosso, da quando l'aveva incontrata fuori dal locale non aveva potuto fare a meno di pensare che quella sera sembrava essersi vestita ed acconciata apposta per assecondare tutte le sue piccole passioni. Prima di tutto il vestito corto gli permetteva di godere della vista delle sue gambe: era azzurro scuro senza alcuno scollo e le maniche lunghe a tre quarti, ma era particolarmente corto, infatti la fascia elastica azzurra alla fine del vestito le arrivava a metà coscia, se non un po' più sopra. Sotto non portava un'altra gonna, nè dei pantaloni, solo delle scarpe nere col tacco non eccessivamente alto. Insomma era fatto apposta per essere così corto, quindi nel complesso non si poteva dire particolarmente coperta. Ma la ciliegina sulla torta era stata quando era andata in bagno e aveva sciolto i ricci.
Era incantato a fissare quella cascata rossa quando Jun lo interruppe dai suoi pensieri. "E' veramente cocciuto! Non dico che mi devi ringraziarmi per averti costretto a mettere il naso fuori di casa, non dico nemmeno di farmi i complimenti per aver scelto proprio il tipo di locale che piace a lui, con la musica dal vivo, ma... che diamine!" pensava tra sè mentre discuteva con l'amico "Ok, l'invito esteso anche a lui è stato un effetto collaterale del mio panico davanti ad Erina quando l'ho invitata la prima volta. Dopo questi giorni in cui le cose tra noi sono andate tanto bene la inviterei ad uscire da soli, ma ormai è fatta! Insomma, ho preso due piccioni con una fava, non mi si deve fare i complimenti per forza, ma almeno potrebbe non dimostrarsi così ingrato". «No» sospirò, arrivato al limite della sopportazione di tanta cocciutaggine «Il mondo può anche far schifo. Volevo solo che ti rendessi conto che nonostante ciò che è successo noi siamo ancora qui, non ci hai perso e ci sono anche tante persone che è bello conoscere, senza che i tuoi sentimenti per Shiori comincino a perdere di significato». Tomomi stava tornando verso di loro proprio in quel momento e Sho sorrise a Jun, trionfante nel constatare che aveva avuto l'ultima parola "Almeno non ha ribattuto. Tanto lo so che mi è riconoscente, ma non vuole ammetterlo. Cocciuto, orgoglioso Matsujun". «Non posso reggere un secondo pezzo» sospirò Tomomi stremata. "Mi sorprende che ne abbia retto anche solo uno. Io dopo diciotto ore di lavoro non alzerei un dito per nessuno... ok, se Nino mi minacciasse farei di tutto, ma quella sarebbe l'unica eventualità" riflettè. «Siediti, siediti» osservò Jun spostare la sedia per far accomodare la ragazza «E' già tanto che tu sia uscita con noi dopo il lavoro»
«Grazie. Dunque... Sakurai san?». Sentendosi improvvisamente richiamato raddrizzò la schiena «Si?»
«Posso chiederti un favore? Non mi fido a lasciarla là da sola: sbadata com'è potrebbe rompere il naso a qualcuno con una gomitata... e poi non so: potrebbe avvicinarla chiunque. Ti andrebbe di seguirla tu per me?»
«Uh... io? Sì, va bene» annuì avviandosi. "E me lo chiede pure? Non sono riuscito a starle vicino nemmeno un secondo da quando ci siamo visti!" sorrise incredulo "Anche se, sia chiato, non mi metterò mai a ballare! E' fuori discussione... anche se l'idea di ritrovarmi schiacciato contro Erina nella folla..." contemplò quell'eventualità mentre si piazzava a bordo pista. Non ci volle molto perchè la ragazza lo vedesse, infatti si sbracciò, facendogli segno di raggiungerla, ma Sho rispose scuotendo il capo così alla fine la vide farsi spazio tra le persone e raggiungerlo. «Accidenti, chiedevo "permesso" e nessuno si muoveva» si lamentò parlando ad alta voce per farsi sentire da lui
«E' che sei troppo piccola e nessuno ti vede» la prese in giro
«Ma non vuol dire! Sono loro che sono sordi» tentò di ribattere
«Devi ammettere che qui dentro è difficile sentirsi» ragionò Sho «Perchè sei venuta qui?»
«Tu piuttosto, cosa pensi di fare? Vieni forza!» lo incitò Erina prendendolo per l'avambraccio, tentando di trascinarlo verso la pista con sè. «Scordatelo!» rispose lui ridendo «Mi rifiuto»
«Ma tu sei bravo a ballare!» tentò di convincerlo
«Come? Ma che fan sei? Dovresti saperlo che non sono affatto portato per il movimento fisico» ribattè
«Oh accidenti...» lo lasciò andare «Hai ragione... meglio non rischiare che tu ti faccia male. O che ferisca qualcuno»
«Ma come ti permetti?» le domandò arricciando il naso, ma non aggiunse altro: quando la vide ridere divertita perse la voglia di sgridarla per quella sua offesa. Era una visione troppo bella per rovinarla. "Pur di vederti sorridere sempre, credo mi ridicolizzerei tutto il tempo" pensò, mentre lei continuava a cercare di convincerlo.
La musica in quel punto era tanto alta che dovevano per forza stare più vicino del normale se volevano sentirsi. Sho osservò i riflessi ramati dei capelli della ragazza davanti a sè, deglutì a fatica quando gli si avvicinò per gridargli qualcosa nell'orecchio e si distrasse a guardare la curva della pelle liscia sul suo collo. "Che devo inventarmi per starti vicino? Vorrei abbracciarti ora, in questo momento, ma non è così facile trovare una scusa per giustificare un simile gesto" si distrasse a pensare mentre lei gli spiegava perchè adorava il pezzo che stavano facendo. Forse era solo un'impressione data dalla luce del locale, ma ai suoi occhi Erina sembrava circondata da un'aura luminosa e splendida. Se solo provava ad immaginare come sarebbe stato sfiorare quel corpo, tenerlo vicino al proprio, sentirla ridere piano contro il suo petto...
La musica scemò sugli ultimi colpi di batteria e la band sul palco annunciò qualche minuto di pausa. Sarebbe stato riempito da un disco. "Ecco, pensa che fortuna! Arrivo qui, possiamo chiacchierare un po' e invece...". «Forza torniamo» disse Sho «Non vorrei lasciare quei due da soli al tavolo»
«No dai» si lamentò Erina «Ancora uno! E balli anche tu. Tanto un po' di gente se n'è andata dalla pista, è più sicuro!»
«Smettila di prendermi in giro. E poi Matsujun e Nomura san non si conoscono, sarebbe scortese da parte nostra lasciarli da soli» spiegò il ragazzo
«Sono grandi e vaccinati, Sakurai san! Non ci ammazzeranno per altri 3 minuti al tavolo senza la nostra indispensabile presenza» sospirò lei. Fece per ribattere, ma dalle casse uscì il primo pezzo del disco: Deep di Danny Scherr. La band aveva deciso di concedere una pausa anche ai ballerini, molti lasciarono la pista e solo alcuni si concessero il lento che era appena cominciato. «Accidenti, questa non...» farfugliò Erina «Non era ciò che intendevo. Hai ragione, torniamo al tavolo» annuì piano e fece per andarsene. Fu il turno di Sho ad afferrarla per il braccio "Volevo una scusa?". «Aspetta» pronunciò piano.

"Aspetta". In fondo al cuore o in una piccola zona remota dei suoi sogni aveva timidamente sperato in una reazione simile, ma non aveva mai pensato che potesse accadere sul serio. Lo guardò interrogativa, ancora indecisa se credere o meno a quella parola. «Se ci tieni... balliamo» spiegò piano Sho
«Cos... ma non volevi. Non devi sentirti costretto» gli disse timidamente. "Cosa stai dicendo, pezzo d'imbecille?! Devi dire: sì, evviva, balliamo!" pensò senza scomporsi. «Non devo agitarmi con questo pezzo, quindi non c'è pericolo» spiegò il ragazzo con un sorriso. Non che intendesse tirarsi indietro, ma davanti alla dolcezza di quell'espressione non sarebbe riuscita a sottrarsi. Erina fece qualche passo verso la pista, quindi si fermò davanti a Sho, fissandogli imbarazzata i bottoni della camicia senza muovere un muscolo. "Che faccio?" si domandò nervosamente. «Erina san?» la richiamò lui tendendole entrambe le mani «Credo che almeno un pochino di movimento sia richiesto anche in questo caso, sai?». Il suo cervello si era completamente disconnesso: l'inaspettato atteggiamento di Sho, i suoi occhi scuri che la guardavano, quel modo di fare così dolce... le era impossibile ragionare, quindi prese a muoversi meccanicamente, seguendo i gesti del ragazzo. Si lasciò tirare dolcemente verso di lui una volta che gli ebbe preso le mani. Gliele fece appoggiare sulle proprie spalle e a sua volta lui intrecciò le dita dietro la sua schiena, passandole le braccia intorno ai fianchi. La strinse appena, una lieve pressione che bastò a richiamare l'attenzione di Erina e farle alzare lo sguardo. Si guardarono negli occhi per un secondo, il tempo perchè lui accennasse a cominciare a muoversi lentamente, a ritmo di musica. Erina si lasciò trascinare ed appoggiò la testa contro la sua spalla. Per qualche secondo si mossero lentamente per la pista, silenziosi, così la giovane ebbe un po' di tempo per riordinare i pensieri e realizzare la realtà, ma per quanto pazzesca le potesse sembrare sei rese conto che non era più agitata. Forse era l'effetto dell'abbraccio gentile di Sho, o magari era per via della musica tranquilla, ma Erina si riscoprì rilassata: nessuno dei suoi muscoli era particolarmente teso, la sua mente non era invasa dal panico. In confronto all'agitazione che aveva avuto in ascensore giorni prima era un passo avanti. Sarebbe scoppiata a ridere, si sentiva tanto felice di star vivendo quel momento che l'avrebbe urlato al mondo intero se solo questo non avesse chiaramente rovinato l'atmosfera. Invece di fare baccano si limitò a domandare «Sakurai san... sei felice?»
«Mh... mi sembra che Matsujun sia contento di essere venuto. E devo dire che tu e la tua amica siete riuscite a strappargli delle risate sincere» spiegò lentamente. Erina poteva sentire la voce calda di Sho suonarle profonda nell'orecchio, essendo appoggiata al suo petto. «Quindi sono riuscito nel mio intento. Sono soddisfatto, sì» concluse
«A parte Matsumoto san... lui potrebbe essere contento, ma magari tu ti stai annoiando a morte o hai dei problemi e non sei di buon umore. Sei felice? Dico tu» insistè chiudendo gli occhi. Ci fu una pausa poi Sho fece un sospiro divertito «Sì, certo che sono felice» rispose «E tu, Erina san, sei felice?» aggiunse poco dopo
«Credo che dovrei sentirmi in colpa per aver trascinato qui Tomomi nonostante fosse così stanca. Ma sono sempre a mio agio con lei, mi piace quando esco con lei e mi sembra che si stia divertendo... forse non subirò alcuna punizione da parte sua la prossima volta» riflettè seriamente
«Che c'entra lei?» ridacchiò Sho «Lei potrebbe essere contenta, ma magari tu ti stai annoiando e vorresti uscire di qui il prima possibile» le spiegò facendole il verso
«Copione» borbottò la ragazza ed entrambi fecero una risatina sommessa. «Tu sei felice?» domandò ancora Sho. Lei si decise a girarsi verso di lui rimanendo appoggiata con la guancia alla spalla. Alzò gli occhi verso il viso del ragazzo ed incontrò il suo sguardo: teneva il collo piegato per riuscire a guardarla. Avevano passato tutta la serata a scambiarsi occhiate e abbassare lo sguardo nervosamente, ora invece era tutto così tranquillo. Si guardarono per un lungo momento, senza alcun imbarazzo. «Sì, adesso sono felice» disse infine.
Quel dialogo non aveva senso. O meglio, non lo avevano le parole che avevano usato, ma il tono di voce, il fatto di aver risposto che, sì, erano felici, l'essersi guardati: tutto quello aveva un significato che andava ben oltre le parole da sole. Sho le scostò alcuni ricci da davanti il viso, un pretesto per accarezzarle la guancia. Quando Erina allontanò il viso dalla sua spalla smisero di ballare, ma non di guardarsi negli occhi. Nessuno dei due li chiuse, nemmeno quando lei strinse le dita sulla camicia del ragazzo e si mise in punta di piedi. Il giovane continuò a guardarla abbassandosi verso di lei, ormai le loro labbra potevano sfiorarsi, eppure ancora non si baciavano, godendo entrambi di quell'attimo in cui potevano sentire il respiro dell'altro, in cui i loro sentimenti diventavano completamente chiari e trasparenti. Non c'era più alcun dubbio nei loro occhi, nessun indugio nei loro movimenti e non c'era incertezza nella vicinanza delle loro bocche.
«Siamo tornati!» esclamò il cantante del gruppo al microfono. Entrambi saltarono letteralmente dallo spavento. La canzone era finita da un po' e non se n'erano accorti! La musica più movimentata riprese e la gente si radunò nuovamente numerosa sulla pista. Sho le passò un braccio sulle spalle per attirarla a sè, farsi strada e togliersi dalla calca insieme. Quando finalmente raggiunsero il bordo pista il ragazzo si teneva una mano davanti alla bocca per soffocare le risate. «Perchè ridi?» domandò Erina alzando la voce per farsi sentire
«Perchè mi sono spaventato a morte!» esclamò divertito
«Te lo dicono spesso che non sei normale?» ma veniva da sorridere anche a lei. Tornarono verso il tavolo senza dirsi niente riguardo a ciò che era appena accaduto, ma non ce n'era bisogno. Erano stati sul punto di baciarsi, non per sbaglio e non nel buio, ma con calma, con tutti i secondi a disposizione e guardandosi negli occhi. Erina ridacchiò tra sè mentre seguiva Sho attraverso il locale.

Osservò la ragazza tornare a sedersi sulla sua sedia. Le avrebbe volentieri accarezzato la mano o baciato la guancia prima di dividersi da lei... nemmeno dovesse andare chissà dove: erano semplicemente seduti su due lati diversi del tavolo! «Berrei... un'altra cosa» farfugliò «Vado al bancone. Qualcuno vuole qualcosa?»
«Mmmh... puoi chiedergli un altro di questi?» domandò Tomomi indicandogli il proprio bicchiere vuoto «Credo che l'ananas mi tenga un po' su»
«Io sono a posto» fece Jun
«Eri chan? Non vuoi qualcosa di fresco? Non hai caldo?» domandò la mora sorridendo verso l'amica. Sho osservò Erina e la vide arrossire d'improvviso, così cominciò a sentirsi imbarazzato a sua volta "Ci ha visti!". «Va bene, allora vado e torno» concluse Sho affrettandosi ad allontanarsi. Attraversò il locale andando verso il bar, ordinò da bere e si mise in attesa osservando i movimenti del barista. "L'ho fatto? L'ho fatto, diavolo! E mi sa che Nomura san ci ha pure visti... chissà se anche Matsujun..." mangiucchiò qualche nocciolina ridendo tra sè "Comunque, a voler essere precisi non abbiamo fatto niente. Esattamente come tutte le altre volte nella mia vita che ho tentato di baciarla: non è successo un accidente. Però oggi è stato diverso. Altre volte, come dire, era quasi forzato. Anzi no, non era forzato: non eravamo costretti, che dico? Però c'era molta tensione, mentre adesso era tutto più naturale. L'ho abbracciata, ci siamo guardati... non ero teso e non lo era nemmeno lei. Tenendola abbracciata era facile rendersi conto che era rilassata" il barista gli porse il primo drink che fortunatamente era il suo. Lo sorseggiò concentrandosi sul liquido fresco che gli scendeva in gola. La felicità che lo pervadeva gli alleggeriva il cuore, lo faceva sorridere di continuo. Sarebbe scoppiato a ridere se non l'avessero guardato come un pazzo, lì da solo al bancone. "Lo voleva. Si è persino alzata in punta di piedi! Pfff... ridicola e insieme tenera. Sì, lo voleva, lo voleva! Sembra pazzesco, ma è la verità". Si girò parzialmente a guardare il tavolo e sbirciò la figura di Erina. Nonostante la distanza vedeva che stava guardando in quella direzione, ignorando i due al tavolo con lei, e capì che guardava lui perchè raddrizzò improvvisamente la schiena. «Siiii...» sussurrò stringendo una mano a pugno
«Ecco l'altro drink» annunciò il barista
«Oh, sì. Grazie mille» rispose Sho prendendo il bicchiere e cercando di ridarsi un contegno. Tornò verso il tavolo «Sakurai san!» esclamò Erina «Lo sapevi che Matsumoto san e Tomomi si erano già conosciuti?»
«Come?» domandò sbalordito appoggiando i bicchieri
«Grazie Sakurai san» fece Tomomi pendendo il suo «Veramente non è esatto dire così. Io non sapevo chi fosse, ci siamo parlati per caso. Voglio dire... se siete gli unici ad aspettare a vuoto la persona che vi ha dato un appuntamento, cosa fareste?»
«Cosa c'entra? Tu mi hai prestato l'accendino» fece notare Jun
«Non mi sono scusato con te, Nomura san» lo interruppe Sho «Mi dispiace moltissimo per quella sera» chinò il capo, costernato
«Nessun problema. So cosa significa quando per lavoro si finisce con il lavorare più del previsto» rispose la donna scuotendo la mano davanti al viso
«Un secondo! A me hai fatto una scenata!» ribattè Erina «Mi hai fatto la ramanzina come se fosse stata colpa mia se l'appuntamento era saltato!»
«Sì, è vero... ma non ero veramente arrabbiata» rispose l'amica «E' solo che sgridarti è un po' il mio hobby» spiegò girandosi l'ombrellino giallo del drink tra le dita. Sho trattenne una risata divertita "Certo, anche io trovo divertente prendere in giro Erina, ma bisogna dire che questa ragazza ne ha fatto un arte!". «Piuttosto, perchè non ci raccontate come vi siete conosciute voi due?» propose «Raccontare di noi due è troppo facile: tutti sanno tutto ormai»
«Noi due?» Tomomi lanciò un'occhiata all'amica. Però la ragazza stava fissando Sho e lui se ne accorse quando, seguendo il discorso, si girò a sua volta a guardarla. Incrociò i suoi occhi scuri e la vide arrossire, ma lui le sorrise: non era più il tempo di imbarazzarsi, ormai non aveva più bisogno di nascondere quello che provava abbassando lo sguardo. «Erina?» chiese Tomomi
«C-cosa?» domandò lei sbattendo le palpebre e interrompendo quello scambio di occhiate, girandosi verso Tomomi
«Hello? Siamo tre o quattro a questo tavolo?» sospirò «Bene, dato che ci ignori racconterò che quando l'ho incontrata la prima volta...» disse rivolgendosi agli altri due «Era ricoperta di sangue»
«Sangue?» scattò su Sho sgranando gli occhi
«Oh, buona sera! Temevo che da tre fossimo passati a due» aggiunse ancora, Jun ridacchiò divertito nascondendo il suo sorriso dietro il proprio bicchiere «Dicevo, era ricoperta di sangue ed era appena entrata da noi al Pronto Soccorso, urlando come una pazza...»
«Cosa stai dicendo?!» esclamò di scatto Erina «Queste cose non si raccontano! No, no, no!» fece scuotendo il capo e arricciando il labbro inferiore
«Scherzi? Io adesso voglio sapere» ribattè Sho divertito
«Dicevo che urlava come una pazza» continuò imperterrita Tomomi «Perdeva sangue perchè aveva sbattuto la testa contro un mobiletto dell'ufficio. Com'è che avevi fatto?»
«Ehi, non voglio parlarne» ripetè la rossa «Lascia stare dai...» piagnucolò
«Ah, giusto! Hai detto che stavi giocando con la seggiola dell'ufficio. Era una di quelle con le rotelline, vero?» continuò imperterrita l'amica
«Sì, sì va bene... mi sono spinta all'indietro dalla scrivania, ma ho usato troppa forza e sono arrivata alla fine della stanza» i ragazzi la guardarono con gli occhi sbarrati «Ehi! Era l'ufficio nuovo! Ci avevano messo in una stanza lunghissima. Dietro la mia scrivania c'era un sacco di spazio libero, era troppo divertente per non farlo. Però mi sono spinta un po' troppo e la sedia ha sbattuto contro il muro, io sono caduta e facendolo ho sbattuto la testa contro un mobile di schedari» concluse stringendosi nelle spalle. Quelli continuavano a guardarla stranita mentre Tomomi la guardava tutta divertita. «Sì, è così che sono finita al Pronto Soccorso. Non è una balla» sospirò, sconfitta. I due ragazzi al tavolo scoppiarono a ridere. Jun per poco non sputò tutto il suo drink e Sho si nascose la faccia tra le braccia incrociate sul tavolo, completamente piegato in due per il troppo divertimento. Sapeva che non era carino ridere a quel modo, ma era più forte di lui: immaginare la scena lo faceva letteralmente sbellicare. «Sai? La uso sempre come storiella buffa per fare bella figura quando esco con gente nuova» spiegò soddisfatta Tomomi
«Ma tu non esci mai con gente nuova» insinuò Erina con una punta di acidità
«Touché» ammise l'altra, ridacchiando e alzando le mani.
Fortunatamente i due si ripresero dalla ridarola e la giovane mora riuscì in poche battute a sviare il discorso a cui lei stessa aveva dato il là.

"Va bene... potrei anche rendermi ridicola tutta la serata se questo lo facesse ridere tutto il tempo" sospirò Erina tornando a contemplare Sho "Forse dovremmo parlare. O forse no... no, non è mai andata bene tutte le volte che ho parlato con gli uomini" cominciò a riflettere mentre passava lo sguardo sulle spalle muscolose del ragazzo, coperte dalla camicia nera, ben stirata. Doveva essere l'unico indumento rimastogli dalla riunione di redazione di NEWS ZERO. Aveva cambiato il completo con un paio di jeans scuri, chiusi da una cintura dalla fibbia metallica, lucente, e indossava dei mocassini scuri. Aveva l'orologio da polso che indossava anche il primo giorno che si erano rivisti, circa due mesi prima. Le sue mani, illuminate dal piccolo lampadario che pendeva dal soffitto, sembravano ancora più belle e grandi. "Con gli uomini non si parla, tanto sarebbe inutile. Sono più tipi da azione... sì, decisamente" annuì tra sè ripensando a quando quelle mani l'avevano stretta e non potè fare a meno di immaginarle mentre la accarezzavano. Arrossì quando a tutte quelle fantasie si aggiunse il ricordo del non-bacio che si erano dati.
Il cellulare cominciò a squillare e lo tirò fuori dalla borsa. «Scusate un secondo» fece prima di alzarsi e andare in bagno dove poteva ascoltare la chiamata. Mentre si avviava notò l'occhiata che le lanciarono un paio di ragazzi. Era abituata alla gente che la fissava, dato che credevano sempre di avere davanti una straniera, ed era abituata anche alle occhiate dei ragazzi anche se entrambe le cose continuavano a darle fastidio anche dopo anni. "Cavoli. All'inizio sembrava una buona idea questo vestito, ne ho persino discusso con Kokoro chan ma... forse lei non vedendolo non si rendeva conto di quanto fosse corto" sospirò. «Pronto, Fujimiya san?» rispose appoggiando la schiena al muro di piastrelle fredde del bagno
Erina? Tra una ventina di minuti sarò lì, come va la serata?
«Tutto bene, ci vediamo tra poco» rispose lei sorridendo.
Uscendo decise di approfittarne per rubare un paio di patatine dal bancone. La coppia di ragazzi era poco distante. Si passò le dita sul bordo del vestito e cominciò a tirare il tessuto. "Anche Tomomi tan mi ha rimproverato! Eppure è stata lei anni fa a dirmi che sono alta uno sgabello e un oliva e che per sembrare carina e meno nanerottola con i vestiti eleganti devo valorizzare le gambe e mettere i tacchi. Come le valorizzo se non le metti in mostra?" sbuffò e prese un paio di noccioline. «Ehi! Ti ho visto in pista prima» uno dei tipi che la stavano fissando attaccò bottone
«Ah si?» rispose distratta. "Va bene, ammettiamolo non c'era bisogno di mettere un vestito così corto, in realtà volevo solo far sì che Sho non riuscisse a staccarmi gli occhi di dosso. Ci sono riuscita ma... accidenti, sono un'imbecille! Come ho potuto pensare di far leva solo sull'istinto sessuale? Cretina, cretina!". «Sei da sola?» insistè lo sconosciuto. "Come potrei essere contenta se mi guardasse solo perchè... perchè c'è qualcosa da guardare? Oh, quanto sono imbecille. Adesso come faccio a sapere se mi ha ba... quasi baciato perchè lo voleva o perchè era spinto dall'eccitazione?". «Ehi, mi stai ascoltando?» si sentì chiedere improvvisamente
«Eh? Cosa?» alzò lo sguardo e si accorse dei due ragazzi che le si erano avvicinati
«Ma tu non stavi ascoltando?»fece l'altro irritato
«No io... scusate» rispose Erina sgranando gli occhi «Parlavate con me?» domandò sorridendo. Tra l'essere guardata e il venire abbordata c'era una grossa differenza. Il suo particolare aspetto faceva sì che la gente la guardasse molto, ma che la avvicinasse molto meno. Almeno il cinque per cento delle volte in cui era successo i dialogo era partito in inglese perchè gli altri pensavano non parlasse giapponese. L'ammontare totale delle volte in cui erano stati gli altri a parlarle però era ben misero, forse proprio per quello era cresciuta con la tendenza a non farsi problemi ad essere lei la prima a parlare con le persone. Ad ogni modo non era abituata ad essere abbordata e cominciò a spaventarsi, ma solo perchè non sapeva come venirne fuori, non perchè sembravano particolarmente minacciosi i due che aveva davanti. Stava già per andare nel panico mentre cercava un modo per scaricarli quando Sho spuntò alle sue spalle. «Ehi! Pensavo che stessi parlando al telefono, invece eri qui ad ingozzarti di pizzette?» ridacchiò accarezzandole la spalla «Grazie per averla fermarla» fece verso i due ragazzi. Questi lo guardarono interdetti: forse si aspettavano qualche minaccia, certo non di venire ringraziati. «Oh niente... figurati» risposero gli altri due e si allontanarono. Quando finalmente rimasero soli Sho sospirò rumorosamente «Cavoli, hai un'abilità innata per ficcarti nei guai!» esclamò «Mi sono avvicinato pensando a come evitare una rissa»
«Dici che sarebbe finita in rissa?» domandò la rossa girandosi verso di lui e appoggiando il fianco al bancone «Io credo che mi stessero parlando, ma non li ho ascoltati. Forse si sarebbero irritati un po' e se ne sarebbero andati credendomi stupida»
«No, ma cosa dici! Avevi un aria troppo sveglia mentre rosicchiavi le noccioline dalla ciotola» le rispose fingendosi indignato
«Ehi!» fu tutto quello che riuscì a ribattere prima che lui si mettesse a ridere. Sorrise a sua volta e si soffermò sul suo profilo: gli fissò le labbra piccole e piene, gli occhi luminosi, lo osservò mentre si toccava i capelli spostando una ciocca da davanti al viso. Era splendido. Le sue labbra si piegavano e gli occhi si rimpicciolivano leggermente, scintillando di una dolcezza che non gli aveva mai visto prima di quella sera. Quando Sho ebbe finito di ridere ricambiò il suo sguardo e le accarezzò il braccio fino al polso con la scusa di levarle la mano dalla spalla, dove ancora la teneva. Erina trattenne il respiro godendo in silenzio di quel lieve contatto. «Mi ha chiamato il nostro passaggio per stasera, sarà qui tra poco» disse piano toccandosi i capelli come se dovesse riavviarseli, nonostante non avesse alcuna ciocca fuori posto
«Dovete già andare?» domandò Sho con una punta di delusione nella voce
«Tomomi non si regge in piedi, l'hai notato? E voi due domani sera farete di nuovo tardi per Shiyagare» gli fece notare la rossa
«Ok, mi spaventi lo sai? Riesci ad essere una scemotta con la testa tra le nuvole un secondo e una seria lavoratrice quello dopo» scosse il capo e fece un passo indietro «Raccogliamo le nostre cose, forza».
Sho e Jun chiamarono un taxi e si misero in attesa fuori dal locale insieme a Tomomi ed Erina che attendevano la macchina che sarebbe arrivata da un minuto all'altro. «Non sapevo avessimo un passaggio» disse la mora
«Fujimiya san ha sentito da un mio discorso che sarei stata fuori stasera e dato che anche lui era in giro si è offerto di accompagnarci» spiegò Erina prima che Tomomi l'afferrasse per il braccio, sgranando gli occhi «Ahio!»
«Un secondo» sibilò quella allontanandola dai due ragazzi. «Ehi, dico... di sei bevuta il cervello? Questo è troppo» sbottò quando si furono allontanate
«Immaginavo che non ne saresti stata contenta dopo quel che mi hai detto stasera» sospirò Erina
«Perchè ti sei fatta venire a prendere da Fujimiya san? Certo, sei un po' cretina e a volte sfiori l'insensibilità, ma questo è troppo. Non puoi non capire che qualcosa non va e non è da te un simile comportamento» l'amica le vomitò addosso tutto il suo nervosismo e l'incredulità ed Erina improvvisamente ne fu irritata. «Senti» disse facendosi improvvisamente seria «Te l'ho già detto che non sapevo cosa ci fosse tra me e Sho kun, poteva essere semplicemente una serata tanto per divertirsi tra amici: mi ha invitato ad uscire per Matsujun, per tirarlo su di morale, non per uscire con lui nello specifico»
«Oh, si è visto sai?» ridacchiò ironica l'altra «Non avete fatto altro che guardarvi come due cerbiatti innamorati! Non prendermi per il culo: forse ti ha invitato per Matsumoto san, ma tu sei venuta per lui. Sei uscita con il preciso intento di passare una serata con il ragazzo per cui improvvisamente ti sei presa una cotta. Zitta!» le ordinò quando capì che stava per ribattere «Era un uscita romantica per te e tu l'hai fatta per quello. Sia chiaro: se fosse solo questo, tu e lui, non avrei nulla in contrario. Ma sì, fattela con l'idol più famoso della nazione! Cosa me ne frega a me? Ma non siete tu e lui. Hai chiamato Fujimiya san, Kōmō... che cos'hai nella testa, tōfu andato a male?». La rossa abbassò lo sguardo, mortificata. Aveva ragione, era inutile mentire, Tomomi capiva sempre tutto. A salvarla da quella ramanzina fu l'arrivo della macchina metallizzata del collega. «Erina! Nomura san!» le chiamò abbassando il finestrino senza spegnere il motore: lì non si poteva parcheggiare e la strada era stretta. «Allora, grazie per essere venute» salutò Jun con le mani in tasca, sorridendo ad entrambe prima di chinare il capo
«Grazie a voi per la serata» rispose Tomomi tornando a sorridere ed inchinandosi ad entrambi i ragazzi prima di avviarsi verso la macchina. Sho guardò Erina e piegò il capo verso di lei «Ci sentiamo» pronunciò
«Si» rispose lei debolmente, tentando di sorridere il più naturalmente possibile «Ci sentiamo. Buon lavoro ad entrambi» concluse avviandosi alla macchina.
"Ha ragione, stasera ho esagerato" riflettè aprendo la portiera "Ma fino ad oggi non c'era niente di sicuro. Ho accettato il lavoro per la Johnny's, ma non immaginavo si creasse qualcosa tra me e Sho kun. Non avrei nemmeno dovuto lavorare con lui, ma con Matsujun. E ha ragione... finchè era solo una cottarella poteva starci". «Buonasera» salutò Fujimiya san. Era un giovane dal fisico asciutto, con i capelli corti a spazzola e gli occhi scuri. «Buonasera» sorrise appena Erina. "ma una volta che ho capito che non era così, che era una cosa più seria, avrei dovuto fare un po' più di chiarezza. Invece sono stata zitta perchè non sapevo se piacevo veramente a Sho e perchè pensavo che se non gli fossi piaciuta... sarei comunque potuta tornare tra le braccia di Koji kun". «Chi accompagno per prima?» domandò lui
«Credo sia più vicina casa mia» rispose Tomomi «Grazie, sei molto gentile. Mi spiace che questa piattola ti abbia chiesto di scomodarti»
«Figurati, non mi ha chiesto nulla. Sono io che non avrei potuto lasciarvi tornare a casa da sole con il treno di venerdì notte» si strinse nelle spalle lui mettendo in moto «Se me l'avesse chiesto comunque non avrei potuto dire di no» sorrise lanciando un'occhiata ad Erina, guardando nello specchietto retrovisore. "Non guardarmi così, Koji kun" si angustiò distogliendo lo sguardo e osservando le sagome scure di Jun e Sho che si agitavano davanti al locale "Mi sono innamorata di un altro, quando tu mi hai fatto una proposta appena prima che andassi a lavorare per la JE. Una proposta a cui io non ho ancora risposto".


Mi amate? Almeno un pochino?
Un pochino-ino-ino? >.<
Daaaaaai *-*
Ora torno a rallentare con la scrittura dopo questi due giorni in cui ne ho scritti... beh... due XD
La prossima volta spero proprio di poter pubblicare uno degli spin-off, inoltre devo portare avanti anche un paio di altre ff. Uhuhuhuh!
Uhuhuhuhuhuh!! *non sa smettere di ridere dopo sto capitolo* Qualcuno si divertirà con la storia di Erina, per come ha conosciuto Tomomi. Sappiate che è un episodio autobiografico: l'ho fatto io. Non mi sono fatta male ma... la cazzata l'ho fatta °_° (all'epoca risi tanto di me stessa che feci un fumetto)
Quando ieri ho pubblicato il capitolo 27 ho dimenticato di avvisare che avevo riscritto il capitolo 26 °_° scusatemiiiii... sono una disastro. Ho sbagliato a scriverlo quindi ho dovuto correggerlo. Rileggetevelo che è meglio! XD (non è cambiato niente ai fini della storia, ma avevo completamente dimenticato il POV di Aiba per la fretta di scrivere il 27 quindi ho dovuto rischivere il tutto. Il succo è quello e poi ho aggiunto una parte finale in più u.u)

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Capitolo 30
*** 29. Staring at My Own Reflection ***


«Gliel'hai detto?» domandò mentre si sedevano al tavolo
«Mh?» fece Erina alzando lo sguardo dal bicchiere di frappè da cui beveva avidamente con la cannuccia
«"mh"? Ma "mh" cosa?» sospirò alzando gli occhi al cielo «Per la miseria, quando mi guardi con quell'aria rincretinita e l'espressione da luccio in padella mi vien voglia di prenderti a schiaffi!»
«Hai fatto di nuovo un turno lungo?»
«Come? Sì, ieri, ma cosa c'entra?» fece Tomomi confusa
«Quando fai il turno lungo sei più intrattabile del solito» spiegò la rossa facendo spallucce «Uh! Grazie!» esclamò quando Ying arrivò al tavolo mettendole davanti un piattino con una fetta di torta
«Mentre tu quando perdiamo sei più mangiona» disse la coinquilina ridendo. Quel pomeriggio lei, Tomomi e Ying avevano disputato una partita, fortunatamente era solo un'amichevole, ma avevano perso e questo non faceva presagire niente di buono per il torneo invernale il cui inizio era ormai alle porte. «Mica vero!» esclamò Erina ficcando i dentini della forchetta nel pan di spagna, senza aggiungere altro prima di assaggiarlo
«Ying, Komo fa la gnorri. Tu lo sapevi vero?» domandò la donna con un sospiro, spostando la chioma di capelli corvini e lisci tutta su una spalla «Per questo eri arrabbiata con lei ultimamente»
«Stai parlando di Fujimiya san, suppongo»
«Vedi? Non ci vuole chissà quale intelligenza per capire di cosa sto parlando» indicò la cinese alla rossa «Ti ho lasciato in macchina con lui l'altra sera perchè ci parlassi, quindi ora voglio sapere com'è andata e cosa gli hai detto»
«Sei una ficcanaso, per questo amo Ying, perchè lei non è invadente quanto te» borbottò Erina piegandosi verso l'amica e appoggiando la testa alla sua spalla, strusciandosi come un gatto
«Non cambiare discorso e rispondimi»
«Rispondile Eri chan, altrimenti lo sai che non ti lascerà mangiare in pace la tua torta» pronunciò la cinese addolcendo il tono per convincerla. La rossa sospirò tornando a sedersi composta e prendendo un'altra forchettata della sua torta. «Non ci ho parlato, Tomomirin. Non avrei saputo cosa dirgli» ammise stringendosi nelle spalle
«Non avresti.... non... tu?» farfugliò Tomomi stritolando la forchetta, arrivando a piegarla leggermente
«Usa il mio cucchiaino» disse la cinese togliendole la posata dalle dita e offrendogliene una nuova
«Non capisco perchè ti scaldi in questo modo» fece Erina, finalmente facendosi seria e guardandola in faccia, infastidita
«Quella che non capisce sono io. Rispondi almeno a duna domanda. Cos'è Fujimiya san per te e che rapporto hai con lui? Pensavo di saperlo, ma dato che non abbiamo le stesse reazioni qualcosa mi fa pensare che mi manchino alcuni dei pezzi del puzzle»
«Ero... sono innamorata di Fujumiya Koji» fece per cominciare
«Ma non sei mai stata la sua fidanzata» puntualizzò Ying
«A no? Dopo mesi che ti ho sentito dire che Fujimiya san è l'uomo ideale, dopo che ti ha fatto dei regali -che, per inciso, tu hai accettato- credevo fosse ben chiaro che il vostro era un sentimento ricambiato» insinuò Tomomi
«Questo è un altro discorso. Primo, tra il sentimento ricambiato e lo stare insieme ci passa un abisso; secondo, è vero che li ho accettati ma non sono mai stati regali molto costosi»
«Se li hai accettati significa che hai accettato le sue attenzioni, lo hai spinto a pensare che lo ricambiassi. Pur senza una dichiarazione ufficiale, quindi, stavate insieme» spiegò la donna girando il cucchiaino nel suo te freddo
«Ehi, frena frena frena!!» esclamò Erina «Non ci siamo mai baciati, non mi ha mai detto che gli piaccio»
«Ma è evidente» ribattè l'amica. La rossa sgranò gli occhi e abbassò lo sguardo a fissare la sua fetta di torta maciullata dalla forchetta "E' terribile! Non credevo che persino le mie amiche la pensassero a questo modo" si umettò le labbra con la punta della lingua. «Evidente un corno! Io non mi considero legata a nessuno finchè non mi viene chiesto espressamente. Detesto queste cose dette e non dette tipicamente giapponesi. Io sono troppo stupida per capire queste cose, quindi non sono di nessuno finchè non mi si chiede espressamente una cosa del genere» spiegò la rossa puntando un dito sul tavolo «Stando così le cose, io mi consideravo libera di innamorarmi di altri»
«Un attimo, un attimo. Stando così le cose saresti stata libera, sempre che qualcuno condivida questo tuo bisogno di esplicitare tutto. Ma tu stai saltando un pezzo della storia molto importante: sbaglio o Fujimiya san ti ha chiesto di sposarlo prima che tu cominciassi quell'altro lavoro? Quella stessa sera mi ha chiamato al cellulare dicendomelo, me lo ricordo benissimo. Più chiaro di così!» fece Tomomi sgranando gli occhi
«Dunque.. beh... sì, più o meno credo sia andata così» farfugliò Erina. "Discutere con lei è sempre una sfida all'ultimo sangue, non sono brava con queste schermaglie verbali e ragionamenti complessi, così riesce sempre ad incastrarmi". «Ma non mi ha mai detto "vuoi sposarmi?" o "Fidanziamoci", ha solo fatto la solita allusione giapponese del piffero che io ho interpretato come se fosse stata una richiesta di matrimonio perchè ero tutta contenta. Però non è stato chiaro, ha solo detto una frase che volendo si potrebbe interpretare come se...»
«E tu?» domandò Ying
«Non gli ho risposto. Prima di tutto perchè non era una domanda diretta, secondariamente perchè... non so. Ricopre una posizione più alta della mia all'interno dell'azienda, quindi anche se non lavoriamo nello stesso campo è comunque un mio superiore quindi ho sempre voluto andare avanti con i piedi di piombo. Fa bene il suo lavoro e tutti lo trovano affidabile sia in ufficio che fuori. E' single, con una bella casa fuori città e... è uno dei pochi che non dà peso a ciò che potrebbero dire le persone al vederlo insieme ad una che non sembra nemmeno giapponese. Inoltre è sempre premuroso nei miei confronti, disponibile, chiacchieriamo con molta scioltezza...»
«Quindi ci stai bene insieme e ti piace» incalzò Tomomi
«Non l'ho mai negato. Mi è piaciuto e mi piace, ma...» si bloccò ancora. Non riusciva ad andare oltre i complimenti e le lodi per quell'uomo, che pure qualche mese prima era al centro dei suoi pensieri. «Non stiamo insieme, non siamo mai stati insieme, quindi io non avevo nessun obbligo nei suoi confronti» disse per continuare il discorso «Quindi non sono obbligata a dirgli nulla di Sho kun»
«Infatti non c'è bisogno che tu gli dica nulla» scosse il capo Ying tornando a guardare nel suo yogurt e praline colorate «Tanto adesso tornerai a lavorare in ufficio, non vedrai più quell'altro e lui potrà farti la corte senza che niente sia mai successo»
«Assolutamente no!» esclamò Erina con forza «Non è per questo!»
«Quindi è ancora peggio» disse Tomomi «Non vuoi dirgli nulla perchè riprenda a farti la corte, così da vedere come va a finire con Sho kun e, nel caso finisca male, tornare dal poverino ignaro di essere stato cornificato»
«Tanto è finita con questo Sho kun» ribattè decisa la cinese
«Ma cornificato dove?» esclamò la rossa «Non l'ho tradito! Non stavamo insieme»
«Cosa ne sai tu? Non hai idea di come si guardavano quei due l'altra sera» spiegò la mora a Ying «Sembrava di essere tra e pagine dello shoujo manga più smielato di Ribon*»
«E' una cotta senza peso» si strinse nelle spalle quella
«Ehi!» strillò Erina sbattendo le mani sul tavolo. Nel locale calò il silenzio e alcuni si girarono verso di lei. Nessuna delle tre ragazze disse niente, ma abbassarono lo sguardo sul proprio spuntino facendo finta di niente finchè il brusio del locale non tornò normale e nessuno fece più caso a loro. «Siete impazzite tutte e due?» bisbigliò poi guardandole «Non capisco perchè tu sia tanto convinta che quella per Sho kun sia solo un'infatuazione momentanea, ma non-lo-è. No» pronunciò guardando la coinquilina «Sono seria. Una volta non mi piaceva, l'ho addirittura rifiutato, ma oggi è una persona completamente diversa. Non è solo bello da morire, ma parlo con lui con una scioltezza che con Fujimiya san non ho mai avuto. Noi scherziamo, ci prendiamo in giro, ridiamo, sento di parlare con lui come se fossimo alla pari: mi tratta con molta gentilezza, ma non è la cortesia svenevole di un corteggiatore, è la delicatezza di una persona che mi rispetta. In questo periodo mi ha sostenuto quando avevo dei problemi, mi ha rimproverato quando esageravo, ha sempre fatto in modo che mi sentissi a mio agio in un ambiente non mio» spiegò con voce ferma «Mentre ci tengo a precisare che non ho cornificato nessuno» aggiunse guardando ora Tomomi «Non eravamo fidanzati, non uscivamo insieme. Mi ha fatto la corte e mi ha fatto una velata proposta a cui io non ho mai risposto» concluse inacidita. L'amica la osservò attentamente «Bene, quindi da quel che dici tra te e Fujimiya san non c'è nulla e adesso sei completamente innamorata di Sho kun» Erina non rispose, quindi lei si piegò sul tavolo e la guardò dritta negli occhi «Ma per il tuo collega non è così, è chiaramente ancora innamorato di te, quindi, se sei veramente questa grande amante delle cose dette chiare come stanno, perchè non sei andata da quel povero uomo e non gli hai detto che sei innamorata di un altro?» domandò lapidaria, socchiudendo gli occhi, guardandola arrabbiata. La rossa deglutì abbassando lo sguardo, non riuscendo più a sostenere quello dell'amica. «Bene, mi fa piacere che tu stia cominciando a capire» disse Tomomi, con un sorrisino amaro «Ora dovrebbe esserti chiaro perchè sono arrabbiata con te: quello che stai facendo si chiama "tenere un piede in due scarpe" e...»
«Non è vero! Non sto facendo una cosa del genere, ho solo...» tentò di difendersi la rossa
«Zitta» le intimò «Komo, ti conosco bene: non sei una ragazza cattiva, non faresti il doppio gioco; e posso capire come tu sia finita in questa situazione. Vuoi veramente bene ad entrambi: Sho kun è bello, simpatico, intelligente e brillante, ma è un personaggio particolare, una storia con lui sarebbe una completa incognita senza contare tutte le variabili del caso; Fujimiya san è un uomo affidabile, che ti ama e che ti darebbe tutto se tu glielo chiedessi, una relazione con lui andrebbe liscia su binari prestabiliti e avresti l'amore di una persona che ti apprezza come sei. Dato che non sai scegliere stai tacendo questa situazione ad entrambi perchè sei confusa, ma ammettilo... lo fai anche perchè ami Sho kun più di Fujimiya san, ma se con il personaggio fantastico non dovesse funzionare ti farebbe comodo poter tornare dall'uomo ordinario».
Erina continuava a rigirare lo stesso pezzo di torta nella ciotola di panna soffice, senza veramente pensare a ciò che faceva, ma semplicemente affranta. Tomomi aveva appena detto ad alta voce ciò che per giorni e giorni non aveva mai voluto ammettere nemmeno con se stessa, perchè era proprio come aveva detto e sapeva che era un atteggiamento ingiusto, ma aveva tanta paura di rinunciare all'uno o all'altro che aveva preferito lasciare in un angolo della sua mente l'idea di quanto quei sentimenti fossero sbagliati.

"Avrò esagerato?" si domandò incrociando le braccia "Oh, al diavolo! E' vero che non sarebbe così cattiva, ma è comunque un atteggiamento che non condivido e lei evita di ammettere di star facendo proprio così: se non lo realizza non smetterà e se non smetterà farà del male a qualcuno e a se stessa, a quel punto sarà depressa per un tempo imprecisato, piangerà e chissà quando riavremo la nostra stupida Komo. Ci sono già passata una volta, non ho intenzione di far rivivere a me e a lei un periodo del genere". Ying si alzò in piedi, seccata «Sono stufa di starvi a sentire, me ne torno a casa» sbuffò recuperando il suo borsone
«Di già?» domandò Erina «Ma dobbiamo aspettare Kokoro chan»
«Non sono tenuta ad aspettare le tue amiche con te, nè ad ascoltare i vostri discorsi sugli uomini che ti piacciono» le spiegò nervosamente prendendole dal vassoio le cose che aveva finito: sembrava arrabbiata con lei, ma le stava sparecchiando i piatti facendole gentilmente un favore. Tomomi la osservò "Ancora non ho capito da che parte sta. Solitamente è ultra protettiva con Erina, quindi pensavo l'avrebbe appoggiata qualsiasi cosa avrebbe fatto, come suo solito. Quando poi ho capito che il motivo per cui ultimamente sembrava essere arrabbiata con lei poteva essere questo ho pensato che per una volta sarebbe stata dalla mia parte nel far capire a Komo quanto sia nel torto... eppure ancora non posso dire di essere sicura che sia così. Più che dalla mia parte sembra semplicemente contraria a Sho kun. Eppure non dovrebbe nemmeno sapere chi è" ragionò. «Lasciala andare. Ci vediamo agli allenamenti di settimana prossima» la salutò. La cinese le rispose poi disse qualcosa nella sua lingua ad Erina e se ne andò.
«Ultimamente si arrabbia spesso» mormorò la rossa «Proprio con me e tutte le volte che parlo di uomini»
«Te ne sei accorta? Miracolo...»
«Dopo le ultime volte ho cercato di fare più attenzione ai momenti in cui si innervosiva e ho notato che erano tutti momenti come questi. Mi sa che anche lei non condivide il mio atteggiamento, come te»
«Non so» fece spallucce lei «Piuttosto, dato che la tua amica non è ancora arrivata, ne approfitto che siamo noi due per chiederti una cosa»
«Non mi hai già strapazzato a sufficienza?» sospirò Erina
«Egocentrica, non voglio parlare di te. Ho già detto quello che mi premeva e adesso voglio solo che ci ragioni su e basta. No, voglio chiederti una cosa che riguarda me»
«Oh, è raro che tu abbia qualcosa da confessarmi» abbozzò un sorriso quello
«E' una velata insinuazione al fatto che ho poca vita sociale e quindi poco da raccontare?» chiese acida
«Non era mia intenzione, ma capisco che potrebbe suonare così, sì» si giustificò «Allora, cos'è che vuoi dirmi?»
«Non voglio dirti niente, voglio solo chiederti se pensi ci potrebbe essere una seconda occasione per incontrare Matsumoto Jun» disse tutto d'un fiato. Si pentì il secondo dopo. Lei ed Erina affrontavano le questioni amorose in maniera completamente differente: l'amica si eccitava ed emozionava per qualsiasi cosa, rideva come una scema e cadeva in uno stordimento peggiore di quello che la colpiva normalmente, lei invece era razionale, rifletteva su ogni cosa, affrontava le situazioni con la dovuta pacatezza e prudenza. Data la differenza sapeva che parlare di amore davanti a lei significava scatenarle meraviglia ed eccitazione che a lei davano invece molto fastidio. L'amica la guardò con gli occhi sgranati «Tu... ah...» balbettò "E' la calma che precede la tempesta? Se scoppia in una scena di gioia e risolini la ammazzo". «Frena il tuo entusiasmo» cercò di correre ai ripari «E' solo una persona interessante»
«Sì, certo» annuì la rossa, stranamente contenendosi «Ti ho visto parlare con un sacco di uomini, di persone in generale, ma veramente con poche parli in maniera sciolta»
«Sono poche le persone interessanti con cui penso valga la pena di fare una bella chiacchierata» si giustificò stringendosi nelle spalle
«E Matsujun è uno di questi» fece un sorrisetto «E' per questa tua rigidità che hai tanti problemi sul lavoro sai?»
«Sbaglio o hai una laurea in economia? Evita il campo della psicologia del lavoro» sbuffò appoggiandosi con la schiena alla sedia, era ancora piegata in avanti da qualche minuto. «Va bene, quindi Matsujun è un uomo interessante. Il fatto che sia anche bellissimo è secondario, giusto?»
«Negare che sia bello sarebbe come negare che tu sia stupida» sospirò Tomomi muovendo una mano nell'aria con aria di sufficienza
«Ehi!»
«E' una persona interessante» ripetè «Non devo stare qui a giustificarmi con te sul perchè mi sia piaciuto parlare con lui, ma sono stata bene. la sua mente è brillante, sa ragionare, è anche molto inquadrato, deciso nelle sue posizioni, eppure è stato capace di sostenere delle discussioni leggere e di sparare idiozie al tuo livello come niente fosse». Non stava mentendo, stava solo omettendo parte della verità. Non voleva raccontarle dei discorsi avuti con lui e di quanto l'avessero interessata: nonostante l'aria solare e la risaputo allegria degli Arashi c'era qualcosa che affliggeva quel ragazzo, qualcosa di profondo che lo portava a pronunciare frasi ben più ciniche delle sue, eppure invece di deprimersi tentava di affrontare il suo tormento tenendo lo sguardo alto, guardando avanti a sè. Era veramente così forte? E cosa lo spingeva a sforzarsi di reagire a quel modo?Erano due giorni che se lo chiedeva incuriosita, ma allo stesso tempo non riusciva a considerare con la giusta razionalità quei suoi pensieri: ogni volta che ripensava ai loro discorsi non poteva fare a meno di ricordarsi anche il suo viso alla penombra del locale, la sua voce dal timbro profondo e la cadenza gentile. Perchè il suo sorriso qualche sera prima era triste, ma riusciva anche a mostrare una pennellata di genuina allegria, per niente contraffatta? «Sono abituata ad avere a che fare con gente fissa sulle proprie idee in ospedale, ma solo perchè qualcuno sa il fatto suo sul lavoro non significa che sia anche intelligente» continuò a spiegare «Sai quanti medici sono perfettamente rispettabili quando ti analizzano la cartella di un paziente, ma risultano essere solo degli stupidi omuncoli volgari una volta davanti ad un boccale di birra? Al contrario altri sono brillanti nel sostenere una conversazione, ma una volta in corsia deve dirgli anche come si fa a scrivere altrimenti non si compilerebbero nemmeno una cartella clinica?»
«Lo so, solitamente non fai che lamentarti della gente sul tuo posto di lavoro, uomini o donne che siano» annuì Erina «Ma con Matsujun ci hai solo bevuto un analcolico, cosa ne sai di come potrebbe essere nel resto della sua vita?»
«Per questo ti ho fatto quella domanda, cretina» spiegò storcendo il naso «Perchè davanti ad un analcolico è stato abbastanza convincente da farmi venire voglia di scoprire dell'altro»
«Ho capito. Sinceramente non saprei come fare... ma vedrò di capire se si può combinare un'altra occasione a cui portarti» annuì la rossa
«Grazie» sospirò finendo il suo te freddo. Osservò il ghiaccio, ormai poco più di due piccoli pezzettini sul fondo del bicchiere, e mandò giù tutto. Lo rimise sul sottobicchiere e sospirò. «Ti piace?» domandò l'amica
«Sì. Per ora» rispose tirando il proprio borsone verso di sè «Ma sai, per la gente normale non è tutto bianco e nero: mi piace o non mi piace. Ci sono molte sfumature. Per quello che lo conosco mi piace, sì, ma non posso dire che "mi piace" perchè non ci ho passato che poche ore. Ma so che al posto mio potresti dirlo: tu ti fai guidare troppo dall'impeto dei sentimenti»
«Tu invece lo fai troppo poco e ragioni troppo» le fece notare
«Cosa che tu fai molto raramente invece»
«Fortuna che ci siamo trovate allora» concluse «Vai via?» domandò quando Tomomi si alzò in piedi
«Si, voglio scappare prima che tu mi faccia altre domande e cominci a riempirmi la testa di pensieri troppo positivi. Voglio tenere i miei piedi ben saldi a terra. Tu sopravviverai ad aspettare la tua amica da sola qui?». Erina guardò l'orologio e annuì «Dovrebbe arrivare tra poco, quindi penso di sì» rispose
«Bene, ci sentiamo» salutò lasciandole la sua parte dei soldi
«Posso pagare io» fece notare la rossa
«Ti ho sgridato fino a poco fa e nonostante questo sei stata ad ascoltarmi quando ho avuto bisogno di te. Pagare la mia parte è il minimo» spiegò la donna posando le monete sul tavolo
«Sei troppo carina quando fai così» ridacchiò
«Vaffanculo» borbottò prima di andarsene a larghe falcate. Aveva ammesso l'inammissibile. Odiava quei discorsi da femminucce "mi piace tizio, mi piace caio", ma non sarebbe mai riuscita a rivedere Matsumoto Jun se non avesse chiesto una mano ad Erina.

Oltrepassò l'arco di palloncini colorati e si avviò lungo la discesa affollata di Takeshita Doori** tenendo la mano artigliata alla borsa. Non le piacevano molto i luoghi affollati. Oltrepassò un paio di negozietti di borse e vestiti e una bancarella di crepe dolci. All'incrocio con un negozio di cianfrusaglie luccicanti e vestiti vide Erina attenderla. «E' molto che aspetti?» domandò raggiungendola
«No, stavo bevendo qualcosina con alcune amiche fino a poco fa» rispose scuotendo il capo
«Perchè sei conciata in questo modo?» la squadrò: indossava dei pantaloncini corti e attillati e una felpa larga dagli stessi colori. «Tornata da una partita» ripose sistemandosi la borsa sulla spalla
«Vinto o perso?»
«Domanda di riserva?» disse facendo un sorriso forzato e avviandosi lungo la strada «Scusami Kokoro chan, è qualche giorno che non ci sentiamo. Avrei dovuto farmi viva»
«Non devi scusarti, io stessa l'ultima volta non ero tanto in me» scosse il capo la giovane «Piuttosto, com'è andata la serata con Sho kun?» domandò con un sorrisino malizioso
«Aaaaah!! Volevo morireeeee» farfugliò ridacchiando e prendendo l'amica sottobraccio «Eravamo a tanto così, taaaaanto così» spiegò facendo segno con le dita
«Vuoi dire che ancora non l'hai baciato?» domandò sorpresa
«Che? No, chiaro che no! Voglio dire... era solo la prima volta che uscivamo insieme» rispose arrossendo «Tu mica avrai baciato Aiba chan alla prima occasione» spiegò aggrottando le sopracciglia
«No! Certamente no, è lui che l'ha fatto» spiegò per poi tapparsi la bocca con la mano libera
«Cosa? Cosa? Cosa?» chiese Erina sgranando gli occhi «Aiba chan... l'ha fatto lui?»
«Ehi, se lo dici così sembra una cosa equivoca. E' stato lui il primo, sì, ma comunque non importa più cos'è stato. Credo proprio sia finita» concluse lapidaria mordendosi il labbro inferiore. Rimasero entrambe in silenzio mentre si facevano strada tra le folla di giovani liceali alla moda e gruppetti di stranieri in viaggio. "Dev'essere così. Ormai non sento Aiba da quando ci siamo visti al negozio. Ogni giorno rimpiango il mio comportamento di quel giorno, ma in parte so che ho fatto la cosa giusta... credo: sono solo stata onesta, anche se l'onestà ha ferito entrambi". «Scusami» sussurrò la rossa stringendo il suo braccio: non l'aveva guardata in faccia, perchè era una ragazza gentile, ma aveva capito che lei stava per mettersi a piangere. Aiba le mancava, ora che tra loro sembrava essersi creata quel silenzio angosciante pensava a lui ancora più di quando non c'era alcun problema: cosa significava? Pensava a lui ogni momento della giornata, continuava a tornare con la mente a tutti i momenti vissuti insieme, sia prima che dopo essersi messi insieme: quel primo bacio rubatole lungo la strada di casa, la giornata passata a dipingere tutti insieme, la sua dichiarazione e il silenzio di Masaki, la corsa che lui aveva fatto per rivederla prima della partenza, quando avevano parlato per chiarirsi dopo il suo ritorno, le torte che avevano scelto solo per il loro colore. «Non ho nessuno a cui rivolgermi» disse con un filo di voce «Cosa devo fare?» domandò. L'altra non rispose subito. Dopo qualche passo fece deviare la loro passeggiata verso la vetrina di un negozio di vestiti sulla destra e si misero entrambe a fissarla senza reale interesse. «Sai oggi un'amica mi ha sgridato perchè sto sbagliando tutto: sono innamorata di due persone, ma non voglio prendere una decisione per paura di rimanere da sola se con Sho kun non funzionasse o per timore che rinunciando a lui perderei l'occasione di una vita» spiegò la rossa «Io non sono nemmeno tanto brava a scovare tutti questi risvolti psicologici, quindi non ti sgriderò. Ma ti dirò solo quello che ti avevo detto quando ci siamo sentite l'ultima volta: parla con lui» concluse lasciando il suo braccio e mettendo le mani dietro la schiena, piegandosi in avanti per osservare meglio un vestito nella vetrina. "Parlare con lui... dovrei dirgli tutti i miei dubbi. Se poi mi dicesse che con queste paure non sono tagliata per essere la sua ragazza?" si domandò guardando a terra "Ma non c'è altra soluzione, vero? E' tanto semplice che spaventa. Non ci sarei mai arrivata o ci avrei girato intorno pur di non pensarci... si può veramente sgridare qualcuno che, pur sbagliando, è chiaro che non lo fa con cattiveria?" osservò Erina e fece un mezzo sorriso. «Ho solo un problema» disse dopo quei minuti di silenzio
«Sarebbe?» chiese lei alzando lo sguardo
«Non voglio parlargli al cellulare, non ho nemmeno il coraggio di fare il suo numero. Sono terrorizzata all'idea di parlargli, come faccio quindi?»
«Ti metti in condizioni di non poter fare diversamente» rispose con semplicità l'amica, stringendosi nelle spalle
«S-sarebbe?» domandò perplessa, sembrava le stesse dando una risposta scontata, ma lei ancora non capiva
«Ossia vai tu da lui, ci parli a quattrocchi. Così non potrai scappare, sarai in trappola!» ridacchiò
«Andare io da lui? E come? Quando?» perchè detto da Erina tutto sembra semplice, ma poi ripensato da lei sorgevano mille dubbi?
«Tra due giorni. Ci introdurremo agli studi della Fuji TV, ho ancora il mio pass di collaboratrice. Registrano VS Arashi quel giorno. Andrò nei camerini e lo porterò da te»
«Come?» esclamò guardandola con gli occhi sgranati «Vuoi intrufolarti negli studi televisivi? Mentre stanno lavorando oltretutto! Non ti sembra da irresponsabili andare a disturbarli proprio quando hanno da fare?»
«Ehi, io ho un pass regolare, sarai solo tu l'infiltrata» le spiegò con un sorriso innocente «Andiamo in pausa pranzo, dovrebbero aver quasi finito e così daremo poco fastidio. Poi non è che devi raccontargli la tua vita, basta che chiarisci le cose pi urgenti e gli chiedi di mettervi d'accordo per incontrarvi. Saresti a cavallo! Figurati se quel tenerone di Aiba chan ti dice di no, anzi... potrebbe quasi chiederti di aspettarlo per la fine delle riprese» riflettè tornando a guardare la vetrina
«Tu sei pazza» sospirò Kokoro
«No, sono solo un po' egoista. In realtà voglio vedere Sho kun dopo quello che è successo perchè voglio vedere come si comporta. La tua situazione è un'ottima scusa per accompagnarti e prendere due piccioni con una fava» spiegò a mezza voce. La giovane scosse il capo: quella non era solo l'unica persona cui potesse parlare di Aiba Masaki, ma era anche l'unica che avrebbe potuto sostenerla in quel modo avendo lavorato con gli Arashi stessi. "Cosa ho fatto di buono per meritarmi due angeli come Aiba ed Erina?" si domandò incrociando le braccia, incredula. «Vuoi quel vestito?» domandò allora, notando che la rossa continuava a guardare con insistenza la vetrina
«E' carino... e sono depressa perchè abbiamo perso»
«Ti accompagno a provarlo» annuì Kokoro spingendo la porta del negozio
«Sul serio?» domandò quella allegra
«Mi sembra di capire che i miei consigli sull'abbigliamento per la serata con Sho abbiano dato i suoi frutti, quindi ritengo di poterti dare un altro consiglio una volta che ti sarai provata quello» le spiegò ridendo divertita. Era come con Aiba, bastava una frase a spazzare via ogni preoccupazione e tristezza, bastava la loro sola presenza, con il loro riso contagioso, la loro dolce ingenuità, e i problemi riprendevano la loro giusta dimensione. Aveva paura, era vero, una paura terribile, ma era certa che quella era il tipo di persona che le piaceva, quello era il tipo di uomo di cui si era innamorata e che voleva al suo fianco. Avrebbe scacciato anche le sue paure, ora ne era certa.

*Ribon è una rivista contenitore mensile di manga di genere Shoujo
**Takeshita Doori è la via principale e più caratteristica di Harajuku (quella che fanno sempre vedere quando si parla di Harajuku... come se il quartiere finisse tutto lì -.-)


Rientro morbido nella fic, voleva essere una specie di calmo riassunto della situazione, anche se poi in realtà c'è qualche passo avanti. Mi piacciono i capitoli con le sole ragazze. Sarà perchè sono le mie creature e perchè so quanto lavoro ho fatto e faccio sempre per renderle al meglio... reali, nonostante non esistano affatto.
Non so quanti ancora leggano dato che siamo a luglio inoltrato (e dato che non siete mai stati tanti), ma per chi c'è ancora... be... scusate l'attesa. Prima gli esami poi i primi giorni di vacanza... sono anche molto impegnata con le traduzioni (il concerto, le canzoni, i programmi). Però ho scritto "Being... Arashi" nel frattempo. Erano solo oneshot divertenti per distrarmi dagli esami, ma ancora oggi sono contenta di averle scritte. Oh mi permetto di fare una marchetta. Ho letto una (e sappiate che è tanto O.o) ff in questi mesi: "Finding out the meaning of EVERLASTING", sempre sugli arashi e la trovate proprio qui su EFP. Posso consigliarvi di leggerla?
E' semplicemente sublime e fenomenale *_* penso che me la stamperò. Leggetela! *fine marchetta*
Vi voglio bene, la ff andrà avanti tutta l'estate! Promesso!

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Capitolo 31
*** 30. Love&Jealousy were born Together ***


La macchina si fermò nel primo parcheggio disponibile vicino agli studi di registrazione. La strada era poco frequentata e piuttosto silenziosa, quindi si sentì subito la differenza quando venne spento il motore e il rumore delle portiere che si aprivano e venivano richiuse era perfettamente udibile. «Perchè mi sono lasciata convincere?» sospirò la donna scesa dal lato passeggero. Indossava una gonna di stoffa bianca lunga fino al ginocchio e una camicia azzurra con decorazioni bianche e taglio alla marinara, con due fiocchetti sulle maniche. «Ho perso il conto, credo che sia la settima volta che te lo chiedi» rispose l'amica scesa dal lato del guidatore che, al contrario dell'altra, indossava una tailleur grigio perla da ufficio molto semplice. «Fortuna che questa gonna ha una cintura» borbottò la prima «Proprio non è la mia taglia». L'amica la raggiunse e la squadrò dalla testa ai piedi. «Voglio dire» tentò di correggersi «Che più che altro il problema è per la camicia ecco... la gonna mi starebbe comunque»
«Risparmiatelo Kokoro chan: sono grassa e ho troppe tette, lo so già» fece quella storcendo il naso. Non era sua intenzione offenderla, ma effettivamente non poteva dire di avere la sua stessa taglia. «Non andavano bene un paio di jeans e una maglietta? Perchè proprio questi?» domandò sistemandosi il colletto mentre si avviavano verso l'entrata degli studi
«Perchè mi sembravano più adatti a te» annuì Erina
«Gonnellina e fiocchetti? Perchè?» chiese allibita
«Perchè fai dolci!» rispose con come se avesse appena enunciato un'ovvietà. "Perchè la gente collega i dolci ai vestiti da bambolina? Certo, ne cucino tantissimi nella mia vita, ma non vado in giro vestita da sweet lolita!" rimuginò Kokoro tra sè, quello non era il suo stile e Aiba se ne sarebbe accorto. Soprattutto lui se ne sarebbe accorto, dato che erano più le volte in cui l'aveva vista vestita in modo casual che quelle in cui si era messa in tiro per uscire insieme. Jeans e maglietta sarebbero andati benissimo, ma c'era poco da fare: aveva appena imparato a sue spese che quando Erina si metteva in testa di fare una cosa non c'era modo di fermarla. Aveva deciso che quel martedì sarebbe passata a prenderla al lavoro durante la pausa pranzo e l'avrebbe trascinata in una corsa folle verso gli studi dove l'avrebbe fatta incontrare con Aiba. Sarebbero entrate grazie al pass che le era ancora rimasto da quando aveva collaborato con i ragazzi il mese precedente, ma le aveva detto che lei non poteva entrare con la divisa del lavoro. Doveva piuttosto fingersi una sua assistente. "Lei è in tailleur e io sono vestita come una bambola di porcellana: che idea ha delle assistenti?" si domandò quando arrivarono all'ingresso. Le persone al controllo dell'entrata dovevano averne viste di tutti i colori perchè non fecero minimamente caso al loro strambo accoppiamento e le fecero passare dopo una rapida occhiata al pass. «Perchè mi sono lasciata convincere?» sospirò mentre camminavano lungo i corridoi
«La pianti? Te lo dico io perchè: perchè non puoi andare avanti con il rimorso di non aver fatto nulla per chiarire il malinteso che si è creato. Devi dirglielo» pronunciò con decisione fermandosi davanti alla porta dello studio 41, probabilmente quello che interessava a loro. «E dirglielo con chiarezza, ci siamo intesi? "Me la faccio sotto dalla paura, ma ti amo tantissimo quindi non ti voglio lasciare. Guidami tu che sei più esperto"» concluse facendole il verso
«Non potrei mai dire una cosa così imbarazzante!» esclamò arricciando il naso «E non pronunciare frasi equivoche: esperto di cosa?»
«Eeeh? Io non... non volevo dire una cosa equivoca» rispose sbalordita l'altra cominciando ad arrossire vistosamente. Kokoro ancora non si era abituata al fatto che Erina fosse tanto pudica, e dire che per tutto il resto non si faceva problemi a dire qualsiasi cosa le passasse per la testa! In quel momento si aprì la porta alle spalle della rossa e ne uscirono alcuni tecnici, stiracchiandosi. «Bene, andiamo» sospirò per poi prenderla per il polso e trascinarla oltre l'ingresso del corridoio, verso il camerino. Mentre camminavano nella semioscurità sentiva il cuore cominciare a batterle in maniera furiosa e lo stomaco contorcersi per la tensione che andava crescendo. Qualsiasi pensiero le sparì dalla mente, sostituito solo dal panico, quando si fermarono davanti ad una porta e riconobbe la caratteristica risata di Aiba. «Non voglio entrare» mormorò stringendo a sua volte il polso dell'amica
«Non entrerai. Cosa credi, che ti faccia parlare con lui davanti a tutti?» chiese in risposta l'altra, a bassa voce
«Non voglio nemmeno affacciarmi, aspetto qui in corridoio. Tu fallo uscire e tieni gli altri dentro» concluse per lasciarla andare e fare qualche passo indietro. Erina annuì e si voltò verso la porta. In quel momento le si aprì in faccia. «Ahio!» strillò facendo qualche passo indietro e tenendosi la fronte con le mani
«Oh, mi scusi. Non sapevo ci fosse qualcuno» fece un ragazzo uscendo dal camerino «Ah Erina san?» sembrò riconoscerla
«Sto bene, sto bene» boffonchiò
«Che ci facevi così vicina alla porta?»
«Pensavo si spingesse verso l'interno» piagnucolò la rossa
«Ma stai bene? Spero di non averti fatto troppo male» insistè quello
«No, no, è tutto ok grazie Ohno san»
«Eri chaaaan?» si sentì la voce di Aiba da dentro il camerino, seguita da saluti più formali. Dal buio del corridoio Kokoro la vide entrare frettolosamente e richiudersi la porta alle spalle: quanto ci avrebbe messo a parlare solo con Masaki per dirgli di uscire? Mentre si chiedeva questo notò che il ragazzo che aveva colpito l'amica non era rientrato ma veniva nella sua direzione sbadigliando pigramente. «Otsukareeee...» boffonchiò verso di lei, guardandola appena
«O-otsukare sama deshita» rispose lei titubante. Lo aveva riconosciuto, era lo stesso ragazzo dai capelli a spazzola che aveva preso il suo posto al bachetto durante il rinfresco allo stadio, per lasciarle tempo di parlare con Aiba. Lui invece non doveva averla vista bene in quella penombra e poi sembrava veramente mezzo addormentato. "Ma non ha lavorato ad un programma televisivo fino a pochissimi minuti fa?" si domandò sorpresa, poi rimase sola nel corridoio con le voci nel camerino che suonavano molto lontane, tanto che non riusciva nemmeno a distinguere alcune parole. Contava però sulla discrezione di Erina quindi era certa che non si sarebbe messa a gridare "Ehi! C'è la tua fidanzata qui fuori che ti vuole parlare!". Più passavano i minuti più si sentiva male. A momenti alterni sperava di veder uscire Aiba e di chiarire tutto rapidamente così sarebbe finita quell'agonia, oppure sentiva l'irrefrenabile impulso di girarsi e tornarsene da dove era venuta. Invece non si muoveva un po' impaurita dall'eventuale reazione della rossa se avesse mandato tutto a monte, ma soprattutto perchè -mettendo da parte la crisi tra loro- il suo corpo, i suoi pensieri e i suoi occhi volevano Masaki. Averlo davanti a sè nel giro di pochi secondi le sembrava la cosa più bella che le potesse capitare.
Ritornò a sprofondare nel panico quando sentì la porta del camerino aprirsi e le voci tornare perfettamente udibili. «... do me ha fatto qualcosa!»
«Se non mi trovi qui dopo ci vediamo domani mattina»
«Siiii» rispose accondiscendente Aiba mentre usciva dalla stanza
«Puntuale, mi raccomando»
«Siiii» disse ancora
«Ti prende in giro, ti sta prendendo in giro!» esclamò una vocina più stridula tra le altre
«Ehi tu!»
«A domaniiiii» fece lui con un sorrisone prima di chiudere la porta ridendo «Hanayaka san?» domandò subito dopo, scrutando lungo il corridoio
«Si» riuscì solo a rispondere
«Oh, ho indovinato!» disse sbalordito, raggiungendola
«Erina chan non ti ha detto che ti aspettavo qui?» chiese cominciando a giocherellare con le dita, nervosamente
«Ha detto che qualcuno mi cercava e quando ho chiesto "Chi?" ha solo sorriso in maniera un po' imbecille e ha ripetuto "Qualcuno"» spiegò divertito. "Alla faccia della discrezione" pensò Kokoro, delusa. «Cosa succede? Come mai se venuta fin qui? Oggi non dovevi lavorare?» chiese Aiba tutto d'un fiato, preoccupato
«Sì... sono in pausa. Un po' allungata, ma sono in pausa» rispose lei presa in contropiede da quell'improvvisa attenzione
«E in pausa vieni da Chiba fino a qui? Dimmi che sei intera e che Eri chan non ha superato i limiti di velocità» pronunciò in tono ancora leggermente allarmato
«E' tutto a posto Aiba san, volevo solo parlarti ma non sapevo quando» rispose infine abbassando lo sguardo e arrossendo. Tutta quella preoccupazione la mandava chiaramente in visibilio, ma in parte la faceva sentire anche molto in colpa: come aveva potuto aver paura di telefonare ad una persona tanto dolce e premurosa? Che mai le avrebbe potuto fare Aiba, che era buono come un pezzo di pane? «E ti sembra che...» fece per dire, semi divertito, ma lei lo bloccò alzando una mano. «Non parlare. Se parli io perdo il filo del discorso e adesso invece voglio dire delle cose chiare» gli intimò tutto d'un fiato. Si morse le labbra: doveva trovare il coraggio, ormai era lì. «Sono tutto orecchi» annuì lui mettendosi sull'attenti «Ops» e si tappò la bocca. Kokoro si trattenne dal ridere e prese fiato. Da quando avevano cominciato a parlare la tensione era passata in secondo piano: era nervosa, certo, e infatti le tremava la voce, ma il suo cervello si era dovuto focalizzare su cosa dire e la sua attenzione era concentrata su Aiba e su come esprimersi. Ora il nervosismo era più una tensione di fondo che un pensiero principale. «Non so come cominciare il discorso, non sono brava nei discorsi. Quindi... quindi penso che dirò le cose in ordine sparso» disse, passandosi una mano sugli occhi e prendendo fiato. «Allora io... non voglio lasciarti» cominciò per poi guardare nel corridoio e abbassare la voce «Non voglio lasciarti e non voglio che sia tu a lasciare me» ripeté «So cosa provo, sono felice di provarlo e non me ne sono mai pentita. Non tornerei mai indietro e se accadesse so che rifarei le stesse scelte. Poi, ho paura. Perchè tu hai tante ragazze intorno a te: modelle, attrici, presentatrici, cantanti; sono tutte bellissime, tanto belle che me ne potrei innamorare anche io. Allora ho paura che una persona comune come me ti stanchi o che sia tropo diversa o troppo poco bella in confronto, e ho paura che quando te ne accorgerai mi lascerai per una di loro» spiegò parlando a ritmo serrato, le parole le uscivano dalle labbra come un fiume in piena. Le sudavano le mani e aveva il terrore di non dire tutto quello che voleva, di dirlo male o di bloccarsi. «Sapevo che non sarebbe stata una relazione normale, ma non poterti prendere nemmeno per mano, non poter fare nemmeno una cosa così semplice, mi ha reso triste una volta che l'ho provata nella realtà. Non voglio lasciarti. Non è questo. Volevo solo che tu lo sapessi, che sapessi come mi sono sentita quel giorno, perchè io non potevo fare niente, mentre quella fan è riuscita a dirti tutto e ad esprimersi tanto da farti piangere. Di quale lettera parlava? Io non ne so niente, io non so quasi niente di te. Sono... sono la tua ragazza? Eppure una sconosciuta sapeva più cose di me sul tuo conto. Ero gelosa. Se una fan ti vede può dire che ti adora, che ti ammira, se io sono con te... come ora... non posso nemmeno parlare ad un tono di voce normale» spiegò mordendosi il labbro inferiore. Man mano che andava avanti si tranquillizzava e ormai aveva preso il ritmo, le sembrava di star facendo anche più collegamenti logici tra le frasi rispetto all'inizio. «Poi io... io non ci so fare con le persone, non so parlare bene, non riesco ad esprimermi. Quindi tu non devi prendere tutto seriamente. A volte il mio silenzio significa solo che il mio cuore ha già la risposta, ma non so renderla a parole. Se sono rimasta zitta l'altra volta non era perchè non sapevo cosa dire o perchè ero indecisa o pensavo di lasciarti, ma non ne avevo il coraggio... era perchè ti voglio bene, ma avevo anche paura e non riuscivo a dirtelo. So che ho paura di qualcosa per cui non puoi farci niente, sei tu, è il tuo lavoro, è la tua vita, sono le tue colleghe... e io non ho il diritto di chiederti di cambiare nulla, nè mi sognerei di farlo perchè forse senza questa vita non saresti più tu, non saresti più la persona che mi piace». Finalmente alzò lo sguardo per guardarlo negli occhi. Era imbarazzante quello che stava dicendo, ma tutto sommato era stata lei a dichiararsi per prima a lui, mesi fa, ed era stato difficile anche allora. "Posso farcela. Devo, anzi, voglio farcela. Non voglio perderlo, non così... deve sapere almeno la verità" pensò facendogli un timido sorriso nella penombra, perchè gli occhi di entrambi ormai si erano abituati alla poca luce. «Insomma lo so che questo discorso non ha senso» trattenne a stento una risata: si sentiva stupida, come si era sempre sentita tutte le volte che aveva pensato a quei suoi sentimenti. «Ti sto dicendo che soffro per delle cose che però non puoi e non voglio che tu cambi perchè sono anch'esse parte di te. Non c'è via d'uscita vero?»
«Sì, è un discorso è un po' intricato» ammise Aiba. Lui non stava sorridendo, ma pareva concentrato o un po' confuso. «Ma credo... penso di aver capito ed effettivamente non è facile. Posso chiederti solo una cosa?»
«Sì, sì certo» esclamò annuendo con vigore, la reazione di Masaki era migliore di tutte le sue più nere previsioni
«Perchè non ti sei resa conto che non sei l'unica a preoccuparsi tra noi?» domandò facendosi serio
«Come?» fece lei confusa
«La mia vita è come dici tu: circondato da belle donne, sempre sotto i riflettori e sempre indaffarato; ma hai mai pensato che a volte sono io quello che ha paura? Paura che qualcuno scopra di noi, che i mas media distruggano quello che c'è tra noi allontanandomi da te. Però è anche vero che se nessuno deve sapere di noi tu per gli altri uomini risulterai sempre una donna libera, allora ho paura che un giorno arrivi qualcun altro, qualcuno che sarà più presente di me, che ti conquisterà e ti porterà via» spiegò con serietà «Però, non so spiegarmi come, credo di avere meno paura rispetto a te, di essere più sicuro. Solo che.. quando vedo Makoto kun» ammise abbassando lo sguardo «So che è un ragazzino, so che non ha senso... sei una donna, lui è un bambino per te, ma mi agito lo stesso»
«Lo sai che mi fa la corte. Lo hai conosciuto poco dopo che ci siamo conosciuti noi due, ma non mi hai mai fatto storie. Perchè adesso?» domandò piano Kokoro. Quando si toccava quell'argomento si metteva sempre sulla difensiva: era come diceva Aiba, non c'era modo per cui Makoto avesse chance con lei, ma non voleva affrontarlo lo stesso. «Non lo so» ammise il ragazzo
«Forse perchè lui ha il coraggio che non hai tu?» domandò con una punta di acidità. Se ne pentì il secondo dopo, ma era sempre così con quell'argomento. «Cosa vorresti dire?» fece guardandola e aggrottando le sopracciglia, si stava irritando. In quel momento però si aprì la porta del camerino e seguì un urlo incomprensibile.

Erina si rialzò in piedi a fatica, dato che aveva le gambe fasciate nel tailleur. Ohno non aveva accennato a darle una mano, sembrava troppo intontito. «Eri chaaaaaan?» sentì strillare da dentro il camerino. Era proprio Aiba. «Scusate disturbo? Posso entrare?» domandò, entrando lo stesso e chiudendosi la porta alle spalle
«No ma prego eh» boffonchiò Nino. Fortunatamente (o sfortunatamente?) erano tutti vestiti, quindi non stava facendo una figuraccia presentandosi all'improvviso lì dentro, ma quando si ritrovò sulla soglia Erina si rese conto di ciò che aveva appena fatto e se ne vergognò: stava piombando in una stanza in cui erano raccolti i suoi idoli preferiti, proprio quelli che seguiva da anni, tutti lì (mancava giusto il loro leader che si era avviato da qualche parte sbadigliando assonnato) e senza una vera e propria scusa. «Erina san, che bello vederti» sorrise Jun alzando lo sguardo dal proprio copione e chinando il capo verso di lei «Come mai da queste parti?»
«C'è un motivo per cui debba presentarsi?» domandò Masaki raggiungendola sulla porta «Sono felice che tu sia passata, stavamo per andare a pranzo, ti va di venire con me e Nino? Matsujun ha da fare» propose. La rossa fece per replicare qualcosa, ma le morirono le parole sulla labbra quando comparve Sho sulla soglia della porta della stanza attigua. Stava indossando una camicia, sotto aveva una canottiera bianca semplice e portava ancora le collanine usate per le registrazioni. Entrambi si guardarono per qualche secondo, lui paralizzato dalla sorpresa, lei paralizzata dalla sua bellezza: le erano stati concessi pochi nano secondi per intravedere le braccia muscolose e il busto ben modellato sotto la canottiera aderente, quando ancora non era stato nascosto dalle pieghe della camicia, prima che la indossasse. Lo guardò negli occhi scuri e si accorse che stava ricambiando quell'occhiata. Lei gli sorrise e lui si mise ad allacciare i bottoni «Buongiorno Erina san» la salutò probabilmente senza nessun tono particolare, ma a lei suonava come una voce meravigliosa: calda e profonda, la stessa che aveva parlato a pochi centimetri dal suo viso qualche sera prima. Sentì un brivido di eccitazione percorrerle il corpo. «Sakurai san» rispose inchinandosi. Quando tornò a prestare attenzione ad Aiba vide che stava alternando lo sguardo tra lei e Sho, allibito. «Aiba chan, ti sta fumando il cervello, lascia stare» ridacchiò Jun sbirciando verso di lui dal riflesso nello specchio. "Ora che ci penso... se Tomotan si è accorta del nostro quasi-bacio, forse ci ha visto anche Matsujun" riflettè la rossa prima di cominciare a cambiare colore, arrossendo "E se adesso lo sapessero tutti?". «Volevi qualcosa in particolare?» domandò Sho
«Oh, sì... volevo parlare con te Sakurai san» disse senza pensarci troppo su «Oh e... Aiba chan, ho incrociato qualcuno in corridoio che ha detto di starti cercando, sarà il caso che vai» aggiunse subito dopo, per poi avviarsi verso l'altro ragazzo
«E chi?» domandò Masaki stranito, mettendo una mano sulla maniglia. Erina si voltò verso di lui e gli sorrise furbescamente, non riuscendo a trattenersi nel pensare a cosa lo aspettava lì fuori. "Sarai felice di avere la tua fidanzatina pronta a chiederti perdono qui fuori. Solitamente, dopo un litigio, c'è un modo molto piacevole per passare un po' tempo con il proprio compagno dopo averlo perdonato" ridacchiò piano, guardandolo "Ma immagino che cose simili agli studi non si possano fare: no no" e finchè certi pensieri rimanevano nella sua testa andava bene, quindi non arrossì. «Qualcuno» rispose infine per poi ignorare lo sguardo interrogativo dell'amico. Si concentrò piuttosto sul ragazzo al quale si stava avvicinando. «Cercavi me?» domandò lui mentre si spostava verso la finestra
«Sì... sì e no, sssst» farfugliò mettendosi un dito davanti alle labbra e tirandolo dalla sua parte
«Cosa? Che c'è?» chiese allarmato, sentendosi strattonato per il braccio
«E' per Aiba chan» rispose Erina ridacchiando «Ho portato Kokoro e devono parlare»
«Chi?» sgranò gli occhi per poi abbassare lo sguardo sulla mano della ragazza, che ancora lo teneva per la manica della camicia
«Dai, ce l'ha detto tempo fa, no? Stanno insieme» spiegò per poi rendersi conto anche lei di star ancora trattenendo il suo braccio. Lo lasciò andare «Oh, ehm... si è stropicciata, scusa» e fece un sorrisino tirato
«Niente. Quindi l'hai fatto per loro? Allora noi di cosa dovremmo parlare?» scosse il capo e finì di sistemarsi la camicia dentro i pantaloni
«Non ne ho idea. Ah piuttosto! Grazie per l'altra sera, mi sono divertita molto» e sorrise. Aveva passato qualche giorno a chiedersi cosa fare: era chiaro che i suoi sentimenti erano ricambiati, non sapeva come fosse possibile ma era così, solo che non sapeva quale fosse il passo successivo da fare, nè se toccasse a lei farlo. «Ah si» annuì distrattamente Sho «Siete tornate a casa sane e salve?»
«Nessun problema. Fujimiya san è un buon guidatore» annuì aggrottando le sopracciglia "Ok, qualcosa non quadra. Mi ha sorriso quando mi ha visto, ma non ha fatto nient'altro di particolare e ora sembra addirittura infastidito, possibile?". «E' andato tutto bene no? Avevi ragione tu, Tomomi e Matsumoto san si sono trovati bene insieme. Lui... non ti ha detto niente?» indagò. Non c'era mai niente di chiaro in quello che la riguardava, eppure quando aiutava gli altri sembrava molto più semplice districarsi nelle varie situazioni sentimentali, così decise di indagare per Tomomi. «Io sono stata felice di vederlo allegro»
«Una bella serata» rispose Sho facendo spallucce «Anche lui è rimasto colpito dall'arrivo del tuo collega»
«Ha sentito che uscivo quella sera e dato che era nei paraggi si era offerto di riaccompagnarci. Conosce anche Tomomi e sa dove abita» spiegò tranquillamente Erina: era la verità, tutto sommato. «Voi come siete tornati?»
«E' passata a prenderci una modella bellissima che ho chiamato io, sai, lavoriamo spesso insieme» rispose acidamente il ragazzo, facendo spallucce. Lei lo guardò sorpresa e confusa «Oh... capisco» disse lì per lì, ma era quasi certa che quella non fosse la verità, ma solo una scusa detta per farle il verso. «Capisci? Buon per te» concluse lui
«A-ascolta» lo placcò vedendo che stava per allontanarsi da lei. Non voleva lasciarlo andare, i due fuori dal camerino avevano bisogno di qualche minuto in più, ma al tempo stesso il suo istinto le diceva che doveva evitare il discorso di Fujimiya quando parlava con Sho. «Matsumoto san non ti ha detto proprio niente della serata? Si è divertito come pensavi?» domandò per continuare a parlare, ma cambiando discorso
«Sì, si è divertito» rispose ermetico il ragazzo
«Gli è piaciuta Tomomi tan? Inizialmente non pensavo di invitarla, ma la prima persona a cui avevo pensato mi ha dato buca. Tra quelle che conosco lei mi è sembrata la più indicata: non ha fatto scenate strane no?» spiegò cercando di sorridere nella speranza di vederlo rasserenarsi, la piega di quel discorso non le piaceva affatto. «Se ti interessa tanto Matsujun perchè non lo chiedi direttamente lui?» sospirò spazientito
«Perchè sto parlando con te» rispose arricciando il naso, cominciava ad essere ferita da quelle risposte acide «Perchè è con te che voglio parlare» aggiunse in tono più lamentoso e abbassò gli occhi. "Ma è così che fa? Prima mi fa toccare il cielo con un dito, mi dà tutte le certezze che cercavo da mesi, e poi cancella tutto con cattiveria?" rimuginò trattenendo delle improvvise lacrime che minacciavano di affacciarsi oltre le palpebre. «Cosa sei venuta a fare qui?» domandò ancora Sho, scocciato
«Non lo capisci?» fu la sola risposta di Erina, mentre deglutiva a fatica
«Sei venuta solo per Aiba chan e la sua fidanzata? Non pensi che dovrebbero sapersela cavare da soli alla soglia dei trent'anni?»
«No, io...» fece per ribattere "Io sono venuta anche per vederti"
«Lascia stare. Questo atteggiamento sconsiderato non è da te. Noi stiamo lavorando, sai? Non siamo ad una scampagnata, non possiamo prenderci qualche ora per parlare con tizio e caio: abbiamo da fare. E anche tu» la accusò «Tu hai un lavoro, il tuo lavoro di sempre: perchè non te ne sei stata nel tuo ufficio e con i tuoi colleghi?» si passò una mano tra i capelli e girò sui tacchi pronto ad andarsene «Con Fujimiya san» non riuscì a trattenersi dall'aggiungere. La ragazza lo guardò con gli occhi sgranati e gli girò intorno per piantarsi davanti a lui. Fortunatamente il camerino era grande e Nino e Jun stavano facendo gli stupidi mentre il primo aiutava il secondo a ripassare le battute fingendosi il personaggio femminile della scena e atteggiandosi in maniera esagerata. «Aspetta, aspetta. E' questo il problema? Fujimiya san?» chiese sbalordita
«Mi lasci passare? Tu potrai buttar via il tuo tempo, io no» sbuffò spazientito
«Non è vero, conosco la tua agenda: adesso non hai impegni» ribattè lei impuntandosi
«Guarda che il nostro lavoro non è fatto solo di appuntamenti fissi, ci sono anche un miliardo di altre cose su cui lavoriamo occasionalmente e che si devono incastrare nel resto della nostra agenda. Dato che non devi sapere i nostri lavori in questo periodo non puoi avere idea di cosa dobbiamo fare». Sembravano fare a gare su chi avrebbe avuto l'ultima parola. «Ehi, stammi a sentire» sbottò infine «Non ho fatto niente per cui meritarmi un trattamento così scortese da parte tua, questa maleducazione non è giustificabile in alcun modo» spiegò incrociando le braccia, arrabbiata. Lo scrutò in viso, ma lui guardava altrove, mordicchiandosi il labbro inferiore, nervosamente. «Sei... geloso?» osò domandare. In realtà non avrebbe voluto farlo, le sembrava improbabile e persino troppo bello per poter essere vero. «Ma che vai dicendo?» sbottò Sho «Geloso di chi? Te? Puoi fare quello che vuoi con i tuoi colleghi» scrollò le spalle e riprese a camminare per passare oltre
«Co... "puoi fare quello che vuoi"? Che stai dicendo?» farfugliò sbalordita e ferita, guardandolo mentre le passava al fianco
«Ma che stai dicendo tu!» esclamò il ragazzo «Insomma cosa vuoi?» storse le labbra e si allontanò raggiungendo i due colleghi. L'ultima parola era stata sua? Erina lo guardò camminare, senza parole. "Cosa hai bevuto stamattina, razza di imbecille?" pensò in un misto di rabbia e sconcerto "Con cosa ti hanno corretto il caffè? O non c'era nemmeno caffè ed era direttamente vodka? Pezzo d'idiota". «Nino, la smetti? Fallo ripassare seriamente» rise il ragazzo parlando con i due membri ancora nel camerino. "Mi hai quasi baciato, mi hai sorriso tutta la sera, mi hai persino abbracciato, ora arrivo qui e mi tratti peggio dello zerbino di casa tua? Tu... tu..." strinse le mani a pugno mentre guardava i tre Arashi presenti ridere tra loro. «Sono serio! Sono serissimo, guarda» rispose Nino, poi rimase in silenzio con lo sguardo basso. «Sho kun» sospirò stringendosi nelle spalle e parlò con un filo di voce, lo guardò sbattendo le palpebre ripetutamente «Tu... mi piaci!» e tutti e tre scoppiarono a ridere. La rossa strinse le labbra tra loro trattenendosi dal gridare e dallo scoppiare a piangere, non gli avrebbe dato quella soddisfazione. Si girò e si avviò alla porta senza riuscire a pensare a nulla. «Vai via Erina san?» domandò Jun riprendendosi dalle risate. La sua voce gentile richiamò nuovamente l'attenzione della ragazza che si voltò e riuscì solo ad annuire vigorosamente, una sola volta, guardando anche Nino. Sperava lo interpretassero anche come un inchino perchè era troppo arrabbiata per fare altro e non voleva essere scortese con loro che non se lo meritavano. Sho invece... lo guardò aprendo la porta e sentì la rabbia squassarle i pensieri, infiammarle il cuore. Prima che le lacrime le appannassero la vista socchiuse gli occhi «Asshole!» sbraitò contro di lui prima di uscire in corridoio.
Non fece caso a niente e nessuno. Probabilmente era passata di fianco ai due piccioncini in corridoio, forse aveva incrociato Ohno, magari aveva travolto un procione. Non le interessava. "Andate tutti al diavolo! Tu per primo, incredibile pezzo d'idiota!" pensava furibonda. Uscì dall'edificio senza far caso a niente e nessuno ed inciampando di conseguenza in tutto quello che incontrava, ma senza mai cadere grazie a chissà quale miracolo. Tentò di aprire la portiera delal macchina ma questa rimase chiusa. Sfogò la sua rabbia sulla maniglia tentando più volte di tirarla. «Eri chan! Eri chan!» urlò Kokoro che la stava raggiungendo di corsa «Devi aprirla prima» le ricordò. La rossa pigiò il bottone del portachiavi e l'auto fece un semplice bip, ma a quel punto aveva perso la voglia di entrare. Appoggiò un braccio al tetto della macchina e ci nascose il viso mettendosi a piangere. «Stronzo... sei uno stronzo» boffonchiò finchè non sentì qualcuno avvicinarsi e abbracciarla. Per una volta aveva con sè un'amica alta praticamente quanto lei, le risultò più comodo piangere sulla sua spalla senza doversi mettere in punta di piedi o senza sentirsi una bambina tra le braccia di un adulto. Sembrava proprio che una persona alla pari la stesse consolando. «Perchè piangi?» le domandò Kokoro
«E perchè piangi anche tu?»le rigirò la domanda sentendo che anche all'altra tremava la voce
«E' che... ero un po' tesa e adesso che ti vedo piangere mi viene da scaricarmi così» rispose tirando su con il naso
«Ma è andata male?» chiese ancora. Suonava stupida persino a se stessa la sua voce, stava cercando di fare un discorso normale quando il realtà la sua voce era completamente piegata dai singhiozzi e dalla rabbia. «No, non credo. Non lo so» scosse il capo Kokoro «Però ti ho visto andar via così. Hai urlato... Aiba san mi ha detto di correrti dietro prima che ti facessi del male» spiegò cercando di calmarsi almeno lei
«E il vostro discorso?»
«Gli ho detto tutto... anche lui, ma... mi ha promesso che ci vedremo il prima possibile per finire di parlare»
«Mi dispiace, mi dispiace tanto» frignò aggrappandosi alla camicetta che aveva prestato all'amica «E' stato un completo flop, ho sempre delle pessime idee. Pessime... pessime idee». L'unica risposta dell'altra ragazza fu una carezza sul capo e il suo silenzio per lasciarla sfogare fin quando non si sarebbe calmata.


"A volte il mio silenzio significa solo che il mio cuore ha già la risposta, ma non so renderla a parole."
So che non dovrei dirlo, dato che l'ho scritta io, ma adoro questa frase. Non so come mi sia venuta fuori, ma è troppo bella ç_ç
Comunque. C'è poco da commentare a questo capitolo. I due chibi vanno avanti a tentoni nello spiegarsi le reciproche paure, ma ancora non hanno concluso niente. Lei è gelosa di possibili rivali del mondo dello spettacolo, lui è geloso di Makoto che è solo un ragazzino, ma che rappresenta un qualsiasi potenziale spasimante. Parlando invece di Sho... era quasi tutto chiarito, ma Erina ha lasciato l'ufficio della JE: come si vedranno? Come rimarranno in contatto nella vita normale? Preso da dubbio e dalla paura si è lasciato insospettire dal rapporto tra Fujimiya san ed Erina, anche se ancora non immagina nemmeno lontanamente cosa c'è stato tra i due; per ora la sua è gelosia pura e semplice. In tutto questo è la non-tanto-povera Erina ha soffrirci senza capire bene perchè.
Ma vi volete chiarire, ragazzi miei?

A parte ciò... alcune lettrici del forum mi hanno chiesto un sondaggio sui personaggi femminili, sondaggio che ho accordato di fare a patto che venisse fatto DOPO la pubblicazione di un certo numero di spin off dedicati a loro. Li sposto alla fine di tutti i capitoli però XD

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Capitolo 32
*** 31. The Night of Lonely Hearts ***


Quando Kokoro aprì gli occhi davanti a lei c'era la finestra del salotto. Gli alberi del cortile della casa agitavano le foglie al vento un po' più forte degli alti giorni. L'aria era fresca, tersa e cristallina, senza più caldo o afa ad appesantirla. I colori erano quasi più vivaci, chiari, le colpivano gli occhi come se non ci fosse spazio tra le foglie e la pupilla: un verde quasi accecante. Era il culmine, il colore più brillante prima che l'autunno cominciasse a lasciare i suoi primi segni dando loro le tonalità di colori più caldi.
Tra le dita stringeva ancora il cellulare e un brivido la fece alzare dal tatami del pavimento del salotto. Era completamente indolenzita per aver dormito per terra e sentiva male ai muscoli della schiena e delle spalle per essere rimaste contratte tutta la notte per il freddo. Eppure non si era mai svegliata, da quando aveva preso sonno fino a quel momento, per quanto fosse scomodo, per quanto potesse aver tremato, non aveva aperto gli occhi. Il troppo rimuginare della sera prima doveva averla veramente sfiancata. Senza pensare a nulla di particolare, si diresse verso il bagno, strusciando i piedi sul pavimento. Si diede una rinfrescata e si vestì per andare al lavoro. "Ha senso andare?" si domandò infine, mentre girava la chiave nella toppa "Non sarebbe più giusto stare a casa?". «Onee san!» si sentì richiamare da un paio di voci acute. Sembrò quasi che le trapanassero il cervello. Era la piccola Marika, indossava ancora il piagiama. «Gliel'ho detto che non avrebbe avuto la merenda stamattina, ma è voluta venire lo stesso» spiegò Makoto comparendo alle sue spalle. Lui aveva già la divisa, ma non l'aveva ancora abbottonata per bene. «Non era per la merenda» sbottò la bambina «Era solo per lei» rispose raggiungendola e allargando le braccia. Kokoro si inginocchiò ad abbracciarla a sua volta «Grazie Marika, sei molto gentile»
«Mi manca già» le mormorò nell'orecchio
«Lo so, anche a me» rispose con un sorriso debole
«Andrai a lavoro nonostante tutto?» domandò Makoto avvicinandosi. La ragazza alzò gli occhi per guardarlo e aspettò a rispondergli, come non fosse sicura di volerlo farlo. «Sì» decise di dire alla fine, non era il caso di comportarsi male con lui, anche se se lo meritava almeno un po', davanti alla più piccola. Però era arrabbiata con lui quindi non aggiunse altro a quel monosillabo. «Adesso vado, prometto che appena riesco faccio una merenda speciale, va bene?» domandò sciogliendo l'abbraccio con Marika. Quella annuì senza dire niente. «Allora io vado» si rialzò in piedi e attese solo di sentire il "buona giornata" dei due ragazzi prima di voltarsi e avviarsi verso il negozio.
Arrivò al cancello del cortile sul retro e lo aprì con le proprie chiavi. Una volta dentro lo richiuse con attenzione e si fermò a guardare l'edera che si arrampicava sulle case che affacciavano a quello spiazzo erboso, osservò i rami del salice muoversi appena all'alito di vento di quella mattina e il tavolo in ferro battuto coperto di gocce d'acqua. Doveva aver piovuto quella notte, ma lei non se n'era accorta. "Così come la scomodità del pavimento. Magari ci sono stati tuoni e lampi e io non ho mosso un muscolo. Eppure sento di non aver riposato affatto" pensò aprendo la porta del retro ed entrando in cucina "E' come se non avessi dormito. Come se il mio corpo abbia voluto solo farmi chiudere gli occhi e svuotare la mente per un po', ma non farmi riposare. Sono solo temporaneamente sfuggita alla realtà, forse è per questo che niente mi ha svegliato? Perchè infondo ero io a non volermi svegliare?". Si vestì meccanicamente mettendo subito la divisa del negozio: quella mattina sarebbe venuta tanta gente che non avrebbe avuto modo di cucinare niente. Dopo aver stretto l'obi fece un giro per il magazzino, stilando una lista delle cose mancanti da ordinare il prima possibile. Non aveva finito nemmeno metà degli scaffali da controllare che una sveglia in cucina le ricordò che entro una decina di minuti avrebbe dovuto aprire. Scoraggiata guardò il lavoro che le toccava lasciare a metà e tornò in negozio prendendo scopa e stracci. Aveva poco tempo ed era sola. Spazzò rapidamente davanti al negozio. Ci mise poco a notare che quel giorno nessuno la salutava per strada: c'era chi tirava dritto e chi invece, stranamente, non passava affatto di lì. "E se tutti avessero cambiato strada per andare a lavoro apposta per non incrociarmi?" si domandò dando un ultimo colpo di ramazza all'entrata e guardandosi intorno prima di rientrare "Ma no... cosa vado a pensare? Sarà una mia impressione. Anzi, è colpa mia. Devo togliermi dalla faccia questa smorfia triste. La maestra lo diceva sempre che ai clienti bisogna sorridere qualsiasi cosa succeda" scosse il capo e diede una lucidata alla vetrinetta del bancone. Dato che il giorno prima erano stati chiusi non c'era bisogno di sistemarla. Arrivato l'orario di apertura sistemò le ultime cose, accese le luci anche nella vetrina e si sistemò dietro la cassa. Solitamente si sceglieva una rivista di quelle che tenevano nascoste lei e la maestra per passare il tempo quando erano da sole, ma quel giorno Kokoro si incantò ad osservare i dolci in vetrina, nella stessa disposizione del giorno prima. Nessuno li aveva spostati "Forse dovrei cambiarli". Rimase ferma dov'era a ripeterselo per un buon quarto d'ora, poi arrivò la prima delle tante clienti abituali del quartiere. «Buongiorno» salutò la ragazza automaticamente quando sentì tintinnare il campanello all'ingresso
«Buongiorno Hanayaka san» salutò questa con un sorriso appena accennato «Ho saputo» aggiunse subito dopo. Kokoro non rispose niente, si chinò a prendere un vassoio e la carta per fare il pacco alla cliente. «Ascolta, ne parlavo ieri con alcune amiche del palazzo che so che vengono a comprare qui ogni tanto» cominciò la signora «Siamo tutte così dispiaciute per l'accaduto... ma tutti lo siamo nel quartiere. Kotoku san era una brava donna, ha inaugurato e portato avanti questo negozio per quasi trent'anni. Non c'è persona che non sapesse chi fosse, che non sia passata di qui almeno una volta. Perciò... volevamo sapere se hai parlato con la famiglia». La ragazza guardò la cliente parlarle della sua maestra come le raccontasse una favola, poi si riscosse quando questa la fissò aspettando una risposta da lei «Sì, mi hanno avvisato loro che la maestra era stata male»
«Sai dove terranno il funerale? Sono certa che qualcuno della comunità vorrebbe partecipare» spiegò infine quella
«Dovrei sentirli oggi per saperlo, se me lo lasceranno fare metterò un comunicato fuori dalla porta del negozio» annuì Kokoro «Cosa le dò?» le venne da domandare subito, abbassando lo sguardo sui dolci. La donna rimase in silenzio per un po' poi disse «Di quelli che ha preparato Kotoku san, uno per ogni tipo».
La giornata passò così: quindici minuti a guardarsi intorno, in completa solitudine nel negozio, e quindici -a volte mezzora- a parlare con qualche cliente. La mattina passavano le donne più anziane, quelle che erano più amiche della maestra anche per via dell'età simile, il pomeriggio le donne più giovani, magari con i bambini appena usciti dalla scuola. Makoto passò ma si limitò a farle un saluto da fuori. Kokoro non riusciva a trovare la forza di fare nulla: tutti quelli che erano entrati avevano comprato qualcosa, ma i pacchetti, l'arrangiamento dei dolci, era qualcosa che faceva meccanicamente, un po' come lavarsi i denti tutte le mattine, quindi non le pesava; era parlare con gli altri, ripetere le stesse cose, sentire la tristezza delle persone, che era difficile. Si sentiva talmente stanca che nei quarti d'ora di solitudine non si muoveva dal bancone, ma rimaneva a fissare la vetrina, le mensole del negozio, la campanellina sopra la porta o gli shoji che portavano alla saletta da te. Le avevano chiesto del futuro del negozio, se sarebbe passato a lei o se la famiglia della maestra aveva altri progetti, di come si sentisse lei, del funerale, ma non sapeva rispondere a nessuna di quelle domande: la maestra era morta poco più di ventiquattro ore prima, era normale che ancora non sapesse niente, ma continuare ad ammettere di non aver idea del futuro che attendeva lei e il negozio la portò a deprimersi ancora di più. Rimaneva in silenzio, a guardarsi intorno come spaesata. "Che fine farà tutto questo?" si domandò a metà pomeriggio, mentre stava fuori a passare uno straccio sulla vetrina per togliere le ditate degli studenti passati di lì per tornare a casa da scuola. "Che cosa farò io? E' tutto così incerto che non posso fare a meno di domandarmi se le giornate che ricordo, quelle allegre e piene di risate, sono veramente esistite. Io e la maestra abbiamo veramente riso in questo luogo? Ho avuto momenti felici tra queste mura oppure sono ricordi falsi? Sono sogni che pur di rendere reali ho trasformato in ricordi? Forse non li ho realmente vissuti" si passò il polso sulla fronte per asciugarsi il sudore e osservò il vetro ora pulito. Quel giorno stava comprando talmente tanta gente che stava per finire tutti i dolci rimasti. "Finchè erano problemi di cuore potevo gestirli, ma adesso non è più così. Tutto sembra diventato improvvisamente più grande di me. Vorrei alzarmi ora, rientrare in negozio e trovare la maestra dietro il bancone. Direbbe: non lamentarti, io ormai sono anni che ho smesso di farlo, è inutile perchè i ragazzini metteranno sempre le mani sulla vetrina, sai?". «Non piangere davanti alla vetrina, altrimenti fai scappare i clienti» disse la persona che si era appena avvicinata all'entrata. Non c'era rischio: da quando, la mattina prima, l'avevano chiamata i familiari della maestra per dirle che era deceduta durante la notte, non aveva ancora versato una lacrima e sentiva di non star per piangere nemmeno in quel momento. Era come se lo sconforto che l'aveva colpita fosse tanto forte da toglierle anche le lacrime. Si rimise in piedi e si accorse allora che la cliente era ben più alta di lei. Dopo i primi secondi a fissarla riconobbe il caschetto castano scuro e il sorriso dolce. «Lei è la madre di Aiba san» disse stupita
«In persona. Ci siamo viste un paio di volte vero?» domandò inchinandosi educatamente «Non abbiamo mai parlato molto, conoscevo Kotoku san, ma avevamo sempre poco tempo per parlare: lei era presa dal negozio, io sono sempre indaffarata con il ristorante»
«Sì, beh... i negozianti del quartiere si conoscono un po' tutti» annuì entrando nel negozio e tenendo la porta aperta per la donna
«E qualche volta, in primavera, so che hai visto i miei figli» aggiunse quella entrando. A differenza di molti altri, quella donna sorrideva un po' di più, con più energia, ma il suo sorriso era comunque molto gentile e pacato. Kokoro arrossì leggermente a quelle parole e andò dietro il bancone «Sì, conosco entrambi, ma capita più spesso di incontrare sue figlio minore. Stesso quartiere, lavoriamo entrambi in cucina...» spiegò cercando di evitare di parlare del maggiore. Erano passati due giorni da quando aveva parlato con Masaki e qualcosa sembrava essere cambiato nella situazione di stallo in cui si trovavano da settimane, ma nonostante avesse detto che l'avrebbe chiamata ancora non si era fatto sentire. Non avrebbe saputo in che termini parlare di lui a sua madre. «Cosa posso darle?» domandò quindi con il tono e la formalità tipici di quando parlava con i clienti
«Cinque di questi» rispose indicandoli nella vetrinetta «E mi chiedevo se non accettassi un ordinazione per il nostro ristorante»
«Non è di cucina cinese?» domandò la ragazza mentre cominciava a sistemare i dolci chiesti nel vassoio. Non potè esimersi da chiedersi se la donna ne aveva chiesti tanti perchè quella sera ci sarebbe stato anche Masaki a casa o perchè i maschi della famiglia Aiba mangiavano sempre molto. «Sì, ma ho fatto una piccola ricerca e ne ho trovato uno di origine cinese che oggi mangiamo anche in giappone. So che ora sei sola a lavorare, quindi pensavo di chiederteli per la prossima settimana così hai tempo per organizzarti il lavoro» spiegò quella guardando incuriosita come Kokoro impacchettasse i dolci che aveva chiesto.
«Credo che mi piacerebbe, ne sarei felice. Però ora come ora non ci sto molto con la testa, le spiacerebbe se...»
«Manderemo una mail con la richiesta ufficiale del ristorante» propose quella «Posso capire come ti senti. Oh grazie» disse poi quando le venne porto il pacchetto infiocchettato. Kokoro respirò profondamente mentre batteva il prezzo in cassa, era pronta a qualsiasi frase la donna potesse dirle, ma a sorpresa questa non pronunciò il nome del figlio: ascoltò il prezzo, diede le banconote e aspettò il resto. La guardò salutare ed avviarsi verso l'uscita, senza dirle nulla. «Non rimanere a lungo da sola. Avere intorno a sè le persone care, in momenti come questi, è di grande conforto» disse solo prima di farle un ultimo sorriso e aprire la porta per andarsene.

Era ancora un po' rimbambito dal sonno. Non aveva fatto molte pause quel giorno: il servizio per "More" era cominciato prestissimo quella mattina, poi aveva passato la prima parte del pomeriggio a registrare le sue parti di "Dear Snow" quindi aveva ricevuto la chiamata di suo fratello, proprio quando sarebbe potuto tornare al suo appartamento a sonnecchiare fino all'ora di cena. Voleva recuperare le forze per la diretta radio di "Recomen" di quella sera, ma ciò che gli aveva raccontato Yusuke era troppo importante per ignorarlo: la padrona del negozio di dolci, la maestra di Kokoro, era morta nella notte tra mercoledì e giovedì. La ragazza non gli aveva detto niente, quindi aveva già passato una giornata intera con il suo dolore senza che lui gli avesse detto nemmeno un "mi dispiace". Il minimo che poteva fare era fiondarsi a Chiba appena possibile e parlare con lei, se glielo avesse permesso. Abbandonò lo studio di registrazione al volo e salutò in fretta colleghi e membri senza fermarsi. Sapeva che non era normale che si comportasse così, sapeva che avrebbe fatto meglio a fermarsi almeno altri venti minuti, ma bastò un'occhiata con Jun: l'amico doveva aver visto la sua espressione preoccupata e impaziente, quindi gli aveva sorriso, annuendo con pazienza. "Se ho loro può succedere di tutto, ma non sarò mai veramente spaventato. Conto su ognuno di loro e so che ci saranno sempre" pensava, rincuorato da quel pensiero mentre viaggiava verso Chiba "Ma quando Jun aveva bisogno di noi, ha preferito non parlare. Avrà avuto le sue buone ragioni, però guardarlo piangere senza poter fare niente è stato avvilente. Mi ha fatto sentire impotente e non sapevo cosa fare per lui. Stavolta non sarà così, no. Stavolta ci sarò, comunque vada tra noi io ci sarò e voglio che Kokoro lo sappia".
Quando arrivò, non sapendo l'esatto orario di chiusura del negozio, si mise seduto con le spalle contro la porta di casa di Kokoro e aspettò: erano le sei e mezza circa. I salary man del palazzo lo conoscevano e quando erano rientrati tra le sette e le sette e mezza lo avevano salutato tutti. Erano rientrate anche alcune signore e anche loro lo avevano salutato ricordandosi di lui dalla primavera precedente, quando aveva aiutato a ridipingere il palazzo. Dopo tutto quel tempo Aiba sentì gli occhi che si chiudevano e appoggiò la testa alle ginocchia per rilassarsi qualche minuto. "Vorrà starmi a sentire? Si... alla fine è venuta lei a cercarmi e io avevo detto che avremmo parlato ancora. Ora so cosa dirle, ma... sarà giusto parlarle di noi due in un momento come questo?" riflettè sospitando e dopo qualche minuto si era quasi addormentato. «Giovanotto?» si sentì richiamare. Aprì gli occhi con difficoltà e quando alzò lo sguardo davanti a sè c'era una delle anziane dello stabile. «Tutto bene? Si sente male?» domandò
«Oh sì, sì, sto bene» rispose Masaki riprendendosi e sfoderando un sorriso allegro
«Caspita. Mi sono spaventata sai?» sospirò quella, rilassandosi «Sei il ragazzo della signorina di questo appartamento?». Avrebbe voluto rispondere di sì, anche perchè la signora davanti a lui non l'aveva riconosciuto e sembrava essere molto anziana, quindi ben poco interessata agli idol. Ma non poteva farlo, non solo perchè non era più tanto sicuro del rapporto con Kokoro, ma anche perchè, a prescindere dalla persona che aveva davanti, era sempre un rischio dire cose simili. «Sono solo un amico» disse infine
«Miyamoto san, vuole una mano con la spesa?» domandarono lungo il corridoio. L'anziana effettivamente portava con sè un sacchetto del supermercato. «Oh, Hanayaka san. Qui c'è un tuo amico» rispose quella indicandole Masaki. Lui girò la testa e notò Kokoro sull'entrata del palazzo, sul fondo del corridoio del piano terra. Non sembrava particolarmente devastata dalla tristezza, aveva solo un sorriso appena accennato e l'espressione stanca. «Aiba san?» chiese fissandolo allibita
«Ciao» salutò alzandosi in piedi «Non sapevo bene a che ora finivi quindi ti stavo aspettando»
«Bastava un colpo di telefono. Miyamoto san si è spaventata a vederlo abbandonato in corridoio?»
«Sì, sì. Era qui seduto come un cagnolino abbandonato» ridacchiò l'anziana «Dagli qualcosa da bene e fallo accomodare sul divano poverino, è stato tanto carino da venirti a trovare» si raccomandò prima di salutare e avviarsi, assicurando che poteva cavarsela da sola con la spesa. Aiba guardò la ragazza che si era fermata a fissare le spalle dell'anziana che saliva le scale, controllando che non avesse bisogno di una mano. Quando questa scomparve al piano superiore si decise a parlarle «Allora, mi offri qualcosa da bere?» chiese piano. Kokoro sbattè le palpebre e sembrò accorgersi una seconda volta, con stupore, che lui era lì. Annuì senza dire nulla e girò la chiave nella toppa aprendo la porta e facendogli strada. Masaki respirò profondamente una volta che si fu chiuso l'entrata alle spalle: c'era il solito odore di dolci e tatami pulito e poi il calore di quell'appartamento era sempre un po' più intenso rispetto a fuori. In quel momento sentì tornargli alla memoria tutti i momenti passati con lei in quel piccolo spazio: il primo bacio che gli aveva dato lei, quando l'aveva aiutata con i dolci, il loro primo litigio e rappacificamento. "E' come se questo posto mi fosse mancato" pensò quando si sentì felice di essere lì. Seguì i gesti di Kokoro che lo fece accomodare sul divano e si avviò in cucina per prendergli qualcosa da bere. Aiba passò la mano sui cuscini e non riuscì a trattenere un sorriso, durante le settimane di concerto quel posto era così comodo: con i muscoli a pezzi, poca voce e ancora le palpitazioni accelerate, quel cantuccio era stato un'oasi di pace in cui aveva potuto rilassarsi. "Era un po' come tornare a casa" si disse, poi un forte rumore di piatti richiamò la sua attenzione e quando guardò verso la cucina non vide più Kokoro. Si alzò in piedi di scatto «Hanayaka san?» la richiamò quando la vide accovacciata a terra «Ti sei fatta male? Cos'è successo?» chiese preoccupato, chinandosi su di lei. La ragazza scosse il capo e si girò a guardarlo: non stava piangendo, ma mancava poco e aveva l'espressione più triste che potesse immaginare. Non l'aveva mai vista così, nemmeno quando mesi e mesi prima pensava di essere stata respinta, nemmeno quando avevano litigato. Mai. «Ti sei fatta male?» chiese di nuovo, lentamente, non riuscendo a staccare gli occhi da quella maschera di tristezza. Non aveva niente a che vedere con la ragazza tranquilla che aveva visto fuori dalla porta, quando avevano parlato con l'anziana vicina. Ora tremava leggermente. «Abbracciami» fu la sola parola che gli disse prima di allungarsi verso di lui. Si sedette a terra, stancamente, e sarebbe caduta distesa se Aiba non fosse stato lì. Lui appoggiò le ginocchia al pavimento e la abbracciò, così come gli era stato detto. Con un braccio intorno alla vita e uno dietro la schiena della ragazza, la fece appoggiare contro il proprio petto. Non trovò nessuna parola da dirle e quando finalmente sentì i primi singhiozzi riuscì solo a stringerla più forte.
Ascoltò Kokoro piangere, senza dire nulla, per almeno venti minuti. Per tutto quel tempo non si mosse, ma rimase inginocchiato a terra tenendola tra le braccia, con la guancia appoggiata ai suoi capelli. Quando la sentì che finalmente tratteneva un po' i singhiozzi e regolava il proprio respiro per calmarsi, prese fiato per parlarle. «Ascolta, ho saputo e...» si bloccò per schiarirsi la voce e pianificare bene cosa dire: aveva cominciato a parlare solo spinto dalla voglia di comunicarle qualcosa che l'aiutasse, ma in realtà non aveva ancora pensato a come esprimersi. «Aiba san» disse invece Kokoro, passandosi le mani sugli occhi. La voce le tremava dato che, nonostante si fosse calmata, ancora non aveva smesso del tutto di singhiozzare. «Prima che tu dica qualsiasi cosa staresti a sentire me?»
«Si, certo» annuì e allentò un poco la stretta del suo abbraccio per lasciarla muoversi meglio
«L'altro giorno ho detto di aver paura di molte cose. Te le ho dette tutte ed ero sincera, ma... c'è un'altra verità» spiegò parlando piano, con mille pause. Masaki sciolse l'abbraccio per lasciarla libera di ravviarsi i capelli e togliersi le lacrime dalle guance. Quando lo guardò in faccia le sorrise dolcemente e allungò una mano per metterle una ciocca dietro l'orecchio. «Dimmi» la incitò
«Ciò che mi fa più paura di non poterti vedere per tanto tempo, di non poterti prendere per mano o non poter dire a nessuno che sei il mio ragazzo... più di tutto ho paura di perderti» disse piano, con sincerità «Non voglio stare senza di te»
«Ma non mi perderai e di certo non sei sola» spiegò Aiba con pazienza «Tante persone ti vogliono bene sai? Ho saputo che mia mamma è passata da te oggi e chi mi ha avvisato dell'accaduto è stato mio fratello. Sbaglio o vi conoscete abbastanza?» sorrise divertito
«No, no, non hai capito» scosse il capo. Improvvisamente la sua voce era più ferma e parlava più velocemente, come presa dall'urgenza. «Non voglio gli altri, voglio te»
«Con la scomparsa della maestra soffri di complesso dell'abbandono?» domandò piegando il capo di lato, continuando a sorridere leggermente, divertito
«No, questo non c'entra» scosse il capo «Cioè, un po' c'entra... da quando ho saputo, ieri mattina, non ho pianto. La maestra è scomparsa da quasi due giorni e ancora non avevo pianto. Tante persone sono venute al negozio oggi e ognuna ne ha parlato: loro piangevano, io no. Però poi ti ho visto sulla porta di casa... ti ho visto lì e ho sentito come se solo allora fosse arrivato il momento giusto: potevo essere sincera, potevo piangere e strepitare, disperarmi quanto volevo, ora che eri con me». Aiba avrebbe voluto fare una battuta, del tipo che detta così non sembrava fare un bell'effetto la sua presenza e invece sentì gli occhi pizzicargli. Sapeva di avere la lacrima facile, in quel momento però avrebbe voluto essere forte e non mettersi a piangere anche lui. «Ah scusa» farfugliò passandosi le mani sul viso cercando di trattenersi «E' che... mi sa che mi sto un po' commuovendo»
«Aiba san» sospirò rimettendosi a lacrimare anche lei «Non mi lasciare. Ti giuro che non penserò più che sarà tutto facile e che ce la posso fare, che basteranno i sentimenti. Non lo farò più col rischio di rendermi conto troppo tardi di aver sottovalutato la situazione e di averti ferito. D'ora in poi penserò solo che se non ci provo non posso sapere come sarà, d'ora in poi ti dirò tutto e sarai il primo a sapere. Qualsiasi sia il tipo di sentimento che nascerà tra noi, voglio affrontarlo perchè sento che se sarai con me sarà meno dura. Non voglio scappare. Ho sbagliato, ma ora so che voglio un'altra possibilità» si lasciò sfuggire un altro singhiozzo. Il ragazzo tirò su con il naso sbattendo le palpebre nel tentativo di ripulirsi gli occhi dagli ultimi residui di lacrime. «Non voglio lasciarti, sai? Altrimenti non avrei continuato ad aspettare» disse cercando di parlare con voce ferma «Ho capito perchè tu avevi paura, mentre io ero più sicuro: perchè io sono molto più sicuro dei tuoi sentimenti per me di quanto tu non lo sia dei miei»
«Ma no io...» fece per ribattere la giovane, prima che Masaki le accarezzasse una guancia e le togliesse il fiato con quel gesto
«Razionalmente, li conosci... ma è il tuo cuore ad essere insicuro. Il mio invece non lo è perchè sa... perchè tu gli hai parlato, te lo ricordi? Nel parco del quartiere, la scorsa primavera. Mi ero addormentato sotto un albero e quando mi sono svegliato ti ho trovato al mio fianco. Tornando a casa, vicino alla fontana, mi hai detto cosa provavi per me» lei annuì stringendo le labbra, cercando di concentrarsi sulle parole di Aiba «Da allora il mio cuore conosce i tuoi sentimenti, il tuo invece no perchè sono il re di scemolandia e non te l'ho mai detto. Ma adesso non voglio che ci siano altri dubbi: mi piaci. Mi piaci con la felpa di Doraemon e con il kimono tradizionale, mi piaci addormentata sull'erba e sveglia e attenta quando fai il tuo lavoro. E, lo ammetto, mi piace che tu sia gelosa di me, perchè io lo sono di te. Tantissimo» concluse la sua dichiarazione continuando a guardarla negli occhi. "Sarò in grado di sostenerla? Sarò in grado di portare avanti questo rapporto? Faccio sempre così tanti pasticci e non sono bravo in niente, ma se ho quattro buoni amici che nonostante tutto mi sopportano da dieci anni, posso anche avere qualche chance di riuscire a cavarmela anche con un'altra relazione importante... o no?" si diceva. Le sue parole erano suonate molto cool persino alle sue orecchie, ma la verità era che anche lui aveva un po' paura, solo che, se Kokoro fosse rimasta con lui, allora avrebbe accettato di affrontare quel timore ad ogni costo. Si guardarono seriamente per qualche secondo e Aiba le passò il pollice sul viso per toglierle una lacrima che cadeva più lentamente delle altre. La accarezzò poi lasciò il palmo della mano sulla sua guancia avvicinandosi a lei. L'ultima cosa che vide prima di chiudere gli occhi era che gli stava venendo incontro. Forse era per il momento particolare che stavano vivendo, ma le labbra di Kokoro sembravano più morbide delle altre volte. Erano umide, bagnate dalle lacrime, salate, eppure quello era sicuramente il bacio più dolce era tutti quelli che si erano dati.
Le passò la punta della lingua sulla guancia sinistra per toglierle un'altra lacrima e le abbracciò i fianchi quando lei sollevò le braccia per passargliele intorno al collo. Piegò leggermente il capo e la baciò ancora. Quando le accarezzò la lingua con la propria la strinse più forte, desideroso di non lasciarla andare mai più, qualsiasi cosa fosse successa: ora lo sapeva, gli era costato un gran coraggio, ma le si era dichiarato con chiarezza quindi da quel momento in poi quella era la sua ragazza, sua soltanto e non l'avrebbe mai lasciata a nessuno. Sempre più consapevole di quel sentimento che si rafforzava nel suo cuore la abbracciò forte finchè non la sentì aderire al suo corpo: i seni che premevano morbidi contro il suo petto, il suo respiro che gli riempiva le orecchie e l'inconfondibile odore di biscotti che la sua pelle sembrava emanare naturalmente. Prima ancora di rendersene conto le stava già accarezzando la schiena sotto la maglietta, ma venne fermato da lei che interruppe il bacio e si allontanò un po' dal suo viso. «Aiba san» pronunciò piano. Quando riaprì gli occhi la vide che era arrossita «Cosa?» chiese deglutendo
«Non... non fraintendere. Non è che non voglia, ma...» tirò su con il naso lasciando la frase in sospeso
«Sì, hai ragione... hai ragione, scusa» annuì allentando la stretta «Scusa, non è il momento più adatto. Non so cosa mi sia preso» disse impacciato
«Io credo che sappiamo entrambi cosa ti ha preso, però... non voglio che sia oggi. E' una brutta giornata, voglio dire... tutto questo è bello, ma è comunque una giornata terribile e non voglio fare niente oggi. Non me la sento» spiegò abbassando gli occhi
«Non devi spiegarmi niente» aggiunse subito Masaki, quindi si rialzò in piedi «Hai perfettamente ragione, non preoccuparti. Forza alzati» la incitò tenendole le mani per aiutarla. Si rimisero entrambi in piedi. «Alle dieci e mezza devo essere in radio per preparare la trasmissione. Dovrei metterci un'oretta da qui, quindi fino alle nove e qualcosa posso rimanere: cosa vuoi fare? Ti dò una mano con la cena? Oppure vuoi parlare un po'? Ti ascolterò se vuoi» annuì con decisione sistemandosi la camicia che sul davanti era un po' umida dato che Kokoro ci aveva pianto sopra. «Non ho fame» rispose scuotendo il capo «E non ho voglia di parlare ora, ma... se sei disposto a fare qualsiasi cosa allora averi una richiesta» spiegò prima di tornare ad abbracciarlo per i fianchi
«Ma sì, qualsiasi cosa umanamente possibile la farò, prometto» ridacchiò accarezzandole i capelli.

Quando Kokoro aprì gli occhi fu per una folata di vento che aveva fatto tremare i vetri della finestra. C'era già luce e dato che non aveva tirato le tende tutta la camera da letto era illuminata nonostante, alzando lo sguardo al cielo, si vedessero solo nuvole grigie. Dopo i primi momenti in cui dovette abituare gli occhi si guardò intorno: la coperta era stropicciata perchè si era addormentata sopra di essa e non sotto, indossava ancora i vestiti del giorno prima e la sveglia sul comodino segnava le cinque di mattina. Quando tentò di muoversi sentì qualcosa che la tratteneva e si girò leggermente quando si rese conto che qualcosa appoggiava alla sua schiena: Aiba dormiva placido alle sue spalle, con un braccio sotto il cuscino e uno intorno al suo fianco per tenerla vicina. Lo scrutò per pochi secondi prima di raccogliere i pensieri ancora confusi dal sonno. Masaki era andato da lei la sera prima, le si era dichiarato e poi aveva accettato di rimanere finchè non si fosse addormentata. Si erano stesi sul letto e lei aveva ripreso a piangere silenziosamente, ma il ragazzo l'aveva abbracciata senza fare niente se non attendere che prendesse sonno, esattamente come gli era stato chiesto. Ricordava poi di essersi svegliata perchè qualcuno bussava alla porta di casa. Quando si era alzata lui non era più lì, era probabilmente andato a lavoro, ma la delusione di non ritrovarselo al fianco venne rimpiazzata dallo stupore quando scoprì che chi bussava era proprio Aiba che, finita la trasmissione, si era fatto di nuovo tutta la strada per tornare. Entrambi stanchi erano tornati al letto e si erano addormentati: quella notte aveva dormito profondamente, stanca per il pianto, stanca per tutti i discorsi difficili fatti. Ora che era sveglia si sentiva molto più riposata e, liberatasi anche del peso delle lacrime non versate, si sentiva anche più lucida, la mente sgombra, i pensieri più tranquilli.
Si girò sul materasso per voltarsi verso Masaki e con un sospiro si rannicchiò contro di lui, nascondendo il viso contro il suo collo, seriamente intenzionata a continuare a dormire, ma le sue parole le impedirono di riaddormentarsi. «Ti sei svegliata?» domandò a bassa voce
«E io ho svegliato te?» fece a sua volta allontanando il capo per guardarlo in faccia. Aveva gli occhi socchiusi, ridotti a due fessure, e la fissava ancora mezzo intontito. «Forse sì» rispose «Vorrà dire che per punizione dovrai assecondare un mio capriccio» biascicò ritirando il braccio e rannicchiandosi su se stesso
«Te lo meriti, cos'è?» ammise Kokoro
«Io sto ancora un po' qui a sonnecchiare, ma tu mi fai la colazione» propose richiudendo gli occhi e muovendo la testa sul cuscino, come cercando un punto più morbido. La ragazza sorrise divertita, quindi si alzò pigramente dal letto e, silenziosa, uscì dalla camera da letto chiudendo la porta per non svegliarlo con i rumori che avrebbe fatto in cucina.
Si preannunciava una giornata di brutto tempo: quella mattina faceva così fresco che una tazza di te caldo sarebbe andata benissimo. Si era abituata alla colazione continentale in Francia e ogni tanto le piaceva preparare quella invece che una più tradizionale. Mise a scaldare l'acqua e sistemò un piatto sul tavolo della cucina aprendo le buste dei biscotti. Si sedette con un sospiro stanco e cominciò a sistemarli su di esso alternandoli tra loro come se dovesse fare una decorazione. Mentre si dilettava in quel passatempo ripensò alla sera prima. "Avrà avuto ragione? Ero insicura solo perchè non mi aveva mai detto dei suoi sentimenti?" si chiese "Chissà... ma non importa, ormai ho deciso. Piuttosto cosa mi sarà successo? Non ho mai pianto, nemmeno davanti alle clienti che ricordavano la maestra e raccontavano momenti toccanti, ma è bastato vedere Masaki perchè qualsiasi cosa bloccasse la mia tristezza si sgretolasse e mi lasciasse sfogare liberamente". Mise le bustine nell'acqua e poi preparò un caffè se lui ne avesse voluta una tazza prima di andarsene. "Ah... devo chiamare la famiglia della maestra, devo anche avvisare Erina di quel che è successo... si è impegnata tanto per noi. E poi... già, c'è qualcuno con cui devo parlare" riflettè "Assolutamente".
Fecero colazione con Aiba che le raccontava di come funzionava il programma che avrebbero girato in diretta quel sabato sera. Per le sei avevano finito, lei si era cambiata e lui si era dato una rinfrescata. «Quando li chiami?» domandava il ragazzo mentre uscivano dall'appartamento
«Poco prima di aprire penso. Spero di incontrarli presto, non ho idea di cosa vogliano farne del negozio» rispose Kokoro chiudendo la porta a chiave. Nonostante lo sfogo di quella notte i dubbi rimanevano, però sentiva di poterne parlare, quella mattina era certa che, in un modo o nell'altro, tutto si sarebbe sistemato: se Masaki era con lei le sembrava di essere più forte. «Ehi» la richiamò lui tirandola per la felpa «Qualsiasi cosa accada d'ora in poi ti starò vicina per affrontarla, va bene?» disse a bassa voce
«Sì. E scusami se...» fece per rispondere
«No, non devi dire "scusa", ma "grazie"» la rimproverò avvicinandosi pericolosamente al suo viso
«Grazie» sussurrò guardando le sue labbra «Qui?» domandò arrossendo e spostando gli occhi intorno a guardare il corridoio
«Alle sei di mattina chi vuoi che ci sia?» rispose lui a bassa voce prima di abbassarsi per baciarla. Fece appena in tempo a toccarle le labbra. «Io, per esempio» sentì pronunciare. Entrambi si allontanarono di scatto e guardarono verso le scale dove Makoto era appena comparso: indossava una tuta comoda, un berretto con visiera e portava sulla spalla un borsone pesante. «Makoto kun, buongiorno» salutò Kokoro arrossendo per essere stata vista proprio in un momento tanto intimo «Stai partendo?»
«Vado con il club di basket in montagna questo weekend, è un ritiro di allenamento per il campionato invernale» rispose il ragazzo scendendo gli ultimi gradini «Fate più attenzione» aggiunse semplicemente, passando al loro fianco. La ragazza allungò una mano a cercare quella di Aiba e la nascose dietro la schiena «Makoto kun, prima che tu vada posso parlarti?» domandò a voce alta e chiara, serrando le dita intorno a quelle del giovane con lei, come se ne ricavasse coraggio. Mentre preparava la colazione aveva deciso di chiarirsi con Makoto anche se non pensava avrebbe avuto l'occasione di farlo così presto. «Cosa?» fece questi brusco, fermandosi e alzando lo sguardo scocciato su di lei. Kokoro prese un profondo respiro «So che tu non mi hai mai detto niente, quindi potrò suonarti un po' arrogante, ma... voglio che tu sappia che io sto con Aiba san»
«Sì, sì... guarda che lo sapevo già» sbuffò il ragazzino e fece per andarsene
«La stai mettendo in difficoltà, sai?» si intromise Aiba «Ti comporti di modo da far capire i tuoi sentimenti, ma non parli con chiarezza così che lei non possa essere altrettanto franca»
«Non ho capito. Cosa vuoi da me?» domandò accigliandosi
«Che tu dica la verità: provi qualcosa per Kokoro, non è vero? Dillo una volta per tutte invece di continuare a tenerla in questo stato» rispose Masaki
«Non ci penso proprio!» esclamò il ragazzino posando la borsa a terra «Tu vuoi che lo faccia perchè così mi può respingere!»
«Lo sai quindi?» fece la ragazza «Ma se continui così ho l'impressione che l'unico modo per fartelo capire bene sia dirtelo chiaramente». Lo vide guardarla negli occhi, aveva un'aria arrabbiata «Allora fallo» si strinse nelle spalle «Fai come se ti avessi detto tutto e dimmi quel che hai da dire»
«Io non vorrei... ti voglio bene Makoto kun, ma...» si bloccò. Avrebbe voluto spiegargli per bene cosa le passava per la testa, cosa provava per lui, ma aveva l'impressione che in quel momento allungare la discussione non sarebbe servito ad essere chiara nè a rendere meno amara la pillola. Aiba le strinse leggermente la mano e quindi riprese a parlare. «Ma non nello stesso modo in cui credo me ne voglia tu» concluse «Mi dispiace». Lo guardò sospirare e piegarsi a recuperare il borsone. Ci mise qualche secondo a sistemarselo sulla spalla quindi si calcò meglio il berretto sulla testa e tenne lo sguardo basso. «Bene, grazie per la chiarezza. Ora credo di dover andare o farò tardi» disse rapidamente prima di inchinarsi leggermente e avviarsi all'uscita
«Fai buon viaggio» disse Kokoro prima che il ragazzo fosse troppo lontano per sentirla.


Sono molto molto stanca. Questo capitolo mi ha richiesto parecchia energia e non so nemmeno dire bene perchè. E' un capitolo triste, ma felice insieme, dato che i due chibi (li amo) finalmente chiariscono... forse è scrivere di cose tristi che mi sfianca, non so. Io spero solo di aver reso bene, perchè non ho mai perso nessuno di vicino quindi non ho effettivamente idea di come ci si possa sentire. Spero di non aver esagerato, nè di aver reso la cosa troppo fiacca. Non volevo scadere nel melodramma, ma nemmeno rendere la cosa troppo leggera, perchè la maestra è una persona importante per Kokoro e perchè tutto il suo futuro comincia a traballare con questo fatto.
Comunque... volevo dedicare questo capitolo ad una nuova lettrice WhenItsTime: non so bene cosa ti affligga, ma se questa ff ti dà una mano a fuggire dalla realtà e a distrarti... bhe, sono felice. E' bello aiutare gli altri, anche se... ahahah... non so come faccio XD
Intanto ringrazio pure la mia Shizuka, perchè continua a leggere.
Chiunque legga è importante per me, soprattutto perchè avendo pochi lettori, sapere che a loro una cosa piace o no è importante e... beh, sprona ad andare avanti (del resto, ho presto a scrivere più rapidamente il capitolo 31 proprio spinta dai nuovi commenti di WhenItsTime =P)

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Capitolo 33
*** 32. Honesty is honestly the hardest thing ***


Jun spinse le pesanti porte della palestra con un misto di divertimento e curiosità. Era vero che quella mattina si era alzato con l'umore peggiore che avesse mai avuto, ma ora gli era passata, non era stato contento di doversi svegliare presto di domenica, ma gli era passata. Sho era uno che ascoltava e dava consigli, raramente uno che si confidava e infatti non aveva parlato a nessuno di quella situazione con Erina (anche se avrebbe scommesso che qualcosa il Riida lo sapeva: con lui si confidavano anche i sassi!). Aiba gli aveva accennato qualcosa perchè conosceva la ragazza da tempo: non gliel'aveva detto chiaramente, ma a Jun era sembrato lampante fin dal primo momento che quel sentimento che aveva scoperto in Sho solo ultimamente doveva essere invece una cosa covata per anni. Non l'aveva mai visto così attento e in apprensione per cose che non riguardassero gli Arashi e il lavoro o la sua famiglia. Insomma era curioso vedere come un tipo così sicuro di sè e sempre con i piedi ben piantati a terra si rivelasse un completo imbranato davanti ad un paio di begli occhi castani e riccioli rossi. Solo per quello si era convinto ad accompagnarlo quella mattina: per divertirsi alle sue spalle.
Il palazzetto dello sport era pieno di rumore, ma gli spalti non erano gremiti. «Oh beh, te l'avevano detto che è solo una delle prime partite della serie... cos'è? B1?» domandò Jun guardandosi in giro per cercare due seggiolini liberi nella prima fila in basso: voleva vedere bene il campo e quella mattina si era tenuto su gli occhiali, quindi avrebbe dovuto sforzare troppo gli occhi se si tenevano lontani. «Non... non me lo ricordo» rispose l'amico, la tensione perfettamente percepibile nella sua voce
«Vabbè, non importa» sospirò cominciando a scendere le scale «Spicciati o non vedremo niente della partita. Mi sa che stanno per finire il secondo set» lo richiamò quando si accorse che lo stava seguendo molto lentamente come se stesse perdendo la voglia di essere lì. Non gli avrebbe mai permesso di tornare a casa arrivati a quel punto.
Finalmente si accomodarono in prima fila, sovrastando il campo dal lato sinistro. Bastò un'occhiata per individuare i capelli rosso fuoco di Erina, mentre ci mise un po' di più a capire quale fosse la sua amica, Tomomi, conosciuta un paio di settimane prima. «E' il numero sette?» domandò socchiudendo gli occhi
«No, il tredici» rispose Sho
«Non parlo di Erina san, ma della sua amica»
«Ah... dunque... sì, sì è lei» annuì quello. "Che brutto essere miopi" sospirò tra sè, quindi incrociò le braccia sul tubo metallico che faceva da parapetto davanti alla prima fila degli spalti e appoggiò il mento nell'incavo del braccio mettendosi a fissare la partita apparentemente concentrato, ma lasciando vagare i propri pensieri. "Non fosse per Sho me ne starei a letto ora, ma è meglio così. Mi costa molto, ma sto cercando di uscire di più ultimamente. Devo ammettere che sto facendo del mio meglio: bravo Jun, proprio bravo. Eppure sembra ancora troppo presto per vedere gli effetti di questi sforzi. Sì, non devo avere fretta: tempo al tempo". Rifletteva così tra sè seguendo la palla quando la squadra di Erina, in maglia azzurra, chiese un time out. Seguì il numero sette, scritto in bianco e bello grosso sulla schiena di Tomomi e si accorse solo allora che la loro panchina era poco distante da loro. Riconobbe con quella sua altezza incredibile (con i tacchi di quella sera arrivava ad essere alta quanto lui e aveva notato che aveva messo tacchi tanto modesti da essere appena degni di esser chiamati tali) e i capelli lunghi, liscissimi, raccolti in una coda alta sulla nuca. "Probabilmente riscuote molto successo sul posto del lavoro. Non ha una bellezza sfacciata, ma non passa inosservata. O forse no... chissà. Mi è sembrata una persona particolarmente schietta, alla gente non piace l'eccessiva sincerità. Già... le persone sono false, anche lei faceva del suo meglio per esserlo tanto quanto loro pur di essere appezzata. Quanto è stato difficile convincerla che anche la verità conquista le persone, spesso le migliori anche se poche". Stava rientrando in uno di quei suoi momenti in cui pensava troppo, in cui si abbandonava ai ricordi e alla tristezza, ma ci pensò Tomomi a non fargli imboccare quella strada, alzando lo sguardo stanco verso gli spalti e fissandolo corrucciata. O almeno così se la immaginò, non vedeva così bene da poter indovinare anche la sua espressione, comunque guardava da quella parte e non stava salutando. Forse non l'aveva ancora riconosciuto. Fece un sorriso e alzò una mano per muoverla leggermente, con discrezione. La vide rispondere alzando il braccio a sua volta, con molta calma. Folgorato da un'idea e non sentendo Sho parlare, continuò a guardare verso la ragazza e si mise un dito sulle labbra facendole segno di non dire nulla. «Vado un attimo in bagno mentre fanno una pausa» disse poi alzandosi in piedi
«Uhm.. eh? Ah sì, ok» annuì distratto
«Ma stai bene?» sospirò
«Sì, sì... mi sto solo figurando il discorso da fare nella testa. Se non lo faccio poi mi dimentico le cose e poi quella scema è capace di interrompermi e farmi perdere il filo» spiegò Sho con l'aria concentrata. Jun trattenne a stento una risata divertita, scosse il capo e risalì le scale a grandi falcate. Una volta lasciati gli spalti si affrettò a tornare a piano terra. Mentre si dirigeva verso i corridoi per gli spogliatoi tirò fuori entrambi i due cellulari che aveva con sè e chiamò uno con l'altro. Rispose e lasciando aperta la linea si nascose il primo in tasca. «Scusi» disse ad un ragazzo dello staff del torneo che controllava gli accessi al campo «Scusi, sono un conoscente di una giocatrice. La stanno chiamando dall'ospedale urgentemente. E' un medico che lavora lì quindi immagino sia importante» quello lo osservò impassibile «Sì, so che non posso andare, ma può portarle lei il cellulare? Rimarrò qui per riprenderlo, non mi muovo, lo giuro» concluse con aria innocente, porgendogli il cellulare. Questi gentilmente chiese il nome della giocatrice, prese l'apparecchio e si allontanò rapidamente. «Boccalone» sospirò Jun allontanandosi per appoggiarsi al muro e tirar fuori il cellulare rimastogli.
⎨Parla Nomura⎬
«Nomura san?» chiese divertito «Scusa se ti ho spaventato, non era l'ospedale: sono Matsumoto Jun»
⎨Matsumoto san? Allora eri proprio tu sugli spalti?⎬
«Ma come, mi hai pure salutato!»
⎨Sì, cioè... è vero, ma non credevo fosse possibile. C'è anche Sakurai san con te vero?⎬
«Erina san non ci ha visti vero?»
⎨No è troppo presa dalla partita e poi se vedesse Sakurai san farebbe finta di nulla. E' infuriata⎬
«Posso capire. Siamo qui apposta, Sho kun vuole spiegarsi, ma immaginavo che invece lei non volesse vederlo. Puoi aiutarmi?»
⎨Cosa stai tramando?⎬
«Quanto avete di pausa tra il secondo e il terzo set?»
⎨Venti minuti⎬
«Benissimo. Dimmi dove possiamo incontrarci e ritroviamoci lì tutti e quattro. Poi li lasceremo da soli a chiarirsi: dobbiamo incastrarli senza che possano sfuggire alla situazione»
⎨Matsumoto san...⎬sembrò titubante per qualche secondo⎨Cosa ti fa pensare che io stia dalla tua parte invece che da quella di una mia amica?⎬
«Mi sei sembrata troppo intelligente per non capire che Sho kun non ne combina una giusta, ma ricambia a pieno i sentimenti di Erina san. E poi sono certo che, anche sembri severa con lei...» sorrise leggermente «... le auguri solo il meglio» gli sembrava di descrivere uno di loro e per questo parlò divertito, dimentico dei pensieri angoscianti di pochi minuti prima sugli spalti.⎨Chi mi assicura che il tuo amico sia "il meglio"?⎬domandò incredula
«Io» ridacchiò
⎨Alla faccia della garanzia!⎬rimase in silenzio qualche secondo mentre le compagne di squadra la chiamavano per rientrare in campo⎨Quando finisce il set può darsi che le guardie lascino scoperto il corridoio per qualche minuto. Entrare nei corridoi degli spogliatoi: terza porta a destra, aspettate lì⎬
«Che scusa mi invento per portarlo lì»
⎨Che ne so io? Qui sei tu la mentre criminale, non io!⎬sospirò Tomomi prima di chiudere la comunicazione.
"Mi spalleggerà veramente?" si domandò Jun mentre osservava il proprio cellulare, aspettando l'omino della sicurezza che avrebbe dovuto riportargli l'altro "Forse sì... ma non sembrava convintissima, non so". «Mi scusi e grazie mille per quello che ha fatto» pronunciò cortesemente quando gli venne ridato l'apparecchio. Se ne tornò rapidamente sugli spalti, preoccupato di ciò che avrebbe potuto pensare Sho di quella sua lunga assenza. "Non importa, se non mi aiuterà avrà le sue buone ragioni, così come io avrò le mie per andare anche negli spogliatoi della squadra e prendere Erina san di peso". «Ci ho messo un po' scusa... chissà come mai c'era fila alla toilette maschile!» si scusò rimettendosi al suo posto di fianco all'amico
«Mh?» fece quello sbattendo le palpebre e fissandolo confuso «Oh cavoli... mi ero dimenticato che eri andato via. Dov'è che sei stato?»
«Uff... Sho» mugugnò indispettito: tanta preoccupazione per nulla. «Lascia perdere, dai che sta per finire il secondo set».

«Così non va proprio sai? Ti spiego io cos'è successo!». Erina, in preda all'ansia, era l'unica di tutta la squadra a parlare. In parte perchè le altre che stavano in campo con lei erano a corto di fiato, in parte perchè chi era in panchina era tanto teso e preoccupato per la partita da non riuscire ad aprire bocca. «Ci hanno sottovalutate, mentre noi ci siamo impegnate e il primo set l'abbiamo vinto facilmente. Nel secondo invece le nostre avversarie hanno capito di aver sbagliato e hanno alzato la guardia, ma di più! Ci hanno dato dentro e noi siamo rimaste travolte. Ecco perchè questo set è stato una schifezza»
«Eri chan, smettila, non è il caso» mugugnò Ying facendosi portavoce delle altre. Tomomi non rispondeva nonostante fosse al suo fianco mentre si avviavano verso lo spogliatoio dopo la fine del secondo set. Uno a uno. Il terzo era quello decisivo. Ma non era la partita il suo pensiero principale. "Che faccio? Lasciamo da parte il fatto che aver rivisto Matsumoto san così presto e senza troppe macchinazioni sia stato fantastico. Lasciamo da parte il fatto che quella conversazione tanto segreta al cellulare e quel momento di complicità siano stati esaltanti... sì, a parte questo: che faccio? In un certo senso mi sento come se avessi il futuro di Erina nelle mie mani". «Se non vinciamo il prossimo set siamo fuori, capito? Out! Ciao, ciao al campionato invernale! Non possiamo permettercelo» continuava imperterrita la rossa. "Non è per Sakurai san, non dubito di lui: anni fa lei gli piaceva, ora gli piace ancora, è coerente, è tenace. Un pasticcione, certo, e messo in coppia con quest'altra rincitrullita non se ne ricava altro che complicazioni, vero anche questo... ma è sincero. Per me, che lo vedo dall'esterno, il suo affetto per Erina è un sentimento talmente chiaro e genuino da farmi venire voglia solo di aiutarlo. Il problema invece è lei. E' certa di essere innamorata, ma è tanto insicura di se stessa che senza prove evidenti dell'essere ricambiata rimane in bilico e non prova a pieno il sentimento che invece Sakurai san meriterebbe" si sedette sulla panchina degli spogliatoi con un sospiro e si sciolse la coda, scompigliandosi i lunghi capelli neri. «Dobbiamo coglierle di sorpresa. Lo so che non siamo una squadra di serie A, ma.. diamine, se vogliamo possiamo batterle no? Allora buttiamoci, corriamo dietro a tutte le palle, sfruttiamo ogni buco della loro difesa, tartassiamole fine a farle tremare sulle gambe. Dobbiamo vincere! Voglio vincere accidenti! Non voglio uscire dal campionato dopo la prima partita un'altra volta!» stava ancora dicendo l'amica
«Kōmō, siamo tutte spompate. Dove lo nascondi il tuo terzo polmone per stare qui a fare il sermone come se fossi il coach?» domandò una compagna di gioco. "Balle... la verità è che se non la porto in quello spogliatoio rimarrà arrabbiata con Sakurai san, Fujimiya san tornerà a farle la corte e l'anno prossimo potrebbero già essere sposati e vivere in una casina tutta loro. Lei farà il suo lavoro, uscirà con noi a bere, verrà ancora a giocare e si strafogherà di budini e hamburger ogni volta che perderemo una partita. Se invece ce la porto parlerà con lui, capirà tutto e una volta realizzato di essere ricambiata sarà capace di dare a quel ragazzo ben più dell'affetto dolce e gentile che si aspetterebbe da una donna. Se si metterà con lui nessuno sa cosa potrebbe succedere di qui ad un mese, perchè lui stesso è un partner dalla vita imprevedibile ed io... io potrei non avere più la mia amica come invece ce l'ho ora". La mora alzò lo sguardo a fissare Erina che continuava a parlare e gesticolava furiosamente: quando era su di giri sembrava proprio una straniera, non aveva alcun autocontrollo. «Basta Kōmō, hai rotto!» esclamò incrociando le braccia
«Scusa?» domandò la rossa, bloccandosi
«Ho detto che non ne posso più, piantala di parlare» ripetè alzandosi in piedi «Sei una piattola, sei asfissiante, sei peggio di una sciarpa di lana in pieno agosto o di una gomma masticata tra i capelli»
«Una go...» fece balbettante, ma gli morirono le parole in gola, troppo allibita per dire altro. «Oh brava, sta zitta» sbottò prendendola per l'avambraccio «Ora lascia respirare le altre e vieni con me a bere una cosa fresca per calmarti. Ti odio quando sei isterica» concluse trascinandola via.
Lo spogliatoio maschile era sull'altro lato del corridoio, qualche porta più avanti rispetto a quella da cui uscirono loro. "Ce l'avrà fatta a passare?" si domandò tra sè, realizzando che se fosse entrata e non avesse trovato nessuno avrebbe fatto la figura della scema. «Sei stata scortese» diceva Erina mentre si lasciava trascinare docilmente. La conosceva, quel suo parlare a macchinetta era un modo per mantenere l'adrenalina in circolo e rimanere pronta per il nuovo set, ma non poteva stressare anche il resto della squadra dato che in campo non giocava da sola. Comunque Tomomi non le rispose nemmeno, spalancò la porta e trascinò l'amica dentro allo spogliatoio. «Ehi! Qui non possiamo entrare!» esclamò prima di accorgersi delle due presenze dentro la stanza
«Bene, io e Matsumoto san abbiamo qualcosa di cui parlare» pronunciò di getto la mora, senza nemmeno salutare Sho "Sì, intanto tu vai, parla, realizza che Sakurai san è l'amore della tua vita e sparisci dalla mia esistenza". «Quindi voi due rimanete qui e fate la guardia!» comandò imperiosa, ricominciando a sudare come se fosse stata ancora in campo. Gli altri tre la fissarono «La guardia a cosa?» ebbe la forza di chiedere Sho, staccando lo sguardo stupefatto dalla figura di Erina
«A... a...» balbettò guardando Jun in cerca di un aiuto «Alla Hoshi no Tama, come due Kitsune*. Ecco sì. Andiamo?» domandò nel panico. Il ragazzo ridacchiò divertito e si mise dalla sua parte passandole un braccio sulle spalle, molto delicatamente. «Ragazzi, avete circa venti minuti quindi, vi supplico, sfruttateli» pronunciò con calma agli altri due, prima di spingere Tomomi verso la porta «Noi non ve ne ruberemo altri» concluse prima di uscire. La ragazza riuscì a lanciare un'ultima occhiata pensierosa alla propria amica, poi, trascinata fuori, vide la porta dello spogliatoio chiudersi e si sentì in pensiero, ma sollevata. «Tu non sei brava a mentire» asserì Jun appena fuori
«Mi dispiace, ho veramente detto un'idiozia, ma non sapevo che pesci prendere» mugugnò vergognandosi di ciò che aveva detto nella stanza «Sarà colpa di K... Eri chan e delle sue scemenze: finisco con il dirle anche io se non mi concentro»
«In realtà credo che sia stata colpa del fatto che non eri convinta di volerlo fare» asserì il ragazzo, sorridendole gentilmente «Cosa ti ha fatto cambiare idea?»
«Non è giusto avere il potere di decidere del destino di altri» spiegò stringendosi nelle spalle «Comunque vada è bene che ognuno possa scegliere da sè cosa fare della propria vita e dei propri sentimenti. Ho solo rimesso nelle mani di Erina una decisione che spettava a lei soltanto». Il giovane la osservò pensieroso, probabilmente assorto in quelle parole appena dette da lei: sembrava proprio lo stessero facendo riflettere molto, perchè era immobile e silenzioso mentre fissava il suo viso. Andò bene per i primi secondi, poi la cosa diventò imbarazzante e Tomomi distolse lo sguardo. «Rimarremo ad aspettare qui fuori tutto il tempo?» domandò per cercare di distrarlo
«Oh no, certo che no. Se rimanessi qui fuori Sho kun potrebbe farsi prendere dal panico in qualsiasi momento e usarmi come scusa per uscire da questa stanza e scappare da Erina san. No» scosse il capo guardando lungo il corridoio «Prendiamo una boccata d'aria? Anche tu dovrai riposarti». La donna annuì e gli fece cenno di seguirla avviandosi verso l'uscita di sicurezza infondo: dava su uno spazio stretto dove, tra l'uscita della palestra e la recinzione esterna del campo sportivo, c'era solo un sentierino di pietra e degli alberi piantati nelle loro aiuole dal bordo in pietra levigata.

«Perchè lo fai?» domandò Tomomi senza troppi preamboli. "Già, perchè lo faccio?" penso lì per lì Jun. Quel suo comportamento non era normale. «Ho forzato la mano, vero?»
«Un po'... e mi hai chiesto di fare altrettanto. Io te l'ho detto perchè mi sono convinta, ma tu? Non avresti dovuto fare una cosa simile, voglio dire...» si corresse rapidamente «Sakurai san era qui apposta perchè voleva chiarire, non dovevi forzarlo a fare niente»
«Sì, è vero» annuì piano.
Aveva tenuto un comportamento non consono. Lui e gli altri membri ormai si conoscevano da anni ed era normale che ci si confidasse, si chiedesse consiglio. Ma non era mai più di questo. Nessuno forzava gli altri a fare qualcosa. Potevano esserci raccomandazioni, commenti severi, approvazione o sostegno. Una spalla, anzi quattro, a cui appoggiarsi ogni volta che si voleva. Ma costringere uno dei membri, forzarlo in una data direzione: quello no. Certo c'erano state rarissime eccezioni in cui era capitato e una di quelle più vecchie riguardava proprio lui e Sho, ma alla fine aveva concluso che la scelta ostinatamente caldeggiata dall'amico a quell'epoca si era rivelata quella giusta, quindi gli aveva fatto solo un favore. Allora in quel caso era come se Jun gli stesse restituendo quel favore? «Conosco Sho kun. Ho passato con lui metà della mia vita fino ad oggi e anche se non mi aveva mai parlato di Erina san, lo conosco abbastanza per poter dire che se scappasse ora con la questione irrisolta ne soffrirebbe» tentò di spiegarsi sedendosi sulla pietra delle aiuole degli alberi
«Si chiama "rimpianto" sai?» fece Tomomi sedendosi accanto a lui il momento dopo
«Rimpianto, sì» annuì. Aveva evitato apposta quella parola perchè gli faceva male pronunciarla: sentiva una morsa al petto e un lieve ronzio nelle orecchie, come se qualcuno gli sussurrasse costantemente quelle sillabe. Rimpianto. «Non voglio che i miei amici abbiano dei rimpianti. Per quanto mi sarà possibile farò tutto ciò che potrò perchè non accada» pronunciò piano, ma con decisione, più a se stesso che alla donna al suo fianco. «Capisco» sospirò quella
«Capisci?»
«C'è qualcosa che ti tormenta, non è vero?» chiese con tranquillità. Sembrava sapere già la risposta quindi il ragazzo non disse nulla. «L'ho capito dalle tue parole amare la prima sera che ci siamo incontrati. L'ho visto in alcuni sguardi particolari quando siamo andati in quel locale settimane fa»
«Sei una specie di veggente? Molti colleghi sul lavoro non hanno percepito nulla eppure mi hanno visto e mi conoscono molto più di te» ammise Jun aggrottando le sopracciglia e guardando a terra «Oppure sono meno bravo a fingere di quanto io non creda? E la gente è solo sensibile e non mi dice niente?»
«Non lo so» rispose lei stringendosi nelle spalle «Non ne ho idea, è una mia impressione. Comunque... sappi che sorridi molto. E scherzi» specificò piegando il capo di lato. Il ragazzo le fissò i lunghi capelli lisci, nerissimi, che le ricadevano disordinati sulle spalle. Ricordava che i primi momenti in cui l'aveva vista con lo yukata gli aveva ricordato quella persona che ormai non poteva più vedere e che da mesi cercava di incontrare almeno nei sogni, senza alcun successo. Ora la conosceva almeno un po', a sufficienza per rendersi conto che erano due persone totalmente diverse, ma entrambe avevano qualcosa nell'aspetto che lui non sapeva descrivere in alto modo se non come "tipicamente giapponese". "Erano ricci i suoi però. Si ostinava ad arricciarli ogni mattina, dicendo che si piaceva di più con i capelli mossi... ma era bella sempre" sospirò per poi scuotere il capo cercando di riprendersi "Non ora, non adesso che non sono da solo!". «Allora, toglimi una curiosità: chi è il tizio che è venuto a prendervi l'altra sera? Il tuo ragazzo?» domandò cambiando discorso e alzando gli occhi verso l'alto. Non c'era bel tempo, il cielo era grigio chiaro, coperto da una cappa di nuvole, e la temperatura da qualche giorno si era nuovamente alzata. Ancora però non pioveva. Le foglie degli alberi sui rami al sopra delle loro teste erano immobili nell'aria leggermente afosa. «Che?» a quella domanda Tomomi sgranò gli occhi e lo fissò incredula «Vorrai scherzare spero! Uuuuh... fossi matta! Fujimiya san è il classico tipo asfissiante, non lo sopporterei. Sono troppo abituata a stare per conto mio ormai, non sopporterei di dover sempre rendere conto a qualcuno di ogni minima cosa. E poi è un tipo che chiama spesso al cellulare: cosa stai facendo? Dove sei? Brucerei il contratto telefonico per disperazione dopo la prima settimana» tacque per due secondi «A voler essere ottimisti». Jun rise di gusto «Beh si direbbe proprio che tu lo conosca bene in ogni caso!»
«Oh beh lui era... stava con una persona che conosciamo e poi è un collega dello studio di Eri chan» spiegò la donna, titubante
«Capisco. Sembra proprio io abbia sbagliato: non solo non sta con te, ma non è nemmeno il tuo tipo» continuò a ridere «Ma alle ragazze piace quando il fidanzato si fa sentire e chiama, o no? Sembri una dai gusti difficili»
«No, non credo» mormorò arrossendo e abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe da gioco
«No? Allora sentiamo, Qual è il tuo tipo?» domandò a bruciapelo. Come la volta precedente si rese conto che parlare con una persona che ancora non conosceva, fare domande, interessarsi e scoprirla, era un buon modo -per non dire ottimo- per distrarsi dai suoi pensieri tristi. Osservò Tomomi continuare a fissarsi la punta delle scarpe, seriamente, poi alzare lo sguardo, pensierosa, e infine fissarlo negli occhi. «Un uomo serio e intelligente, ma che sappia anche ridere e divertirsi. Sul lavoro conosco tanti che sono seri, ma una volta fuori dall'ambito lavorativo si rivelano degli imbecilli, oppure uomini simpatici e spiritosi che però sono incapaci di fare un discorso serio e dimostrare impegno e dedizione per ciò che fanno» spiegò assorta, concentrata nella descrizione che stava dando
«E deve essere ricco?» domandò Jun curioso, stava ricevendo una risposta inaspettatamente seria e precisa ad una domanda fatta solamente per portare avanti una discussione leggera che facesse passare quei venti minuti. «Uhm... no, non importa» scosse il capo «Mi basta che sia una persona fondamentalmente forte e che abbia delle certezze salde nella vita. Non riuscirei a stare con qualcuno che non sa cosa fare della propria esistenza o che continua a cambiare idea saltando da un progetto all'altro senza combinare nulla. Sarà che io ho sempre avuto chiaro cosa avrei fatto nella vita, fin da ragazzina»
«Sapevi di voler fare il medico?» fece lui sorpreso
«Sì, lo sapevo. Da che ricordo ho sempre voluto fare quel lavoro nella vita, non ho mai avuto altri obiettivi» annuì «Dovevo essere una strana bambina dagli orizzonti ristretti, no? Così li ho ristretti anche in fatto di uomini e sono finita con l'avere degli standard troppo alti» aggiunse poco dopo, leggermente imbarazzata tornando a guardare altrove
«Non sei strana. Io sono uguale!» esclamò Jun indicandosi «Ho sempre voluto fare il lavoro che faccio ora. Da quando sono entrato in agenzia che ero un ragazzino ho sempre fatto del mio meglio per migliorare. Con gli altri al mio fianco è stato anche più bello anche se, per certi versi, ancora più difficile, ma è bello impegnarsi per realizzare un obiettivo comune»
«Mi sa che eravamo gli unici bambini in Giappone ad avere le idee chiare» rise divertita Tomomi
«Siamo strani in due allora» annuì con sicurezza il ragazzo «E comunque... non hai standard alti. Cioè... penso che da qualche parte ci sia qualcuno di serio, ma anche divertente, che sappia ridere ma con intelligenza»
«Ah, non dimentichiamo che dev'essere bello, sensibile e deve avere delle belle mani» aggiunse lei
«Le mani? Perchè?» fece stupito
«Non so... forse perchè ad operare la gente vedo soprattutto le mani? No, abbiamo i guanti... non so, davvero. Sarò una feticista delle mani?»
«Pauraaaa...» sospirò spostandosi a sedere un po' più lontano
«Ehi! Dai, prometto che non te le guarderò» si scusò alzando in aria le proprie, un gesto per sottolineare che non avrebbe fatto nulla di male. «Scherzavo, scherzavo» ridacchiò Jun tornando seduto vicino
«E tu, Matsumoto san? Qual è il tuo tipo di donna?» chiese lei rigirandogli la domanda. Non rispose subito, non per imbarazzo come sembrava essere successo a lei, ma perchè se doveva essere lui a spiegarsi, quel discorso non era più leggero e piacevole come in partenza. Aveva la risposta, anche la sua era chiara e nitida nella sua mente, ma non sapeva se dirla o no, non sapeva se sarebbe riuscito a trattenersi una volta che avesse cominciato ad elencare tutte quelle qualità e quei difetti che avevano rapito il suo cuore tempo prima. «Non saprei... non ci ho mai pensato» mentì abbozzando un sorriso forzato «Ma credo dovrebbe piacerle la cucina straniera. Ogni tanto mi diverto a preparare dei piatti italiani»
«Non ci hai mai pensato? Sei ben strano anche tu, ormai dovresti pensarci o no?» fece lei incredula
«Forse hai ragione» ridacchiò a fatica «Magari comincerò a pensarci su da ora in poi» annuì.
Cadde il silenzio. Persino alle sue orecchie non era suonato per niente convincente, eppure più di così non riusciva a fare. Era la prima volta che parlava di ragazze e amore da molti mesi, non sapeva cosa si sarebbe agitato nel suo cuore o come nasconderlo. «Capisco che questo è un argomento delicato» mormorò Tomomi «Probabilmente, dato che qualcosa ti tormenta, questi discorsi leggeri sono l'ultima delle tue preoccupazioni, ma qualsiasi siano i tuoi problemi, Matsumoto san, sono certa che saprai come andare avanti. Magari hai solo bisogno di tempo»
«Sì, forse» annuì distrattamente
«Solitamente mi occupo di sanare le ferite fisiche del cuore delle persone, ma paradossalmente mi capita di aver a che fare anche con molte emozioni che hanno a che vedere con il "cuore" inteso in maniera più astratta. Non posso dire di essere brava nel trattare quel genere ferite, come invece lo sono con le altre, ma ho... dimestichezza? Diciamo così» si strinse nelle spalle «Quello che voglio dire è che puoi contare su di me... se ti va... anche se ci conosciamo poco». La guardò in faccia e vide che anche lei stava scrutando il suo sguardo, in cerca della sua reazione in quelle parole. Improvvisamente Jun si sentì confuso. «Perchè?» domandò «Faresti questo per me, ma noi non ci conosciamo affatto. Perchè lo faresti?» fece sbattendo le palpebre
«Perche sei interessante Matsumoto san» rispose senza indugio «Perchè sei intelligente e serio, ma so che sai anche ridere e divertirti» aggiunse. Quelle parole bastarono a far diradare un po' della nebbia che aveva nella testa. C'era dell'altro dietro quelle frasi, dietro quella proposta: qualcosa che stava prendendo forma tra loro due man mano che continuavano a parlare e senza che riuscisse a capire come fosse possibile. Assisteva stupefatto allo svolgersi di quella discussione già sapendo, in un angolo della sua mente, come si sarebbe conclusa. «Non sono particolarmente ricco» disse piano
«Te l'ho detto che non importa. E' chiaro l'impegno che metti in ciò che fai, la serietà con cui tratti ogni tuo progetto e responsabilità. E nonostante molte cose dipendano da te sei ancora in grado di scherzare con i tuoi amici, di parlare con molta semplicità a degli estranei, senza darti arie... e, beh, sul "bello e sensibile" non penso ci sia nulla da dimostrare arrivati a questi punto»
«E avrei delle belle mani?»
«Ho promesso di non guardartele, ricordi?» sorrise lievemente. Jun sorrise a sua volta, più che altro di riflesso, e non seppe che cosa dire. «Mi piaci, Matsumoto san».

Deglutì a fatica.
"L'ho detto? Già, l'ho detto. Oh al diavolo, cosa importa?!" pensava mentre si ravviava i capelli con una mano e sospirava guardandosi intorno cercando di ostentare tranquillità "Cosa ho da perdere? Viviamo in due mondi differenti, ci siamo incontrati per caso, pure se dovesse dirmi di no è probabile che non lo rivedrò o comunque non tanto presto, quindi avrei tutto il tempo per farmela passare. Senza contare che è solo un sentimento agli inizi, probabilmente posso stroncarlo sul nascere".
«Ah... tu...» cercò di articolare Jun «Scusa, mi hai colto di sorpresa» pronunciò passandosi una mano sulla fronte
«Sì, veramente mi sono sorpresa da sola» ragionò seriamente Tomomi, cercando così di darsi un'aria tranquilla. Rimasero in silenzio un'altra volta e lo osservò, con la coda dell'occhio, mentre abbassava lo sguardo pensieroso e respirava lentamente. «Sei stata inaspettatamente sincera» disse dopo un po' «O meglio, ho già capito che sei una senza peli sulla lingua, ma non mi aspettavo ciò che mi hai detto. Se l'avessi immaginato allora mi sarei aspettato queste parole, ma... beh. Non ero proprio pronto»
«Non c'è bisogno che dici altro sai?» fece Tomomi alzandosi in piedi, nervosamente, ma stiracchiandosi, come se non le importasse affatto la risposta che Jun avrebbe potuto darle «Capisco bene che è un po' improvvisa come cosa. Non c'è fretta»
«No, no, voglio dire che mi è dispiaciuto il silenzio che è seguito, ma non c'è bisogno di farti penare. Sul serio» rispose prontamente il ragazzo. La donna si voltò a guardarlo: era il suo turno di sorprendere lei, aveva già una risposta? «Ecco... se fosse una situazione normale potrei anche pensarci. Voglio dire che hai una personalità interessante e sei... beh sei carina. Alta forse, ma sono alto anche io» parlò tranquillamente intrecciando le dita tra di loro «E credo che normalmente avrei anche detto "proviamo ad uscire", ma, mi dispiace, non è il caso» scosse il capo «Non posso ricambiare i tuoi sentimenti, perchè sto ancora pensando ad un'altra persona».
Per quanto si dimostrasse forte e menefreghista, rimaneva pur sempre una ragazza. Anche se si atteggiava a cinica donna votata al lavoro quella non era la verità, anzi era pienamente capace di provare dei sentimenti profondi. Non che quello per Matsumoto Jun fosse già da catalogare come "profondo", ma era comunque un sentimento delicato trattandosi di amore, e per quanto appena sbocciato si sentì ferita al sentire quelle parole. «Scusami» fece il giovane alzandosi in piedi e inchinandosi
«Non stare a scusarti» scosse il capo lei, parlando lentamente «E' la persona per cui sei tanto in pensiero?» domandò incuriosita e forse preda di una momentanea gelosia
«Sì, è lei» annuì Jun
«Ho capito. Adesso andiamo, manca poco alla fine della pausa» lo incitò. Preferiva non indugiare oltre in quel momento imbarazzante, scaricare un po' di frustrazione nella partita era la cosa che le ci voleva in quel momento. «Aspetta» la richiamò facendosi avanti per mettersi tra lei e la porta «Scusami, sei stata molto sincera con me ed io vorrei esserlo con te» ammise «O forse è solo che la tua disponibilità mi ha fatto venir voglia di parlare. Sarei un insensibile se ti chiedessi di ascoltarmi? Di sentire le mie ragioni?»
«Per la verità...» fece per dire. Effettivamente non è che le andasse a genio stare ad ascoltare la sua storia con un'altra: in un alto momento magari sì, ma non in quello successivo al suo rifiuto. Lo guardò davanti a sè, sinceramente costernato, fissarla con quello sguardo cupo che già gli aveva visto la prima sera, tutte le volte che non rideva con Sho, tutte le volte che era solo con i suoi pensieri e tormenti. «Vabbè, parla» sospirò. Dopotutto era abituata ad ascoltare le persone anche in momenti obiettivamente peggiori di quello e poi proprio non le riusciva di dire di no quando le si chiedeva un aiuto e un sostegno. «Ammiro il tuo coraggio Nomura san, mi hai mostrato quella coerenza, quella calma e quella serietà che da qualche tempo sembra mi abbia abbandonato. Dici che non devo scusarmi, ma io penso che ora, più che in qualsiasi altro momento, le scuse siano esattamente ciò che ti spettano, perchè io potrei anche dirti di sì, ma semplicemente non voglio. E non è colpa tua, sono io» tentò di spiegarsi «Sono io che sono egoista. Terribilmente egoista, perchè ormai non ho nessun motivo per rimanere legato a questa persona e lei sembra avermi completamente abbandonato: non la vedo più, non riesco a vederla più nemmeno nei miei sogni. Non c'è più nessuna traccia del suo passaggio, niente ci lega ormai, eppure io so che c'è stata nella mia vita, è solo che ne è uscita rapidamente ed era ancora così poco che ci conoscevamo da non essere riuscita a lasciare alcun traccia chiara e visibile nel mio mondo». Il ragazzo sospirò abbassando lo sguardo. C'era una punta di ansia appena udibile nel timbro profondo e morbido della sua voce, era l'unica nota stonata nel ritmo calmo con cui le raccontava infine ciò che più lo angustiava. Non indugiava mai sulle parole, era come se quel discorso se lo fosse ripetuto mille volte nella propria testa, il che significava, probabilmente, che quella era la prima volta che si decideva a pronunciarlo. «E' come se non ci fosse mai stata, perchè nessuno degli altri l'ha mai conosciuta, perchè lei stessa aveva pochi amici e moltissimi di loro non li conosco affatto. Non ho che una persona con cui ricordare il suo passaggio, ma anche per lui è doloroso e dato che gli voglio bene non ho cuore di affrontare l'argomento. Rimango solo io» disse tristemente tornando a guardare Tomomi «Solo io posso ricordarla, solo io ho dei ricordi da mantenere vividi, ma con il tempo sbiadiscono e nemmeno quando dormo riesco a recuperarli dalla mia memoria. Sta svanendo... ed io non voglio. Anche se non ho più motivo per rimanere attaccato a ricordi che vogliono scivolarmi via dalla mente, io non riesco ad abbandonare questa lotta. E lo faccio solo per me, solo e unicamente per me. Così la risposta che ti ho dato è frutto di questo mio egoismo ed io non posso far altro che dirti "mi dispiace". Mi dispiace, ma non riesco a fare quello sforzo per staccarmi da gli ultimi frammenti di lei e guardare avanti». Aveva parlato con moderata lentezza, a mezza voce, come raccontasse una favola. La sua era una storia strana però, non aveva un inizio nè una fine precisi: era più la storia di un sentimento sofferto che andava lentamente spegnendosi contro la sua volontà. C'era qualcosa di commovente in quella favola dalle tinte tristi.
"Chi può conquistare così tanto i sentimenti di qualcuno e poi devastarli a tal punto?" si domandava lei mentre ascoltava quella spiegazione. Oppure si chiedeva "Che tipo di persone catturano il cuore di un idol famoso? Chi ha la forza di sostenere persone dalla vita tanto straordinaria? E' evidente che probabilmente io non sono quel tipo di persona". Scosse il capo «Va bene così, sul serio» sospirò facendogli un mezzo sorriso «Certe persone sono difficili da cancellare anche dopo molto tempo, anche quando i nostri ricordi di loro sbiadiscono con il tempo. Sarebbe sbagliato forzarsi a riempire di altri ricordi il vuoto lasciato da loro» lo rassicurò era chiaro che gli era costato molto farle quel discorso, ma era anche evidente che non le stava dicendo tutto. «Ora andiamo, mi sa che ci stanno già cercando» annuì e aprì la porta. Infondo al corridoio poteva già vedere la figura di Sho, da solo. «Però sai... quando prima ho detto che è sbagliato che gli altri abbiano potere sul nostro destino, che la cosa più giusta è avere ognuno potere sulle proprie scelte» disse mentre si avviavano
«Sì, me lo ricordo» annuì Jun
«Vale anche per te. Lo dico senza alcun risentimento per ciò che mi hai detto, sia chiaro» precisò alzando un dito in aria «Chiunque sia questa persona, per quanto importante, non può avere il potere di legare a sé le tue decisioni e la tua vita. Dovresti essere in grado di riprendere nelle tue mani il tuo futuro, non può essere in quelle di nessun altro» scosse il capo, quindi una compagna di squadra si affacciò al corridoio, furibonda. «Nomura saaaaan!! Stiamo aspettando tutte teeee!!!»
«Eccomi, eccomi!!» disse di rimando, alzando il braccio «Ehi voi due» disse prima di rientrare nello spogliatoio, rivolgendosi anche a Sho che avevano appena raggiunto «Rimanete a guardare anche l'ultimo set vero? Perchè vinceremo, per la miseria!» esclamò con decisione, prima di chiudersi la porta alle spalle. Si scusò con le campagne mille volte e rimise a posto le ginocchiere. Lanciò un'occhiata verso Erina, ma aveva uno sguardo indecifrabile: non riusciva proprio a capire come fosse andata.
Forse lei aveva la stessa espressione, perchè era stata rifiutata, ma aveva anche ricevuto un'importante confidenza, delle parole preziose. Ne era certa. Ma il fatto che entrambi fossero stati sinceri non le era di alcun conforto in quel momento.

*Le Hoshi no Tama (Sfera della Stella) sono sfere custodite dalle Kitsune, sono spiriti volpe della mitologia giapponese. Si crede le proteggano perchè sono deposito di parte della loro magia, quindi chi si impossessa della sfera può comandare lo spirito a suo piacimento.


Questo capitolo mi è costato molti sforzi. Sforzi per finire il lavoro prima, sforzi per studiare prima, sforzi per fare quel che devo fare (dato che mia madre sta male e non è in grado di portare avanti la casa, mentre mio padre è tutto il giorno al lavoro) e avere finalmente un'oretta da dedicare alla scrittura. Per fare questo ho dovuto anche fermare le traduzioni: o traduco o scrivo, e dato che lavoro e studio mi succhiano via le energie non avevo testa di mettermi a tradurre. Questo era più semplice (Jun per me è sempre semplice).
Il tutto per dire che scrivere questo capitolo mi è costato talmente tanta fatica che quando l'ho riletto un'ultima volta prima di pubblicarlo ho pianto un po': non solo perchè finalmente ero riuscita a concluderlo, ma anche per il suo contenuto.
Chi ha letto "Kaze" sa. Capirà cosa ha spinto Jun a fare questo discorso, a dire queste parole. Chi non ha letto "Kaze" si goda semplicemente la stessa tristezza e confusione che prova Tomomi in questo momento: un po' alla volta tutto sarà chiarito.
Ora devo fermarmi un attimo con le long fic (questa e Neko) perchè prima ho due one shot da scrivere: quella per il compleanno di Jun e quella per l'anniversario; e sono già terribilmente in ritardo.
Ancora una volta ringrazio le mie lettrici che pazienti e costanti continuano a leggere questa ff che pare interminabile (ma non è così XD sapete bene che una fine c'è e sapete anche a queale capitolo). A volte penso di dovermi scusare con voi per il fatto che è così lunga. Lo scorso maggio ero 10 capitoli più indietro. 10 capitoli in 4 mesi: sono tanti o sono pochi? Scusatemi se sono lenta, scusatemi se questa storia è così lunga, ma spero veramente che non vi stia stancando, che anche se è lunga continui ad appassionarvi.

Solo... uhm... mi piace tantissimo il "gioco di parole" del titolo.

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Capitolo 34
*** 33. Guess I'll never get to call You Mine ***


Sho guardava intensamente fuori dal finestrino della macchina, sembrava quasi volesse concentrarsi tanto da rompere il vetro con la sola forza del pensiero. Teneva le braccia incrociate e aveva l'aria imbronciata, il tempo fuori sembrava assecondare il suo umore già da qualche giorno: il cielo era grigio scuro, coperto di nuvole. "Non sono un tipo orgoglioso, quindi non è l'orgoglio che mi ha fatto reagire tanto male. Però non sono geloso, per niente. Lo sapevo già che era solo un sogno, no? Un brevissimo meraviglioso sogno in cui Erina si intrufolava nella mia vita di tutti i giorni e mi faceva perdere la testa ancora una volta. Ma ormai è mattina e devo svegliarmi: lei torna al suo lavoro, io continuo il mio. Non ci vedremo più e nel suo ufficio c'è un Fujimiya pronto a sbaciu..." strinse le palpebre chiudendo chi occhi per qualche secondo, con rabbia. «Fanculo» borbottò storcendo le labbra. "Ok, ok.. è gelosia" ammise con se stesso "Posso ammazzarlo? Anzi no, non vale la pena finire in galera per uno così... posso torturarlo almeno un pochino? Se solo provo ad immaginarlo che prova a baciarla, che la abbraccia... non voglio nemmeno pensare a dove potrebbe mettere quelle sue luride mani da maniaco. Sì, è un maniaco e ha le mani a ventosa. Qual è la tortura peggiore per un maniaco con le mani a forma di ventosa? Se metti l'olio sulle ventose si appiccicano ancora? Oh... ho capito! Devo immaginarlo come un polipo! Un filo d'olio e via: sulla brace" ridacchiò tra sè "Prova a toccarla e ti faccio fritto, Takomiya san*". La macchina si fermò e la portiera si aprì «Ohi...» Jun salutò a mezza voce prima di accomodarsi sul sedile
«Matsujun, ti piace il polipo fritto?» domandò Sho
«Sho kun, ti prego. Sono solo le due, perchè devi cominciare a vaneggiare così presto anche la domenica?» sbuffò l'amico di cattivo umore
«Dico sul serio! Sto cercando un modo per togliermi Takomiya san dai piedi» rispose l'altro
«Takomiya san?» domandò aggrottando le sopracciglia mentre si raggomitolava nell'angolino contro la portiera
«E poi... e poi sono le due, ma del pomeriggio!»
«Sì, ma è domenica. Una domenica in cui non ho nemmeno le riprese da fare. Se ne deduce quindi che io avrei potuto dormire quanto mi pareva e tu lo sai che in questi casi dormo fino alle sei»
«Sì: ceni e torni a dormire. Non ti ruberò molte ore di sonno dai» cercò di difendersi
«Quattro tutte. Mi devi quattro ore di sonno e ora fammi il favore di stare zitto finchè non siamo arrivati, così magari potrai diminuire il tuo debito a tre ore» concluse secco Jun girandosi dalla parte del finestrino e chiudendo gli occhi. Sho non se ne preoccupò troppo: l'amico la domenica era sempre intrattabile, anche quando dormiva quanto voleva. Pure lui si mise comodo sul sedile, cercando di rilassarsi mentre viaggiavano: ci avrebbero messo un po' ad arrivare a casa di Erina.
"Va bene, basta scemate. Cerchiamo di essere seri. Sono geloso, ma non voglio ammetterlo con lei o rischierei di espormi troppo. Però è anche vero che le devo una spiegazione, che voglio scusarmi o non saremmo in viaggio ora. La domanda fondamentale è: come scusarsi senza che lei sappia il vero motivo per cui mi sono infastidito?" si picchiettò il mento con l'indice e rimase in profonda meditazione per qualche minuto. «Oooh al diavolo!» esclamò dopo un po', non riuscendo a trovare risposta alla sua domanda
«Tormentati in silenzio!»fece acido l'amico al suo fianco
«Scusa...» sospirò Sho sconsolato.
Quando arrivarono all'appartamento di Shimokitazawa, però, scoprirono che non c'era nessuno. Sho scampò al linciaggio da parte di Jun solo grazie ad una vicina che li trovò sul ballatoio davanti alla porta d’ingresso dell’abitazione: li avvisò che le inquiline erano giocatrici professioniste (cosa che però già sapevano) e che quel giorno erano via per una partita. Fortunatamente pareva essere una vicina invadente con i condomini, quindi sapeva dire loro la città in cui erano andate, così, dopo un'altra mezz'ora di macchina, raggiunsero Mitaka, che era pressappoco dalla stessa parte della città, ad ovest. Impiegarono un po' a trovare il palazzo dello sport in cui si teneva la partita e quando stavano entrando Sho si rese conto che più si avvicinava il momento di vederla, meno aveva voglia di affrontarla. Aveva ragione ad essere arrabbiata e al solo pensiero di come lo avrebbe potuto guardare si sentiva sempre più mancare il coraggio: averla nuovamente davanti a sè, così bella, ma così piena di rabbia nei suoi confronti sembrava una scena orribile che certo non desiderava vedere. Ci rifletteva su da un po' e continuava a dirsi di farsi forza e andare avanti con il suo piano, nel frattempo formulava un modo per cominciare il suo discorso e tentare così di scusarsi ed evitare tutte le spiacevoli reazioni possibili che aveva ipotizzato. Se ne stava seduto sul suo seggiolino di plastica sugli spalti del palazzetto dello sport e la guardava giocare e muoversi in campo: come sempre era la più chiassosa, gridava a destra e a manca e saltellava ovunque. Rimase incantato a fissarla per un po'. “Forse dovrei essere sincero e fare pochi giri di parole: sei mia, sono geloso di Takom… Fujimiya san e non voglio che altri uomini ti guardino come faccio io… no così non va bene, è troppo diretta, mi vergognerei da morire e non credo avrei mai il coraggio. Piuttosto potrei dirle che mi piace e che ho risposto male perché ero geloso del suo collega”. Storse il naso vedendo che le avversarie avevano appena segnato un punto alla squadra di Erina “Potrei, sì, ma non lo farò. Me lo ripeto da un mese, ma continuo a non farlo: se non l’ho fatto prima non lo farò adesso. E la verità è che sono terrorizzato. Più che avere paura della sua rabbia, più che comprensibile, sono spaventato dal suo rifiuto. È già successo una volta… è già successo, non ce la farei a reggere un secondo schiaffo di quel genere” sospirò piano, emettendo un mugolio di stanchezza e sofferenza, quindi si passò le mani sugli occhi. Da anni aveva impressa indelebilmente nei ricordi l’espressione stupita e poi indifferente di Erina quando lo aveva respinto nel viale dell’università, anni prima. Le sue parole non avevano espresso a pieno il disprezzo e lo sconcerto che invece i suoi occhi non erano riusciti a celare. Anche quella volta aveva ragione a non volerlo minimamente calcolare, dati i suoi errori, e certo non poteva dire di essere lo stesso ragazzino pasticcione che meritava una simile risposta, ma temeva lo stesso di riceverla perché dentro di sé la ferita di quel rifiuto era rimasta. Forse con il tempo si era cicatrizzata, com’era normale, ma il dolore di allora lo ricordava bene ed era certo di non voler correre il rischio di riprovarlo. Quella volta, inoltre, non era una cotta da studente: se pure tra sè pensava a lei come se avesse solo preso una sbandata, in realtà sentiva che nel suo cuore era cresciuto un sentimento più serio, più importante, solo che non aveva il coraggio di affrontarlo per paura di prenderne piena coscienza e poi soffrire maggiormente una volta che lei lo avesse scaricato. “Ah… com’è complesso l’animo umano” sospirò tra sé “No, forse sono solo io ad essere così contorto” storse il naso. Immerso in quei profondi pernsieri non sapeva quanto tempo fosse passato quando Jun, alla fine del secondo set, si girò di scatto verso di lui. «Pocari» annunciò
«Eh? Cosa?» domandò preso alla sprovvista, mentre Erina e le sue compagne sparivano dietro una porta sotto gli spalti
«Ho detto "pocari"» specificò l'altro
«Hai sete?»
«Esattamente. Su, andiamo a prendere qualcosa da bere» fece quello alzandosi
«Non sarebbe meglio rimanere qui?» fece, improvvisamente terrorizzato all'idea di poter incontrare la ragazza nei corridoi del palazzetto «Potrebbero... potrebbero rubarci il posto»
«Mi prendi per il culo?» domandò Jun sgranando gli occhi e guardando la desolazione intorno a loro: gli spettatori a quella partita d'inizio campionato erano veramente pochi, le probabilità di vedersi rubato il posto anche. «Muoviti, sfaticato. Prima non ho visto distributori, quindi dovremo cercarne uno e potremmo metterci un po'» scosse il capo sconsolato. Sho si risolse a seguirlo, mestamente: era troppo preso dai suoi pensieri e quindi troppo "debole spiritualmente" per combattere contro i capricci di Jun, senza contare che avendolo trascinato lì contro la sua volontà era in debito con lui. Una parte di sè sapeva di starsi facendo trascinare in giro dall'amico, ma non aveva la forza di fare altro, era assorbito dai suoi pensieri ed anche un po' spaventato: avrebbe parlato con Erina durante quella giornata? Alla fine come sarebbero rimasti? Sarebbe riuscito a scongiurare il peggio e a riparare ai danni? Oppure sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti?
Constatato che non c'erano distributori al primo piano, dal quale si accedeva agli spalti, scesero al piano terra. C'era parecchia gente lì fuori in attesa della partita che ci sarebbe stata subito dopo e non videro alcuna macchinetta. Dopo un po' di ricerche a vuoto l'amico fece uno scatto rapido, prendendolo per il braccio, e lo trascinò lungo un corridoio semi deserto, camminando speditamente come se sapesse dove andare. «Ehi Matsujun, senti... qui non possiamo stare mi sa» farfugliò Sho, rendendosi conto che forse erano in una zona riservata quando vide uno dello staff comparire all'inizio di quello stesso corridoio. Non si era accorto di loro che erano passati in un momento in cui era distratto. «Ma ci sono distributori per di qui? Dove stiamo andando?» domandò ancora Sho, confuso «E il distributore?» insistè quando Jun lo portò in uno spogliatoio vuoto
«Dici che qui non c'è?» fece lui guardandosi intorno con poca convinzione
«Matsujun? Ma stai bene?» davanti a quella scena assurda Sho sentì di star riacquistando coscienza di ciò che gli succedeva. Lasciò da parte i suoi dubbi e osservò sconcertato l'amico che si guardava intorno, dove era chiaro che non avrebbero trovato un distributore. Però, pur continuando a dire che era lì, non lo cercava con convinzione. Era un atteggiamento assurdo. Sho fece per prendere aria e cominciare a dirgli qualcosa che lo riscuotesse, quando la porta dello spogliatoio si aprì alle sue spalle. In un primo secondo riuscì solo a pensare "Ci hanno beccato", ma subito dopo si girò e vide proprio Erina trascinata nella stanza dalla sua amica. «Ehi! Qui non possiamo entrare!» protestava in quel momento. Sho la osservò: si sentiva sorpreso anche se non aveva motivo di esserlo -era lì per quello, quindi prima o poi si sarebbero incontrati- eppure l'atteggiamento inspiegabile di Jun lo aveva distratto per qualche attimo e proprio in quel momento... lei era apparsa, cogliendolo alla sprovvista. Non trovò la forza di squadrarla, e normalmente lo avrebbe fatto dato che gli piaceva vederla con quella divisa. «Bene, io e Matsumoto san abbiamo qualcosa di cui parlare, quindi voi due rimanere qui e fate la guardia!» esordì Tomomi. Sho la guardò aggrottando le sopracciglia "Sono io che mi sto rincretinendo e non capisco più niente? O sono gli altri oggi ad essere un po' più imbecilli del solito?" si domandò perplesso. «La guardia a cosa?» domandò quindi
«A... al... alla Hoshi no Tama, come due Kitsune» fu la risposta, poco intelligente, che gli venne data «Ecco sì. Andiamo?». Prima di poter replicare a quella risposta incomprensibile si sentì dare una pacca sulle spalle dall'amico: Jun lo superò e raggiunse il fianco della donna che aveva appena sparato assurdità. «Ragazzi, avete circa venti minuti quindi, vi supplico, sfruttateli. Noi non ve ne ruberemo altri» concluse con un sorrisino mentre si avviava verso la porta. “Quel cretino! Era tutta una trappola architettata da lui e da Nomura san? E quando si sono accordati?!”. Nel seguire l'uscita degli altri due vide che Erina osservava la rapida fuga dell'amica lanciandole uno sguardo d'angoscia: sembrava dirle "non lasciarmi qui sola con lui". Sho si morse il labbro inferiore "Ecco... è quello. E' quello uno degli sguardi che non avrei mai voluto facesse" piagnucolò tra sè.

Le era bastato vederlo per cominciare ad arrabbiarsi. Sentiva il cuore che cominciava a battere più velocemente e per una volta, davanti a Sho, non era per via del suo meraviglioso aspetto o della sua voce che la stregava ogni volta. Stavolta era pura rabbia: poteva essere innamorata di lui fino a sentirsi schizzare il cuore fuori dal petto ogni volta che stavano vicini, ma conservava molto gelosamente il suo amor proprio e non ci stava a farsi trattare come lui aveva fatto qualche giorno prima. Da quando era successo continuava a rimuginarci su e più ci pensava più si arrabbiata, più si arrabbiava più rimpiangeva di non avergli urlato in faccia un paio di insulti in più a quelli che già aveva pronunciato. La sua metà giapponese l'aveva trattenuta, ma ultimamente sentiva di voler dare retta alla parte di sè che proprio non voleva saperne della compostezza asiatica.
«Ciao» salutò mestamente il ragazzo quando si chiuse la porta. Era chiaro che era venuto fin lì per scusarsi e infondo Erina apprezzava il gesto, ma non riusciva a dimostrarsi amichevole quindi non rispose al suo saluto: incrociò le braccia e rimase zitta a fissare l'angolo di un armadietto dello spogliatoio, cercando di mantenere un viso neutrale. «Sei arrabbiata, vero?» domandò piano Sho, ma ancora una volta non avrebbe avuto risposta. «Ho... ho capito. Non hai voglia di parlare con me, posso capire» lo vide annuire piano e abbassare lo sguardo, pensieroso «Allora parlo io. Ecco.. sì. Dunque sono venuto qui per scusarmi» si inchinò leggermente «Ho sbagliato insomma. Ho davvero esagerato l'altra volta e me ne scuso. Non avevo alcun diritto di risponderti con quel tono. E poi... ecco... lungi da me voler accampare scuse -ho sbagliato e basta- ma posso almeno spiegare la mia reazione come... beh... eravamo nel pieno del lavoro. Lo sai anche tu no? Siamo sempre un po' di corsa, quindi capita il giorno in cui tutta la frenesia si trasforma in stress o insofferenza. Sei capitata nel momento sbagliato, diciamo. Certo, non avevo comunque il diritto di scaricare la mia frustrazione su di te che non c'entravi nulla, io...» finalmente fece una pausa dopo tutto quel fiume di parole. Erina si decise a guardarlo in faccia "Sono tutte balle o è la verità? Giornata stressante? E' mai possibile sia stato solo questo?". «Io non capivo perchè mi chiedessi di Matsujun.. voglio dire» aveva ripreso a spiegarsi, ma sembrava improvvisamente più confuso e meno deciso di prima «Dopo che mi hai parlato del collega hai preso a parlare di Matsujun e io... io non so, non ci ho più visto ecco. Ma mi dispiace, dico sul serio, non avrei...»
«Perchè?» domandò di getto la ragazza
«Eh?» Sho fu spiazzato da quell'improvvisa interruzione. Si guardarono negli occhi. «Perchè hai sfogato la tua rabbia dopo che ho parlato di Fujimiya san e Matsumoto san?» insistè "E' gelosia? Sei geloso, dillo"
«Io...» farfugliò confuso: sembrò rendersi conto in quel momento della frase che gli era appena sfuggita. «Non lo so. Non saprei... forse perché mi chiedevi di Matsujun ma lui era lì e allora... allora dato che ero stressato mi ha dato fastidio parlarti di lui quando potevi andare a parlargli direttamente. Non saprei dire, io...» lo vide deglutire e sentì la voce morirgli in gola. Erina respirò profondamente "Pensaci bene, puoi ancora salvarti: aggiungi qualcosa, dimmi la verità e non sarò più arrabbiata. Ma hai una sola altra possibilità. Una". Tornò a guardare l'angolo dell'armadietto e rimasero in silenzio qualche secondo prima che Sho riprendesse «Vorrei solo che tu capissi che...» cominciò a dire, ma era la risposta sbagliata. «Sta zitto» lo interruppe spazientita
«Scusa?»
«Vorresti che io capissi? Stai a sentire cos’è che vorrei capire io. Vorrei capire, Sakurai san, cosa c'è tra noi» pronunciò con voce chiara mettendo le mani sui fianchi «Perchè proprio non ce la faccio più. Cosa è successo prima? Un ragazzo bello e intelligente si innamora di me, ma essendo un'imbecille che cambia ragazza come cambiasse la camicia io lo rifiuto perchè non è il tipo di relazione che cerco. Anni dopo lo rivedo -ancora più bello, intelligente e brillante- e sembra aver messo persino del sale in zucca: ha le idee chiare, è una persona onesta, dedita al proprio lavoro e decisamente più seria in campo sentimentale di quanto non lo fosse una volta. Parlo con lui che mi dice di dimenticare il passato. Quella è la prima delusione: penso che voglia che io dimentichi la sua confessione, quando in realtà io non voglio farlo perchè sono completamente conquistata da lui e mi chiedo se ciò che provava un tempo sia ancora da qualche parte nel suo cuore. Dopo un po' il malinteso è chiarito, lui voleva solo che io dimenticassi come si era comportato in passato. Il dissapore sembra appianato e noi due possiamo ricominciare da capo: sembra l'occasione giusta per sondare i suoi sentimenti e conquistarlo, ma a quel punto si presenta una nuova ragazza. Seconda delusione: sembra essere una vecchia fiamma e solo dopo giorni di dubbio si chiarisce anche questo malinteso. Tutto sembra finalmente prendere una piega meravigliosa. Mi segui?» domandò improvvisamente, ma riprese subito a parlare senza aspettare risposte «Io e il meraviglioso uomo che sto imparando a conoscere stabiliamo un rapporto splendido: chiacchieriamo come buoni amici, scherziamo, ci prendiamo in giro, lavoriamo con serietà fianco a fianco e poi sembriamo quasi baciarci durante un incidente in ascensore. Dopodiché lui mi invita ad uscire -anche se con amici al seguito- e in quella sera, di nuovo, non ci baciamo per un soffio. Insomma... converrai che a questo punto è lecito che io pensi che lui provi qualcosa per me, o no? Eppure lui non fa una piega. Anzi, peggio ancora! Appena mi rivede, dopo quella romantica serata, invece di lanciarmi qualche segnale positivo mi dà addosso, sembra odiarmi e non volermi più vedere, dandomi la terza delusione di tutta questa avvincente storia. Beh la sai una cosa? Non c'è due senza tre, ma alla terza mi hai proprio stufato!» esclamò. Man mano che era andata avanti a parlare il tono della sua voce si era alzato gradualmente ed era arrivato ad avere una piega isterica particolarmente acuta sul finale. Più raccontava tutto ciò che era successo più Erina si sentiva stanca di quella situazione. «Ho interpretato male io e in realtà non provi nulla per me? Ho sbagliato a pensare che fossi diventato un uomo più serio e con me ti sei solo divertito? Non ne ho idea. So solo che sono stufa, stufa, stufa di questo continuo fraintendere, di avere valanghe di dubbi, di non sapere cosa dire o come interpretare. Allora basta, voglio che questa situazione si chiarisca una volta per tutte e se non sarai tu a fare qualcosa perché ciò accada allora sarò io. Quindi sappi che a questo punto non riesco più a capire i tuoi sentimenti, ma per quanto riguarda i miei beh... io mi sono innamorata di te» si dichiarò stringendo le mani a pugno per farsi coraggio ed andare avanti qualsiasi cosa succedesse «E voglio essere sicura che tu abbia capito: in-na-mo-ra-ta, Sho! Di te!» spiegò chiaramente puntandogli contro l’indice «Mi piace sentirti ridere, mi piace sentire le tue mani che mi sfiorano, osservarti quando leggi assorto un giornale o le tabelle di marcia del lavoro, quando vai a prendere qualcosa da bere e mi porti la mia bevanda preferita sulla scrivania con un sorriso tanto bello da sentirmi sciogliere. E poi mi piace quando arrivi dal lavoro che sei ancora in giacca e cravatta oppure quando ti vesti casual e magari hai sbagliato ad allacciare i bottoni della camicia per la fretta con cui ti sei cambiato in macchina venendo dal set. È bello vederti parlare di lavoro perché hai sempre l’emozione e la voglia di fare dipinta sul viso, non importa che siano le otto del mattino o le cinque di pomeriggio. Mi piace lasciarti messaggi sui fogli del lavoro, mi emoziono ogni volta che mi scrivi una mail, anche se è solo per parlare di lavoro» trattenne il respiro per qualche secondo, sentendo che si stava per mettere a piangere tanto era forte la sensazione di leggerezza che stava provando man mano che esprimeva tutto quello che provava. «Avrei voluto essere baciata da te in ascensore quel giorno e anche se non ci siamo riusciti nemmeno durante quella serata al locale ero felice. Felice, Sho, e per tutto il resto della serata mi sentivo scoppiare il cuore tanta era l'emozione: ero convinta che quella fosse la prova inconfutabile, senza bisogno di parole, che tu ricambiavi i miei sentimenti...» sospirò cercando di calmarsi. Si era lasciata trascinare dalle emozioni, non se ne stava pentendo, ma aveva paura di spaventarlo con tutta quella sincerità e schiettezza, aveva paura di lasciarsi andare e finire col piangere sul serio e non voleva mostrargli le sue lacrime qualsiasi cosa succedesse. «A quanto pare non è così. Non mi ricambi o forse dire tutto chiaramente è l’unico modo perché non ci siano malintesi».
Serrò le labbra e respirò profondamente. Si era appena dichiarata a Sakurai Sho: l'idol nazionale, uno degli uomini più sexy del paese, dei più desiderati da moltissime donne, indifferentemente dalla loro età. Per alcuni anni Sho era stato un compagno d'università relativamente famoso, poi per tantissimo tempo anche per lei era diventato solo una star, un'immagine lontana di un uomo splendido e irraggiungibile. Eppure da quando si erano rivisti era tornata a percepirlo come una persona qualsiasi: come se fosse ancora il vecchio compagno con cui molti scherzavano nei giardini dell'università, con la differenza che in quel momento era il brillante collega (ma anche datore di lavoro a volerla dire tutta) con cui divideva l'ufficio. Si era resa conto di essersi dichiarata ad un icona nazionale, ma ciò che aveva espresso erano semplici sentimenti per un uomo con cui -nei momenti in cui non litigavano per via di stupide incomprensioni- stava sempre meravigliosamente bene.
“Beh? Si è morso la lingua?” nonostante tutto quel discorso, la faccia di Sho era indecifrabile e poi ancora non si decideva ad aprire bocca “Parla! Dì qualcosa! Arrivati a questo punto penso mi andrebbe bene anche un rutto” pensò sconsolata Erina. «Eri chan!» esclamò qualcuno entrando di colpo nello spogliatoio. Entrambi sobbalzarono spaventati. «Yìng! Fàshēng le shénme?!**» esclamò Erina a metà tra l'isterico e l'arrabbiato "Per la miseria, la partita! Me n'ero totalmente dimenticata!"
«In campo, dobbiamo cominciare il terzo set: mancate solo tu e Tomomi, si può sapere cosa vi salta in mente?» spiegò la cinese tenendo aperta la porta e facendole segno di sbrigarsi. Qualcuno in corridoio stava strillando per richiamare l'altra giocatrice mancante. "Cosa... perchè adesso? Perchè deve sempre succedere qualcosa nell'attimo più importante: che cosa ho fatto per scegliere sempre il momento sbagliato?” si lamentò mentalmente “No. Non posso andarmene ora. Io voglio una risposta. Io esigo di sapere cosa prova lui". «Si, adesso...» fece per dire alla coinquilina
«Niente "sì, adesso". Ora. Muoviti» comandò quella. Con un sospiro Erina si girò verso Sho, fece un inchino rapido ed uscì dallo spogliatoio. «Dove ti eri cacciata? Dovevamo essere in campo due minuti fa! Vuoi perdere a tavolino?» chiesero le compagne
«Sì, sì... io.. scusatemi» rispose mestamente prima di seguirle per andare in campo.

Era arrabbiata. No, furiosa. «Tu» richiamò il ragazzo davanti a sè che, da imbambolato com'era a fissare la porta, girò gli occhi a fissarla. «Dici a me?» domandò frastornato
«In questi mesi l’ho vista cambiare umore spesso: confusa, felice, triste. Qualche sera fa sembrava toccare il cielo con un dito, poi me la vedo tornare a casa con un diavolo per capello e ha passato tutta la serata a piangere, ad insultarti e ad insultarsi» gli spiegò con tutta la calma possibile, cercando di trattenersi «Sono d'accordo con lei: sei un imbecille e un egoista. L'hai presa in giro per il tuo divertimento?»
«Tu.. sai chi sono?» domandò ancora lui, stupito
«Cosa c’entra?! Certo che so chi sei!» esclamò spazientita «Eri-chan è fan degli Arashi da prima che la conoscessi e poi le vostre facce sono ovunque in questa città: ti ho riconosciuto da quando sei venuto a casa nostra una sera, qualche mese fa»
«Cavoli, parli bene il giapponese. Però hai ancora l'accento straniero: da quanto sei in Giappone?»
«Ma cosa te ne frega? Ehi, mi ascolti?!» ribattè irritata «Ti sto dicendo che non mi piaci! Non mi piace il tuo comportamento con Eri chan e sono stufa di vederla soffrire!!»
«Ci hai interrotti apposta» fece il ragazzo, realizzando solo in quel momento, la rabbia che emanava la cinese
«Sì» rispose lei anche se non era una domanda quella di Sho «E ti giuro che non la farai più soffrire». Detto questo girò sui tacchi e andò rapidamente a riunirsi alle compagne di squadra. «Ehi voi due!» esclamava Tomomi in quel momento, rivolgendosi a Sho e ad un altro ragazzo nel corridoio. Ying non si fermò ad ascoltarla, passò oltre di modo da avviarsi verso il campo. Non sapeva minacciare la gente in giapponese, aveva solo usato una frase che sentiva ogni tanto nei telefilm alla televisione: forse era un po' teatrale, ma era più o meno ciò che voleva fargli capire.
Sapeva che Erina, come tutti, avrebbe avuto delle delusioni nella sua vita, ma secondo lei c'era un limite, un limite oltre il quale non poteva sopportare di vederla soffrire e piangere: Sho aveva raggiunto quel limite? Forse sì, in ogni caso era certa che spaventarlo a quel modo era stata una cosa utile a lui, ma anche a se stessa: la sua faccia sconcertata, quando lo aveva minacciato, era stata una bella soddisfazione.

*"tako" in giapponese significa "polipo"
**樱!发生了什么?= Ying! Cosa succede?


Finalmente! la scorsa settimana era la settimana delle ff. Sto alternando una settimana ff e una traduzione. Due settimane da ho finalmente finito di tradurre il Training Camp e ho cominciato il Pamphlet del Beautiful World Tour. Entrambi sono stati un successo, ma che fatica! Il giapponese è proprio difficile T_T Inoltre volevo scrivere... scrivere... scrivere! Questa settimana finalmente ho potuto dedicarmici e vi ho scritto ben due capitoli: quello appena letto e quello che segue, il secondo dei cinque spin off che farò. Contente? *_*
ma parliamo prima di questo capitolo: è stato peggio di un parto. Mi è successa la stessa cosa che mi accadde nello scrivere il capitolo del litigio al negozio tra Aiba e Kokoro, a quanto pare mi succede per quei capitoli brutti dove accadono cose che non vorrei accadessero. Non riuscivo a scrivere nè a concentrarmi, sapevo cosa doveva succede ma non mi decidevo a scriverlo. Alla fine l'ho scritto "a cipolla". Prima ho fatto l'inizio (scena in macchina) e la fine (la parte di Ying), in un secondo momento ho fatto il dialogo e solo alla fine ho scritto tutto il contorno. Questa terza fase è avvenuta giovedì pomeriggio in soli 45 minuti mentre avevo un po' di pace in ufficio. Stranamente le dita mi scorrono bene sulla tastiera del netbook che uso per il lavoro...
Non so bene come commentare il contenuto, ma... pare che questa domenica (quella della storia) sia la "domenica della dichiarazione". Prima Tomomi, ora Erina.. la prima però ha avuto la sua risposta, la seconda non l'ha avuta perchè Ying non le ha lasciato il tempo per averla. Una cosa però è certa... adesso Sho SA, inequivocabilmente.

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Capitolo 35
*** 34. On Today's Way Home ***


«Cosa vuoi fare?» aveva chiesto subito Jun. Si era messo le mani in tasca, aveva stretto le spalle e aveva cominciato a camminare sollevando appena i piedi da terra. Era una sua posizione tipica. Sho l'aveva sempre tradotta come un "Facciamo come vuoi tu, io ho i miei pensieri in questo momento". Quel ragazzo era troppo onesto: se si fosse comportato come al solito lui non avrebbe notato nulla, ancora preda della sua confusione interiore, e invece era stato subito chiaro che qualcosa non andava. Quell'atteggiamento fu tanto improvviso da fargli dimenticare per qualche secondo ciò che era successo poco prima con Erina, ma non osava chiedere: se Matsujun si arrabbiava era meglio lasciarlo sbollire e fargli qualche domanda dopo un po' di tempo, perchè sicuramente voleva parlare, ma era sempre così riservato da tenersi tutto per sè nonostante il bisogno di confidarsi. «Non lo so» rispose solamente. "Dato che prima di lasciarci sembrava andare tutto bene, dev'essere successo qualcosa in quei minuti che è stato fuori dallo spogliatoio" ragionò mentre camminavano per il corridoio "Ma è inutile arrovellarsi, chiedere qualcosa ora è come mettere una gamba nella vasca di uno squalo: forse ha già mangiato... o forse no" storse il naso rassegnandosi a tenersi la curiosità. Qualsiasi cosa avesse detto o chiesto per capire sarebbe stata inutile, anche perchè Jun era un ragazzo orgoglioso: se qualcosa era andato male per colpa sua non era facile che lo raccontasse in giro; anche se sapeva prendersi le responsabilità dei suoi errori non significava che poi li avrebbe sbandierati ai quattro venti. «Andiamo da Mos*?» propose pensando che un po' di cibo avrebbe tirato su di morale entrambi
«Non so... ho lo stomaco chiuso» scosse il capo Jun, svogliato. Un passo dopo l'altro erano arrivati all'atrio: da una parte c'era l'uscita, dall'altra i gradini per tornare ai loro posti e finire di guardare la partita. «Birra al Keikarou?» domandò quello dopo qualche secondo silenzio l'altro
«Mh.. Adesso?» domandò Sho sorpreso, erano appena le cinque del pomeriggio e poi non si era lamentato che voleva tornare a dormire?
«Ma va!» sospirò Jun scrollando le spalle «Domani sera»
«Dici, dopo che ho fatto NEWS ZERO?» fece lui facendo mente locale dei loro impegni «Ma tu hai la serata finale con il cast. Va in onda l'ultima puntata del tuo drama**: non avevi detto che uscivate tutti a mangiare insieme?»
«Ad una certa ora me ne andrò» rispose l'amico storcendo il naso «Tanto ci vediamo comunque tardi. Dici che al Riida andrà bene anche se ha la radio la mattina?»
«Figurati se non gli va bene stare tutti insieme» sorrise leggermente «Al massimo si addormenterà con la faccia sul tavolo, come ha fatto altre volte» ridacchiò a quel ricordo
«Ah si, ricordo, ricordo» rise Jun con lui tirando le mani fuori dalle tasche e prendendo il cellulare «Allora mando la mail a tutti». Sho lo lasciò fare mentre si dirigeva con naturalezza verso l'uscita. Niente era meglio degli Arashi per dimenticare i propri pensieri e guai, anche solo per pochi minuti. Se possibile se li sarebbe addirittura sposati quei quattro buffoni che coloravano la sua vita e ne facevano parte come una famiglia vera e propria. Erano loro i suoi veri fratelli, perché, data la differenza d'età, Mei e Shu erano stati quasi dei figli per lui o comunque il tipo di "legame fraterno" che lo legava agli Arashi era diverso da quello con loro due.
Una volta fuori prese un bel respiro e cercò la macchina con cui erano arrivati per poi avviarsi di modo che Jun, mentre digitava al cellulare, seguisse i suoi passi osservandolo con la coda dell'occhio. "Sto scappando?" si domandò salendo sulla vettura "Non proprio. Quella tizia mi ha fatto seriamente paura e... sono un po' scosso. Ho bisogno di riflette un secondo, ma non posso rimanere con Matsujun in queste condizioni: qualsiasi cosa sia successa, immagino ora desideri solo tornare a dormire e aspettare domani. L'ho portato qui e l'ho messo nei guai insomma, riportarlo a casa è il minimo" annuì tra sè. L'amico aveva finito di scrivere (di solito non mandava una mail a tutti quanti, ma ne scriveva 4 diverse pur con gli stessi contenuti) e si era messo a guardare fuori dal finestrino senza dire nulla. Era strano, Jun era comunque uno piuttosto affabile e dalla parlantina facile, ma chiaramente non era il momento adatto, qualsiasi cosa gli frullasse per la testa. "Poco male" Sho si strinse nelle spalle e guardò anche lui il paesaggio. Un vantaggio dello stare tra amici era il non dover per forza riempire il tempo con discorsi inutili.

"Caro Diario, la gente è scema. I giapponesi sono peggio. Le cinesi sono imperscrutabili e le coreane... non sono più un problema" si mise a ridere mentre teneva la cannuccia tra le labbra. Una delle bolle che stava facendo nella coca cola scoppiò schizzandola dritta nell'occhio. «Che cosa cavolo stai facendo?» domandò Ying osservandola perplessa
«Mi è entrata l'anidride carbonica negli occhi» biascicò l'altra frugando maldestramente nel borsone da palestra
«L'ani cosa?»
«L'anidride carbonica... "dioxide", you know? Vabbè le bollicine della coca cola» concluse trovando il fazzoletto
«La tua amica è carina, magra e castana?» chiese la cinese rubandole un sorso di bevanda dalla cannuccia
«Guarda che Kokoro l'hai già vista! Comunque sì, è carina, magra e... Kokoro chan!» esclamò sollevando il braccio per richiamare la sua attenzione. Si erano date appuntamento alla stazione di Machida e la aspettavano fuori dal varco dei biglietti, con la schiena contro gli armadietti dell'uscita principale. Erano dalla parte opposta di Tokyo rispetto a Chiba, quindi l'amica si era dovuta fare la strada da casa a Tokyo e da Tokyo a Machida. Circa due ore di viaggio. Nonostante ciò, e nonostante fossero passati solo quattro giorni dall'annuncio della morte della proprietaria del negozio dove lavorava, sembrava piuttosto in forma. «Buona sera» salutò con un lieve sorriso
«Buona sera» rispose Ying
«Com'è andata la partita?» chiese alternando lo sguardo tra le due
«Vinto, eheheheh» ridacchiò Erina facendole il segno di vittoria «Ma a parte questo. Kokoro chan sei carinissimaaa!!» esclamò guardandola con gli occhi spalancati «Sei veramente carina! Sei proprio un amore! Quel maglioncino ti sta benissimo!» continuava a dire saltellandole intorno
«Grazie Eri chan» sorrise quella arrossendo «Vorrei poter dire altrettanto, ma indossi i pantaloni di una tuta e una giacca di jeans»
«Buuuuh! Potresti mentire» fece la rossa storcendo il naso
«Sei meravigliosa con quel tutù fuxia» accennò Ying mettendosi la borsa in spalla «Andiamo a mangiare? Ho una fame»
«Non stai mentendo in maniera credibile, così è chiaro che non è vero» continuò a lamentarsi Erina «Tahilandese! Voglio mangiare tahilandese»
«Hai mai mangiato tahilandese, Hanayaka san?»
«No, in verità no. E' così buono?» chiese la nuova arrivata mentre uscivano dalla stazione camminando sul ponte al di sopra dell'autostrada. Erano un gruppetto di tre giovani chiassose come tante altre a vederle dal fuori, eppure ognuna nascondeva problemi e tormenti di cui non dava mostra.
Il ristorante sembrava pieno a guardare le finestre quindi si fermarono fuori per capire se vi fosse posto o meno. «Ok, mi sono dichiarata» ammise di punto in bianco la rossa mentre attendevano «Scusa se lo dico così, so che dovrei prima chiederti come stai, come va con il negozio ma...»
«Co... no! Non scusarti» balbettò Kokoro colta alla sprovvista «Cioè, racconta»
«No, è che... volevo dirtelo approfittando che Ying non c'è» spiegò rapidamente, tenendo gli occhi fissi sulla scala che dava al piano superiore dove si trovava il ristorante: aveva mandato l cinese a chiedere se vi fosse un tavolo. «A lei non va tanto a genio Sakurai san e si arrabbia sempre quando ne parlo»
«Non avevate litigato? L'ultima volta che ti ho sentito dicevi di non volerlo più vedere. Credo che le tue parole fossero state: "Io con certa gente scema non voglio averci a che fare. Ho chiuso!". Sì, era così» annuì
«Si è presentato alla partita, non sapevo nemmeno io che ci saremmo visti. Era tutto un piano di Tomotan e Matsumoto san» cercò di giustificarsi
«Nomura san? Quella che ti ha accompagnato fuori con lui, se non ricordo male. Allora vanno d'accordo?» sorrise leggermente quella «Beh, cosa ti ha detto?»
«Niente. Non c'è stato tempo» scosse il capo e si zittì, Ying stava scendendo le scale e le richiamò per avvisarle che si era appena liberato un tavolo.
Kokoro aveva chiamato quella mattina presto chiedendo ad Erina di uscire, ma dato che per la prima parte della giornata c'era la partita avevano spostato l'appuntamento al pomeriggio tardi, una volta conclusa. Appunto perchè le altre due erano stanche dopo la dura giornata, Kokoro aveva accettato di fare il viaggio: cominciava a fare leggermente freschino e indossava un maglioncino di cotone indaco e bianco con la tasca unica sul davanti e il cappuccio, un paio di jeans e degli stivali in pelle leggeri. La rossa la osservò di spalle mentre salivano le scale e le scappò da ridere "E' proprio come immaginerei la ragazza di Aiba chan" pensava tra sè, convinta che la loro relazione fosse in parte merito suo. Si abbandonava a quegli stupidi pensieri solo per non stare a riflettere sulla propria situazione. Dopo la pausa non aveva detto niente a Tomomi, nè lei aveva chiesto nulla. Effettivamente da quando erano rientrate in campo avevano giocato in maniera più concentrata e forse... più agguerrita. Lei certo aveva scaricato la rabbia sulle avversarie, cosa di cui un po' si pentiva.

Sho se ne stava in piedi davanti al cancello d'ingresso del cortile in cemento del piccolo gruppo di appartamenti dove abitava Erina. "Mi sento uno stalker" si disse mettendosi le mani in tasca e riprendendo a passeggiare avanti e indietro.
«Com'è andata?» aveva chiesto Jun prima di scendere dalla macchina
«Te lo dico se mi dici cos'è successo a te» aveva ribattuto allora
«Credo di aver trasmesso la mia infelicità ad una persona che non se lo meritava»
«Ti odio quando fai queste tue frasine criptiche del cavolo» aveva sbuffato «Si è dichiarata»
«Come fai a saperlo?» aveva domandato l'amico sorpreso
«Co... eh? Come? No ehi! Ma di chi stiamo parlando?»
«No, tu di chi stai parlando!» aveva ribattuto Jun, arrossendo
«Nomura san?!» esclamò sorpreso, con una nota isterica nella voce
«Non urlare, imbecille! E comunque... "Erina san"?!» aveva domandato imitando il suo tono e facendo una smorfia
«Eh? Ehi! Imbecille? Non permetterti, e non imitarmi!»
«Mi permetto: imbecille, stupido, inetto! Mi hai pure riaccompagnato a casa? Cosa stai facendo ancora qui?» gli aveva domandato tornando improvvisamente serio
«Ho solo pensato fosse giusto riportarti a casa e poi avevo bisogno di pensare!»
«Volevi tempo per riflettere? Bene, rifletti mentre vai a casa sua oppure rifletti domani, ma ora vai e dille cosa provi!» aveva sbraitato richiudendo la portiera con rabbia e avviandosi a lunghi passi verso il portone di casa propria. Dopo quella sua ramanzina, però, Sho aveva fatto come gli era stato detto ed ecco come era finito lì, per la seconda volta in quella giornata. "Jun non permetterebbe di avere rimpianti a nessuno di noi" riflettè dopo aver gironzolato intorno all'isolato un paio di volte ed essersi finalmente deciso a starsene seduto sui gradini della casa "Ha ragione... è stato sciocco non rimanere ad aspettare la fine della partita per chiarirsi, ma forse va bene anche così. Io è una vita che aspetto questo momento" si passo le mani sugli occhi, raggomitolandosi su se stesso. La sera cominciava a fare un po' più freschino che nel resto della giornata. "Se ci penso, non voglio dichiararmi in uno spogliatoio puzzolente" storse le labbra "Qui è meglio. E' tranquillo e la sua coinquilina può dire quello che vuole: io la conosco da più tempo di lei e mi piace da quel giorno, quindi se vuole fare a gara vinco io. Se faccio fuori Takomiya, posso far fuori anche Miss Involtino primavera. Giuro che stavolta niente e nessuno mi fermerà!" annuì tra sè e riaprì gli occhi mettendosi le mani nelle tasche.
Ci aveva pensato su, anzi, era scappato dal palazzetto dello sport, aveva fatto passare tutto il pomeriggio e tutta la sera pur di riflettere con calma. "Eppure ho sempre pensato che se mai Erina mi si fosse dichiarata non avrei aspettato nemmeno un secondo: sarebbe stata mia l'istante successivo" riflettè alzando gli occhi al cielo scuro, in cui non si vedeva nemmeno una stella per le troppe luci della città "Beh, è anche vero che nelle mie fantasie di ragazzino lei si dichiarava sempre in una stanza d'hotel con addosso poco più della sua pelle... come sono bravo, in realtà mi dichiarerò sotto un cielo stellato -anche se non si vede- nell'aria fresca di inizio autunno: che dichiarazione da adulto!" ridacchiò tra sè tutto felice, sembrando tutto fuorchè adulto con quell'atteggiamento. Insomma, a dispetto di ogni sua fantasia, tutto era andato diversamente. La sua risposta non era stata immediata: un po' era stato per colpa della coinquilina di Erina, ma un po' era certamente colpa sua. La dichiarazione non era certo arrivata inaspettata, ormai era un po' di tempo che era quasi certo che lei provasse qualcosa, ma quel giorno era andato per scusarsi, non per ricevere un "mi piaci" detto con rabbia. O meglio, con esasperazione. Gliel'aveva quasi sbattuto in faccia con una violenza che non si sarebbe mai aspettato. Ma forse da una rossa poteva aspettarsi una cosa simile, semplicemente non era pronto ed era stato quasi uno shock. Era una vita che attendeva quel momento. Forse "una vita" era troppo tempo, ma aveva cominciato a guardare quella ragazza nove anni prima e inizialmente aveva rinunciato per colpa della sua timidezza, poi l'aveva avvicinata, grazie alla spigliatezza di lei, e infine allontanata, unicamente per via della propria stupidità. Qualche forza misteriosa però gli aveva permesso di rivederla dopo anni e anni di distanza, un dono del destino, e gli era stata data la possibilità di ricominciare da capo. Era accaduto tutto questo... e la sua dichiarazione era stata, invece, come uno schiaffo. Decisamente non se l'aspettava, non così.
«Sakurai san?» si sentì richiamare improvvisamente. Stava per addormentarsi con la testa appoggiata al corrimano. «Eh? Cosa?» domandò svegliandosi di soprassalto
«Cosa ci fai qui? Sono le undici di sera» gli domandava Erina, in piedi all'inizio delle scale insieme alla cinese. Indossava i pantaloni di una tuta, un giacchino di jeans ben abbottonato e aveva i capelli raccolti in due trecce mezze sfatte. «Oh io... dovevo parlare con te, hai un po' di tempo?» chiese subito mettendosi in piedi per darsi una svegliata
«Scusa? Ma... da quando sei qui?»
«Io... io non lo so» rispose preso contropiede "Cosa sono tutte queste domande? Io voglio delle risposte, del tipo: sì ho tempo, sì dimmi tutto. O magari: Sho, tesoro, sono tua". «Le otto? Forse lo otto, sì» farfugliò in risposta guardando l'orologio «E' tardi. Hai tempo?» insistè
«Sì, ma... sei stato al freddo per quasi tre ore. Vuoi qualcosa?» fece quella. Continuava a non rispondere alla sua domanda e non capiva se sarebbe stata ad ascoltarlo o no. «Non c'è te in casa» annunciò la coinquilina. Sho ed Erina la fissarono. "Oh... è un modo subdolo per dirmi che non posso entrare e quindi non posso parlarle?" pensò il ragazzo aggrottando le sopracciglia. «Quindi penso che andrò al supermercato a comprarne un po'. Voi nel frattempo scaldate pure l'acqua» sospirò quella mollando il borsone a terra e ficcando le mani in tasca per allontanarsi a grandi passi
«Scusami e grazie» rispose Erina guardandola andarsene «Cominciamo ad entrare allora?» fece per prendere la borsa della coinquilina prima di salire
«Lascia, la porto io» rispose subito Sho. Scese i gradini e prese con sè il bagaglio sfilandoglielo dalle mani. Erano bollenti. «Sei ghiacciato!» esclamò lei ritraendosi «Saliamo allora. Scaldo l'acqua» aggiunse subito dopo abbassando lo sguardo e salendo le scale per fare strada. Stava evitando di guardarlo in faccia. Doveva sentirsi abbastanza in imbarazzo dopo ciò che aveva detto quel pomeriggio, lui invece, al vederla così -improvvisamente debole- si sentì più sicuro di sè: a tutti gli effetti era lui quello in vantaggio tra loro perchè conosceva i sentimenti di entrambi, lei invece sapeva di aver messo a nudo il proprio cuore, ma non aveva idea di cosa le sarebbe stato detto in risposta. Salirono fino al ballatoio e raggiunsero la porta dell'appartamento. La vide tentare un paio di volte ad infilare la chiave nella toppa, le mani le tremavano leggermente. A Sho venne da sorridere: non conosceva la ragazza che aveva davanti a sè, lui aveva incontrato la giovane mezza straniera appena arrivata a Tokyo, l'aveva vista crescere in brillante neo laureata e l'aveva rivista come forte e decisa donna in carriera. Quel suo lato teso e innamorato -di lui per giunta- era un lato di lei che non aveva mai visto e in quel momento gli metteva tenerezza. «Scusa. La casa non è molto in ordine. Per la verità non aspettavamo visite» pronunciò Erina entrando nell'appartamento. Entrambi si fermarono nell'ingresso e la porta si chiuse alle spalle di Sho. «Allora, puoi lasciare la borsa qui e... adesso ti trovo qualcosa da mettere ai piedi» spiegò parlando rapidamente, nervosa. Lasciò la borsa dove gli era stato detto e la guardò sfilarsi le scarpe: non poteva lasciarla andare, non aveva tempo da sprecare. «Erina san?» la richiamò. Lei si bloccò all'istante e si girò con un sorrisino tirato stampato in faccia «Sì?» domandò con un filo di voce.
Sho rimase immobile ad osservarla: forse non era una vita che attendeva, ma poteva dire con certezza che quello era l'amore di una vita. Cos'altro poteva essere una donna di cui si era innamorato tanto da non dimenticarsene più per anni? Quello era quindi il Momento, ma ancora una volta non riusciva a trovare le parole o forse, avendo già detto tante stupidate fraintendibili in quei mesi, temeva di non risultare chiaro nemmeno quella volta. Cosa che invece doveva essere.
Sollevò una mano e passò il pollice sui ricci sfuggiti alle trecce che dondolavano sulla guancia sinistra della ragazza. Li spostò all'indietro affondando le dita nel resto dei suoi capelli e fece un passo, azzerando del tutto la distanza, comunque esigua, che li separava nel piccolo spazio dell'ingresso. Chiuse gli occhi e si abbassò a baciarle la fronte: aveva la pelle calda nonostante il fresco di fuori. Senza fermarsi si abbassò ancora per baciarle la palpebra sinistra con un tocco leggero. La sentì inspirare rapidamente e trattenere il fiato quando le baciò la guancia dalla parte opposta. Erina piegò il capo verso di lui e Sho si fermò il tempo di sbirciare la sua espressione: aveva chiuso gli occhi, sembrava non essere più la nervosa e aveva anche dischiuso le labbra, trattenendo il respiro. Sorrise, quasi compiaciuto, prima di baciarla di nuovo, vicino alle labbra, concedendo a quelle di entrambi di toccarsi solo con l'angolo della bocca. La sentì sospirare rilasciando tutto il fiato che aveva trattenuto fino a quel momento. Aveva nuovamente girato la testa verso di lui, come per inseguirlo quando aveva staccato le labbra dalla sua pelle. «Sho...» il suo respiro caldo gli soffiò sulla guancia e quel bisbiglio tremante gli accarezzò l'orecchio. Baciare la donna che amava era quello che sognava da tanto, ma per quanto ci avesse potuto fantasticare su, non era mai riuscito ad immaginare l'emozione, il calore e il desiderio che gli riempivano il corpo, nè la gioia, mista a sorpresa, che lo fece quasi tremare quando realizzò da quei movimenti che lei attendeva e voleva quel momento quanto lui. «Erina» sussurrò prima di stringere le dita sui boccoli rosso fuoco della ragazza ed abbassare nuovamente il viso su di lei, avvicinando la bocca alle quelle labbra socchiuse.

Sho non era tipo da baci a stampo, era un uomo passionale: quando si trattava di emozioni e di sentimenti, quando aveva la certezza di ciò che faceva ci si lanciava con tutto se stesso, anima e corpo. In quel senso era passionale, perchè non si risparmiava. Non si risparmiò nemmeno quella sera.
Le loro labbra si erano appena toccate che già lo sentì cercarla. Gli accarezzò la lingua con la propria e si lasciò trascinare dalla sua intraprendenza. Con il cuore che le batteva all'impazzata si aggrappò alla felpa del ragazzo, stringendo le mani sul tessuto quando gemette contro le sue labbra. Aveva la mente svuotata: la sua intera attenzione era focalizzata sull'uomo che aveva desiderato per mesi e che, finalmente, la stava baciando con un trasporto e una passione che andavano ben aldilà di tutte le sue fantasie. Sentiva le sue dita dietro la nuca, l'altra mano stringerle la vita e la sua bocca calda unita alla propria da un continuo accarezzarsi e intrecciarsi di lingue.
Quella doveva essere la sua risposta. Quella bocca calda le stava dicendo cosa provava Sho senza però usare parole, il corpo forte al quale si stava aggrappando le dava la certezza che stava cercando da mesi. Quell'uomo, in quel momento, senza esitazione e senza alcun dubbio, ricambiava i suoi sentimenti. La baciava e la stringeva come nemmeno nei suoi sogni più vivaci era mai riuscita ad immaginare. Erano l'uno completamente perso nel baciare l'altra, aggrappata alla lui, quasi in punta di piedi per approfondire quell'intimità. Il trasporto era tanto che fu difficile convincersi e convincerlo ad interrompere quel contatto. «Voglio che lo dici» sussurrò lei col fiato corto. Il ragazzo non si risolveva a smettere e continuava ad avvicinarsi per tentare di riprendere da dove lei lo aveva fermato. «Non ci crederò finchè non lo dirai» ripetè imperterrita, pur non riuscendo ad evitare di cercarlo a sua volta per baciarlo ancora, rapidamente. Sho sorrise «Tu mi piaci Erina» sussurrò sulla sua bocca
«Da quando?» chiese mentre quella sola risposta la stava facendo sciogliere: forse, se non l'avesse abbracciata lui, sarebbe caduta a terra. «Da sempre. Non ho mai smesso» rispose ancora. Sciolse la presa sui suoi capelli e sentì entrambe le sue braccia circondarle i fianchi. Era meglio così, tutte quelle emozioni le stavano facendo venire il capogiro. «Anche dopo quel giorno di neve» le spiegò stringendola a sè, tanto vicina che non poteva più baciarlo, ma solo appoggiare il capo alla sua spalle e nascondere il viso contro il suo collo. «Scusami, hai dovuto aspettare tanto» mormorò
«Proprio non mi sembra il caso di chiedere scusa» rispose lui tutto serio. La sua voce profonda, con quel timbro caldo, la toccava ora tanto profondamente che probabilmente sarebbe arrivata a farle vibrare il cuore con un solo sospiro. «Però mi hai detto che sono imbecille... l'ha detto anche Jun! E ha aggiunto "stupido"... e pure "inetto"» biascicò con voce lamentosa «Capisci? E' andato addirittura a cercare una parola antiquata come "inetto". Voi due mi avete proprio avvilito» sospirò. Erina piegò il capo verso il petto di Sho per soffocare una risata: quel ragazzo aveva la straordinaria capacità si essere insieme un uomo serio e un ragazzino idiota. Poteva spiegare qualcosa nella maniera più seria e profonda possibile e il secondo dopo farti ridere pronunciando un'improvvisa idiozia. Adorava anche questo di Sho. Sciolse l'abbraccio e salì sul gradino di casa «Se Ying torna e non trova l'acqua si insospettirà»
«Perchè non pensi sia andata a prendere il te apposta perchè accadesse questo?» le chiese lui. Lei lo osservò corrucciata «Dici?» domandò tirando fuori e porgendogli delle ciabatte
«Sei proprio ingenua... permesso» disse quindi il ragazzo entrando nell'appartamento. Si fece seguire fino in cucina e mise subito sui fornelli un pentolino d'acqua, sistemando rapidamente tre tazze sul tavolo, con cucchiaini e zucchero. "L'avrebbe fatto apposta? No, non è possibile... Ying odia Sho, non gli avrebbe mai volontariamente permesso di stare da solo con me. In casa poi" riflettè per un attimo, poi guardò verso il corridoio dove infondo sapeva trovarsi la camera da letto "No, è impossibile! A cosa stai pensando tu! Stai buono cervello! Ti ha appena baciato e già pensi al passo successivo? Ti sei bev... ti sei autobevuto?! No, no, n..." si stava auto rimproverando quando sentì le mani di Sho prenderla per i fianchi e attirarla a sè, arrivandole alle spalle. «Sakurai san?» balbettò quando lo sentì avvicinare il viso al suo collo e respirarle sulla pelle
«M-mh?» mugugnò quello
«Come la mettiamo con il gruppo? Cioè... con gli Arashi. E con le fan» provò a intavolare il primo discorso che le venne in mente
«Che problema dovrebbe esserci? Aiba chan ha una ragazza, Jun kun ce l'ha avuta fino a pochi mesi fa...» spiegò stringendosi nelle spalle e spingendola leggermente per farla girare verso di sè «Per le fan... basta che non lo sappiano»
«Sai che non potremo andare fuori a mangiare insieme? Queste cose non potremo nemmeno farle in pubblico» spiegò Erina passandogli le braccia dietro il collo
«In pubblico non le farei» mugugnò lui arrossendo vistosamente «Per chi mi hai preso? Per uno straniero?»
«Non intendevo dire esattamente queste cose» specificò arrossendo anche lei, quando Sho la strinse contro di sè «Lo sai cosa volevo dire»
«Oh, guarda! Ma allora anche tu ti imbarazzi per qualcosa!» fece sorpreso
«Cosa vorresti dire? Guarda che...»
«No, intendo che qualche ora fa mi hai urlato in faccia che ti piaccio, senza il minimo pudore e femminilità. Due minuti fa ti sei lasciata baciare come se non aspettassi altro...» ragionò il ragazzo
«Ma cosa volevi? Che facessi resistenza?» domandò sbalordita
«Beh, sì. Cioè, più che altro normalmente me la sarei aspettato... un po'... all'inizio. Le donne non sono così disinibite» le spiegò
«Il tuo discorso è equivoco. Era solo un bacio. Un bacio, capito? Innocentissimo» concluse Erina storcendo le labbra
«Era innocente?» domandò Sho ridendo di gusto «Accidenti, se quello era solo un bacio non oso immaginare il passo successivo» ridacchiò, ma lei lo fissò diventando dello stesso colore di un pomodoro maturo. Quando se ne accorse si corresse subito «No! No, cosa hai capito? Intendevo.. parlavo sempre di baci io!» si scusò
«Sì. Hai parlato abbastanza» sospirò lei alzando gli occhi al cielo. Si alzò in punta di piedi e cercò nuovamente le sue labbra.
A quel punto doveva crederci. Si stava comportando normalmente, ma da qualche minuto una parte di sè non poteva credere a ciò che era successo man mano che erano passati i secondi. Sho la ricambiava e da quel momento lei aveva tutto il diritto di baciarlo, di accarezzarlo e di ricevere da lui delle attenzioni che non erano destinate a nessun'altra se non lei. Il modo in cui la baciava era travolgente, il cuore le batteva tanto forte che temeva sarebbe svenuta da un momento all'altro. Le trasmetteva una sensazione di calda unicità con ogni suo gesto, come se esistessero solo loro al mondo: quando le sorrideva o quando la baciava e la cercava con passione. Adesso quell'uomo era suo.
Ci erano voluti nove anni, ma tutto sommato sembrava esserne valsa la pena.

*Abbreviazione di Mos Burger, catena di fastfood giapponese
**Per dovere di cronaca, ricordo che in questo periodo stava andando in onda Natsuniji, il 20 Settembre è andata in onda l'ultima puntata


Non ci è voluto molto a scriverlo. La scena principale era già stata scritta svariati mesi fa quindi ho dovuto solo concentrarmi sul "contorno". Certo anche quello è importante e mi ci è voluto un po' perchè, pur dividendo le settimane in traduzione-fanfiction.traduzione-etc ora è cominciato Nazotoki (di cui oggi probabilmente pubblicheremo la prima puntata subbata), il che significa che ogni settimana ho n episodio da fare, che sia la settimana di traduzione o meno. Contiamo anche che dovrei studiare per cinese e giapponese -.- che il lavoro mi ruba un sacco di tempo... insomma tutto questo ha significato meno tempo per scrivere rapidamente anche quel poco che andava messo di contorno. E poi all'epoca in cui avevo descritto quel momento particolare, la scena era pensata per svolgersi in inverno e all'aperto quindi ho dovuto cambiare alcune cose anche di quella.
So di avervi fatto penare (starò parlando ai lettori o ai personaggi? XD), ma tutto sommato, dopo la coppia di Chibi, anche questi due dementi paiono essersi capiti.
la domanda fondamentale, a questo punto è: se tutti si sono chiariti e siamo capitolo 34... cosa diamine accadrà per arrivare a 50?
fufufu
Stay tuned★

Un sentito a grazie a quella santa e paziente lettrice di WhenItsTime. Te l'avevo detto che anche il 34 era un capitolo-bomba u.u *love love*

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Capitolo 36
*** 35. Messed up Hearts need a Second Breath ***


«Kanpaaaaai!!» esclamarono in coro i sei commensali. Erano un quadro piuttosto strano, ma andavano spesso a cenare in quel locale, quindi erano conosciuti: solitamente erano quattro uomini e una donna, ma quella sera c'era una persona in più ed era anch'essa di sesso maschile. Forse a vederli dall'esterno si sarebbe pensato male dell'unica ragazza presente, ma bastava ascoltare i loro discorsi per accorgersi che il linguaggio che tutti usavano con lei era di rispetto, il che lasciava intendere che fosse una loro superiore. Per i camerieri e per altri avventori abituali erano i "sensei", insomma niente di sconveniente, solo una caposala e i professionisti che lavoravano con lei.
Tomomi spostò lo sguardo sul novellino arrivato il giorno prima a cui stavano facendo la festa non ufficiale (quella ufficiale di reparto si era tenuta la sera prima ed era stata una noia mortale): erano al sesto brindisi e lui reggeva bene mentre altri due erano alticci. «Ho dimenticato a cosa brindiamo!» esclamò uno di questi «A cosa brindiamo allora?» chiese
«Al nuovo arrivato: Sakai kun» spiegò la donna «E all'operazione di Yamashita san» questi sollevò il boccale con un sorriso soddisfatto
«Giusto! Bravo Yamashita sensei! Che interventooo» canticchiò il secondo
«Li mandiamo a fare un giro fuori?» domandò il terzo di quelli rimasti più o meno sobri «Cominciano a fare troppo baccano»
«Eeeeh? Fuori? Fa freddo!»
«Ma dove? Al venti di settembre fa appena freschetto la sera, è quello che vi serve a voi per darvi una calmata»
«Nomura Fuchou!» la richiamarono quei due «Non ci cacci via!»
«Hanno ragione i ragazzi: mettetevi qui fuori e respirate per bene finchè non vi sarete calmati, non voglio stare al tavolo con gente ubriaca e rumorosa» annuì lei prendendo ancora un sorso birra «Quando tornate possiamo andare a casa, ormai abbiamo finito di mangiare e alcuni di noi lavorano domani». La coppia di colleghi boffonchiò risentita, ma a quell'ordine si alzarono entrambi e si avviarono barcollanti all'uscita. «Scusate, sono sempre così?» domandò il novellino, cortesemente
«Sì, ma di solito possiamo prendere una saletta a parte» rispose Yamashita «Quindi possono fare baccano»
«Sono vergognosi, non reggono per niente» scosse il capo Tomomi
«Fuchou, lei è imbattibile. Penso di non averla mai vista ubriaca» asserì Koide, il terzo uomo rimasto al tavolo
«Non bevo mai, se non quando usciamo noi, quindi non si può dire che io sia un'accanita bevitrice. Semplicemente mi fa poco effetto» spiegò lei stringendosi nelle spalle. Con qualche altro commento sparso sulla questione ciascuno raccolse le bacchette e i piattini usati intorno alla pentola dello shabu-shabu*, a centro della tavola, di modo da sparecchiare alla meglio. «Chissà chi diavolo si è preso la nostra sala» sospirò Yamashita «Avevo voglia di divertirmi e bere fino a scoppiare» storse il naso
«Ma così domani sarebbe risultato ancora alticcio e non avrebbe potuto nemmeno fare il giro delle corsie con Nomura Fuchou» fece notare Koide
«Però ha bevuto molto ieri sera Yamashita sensei» osservò Sakai kun «Poi ci tocca venire a trovarla a gastroenterologia». Ridacchiarono tutti quanti «Ma com'è spiritoso il novellino...» sorrise quello, poco convinto
«Mi scusi, non...»
«Sakai kun, non fare caso a quel che dice Yamashita sensei, è bravo a minacciare solo a parole, poi alla fine è un pezzo di pane» spiegò Tomomi «Quando Miyata san torna chiedilo a lui, è stato suo allievo».
Quelli erano i colleghi con cui aveva legato: Yamashita sensei, il vecchio caposala che si era ritirato dall'incarico e che aveva accettato di essere suo vice in quei primi anni in cui lei avrebbe ricoperto quel ruolo, Miyata san e Koide san, dottori più giovani di lei, ma bravissimi nel loro lavoro, e Haruya Koji (il secondo uomo che stava fuori dal locale a smaltire l'alcol bevuto), conosciuto ai tempi dell'università e poi ritrovato quando si era trasferita a lavorare in quella struttura. Era l'unico di cui si fidasse ciecamente, a parte Yamashita sensei, e che chiedeva sempre di avere come spalla in sala operatoria. O ancora, era l'unico a cui delegasse del lavoro se le circostanze non le lasciavano altra scelta. Usciva con loro perchè si trovava bene, mentre non aveva legato molto con le altre donne sul posto di lavoro. Oltre a essere per la maggior parte infermiere -e quindi non sarebbero certo uscite a mangiare con i dottori se non nelle cene ufficiali di reparto- anche le dottoresse vere e proprie non erano molte e con loro era stata in competizione per la carica di caposala: avendola ottenuta, aveva stabilito con loro un rapporto di fredda collaborazione, ma nulla di più. Le infermiere la ammiravano per il successo ottenuto, ma con il carattere che si ritrovava incuteva in loro rispetto e squisita cordialità, nessuna aveva mai voluto diventare sua amica al di fuori dell'ospedale. La cosa comunque le stava bene: le reputava tutte delle pettegole e delle sciocche, di buon cuore magari, ma decisamente poco interessanti per lei che, se pure aveva imparato ad essere meno arrogante, si considerava comunque una persona colta e intelligente: non provava interesse nel parlare di vestiti, trucchi, uomini, riviste e altro con quel fare civettuolo che avevano loro. Per non parlare dei pettegolezzi che si scambiavano su qualsiasi impiegato dell'ospedale: si era ben guardata dal dar loro motivo di chiacchierare su di lei, però aveva la fama di una severa, mascolina e -per le malelingue- probabilmente frigida.
Certo non pensava che le donne fossero tutte pettegole e sciocche e gli uomini intelligenti e degni di stima, al contrario erano poche le persone che rientravano in questa seconda categoria e non erano solo maschi, ma tutto sommato si trovava meglio con la stupidità degli uomini che non con quella femminile. Senza contare che questi ultimi non badavano tanto ai pettegolezzi, perlomeno non loro.
Tomomi si alzò in piedi e gli altri la imitarono, Yamashita sensei, che era il più anziano, aveva costretto tutti ad abituarsi a quel gesto ogni volta che una donna si alzava da tavola, anche se la donna era lei che in loro compagnia non aveva atteggiamenti particolarmente femminili. «Torno subito, poi possiamo andare» disse prendendo la borsa. Probabilmente ai colleghi sarebbe toccato spiegare a Sakai kun cosa signifcava il suo "torno subito" in serate come quelle. Lei invece si allontanò senza troppe cerimonie «Capo, buonasera» salutò avvicinandosi alla cassa
«Oh, Nomura sensei» salutò il padrone del locale «Ho visto che c'è una new entry»
«Assunto da poco, volevamo fargli la festa in privato» ridacchiò
«Lei fa paura sensei, non lo trattate male: è così giovane» sorrise l'uomo
«Giuro, siamo gente per bene noi. Salviamo la vita alle persone o no?» fece socchiudendo le palpebre con un sorrisino sbilenco «Posso andare sul retro?» domandò
«Giornataccia? Vada pure sensei» annuì quello indicandole la porticina infondo al corridoio che passava di fianco alle cucine. Tomomi ringraziò con un cenno del capo e fece il giro del bancone. Passò di fianco agli shoji che dividevano la grande sala con tavoli occidentali dall'ala del locale con le salette in stile tradizionale. Quella sera era stata riservata tutta quella zona, quindi non avevano potuto prendere il solito spazio per fare baccano in pace: nella sala grande, in pubblico, non potevano fare troppo rumore. Da dietro la carta di riso sentì le risate divertite e il rumore delle bacchette contro i piatti in porcellana. Sorrise e tirò dritto verso l'uscita sul retro. Quella sera tirava un vento particolarmente freddo e appena si trovò fuori l'aria le schiaffeggiò la faccia. Se fosse stata alticcia le sarebbe passata all'istante! Si appoggiò al muro dell'edificio mentre tirava fuori il pacchetto di sigarette dalla borsa. Si poteva fumare dentro, ma lei voleva farlo da sola anche se ciò sarebbe significato stare in mezzo ad una bufera eccessivamente fresca per fine settembre. Mise la sigaretta tra le labbra e provò ad accendersela cinque o sei volte. Aspirò profondamente socchiudendo gli occhi al vento. Si portò la mano libera al petto per tenere chiusa la camicia e osservò gli angoli più illuminati del cortile sul retro, senza vero interesse.
Una donna sola a fumare al freddo mentre dentro l'aspettavano cinque uomini, ma nessuno dei quali interessato a lei, sessualmente parlando. "Vista così questa vita fa proprio schifo" pensò tra sè prendendo un altro tiro. Chiuse gli occhi portando la sua attenzione sul fumo trattenuto in gola e al suo lieve calore, poi lo lasciò libero aprendo le labbra. Dietro le palpebre poteva ancora vedere brevi flash dell'operazione fatta quel giorno. Perchè aveva scelto cardiologia, una branca delicata, se soffriva di sensi di colpa tanto profondi? "Posso chiamarla vita? Lavoro... non faccio altro. Vivere per il lavoro è da vecchia zitella triste. Orribile..." continuò dentro di sè. Lo faceva sempre: per non ripensare all'operazione andata male e per assecondare la propria depressione, si commiserava. E non si risparmiava. "Non ho un uomo, e tanto non avrei tempo di vederlo, ho un paio di amiche che vedo giusto per le partite e presto si stancheranno di me e di starmi dietro dato che io non le chiamo quasi mai. A breve rimarrò senza di loro... dovrei prendere quattro gatti: se sto fuori tutto il giorno non si sentono soli e quando torno vogliono le coccole. Farò la gattara e perderò il posto... vivrò di peli e scatolette". Riaprì gli occhi quando ebbe l'impressione di non essere sola: effettivamente c'era una bambina sulla soglia che la fissava. Anche se era scuro, la brace della sigaretta segnalava la sua presenza e poi indossava una camicia bianca, che si notava facilmente nella penombra. «Scusi disturbo?» disse quella
«No» rispose Tomomi «Ti sei persa?»
«No, devo nascondermi. Può far finta di non avermi vista?» chiese avvicinandosi rapidamente e mettendosi accucciata vicino alle sue gambe, diventando così poco visibile per chi arrivava dalla porta sul retro «Continui a fumare, io non ci sono» spiegò coprendosi il viso con le mani. Tomomi sorrise incredula: non sarebbe diventata invisibile coprendosi gli occhi, ma quel gesto era tanto ingenuo da divertirla. Non spense la sigaretta, come avrebbe invece fatto normalmente, e fece attenzione a lasciar cadere la cenere di modo che non cadesse dal posacenere e non volasse verso la bambina. "Se la imitassi?" si disse provando a coprirsi gli occhi con le mani a sua volta, stringendo la sigaretta tra le dita. "Così nessuno mi vedrà mai più e anche le cose brutte spariranno. Via! Sciò!" ma dopo un po' sentì un dito bruciarle e si sbrigò a spegnere la brace. Aveva le lacrime agli occhi, eppure non piangeva mai quando perdeva un paziente: si deprimeva, fumava una sigaretta e si deprimeva di nuovo, ma non piangeva. "Colpa della bambina" pensò infastidita. «Ehi, io devo rientrare, non è meglio se vieni anche tu? Qui è buio e fa freddo» disse abbassando lo sguardo
«Ma devo vincere» ribattè a bassa voce
«Ma non puoi ammalarti» cercò di insistere. Doveva sembrare spaventosamente alta ai suoi occhi, soprattutto da là sotto, così le venne da accucciarsi a sua volta, rannicchiandosi per trattenere il calore del proprio corpo e non prendere troppa aria. «Non è sicuro rimanere qui sola al buio sai? Non posso lasciarti»
«Allora stai qui. Se ti metti così mi nascondi bene sai?» spiegò la bambina tutta contenta. La donna sbirciò verso di lei con più attenzione ora che erano così vicine. Era veramente minuscola «Quanti anni hai?» le domandò
«Ne ho quasi sei» rispose facendole segno con le dita «Li faccio tra cinque giorni»
«Oh... auguri in anticipo» le venne da rispondere. Nonostante fosse preda dei sensi di colpa per la perdita avuta quel giorno, di fianco ad una vita così giovane non potè fare a meno di sentirsi un briciolo più positiva. «Sai cosa è strano? Quando giocavo a nascondino io, le persone dopo un po’ si facevano vive. Non è che ti cercano da un’altra parte? Sarebbe il momento giusto per andare a fare tana» provò a convincerla. Quella ci pensò un po’ su e poi accettò il suggerimento.
Finalmente rientrò al caldo del locale, tenendo la bambina per mano, e fece un sospiro di sollievo. Non era mai stata brava con i bambini, ma i pazienti sono un po’ tutti dei bambini, quindi aveva una certa dimestichezza con l’arte del convincere gli altri a fare qualcosa. «Sono qui» spiegò la piccola indicando gli shoji
«Sei chan!» un urlo arrivò dal lato opposto del corridoio: infondo era appena comparso Matsumoto Jun. «Tana libera tutti» annunciò Tomomi con un misto di sorpresa e divertimento della voce.

«Nomura san?» domandò Jun a mezza voce, indeciso. Non era riuscito a trattenere quell’esclamazione per la sorpresa, ma per quanto improbabile fosse era indubbiamente lei, pure se era diversa dal solito -se si poteva chiamare "solito" l'aver incontrato una persona solo due volte: aveva i capelli sciolti e leggermente spettinati, probabilmente perchè aveva il vizio di ravviarseli spesso con le dita, il viso era un po' pallido ed aveva un'espressione orribile a metà tra quella di chi è sull'orlo delle lacrime e quella di chi non riposa per bene da diverse notti. Indossava una polo bianca su un paio di jeans sbiaditi, niente trucco e nessuna bigiotteria. «Jun kun! Ho vinto!» esclamò Seiran richiamando la sua attenzione
«Ti cercavo da tutt’altra parte» si giustificò risentito, aveva perso a nascondino contro una bambina. «Matsumoto san» venne richiamato da un signore che aprì gli shoji improvvisamente «Ah Seiran chan! Ecco dov’eravate tutti e due: rientrate prima che i clienti vi riconoscano» sembrò sgridarli
«Mi scusi, stavo salutando un'amica» rispose il giovane idol, accennando a Tomomi che ancora teneva per mano Seiran «Grazie per averla ritrovata» disse con un inchino profondo
«Nessun problema, è lei che ha trovato me in realtà» spiegò la donna «Bene, hai vinto su tutti, ora è meglio se finisci la tua cena no?» domandò alla bambina. Questa la ringraziò educatamente per l’aiuto e rientrò nella sala di tatami insieme al tizio fermo sulla soglia.
Jun deglutì a fatica. “Devi lasciarmi qui così? Sei chaaan!” strillò mentalmente il ragazzo fissando intensamente lo shoji finchè non venne richiuso “Questo incontro è inaspettato e decisamente imbarazzante dato che ho rifiutato questa donna poco meno di ventiquattro ore fa” deglutì. «Scusami per il disturbo. Seiran non stava più ferma e mi hanno chiesto di stare un po’ con lei» si giustificò raddrizzando la schiena
«Non importa Matsumoto san» scosse il capo lei «Non ci sai fare con i bambini mi sa»
«Da cosa lo diresti?» domandò aggrottando le sopracciglia
«Le parli come se fosse un adulta, non ti riesce di cambiare il tuo modo di parlare» spiegò con un sorriso, leggero ma divertito. Non doveva essere facile per nessuno dei due quel momento. «Comunque che sorpresa non mi aspettavo di incontrarti qui»
«Lavori qui vicino?» la domandò nel tentativo di sciogliere l'imbarazzo iniziale che sarebbe solo peggiorato se non avessero cominciato subito a parlare
«Non proprio» rispose semplicemente senza aggiungere altro. Jun la guardò e sollevò le sopracciglia con cenno del capo «Cioè?» domandò per incoraggiarla a parlare ancora
«L'ospedale è nella cittadina vicina, ma io e i colleghi amiamo questo posto quindi veniamo qui spesso» spiegò spostando lo sguardo dal suo viso. Non riusciva ad immaginare che sentimenti stesse provando in quel momento, ma era convinto che nonostante ciò che era successo quella donna era una buona compagnia. Ci aveva sempre chiacchierato piacevolmente ed era anche una persona interessante. Certo non si sarebbero più rivisti molto ma in quel momento era lì e allora voleva parlarle. «Tu? Sei qui con gli amici?» domandò lei
«Non proprio» le fece il verso con un sorriso «Sono anche io con i miei colleghi: abbiamo finito le riprese e siamo venuti a festeggiare» disse indicando alle sue spalle le porte in carta di riso. Sapeva che quel locale era piuttosto famoso a Tokyo, ma non credeva così tanto da incontrarci qualcuno come lei per caso. «Ah, ecco chi ci ha rubato il posto» riflettè la ragazza
«Sarebbe a dire?» domandò confuso
«No, no, nulla! Era per dire... solitamente prendiamo una saletta per bere senza dare fastidio, ma oggi era tutto occupato e...» lasciò in sospeso la frase e alzò una mano annuendo. Jun seguì con gli occhi la direzione verso la quale era rivolto quel saluto e notò cinque uomini che si stavano alzando da un tavolo, indossando i loro cappotti.
«Sono i miei colleghi, abbiamo finito la cena» spiegò Tomomi facendo un passo indietro «Credo sia meglio se rientri» concluse accennando alla sala dietro gli shoji
«Sei di fretta?» le domandò lui senza pensarci su
«No beh…» farfugliò confusa «Devo solo andare a prendere il treno per tornare a casa»
«Posso offrirti qualcosa? Non penso ci rivedremo più così facilmente e mi dispiacerebbe salutarci così» spiegò tutto d’un fiato. “No avrei dovuto proporlo. Maledizione a me e alla mia lingua lunga” si riproverò “Che senso ha invitare a bere una donna che ho rifiutato ieri? Nessuno, la situazione sarebbe imbarazzante, persino dolorosa per lei. Non può accettare” sospirò. Non gli era possibile nascondere ciò che pensava e desiderava e a volte finiva col fare delle pessime figure. «Volentieri. Se mi dai due minuti saluto i miei colleghi» fu la risposta che ricevette. Jun annuì guardandola con gli occhi sgranati «Ti aspetto dietro la porta, per sicurezza» accennò agli shoji con una mano. Per quale masochistica ragione aveva accettato?
Dietro ai pannelli in carta di riso regnava un discreto baccano. La troupe era numerosa e quasi tutto il cast si era liberato dei propri impegni per poter essere presente quella sera. Il drama estivo era stato un successo e si era divertito anche se quei mesi erano stati emotivamente faticosi per lui. Era andato avanti per senso del dovere e sorretto dall’amicizia dei suoi compagni: ognuno aveva avuto un sorriso gentile e un gesto d’affetto per lui, avevano sempre scherzato senza permettere che nulla cambiasse nell’armonia del loro gruppo. Per tutte queste cose gli era infinitamente grato. Ma riprendersi e andare avanti erano due cose che dipendevano da lui e dalla sua forza interiore: dare il massimo sul set lo aveva aiutato a farsi coraggio e a cercare di ingranare la marcia giusta. Stava meglio rispetto a Luglio, ma ancora c’era qualcosa che lo teneva ancorato ai sentimenti e ai rimpianti dell’estate. «Che fai sulla porta Matsujun?» domandò un collega
«Ho incontrato un amica che non vedevo da tempo, pensi ci sia qualche problema se la invito ad unirsi?» chiese
«Non credo… purchè non si metta a fare la fan impazzita»
«Penso non sappia il nome di nessuno qui dentro, non è una che segue la televisione» ragionò pensieroso: effettivamente era un ambiente di perfetti sconosciuti per Tomomi, ma non ebbe tempo di domandarsi se aveva fatto la scelta giusta o meno che la donna fece scorrere la porta «E’ permesso?» domandò con un filo di voce
«Vieni, vieni» la invitò ad entrare
«Sei sicuro di volermi far stare qui? E’ la vostra festa, sono un’intrusa» pronunciò tenendo tra le mani un giacchetto spiegazzato
«Va tutto bene, non c’è solo il cast, ci sono anche esterni. Magari il fidanzato di qualcuno o dei parenti» spiegò indicandole alcune persone, poi le fece strada tra i tavoli e i cuscini e la fece sedere nel posto accanto al suo. «Dov’eri finito Matsumoto san? Credevamo ti fossi perso per colpa di Seiran» domandò la donna seduta davanti a lui
«La stavo cercando e intanto ho incontrato un amica. Takeuchi san, questa è Nomura Tomomi» la indicò alla collega «Nomura san, lei è Takeuchi Yuko san: è la protagonista femminile»
«Molto piacere» salutò Tomomi
«Piacere mio, così sei un amica di Matsumoto san? Che sorpresa… pensavo uscissi solo con gli altri ragazzi ultimamente» rise divertita
«Certo che no» rispose risentito
«No, hai ragione. Non sei uscito affatto in questi mesi» sorrise ancora quella, bonaria. Lo stava prendendo in giro, ma Jun sapeva quanto le sue parole fossero vere. La sera in cui aveva conosciuto Tomomi era stata uno strappo alla regola: in realtà non usciva con qualcuno da tempo. «Nomura san di cosa ti occupi?» domandò l’attrice
«Sono una cardiologa» rispose subito, poi spostò lo sguardo su di lui e ancora sulla sua collega, per un attimo Jun ebbe l’impressione che si vergognasse del suo lavoro lì in mezzo. «Sei un dottore? Matsumoto san ha sempre delle amicizie particolari»
«Strane?» domandò lui
«No, “particolari”. Molti di noi finiscono tanto assorbiti dal lavoro che finiscono con il conoscere solo gente del nostro ambiente e nemmeno tanta. Per uno famoso e indaffarato come Matsumoto san sarebbe normale una cosa del genere, e invece ha molti più amici di quanto non si immagini e tutti molto diversi, quindi non solo personaggi famosi» spiegò Yuko guardando Tomomi. Il ragazzo si sentì in imbarazzo, sembrava le avesse chiesto di tessere le sue lodi davanti ad una bella donna, quando non era affatto così! Senza contare che, data la dichiarazione, lei era già attratta da lui senza aver bisogno di sentire tutti quei complimenti. «Un dottore però… non me l’aspettavo davvero»
«Penso che lo stesso si possa dire per chi lavora in ospedale» la interruppe Tomomi «Sono lavori impegnativi che richiedono presenza e concentrazione oltre che un grosso sforzo e impiego di tempo. Appunto per questo è giusto che chi li pratica possa avere un modo per svagarsi e allontanarsene quando non li pratica. Chi vive solo in funzione del proprio lavoro e solo immerso in quell’ambiente probabilmente ha performance buone ma meno rispetto a chi sa anche prendersi le giuste pause» si girò a guardarlo «Se dicono che Matsumoto san è bravo probabilmente è proprio perché sa anche prendersi delle pause e continuare a rimanere una persona di questo mondo, non alienata nel proprio dovere»
«Tutto questo per ribadire che non è così strano se ci conosciamo?» domandò Jun, preso un po’ alla sprovvista da quel discorso che sembrava dargli troppe buone qualità e che detto da quella donna era decisamente troppo buono. Dato ciò che le aveva detto il giorno prima si sarebbe meritato solo degli insulti. «No. Per farti notare che per quanto tu sia bravo sul lavoro e nelle amicizie ancora non riesci nemmeno a relazionarti come si deve con una bambina» rispose la donna accennando a Seiran seduta ad un altro tavolo
«Vero? E dire che gli Arashi solitamente se la cavano bene con i piccoli. Matsumoto san è troppo serio» rise Yuko
«Non voglio parlarle come si parlerebbe ad uno stupido» ribattè Jun
«Non devi parlarle come se fosse stupida, perché non lo è. Ha solo una mente più semplice e come tale comprende meglio i discorsi meno complessi e più diretti» gli spiegò Tomomi
«Quindi se alla fine di una lunga giornata di lavoro un bambino tuo paziente ti chiede di giocare a nascondino cosa fai per fargli capire che sei in piedi da stamattina all’alba e non riesci più a muovere un muscolo?» la sfidò il giovane Idol
«Uhm… o gli propongo di giocare a nascondino nella stessa stanza così da non dovermi muovere tanto, oppure posso proporgli di rinviare a domani e farlo giocare con un altro paziente più giovane. Ma il più delle volte i capricci dei pazienti più piccoli sono ottimi per convincerli a fare altro: gioco con te se poi ti fai fare l’iniezione, se mangi tutta la cena domani ci nascondiamo in giardino, e così via»
«Questo non è trattarli in maniera semplice, è ricatto» ribattè sbalordito
«No, è un semplice scambio: io ti do se tu mi dai» sorrise angelica prima di bere dal bicchiere offertole
«No, è un ricatto» rise divertito Jun
«Giuro che sono buonissima» alzò le mani in aria
«E’ un ricatto e fai paura. Ricordami di non diventare mai tuo paziente»
«Guarda, ti assicuro che se non hai la mania di giocare a nascondino e mangi tutta la minestra della mensa non ho bisogno di ricattarti»
«Vedi? È un ricatto allora» ed entrambi si misero a ridere.

Era un po’ come essere tornata indietro nel tempo, a quella sera in cui, lasciando soli Sakurai san ed Erina, si erano concentrati solo su loro due. O ancora, sembrava quello scambio di battute facile e spontaneo avuto in quell’ultima notte d’estate, sotto i fuochi d’artificio. Matsumoto Jun era una persona interessante e curiosamente le riusciva bene chiacchierare con lui senza comportarsi da dura, né utilizzare un linguaggio da scaricatore di porto. Probabilmente era anche ciò che provava per lui a spingerla a comportasi in maniera più carina e meno rude, eppure continuava a dire la sua opinione e rispondere come voleva anche mantenendo quell’atteggiamento più femminile. Passò un’ora circa in quella saletta e parlò principalmente con lui che gli presentò alcuni dei colleghi, il giorno dopo avrebbe già dimenticato i loro nomi, ma avrebbe ricordato come si era sentita al fianco del ragazzo: a suo agio, serena, capace di intraprendere un discorso serio e di scherzare subito dopo come non le era mai successo prima. Si maledì per aver accettato quell’invito. Era stata spinta dalla curiosità di vedere Jun nel suo ambiente con i suoi colleghi, ma non aveva calcolato che avrebbe approfondito quegli aspetti che le avevano reso quel ragazzo un uomo interessante tanto da provare qualcosa. Una volta rifiutata avrebbe fatto bene a levarselo dalla testa e dimenticare ogni cosa, lei invece si era rituffata in quelle sensazioni senza rendersene conto.
Al momento di lasciare il locale e tornare ognuno a casa propria Jun cominciò il giro dei saluti: conosceva veramente tutti. A le invece si avvicinò uno degli attori che le erano stati presentati, sembrava quello con cui l’Idol aveva legato di più tra tutti. «E’ stato un piacere conoscerla Nomura san, chissà se avremo ancora occasione»
«Non saprei…» rispose vagamente, un po’ perché era improbabile, un po’ perché stava cercando di ricordare il suo nome e non le veniva in mente. «Sinceramente cominciavo a preoccuparmi. Jun kun è un buon amico e un bravo attore, ma in questi mesi di lavoro, anche se si impegnava, si vedeva che il suo dolore lo opprimeva molto» spiegò questi spostando lo sguardo sull’amico. Tomomi invece concentrò l’attenzione su di lui, non riuscendo a capire il suo discorso. «Ma per fortuna nelle ultime settimane sembra abbia cominciato a riprendersi. Certo un incidente come quello non si scorda facilmente». La donna abbassò lo sguardo, imbarazzata: quel collega doveva aver dato per scontata una profondità nell’amicizia tra lei e Matsumoto che in realtà non c’era affatto, credendo così che potesse sapere a cosa si stesse riferendo perchè sembravano confidenze piuttosto intime. «Mi dispiace, io… non credo dovremmo parlarne» cercò di spiegarsi, aveva il sentore che quelle fosse informazione che lei non aveva alcun diritto di sapere
«No hai ragione, sei cardiologa giusto? Non sta certo a me dire quanto possano soffrire le persone che perdono chi amano improvvisamente, nel tuo campo capiterà immagino»
«S-sì, penso di dover andare ora. Buona notte» tagliò corto Tomomi facendo un rapido inchino prima di allontanarsi rapidamente.
Sarebbe cosa via più veloce che poteva, se solo non fosse sembrata una pazza se fosse scappata improvvisamente. “E’ questa la verità allora? Le persona a cui pensi, la donna che non riesci a dimenticare nonostante ti abbia abbandonato è morta?” si chiese voltandosi a guardare Jun che sorrideva e si inchinava ripetutamente al regista “E’ chiaro allora: non la sogni perché dentro di te vuoi accantonare questa storia troncata sul nascere, ma sei troppo sensibile per accettare di abbandonare così l’amore che provavi. Perché era un amore innocente. Non ti ha lasciato, non avete litigato, non ti ha tradito: ti amava ed è morta”. Conosceva quella storia. Non tutti i pazienti si confidavano, ma in quegli anni qualche volta era successo e capitava fossero mariti o mogli o compagni rimasti soli dopo la perdita del proprio partner. Il dolore e l’ingiustizia della perdita si scontravano con la naturale voglia di continuare a vivere e a provare sentimenti. Ne nasceva il senso di colpa.
Jun salutò Seiran per ultima e ringraziò ancora Takeuchi san poi raggiunse Tomomi «Non posso guidare quindi chiamerò un taxi, vuoi che possiamo prima da casa tua?» propose sorridendo
«Accompagnami alla stazione» rispose lei tranquilla «Dovrebbe esserci l’ultimo treno tra un quarto d’ora»
«Sei sicura?» domandò il ragazzo «Se non hai abbastanza soldi pago io la corsa. Mi spiace di non poterti riaccompagnare di persona ma…»
«Va bene così Matsumoto san» scosse il capo lei «Però andiamo o lo perdo». Lui annuì e si avviarono nonostante il manager dell’idol fosse un po’ reticente a mandarlo da solo.
Il vento si era leggermente calmato, ma continuava a far fresco, così si era messa la giacca sopra la polo e l’aveva anche chiusa fino al collo mettendo le mani in tasca. Sapeva che avrebbe fatto meglio a non dire nulla. Non erano affari suoi, non avrebbe nemmeno dovuto saperli, eppure non se la sentiva di lasciare quel ragazzo in preda a sentimenti tanto dolorosi e confusi. «Credo che qualcuno abbia frainteso il nostro rapporto» esordì tenendo gli occhi incollati alla strada mentre camminavano sul marciapiede
«Si? Mi dispiace, ti hanno detto qualcosa?» fece Jun mentre si sistemava il cappuccio della felpa grigia fuori dalla giacca di pelle
«Qualcosa che non avrei dovuto sapere, credo» sorrise lievemente «Ma ormai è fatta. Non è poi così grave» scrollò le spalle
«Che è successo?» domandò lui confuso
«Vorrei che facessi una cosa per me» gli disse sbirciando verso di lui, piegando appena la testa «Dovresti dimenticare quel che è successo ieri»
«Come?» fece, ancora più confuso
«Fai come se non ti abbia mai detto che mi piaci. Era fuori luogo, ma non ne avevo idea»
«Hai saputo qualcosa vero? Non c’è bisogno che ti angusti, va bene così» scosse il capo lui, preoccupandosi «Non hai fatto niente di male»
«No, certo che no, ma non voglio che ci pensi più. Perciò è più facile far finta che non sia mai successo» gli spiegò paziente
«Perché non dovrei pensarci? Cosa ti hanno detto?» e si fermò, smettendo di camminare. Aveva l’aria accigliata e insieme spaventata. Era chiaro, stavano per parlare di un sentimento che era suo, suo soltanto, privato e intimo. Tanto fragile che probabilmente temeva svanisse se ne avesse parlato ad alta voce. «Mi hai detto che c’è un’altra che non riesci a dimenticare per quanto lei però non sia più con te e non abbia più alcuna influenza sulla tua vita. Ho pensato fosse un eufemismo per una storia finita male, un modo per descrivere una donna di cui eri molto innamorato e che per quanto ti avesse lasciato non riuscivi a dimenticare. Ma non è così vero?» domandò fermandosi al suo fianco e guardandolo negli occhi «Come si chiamava?»
«Che importanza ha?»
«Per darle un nome, non mi piace chiamarla “lei”. Merita di essere chiamata per nome ancora adesso se…»
«Shiori» la interruppe Jun «Si chiamava così»
«Aveva dei problemi al cuore vero? Sembrava che dovessi sapere di Shiori proprio in virtù del fatto che lavoro nel campo della cardiologia» spiegò osservando il ragazzo annuire mestamente «Ho visto persone perdere i propri cari. Le vedo ogni giorno anche quando non se ne vanno sotto i miei ferri, le ho viste oggi, le vedrò domani. Non per questo pretendo di sapere cosa si provi e cosa vada fatto, ma penso che sia meglio se tu non tieni più in conto ciò che ti ho detto»
«Perché pensi che io ci dia ancora peso?» domandò irritato. Tomomi non si offese, era un classico: usava la cattiveria per difendersi da qualsiasi cosa lei avrebbe detto, nella speranza che desistesse e non si interessasse più a quel lato vulnerabile dei suoi sentimenti. «Perché se non ti interessasse mi avresti rifiutato e basta, invece mi hai dato una spiegazione. Perché stasera mi hai invitato improvvisamente ma il secondo dopo ti sei preoccupato di aver fatto la cosa sbagliata e di aver ferito i miei sentimenti. Perché a te interessa ciò che provano le persone che ti circondano» replicò con voce dura, come se servisse a sconfiggere il tono irritato di lui «Sei una persona sensibile altrimenti non saresti nelle condizioni in cui sei ora». Rimasero in silenzio per un po’, poi Jun riprese a camminare verso la stazione come destandosi dai suoi pensieri e rendendosi conto solo in quel momento di essersi fermato. «Ciò che è capitato a Shiori non ha niente a che vedere con te. Perché pensi che la tua dichiarazione possa cambiare qualcosa?»
«Sei già in conflitto con te stesso, mi sbaglio? Hai detto di non riuscire a sognarla, che nulla di lei rimane nella tua vita. Ci sono solo i tuoi sentimenti a ricordare ancora il suo passaggio e tu non riesci a staccartene, anzi, non vuoi farlo perché Shiori non ha fatto niente di male per essere dimenticata» spiegò a mezza voce avvicinandosi di più al suo fianco mentre camminavano quando in una via più frequentata avrebbero rischiato di venire separati dalle altre persone. «E’ un conflitto che ho già visto in altre persone: il volersi lasciar andare alla dolorosa dolcezza dei ricordi contro la tendenza naturale di tutti noi alla sopravvivenza, alla voglia di andare avanti e continuare. La mia dichiarazione, la dimostrazione che c’è la possibilità di voltare pagina è come una scossa nei tuoi sentimenti: che io ti piaccia o meno ti ho provato che ci sono infinite altre possibilità se decidi di darti pace e ti getti alle spalle il passato. In un certo senso peggiora la situazione» si strinse nelle spalle
«Non pensi che invece potrebbe essere la spinta decisiva verso l’uno o l’altro desiderio tra quelli in conflitto?» domandò con una punta di curiosità nella voce
«Non credo. Hai già scelto rifiutandomi e parlandomi subito di Shiori: non hai scelto il passato doloroso dicendo “no” a me, hai respinto il futuro possibile usando i tuoi ricordi come scudo e come scusa per non darti nessuna possibilità. Né io, né altre» scosse lievemente il capo e si fermò una volta che arrivarono davanti all’entrata della stazione. C’era anche qualcosa di non detto: i morti, coloro che ci sono stati cari in vita, sono rivestiti di un velo di lucentezza e perfezione. Se Jun fosse stato lasciato da una fidanzata qualsiasi magari un giorno si sarebbe dimenticato di lei rendendosi conto di quanto fosse imperfetta, ma la sua “avversaria” –se così poteva considerarla nonostante non ci fosse stata alcuna battaglia dopo il rifiuto del giorno prima- era una donna perfetta il cui ricordo non poteva essere macchiato. Tomomi non aveva alcuna chance.

Alzò gli occhi a guardare il cielo scuro. C’erano stelle? Le luci della città le nascondevano ai suoi occhi.
«Sto sbagliando tutto? E’ questo che vuoi dirmi?» domandò guardando Tomomi negli occhi. C’era della verità in ciò che diceva, ma questo non gli rendeva ancora chiaro cos’avrebbe dovuto fare. Sapeva anche che una soluzione ai suoi problemi l’avrebbe trovata solo con le sue forze e non chiedendola ad altri, e di certo non chiedendola a qualcuno che conosceva così poco, ma sentire i suoi sentimenti snocciolati in così poche frasi, resi con parole chiare lo terrorizzava e lo affascinava allo stesso modo. Altri erano stati nella sua stessa situazione? Quelle sensazioni che lui provava avevano un nome? Individuarle così dava loro una realtà dolorosa e terribile, ma anche una concretezza tale che sembrava di poterle toccare. E se si potevano toccare, si potevano anche superare e cancellare.
«C’è gente che ha continuato a vivere nel passato e c’è chi ha invece deciso di andare avanti. Forse non c’è giusto e non c’è sbagliato: come può essere sbagliato desiderare la felicità e il futuro? Ma è anche giusto non dimenticarci di chi ci ha amato e ci ha donato una parte del proprio cuore prima di lasciarci. Non puoi aspettarti che sia io a dirti cosa fare» fece spallucce tirando fuori le mani dalle tasche «Non oggi, che è stata una giornata pessima, né mai, perché… beh, devo ammetterlo, c’è un conflitto di interessi»
«Intendi dire che mi diresti di andare avanti e di ripensare alla mia risposta?» chiese con un sorriso leggermente divertito, ma in parte era incuriosito dalla risposta
«Dimentichi che ti ho chiesto di dimenticarti della mia dichiarazione» sbuffò arricciando il naso «E seconda cosa, non è un discorso che riguarda solo me: chiunque ti conosca vorrebbe il futuro nella tua vita, ma nessuno di noi immagina cosa sia il passato per il tuo cuore». Jun sentì quasi una bruciante delusione a quella risposta. “Cosa mi aspettavo? Che mi chiedesse di ripensarci? Non credo nemmeno che la risposta di oggi sarebbe diversa da quella di ieri, quindi a che pro aspettarsi una simile richiesta?” si domandò guardando a terra, sbalordito dalle sue stesse speranze. «Ad ogni modo» sospirò Tomomi scrollando le spalle «Sono certa che hai degli ottimi amici con te, molto più preziosi e cari di qualsiasi bella ragazza ti si possa dichiarare. Di certo per loro, o con loro, troverai un modo per affrontare il futuro senza che il passato venga dimenticato» concluse con un sorriso. In quel momento la voce femminile degli altoparlanti della stazione richiamò la loro attenzione. «E’ l’ultimo, sarà meglio che vada» annunciò la ragazza
«Grazie» fece Jun
«Di cosa? Abbiamo solo fatto un discorsone pesante lungo la via! A quanto pare non riusciamo mai a discutere normalmente noi due» rise lei
«Mi sembra che stasera abbiamo fatto anche quello, ma volevo ringraziarti perché ancora una volta sei stata ad ascoltare me nonostante i tuoi problemi»
«Perché pensi abbia problemi?» domandò incredula
«Perché fumi solo per autopunirti e quando ti ho vista al locale avevi appena finito» le spiegò, ricordandosi bene quel che si erano detti la prima sera che si erano incontrati, senza sapere chi fossero. Ma Tomomi non gli disse nulla, lo salutò con un sorriso e prese il suo treno. A Jun rimase solo da fermare un taxi e tornare nel suo appartamento. “Affrontare il futuro senza dimenticare il passato… è possibile?” si domandò alzando una mano per richiamare l’attenzione del guidatore e spingerlo a fermarsi. Aveva molto su cui riflettere dopo quella chiacchierata, ma c’era anche una parte di sé che si dispiaceva al dover dimenticare la dichiarazione di quella donna: a chi non faceva piacere riceverne? E lui certo non ne riceveva molte (non di quelle vere comunque), ma aveva anche l’impressione di dover lasciare da parte quelle parole sincere, prendere un respiro profondo e affrontare una volta per tutte se stesso e ciò che intendeva fare dei suoi sentimenti per Shiori.

* Lo shabu shabu è un piatto che prevede una pentola al centro della tavola, posta sopra un fornello acceso e riempita di acqua o brodo dashi (di pesce). Intorno sono posti piattini con carne o verdura cruda che i commensali prendono con le bacchette che cuociono all'istante nella pentola.


Finally... quanto diavolo c'ho messo... dovevo stare male stanotte per essere costretta a letto e avere così il tempo di scrivere Il gioco non vale la candela comunque, sono stata malissimo.
vabbè... ultimo capitolo prima della mia partenza per Taiwan. Come qualcuna saprà già torno il 10 Gennaio, indi, poscia, per cui, non scriverò un tubo fino a quel dì, dopodichè sarò tornata e mi rimetterò all'opera (esami permettendo).
Qualcuno sa quanto tutta queste scena mi abbi angustiato per molti giorni, nessuno sa invece quanto tutto il discorso tra Tomomi e Jun mi sia costato parecchi taglia&cuci di battute.
Ancora non mi sento tanto bene e dato lo stop su qualsiasi cosa di oggi sono rimasta indietro con i preparativi per la partenza di sabato adesso ho la mente in subbuglio per le tremila cose rimaste in sospeso (tra cui il blog di viaggio che debbo tenere da lì >.<)... indi non riesco a fare un commento più ragionato di così. Torno sotto le coperte.
Buone feste a tutte!!! In particolare a Shizuka, WhenItsTime e isabell <3

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Capitolo 37
*** 36. The Insecure Shiver of a Posessive Mind ***


Erano state giornate frenetiche. Quando quella mattina aveva guardato il calendario non si era capacitata di come fosse passata meno di una settimana dalla scomparsa della padrona del negozio. Da allora Masaki le si era dichiarato, avevano passato un’innocente notte a dormire insieme, la famiglia della maestra aveva deciso di cederle l’attività facendole pagare l’affitto dell’immobile, la coinquilina di Erina, Ying, che era una designer, si era proposta di idearle un nuovo logo da usare per l'insegna, le confezioni i sacchetti. Per la sua nuova attività. Sua. Per la sua nuova vita. Tutte quelle cose in così poco tempo avevano fatto volare le giornate e l’avevano aiutata a sentire un po’ meno il dolore della perdita in più era elettrizzata, ma insieme terrorizzata e profondamente triste: la sua vita stava prendendo una direzione, ma le sembrava di averlo fatto alle spese di un'anziana donna che invece le aveva dedicato tempo e pazienza con affetto. Presa dall'ansia aveva chiesto ad Aiba di poterlo andare a trovare e per la prima volta era andata a cena nel suo appartamento, a Tokyo. Avevano passato del tempo in maniera normale: un po’ di cibo a domicilio e un film. Poi avevano chiacchierato. Molto. La parlantina di Aiba solitamente era molto più sciolta della sua, ma quel giorno era stato ad ascoltare i suoi pensieri. Gli aveva detto di come Ying l’avrebbe aiutata, di Erina che si era offerta di controllarle la contabilità e di aiutarla per capire come gestire la parte finanziaria dell’attività, poi gli aveva spiegato le modifiche che voleva fare o ciò che voleva mantenere in negozio. Si era soprattutto sfogata per l’ansia che aveva riguardo a quello che pensava fosse il suo più grande difetto: la timidezza. Poteva fingersi carina e affabile con uno o due clienti, ma le riusciva difficile gestire ore di andirivieni, domande, battute, saluti e racconti di sconosciuti al negozio: almeno l’ottanta per cento della parte di relazione con il pubblico l’aveva gestita la padrona fino a quel momento. Masaki l’aveva ascoltata e le aveva dato qualche consiglio anche se non era un asso nel dire come comunicare con gli altri: lui lo faceva spontaneamente, o per lavoro, non sapeva come insegnarlo.
In attesa della fine del passaggio di proprietà il negozio stava aperto solo mezza giornata, così che Kokoro avesse il tempo di dedicarsi ai clienti, ma anche di cucinare qualcosa: fare entrambi senza una seconda persona era difficile. Anche quel giorno, dopo pranzo, chiuse il negozio e tornò verso casa per cambiarsi. Indossò un vestito a camicia lungo fino a metà coscia, azzurro, e un maglione aderente. Arrotolò le maniche fino al gomito e mise dei braccialetti e una collana facendole fare il doppio giro intorno al collo. Mise un paio di calze nere che le arrivavano poco sopra al ginocchio e un paio di scarpe scure con il tacco, lucide. Dentro la borsa al braccio mise le prove grafiche di Ying e la chiave usb con il logo terminato. Quel giorno sarebbe andata a Tokyo in una tipografia consigliatale dalla cinese per stampare le prime prove e discutere di un eventuale accordo per la produzione in serie di sacchetti e carte per i dolci. Erina le aveva anche dato tutte le informazioni necessarie per quel tipo di contratto e l’aveva istruita su cosa chiede, cosa contrattare e quali punti mantenere invariati. Senza dubbio aveva delle buone amiche. “Amici... già” sospirò mentre saliva sul treno per Tokyo. C'era un'altra cosa che doveva fare prima delle prove grafiche. Nell’altra mano teneva un sacchetto del negozio il cui contenuto era pronto da quella mattina: wagashi di stagione, per la precisione otto, e una scatola di biscotti semplici. Era arrivato il momento, lo aveva promesso ad Aiba e alla fine aveva ceduto accettando di farsi presentare ufficialmente ai suoi amici, e il giorno in cui sarebbe successo era quello. Secondo lui, proprio perché il periodo non era dei migliori quanto ad umore, fare quella visita in quel momento le sarebbe servito molto -secondo lui gli Arashi erano una scarica di allegria- e inoltre lo avrebbe fatto felice. Ormai era chiaro che quei quattro erano come una seconda famiglia quindi per Kokoro era come doversi presentare ad altri suoceri. Aveva l’impressione che se avesse fallito l’incontro con gli Arashi avrebbe perso anche la sua relazione con Aiba. Perché lo sapeva, loro venivano prima. E se non fosse piaciuta, la prima volta che ci fosse stato da scegliere, anche per una stupidata, lui avrebbe scelto loro e da lì sarebbe partita la catena d’eventi che avrebbe portato alla fine del loro rapporto.
Fece un profondo respiro scacciando tutti i pensieri negativi e si accomodò meglio sul sedile del treno sentendo già un po’ di sonnolenza annebbiarle la vista. Mandò una mail al ragazzo per avvisarlo che era sul treno per andare agli studi di registrazione, poi appoggiò la testa alla parete e si concesse un po’ di riposo per riuscire a rilassarsi. Dopo un po' una voce in lontananza annunciò la stazione successiva e riconobbe il nome. Aprì gli occhi rendendosi conto che si era addormentata e nel frattempo era arrivata a destinazione. Scese e prese l’autobus: certo, degli studi televisivi non erano il posto più centrale e facile da raggiungere. Quando finalmente arrivò a destinazione si trovò davanti ad un complesso di grosse costruzioni in mattoni. Un camion grosso faceva manovra per entrare nel viale ghiaiato così ebbe tutto il tempo di mostrare il pass che Aiba le aveva lasciato e aspettare che lui venisse a prenderla lì all’ingresso dopo che gli ebbe mandato un messaggio.
Al tir seguirono furgoncini più piccoli e Kokoro li osservò sfilare tutti dal cancello d’entrata senza che nessuno arrivasse a prenderla. Dopo dieci minuti sospirò spazientita e chiese indicazioni per la location che cercava lei. Nessuno le fece domande, risposero alle sue come se fosse la cosa più normale del mondo che una ragazza qualsiasi cercasse proprio lo studio di uno del gruppo idol più famoso della nazione: probabilmente chiunque si fidava del controllo fatto all’ingresso: una volta passato quello eri parte della famiglia e potevi andare ovunque. Non dovette camminare molto, il loro era uno dei primi edifici, e ancora nessuno si fece problemi quando chiese espressamente del camerino degli Arashi. «Ah, sono andati in pausa da poco. Sono sicuramente nella saletta a fianco dei camerini» rispose un addetto ai lavori «Secondo piano, terza porta a destra» e si toccò la visiera del cappello per salutarla, prima di tornare al proprio lavoro. Indisturbata salì al primo di sopra e raggiunse il luogo indicatole, solo allora si bloccò. Osservò il pomello con terrore: non era al gruppo di idol famosi che pensava, non alla quantità di bellezza mozzafiato che si trovava oltre la porta, ma all’importanza di quel momento. Se avesse oltrepassato quella porta avrebbe reso ufficiale il suo rapporto con Aiba agli occhi della sua seconda famiglia. “Come dovrei esordire?” si domandò “E cosa devo dire? Non so nemmeno cosa Masaki si aspetti da me: devo dimostrare ai suoi fratelli di meritare di stare al suo fianco, di meritarmi il suo affetto e di essere degna anche del loro magari. Come si fa?” spostò il peso del corpo su una gamba mordicchiandosi il labbro inferiore, nervosamente “Cosa farebbe Erina? Ma lei già li conosce… forse entrerebbe esordendo con un ehilà spensierato. Forse si appiccicherebbe a Sakurai san mettendo in chiaro che non rinuncerà a lui facilmente… a questo proposito spero che Masa sia qui dentro, altrimenti non so che fine abbia fatto” concluse storcendo il naso e infine bussando alla porta senza pensarci ancora. «Siii» sentì un coro di risposte contemporanee e spinse la maniglia per entrare
«Ecco… è permesso?» domandò facendo il suo ingresso nella stanza. Nino giocherellava con una consolle portatile sul divano e Ohno sonnecchiava con la schiena appoggiata al suo braccio e la nuca riversa sulla sua spalla. Sakurai si rigirava una penna intorno alle dita mentre scorreva con gli occhi la pagina di un giornale. Matsumoto si stava mettendo del liquido per lenti a contatto negli occhi. In pratica erano tanto abituati all’andirivieni di gente sul lavoro che rispondevano in automatico e non si facevano troppi problemi a vedere chi entrasse lì dentro. Di Aiba non c’era traccia. «Scusate l’intrusione» sospirò piano cominciando a desiderare di non essere mai entrata: era completamente sola contro di loro. Si richiuse la porta alle spalle e in quel momento Nino sollevò lo sguardo dallo schermo. «Cosa?» domandò sbattendo le palpebre, perplesso «Che c’è?». Non voleva essere scortese, anzi, la sua voce suonava quasi allarmata. «Perdonatemi, Aiba san mi ha chiesto di venire» cercò di giustificarsi senza saper bene cos’altro dire che non suonasse ridicolo. “Sono la sua fidanzata, vi prego accettatemi… escluso” si tormentò. A quel punto tutti la fissarono: Sho alzò lo sguardo dal giornale, Jun chiuse la boccetta e la osservò dal riflesso nello specchio mentre attendeva che il liquido si distribuisse nell’occhio, Ohno si risvegliò e la squadrò da capo a piedi. “Quel cretino pensa mi debba presentare solo perché stiamo insieme, ridicolo no? … no, non va bene” pensò cominciando a sentire le guance in fiamme. «Ah si!» sentì esclamare a quel punto «Hanayaka Kokoro san, giusto?» venne chiesto. Con uno sbadiglio Satoshi si era alzato agilmente dal divano, staccandosi da Nino e andandole incontro. Le si inchinò con un sorrisino stanco e gli occhi lucidi di lacrime per il sonno «Sono Ohno Satoshi» si presentò. Kokoro gli sorrise sollevata: sapeva perfettamente chi fosse, Satoshi era in assoluto il suo preferito tra loro (Masaki era fuori classifica chiaramente) quindi nulla poteva farle più piacere del venire accolta da lui. «Ma noi ci conosciamo già vero?» domandò questi trattenendo un sorrisino divertito
«Più o meno sì. Al rinfresco… credo» finse di riflettere, in realtà ricordava benissimo quel giorno e le parole che si erano scambiati
«Hanayaka san dici?» domandò Jun alzandosi dalla toeletta e raggiungendoli mettendosi al fianco del Riida nell’osservarla «La ragazza di Aiba chan?». Kokoro arrossì: era la verità, la pura verità, quindi non si vergognava, era arrossita solo perché quella era la prima volta che una terza persona la definiva in quel modo. Rendeva tutto dolcemente reale. «Sì, molto piacere» fece dopo con un filo di voce, inchinandosi verso di lui
«Piacere mio, mi chiamo Matsumoto Jun» rispose con un sorriso smagliante «Aiba chan ci ha parlato di lei e ci ha detto che sarebbe passata oggi. Ci scusi, non è che ce ne fossimo dimenticati.» spiegò mentre anche Sho li raggiungeva
«Eravamo solo tutti un po’ stanchi e presi a rilassarci. Sakurai Sho, piacere. Com’è che vi conoscete lei e il Riida?» domandò Sakurai e Kokoro gli dedicò una lunga occhiata. Quello era lo “Sho kun” di cui Erina parlava sempre ed era la prima volta che poteva squadrarlo attentamente da vicino (il giorno del rinfresco non faceva testo, era stata presa da altro). Doveva ammetterlo, aveva un’aria simpatica e nonostante i vestiti un poco ampi si intuiva che fosse dotato di un bel fisico. Dalla voce e dal portamento poteva intuire perché l’amica lo trovasse attraente e irresistibile, era innegabile avesse qualcosa di sensuale nel suo modo di fare, ma non era il suo tipo. Il suo tipo era Masaki o, in alternativa, Ohno, il suo preferito infatti. Era stato gentile e discreto, aveva intuito la situazione e aveva agito nella maniera più pulita e meno imbarazzante. Aveva un sorriso placido e tranquillo, cantava bene –per quel che aveva sentito- ed era una persona calma, cosa che lei apprezzava molto.
«Ehi ragazzi» li richiamò Nino che aveva spento la consolle ma era rimasto svaccato sul divano «Sembra sia entrato un mostro raro in camerino o che siate lì ad esaminarla come dei suoceri fissati. Lasciatela respirare» propose
«Oh, non volevamo» fece Jun allontanandosi
«Scusaci» annuì Satoshi
«Ma no io…» fece per dire la ragazza
«Allora, cos’hai portato per corromperci?» li interruppe ancora il piccoletto
«Nino kun!» esclamò Sho mettendosi a ridere «Questo non è mettere sotto pressione? Proprio no, vero?»
«Tu! Sei peggio di un avvoltoio, e se non avesse portato nulla?» lo additò Jun «Non la metti a suo agio»
«Ce l’ho. Ce l’ho» si sentì di rassicurarlo Kokoro «Ma non volevo corrompervi, solo che era brutto venire a mani vuote» si spiegò allungando il sacchetto verso Satoshi
«Sarebbe sembrato un po’ ridicolo no?» concordò Nino «”Ehi salve, sono la fidanzata di Aiba chan tanto piacere”» fece in falsetto «Un po’ stupido»
«Aggiungere “ho portato qualcosa per voi” lo rende meno ridicolo?» chiese Jun imitando il suo falsetto; seguiva il Riida che, preso il sacchetto, si era avvicinato al tavolo dietro il divano di Nino e lo aveva posato per aprirlo comodamente. «No, ma un “Salve, mi ha invitato Aiba chan. Questo è per voi” è più dignitoso»
«Smettetela di fare quella voce, è orribile» rise divertito Sho tenendosi le mani sulla pancia
«Ah, sono wagashi» spiegò Kokoro quando Ohno ebbe tirato fuori la prima scatola «Ma non so se vi piacciono i dolci tradizionali quindi ho portato anche dei biscotti normali. Sono "Lingue di gatto", sono biscotti da mangiare al pomeriggio con il te» spiegò mentre ancora rimaneva sull’attenti qualche passo dopo la porta. Senza commentare nulla il ragazzo aprì la scatola rivelando i dolci incartati uno ad uno. Erano posti su due file e la carta aveva quattro colori diversi ogni coppia di dolci. La prima coppia aveva la carta ruvida color amaranto con venature arancioni e i caratteri color oro in rilievo. La seconda era coperta una carta leggera semi trasparente color azzurro tenue. Aveva sfumature indaco sui bordi e i caratteri erano scritti sottili, in argento dipinto. La terza coppia era di un color porpora profondo attraversato da striature di verde acqua scuro lungo i bordi. I caratteri sulla carta liscia erano impressi in rosa antico. Gli ultimi due dolci erano ricoperti da qualcosa di simile alla carta crespa, color zafferano. I caratteri erano scritti in bianco, ma bordati da una sottile linea dorata. I quattro ragazzi rimasero intorno al tavolo, silenziosi, ad osservare l'elaborato packaging, poi Ohno tirò fuori la seconda scatola, quella dei biscotti. Era color borbogna con qualche riga sottile e spessa in alternanza lungo i bordi del coperchio e il nome del negozio, entrambi in rosa antico. I colori tradizionali del locale della padrona. Li avrebbe mantenuti.
«Non li voglio mangiare. Teniamoli così» fece Nino ancora guardando i wagashi
«Non puoi non mangiarli» replicò Ohno senza convinzione
«Allora cominciamo dai biscotti… Sho ci fai portare il te?» ordinò Jun e subito dopo il ragazzo annuì e oltrepassò Kokoro per affacciarsi alla porta e chiedere in corridoio
«Abbiamo tempo?» chiese il Riida
«Troviamolo» replicò Nino
«Ti ha corrotto, Nino?» ridacchiò divertito Jun. Il piccoletto arrossì un poco e continuò a fissare la scatola di biscotti mentre l’altro la apriva a rivelare una lunga fila di sottili biscottini color giallo, con i bordi dorati dalla cottura. In quel momento entrò Aiba fortunatamente «Ragazzi scusate il ritardo!» esclamò «Ah sei già arrivata. Fatto buon viaggio?» domandò il ragazzo sorridendole tutto allegro. Kokoro lo osservò ricordandosi di lui solo in quel momento: era stata tanto tesa e presa dal seguire le reazioni degli altri che si era scordata della sua assenza. «Dove sei finito? Ti ho mandato dei messaggi» lo accusò abbassando lo sguardo arrossendo. Improvvisamente si sentiva sollevata e meno sperduta con lui al suo fianco. «Scusa, scusa… mi hanno trattenuto lungo i corridoi. Hanno fatto i bravi?»
«Ci ha portato un regalo» annunciò Jun indicandogli i dolci. Aiba si avvicinò incuriosito e da dietro la schiena le allungò una mano perché la prendesse e lo seguisse muovendosi da dove si trovava. «Sono bellissimi!» esclamò il ragazzo guadando le confezioni «Ma quando l’hai trovato il tempo? Non sei sempre presa dal negozio?» le domandò fingendosi preoccupato. Sapeva benissimo che era stata sveglia la notte per farlo, voleva solo farglielo dire perché i ragazzi capissero che si era impegnata appositamente per loro. Con un po’ di vergogna rispose la verità: se non gliel'avesse chiesto, non avrebbe mai detto niente di quello sforzo, ma se non avesse raccontato tutto alla domanda di Aiba lui sarebbe stato capce di inventarsi anche modi meno naturali di quello pur di farle confessare il suo lavoro, quindi tanto valeva dagli la corda e lasciare che sembrasse tutto natuale. Un assistente di scena arrivò in camerino portando un assoio con le tazze di te, mentre Sho portava l’occorrente rimanente su un secondo vassoio. «Allora forza, assaggiamo!» fecero tutti eccitati
«Tu no!» esclamò Nino placcando Aiba
«Eh? Perché no?»
«Sono i nostri dolcini. Il promesso sposo non può godere dei regali fatti per ingraziarsi la famiglia»
«Che significa?» domandò Jun mettendosi a ridere con Sho
«Sta lontano, Promesso san» lo avvisò il Riida trattenendo le risate prima di prendere uno dei biscotti dopo essersi zuccherato il te occidentale. Aiba, avvilito, rimase al fianco di Kokoro ad osservare i compagni che, come quattro piccoli affamati scoiattoli, si sgranocchiavano le prime lingue di gatto senza dire nulla. La ragazza strinse la mano del fidanzato. La vedeva così: giudicare quei biscotti era giudicare lei, quindi era tesa come una corda di violino. «ChibiKo, andrò tutto bene» le sussurrò Masaki abbassandosi a sussurrarle tra i capelli. Si sarebbe gettata tra le sue braccia per farsi rassicurare, ma si trattenne e annuì solamente.

Aiba Masaki non era buono a tenere le cose nascoste. Poteva non dirle, e i suoi amici allora non le chiedevano, ma era sempre perfettamente chiaro se qualcosa non andava. Non poteva essere così quella volta. Non quella, perchè era troppo importante, la posta in gioco contava tantissimo quindi doveva sforzarsi al cento per cento perchè Kokoro non si accorgesse di nulla. "Nulla. Sì perchè nulla è successo, no? Proprio nulla. E' finita" pensò tra sè annuendo piano con la testa mentre osservava i suoi amici che banchettavano con te e biscotti. Espresse un mezzo lamento per quell'esclusione di modo da dare una plausibile giustificazione alla propria espressione nel caso in cui risultasse poco naturale.
Non l'avevano trattenuto nei corridoi. Aveva detto una bugia.
Erano appena andati in pausa e la porta dello studio di Himitsu si era chiusa alle loro spalle. «Jun kun, ho mal di testa» aveva sospirato affiancandosi al compagno
«Eh?! Come al solito non si nota mai quando stai male sul lavoro» aveva aggrottato le sopracciglia, dopo la sorpresa iniziale «Se vai in camerino ho delle pillole di antidolorifico nella tasca laterale dello zaino blu e nero. Vai al bar degli studios, fatti fare un te e mandane giù due»
«Va beeene. Ah ragazzi!» li aveva richiamati prima che questi entrassero nella saletta relax di fianco ai camerini «Ve lo ricordate che oggi viene Kokoro? Quando torno sarò con lei»
«Sì, sì ce l'hai già detto cinque volte da stamattina» aveva sospirato Nino «Se hai stressato così anche la tua ragazza non oso immaginare con che stato d'animo arriverà qui» tutti avevano ridacchiato stanchi ed erano entrati nella stanza. Aiba aveva sospirato scuotendo la testa ed era andato a recuperare le pillole che gli aveva indicato Jun. Fortunatamente conosceva il nome dell'antidolorifico, perchè nella "tasca laterale dello zaino blu e nero" c'era una specie di mini farmacia, come suo solito, quindi di pillole ce n'erano a bizzeffe e di tutti i tipi. Aveva trovato il bar degli studios semideserto. Un paio di tecnici si stavano bevendo qualcosa per prendersi una pausa, ma il pranzo era passato già da un pezzo quindi la maggior parte dei set era nel pieno del lavoro, ripreso dopo aver mangiato un boccone. Loro solitamente pranzavano alle 11 tutte le volte che dovevano andare a registrare Himitsu, perchè il regista voleva sempre cominciare alle 12 in punto. Così per le 15, quando loro facevano una pausa, tutti gli altri avevano ripreso a lavorare da circa un'ora e mezza o due. Aveva salutato la giovane cameriera e le aveva chiesto un te caldo e di abbassare la musica dell'ambiente: aveva bisogno di un po' di pace altrimenti sentiva che gli sarebbero scoppiate le tempie e non sarebbe riuscito a riprendersi nemmeno un po' prima che Kokoro arrivasse. Si era accomodato in un angolo ed aveva appoggiato la testa al braccio piegato sul tavolino tondo. Con la mano libera aveva aperto il cellulare e lo aveva acceso. Dopo aver letto la mail di Kokoro e aveva cercato nell'archivio delle foto per guardarne una di loro due. L'avrebbe messa volentieri come sfondo, ma un po' si vergognava di fare una cosa così da adolescente quindi ancora non si era risolto e continuava a tenere la foto di un cucciolo di ghepardo. Aveva osservato i loro visi sorridenti nella foto e aveva sorriso anche in quel momento. "Forse avrei dovuto raccontarle delle facce dei ragazzi quando ho detto loro che gli avrei presentato la mia ragazza. Una cosa che non ho mai fatto prima. Anzi, ad essere sinceri è da anni che non parlo più con loro di qualsiasi storia io abbia avuto con qualche donna. Hanno saputo qualche nome, è capitato che dicessi loro che era finita, ma non hanno mai saputo più di così. Non è che non volessi farglielo sapere è solo che... che da quella volta probabilmente non ho più preso nessun rapporto troppo sul serio" si era fatto scuro in viso "Non ci ho mai riflettuto con attenzione, ma... chissà, forse ho perso fiducia nelle ragazze, forse ho preso paura di nuove delusioni e allora per tutte le storie successive non ho mai fatto sul serio e l'ho sempre ammesso con tutte le mie partner. Chissà perchè? E poi chissà come, con Kokoro ho avuto mille dubbi, ma mai uno sulla sua possibile lealtà nei miei confronti. La nostra è stata... una primavera travolgente, e senza nemmeno accorgermi di come sia successo eccomi qui" aveva alzato lo sguardo a lanciare un'occhiata d'insieme al locale "Con un mal di testa assurdo il giorno in cui decido di presentare ufficialmente la mia ragazza ai miei amici. Voglio che sappiano, voglio che vedano Kokoro, voglio vederli mentre parlano con lei e voglio che lei rivolga anche a loro il suo carinissimo sorriso. Mi piacerebbe che si chiamassero per nome un giorno e che, preparando una cena per tutti, MatsuJun la aiutasse in cucina, che Nino portasse la sua tv rimproverando Kokoro perchè non ne ha una, che Ohno giochi con me nel salotto in tatami e che Sho lasciasse le sue scarpe vicino alle nostre nell'atrio, mentre arriva dopo le undici di sera scusandosi per il ritardo dovuto al troppo lavoro". La cameriera gli aveva portato il te e l'aveva lasciato davanti a lui, sul tavolo. Proprio mentre se ne stava andando e lui stava girando il cucchiaino nella tazza una voce aveva richiamato la sua attenzione. «Masaki kun? Sei tu?» avevano chiesto. Aiba si era girato e aveva strabuzzato gli occhi per la sorpresa. «Sì che sei tu! Cavoli!» aveva esclamato l'altra persona sedendosi al suo tavolo senza invito
«Sumire chan...» aveva pronunciato con un soffio «Quanto tempo».
Korenaga Sumire era una modella, principalmente di vestiti occidentali per donne tra i 25 e i 30 anni. Non era particolarmente famosa dato che faceva solo quello e nessun'altra attività da cantante o attrice, ma aveva sempre del lavoro da fare per cataloghi di varie marche, negozi online o riviste di moda. Era alta un paio di centimetri meno di lui e aveva dei bellissimi capelli neri, lisci come seta e lunghi fino a metà della schiena. Gli occhi scuri e il viso ovale dai tratti morbidi la rendevano una delle ragazze più graziose che Aiba avesse mai visto. Era un po' troppo alta per i suoi gusti, ma gli era piaciuta da subito e infatti l'inverno precedente, da Novembre a Marzo, si erano frequentati in maniera piuttosto regolare. Non c'era mai stata alcuna dichiarazione di sentimenti, ma avevano avuto non pochi appuntamenti, sia pomeridiani, che serali e anche notturni. In breve, si poteva dire che Korenaga Sumire, la donna che si era appena seduta davanti a lui, era la sua ex. O simil tale.
«Vero? Davvero tantissimo! Quand'è che ci siamo visti l'ultima volta? Uhm...» aveva alzato gli occhi al cielo con fare pensieroso «Era in... Maggio?»
«Uh io... penso fosse la fine di Aprile o... sì, forse inizio Maggio» aveva annuito con poca convinzione prima di mettere in bocca la pastiglia e mandarla giù con un sorso di te
«Non stai bene Masaki kun?» aveva domandato lei innocentemente
«Un po' di mal di testa. Approfitto della pausa per cercare di farmelo passare»
«Aaah, se non fossi occupata, e tu anche, ti inviterei a casa mia per fartelo passare» aveva riso divertita. Ad Aiba era andato di traverso il secondo sorso e aveva preso a tossire con le lacrime agli occhi. "Cosa le salta in mente? Uscirsene con queste frasi così d'improvviso!". Lei era arrossita leggermente e lo aveva guardato stupita «Oh avanti. Non mi sembra il caso di reagire così, qualche mese fa saresti stato più che propenso a seguirmi, o sbaglio?»
«No io ecco...» aveva farfugliato cercando di prendere fiato «Siamo a Settembre... il tempo è... è passato» aveva cercato di giustificarsi "E le cose cambiano. Come può pensare di potermi parlare così apertamente dopo mesi che non ci vediamo e non ci sentiamo più?"
«Non dirmi che sei offeso perchè ho smesso di chiamarti?» aveva chiesto sorpresa e in parte risentita «Nemmeno tu mi hai chiamato per chiedermi dov'ero finita, mi sembra. E comunque ho avuto lavoro sai? Tonnellate di lavoro! Quando si avvicina l'estate le offerte aumentano sempre perchè le foto in costume sono richieste anche all'infuori del campo della moda» aveva spiegato con un mezzo sorrisino «Non mi importa, è sempre lavoro e in qualche modo bisogna far carriera, quindi non ho interesse al sapere in che mani finiscano le mie foto e cosa pensino le persone che le guardano. Ad ogni modo sono stata superimpegnata fino a poco tempo fa dopodichè... beh ho solo sperato di poterti incontrare per tornare a parlare. Chiamarti all'improvviso mi sembrava indelicato, vederti sarebbe stato più bello. E infatti è così» aveva aggiunto con aria impacciata. Aiba era arrossito leggermente, quell'interesse da parte sua anche dopo tanto tempo gli faceva piacere, ma lo metteva anche a disagio perchè ormai era fuori luogo. «Sono felice che tu abbia avuto un po' di successo nell'ultima stagione. Se sarai "superimpegnata" anche questo inverno significherà che i tuoi sforzi hanno dato frutti» aveva cercato di cominciare «Ma anche io sono stato impegnato in molte cose e il tempo è passato... così... beh» si era stretto nelle spalle
«A fine mese ho un po' di tempo libero da qualsiasi incarico, non è che hai ancora qualche domenica senza impegni o delle serate in cui ti annoi solo soletto a casa tua? Potremmo vederci» aveva proposto «Credo di averlo realizzato solo ora che siamo di nuovo insieme dopo tanto tempo, ma mi sei mancato Masaki kun»
«Sumire chan, io...» aveva deglutito a fatica. "Così non va. Il tempo passa, le cose cambiano e certamente per me le cose sono cambiate radicalmente. Farà male? Boh... alla fine non è che ci siamo mai realmente messi insieme: come con altre, lei era carina, io le piacevo e ci divertivamo ad uscire insieme, mangiare qualcosa e a rotolarci tra le lenzuola" aveva deglutito ancora. Non era bravo a dare cattive notizie o a rifiutare qualcuno. «Abbiamo passato dei bei momenti e sono stato veramente felice. Ma sono passati tanti mesi e anche se non ci siamo mai lasciati direttamente io ho considerato la nostra storia conclusa anche perchè... beh tutto sommato non è mai nemmeno propriamente cominciata. Uscivamo insieme, è stato bello»
«Cosa stai tentando di dirmi Masaki kun?» aveva chiesto lei con l'espressione scocciata, appoggiando il mento al palmo della mano, con un gomito appoggiato al tavolo di modo che il colpo facesse tremare la tazza di te. «Quel che voglio che tu capisca, Sumire chan, è che nel frattempo la mia vita è cambiata, ho incontrato gente, fatto cose. Non è più come prima, io sono andato avanti senza più pensare a noi, quindi mi spiace, ma non sono più nelle condizioni di uscire con te» aveva concluso tutto d'un fiato. Era una dura realtà, ma era così. «Sei troppo puntiglioso» aveva sospirato quella accavallando le gambe semi nude per il vestito corto del servizio fotografico che ancora indossava «Non è che siamo fidanzati o altro, se anche ti vedi con un'altra modella o attrice non sono mica gelosa» gli aveva spiegato storcendo il naso «Anche se ammetto che mi dà un po' di fastidio pensare di... beh di essere stata rimpiazzata. Ad ogni modo non sono la tua ragazza, ma mi trovo bene con te in qualsiasi frangente e mi piaci parecchio quindi non farò certo scenate di gelosia se ti vedi anche con un'altra di noi. Solo vedi di non chiamarmi con il suo nome»
«No, Sumire chan, non hai capito. Io non mi vedo con un'altra» aveva sospirato. Sarebbe stato meglio raccontarle una bugia, magari dirle che era diventata più brutta e non la voleva o che si era stufato di quel tipo di storielle e voleva dedicarsi al lavoro, ma non e la sentiva. La stava scaricando, ed era già un brutto colpo, quindi secondo lui meritava di sapere la verità anche se più persone la sapevano più diventava pericoloso. «O meglio... sarò sincero. Mi vedo con un'altra donna, ma non è la stessa cosa. Questa volta è seria, mi sono fidanzato. E' la mia ragazza» aveva detto con onestà finendo la tazza di te per guadagnare tempo prima di sbirciare il suo viso per cogliere la reazione. Sumire aveva sgranato gli occhi e serrato le labbra, osservandolo incredula per qualche secondo. «Ma io... io pensavo che non potessi averne» aveva balbettato
«Non ufficialmente. Finchè la cosa rimane all'oscuro del grande pubblico posso farlo. Esattamente come ho potuto uscire con te. L'agenzia sa che non sia automi, o meglio... vuole che lo siamo almeno sul lavoro, quindi all'infuori di essi siamo liberi di fare come vogliamo purchè, primo, rimaniamo nei limiti consentiti dalla legge, secondo, niente venga scoperto dai mass media e terzo, ciò che facciamo non entri in conflitto con i nostri doveri di artisti» si era stretto nelle spalle allontanando da sè la tazza. In quel momento il cellulare aveva squillato e con uno "scusa" appena sussurrato aveva letto la mail. «E' lei?» aveva domandato improvvisamente Sumire
«E? Oh, sì... come fai a dirlo?»
«Hai sorriso finalmente. Da quando mi hai visto sei sempre rimasto serio, adesso invece hai sorriso» aveva spiegato con una punta di amarezza nella voce «Chi è? La conosco?»
«No» aveva scosso il capo «Non è nel mondo dello spettacolo, è una persona normale. Beh anche noi siamo normali, ma sai cosa intendo no?»
«Sì. E' lei?» aveva chiesto ancora quando, chiusa la mail, sulla schermata era tornata visibile la foto che prima stava guardando
«Sì, è lei» aveva risposto con una punta di orgoglio «L'ho invitata qui oggi perchè voglio che i ragazzi la conoscano»
«Come sei serio» aveva osservato con un sospiro, appoggiandosi alla sedia «Sembra proprio una cosa importante. E quando vi siete conosciuti?»
«La prima volta? Uhm... era durante la pausa primaverile, quindi... Aprile, o già di lì» ragionò Aiba «Però ci siamo dichiarati reciprocamente solo a Luglio e per svariati disguidi ci siamo messi insieme solo un mese fa circa. E' poco tempo vero? Eppure sono già qui a presentarla agli altri» aveva ridacchiato divertito, poi aveva fato per alzarsi «Devo andare a prenderla all'ingresso, quindi scusami»
«Insomma ci rivediamo dopo tanto tempo e mi vieni a dire "ho incontrato un'altra, addio"? E' un bello shock» aveva detto lei, improvvisamente irritata. Si era alzata a sua volta e gli aveva piantato addosso uno sguardo rabbioso «Non so se riesco ad accettarlo, sai? Ma una cosa mi dà soddisfazione: l'hai incontrata in Aprile, ma noi abbiamo smesso di vederci solo in Maggio... significa che quando lei era già innamorata di te, tu te la stavi ancora spassando insieme a me.... dopotutto non è abbastanza carina da farti lasciare una bella modella il giorno dopo che l'hai conosciuta» aveva sorriso, maliziosa, irritata, e poi gli aveva dato un bacio pericolosamente vicino alle labbra e questo solo perchè Aiba si era leggermente scansato all'ultimo minuto, altrimenti avrebbe giurato che in realtà mirasse a dargli un bacio vero.
Girò la testa ad osservare Kokoro, molto più bassa di lui, minuta e carinissima, mentre fissava i ragazzi e annuiva imbarazzata ai loro complimenti per i biscotti che aveva portato. Ogni volta che la guardava sentiva un impulso irrefrenabile di abbracciarla e riempirla di baci come fosse stata il cucciolo più carino che avesse mai visto. Voleva proteggerla, voleva accarezzarla, voleva sentire che lei a sua volta lo coccolava. E quei sentimenti, in quel momento, venivano completamente guastati. Si sentiva il cuore macchiato dalla colpa di quel semi-bacio: era rimasto di sasso alle parole che aveva sentito perchè quella non era la Sumire chan simpatica ed esuberante che lui conosceva mesi prima, quindi aveva avuto la prontezza di riflessi di scansare quel bacio solo quando era troppo tardi. Il grosso del disastro lo aveva evitato, ma anche se non era stato un bacio vero e proprio si sentiva in colpa. E ancora di più lo faceva sentire così ricordare le parole di Sumire. "E' la verità... quando Kokoro era già innamorata di me io ho speso ancora alcune settimane ad uscire con un'altra donna e alcune notti nel suo letto. Mentre lei... lei era a casa, spaventata dal suo ex, e pensando a me come al ragazzo-idol assolutamente inarrivabile. Tutto questo mi fa sentire così... colpevole e immeritevole".

«Così è il suo lavoro?» domandava cortesemente Jun mangiando l'ultimo biscotto «Masaki ci aveva accennato qualcosa, ma non credevo... così...»
«Grazie Matsumoto san» rispondeva Kokoro, troppi complimenti per lei. Sapeva di cucinare bene, solitamente non dava troppo peso ai complimenti dei clienti, ma proprio perchè stavolta erano gli amici del suo fidanzato a farglieli non riusciva a far finta di nulla. «Prima o poi troveremo il coraggio di mangiare i wagashi» farfugliò Ohno
«Potete farlo, se vi piacciono li farò di nuovo» cercò di rassicurarlo. Era quello con cui parlava più volentieri tra tutti, mentre Nino la intimoriva, soprattutto perchè era l'amico più vecchio di Aiba e che quindi aveva più diritto di altri nel dire se lei andava bene per lui o no. Eppure il ragazzo era uno dei più informali tra loro, continuava a parlarle portandole rispetto, ma aveva un atteggiamento più sciolto: aveva invitato lei ed Aiba a sedersi con loro mentre mangiavano i biscotti, lasciandole del posto sul divano, ed era quello che più gli aveva fatto domande sul suo lavoro e sui progetti futuri una volta saputa la notizia della morte della padrona e il passaggio della gestione interamente a lei. «Lo farebbe? Sul serio?» domandò questi strabuzzando gli occhi, con la voce più alta di due ottave «Non ci credo...»
«Sì, certo che posso. Dovrei cominciare a fare quelli per il cambio di stagione, posso farvene una confezione» annuì
«Attenzione al numero di dolci dentro, altrimenti qui cominciano i tornei di janken per chi se li prende» ridacchiò Sho
«Veramente intendevo una confezione a testa» rispose Kokoro senza pensarci su, ma subito dopo si morse le labbra notando lo sguardo sgomento di tutti. «Senti, Promesso san, posso sposarla io?» rise Nino parlando ad Aiba
«Non se ne parla proprio!» saltò su quello mettendole entrambe le braccia intorno al collo e tirandola verso di sè, quasi facendole perdere l'equilibrio, ma la sua schiena incontrò la stabilità del petto del ragazzo e così lei rimase totalmente sbilanciata addosso a lui, trattenuta dal cadere dal divano solo perchè le sue braccia le circondavano le spalle. «Chibiko è mia» dichiarò
«Così la strozzi» fece notare Nino divertito
«"Chibiko"? Sei tipo da nomignoli, Aiba chan?» domandò Jun sorpreso
«E' una storia lunga» fu la sola risposta che diede il ragazzo, stringendola un po' di più «Vero?» le domandò. Kokoro arrossì, non l'avrebbe chiamato "Chibimasa" davanti a tutti. Avevano preso a chiamarsi così una delle sere che lei era andata fino all'appartamento di Aiba, ricordando il buffo discorso che lui aveva fatto alla sua partenza per la Francia sul Chibi Masaki a cui lei aveva risposto ipotizzando una Chibi Kokoro. si limitò ad annuire e aposare le mani sulle braccia di lui tentando di usarle come appoggio per mettersi a sedere meglio e riacquistare stabilità. «Ragazzi! Ancora dieci minuti!!» esclamarono da dietro la porta
«Siii» risposero tutti in coro cominciando a sbaraccare le cose dal tavolo
«Aiba chan, perchè non le fai vedere il camerino? Gli studi sarebbe troppo pericoloso, ma i camerini sono ok» propose Sho sorridente
«I camerini? Ma sono un macello» ribattè Jun
«Lascia che vadano in camerino Jun, forza.... se non le diciamo che il tuo posto è quello infondo alla stanza vicino alla finestra non saprà mai che quel disordine è il tuo» ribattè Nino che aveva perfettamente capito dove volesse andare a parare l'altro con l'idea di mandarli via. Anche Kokoro aveva capito che stavano cercando un modo naturale di lasciarli qualche minuto da soli. «Sei un genio Nino» sbuffò il bel ragazzo
«Non credo di aver capito, qual'è l'angolo di Matsumoto san?» domandò candidamente. Questi la osservò e arricciò il labbro intuendo così che lei avrebbe fatto finta di non aver sentito niente. Masaki la lasciò libera dalla sua stretta e la incitò a seguirlo. Prima di uscire ringraziò tutti del tempo che le avevano concesso e si profuse in inchini mentre i ragazzi la ringraziavano a loro volta per il regalo e la invitavano a tornare più spesso. Una volta che furono soli nel camerino Masaki si scusò del ritardo e Kokoro gli raccontò i rimi minuti passati nella saletta con i suoi amici. «Gli sei piaciuta» rideva lui
«Sì, ma ho perso dieci anni di vita. Non farlo più» lo sgridò
«Troppo tardi, non dovrai presentarti ancora a loro, ormai è fatta»
«A proposito di amici. Hai detto che posso dire alle mie amiche di essere fidanzata, vero?» domandò lei per conferma riguardo ad un discorso fatto giorni prima
«Sì. Anzi devi, non voglio che qualche ragazzo cominci a girarti intorno pensando che sei libera» spiegò socchiudendo gli occhi con aria accigliata
«Ma posso dirgli il tuo nome? Non posso mostrargli foto, ma posso dire che ti chiami "masaki"? E quanti anni hai...»
«Sì che puoi» ridacchiò lui divertito «Puoi dirgli anche che sono alto, moro e bellissimo» annuì. Kokoro lo guardò perplessa e lui arrossì mettendosi le mani sulla faccia «Ok, ok... volevo solo avere un atteggiamento cool. Digli che sono...»
«Infantile, pasticcione, chiacchierone e... dolcissimo» concluse divertita nel vedere la sua faccia offesa ai primi aggettivi che aveva elencato «Dai vado. Hai bisogno di rilassarti un pochino prima di riprendere»
«Ma tu mi rilassi» ribattè prendendola per le mani per non farla alzare dalla sedia dove si era accomodata «Sto bene con te» aggiunse ancora prima di piegarsi in avanti e darle un bacio sulle labbra. La ragazza lo baciò a sua volta, ma non fu niente di più che un semplice e dolce contatto con le labbra. «Quando ci vediamo?» domandò Masaki
«Lo chiedi tu a me? Quando puoi tu, no?» spiegò finalmente alzandosi dalla sedia
«Forse domani sera. Va bene? Ho VS Arashi la mattina e giriamo la prima parte del PV del prossimo singolo nel pomeriggio, ma dato che le dividiamo in due parti non dovremmo fare troppo tardi»
«Mangi prima di venire o vuoi che ti preparo qualcosa?» domandò la ragazza recuperando la borsa e seguendo il fidanzato alla porta
«Non saprei dire» rispose pensieroso «Se ti va raddoppia le dosi della tua cena, se poi mangio fuori posso prendere ciò che avanza e mangiarlo come bento il giorno dopo?»
«Va bene» annuì
«Allora a domani» la salutò baciandola ancora
«Però sentiamoci nel frattempo» gli ricordò prima di aprire la porta «Aiba san, grazie del suo tempo» salutò una volta a portata di qualsiasi occhio e orecchio
«Si figuri, conto su di lei. Arrivederci» rispose lui rimanendo sulla soglia del camerino e inchinandosi rispettosamente. In quel momento Jun era nel corridoio a parlare con il regista del programma e altri del suo team, le loro voci avevano attirato la sua attenzione e si era girato. A sua volta Kokoro lo aveva notato e quando i loro sguardi si incrociarono lui chinò il capo in un cenno cortese, senza però smettere di ascoltare e rispondere ai suoi interlocutori. La ragazza rispose allo stesso modo, con un sorriso, senza curarsi se lui l'avesse vista o meno, quindi girò sui tacchi e si diresse alle scale.
"Questa è la mia vita ora" si disse mentre scendeva i gradini con attenzione per via dei tacchi "Beh c'è qualcosa da sistemare, tuttavia posso dire che per quanto riguarda la parte di amici e fidanzato... è così adesso" alzò lo sguardo al soffitto, pensierosa, mentre camminava sul pianerottolo. Le venne da sorridere spontaneamente, cosa che non accadeva da alcuni giorni. "Mi sono piaciuti... ho ascoltato solo qualche singolo, quindi on è che sappia granchè sul gruppo, ma degli idol me li aspettavo un po' diversi. Forse dovrei guardare qualche trasmissione, credevo fossero persone un po' più esaltate e più... non so, più superficiali magari. Matsumoto san, che sembra essere il più bello del gruppo secondo tutti, è addirittura uno dei più tranquilli. Sembra più un regista piuttosto che un idol. Sho kun ho rischiato di chiamarlo "sho kun" un paio di volte per colpa di Erina. Sembra una mamma" ridacchiò tra sè. Dopo tanti giorni passati a sorridere, ma sempre con molta tristezza e nostalgia nel cuore, sentiva che quel pomeriggio aveva sorriso con più spontaneità e sincerità a quelle persone. Fece per dirigersi verso la porta d'uscita prima di sentirsi richiamare «Ehi!» sentì risuonare su per le scale. La ragazza guardò in cima alla rampa appena finita e vide una bella donna alta, dalle gambe snelle e i capelli scuri lunghi. Indossava un vestito grigio chiaro stretto a sufficienza da far risaltare il corpo sottile e magro, ma senza essere volgare. Una cintura sottile rossa le passava intorno ai fianchi stretti e portava una una grossa collana di anelli dorati al collo. Tra le mani teneva una giacca dalla fodera grigina e l'esterno leopardato, più una borsa in vera pelle. «Sei la ragazza di Masaki kun?» domandò la donna prendendo a scendere verso di lei. Dal suo passo sicuro sui tacchi era chiaro che li portasse spesso quindi, data anche l'altezza e il corpo magro, era difficile non fosse una modella. «Scusi?» domandò con un tuffo al cuore: era stata lì pochi minuti, e solo una minima parte sola con lui, che già era trapelata la notizia? Dove aveva sbagliato? «Ti ho chiesto se sei la nuova fidanzata di Aiba Masaki kun, uno degli Arashi» spiegò più dettagliatamente quella parlando a mezza voce e finalmente raggiungendola «L'ho incontrato prima al bar degli studios e mi ha parlato di te». Kokoro esitò, lei poteva dire di essere fidanzata purchè non desse troppi dettagli, ma per Masaki era totalmente proibito parlarne con anima viva all'infuori dei suoi compagni e magari qualche stretto collaboratore dell'agenzia. Quindi perchè quella donna sapeva già tutto? "Magari è un ex modella e ora lavora per loro?" si domandò prima di fare un lieve inchino «Sono Hanayaka Kokoro, molto piacere. Lei è...?»
«Oh beh ottimo direi! Già spiattelli tutto alla prima che passa?» domandò questa con una smorfia di disgusto togliendosi gli occhiali da sole e spostandoli sulla fronte «Il mio nome è Korenaga Sumire e sono la ex di Masaki kun» si presentò quindi. Kokoro sgranò gli occhi: non era una collaboratrice, era una qualsiasi che per ripicca avrebbe potuto raccontare tutto alla stampa e lei non aveva avuto nemmeno l'accortezza di indagare su chi fosse prima di risponderle. «Scusi, non immaginavo» farfugliò a disagio
«Sì, sì... cos'è che non immaginavi? Che il tuo fidanzato se la fosse spassata con delle belle donne? Che fastidio» sbottò facendo schioccare la lingua sul palato «Avrei accettato senza protestare se Masaki kun fosse passato a qualche attrice o magari ad un'altra make up artist. Prima di me usciva con una di loro, non una gran bellezza, ma certo una donna di classe. Se c'è una cosa che mi dà fastidio, e che non capisco minimamente, sono quelli come noi che decidono di avere una storia con gente qualsiasi come te: non capirete mai il mondo in cui viviamo, la pressione a cui siamo sottoposti e farete sempre le vostre banali richieste, totalmente in disaccordo con le nostre speciali esigenze. Perchè scegliere qualcuno che non potrà mai capirlo?» domandò ancora squadrandola
«Forse proprio perchè nel suo essere speciale ha bisogno di una parentesi di normalità che lo tenga con i piedi per terra» tentò di ribattere Kokoro. L'aveva lasciata parlare, presa totalmente contropiede da quella situazione: tutto si aspettava quel giorno fuorchè venire travolta dalla gelosia di una ex fidanzata modella che detestava chi non era del loro stesso ambiente. «Io penso mi annoierei a fidanzarmi con un pasticciere: parleremmo sempre delle stesse cose» si strinse nelle spalle
«Pensi che mettersi con un infarcitore di torte sia lo stesso che stare con superidol come Masaki kun? Sei bella ingenua»
«Non penso che sia la stessa cosa» la interruppe aggrottando le sopracciglia «Non le sembra di esagerare? Non è giusto mancare di rispetto ad una persona che conosce appena. La gente normale, come la chiama lei, si innamora di gente come voi pur sapendo che le possibilità sono ben poche e quindi senza avere troppe pretese: se ha delle rimostranze da fare ne parli con chi ha invece reso reale la possibilità di cui godo io in questo momento»
«Tu...» balbettò quella. C'era poco da dire, era dalla parte del torto e non c'era modo di rispondere se non continuando ad essere scortese «Beh, allora sarà il caso che lei si goda questa possibilità finchè dura» sospirò scrollando le spalle. Improvvisamente sembrava aver abbandonato il piede di guerra e aver ritrovato la cortesia «Sì, insomma si diverta» ridacchiò «Io finchè ho potuto l'ho fatto. Del resto mentre era già innamorata di lui, Masaki kun ancora trascorreva le notti nel mio appartamento. Posso proprio dire di aver "goduto" della mia possibilità fino infondo». Kokoro tentò di nascondere la propria sorpresa, ma con scarso successo, soprattutto perchè era abituata a guardare la gente negli occhi per parlare e la donna davanti a lei era troppo alta per abbassare lo sguardo senza perdere totalmente di vista il suo viso. La modella ridacchiò, soddifatta, infatti aveva colto nel segno: il punto debole di Kokoro era la gelosia. «Comunque, buona fortuna. Masaki kun è un uomo particolarmente attivo in quel campo, se capisce cosa intendo» le disse con un sorriso malizioso «Con me non ha aspettato molto, sa? Un comportamento poco da uomo e più da ragazzino, in quei frangenti è proprio come un bambino capriccioso: tutto e subito. Si prepari! Ah no, cosa dico? Se vi frequentate da un mese avrà già sperimentato» fece prima di darle una piccola pacca sulla spalla «Puoi stare tranquilla sai? Non ho intenzione di rubartelo o di ingaggiare una lotta con te per lui» le sussurrò il secondo dopo, piegandosi sulla sua spalla «Non ne ho proprio bisogno. Aspetterò tranquillamente che si sia stufato di te. Mi sa che non dovrò aspettare troppo» e se ne andò tranquilla com'era arrivata.
"Sperimentato?" si ripeteva nella testa sulla via del ritorno verso la metropolitana. "L'ho notato anche io le prime volte che Masaki è... un tipo fisico, ma... non ho sperimentato proprio nulla finora!" strinse il palo del bus con forza, guardando fuori dal finestrino con rabbia crescente "Forse avremmo già... però una volta gli ho fatto capire chiaramente che non era il caso. Tuttora non è il caso, è un periodo nero del quale solo oggi comincio a pensare seriamente ci sia una fine. Non è che non volessi farlo, solo che non volevo legare la nostra prima volta al ricordo di questi giorni. Magari tra un mese mi guarderò indietro e sorriderò alla mia tristezza, ma se non fosse così? Volevo solo... solo essere più serena, perchè sto bene quando sono in sua compagnia: mi tratta bene, è gentile, è tenero... anzi, è stranamente tenero. Tutti i miei ex sopportavano solo un certo limite di smancerie, a volte invece ho l'impressione che Masaki possa essere persino più smielato e appiccicoso di me: è sempre lui il primo a scrivermi mail la mattina, è sempre il primo ad abbracciarmi quando ci incontriamo e mi sgrida quasi se non mi faccio sentire o se non gli dò la buonanotte". Scese dall'autobus e frugò nella borsa per trovare il biglietto da visita del luogo dove doveva portare le prove grafiche per capire che viaggio fare con i treni. Però la mano le tremava leggermente. Aveva paura, non tanto della modella perchè era quasi certa di essere meglio di lei. Quasi. Più che altro era improvvisamente terrorizzata dal fatto che la sua richiesta di tempo potesse alla lunga portare Aiba a stufarsi di lei e poi c'erano anche le parole che Sumire le aveva rivolto: "Mentre eri già innamorata di lui, Masaki kun ancora trascorreva le notti nel mio appartamento". Non stavano insieme al tempo, quindi Kokoro non aveva alcun diritto di dirgli niente eppure si sentiva gelosa, profondamente gelosa, e il solo pensarlo nel letto di un'altra nel momento in cui lei, quella primavera, già cucinava sospirando al pensiero di lui la faceva stare male. Era una ragazza paziente, tranquilla, accondiscendente, allegra e dolce, ma nelle sue relazioni di coppia era una delle donne più gelose e possessive che esistessero.


Guai in vista, dico solo questo.
Ho scritto questo capitolo per metà a Taiwan e per metà qui, ma l'ho pensato tutto là.
So già che nessuna ricorderà Sumire, ma non spunta dal nulla! E' stata citata una (forse due) volte in Zakuro! XD Della serie "ma tu ogni tanto qualcosa lo scrivi tanto per fare?". Mah... boh forse... solitamente quello che scrivo mi serve uhuhuhuh
Ok dai, diciamo che la compagna di Erina dell'università era inutile u.u (ma potrei improvvisamente pensare di usarla)
Ok, torno a soffrire nel mio angolo...

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Capitolo 38
*** 37. Mirror Mirror on the wall who's the biggest fool of all? ***


L'aveva scelto lei quel lavoro e le piaceva, ma ogni tanto si chiedeva chi glielo faceva fare di stare ad ascoltare le lamentele dei clienti d'oltreoceano che le chiedevano il perchè e il percome di certi atteggiamenti dei loro partner commerciali giapponesi. "Si, si, si... bla, bla, bla..." continuava a pensare facendosi girare la penna intorno al dito senza realmente ascoltare ciò che le veniva detto dall'altra parte del ricevitore "Quanto schifosamente si deve essere ricchi per potersi permettere di chiamare da Los Angeles a qui solo per lamentarsi? Con la crisi che c'è certa gente dovrebbe solo vergognarsi di spendere così i propri soldi invece di impiegarli più utilmente, senza contare che ho altro a cui pensare io!" sbuffò piano scribacchiando qualcosa sul foglio a quadretti del blocco sulla sua scrivania, qualcosa che non aveva nulla che vedere con quello che le stavano dicendo. Sbatacchiò nervosamente la punta della penna contro il foglio e infine prese un bel respiro «Ascolti, le passo chi si occupa dei reclami. Può aspettare un attimo in linea? Uno solo...» e senza lasciare tempo di replica schiacciò la tastiera del telefono e scaricò il problema sul collega di turno. Probabilmente nessun giapponese l'avrebbe mai fatto e sarebbe stato ripreso per un comportamento simile, ma se c'era un solo vantaggio nell'avere il sangue misto era che nemmeno nascendo e crescendo in quel paese era mai stata considerata del tutto una giapponese, quindi certe piccolezze le erano scusate e concesse come ad una qualsiasi straniera.
Accavallò le gambe e si chinò su alcuni documenti per dare una parvenza d'impegno, in realtà era da quella mattina che non riusciva a concentrarsi su nulla, niente e nessuno. Nessuno che non fosse Sho. La sera prima era stata avvisata da Ogura san che il giorno dopo, insieme a lui e a Kimura san, sarebbe venuto anche lui. Loro due passavano dal suo ufficio per definire alcune importanti decisioni per il lavoro da svolgere "in trasferta" -prima ad Osaka e poi nelle altre città- e Sho sarebbe venuto con loro. La sua presenza non era necessaria, così come non lo era quella di Erina dato che erano decisioni con parecchi soldi in ballo e nessuno dei due aveva l'autorizzazione di prenderle, ma lei era quella che lavorava sul campo e lui rappresentava il gruppo che poi avrebbe beneficiato di quel lavoro, quindi sarebbe stato comodo averli per una seconda riunione in cui illustrare la linea d'azione da intraprendere. Sho in realtà era ancora meno utile di Erina: per tutti i gruppi della Johnny's le decisioni venivano prese senza che venissero interpellati gli interessati, ma Matsumoto san era parte di una cerchia di artisti che avevano accesso diretto alle informazioni ed, eventualmente, a dire la propria in alcune questioni. Sho era il suo sostituto e a voler essere sinceri era più competente del compagno in campo economico, quindi poteva dare un ottimo contributo. Insomma, Ogura san gliel'aveva spiegata a quel modo, ma Erina aveva capito perfettamente che avevano cercato di fissare l'appuntamento con il suo capo in un giorno in cui lui fosse stato libero proprio per portarlo da lei. I suoi due colleghi più anziani della JE avevano intuito da tempo cosa provava per Sho e quella era la prima volta che si sbilanciavano tanto per favorire i suoi sentimenti. Lo avevano portato per darle una chance, ma non sapevano che aveva l'aveva già avuta e l'aveva anche ben sfruttata.
Con un sospiro si mise a fissare il portapenne sulla scrivania. Ripensò alle labbra morbide di Sho, a quelle braccia forti che l'avevano stretta, al suo respiro caldo quando le aveva confessato di provare qualcosa per lei. "Da sempre..." ripensò sospirando alle parole che le aveva detto "Non ho mai smesso... oh mamma... non ha mai smesso". Strinse le dita intorno alla povera penna che torturava da ore: ogni volta che le tornavano in mente quelle parole si sentiva tanto felice che probabilmente urlare versi inarticolati non avrebbe sfogato a sufficienza tutta la gioia che sembrava riempirle il cuore fino a scoppiare. Nemmeno pestare i piedi a terra e stritolare un cuscino tra le braccia l'aveva calmata i giorni precedenti. Ying una volta l'aveva beccata a rotolarsi sul futon in preda ad uno scoppio di risa. Non era servito. Era ancora tanto felice da sentire di non riuscire a contenere tutta quella felicità dentro di sè. Comunque non si sarebbe rotolata sul pavimento dell'ufficio.
«Erina san?» si sentì richiamare e si girò di scatto con un sorriso così ampio e stupido che la collega ebbe un attimo di esitazione prima di parlare «Aspettavi qualcuno?» domandò allora
«Credo di sì, Asano san» annuì cercando di darsi un contegno «Chi è?»
«Sono tre signori» rispose la donna, era più giovane di lei di un paio di anni ed era da poco arrivata nell'azienda. Dato che Erina era la più espansiva e simpatica tra tutti le affibbiavano sempre gli stagisti o i nuovi arrivati da svezzare. «Ah sì... sono loro allora. Non hai sentito stamattina il capo Himejima?» le chiese alzandosi in piedi «Ha detto che avremmo avuto ospiti importanti oggi»
«Sono arrivata in ritardo stamattina» si scusò con un inchino «Allora li porto qui» fece prima di uscire dall'ufficio. Effettivamente il capo, Himejima san, aveva avvisato dell'arrivo di Sho in ufficio solo quella mattina chiedendo, soprattutto alle donne, di astenersi da comportamenti indecorosi e dal fare video o foto: un errore qualsiasi e avrebbero perso il contratto con la Johnny's. Quando il terzetto entrò in ufficio quindi ci fu un comportamento normale, di fredda cortesia, anche se due o tre si concessero di sbirciare più a lungo nascoste dietro i computer. Erina non aveva una stanza tutta per sè, non era un pezzo grosso, ma lavorava in uno stanzone con un altra decina di persone, tutte della divisione internazionale dell'azienda e competenti in diverse lingue. Uscì dalla sua postazione vedendo arrivare Kimura san e Ogura san. «Erina san, quanto tempo» dissero questi inchinandosi a salutarla sorridenti
«Sì, è passato un po' di tempo. Sono felice di lavorare ancora con voi» rispose inchinandosi a sua volta. Solitamente non usavano tutta quella formalità tra loro, ma in quel posto, davanti ad altri, era meglio attenersi all'etichetta soprattutto con loro che erano i clienti e, in parte, i suoi superiori, anche se di un'altra azienda. «Non so se ti hanno avvisato, ma con noi oggi c'è anche Sho san» spiegarono con un sorrisino soddisfatto prima di spostarsi un po' per lasciare che vedesse il ragazzo che avevano finora coperto alla sua vista. Erina cercò di continuare a respirare: era la prima volta che lo vedeva dopo sera in cui si era dichiarati quindi era parecchio nervosa, in più tutte le volte che lo incontrava si rendeva conto di quanto dal vivo fosse ancora più bello che in foto o in televisione. Quel giorno indossava una camicia di jeans azzurro scuro, una semplice cravatta nera, intonata a pantaloni eleganti, cintura e scarpe anch'essi neri. Riusciva ad essere elegante, ma non rigido: la camicia era quasi casual, più stretta di una da completo e gli cadeva perfettamente, facendo intuire facilmente la forma dei pettorali e dei muscoli delle braccia. Lo avrebbe baciato nel preciso istante in cui le era comparso davanti, ma non poteva, quindi sorrise mostrandosi appena un poco emozionata «No, cioè.. sì. Stamattina ci ha avvisato il capo Himejima» spiegò cercando di respirare regolarmente e non diventare rossa all'istante «Sakurai san, è un piacere» disse chinando il capo
«Erina san. Finalmente siamo noi a vedere dove lavori tu» scherzò con un sorriso, indicando l'ufficio, volutamente mostrando meno formalità tra di loro, rispetto agli altri due colleghi. «Gli uffici sono tutti uguali, il mio è solo più affollato» spiegò scuotendo il capo
«Il nostro è molto meno interessante da quando sei tornata qui» fece Sho guardando gli altri due che assistevano quasi deliziati a quello scambio di battute «Sbaglio?» domandò per avere una risposta
«Oh tu dici?» chiese Kimura san
«Può darsi, sì. Hai avuto questa impressione?» fece l'altro divertito «Ah, ma noi dobbiamo andare dal tuo capo. Abbiamo appuntamento tra pochi minuti, possiamo affidarti Sho san?»
«Ehi voi! Non sono mica un bambino da scaricare alla babysitter» ribattè il ragazzo ridendo e puntando il dito verso i colleghi
«E io non sono una bambinaia» ridacchiò Erina «Va bene, mi farò aiutare in un paio di conti da terminare prima di fare la riunione tutti insieme. Ci metterete molto?» domandò
«Dipende da come vanno le trattative» dissero loro vaghi
«Va bene. Asano san, potresti accompagnare i signori dal capo?» disse affidando Ogura san e Kimura san alla sua stagista. Quella annuì e fece strada.
Quando i due si furono allontanati Erina si girò a raccogliere i documenti sulla scrivania per cercare di darsi qualche attimo di tregua e continuare a mantenere la calma. "Respira... respira profondamente. Nessuno deve intuire niente in questa stanza, assolutamente nessuno, quindi stai calma" si ripetè come fosse un mantra. «Cosa dovrei aiutarti a fare?» si sentì chiedere. Quando si girò Sho si era avvicinato entrando nello spazio della sua scrivania e sbirciava oltre la sua spalla. Era decisamente troppo vicino per il suo cuore. «Cosa guardi? Non è tutta roba tua» gli disse mettendogli una cartelletta contro il naso per coprirgli la visuale «Facciamo questi documenti. Non sono difficili, ma se siamo in due facciamo prima»
«Erina san» si senti interrompere. Una collega se ne stava in piedi davanti alla sua scrivania, con un sorrisino stampato in faccia e la guardava ogni tanto solo per non fare la figura dell'indiscreta e fissare Sho tutto il tempo. «Dimmi» fece per incitarla a parlare. Non era felice di avere qualcuno che si intromettesse: forse c'era un'ora scarsa prima che la riunione tra i capi finisse e lei sperava di passarla in una sala riunioni con Sho, ad occuparsi dei documenti, ma pur sempre da soli. «Volevo darti questi» fece quella dandole dei fogli a caso. Erina li guardò rapidamente e ci mise poco a capire che non erano per lei «Izuka san, credo che la persona più indicata per questo tipo di affari sia Tashiro, del reparto contabilità» spiegò riconsegnandole tutto
«Ah si? Oh, allora ho proprio sbagliato, scusami» si inchinò appena e sorrise raggiante a Sho che, cortesemente, chinò il capo verso di lei senza dire nulla. Con uno sbuffo Erina guardò la collega allontanarsi e girarsi ancora un paio di volte, quindi raccolse la documentazione dell'affare con la JE e fece per prenderlo tra le braccia. «Posso portarlo io» si offrì Sho
«Eh? Veramente non è il caso... sei un ospite» spiegò Erina, stavolta senza riuscire ad evitare il rossore, troppo felice per quel gesto di attenzione e gentilezza da parte sua. «Allora dammene tre quarti e tu portane un quarto così se cadi dovremo raccogliere meno fogli» la prese in giro con un sorriso bonario
«Ah-ah... molto spiritoso» rispose arricciando il labbro, ma facendo esattamente ciò che lui aveva detto «Seguimi, andiamo in una sala riunioni così avremo un tavolo libero e silenzio per finire il lavoro».
Gli occhi di tutti non erano puntati su di lei, ma sul bellissimo giovane dietro di lei che la seguiva ubbidiente portando un plico di fogli e cartelle tra le braccia muscolose, però in un certo senso si sentiva osservata a sua volta. Attraversarono il corridoio tra le scrivanie ed uscirono dalla stanza per avviarsi verso la parte con le sale riunioni. Sapeva in quale andare, sapeva qual era quella libera tra quelle più lontane dal rumore del resto dell'ufficio e guardava la sua porta da lontano come un viaggiatore assetato osserva palme ed acqua in mezzo al deserto, ma era destinata ad incontrare un ultimo ostacolo prima di arrivare alla sua oasi. «Erina» venne chiamata nuovamente. Avrebbe sbuffato scocciata se quello che le stava davanti non fosse stato Fujimiya, il collega con cui molti supponevano lei stesse insieme, per quanto non ci fosse stato nulla di detto tra loro. «Koji kun» disse con un filo di voce: era l'ultima persona che avrebbe voluto incontrare in quel momento. "Oh fantastico! Proprio Mister Tempismo... sono due giorni che vorrei parlargli e mi capita proprio nel momento in cui invece non vorrei vederlo?" sorrise a stento «Dimmi tutto» fece cercando di sembrare normale. "Ormai conosco i sentimenti di Sho quindi è chiaro che devo chiarire con Koji, ma è solo il secondo giorno lavorativo e non essendo dello stesso dipartimento non ci vediamo così spesso. Inoltre mi servirebbe un'occasione per rimanere soli... ma poi, come posso respingere qualcuno che non si è mai dichiarato?" si scervellò perdendo tutte le parole che Fujimiya le aveva detto. «Erina, tutto bene?» domandò quello allungando una mano a toccarle il braccio
«Tutto bene, scusami è che sono un po' tesa» spiegò risistemandosi le cartelle tra le braccia, nonostante non ne avesse bisogno, ma solo per scoraggiarlo a continuare a toccarla. Quelli erano alcuni dei piccoli gesti che mesi prima le avevano fatto piacere, rendendole chiaro di interessargli, ma ormai non era più così. Ora erano totalmente fuori luogo solo che Fujimiya non poteva saperlo ed Erina si rendeva conto che evitare in quel modo il contatto con lui era innaturale e probabilmente lo feriva. «E' per il contratto a cui stai lavorando?» domandò questi alzando gli occhi su Sho, alle sue spalle
«Koji kun, questo è Sakurai Sho san, un membro del gruppo. E' qui come loro rappresentare. Sakurai san, lui è Fujimiya Koji kun, un collega» li presentò facendosi da parte «Dovremo sbrigare un paio di cose prima che il capo finisca con i suoi superiori quindi...» spiegò dopo che i due di furono presentati a vicenda. La situazione era orribilmente spiacevole e aveva solo voglia di svignarsela. L'uomo sorrise e annuì salutandoli entrambi «Ne riparliamo dopo allora, scusatemi» detto questo se ne andò.
Finalmente raggiunse la porta della sala e la aprì con un gomito per poi spingerla ed entrare. «Appoggiamo le cose sul tavolo e poi le sistemiamo» spiegò spostando lo sguardo sui documenti che Sho posò vicino ai suoi fermandosi al suo fianco
«Ho lasciato la porta aperta» disse lui, quasi volesse scappare. Erina lo seguì con gli occhi mentre si girava e si affrettava ad andare a chiudere. Silenziosamente decise di seguirlo per comparirgli alle spalle. «Allora ti ho s... aho!» fece per dire il ragazzo mentre si voltava rapidamente ed andavano uno addosso all'altra «Ma che... sei impazzita? Che fai?» domandò con gli occhi sgranati
«Io? Che fai tu? Ti sei girato di scatto!» replicò tenendosi la fronte, l'aveva sbattuta contro la sua spalla
«Tu non avresti dovuto essere alle mie spalle a due centimetri di distanza» le spiegò «Tutto bene?» chiese passandole una mano sulla fronte
«Si, si... ti stavo inseguendo per farti uno scherzo» mugugnò delusa «Cosa stavi dicendo?»
«Volevi cogliermi di sorpresa? Per fare cosa?» chiese con un sorrisino divertito. Dato che prenderlo alle spalle non le era riuscito decise quantomeno di provare a sorprenderlo. Il più rapidamente possibile, per non dargli modo di reagire, si aggrappò alla sua camicia e si alzò in punta di piedi arrivando a fatica a lasciargli un bacio a stampo sulle labbra. Ma durò ben poco e fu lieve perchè baciandolo a sorpresa non poteva contare sul fatto che le venisse incontro e lo slancio che si era data le aveva dato appena qualche secondo di tempo. «Sono... troppo bassa» farfugliò arrossendo fino alla radice dei capelli. "Non doveva andare cosììì... dovevo baciarlo a sorpresa e dopo un primo attimo di sorpresa avrebbe dovuto ricambiare appassionatamente in stile film di holliwood" pensò passandosi una mano sul collo, sentendosi il viso in fiamme. Decisamente non era andata come voleva lei, anzi, era risultata un po' patetica. Sho scoppiò a ridere qualche secondo dopo aver realizzato cos'era successo, il che non la fece stare meglio. «Troppo bassa... che buffa... troppo bassa» farfugliava di continuo tra le risate sconnesse «Oh mamma... è stato ahia!» esclamò quando Erina gli pestò un piede
«Non ridere così apertamente!» lo minacciò puntandogli un dito contro il petto «Mi sto vergognando per i fatti miei, non è affatto carino che tu rida così, sai?» quindi girò su se stessa decisa a non starsene lì a fissarlo mentre cercava di contenere il suo divertimento. Con uno sbuffo spostò un paio di fogli da sopra un plico e deglutì a fatica: si sentiva mortificata, fantasticava su quel momento dalla sera prima e non era così che se l'era immaginato. «Sai che è pericoloso?» domandò lui una volta recuperato il controllo di sè «Se fosse entrato qualcuno?»
«Davi le spalle alla porta, prima di aprirla avrebbero dovuto piantartela nella schiena» rispose pacata "Te lo saresti meritato, insensibile che non sei altro"
«Quindi era tutto calcolato?»
«In parte sì. Beh, no... voglio dire che...» incespicò sulle sue stesse parole e alzò lo sguardo per osservare fuori dalla finestra «Sì, sì, era tutto calcolato» sbuffò infine. Sentì che le venivano tirati leggermente i capelli e una mano entrò nel suo campo visivo il tempo di prendere tra le dita una ciocca e tirarla indietro. «Ah si? Significa che hai pensato a questa cosa da stamattina?» domandò con una punta di curiosità nella voce, ma ad Erina parve anche di sentire della malizia in quella domanda. «Da ieri sera» specificò non riuscendo a mentirgli e continuando a dargli le spalle
«Come l'hai saputo?» chiese fermando qualsiasi gesto stesse facendo con i suoi capelli alle sue spalle
«Mi ha chiamato Ogura san» spiegò voltandosi lentamente. Era a poca distanza da lei e mentre si girava i ricci gli sfuggirono dalle dita. «Lui sa di noi?» fece allarmato
«E' un interrogatorio?» replicò a mezza voce, aggrottando le sopracciglia «Non sa niente. Lui e Kimura san, non so come, hanno intuito da tempo cosa provo, ma non sanno di quello che è successo domenica e non penso sappiano nulla dei tuoi sentimenti»
«Quei due... allora è per questo che hanno insistito perchè venissi? E mi hanno anche detto che ti avrei fatto una sorpresa» si lamentò facendo il broncio «Pensavo che non sapessi sarei venuto»
«Lo sapevo, per questo ho lasciato i capelli sciolti» ammise guardandolo negli occhi «No è che... stanotte ci h pensato su e ho fatto caso che molte delle volte in cui sei stato gentile con me non li avevo legati. Non è che sono una maniaca! Ma erano più le volte in cui ci arrabbiavamo per qualche fraintendimento, piuttosto che quelle in cui riuscivamo ad esprimere quello che provavamo e così quelle poche volte me le sono impresse nella testa nei minimi particolari. Ho fatto caso ai capelli perchè stavo ripensando se avevi mai fatto qualche apprezzamento particolare su qualche mio vestito per rimetterlo» cominciò a spiegarle agitata, sempre a mezza voce dato che continuavano ad essere vicinissimi e alzarla tanto era inutile «Mi è sembrato di capire che ti piacciono... così...»
«Sì, mi piacciono» sorrise dolcemente posandole le mani sui fianchi «E' stata la prima cosa che ho notato. Sono così strani per un giapponese. Ho sempre voluto toccarli»
«E dire che non li ho mai sopportati» riflettè Erina tenendosi con le mani sulle sue spalle «Così se entra qualcuno sarà difficile non essere scoperti» gli fece notare abbassando lo sguardo per qualche attimo sulle sue labbra
«Effettivamente» annuì piano, abbassando lentamente la testa verso di lei «Inoltre non abbiamo del lavoro da fare? Se arrivano e non c'è nulla di pronto che scusa abbiamo?»
«Non dobbiamo fare nessun lavoro» sorrise divertita stringendo le mani sul tessuto della camicia del ragazzo «Era solo una scusa per venire qui. Dato che sono l'unica che se ne occupa nessuno sa se le cose sono state fatte o meno, solo io. Ho finito tutto giorni fa». Quando lo vide sorridere sollevando un angolo della bocca si alzò in punta di piedi, ma Sho si fece indietro sfuggendole all'ultimo momento. «Ti fai carina apposta per me» cominciò ad elencare «Elabori un modo per rimanere da soli, menti ai tuoi colleghi e pensi a come baciarmi senza che nessuno ci veda... qualcosa mi dice che non mi annoierò» concluse soddisfatto, andandole finalmente incontro, ma toccò a lei piegare la schiena e farsi indietro. Sho la osservò stranito da quel gesto ed Erina gli sorrise soddisfatta «Se scegli una rossa ci sono sempre conseguenze» lo ammonì per poi allacciare le braccia dietro il suo collo. Le mani di Sho si strinsero sui suoi fianchi a sostenerla, stavolta anche lui le andò incontro e lei era fermamente intenzionata a continuare a baciarlo almeno finchè non fossero rimasti entrambi senza fiato.

Ci era rimasto malissimo. Era lui che sperava di farle una sorpresa, era lui che voleva chiederle come si era sentita a vederlo comparire nel suo ufficio senza preavviso. Invece Erina era già stata avvisata e non aveva avuto quel piacere. Tutto sommato però non poteva lamentarsi dato che, proprio in previsione di quell'incontro, la ragazza aveva acconciato i capelli di modo da lasciargli libero accesso ai boccoli. E certo non aveva niente da dire sul vestito scelto: una tailleur con gonna e giacca blu, in cui la seconda, chiusa da una fila doppia di bottoni, lasciava ampiamente scoperte le clavicole e il collo, senza però risultare volgare con una scollatura troppo profonda, che sarebbe stata fuori luogo sul lavoro. Aggiunse il blu ai colori che preferiva vederle addosso, insieme al verde del vestito con cui l'aveva vista la prima volta quel Luglio.
Rivederla, dopo essersi dichiarato, gli dava delle strane sensazioni. Non appena si erano salutati aveva sentito la voglia irrefrenabile di abbracciarla, di toccarla, come a voler rendere noto a tutti che quella donna era proprietà sua, cosa che invece non si doveva sapere. Quel sentimento era aumentato non appena era apparso Fujimiya in corridoio. La gelosia che lo rodeva dentro avrebbe dovuto trovar pace ora che sapeva che Erina era innamorata di lui: un collega che dava passaggi non poteva essere un problema, ma sentire che lei lo chiamava per nome e lui addirittura non usava nessun titolo con lei gli aveva fatto torcere le budella. Poi, quando finalmente erano rimasti soli, era caduto improvvisamente nel panico: non sapeva cosa dirle, nè come comportarsi. Per anni si era convinto che in quel lontano giorno di neve avesse perso qualsiasi chance con Erina, ma da un giorno all'altro aveva avuto l'assoluta certezza che quella ragazza lo guardava con i suoi stessi occhi, che l'uomo maturato da quella fredda e lontana lezione aveva infine attirato la sua lezione. Un bel cambiamento che sembrava confonderlo non poco. La gaffe di lei però lo aveva rilassato e così aveva ritrovato la naturalezza con cui le aveva parlato fino a pochi giorni prima, quando ancora pensava di doverla conquistare. Non poteva parlare per termini assoluti, ma in quel momento quella sembrava la donna perfetta: affrontava la vita in maniera seria e coscienziosa e questo nonostante avesse spesso un atteggiamento, al contrario, molto svagato e distratto riuscendo come per magia a far sentire a proprio agio qualsiasi persona fosse con lei.
Per riprendere fiato staccò le labbra dalle sue e le diede un bacio sulla fronte, passandole le mani dietro la schiena per abbracciarla e stringerla a sè. Ascoltò il frusciare dei vestiti, inspirò il profumo dello shampoo che doveva aver usato la sera prima e si concesse qualche secondo ad occhi chiusi per sentire quel corpo stretto tra le sue braccia. «Sakurai san?» la sentì pigolare contro il suo petto
«Non voglio che mi chiami "Sakurai san"» borbottò arricciando le labbra in una smorfia, gli era tornato in mente Fujimiya. "Se Takomiya viene chiamato per nome allora anche io voglio essere chiamato per nome. I polipi appiccicosi non dovrebbero più avere diritto di chiamarla in nessun modo... perchè ho vinto io. Anzi, ho sempre vinto io: l'ho vista per primo" rimuginò tra sè sciogliendo l'abbraccio, consapevole di aver rischiato anche troppo per quel giorno: nessuna porta avrebbe permesso loro di spiegare il perchè di quell'abbraccio se qualcuno fosse entrato in quel momento. «E come dovrei chiamarti? "Sho kun"?» chiese lei imbarazzandosi
«Non fare l'innocente, non mi hai mai chiamato così parlando del gruppo? Masaki lo chiami "Aiba chan" come tutte le fan» le disse sollevando le sopracciglia, accusatorio
«Non volevo dire questo... ma... appunto, tutte le fan ti chiamano "Sho kun". Io non sono "tutte le fan". No?» domandò tornando a sbirciare il suo viso dal basso
«Ma non so... fammi pensare» fece picchiettandosi l'indice sul mento
«"Fammi pensare"? Cosa vuoi pensare? Ehi!» esclamò picchiandolo sull'avambraccio
«Le domande stupide meritano risposte stupide» le spiegò con un sorriso saccente «Come vorresti chiamarmi?» domandò allora. Ormai aveva capito che una delle cose che più lo divertiva era torturarla: quando entrambi sapevano perfettamente la risposta e dirla ad alta voce sarebbe stato scomodo era divertente costringerla a parlare e vederla veramente imbarazzata, come nemmeno nelle sue peggiori figuracce si mostrava. «Shocchi?» domandò Erina arrossendo dopo qualche minuto di conflitto interno
«Shocchi?» domandò sconcertato
«Shopyon, Shobō?» continuò ad elencare
«Aspetta, aspetta... cosa stai dicendo?» fece stranito «Credevo che avresti detto dei banali "tesoro", "honey"... non queste cose!»
«"honey"? Ma come ti viene in mente?» chiese con una smorfia «No, direi più Sho tama. Anzi no, no... che ne dici di Sho chama?» si mise a ridere
«Stai rovinando tutto il romanticismo» storse il naso
«Va bene, scusa. Allora che ne dici di "shōhōshi"» propose infine cercando di rimanere seria. Lui la guardò incredulo «Mi stai suggerendo di farmi monaco o hai intenzione di chiamarmi "mia dolce microspora"*?» domandò infine. Fu la fine, Erina prese a ridere tanto da non riuscire più a reggersi in piedi. Il ragazzo sorrise e si decise a sedersi al tavolo.
Sistemarono i fogli chiacchierando del lavoro e degli amici, cosa che non avevano fatto domenica essendo troppo presi, giustamente, dai loro sentimenti. Dopo un'ora e mezza vennero infine raggiunti da Ogura san e Kimura san. Sho conobbe anche il capo di Erina, Himejima Kumiko, una donnona dalle spalle e i fianchi larghi, la voce ferma e i modi di fare sicuri. Sorrideva raramente, ma non era una dai modi di fare severi, era solo molto seria e dignitosa. Erina gli aveva spiegato che Himejima aveva fondato e portato avanti da sola quella società. Ormai si era ingigantita e non era più una cosa solo sua, ma aveva dei soci, però si dedicava a quell'attività proprio come ad un figlio. E Sho era pronto a scommettere che lo sguardo con cui questa guardava Erina era lo stesso con cui osservava tutti i suoi dipendenti: quello di una madre orgogliosa. Era ancora lei a fare i colloqui finali e ad avere l'ultima parola per le assunzioni. Ed era anche chiaro che il rapporto che la legava ai suoi dipendenti era diverso da quello solito, rigido ed ossequioso: il rispetto che esigeva le si portasse era profondo, dato che comunque era il capo, ma era ben disposta verso i lavoratori, li ascoltava, lasciava che si mettessero in gioco dicendo la propria senza che la sua autorità li intimorisse. Era chiaro come il sole che c'erano elementi stranieri, importati dall'estero, in quella disposizione, ma forse era normale una simile elasticità in una società che doveva fare da ponte e mediatrice tra aziende di culture diverse.
«Bene, allora non resta che definire gli ultimi dettagli» concluse infine Himejima «Erina san, ti spiace andare a chiedere quei documenti di cui parlavamo prima?»
«Certamente» annuì la rossa, fece un inchino ed uscì. Bastò che la porta si richiudesse perchè la donna li guardasse uno per uno, seriamente «Non ve l'ho chiesto prima perchè speravo di farlo anche in presenza di Sakurai san, dato che è qui. Volevo sapere come vi siete trovati con Sheridan Erina» asserì. Ogura san e Kimura san si guardarono, spiazzati dalla domanda. Sho avrebbe risposto senza tentennare, ma non trovava corretto che fosse lui il primo a parlare: il capo non poteva saperlo, certo, ma dato che loro due stavano insieme ormai il suo giudizio non poteva essere considerato imparziale. «Bene. Scusi, è che la domanda ci coglie impreparati» rispose infine Ogura san «Dato che non abbiamo nulla di cui lamentarci non ci aspettavamo una simile richiesta. Le posso assicurare che ha lavorato bene, con me e Kimura san ha formato un ottimo team e abbiamo lavorato al meglio, se poi ci son stati problemi è solo per colpa di chi lavora negli uffici al di sotto di noi: un tour non viene gestito da sole tre persone, ma essendo noi due i coordinatori abbiamo trovato l'aiuto di Sheridan Erina molto utile»
«Sono d'accordo, non abbiamo nessuna lamentela da fare» annuì Kimura san
«Capisco» annuì la donna per poi spostare gli occhi su Sho «E lei, Sakurai san, cosa ne dice? Siete entrambi molto giovani, le è sembrata una lavoratrice seria?»
«Sì, è seria sicuramente» annuì "Anche se non fa stare seri noi con le figuracce che fa" «Si impegna molto in quello che fa ed è dettagliata» aggiunse "Salvo poi dimenticarsi tutto, ma se ha i documenti con sè non è grave. Il problema è quando dimentica anche quelli" «Ogni tanto ha avuto a che fare con il gruppo e nessuno si è lamentato» concluse con un sorriso
«Ah, ha incontrato il gruppo?» domandò questa appoggiando la schiena alla sedia con un sospiro «E si è comportata bene?»
«Sì» confermò Sho
«Posso chiederle come mai queste domande?» fece Kimura san
«Perdonatemi, sì che può chiedere. Vedete, sapevo che Erina san è appassionata del gruppo e quando ho annunciato il lavoro ho trovato strano che non si fosse offerta volontaria come invece altri avevano fatto: la maggior parte delle persone che si erano fatte avanti erano delle entusiaste dipendenti, indubbiamente brave e magari più portate per questo tipo di lavoro rispetto a lei, ma mi ha dato da pensare che non si facesse avanti. Lo davo per scontato... il fatto che fosse rimasta in silenzio mi ha incuriosito, così ho deliberatamente deciso di affidare a lei il tutto, anche se il suo campo di lavoro solitamente è un altro. Mi preoccupava sia la sua preparazione sia le sue eventuali reazioni sul lavoro»
«Vuole dire che si preoccupava potesse comportarsi da fan impazzita e non lavorare seriamente?» domandò ancora Kimura san
«Sì, anche. Insomma temevo che la sua passione per il gruppo la distraesse, non per forza che facesse la ragazzina in delirio» spiegò muovendo la mano in aria «La mia era pura curiosità... diciamo una capriccio: volevo vedere come si sarebbe comportata. In realtà supponevo che non avrebbe fatto niente di stravagante e quindi, data la sua passione, mi sembrava bello darle questa opportunità unica. Insomma non vorrei che vi preoccupaste: per quanto fossi intrigata da quest'idea non avrei affidato a lei il caso se non fossi stata sicura quasi al cento per cento che non avrebbe avuto colpi di testa da donna in preda agli ormoni. Se capite cose intendo...» concluse con un sorriso appena accennato. Capivano cosa intendeva, ma tutti e tre erano un po' perplessi. «Non si è comportata così infatti. La sua sicurezza era giustificata» rispose Ogura san
«Da cosa era data?» domandò Sho facendosi avanti sul tavolo: perchè Himejima era certa che la sua dipendente non si sarebbe squagliata tra le sue braccia? Cosa che invece era successa. «Veramente non credo di doverne parlare, se lei non ha detto nulla, ma...» titubò la donna. Sho fissò i suoi occhioni color cioccolato in quelli scuri della donna, dandole tutta la sua attenzione, con lo sguardo serio e interessato: non si spiegava come fosse possibile, ma certe occhiate con le fan funzionavano e magari avrebbero fatto presa anche sul capo di Erina. «Oh beh... mettiamola così: conosco i miei dipendenti. Li seleziono scrupolosamente e mi occupo di loro perchè si lavora meglio in un ambiente in cui ci si trova a proprio agio. Non significa che mi faccia i fatti di chi lavora qui dentro, ma solo che li osservo e cerco di capire se ci sono attriti o problemi. Così era giunta alle mie orecchie la notizia che Erina san, prima di assentarsi per lavorare con voi, era in buoni rapporti con uno dei nostri dipendenti. Quando ho cominciato a pensare di affidare a lei questo lavoro ho cercato di saperne di più e mi sono rassicurata: ero molto più tranquilla a mandare una un po' più inesperta ma ad un passo dal matrimonio, piuttosto che una giovane competente che rischiava di compromettere il progetto per via di atti sconsiderati»
«Oh... oh. E' questo che intendeva? No, non deve preoccuparsi. E' una lavoratrice seria» rispose Kimura san dopo aver guardato il collega per un secondo
«Anche con il gruppo è andato tutto bene, vero Sho san?» domandò l'altro con un mezzo sorriso. Lui si limitò ad annuire «Uhn» e non aggiunse altro perchè Erina entrò in quel momento. Distolse subito gli occhi dalla sua figura e, nonostante avesse passato tutto il tempo della riunione a sforzarsi a farlo, in quel momento non gli costò niente farlo. Si alzò in piedi lentamente e guardò i due colleghi «Vado un secondo in bagno» disse a mezza voce
«Sì, tanto abbiamo quasi finito» annuirono quelli. Ricevuta quella risposta attraversò la stanza cercando di comportarsi normalmente ed uscì. Chiudendosi la porta alle spalle guardò lungo il corridoio e fermò un uomo in giacca e cravatta che gli stava passando davanti. «Scusi, la toilette?»
«Da quella parte, infondo a destra» rispose questi poi con un mezzo inchino continuò per la sua strada.
Il bagno aveva due toilette e un lavandino così, invece di chiudersi in una delle cabine ad osservare la tazza, decise di sciacquarsi la faccia. Aprì l'acqua calda e passò una mano sotto il getto per sentire la temperatura, poi si bagnò il viso quando la sentì tiepida e alzò lo sguardo a guardare la propria immagine gocciolante riflessa nello specchio. Osservò quella faccia stranita e le goccioline che gli cadevano dal naso e dal mento, dopodichè scoppiò a ridere. Non era una risata divertita, era isterica, ma l'aveva preso così violentemente che si piegò sul lavandino e si trovò costretto ad allargarsi il nodo della cravatta sentendosi quasi strozzato. Non era arrabbiato, non ancora, in quel momento sentiva sulla lingua il sapore amaro della mortificazione. "Me ne avevano parlato, ma non mi era mai successo. Avevo paura che mi accadesse magari, ma comunque non mi son mai guardato in giro: cercare una ragazza non è la cosa più facile del mondo e poi avevo sempre altro per la testa" scosse il capo facendo cadere le ultime gocce dal mento "Proprio per questo non pensavo potesse mai accadermi e invece... tradito. Tradito è la parola corretta? Forse preso in giro. A tanti è capitato che le donne li avvicinassero solo attirate dal loro aspetto, solo per togliersi lo sfizio di essere state con uno famoso per poi tornare alla loro solita vita. Mi ero veramente convinto che a me non sarebbe capitato? Che lei fosse diversa?". Fece girare il rotolo degli asciugamani di carta e vi passò le mani. Pian piano aveva smesso di ridere, adesso il suo riflesso gli ridava un'immagine di sè tanto insipida da non riuscire a decifrarla lui stesso. "Pensavo potesse essere diverso solo perchè la conoscevo precedentemente. E' così, sì. Mi sono ingannato e ci sono cascato come un imbecille" abbassò gli occhi continuando a non avvertire rabbia, ma solo una devastante e bruciante mortificazione nel cuore. Si era dato una chance, a voler usare paroloni si può dire che si era dato una "chance per amare", cosa che generalmente non lo interessava perchè era troppo preso dal lavoro, ma per tutti quei mesi ci aveva messo tutto se stesso, anzi, ci si era quasi perso in quel sentimento! Talmente tanto che anche gli altri si erano accorti del suo cambiamento. Lei invece l'aveva preso in giro. "Alla fine avevo ragione. Facevo bene ad essere geloso di quell'uomo. Cribbio!" si passò una mano sugli occhi e strinse le palpebre tra il pollice e l'indice sentendosi improvvisamente il viso in fiamme. "Sposata. E' quasi sposata... sono... sono un fesso! Mi ha veramente... veramente... veramente... preso in giro" concluse riaprendo gli occhi. Aveva avuto la vaga e lontana impressione di avere delle lacrime in arrivo, ma forse era riuscito ad evitare anche solo che si affacciassero. Lo Sho che vedeva nello specchio era ancora lo stesso di quando aveva chiuso gli occhi. Non era un miglioramento, ma nemmeno un cambiamento in peggio.
Quando uscì dal bagno, Ogura san e Kimura san stavano salutando il capo Himejima, affiancata da quella che doveva essere la sua segretaria e da Erina che non sapeva bene a chi inchinarsi lavorando per entrambe le parti. Mentre li raggiungeva stavano scherzando proprio per quello. «Oh Sho san eccoti. Stiamo andando» disse Ogura san, squadrandolo attentamente. "Cosa avranno pensato? Sospettavano fosse innamorata di me quindi nessuno di loro sapeva di questa storia" ragionò con tristezza "Ha preso in giro tutti quanti. E alla fine ha ottenuto esattamente quello che voleva". «Scusate l'attesa. E' stato un piacere conoscerla» disse poi verso la capo ufficio «Erina san» salutò solamente inchinandosi formalmente verso di lei, una freddezza professionale che non si era concesso qualche ora prima, quando si erano incontrati. Quando la guardò gli sembrò di avere davanti una perfetta sconosciuta "Parli con quell'uomo con la stessa voce che sento io? GLi sorridi nello stesso modo? Anche con lui sei sbadata oppure era parte della farsa anche quello? Magari l'hai fatto per sembrare più carina ai miei occhi... no, quello dev'essere vero. Una più calcolatrice non avrebbe fatto trapelare la verità proprio quando aveva appena raggiunto il suo obiettivo, e non si sarebbe fatta venire a prendere da lui. Quindi è scema sul serio" concluse non riuscendo ad impedire ad un sorriso amaro di piegargli leggermente le labbra. Si avviarono lungo il corridoio e salutarono la segretaria dell'ingresso. Si misero in attesa dell'ascensore, in silenzio. Sho si risistemò la cravatta notando nel riflesso delle porte che ancora non si era ricomposto da quando era tornato dal bagno. Aveva un aspetto orribile: era pallido come un cencio e alcuni capelli bagnati gli erano rimasti appiccicati alla fronte e alle guance, oltre al fatto che parte delle palpebre era ancora rossa. Aveva premuto troppo forte con le dita e non se n'era nemmeno reso conto. In quello stesso riflesso, poco dopo, comparve il rosso caratteristico dei capelli di Erina ed infatti la sentì chiamare alle sue spalle «Scusate»
«Erina san. Abbiamo dimenticato qualcosa?» domandarono i colleghi
«No, volevo solo parlare un secondo con Sakurai san se non siete di fretta» spiegò cortese mentre arrivava l'ascensore e le porte si aprivano facendo scomparire il riflesso
«Oh, no abbiamo tempo. Allora noi scendiamo per primi, va bene?» chiesero guardandolo. Lui annuì leggermente e rimase a fissarli mentre entravano nell'ascensore e facevano richiudere le porte. Ancora una volta vide il suo riflesso e ancora una volta non gli trasmise alcuna emozione. Era forse troppo incredulo per riuscire ad esprimere rabbia o tristezza? "Avrà saputo che siamo venuti a conoscenza della verità? No, probabilmente no. Quindi dev'essere qui solo per andare avanti con la sua farsa. Qual è il fine ultimo? Fare sesso? Solitamente è quello no? Chi mi ha raccontato queste cose è stato scaricato dopo aver concesso proprio l'ultimo pezzo di se stesso. Sarebbe proprio l'ultimo vero?" si chiese girandosi infine verso di lei "Perchè qui non parliamo di un rapporto occasionale: io le ho fatto la corte per mesi, ci siamo comportati esattamente come due innamorati... quindi concedere il proprio corpo in questi casi è affidarsi totalmente a qualcuno. Hai aspettato che non avessi più via di scampo, che non ci fosse più modo di tornare indietro". «Che c'è?» chiese vedendo che lei non diceva nulla e il pianerottolo era caduto nel silenzio
«"che c'è"? E me lo chiedi? Non so nemmeno quando ti rivedo! Non dico di salutarmi come vorrei che facessi, ma almeno dimmi quando sei libero o se ci sentiamo per vedere quando possiamo vederci» spiegò incredula incrociando le braccia con un sorriso spazientito. Sho la squadrò: ai suoi occhi era bella tanto quanto lo era poche ore fa, perchè era innamorato di lei da anni e non bastavano pochi minuti a convincerlo che quella che aveva davanti era una vipera, falsa e profittatrice. Ancora non si sentiva arrabbiato, ma in quel momento cominciava a sentire voglia di darle una sberla, forse se avesse aspettato ancora un po' gli sarebbe venuta voglia di menarla. «Perchè?» domandò invece, mettendo preventivamente le mani in tasca
«Mh? "perchè" cosa?» domandò lei guardandolo confusa
«Credo mi dia fastidio questo tuo atteggiamento ora, quindi piantala» spiegò con un sospiro «Involontariamente il suo capo ci ha raccontato tutto quindi il gioco finisce qui, Erina san. E' proprio il caso di dire che non ci rivedremo»
«Credo di non capire» fece aggrottando le sopracciglia «Cosa avrebbe raccontato Himejima san»
«Fujimiya Koji» tagliò corto: non aveva nemmeno voglia di sprecare fiato e chiaramente non ce fu bisogno perchè non appena sentì quel nome la ragazza sbiancò. «Prossimi alle nozze eh? Chi se lo aspettava?» sorrise amaramente e pigiò il pulsante per chiamare l'ascensore
«Ascolta Sho, im...»
«Sakurai san» la corresse subito «Per te sono "sakurai san"»
«Te l'avrei detto. Non è così semplice come sembra: prima che venissi a lavorare da voi non era una situazione molto chiara e non pensavo che tutto sarebbe cambiato così» cerco di spiegarsi
«Guarda, lascia stare» le interruppe alzando una mano e allungandola verso di lei «Non mi va nemmeno di stare ad ascoltare sai?» spiegò svogliato «Sono improvvisamente stanco e non ho voglia di ascoltare nessuna delle cose che vuoi dirmi. Penso di essere stufo... anzi... non ho nemmeno voglia di dirti che sono stufo!» esclamò spalancando gli occhi «Quindi tagliamo corto e che sia l'ultima volta, intesi? Ascoltami bene: non voglio più vederti, non voglio più parlarti e non voglio nemmeno sentirti. Non chiederò di mandare qualcun altro dal tuo studio perchè ormai sai come lavorare e svolgi bene i tuoi compiti: cambiare ora per un mio capriccio sarebbe egoistico e creerebbe problemi sia a Kimura san che ad Ogura san, per non parlare degli eventuali problemi di organizzazione dello staff e le ripercussioni sul gruppo» spiegava quasi senza prendere fiato «Perciò continua pure, ma io non ho più intenzione di venire in ufficio da noi a lavorare. Semplicemente... per favore, fatti vedere il meno possibile per i prossimi mesi e finito il tour sparisci dalla mia vita» concluse mentre si aprivano le porte. Entrò in ascensore mestamente. «Sakurai san» lo richiamò lei facendo un passo in avanti. Il tacco contro il pavimento sembrò fare un suono fortissimo che gli riempì le orecchie: aveva paura di farla avvicinare, ma la parte di lui che era ancora innamorata aveva paura ad andarsene. Domò i suoi sentimenti e appoggiò la schiena alla parete di fondo dell'ascensore. «Mi dispiace... mi dispiace... so di aver sbagliato, ma mi dispiace» farfugliò la ragazza senza più muoversi per raggiungerlo. Lei non si era sforzata di ingoiare le lacrime, anzi, stava già piangendo in mezzo al pianerottolo. «Ah si?» domandò Sho deglutendo a fatica mentre premeva per il piano terra «Beh, io non ci credo» fece prima che le porte si chiudessero. Il metallo a specchio dell'abitacolo gli diede ancora una volta il suo riflesso: non ne era certo perchè la luce era soffusa, ma gli sembrava di vedere delle lacrime in quegli occhi scuri che lo osservavano luccicanti.

*Houshi è il titolo dei monaci buddhisti, ma se si pronuncia il nome di sho senza pausa prima del titolo risulta "shouhoushi" ossia "microspora"


Ma cosa posso mai dire?
Non mi diverte che i miei personaggi passino simili episodi o non sarei qui a piangere tra me e me dopo aver riletto il capitolo per sicurezza.
E' un casino... è veramente un casino, mi sono angosciata io stessa nonostante sappia già la fine di sta storia... è veramente un casino. Quell'imbecille di Erina... Tomomi l'aveva pure avvisata che non andava bene comportarsi a quel modo, ma è anche vero che... chi se la sente di condannare completamente il suo atteggiamento? Io no, ma non me la sento nemmeno di dire a Sho che non ha fatto bene ad incazzarsi. E' vero che ha frainteso, ma questa cosa è stata decisamente un fulmine a cel sereno per lui che era così amorevolmente allegro e spensierato. L'uomo che ha fatto la conquista della sua vita se potesse si stringerebbe la mano da solo e si darebbe pacche sulle spalle "bravo, ce l'hai fatta, "sei un ganzo" e mentre fa così... ZACK...
E' stato troppo.
Scusa Sho... ç_ç anche io piango sul pianerottolo, scusami...

P.S. però il titolo di questo capitolo l'ho pensato davvero figo XD "specchio specchio delle mie brame, chi è il più stupido del reame?" *_*

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Capitolo 39
*** 38. What if I let you in more ***


Qualcosa non quadrava: Sho non gliela raccontava giusta. Da circa una settimana, d'improvviso, era scomparsa quella vaga sbadataggine che lo affliggeva da due o tre mesi, rimpiazzata da una pignoleria ai confini dell'assurdo. Simili cambiamenti in una persona avvengono abbastanza velocemente, ma la gente attorno non se ne accorge con altrettanta rapidità. Gli Arashi facevano eccezione perchè erano tra i pochi a vedersi quasi tutti i giorni per svariate ore, vuoi per registrare un programma o per un servizio fotografico o un'incisione. Ecco perchè Aiba se n'era accorto. Certo non subito, ma era bastato un primo scatto nervoso da parte sua per far comprendere a tutti i ragazzi che non solo era tornato lo Sho metodico e infallibile (sul lavoro) di un tempo, ma che lo era ancora più di una volta e quel cambiamento non era in meglio. "E il motivo di questo comportamento non può essere altro che un qualche sviluppo nel rapporto con Erina" pensava mentre si dirigevano dai camerini alla sala fotografica "E per nulla positivo, aggiungerei. Quindi resta da capire quanto sia grave e se sia possibile porvi rimedio, perchè ormai è chiaro che questi due sono fin troppo timorosi nell'aprirsi l'uno all'altro, finendo così per non dire mai le cose come stanno". Salutò e si inchinò allo staff, imitando i compagni e sorridendo a tutti quanti, come suo solito. "A me va tutto bene con Kokoro, quindi perchè a loro, che si conoscono anche da più tempo, non è possibile avere un po' di pace?" sbuffò per poi concentrarsi sul lavoro.
Era deciso ormai: avrebbe indagato sulla questione per vedere se avesse potuto fare qualcosa. Con questa precisa intenzione infatti, dopo che venne deciso che il primo a fare gli scatti singoli sarebbe stato Sho, Aiba si propose con slancio per essere il secondo: la cosa gli avrebbe dato circa una ventina di minuti per parlare con lui faccia a faccia, senza gli altri ad interromperli. Quando fu il suo turno infatti si impegnò al massimo e senza perdere altro tempo tornò ai camerini dove si era avviato Sho circa quindici minuti prima. «Ehi» disse entrando nella stanza
«Nh? Ehi. Finito?» domandò Sho con un sorriso, chiudendo il libro che aveva in mano
«Sì, il prossimo è Matsujun» spiegò chiudendo la porta e andando a sedersi al tavolo, davanti a lui «Che leggi?» chiese
«Sai il film che devo fare?»
«Uhm... quello che ti hanno detto in estate? Kami... qualcosa. Quello per cui devono farti la permanente, no?» cercò di ricordare
«"Kamisama no Karute". Ricordi la permanente e non il titolo?» rise «Beh, mi è arrivato il copione la settimana scorsa e comincio le riprese domani, perciò non sono affatto tranquillo»
«Hai avuto tempo per preparare il ruolo no?»
«Sì ma... sono nervoso, non so se ce la farò» ammise Sho sfogliando a caso le pagine «Sono andato a trovare l'autore del libro per parlare con lui, ho persino fatto un giro in un ospedale per imparare com'è l'ambiente, come funziona... ma sono preoccupato lo stesso»
«Ti preoccupa la parte del marito o del dottore?» ridacchiò «Perchè la prima dovresti cominciare a capirla invece». A quella velata provocazione l'amico non rispose, d'improvviso tornò a sembrare molto interessato alle pagine che aveva davanti e quella non era riservatezza: era ignorare l'argomento. Anche se magari non gli avrebbe raccontato i dettagli, normalmente un accenno ad Erina l'avrebbe fatto dato che Aiba era anche l'unico a sapere per quanti anni gli era bruciato il suo iniziale rifiuto e per quanto tempo non era cambiato niente nel suo cuore. Il silenzio che invece aveva avuto in risposta era la prova che era precisamente quello il problema. «Ehi, Sho kun» lo richiamò
«Cosa?» chiese quello distratto, leggendo alcune righe
«E' successo qualcosa?» chiese senza troppe cerimonie
«Cosa te lo fa credere?» fece ancora perso nei suoi fogli
«Non rispondermi con una domanda» storse il naso il ragazzo «Rispondi con una risposta. E' successo qualcosa?»
«Succede sempre qualcosa, Aiba chan. Che domande fai tu, piuttosto!» ribattè stringendosi nelle spalle
«Pensi che sia tanto cretino da farmi sviare così dalle tue risposte stupide? E' successo qualcosa con Eri chan vero?». A quel punto Sho chiuse rumorosamente il copione e si alzò dalla sedia respirando profondamente «Non so a cosa ti riferisci» rispose voltandosi per rimettere i fogli nello zaino
«Lo sai perfettamente invece. Voi due siete una cosa impossibile, non ce la fate mai a parlarvi chiaro»
«Cambiamo discorso per favore» pregò l'amico chiudendo la borsa
«Non devi raccontarmi cosa è successo se non vuoi, vorrei solo che ti rendessi conto che sei diventato improvvisamente isterico e sono pronto a scommettere che sia per colpa di una cavolata, perchè tu ed Eri chan come al solito non parlate mai con chiarezza»
«Cambiamo discorso»
«Sì, sì... cambiamo discorso» sbuffò Aiba arrendendosi, forzarlo non sarebbe servito e non era nemmeno nel suo stile «Tu però datti una regolata, sei più maniacale di Matsujun ultimamente»
«Chi sarebbe maniacale?» domandò il diretto interessato che se ne stava sulla soglia, con una spalla appoggiata allo stipite e la camicia sbottonata a metà
«In senso buono» aggiunse Aiba
«Stai rimproverando Sho?» chiese il terzo con un sorrisino
«Non mi stava rimproverando, stava toccando argomenti che non ho voglia di affrontare. Adesso devo concentrarmi: ho un grosso lavoro da cominciare» specificò Sho. Non si era riseduto, era chiaro che avrebbe preferito scappare da quella stanza. «Oh stai tranquillo, non ti dirò nulla» scosse il capo Jun stravaccandosi su una sedia
«Come no!?» esclamò Aiba «Lo vedi anche tu che razza di atteggiamento ridicolo che ha, vero? Non voglio dire che non possa esser frustrato o di cattivo umore, ormai sopportiamo gli sbalzi d'umore di chiunque tra di noi, il punto è che Sho kun si sta certamente tormentando per un'idiozia e a me non sta bene vedere gli amici che si rovinano così. E che rovinano anche l'atmosfera agli altri»
«Ehi, la smettete di parlarne come se non ci fossi?» chiese il diretto interessato incrociando le braccia
«Non so immaginare quale sia il problema di Sho kun, ma devi ammettere che io non ho alcun diritto di rimproverarlo: gli ho addossato un compito che sarebbe stato mio, praticamente per lo stesso motivo. Problemi personali» concluse Jun frugando nella sua borsa e tirandone fuori una serie di pillole. La frase raggelò Aiba e anche Sho, perchè smise di protestare. Se ne rimasero in silenzio per qualche minuto mentre il ragazzo apriva una bottiglietta d'acqua, ingoiava due pillole e le buttava giù bevendo a canna. «Comunque» aggiunse questi dopo aver fatto un grosso sospiro «Ti ho ceduto solo uno dei miei compiti, quindi fai attenzione a come ti comporti: il puntiglioso rompipalle qui sono io, non tu» lo ammonì guardandolo seriamente. Il primo a mettersi a ridere fu Aiba, seguito subito dopo da Sho e poi anche da Jun stesso. «Avete ragione, avete ragione» rispose infine il più grande, tra le risate «Scusatemi, farò più attenzione. Scusa Aiba chan» e lui non potè fare a meno di scusarlo, perchè guardarlo che si divertiva in maniera così spontanea dopo quel modo carino con cui Jun aveva allentato una discorso tanto teso, era troppo bello per tornare a guastare l'atmosfera.
Dopo il lavoro ognuno aveva i suoi impegni. Aiba declinò un invito di Nino, scusandosi mille volte, ma aveva promesso a Yun-seo di accompagnarla ad un colloquio di lavoro perchè nessun altro poteva assicurarsi che non si perdesse per la città, dopodichè doveva raccogliere le sue cose dalla JH e andare verso Chiba. Si era ritagliato due giornate per stare a casa e le avrebbe dedicate alla famiglia, escludendo quella sera che invece avrebbe passata con Kokoro.
Quando arrivò alla casa azzurra sul fiume era già il tramonto. Controllò di non incrociare nessuno nell'entrare e trottò lungo il corridoio fino alla porta dell'appartamento della sua ragazza. Quando suonò gli rispose lei infatti, alzando la voce. «E' aperto!» annunciò senza presentarsi di persona sulla porta
«Permesso...» mormorò entrando e sbirciando dentro, allungando il collo. La ragazza era in piedi davanti al piccolo tavolo della cucina e aveva un coltello affilato in mano. «Sono nei guai?» domandò alternando lo sguardo dagli occhi di lei alla lama scintillante
«Mh? Che fai lì Chibimasa?» domandò quella guardando verso la porta «Sto tagliando gli udon»
«Ooooh... fai la pasta fresca?» chiese contento, oltrepassando la soglia e chiudendo la porta prima di togliersi le scarpe
«Sì. Avevo voglia di... di mettere le mani nella farina» spiegò pensierosa, arrossendo leggermente
«A me piace affondare le dita nella pasta» fece Aiba concitato, avvicinandosi al tavolo per guardare l'impasto «Quando è ancora tutta da maneggiare è morbida e ti si appiccica alle dita!»
«Sì, esatto!! Il bello degli udon è quando li impasti che sono caaaldi caaaaldi» annuì lei guardandolo con gli occhi spalancati
«Caldi e soffici» concordò Aiba «Sembriamo due maniaci» rise subito dopo e lei lo seguì a ruota. Quei momenti d'intesa non erano rari, il loro rapporto sembrava caratterizzato proprio da piccoli attimi, dettagli e cose che appassionavano entrambi e che li avvicinavano. Dalla morte della padrona Aiba si era sforzato di starle vicino il più possibile, anche facendo viaggi nel cuore della notte o all'alba pur di essere fedele anche ai suoi impegni di lavoro. Kokoro si era confidata con lui, a volte si era sfogata e altre si era distratta: non stavano insieme da molto, ma si poteva dire che gli eventi li avevano portati ad avvicinarsi molto rapidamente. Le serate passate insieme a chiacchierare, guardare un film insieme con il piccolo televisore che ogni tanto le aveva portato a casa, farsi aiutare da lei a ripassare le battute: ogni cosa aveva riempito la sua vita in quei mesi, l'aveva resa ancora più luminosa di quanto già non fosse, e non credeva fosse possibile.
La guardò, sorridendo tra sè: condivideva con quella ragazza qualcosa che non aveva mai condiviso con nessuno e questo lo rendeva felice. «Non sei passato da casa prima?» domandò lei mentre tagliava l'impasto in sottili striscioline
«No, avrei perso troppo tempo» rispose: per quanto intimi potessero essere, sarebbe stato imbarazzante ammettere di non averlo fatto per evitare di sottrarre tempo a quello già scarso che avrebbe passato con lei quella sera. «Non ti togli lo zaino?» chiese ancora notando che da quando Masaki era entrato non aveva fatto altro che raggiungerla al tavolo, ma aveva ancora addosso la giacca. «Non vuoi una mano?» domandò mentre lasciava lo zaino di fianco alla porta d'ingresso e si toglieva il giubbino in jeans
«Tranquillo, tra una decina di minuti è pronto» gli rispose Kokoro «Hai lasciato qui la tv l'altra volta, se vuoi usarla mentre aspetti...»
«Mi chiedo come tu abbia voglia di cucinare ancora dopo che passi tutte le tue giornate ad infornare dolci per il negozio» sospirò stiracchiandosi, mentre passava nel salottino
«Gli udon non sono dei dolci, ci mettono poco a cucinarsi e poi...» la sentì esitare e accadere uno dei fuochi della cucina, per dargli le spalle nel caso in cui lui si fosse girato «Se è per te mi fa piacere». L'aveva detto quasi a bassa voce, ma Aiba l'aveva sentita perfettamente perchè in quella casa la televisione non c'era (tranne quando la portava lui) e la musica suonava dallo stereo solo ogni tanto: l'appartamento di Kokoro era tranquillo e silenzioso, rendendo perfettamente udibile qualsiasi suo sussurro. Incassò la testa nelle spalle e si passò una mano tra i capelli, abbassando lo sguardo, sentendo che quella frase gli aveva provocato uno spasmo di felicità al cuore. Non disse nulla, si accomodò sul divano e smanettò col cellulare finchè la ragazza non lo avvisò che era pronto.
Chiacchierarono anche quella sera. Da quando l'aveva conosciuta sapeva che Kokoro era una di poche parole, ma il periodo che stava passando non era facile -con la morte della padrona, il passaggio di proprietà e il ritrovarsi sola a fare tutto- e in sua presenza aveva manifestato un bisogno di parlare che, per una silenziosa e schiva come lei, era piuttosto inusuale. Masaki l'aveva percepita così almeno, e quindi si era posto in paziente ascolto delle sue parole e dei suoi desideri. Le raccontava delle sue giornate quando glielo chiedeva e ascoltava delle sue difficoltà quando le raccontava, la incoraggiava quando si diceva spaventata e le faceva i complimenti per qualche obiettivo raggiunto. Se fino a poche settimane prima pensava che Kokoro fosse una persona indistruttibile, allegra e timida, a quel punto aveva cambiato opinione: per certi versi era una ragazza debole, ancora spaventata dalla solitudine e dai grandi cambiamenti, gli sbalzi d'umore la stancavano e aveva poca fiducia in se stessa; eppure quando qualcuno aveva bisogno di lei -Aiba per primo- sembrava che Kokoro avesse una forza infinita, pazienza e allegria a sufficienza per sostenere e aiutare chiunque ne avesse bisogno, apparentemente senza sforzo. Non riusciva a crederci, ma quel rapporto gli sembrava quanto di più vicino ci fosse alla perfezione.
«Che c'è?» domandò lei guardandolo sorpresa, bloccando a metà strada le bacchette con il boccone di udon
«Mh? Perchè?» chiese riprendendosi dai suoi pensieri
«Hai stampato in faccia un sorrisino sciocco e mi fissi senza dire nulla da un paio di minuti. Va bene che non sei tanto normale, ma fai quasi paura così» lo prese in giro rimettendosi a mangiare. Masaki non rispose, scoppiò a ridere e basta.

Si sedette sul divano mentre il suo ragazzo si occupava dei piatti canticchiando tra sè. Aprì il suo zaino per tirarne fuori un sacchetto di plastica. Ci aveva raccolto dei DVD e le aveva detto di scegliere un film da vedere insieme.
Kokoro però osservava la copertine senza attenzione. Senza Aiba davanti non doveva più fingere e poteva evitare di sorridere, avrebbe pianto magari, ma si era auto convinta a non versare nessuna lacrima, ad essere forte e ad affrontare, per una volta nella vita, una situazione difficile con uno spirito quanto più solido possibile. La verità, però, era che era confusa. Era preoccupata, stressata, oberata di lavoro e priva di energie perchè per il negozio doveva fare di tutto, e avrebbe solo voluto una spalla a cui appoggiarsi e piangere. Con Masaki si sfogava, ma non era tutto. Sentiva sua voce allegra al telefono, vedeva il suo sorriso o il suo viso stanco e non trovava il coraggio di affliggerlo con la profondità della sua paura, con il vuoto che le era rimasto dopo la morte della padrona e che non riusciva a riempire per quanto disperatamente ci provasse. La vitalità del ragazzo era un balsamo per il suo cuore e aprirsi totalmente a lui significava rischiare di far scomparire quell'allegria di cui invece aveva disperatamente bisogno. ma era giusto così? Un compagno avrebbe dovuto essere qualcuno al corrente di tutto e che l'aiutasse sempre? Sarebbe stato più d'aiuto vederlo preoccupato per lei o sentirlo fischiettare in cucina?
Ma non era tutto. Non era solo il suo stato d'animo a confonderla sulla sua vita, in generale, o sul loro rapporto. Anche l'incontro con Sumire, la modella, aveva minato la sua sicurezza. Che avesse parlato o meno delle sue angosce a Masaki, una cosa era certa: lui c'era. Dopo le parole di lei quella presenza cominciava a non essere più così sicura. La modella era stata chiara: Aiba Masaki era uno che non perdeva troppo tempo con le donne, non aspettava tanto prima di passare alla parte fisica di un rapporto; e doveva ammettere che con lui il contatto fisico era arrivato più presto del previsto, ma non avevano mai concluso nulla. Non era mai stato il momento giusto e ripensandoci in quei giorni si era resa conto che da un po' di tempo il ragazzo aveva smesso di tentare un qualsiasi tipo di approccio con lei. "Se uno per cui l'elemento sessuale del rapporto è tanto importante smette di tentare di averlo cosa significa? Significa che si è stufato di provare?" aveva pensato tutta la settimana, con angoscia. La conclusione più logica di quei pensieri è che, senza l'interesse fisico, un uomo come Masaki si sarebbe presto stufato anche di tutto il loro rapporto e l'avrebbe lasciata: ciò che lei non gli dava poteva averlo più facilmente da altre, che erano partner più accomodanti e più comprensive essendo parte del suo stesso mondo. Il discorso di Sumire le aveva fatto capire che con aveva più nemmeno la sicurezza di avere Aiba al suo fianco.
Appoggiò tutti i DVD in ordine sul tatami davanti a sè e fissò distrattamente il riflesso della lampada nelle loro copertine lucide. Anche davanti all'ipotesi di perderlo aveva continuato a non piangere: decisa ad affrontare tutto con serietà e determinazione. Il terrore di rimanere da sola le avvelenava i pensieri come un frutto marcio che appesta anche gli altri della cesta e per combatterlo aveva deciso di fare tutto ciò che sarebbe servito pur di non perderlo. Una voce dentro di sè le suggeriva che andare a letto con il suo ragazzo per quel motivo era sbagliato, che non avrebbe cancellato le sue incertezze, che l'avrebbe fatta stare peggio. Ma c'erano troppe voci da ascoltare, troppe paure da affrontare e quella invece le sembrava una scelta chiara, un punto fermo e saldo nella confusione che si agitava dentro di lei.
«Hai scelto?» domandò Aiba raggiungendola nel salotto e accomodandosi sul divano
«No» ammise riprendendosi dai propri pensieri e rimettendosi a sorridere «Voglio guardare qualcosa che piaccia a te» rispose temporeggiando. Deglutì a fatica. Era quello il momento, perchè stavano decidendo cosa fare quella sera, nelle successive tre ore e lei avrebbe dovuto convincerlo ad abbandonare televisore, film o altro per fare un giro in camera da letto. "Il punto è: come?" si domandò abbassando lo sguardo sentendo che stava già arrossendo e non volendo farglielo notare. "Cioè... so come. Lo so. Ma non sono tagliata per questo genere di cose, non ho lo spirito della seduttrice. Sussurrargli proposte oscene nell'orecchio è fuori discussione, spogliarmi d'improvviso pure anche perchè inizialmente sembrerei idiota persino a me stessa e a quel punto sarebbe uno spogliarello molto poco sexy" pensò sentendosi improvvisamente a disagio in presenza del ragazzo. «Ehi, mi stai ascoltando?» le domandò lui arricciando il labbro inferiore
«No... scusa, ero soprappensiero» disse arrossendo d'improvviso e senza poterlo nascondere
«Non c'è mica bisogno che reagisci così» le fece notare guardandola sorpreso «Sei rossa come un peperone. Ti senti bene?»
«Sì, sì tutto bene» rispose guardando i DVD sul tatami. "Il cliché della stanza calda come scusa per togliersi i vestiti non fa per me" pensò imbarazzata prima di indicare uno dei film «Questo» disse infine
«Non ci penso nemmeno» scosse il capo Aiba «Con te i film dell'orrore non li guardo più»
«Perchè?» gli chiese sorpresa
«Non c'è gusto! Un uomo aspetta che la donna salti di paura per poterla abbracciare e stringere: tu ti metti a ridere!» ribattè, come offeso «L'ultimo che abbiamo visto ti sei appoggiata a me solo perchè ti stavi piegando in due dalle risate e ti faceva male lo stomaco»
«Beh, ma era assurdo, per questo era divertente» spiegò aggrottando le sopracciglia, confusa
«A me un po' faceva paura» ammise in un borbottio il ragazzo. Le fece tenerezza: non si spaventava facilmente, mentre lui un po' e invece di ottenere almeno un riscontro romantico da una simile visione ne era stato umiliato, con lei che se la rideva come una scema senza calcolarlo affatto. Sembrava aver offeso il suo orgoglio maschile. «Scusa, scusa» gli sorrise divertita «Cambiamo film allora, ma non hai bisogno di trucchetti strani per abbracciarmi sai?» lo prese in giro guardando gli altri DVD
«No?» chiese
«No, quelle sono tattiche a cui ricorrono solo i ragazzi che ancora devono conquistare qualcuno» gli spiegò
«Va bene. Ah, che ne dici di questo? E' di fantascienza» le propose passandole il braccio davanti agli occhi per allungarsi a prendere una delle custodie più lontane. Kokoro osservò il suo profilo così vicino e si rese conto di aver perso un eventuale buona occasione per sviare il discorso in alti termini. Senza pensarci su gli stampò un bacio sulla guancia, presa dal panico all'idea di non trovare un modo per sedurlo. Aiba prese il DVD e tornò a sedersi composto, guardandola sorpreso. «E questo per cos'era?» domandò
«Per farti capire che non hai bisogno di trucchi» gli rispose prontamente, facendosi seria, tutta concentrata per capire cosa dire, come fare e come muoversi. Era spaventata da un eventuale fallimento quella sera, come se il giorno dopo l'avesse lasciata se non si fosse svegliato nel letto con lei la mattina successiva. «Pensi che io volessi spaventarti per avere un bacio?» ridacchiò divertito
«E cosa volevi?» domandò seriamente. Masaki la guardò confuso per qualche secondo. «Abbracciarti» fece poi
«Allora fallo» annuì. Non si sentiva una seduttrice, non lo era mai stata e aveva l'impressione di essere ridicola nel tentare di esserlo. La prova del suo fallimento era il lieve sorrisino che continuava a campeggiare sulla faccia del suo ragazzo che non pareva essersi accorto delle sue intenzioni. Aiba si spostò sul divano, tenendosi a gambe incrociate, ma rivolto verso di lei, e le passò le braccia intorno alle spalle per tirarla verso di sè. Il suo abbraccio fu affettuoso e confortante, Kokoro avrebbe voluto abbandonare il suo strampalato progetto di seduzione e lasciarsi coccolare finchè non le fosse venuto sonno, ma una parte di lei era ancora ostinatamente convinta a voler andare avanti. «Era solo questo che volevi?» domandò dopo un po'
«Mh? Ma che ti prende?» chiese lui a sua volta lasciandola andare «Sei ben strana stasera: se non stai male, significa che hai qualcosa in mentre». La ragazza lo fissò, avvilita, quindi si afflosciò sul divano «Lasciamo stare» piagnucolò
«Eh? Eh? Ci avevo visto giusto? Cos'avevi in mente?» fece incuriosito
«Niente» rispose afflitta
«Non è vero. Se una donna dice "niente" significa che c'è qualcosa» recitò Aiba stravaccandosi al suo fianco, molto vicino, e girando la testa verso di lei «Beh? Allora? Cos'era?» insistè. Kokoro storse il naso "Maledetta sia quella che ha reso partecipe il mondo del fatto che niente è sempre qualcosa" pensò irritata "Non ha mai aggiunto che niente è anche non ho voglia di parlarne quindi non chiedere?". «Quindi?» fece ancora il ragazzo con fare impiccione. Per qualche secondo ebbe la tentazione di alzarsi dal divano e fuggire, poi ebbe un'illuminazione improvvisa e girò la testa per guardarlo in faccia. La distanza tra loro era pochissima, esattamente come sperava: la azzerò in un attimo e lo baciò.
Non aveva bisogno di parole a quel punto, le parole complicavano sempre tutto, ma a quel modo doveva solo agire. Masaki rimase sorpreso per qualche secondo, poi lei lo sentì piegare le labbra in un sorriso prima di aprirle e baciarla a sua volta. Bastò la dolce risposta del ragazzo, la morbida carezza della sua lingua, per farla sciogliere, e ancora una volta le sarebbe bastato quello, ma quella sera doveva essere di più. Senza interrompere quel contatto si girò su un fianco, allungando le gambe sul tatami e spazzando via alcuni dei DVD, poi sollevò una mano ad accarezzargli la guancia. Lo sentì girarsi a sua volta toccandole il fianco, mentre sentiva il suo respiro fari leggermente più rapido rispetto a pochi secondi prima. Lo prese come un buon segno e ne approfittò per spingersi verso di lui ed entrare in contatto con il suo corpo, poi dimenticò qual era il suo piano: la vicinanza con Aiba, sentire il suo petto muscoloso contro il proprio, le loro gambe che si intrecciavano, le diede un'improvvisa scarica di eccitazione che cancellò qualsiasi pensiero razionale. Da quando si erano toccati così erano passate forse due settimane, ma le sembrò di non toccarlo da molto di più. «C-chibiko...» farfugliò il ragazzo allontanando la bocca dalla sua, per qualche attimo
«Sssst» sussurrò baciandolo ripetutamente sulle labbra. Sollevò una gamba appoggiandola al suo fianco. Non c'era più spazio tra loro: il seno premeva contro il petto del ragazzo, il bacino premuto contro il suo da quell'intimo abbraccio. Lo sentì respirare profondamente e serrò le dita tanto forte sul suo fianco che temette le avrebbe lasciato il segno. Quando le accarezzò il contorno dei glutei a la gamba, Kokoro non si rese nemmeno conto di aver ottenuto quello che pianificava fin dall'inizio; preda dell'eccitazione in cui si era gettata da sola lo costrinse a tornare supino, sedendosi a cavalcioni su di lui. Aiba non ebbe più nulla da obiettare, le accarezzò i fianchi e le cosce prima di costringerla ad interrompere il bacio per lasciarlo accarezzarle il collo con le labbra. La ragazza alzò la testa per agevolarlo in quell'operazione e aprì appena gli occhi, lasciandoli socchiusi cercando di mettere a fuoco qualcosa nella stanza: attraverso il graticcio in legno che divideva la cucina dal salotto vide che uno strofinaccio era a terra, ma lo guardò come se nemmeno fosse lì.
D'improvviso alle sue orecchie arrivò chiaro e distinto il suo stesso ansimare, prese coscienza del panno caduto e anche di tutto ciò che stava accadendo. Le mani del ragazzo erano arrivate ben oltre il bordo della maglietta e Kokoro si rese conto con amarezza che l'effetto che le aveva fatto non era stato di piacere, ma di tristezza. Le sfuggì un singhiozzo, ma non ricordava di essersi messa a piangere. Masaki si era bloccato. «Kokoro?» domandò con voce roca
«Mmmh?» mugugnò a denti stretti, non fidandosi della propria voce, ma non servì: lui capì immediatamente che qualcosa non andava. Le prese per i fianchi, sollevandola, e si mise a sedere normalmente sul divano, prendendola in braccio. Quando Kokoro lo guardò in faccio aveva un'espressione di puro panico dipinta in faccia, nessuna traccia di eccitazione o lussuria come invece doveva essere stato poco prima. «Perchè piangi?» le domandò allarmato e spiazzato da quella reazione «Cosa è successo?». Aveva solo lacrimato e singhiozzato un paio di volte, non era scoppiata a piangere, ma dovette ammettere che per lui doveva essere stato uno shock e per lei era una violazione del suo stesso intento di non lasciarsi andare alle lacrime. «Non hai fatto niente, non ti spaventare» si sentì in dovere di rassicurarlo subito, mentre si passava le mani sugli occhi «Non sto piangendo per colpa tua, tranquillo»
«Tranquillo? La fai facile!» esclamò sudando freddo «Che cosa ti è preso?»
«Mi dispiace, in realtà non me la sentivo, ma volevo fare qualcosa» cercò di spiegarsi «Però non me la sento, non voglio che sia così la prima volta con te»
«Che stai dicendo? Perchè ti sei comportata così se non volevi? Potevamo guardare il film» fece passando dallo spaventato al confuso. Kokoro si rese conto di aver fatto la cosa più sbagliata di tutte. "Dovevo immaginare che piangere durante i preliminari avrebbe mandato in confusione un uomo" si disse respirando profondamente per calmarsi. «Sì, sì, potevamo guardare il film. Ma io temevo ti saresti stufato di me» cominciò a dire: ormai sarebbe stato inutile nascondere qualcosa. «Come ti salta in mente? Mi hai fatto prendere un colpo!» esclamò passandosi una mano sulla fronte «Ma che idee ti sei fatta?»
«Mi hanno detto che sei abituato così e dato che io mi sono sempre rifiutata ho pensato che mi avresti lasciato per un'altra»
«Ti hanno detto? Ma chi? Non devi credere a tutte le idiozie che ti dicono quei quattro»
«Non sono stati loro» si affrettò a correggerlo, non voleva che si arrabbiasse con i suoi amici per colpa sua. «Ho incontro una donna, Korenaga san».

«Sumire?» domandò incredulo Aiba «Hai incontrato Sumire? Dove? Quando?».
L'eccitazione che fino a poco prima lo aveva fatto sentire leggero come una piuma e pieno di energia, al vedere quelle lacrime sembrava essersi trasformata in un macigno che gli schiacciava lo stomaco e gli rendeva doloroso qualsiasi movimento. Sapere che Kokoro aveva incontrato Sumire lo fece stare pure peggio: il sudore gli si gelò addosso. Avrebbe voluto implodere tanto era il rimorso che sentiva. Kokoro aggrottò le sopracciglia osservandolo stranita «Quando sono venuta agli studi. Mi ha detto che le hai parlato di me... è la tua ex?»
«Sì... cioè, forse. Non so» rispose impacciato «Voglio dire: non siamo mai stati insieme; uscivamo, abbiamo passato dei bei momenti, ma non è mai stata la mia ragazza». Aveva sperato di potersi portare quel segreto nella tomba. Non aveva fatto nulla di grave però si era sentito in colpa al pensiero di essere uscito ancora con la modella quando Kokoro probabilmente era già innamorata di lui. Si sentiva un po' meschino anche se al tempo non aveva ancora alcun obbligo, però così gli era sembrato di amarla meno di quanto non facesse lei. «Ma eravate intimi a sufficienza perchè lei conoscesse le tue abitudini tra le lenzuola» aggiunse la ragazza, non senza una punta di gelosia
«Sì, ma questo non significa che fosse la mia ragazza» si difese, il discorso stava prendendo una strana piega
«Significa che vai a letto con più donne anche senza amarle?» domandò
«Mi piaceva, stavo bene con lei, ma...» il ragazzo fece una pausa abbassando lo sguardo «"amore" è una parola grossa. Non la uso facilmente, quindi sì: puoi dire che vado a letto con qualcuno anche senza amarlo. Ma non "con più donne", per chi mi hai preso?» domandò offeso «E comunque questo non ha nulla a che vedere con le tue lacrime di prima. Perchè ti sei costretta a sedurmi se non volevi?»
«Te l'ho detto. Per le parole di Korenaga san»
«Eri gelosa di Sumire?»
«Non chiamarla per nome!» esclamò d'improvviso Kokoro, indispettita. Aiba non sapeva se essere arrabbiato per il suo comportamento o lusingato da quella gelosia. «Va bene. Cosa ti ha detto Korenaga san?»
«Che.. uhm... che hai certe abitudini» rispose vaga la ragazza. "Mi è saltata addosso e ora si vergogna a toccare l'argomento? Certo che me le scelgo proprio buffe io" pensò incredulo. «Non avevi bisogno di lei per sapere come mi comporto in date circostanze. Anche se non siamo mai andati fino infondo l'avrai intuito»
«Ma non ci ho mai fatto caso, insomma... non immaginavo che avessi l'abitudine di passare rapidamente ai fatti con tutte. E poi mi ha detto che avrebbe aspettato che ti fossi stufato di me»
«Avrebbe aspettato?» domandò perplesso «Pensavo avessimo chiuso. Quando l'ho incontrata quel giorno le ho detto tutto perchè per me era finita da un pezzo, mentre lei avrebbe voluto riprendere a vederci. Ho pensato meritasse di sapere perchè la respingevo e mi sembrava avesse capito»
«A quanto pare no» ribattè Kokoro con una punta d'angoscia nella voce
«E quindi cos'hai pensato? Che se mi avessi portato a letto avresti vinto?» chiese infastidito
«Non lo so, forse... il problema non credo sia lei nello specifico: io... ho paura che tu ti stia veramente stufando di me» ammise infine a fatica. Ce n'erano voluti di giri di parole per riuscire a tirarle fuori la verità! «Seguendo il tuo ragionamento... io a quel punto sarei rimasto con te per il sesso? E' questo che volevi?» le domandò Aiba con pazienza
«No!» esclamò arrossendo «Non è quello! Ma se sei un ragazzo tanto diretto e io invece ti blocco ogni volta, è normale pensare che alla lunga tu ti renda conto che non è il rapporto che fa per te, se la componente fisica è tanto importante avresti potuto pensare che allora non ero la persona giusta»
«Kokoro» sospirò Masaki stancamente «Non posso crederci. Tu stai paragonando il rapporto che ho con te, al tempo che ho piacevolmente trascorso con persone che non amavo affatto?» le domandò facendola scendere dalle proprie gambe, sentendo che cominciavano a formicolargli. I DVD erano sparsi sul pavimento così cominciò a raccoglierli. «Sai qual è la cosa più divertente di tutto questo?» domandò ridacchiando lievemente
«Quale?»
«Che io ho smesso di provarci con te non perchè mi stessi stufando, ma, al contrario, perchè mi interessi seriamente. Voglio tener conto di quello che provi e dei tuoi desideri» le spiegò alzandosi per recuperare le custodie più lontane dal divano «L'ultima volta che mi hai respinto ho riflettuto. Io tengo a te, tengo al tuo benessere: se questo periodo è duro e quello di cui hai bisogno è un solido appoggio a cui aggrapparti, che ti ascolti e che ti distragga, allora voglio esserlo anche se significa mettere da parte le mie esigenze». Ad Aiba non era mai risultato facile esprimere a parole i suoi sentimenti, a volte gli era stato più facile scriverli, altre dimostrarli con qualche gesto particolare. Fare quel discorso insomma gli costava parecchio. «L'hai fatto per me?» chiese incredula Kokoro
«Sì, e ci avevo visto giusto, perchè quando hai provato a forzare la mano tu stessa ti sei resa conto che non è quello che vuoi adesso»
«Non è che non ti voglio!» lo corresse subito «Ma ci tengo... ci tengo e non voglio legare un ricordo così importante a stati d'animo negativi come quelli che ho ultimamente»
«Quindi avevo capito bene e ho interpretato i tuoi sentimenti» sottolineò orgoglioso di se stesso «E' questa l'ironia: che io mi sia comportato così in buona fede, facendo tesoro di quello che abbiamo, e che tu l'abbia interpretato come un comportamento da menefreghista»
«Non volevo...» mormorò
«Ma l'hai fatto» le rispose con molta calma, mettendo il sacchetto dei dvd nello zaino «Mi avevi invitato stasera apposta?»
«Sì» ammise con vergogna. Aiba sospirò passandosi le mani tra i capelli, pensieroso, quindi prese lo zaino e se lo mise in spalla. «Io vado a casa»
«Sei arrabbiato?» domandò lei afflitta. Avrebbe voluto dirle di no, abbracciarla e rassicurarla, ma non lo fece. «Sì. Ti ho lasciato sul tavolino il DVD di Totoro e ti lascio anche la televisione: domani pomeriggio guarda il film con i bambini» le spiegò con pazienza
«Sì»
«Buonanotte» salutò infine prima di dirigersi silenziosamente verso la porta, mettersi le scarpe e uscire con la giacca in mano. Si sentiva un po' a disagio e a costo di sembrare un uomo in fuga non aspettò nemmeno di essersi vestito del tutto per andarsene dall'appartamento: se l'avesse vista piangere sarebbe sicuramente tornato indietro.
Alzò lo sguardo al cielo buio, la sera gettava ombre in tutti gli angoli e i lampioni lungo la strada illuminavano la via creando un sentiero di pozze di luce. Non era arrabbiato perchè era stato un malinteso, perchè una parte di colpa l'aveva anche lui e perchè Kokoro stessa non era completamente in sè in quei giorni. Ma lei doveva capire l'errore che aveva commesso e se lui l'avesse consolata non avrebbe funzionato, non avrebbe capito che a stare con lui doveva prima di tutto fidarsi, e solo dopo ascoltare le parole degli altri. Doveva realizzare che lei era la sua ragazza, non una donna carina e simpatica con cui passare del tempo per qualche mese: Aiba aveva passato mesi di dubbi quella primavera per arrivare a capire quanto voleva rendere importante quel rapporto, per capire che era pronto ad ammettere una persona in più nel suo cuore. Se Kokoro non l'avesse capito ci sarebbero stati altri malintesi e alla lunga lui sarebbe rimasto ferito. Avendo messo in gioco i propri sentimenti non voleva correre quel rischio. «Ah, maledizione... però ci mancava tanto cosììì» sbuffò. Se sentimentalmente era a posto, il suo fisico invece non era stato granchè felice degli sbalzi di libido di quella sera.

⎨Pronto?⎬domandò una voce sottile, dall'accento straniero
«Hang san? Sono Hanayaka Kokoro» le spiegò
⎨Ah, Hanayaka san. Buona sera⎬
«Erina san è impegnata? Mi aspettavo che al suo cellulare rispondesse lei» disse Kokoro
⎨Normalmente sì. Aspetta, vedo se può rispondere perchè non sta molto bene⎬ le spiegò prima di staccare il telefono dall'orecchio e muoversi per la casa. La sentì confabulare con una seconda voce, quella dell'amica.⎨Kokoro chan?⎬fece Erina dopo un minuto
«Eri chan? Che cos'hai?» le domandò allarmata, sentendo la sua voce molto più flebile del solito
⎨Niente... niente di grave. Mi è venuta la febbre⎬
⎨Trentotto!!⎬urlò la coinquilina da lontano
«Trentotto!? Ma da quanto stai così?»
⎨Veramente è tutta la settimana che sono un po' fiacca, ma solo oggi è arrivata la febbre⎬
«Allora non importa, torna sotto le coperte» le intimò Kokoro
⎨Sono sotto le coperte⎬ribattè la malata⎨Ying, poi chiudere la porta?⎬la sentì domandare. Rumori di sottofondo, il respiro lievemente più veloce del solito di Erina, poi silenzio. «Pronto?» domandò, non capendo se fosse caduta la linea
⎨Sì, ci sono⎬rispose quella. Aveva la voce improvvisamente rotta dal pianto. «Eri chan? Stai piangendo? Cos'è successo?»
⎨Ho fatto un casino⎬rispose con voce tremante. Un fruscio le rivelò che l'altra doveva essersi messa sotto le coperte per farsi sentire il meno possibile dalla coinquilina. «Anche io» ammise con un sospiro. Lei aveva smesso di piangere poco dopo che Aiba era uscito dal suo appartamento, mezz'ora prima, cercando così di tornare a comportarsi come si era imposta i giorni precedenti.⎨E' per questo che mi hai chiamato? Ti ascolto se vuoi⎬
«Se stai piangendo direi che anche tu hai bisogno di qualcuno che ti ascolti» le fece notare con un sospiro e un sorriso lieve che però Erina non poteva vedere. Le piaceva quella ragazza: oltre ad essere una delle poche persone che potevano sapere chi era il suo fidanzato, era anche l'unica che si trovava nella sua stessa situazione e con cui si poteva confidare.⎨Allora ci ascoltiamo a vicenda?⎬
«Sì» annuì, poi cominciarono a confidarsi.
C'era poco da concludere: avevano sbagliato, entrambe. Kokoro aveva sgridato duramente Erina, non approvava affatto il suo comportamento: per quanto anche lei avesse avuto molti dubbi su quanto convenisse concedersi dei sentimenti per un idol che difficilmente l'avrebbe ricambiata, non le sarebbe mai saltato in testa di tenersi aperta una seconda possibilità lasciando in bilico un altro uomo. Ma le era chiaro ormai che le sue opinioni non erano per forza uguali a quelle delle altre persone, per esempio non comprendeva come Aiba potesse andare a letto con donne che non amava quando per lei il binomio "sesso e amore" era inscindibile. A scusante dell'amica c'era il fatto che era stata intenzionata a parlare con il secondo spasimante e a chiudere la simil relazione che aveva con lui, semplicemente Sho aveva scoperto tutto troppo presto. Nel riportarle le dure parole di Sho scoppiò a piangere e Kokoro dovette farsi ripetere le frasi due volte perchè tra i singhiozzi alcune cose non le erano risultate chiare. "E' chiaro come Aiba e Sho siano amici da più di 10 anni: con due stili diversi, ma entrambi sono stati inflessibili, decisi e rigorosi nel loro comportamento" si ritrovò a riflettere lei "Forse è comprensibile se si pensa che nella vita che conducono non c'è certo molto spazio per i sentimenti personali, quindi una volta che si concedono di averne mettono in gioco molto più di quanto non ne mettiamo noi, persone normali". Le venne in mente la modella, Kurenaga Sumire, e si chiese se non avesse ragione lei a quel punto: era più logico che i ragazzi si cercassero fidanzate nel loro ambiente? Ma ancora una volta le risposta che si sentì di dare era "no". Kokoro era convinta che non ci fossero solo elementi negativi a loro sfavore ma che in entrambi i casi, ragazze famose o ragazze qualunque, ci fossero pro e contro.
Poi fu il suo turno e, con un po' di vergogna e a bassa voce, dovette raccontare ad Erina del suo incontro agli studi e dell'atteggiamento che era seguito da parte sua quella sera. La sua confidente era una brava amica e anche quella sera glielo dimostrò prendendola scherzosamente in giro per la sua audacia e riuscendo così a farla sentire meglio dopo quella confessione tanto difficile. Probabilmente da quel giorno in poi non avrebbe più provato vergogna nel raccontarle qualche dettaglio più intimo del rapporto che aveva con Aiba, sempre che un rapporto ci fosse ancora. ⎨Ha detto proprio così? Testuali parole?⎬domandava pensierosa
«Sì» confermò
⎨Allora non credo tu debba preoccuparti... o meglio! Hai sbagliato, ma l'hai fatto in buona fede e secondo me lui lo sa, altrimenti non ti avrebbe rivolto parole simili⎬
«Cosa vuoi dire?» chiese confusa
⎨Ma non capisci? Basta un po' di logica: lui ha detto che hai sbagliato a paragonare il vostro rapporto a quello che lui ha avuto con donne che non ama, giusto? Bene, da questo si deduce che se va a letto facilmente con donne che non ama, avrà più riguardi per quelle che invece ama. Con te si è trattenuto, no? E allora ti ama!⎬le spiegò con facilità, come se quel discorso fosse stato il più chiaro e semplice del mondo⎨Se fosse stato veramente arrabbiato e se pensasse di voler chiudere non ti avrebbe detto una cosa simile⎬
«Ma che... che modo complicato di dichiarare i propri sentimenti!» esclamò Kokoro senza parole. Quella rivelazione le stava ridando speranza e le stava alleviando la tristezza che in realtà le stritolava il cuore.⎨E' stato molto dolce invece⎬ribattè l'altra⎨Io penso ci sia rimasto male: ha fatto un grane sforzo in una direzione e tu hai pensato l'esatto opposto! Ma gli passerà, l'importante è che tu capisca cosa hai sbagliato: devi fidarti Kokoro chan, devi fidarti di lui prima di tutti gli altri. Anche prima dei ragazzi del gruppo, le parole che devono avere più importanza per te devono essere le sue. Questo rapporto richiede, dalla loro parte, una posta in gioco ben più alta della nostra⎬le spiegò, e lei sorrise notando che era proprio ciò che stava pensando poco prima⎨Non scommetterebbero tanto se non ci credessero seriamente, quindi ciò che Aiba ha puntato sulla vostra relazione dev'essere la tua certezza che ciò che dice sia la verità: non rischierebbe tanto per qualcosa a cui non tiene seriamente. Sò che normalmente sarebbe un grosso azzardo fidarsi tanto di qualcuno, ma devi ammettere che loro non rientrano nell'area del "normalmente"⎬concluse per poi concedersi un attacco di tosse. Kokoro attese che l'amica tornasse a respirare. «Hai ragione... ho ancora tanto da imparare»
⎨Avete tempo, e lui ti aiuterà. Esattamente come penso tu lo stia aiutando molto a tua volta⎬
«Io? Non credo... sto combinando solo una guaio dietro l'altro» sospirò lamentosa
⎨Non vuol dire. Se tu avessi un'idea complessiva della vita che fa Aiba chan ti renderesti conto che sei un elemento speciale. Sei una ragazza tranquilla Kokoro chan, odori di biscotti e trasmetti tranquillità a chiunque ti conosca. Anche se a lui piace il suo frenetico lavoro, non fatico a credere che possa amare alla stessa maniera la sua famiglia o te: siete un oasi di serenità, un riferimento per una vita normale; siete molto più stabili degli amici che possono andare e venire⎬si interruppe starnutendo e agitandosi sotto le coperte. Kokoro si rese conto in quel momento che la voce dell'amica, rispetto all'inizio, era ancora più debole e forse un po' insonnolita. «Eri chan, ti ringrazio. Ora dai ascolto tu a me: mettiamo giù, prendi delle medicine e riposati. Ne hai veramente bisogno» la ammonì prima di salutarla e chiudere la comunicazione.
Con un sospiro appoggiò la testa al materasso, stancamente. Mentre parlava al cellulare era rimasta tutto il tempo inginocchiata sul tatami con il braccio appoggiato al letto alla sua destra, reggendo il telefono e osservando il cielo scuro fuori dalla grande finestra della camera da letto. Dopo aver parlato con Erina si sentiva meglio: un po' perchè si era sfogata, un po' perchè quella ragazza sembrava capire alcuni atteggiamenti di Aiba meglio di lei. Probabilmente perchè erano scemi allo stesso modo, così aveva detto lui per giustificare quella mutua comprensione tra loro. Per quel che la riguardava dovevaapprendere ancora molte cose non solo di Masaki, ma anche del suo rapporto con lui. Per prima cosa, comunque, si sarebbe occupata di sistemare quel problema il prima possibile.


Sono a pezziiiii... non riesco a scrivere un commento dell'autrice decente. Sono troppo stanca T_T
Prossimo capitolo JxT + 3° spin off!

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Capitolo 40
*** 39. Plastic garden ***


Nella notte aveva piovuto. Quando era rientrato a casa, verso le due, veniva giù tanta acqua da desiderare una canoa più che un passaggio in taxi. Poi si era svegliato per le undici e il salotto era illuminato dal sole che passava attraverso le ampie finestre del salotto. Quando uscì di casa il cielo era terso, l'aria tiepida e pulita, tanto da far sembrare tutto più chiaro ai suoi occhi, ogni cosa sembrava avere un contorno più netto. Si vestì in fretta e chiamò un taxi. «Buongiorno Tooru san» salutò il guardiano alla portineria del palazzo, alzando un braccio per farsi notare prima di uscire dalle porte scorrevoli che portavano all'esterno
«Matsujun, buon giorno. Sta uscendo?» domandò questi alzando lo sguardo da ciò che stava facendo «Fai attenzione!»
«Sì» rispose prima che si richiudessero le porte. Salutare qualcuno gli dava una scintilla di allegria. salutare qualcuno che non era tenuto a salutare, chiaramente: con gli addetti ai lavori sul set o con i ragazzi non era la stessa cosa. «Buongiorno» salutò salendo sul taxi
«Buongiorno» rispose il guidatore girando la testa verso di lui
«Al Centro Medico Comprensivo di Mita, secondo chome. Grazie» disse accomodandosi sui sedili. Sarebbe stato un viaggio lungo.
Per le vie di Tokyo era evidente come la stagione stesse cambiando: gli studenti avevano cambiato dalle divise estive a quelle invernali, erano sparite le bandiere che segnalavano i banchetti di granite, le persone avevano quale foulard o sciarpa leggera al collo, gli alberi erano tutti più colorati e ogni cosa nei locali -tende, seggiole, scaffali, stand, tappeti- sembrava intonarsi. La gente passeggiava con più calma, non sentiva il bisogno di scappare al fresco dei negozi, ma non era nemmeno rallentata dall'afa e dalla fatica: tutti sembravano semplicemente più rilassati per strada. Jun sorrise leggermente quando la macchina passò di fianco ad un gruppo di giovani, probabilmente studenti universitari. "La seconda volta che incontrai Shiori era l'anno scorso,in questa esatta stagione" pensò appoggiando il mento alla mano "Aveva... cos'era? Un vestito forse... mi ricordo il maglioncino che indossava seduta alla fermata dell'autobus: sembrava la scena di un quadro impressionista" sorrise leggermente. Poter fare quel sorriso era la conquista più grande che avesse raggiunto. Erano molti anni che non lavorava su se stesso, sui suoi pensieri, sul suo carattere e sulle sue emozioni, perchè ormai era un uomo e a grandi linee era fatto così: prendere o lasciare; ma era anche vero che solo uno sciocco sarebbe rimasto cristallizzato nel proprio modo di essere e di sentire. Lui sciocco non lo era e sapeva che, proprio perchè era già uomo adulto, aveva punti di riferimento a cui far ritorno mentre plasmava una parte di sè e del suo cuore.
Ringraziò il tassista, pagò e scese. Quando alzò lo sguardo ad osservare la struttura dell'ospedale non potè fare a meno di spalancare la bocca e sistemarsi gli occhiali sul naso per guardare meglio l'edificio moderno color grigio chiaro e dai vetri splendenti. Erano un paio di mesi che non entrava in un ospedale e farlo non gli faceva tornare alla mente dei bei ricordi, quindi aveva sempre evitato anche solo di avvicinarsi. "Non ha senso continuare a scappare. Vero?" si disse facendo un respiro profondo ed oltrepassò l'ingresso arrivando fino alla sala dove si trovava l'accettazione. "Figuriamoci se la trovo qui dentro" si disse deglutendo a fatica: l'imponenza dell'edificio si rispecchiava anche nell'ampiezza degli spazi. Lungo una parete stavano quelli che sembravano gli sportelli di una banca, con il muretto in marmo e l'addetto seduto dietro davanti ad un computer. la differenza era che l'impiegato in quell'ambiente era sostituito da infermiere in divisa bianca e il pavimento aveva anche il percorso in gomma per guidare i non vedenti. Jun si avvicinò ad uno sportello, senza dover fare fila dato che c'era poca gente. «Buongiorno, in cosa posso esserle utile?» chiese gentilmente l'infermiere alla scrivania
«Buongiorno» salutò lui «Io non sono malato... sto cercando un'amica che lavora in questo ospedale, lei può aiutarmi a contattarla?»
«Vediamo cosa si può fare» rispose questo, spiazzato dalla richiesta «Nome e... sa anche il reparto?»
«Sì: Nomura Tomomi, cardiologia» rispose appoggiandosi al marmo del banco e mettendosi in attesa di qualche riscontro. L'infermiere si sistemò gli occhiali sul naso osservando lo schermo, quindi chiamò una linea interna con una combinazione di tasti e si mise a chiedere. Fortunatamente Tomomi era di turno e la trovarono subito. «Scusi, chi devo dire?» domandò il giovane infermiere alzando lo sguardo su di lui mentre parlava ancora nel ricevitore
«Matsumoto. Non è urgente, quindi se ha da fare ripasso più tardi. Mi scusi molto» specificò lasciandolo di nuovo parlare rapidamente al telefono, poi questi ringraziò, riattaccò e gli diede le indicazioni per raggiungere il reparto. Jun prese l'ascensore insieme ad uomo apparentemente sano, un gruppetto di infermiere e una coppia sana. Nessuno scese al suo stesso piano, il quinto, ma quando uscì nel corridoio ebbe l'impressione di essere fissato da tutti. "Sembro troppo giovane per soffrire di cuore?" si domandò storcendo il naso, quindi si guardò intorno. Anche lì nel corridoio principale c'era un banco accettazione. «Salve, prego da questa parte!» richiamò la sua attenzione l'infermiera che stava dietro di essa «E' passato all'ingresso a farsi dare i fogli o aveva una appuntamento?» chiese subito
«Mi scusi, non sono un paziente, sto cercando la caposala. Nomura» spiegò nuovamente
«Ah sì, ci hanno chiamato prima. Aspetti un secondo per favore. Haruya sensei!» richiamò la giovane placcando un medico in camice bianco che passava di lì con un plico di cartelle in mano «C'è una visita per Nomura Fuchou, sa se è libera?»
«Uhm, dovrebbe...» tentennò quello cercando di sbirciare il proprio orologio sotto le cartelle che doveva tenere a due mani «Dovrebbe andare in pausa tra poco. Chi devo dire?» chiese e l'infermiera guardò Jun
«Matsumoto» disse ancora inchinandosi verso il medico «Scusi l'incomodo»
«Niente. Aspetti un secondo» e continuo ad aspettare pazientemente, come tutti gli chiedevano, mentre il medico si allontanava rapidamente. Il corridoio principale era frequentato ma tranquillo. Arrivarono un paio di pazienti dall'ascensore e l'infermiera alla reception ebbe del lavoro da sbrigare, ma a parte loro e i medici o le infermiere non c'erano malati in quella sezione del reparto. Le finestre che davano verso l'esterno davano sul lato dell'ospedale che affacciava su una grande via cittadina, attraversata da un'autostrada sopraelevate parecchio trafficata. A lato della strada, sotto di lui, alcune macchine facevano la fila per entrare nel parcheggio sotterraneo dell'ospedale. Nel guardarle i doppi vetri non facevano sentire alcun rumore del traffico esterno, poteva sentire solo il sommesso chiacchiericcio dei pazienti alla reception, il ronzare dei computer usati e il fruscio delle porte, scorrevoli e non, che si aprivano dando sul corridoio. Intrecciò tra loro le dita, dietro la schiena, e si fissò ad osservare l'andirivieni delle auto sul ponte dell'autostrada. "E' la cosa giusta?" si domandò per l'ennesima volta "Non ho altri a chi rivolgermi per un consulto del genere e poi è stata lei a dirmi di dimenticare tutto, quindi non c'è niente di male: è un'amica... o magari è più una conoscente?" si domandò respirando profondamente mentre seguiva una multipla color giallo limone "Forse lo sarebbe. Ma certi discorsi non si fanno con i conoscenti, mentre noi li abbiamo fatti. Quindi è un'amica? No, i ragazzi sono miei amici e con loro non ho parlato di queste cose. Già... con loro non ho parlato per niente di Shiori. Saranno arrabbiati". «La tua è una mossa per aumentare le pazienti del mio reparto?» sentì chiedere ad alta voce. Jun si riprese dai suoi pensieri e si voltò. Tomomi era a pochi passi da lui. Era la prima volta che la vedeva con il camice addosso e non potè fare a meno di squadrarla per qualche secondo. Aveva lo stesso viso stanco di quando si erano incontrati, settimane prima, ma sembrava più allegra. Teneva i capelli lisci stetti in una semplice coda e anche quel giorno non portava gioielli nè trucco. Jun faceva sempre caso a com'erano vestite le persone e, inconsapevolmente, faceva caso alle donne quando erano senza trucco perchè di quelle che lui incontrava di solito, pochissime erano senza. Persino le stiliste lo mettevano, le make-up artist probabilmente non se lo toglievano nemmeno la notte e le attrici... forse erano come le make-up artist! «Buongiorno Nomura san» la salutò con un inchino e un sorriso. Quel giorno era proprio felice di salutare le persone. «Buongiorno a te. E' successo qualcosa? L'ultima cosa che avrei mai immaginato era che un giorno saresti venuto fin qui» spiegò con aria sorpresa. Non sorrideva e il suo tono era leggermente freddo. «Ti ho disturbato?» chiese Jun, improvvisamente preoccupato di aver fatto la cosa sbagliata
«Ho finito il mio turno e dovrei andare in un posto» rispose lei «Ma dovrei anche pranzare. Credi che possiamo parlarne mentre mangio un panino?»
«Se ciò che hai da fare è urgente possiamo rimandate» scosse il capo Jun, improvvisamente deluso, aveva sperato di poter parlare subito
«Urgente dici? No, non troppo» spiegò stringendosi nelle spalle «Erina è a casa con la febbre alta e devo portarle delle medicine, ma può aspettare il mio pranzo»
«E se peggiorasse?»
«Di certo non muore, gli stupidi sono duri a morire. Se così non fosse avremmo un mondo migliore» spiegò storcendo il naso «Allora, ne parliamo a pranzo?» insistè
«Se conosci un posto dove fanno un buon caffè, volentieri» le rispose con un mezzo sorriso. Era uno strano invito a pranzo, ma in quanto tale dimostrava che non era arrabbiata con lui nonostante quel tono distaccato e i modi di fare un po' troppo freddi rispetto a quelli che aveva sempre adottato con lui. La donna gli chiese di aspettare ancora qualche minuto e poi sparì dietro ad una delle tante porte del corridoio. Quando ne uscì si era tolta il camice, aveva cambiato le scarpe togliendo quelle da interni e mettendone un paio con il tacco e aveva preso con sè la borsa. «Nejou san, vado in pausa. Ho lasciato tutto ad Haruya sensei» disse al bancone davanti all'ascensore. L'infermiera annuì e la salutò per poi rivolgersi anche a Jun con un sorriso molto più smagliante di quello che aveva rivolto alla sua superiore. Mentre scendevano erano soli nell'abitacolo «Ho fatto qualcosa di sbagliato?» domandò senza mezzi termini, tenendo le mani in tasca
«No» gli rispose subito Tomomi, guardandolo con gli occhi sgranati, poi sembrò volersi correggere e tornò a guardare davanti a sè «Voglio dire: no» aggiunse ancora
«Va bene: no» ripetè piegando le labbra in un mezzo sorriso divertito. La donna si tolse gli occhiali e chiuse gli occhi stropicciandoseli «Scusami, non volevo sembrarti arrabbiata» rispose riaprendo le palpebre e asciugandosi le lacrime dovute allo sfregamento «Ero un po' nel panico» ammise infine
«Per cosa?» domandò sorpreso
«Mentre finisco il mio giro mi dicono che c'è un "Matsumoto" che mi cerca. hai idea di quanti Matsumoto conosco? Ho cominciato a vagliare tutte le ipotesi e, senza offesa, l'idea che tu venissi qui è talmente assurda che non rientravi nella lista. Poi ti ho visto e ho cominciato a farmi le paranoie, non sapevo bene come comportarmi in pubblico con te»
«Detta così suona sbagliata» ridacchiò leggermente «Ci siamo sempre incontrati in pubblico, o te lo sei dimenticato?»
«Non è quello che intendevo» ribattè piccata per poi ammutolirsi quando arrivarono al piano terra. Non disse nulla lungo tutto il corridoio verso l'uscita e una volta fuori gli indicò la direzione e gli chiese di seguirla. Camminava a passo rapido e schiena dritta lungo il marciapiede e continuò ad avanzare silenziosa e compita fin quando non girarono un angolo e furono fuori dalla vista dell'ospedale. «Intendi pranzare con un caffè?» domandò finalmente, slegando la coda di cavallo
«Veramente la mia sarà una colazione» spiegò
«Ora che mi ci fai pensare... credo di non averla fatta nemmeno io» riflettè la donna
«Ho l'impressione che questo non significhi che ti sei svegliata da poco come me»
«No, infatti. Significa che non ho nemmeno dormito» spiegò con un sorriso divertito, scrollando le spalle «Mi piace l'idea della colazione, però ho fame quindi io prendo una cheesecake» sentenziò prima di fermarsi e spingere la porta di un locale per entrare. Jun sorrise e la seguì all'interno: il posto aveva una sala abbastanza ampia, ma non era piena nemmeno a metà, probabilmente perchè ancora non era ora di pranzo. Il pavimento era in legno e scricchiolava leggermente ad ogni passo, ma erano dei listelli tanto spessi che i passi risuonavano a malapena. Un grazioso soppalco, con scala e ringhiera in ferro battutto, aumentava il numero di posti a sedere presenti nel locale. "Non credo che questo sia il posto dove viene a mangiare tutti i giorni" riflettè trovando il posto troppo bello perchè dei lavoratori indaffarati andassero lì a trangugiare un panino in pochi nanosecondi "Che l'abbia scelto per me?" si chiese avvicinandosi alla donna: le indicò il soppalco e le chiese di poter scegliere lui il posto mentre lei dava le ordinazioni. Scelse un tavolo vicino alla vetrata per poter guardare fuori e si sedette attendendo che Tomomi tornasse. «Cappuccino al cacao, va bene?» domandò lei sedendosi davanti a lui
«Va bene. Tu cos'hai preso?»
«Un Royal Milk Tea e una cheesecake al limone» rispose, dopodichè nessuno aggiunse altro. Attesero in silenzio l'arrivo delle tazze e Jun, a braccia incrociate, comodo sulla sedia, guardò in basso, verso le persone che camminavano sul marciapiede. L'atmosfera silenziosa e tranquilla fu interrotta dopo alcuni minuti dalla cameriera che, come da rito, si scusò per l'attesa e svuotò il vassoio. Il ragazzo prese la tazza tra le mani e inspirò profondamente l'odore di caffè e cacao.
«Sentiamo, di cosa hai bisogno?» domandò Tomomi affondando la forchetta nella cheesecake. Jun sentì i muscoli del collo contrarglisi "Ci siamo..." si disse cercando dentro di sè il coraggio di cominciare il discorso per il quale era andato fino a lì.

«Cosa ti fa pensare che sia qui per qualcosa di particolare?» chiese Jun guardandola, tentennando appena davanti alla sua domanda diretta
«Sono poco più che una conoscente per te» ammise Tomomi a malincuore «Quindi non sei certo qui per una visita di piacere ad un'amica. Non lavoriamo insieme, quindi non è per qualche progetto che mi hai cercato, e non sei nemmeno un mio paziente perciò non abbiamo nessuna terapia da discutere» finì di spiegare
«Non ti si può nascondere nulla?» domandò lui con un sorrisino appena accennato sulle labbra
«Solo perchè non volevi nascondermi niente» rispose facendo spallucce e assaggiando la torta «Quindi ora, invece di farmi altre domande inutili, puoi dirmi tutto» gli disse fingendo indifferenza. Osservò il liquido chiaro e fumante nella tazza di ceramica e cercò di concentrarsi sulla luce del soffitto riflessa sulla superficie per non incantarsi a fissare il bel ragazzo davanti come già le era capitato mentre erano rimasti in silenzio ad aspettare la cameriera. "Imbecille" si insultò mentalmente concentrandosi sulla bevanda come se ne dipendesse la sua vita "Sembriamo una coppietta che si veste in maniera abbinata... e non dovrei nemmeno pensarlo" si disse mordendosi il labbro inferiore. Non aveva potuto fare a meno di notare che Jun indossava un paio di jeans blu scuro, come lei, e una giacca verde militare con le maniche rimboccate sopra una normalissima maglietta nera senza scritte. Tomomi aveva addosso una polo verde mela, non era la stessa tonalità di Jun, ma comunque verde abbastanza per sembrare che si fossero vestiti apposta in maniera simile. La ciliegina sulla torta erano gli occhiali. A parte le prime due volte in cui si erano incontrati, entrambi vestiti per l'occasione, l'aveva sempre visto con gli occhiali e anche se la maggior parte della gente stava male con montature vistose a lui sembravano donare: era spessa e nera, molto semplice, ma particolarmente visibile sul suo viso chiaro e perfetto. Lei, che sopportava poco le lenti a contatto, passava la maggior parte della sua vita con gli occhiali addosso, ma se per andare in giro ne indossava sempre un paio dalla montatura sottile, costosi e di marca, al lavoro doveva per forza averne un paio buono e non prezioso. Così avevano entrambi lo stesso tipo d'occhiali.
«In realtà ciò che vorrei da te è qualcosa che riguarda il lavoro, ma il tuo» rispose infine Jun dopo qualche secondo di silenziosa riflessione. Frugò nel marsupio che aveva appeso alla sedia quando si era seduto e ne tirò fuori alcuni fogli accuratamente piegati in quattro «Avrei bisogno che guardassi questi e che me li spiegassi. Io non riesco a capirli fino infondo» spiegò stendendoli sul tavolo e girandoli dalla sua parte. Erano dei referti medici di un ospedale che non era il suo, ma riconosceva ogni componente delle schede dato che provenivano da un reparto di cardiologia. «Cos'è che non capisci, Matsumoto san?» domandò guardandolo in viso. La osservava intensamente e si era raddrizzato sulla sedia, come se fosse stato improvvisamente teso o nervoso. «Non lo so... non so, alcune parole sono difficili... intendo, difficili da intendere per me, ma non penso siano i dettagli della malattia quelli che voglio sapere» ammise confuso, scuotendo il capo. Tomomi prese un sorso del milk tea e tornò a leggere i fogli. La prima cosa che aveva fatto era stato leggere il nome del paziente, per abitudine più che per farsi i fatti della persona a cui appartenevano quelle analisi. Il nome scritto in kana diceva "Kumagawa Shiori" e lei sapeva perfettamente chi fosse, così, davanti alla confusione del ragazzo, cominciò a capire in che situazione si trovava. «Perchè lo fai?» gli chiese prendendo un altro pezzetto di torta con la forchetta
«Perchè voglio sapere» le rispose mettendo le mani intorno alla sua tazza, piegandosi in avanti
«Ma non sai nemmeno cosa» gli fece notare, scuotendo il capo «Perchè vuoi sapere? Pensi ti aiuterà?»
«Spero di sì» ammise annuendo e guardando i fogli «Circa una settimana fa ho capito che ho passato mesi a mentire a me stesso. Mi negavo degli svaghi, mi chiudevo in casa e mi comportavo come una persona depressa. Magari pensavo che così si atteggiasse chi soffriva: "Ci si deprime e ci si isola" mi dicevo "Così facendo si dovrebbe vivere il proprio dolore". La verità è che... beh, mi stavo solo atteggiando come qualcuno che soffre, non stavo soffrendo realmente» spiegò stringendosi nelle spalle «Sono stato stupido, in realtà stavo facendo l'esatto opposto: con quell'atteggiamento non affrontavo il problema, fingevo solamente di essere qualcuno che lo stava facendo e intanto fuggivo davanti alle cose importanti, non affrontavo fino infondo il reale significato di questa perdita. Forse è per questo che dormendo non la ricordavo?» domandò, più a se stesso che a lei
«Fingevi quindi» fece semplicemente Tomomi girando un foglio per leggere dietro
«Tu l'avevi capito vero?» sospirò «Devi aver pensato veramente che ero uno stupido»
«Mi sopravvaluti sai?» gli disse alzando lo sguardo per guardarlo in faccia «Ognuno vive il dolore a modo proprio e c'è chi davvero lo vive nel modo in cui hai descritto, altrimenti non avremmo questa idea, giusto? Ma ci sono altri modi per affrontarlo... o per sfuggirne, ognuno di noi è diverso e, per quanto tu possa avere un alta stima di me, non è in mio potere capire sempre chi fugge e chi combatte» abbassò leggermente il capo cercando di entrare nel campo visivo di Jun che ancora osservava i referti sul tavolo «Nè ho la presunzione di giudicare "stupido" o "intelligente" un comportamento piuttosto che un altro davanti alla morte di una persona cara» sottolineò con voce ferma «Davanti al dolore non è sciocco nè urlare e disperarsi davanti alla tragica notizia, nè sorridere e ringraziare i medici dei loro sforzi. Non lo è nemmeno arrabbiarsi e dare a noi la colpa. Matsumoto san, il dolore non è mai stupido» concluse per poi risistemare i fogli che aveva ricevuto senza aggiungere nulla. "Così è questo che ha deciso di fare?" pensò passando la mano aperta sulla carta spiegazzata. Quante volte aveva aperto e chiuso quelle analisi? "Affrontare i suoi ricordi, il significato che ha avuto per lui questa donna, quello che continua ad avere... ha deciso di andare avanti?" si domandò tornando a guardare quegli occhi scuri che non avevano mai smesso di fissarla da quando aveva cercato di attirare la sua attenzione. Non distolse lo sguardo e si lasciò inghiottire da quelle due profondità color del cioccolato sentendo una stretta al cuore: anche se gli aveva detto di dimenticarsi della sua dichiarazione, lei non ci sarebbe mai riuscita perchè sapeva di non essersi dichiarata ad un bell'uomo, ma ad una bella persona, e le belle persone sono eterne e rimangono tali anche quando l'aspetto esteriore sfiorisce. «Te lo chiedo ancora: perchè lo fai?» domandò per riscuotersi da quel lungo momento passato a fissarsi
«Voglio portare a termine tutto ciò che mi sembra di aver lasciato in sospeso in questi mesi di fuga» le rispose con la sicurezza che qualche minuto prima non aveva avuto
«E cos'è che non capisci per cui hai bisogno di me?» chiese una seconda volta. A quel punto la fierezza con cui la fissava si incrinò e Jun prese un sorso dalla sua tazza. Forse si sbagliava, ma le mani sembravano tremargli leggermente. «Matsumoto san, non ti giudicherò se è questo che ti preoccupa»
«Nemmeno se risultassi un assassino?» domandò con un filo di voce il ragazzo
«E' questo che vuoi sapere? Se sei stato tu?» e Jun annuì «Non mi piacciono gli indovinelli, se vuoi qualcosa chiedimelo chiaramente»
«Voglio sapere perchè è morta» rispose infine tornando lentamente a guardarla «Voglio sapere perchè è successo quel giorno. Perchè non prima? Perchè non dopo?». Tomomi gli sorrise quasi divertita «Cosa vuoi che ti dica? Che non è stata colpa tua?» e il ragazzo si fece un po' indietro sulla sedia «Matsumoto san, ci sono cose che, anche se le desideriamo fortemente, non si avverano mai: una persona affetta da una malattia incurabile può desiderare di vivere con tutte le sue forze, ma non guarirà... il nostro corpo è un meccanismo molto sofisticato e se qualcosa di inarrestabile minaccia di guastarlo non c'è forza di volontà o speranza che possa ridarci la salute» spiegò con pazienza «Certo, lo stato psicofisico che abbiamo può influire in parte sul funzionamento del nostro organismo, ma non può sconfiggere una malattia incurabile»
«Non basta dirmi che fosse incurabile per farmi sentire sollevato» ribattè lui in tono aspro
«Credi di aver accelerato la malattia? Di aver in qualche modo alterato il corso del suo malessere abbreviando il tempo che avrebbe altrimenti vissuto?» chiese ancora, ma Jun le diede alcuna risposta, era tornato a fissare la propria tazza. «Questo non è scritto sui fogli» gli spiegò prendendoli in mano e mettendoglieli sotto il naso «Non posso dirtelo e non potrà mai dirtelo nemmeno il medico che l'ha curata» disse continuando a tenere i fogli davanti a lui che non si decideva a prenderli «Matsumoto san, siamo medici, non prevediamo il futuro: non credo si sapesse quando tempo avesse ancora e...»
«Sì, c'era una stima» la corresse prendendola per il polso e togliendosi i fogli da davanti al viso. Tomomi saltò spaventata sulla sedia a quella presa improvvisa e decisa. «Una stima?» domandò spalancando gli occhi «Ma una stima non è una data, è un'ipotesi. Le ipotesi non sono certezze: niente dice che tu abbia fatto sforzare la ragazza al punto da accelerare la sua morte» gli spiegò alzando leggermente la voce e cercando di liberarsi della sua presa, senza successo «Lasciami per favore» si decise a chiedere
«Leggi quei fogli... ti prego. Voglio sapere la verità» le chiese senza liberarle il polso, con voce ferma
«La risposta alla tua domanda non è su queste analisi»
«E dove?»
«Da nessuna parte. Matsumoto san, senza un'idea precisa di quanto le rimanesse non è logico domandarsi se ha vissuto di più o di meno, te ne rendi conto? Niente può dirti che tu hai stressato il suo fisico tanto da accelerare la sua fine» gli disse e la presa sul suo polso divenne più leggera. L'espressione che Jun aveva in quel momento era la stessa che vedeva sui visi di tante persone in ospedale, quando si rendevano conto che la medicina non poteva spiegare tutto o quando si rendevano conto che le certezze di cui avevano bisogno non potevano esistere. Tomomi inspirò profondamente e mise la mano libera su quella del ragazzo che le teneva il braccio «Allo stesso tempo però niente nega che potresti aver allungato la sua vita con la felicità che le avrai sicuramente donato» gli spiegò infine con un sorriso leggero. A quel punto Jun trattenne il fiato e la scrutò in viso, come per cercare la menzogna in ciò che gli aveva appena detto. «Potrei?» chiese piano
«C'è questa possibilità» annuì scivolando via dalla sua presa, ormai non più così forte, e lasciandogli i fogli dalla sua parte del tavolo. Anche se gli aveva sorriso, per un attimo si era spaventata: aveva appena avuto uno scorcio dell'insicurezza e della fragilità che il ragazzo aveva sempre nascosto. «Scusa» farfugliò lui passandosi le mani tra i capelli e appoggiandosi al tavolino con un sospiro quando vide che Tomomi si stava massaggiando il polso «Non volevo farti male»
«Sto bene» annuì mestamente «Avere coraggio non è mai facile». Rimasero in silenzio a lungo mentre finivano entrambi quello che avevano sul tavolo. Jun sembrava avere molto su cui riflettere e Tomomi lo lasciò stare finchè non si alzò e le propose di tornare indietro. Volle offrire lui per il disturbo e la riaccompagnò verso l'ospedale. «Scusa il disturbo» disse con un inchino, quando si fermarono davanti alle porte della grande entrata dell'edificio
«Non importa, mi piace molto la cheesecake di quel posto» rispose stringendosi nelle spalle e il ragazzo la osservò con un sorriso pieno di gratitudine
«Anche il cappuccino non era male» annuì. Si inchinarono ancora poi Tomomi non resistette a chiedere «Perchè sei venuto da me?»
«Perchè?» ripetè lui fissandola «E' chiaro perchè, no?»
«E' chiaro sì. E' chiaro anche che ti ho dato una risposta che non era scritta su quei fogli» gli spiegò incrociando le braccia «Lo sapevi da te che era insensato colpevolizzarti»
«Non ti si può nascondere proprio nulla eh?» domandò con una risata divertita «Forse avevo solo bisogno di sentirmelo dire da qualcun altro. Auto assolversi non è rincuorante»
«Ma non avevi bisogno di me: chiunque dei tuoi amici ti avrebbe detto questo, anche senza saper leggere quelle cartelle» insistette «Quindi perchè io?». Jun mise le mani in tasca e strinse le spalle mentre un venticello fresco gli smuoveva i capelli «Sei l'unica con cui ho parlato di Shiori. Non ho amici con cui ho condiviso molto di questa storia» spiegò mestamente «Per questo a te sembra strano che io sia venuto da te. Non siamo amici, non siamo colleghi, non sono un tuo paziente: hai detto così, ma se agli amici non parlo di questo argomento come potrei parlarne ad una semplice conoscente?»
«Forse perchè è più facile parlarne con chi ti conosce da poco» rispose stringendosi nelle spalle
«Cosa rende "amico" secondo te? Il tempo passato insieme o ciò che si condivide?» le chiese infine, con una semplicità e un sorriso disarmanti. Tomomi trattenne il fiato e lo guardò colpita "Significa che siamo amici?" si domandò. «Questo atteggiamento è molto indelicato da parte mia, perdonami» aggiunse subito dopo Jun, chinando il capo. La donna sentì il cuore fare un tuffo e storse le labbra, infastidita e punta sul vivo «Non dovresti nemmeno pensarlo. Non ti avevo chiesto di dimenticare quel che ti avevo detto?» lo accusò aggrottando le sopracciglia: era vero, sapendo i suoi sentimenti e avendola rifiutata non era delicato rivolgerle belle parole come quelle, ma gli aveva espressamente chiedo di dimenticarsi della sua dichiarazione quindi non avrebbe dovuto scusarsi. «Perdonami» ripetè sempre a testa bassa «Ma non ci riesco. Non penso di riuscire ad ignorare i sentimenti delle persone: quello che proviamo non è sempre importante?»
«Sì ma...» balbettò, presa in contropiede da quella domanda. "Perchè a volte è lui quello da consolare e io quella sicura, ma altre sono io ad essere quella da rassicurare e lui a dire frasi tanto belle?" pensò con una punta di frustrazione. «Ciò che provo io è importante quanto ciò che provi tu, non è corretto dimenticare l'uno per l'altro» scosse il capo Jun «So che mi hai detto di non pensarci perchè eri preoccupata per me, e te ne sono grato, ma lascia che di me stesso mi preoccupi io» le sorrise, un po' più sereno rispetto a poco prima. Tomomi annuì, leggermente imbarazzata "Significa che continuerà a tenere conto del fatto che mi piace?" si domandò "Se mi illudo che lo faccia perchè un giorno potrebbe ritrattare la sua risposta sarei una stupida". Senza aggiungere nulla entrambi si inchinarono per salutarsi e andare ognuno verso i propri doveri: lei aveva una stupida da curare e non poteva fare a meno di chiedersi, vedendo il proprio sorriso speranzoso riflesso sul vetro delle porte d'entrata, se le cure di un'altra stupida come lei fossero efficaci.


Ringrazio il nuovo singolo dei Tohoshinki e anche "Lo Schiaccianoci" per avermi fatto da colonna sonora a questo capitolo.
Stranamente non è stato facilissimo, nemmeno ora so se sono pienamente soddisfatta, ma il tema trattato continua ad essere qualcosa di complesso per me quindi trovare il modo per raccontare senza scendere troppo nei particolari non è facile. Nonostante questo comunque, ci sono un paio di frasi scritte qui che mi sono piaciute... rileggerò questo capitolo tra qualche settimana e mi chiederò se sia farina del mio sacco. Alla me stessa del futuro: si è roba tua, pensa un po'! (→sproloqui casuali)

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Capitolo 41
*** 40. Sorry, for intruding a Silent Heart ***


Erina guardava il soffitto con gli occhi socchiusi. La testa continuava a farle male almeno su metà del cranio ed era difficile dire se la parte più dolorante fosse frontalmente o appena dietro l'orecchio, a scanso di equivoci spesso teneva le mani su entrambe le parti. Non che servisse a qualcosa, ma dava l'illusione di riceverne un minimo di sollievo. Da qualche ora, dopo pranzo, guardava la lampada che pendeva dal soffitto della camera e, se la fissava a lungo, aveva l'illusione che oscillasse, ma se poi sbatteva gli occhi le sembrava nuovamente immobile. Erano quasi le quattro e Ying aveva chiesto un giorno di riposo dal lavoro per poterla assistere dopo che lei la sera prima era tornata a casa con una pessima cera e aveva passato la notte in bagno a contemplare le acque dello scarico della tazza nella toilette. "A tanto arrivo a scomodarla?" pensò. In realtà era difficile riflettere, durante la notte si era resa conto che nella sua mente i pensieri si accavallano gli uni agli altri a velocità impressionante, nemmeno era certa di poter riflettere su una sola cosa con calma perchè sembrava esserci troppo disordine nella propria testa. Con un respiro profondo tentò di calmare quella confusione, probabilmente provocata dal dolore, ma senza grandi risultati. Tutto quello che aveva scoperto di poter fare per seguire un solo filo di pensieri era parlare a voce alta: se lo faceva aveva ancora un terribile traffico nella mente, ma la propria voce l'aiutava e seguire con più consapevolezza un solo discorso. «Dobbiamo parlare» mormorò tra sè a bassa voce, perchè se avesse alzato il tono avrebbe dato l'idea di una che delira per la febbre e voleva tentare di salvare quell'ultimo briciolo di dignità che le rimaneva, se non era andato anche lui nello scarico insieme a tutta la bile che aveva lasciato il suo corpo quella notte. «Anche se è una persona riservata non sarebbe giusto tenerla a casa senza che sappia cos'è successo. Sì, deve sapere» deglutì e si sentì la gola riarsa
«Sei inquietante» disse Ying comparendo sulla soglia della porta a scorrimento della stanza «So che sei ancora in questa realtà Eri, allora perchè bofonchi come una pazza? Sembra l'inizio di un film splatter»
«Perchè se non lo dico non riesco a seguirlo» rispose e anche se a quel modo non aveva spiegato nulla, l'altra annuì e andò a sedersi a gambe incrociate di fianco al futon che era stato steso il più vicino possibile alla porta che dava sul corridoio oltre il quale stava il bagno. «Ti ho fatto un earl grey, ti va?» domandò appoggiando di fianco al cuscino due tazze fumanti
«Se non esistessi ti inventerei» fu la risposta di Erina che si girò su un fianco, guardò il vapore alzarsi e nascose la faccia nel cuscino «Anzi no, ti costruirei, perchè meglio di te c'è solo 3C1P8»
«C-3PO» la corresse la cinese «E lui era stupido. Io non sono stupida»
«Hai ragione. Allora sono io quello... lui sapeva anche tante lingue. Tu sei l'altro... quello diligente»
«R2-D2» specificò ancora «Però il te lo faceva C-3PO»
«E allora deciditi insomma!» esclamò Erina con un sospiro, rimettendosi supina mentre la cinese rideva sommessamente. «Ora scotta, aspetta un po' e potrai berlo» le disse prendendo la propria tazza tra le dita e soffiandoci dentro
«Soffi anche sul mio» si lagnò la rossa arricciando il labbro
«Siii» rispose la coinquilina con pazienza. Per un po' rimasero in silenzio e l'unico rumore era quello della gente che passava nella strada sotto la finestra e il respiro di Ying nelle tazze. La vita in quell'appartamento era così, tranquilla. Conoscendo Erina non si sarebbe mai detto, ma per quanto fosse una ragazza attiva, pasticciona ed esagitata, a volte, era anche una che sapeva rispettare gli altri, e rispettare Ying significava prendere tutto con più calma. Non si poteva dire che cambiasse se stessa per adattarsi alla propria coinquilina, ma più che quest'ultima favorisse la sua parte più tranquilla e riflessiva, cosa di cui aveva bisogno di tanto in tanto. In cambio, era stata sempre Erina a spingere la cinese verso qualche scelta azzardata: un colloquio di lavoro, un progetto impegnativo, nel gioco di squadra sul campo, a dire la propria quando magari sarebbe stata semplicemente zitta e avrebbe accettato le decisioni altrui anche se non le andavano proprio a genio. Nonostante questa strana opposizione c'era anche qualcosa che le accomunava e che fin da subito le aveva legate: entrambe erano diverse. A Ying bastava parlare perchè le persone si rendessero conto che non era giapponese mentre per Erina era subito evidente, nonostante nei modi e nella parlata fosse esattamente come tutti gli abitanti di quel paese. Erano diverse e per questo c'era un senso di unità che, forse inconsciamente, le legava: senso di estraneità, esperienze spiacevoli, sostegno tra chi capiva quel tipo di dolore. Condividevano qualcosa che la rossa non avrebbe avuto mai con nessun altro, nemmeno con Tomomi che pure poteva quasi essere classificata come la sua migliore amica. Eppure, nonostante tutto questo, nonostante che Ying fosse l'amica più vecchia che avesse, la rossa non l'aveva mai trattata come la sua confidente e la stessa cosa aveva fatto l'altra. C'erano altre esperienze non raccontate, altri problemi non confessati, ma vivendo sotto lo stesso tetto era giusto così -si era detta Erina- perchè ognuna aveva diritto al suo spazio personale, ad un po' di privacy, al diritto di non dire qualcosa. Qualcosa che poi sarebbe trasparito dagli atteggiamenti e dall'umore una volta in casa, ma su cui si aveva la libertà di non dire nulla. Giusto o no che fosse quell'equilibrio tra loro era sempre andato bene. Quella in cui si trovava era però una situazione in cui Erina aveva sì la libertà di rimanere in silenzio, ma non sarebbe stato giusto: un conto era avere il broncio qualche giorno e non dire perchè, un altro era vomitare tutta la notte ed aver perso l'autosufficienza al punto da costringere l'altra a non andare avanti con la propria vita. Quella volta Ying meritava una spiegazione. «Sei riuscita a dormire stanotte?» domandò spostando gli occhi dal soffitto al viso della cinese
«Tu che ne dici?» chiese in risposta lei, sollevando entrambe le sopracciglia da sopra la tazza fumante
«Scusa»
«Dubito sia tu a doverti scusare con me» fece scuotendo il capo
«E chi?» domandò aggrottando le sopracciglia
«Credo che tu lo sappia meglio di me» rispose, ed Erina chiuse le palpebre. Ying era peggio di Tomomi: in confronto parlava meno e il novantanove per cento delle volte era una frase che non diceva niente, ma allo stesso tempo era qualcosa che diceva tutto ed era anche giusta. «Allora sono due le persone da incolpare» borbottò tirandosi la coperta fino al mento
«Addirittura? Chi? Sakurai Sho e...» fece alzando gli occhi per guardare un poster appeso al muro «Mmmh... Ninomiya Waye*»
«Kazunari» la corresse, ridacchiando a fatica per poi mettersi a tossire «Non farmi ridere!» sbottò
«Ma non l'ho fatto apposta» si difese la cinese
«No comunque, non lui. Nessuno di loro. E' già una miracolo divino conoscerne un paio, figurati quanto sarebbe utopico piacere a due di loro!» le spiegò cercando di mettersi seduta. Ying mise la propria tazza a terra e si affrettò ad aiutarla tenendole una mano sulla schiena e una sul braccio per aiutarla ad alzarsi. «Ti ricordi Fujimiya Koji?»
«Oh sì, Fujisan**» annuì con una smorfia «Quell'orribile cornice che ti ha regalato è rimasta vuota sulla mia scrivania. Credo abbia già un bello strato di polvere: fammi un favore, quando stai meglio prendila e buttala. Non ha altra utilità oltre all'urtarmi»
«Ok, ha un pessimo gusto estetico, ma...»
«E le spalle piatte» aggiunse la cinese «E' il Monte Fuji con uno sbuffo di fumo a forma di testa»
«Grazie Ying, l'ho sempre saputo che non ti piaceva» borbottò offesa Erina, incrociando le braccia e ondeggiando leggermente «Preferiresti Sho?»
«Eh?» a quel punto la cinese la guardò sorpresa «Che scelta è? Fujisan è un tuo collega, una persona normale che vedi sempre. "Faccia da poster" è... un poster» rispose infine scrollando le spalle. La rossa girò la testa a guardare la fotografia dei cinque Arashi appesa al muro della camera. Ce n'era una più piccola di Aiba chan, da solo, e negli ultimi mesi ne aveva aggiunta una di Sho: sciocco, ma vero. «E se non lo fosse?» chiese piano, appoggiando le mani al materasso, per avere un po' di equilibrio «Se avessi voluto qualcosa di più da lui?» farfugliò con le lacrime che tornavano ad inumidirle gli occhi. La testa riprese a pulsare e il naso a tapparsi per il pianto. «Cosa?» fece la coinquilina, che non aveva sentito
«Gli piaccio, Ying. Ha detto così. "Da sempre" ha detto» balbettò passandosi il dorso delle mani sulle guance «Io penso... penso che stessimo insieme»
«Te l'ha chiesto?» domandò la cinese piegandosi verso di lei
«No, ma... ho sempre odiato questi atteggiamenti giapponesi... cose che non dici, ma che sono così anche senza che si debba dichiarare ad alta voce... però credo che questa fosse la mia "cosa non detta". Stavamo insieme, anche se non ci siamo accordati a parole»
«Tu non credi a queste cose così vaghe e sai anche perchè: perchè quando la situazione precipita vuoi delle certezze» scosse il capo «Se fossi convinta della tua posizione diresti "ma non mi ha ancora lasciato". Invece non sai nemmeno se siete mai stati insieme. Tu vuoi essere sicura Eri»
«E sta volta invece no!» esclamò alzando la voce «Mi andava bene così, capito!?» sbottò rimettendosi stesa e dandole le spalle. Rimasero ancora in silenzio, finchè non fu Ying a parlare. «Gli piacevi sul serio?» domandò con incertezza nella voce
«Sì. Questo l'ha detto» spiegò rimanendo ferma nella sua posizione, offesa «Ma ha scoperto che Fujimiya san mi ha fatto la corte e che io l'accettavo, sa che mi ha anche fatto una proposta di matrimonio e che non l'ho respinto dopo ciò che è successo tra me e lui. Si è arrabbiato»
«Avevi due uomini, insieme?» chiese ancora, con un filo di voce
«No, non era insieme!» si affrettò a spiegare rigirandosi ancora verso di lei «Io accettavo le gentilezze di Koji, ma questo prima di incontrare Sho. Dopo non c'è stato più nulla e poi Koji non mi ha mai parlato apertamente quindi dopo più di un mese che non lo vedevo in realtà per me era tutto finito, tutto... anche se non c'era niente di iniziato, ma anche un'eventuale "cosa non detta" doveva essere considerata conclusa» spiegò allungando le dita verso la propria tazza, ancora intatta sul tatami del pavimento, e sentendone il calore con i polpastrelli «Per correttezza avrei dovuto... non so, ridargli i regali»
«Sì, ti prego. La cornice...» borbottò Ying che si era fatta improvvisamente pensierosa
«Va bene, gliela ridarò» rispose con un lieve sorriso «Ma... il punto è che Sho kun mi ha detto di sparire dalla sua vita: non vuole vedermi, parlarmi o sentirmi...» spiegò riprendendo a piangere. Lei stessa si sentiva patetica: erano giorni che stava tranquilla a fare qualcosa o a parlare e l'attimo dopo scoppiava in lacrime. Sembrava una liceale alla sua prima storia finita. «"Finito il tour sparisci dalla mia vita"» ripetè singhiozzando «Ha detto "sparisci dalla mia vita". Cosa devo fare? Bastava che avessi più coraggio!» si mise quasi ad urlare, isterica «Che dicessi qualcosa a Koji kun. Era nel corridoio con noi, potevo dire una cosa qualsiasi perchè lui capisse che era finita, perchè lui sapesse. Potevo parlare con lui sinceramente dirgli "guarda questo ci provava, ma ora non mi interessa: chiuderò la faccenda"» continuava a parlare a macchinetta. La cinese la fissava senza alcuna espressione, forse cominciando a non capire più quale fosse il soggetto delle frasi che si susseguivano. «Avrei dovuto... dovevo...» singhiozzò «Non posso più... Sho kun...». Quando sentì una lieve pressione sulla guancia Erina aprì gli occhi e si accorse che la coinquilina si era piegata su di lei per baciarla sulla guancia, nonostante le lacrime. Per una persona riservata come Ying era un grande gesto ed il suo significato la colpì tanto che le venne da piangere ancora di più. In quel momento le sembrava che l'unico punto fermo della sua vita, l'unica persona che non l'avrebbe mai tradita, che non le avrebbe mai tirato brutti scherzi sarebbe stata proprio lei: la sua dolce coinquilina. «Non piangere Eri» le sussurrò nell'orecchio accarezzandole il capo «Nessuno merita le tue lacrime sai?». La rossa si tirò fuori dalle coperte e le abbracciò le spalle sollevandosi per nascondere il viso nell'incavo del suo collo. Con uno sforzo la cinese la abbracciò a sua volta e la tirò su di peso, mettendola a sedere e facendola appoggiare a sè, trovando nel muro alle proprie spalle un appoggio sicuro per non cadere entrambe all'indietro, a peso morto. Priva di forze e con la testa che le girava Erina non si oppose, ma nemmeno l'aiutò: si abbandonò totalmente ai suoi gesti continuando a piangere. «Non fare così... non piangere» continuava a sussurrarle. «Grazie per quello che mi hai detto Eri. Grazie» disse ad un certo punto passandole le dita sulle guance, per asciugargliele «Sono contenta che tu mi abbia raccontato quello che è successo. Sai quanto mi hai fatto preoccupare? Peste...» e percepì il suo sorriso nel tono della voce. Tutta quella dolcezza la faceva sentire in colpa per non averle confessato prima quale fosse la situazione, per averla fatta assistere ad una settimana di malori e una notte infernale senza sapere quale fosse la causa di tutto. Continuò a singhiozzare e, se una parte continuava a disperarsi indisturbata, una seconda assisteva attonita a quel suo stesso scoppio d'isteria, rendendosi conto di non riuscire a fermarlo. «Le tue lacrime sono troppo belle e preziose perchè uno uomo schifoso se le meriti... figurati due. Eri... non piangere» continua a ripeterle.
Erina riuscì ad abbassare il volume dei suoi singhiozzi solo dopo qualche minuto, l'aiutò anche che Ying, con uno sforzo, allungò il braccio per recuperare un angolo della coperta e metterglielo sulle spalle. Il tepore dei loro corpi sotto di esso la tranquillizzò, come se nella malattia fosse ritornata bambina quando un abbraccio sembrava cancellare la metà dei problemi che si avevano. Tornando silenziosa, i pensieri tornarono ad affollarsi prepotentemente, ma quel pianto liberatorio l'aveva sfiancata: non aveva voglia di provare a seguire un solo ragionamento, non voleva bere il te -anche se era felice che le fosse stato preparato: adorava l'earl grey-, voleva solo riposarsi. Infatti cadde addormentata tra le braccia della coinquilina e l'ultima cosa a cui penso coscientemente fu il bellissimo viso di Sho, reso freddo dalla rabbia, che spariva dietro le porte dell'ascensore.

La mail che gli era arrivata appena dopo pranzo diceva⎨Non so in che rapporti tu sia con Erina san ora, ma volevo farti comunque sapere che ho appena saputo che da ieri sera è costretta a letto per via di una grave influenza. Ah, domani alle 8.00 agli studi. Ciaooo(^o^)⎬. La prima cosa che l'aveva colpito era l'emoticon: Jun le usava, al contrario di lui, ma era dall'estate che non le metteva più nelle sue mail. Stava cambiando qualcosa probabilmente e Sho non potè fare a meno di sorridere. Avrebbe abbracciato il cellulare come fosse stato Jun tanto era contento di sapere che si stava riprendendo, ma sarebbe sembrato un perfetto cretino a tutti i tecnici intorno a lui. In un secondo momento realizzò il resto del messaggio. Quando lo fece chiuse di scatto il cellulare e lo ributtò nello zaino, girandosi verso il set per vedere se potevano ricominciare a girare.
Suo malgrado, quel pomeriggio tardo, aveva preso un taxi e aveva dato l'indirizzo di una via principale di Shimokitazawa, la città dove abitava Erina. "Non è per un qualcosa di romantico che vado lì" si diceva con le braccia incrociate, mentre guardava la strada dritto davanti a sè "Continuavo a dirmi che avrei dovuto chiedere dei dettagli in più, ma che non li avrei mai saputi dato che non avevo scuse plausibili per rivederla: grazie destino, ottimo tempismo". Infatti non si era pentito della sua decisione, semplicemente dopo aver realizzato per bene di essere stato preso in giro e raggirato per tanto tempo si era resoconto che avrebbe voluto sapere perché: non le aveva mai fatto niente di così grave da meritarsi un simile gesto, allora perché giocargli quel bruttissimo scherzo? Chiaramente però nel momento in cui l'aveva scoperto ci era rimasto talmente male che non aveva voluto sapere altri dettagli -stava già sufficientemente da schifo- e solo quando la sua mente aveva analizzato la situazione, la sua razionalità aveva preteso una spiegazione. Ammetteva di non essere una persona perfetta, ma non era nemmeno così terribile da meritarsi un simile trattamento. Il dubbio sui motivi che avevano spinto Erina ad ingannarlo lo perseguitavano da una settimana: insomma anche quando avrebbe preferito dimenticarsi di quella donna, non gli riusciva di farlo. "Vado, chiedo e torno indietro. Chiudiamo questa storia una volta per tutte. A partire da domani non devo più pensarci" annuì con vigore, convinto. E lo era seriamente, perchè sapeva di essere fatto così: amava il suo lavoro, dava tutto se stesso per la sua carriera e non avrebbe permesso a niente e nessuno di intralciarla, quindi era sicuro che una volta avute le spiegazioni di cui sentiva il bisogno avrebbe realmente accantonato quella storia. Poi essa sarebbe tornata, dolorosa, nel silenzio della notte, prima di prendere sonno, ma almeno lui avrebbe sorriso, lavorato e vissuto come sempre: al suo massimo. Il che non significava che non aveva provato sentimenti sinceri e profonda passione per Erina, ma solo che era maledettamente abile a separare vita e lavoro se la prima rischiava di intralciare il secondo, cosa che invece Jun non era stato bravissimo a fare anche se aveva fatto del suo meglio.
Pagò il tassista e ringraziò prima di scendere. Aveva passato tutto il giorno sul set, quindi non si era vestito bene non dovendo andare da nessuna parte. Indossava un paio di pantaloni di una tuta grigia, una maglietta larga a maniche corte rosso scura, con inserti e scritte bianche per farla sembrare quella di un qualche college americano, e un berretto con visiera. A completare quel look anonimo e quasi sciatto, una mascherina usa e getta, di quelle che si usano quando si ha il raffreddore, e il solito zaino in spalla. Come calcolato nessuno faceva caso a lui, sembrava solo un giovane di ritorno da un qualche lavoro faticoso o uno studente vagabondo senza voglia di tornare a casa dai genitori. Sbagliò la strada un paio di volte cercando di ricordare dove fosse la casa, poi finalmente trovò un punto di riferimento che ricordava e camminò a passo più sicuro.
Quando arrivò davanti all'edificio era quasi ora di cena. Attraversò lo spiazzo e salì le scale. Lì inevitabilmente gli tornò in mente il giorno in cui le si era dichiarato: era stato tanto nervoso, ma alla fine si era quasi addormentato su quei gradini. Quel giorno le aveva detto che lei a lui piaceva da sempre. "Era una bugia" si disse cominciando a salire l'ultima rampa "Se il suo tradimento mi ha colpito tanto probabilmente il verbo piacere non è appropriato per descrivere cosa provassi" chiedendosi ancora perché fosse successo tutto quello, arrivò al ballatoio. E lì rimase, sorpreso, trovando Fujimiya Koji davanti alla porta dell'appartamento di Erina. Anche l'altro lo vide «Ah» farfugliò. Si staccò dalla balaustra a cui era appoggiato a braccia incrociate, raddrizzò la schiena e fece un profondo inchino verso di lui per salutarlo. «Buonasera Sakurai san» salutò con cortesia. Sho lo squadrò confuso, quindi si inchinò a sua volta, anche se meno profondamente. «Buonasera...»
«Sono Fujimiya Koji» si ripresentò, forse pensando che non si ricordasse di lui dato che erano stati presentati solo una decina di giorni prima e si erano visti per pochi secondi. A quel punto a Sho venne in mente che quell'uomo forse non sapeva niente della "scappatella" di Erina. Per un attimo sentì che spiattellare tutto sul suo comportamento per rovinare il loro matrimonio sarebbe stato un atto sufficientemente vendicativo per sentire di essere pari, ma quello successivo si rese conto di quanto cattivo fosse quel pensiero: per quanto ferito, non avrebbe mai potuto fare una cosa crudele come rovinare un matrimonio. «E' amico di Eri oppure è un cliente eccessivamente zelante?» domandò questi con un sorriso appena accennato sul viso, cordiale
«Oh no, non è così» scosse il capo Sho "E com'è?" domandò a se stesso, rimanendo però in silenzio
«Beh, io le consiglio di provare ad entrare come cliente, perchè come amico ci ho già provato io e non funziona» spiegò accennando alla porta dell'appartamento
«Erina san non l'ha voluta vedere?» domandò stranito, aggrottando le sopracciglia
«No, non credo. Temo che Eri sia preda della febbre e incapace di intendere e di volere in questo momento. E' la sua coinquilina»
«Ah, la cinese» ricordò improvvisamente
«Sì, Hang san» annuì l'uomo «Non le ho mai fatto niente, ma temo di non esserle mai stato granchè simpatico e ora mi impedisce di entrare per vedere come sta Eri»
«Farete meglio a vivere insieme dopo la cerimonia» gli disse stringendosi nelle spalle. Voleva essere una frecciatina, ma dato che Fujimiya difficilmente immaginava ciò che c'era stato tra lui e la sua futura sposa non avrebbe mai colto e infatti la sua faccia confusa smorzò tutta la cattiveria che invece avrebbe voluto esprimere Sho. «Come?» domandò questi
«Niente, lasciamo perdere» scosse il capo lui «Se non hanno fatto entrare lei, dubito farebbero entrare me». "Quante possibilità ci sono che la coinquilina non sappia di quel che è successo con Erina?" si domandò osservando la porta "Beh, dato come si è comportata una volta, sono quasi sicuro di essere nella stessa posizione di Takomiyai: quella cinese non sembra avere simpatia per nessuno. E comunque che senso ha tentare di entrare? Non posso mica chiedere spiegazioni ad Erina davanti a lui" guardò il cielo che scuriva e storse il naso "Odio fare i viaggi a vuoto". «Ero intenzionato a stare qui finchè non si fosse convinta a farmi entrare, ma dubito serva a qualcosa» sospirò Fujimiya «Tornerò a casa e ritenterò domani. Sono in macchina, posso darle un passaggio da qualche parte?» domandò. Sho lo squadrò da capo a piedi, sbalordito. Si sentì un verme per aver odiato un uomo tanto educato e gentile quando la vera colpevole era la donna che lui invece aveva inseguito per tutti quei mesi. «Non rinunci tanto facilmente» cercò di incoraggiarlo nonostante in quel momento si sentì investito da un'ondata di gelosia: quell'uomo avrebbe tenuto tra le braccia, baciato e posseduto la donna che sognava da anni. Sì, lei era stata una stronza e l'aveva ingannato, ma questo non riusciva a sminuire quel sentimento dentro di lui: era troppo radicato per sbarazzarsene tanto facilmente nel giro di pochi giorni. «Se comincia a rinunciare da queste cose semplici, con quale coraggio affronterà le sfide di una vita insieme?» disse invece, cercando di tenere solo per sè quel sentimento divorante
«Sì è vero, certo» rise quello divertito «Ma mica devo sposarmi con Eri, quindi direi che posso tornare a casa a cenare. Ho fame»
«Scusi?» fece subito Sho sgranando gli occhi
«Le dò un passaggio allora? O è qui con la sua macchina?» chiese questi facendo per superarlo. Sho invece lo bloccò prendendolo per il braccio, artigliando il suo costoso completo da salaryman «Cosa significa che non deve sposarsi con Erina?» domandò con voce chiara
«Niente, solo quello che ho detto. Non devo sposarmi con nessuno» rispose questi spaventato. La terrà sembrò tremare sotto i suoi piedi, ma non era sicuro se fosse stata una piccola scossa o lui stesso che aveva vacillato. Non riusciva a pensare a niente di preciso, gli stava solo salendo l'agitazione e la smania di capire cosa stesse succedendo: perchè lui sapeva una cosa che il diretto interessato negava? Doveva capire, altrimenti avrebbe cominciato ad illudersi. «Mi... mi perdoni. Sono solo stupito» cercò di darsi un contegno, ma non ricordò di lasciar andare il braccio dell'altro «E' che quando abbiamo parlato con il suo capo ci aveva detto che lei ed Erina san stavate per sposarvi quando si era messa a cercare qualcuno da mandare a lavorare per noi»
«Beh, non è proprio corretto» ammise questi alzando gli occhi al cielo per qualche secondo, pensieroso «Immagino si sia basata su ciò che ha sentito dire. Le donne parlano troppo secondo me. Comunque, questo ha provocato dei problemi alla sua agenzia?» domandò preoccupato, guardando la mano che lo tratteneva. Sho lo lasciò andare immediatamente: perchè modulare il tono della voce per non sembrare ansioso, se poi lo stritolava con disperazione? «No, no, si figuri» rispose allora l'idol ricomponendosi «E' che questa cosa ci ha lasciato tutto stupiti dato che Erina san non ce ne aveva mai parlato. Soprattutto i miei colleghi, con loro ha lavorato molto e aveva instaurato un bel rapporto, sono rimasti proprio spiazzati dalla notizia»
«Sia sincero, ci è rimasto male anche lei, vero?» domandò quello con un sorriso divertito. Qualsiasi faccia Sho avesse fatto doveva essere stata molto eloquente perchè Fujimiya trattenne a stento una risatina divertita «Ci avrei scommesso. E' difficile che Eri passi inosservata e non parlo solo del suo aspetto, è diversa: è molto più estroversa e spigliata di tante altre donne. Poi è anche una pasticciona e una sbadata, ma.. come dire, è una ragazza radiosa. Sospetto conquisti almeno un uomo in tutti i posti in cui va» spiegò con orgoglio «Comunque, per essere sincero, no, non stiamo per sposarci» spiegò scuotendo il capo «Da quando è entrata nella nostra azienda le ho fatto la corte, è vero, e lei ha accettato i miei regali e il mio interessamento, ma non è mai successo nulla. Eri è giapponese, ma per certe cose è decisamente una straniera» spiegò con una punta di dolore nella voce, come gli dispiacesse di quel fatto «Credo che una qualsiasi donna giapponese avrebbe capito cosa volevo dal mio solo atteggiamento, lei invece vuole le parole: avrei dovuto chiederle chiaramente di uscire con me, non bastavano gesti carini e complimenti particolari» scosse il capo «Però a tutti in azienda era chiaro cosa stava succedendo. Prima che venisse a lavorare per la vostra agenzia ho tentato di usare le parole, ma sono uno timido così credo di non aver usato delle espressioni propriamente decise. Lei ha certo intuito che le stessi facendo una proposta, ma non ho usato le parole "vuoi sposarmi?" così anche lei non ha mai dato una risposta chiara» scosse il capo con sospiro
«Significa che non eravate fidanzati e lei le ha fatto una proposta senza che Erina rispondesse... e poi si è trasferita da noi?» domandò Sho. Dato che dentro di lui c'era un tale rimestìo di sentimenti da dagli la nausea, aveva optato per la totale impassibilità esterna: lo guardava come se gli stesse leggendo la sua agenda d'impegni per la settimana. «Sì, e quando è tornata non c'è più stato nulla di quello che c'era prima. Per quello dico che in ufficio hanno esagerato: le colleghe di Eri avranno intuito la mia proposta e al posto suo avrebbero risposto, mentre lei non mi ha detto niente, ma saprà come sono le donne: chiacchierano, fantasticano... esagerano» storse il naso
«Non le piace più?» chiese Sho
«Certo che sì, altrimenti non sarei qui. Ma a ben pensarci... che posso dirle se è preda della febbre?» scosse il capo «Lei invece perchè è qui?». Era chiaro come il sole che Fujimiya doveva aver intuito tutto, nonostante l'impassibilità mostrata per nascondere la verità, ma finchè Sho non avesse dichiarato i suoi sentimenti quell'uomo non avrebbe mai avuto niente di concreto contro di lui. Era triste pensarla a quel modo, ma per quanto riguardava le faccende personali lui e gli altri erano costretti a comportarsi con prudenza: certi colleghi del mondo dello spettacolo erano arrivati persino a negare davanti all'evidenza. In quel caso però non c'era alcuna evidenza, Fujimiya non sapeva che Erina ricambiava i suoi sentimenti, nè che si erano baciati, quindi se anche Sho avesse ammesso di essere lì perché innamorato di certo non gli avrebbe detto niente di pericoloso, ma a scanso di equivoci era meglio tacere. «Come le ho già detto, il rapporto instauratosi tra Erina san e i nostri colleghi è molto buono. Quando hanno saputo che stava molto male hanno voluto mandare qualcuno a controllare»
«E mandano un personaggio come lei?» insistè quello, scettico. "Mica scemo questo" si disse Sho, respirando profondamente prima di rispondere prontamente. «Lavoravo in zona» mentì «Mentre la nostra sede è ad Akasaka, ossia da tutt'altra parte di Tokyo. Inoltre io ed Erina san abbiamo frequentato lo stesso corso universitario, a quei tempi eravamo conoscenti» e quello era vero
«Capisco. Beh, se vuole provare ad entrare... io non ho avuto grande fortuna» concluse Fujimiya. In quel momento la porta dell'appartamento si aprì facendo sobbalzare entrambi. «Piantatela di parlare qui davanti, continuo a sentire il vostro borbottio oltre la porta» minacciò la cinese in piedi sulla soglia
«Hang san» sospirò l'uomo «Ce ne stavamo andando, vero Sakurai san?» lo incitò
«No, io non me ne vado» disse Sho di getto. "Erina non sta per sposarsi con un altro, allora perchè quando l'ho accusata non ha negato? Perchè ha confermato quella storia?" qualcosa non gli quadrava in quella faccenda e non era disposto a tornare a casa senza un minimo chiarimento. «Oh, è arrivato Faccia-da-poster» sbuffò con cattiveria la cinese, squadrando Sho da capo a piedi
«Per favore, come sta Erina san? Posso chiederle una cosa? E' molto... molto importante» fece con cortesia
«Sta male, è colpa tua, quindi sparisci» rispose lapidaria. Il ragazzo si irrigidì subito, quella ragazza rischiava di mandare a monte tutti i suoi sforzi per non rivelare nulla ad uno sconosciuto, inoltre era più scortese di quanto convenisse ad un'amica che ne stesse proteggendo una ferita. «Per favore, ho detto che è importante» ribattè, ma con voce più dura
«Cosa non capisci della parola "no"?»
«Hang san, non mi pare il caso» si intromise Fujimiya san, prendendo addirittura le sue difese: la situazione cominciava ad essere quasi comica. «A me invece non pare il caso che voi due siate qui, insieme per giunta» sbottò quella «Tu sei un omuncolo privo di qualsiasi spessore: timido, impacciato e insignificante; troppo per meritarsi una come Erina» spiegò guardando con odio l'uomo in giacca e cravatta «E tu... come dovrei classificarti? Sei perfido, ecco cosa sei. La illudi e poi con cattiveria la sbatti fuori dalla tua vita come se fosse uno straccio usato, senza il minimo riguardo. E adesso ti presenti qui? Gran bella faccia di bronzo»
«Hang san, è da maleducati offendere persone che nemmeno conosci» ribattè Fujimiya che ancora una volta difendeva Sho, che invece lo aveva sempre visto come il nemico numero uno. «Che diritto hai di parlare così alle persone? Comportandoti in questo modo non sei certo migliore di noi» le rispose freddamente l'idol
«Ne ho tutto il diritto e, sì, penso di essere migliore di voi. Non penso abbiate la benchè minima idea di cosa significhi "amare"» gli rispose lei guardandolo dritto negli occhi. Aveva uno sguardo arrabbiato, i suoi occhi erano ridotti a due fessure e le mani le tremavano di rabbia mentre tenevano una la porta e l'altra lo stipite dell'ingresso. Tutta quell'aggressività era eccessiva e talmente forte da lasciarlo spiazzato, era tanto confuso da non essere sicuro di volersi arrabbiare veramente per quelle offese: come risposta sembrava che quella donna fosse pronta a staccargli la testa a morsi. «"Amare" significa "rispettare": rispettare le scelte, rispettare gli spazi e i bisogni dell'altro. Significa "ascoltare"» gli disse con rabbia per poi spostare lo sguardo su Fujimiya «E significa anche "parlare", soprattutto quando è il momento»
«Bene, allora lascia che parliamo con lei» fece l'uomo che conosceva di più la cinese e sembrava avere più dimestichezza con il suo disprezzo. Forse l'aveva insultato altre volte, magari anche quella sera stessa, prima che arrivasse lui? «Tu non puoi farlo al posto suo»
«Non parlo al posto suo» rispose la donna, era alta quando Sho e più dell'altro uomo che era invece basso rispetto a loro «Parlo per me stessa e io ho deciso che sono stufa: non ho più intenzione di lasciare Erina a gente infima come voi. Non la meritate. Forse nemmeno io la merito, ma quanto meno faccio tutto quello che posso per amarla nel modo più corretto possibile»
«Nel modo corretto?» domandò Sho, incredulo
«Lei non ha mai pianto a causa mia» gli rispose lapidaria «Se non ve ne andate subito da casa nostra chiamo la polizia. Sparite per sempre dalla sua vita» sibilò rabbiosa e chiuse la porta con uno schianto.
La sera era piena dei rumori tipici delle famiglie a tavola o degli ultimi impiegati che si affrettavano verso casa in bici o in macchina, eppure rispetto alla tempesta verbale che aveva appena investito i due uomini sul ballatoio, tutto sembrava essere diventato improvvisamente calmo e silenzioso. Sho sbattè le palpebre, osservando la porta chiusa quindi volse lo sguardo sbalordito verso l'uomo al suo fianco. «Ti serve questo passaggio o no?» gli domandò questi familiarmente, passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato
«No, mi arrangio non ti preoccupare» rispose. La scoperta appena fatta sembra averli accomunati. «Allora ciao» salutò alzando una mano, lentamente, e facendo un lieve cenno del capo
«Ciao» rispose perplesso l'idol. Lo osservò mentre scendeva le scale fiaccamente e quando girò l'angolo per fare la seconda rampa, scomparendo alla sua vista, spostò lo sguardo ad osservare il pavimento. Aveva sempre pensato che Fujimiya Koji fosse il suo rivale numero uno. Si era sbagliato, e succedeva a tutti di sbagliare, ma certo non gli sarebbe mai passato per la mente che la prima persona con cui avrebbe dovuto contendersi il cuore di Erina sarebbe stata una donna.

*Ying fa confusione, mescola un altra lettura giapponese del kanji 和 con quella cinese del carattere 也
**E' il nome del monte Fuji, in giapponese. San in questo caso non è il solito onorifico "san" ma una diversa lettura del kanji di "montagna"


Era tantissimo che attendevo di scrivere questo capitolo. Era tantissimo che immaginavo di scrivere questa dichiarazione. E' l'unica in tutta la mia produzione in cui un personaggio usa espressamente il verbo "amare" per parlare dei suoi sentimenti per la persona in questione. Non è un caso che lo usi un personaggio che non è giapponese e la dice lunga il fatto che metta una parola simile in bocca ad una donna invece che ad un uomo. No, non sono lesbica (anche se a volte credo sarebbe un'ottima soluzione per liberarmi della deficienza e della bassezza morale del genere maschile in cui ripongo una scarsa se non inesistente fiducia)... ma vabbè, questa parentesi spiega perchè ho usato questo verbo per la prima volta e perchè ho preferito usarlo per descrivere un sentimento di una donna verso un'altra donna.
Sapevo fin dall'inizio che Ying sarebbe stato un personaggio omosessuale e che sarebbe stata innamorata di qualcuno che invece non lo è e che quindi non può ricambiarla. Come mio solito quando affronto qualcosa che non conosco, cerco di informarmi, ma non si trova scritto da nessuna parte com'è per una donna omosessuale amarne una che è invece etero. Così sono andata alla fonte, da un amica: le ho spiegato a cosa mi serviva, la situazione e le ho chiesto di ipotizzare come si sarebbe potuto sentire il personaggio. A riprova che la mia pignoleria a volte è eccessiva, la sua risposta è stata abbastanza banale, niente che non potessi intuire anche io da sola. L'amore è amore, in questo caso è come se fosse un amore a senso unico in una coppia etero: non sei ricambiato, ma comunque vuoi bene a quella persona e desideri il meglio per lei. Con questa idea ho sempre calcolato ogni comportamento di Ying nei confronti degli altri personaggi fin dalla sua prima comparsa. Erano attimi brevi, ma erano importanti (cosa non è importante in sta fic? bah...).
Questo momento, in cui si rivela il suo sentimenti -anche se non lo rivela all'interessata- lo aspettavo da tanto: prima di tutto perchè spero sia un bel colpo di scena, secondo perchè mi piace questo personaggio. In realtà nella mia testa lo immaginavo più violento, più drammatico, ma dalle mie dita è venuto fuori così e per certi versi forse è meglio, un po' perchè non tutto dev'essere a mò di tragedia greca, secondo perchè forse una scenata di strilli e parolacce non sarebbe stato nello stile del personaggio (le volgarità lasciamole a quella scaricatrice di porto di Tomomi <3).
Dovrebbe essere il punto focale del capitolo ma finisce con il passare in secondo piano, comunque... beh Sho ha capito che 'sta donna non sta per sposarsi XD *applausi* gli resta da capire perchè Erina invece abbia praticamente confermato quell'ipotesi quando gliel'ha sbattuta in faccia sul pianerottolo. Su gioie belle...
Il capitolo 41 è sui chibi ♥

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Capitolo 42
*** 41. The only hand you'll need to hold ***


Si guardò allo specchio piegandosi in avanti per osservare meglio il proprio viso e sistemarsi il trucco. Ultimamente aveva una cera orribile. Lei, che amava una vita calma, ripetitiva e semplice, da troppi mesi ormai si ritrovava preda di emozioni forti e cambiamenti improvvisi. Sentiva di essere quasi al limite della propria sopportazione. Non c'era modo di mandare avanti il negozio da sola: era brava sì, ma non una veterana, non riusciva a cucinare, curarsi dei clienti, tenere l'inventario degli ingredienti in magazzino, fare gli ordini, pulire il negozio, allestire la vetrina, controllare il materiale per i pacchetti e, magari, trovare anche il tempo per respirare. E i soldi non bastavano a niente, perchè per fare tutto quello di cui doveva occuparsi poteva tenere aperto il negozio meno tempo di prima! Però non voleva rinunciare. Non poteva permettere che il negozio della maestra chiudesse per colpa della sua inadeguatezza. Non trovava una soluzione e si angosciava abbastanza da non riuscire a dormire bene, ed era sola. Dopo l'ultima litigata con Aiba non si erano più sentiti e si sentiva sola come non le era mai capitato. Era rimasta single anche per lunghi periodi, ma non si era mai sentita così. Le mancava ascoltare la risata di Masaki, ascoltare i suoi racconti di lavori incredibili e averlo al proprio fianco, silenzioso, mentre gli raccontava della Maestra, delle piccole difficoltà di ogni giorno o dei grossi problemi di quel periodo. "E' possibile che il fidanzato più impegnato che io abbia mai avuto sia finito con l'essere quello con cui ho condiviso più cose?" si domandò mentre si lavava le mani per togliersi i residui di trucco azzurro dalle dita "Non c'è nessuno come lui adesso. Ognuna delle mie amiche ha i sui problemi e più che "fatti forza, troverai una soluzione" non sanno dirmi. Lui forse direbbe la stessa cosa... ma con un sorriso" annuì tra sè, sorridendo leggermente nel ricordare il viso raggiante di Aiba "No, non c'è nessuno come lui. Non posso raccontare alle altre tutti i miei problemi, perchè Aiba deve rimanere un segreto e nascondendo la sua identità non è possibile sfogarsi completamente. Erina è l'unica, ma non se la passa bene nemmeno lei... ChibiMasa non può essere un problema. Non può esserlo tanto da costringermi a parlare con altri. Devo imparare a gestire con lui le cose che lo riguardano". Sistemò la scollatura del vestito e strinse la cintura prima di richiudere i trucchi nella borsa e tornare in sala "Ma come pretendo di gestire un rapporto umano se non riesco nemmeno a far funzionare un negozio?" si chiese sconsolata.
Per distrarsi almeno un giorno era andata all'aperitivo degli ex alunni della scuola di cucina che aveva frequentato a Yokohama. Aveva preso il treno la sera prima e aveva passato la notte a casa della sua famiglia. Ora era lì, circondata soprattutto da sconosciuti di altri anni, e non aveva ancora trovato nessuno dei vecchi compagni. E Kokoro non era abile a farsi nuove amicizie. Stava sorseggiando un analcolico leggermente amaro e dopo aver passato una prima mezz'ora in piedi vicino al tavolo delle tartine aveva deciso di andare a curiosare verso quello dei dolci. «Li hanno preparati gli attuali alunni della scuola» spiegò un uomo che si era fermato al suo fianco mentre lei osservava l'accurata estetica del cibo messo a disposizione degli invitati
«Sono belli» si limitò a commentare
«Il fatto che lo siano significa necessariamente che siano anche buoni?» domandò questi
«No, ma è inevitabile, per chi deve mangiare, giudicare un cibo anche visivamente»
«Hai imparato Hanayaka san» concluse questi, mettendosi a ridere. Kokoro alzò lo sguardo dal tavolo all'uomo a cui aveva risposto senza farci caso. «Shimizu sensei» pronunciò sorpresa prima di inchinarsi «Quanto tempo...»
«Moltissimo in effetti» annuì questi, piegandosi in avanti a sua volta «Temevo mi avessi dimenticato»
«Non potrei» scosse il capo e accennando un sorriso «Ho imparato molto da lei, le sono molto debitrice»
«Eri già brava» la corresse lui «Mi hai messo in seria difficoltà, dico davvero. Sei stata una delle migliori alunne che io abbia mai avuto, ma anche la più difficile con cui trattare»
«Mi dispiace molto di averle creato fastidio» si affrettò a dire Kokoro, tenendo il capo chino
«Hanayaka san, il punto è che non l'hai creato affatto» rise quello divertito «Facevi bene ogni cosa e facevi subito tutto esattamente come lo dicevo, senza battere ciglio. Ci ho messo tre anni per tirarti fuori dalla tua impeccabile diligenza per farti capire che non dovevi sempre ascoltare me»
«Che la cucina è un arte con la quale devo saper giocare e usare la fantasia, staccandomi da quello che dicono i libri, le ricette o l'isegnante» ripeté quasi meccanicamente «Me lo ricordo... non so più quante volte me l'ha ripetuto in quel periodo» annuì
«Andrei a prendere una boccata d'aria, vieni con me?» propose l'uomo e lei lo accompagnò volentieri. Shimizu Rui era stato il suo insegnante di pasticceria per i tre anni di scuola di specializzazione. Dato che quello era il campo che preferiva, la sua materia era quella in cui Kokoro si era sempre applicata con più dedizione. All'epoca era una ragazza molto più silenziosa e chiusa, tanto eccitata dal poter ferquentare finalmente la scuola che l'avrebbe indirizzata verso il proprio futuro da seguire come un automa tutto ciò che le veniva detto, non capendo quanto i suoi insegnanti preferissero i trasgressori e i creativi. Gli stessi maestri però non uscivano dal loro ruolo di insegnanti e continuavano a darle voti alti semplicemente per l'ottimo risultato, senza avere mai il fegato di dirle che non bastava un piatto perfettamente cucinato a renderlo eccezionale. Shimizu sensei era stato l'unico. Era poco più che trentenne all'epoca e sprizzava energia e voglia di trasmettere conoscenza, come solo gli insegnanti giovani fanno. Fin dal primo giorno le aveva dato dei buoni voti, ma mai il massimo. Lei si era impegnata ancora di più, per creare dolci ancora più perfetti, ma non aveva avuto il punteggio più alto. Frustrata era andata avanti così per circa un anno e mezzo, cercando di seguire le parole dell'insegnante alla lettera, allenandosi per ore a preparare quello che lui chiedeva, ostinandosi perchè quella era la materia che più le interessava ed era anche l'unica in cui non riusciva a dare il massimo. Era arrivata a pensare lui ce l'avesse con lei per qualche strano motivo. Infine, a metà del secondo anno, si era fatta avanti a fine lezione e gli aveva domandato con disperazione dove stesse sbagliando. Shimizu sensei mostrò tanta di quella gioia al vederla finalmente mettere in discussione se stessa e i suoi sforzi, che la lasciò totalmente spiazzata: i voti non eccellenti erano solo un modo che lui aveva pensato di adottare nella speranza che l'orgoglio e l'amore per quella materia la spingessero a porsi domande, a rivedere il suo modo di lavorare. Ci aveva messo un po' a dare i suoi risultati, ma quella tecnica aveva infine funzionato. Da allora era stato l'insegnante più speciale mai avuto e Kokoro la sua preferita: aveva addirittura discusso con lui l'idea di partire per Tokyo, ancor prima che con la famiglia. Ora Shimizu sensei aveva lo stesso aspetto di quando lo aveva conosciuto: alto, moro, dalle mani grandi e la risata facile; ma aveva una strana luce negli occhi, quella di un quarantenne disilluso.
«Non insegno più qui» disse quando ormai era già a metà sigaretta. Era un tipo più espansivo di Kokoro, pieno di un'energia scoppiettante, molto entusiasta, ma era uno che rifletteva molto prima di parlare se si trattava di cose serie. In Kokoro aveva trovato un alunna perfettamente quieta e paziente nell'attendere i suoi giudizi e consigli. «Oh, quindi ha trovato un altro lavoro?» domandò la ragazza sorpresa
«Macchè, mi hanno licenziato, nient'altro» rispose prima di un lungo tiro dalla sigaretta che stringeva tra le dita
«Oh... credevo che i dolci in sala fossero prodotti della sua ultima classe di studenti»
«Mmmh» mugugnò scuotendo il capo «Sono diventati i ragazzi del nuovo insegnant: all'inizio dell'estate mi hanno comunicato che a Settembre non mi avrebbero più richiamato»
«Non ha trovato un altro lavoro?» chiese tristemente. Era stato il suo insegnante preferito, quello che aveva lasciato l'impronta più profonda nella sua formazione come professionista, ma anche come persona, pensare che l'avevano cacciato dalla scuola la faceva soffrire. «Non ce l'ho fatta» rispose girandosi verso di lei e facendole un debole sorriso «Mi piace insegnare, volevo rimanere in questo campo e ho sperato fino all'ultimo che ci ripensassero. A metà settembre mi sono dovuto rassegnare all'idea che i miei ragazzi sarebbero cresciuti sotto le direttive e i consigli di un'altra persona e a quel punto... beh, quale scuola cerca insegnanti nuovi a metà anno?» fece stringendosi nelle spalle
«Perchè è qui oggi allora?» domandò appoggiandosi ad una delle colonne che reggevano la grande tettoia al di sopra delle scale d'entrata della scuola
«Perchè questi sono i miei studenti» rispose subito «E perchè la nuova insegnante di pasticceria è un'incapace, la scuola aveva bisogno di qualcuno che sapesse allestire eventi come li vogliono loro ed io ne ho preparati tanti che non li conto più. Mi avrebbero pagato e quando me l'hanno detto ho dovuto mettere da parte l'orgoglio e accettare»
«Vuol dire che l'ha fatto per rivedere noi e... per soldi?» chiese incredula
«I momenti migliori per cercare lavoro sono in primavera o all'inizio dell'anno fiscale... e poi sono circa dieci anni che non cerco un posto di lavoro, non saprei da che parte girarmi, dove chiedere o cosa vorrei fare esattamente» espirò l'ultima boccata di fumo e spense la sigaretta grattandola su un gradino «Insomma non ho uno stipendio da fine luglio, quindi sono due mesi e mezzo che non ho entrate. Non dico di essere con l'acqua alla gola, perchè comunque ho lavorato tanto tempo e un po' di soldi da parte li ho, ma non sono a mio agio se a mantenermi è mia moglie. Inoltre Yumi chan l'anno prossimo comincerà a frequentare un juku* per prepararsi all'ammissione all'università»
«Come sta sua figlia?» chiese allora, cercando di cambiare discorso in maniera naturale. Le faceva pena vedere una persona che tanto ammirava, ridotta in quello stato senza meritarlo affatto. «Continua a saper cucinare solo uova strapazzate e quasi sempre dimentica il sale» rispose Shimizu, e risero entrambi «Ma è anche rimasta un genio della matematica e della scienza. Non ha proprio preso da suo padre. Credo voglia iscriversi ad un corso di laurea in chimica.. o era fisica? Sono tutte uguali per me quelle cose là»
«Credo che la chimica serva per creare il lievito e la fisica la applichiamo per staccare una torta bruciata dalla teglia» suggerì Kokoro e ripresero a ridere. «Tu piuttosto? Sei partita per Tokyo alla fine, vero? Hai fatto avanti e indietro per partecipare a questo aperitivo?» domandò accennando con il capo all'interno dell'edificio
«Sono arrivata ieri e ho dormito a casa della mia famiglia. Stasera torno però, sì» annuì
«E cosa combini laggiù?». "Mando in fallimento una pasticceria storica", così avrebbe voluto rispondere, invece rimane in silenzio a guardare a terra mentre cercava una risposta altrettanto sincera, ma meno drammatica. «Mi hanno assunto in una pasticceria tradizionale quando sono arrivata lì» spiegò tornando a guardare il suo insegnante
«Sei stata fortunata! Non era proprio quello che ti interessava fare?» fece il suo ex-insengnate, felice per lei «C'erano anche altri tuoi compagni molto bravi, molto portati per la materia e a volte migliori di te, ma come preparavi tu i dolci tradizionali... quello non sapeva farlo nessuno. Ricordi? Quelle poche volte in cui li facevamo erano le uniche occasioni in cui prendevi il massimo»
«Me lo ricordo» rispose Kokoro
«In quelli ci hai sempre messo passione. E come sono i colleghi?» chiese ancora. La ragazza si morse le labbra, non avrebbe voluto quella domanda, ma Shimizu sensei non poteva sapere. «Credo... credo le sarebbe piaciuta la proprietaria» farfugliò inizialmente «Come dice lei, quel tipo di dolci li facevamo raramente. Quello che ho imparato dopo, l'essermi potuta perfezionare lo devo a ciò che quella donna mi ha trasmesso. E' stata più fortunata di lei: ha trovato una Kokoro che aveva già imparato ad ascoltare con attenzione ed essere creativa allo stesso tempo» concluse tentando un sorriso. L'uomo la osservò con serietà «Quando è successo?»
«Da troppo poco tempo» rispose semplicemente
«Mi spiace per la perdita» fece lui con un lieve inchino «Adesso cosa fai?». "Mando in fallimento la sua pasticceria", avrebbe voluto rispondere di nuovo così e ancora una volta si trattenne. «Il negozio era storico nel quartiere, sto cercando di portarlo avanti. I familiari della Maestra mi hanno solo chiesto un affitto simbolico per il negozio»
«Capisco» annuì l'uomo «Insomma sei nei guai fino al collo: non ti ci vedo a trattare da sola con dei clienti Hanayaka san» fece scherzoso, con un lieve sorriso, cercando di tirarla su di morale. Lei rispose con un altrettanto debole sorriso. «Sei giovane sai? Vuol dire molto: troverai un modo per venirne fuori. Sei patologicamente timida e silenziosa, ma hai una pazienza stoica e una fermezza d'animo che credo nemmeno tu voglia notare in te stessa. Sono certo potresti stupirti da sola, vedrai che ce la farai» le disse per incoraggiarla, ma senza sorriso: molto seriamente. «Anche lei sensei» disse Kokoro raddrizzando la schiena «Anche lei ce la farà. Perchè le è sempre piaciuto creare dolci, perchè non è più lei se non ha una vita piena e perchè ama la sua famiglia»
«Ti ringrazio» ridacchiò allora «Adesso rientriamo, prima che pensino che faccia qualcosa di strano con la mia studentessa preferita. Hanayaka san, devi trovarti un bravo ragazzo e portarlo al prossimo ritrovo» scherzò avviandosi verso la porta
«Ce l'ho già il ragazzo» rispose lei d'istinto «Ma la gente normale lavora a quest'ora, mica come noi disperati» aggiunse poi scherzando, mentre lo seguiva all'interno.

Erano le undici di sera quando Aiba riuscì finalmente a tornare a casa. Sul lavoro avevano tirato per le lunghe e poi si erano fermati a chiacchierare. Non era particolarmente stanco, ma non aveva nemmeno voglia di cucinarsi niente. Salì le scale del condominio dove si trovava il suo appartamento, a Roppongi, cercando di ricordare cosa avesse in frigorifero o nella dispensa e pensare così ad un menù accettabile e rapido per la cena, poi, arrivato al pianerottolo, si bloccò con un piede ancora sul gradino precedente. «Ehi» salutò Kokoro, alzando una mano ed agitandola leggermente. Aveva poggiato la schiena contro il muro, a fianco della porta di casa sua, e teneva una sacchetto della spesa tra le mani. Non si era seduta a terra perchè era vestita troppo elegante per farlo. «Che sorpresa...» farfugliò lui squadrandola inebetito «Non ti aspettavo, non ti sei vestita così per me vero?» le domandò
«No, devo ammetterlo: non è per te» annuì lei con un sorriso, staccandosi dalla parete «Torno da un party e sulla via del ritorno, dato che ero a Tokyo, ho pensato di passare a trovarti. E' un po' che non ci vediamo» spiegò abbassando lo sguardo imbarazzata. Aiba la trovava carinissima nel vestito bianco e celeste che indossava e lì per lì si pentì di non averla più ricontattata dopo il loro ultimo incontro. «Sì è un po'» riuscì solo a rispondere. Sentì che i muscoli delle spalle gli si erano improvvisamente irrigiditi per la tensione. «Ho... ho fatto la spesa. Posso cucinarti qualcosa?» chiese lei lentamente, come se soppesasse con attenzione le parole da usare. Sicuramente ricordava come lui l'aveva sgridata l'ultima volta che si erano visti e forse ora si sentiva in colpa, per quello cercava di farsi il più piccola possibile davanti ad Aiba. Il ragazzo ridacchiò sommessamente: gli era mancata tantissimo in quei giorni di silenzio tra loro, più di quanto avesse immaginato. «Ma come fai?» domandò aprendo la porta
«A fare cosa?» chiese confusa
«A comparire sempre al momento giusto e con la soluzione a tutti i miei problemi: mi stavo chiedendo cosa fare per cena dato che non ho nulla» rispose entrando in casa ed accendendo la luce «Scusa il disordine, non aspettavo nessuno». In realtà non era così in subbuglio quell'appartamento: era suo ma ci passava ben poco tempo, perchè quando ce l'aveva scappava a Chiba dalla sua famiglia. «Non importa. Posso chiederti un cambio? Non mi sembra il caso di cucinare con un vestito di seta» chiese lei mentre si slacciava il cinturino delle scarpe col tacco «Per favore» aggiunse non appena salì il gradino di casa, con un lieve inchino
«Non devi essere così formale sai?» fece Masaki prima di avviarsi in camera per cercarle qualcosa. Ci mise un po' a scegliere quale maglietta darle, ma ancora di più a trovare un paio di pantaloni «Mi sa che gli unici che ti stanno con la cintura stretta al massimo sono i bermuda di jeans. Te li ho lasciati sul letto in camera, provateli» spiegò tornando verso l'ingresso dove lei lo aspettava docilmente. Altre volte si era messa a gironzolare per casa come fosse sua, ma quel giorno sembrava volersi proprio comportare da ospite. La fissò mentre entrava in camera sua e socchiudeva la porta. In parte gli faceva tenerezza quell'atteggiamento, ma in parte lo rattristava: gli dava l'idea di avere un muro tra loro, una barriera che non era abituato ad alzare con Kokoro e che non faceva altro che aumentare la sua tensione. Svuotò il sacchetto della spesa sul tavolo chiedendosi quale fosse il reale motivo che l'aveva portata fin lì dopo tutti quei giorni, poi, non vedendola ricomparire, tornò verso la stanza. «Ehi, tutto ok?» domandò bussando lievemente prima di entrare
«Sì... cioè... mi cadono anche con la cintura» spiegò lei girandosi. Masaki trattenne a stento una risata «Sembri un topo nel vestito di un elefante» ridacchiò appoggiandosi allo stipite
«Ti stai dando del ciccione? E non ridere» lo rimbeccò aggrottando le sopracciglia mentre si teneva i pantaloni con le mani perchè non cadessero. «Ehi, ehi smettila! Non sei affatto carino!» si sedette sul letto a una piazza e mezzo liberando così le mani «Non hai una tuta? Forse l'elastico dei pantaloni sportivi è più stretto» sospirò
«Va bene» annuì cercandoli nel cassetto «Però sei buffissima così»
«Ti ho detto smettila!» esclamò lei lanciandogli un cuscino sulla schiena «E io che ho pensato di farti il kara-age... è così che mi ringrazi?»
«Sul serio?» domandò raggiante, dandole dei pantaloni grigi «Ti adoro»
«No, adori il kara-age» lo corresse lei «E ora fuori: mi cambio e arrivo».
Masaki si concesse una doccia mentre Kokoro preparava da mangiare, era il miglior modo di togliersi addosso la stanchezza della giornata e rilassarsi. Normalmente non l'avrebbe lasciata da sola a cucinare, le aveva sempre fatto compagnia, ma quella era una serata strana. Si comportavano normalmente, ma era teso e sapeva che avrebbero affrontato un discorso importante prima o poi. Dall'ultima volta che si erano visti era passata più di una settimana e si era reso conto che doveva essere stata la prima volta che Kokoro si era scontrata con la dura realtà: lui era il ragazzo indaffarato che tornava a casa la sera stanco, da accudire e coccolare sì, ma il più delle volte era un personaggio famoso che condivideva la maggior parte della sua vita con altre persone -non solo uomini-, con cui bisognava far attenzione a come comportarsi in pubblico e una relazione con lui non andava presa alla leggera. Mentre spegneva l'acqua della doccia e ascoltava l'improvviso silenzio calato nel bagno pieno di vapore bianco, per la prima volta, pensò a come sarebbe stato diverso tra lui e Kokoro se lui fosse stato una persona qualsiasi. Nell'asciugarsi però ebbe nuovamente la certezza che, se quella sera si fosse trovato davanti ad una scelta, la sua risposta sarebbe stata sempre la stessa, senza alcun dubbio. Anche se avesse significato troncare il loro rapporto.
Quando entrò in sala, con indosso anche lui una tuta, l'odore leggermente speziato del kara-age gli fece venire l'acquolina in bocca. Si sedettero a tavola e cominciarono a mangiare in silenzio. «A che party sei stata con quel vestito?» domandò dopo un po' Aiba per sciogliere l'evidente tensione che c'era nell'aria
«Un aperitivo di ex alunni nella mia scuola di Yokohama» rispose Kokoro «Sono tornata alle dieci e qualcosa a Tokyo, era tardi e ci avrei messo tanto ad arrivare a Chiba così ho pensato che tanto valeva passare a farti un saluto»
«Ti stava bene quel vestito» le disse dopo aver mandato giù un pezzo di pollo croccante
«Grazie» rispose arrossendo
«Quanti ex compagni ci hanno provato con te?» domandò, ma se ne pentì il secondo successivo «Volevo dire...»
«So cosa volevi dire» lo interruppe la ragazza. Aiba non disse nulla, tenendo la punta della forchetta tra le labbra e abbassando lo sguardo sul piatto del kara-age. «Lo sai che non sono brava a parlare con la gente. Ho solo incontrato il mio professore di pasticceria»
«Una volta me ne avevi parlato» annuì Masaki
«Quando abbiamo visto "Chocolat"» sorrise Kokoro «Abbiamo parlato a lungo. Lo hanno licenziato, non se la sta passando bene... un po' come me»
«Ma... hai fatto avanti e indietro da Chiba a Yokohama? Sarai distrutta» chiese d'improvviso lui
«Avrei voluto, ma sarebbe stato troppo stancante, così sono partita ieri e ho dormito una notte dalla mia famiglia»
«Com'è andata con loro?» alzò lo sguardo a fissarla, preoccupato
«Avrei preferito non stare da loro» rispose stringendosi nelle spalle
«Ti senti ancora in colpa?» domandò addolorato
«Dato come stanno andando le cose ora direi che mi sento anche peggio» rispose secca la ragazza. Aiba finì il pollo nel piatto senza aggiungere altro. Sapeva del senso di colpa che Kokoro provava per aver lasciato la sua famiglia e aver cercato lavoro a Tokyo. Aveva lasciato che sua sorella si occupasse da sola di sua madre lasciandole come unica soluzione il rimanere a vivere in casa loro per accudirla, senza potersene andare perchè era già lei ad allontanarsi. Nessuno gliel'aveva fatto pesare in casa, ma a lei era costato coraggio e si era sentita egoista: ora che il lavoro trovato lì non stava andando nemmeno tanto bene doveva essersi sentita ancora peggio. Sparecchiarono in silenzio finchè la ragazza non lo afferrò per la manica della maglietta a maniche corte. «Devo parlarti» disse con voce flebile. "Ci siamo" pensò Masaki chiudendo il frigo dopo averci rimesso la bottiglia d'acqua. «Ci mettiamo alla finestra? Preparo il te e arrivo, mi aspetti lì?» propose. Il suo balcone dava su una viuzza pedonale molto frequentata di Roppongi, con tanti piccoli locali e qualche pub tradizionale, così loro si erano messi spesso a chiacchierare seduti a terra, sul pavimento della sala, e le gambe distese sul balcone, guardando di sotto. Mentre preparava la bevanda il ragazzo si rese conto di muoversi lentamente solo per perdere tempo. "E' perchè ho paura... non l'ho chiamata e non le ho scritto per timore di questo momento. Se questa è l'occasione in cui mi dirà di volermi bene, ma di non poter sopportare una relazione con me.. beh, sarebbe la fine della nostra relazione" pensò versando l'acqua calda. Prese con sè le tazze di te e la raggiunse sul balcone, trovandola nella solita posizione. Si stava avvicinando l'autunno e quella sera faceva più fresco del solito, così si era messa la coperta del divano sulle spalle. «Di cosa volevi parlare?» le domandò subito, sedendosi al suo fianco dopo aver spento la luce del salotto
«Ho avuto un'idea durante il viaggio di ritorno da Yokohama» gli spiegò. Aiba scrutò il suo profilo, illuminato solo dai riflessi delle luci della strada sotto di loro. «Non sono pronta a lavorare in una pasticceria da sola, ma non voglio far fallire il negozio della Maestra» cominciò a spiegare «Ho bisogno di una mano, sarebbe sciocco non ammetterlo, quindi credo che chiederò a Shimizu sensei di lavorare per me» spiegò in tono deciso, girando la testa per guardare Masaki negli occhi «Lui è molto bravo, molto esperto, mi fido e abbiamo un buonissimo rapporto. Lo stimo tanto e non sopporto che una persona di così grande talento e così buona debba passare un periodo tanto brutto senza aver fatto niente di male. E poi è uno che con le persone ci sa fare. Mi occuperò io di mantenere la produzione in linea con il lavoro che ha sempre fatto la Maestra e sono certa che lui sarà abilissimo a capire come funziona il negozio. Le clienti lo adoreranno, lo hanno sempre adorato tutti» continuò a spiegare «E' perfetto: non dovrei più fare tutto da sola e avrei nuovamente un collega abile al mio fianco. Lavorerà con passione ed energia, non solo perchè ha bisogno di un posto e di soldi, ma anche perchè questo è sempre il suo campo. Non è un pasticciere che va a fare il benzinaio, è un uomo che continua a fare ciò che più adora nella sua vita. Sono sicura che accetterà»
«Sei sicura?» domandò Masaki confuso: non era esattamente il discorso che si aspettava di affrontare. «Mi sembra di capire che sia anche una persona orgogliosa: accetterà di ricevere pietà da una sua ex alunna?»
«Accetterà» annuì «Non glielo chiedo per pietà nei suoi confronti, ma per disperazione: non posso andare avanti, non ce la faccio da sola. Ho bisogno di lui. Se si pensasse che io provi pietà per lui nel offrirgli il lavoro allora si potrebbe anche dire che lui accetterà per pietà nei confronti di una sciocca inesperta. Le clienti apprezzano le modifiche ho fatto al negozio, vedono gli sforzi che ho fatto per portare avanti una realtà a cui erano affezionate, ma se non riesco a continuare allora non potrò più rispondere alle loro esigenze e finiranno con l'abbandonarlo. Sono arrivata fin dove potevo da sola, ma non credi che a volte fare del proprio meglio significhi anche riconoscere quali sono i propri limiti?»
«Sì... sei stata brava finora» annuì lui con un sorriso tirato «Era questo che volevi dirmi?»
«Sì, volevo sapere cosa ne pensavi. Se ti andava bene» spiegò prendendo un sorso di te e tornando a guardare verso la strada
«E' il tuo lavoro, perchè chiedi a me il permesso?» domandò sorpreso
«Perchè... lavorerei con un uomo e non voglio che tu sia geloso» spiegò lentamente
«Tu... tu ti preoccupi per me?» fece incredulo «Io pensavo volessi lasciar perdere» sospirò appoggiandosi agli infissi della portafinestra, sollevato
«Lasciar perdere cosa?»
«Me! Noi... tutto» spiegò scuotendo il capo «Credevo mi avresti lasciato»
«Se quelle fossero state le mie intenzioni pensi che ti avrei cucinato la cena?». Aiba si girò a fissarla, interdetto. «Oh. Sì, è vero. Non ci avevo pensato» ammise sbattendo le palpebre.

Kokoro soffocò una risata contro il braccio. Risero di nuovo, insieme. Le era mancata quella risata e la sbadataggine tipica di Aiba.
Quando smisero bevvero ancora qualche sorso in silenzio, ascoltando i motorini che passavano, i passi delle persone che attraversavano la strada finchè non entravano in qualche locale. «Hai fatto bene a sgridarmi l'altro giorno. Mi ha sgridato anche Erina» spiegò dopo un po' «L'errore è stato mio e mi sono meritata tutto quello che mi hai detto. Ho mal interpretato il tuo atteggiamento, tu hai agito avendo cura del nostro rapporto e io ho temuto ti stessi stufando di me solo perchè una persona qualsiasi mi ha suggerito questa possibilità. Ho agito senza parlarti, senza chiederti una conferma, ma ascoltando una sconosciuta: non è così che devo fare, vero? Devo avere fiducia, ora l'ho capito. Scusami se mi sono comportata in maniera tanto stupida» disse chinando il capo.
«Non c'è bisogno che ti scusi ChibiKo» mormorò lui piegandosi a cercare il suo sguardo «Il fatto stesso che tu abbia pianto dopo il tuo errore era segno che avevi capito. Ho solo temuto di aver esagerato quando ho visto che non ti facevi più sentire»
«Mi vergognavo troppo... e poi ho pensato fossi ancora arrabbiato, aspettavo una scusa qualsiasi per tornare a sentirti»
«E la tua scusa è saltata fuori oggi?» domandò con un sorrisino
«Più o meno» annuì «Tu hai ascoltato tutti i miei problemi in questi mesi, oggi ho trovato una possibile soluzione e ho pensato subito di venire a dirtela. Era giusto che la sapessi, volevo sentire il tuo parere» spiegò guardandolo in viso. Era il momento di dirgli tutto ciò che aveva capito su di lui durante quel periodo di lontananza tra di loro. «Mi hai ascoltato, mi hai sostenuto, mi hai sopportato. Questi giorni senza di te sono stati così tristi... ho capito quanto averti con me sia importante: mi piace il tuo sorriso, è bello immaginarlo, ma ancora di più vederlo. I tuoi sorrisi mi hanno sempre aiutato tanto. La tua presenza lo ha fatto: sei il mio ragazzo, ma sei anche una presenza speciale al di là di quello che provo per te. Non riesco a pensare di non averti più con me o di voler un altro, per me sei insostituibile»
«No, sei tu che sei insostituibile» la interruppe Aiba accarezzandole una guancia «Sei una persona come non ne ho mai avute nella mia vita. Sei tanto diversa eppure ti sei gradualmente inserita nei miei ritmi e nelle mie giornate senza mai arrenderti davanti a nessuna difficoltà. Come potrei non scusare un errore a qualcuno che ha la pazienza di vivere simili esperienze e non dire "questo è troppo per me"? Tu hai continuato a sopportare me e la mia vita»
«La fai suonare male» farfugliò Kokoro socchiudendo gli occhi, crogiolandosi nella sensazione della calda mano del ragazzo che le toccava il viso
«No, no, ascoltami» le disse appoggiando la fronte contro la sua «Ogni giorno mi passano davanti agli occhi tante persone, vado in tanti luoghi, faccio tanti lavori, ma quando penso a te... beh, so dove trovarti, so che mi basta un'ora di macchina e tu sarai esattamente dove ti cercherò a fare proprio ciò che immagino: dare un po' di felicità agli altri con un semplice sorriso, una gentilezza e un dolce. Ecco... diciamo che in un mare in tempesta tu saresti la mia boa. Anzi no! Sei un faro sì. E non ridere» la rimproverò prendendole il viso tra le mani «Non sono tanto bravo a parole, lo sai» borbottò e riprese a parlare solo quando lei annuì tornando a seria «Non voglio che ti arrendi con me. Non voglio che mi lasci, perchè tu sei parte delle mie certezze: pensare a te mi dà la tranquillità e la calma di cui a volte ho bisogno e non so dove cercare. Tu sei preziosa... sei tu quella insostituibile»
«ChibiMasa» disse Kokoro mettendo le proprie mani sulle sue «Ti bacerei, ma tu mi insegni che sul balcone non è la cosa migliore da fare»
«A questo servono le luci spente: è troppo buio» le sussurrò prima di baciarla per primo. La ragazza prese la coperta che aveva sulle spalle e lo abbracciò al collo per coprire anche lui, mentre rispondeva al suo bacio con passione. Dopo i primi attimi però Masaki si staccò dalle sue labbra ridendo sommessamente. «Cosa? Che c'è?» domandò Kokoro confusa
«Scusa, scusa» farfugliò lui tra le risate tornando ad appoggiare la fronte contro la sua «E' che sono felice e non riesco a trattenermi» riuscì a rispondere prendendo fiato
«Che scemo che sei» sospirò la ragazza mettendosi a ridere, contagiata
«Sono il re di scemolandia, l'hai dimenticato?» le domandò «E tu sei la regina»
«Ah la regina, è vero» si ricordò d'improvviso di quello stupido discorso che avevano ripreso più volte in quei mesi, ma non ebbe tempo di formulare una frase da dirgli in risposta perchè Aiba la afferrò per i fianchi e la fece sedere a cavalcioni sulle sue gambe. «E tu vuoi essere la mia regina, vero?» le domandò guardandola negli occhi. La ragazza lo fissò a sua volta, trovandosi più in alto di lui. Gli accarezzò le guance, sorridendo. "Certo, sarà stato con altre donne: attrici, modelle, più belle di me, più comprensive, più simili a lui... ma posso stare sicura che non abbia chiesto a nessuna di loro di essere la regina degli scemi con lui" pensò tra sè mettendosi ancora a ridere. «Perchè ridi? Cosa ho detto?» domandò incuriosito Masaki
«Niente» rispose lei scuotendo il capo e dandogli un bacio sulle labbra «Sono la tua regina. Per cosa potrei mai ridere se non per una scemata?»
«Hai ragione anche tu» annuì stringendola a sè e baciandola ancora. Rimasero così per alcuni minuti, dimenticandosi di qualsiasi altra cosa al mondo, anche di essere per metà all'esterno, sul balcone, finchè non finirono a cercarsi e toccarsi a vicenda con sempre maggior trasporto. «ChibiKo...» lo sentì sussurrare con voce strozzata, mentre lei era intenta ad accarezzargli il collo con le labbra
«Mh?» riuscì solo a mugugnare. La testa le girava leggermente e agiva spinta da un'eccitazione crescente. «A questo punto... non qui» spiegò Aiba schiarendosi la voce «Non è il caso, no?»
«Mh» annuì lei serrando le labbra per trattenersi dal fare qualsiasi cosa e trovare la forza di alzarsi in piedi. Il ragazzo fece lo stesso una volta che lo lasciò libero dal suo peso e la prese per mano. Richiuse la finestra e lanciò la coperta di nuovo sul divano prima di condurla verso la sua stanza. Si fermò sulla soglia girandosi a guardarla «Sei sicura?» chiese. Era visibilmente teso ed era comprensibile: tutte le volte che aveva tentato un passo in quella direzione Kokoro lo aveva assecondato e poi bloccato, ma quella volta era diverso. Non c'era un motivo preciso che lo rendesse tale, semplicemente sentiva che quel desiderio era nato in entrambi in maniera del tutto naturale e nello stesso momento. Per una volta lei lo aveva provocato e lui aveva fatto lo stesso, arrivando insieme a quel momento. Forse era una maniera troppo romantica di intendere un rapporto sessuale con qualcuno, ma era così che voleva accadesse con Masaki, almeno la prima volta. La ragazza strinse la sua mano ed oltrepassò per prima la soglia della camera da letto, tirandolo dentro con sè.

«Masaki.... Masaki» si sentì richiamare. Aprì gli occhi lentamente, trovandosi il viso di Kokoro davanti al proprio. Non aveva tirato le tende la sera prima, ma era ancora mattina presto quindi la luce non era forte. «Nh... cosa?»
«Il tuo cellulare... ho risposto per sbaglio» mormorò la ragazza «Non so chi sia» spiegò arrossendo. La notizia lo svegliò d'improvviso, se la persona sbagliata avesse sentito una donna rispondere al suo cellulare a quell'ora del mattino avrebbe avuto dei guai. «Pronto?»
⎨Te lo ricordi che stamattina abbiamo un servizio?⎬domandò una voce dall'altra parte dell'apparecchio
«Mmmh, sì. Ora sì» rispose Aiba più tranquillo: era Jun
⎨Per fortuna che ti ho chiamato⎬sospirò l'amico⎨So che lo sai, ma io te lo ripeto perchè sono tuo amico: al tuo cellulare devi rispondere tu, sarebbe stato un guaio se da questa parte ci fosse stata la persona sbagliata invece di un tuo amico già al corrente dei fatti⎬
«Hai ragione: lo so, ma fai bene a ripeterlo. Faremo più attenzione» annuì il ragazzo passandosi una mano sugli occhi
⎨Spero che tu abbia dormito almeno tre o quattro ore Aiba chan, ma immagino che lo capirò dalla tua faccia quando ci vedremo⎬disse divertito⎨A dopo⎬ e riattaccò.
Jun era un tipo discreto, se avesse chiamato quell'impiccione di Nino probabilmente lo avrebbe sgridato e avrebbe fatto battutine acide tutto il giorno. Matsujun non avrebbe detto niente a nessuno e non avrebbe accennato alla cosa. «Non dovevo rispondere, scusa, scusa, scusa» disse subito Kokoro unendo le mani davanti al viso «Mi è venuto istintivo per spegnere la suoneria»
«Non importa» mormorò stringendola a sè con un sospiro «Ti ho sgridato, ma anche io non mi sto dimostrando attento» disse con preoccupazione «Seriamente, dobbiamo alzare la soglia di attenzione al massimo»
«Sì, lo farò» annuì la ragazza. Jun aveva di che preoccuparsi, erano le cinque del mattino e Aiba non aveva dormito molto. Quella notte con Kokoro era stata più lunga del normale, perchè dopo tanto tempo non si era più trattato di sesso e basta, ma aveva letteralmente "fatto l'amore" con lei. C'era stato molto sentimento in ogni loro gesto e non era stato solo eccitante, ma anche bello e divertente, tanto da spingerli a prolungare il più possibile quei minuti. Si erano messi a dormire sotto le lenzuola del suo letto poco meno di due ore prima, dopo essersi rimessi almeno la biancheria e una maglietta e ora avrebbe voluto tornare a dormire per poi svegliarsi dopo qualche ora, ancora con la sua ragazza tra le braccia. «Dobbiamo alzarci» disse invece lei «Tu devi andare, e io pure. Devo tornare fino a Chiba e preparare il negozio»
«Prendi un taxi?» le domandò
«E' più veloce. Ti spiace se per oggi non preparo io la colazione?» chiese dandogli un bacio sulla punta del naso
«Ma ho fame» si lamentò senza volerla lasciar andare nonostante lei si stesse muovendo per uscire dalle lenzuola
«Se mi lasci andare mi vesto e vado a prendere qualcosa in strada»
«C'è una caffetteria all'angolo. Macchiato al cioccolato, senza cacao. Grazieeee» mugugnò sciogliendo l'abbraccio e mettendosi a pancia in giù. Ascoltò il frusciare dei vestiti per qualche secondo poi aprì pigramente gli occhi e osservò il corpo della sua ragazza mentre si toglieva la maglietta usata come pigiama e rimetteva il vestito della sera prima. Non le disse niente, semplicemente rimase a fissarla e la lasciò uscire dalla stanza. Si sarebbe concesso ancora due minuti di pigrizia, indugiando sui ricordi della sera prima, poi avrebbe cominciato a prepararsi anche lui

*i juku sono le scuole di preparazione o quelle con corsi di ripetizione


Ok, ok... finiti gli esami, finito quasi tutto. E' ora di rimettersi a scrivere. Spero il capitolo sia venuto bene, non è facile riprendere il filo di una storia così lunga. Si ricominciaaaa *O*

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Capitolo 43
*** 42. Oh Simple Things where have You gone? ***


Una delle cose che più lo infastidivano nella vita era svegliarsi e dimenticare immediatamente cosa stesse sognando. Ciò che lo aveva strappato al sonno era stata la suoneria del cellulare. Alzò la mano al di sopra della propria testa e recuperò l'apparecchio sulla mensola, tastando ad occhi chiusi. «Pronto?» bofonchiò più addormentato che sveglio
⎨Mh, ottimo. E' così che rispondi alle sue chiamate?⎬domandò la voce dall'altra parte. Sho aggrottò le sopracciglia e allontanò il cellulare dall'orecchio per vedere sul display di chi fosse il numero: era Erina, eppure non era con lei che aveva parlato. «Ma chi è?» domandò confuso
⎨Ah, ora ho capito⎬ sospirò la donna al telefono⎨Hai fatto le ore piccole e stai ancora dormendo, dato che è il tuo giorno libero⎬
«Sei Hang san? La coinquilina di Erina?» domandò passandosi una mano sulla faccia
⎨Pin - pon! Risposta esatta. Ora fammi il piacere di vestirti e presentarti a casa nostra entro tre ore⎬
«Perchè?» domandò richiudendo gli occhi
⎨Come "Perchè"?⎬
«Sì, dammi una valida ragione. Mi hai riempito di insulti l'ultima volta che ci siamo visti: perchè mai dovrei scattare ad un tuo ordine?»
⎨Hai ragione, non venire, ho bisogno di una mano con Erina: quel pappamolla di Fujimiya san non mi piace, ma è un uomo tutto d'un pezzo che sa prendersi cura delle persone intorno a sè, quindi chi meglio di lui se voglio un aiuto? Oh. E se non ti fosse chiaro: sono ironica. Muoviti e non fare tardi⎬
«Sì.. va bene, va bene... ma guarda che non sono un cagnolino che risponde ai tuoi comandi, lo faccio solo perchè è una situazione d'emergenza» le spiegò in tono ostile, tanto quanto quello che lei stava usando con lui
⎨Sei ancora lì a dar fiato alla bocca?⎬ concluse prima di riattaccare. Anche Sho interruppe la chiamata e tirò il cellulare dall'altra parte del materasso, con un sospiro frustrato. Richiuse gli occhi e sospirò infastidito: quella non era stata la sveglia migliore che potesse avere, non nella sua due giorni di libertà. L'agenzia glieli aveva concessi perchè poi sarebbe partito per l'inizio delle riprese del nuovo film. Avrebbe cominciato un mese difficile: tre giorni di riprese sul set, nella cittadina di Matsumoto, e quattro a Tokyo per portare avanti gli impegni settimanali con il gruppo. Sarebbe stato un Ottobre da incubo e il suo relax prima dell'inizio di quella spirale d'impegni era stato avviato da una telefonata acida da parte della rivale in amore più improbabile a cui avesse mai pensato. «Nii san» si sentì richiamare da una vocina. Lentamente riaprì gli occhi e battè le palpebre un paio di volte per riabituarsi alla luce. Davanti a sè vide la faccia sorridente di suo fratello: per poco non si prese uno spavento. «Aaaah... Shu» sospirò girandosi dall'altra parte e cercando con le mani il lenzuolo per tirarselo addosso. Il ragazzino non disse niente e il secondo dopo, ancora agitandosi per cercare la stoffa, Sho cadde di sedere dal letto: stava dormendo sul bordo del materasso. Il fratello scoppiò a ridere e si rialzò in piedi «Guarda che la mamma sta preparando un pranzo di tutto rispetto solo per te, faresti meglio a svegliarti» gli fece notare sedendosi alla sedia della scrivania
«Ahiiii... che botta...» borbottò lui stendendosi stancamente sul pavimento in legno e osservando il soffitto
«Perlomeno eri ancora steso in una posizione normale» annuì l'altro «Mi aspettavo di vederti per metà fuori dal letto, come al solito. Devi essere proprio stanco». Shu smise di sorridere e osservò il fratello maggiore con apprensione: lo aspettava un mese pieno, ma anche la settimana che era appena trascorsa non era stata migliore. Aveva dormito ben poco i giorni precedenti, un po' per il lavoro e un po' per la storia di Erina, così quella mattina le occhiaie dovevano essere ben visibili e i suo fratellino non poteva fare a meno di preoccuparsi vedendolo così. Sho se ne accorse e fece un sorriso sbilenco passandosi la lingua sui denti prima di farla schioccare. «Beh? Cos'è quella faccia?» domandò stiracchiandosi
«Ti ho preparato le cose per fare la doccia» gli disse Shu, senza realmente rispondere
«Si?» chiese illuminandosi e scattando subito a sedere, nonostante il dolore all'osso sacro
«Mh» annuì «Vado a prendere qualcosa da bere al conbini per questo pomeriggio, devo prenderti qualcosa?» fece alzandosi dalla sedia e tendendogli la mano
«Nnnnnno...» fece pensieroso, accettando l'aiuto che gli veniva offerto e tirandosi in piedi dal pavimento «Hai già fatto abbastanza direi. Ci siamo tutti a pranzo?» chiese sorridendogli
«Tutti. Mai è appena tornata dal suo viaggetto con le amiche» annuì quello. Entrambi uscirono dalla stanza, quindi si salutarono ed ognuno andrò nella sua direzione -rispettivamente: doccia uno e conbini l'altro. Shu non aveva risposto, ma era chiaro che era preoccupato per lui. Le sue giornate erano così ogni anno che facevano dei tour (e quell'anno si aggiungeva il film), ma nonostante questo non riusciva a non angustiarsi ogni volta.
Sho si fece una doccia in fretta: non lo aveva ancora detto ma non ci sarebbe stato per pranzo, nonostante quella sarebbe stata la prima volta dopo tanto tempo che tutta la famiglia si sarebbe riunita a tavola. Nei periodi più intensi gli mancavano quei momenti, ma più di tutti gli mancavano quelle due pesti dei suoi fratelli. Non che non volesse bene anche ai suoi genitori, ma il rapporto che legava i tre figli era qualcosa di unico e prezioso per lui. Data la differenza d'età -Mai era più giovane di cinque anni, Shu ben di tredici- in passato si era occupato di loro come se fosse stato un terzo genitore per loro. Eppure insieme era anche un fratello, un ragazzino anche lui, con la voglia di divertirsi e spensierato, anche se aveva dovuto imparate molto presto ad essere responsabile. L'ometto di casa. Tra loro non c'era contatto fisico, cosa invece normale tra fratelli e sorelle, ma c'era invece una leggera distanza che sottolineava il rispetto, la riconoscenza (e forse anche la devozione e l'ammirazione) per il fratello maggiore, ma al tempo stesso c'era tutta l'intimità che hanno tra loro i compagni di giochi. Ad esempio: non c'era fidanzato di Mai di cui lui non avesse saputo, e lo stesso valeva per Shu, anche se aveva cominciato ad interessarsi alle ragazze solo di recente; e questo non perchè Sho si impicciasse, ma perchè i fratelli sapevano del suo buonsenso così come del fatto che potevano raccontargli tutto senza essere troppo giudicati come invece temevano avrebbero fatto i genitori. Si scusò mille volte con loro, con la madre, con il padre, ma non poteva rimanere. Gli scocciava rinunciare ad un simile momento per via di una donna, ma era anche vero che se non fosse andato avrebbe potuto rimpiangerlo e forse ci avrebbe pensato per tutto il pranzo, senza poter dare la dovuta attenzione agli altri. Inoltre, se quella era la volta buona in cui avrebbe chiarito tutto valeva la pena andare: magari avrebbe chiuso definitivamente una possibile storia con Erina e da quel giorno in poi tutto il suo tempo libero sarebbe stato esclusivamente per la famiglia.
Arrivò due ore e mezza dopo la telefonata e fu la cinese ad aprirgli la porta. Lo fece entrare ed accomodare al tavolo della cucina mentre lei chiuse tutte le porte, in perfetto silenzio, accese la televisione e la lasciò a basso volume, quanto bastava per creare un lieve brusio in sottofondo alle loro voci. «Allora, che vuoi?» domandò Sho ostile. Non aveva nemmeno visto Erina, che doveva essere in camera o la coinquilina non si sarebbe premurata tanto perchè non potesse sentirli. «Venti minuti del tuo tempo» rispose lei sedendoglisi davanti
«Ti ho già dato due ore e mezza e un pranzo in famiglia come me ne capitano di rado, ma sarò magnanimo» sospirò Sho con aria di rassegnazione. La cinese lo scrutò in viso per qualche minuto, poi abbassò lo sguardo, con gli occhi lucidi. «Tu sarai magnanimo?» domandò piano «Credo tu non abbia idea di cosa significhi veramente esserlo, quella che si sta sacrificando oggi sono io, non tu. Ma non è colpa tua. L'ho sempre saputo che non avrei potuto fare niente: non dipende dal fatto che ci sia tu in questa stanza o un altro, dipende dal fatto che dall'altra parte del tavolo ci sono io» pronunciò fissandosi le mani, con le dita intrecciate tra loro «Conosco Erina da tanti anni. Per me è stata speciale fin dal primo momento e in parte ho deciso di trasferirmi in questo paese proprio perchè era quello in cui viveva lei. Però fin dai primi giorni in cui siamo uscite insieme ho capito che lei per me non avrebbe mai provato nessun sentimento più forte di quello dell'amicizia e così non le ho mai detto niente, non le ho mai lanciato nemmeno un indizio riguardo i miei sentimenti»
«Lei non sa...?» domandò Sho senza terminare la frase perchè Ying aveva già risposto scuotendo il capo
«E non deve saperlo. Per favore, non dirle niente»
«Non ci ho nemmeno pensato!» spiegò il ragazzo «Ma non... ecco, posso chiedertelo? Voglio dire, non è doloroso vivere con una persona che ti piace ma che non ricambierà mai?»
«I primi tempi, dopo diventa meno difficile. L'amore è affetto, di base, quindi non significa per forza desiderare qualcuno solo per sè. Per me significa anche proteggerlo, sostenerlo, essere al suo fianco quante più volte possibile. E così mi sono spesso illusa di essere riuscita a trasformare i miei sentimenti solo in un'amicizia speciale. Ogni tanto però capita qualcosa che sconvolge questo equilibrio e io mi rendo conto che non è vero: sono gelosa e protettiva con lei, più di una normale amica. Erina ha tanti difetti, tra cui il non saper scegliere bene le persone di cui si innamora: da quando la conosco si è invaghita solo di uomini sciocchi, non tanto diversi da quel Fujimiya». Sho avrebbe voluto commentare, ma non aprì bocca: la sua aggressività si era dissipata davanti al senso di impotenza che quella ragazza gli trasmetteva. «Ma so perchè lo fa: lei non è normale in questo paese, nessuno la tratta come tale nonostante sia nata e cresciuta qui. Voi giapponesi siete xenofobi il più delle volte volte e l'ho visto da come le persone trattano Erina in alcune occasioni. E' capitato quasi che trattassero meglio me, perchè sono a tutti gli effetti orientale e se non apro bocca sembro una di voi, mentre lei è lampante che non sia una giapponese pura. Eppure essere normale è proprio ciò a cui aspira. Mescolarsi nella folla, essere una delle tante e non venire notata. Così sceglie ragazzi banali e insipidi. La differenza sta nel fatto che ormai è un'adulta e Fujimiya sarà pure un uomo di poco spessore caratteriale, un giapponese medio, ma è affidabile, ci tiene a lei, è sincero. Impacciato e cretino, ma sincero» gli spiegò quasi senza nessun errore grammaticale nel discorso. Sho era colpito da tanta fluidità nel parlare la sua lingua da parte di una straniera, anche se rimaneva il fatto che aveva un accento cinese marcatissimo. Doveva essersi ripetuta quel discorso un paio di volte comunque, era troppo ben impostato per essere spontaneo. «Ai cretini degli anni precedenti mi ero opposta, convinta che Erina meritasse di più e spinta dalla gelosia, ma ormai siamo adulte entrambe e devo rassegnarmi all'idea che prima o poi troverà la persona che amerà per tutta la vita. Con Fujimiya sembrava la volta buona, non potevo esserne certa, ma mi ero ormai convinta a farmene una ragione. Poi, una sera di Luglio, è tornata a casa dopo il suo primo lavoro per un nuovo entusiasmante progetto e da quel giorno l'ho sentita parlare di te, di te, solo di te»
«Sai cosa c'è stato tra noi quindi?» domandò Sho, lievemente imbarazzato: poteva solo immaginare il grado di confidenza che dovevano avere le due coinquiline, quindi chissà quanti dettagli sui loro momenti più intimi doveva sapere! «In realtà no. Proprio per via di ciò che provo ho deciso di instaurare con lei un rapporto di fiducia e rispetto, certo, ma l'ho sempre scoraggiata dal considerarmi una sua confidente: avrei voluto essere speciale per lei, ma non potevo permettermelo perchè allo stesso tempo non volevo sapere delle sue relazioni con altri uomini» spiegò storcendo il naso «Quindi, no: non so i dettagli, ma ho saputo quanto bastava per arrabbiarmi. La confidente di Erina è Nomura Tomomi, la conosci no?» lui annuì «Quando Erina è tornata a casa sconvolta e in lacrime un paio di giorni fa volevo sapere e ho capito qualcosa dai successivi deliri della febbre, ma ho costretto Tomomi a raccontarmi altri dettagli. Ora, non ti ho chiamato qui perchè penso che tu sia finalmente il tipo d'uomo che lei merita, ma perchè da quel che ho capito quello che c'è tra voi è qualcosa che esiste da anni e che non avete dimenticato pur perdendovi di vista. Se mi mettessi in mezzo ora, impedendovi di chiarire, sarebbe fatica sprecata: potreste rivedervi tra dieci anni e ancora pensare l'uno all'altra. Quindi ti dò un'occasione per rimediare a quello che hai fatto. No, zitto!» gli intimò quando lo vide prendere fiato «Non usare le tue scuse con me, ma con lei. Da quel che ne so io ti sei comportato di merda, ma conosco anche quella ragazza e sono più che certa che avere a che fare con le sue convinzioni strane non sia del tutto facile, quindi avrà sicuramente la sua parte di colpe» concluse alzandosi dal tavolo con un profondo sospiro. Ying gli diede le spalle per andare in corridoio, e Sho non riuscì a guardarla in faccia, ma era certo di aver sentito tremare leggermente il suo sospiro in gola: se non stava piangendo aveva almeno le lacrime agli occhi. «Come sta Erina?» domandò
«E' a letto con la febbre. Ha smesso di delirare da ieri, ma sta ancora male» rispose la cinese trafficando in corridoio
«E secondo te io dovrei chiarire con una moribonda?» chiese alzandosi dalla sedia e raggiungendo la cinese. Stava spostando una valigia vicino alla porta d'ingresso. «E adesso che fai?»
«Ho un viaggio di lavoro di due giorni e una notte a cui non posso non partecipare. Ho visto sull'agenda di Eri che tu invece hai due giorni di vacanza, quindi sarai il più motivato ad occuparsi di lei perchè riacquisti abbastanza lucidità da seguire il discorso che le farai per scusarti e chiarirti» spiegò stringendosi nelle spalle mentre indossava un giacchino di jeans
«Come scusa?» fece il ragazzo strabuzzando gli occhi «Stai partendo e mi lasci qui da solo con lei?»
«Ma che ci trova in te? Sembri totalmente scemo, tutte le volte che ti parlo non capisci mai: guarda che sto parlando la tua lingua» spiegò storcendo il naso e squadrandolo da capo a piedi prima di prendere la valigia e mettersela a tracolla «Ah, già che ci sei ho lasciato dei piatti sporchi nel lavello e c'è il bucato da fare. Chiaramente non è la mia biancheria» spiegò mettendosi le scarpe e aprendo la porta «Però vedi di non fare il maniaco con le mutandine di Eri, sarebbe la volta buona che ti cancello dalla sua memoria. Ciao, ciao!» lo salutò apprestandosi ad uscire
«Aspetta» tentò di placcarla facendo per raggiungerla sulla soglia
«Che c'è? Sono in ritardo per colpa tua» sospirò la giovane, fingendosi scocciata. Sho la squadrò e deglutì a fatica. «Volevo ringraziarti»
«Oh, ti prego...» sbuffò quella alzando gli occhi al cielo
«E poi... poi...» aggiunse subito prima che lei tentasse di nuovo di andarsene senza averlo ascoltato «Hai detto che che Erina non prova nessun sentimento più forte dell'amicizia, ma io non credo che l'amore sia più forte dell'amicizia. I miei amici verranno sempre prima di chiunque altro e sono quasi certo che la stessa cosa è per lei. Tu sei importante per Erina, più di quanto non lo sia io» le spiegò rimanendo nell'ingresso di casa, fissandola seriamente «Non le sono stata vicina in questi anni in cui si è laureata e ha affrontato il mondo del lavoro con le sue sfide, le delusioni e le conquiste. Non ho idea di come i giapponesi trattino una ragazza diversa come lei e non sono in grado di descrivere i suoi pensieri e le sue convinzioni come fai tu». Sho le sorrise leggermente, un po' come si sorride ad un cane rabbioso per mostrarsi inoffensibi. «Chi è stato vicino ad Erina mentre da ragazza diventava donna sei stata tu, Hang san, e questo deve avere un significato profondo per entrambe, anche se non siete mai diventate intime confidenti. Tra me e alcuni compagni di lavoro è così, eppure darei qualsiasi cosa per la loro felicità e mi sono preziosi come fossero parte della mia famiglia». Ying lo guardò con gli occhi lucidi già da prima, ma strinse le labbra per trattenersi e non mettersi a lacrimare. La vide prendere un respiro profondo e stringere la mano sulla maniglia. «Ottimo discorso. Ricordati di separare i bianchi dai colorati» concluse prima di chiudere la porta. Sho fissò l'uscita dell'appartamento con gli occhi sgranati. Aveva capito quello che aveva voluto dirle con quel discorso? Forse sì, ma era troppo orgogliosa o ancora troppo scossa per dire qualcosa a riguardo. Rimaneva il fatto che la coinquilina di Erina lo aveva intortato con un bel discorsetto logico e commovente per poterlo poi schiavizzare e ricattarlo dandogli quell'unica possibilità per chiarirsi con la ragazza. «Ah!» esclamò la cinese riaprendo la porta d'improvviso «Se devi comprare qualcosa pagala di tasca tua, non c'è un soldo in casa. Le chiavi di riserva sono nella ciotolina lì, sul muretto e... non ti approfittare di lei solo perchè è malata» lo redarguì socchiudendo gli occhi con fare sospetto, poi sparì per la seconda volta.
Era diabolica!

Erina si passò un mano sugli occhi: Sakurai Sho era seduto al tavolo della sua cucina, con un copione aperto davanti a sè e alcuni fogli di appunti sparpagliati. Si tamburellava il naso con la punta della penna mentre leggeva. Lì vicino c'era la confezione del detersivo con il misurino a fianco. A parte quel dettaglio casalingo le sembrò di avere davanti nuovamente la prima visione che aveva avuto di Sho: nella biblioteca dell'università, il suo profilo bagnato dalla luce del sole mentre studiava un libro di economia. Il suo rivale di statistica. Anche per quello trovava difficile credere ai suoi occhi. "E' stato lui a dirmi di uscire dalla sua vita per sempre, quindi perchè dovrebbe essere nel mio appartamento?" riflettè umettandosi le labbra. Ad un certo punto il ragazzo si girò nella sua direzione e si accorse di lei. Alzò gli occhi fino ai suoi e la osservò in silenzio per qualche secondo, smettendo di muovere la penna. «Come ti senti?» le domandò, ma Erina non cambiò espressione e continuò a fissarlo, inespressiva. «Sai cosa odio dell'essere malati?» domandò a voce bassa, ma a se stessa, piuttosto sicura che quella persona al tavolo non esistesse realmente. «Il fatto che il pensiero che più ti assilla, si trasforma in sogno e continui a vedere sempre quella cosa anche mentre dormi. Poi ti svegli e dici "ora basta pensarci, altrimenti mi appare anche quando dormo", con convinzione. Cominci a pensare ad altro e... dopo un po' sei ancora lì, sullo stesso pensiero e con lo stesso sogno» sospirò e girò sui tacchi per tornare in camera, allungando le mani sulle pareti perchè ancora si sentiva un po' debole. «Non stai dormendo. Hang san è partita e al suo posto ci sono io» si sentì dire, alchè tornò a guardare in salotto, fermandosi sulla soglia della camera. «Oh» rispose solo, aggrottando le sopracciglia. "Oh... dunque è lì davvero" realizzò, troppo intontita per avere reazioni eccessive. «Ying mi ha promesso una mela» disse poi «Sai sbucciarne una?»
«Sì... certo che sì, che domande fai?» chiese Sho alzandosi dal tavolo «Te la porto in camera o ti siedi al tavolo? Non ti vedo bene in piedi». Erina annuì solamente e tornò in cucina, sedendosi dalla parte opposta rispetto a Sho. "Mi aveva detto di non farmi più vedere. E io mi ero ripromessa di non incontrarlo più, per non stare male. Cosa dicevo ieri a Ying? Ah sì, che voglio cambiare lavoro" cominciò a rimettere insieme i pezzi, cercando di riflettere nonostante fosse come se un gruppo di operai per la manutenzione del manto stradale stesse insistendo nel trapanarle il cranio. Il ragazzo le mise davanti una tazza fumante. «Hai bollito la mela?» domandò sempre con un filo di voce
«No, ma avevo fatto bollire dell'acqua e quando si è malati fa bene bere qualcosa di caldo» rispose lui prima di avviarsi verso il frigorifero, aprirlo e osservarlo in silenzio. «Ultimo cassetto in basso» spiegò Erina, quindi abbassò lo sguardo sulla superficie del te caldo davanti a sè. "Ho deciso che finito questo incarico con la JE cambierò ufficio. Ormai ho fatto un pasticcio troppo grande, non tornerei mai con Koji dopo quel che è successo, ma temo non riuscirei nemmeno più a rivederlo senza sentirmi male e senza ripensare a Sho. Sì. Mi ero ripromessa che pian piano avrei tagliato i ponti con tutto, ma non sembra possibile... perchè lui è qui?" si domandò ancora osservando la striscia di sole che tagliava l'aria dalla finestra socchiusa fino al tavolo. Terminava poco dopo la sua tazza e il vapore saliva bianco e leggero illuminato da quella lama di luce. Avrebbe voluto fare quella domanda direttamente a Sho, ma aveva paura della risposta. Tante cose con lui erano accadute d'improvviso, cogliendola alla sprovvista, cose positive e non, ma ormai aveva paura perchè l'ultima era stata la più negativa di tutte e temeva cambiamenti più terribili in futuro. Per quello era rimasta zitta quando si era resa conto che Sho era veramente lì. Si convinse a rimanere in silenzio: mangiare la mela, bere il te e tornare in camera, in silenzio. Se lo avesse ignorato tutto sarebbe finito presto.
Chissà quanti minuti dopo, finalmente lui le posò davanti agli occhi un piattino con sopra gli spicchi di mela tagliati: li aveva sbucciati come dei coniglietti*. Erina li osservò meravigliata e l'attimo dopo scoprì di avere le lacrime agli occhi: quello era stato un gesto carinissimo che, se solo fossero stati insieme, avrebbe apprezzato tantissimo, ma in quel momento non lo capiva e le dolcezza di quella mela sbucciata sembrava solo ferirla. «Non dovevamo più vederci» riuscì a dire con voce tremante
«E' vero» confermò Sho sedendosi davanti a lei, senza aggiungere altro. Rimase in attesa di un eventuale aggiunta, ma il ragazzo non disse altro, così si decise a prendere uno spicchio e a rigirarselo tra le dita per guardarlo, nel tentativo di distrarsi e non piangere sul serio. "Respira ora. Respira. Non sei una ragazzina: abbi la dignità di non versare lacrime in sua presenza" si impose tirando su con il naso. «Perchè sei qui?» domandò dimenticando che poco prima era stata terrorizzata dall'avere una risposta a quel quesito. «Capisco che tu sia un po' confusa, lo sono anche io. E' stata Hang san a farmi venire qui, quasi con la forza... dopo che però mi aveva cacciato lei stessa da questa casa solo due giorni fa» spiegò lui mettendo i fogli da una parte e bevendo la sua tazza di te. Il rumore continuo della lavatrice faceva da sottofondo a quel mattino assurdo. «Non vorrei fare questo discorso finchè stai male dato che ti sei ammalata proprio per quello che c'è stato tra noi» le disse agitandosi un poco sulla sedia «Però temo che la mia presenza qui ti confonda e non vorrei che questo non ti aiuti a riprenderti quindi... facciamo che parlo io, tu ascolti»
«Ascolto» ripetè piano Erina prima di mordere lo spicchio di mela, mangiandone metà
«Sì, tu dovrai solo ascoltare, giuro che parlerò solo finchè non avrai finito il te e la tua mela. Poi dovrai riposare e mentre preparerò la cena avrai tutto il tempo per riflettere sulle mie parole» le disse piegandosi in avanti sul tavolo, a cercare il suo sguardo, ma lei non alzò gli occhi dalla seconda metà dello spicchio di mela che mangiò solo quando lui si fece indietro, smettendo di cercare di attirare la sua attenzione. «Vorrei che pensassi e che per dopocena trovassi la forza di spiegarti a tua volta perchè sono confuso. Sono parecchio confuso e penso sia ora di chiarirci: sistemiamo questa cosa in un modo o nell'altro, non importa come, ma facciamolo. Così tu potrai dormire in pace e forse per dopodomani starai sufficientemente bene per riprendere il lavoro» finì di illustrarle il suo piano d'azione con un po' di stanchezza nella voce. Erina non disse nulla, finì il suo spicchio e cominciò il secondo. «Ottimo... in realtà non mi aspettavo tutto questo silenzio. Non so nemmeno da dove partire» ammise il ragazzo appoggiando un gomito al tavolo e passandosi una mano tra i capelli, confuso. «Quello che ti ho detto l'ultima volta che ci siamo visti era vero. Non volevo più vederti» disse fissando i fogli sul tavolo «Non è facile innamorarsi per persone come me. Personalmente non ci stavo nemmeno pensando quando ti ho rivista. La mia vita è fatta di lavoro e lavoro. Da solo o con gli altri, ma comunque lavoro. Mi diverto, mi piace e non penso spesso ad avere una storia con una donna. Quello che è accaduto con te mi ha preso alla sprovvista e quando mi sono dichiarato... ero sincero, ecco» ammise con un certo imbarazzo «Non è stato facile starti dietro e capirti, ma credevo veramente che tu provassi la stessa cosa. Poi il tuo capo ci ha rivelato di averti scelta per il lavoro con noi perchè, tra le altre cose, aveva saputo che presto ti saresti sposata e pensava che una ragazza simile sarebbe stata meno incline a fare la sciocca con Jun... beh, in questo caso con me» prese un sorso di te e lei lo imitò svuotando metà della tazza. Non riusciva a pensare a niente di concreto, stava semplicemente ad ascoltare e ringraziava il cielo che non ci fossero rumori forti in quel pomeriggio perchè non avrebbero fatto altro che aumentarle il mal di testa. «Ero incredulo e arrabbiato: per una volta che mi ero messo in gioco ero stato preso in giro. Ho pensato che ti fossi, diciamo, approfittata del fatto che provassi ancora qualcosa dai tempi dell'università, ho pensato volessi concederti un'ultima avventura prima di separarci alla fine del lavoro e sparire andando ognuno per strade diverse. E questo mi ha ferito perchè... perchè non era quello che avevo in mente io. In un primo momento mi sono solo arrabbiato e sentendomi tradito ti ho detto quelle parole, poi però, con più calma, mi sono reso conto che non volevo chiudere tutto a quel modo. Sono venuto qui una sera per incontrarti, chiarire e porre fine alla storia senza più dubbi o rimpianti... o forse avevo solo voglia di insultarti. Non so... comunque ho incontrato Fujimiya san fuori dalla porta». Erina si strozzò con il pezzo di mela e cominciò a tossire. «Koji è stato qui? Con te?» domandò col fiato corto, dopo aver preso un lungo sorso di te. Fissò Sho con gli occhi spalancati e lacrimanti per via del soffocamento. «Sì e lui ha negato tutto ciò che il tuo capo ha raccontato, il che mi ha lasciato spiazzato: perchè lui ha negato mentre, quando ti ho accusato, tu hai ammesso la tua colpevolezza?» domandò prima di mettersi a raccogliere i fogli. Il ragazzo si alzò dal tavolo mettendo la propria tazza nel lavello. «Hai finito il tuo te?» chiese. Lei annuì e prese tra le dita anche l'ultimo spicchio di mela per liberare il piattino. «Forza finisci di mangiare e vai a riposarti. Se ti serve qualcosa chiamami e te lo porto, io preparo la cena e stendo»
«Perchè fai tutto questo?» domandò lei, finalmente guardandolo in faccia
«Non ho capito cosa è successo, voglio sapere e non ascolterò più le parole di nessuno all'infuori di te: voglio che sia tu a spiegarmi cosa c'era con quell'uomo e cosa... insomma... se c'era o se c'è qualcosa tra noi» spiegò Sho dubbioso sulle parole da usare «Credevo che non avrei avuto più occasioni, ma Hang san ha detto che potevo chiarirmi con te a patto che ti accudissi e mi occupassi della casa in sua assenza» concluse stringendosi nelle spalle. Erina annuì e finì lo spicchio. Passò le dita in un tovagliolo di carta, quindi si alzò dal tavolo, borbottando un "grazie per la mela", e strusciò i piedi fino in stanza. Avrebbe preso una pastiglia per il mal di testa e si sarebbe messa stesa a riflettere, proprio come le era stato detto: in quel momento non le riusciva di ragionare su niente, nemmeno su come mettere i piedi l'uno davanti all'altro. «Erina san» si sentì richiamare quando ormai aveva già un piede in camera «Sono stato sincero. Per favore, pensaci bene a ciò che vuoi dirmi e dimmi la verità... non voglio crearmi delle speranze basandomi su delle bugie, preferisco soffrire per la verità». Lei annuì guardando a terra ed entrò nella piccola stanza in penombra.

Erina emerse dalla sua camera circa sei o sette volte. Quattro per prendere un bicchiere d'acqua, le rimanenti per andare a fare pipì. Non lo aveva mai degnato di uno sguardo nessuna delle volte in cui gli era passata davanti, ma Sho non se la prese: in realtà non sembrava realmente vedere nemmeno il bicchiere che aveva tra le mani. L'unica volta in cui gli aveva parlato era venuta in cucina e si era seduta al tavolo, poi si era guardata intorno con aria stanca e aveva borbottato «Ho sbagliato... io volevo andare in bagno» poi se n'era andata.
Nel frattempo lui aveva finito il bucato e l'aveva steso in balcone. La cosa non gli aveva dato alcun problema: a dispetto di quello che pensava la coinquilina cinese non era a livelli di depravazione tali da eccitarsi solo a stendere un paio di mutande femminili. Senza contare che erano insieme a calzini, magliette e gonne, insomma si era rivelato solo un compito da svolgere e niente più. Poi aveva preparato la cena: del riso in bianco per entrambi e al suo avrebbe aggiunto il composto per fare del Tamagodon**. Il tempo libero che gli era rimasto lo aveva speso continuando a studiarsi il copione del film o a leggere il libro da cui era tratto: in realtà quel lavoro lo rendeva più nervoso della situazione con Erina.
Alle otto decise che si era stufato di aspettare la ragazza ed era arrivato il momento di mangiare così si affacciò alla stanza buia. «Erina san» la chiamò guardando nella camera in attesa che i suoi occhi si abituassero al buio «Erina san, io mangio, tu te la senti?» domandò. Ricevette un mugugno come risposta e la vide rigirarsi sotto le coperte. Insicuro sul significato di quella reazione tornò in cucina, mise in tavola per entrambi e cominciò a mangiare. Gli sembrò triste e strano cenare da solo perchè non gli capitava molto spesso. Sul set mangiava con i ragazzi o con colleghi e tecnici, alla JH mangiava con gli altri dell'agenzia e con Yun-seo. A casa sua tutti avevano orari diversi quindi gli capitava di mangiare quando qualcuno stava finendo il suo piatto o di finire il suo quando qualcuno arrivava e allora ci si faceva compagnia. Gli capitava di mangiare senza nessuno, ma poche volte: quella doveva essere una di quelle occasioni. Dopo qualche minuto invece Erina emerse dalla sua stanza con uno sbadiglio e venne a sedersi al tavolo. La osservò stropicciarsi gli occhi e fissare il piatto come se non capisse cosa farsene. «Come ti senti?» domandò ancora Sho
«Meglio. Erano giorni che non dormivo così» rispose con la voce impastata dal sonno «Ying era troppo apprensiva e continuava ad entrare in camera e a svegliarmi» spiegò prima di prendere il bicchiere pieno d'acqua e svuotarlo in un sol colpo mandando giù l'ennesima pastiglia. Il ragazzo non disse nulla, quella era la frase più lunga che la ragazza gli avesse rivolto da quando era entrato in casa, se si sentiva abbastanza bene da parlare allora l'avrebbe lasciata fare. Lei infatti mise da parte la scodella del riso e il cucchiaio e appoggiò i gomiti sul tavolo davanti a sè. «Siamo adulti? Cominciamo a comportarci come tali» disse prima di versarsi ancora dell'acqua e berla per schiarirsi la gola. Sho continuò il suo riso sbirciando le sue mosse. «Vuoi la verità, te la darò» annuì la ragazza rimettendo il bicchiere davanti a sè «Ko.. Fujimiya san mi faceva la corte da molto tempo. Mi piaceva: non si faceva problemi sull'essere visto in giro con me, non mi ha mai chiesto di cambiare il mio atteggiamento per... per non essere ciò che sono. Mi ha sempre accettato così e mi ha trattato bene, mi ha fatto regali che io ho accettato. Forse non è un uomo dagli interessi strani o dalla vita movimentata, non ha grandi ambizioni o progetti per il futuro, gli basta guadagnare con un lavoro onesto e che gli piace per poter vivere in maniera decorosa, uscire a mangiare con gli amici, fare i weekend fuori porta con la macchina, le vacanze invernali a sciare e la golden week, magari in qualche paese straniero. Forse suona comune e banale, ma a me andava bene così. Questo è Fujimiya san, questo era ciò che c'era tra noi. Quello che non c'era, erano le parole: non mi ha mai detto "mi piaci" o "usciamo insieme" così come non mi ha mai chiesto "vuoi essere la mia ragazza?" e nemmeno "vuoi sposarmi?". Lo so che tanti uomini fanno così, lasciano le cose non dette e semplicemente le danno per scontate una volta che la donna accetta le loro avances, ma per me non è così: io non mi sento legata da nessuna promessa se non mi si chiede di esserlo, a maggior ragione se si parla di matrimonio. Come si può pretendere che io mi consideri in procinto di sposarmi se non mi si chiede nemmeno se voglio esserlo?» domandò lei finalmente guardando Sho in faccia. Praticamente non l'aveva ancora degnato di uno sguard dopo il suo discorso e lui la fissò per qualche secondo, prima di sparecchiare le sue cose dato che aveva finito di mangiare. «Ma lasciamo pure da parte la mia inflessibilità su certe cose. Uscivo con qualcuno, questa è certo la verità dei fatti, ma non ho mai promesso niente tanto è vero che una volta che ho temporaneamente cambiato sede di lavoro questo qualcuno non mi ha più invitato. Fujimiya san mi avrà scritto un paio di mail i primi giorni, ma poi non c'è stato altro. E a dirla tutta, se fossi stata la sua ragazza lo avrei mandato a quel paese dato che da un compagno mi aspetto attenzioni anche se non mi ha tutti i giorni sotto gli occhi». Fece una pausa per bere un altro bicchiere d'acqua e andare in bagno. Mentre era via Sho mise un piattino sulla ciotola di riso di Erina, mise della nuova acqua nella caraffa e sciacquò il bicchiere usato per rimetterlo in tavola pulito. Quando la ragazza tornò a sedersi, decise di restare in piedi, appoggiandosi alla cucina e incrociando le braccia. «Se era così perchè tutti hanno pensato stessi per sposarti? E perchè lui ti ronzava ancora attorno quando sono stato nel tuo ufficio?» domandò per ridarle il filo del discorso
«Perchè prima che partissi ci ha provato a farmi la sua proposta, ma è un uomo timido e invece di farmi semplicemente una domanda diretta a cui non avrei certo detto "no" -ma magari nemmeno un "sì" senza dubbi- ha usato strani giri di parole che io ho capito solo per metà e a cui non ho saputo bene come reagire. Solo ripensandoci dopo mi son resa conto che forse mi stava chiedendo di sposarlo. Forse avrà pensato di richiedermelo una volta che fossi tornata in ufficio così non ha fatto più alcun tentativo. Le colleghe e i colleghi ci vedevano già da tempo come una coppia che si frequentata regolarmente e loro, come lui, davano per scontato certe cose» rispose la rossa per poi appoggiare la schiena alla sedia, allungando le braccia sul tavolo e giocherellando con il bicchiere vuoto
«Quando ti ho accusata di essere promessa ad un altro non hai negato, come me lo spieghi?» insistette Sho
«Quello...» tossicchiò Erina «Sii preciso, tu non mi hai detto "devi spostarti con qualcuno?". Le tue parole sono state vaghe, hai fatto un riferimento non dettagliato all'essere quasi sposati. Io pensavo avessi semplicemente scoperto di quel che c'era stato tra me e lui». Al ragazzo girò momentaneamente la testa e strinse i pugni fino a sentirsi le unghie dolorosamente premute contro i palmi delle mani «Non dovevo saperlo? Quindi intendevi veramente fare il doppio gioco?» chiese
«Assolutamente no!» esclamò lei per poi tossire e portarsi le mani alla testa. Attese che ebbe respirato profondamente e la ascoltò quando riprese a parlare «Ammetto che il giorno in cui ho avuto una quasi conferma di quello che provavi per me avrei fatto bene a tagliare i miei rapporti con Fujimiya san, ma non lavoriamo nello stesso reparto ed è più in alto di me quindi ha più cose da fare. Mi sono decisa a combinare qualcosa quando tra noi è stato tutto più chiaro, e quando sono tornata in ufficio era mia intenzione fargli capire che le cose non sarebbero tornate come prima, ma non ne ho avuto l'occasione e poi... come avrei fatto? Con quale sfacciataggine vai da qualcuno a dirgli "tra noi è finita e non ti sposerò" quando questa persona non te l'hai chiesto esplicitamente?» domandò guardando in faccia Sho «Non credi sia un atteggiamento un po' sfacciato? E' per questo che voglio che le cose mi vengano dette chiaramente, perchè senza chiarezza io stessa poi non so più come andare avanti. Ad ogni modo stavo cercando un modo, magari meno crudele e diretto, ma comunque chiaro e poi avevo cambiato il mio atteggiamento nei suoi confronti. Insomma non volevo fare il doppio gioco, ma devo ammetterlo, ho rinviato fino al mio ritorno anche perchè non ero certa: non avevo il coraggio di abbandonare un futuro certo con qualcuno che finalmente mi voleva, per tentare la sorte con l'uomo più improbabile del Giappone» fece una pausa e lo guardò con tristezza «Puoi seriamente biasimarmi per questo?». "Posso?" si domandò Sho a sua volta "Vorrei che la persona che sta con me, mi amasse in maniera esclusiva, non vorrei avere dubbi su di lei altrimenti non sentirei che il nostro sentimento è sincero, ma è vero che quello che voglio io è una cosa, ciò che deve affrontare il partner è un'altra. In questo caso Erina è una persona qualsiasi... uguale a tutte le fan che vedo a migliaia nei concerti: quante probabilità hanno quelle donne di avere una storia con uno di noi? Nessuna praticamente, io non saprò nemmeno di ognuna come si chiamano, cosa piace loro o cosa fanno nella vita. Quindi....". «Volevi essere sicura?» domandò abbassando lo sguardo, pensoso
«Chi non vuole esserlo quando ci sono di mezzo i sentimenti? Ma... sì, in questo caso volevo esserne certa, senza ombra di dubbio, e così è stato, ma solo dopo un numero incredibile di fraintendimenti» rispose Erina annuendo
«Effettivamente abbiamo avuto non pochi qui pro quo» ammise Sho
«E qui mi permetto di farti presente che una parte di colpa per ciò che è successo ce l'hai anche tu ed è ingiusto farmi sentire l'unica colpevole»
«Scusa?» domandò lui incredulo, raddrizzandosi e sciogliendo l'incrocio delle braccia «Che cosa avrei sbagliato, sentiamo?» fece arricciando il labbro inferiore
«Ricordi quando credevi stessi con Aiba? C'erano mille modi discreti per avere conferma della cosa, ma tu non hai voluto usarne nemmeno uno, no: ti sei convinto che era così e hai fatto su un macello che la metà sarebbe bastata. Aiba si era addirittura arrabbiato» raccontò la rossa «E' un tuo vizio, ti convinci di una cosa e ti ci tormenti con tutto te stesso senza nemmeno porti il dubbio. Parla, per la miseria!» sospirò Erina scuotendo il capo «Se tu mi avessi lasciato spiegare quel giorno al mio ufficio avresti saputo tutto subito, se tu non avessi dato solo ascolto ad altri, ma fossi venuto da me a chiedere "hanno detto così, è vero?" allora non sarebbe successo niente di tutto questo. L'ho detto anche a Kokoro chan, il che è comprensibile, ma è pazzesco che debba dirlo anche a te: se non parliamo tra di noi e se non crediamo prima di tutto a ciò che ci diciamo è inutile anche solo cominciare una relazione come questa. Un giorno potrebbe venire fuori un pettegolezzo su di te e una donna sconosciuta e se non mi fidassi di te, se non venissi a chiederti conferma, sarebbe finita. Se tu mi vedessi in giro con un uomo e invece di domandarmi come mai, anche in quel caso sarebbe finita. Io sono... non lo so, sono stupida forse, ma mi sento più sicura se le cose sono dette: parola per parola, frase per frase. E allo stesso modo, se io non parlo in maniera chiara allora non si può dare per certo qualcosa»
«Va bene, allora chiariamo tutto una volta per tutte» annuì Sho e girò intorno al tavolo per mettersi al suo fianco «Fujimiya Koji ti piace ancora?» domandò serio, con aria di sfida.

Erina si alzò in piedi a sua volta, tenendosi alla sedia. Non si era aspettata una simile reazione, ma dopo il primo attimo di smarrimento si disse che non avrebbe potuto essere altrimenti "Ho elencato tutti i disastri accaduti per colpa dell'assenza di chiarezza e gli ho detto che se non l'avremo tra noi non potrà mai esserci niente... è normale che uno precipitoso come Sho reagisca così. E poi è stato lui a chiedere la verità". «Prima sì, ora no» rispose quindi con decisione
«E se io ora ti dicessi che, comunque sia, non voglio stare con te, cosa faresti?»
«Se anche tu mi respingessi stasera, non tornerei da lui» scosse il capo «Non mi piace più, non starei con qualcuno per cui non provo qualcosa»
«Quindi se ti chiedessi di diventare la mia ragazza andresti a dirgli che non ci sarà più nulla tra voi?» insistette ancora Sho fissandola dritto negli occhi, doveva essere quello un altro dei punti fondamentali per lui
«Se per stare con te serve che gli dica esattamente così lo farò, d'accordo. Anche se dovessi risultare sfacciata» concesse, anche se sapeva che le sarebbe costato un gran coraggio
«Ma continuerai a lavorare in quell'ufficio?»
«Non intendo lasciare il mio lavoro, un buon posto e un ufficio in cui mi trovo bene solo perchè me lo chiedi tu. Devi fidarti» rispose allora, con fermezza «Anche tu non accetteresti se io ti chiedessi di lasciare il tuo a causa del timore di eventuali tue colleghe di lavoro. Mi sbaglio?». Lo vide trattenere il fiato per qualche secondo, scrutando il suo sguardo, ma lei sapeva di risultare sicura, forse aveva gli occhi un po' lucidi e l'aria stanca per via della malattia, ma stava rispondendo con sincerità. «Va bene...» sospirò infine lui
«Tocca a me» lo incalzò la rossa, prendendolo in contropiede «Quando qualcosa non è chiaro parlerai con me, sempre, prima di decidere cosa è vero e cosa no?». Sho sbattè le palpebre e fece un passo indietro «Sì» rispose a mezza voce: probabilmente non si aspettava che Erina rivoltasse contro di lui il suo "gioco delle domande a bruciapelo"
«Se sbaglierò qualcosa avrai la pazienza di dirmelo, senza decidere che è finita e che sono fuori dalla tua vita?» continuò la rossa incrociando le braccia. Erina lo guardava con il collo piegato perchè era più bassa di lui e la posizione non aiutava dato che stava meglio di qualche ora prima, ma un po' continuava a girarle la testa. «Lo farò: pensare prima di agire» annuì lui
«Sono la tua ragazza?» fu la sua terza domanda
«Sì» rispose lui a capo chino poi lo rialzò di scatto «Cioè... cosa?» domandò confuso
«Hai capito benissimo cosa ti ho chiesto» spiegò Erina. Avrebbe voluto sedersi perchè era ancora troppo debole per stare in piedi a lungo, ma era un momento cruciale quindi fece un profondo respiro e rimase salda sulle gambe, senza muoversi per non perdere l'equilibrio. «Se non c'è una richiesta esplicita non mi considero legata» gli spiegò «Perchè quando le situazioni non sono più tanto chiare, com'è stato per Fujimiya san, voglio poter agire con risoluzione ed evitare fraintendimenti e problemi con terze persone. Quindi sono la tua ragazza o no? Altrimenti romperò con Fujimiya san con i tempi e le parole che preferisco»
«Significa che se ti dico "sì" andrai da lui a dirgli esattamente quel che ti ho chiesto di dire?» domandò Sho incredulo
«Ho già risposto a questa domanda, sei tu che stai evitando di fare lo stesso con la mia» disse lei risoluta. In campo sentimentale c'era sempre voluta forza e chiarezza con uno dal temperamento precipitoso e focoso come Sho e non avrebbe ceduto in quel momento. Era il momento, quello in cui si giocava tutto. Quello in cui capire una volta per tutte se con lui non ci sarebbe mai stato niente o per capire se mesi di impacciati tentativi avrebbero trovato una conclusione positiva, se tutti i piccoli gesti che c'erano stati tra loro erano stati un'illusione. Per sapere se la dichiarazione di Sho, le parole più inaspettate e meravigliose che avesse mai sentito, era stata vera fino infondo o no. «Sì» annuì lui dopo qualche secondo di silenzio. Le fece un sorriso appena accennato «Se è quello che vuoi anche tu, allora sì». Erina trattenne il respiro nell'ascoltarlo e anche dopo, rielaborando la sua risposta nella propria mente, poi lasciò andare un sospiro e di risedette sulla sedia di colpo. «Tutto bene?» domandò Sho allarmato, mettendole le mani sulle spalle
«Sì... più o meno, non ce la facevo più a stare in piedi» rispose con voce debole «Un simile sforzo avrebbe dovuto farmi venire fame e invece niente»
«Il riso possiamo scaldarlo più tardi» la rassicurò il ragazzo «Vuoi una tisana? Devi prendere altre medicine?»
«Sei bravo a prenderti cura degli altri» osservò la ragazza alzando lo sguardo verso di lui «E' proprio vero che ti comporti come una mamma»
«Ho fatto pratica con i miei fratelli minori quando erano malati e poi negli anni era come avere altri 4 fratellini combina guai» spiegò con un sorriso divertito. Erina lo osservò mentre metteva da parte la sua ciotola di riso e toglieva tutto dalla tavola. Avevano appena finito un litigio e chiarito una situazione terribile durata diversi giorni, lei era diventata ufficialmente la ragazza di Sakurai Sho e tutto quello di cui parlavano erano gli Arashi? Trattenne un risatina e dopo si mise a tossire. «Cosa posso fare per te?» le domandò lui dopo che ebbe finito di sistemare
«Mmmmh... Ying spesso mi spazzola i capelli prima di andare a dormire» rimuginò la ragazza «Ti piacerebbe prendere il suo posto per una sera?» domandò conoscendo già la risposta. Sho esitò una manciata di secondi poi annuì contento, come nulla fosse.
Erina andò a sistemare i cuscini sul divano di modo da sedersi comoda con le gambe incrociate, con la schiena rivolta verso la metà del materasso dove Sho si sedette, quando fu tornato dal bagno. Appoggiò un braccio al morbido poggia schiena e piegò la testa contro di esso mentre sentiva la spazzola e le mani del suo ragazzo cominciare a districarle i ricci. Sospirò lentamente chiudendo gli occhi. Fuori dalla finestra cominciava ad essere scuro, segno che era ancora sera presto. Shimokitazawa le piaceva, perchè era una cittadina movimentata, ma aveva anche delle vie residenziali e tranquille dove non c'erano rumori molesti dalla strada e le persone non facevano chiasso. A differenza della stanza, dove lei prendeva medicine e starnutiva o tossiva tutto il tempo, in sala si stava più freschi e l'aria non odorava di medicinale. Lì c'era ancora il delicato profumo del riso caldo appena fatto e un vago sentore di uova perchè Sho doveva essersele preparate per sè. Dalla porta finestra socchiusa inoltre, entrava anche l'odore del detersivo che lei e Ying usavano sempre per fare il bucato. Ormai, lì in sala, stava cancellando quello del riso. Quell'ambiente più fresco della camera e quegli odori casalinghi e rassicuranti la fecero sentire un po' meglio, inoltre il mal di testa aveva cominciato a diminuire da un paio d'ore, quando aveva preso l'antidolorifico. «Ho un'ultima domanda, posso?» fece allora, dopo due minuti di silenzio
«Sentiamo» accettò lui
«So che Ying ha sgridato te e Fujimiya san l'ultima volta. Ero rincoglionita dalle medicine ma mi sono resa conto che era furiosa quando è tornata in casa da me. Cos'è successo per farla arrabbiare così? Non credo di averla mai vista in quello stato» riflettè Erina. Ying non piangeva. Non l'aveva mai vista farlo, ma ricordava di averle visto gli occhi lucidi quel giorno e quando l'aveva abbracciata tremava leggermente. Era l'amica a tremare, non c'era dubbio, perchè lei aveva caldo e non freddo. Sho smise di pettinarla e sospirò «Credo faresti meglio a chiederlo a lei. Anche noi siamo rimasti piuttosto colpiti dalla sua reazione» rispose infine. La ragazza mugugnò in segno di assenso e arricciò le labbra, comunque insoddisfatta della risposta, ma non aggiunse altro: per quella sera e in quelle condizioni, si era sforzata fin troppo per discutere. «Per essere pari devi rispondere tu ora» disse invece il ragazzo che aveva ripreso a pettinarla. Ancora una volta lei mugugnò, annuendo. «Posso abbracciarti?» domandò velocemente, come senza il coraggio di fare quella domanda. Erina si staccò dal divano e si piegò all'indietro finchè non sentì il corpo di Sho contro la sua schiena ed appoggiò la testa sulla sua spalla. «A tuo rischio e pericolo. Potrei infettarti e saresti costretto a lavorare con la febbre» spiegò con voce flebile sentendo che la medicina presa venti minuti prima doveva averle dato sonnolenza
«A mio rischio e pericolo» acconsentì Sho lasciando da una parte la spazzola e passandole le braccia intorno alle spalle per stringerla, anche se non troppo forte. Si dissero qualcos'altro sicuramente, ma il giorno dopo Erina non si ricordava cosa fosse perchè dopo quelle ultime frasi, una volta appoggiatasi a lui, aveva chiuso gli occhi e si era lasciata di nuovo andare alla sonnolenza e alla stanchezza dovute alla malattia. Eppure sentiva che stavolta avrebbe riposato sul serio, con la mente sgombra, e probabilmente il giorno dopo sarebbe stata meglio.

*Non so se sia solo un'usanza giapponese, ma io l'ho visto fare solo a loro. Per intenderci, la mela sbucciata "a coniglietto" (non saprei come meglio descriverla) è COSI'
**Il tamagodon è una delle versioni del piatto base chiamato donburi (ciotola di riso cotto con vari ingredienti fatti bollire e poi messi sopra) e prevede l'aggiunta di uovo strapazzato e una speciale salsa dolce


Questa è una delle poche volte in cui non ho pianificato niente in precedenza. Solitamente mi capita che penso un capitolo più velocemente di quanto lo scrivo (dati i tanti impegni), quindi quando vado a metterlo nero su bianco è pensato almeno per il 70%, dialoghi compresi. Qui zero, sapevo chi Ying avrebbe incastrat Shoo in casa e che alla fine tutto si sarebbe chiarito, ma cosa avrebbero detto o fatto.. boh. Non era nemmeno previsto un dialogo Sho-Ying inizialmente invece mi è venuto fuori così.
E' stato d'aiuto il fatto che sia praticamente nella stessa condizione di Erina =_= solo che io ho perso la voce, quindi non avrei fatto nessun discorso, anche volendo...

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Capitolo 44
*** 43. No Easy Way for Uneasy Truth ***


Si svegliò e cominciò la mattinata come ogni giorno, ma non potè fare a meno di girarsi a guardare la porta d'ingresso ogni tanto, per vedere se la maniglia si abbassava o se si stava per aprire in silenzio. Quando accade lei era in bagno a lavarsi i denti e non appena senti chiudersi l'uscio si sciacquò la bocca e corse all'ingresso. Ying si stava togliendo le scarpe dopo aver sollevato il trolley sul gradino di casa. «Ti sei ripresa vedo» le disse la cinese con un sorriso, quando la vedi comparire in corridoio
«Ying» sussurrò Erina prima di raggiungerla e passarle le braccia attorno al collo e stringerla forte
«Cos'è successo?» domandò quella allarmata e l'unica risposta che ebbe fu un cenno del capo da parte della coinquilina, segno che non c'era nulla che non andasse. «Cos'hai? Ti sono mancata?» ridacchiò allora. «Guarda che non ci credo nemmeno un po', avevi una compagnia cento volte meglio»
«Perchè te ne sei andata?» chiese la rossa senza lasciarla andare
«Per lavoro» rispose subito
«Non mentirmi» la ammonì Erina. «So che non è vero. La cartella dei progetti era sotto il giornale sulla scrivania e tu non partiresti senza. Voglio sapere perchè» insistette. Ying salì il gradino si casa e le passò le braccia intorno ai fianchi, abbracciandola stretta. Era la seconda volta in pochi giorni che la cinese si comportava a quel modo: solitamente non avevano molti contatti fisici nonostante fossero amiche ormai di vecchia data. "Cos'è successo?" si domandava "In questi giorni l'ho sentita tremare di rabbia e ha pianto anche se non ha voluto condividere con me le sue lacrime. Ora questo. Se le fosse capitato qualcosa ed io, presa dai miei problemi, non me fossi accorta? Non potrei perdonarmi per un atteggiamento tanto egoista".
«Perchè ti voglio bene, Eri» fu la risposta che Ying infine le diede «E perchè non sopporto di vederti triste. Tu dovresti sorridere sempre sai? Se tu sei felice allora lo sono anche io, Eri. Se ti sento ridere, viene da ridere anche a me, se ti sforzi e metti tutta te stessa in qualcosa, sento di voler fare lo stesso e allora comincio a fare del mio meglio»
«Sembra tanto un discorso da fidanzatini» ridacchiò allora Erina. Era un discorso dolce, come dolce fu il gesto con cui la coinquilina sciolse il loro abbraccio per prenderle il viso tra le mani. «Sei felice?» le domandò guardandola negli occhi a breve distanza
«Sì, ma sono preoccupata per te» le rispose arricciando il labbro. «Adesso andrai via di nuovo?». Le poche volte in cui aveva cominciato a vedere qualche ragazzo Ying si era sempre allontanata nelle prime settimane. Non era discrezione, non voleva lasciarle casa libera, era proprio insofferenza. Erina era abituata ormai alla gelosia che la sua amica provava per lei, ma sperava che quella volta non se ne fosse andata. Anche quello però era un desiderio egoista.
«Non ce n'è bisogno. Non sarà un fidanzato che si farà vedere spesso, e suppongo che il più delle volte vi incontrerete altrove data la vita che fa» le rispose Ying scuotendo il capo. «E poi ho accettato l'offerta dell'ufficio»
«Hai deciso di farti assumere definitivamente? E' la prima volta, pensavo avresti cambiato ancora»
«Non posso continuare ad essere indecisa. Ora dovrò impegnarmi seriamente e quindi casa mia mi serve, non te la lascerò» le disse per poi schiacciarle le guance tra le mani per farle fare una smorfia
«Auuuh» boffonchiò Erina
«Sù, preparati o farai tardi al lavoro» sospirò infine la cinese lasciandole andare il viso e girandosi subito a recuperare la valigia.
Evidentemente non c'era nulla che non andasse, si era solo allontanata per darle una possibilità di chiarirsi con Sho e aveva pensato di accampare una scusa per non far sentire Erina in colpa. Insomma tutto sembrava tornato normale e se ne convinse quando si affacciò un ultima volta alla cucina per salutare la coinquilina e poi andare ad infilarsi le scarpe ed uscire. Poi però la cinese le fece una domanda. «Se non vedessi Sakurai san da tanti giorni e io ti chiamassi perchè ho bisogno di te, cosa faresti?». Erina girò la testa verso la cucina, ma dall'ingresso non poteva vedere il tavolo a cui l'amica era seduta. Sbattè le palpebre, confusa. «Verrei da te» le rispose mettendo la mano sulla maniglia. Era la risposta che avrebbe sempre dato se quella domanda le fosse stata fatta ogni volta che si era innamorata di qualcuno, eppure quella volta, prima di aprire la porta, sentì che c'era anche un'altra verità. «Però penso che cercherei di vedere anche Sho kun. Per pochi minuti, facendo venire lui... ma non rinuncerei»
«Ho capito» rispose la cinese. «Buona giornata»
«Io vado!» esclamò uscendo finalmente di casa.

Aveva indossato un completo giacca e pantalone quel giorno. Nel pomeriggio avrebbe avuto a che fare con uno dei clienti più affezionati della compagnia, ma anche uno dei più tosti. A lei non era mai piaciuto, era sicuramente una persona onesta., ma con lui più ci si mostrava femminili e carine, più era probabile non si venisse nemmeno considerate. Quella di certo non era una buona giornata per farsi maltrattare: era lunedì ed era appena tornata al lavoro dopo essersi ripresa miracolosamente dalla febbre che l'aveva soggiogata per alcuni giorni.
Ad un certo punto, in quella mattinata, invece di mandare la stagista a fare le fotocopie ci andò di persona e se la prese comoda, lanciando occhiate a destra e a sinistra, per controllare chi passasse nel corridoio. Infine, intorno alle 10, vide un po' di gente avvicinarsi allo stanzino dove tenevano i bollitori e le tazze, quindi lasciò che la macchina facesse il suo lavoro e si avvicinò anche lei. «Fujimiya san?» disse comparendo sulla soglia, senza perdere tempo
«Erina san, buongiorno» sorrise lui dolcemente «Ti sei ripresa vedo. Come stai?»
«Meglio grazie. Hai un momento?» domandò guardando le colleghe e i colleghi con lui, avevano smesso di chiacchierare da quando era comparsa
«Certamente, mi scusate?» fece inchinandosi leggermente e seguendo Erina in corridoio.
La rossa tornò nella stanza delle fotocopie. «Ti spiace se parliamo mentre finisco questo lavoro?»
«Tranquilla, è bello vedere che sei appena tornata e ti dai subito da fare» scosse il capo lui appoggiandosi poi ad un tavolo poco lontano. Erina chiuse la porta e respirò profondamente. "Bene, senza pensarci. Uno, due, tre...". «Non ci sarà più nulla tra di noi» gli disse velocemente. Fujimiya la guardò sorpreso. «Dovevo dirlo, mi spiace» si giustificò Erina «Però ora lascia che mi spieghi»
«Sono un po' confuso effettivamente» ammise l'uomo arrossendo gradualmente
«Fujimiya san, mi piacevi molto. Ho sempre pensato tu avessi un debole per me e nei tuoi confronti ho avuto un atteggiamento tale che speravo ti facesse capire che anche io ero interessata. Non l'ho fatto per prenderti in giro, ma perchè provavo sul serio qualcosa per te» spiegò facendo fotocopiare un altro gruppo di fogli nel frattempo «Ma ora la situazione è diversa da prima e se io ho interpretato correttamente i tuoi gesti è giusto che io ti dica perchè il mio comportamento non sarà più lo stesso. Cambiare radicalmente il mio modo di fare con te, senza dire nulla, potrebbe essere molto scortese e ti rispetto troppo per cominciare semplicemente ad ignorarti» concluse tornando a girarsi verso di lui. Avrebbe preferito continuare ad osservare la luce della macchina che catturava l'immagine die fogli da copiare, perchè aveva paura di sapere con che occhi l'uomo la stesse guardando, ma l'unico modo per fugare ogni dubbio e provare la sua sincerità era parlargli guardandolo in faccia.
«Va bene» annuì lui «Immaginavo che prima o poi avremmo fatto questo discorso, quindi non sono del tutto sorpreso. E' Sakurai san, giusto?»
«Non c'entra lui. Il punto è che mentre siamo stati lontani mi è piaciuta un'altra persona e ho seriamente sperato che mi ricambiasse. A quel punto non sarei tornata a farmi corteggiare da te in nessun caso, nemmeno se non avesse ricambiato» si spiegò, pur provando un po' di vergogna perchè quello era l'atteggiamento che invece aveva avuto prima di conoscere i sentimenti di Sho con certezza.
«La macchina ha finito» le fece notare lui
«Ah, è vero. Grazie» rispose Erina piegandosi a raccogliere le fotocopie fatte e spegnendo l'apparecchiatura. Anche se ormai aveva detto ciò che doveva dire continuava ad essere tesa e ora non sapeva nemmeno cos'altro aggiungere, quindi rimase in piedi a pareggiare i fogli tra di loro per perdere tempo.
«Erina san» la richiamò Fujimiya
«Sì?» fece sbirciando nella sua direzione
«Ti ringrazio per la tua sincerità, ora potesti lasciarmi un po' da solo?» le chiese guardando fuori dalle finestre della stanza. La ragazza si morse il labbro inferiore e abbassò lo sguardo. Sapeva che sarebbe stato difficile, le era difficile dire di no a qualcuno o accettare di dover far soffrire qualcuno, ma non aveva idea di come potesse fare per alleviare quel dolore. «Per favore» insistette lui. A quelle parole Erina si inchinò ed uscì dalla stanza lasciandolo solo.
Non c'era nulla che potesse fare, era qualcosa che avrebbe dovuto affrontare da solo.

Kokoro osservava estasiata l'uomo che gironzolava per il negozio osservando ogni angolo o passando la mano su ogni ripiano in legno. «Sul serio hai ideato tu questa presentazione?» domandò questi guardando i dolci esposti nella vetrinetta del bancone
«Alcuni sì, altri sono frutto della fantasia della maestra e ho voluto tenerli così. Non voglio cancellare il suo lavoro e poi li ho sempre trovati belli» rispose Kokoro indicando i dolci in questione
«Doveva essere una grande donna» annuì Shimizu sensei osservandoli
«Le devo molto, è vero» annuì la ragazza con un sorriso sulle labbra. Aveva cominciato a poter parlare della maestra con più serenità solo recentemente, pian piano il suo animo superava la perdita e Kokoro riusciva a pensare al futuro con sempre minor angoscia.
«Cosa ne dice?» domandò accorgendosi che Shimizu sensei era rimasto in silenzio per qualche minuto
«Sei veramente brava. Sì vede che qui lavoravano due donne, ogni cosa ha un tocco molto femminile» le rispose annuendo
«Pensa che dovrei farli più... maschili?» domandò ansiosa e lui scoppiò a ridere
«Non siamo più a scuola Hanayaka san» le disse «Capisco che essendo stato tuo insegnante, ed essendo più anziano, continui a provare un po' di deferenza, ma preferirei che pian piano cercassi di considerarci alla pari. Ti riesce difficile?»
«Non saprei...» sospirò la ragazza intrecciando le dita delle mani in grembo, rimanendo in piedi dietro il bancone
«Allora prova a pensare che io ho più esperienza, è vero, ma tu sei anche il mio datore di lavoro: il negozio è tuo, non mio, io lavoro per te. Questo dovrebbe pareggiare i conti»
«E' vero, ma infondo io le sto chiedendo disperatamente una mano, mi sta quasi facendo un favore. Se non faccio qualcosa questo posto dovrà chiudere presto o tardi» spiegò abbassando lo sguardo. L'uomo raddrizzò la schiena e sospirò profondamente. «Sei proprio cocciuta Hanayaka san» le disse guardandola in faccia con un'occhiata triste. «Mi accompagni fuori così fumo una sigaretta?»
«Certo, ne approfitto per farle vedere il giardino sul retro» annuì Kokoro e gli fece cenno di seguirla.
Attraversarono la cucina e si fermarono sui gradini di pietra lasciando aperta la porta così da poter sentire se qualcuno entrava in negozio. Quel giorno il tempo era variabile e leggermente più fresco. Ormai l'autunno era cominciato, anche se da poco, e il salice del giardino non sembrava voler ancora abbandonarsi alla nuova stagione: le sue foglie insistevano a mostrare un verde brillante.
Mentre attendeva che Shimizu sensei si decidesse a dire qualcosa, la ragazza osservò il tavolo e le sedie in ferro battuto dipinte di bianco e ingombre di fogli cadute. Là, in primavera, aveva invitato Masaki a mangiare del gelato. Non era passato molto tempo, ma quando pensava a quante cose erano successe le era difficile pensare che si erano conosciuti solo in Marzo di quello stesso anno.
«Te l'ho detto l'altro giorno» disse Shimizu sensei dopo essersi acceso la sigaretta e aver dato i primi tiri. «Mi hanno licenziato e io non so cosa devo fare. Non scherzavo l'altro giorno quando ti ho raccontato della mia situazione: cosa dovrei fare ora? A chi mi devo rivolgere? Per quanto io sia una persona con esperienza nel campo, trovare lavoro non mi sembra così facile, ormai ho una certa età e poi c'è crisi. Improvvisamente...» l'uomo fece una pausa e si rigirò la sigaretta tra le dita, osservandone la punta bruciata. «Mi sento impotente. Sconfitto» ammise infine.
Kokoro guardò la ghiaia ai piedi dei gradini e non disse nulla: sapeva cosa significava essere presi dallo sconforto e dalla depressione quando improvvisamente sembrava crearsi terra bruciata intorno a sè.
«Però mi stai dando una speranza. Chiaramente puoi licenziarmi quando vuoi, non ti sto dicendo questo perchè tu ti senta in colpa e mi tenga qui per sempre»
«Non ho pensato a niente del genere!» esclamò subito Kokoro
«Lo so. Quello che intendo dire è che voglio che tu sappia queste cose per capire che anche io mi sento in obbligo nei tuoi confronti. Non sono solo io che vengo ad aiutarti a non far fallire questo negozio, ma anche tu stai aiutando me a non fallire come uomo» le spiegò infine, spegnendo la sigaretta sotto la suola. «Maestro e allieva. Una ragazza in difficoltà e un uomo che la aiuta. Un uomo che sembra essere arrivato al capolinea e una ragazza che gli propone un nuovo inizio» elencò parlando piano. «E' un rapporto intricato quello che si sta formando tra noi. Capisco che sia difficile capire come comportarsi, ma quel che penso è: la situazione è già difficile per entrambi, dobbiamo complicarla ancora di più mettendoci a pensare chi sia più debitore all'altro?»
«Ha ragione» annuì Kokoro sollevando le spalle
«Lasciamo che sia un rapporto alla pari e che uno di noi sia il capo nel campo che gli compete: sono disposto ad insegnarti ancora e a darti una mano, così come tu sei disposta a pagarmi per il mio lavoro e a darmi di che vivere»
«D'accordo, potrei metterci un po' ad abituarmi. Avrà ancora pazienza con me?» chiese la ragazza annuendo e sorridendo all'uomo al suo fianco
«Lo farò» rispose quello.
Kokoro sorrise e si rimise in piedi per rientrare in cucina, aveva dei pacchetti da finire prima che cominciasse il pomeriggio. «Shimizu sensei» pronunciò con un filo di voce, tirando fuori i fogli di carta per le confezioni
«Anche "Shimizu san" va bene, altrimenti confonderai i clienti»
«Potrebbe esserci un altro grave problema a cui lei non può rimediare» ammise
«E' il campanello quello che sento?» chiese lui girandosi verso il negozio
«E' permesso?» chiese una voce in quella direzione subito dopo
«Arrivo» rispose. «Può continuare lei, torno subito» disse all'uomo, prima di affrettarsi a passare nel negozio, dietro il bancone. Guardando verso l'entrata non potè fare a meno di sorprendersi. «Eri chan!?» esclamò sgranando gli occhi.

Non vedeva l'amica da parecchio tempo e ora, senza alcun preavviso, spuntava nel negozio, sorridente come non mai. «Che ci fai qui a quest'ora?» le domandò Kokoro notando che era ora di pranzo
«Sono in macchina» rispose la ragazza indicando la vettura parcheggiata a lato della strada, davanti alla pasticceria. «Non ho tanto tempo in pausa pranzo, ma volevo venire a trovarti» disse poi con un sorriso raggiante
«E ti sei fatta tutto il viaggio fino a Chiba solo per vedermi?» chiese sbalordita
«E' tanto che non ci vediamo» spiegò la rossa facendosi scura in viso. «Non volevo parlare di nuovo al cellulare e non volevo aspettare il week end per chiederti di uscire e vederci. Ho sbagliato?»
«No, no. Non volevo dire quello, scusa» scosse il capo la ragazza. «Mi fa piacere vederti, sono solo preoccupata. Ti sei appena ripresa dall'influenza e in quel poco tempo di pausa che hai, ti fai tutto il viaggio fin qui»
«Non stare a pensarci: se voglio vedere un'amica lo faccio. Su vieni qui» la incitò la rossa, tornando a sorridere e facendole segno di uscire da dietro il bancone
«Spero che almeno tu non abbia rischiato un incidente lungo la via» le disse sorridendo divertita. Quando la raggiunse, l'amica la strinse in un abbraccio inaspettato e Kokoro rimase sorpresa da quel gesto. «E' successo qualcosa?» domandò con un filo di voce, improvvisamente spaventata
«No, mi sei mancata» rispose Erina senza sciogliere il suo abbraccio
«Anche tu» ridacchiò ricambiando quella stretta. «Ti offro un tè, lo vuoi? Ti presento anche una persona...»
«Non sei sola?» domandò la ragazza sciogliendo l'abbraccio e guardandola in viso, con improvvisa urgenza
«No, ho trovato qualcuno che mi aiuterà a mandare avanti il negozio e...»
«Allora devo dirti una cosa prima» annunciò.
Kokoro si sporse in cucina chiedendo a Shimizu sensei di occuparsi delle confezioni per lei, mentre era occupata, quindi chiuse la porta e andò ad aprire quella che portava alla sala di tatami, in cui la maestra serviva il te e i dolci ai clienti che venivano lì a rilassarsi. Era dalla sua morte che non apriva gli shoji della sala dal te e dentro c'era il buon odore di paglia secca e trattata della pavimentazione. Trovandosi a mezzo metro da terra, le due ragazze si sedettero sul gradino ai piedi del quale i clienti lasciavano le scarpe e lì, una a fianco dell'altra, si raccontarono tutto ciò che era successo in quei giorni.
Kokoro raccontò della pace trovata con Masaki e della distensione che finalmente sentiva ne loro rapporto. Le accennò solamente al fatto che avevano "fatto la pace e passato una bella serata", perchè si vergognava troppo per raccontarle di aver speso una notte intera nel letto di Aiba.
Dal canto suo Erina le raccontò della "trappola" di Ying e del weekend con Sho in casa. Le rivelò delle loro discussioni e di aver fatto così chiarezza nei sentimenti l'uno dell'altra. Con amarezza le raccontò della discussione avuta quella stessa mattina con il suo collega e del dolore che provava sapendo di averlo ferito. Kokoro potea capirla, perchè le era successa la stessa cosa con Makoto, mesi prima: non avrebbe saputo dire se un ragazzino rifiutato dalla ragazza per uci aveva preso una cotta soffrisse più o meno di un uomo rifiutato dalla donna che voleva sposare, ma di certo non era piacevole in nessun caso e per nessuna delle due parti.
Dopo tante tribolazioni, però, sembravano essere arrivate entrambe alla fine di un cammino difficile. Sentiva come se nei loro cuori si fosse creata una limpidezza perfetta che avrebbe loro permesso di affrontare le nuove sfide che quelle relazioni comportavano. Kokoro aveva conosciuto Erina per puro caso, grazie a Masaki, e a sorpresa aveva ritrovato in lei un'amica con cui condividere qualcosa di unico. Se pensava che in un primo momento l'aveva quasi odiata le veniva da ridere! Ma alla fine, dopo tanti sforzi, erano arrivate insieme a quel punto ed era sicura che si sarebbero sostenute a vicenda.
Essendo riuscita a costruire il rapporto che desiderava con l'uomo di cui era innamorata, avendo conquistato una nuova, preziosissima amica, e con Shimizu sensei che l'avrebbe aiutata a portare avanti il negozio evitando, forse, la bancarotta, Kokoro avrebbe dovuto sentirsi felice, ed in parte lo era, ma c'era ancora un problema da risolvere. «Eri chan, non vorrei annoiarti con una simile questione, ma non so a chi raccontarlo per avere un consiglio» esordì rivolgendosi all'amica con uno sguardo serio
«Di che si tratta?» domandò la rossa
«Buongiorno» dei clienti entrarono in quel momento e Kokoro sembrò perdere nuovamente la possibilità di confidare a qualcuno il suo problema.
Si alzò dal gradino, per servire chi era appena entrato, ma quando spostò lo sguardo sull'entrata rimase nuovamente sorpresa. «Scusa l'intrusione» disse Jun, in piedi sulla soglia
«Matsumoto san?» domandò incredula.
Il ragazzo non era da solo, cui lui c'era una donna dall'aria familiare che si inchinò educatamente. «E' passato un po' di tempo da quando ci siamo viste. Buongiorno» saluto. Le era familiare, ma non riusciva assolutamente a ricordare chi fosse. «Stavo per fare del tè, lo volete anche voi?» cercò di tergiversare
«Ahn san, Matsumoto san, come mai da queste parti?» domandò Erina, stupita quanto Kokoro
«Erina san? Potemmo chiedere lo stesso a te. Non lavori?» chiese Jun educatamente
«Sono in pausa» rispose la rossa
«Comunque siamo passatim perchè Ahn san voleva parlare con Hanayaka san» spiegò il ragazzo. A quel punto tutti guardarono le coreana e Kokoro riuscì finalmente a ricordarsi di lei: l'aveva vista la prima volta al rinfresco per il Kokuritsu e poi l'aveva conosciuta proprio lì, a Chiba, per puro caso. In quell'occasione era stata particolarmente minacciosa e lei si era sentita a disagio. Ricordando quell'episodio si sentì improvvisamente messa alle strette.
«Ti ricordi di me? Quando ci siamo conosciute eri la ragazza di Aiba chan, lo sei ancora vero?» domandò allora la straniera. In risposta Kokoro riuscì solo ad annuire. "Cosa può volere? Già all'epoca mi aveva redarguita, non voglio subire altre ramanzine proprio ora che tutto va per il meglio tra me e Masaki" riflettè stringendosi nelle spalle.
L'idea che tutto quello stesse succedendo con Shimizu sensei in cucina non le andava a genio. Non le sembrava il caso che scoprisse già che lei era la fidanzata di un personaggio famoso e che qualche membro degli Arashi passava di lì ogni tanto: doveva affrontare con lui quel discorso, ma con calma, non voleva scoprisse tutto per puro caso, sentendo la discussioni dalla cucina. «Sei venuta per parlarmi, ma forse non è il momento, nè il luogo più adatto» suggerì
«Non ho molto tempo libero a mia disposizione» si giustificò la ballerina e tanto bastò per farla sentire in colpa. Avrebbe voluto farla desistere, rimandando così a più tardi qualsiasi discorso volesse farle, ma così sembrava quasi la volesse cacciare dal negozio dopo che aveva fatto tutta la strada fin lì. Eppure non poteva lasciare che un qualsiasi discorso riguardante Masaki avvenisse lì, in quel momento. Anche Matsumoto doveva sparire dal nagozio.
In quel momento partì la suoneria di un cellulare. Kokoro vide Erina diventare bordeux e Jun trattenere una risata divertita: probabilmente la musica che aveva sentito era un pezzo degli Arashi. «Scusatemi» farfugliò la rossa uscendo dal negozio per rispondere. Approfittando di quell'attimo di distrazione, la pasticciera tornò dietro la bancone: stare lì le dava più sicurezza.
«In realtà stavo dando le indicazioni al nuovo impiegato del negozio e l'ho lasciato di là a lavorare prima che arrivasse Erina chan. Per questo non credo sia il momento adatto»
«Un nuovo impiegato?» domandò la coreana. «E Aiba chan lo sa?»
«Certamente» rispose Kokoro un po' risentita. Non doveva giustificare con lei ciò che diceva o non diceva a Masaki. «Prima di fare la proposta d'assunzione l'ho consultato» aggiunse prima di sobbalzare quando la campanella d'entrata suonò con violenza. Se si spaventava per così poco doveva essere proprio sulle spine.
Erina era rientrata in fretta ed era sbiancata in viso. «Eri chan, che succede?» domandò Kokoro sorpresa a rivederla in quello stato
«Tomomi» disse guardandola con gli occhi spalancati. Continuava a tenere in mano il cellulare aperto e la mano a mezz'aria, ma la telefonata doveva essere finita da un pezzo.
«Chi?» domandò Kokoro, spaesata
«E' una sua compagna di squadra» spiegò Jun. «E' successo qualcosa?»
«Era la nostra allenatrice al telefono. Tomomi è all'ospedale» spiegò allora Erina, girandosi proprio verso il ragazzo. Doveva essere l'unico lì dentro a conoscere quella ragazza.
«Ci lavora, Erina san, quindi è normale. O vuoi dire che sta male?» insistette Jun
«Ha detto che la stanno operando. Lavorava al pronto soccorso ed è stata aggredita, credo. Non ho capito bene» spiegò scuotendo il capo. «Devo andare da lei»
«Ma non devi tornare al lavoro?» chiese Kokoro guardando l'orologio
«Sì, è vero. Non posso assentarmi dopo che ho fatto dei giorni d'assenza» ammise infatti l'amica. «Ma come faccio? Tomomi non ha più i genitori e della sorella non so niente. Il contatto per i casi di emergenza è la nostra allenatrice, che però non può andare in ospedale ora perchè non è in città»
«Andiamo noi, tu la conosci no?» propose la coreana alzando lo sguardo su Jun. Questi la guardò sbattendo le palpebre e in un primo momento non rispose niente. Kokoro ebbe l'impressione che fosse impallidito anche lui e, se possibile, sembrava agitato tanto quanto Erina.
«Non posso lasciar andare voi, è una mia amica» precisò la rossa, ormai la paura era perfettamente udibile nella sua voce tremante. «Vorrà vicino qualcuno che conosce quando si sveglierà»
«Quindi è fuori pericolo?» domandò il ragazzo riprendendo a parlare
«No. Non lo so. E' ancora in sala operatoria sembra. Ma si sveglierà, non pensi?» chiese guardando prima Jun e poi Kokoro.
La giovane uscì ancora una volta dal bancone e raggiunse l'amica. «Vedrai che andrà tutto bene, è solo un incidente, ok?» la rassicurò toccandole la spalla. «Vieni in cucina, ti faccio chiamare dal fisso del negozio: avverti in ufficio che torni un po' in ritardo. Non voglio che guidi in questo stato, prendi i mezzi»
«E Tomomi?» domandò ancora la rossa
«Vado io».
A proporsi era stato Jun. «Mi conosce. Se dovesse svegliarsi prima del tuo arrivo almeno ci sarà qualcuno di amico con lei, poi tu raggiungi l'ospedale il prima possibile» le propose
«Ti dò l'indirizzo?» farfugliò quella. Kokoro la sentiva tremare leggermente: doveva essere una persona importante se Erina reagiva a quel modo. Eppure aveva la lucidità sufficiente per riaccendere il telefono e cercare l'informazione che le serviva.
«So dov'è, non ce n'è bisogno» rispose il ragazzo. «Yun chan, vado in taxi da solo, tu sei venuta qui con uno scopo ben preciso e non c'è bisogno che vanga con me»
«Sei sicuro?» domandò la coreana
«Sono sicuro. Quando torni non dire a nessuno dove sono, ci penso io ad avvisare chi deve essere avvisato»
«Va bene» annuì quella senza obiettare.
Kokoro la squadrò. Sembrava che niente di tutto quel che stava succedendo la turbasse e accettava le condizioni un amico speciale, come Jun, senza battere ciglio: probabilmente era abituata ad avere a che fare con gente dello spettacolo. "Aveva detto di avere un fidanzato in Corea. Magari è un attore o un ballerino, come lei".
«Grazie mille Matsumoto san» lo ringraziò Kokoro al posto di Erina, che sembrava il preda al panico. «Penso io a tranquillizzare Eri chan. Sicuramente verrà a darti il cambio appena finisce di lavorare»
«Yun, dai loro il mio numero di cellulare» disse Jun prima di fare un inchino rapido. «Allora vado» salutò prima di uscire.
Le tre ragazze rimasero sole nel negozio ed Erina sembrava ancora nel panico. «Lo facciamo ancora quel tè?» domandò Yun-seo. «Parleremo un altro giorno». Kokoro annuì e fece accomodare entrambe nella sala coi tatami.
Sembrava non esserci mai un attimo di pace: cercava di confessare il proprio problema e non ci riusciva, una coreana sconosciuta, ma molto vicina a Masaki, doveva parlarle e veniva interrotta dalla situazione d'emergenza di un'amica di Erina che sembrava stare molto a cuore a Jun. Avrebbero mai avuto un attimo di pace?

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Capitolo 45
*** 44. You started something I never had to question before ***


Jun non riusciva a stare tranquillo, seduto sul sedile posteriore del taxi. Avrebbe voluto una corsia preferenziale e tutti i semafori verdi, ma dato che così non era, aveva cominciato ad innervosirsi: continuava a muovere la gamba e guardava davanti a sè, fissando con impazienza la strada nella speranza che le macchine davanti a loro si dileguassero.
Aveva fretta, ma in parte non avrebbe voluto mai arrivare a destinazione.
Si era proposto di andare, ma non avrebbe dovuto. Era come quel giorno di Giugno in cui non era corso sull'ambulanza: anche quella volta non doveva precipitarsi perchè lui era Matsumoto Jun, un idol di fama nazionale. Seguire Shiyori moribonda fino all'ospedale avrebbe rivelato la verità su di loro, in agenzia si sarebbero arrabbiati, la rivelazione avrebbe colpito il gruppo nel momento di maggior fama, i ragazzi sarebbero stati distrutti. Presentarsi all'ospedale e chiedere di Tomomi, da solo, probabilmente gli faceva correre lo stesso rischio.
Si passò la mano sugli occhi e sulla fronte, scoprendosi sudato. Era preoccupato per Tomomi, era preoccupato per Erina, che era sua amica, ma non poteva starle vicina ed immaginava quanto dovesse essere preoccupata, ma era anche preoccupato per sè e per gli Arashi.
Eppure era lì. Aveva provato tanto di quel rimorso nel pensare di essersi lasciato paralizzato dalla paura e non aver almeno seguito l'ambulanza con la macchina, che ora non voleva rimanere di nuovo a guardare. Doveva solo ridurre il rischio al minimo e fare attenzione, ma stavolta non avrebbe permesso ad una persona importante di andarsene senza far qualcosa per lei.
Pagò il tassista e scese al volo, contento di conoscere già l'entrata dell'ospedale. Fermò la prima infermiera che passava di lì. «Scusi, mi può aiutare? Ho un amica in sala operatoria, lavora qui, le hanno fatto male. Può dirmi dov'è?»
«Si calmi» sorrise quella dopo aver ascoltato il suo fiume di parole. «Può dirmi il nome della sua amica?»
«Nomura Tomomi. Lavora in cardiologia in questo ospedale, ma mi hanno detto che lavorava qui in pronto soccorso stamattina quando è stata ferita. Cos'è successo?» chiese ancora, impaziente
«Ho capito» annuì la donna, illuminandosi in viso. «Abbiamo chiamato il numero per le emergenze, ma ci hanno detto che la persona indicata per questi casi non era in città e avrebbe mandato un sostituto di fiducia. E' lei?».
Jun fissò l'infermiera per qualche secondo, in deciso su come rispondere, ma alla fine decise di mentire temendo che poi non lo avrebbero informato dei fatti. «Sì, era la sua allenatrice, ma non è a Tokyo in questi giorni» disse annuendo
«Mi segua» fece cenno la donna, quindi si avviò lungo il corridoio principale del pronto soccorso facendogli strada tra i pazienti e oltre le porte delle sale operatorie.
Dal rumore della sala d'aspetto si passò alla relativa calma degli altri corridoi dell'ospedale. Ogni tanto passavano delle barelle con dei pazienti sdraiati o vuote, in ascensore salirono con loro una donna incinta e altri pazienti. «Può dirmi cos'è successo?» domandò Jun stando dietro al passo rapido dell'infermiera una volta che uscirono al primo piano e cominciarono a camminare lungo un corridoio
«Stamattina stava coprendo un collega al pronto soccorso. Un uomo ubriaco l'ha aggredita colpendola violentemente al torace. Inizialmente sembrava non essere successo nulla, ma poco dopo ha detto di non riuscire a respirare e solo quando ha tossito del sangue i colleghi hanno pensato di controllarla» spiegò l'infermiera fermandosi davanti ad una porta
«Sangue? Quell'uomo era armato?» chiese il ragazzo guardando la donna con gli occhi spalancati. Sapeva già da un'ora -il tempo di arrivare lì da Chiba- che Tomomi era in sala operatoria e che quindi era grave, ma ora che gli veniva descritta la dinamica dell'incidente suonava tutto più reale e terribile di quanto non avesse pensato prima.
«No, ma nel suo stato quell'uomo era molto violento e Nomura san è una donna dalla corporatura minuta: le ha causato la frattura di due coste a destra che ha portato alla perforazione di pleura e polmone, che è collassato» rispose quella dopo aver bussato
«Quindi è uno... uno pneumotorace?» tirò ad indovinare vagamente ricordando una descrizione simile quando Aiba era stato male anni prima
«Sì, l'hanno portata in sala operatoria d'urgenza» annuì la donna prima che si aprisse la porta della sala. Ne uscì una collega che spingeva un carrello di biancheria. «E' pronta» annunciò questa con un inchino
«Non è la sala operatoria» osservò Jun sorpreso. La donna con lui sorrise appena.
«Non posso farla entrare nel blocco operatorio. Qui è dove sarà portata Nomura san dopo l'operazione»
«Qui? Allora non morirà?» chiese stringendo le mani a pugno. A mente lucida avrebbe capito che non si prepara una stanza con lenzuola pulite per un morto, ma l'ansia lo fece temere seriamente per la risposta a quella domanda.
«Non è in pericolo di vita» spiegò l'infermiera scuotendo il capo mentre apriva meglio le tende della finestra nella stanza. «In questo momento la stanno operando per inserire dei drenaggi, che consentano l'eliminazione dell'aria accumulatasi ne polmone e la sua riespansione. Poi dovranno sistemare la frattura alle costole, ma non è in pericolo».
Jun riuscì a rilassare i muscoli, ma trattenne un sospiro di sollievo, ricordando in quel momento di doversi comportare nel modo più discreto possibile. «Può aspettarla qui, non credo manchi molto alla fine dell'operazione» spiegò infine la donna avvicinandosi nuovamente alla porta, pronta ad andarsene
«Sì. Grazie mille» rispose inchinandosi profondamente. Lei fece un cenno con il capo e gli sorrise. Forse l'aveva riconosciuto o forse era lui che si faceva troppe paranoie. Solitamente era più tranquillo, ma in quel caso era spaventato dal fatto che qualcuno potesse pensare ad una relazione tra lui e Tomomi.
Si accomodò su una sedia, con la schiena contro la parete, e guardò fuori dalla finestra, respirando profondamente per cercare di tranquillizzarsi e riprendere il controllo dei suoi pensieri.
Tolse la giacca di jeans e la tenne sulle ginocchia, ancora troppo teso per rilassarsi del tutto. Forse solo quando l'avesse vista si sarebbe dato pace.

Stava girando l'acqua degli spaghetti quando gli arrivò la telefonata sul cellulare. «Che c'è? Cosa ti sei dimenticata?» aveva chiesto dopo aver letto sul display chi stesse chiamando.
Non era arrivata nessuna risposta dall'altra parte. Un respiro roco, il rumore del cellulare che cadeva a terra.
«Pronto? Shiyori?» aveva cominciato a chiamarla alzando la voce. Erano seguiti però altri rumori, voci di persone vicine.
«Signorina si sente bene?»
«Chiamate un'ambulanza!»
«Ma cos'è successo?»
«Fatela respirare, lasciatele spazio».
Jun aveva spento il fuoco ed era corso all'ingresso per indossare le scarpe e uscire di casa il più rapidamente possibile. Il cellulare era ancora acceso. «Shiyori! Shiyori! Mi senti?» aveva continuato a chiedere come un disco rotto. Non aveva avuto senso continuare ad urlare nell'apparecchio: se si era sentita male tanto da non parlare fin dall'inizio, certo non gli avrebbe detto qualcosa dopo. Infatti nessuno aveva preso il cellulare per rispondergli.
Alla fine, la comunicazione era stata interrotta quando lui era ormai arrivato in vista dell'ambulanza ferma vicino al marciapiede sulla strada da casa sua al konbini. Jun si era bloccato all'incrocio precedente e stringeva ancora il cellulare nella mano, tenendolo contro l'orecchio, ma non c'era più niente da ascoltare. Era riuscito solo a vedere alcuni paramedici che portavano la barella all'interno dell'ambulanza e riconobbe i vestiti che indossava Shiyori, prima che le mettessero addosso con una coperta. Due colleghi raccoglievano la borsa che si era portata dietro e il contenuto, sparpagliatosi a terra.
Le porte si chiusero e l'ambulanza ripartì con la sirena accesa.
Jun avrebbe voluto correre ed urlare di aspettarlo, ma non lo fece. Si era fermato all'incrocio, a pochi metri di distanza, ed era rimasto fermo a guardare l'ambulanza andarsene senza di lui.
La folla si era dispersa e sulla strada erano rimasti lui e il sacchetto del konbini con dentro le cose che Shiyori si era proposta di andare a prendere. C'era una confezione di mochi, rotolata fuori dalla borsa di plastica. Perchè aveva perso tempo a comprare delle cose buone? Perchè non era tornata subito a casa?

Era passato parecchio tempo da quando era stato portato lì e ancora nessuno si era fatto vivo. A quel pensiero Jun tornò ad agitarsi, ipotizzando possibili disastrose complicazioni, ma proprio quando stava per alzarsi per cercare qualcuno a cui chiedere informazioni, un inserviente aprì la porta della stanza e la tenne aperta per i colleghi che spingevano la barella.
«Buongiorno» salutò alzandosi in piedi ed inchinandosi
«Buongiorno» salutarono quelli.
Jun notò subito l'ossigeno a portata di mano e gli occhi di Tomomi, chiusi. «Cos'è successo?» quel giorno gli sembrava di porre sempre le stesse domande
«Scusi il ritardo, abbiamo avuto una complicazione. Dopo l'operazione stavamo per portarla qui, ma è andata in lipotimia e abbiamo avuto bisogno dell'ossigeno» spiegò il più anziano tra i portantini
«Dorme?» chiese ancora, mentre gli uomini sistemavano il corpo della ragazza sulle lenzuola pulite portando anche lo strumento per il drenaggio, che posizionarono a fianco del letto.
«E' per via dei tranquillanti, niente di grave. Riposerà un paio d'ore» spiegò ancora questo per poi squadrare Jun da capo a piedi. «Lei chi è?»
«Scusi, il numero per le emergenze di Nomura san è quello dell'allenatrice della squadra in cui gioca, ma la signora è fuori città oggi e ha avvisato che avrebbe mandato un sostituto» si spiegò subito, timoroso che potessero buttarlo fuori proprio quando poteva finalmente vedere Tomomi
«Non ha il cartellino dei visitatori» fece allora notare l'inserviente
«Oh» Jun sbattè le palpebre interdetto. «Credo che l'infermiera che mi ha accompagnato qui se ne sia dimenticata. Mi scusi, non ero molto tranquillo appena arrivato» spiegò inchinandosi
«Gliene faccio portare uno, non c'è problema» sorrise questi. «Si rilassi, la conosce Nomura san no? E' una tosta» concluse ridacchiando. Uscì con i colleghi spiegando che il dottore sarebbe passato prima di cena, poi chiusero la porta e Jun e Tomomi, addormentata, rimasero soli.
Fortunatamente c'era una sedia anche vicino al letto, Jun ci si sedette di peso facendo un profondo respiro. Improvvisamente sentì l'ansia, la paura e la tensione rifluire dal suo corpo come un'onda che si ritiri dalla spiaggia. Rimase senza forze e alzando lo sguardo al soffitto si ritrovò la vista offuscata.

Ad un certo punto prese coscienza del calore che sentiva sulle gambe, del proprio corpo disteso, e lentamente emerse dal sogno confuso che stava facendo. Si dissipò pian piano dietro le sue palpebre, finchè non le aprì e, come prima cosa, vide il soffitto colorato del tenue arancione della luce del sole calante fuori dalla finestra. Il calore che sentiva erano i raggi che colpivano il letto in cui si trovava distesa.
Le ci volle qualche secondo per essere abbastanza lucida da ricordare cosa fosse successo e perchè si trovava in un letto d'ospedale.
Fece un respiro più profondo degli altri, ma non troppo, spaventata dall'idea di stare ancora male. Fece per abbassare lo sguardo e controllare se aveva ancora il tubo di drenaggio che le usciva dalle costole, ma se ne dimenticò quando, guardando alla propria destra, vide Jun addormentato su una sedia a braccia incrociate e con la testa appoggiata alla finestra alle sue spalle.
Tomomi sbattè le palpebre, sorpresa, e guardò il resto della stanza, ma non c'era nessun altro.
«Matsumoto san?» disse con voce roca.
Il ragazzo si svegliò subito, rimettendosi seduto in maniera più composta. «Nomura san! Ti sei svegliata» disse con un sorriso leggero sulle labbra
«Che ci fai qui?» domandò la donna
«Come? E' quella la tua prima domanda? Non ti chiedi che giorno è, che ore sono o cos'è successo?» fece lui divertito
«Lo so cos'è successo, ero sveglia durante l'operazione» spiegò con un po' di fatica
«La tua allenatrice non è a Tokyo in questi giorni. Ha chiamato Erina san, ma non poteva assentarsi dal lavoro. Casualmente quando è arrivata la chiamata ero con lei e dato che oggi non dovevo lavorare mi sono proposto di venire al posto suo» spiegò infine il ragazzo, per poi piegarsi in avanti. «Come ti senti?»
«Perchè sei voluto venire?»
«E' una gara di domande?» fece Jun, storcendo il naso. «Non rispondo se ti non mi dici come stai, stavo qui in ansia ad aspettare che ti svegliassi: mi merito di saperlo».
Tomomi guardò di nuovo il soffitto. L'intontimento dei tranquillanti stava svanendo pian piano e più passavano i minuti, più prendeva coscienza della situazione. «Faccio un po' fatica a respirare, è normale. Non ho provato a muovermi, ma preferirei aspettare la visita del collega di reparto prima di fare qualsiasi cosa» gli spiegò parlando con molta calma. «Maledetto ubriacone del cazzo» gorgogliò stringendo le mani a pugno, ma l'attimo dopo si rese conto del linguaggio utilizzato e arrossì. «Scusa» farfugliò, si era ripromessa di non usare in sua presenza quelle espressioni "da scaricatore di porto", come le chiamava Erina.
Jun però scoppiò a ridere e Tomomi sorrise con lui finchè non si rese conto che il ragazzo era passato dal riso al pianto. Il divertimento scomparve quasi subito, gli occhi gli diventarono lucidi e lo vide mordersi il labbro inferiore per cercare di trattenersi. «Matsumoto san?» fece lei stupita. «Perchè piangi?»
«Non piango» rispose con la voce tremante, passandosi la manica della maglietta sugli occhi umidi. «Mi sono spaventato»
«Grazie, ma non era niente di grave» gli disse la donna
«Ora lo so, prima no. E poi hai dormito tutto il pomeriggio, non lo so... ho avuto paura»
«Sono confusa» ammise Tomomi. Lo era, ma non per via dell'incidente. Lei e Jun si conoscevano poco e si erano incontrati solo pochi mesi prima. I loro incontri si contavano sulle dita di una mano e, cosa non meno importante, lui aveva respinto i suoi sentimenti, seppur con molto garbo, perchè provava ancora qualcosa per la sua ragazza precedente. Lei gli aveva chiesto di dimenticare la sua dichiarazione, lui si era rifiutato di scordarla facendole capire che, anche se le aveva dato quella risposta, la sua dichiarazione gli aveva fatto piacere.
Nonostante tutto ciò, rimanevano due conoscenti e Tomomi non era certa che sarebbe corsa al capezzale di una persona che conosceva poco, soprattutto se nel suo giorno libero. E di certo non si sarebbe messa a piangere al suo risveglio. Allora cosa significava quell'atteggiamento da parte di Jun?
«Anche io» le disse lui
«Non è pericoloso che tu stia qui?» gli chiese
«Sì, è vero»
«Cosa penseranno le persone che ti hanno visto qui tutto il tempo?»
«Non lo so»
«E poi perchè? Io non capisco»
«Non lo so!» disse Jun alzando la voce per farla stare zitta. «Mi sono spaventato. Non volevo perderti» ammise tirando su con il naso. «Ho avuto paura che accadesse di nuovo, che ancora una volta qualcuno a cui tengo se ne andasse senza che io riuscissi a parlargli un'ultima volta, senza che potessi stringergli la mano e assicurarmi che il nostro ultimo ricordo fosse un sorriso o una frase gentile».
Tomomi lo vide schiacciare i palmi delle mani sugli occhi e far scivolare le dita tra i capelli leggermente scompigliati. «Nemmeno io riesco a capire bene cosa mi passi per la testa, ma questa volta ho deciso che non sarei rimasto a guardare. Ho preso tutte le precauzioni possibili: non ho detto niente di compromettente e mi sono fatto notare il meno possibile; ma volevo esserci, non volevo più avere rimpianti, non volevo che accadesse di nuovo qualcosa senza che io avessi fatto quello che sentivo giusto fare» spiegò guardandosi la punta delle scarpe. «Quando Shiyori se n'è andata io non ero con lei. Avrei potuto, ma mi sono bloccato perchè avrei corso un grosso rischio e, forse, anche perchè infondo speravo non fosse niente di così grave. Speravo sarebbe tornata, ma non è stato così. E sapevo che non sarebbe stato così, lo sapevo dal momento in cui ho sentito solo il suo respiro dall'altra parte del telefono. Ma nonostante questo non ho fatto niente per seguirla, per quanto l'amassi, sono rimasto fermo all'incrocio a guardarla andare via».
La luce del tramonto andava scemando e i raggi del sole ormai erano saliti ad illuminare solo il soffitto, proiettando la lunga ombra nera del busto di Jun, con la schiena appoggiata alla finestra.
«Quando ho saputo che era successo qualcosa non ho potuto fare a meno di preoccuparmi. Dovevo accertarmi che stessi bene, non volevo ripetere lo stesso errore: non sarei rimasto ancora una volta a guardare» disse alzando lo sguardo per incontrare i suoi occhi. «Tu non sei lei e i miei sentimenti non sono gli stessi, però ho avuto lo stesso una paura folle. So che non ha molto senso, le mie parole ti confonderanno -confondono anche me- ma non so spiegare ciò che ho sento, nè so dargli un nome. Mi dispiace».
La ragazza scosse il capo e fece un leggero sorriso, quindi sollevò appena una mano, aprendo il palmo verso l'altro. «Va bene lo stesso. Non deve avere tutto un senso. Non subito, non per forza» gli spiegò. Quando Jun le diede la mano non ebbe il coraggio di stringerla troppo forte, si limitò a chiudere le dita sulle sue sentendole ancora umide.
Quel discorso l'aveva confusa, era vero, ma da come le aveva parlato sembrava improbabile che si stesse prendendo gioco di lei. Chiunque avrebbe voluto dire qualcosa di piacevole a chi aveva appena rischiato la pelle, e quelle parole erano più che belle, dato che sembravano indicare come Jun si stesse lentamente innamorando di lei. Ma Tomomi sapeva che non era un ragazzo del genere, non gliele aveva dette per farle piacere, in realtà quel discorso aveva un retrogusto molto amaro: certo, la teneva in conto tanto da preoccuparsi per lei e, forse, c'era anche dell'affetto sincero se arrivava a fare un paragone con lo spavento preso alla morte della sua ex, ma aveva anche detto che non era lo stesso tipo di affetto. Non aveva nome, ma il sentimento che Jun provava per lei non era come quello che aveva provato per Shiyori.
«Grazie per essere venuto» gli disse qualche secondo dopo che lui le aveva preso la mano
«Se ti fossi svegliata da sola, sarebbe stato triste no?» le disse
«Sì, ma vedendoti qui pensavo di aver raggiunto il nirvana» si azzardò a scherzare. Il ragazzo ridacchiò imbarazzato, poi scivolò via dalla sua presa e si alzò in piedi, stiracchiandosi.
La luce era sparita completamente e Jun accese la luce del comodino proprio quando la porta della stanza si aprì e ne entrò il medico di turno. «Nomura san» fece questi avvicinandosi al letto. «Ho saputo cos'è successo, mi spiace»
«Iwaki sensei» salutò lei abbozzando un sorriso. «E' venuto a dirmi quanti giorni di inaspettato riposo mi spettano?»
«Sì, ti hanno assegnata a me. Vedrai che in cardiologia se la caveranno per una settimana in cui non sei con loro»
«Una settimana?» domandò Tomomi, delusa. «Speravo di potermi riposare di più»
«Vedremo. Dipenderà dalle radiografie. Dobbiamo tenerti sotto osservazione e quando il polmone sarà riespanso, toglieremo i drenaggi. Dopo però ti prescriverò una terapia anitibiotica profilattica per evitare infezioni»
«Sì, dottore» sospirò la donna
«Mi fa specie doverlo dire proprio a te, ma mi raccomando di seguirla» la ammonì il collega che poi spostò l'attenzione su Jun che, come aveva detto prima, era rimasto zitto e buono per dare meno nell'occhio. «E' un tuo amico?»
«Sì, Matsumoto san è venuto al posto del mio contatto d'emergenza» rispose lei al suo posto
«Molto piacere» aggiunse lui, inchinandosi
«Ah sì? Beh mi raccomando, la tenga d'occhio. E' un bravo medico, ma mi dicono che fa una vita tale che dimentica di mangiare. Non vorrei dimenticasse anche di prendere le medicine: si riprenderà completamente, ma è importante che segua le mie indicazioni. Inoltre...» riprese tornando a guardarla. «Dovrai limitare molto i movimenti finchè le ossa non si saranno di nuovo saldate»
«Sì» sospirò lei sconsolata. «Le costole eh? La prossima volta che mi aggrediranno chiederò gentilmente di rompermi un braccio, è meno scocciante»
«Speriamo che non ci sia una prossima volta» disse Jun a mezza voce, tenendo lo sguardo basso
«Dice bene» annuì il dottor Iwaki. «Comunque ero solo passato per vedere se ti eri svegliata. La visita la faremo dopo cena»
«A dopo allora» annuì la ragazza piegando la testa quando poteva per fargli un cenno. Non appena questi uscì chiudendosi la porta alle spalle Tomomi sospirò affranta. «Odio il cibo che danno qui» borbottò
«A chi piacciono i pasti in ospedale?» ridacchiò Jun. «Vuoi bere qualcosa?»
«In effetti ho un po' la gola secca» annuì. «Ma è meglio solo dell'acqua. C'è una macchinetta infondo al corridoio, solo che non mi sembra abbiano portato qui le mie cose»
«Non ho problemi a pagarti una bottiglia d'acqua, sai?» ribattè incredulo lui
«Lo so, ma ti sei scomodato così tanto oggi che non volevo chiederti anche questo favore»
«Lascia stare» scosse il capo e si alzò allontanò dalla finestra. «Prendo qualcosa di caldo per me e torno» le disse prima di avviarsi alla porta.
Tomomi girò lo sguardo ad osservare la sua ampia schiena, coperta dalla felpa spiegazzata dalle tante ore passate seduto contro lo schienale della sedia. «Matsumoto san» lo richiamò
«Mh?» domandò lui girandosi quando aveva già una mano sulla porta a scorrimento, pronto ad aprirla ed uscire
«Io credo vada bene anche così» gli disse chiudendo gli occhi stancamente. «Penso che di solito, diamo un nome alle cose quando le abbiamo capite o quando vogliamo farlo, perchè così sembrano diventare più chiare. Così come etichettiamo dei quaderni, allora vogliamo catalogare anche pensieri e sentimenti. Ma non è sempre così facile e poi ci sono volte in cui va bene anche non capire, no?» pronunciò piano. «Esistono cose che è possono rimanere senza nome, sentimenti che non abbiamo bisogno di forzare: se diventeranno importanti troveremo il modo di definirle, ma se ci sforziamo troppo magari rischiamo di distruggere qualcosa di ancora troppo fragile»
«E' quello che vorresti facessi?» lo sentì chiedere
«Non voglio niente. Sei tu che devi scegliere se vedere cosa accade a questa cosa o se ignorarla» gli rispose voltandosi a guardare il buio fuori dalla finestra.
Rimasero in silenzio per un po', poi Tomomi sentì la porta scorrere e aprirsi. Le arrivarono i rumori delle persone in corridoio che giravano per l'ospedale in quell'ora in cui erano permesse le visite.
«Questo penso di poterlo scegliere subito» rispose poi Jun
«Sì?» domandò con una punta di sorpresa nella voce
«Sì» confermò lui. «Ma te lo dirò tra due minuti quando torno con l'acqua» disse divertito prima di uscire.


Era molto che non scrivevo di Jun, mi è mancato...
Questo è forse un capitolo più corto rispetto ad altri e, lo ammetto, i dialoghi significanti sono solo il 30% del capitolo, ma forse volevo scrivere una parte più di emozioni che di parole. Il mondo continua ad andare avanti: il taxi arriva all'ospedale, Jun parla con l'infermiera, l'attesa dell'arrivo di Tomomi su prolunga, le ore passano, il sole tramonta; ma dentro di sè, Jun si è insieme bloccato e mosso più velocemente di chiunque. Per un cuore fermo da mesi, provare tanta paura e tanta ansia è un viaggio incredibile, ma allo stesso tempo la mente non può fare a meno di chiedersi "ehi, questo cosa significa?".
E Tomomi continua a rassegnarsi una volta, ma a riacquistare speranza quella successiva: prima non la ama perchè pensa ad un'altra, poi non può dimenticare i suoi sentimenti anche se pensa ancora alla stessa donna e infine si preoccupa allo stesso modo pur affermando di continuare ad amare un'altra. Ma un simile atteggiamento ha un significato profondo, nessuno dei due può ignorarlo. Dopo aver preso l'acqua, quindi, Jun deciderà di riconoscere questo cambiamento? Oppure no?
Ancora 7 capitoli alla fine.

Per questo capitolo devo ringraziare Erika, che ha passato una serata e mezzo a farmi da consulente medica. Grazie per avermi fatto da shopping advisor nella scelta dell'incidente di Tomomi (allora cosa vuoi? Un trauma cranico o un trauma toracico?) e per aver giocato di ruolo facendo io Jun e tu l'infermiera per studiare le risposte XD

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Capitolo 46
*** 45. The Night Sky will split Your Mind ***


Tomomi rimase lontana dal lavoro per ben due settimane e per un tipo sempre indaffarato come lei sembrò strano, ma si godette quell'inaspettata vacanza fino all'ultimo giorno: non era una di quelle donne nevrotiche che se non fanno qualcosa cominciano a spazientirsi.
Dormì per la maggior parte del tempo, anche perchè le venne la febbre il giorno subito dopo l'incidente e non le passò se non dopo sei giorni. In quelle notti i suoi sogni erano stati angoscianti. Continuava a rivivere l'incidente, a rivedere l'espressione di quello sconosciuto e a provare freddo per il furore con cui si era scagliato su di lei e in quelle visioni non riusciva a mantenere il sangue freddo che aveva avuto nella realtà pensando che, pur stando male, si trovava già in ospedale, circondata da professionisti esperti. La Tomomi che vedeva dietro le sue palpebre veniva assalita dal timore di essere violentata da quell'uomo dalla forza soverchiante o che le facesse del male e cadeva nel panico ogni volta che si accorgeva di non riuscire a respirare.
Alcuni giorni si era svegliata nel cuore della notte, terrorizzata dal buio e dal silenzio di un luogo in cui non era abituata a dormire. Nei periodi di febbre aveva vomitato, mettendo in allarme le infermiere del reparto. Le avevano detto però che quegli attacchi e la febbre non erano dovuti a problemi fisici, ma psicosomatici. Tomomi non era una psicologa, aveva studiato qualcosina ai tempi dell'università, cert, ma non poteva fare una diagnosi precisa. Forse il suo rigore l'aveva costretta a comportarsi in maniera decorosa nel momento del bisogno e ora la paura e il vero istinto di sopravvivenza si stavano sfogando sul suo subconscio? O magari era rimasta semplicemente spaventata da quell'attacco improvviso da parte di un paziente, qualcuno che era abituata ad avere docile nelle sue mani e che stavolta le si era inaspettatamente rivoltato contro?
Ricordava però che un paio di volte si era svegliata verso l'alba. Aveva avuto la sensazione che qualcuno le stesse tenendo la mano, così aveva aperto gli occhi e i sogni inquieti erano diventati solo un ricordo sbiadito alla prima luce del sole. Si era girata verso la finestra tutte le volte, sperando di vedere Jun, ma la sedia a fianco del letto era rimasta vuota.
Certo, era un pensiero romantico che il ricordo di quell'inaspettata sorpresa placasse il suo subconscio irrequieto e la riportasse alla realtà con dolcezza, ma avrebbe volentieri scambiato un risveglio tranquillo con la possibilità, almeno una volta, di ritrovarselo di nuovo al suo capezzale.
Invece non era più tornato, era uscito per prendere da bere e non era mai rientrato nella camera. Quel giorno gli era stato impossibile probabilmente, dato che appena un minuto dopo la sua uscita dalla stanza, sulla porta erano comparse tutte le compagne di squadra avvisate e scortate lì dall'allenatrice, ma Tomomi aveva sperato in una sua ricomparsa almeno nei giorni successivi. Niente da fare.

Quando finirono le due settimane di riposo in ospedale, Tomomi potè finalmente tornare a casa. La terapia antibiotica stava finendo, la ferita tramite la quale le era stato inserito il drenaggio al polmone si stava cicatrizzando, ma doveva ancora portare una salda fasciatura che le stringesse il petto dato che le costole si sarebbero saldate solo in un mese. Poteva tornare al lavoro, ma le avevano ordinato turni solo diurni e brevi, inoltre doveva seguire con frequenza delle sedute di magnetoterapia per aiutare la frattura a ricomporsi.
Dopo due settimane si assoluto riposo, la sera in cui la dimisero, Tomomi accettò la proposta di Erina di festeggiare l'evento. Dato che l'amica si era proposta di scarrozzarla ovunque, prima di tutto si fece accompagnare al locale dove fece un aperitivo con i colleghi di reparto: ognuno di loro, compreso il nuovo assunto, Sakai, era passato a trovarla tutti i giorni e anche più volte nell'arco di una giornata. Nessuno di loro fece domande sul ragazzo che era stato visto il primo giorno con lei, nè chiesero come mai non avesse un familiare come contatto in casi di emergenza. Furono solo allegri e spiritosi. Per ringraziarli pagò lei per tutti.
Dopo quel drink lei ed Erina andarono al karaoke dove la squadra le aspettava. Sarebbe stata serata di allenamenti, ma la coach aveva dato loro il permesso di divertirsi se era per festeggiare la dimissione di una delle giocatrici migliori in squadra. Senza di lei era dura vincere alle partite, ma in un modo o nell'altro erano riuscite a rimanere tra le squadre in lizza per il campionato. In quelle settimane, chi di giorno, chi la sera, erano passate tutte a trovarla almeno una volta.
Quando risalirono in macchina Tomomi era esausta. Aveva lasciato nell'abitacolo il mazzo di fiori dei colleghi, perchè le compagne non si offendessero o non facessero paragoni con quello che le avevano regalato loro. «Sembra un carro funebre di quelli che si vedono nei film americani» commentò guardando il sedile posteriore prima di sedersi al suo posto
«La mia macchina è troppo piccola. Quale morto trasporterei, un nano?» domandò Erina mettendo in moto
«Il piccolo cadavere di un kappa*» suggerì Tomomi rilassandosi sul sedile
«Per carità» rise la rossa «Piuttosto adesso allacciati la cintura perchè si va!»
«Si va dove? Non torniamo?» chiese cercando di non dare a vedere la sua stanchezza
«Lo so che è tardi» ammise l'amica «Ma ti ho preparato una sorpresa: è il mio regalo» rise.
Non le disse niente e lasciò che guidasse verso la loro nuova meta, qualsiasi fosse, ma decise almeno di stare in silenzio e concedersi un breve riposo mentre viaggiavano: si sentiva tutto il corpo pesante e da qualche minuto aveva un leggero ma costante dolore intercostale. Una volta arrivate dove stavano andando avrebbe cercato un bagno e si sarebbe fatta stringere la fasciatura.
Parcheggiarono in un quartiere che non conosceva e alla fine di un breve pezzo a piedi si fermarono davanti alla minuscola entrata di un locale. «Dopo una serata così mi porti in un'izakaya** a bere?» domandò sconcertata Tomomi
«E' di quelli con i tavoli nei séparé» le disse come se quello spiegasse tutto
«Non importa, entriamo così vado in bagno» sospirò, decisa a bere una cosa e poi a farsi riportare dritta a casa. Non avrebbe resistito a lungo.
Quando entrò Erina parlò con la cameriera perchè aveva prenotato il tavolo. Quella le scortò fino ai lunghi noren blu notte che separavano l'ambiente del tavolo dal resto del locale. Lì notò che c'erano tre paia di scarpe a fianco del gradino da salire per camminare sul tatami.
«Kōmō, so che vuoi farti perdonare di non essere potuta venire il primo giorno» disse bloccando l'amica prima che scostasse i noren. «Ma non ce la faccio. Un conto è bere qualcosa noi due, però io non riesco a sopportare un'altra festa: sono stanca» le spiegò con tutta la gentilezza che riuscì a trovare
«Capisco» annuì la rossa lanciando un'occhiata al noren ancora chiuso. «Fai almeno un saluto, per favore. Poi se vorrai tornare a casa ti ci porterò» le chiese. Tomomi alzò gli occhi al cielo e prese un profondo respiro, annuendo.
Erina l'aiutò a togliersi le scarpe ed infine entrò nello spazio del loro tavolo, con un sorriso stampato in faccia. «Eccoci, scusate il ritardo!» annunciò
«Hai trovato parcheggio?» chiesero dall'interno
«Sì, l'ho messa dove mi hai consigliato tu, Matsumoto san» rispose la rossa, tenendole aperte le due tende.
Tomomi rimase impietrita quando, abbassando lo sguardo sul tavolo, vide lì seduti due sconosciuti e Jun. «Sei Nomura san, vero? Eri chan ci ha parlato molto di te» disse il ragazzo seduto di fianco a lui
«Aiba chan, falla sedere prima. Sarà stanca» lo rimproverò Jun che si alzò in piedi e le allungò un mano. «Hai bisogno di aiuto per piegarti a sedere?» le domandò premuroso.
La donna scosse il capo, abbassando lo sguardo. In quel momento le era tornato in mente che quello era il ragazzo che ancora doveva dirle se era disposto ad interessarsi a lei per vedere cosa sarebbe potuto nascere tra loro. «Ce la fa, ce la fa» rispose Erina per lei, mettendole un braccio intorno ai fianchi e portandola a sedersi a capotavola: le sembrò di sfuggire alla mano che Jun le aveva gentilmente offerto.
Ordinarono subito, dopodichè i due sconosciuti si presentarono: erano Aiba Masaki, un altro membro del gruppo di Jun, e Hanayaka Kokoro, l'amica di cui Erina tanto le aveva parlato e attuale fidanzata di Aiba. Questo non glielo dissero chiaramente, ma lei lo sapeva dai racconti della rossa.
Erina e Masaki animarono la serata, riempiendola di chiacchiere. Non si stupiva che andassero d'accordo: erano fastidiosi in egual misura, anche se in buona fede. Kokoro era una ragazza molto gentile, silenziosa e ben educata: parlava con la cameriera che li serviva, distribuiva le bevande una volta che erano sul tavolo e parlava solo se interpellata. Jun era un tipo tranquillo, come si era dimostrato in altre occasioni, ma chiacchierava e trattava Aiba con grande informalità, mentre con le altre due ragazze si manteneva educato e prestava sempre attenzione alle loro parole.
Tomomi rimase in silenzio ad osservarli dalla sua posizione a capotavola, mentre cercava di sopportare il dolore al petto e di dominare le proprie emozioni.
In quei mesi c'era stato un continuo tira e molla tra lei e Jun. Prima si era lasciata affascinare da quell'uomo, ma poi si era imposta di dimenticarsene data la sua posizione e la scarsa probabilità di essere notata, poi però gli aveva comunque confessato i suoi sentimenti e poco dopo gli aveva chiesto di dimenticarli, di non badare alla sua dichiarazione, cosa che lui aveva invece rifiutato. Infine, confusa e rassegnata, Tomomi si era inaspettatamente trovata a stringergli la mano in un momento in cui avrebbe dovuto avere le persone più importanti della sua vita al suo fianco. Nonostante quei continui cambiamenti di rotta lei ancora non sapeva se aveva o meno qualche chance.
«Ti senti bene?» gli domandò improvvisamente Jun, piegandosi dalla sua parte, lasciando gli altri tre alla loro animata discussione. «Ti vedo un po' pallida»
«E' stata una serata stancante e temo si sia allentata un po' la fasciatura, quindi ho qualche dolore» spiegò con eccessiva sincerità
«Posso aiutarti?» chiese allarmato.
Tomomi gli sorrise lievemente. «Ti ringrazio, ma dovrei togliermi la camicia e rimanere mezza nuda per farlo: non mi sembra il caso, tu che dici?»
«Hai ragione, non è il caso» annuì lui guardando improvvisamente altrove. Si era resa conto che, quando era imbarazzato, Matsumoto Jun non arrossiva, ma sorrideva e guardava altrove.
«Parla avanti» diceva Erina in quel momento, incitando Kokoro. L'altra fissava il suo bicchiere e sgranocchiava emadame, pensierosa.
«Che succede?» domandava Aiba, preoccupato
«Non mi sembra il momento per affrontare questo discorso. Siamo qui per Nomura san» replicò la giovane. «E non voglio annoiare anche Matsumoto san»
«Ma magari possono aiutarti!» insistette Erina
«Puoi parlare. Le occasioni di incontrarsi sono così poche che penso vada bene parlare di qualsiasi cosa» annuì Jun, voltandosi verso il resto del tavolo.
A ben guardarla, quella Hanayaka Kokoro era veramente graziosa. Piccola e carina, l'ideale di donna. Tomomi si sentì a disagio: troppo alta, troppo adulta, troppo risoluta. Aveva sempre trovato insopportabile l'atteggiamento riservato, timido e civettuolo della maggior parte delle donne che incontrava, ma in quel momento l'avrebbe voluto anche lei se fosse servito.
«E' un problema con il negozio, o meglio, con i clienti» spiegò la giovane
«Non gli è piaciuto che tu abbia preso il tuo vecchio insegnante con te?» domandò Aiba
«No, anzi, riscuote un certo successo. Alcune clienti sono diventate una cosa come sue fan» spiegò confusa. «E' un bell'uomo, ma non pensavo reagissero così. comunque il problema è... beh, sono io» ammise arrossendo. Fece una pausa abbassando lo sguardo ed Erina la incitò a continuare dandole una gomitata. «Una signora che era molto amica della maestra, la precedente padrona del negozio, ha detto di volermi fare un favore nell'avvisarmi che alcune persone non vogliono più comprare da noi. Sembra che corrano delle voci sul fatto che io mi veda con un uomo» confessò infine.
Aiba e Jun si guardarono in faccia, sbalordito il primo e preoccupato il secondo. «Inizialmente pensavano che quella persona fosse Shimizu sensei quando lo hanno visto cominciare a lavorare in negozio, poi però hanno scoperto che ha moglie e figli e hanno capito che non poteva essere lui»
«Le ho detto di parlarne con te, non si può ignorare questa cosa» intervenne Erina, guardando Masaki. «Non puoi venire allo scoperto, ma non si può nemmeno lasciare che il negozio perda clienti per un motivo tanto stupido»
«Non capisco quale sia il problema» ammise Tomomi rigirandosi il bicchiere tra le mani
«Non possono fidanzarsi ufficialmente» rispose la rossa
«Almeno fino ai trent'anni» la corresse Jun. «Fino a quell'età non può venire fuori una notizia ufficiale circa un nostro coinvolgimento sentimentale. E' la politica dell'agenzia»
«Quindi se trovate qualcuno potete starci insieme, ma nessuno deve sapere niente?» chiese Tomomi
«Esatto. Quindi Aiba chan non può farsi avanti, anche se immagino che molte signore del quartiere sarebbero solo felici di sapere che ha una ragazza» concluse Kokoro. «Però devo risolvere in qualche modo la questione, senza che voi ci andiate di mezzo, quindi volevo sapere se avete dei suggerimenti» disse verso i due ragazzi.
Tomomi tacque. La situazione era più complessa del previsto: non aveva idea vi fosse un simile regolamento per quei ragazzi, eppure, si disse, essendosi innamorata di uno di loro avrebbe dovuto almeno informarsi.
«Perchè non indossi un anello?» domandò scuotendo il capo per togliersi quei pensieri dalla testa. Non aveva senso crucciarsi tanto se fino al mese prima era convinta di dover lasciar perdere ciò che provava.
«Ossia?» domandò confusa Kokoro
«Lui non può fidanzarsi ufficialmente, ma tu sì. Se per queste signore è tanto importante la moralità della persona che dovrebbe semplicemente cucinare bene la roba che comprano, allora accontentale. Ci tieni al tuo lavoro no?» le chiese
«Sì, ci tengo» annuì la giovane
«Se non ti ha fermato la perdita della padrona, nè il fatto di essere da sola a gestire tutto, perchè lasciare che ti blocchi una sciocchezza simile? Indossa un anello e se te lo chiedono dirai è del tuo fidanzato» spiegò svuotando il bicchiere. «Se dovessero arrivare a chiederti chi sia, dì pure che si chiama Masaki, è un nome comune. Dì che è del Chūgoku*** e sta aspettando di avere il trasferimento al lavoro per venire a stare a Tōkyō» concluse stringendosi nelle spalle.
Erina e Aiba la fissarono pieni di ammirazione. «L'avevi detto che è un genio» fece lui
«Hai visto?» gli disse la rossa orgogliosa. «E' una soluzione!»
«Sì, è fattibile» annuì Kokoro
«Potresti lasciare il negozio a Shimizu sensei per due giorni» propose Aiba. «Così impara anche a cavarsela da solo in quell'ambiente e tu puoi fingere di andare nel Chūgoku dal tuo finto fidanzato»
«E dove vado? Gli altri vedranno che sono a casa»
«Puoi stare da me» le disse lui
«Non è pericoloso se la gente la vedrà entrare e uscire dall'appartamento?» chiese Erina
«L'agenzia ha già parlato con gli inquilini quando mi sono trasferito lì. Non diranno nulla» scosse il capo Aiba
«Ma è pericoloso» la appoggiò Jun. «Non hai qualche amica qui a Tōkyō per stare da lei in quei due giorni?»
«Puoi stare con me e Ying!» esclamò la rossa «Per una notte ci stringeremo in stanza»
«Va bene, penserò a come sistemare la cosa e questo weekend mi farò ospitare» annuì Kokoro.
Anche se non erano seduti vicini, per Tomomi era chiaro che c'era qualcosa tra lei e Masaki. Nel modo in cui lui le sorrideva e nella premura che lei metteva in ogni gesto verso di lui. Inoltre nessuno dei due si chiamava per nome, ma si davano sempre del "tu".
Si scoprì ad invidiarli, ma quel pensiero durò poco perchè Jun si girò verso di lei, guardandola in viso e sorridendole. «Nomura san, come ti senti? Sei un po' pallida» chiese. Dovette notare con dispiacere che la temporanea informalità che aveva avuto con lei in ospedale era scomparsa.
«Sono solo stanca» spiegò piano, lanciando un'occhiata agli altri te al tavolo che si erano messi a discutere su chi avrebbe ospitato Kokoro. «Scusami ancora per l'inconveniente dell'ospedale» aggiunse
«Siamo passati dal "grazie" allo "scusa"? Cos'ho fatto per meritarmi una cosa del genere?» domandò a metà tra il divertito e il preoccupato
«Niente, hai ragione» scosse il capo
«E' perchè non sono tornato in stanza?»
«No, ho capito perchè non sei tornato e non posso biasimarti. Anzi, hai fatto bene» annuì
«Mi dispiace» ammise a testa bassa. «Sono molto impegnato in questo periodo, il 29 c'è il concerto a Osaka e... beh, sono passato altre due volte, ma la prima c'era altra gente con te e al mio secondo tentantivo stavi dormendo. Avevo poco tempo, quindi non ho voluto svegliarti».
Tomomi lo fissò. Era passato all'alba? Se fosse stata quella la volta in cui le aveva preso la mano?
Tomomi respirò profondamente e cercò di scacciare via ogni pensiero. Più passava il tempo, più sentiva di desiderare nuove cose quando invece avrebbe dovuto togliersi dalla testa ogni sentimento che riguardasse Matsumoto Jun degli Arashi. Non le bastava sapere cosa pensava, ma ormai si emozionava ad ogni sua gentilezza e guardava gli altri con la remota speranza di avere un giorno lo stesso rapporto che avevano loro. Doveva darsi una calmata, rimettere i piedi a terra e pensare a cose più concrete e reali, tipo rimettersi in sesto, smettere di fare incubi e riprendere a lavorare serenamente come una volta.
«Scusate, io devo andare in bagno» disse, ricordando che si era ripromessa di stringere la fasciatura una volta che fosse entrata nel locale. «Poi, se non vi offendete, io preferirei tornare a casa. Sono un po' stanca»
«Certo, vuoi che qualcuno ti accompagni?» domandò Aiba
«Ho solo qualche costola fuori posto, non sono invalida» gli rispose alzandosi in piedi a fatica e uscendo rapidamente da quell'ambiente.
Una volta in bagno fece per sciacquarsi la faccia, ma si ricordò del trucco e, ancora pensando a Jun, decise di non rischiare che sbavasse. Aprì la camicia e la appoggiò al bordo del lavandino, mentre con lentezza toglieva il gancetto della fascia elastica e la lasciava allentare per non dover muovere le braccia nel toglierla, cosa che le avrebbe fatto male.
Coprendosi il seno con la camicia si voltò per guardarsi la schiena nello specchio. Era una cosa che non aveva potuto fare in ospedale e quindi non aveva mai visto che segni avesse in quella parte del corpo. C'era un ematoma grande quanto la testa di un uomo e anche se ormai stava ingiallendo, segno che presto sarebbe scomparso, era ancora perfettamente evidente.
Si incantò a fissarlo, ripensando ancora una volta all'incidente che aveva dimenticato almeno per qualche ora quella sera. Ricordò di come aveva creduto che il dolore iniziale al petto fosse lo stesso della botta alla schiena che si stava ripercuotendo su tutto il busto.
Tossì, non sapendo se era vera tosse o solo uno riflesso dovuto allo shock, ma si girò subito per guardarsi la mano, terrorizzata all'idea di trovarvi del sangue, esattamente come le era successo quel giorno. Respirò affannosamente e sentì gli occhi riempirsi di lacrime: era al sicuro e si stava riprendendo, doveva convincersi di quella cosa; perchè invece continuava a spaventarsi e a farsi prendere dal panico?
«Nomura san? Nomura san va tutto bene?» sentì chiedere. Era la voce di Jun, ma non riuscì a rispondere. Se non avesse ripreso a respirare normalmente avrebbe rischiato di vomitare di nuovo. «Nomura san?» domandò ancora aprendo la porta, allarmato
«Matsumoto san, aspetta!» disse Erina, la cui voce era più lontana.
Tomomi diede le spalle all'ingresso, nonostante fosse perfettamente coperta, ma questo non fece che preoccuparlo ancora di più. «Cosa ti è successo?» fece entrando nel bagno quando vide il livido. «Te lo sei fatto adesso? Che succede?». Riuscì solo a scuotere il capo e a fargli segno di aspettare.
Quella situazione era assurda, stava facendo preoccupare qualcuno per nulla e si era creata una situazione facilmente equivocabile che chiunque avrebbe potuto vedere in quel bagno. «Insomma, aspetta!» disse Erina comparendo sulla porta. «Non puoi entrare qui. E' tutto a posto, quello se l'è fatto il giorno dell'incidente. Ora l'aiuto io, tu non lasciare da soli quegli altri due» lo incitò la rossa spingendolo fuori dal bagno.
Quando la rossa le si parò davanti, mettendole le mani sulle spalle e scrutandola negli occhi, Tomomi aveva già smesso di lacrimare per lo spavento e il respiro era quasi normale. «Scusami. L'allenatrice mi ha detto di questi tuoi attacchi e ho pensato che farti passare una bella serata avrebbe aiutato» spiegò dispiaciuta «Ma forse ho esagerato». La donna sorrise a stento e si appoggiò con la testa alla spalla dell'amica. «Ho invitato Matsumoto con una scusa, speravo ti avrebbe fatto piacere»
«Molto» bisbigliò
«Ti dirò, non è stato poi tanto difficile convincerlo a venire» ridacchiò. «Chissà perchè? Ahi!» esclamò subito dopo, quando Tomomi le diede un pizzicotto. «Va bene, la smetto. Ora ti aiuto a rimettere la fasciatura, non ce la puoi fare da sola e lo sai. Cosa ti passa per la testa stasera? Non sarà che la presenza di... ok, ok! Non dico niente» si corresse subito.


*I kappa sono animali mitologici giapponesi. Per saperne di più guardate QUI
**Locali tipici giapponesi dove i giapponesi si recano a bere e mangiare qualcosa. Alcuni izakaya a conduzione privata sono composti da piccole stanze separate, in ognuna delle quali si trova un tavolino per una maggior intimità
***Il Chūgoku è la regione più occidentale dell'Honshu, l'isola più grande dell'arcipelago del Giappone

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Capitolo 47
*** 46. Caught in a morning shower ***


I ragazzi si lasciarono andare pesantemente sui sedili del pulmino. Era passata l'eccitazione del concerto e l'adrenalina era scomparsa, lasciando spazio alla stanchezza.
Nessuno di loro fiatò mentre si sistemavano meglio nei posti infondo, messi intorno ad un tavolino. Qualcuno dello staff e i manager salirono subito dopo mettendosi vicini all'autista. Loro chiacchieravano e ridevano, ma era facile dato che non avevano corso, ballato e saltellato per le precedenti cinque ore in mezzo a migliaia di fan, stelle filanti, fuochi e luci colorate.
Quando il pulmino mise in moto, sentirono una voce all'esterno, avendo i finestrini leggermente aperti. «Aspettate! Aspettate, un secondo! Salgo anche io» e l'attimo dopo Yun-seo saliva a bordo.
La ragazza fece un rapido inchino al conducente, quindi cercò il gruppo con lo sguardo e si avviò lungo il corridoio di sedili quando il pulmino mise in moto.
«Carotina, ciao» salutò Sho con voce stanca
«Ciao ragazzi. Ottimo lavoro» disse lei con un sorriso tenendosi al tavolo per non cadere
«Posso averti come peluche?» domandò Aiba, stravaccato sul divanetto infondo, allungando le braccia
«Come vuoi, ma io tiro calci nel sonno» rise e girò intorno al tavolo quando Ohno si spostò per farla passare e raggiungere il compagno. «Vi fermate alla JH stanotte? O tornate a casa?» domandò mettendosi di fianco ad Aiba che le si aggrappò al braccio e chiuse gli occhi appoggiando la testa sulla sua spalla
«Io e Ohno sì» rispose Sho. L'altro annuì in conferma, poi incrociò le braccia sul tavolo e vi appoggiò la testa. Avrebbe sonnecchiato se Nino non avesse fatto la stessa cosa, ma sulla sua schiena, ridacchiando sommessamente.
«Siete in giro per lavoro domani mattina?» chiese ancora la coreana
«Il Riida ha la radio la mattina presto, io sono libero fino al pomeriggio. Perchè?» fece Sho incuriosito. Nel frattempo Ohno non si era mosso, anche se Jun si era messo sulla sua schiena, imitando Nino che ormai fingeva un sonno agitato pur di punzecchiarlo sul fianco.
«Domani riparto per la Corea, ma mi sono appena ricordata che non potete guidare fino alla fine dell'anno» sospirò appoggiando la schiena al sedile. «Che palle».
I cinque si bloccarono e aprirono gli occhi per fissarla sorpresi.
«Come?» fece Satoshi incredulo
«Domani hai detto? Cioè, di mattina?» domandò Nino
«Non andare!» esclamò Aiba stritolandole il braccio
«Ragazzi, sono qui da Agosto. Manco da casa da almeno due mesi» tentò di spiegarsi. «E poi il mio lavoro è fatto. Con questo concerto di Osaka sono certa che il corpo di ballo riesce a lavorare anche nei Dome, più piccoli del Kokuritsu. Non hanno più bisogno di me»
«Ma hai fatto anche altri lavori di coreografia in questo periodo» fece notare Jun. «Non hai più niente da fare?»
«Ho concluso tutti gli incarichi, mentre hanno bisogno di me in Corea per aiutare alcuni gruppi prossimi al debutto» tentò di spiegare.
Ognuno di loro si rimise seduto composto, in silenzio, riflettendo sulla notizia appena avuta. «Non è mica un addio! Ascoltate, vi voglio bene ragazzi, sul serio, ma mi manca il mio paese e anche il mio ragazzo e gli amici laggiù. Probabilmente non siete mai stati così tanto tempo lontani da casa e non potete capire, ma per quanto sia bello stare con voi e vedere che le mie capacità sono riconosciute anche internazionalmente, ora voglio solo tornare un po' alla mia quotidianità» disse loro perchè capissero il suo stato d'animo. «E' stata un'estate stancante, ma bellissima e per questo, devo ringraziare anche voi» concluse chinando il capo in un piccolo inchino.
Gli Arashi sorrisero, stanchi e un po' tristi. «Vado dal conducente a dire che dormo alla JH stanotte» annunciò Jun prima di alzarsi
«Lo dici anche per me?» domandò Nino
«Rimarrò anche io» annuì Aiba.
Avrebbero passato la notte tutti insieme nella camera di Ohno. Probabilmente si sarebbero addormentati quasi subito, chi sul lettone, chi sulla moquette o sulla poltrona, ma le ultime ore di Yun-seo in Giappone le avrebbero comunque trascorse insieme.
Il tour aveva concluso le sue date di Osaka, ma non avevano fatto nemmeno la metà delle performance previste, nel giro di una decina di giorni sarebbe uscito il nuovo singolo e quella settimana avrebbero annunciato il loro primo lavoro come presentatori del Kohaku Uta Gassen.
Molte cose sarebbero cominciate a breve, ma la partenza della ballerina sembrava mettere la parola "fine" all'estate 2010, nonostante ormai fosse il 30 Ottobre e l'autunno fosse cominciato da un pezzo.
Ognuno di loro, nel buio della stanza, ascoltava i respiri degli altri e ripensava a quei mesi di caldo pieni di lavoro, di episodi importanti e di emozioni.

«Ultima chiamata per i passeggeri del volo KE702 per Seoul della Korean Air» annunciò nel microfono la gentile hostess al check-in della compagnia aerea.
«Mi raccomando, non tornate insieme alla macchina. Recuperala e incontratevi in un punto molto affollato in cui puoi solo accostare, farlo salire e ripartire subito» spiegò Yun-seo ad Erina
«Va bene» annuì la rossa
«Mi dispiace che gli altri non siano potuti venire» disse Sho.
Accompagnare l'amica a Narita era pericoloso, l'aeroporto sembrava avere sempre qualche giornalista nascosto, così, oltre a chiedere ad Erina di accompagnarli con la sua macchina, le avevano chiesto di fingersi l'amica della coreana così, se mai Sho fosse stato notato, avrebbe dato l'idea di star accompagnando una conoscente. Con loro poi c'era anche il manager di Yun-seo che aveva già fatto il check-in e attendeva la ballerina per dirigersi con lei verso il gate.
«Non importa, ci siamo già salutati» rispose la coreana scuotendo il capo. «Piuttosto, mi lasci parlare un attimo con la mia "amica"?» gli domandò ridacchiando
«Va bene, va bene» sospirò Sho. «Sei tu l'esperta di sotterfugi» concluse per poi andare a salutare il povero manager che attendeva con impazienza.
La rossa rimase in piedi, dondolandosi sui tacchi: la presenza di Yun-seo l'aveva sempre resa nervosa. «Com'è andato questo mese?» chiese la coreana
«Bene, perchè?» rispose Erina confusa
«Vi siete messi insieme e lui è subito partito per le riprese di un film, non dev'essere stato piacevole» spiegò l'altra
«Ma nemmeno terribile» spiegò la rossa. «Non sono un tipo che soffre particolarmente la distanza e amo molto la mia libertà, quindi sarebbe sciocco pretendere che lui rinunci a qualcosa se io sono la prima a non volerlo fare» concluse stringendo le spalle
«Te lo sei scelto difficile» ridacchiò Yun-seo. «Sho mi dà l'idea di uno che non sa stare senza far nulla. E' uno sempre informato, pronto a fare amicizia e conoscere i suoi collaboratori. E poi è quello che più deve salvare le apparenze»
«Il nome di suo padre è più conosciuto del suo» annuì Erina. «Ma in questo ci somigliamo, non ho molto momenti morti nella mia vita»
«Cercate di crearveli allora, e di riempirli con voi due, perchè se una relazione non è vissuta e condivisa non può essere detta tale. Ah, e questo vale anche per quell'altra tua amica, la pasticciera».
La ragazza annuì appuntandosi mentalmente di ripetere quelle parole a Kokoro. «La loro difficoltà sarà non stare appiccicati» ragionò. «Sono tutti e due un po' possessivi»
«Se non esagerano li aiuterà» disse la coreana con decisione. «E una cosa... per tutte e due: voglio bene a quei ragazzi, sono come una famiglia giapponese dove tornare quando sono qui, perciò se doveste danneggiarli o farli soffrire, giuro che torno col primo volo e ve ne faccio pentire» annunciò candidamente.
Erina annuì e Sho tornò verso di loro. «Se non vai il tuo manager verrà colto da un attacco isterico» scherzò il ragazzo mettendo una mano sulla spalla della coreana.
Questa annuì. «Allora vado» disse con un inchino profondo
«Buon viaggio e grazie di tutto» disse lui. Erina li imitò nell'inchinarsi. Si erano già salutati come si deve alla JH, quella formalità era solo di facciata.
Infine Yun-seo si girò e scomparve verso le entrate dei gate. Sho non sapeva ancora quando l'avrebbe rivista e rimase a guardare la sua sagoma che si allontanava con un misto di malinconia e speranza.

Per tornare a casa fecero come era stato loro consigliato: Erina recuperò la macchina e andrò a prendere Sho ad una delle uscite dei voli in arrivo, poi ripartì velocemente ed entrò in autostrada.
Nei primi minuti rimasero in silenzio: era la prima volta che rimanevano soli da quando Sho, alla fine di Settembre, era stato a casa di Erina a curarla. Si erano visti sono una volta, quando lei doveva tornare a casa dall'ospedale e lui le aveva dato un passaggio con la macchina di famiglia, dato che passava in zona. Quella volta c'era anche Aiba a bordo quindi era un mese che non avevano un po' di tempo da passare insieme. Quella mattina avrebbero potuto sfruttarla: lei aveva preso mezza giornata di permesso, lui aveva la riunione di NEWS ZERO solo al pomeriggio.
Sho avrebbe voluto chiederle cosa le andava di fare: era una mattina umida e il cielo era coperto, di color grigio scuro perciò stare in giro era escluso. Lei però parlò per prima. «Ho visto come la guardavi» gli disse tenendo gli occhi sulla strada
«Gelosa?» chiese con un mezzo sorriso
«No» scosse il capo, sorridendo a sua volta. «Ma era la prima volta che ti vedevo guardare qualcuno con tanto affetto, esclusi gli altri del gruppo intendo. L'ho trovato bello»
«Yun è come una sorella minore per tutti noi. La scorsa estate è arrivata a Tokyo come una ragazzina dotata, ma molto incasinata. Era istintiva, rabbiosa e poco socievole, ma l'abbiamo aiutata, anzi, è stata lei ad aiutare noi, o... beh credo sia stata una cosa reciproca» ridacchiò. «E' stata una presenza utile quell'anno. Ce l'avremmo fatta anche senza di lei, è vero, ma la sua presenza ha reso speciali piccoli momenti. Forse siamo stati più noi ad aiutare lei che il contrario, ma se avere amici è facile, averne di speciali invece no. E' una dei pochi» concluse
«A volte sembra che parli di un gatto randagio, invece che di una persona» risero entrambi. «Ti mancherà?» domandò uscendo dall'autostrada e rientrando nelle vie della città
«Sì, ma ci sentiamo ogni tanto via mail. E poi chissà, magari dovrò fare un lavoro in Corea il prossimo anno e la andrò a trovare»
«Oh, si è messo a piovere!» esclamò Erina azionando i tergicristalli. «E' pazzesco, sta aumentando a vista d'occhio»
«E' la prima pioggia autunnale» osservò facendosi avanti a guardare verso il cielo. «Aumenta la velocità, altrimenti non vedrai nulla se continua a venir giù così» le consigliò indicandole il parabrezza.
Erina aumentò la frequenza del passaggio dei tergicristalli e afferrò più saldamente il volante.
Sho non poteva fare a meno di guardarla. Quella mattina, quando era arrivata alla JH a prendere lui e Yun-seo, si era reso conto di quanto gli mancasse la sua compagnia. Avevano passato buona parte dell'estate a vedersi molto spesso, ma già allora sapeva che quello sarebbe stato un caso: loro facevano due vite diverse e le occasioni per vedersi non sarebbero mai state tante quante quelle di una coppia normale. Nonostante ciò, Sho non si sentiva in colpa. Erina era una donna dalla vita piena di impegni, di amici ed amiche con cui uscire e divertirsi, quindi non avrebbe vissuto nella perenne attesa di un suo momento libero. Ottobre per lui era stato pienissimo: aveva fatto avanti e indietro da Tokyo a Matsumoto per le riprese del film e quelle dei soliti programmi, poi, appena finite quelle in esterni, era corso ad Osaka per il concerto. Nonostante questo, Erina non gli aveva fatto pesare la sua assenza nemmeno una volta. Gli aveva scritto una mail ogni giorno, sì, e ogni tanto si erano sentiti, ma tutte le volte aveva sempre qualcosa da raccontargli e non sembrava proprio annoiarsi o soffrire eccessivamente la lontananza. Normalmente, davanti ad un atteggiamento del genere, gli sarebbe venuto qualche dubbio sulla profondità dei suoi sentimenti per lui, ma c'erano sempre piccole frasi o un particolare tono di voce che rendevano evidente che invece quei sentimenti c'erano, ed erano forti quanto i suoi. Semplicemente Erina non legava nessuno a sè, ma con la libertà lasciava che la sua connessione con le persone si creasse naturalmente.
Guardandola, mentre fissava concentrata la strada attraverso il parabrezza coperto di pioggia, Sho si disse fortunato.
«Ho sbagliato» sbuffò la ragazza
«Cosa?» domandò tornando alla realtà
«Ho sbagliato strada. Ero concentrata sulla guida e non ho pensato al percorso, ho svoltato per andare verso casa mia, ormai dieci minuti fa»
«Non importa. Andiamo pure a Shimokita. Il lunedì mattina chi vuoi che ci sia in giro? Cerchiamo un locale tranquillo e beviamoci qualcosa» propose Sho
«Lascio la macchina vicino a... accidenti!» esclamò guardando il quadrante dell'auto
«Perchè rallenti?»
«Ho sentito un rumore» rispose agitata «La benzina c'è e sui quadranti è tutto normale! Non vorrei che...». Frenò, accostando lungo una via che fiancheggiava un piccolo campo arato, e aprì la portiera per guardare fuori. «Controlla dalla tua parte» gli disse alzando la voce per farsi sentire al di sopra dello scrosciare d'acqua
«Dici che abbiamo bucato?» domandò facendo come gli era stato detto. «Hai ragione: è dalla mia parte»
«Accidenti!» esclamò richiudendo la portiera.
Rimasero in silenzio all'interno dell'abitacolo in cui si sentiva solo il battere della pioggia sulla carrozzeria .«Ying mi uccide»
«E' sua?»
«Di entrambe» rispose con un sospiro, girando lo sguardo verso Sho. «Ma è lei che la usa per andare al lavoro. Io prendo il treno»
«Cosa potrà mai farti? E' pratica di tortura cinese?» scherzò lui, guardandola incredulo
«Sospetto di sì, ma credo che in casa manchino glis trumenti» ridacchiò
«Meglio. Se buchi la gomma sotto la pioggia dovrebbe torturarti con la caduta costante di gocce d'acqua sulla fronte. Proprio qui» le disse picchiettandole il dito al centro della fronte
«Con me funziona di più non sfamarmi a cena o vietarmi il caffè la mattina» spiegò Erina, abbattuta. «Conosce tutti i miei punti deboli. E mi toccherà anche pagarle il biglietto dei mezzi per tutti i giorni che non potrà guidare in ufficio»
«Solo? Magari proprio questa settimana doveva fare mille giri. Ti toccherà pagare anche quelli» suggerì Sho pensieroso
«Eeeh? Dici?» domandò angosciata. «No, anzi. Che ne sai tu? Non farmi venire il panico per nulla!» esclamò arricciando il naso. Lui rise di gusto.
Entrambi cercarono di guardare il cielo attraverso la cortina d'acqua che scivolava sui vetri. Non aveva l'aria di voler smettere presto. «Casa mia non è lontana» disse infine Erina. «Chiamerò il meccanico così recupereranno subito la macchina. Vuoi chiamare un taxi che ti riporti a casa?».
Sho la fissò riuscendo a non cambiare espressione e a non mostrare la sua delusione. Avrebbe voluto passare quella mattinata con lei, quell'incidente non ci voleva! «Non ti lascerò correre sotto la pioggia da sola» disse scuotendo il capo. «Inoltre dovresti aspettare il mio taxi prima di poter chiudere la macchina e sei vestita leggera oggi» fece notare guardandole le braccia scoperte
«Va bene, andiamo insieme allora. Sicuro di voler correre sotto la pioggia?»
«Sembra divertente!» esclamò allora Sho con un sorriso incoraggiante.
Recuperarono le loro borse, lui le lasciò la propria giacca per coprirsi la testa e dopo un buffo conto alla rovescia aprirono insieme le portiere lanciandosi sotto la pioggia. Erina chiuse la macchina, quindi si mise la giacca di Sho sulla testa e, per condividerla, prese il ragazzo sottobraccio, di modo da coprirsi entrambi. Si misero a correre un po' goffamente all'inizio, dato che lei era più bassa e non riusciva a tenere la sua velocità, ma poi riuscirono a trovare un'andatura ideale ad entrambi. Non fu facile comunque, non solo per riuscire a tenere lo stesso passo, ma anche perchè tutti e due continuavano a ridere, pur senza un motivo.
Arrivarono all'edificio dell'appartamento di Erina, salirono rapidamente le scale e furono finalmente al riparo sul ballatoio del primo piano, ma erano completamente bagnati. «Cavoli» fece Sho con il fiatone. «Meno male che casa tua era vicina»
«Con la macchina lo sarebbe stato. Non ho pensato che eravamo a piedi» borbottò lei togliendosi la giacca da sopra la testa. «Mi dispiace, è servita a poco ed è zuppa»
«Non importa. Tanto non la rimetterei, sono zuppo anche io» sorrise scostando alcune ciocche appiccicate alla fronte. «Posso entrare in casa tua per chiamare un taxi?»
«No, non puoi: devi» impose lei. «E poi non puoi rimanere con quei vestiti bagnati addosso, se ti ammalassi mi sentirei in colpa. Non ho un'asciugatrice, ma possiamo usare il phon e ti presterò una maglietta»
«Sul serio?» chiese Sho, sgranando gli occhi. «Allora grazie».
Erina si avvicinò alla porta di casa sua e frugò nella borsa alla ricerca delle chiavi. Il ragazzo la seguì passandosi le mani nei capelli bagnati e arrotolando le maniche lunghe della maglietta: gli si erano appiccicate addosso. «Uffa, dove le ho messe» borbottò lei
«Non dirmi che non te le sei portate» ridacchiò Sho guardandola. Il vestito chiaro, pregno d'acqua, le aderiva alla pelle e aveva acquisito una leggera trasparenza che lasciava intravedere le spalline del reggiseno che indossava sotto. I capelli raccolti non nascondevano niente: l'acqua che le scivolava sul collo, le spalle sotto il vestito, alcuni riccioli umidi che le sfuggivano dall'acconciatura.
«No, giuro che ce l'ho. Ho chiuso io la porta stamattina» rispose Erina.
Prima ancora di averlo pensato Sho aveva già preso afferrato la ragazza per le spalle, stringendola contro il proprio petto. «S-sakurai san?» balbettò la giovane facendo un passo indietro, tirata verso il ragazzo.
Lui non rispose nemmeno ed abbassò la testa per appoggiarle le labbra sul suo collo e baciarla dove la gocce di pioggia la bagnavano. Tenendo Erina contro il proprio petto percepì i suoi muscoli rilassarsi. Sho respirò profondamente quando prese coscienza di ciò che stava facendo, ma non aveva sufficiente forza di volontà per opporsi al suo stesso desiderio. Le baciò ancora la pelle, raccogliendo l'acqua tra le proprie labbra, finchè non fu soddisfatto nel sentire un sospiro di piacere sfuggirle dalla gola.
«Sakurai... Sakurai san» balbettò lei, opponendosi.
Non la stava tenendo con forza, quindi la lasciò andare e rialzò lo sguardo per fissarla quando si fu girata. La guardò stringersi il colletto del vestito contro il collo ed improvvisamente si vergognò di quel che aveva fatto. Cosa gli era preso? Ormai era la sua ragazza, certo, ma era ancora legato all'idea che aveva di lei ai tempi dell'università: la donna che non avrebbe mai avuto, che non gli era permesso toccare, se non nei sogni; quindi, per quanto avesse tutto il diritto di fare ciò che aveva fatto, si sentì in colpa .«Scusa» mormorò
«Non devi scusarti, è solo che...» fece lei, rossa quanto i suoi capelli, guardando a destra e a sinistra. «Non è da te un comportamento così irresponsabile. Che cosa ti è preso?» sussurrò
«Hai ragione» annuì passandosi una mano sugli occhi, era fradicio così in quel gesto raccolse solo altra acqua che tentò di asciugarsi sulla maglietta, altrettanto bagnata. «Sono stato un imbecille. Scusa» respirò a fondo recuperando il controllo di sè e fece un passo indietro. «Chiamerò il taxi con il cellulare, grazie lo stesso»
«No!» esclamò lei prendendolo per la maglietta bagnata. «Non ho detto che devi andartene, ma solo che qui potrebbe vederci chiunque ed è un rischio che non puoi correre» spiegò piano. «Entriamo. Ormai non è più estate, ti offro qualcosa di caldo da bere, per ringraziarti di avermi accompagnato fin qui nonostante la pioggia» concluse poi lasciandogli andare la maglietta e aprendo l'entrata subito dopo.
Sho la seguì in casa sforzandosi di non guardare troppo il suo corpo sotto il tessuto bagnato, tolse le scarpe lasciandole nell'ingresso e andò in cucina con lei. «Ok, allora. Puoi sederti qui. Vado a prendere degli asciugamani e ti cerco una maglietta che ti possa entrare» spiegò la ragazza indicandogli una sedia e poi chiudendo una finestra, abbandonando borsa e chiavi sul tavolo.
«Grazie, ti chiudo io l'altra, cerca pure gli asciugamani» fece Sho avviandosi alla seconda finestra in sala
«Sì, grazie. Vado e torno» rispose sparendo verso il corridoio.
Il ragazzo si fermò e guardò fuori, prendendo un respiro profondo di aria fresca e pungente, pervasa dell'odore della pioggia che cadeva a secchiate dal cielo. Sembrò ritrovare la piena lucidità ascoltando i passi frettolosi di Erina sul tatami della camera, mentre cercava nell'armadio a muro. Tornando in cucina tolse i calzini mettendoli su una sedia a cui appese anche la giacca, quindi si tolse la maglietta che stava diventando fredda e fastidiosamente umidiccia e appese anche quella. Ebbe un brivido di freddo e si passò le mani sulle braccia e sulle spalle nude, accorgendosi in quel momento che non sentiva più i passi della ragazza per casa.
Quando si voltò, Erina era in piedi sulla soglia della cucina che lo fissava inebetita senza proferir verbo, con gli asciugamani impilati tra le mani. Aveva sciolto i capelli che le ricadevano disordinati sulle spalle, pesanti di pioggia: per lui era una specie di sogno erotico diventato realtà. Avrebbe resistito a non fare niente di avventato? Dati i precedenti fuori dalla porta non poteva esserne molto sicuro.


Yay!! Eccoci qui! Meno 4 al finale!
Secondo me questo capitolo ha già il sapore di cose che si concludono, no?
Volevo fare un saluto a Yun-seo ç_ç Il primo personaggio originale di cui io abbia mai scritto nelle ff degli Arashi. E' nata nel Gennaio 2010 e con questo capitolo finisce la sua "carriera". Il ruolo in questa ff è stato marginale, vero, ma ho trovato comunque importante la sua presenza e sono stata più che felice di aver potuto scrivere di lei ancora una volta. La sua uscita di scena è certo meno eclatante dell'entrata (un ballo complicato, non preparato, che ha lasciato tutti a bocca aperta dopo che il corpo di balle l'aveva presa in giro: chi ha letto Zakuro se lo ricorda? ^^), ma è una cosa voluta. E' il segno di un cambiamento: come dice Sho, Yun è arrivata a loro come un gatto randagio diffidente e pronto a graffiarti pur di farsi valere, mentre questa uscita di scena pacata e -in un certo senso- professionale, per me è il segno che è cresciuta ancora, che ha imparato nuove cose in questi mesi al fianco degli Arashi.
Aaaaaaah ç_ç è una mia creaturina, mi dispiace tantissimo dirle addio! Sigh... comunque grazie Yun, nel cuore di questa scrittrice avrai sempre un posto speciale ♥

Ora vediamo un po' cosa combinano questi due ora che tutto è chiarito tra loro e che Sho non ha più bisogno di considerare Erina come una donna irraggiungibile, ANZI...
Meheheheheh >=D

P.S. grazie a alien81 per il suo grazioso commento ^^ Sei stata fortunata: hai potuto leggerti tutti questi capitoli in una botta sola, senza dover aspettare troppo!

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Capitolo 48
*** 47. You take my breath away ***


Voleva muoversi, voleva parlare, ma non le riusciva. I suoi occhi erano incollati sulla schiena di Sho: pelle liscia, muscoli allenati, spalle larghe. Se non si fosse controllata avrebbe cominciato a sbavare rimanendo imbambolata a fissarlo. Non riuscì a riprendersi nemmeno quando il ragazzo si accorse di lei. Una volta forse avrebbe abbassato lo sguardo, arrossendo, e avrebbe fatto finta di niente, ma ormai poteva permettersi di guardarlo in quel modo, soprattutto dopo quello che aveva fatto davanti alla porta di casa! Dopo qualche secondo, in cui si concesse di passare in rassegna ogni singolo muscolo addominale sul ventre nudo del ragazzo davanti a sè, riuscì a trovare la decenza di tornare a guardarlo negli occhi. «Ho portato gli asciugamani» riuscì a dire con un sorrisino
«Ho visto» fu la vaga risposta che ricevette. Erina cercò di risvegliarsi e camminò fino al tavolo, sfilando al fianco di Sho, dove appoggiò la biancheria.
«Dovresti asciugarti prima di prendere troppo freddo, altrimenti a che pro ti avrei fatto entrare?» domandò respirando profondamente
«Hai ragione, ma tu ci hai messo una vita. Sei lenta» la prese in giro lui tirandole una ciocca di capelli ricci
«Ahi! E' solo che non abbiamo tanti asciugamani in casa: se non li stiamo usando, sono a lavare» spiegò girando il viso verso di lui, alle sue spalle. «Che fai, ridi?»
«Scusa, è che non riesco più a districare il dito dai tuoi capelli» spiegò divertito
«Ahi! Come hai fatto? Non tirare, non tirare!» esclamò piegandosi all'indietro, mentre il ragazzo rideva di gusto
«Scherzavo!» le disse lasciandole andare la ciocca, poi allungò una mano per prendere un asciugamano e metterglielo sulle spalle. «Mi sembri tesa e ho pensato che farti i dispetti avrebbe aiutato» si giustificò stringendole nuovamente le mani sulle spalle, facendole aderire l'asciugamano al corpo.
In un attimo Erina ebbe la stessa sensazione avuta davanti all'entrata: Sho aveva le mani bollenti in confronto al freddo che lei provava e si eccitò nuovamente solo pensando a dove avrebbe voluto che la scaldassero.
«Sho?» lo chiamò per nome ora che erano soli. Parò con un filo di voce, guardandolo negli occhi.
«Mh?» domandò quello con un mezzo sorriso
«Scemo! Sei tu che devi coprirti non io» ribattè arricciando le labbra e voltandosi del tutto verso di lui per togliersi l'asciugamano di dosso e buttarglielo in faccia. «Furbastro che non sei altro! Non tentare di abbindolarmi con i tuoi occhioni color cioccolato e quelle labbra che dicono "baciami, lo so che vuoi baciarmi". Asciugati, scemo!» esclamò. Doveva essere arrossita perchè si sentiva il viso caldo e non voleva che lui la vedesse in quello stato.
«Ehi, ehi, ehi!» farfugliò il ragazzo cercando di tirare la testa fuori dall'ampio asciugamano. «Mi hai già chiamato "scemo" due volte, non va mica bene»
«Scemo, e tre» gli disse tenendogli il tessuto sulla testa per frizionargli i capelli con forza. «Asciugati, asciugati, asciugati» continuò a dire mentre interiormente cercava di calmarsi.
«Ho capito! Smettila, faccio da solo!» sbuffò facendo dei passi indietro per sottrarsi alle mani della ragazza.
Erina sospirò e tornò a girarsi verso il tavolo. Fissò la biancheria ripiegata per qualche secondo, poi cominciò ad asciugarsi a sua volta, insistendo nel dare le spalle a Sho. Era convintissima fosse colpa sua: lui si era avvicinato mezzo nudo, bellissimo e con quell'aria da sono-la-tua-miglior-fantasia-sessuale, lui le stava offrendo tutte le tentazioni possibili di quel momento, mentre lei era solo una vittima! Le vere vittime però non sono mai felici, cosa che Erina invece era.
Si concesse due secondi per girarsi a guardarlo: Sho si era seduto sulla sedia e si stava asciugando le braccia, diligentemente. Aveva ancora addosso i jeans bagnati, ma anche vedere nuda solo la metà di quel ragazzo le dava l'impressione che avrebbe potuto rimetterci il cuore da un momento all'altro per le troppe palpitazioni.
Strinse tra le dita l'asciugamano che stava usando e fece un respiro profondo: le veniva da piangere e non era l'eccitazione. Quand'era che si era innamorata tanto di Sho? Quanto tempo era che un sentimento non le toccava il cuore fin quasi a farle male?
Con un sospiro decise di avviarsi in camera a cercare il cambio per entrambi, quindi si girò per andarsene. «Dove vai?» domandò il ragazzo, la sua voce le suonava profonda e calda e le faceva venir voglia di dire "da nessuna parte".
«A cercare qualcosa da mettere» rispose invece, ma si sentì trattenuta. Il vestito freddo le aderì al petto e quando si girò vide che Sho si era allungato in avanti per afferrarle il bordo del tessuto e non farla andare via.
«Stai qui» disse semplicemente, guardandola da sotto le ciocche bagnate della frangia.
Non trovò modo di ribattere, quindi fece due passi indietro, tornando verso di lui che le rimase attaccato al vestito, stringendo il bordo tra due dita, come un bambino che si aggrappi alla gonna della madre.
Per un po' rimase semplicemente ferma, a piedi nudi davanti al ragazzo sulla sedia, poi abbassò la mano a cercare la sua. La accarezzò timidamente e venne fermata solo quando lui gliela strinse. «Vieni qui» sussurrò facendola girare e le prese anche l'altra mano per attirarla gentilmente a sè. Erina aprì le gambe e si sedette sulle sue ginocchia. Il vestito le si alzò fino a metà coscia. «E' ghiacciato» disse piano il ragazzo, toccando la stoffa nell'accarezzarle il fianco
«Come i tuoi pantaloni» storse il naso la ragazza. «E io devo ancora asciugarmi per bene»
«Io ho fatto quello che mi hai detto, quindi adesso tu farai quello che dico io: se non togli questo non ti asciugherai» sembrò prenderla in giro, ma in quello stesso momento la afferrò per i fianchi, strappandole un sussulto. La tirò a sè facendola scivolare lungo le sue gambe ed allungò il collo cercando le sue labbra.
Rispetto a come si era comportato d'improvviso davanti alla porta di casa, in quegli atteggiamenti non c'era niente di irruento o sconsiderato: erano gesti decisi, ma pieni di dolcezza perchè fatti in piena consapevolezza.
Sho le accarezzò la lingua con la propria, bacio a cui lei rispose senza farsi pregare. Gli passò le braccia intorno al collo e gli accarezzò i capelli umidi. Profumava di fresco: era l'odore della pioggia che ancora cadeva fuori dalla finestra e del deodorante che aveva messo quella stessa mattina, lasciava ancora una lieve traccia intorno a lui. Con gli occhi chiusi Erina sentì le mani di Sho accarezzarle le cosce, i suoi polpastrelli le toccarono le gambe sollevando il vestito fino ai fianchi. Il ragazzo staccò la bocca dalla sua e le baciò delicatamente una guancia, mentre lei scioglieva il suo abbraccio per sollevare le braccia e farsi sfilare del tutto la veste.
Erina deglutì guardandolo negli occhi e il cuore cominciò a batterle più forte: improvvisamente non si divertiva più, anche se avrebbe dovuto cominciare proprio in quel momento. Però era consapevole di non essere magra, carina e perfetta come tutte le giapponesi. Forse poteva essere orgogliosa dell'avere un seno migliore del resto della popolazione, ma i suoi problemi cominciavano sempre quando si ricordava di avere più carne anche in altri punti.
Presa dal panico, deglutì a fatica, ma non fece in tempo a decidere cosa fare -coprirsi? Scappare?- che Sho le aveva messo un asciugamano sulle spalle, sovrapponendone gli angoli all'altezza del suo sterno: era coperta e lui non avrebbe visto niente. «Siamo pari. Io ho fatto una cosa che volevi tu e tu ne hai fatta una che volevo io» disse a bassa voce con un sorriso divertito. «Ora, se ti alzi, mi tolgo i jeans. Cominciano ad essere veramente fastidiosi e ghiacciati» propose con una smorfia.
Erina annuì stringendo le labbra, quindi si alzò in piedi e camminò goffamente all'indietro finchè Sho non fu libero di alzarsi in piedi. Mentre il ragazzo si toglieva l'indumento si vergognava a fissarlo, per quanto avrebbe voluto farlo, quindi la ragazza si girò a recuperare il proprio vestito da terra e lo appese ad un'altra sedia.
Quando tornò a guardarlo aveva legato un asciugamano alla vita. «Sai cosa penso?» domandò lui
«Sentiamo»
«Che il tuo phon servirà a poco. Sono troppo bagnati, ci conviene aspettare un po'» spiegò distendendo i pantaloni su una terza sedia
«Sono d'accordo» annuì la ragazza facendo il giro del tavolo. Si vergognava ancora: lei era coperta solo dalle spalle allo stomaco e sperava che riparandosi dall'altra parte del mobile Sho non la vedesse dal ventre in giù. Il fatto che lui non avesse dato nemmeno una sbirciatina poco prima le aveva fatto venire altre paranoie.
«Idee su come ammazzare il tempo?» chiese il giovane. Erina si allungò a prendere un secondo asciugamano, dall'altra parte del tavolo: avrebbe dovuto legarsene uno in vita anche lei, non voleva rimanere in mutande.
«No, veramente non saprei» rispose facendo spallucce. La mano del giovane idol si appoggiò sulla sua e risalì ad accarezzarle il polso e l'avambraccio.
«No?» domandò.
Lei deglutì. «Oh beh» farfugliò con voce strozzata. Tossicchiò per schiarirsela. «Un paio, forse» provò a rispondere.
Sentita quella frase, Sho si piegò in due dal ridere e scomparve dietro il tavolo, accovacciandosi a terra per tenersi pancia dal troppo divertimento. «Ti pare il caso?» arricciò il naso Erina tornandogli vicina. «La smetti? Non sei carino proprio per niente» lo rimproverò piantandosi davanti a lui con le braccia incrociate e colpendogli il ginocchio con il piede per fargli perdere l'equilibrio.
«Nemmeno tu lo sei: sembri una teppista così. Non darmi i calci» ribattè ancora ridendo. Dopo qualche tentativo riuscì ad afferrarla per la caviglia e lei rimase in equilibrio su un piede solo.
«La smetto» si arrese subito a ragazza ridendo a sua volta. «Su, mollami. Già sono precaria su due appoggi, figurati se me ne lasci solo uno».
Lui la lasciò trattenendo l'ennesima risata divertita e allungò le mani ad accarezzarle i polpacci. Le diede una lieve spinta per farla avvicinare di un passo e si rimise in piedi, accarezzandole le gambe e le natiche, fino a tenerla nuovamente per i fianchi. Erina gli sospirò di piacere contro le labbra.
«Allora?» domandò il ragazzo con un filo di voce
«Cosa?» fece lei distratta ad osservargli la bocca
«Quale idea di era venuta in mente prima?» chiese prima di chinarsi a baciarla sul collo
«Non... non vorrai che lo dica ad alta voce?» tentò di completare una frase di senso compiuto
«Perchè no?» domandò ancora Sho, sorridendo contro la sua pelle.
Aveva imparato quanto potesse essere esplicito quel ragazzo, quando lo voleva, e quanto fosse intenso il suo modo di vivere i sentimenti, ma quel dialogo per lei cominciava ad essere troppo imbarazzante. «E' divertente prenderti in giro e vederti sbadata anche in frangenti come questi» aggiunse vedendola titubante
«Ehi! Cafone!» esclamò Erina colpendolo sulla testa e facendo un passo indietro. «Vuoi sentirtelo dire?» scacciò i ricci dietro le spalle con fare snob. «Guadagnatelo!» esclamò prima di girarsi a correre verso il corridoio, mettendosi a ridere.
Sentì i passi del ragazzo inseguirla e l'adrenalina della fuga mescolarsi con quella dell'eccitazione che già le circolava in corpo. Girò in camera e passò in sala dalla porta comunicante, saltando una pila , ma nemmeno se ne rese conto perchè si ritrovò nuovamente in cucina e ancora lui non l'aveva raggiunta: possibile che fosse così lento? Eppure sentiva i suoi passi quindi avrebbe potuto acchiapparla da un momento all'altro.
Erina tornò in corridoio continuando a ridere, ma la sua corsa finì quando rientrò in camera. Sho era lì ad attenderla poco dopo la porta e la intrappolò tra le sue braccia prima che potesse fuggire ancora. «Nooo, hai barato!» sospirò cercando di calmare le risate
«E tu non farlo mai più» ribattè serio
«Perchè? Era divertente e poi ci hai guadagnato qualcosa, anche se sei stato scorretto» spiegò alzando gli occhi a guardarlo, mentre le sue braccia la stringevano ancora forte per non lasciarla scappare.
Non ebbe nemmeno il tempo di finire di ridere che lui la stava baciando di nuovo. Forse il sentimento cominciava a cedere terreno alla semplice passione perchè il suo corpo fu percorso da una potente ondata di calore e lei si strinse alle spalle di Sho, completamente sopraffatta.
«Non farlo mai più» lo sentì ripetere quando smisero di baciarsi, a corto di fiato, appoggiando la fronte contro la sua
«Sho?» domandò riaprendo gli occhi. La voce che aveva sentito non era più scherzosa e non era nemmeno severa, aveva una nota di tristezza dolorosa. «Non mi piace quando mi chiami "sakurai"» le disse con quello stesso tono. «Se siamo davanti agli altri è la cosa migliore, ma vorrei evitassi di dirlo più che puoi. Voglio che mi chiami solo "sho" e che non scappi più»
«Che cosa è successo?» chiese improvvisamente preoccupata
«Niente, niente» sospirò lui diminuendo la stretta e chiudendo gli occhi, come esausto. «E' solo che mi viene l'ansia tutte le volte che ti giri»
«Come?» farfugliò confusa
«Tu non mi hai mai guardato. All'università, per tre anni, non ho mai avuto alcuna speranza che i tuoi occhi facessero caso a me, se non per sbaglio. Ho passato anni a vederti da lontano, di spalle» spiegò tornando a guardarla. «Ogni volta che ti giri, inconsciamente io provo dolore. Adesso vedere che mi mostri la schiena mi rende ansioso. Ho paura che tutto sia ancora come allora, che questi momenti con te siano solo uno dei miei tanti sogni: domani mi sveglierò e niente di tutto questo sarà mai successo»
«Ehi, ehi, ehi» lo interruppe lei mettendogli una mano sulle labbra, per zittirlo. «Non lo farò più» sorrise facendo un passo indietro, staccandosi da lui.
La ragazza indossava solo la biancheria, ma aveva completamente dimenticato la vergogna di qualche minuto prima. «Scusami. Non ho mai pensato a come ti sei sentito in quegli anni, non ho mai ragionato su cosa ti fosse rimasto di allora nel cuore, a parte i sentimenti per me intendo. Sono stata insensibile. E dire che sono mesi che non faccio altro che guardarti e non ho notato niente di tutto questo» sembrò accusarsi
«Mi guardavi?»
«Ti guardavo, sì. Sai, è difficile non farlo» ammise Erina, leggermente divertita. «Perdonami, prometto che non scapperò più. Almeno finchè non sentirai che potrò tornare a farlo per giocare» riuscì a farlo ridacchiare. «Ti guarderò» affermò baciandolo sulle labbra, per la prima volta di sua iniziativa. «Ti guarderò. E guarderò solo te, tutte le volte che non dovrò fare altrimenti» e lo baciò ancora.
Passarono così qualche minuto in silenzio, accarezzandosi e baciandosi, mentre il loro respiro si faceva lentamente più affannato.
«Io non avevo vinto qualcosa?» chiese di punto in bianco Sho. Erina stava ancora sospirando di piacere quando si riprese e spostò gli occhi sul futon della stanza, quello che non aveva avuto tempo di riporre quella stessa mattina.
«Dunque, pensavo che...» fece per cominciare a dire, poi si bloccò e si morse le labbra
«Si?»
«L'idea era che...» si fermò di nuovo e respirò a fondo. «No dai, non farmelo dire, mi vergogno» piagnucolò
«Per questo è divertente» le spiegò passandole la lingua sulle labbra, tentandola nel ricominciare a baciarsi. «Ho vinto. Su, forza» la incitò invece cominciando a farla arretrare lentamente per avvicinarla al letto
«Dato che dobbiamo "ammazzare il tempo", pensavo...» pronunciò prendendo un respiro profondo mentre il ragazzo le baciava le guance e la afferrava saldamente per i fianchi. Ad Erina si mozzò il fiato e si morse le labbra per trattenere un gemito. Si aggrappò ai suoi bicipiti e si alzò in punta di piedi per arrivare con le labbra al suo orecchio. «Facciamo l'amore?» chiese mentre continuava ad arretrare.
Con l'ultimo passo indietro colpì il bordo del futon. «Fammici pensare» rispose lui e approfittò di quel momento per sbilanciarla all'indietro. Erina trattenne a malapena un'esclamazione di sorpresa mentre cadeva. Una parte di sè era ancora abbastanza razionale da pensare con fastidio alla biancheria umida di pioggia che avrebbe bagnato il letto, ma l'altra parte era certa che non c'era niente di cui preoccuparsi: probabilmente a breve non avrebbe indossato più nemmeno quella. Il corpo del ragazzo la schiacciò sul materasso, il suo viso era già sprofondato nei suoi ricci, sparpagliati sul cuscino, per baciarle il collo.
Erina sospirò più forte quando lui le spostò il reggiseno per toccarla e sentì le sue mani calde accarezzarle la pelle fredda. «Sho?» bisbigliò aprendo le gambe e intrecciando le caviglie dietro la sua schiena. Lui non le disse niente abbassando il viso sul suo corpo. «E' un "sì"?» riuscì infine a chiedere con voce strozzata quando sentì le sue labbra baciarle il petto, ma il ragazzo non rispose mai.

Questo a meno che gemiti e sospiri non fossero classificabili come risposta, ma lei stessa si dimenticò di doverne ricevere una. Stesi sul futon, esplorando il corpo dell'altro con i baci e le mani, si concessero ciò che avevano entrambi solamente fantasticato per lungo tempo.
Smisero di far caso al rumore della pioggia o al freddo che veniva portato dal vento. Per Sho era più importante il piacere dipinto sul viso della ragazza, i suoi gemiti che riempivano la stanza, il calore della sua pelle.
L'uno nel corpo dell'altra, qualsiasi pensiero razionale scomparve dalle loro menti. C'erano solo movimenti, baci e piacere. Solo loro due.

Quando Sho si svegliò fu per colpa di un raggio di sole. Alzò la mano a ripararsi il viso, con un sospiro stanco, e quando si fu abituato aprì gli occhi.
Non pensò di star ancora sognando, non era così stordito, ma era strano per lui dormire durante il giorno quindi in un primo momento fu più stranito dal fatto che si stesse svegliando con il sole già alto in cielo, piuttosto che dal fatto che Erina stava dormendo davanti a lui. Aveva il viso per metà affondato nel cuscino e l'altra metà era semi coperta dai ricci spettinati.
Dato che lei dava le spalle alla finestra, il sole le illuminava la schiena e i capelli sparpagliati sul lenzuolo bianco, senza disturbare il suo sonno. Doveva persino scaldarla perchè dormendo aveva scacciato via le coperte. Prima di addormentarsi, inoltre, aveva indossato un paio di slip asciutti e una canottiera, mentre lui non aveva proprio niente da mettersi e per coprirsi aveva approfittato del fatto che il lenzuolo fosse tutto per sè.
Ancora mezzo insonnolito e con poca voglia di fare alcunché rimase sotto la coperta, spostando la testa dalla parte in ombra del cuscino. Si incantò a fissarla indugiando ancora su pensieri vaghi, al confine tra il dormiveglia e la sveglia completa.
Se ne avesse avuto le forze si sarebbe fatto i complimenti da solo: era andato a letto con la ragazza che bramava da anni. E quella era una delle volte in cui la realtà era stata senza dubbio migliore della fantasia.
Si sentiva troppo assonnato e quasi insoddisfatto. "Voglio rifarlo" fu il primo pensiero articolato che gli riuscì di fare dopo cinque minuti imbambolato, mezzo sveglio e mezzo no.
Con una mano spostò i ricci dal viso e dal collo della ragazza, di modo da poter dare un'unica tranquilla occhiata a quel corpo addormentato. Il collo profumato, le braccia sottili, i seni rotondi, le cosce bianche: concentrandosi ricordava ancora il profumo e la morbidezza della sua pelle, il calore di quel corpo in cui era entrato con dolcezza e passione; al ricordo sentì un brivido lungo il corpo.
Stropicciò le lenzuola con le dita tornando a guardala in viso per distrarsi: era troppo bella e troppo luminosa sotto i deboli raggi del sole per lasciarla dormire indisturbata, non sarebbe rimasto solo con la sua voglia. Guardarla era bello, ma non abbastanza soddisfacente, quindi egoisticamente passò una mano sotto il suo fianco e mise l'altra dietro la sua schiena per poi trascinarla di peso verso di sè, svegliandola.
«Mh? Mmmh...» mugugnò Erina, dimostrando più o meno lo stesso livello di attività celebrale di Sho quando si era appena svegliato. «Che c'è?» farfugliò quando il ragazzo la mise sotto il lenzuolo con sè
«Niente» rispose quello baciandole la fronte
«E perchè mi svegli allora?» sospirò lei, scocciata, rannicchiandosi contro il suo corpo e nascondendo il viso nel suo collo
«Sei una di quelle che la mattina è meglio lasciarle in pace?» chiese Sho, un po' più sveglio. Le accarezzò il fianco fino al bordo della maglietta per poter infilare la mano sotto il tessuto.
«Scherzavo» fu la risposta più sensata che riuscì ad emettere lei. La sentì parlare con le labbra contro la sua pelle e questo servì a svegliarlo di più. Le toccò il seno per farla sospirare sul suo collo.
«Non sei ancora soddisfatto?» domandò Erina che cominciava a riprendersi dal pisolino. Sho rispose stringendo le dita sul corpo della ragazza. «Che ore sono?» chiese ancora lei, con voce roca
«Sarà ora di pranzo o primo pomeriggio. Abbiamo dormicchiato appena un'ora» ragionò il ragazzo alzando la testa e appoggiandola al cuscino per guardarla negli occhi: erano completamente aperti, segno che le sue attenzioni dovevano averla svegliata.
«Oh cavoli!» esclamò Sho d'improvviso. «A che ora torna Hang san? Se ci trova mi spella vivo!» fece per alzarsi, mettendosi a sedere, ma la ragazza gli mise le braccia intorno al collo, ridendo, e lo riattirò sotto il lenzuolo.
«E' in ufficio quindi tornerà per cena e tu non hai nessun lavoro da fare oggi: puoi rilassarti ancora un po'» gli spiegò mentre tornavano ad abbracciarsi a vicenda
«Cosa ti ridi? Mi è venuto un colpo» sospirò lui stringendola. «Se dovesse beccarmi in questa situazione sarebbe la mia fine» piagnucolò
«Rido perchè sembri veramente terrorizzato da lei! E dire che è una ragazza così tranquilla»
«Tranquilla? Tsk» borbottò, ma non aggiunse altro, anche perchè Erina gli baciò il collo. «Ma non volevi continuare a dirmire poco fa?» toccò a lui ridacchiare
«Sei tu che mi hai svegliato» gli fece notare prendendogli il lobo dell'orecchio tra le labbra
«Ah si?» domandò a caso, più preso dall'eccitazione che dal discorso. «Stavi facendo un bel sogno?»
«Non so» rispose lei fermandosi e tornando a guardarlo, pensierosa. «Ho sognato di essere una Hime e il mio i-child era un gigantesco bambino paffuto e grasso. Il suo attacco speciale era sputare caramelle, poi il mio capoufficio mi ha detto che se le pratiche erano piene di bava non sarebbe riuscita a firmarle e che dovevo risolvere tutto entro le tre*».
Sho la guardò con gli occhi sgranati prima di mettersi a ridere come un pazzo, tentando di soffocarsi nascondendo la faccia nel cuscino. «Dico sul serio!» esclamò Erina
«Lo so che dici sul serio, è per questo che rido!» rispose divertito. «Mi dici come fai?»
«A fare che? Non fai mai sogni strani tu?»
«Ma no. Volevo dire come fai a essere così. E' difficile trovare persone con cui si possa ridere e scherzare anche in un momento come questo. E senza che la libido diminuisca» spiegò accarezzandole il capelli
«A me lo chiedi? Tra i pochi fidanzati che ho avuto nessuno era particolarmente incline al riso in momenti simili» sorrise Erina socchiudendo gli occhi, come i gatti quando li si accarezza sulla testa
«Allora mi sa che è colpa mia» sospirò Sho
«Effettivamente sei tu che stai ridendo di più tra noi» fece aggrottando le sopracciglia
«Dico sul serio. Forse sono io che mi sto lasciando andare al riso apposta»
«Perchè mai dovresti farlo?»
«Posso avere la presunzione di dire che ti conosco abbastanza da sapere che hai dei complessi sul tuo corpo?» domandò lui e subito la ragazza cambiò colore, tanto che le arrossì persino il collo. Fece quasi per sciogliere l'abbraccio. «Ferma e ascolta: è per questo che sto scherzando. Cioè, in parte è perchè è impossibile stare serio per troppo tempo se sto con te e in parte è perchè io stesso ero un po' teso» ammise pensieroso. «Ma voglio farti ridere principalmente perchè voglio che tu ti senta a tuo agio. Ti fai troppi problemi su te stessa, quando invece mi vai bene come sei» le spiegò
«Ti preoccupi per me?» annuì piano per poi rimanere in silenzio più a lungo del dovuto .«Dunque, annuncio ufficialmente che sto facendo un grosso sforzo per non strillare vocali a caso dalla felicità, quindi per distrarmi mi spieghi come mai eri teso?»
«Beh, dunque» farfugliò Sho, era il suo turno a sentirsi imbarazzato. «So che molti immaginano che un bel idol famoso non dovrebbe aver problemi e avrebbe tutti i motivi per sentirsi pienamente sicuro di sè con una donna, ma per quanto mi riguarda non è affatto così. Ero terribilmente insicuro: prima di tutto temevo potessi pensare che io me ne volessi approfittare del fatto che difficilmente mi avresti rifutato, poi ho pensato che avresti potuto aspettarti chissà quali performance straordinarie e infine. eri tu a rendermi teso. Ho sognato questa cosa per anni» confessò tutto d'un fiato. «Per gli altri sarò un idol famoso, io invece mi sento solo un uomo come tanti: posso sbagliare, posso non essere perfetto, posso essere deludente»
«Sì, hai ragione. Mi aspettavo di più dal famoso Sakurai Sho» annuì Erina fingendosi delusa. «Ci sono proprio rimasta male, chiamerò il servizio consumatori della JE»
«Ehi!» esclamò lui stringendola contro di sè. Risero entrambi.
Rendendosi conto di quanto fosse stata importante per entrambi quella mattina, Sho si sentì in colpa di essersi svegliato solo con un desiderio fisico. Quando però Erina sollevò una gamba per intrecciarla con la sua, prima di avvicinarsi a baciarlo, dovette ammettere di essersi sentito quasi in colpa.
Fece scivolare una mano sul suo ventre e la abbassò fin quando non arrivò all'elastico degli slip. «Cosa dovremmo fare?» sussurrò contro le sue labbra
«Fare una doccia non sarebbe male» suggerì lei respirando profondamente. «E anche asciugare quei vestiti»
«Giusto. Quanto tempo abbiamo?» domandò toccandola oltre l'elastico
«Abbastanza» la sentì sussurrare prima che le sue dita potessero nuovamente darle tanto piacere da perdere la capacità di articolare parole sensate.


Questo è il capitolo rende gialla una ff che per il resto potrebbe anche essere verde secondo me. E dato che la ff è gialla da un sacco, è chiaro che questo capitolo era già in previsione. La verità è che l'ho scritto ben più di un anno fa, questo perchè il tipo di scena che trovate descritta non mi è congeniale, quindi ho approfittato di un momento in cui mi son sentita stranamente ispirata e coraggiosa e l'ho scritto.
Ed ecco perchè aspettava da tanto il momento di essere reso pubblico. Ora che è arrivato, lo dico con sincerità, non riesco a decidermi. Questo tipo di capitoli non sono da me, mi vergogno a leggere queste cose, quindi a scriverle mi vergogno il triplo. Non so spiegare questa mia strana pudicizia, ma.... non ci riesco e basta e ora che devo pubblicare sono qui che guardo lo schermo e mi dico "no, vabbè, lasciamo stare". Solo che non riesco a farlo perchè in realtà sono particolarmente soddisfatta di come sia venuto fuori il capitolo (nonostante io non legga storie di questo genere e non avessi quindi modelli, nonostante fosse la prima volta che scrivevo una simile scena e me ne stia vergognando ancora adesso).
E sto pure qui a continuare a scrivere per cincischiare e rimandare il momento di pubblicare! ... che vergogna.
Vi chiedo solo un favore: dato che è stata dura fare questa cosa, se proprio non vi piace, siate sensibili nel dirmi ceh farei meglio a lasciar perdere questo genere di cose e darmi all'ippica.
Ok, basta perdere tempo... pubblico.

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Capitolo 49
*** 48. A Pocket full of Sunshine ***


Quando suonò la sveglia erano le 3 del mattino, Kokoro la zittì allungando il braccio fuori dalle coperte, quindi lo ritrasse tornando al calduccio. Indugiò ancora qualche minuto lì sotto, dopodichè aprì gli occhi e cercò con lo sguardo la felpa che la sera prima doveva aver abbandonato da qualche parte lì in camera.
Cinque minuti dopo il latte si stava scaldando in un pentolino e Kokoro stava mettendo alcuni biscotti alla marmellata in un piattino. Da quando era tornata dalla Francia aveva scoperto che la colazione occidentale le piaceva più di quella giapponese, anche se prima di partire non è che mangiasse pesce abbrustolito tutte le mattine. Comunque aveva eliminato il riso e la misoshiru per introdurre solo piccoli dolci o biscotti secchi. Al latte aggiungeva sempre del cacao in polvere.
Mentre girava il cucchiaino nella tazza, osservava il liquido passare da bianco a marroncino e, ancora intontita dal sonno, ripensava al weekend appena concluso.
Alla fine, nonostante il gentilissimo invito di Erina, aveva deciso di andare a casa di Masaki. In quei giorni non era stata con le mani in mano: si era allontanata da Chiba perchè doveva fingere di essere partita per andare a trovare un ipotetico lontano fidanzato e sarebbe dovuta tornare a casa con un anello come prova di quella relazione agli occhi delle malelingue del quartiere.
Masaki aveva lavorato fino a tardi il venerdì notte, ed era tornato all'appartamento a notte fonda, cadendo stanco morto su divano. Il mattino dopo si erano incrociati mentre lei si alzava e lui usciva di nuovo. Durante il giorno Kokoro aveva preso il treno ed era andata a Ginza, ma non ci aveva molto a capire che i prezzi non erano alla portata del suo portafoglio, inoltre auto-regalarsi un anello di fidanzamento sembrava diventare sempre più un'idiozia.
Il sabato sera, dato che Masaki avrebbe lavorato anche all'ora di cena, Kokoro si era accordata con Erina ed erano uscite a cena insieme. Quando era tornata all'appartamento, aveva scoperto che le riprese erano durate meno del previsto quindi Aiba era arrivato a casa in tempo per la cena ed aveva mangiato quello che lei gli aveva preparato e lasciato in caldo.
Nonostante l'occasione mancata, non si erano dispiaciuti troppo e avevano deciso di mettersi a guardare un film insieme. Lui si era addormentato sul divano dopo appena 30 minuti e Kokoro l'avrebbe seguito a ruota, ma ebbe l'accortezza di spegnere la tv, lasciar sdraiare Masaki sul divano e coprirlo, prima di andare a raggomitolarsi anche lei sotto il piumone della camera da letto.
La domenica era stata uguale. Anzi, non si erano nemmeno incrociati la mattina e nel pomeriggio tardi, dopo un giro per Harajuku e Omotesandō, si era accidentalmente addormentata sul divano, quando invece sarebbe dovuta tornare a Chiba appena dopo cena. E senza aver comprato nessun anello!
Mentre metteva i piatti della colazione nel lavandino e si avviava verso il bagno per darsi una rinfrescata, ripensò a quanto successo quell'ultima sera, ossia poche ore prima.

Era sveglia già da un paio di minuti, ma aveva fatto finta di niente. Quando infine aprì gli occhi, il soggiorno era buio, illuminato solo dalla luce intermittente della televisione accesa. Sentiva anche una musica di sottofondo e dei rumori di battaglia.
Con uno sbadiglio silenzioso si girò sul fianco opposto, guardando verso la tv. Poteva vedere in controluce la testa di qualcuno che, seduto ai piedi del divano dove stava lei, giocava col videogioco che c'era sullo schermo.
«Chibimasa, stai ancora facendo i pezzi che non piacciono a Ninomiya san?» domandò con voce sonnolenta, prima di appoggiare il mento sulla testa spettinata del ragazzo
«Eh?» domandò questi. «No, veramente Ninomiya san sta facendo proprio quelli che preferisce».
Il secondo dopo Kokoro realizzò che quello seduto ai piedi del divano non era Masaki, ma Ninomiya Kazunari! «Scusa!» esclamò staccandosi da lui e rannicchiandosi sul divano, imbarazzatissima.
Il ragazzo mise in pausa il gioco e si girò mettendo un gomito sul materasso. «Tu non dovresti essere a casa tua?» domandò piccato.
Kokoro lo guardò sorpresa: non le aveva mai parlato a quel modo, benchè le occasioni di chiacchierare non fossero mai state molte. Chinò il capo lentamente. «Mi spiace, è che mi sono addormentata senza rendermene conto. Aiba san?»
«Intendi "chibimasa"? Dorme in camera sua, era a pezzi e lavora anche domani» gli rispose l'altro tornando a guardare la televisione e riavviando il gioco. «Io ho la giornata libera e dato che oggi era senza macchina l'ho riaccompagnato a casa. Il gioco è qui, quindi mi ha detto di rimanere a dormire, ma tu occupavi il mio posto. Credeva te ne fossi già andata» spiegò seccato
«Raccolgo le mie cose e vado, non posso rimanere per la notte. Domani devo alzarmi alle 3» disse Kokoro. Si tolse di dosso la coperta che doveva averle messo qualcun altro e si sedette posando i piedi a terra. «Avete mangiato?»
«Aiba chan era troppo stanco e io non ho fame» disse Nino facendo spallucce. «Vorrei solo sedere più comodo che sul pavimento» concluse.
Era chiaro che non la voleva lì e che il fatto che invece ci fosse lo infastidiva molto.
Kokoro si sfregò gli occhi e si alzò dal divano con uno sbadiglio. Si diresse in cucina dove effettivamente il mestolo era ancora posato sul coperchio della pentola, proprio come lo aveva lasciato lei.
Dopo aver acceso la cuociriso, scoperchiò la pentola e diede una mescolata al pollo al curry che aveva preparato qualche ora prima, perchè Masaki tornasse a casa e trovasse la cena pronta. Tagliò il katsudon che aveva preparato nella padella e quando il riso fu pronto ne mise alcune cucchiaiate sul fondo di una ciotola, lo coprì con il curry e vi posò sopra il katsudon a striscette. Fortunatamente era tutto ancora caldo.
Tornò in salotto con un piccolo vassoio, portando sia la ciotola che le bacchette insieme ad un bicchiere d'acqua, e lasciò tutto di fianco a Nino che per un attimo soltanto staccò gli occhi dal televisore. «Cos'è? Ho detto che non ho fame» borbottò accigliato
«Hai mentito» lo accusò Kokoro tornando a sedersi sul divano, mentre il ragazzo non si era mosso dal pavimento nonostante ormai potesse accomodarsi tranquillamente. «Prima di aprire gli occhi ho sentito uno stomaco che gorgogliava. Credevo fosse di Aiba san, ma era il tuo»
«Perchè hai cucinato? Non sei la cameriera di Aiba chan»
«Perchè mi piace preparare da mangiare per gli altri» rispose lei stringendosi nelle spalle. «Mi aveva avvisato che qualcuno sarebbe tornato con lui e allora ho fatto una pozione in più»
«Non hai bisogno di darla a me dato che ti ho risposto male» la scusò il ragazzo, addolcendo leggermente il tono. «Ho esagerato, non devi farti perdonare niente»
«Non l'ho fatto per farmi perdonare, ma perchè sei un amico di Aiba san» gli rispose lei
«Non sei mica la padrona di casa» sospirò Nino continuando a tenere gli occhi fissi sul televisore
«Non lo faccio per quello e non lo faccio perchè sono una cameriera o perchè preparare la cenetta è tipico della brava fidanzatina» gli spiegò mente ripiegava la coperta che aveva abbandonato sul divano e risistemava i cuscini. «Mi piace fare qualcosa per lui. Ieri mattina mi ha lasciato dei bigliettini sul frigorifero con l'indirizzo di alcuni posti che potevano essermi utili»
«Le gioiellerie?» chiese l'altro, stranamente informato della cosa
«Sì. Anche quando non siamo insieme è come se mi lasciasse sempre dei biglietti sul frigorifero, ma tramite mail. Aiba san, nonostante tutto quello che ha da fare, ha sempre un pensiero gentile per me e mi racconta le sue giornate oppure chiede raccontargli le mie, anche se forse sono tutte storie di cui non gli interessa o cose di cui non capisce niente dato che non è il suo campo, ma mi ascolta sempre e si interessa. Anche quando non c'è, sembra ci sia lo stesso»
«Questo cos'ha a che vedere col cibo?» domandò lui confuso, mettendo in pausa il gioco
«E' il mio modo per ringraziarlo. Lui mi dà quel che può darmi, la sua attenzione quando ha tempo, allora io gli dò quel che io posso. Aiba san ha sempre poco tempo per preparare da mangiare, quindi quando ci vediamo cucino sempre i pasti e faccio in modo che abbia qualcosa anche per il bento da portarsi in giro. E' il mio modo per esserci lo stesso con lui, anche quando non ci sono veramente»
«E perchè adesso sfameresti me?» fece, finalmente girandosi a lanciarle un'occhiata diffidente. In quel momento la sua pancia brontolò di nuovo.
«Perchè invece di continuare a fare domande non mangi, prima che si raffreddi tutto?» chiese ridendo Kokoro, indicandogli il vassoio.
Nino abbassò lo sguardo sul cibo e infine prese tra le mani ciotola e bacchette, cominciando piano a mangiare, come per paura che quel piatto potesse essere avvelenato.
Kokoro lo guardò mentre masticava i primi bocconi, dopodichè si alzò dal divano e cominciò a raccogliere le proprie cose in giro per la stanza. «Quello che è importante per Aiba san lo è anche per me. Lui accetta alcune cose del mio lavoro, io accetto quelle del suo. So di venire dopo gli Arashi e so di venire dopo di te, Ninomiya kun. Se tentassi di cambiare questa cosa non farei che rovinare tutto: se questo è il nostro equilibrio, allora va bene così» spiegò prima di entrare in bagno a recuperare il beautycase.
Quando tornò in sala, il ragazzo stava mangiando di gusto il pollo al curry, avendo già spazzolato tutto il katsudon.
«Ti ha infastidito trovarmi qui vero? Perchè hai pensato stessi cercando di mettermi in mezzo tra te e Aiba san» disse chiudendo il trolley che si era portata dietro per quel weekend. Era mezzo vuoto in realtà, ma aveva dovuto fingere di partire per un'altra regione del Giappone.
«Forse» ammise il ragazzo. «Il divano è mio» borbottò come un bambino offeso.
Kokoro trattenne una risata divertita, girandosi dall'altra parte e mettendosi una mano sulla bocca: possibile che tutti gli amici di Masaki avessero ancora un lato infantile e tenero come lui?
Mise il trolley vicino alla porta dell'entrata e tornò verso Nino, sedendosi a terra di fianco a lui, anche se un po' distante. «Non ne hai motivo. Aiba san ti ama» gli spiegò con un lieve sorriso. Non poteva negare di essere gelosa, ma non poteva che accettare la cosa. «Ama te, ama Matsumoto san e Sakurai san e Ohno san. Non credo ci sarà mai nessuno che potrà prendere il vostro posto, per questo non hai niente da temere» concluse annuendo.
Non voleva litigare con Nino, era l'amico più importante per Masaki e quello con il quale teneva di più ad avere un buon rapporto ed essere accettata da lui. Certo, sperava un giorno di poter parlare un po' anche con Ohno Satoshi, perchè era il suo preferito tra gli Arashi, mentre con Sho erano ancora solo conoscenti, ma avevano chiacchierato a sufficienza perché Kokoro potesse dirsi soddisfatta e certa che con lui non vi fossero fraintendimenti.
«Hai mentito anche tu» disse improvvisamente Nino quando ebbe finito il piatto
«Come?» domandò la ragazza, presa in contropiede da quell'affermazione
«Hai mentito quando hai detto che ti sta bene così» spiegò appoggiando la ciotola sul vassoio. «Non deve starti bene così» affermò scuotendo il capo. «E non c'è nemmeno bisogno che ti stia bene, perchè in realtà le cose non stanno così»
«Stai cercando di confondermi?» domandò Kokoro socchiudendo gli occhi e guardandolo con diffidenza, Nino era un tipo scaltro
«No, semplicemente io credo che tu non abbia capito bene la situazione» scosse il capo e si pulì la bocca con il tovagliolo prima di chinare il capo verso di lei. «Gochisōsama deshita» bisbigliò, quindi riprese in mano il controller del videogioco e lo fece ripartire. «Io non credo che per Aiba chan tu venga dopo di noi, perchè noi non abbiamo mai occupato la prima posizione nel suo cuore. La verità è che in lui non ci sono podi da conquistare, è come se... come se avesse un cuore ad incastro. Tante cose sono importanti nella sua vita: gli Arashi, la sua famiglia, il lavoro che svolge da solo e tanto altro; la sua abilità è trovare ad ogni cosa il suo posto, per questo nè io, nè gli altri abbiamo la precedenza su altre cose. Magari ogni tanto può aver detto qualcosa di simile in qualche intervista, ma non è mica tutto vero quello che diciamo al pubblico. Ogni tanto diamo risposte a casaccio» spiegò facendo spallucce, ma con un sorrisino divertito sulle labbra.
Nino schiacciò ripetutamente un tasto, guardando con intensità lo schermo nel tentativo di sconfiggere un nemico particolarmente ostico. Kokoro fissò le luci della tv riflesse negli occhi del ragazzo al suo fianco, dopodichè si girò a sua volta per guardare la battaglia in corso.
Quando ebbe vinto, il ragazzo mise in pausa e agitò la mano nell'aria, per rilassare i muscoli che aveva tenuto tesi tutto il tempo.
«Hai capito cosa voglio dire?» domandò improvvisamente, fissandola. «Per Aiba chan al primo posto non c'è nessuno. Semplicemente ognuno ha il suo personale piccolo podio sul quale occupare la posizione più alta, per quello dico che non hai niente da farti andare bene: io e te non siamo alternative per lui; lui non sceglie, prende tutto quello che ha di bello nella vita e non si fa sfuggire niente» spiegò annuendo. «E' questo il bello di Aiba chan. Può darti l'impressione di averti messo in secondo piano e dopo che hai fatto qualcosa per riconquistarlo, ti rendi conto che in realtà ti ha sempre voluto bene allo stesso modo» il ragazzo ridacchiò tra sè a quelle parole e scosse il capo. «Che tipo capriccioso, vero?»
«Sì, abbastanza» annuì Kokoro, ridacchiando con lui.

Improvvisamente il cellulare si mise a suonare e Aiba saltò per lo spavento, svegliandosi di colpo. Per sbaglio diede anche un calcio ai pedali dell'auto.
«Ahuuu» si lamentò piegandosi con la testa sul volante. Allungò intanto un braccio per recuperare l'apparecchio sul sedile del passeggero. «Pronto?»
«Sto andando a dormire e ti ho chiamato come mi hai chiesto» sentì dire da Nino, dall'altra parte del filo
«Ah sì. Grazie» farfugliò Aiba. «Allora buonanotte»
«Posso usare il letto invece del divano?» domandò questi, ma in sottofondo lo sentì aprire la porta di camera sua
«Perchè me lo chiedi se hai già intenzione di farlo?» gli chiese confuso
«Così che tu non possa dire che non sono stato educato e mi sono ficcato nel tuo letto senza dirti niente» spiegò con una risatina stanca
«Dormi, dormi» scosse il capo prima di mettere giù.
Scese dall'auto chiudendosi la giacca a vento, richiuse la portiera e poi allungò le braccia verso il cielo, stiracchiandosi. Scosse un poco l'una e poi l'altra gamba, per sgranchirsele, quindi ficcò le mani in tasca e sospirò nell'aria freddina di fine Ottobre.
«Bene, andiamo» mormorò tra sè prima di chiudere la macchina e avviarsi a piedi lungo una strada ancora deserta. Quel lunedì mattina aveva un compito da assolvere. Gli ci era voluto un po' per capire cosa doveva fare, come del resto gli capitava spesso, ma ormai aveva tutto chiaro nella propria testa.

«Ma fin dove posso arrivare con una donna?» domandò all'improvviso.
Si trovava nella stanza più grande dei camerini vicini al set del servizio fotografico. Seduti al grosso tavolo centrale c'erano solo lui e Ohno, che sonnecchiava con la faccia nascosta nelle braccia incrociate e appoggiate alla superficie in formica bianca. Tutti gli altri erano sul set.
A quella sua frase, Satoshi alzò di scatto la testa. Aiba credeva stesse dormendo e aveva fatto quella domanda a se stesso più che altro, non pensava che qualcuno lo avrebbe sentito. «Ti ho svegliato?» gli chiese chinando il capo e facendo per riprendere in mano il manga che stava leggendo pochi minuti prima
«Non dormivo» rispose quello, che mise il mento sul braccio, rimanendo appoggiato in avanti sul tavolo
«Pensavo ad alta voce» si giustificò arrossendo leggermente
«E' colpa di fiorellina?»* domandò Ohno
«Fiorellina?» fece Masaki sgranando gli occhi
«Non era Hana-qualcosa?»
«Hanayaka» lo corresse lui
«Il fiore c'è» si giustificò con un sorrisino stanco, prima di starnutire
«Non è che sia colpa sua» cercò di spiegarsi Aiba. «E' che non so bene cosa fare. Sta avendo ancora qualche problema sul lavoro e così dovrà fingere di avere un fidanzato lontano. E' comodo per me, in questo modo, sapendola impegnata, anche se sarà sempre vista sola nessuno cercherà di avvicinarla, però non so, ho l'impressione di non starla aiutando affatto»
«E che potresti fare?» chiese Satoshi
«Non lo so. Non posso fidanzarmi ufficialmente con lei, quindi dovrà fingere proprio tutto ed io non potrò mai fare nulla perchè correrei sempre il rischio di essere scoperto. Pensa che dovrà anche far finta di aver ricevuto un anello di fidanzamento»
«E chi glielo dà?»
«Nessuno, il fidanzato non esiste» rispose Masaki stringendosi nelle spalle e tornando silenzioso
«Che tristezza» commentò Ohno con un filo di voce prima di venire chiamato da un assistente. Lo salutò e uscì dai camerini andando verso il set.
Mentre lo guardava uscire, Aiba si rese conto che non avrebbe dovuto importunarlo con i suoi problemi personali: era preda di un fortissimo raffreddore eppure doveva essere lì con loro a lavorare, quindi avrebbe fatto meglio a lasciarlo riposare. Ogni tanto si comportava da egoista.
Rimise il manga sul tavolo e tamburellò con le dita sul cellulare spento. Quegli scatti stavano durando un sacco.
«E' ridicolo autoregalarsi un anello di fidanzamento» sentì dire alle proprie spalle.
Quando si girò, si ricordò che in quella stanza c'era anche Jun, disteso sul divano che sfogliava una rivista, silenzioso. «Matsujun» farfugliò, convinto fosse anche lui sul set. Forse era un po' egoista, ma non era colpa sua se la gente sentiva cose quando lui era convinto non le avrebbe sentite!
«Lei ti lascerebbe da solo se il vostro rapporto improvvisamente ti creasse qualche problema?» domandò il moro continuando a sfogliare le pagine con scarso interesse
«Non penso» scosse il capo Masaki
«Se sta con te nonostante i problemi e nonostante ciò che sei, cosa che influenza anche il tipo di rapporto che avrete, significa che devi essere importante per lei. E le persone importanti non vanno lasciate da sole».
Aiba chinò il capo, pensieroso. Era sicuro che Jun parlasse per esperienza, ma nessuno del gruppo poteva sapere quale esperienza fosse, dato che ancora non aveva raccontato loro niente di quel che gli era successo. Eppure in quel fine Ottobre, si poteva dire che il moro fosse tornato sereno quasi come una volta.
«Insomma devo fare qualcosa anche se non so cosa, dato che ogni idea che mi viene è troppo pericolosa e rischia di costringere entrambi a chiudere il nostro rapporto?»
«E' o non è importante?» insistette Jun, girando finalmente gli occhi su di lui, fissandolo serio. «"non lasciare soli" non significa per forza "fare qualcosa". A volte basta che l'altro capisca che noi ci siamo» concluse facendo spallucce, dopodichè tornò a guardare la rivista.

Il sole stava spuntando dietro le case, lentamente, cominciando ad accorciare le ombre di muri e tetti, illuminando pian piano ogni angolo con i suoi raggi.
Aiba vide Kokoro nel momento in cui usciva dal cancello del cortile di casa, così si allontanò dalla macchina parcheggiata infondo alla via. «Chibiko!» esclamò alzando una mano in aria, mettendosi a correre.
La ragazza si girò nella direzione da cui veniva quel richiamo e fisso stupita Aiba che si avvicinava con un sorriso stampato in faccia, come sempre.
«Chibimasa, che ci fai qui a quest'ora?» chiese quando arrivò davanti a lei
«Comincio a lavorare tra due ore, ma dovevo incontrarti prima che tu andassi in pasticceria» spiegò guardandola negli occhi e sentendosi improvvisamente un po' più tranquillo e sereno.
Aiba aveva realizzato una cosa fondamentale: in tutti quei mesi, Kokoro era entrata a far parte del suo mondo in maniera molto naturale, occupando rapidamente un posto importante nel suo cuore; ormai anche lei, come le due donne più importanti della sua vita, gli trasmetteva una sicurezza, una calma e una solidità che lui, uomo dalla vita turbolenta, non poteva che desiderare.
«E' successo qualcosa?» chiese la ragazza leggermente allarmata, era strano vederlo lì a quell'ora ma se fosse stata una faccenda grave, non avrebbe avuto quello sguardo fermo e quel sorriso rilassato.
«No, dovevo solo dirti una cosa importante» rispose Masaki scuotendo il capo. Lei non disse altro, lasciando che parlasse: quel momento era troppo strano per interromperlo e voleva capire cosa stesse accadendo. «Quando torno a casa, la mia famiglia è come un porto sicuro, sai? Di quelli in cui cercare rifugio dopo la tempesta, e la mia è la tempesta del lavoro e degli impegni. Ma tu, Chibiko, sei la via di mezzo. Ecco, ti vedo come un'isola di fortuna che spunta in mezzo ai flutti: sembri un miraggio, faccio di tutto per superare la tempesta e alla fine raggiungo le tue sponde. Allora sento di poter riprendere fiato per un po' prima di tornare a navigare di nuovo e, anche se a volte rimango sulla spiaggia per pochissimo tempo, ho l'impressione che dopo ho un po' di energia in più» spiegò parlando a mezza voce, perchè la strada delle quattro e mezza del mattino era molto silenziosa e si poteva udire benissimo qualsiasi piccolo rumore. Kokoro lo guardava con ancora un po' di stupore stampato in faccia, probabilmente perchè stava facendo un discorso pazzo e strano.
«Ho però l'impressione che, se continuerò ad andare e venire a mio piacimento, senza curarmi della mia isola, un giorno all'improvviso non la troverò più» continuò non potendo reprimere un sorriso preoccupato. «Quindi anche io devo fare qualcosa per lei perchè se non ci sarà qualcosa che ci connette finirò col cercarla e non trovarla più, avendola lasciata da sola»
«Chibimasa, perchè ogni tanto cerchi di spiegare le cose in maniera difficile?» domandò Kokoro divertita. «Lo sai che non sei bravo con le parole»
«Sì, sì, lo so» annuì Aiba con fare sconsolato. «Ma la metafora della nave e dell'isola mi è appena venuta in mente e mi sembrava carina, allora l'ho detta» si giustificò arricciando il labbro
«Cosa volevi dirmi veramente?» chiese lei
«Che non sei sola» annuì con decisione il ragazzo. «Non possiamo far sapere che stai con me, ma se questo ti crea dei problemi non posso lasciare che li affronti da sola» spiegò ripetendo le parole di Jun
«Ma io non mi sento sola, lo so che ci sei» cercò di rassicurarlo Kokoro. Forse aveva detto qualcosa di strano quel weekend o aveva avuto un comportamento particolare che Masaki aveva interpretato in modo tutto suo? Non aveva mai pensato che lui dovesse fare qualcosa per quella situazione.
«Ma io voglio che ci sia qualcosa che mi connette alla mia isola» insistette
«Non ricominciare eh» rise Kokoro, stringendosi nella giacca a vento.
Aiba allora tirò fuori le mani dalle tasche e allungò la destra verso di lei, tenendo il palmo aperto. «Sarebbe stato brutto autoregalarsi un anello di fidanzamento» cercò di spiegarsi quando la ragazza abbassò lo sguardo sul piccolo cerchio d'argento che le stava offrendo. «E io non posso nemmeno regalartene uno, prima di tutto perchè dovrei averne uno uguale e non potrei indossarlo e poi perchè se fosse di fidanzamento significherebbe che ti sto facendo una proposta. Proposta a cui in realtà non ho mai pensato» ammise con sgomento, ma lei rise nonostante la sorpresa. «Diciamo che in realtà non è un anello di fidanzamento. E' un regalo di natale anticipato, ma almeno non dovrai fingere che il tuo fidanzato te l'abbia regalato, perchè è la verità: te l'ho regalato io; dovrai solo fingere che sia di fidanzamento, mentre invece è un regalo di natale» spiegò aggrottando le sopracciglia mentre cercava di spiegare quel ragionamento contorto.
Kokoro annuì e prese l'anello tra le dita. Nemmeno lei aveva mai pensato che Masaki potesse regalarle sul serio un vero anello di fidanzamento, ma preso come un regalo semplice andava bene. Certo, questo non toglieva che l'avesse lasciata di stucco: era molto semplice e, diversamente dalla tradizione, non aveva alcun diamante. Era solo una sottile fedina d'argento, leggermente lavorato, ma andava bene anche così: se avesse avuto qualche pietra si sarebbe dovuta preoccupare di non perderla mentre lavorava.
«Il primo regalo che mi fai è un anello. Non sei stato furbo, come farai a cavartela col prossimo se già con il primo punti così in alto?» gli chiese indossandolo e guardando come le stava al dito
«Oh, accidenti! Hai ragione» realizzò lui in quel momento, ma poi entrambi scoppiarono a ridere.
Kokoro, mentre rideva con lui, si piegò nascondendo il viso contro il suo petto, tra le pieghe della giacca, e lì rimase anche quando si furono calmati. «Che c'è?» chiese lui azzardandosi a metterle una mano sulla testa, accarezzandole i capelli
«Non dire niente» gli intimò con voce tremante. «Mi hai commosso e mi è venuto improvvisamente da piangere, quindi sto cercando di trattenermi».
Aiba sorrise teneramente e continuò a passarle le dita tra le ciocche castane, aspettando il momento in cui se la sarebbe sentita di guardarlo nuovamente negli occhi.
«E' questo che ti assicurerà il ritorno all'isola?» domandò lei, posandogli sul petto la mano con l'anello e girando lo sguardo per fissarla.
«Spero di sì. Spero che sia la connessione tra me e l'isola»
«Come se tendessi una lunga corda dalla spiaggia al timone?» chiese ancora. «Di modo che quando ne avrai bisogno ti basterà ripercorrere quella corda per tornare»
«Non volevi che la piantassi con la storia della nave e dell'isola?» ribattè Aiba, aggrottando le sopracciglia
«Giusto. Allora diciamo che è il filo rosso» annuì Kokoro staccandosi finalmente dal suo petto e guardandolo in viso. Lui invece lasciò la mano tra i suoi capelli per impedirle di allontanarsi troppo.
«Quello della leggenda?» domandò Masaki
«Quello. O magari non è proprio rosso, forse non ancora» cercò di correggersi. Quella metafora del filo rosso sembrava più adatta ad un anello di fidanzamento piuttosto che ad un regalo di natale anticipato da spacciare come tale. «Però possiamo sempre colorarlo noi»
«Sì, sembra divertente» annuì Aiba. «Ma solo rosso? A me piacciono anche un sacco di altri colori!» ribattè
«Rosso! Altrimenti che senso ha? Re di scemolandia» esclamò lei imbronciandosi
«Va bene, va bene. Come desidera la mia regina» rispose lui ridendo divertito.
Si guardarono negli occhi in silenzio e si sarebbero volentieri scambiati un bacio, ma dovevano essere quasi le cinque ed ormai cominciava ad essere pericoloso anche stare così vicini in mezzo alla strada.
«Dobbiamo andare» ricordò Kokoro a malincuore
«Buon lavoro, e non bruciare nulla» annuì Aiba, stampandole un rapido bacio sulla fronte prima di lasciarle andare le ciocche di capelli che si era tenuto stretto tra le dita.
«Buon lavoro, e non inciampare nei fili del set» rispose lei con un sorriso, dopodichè ognuno si diresse nella direzione opposta della strada rispetto all'altro.
Kokoro continuò a girarsi ogni quattro passi per salutarlo con la mano e, finchè non ebbe girato l'angolo, Aiba aprì la portiera dell'auto, ma non vi salì, per continuare a guardarla, salutandola a sua volta con un sorriso.

*In questo caso Ohno dice "hana chan", dato che hana significa fiore e chan è il suffisso per fare i diminutivi dei nomi, è traducibile come "fiorellina"


Prima di commentare ogni cosa: 104 letture dello scorso capitolo e 32 di quello prima ò_O voglio sperare che siano sempre le 32 solite persone che si vanno rileggere il capitolo 47 per sfizio e non 72 fessi che si leggono solo il capitolo 47 di una ff di 50 capitoli totali solo perchè in quel capitolo c'è una minima scena di sesso. Ma che senso ha? O_O bah...

Passiamo alle cose serie! Zam, zam!
Allora in questi giorni ho tempo 0, non solo perchè sto traducendo l'ira di dio di cose, ma anche perchè ho ripreso a studiare e a lavorare e a fare volontariato @_@ tra l'altro, ogni tanto vorrei anche farmi i cazzi miei XD
Vabbè, apposta perchè non ho molto tempo, ho prima pensato tutto il capitolo e poi l'ho scritto, come mi è successo spesso. L'ho scritto nel tempo record di 3 ore. Uau-uau~
Come saprete, gli anelli di fidanzamento sono anelli che si danno una volta che si chiede di sposare qualcuno. Aiba non sta facendo niente di tutto questo, non mi piacciono le ff che finiscono in quel modo =_= le ha solo fatto un regalo, per l'occasione le ha regalato quello che le serviva che era, appunto, un anello di fidanzamento, ma non c'è nessuna proposta dietro (anche perchè siamo ad Ottobre e stanno insieme da Luglio anche se si sono fatti la corte dalla primavera).
Quello che mi è piaciuto di più, in realtà, è la coralità del capitolo. E' su loro due, è vero, ma se ci ripenso alla loro storia hanno contribuito moltissimo anche gli altri membri del gruppo (Sho non compare molto qui perchè nell'Ottobre 2010 girava kamisama ^.^) e così è stato anche stavolta, grazie a Nino -soprattutto- a Ohno e a Jun.
Che altro dire? Questo è l'ultimo capitolo in cui scriverò di questa coppia. Non ci sarà alcun seguito come è stato Akai per Ame. La loro storia è conclusa e non ci sarà altra ff che li riguarderà. In parte sono triste... Kokoro è un personaggio che mi piace molto. Ha molte cose tipiche delle giapponesine: è un po' capricciosa, si veste male (ahahah per me, beninteso, anche se comunque non riesco a far vestire a fiorelloni i miei personaggi femminili) e a volte è timida fino all'esasperazione. Ma è anche una che ama la quotidianità e la ripetizione, mentre tutto ciò che le è successo in questa ff l'ha messa a dura prova. In un certo senso penso che sia cresciuta: la Kokoro dei primi capitoli di Ame (dipendente della pasticceria, che viveva alla giornata, single, poco chiara con Makoto e spaventata dall'ex), non è la stessa della fine (padrona del negozio, responsabile del suo buon nome, "capo" di un dipendente, con una relazione finalmente stabile e sicura delle scelte fatte).
Mi piange il cuore che sia finita ç_ç per me lei è la ragazza ideale che mi figuro al fianco di Aiba, come gli dissero gli altri membri in uno dei capitoli: la ragazza della porta accanto.
Ciao bimba ç.ç mi mancherai un sacchissimo!! E grazie, perchè anche come scrittrice, Kokoro e Aiba, mi hanno emozionato moltissimo.

P.S. se qualcuno se lo chiedesse: sì, ho perso tempo a cercare l'anello. Aiba non si azzarderebbe a comprare un diamante e Kokoro non è tipo da indossare dei brillocchi sulle dita, quindi la ricerca di un modello carino è stata ostica: ce n'erano un sacco carini, ma erano tutti da uomo! XD Alla fine ho trovato questo e secondo me va bene u.u (ma nella foto c'è sia quello da uomo che quello da donna -a sx)

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Capitolo 50
*** 49. So, What are You looking for? ***


Il gruppo si aggirava per gli studi mentre alcuni fotografi cambiavano gli sfondi. Nino e Sho chiacchieravano tranquillamente con Matsushita Nao, la collega che avrebbero affiancato per presentare il Kōhaku Uta Gassen quell'anno. Ohno ascoltava quello che gli stavano dicendo alcuni addetti ai lavori e Aiba si era rintanato da qualche parte per rilassarsi. Erano tutti molto nervosi dato che era la prima volta che presentavano un programma di quel calibro. Anzi, erano proprio il primo gruppo nella storia del Kōhaku a ricoprire quel ruolo! Era un onore, certo, ma anche una grossa responsabilità.
Jun passeggiava per lo studio, attento a non inciampare nei cavi e cercando di captare le frasi dei tecnici per capire quanto tempo avrebbero ancora impiegato per preparare e quanti servizi fotografici avrebbero dovuto fare in quella seconda metà di giornata.
Mentre gironzolava con le orecchie tese gli squillò il cellulare, rimastogli in tasca. Lo tirò fuori e osservò lo schermo dopo averlo aperto: nel centro campeggiava il nome di Nomura Tomomi e lui era un po' indeciso, non tanto se rispondere o meno, ma sul come farlo.
Alla fine sospirò e schiacciò il pulsante verde senza perdere altro tempo. «Pronto?»
«Matsumoto san?» chiese la voce di Tomomi attraverso il telefono
«Nomura san, buongiorno. E' un po' che non ci sentiamo» disse mettendo la mano libera in tasca e abbassando lo sguardo sulle scarpe da ginnastica
«E' vero»
«Dimmi, come stai? Ti sei rimessa in sesto?» chiese improvvisamente ricordando che l'ultima volta che si erano visti aveva sul corpo i segni dell'incidente avuto in ospedale
«Sì, grazie» disse piano. «Sono stata un po' presa con la riabilitazione infatti, per quello non mi sono fatta sentire»
«Non devi trovare nessuna scusa. Avrei dovuto chiamare io dato che non stavi bene» le disse subito. In quel momento passò vicino ad Ohno che gli si avvicinò indicandogli il papillon. «Ma il periodo di fine anno è sempre molto intenso per noi» concluse la frase mentre alzava il mento per lasciarsi sistemare dal compagno
«Lo so che sei impegnato, non importa» gli disse lei.
Dopo quella frase, e dopo che Jun ebbe sillabato silenziosamente un "grazie" perso Ohno, ci fu qualche attimo di silenzio tra lui e Tomomi.
Si sentiva un po' in imbarazzo: era stato seriamente preoccupato per lei, si era impegnato per andare a trovarla in ospedale quando era stata ricoverata e si era spaventato quando l'aveva vista nel bagno del locale dov'erano andati con altri e l'aveva vista con addosso i segni di quel che era successo; eppure continuava ad avere un atteggiamento incerto con lei. Ogni tanto si lanciava in qualche frase, anche molto bella e che sentiva sinceramente venirgli dal cuore, ma poi si rendeva conto che detta ad una donna innamorata poteva essere interpretata in una maniera particolare e allora non sapeva più che pensare: aveva parlato così perchè voleva esprimere esattamente qualcosa che lei doveva percepire come tenero e magari persino romantico, oppure era ancora troppo titubante e avrebbe preferito che le sue parole fossero prese per quelle che erano?
«Come mai sento molto rumore in sottofondo?» domandò per cambiare argomento
«Non sono in ospedale, è di questo che volevo parlarti. Per due settimane devo partecipare ad un seminario di aggiornamento e confronto a cui Yamashita sensei mi ha obbligato a partecipare e ho saputo che qui in zona ci sono gli studi televisivi della TBS. Ho pensato che magari eri in zona» spiegò lasciando in sospeso la frase.
Per quel poco che conosceva Tomomi, quella frase era un vero e proprio salto nel buio. Solo una volta si era esposta talmente tanto ed era stato quando si era dichiarata: quello forse era l'unico modo che trovasse per reagire davanti alle incognite che lui continuava a metterle davanti. Jun era consapevole di non essere una persona facile.
«La TBS? Oggi no» rispose scuotendo il capo. «Ma controllerò gli impegni e se sono lì in questi giorni possiamo incrociarci per un caffè» propose imboccando il corridoio che portava fuori dallo studio troppo affollatto
«Solitamente non ho pause brevi abbastanza lunghe da permettermi di uscire a bere qualcosa, ma se gli orari dei pranzi coincidono con i tuoi posso venire più vicina agli studi per mangiare qualcosa insieme» propose la donna abbassando la voce. Forse qualcuno le passava vicino e non voleva farsi sentire, o forse le veniva naturale dato che si stava accordando per uscire con lui e non era il caso che la gente lo sapesse in giro con delle donne. «Il seminario dura fino a mercoledì prossimo, il 3. Aspetto che tu mi faccia sapere qualcosa?»
«Sì, ti contatto io. Tu intanto mandami pure per mail l'indirizzo del posto dove hai questo seminario e i tuoi orari. Vedrò cosa posso fare» annuì entrando in camerino per prepararsi carta e penna e segnare le informazioni.
«Ma solo se puoi, Matsumoto san» specificò Tomomi. «Non voglio portarti via quel poco di tempo libero che hai per rilassarti tra una ripresa e l'altra. Se vuoi e se ti va ci vediamo, altrimenti avremo altre occasioni».
Avrebbe voluto dirle di non preoccuparsi e che gli avrebbe fatto piacere vederla e chiacchierare un po'. Avrebbe voluto parlare del più e del meno con lei cosa che, per un motivo o per l'altro, non era mai stato possibile: il loro rapporto -di qualsiasi tipo fosse- non era mai stato normale e Jun sentiva di voler dare normalità alla sua vita al di fuori del lavoro, il che includeva anche il rapporto con Tomomi. Ma non le disse nulla di quello che pensava, proprio per timore che le sue parole venissero fraintese.
«Dai, vedrò che posso fare» fu tutto ciò che le disse
«Ok, allora ci sentiamo»
«Ciao» salutò e chiuse la comunicazione.
Era stato freddo con quella conclusione e doveva sembrarle un pazzo lunatico dato che aveva cominciato col chiederle come stava, con fare premuroso, e aveva finito con un tono che sembrava dirle che forse, se fosse inciampato per caso nell'agenda degli impegni, avrebbe controllato se si potevano incontrare.
Tornò a guardare il display del cellulare che dopo un po' si spense e lui fece un lungo sospiro. Doveva uscire da quel limbo in qualche modo.
«Sono passati solo 3 mesi vero?» chiese una voce, mentre lui stava scrivendo l'indirizzo arrivatogli per mail. Fece un salto sulla sedia e girò lo sguardo: non si era totalmente accorto che nel camerino c'era anche Aiba. Era in un angolo che leggeva un manga.
«Prego?» chiese Jun spaesato
«Dico, sono passati 3 mesi da quando ti abbiamo accompagnato a quel tempio» ripetè il ragazzo, che aveva abbassato il volume sul tavolo per fissare lui. Stava parlando del funerale di Shiori, tenutosi in luglio.
«Sì» annuì Jun finendo di scrivere l'indirizzo
«Stai facendo molta attenzione vero?» domandò ancora il compagno. «E' per quello che hai parlato in quel modo strano?»
«Non capisco a cosa ti riferisci» rispose chiudendo la penna e rimettendo il cellulare nella tasca della giacca appesa alla sedia dove si era seduto
«Tu sei una persona schietta, Matsujun. Il dialogo che ho appena sentito non è da te» spiegò chiudendo il manga e piegando le braccia sul tavolo con un sorrisino tranquillo sul viso. «Scusa, non ho potuto fare a meno di ascoltare: la porta era aperta, qui è tutto tranquillo e io ho sentito la tua voce quando sei entrato nel corridoio. Era l'amica di Erina vero? Come si chiamava?» rifletté aggrottando le sopracciglia
«Nomura Tomomi» gli disse Jun
«Ecco sì, lei! E' bella» annuì Aiba. «E' molto bella, hai gusto con le donne Matsujun»
«E' una persona interessante» rispose facendo spallucce. Avrebbe dovuto dire che Tomomi non era la sua donna, che non stavano insieme e nemmeno uscivano per appuntamenti romantici, però lui effettivamente le permetteva di contattarlo, di parlargli, di stargli intorno nonostante sapesse che fosse innamorata e questo poteva solo significare che trovava piacevole la sua presenza. All'aspetto fisico in realtà non aveva mai pensato.
«Quindi tieni alla sua presenza?» chiese Aiba
«Perchè mi fai tutte queste domande?» fece Jun spazientito, lanciandogli un'occhiata scocciata
«Perchè pensavo che parlare con una simile cautela non è da te, ma capisco che tieni a lei e quindi fai attenzione a non esporti troppo perchè sono passati solo tre mesi e magari non te la senti ancora di pensare ad un'altra» fece l'amico stringendosi nelle spalle. «Perchè ho notato che nonostante siano solo tre mesi, sei cambiato tantissimo e mi chiedevo se non sia anche grazie a Nomura san»
«Sì, conoscerla è stata una buona cosa. Mi ha aiutato molto, ma questo non significa niente da un punto di vista amoroso» disse difendendosi
«Lo dici come se fosse sbagliato» gli fece notare Aiba arricciando il labbro inferiore
«Non penso che sia sbagliato, ma semplicemente non è così. Solo perchè ti sei trovato la ragazza non devi cercare di accoppiarci tutti, ognuno ha i suoi tempi e le sue priorità» sospirò
«Ok, ok. Fa come se non avessi detto nulla» esclamò Masaki alzando le mani in gesto di resa.
Jun si mise a fissare il foglio con l'indirizzo mentre, con la coda dell'occhio, vedeva Aiba alzarsi dal tavolo e andarsene senza dire nulla. Non era stata sua intenzione, ma forse il suo tono l'aveva offeso.
«Mi permetto solo di ricordarti una cosa» aggiunse d'improvviso l'amico alle sue spalle. «Sei tu che hai spinto molti di noi a fare qualcosa in questi mesi perchè, cito testuali parole: "Non voglio che abbiate rimpianti". Quanto possono valere queste parole se chi le pronuncia è il primo a non rispettarle?» domandò stizzito. Jun si girò, ma fece solo in tempo a vedere la figura di spalle di Aiba che usciva dalla porta, scansando Ohno, appiattito contro lo stipite della porta per lasciarlo passare.
Jun strinse le mani a pugno e sospirò appoggiando i gomiti al poggiaschiena nel rimanere girato verso la porta. Era facile dare consigli, ma seguirli lo era molto meno. Nella realtà, il confine tra giusto e sbagliato, egoismo e altruismo, era molto meno delineato e chiaro di quanto poteva sembrare in un drama o in un manga.
Forse era giusto premiare la pazienza che Tomomi aveva avuto con i suoi sentimenti instabili, ma non era giusto prometterle qualcosa che poi avrebbe potuto non sentirsi sicuro di poterle dare perchè l'avrebbe illusa e questo non se lo meritava. Così come non era giusto che per un'altra persona, seppur degna della sua più profonda stima, venisse prima di se stesso e della sua personale serenità. Allora era giusto non concedere niente a quella donna e negarsi qualsiasi possibilità di distrazione e felicità in futuro?
«Stai riflettendo» disse Ohno entrando. «Sai che quando ti metti a pensare intensamente a qualcosa hai sempre un'espressione particolare? Anche nei programmi: alzi lo sguardo pensieroso, guardi lontano cercando la risposta e poi la dici. E se è lunga dopo un po' torni ad alzare lo sguardo»
«Come mai sei qui? Non stavi parlando con qualcuno?» domandò Jun alzando gli occhi su di lui
«Ti ho seguito» spiegò Satoshi mettendosi seduta al tavolo con lui. «La tua telefonata mi ha incuriosito»
«Bene, quindi oltre che dai paparazzi devo guardarmi le spalle dal Riida ficcanaso?» chiese infastidito
«E' inutile che fai così con me» sospirò Ohno. Lo osservava con un'espressione rilassata in viso, per niente offeso dal tono seccato di Jun.
«Ho offeso Aiba chan» mugugnò il più giovane con aria afflitta, mentre si girava per tornare a sedere composto
«Ora ha reagito così, ma vedrai che tra poco se ne sarà dimenticato. Lui è preoccupato per te quindi non verrà a rinfacciarti un comportamento sbagliato» spiegò Satoshi incrociando le braccia sul tavolo. «Siamo tutti preoccupati, ma sai che lui non è bravo a tenersi certe cose per sè: vuole aiutarti»
«Lo so, lo so, e quel che dice è giusto, ma non è tanto facile»
«No?» domandò improvvisamente Satoshi osservandolo con un sorrisino serafico sulle labbra
«No?» chiese Jun, insicuro. L'espressione del compagno voleva dire che la risposta a quella situazione c'era e che Ohno la sapeva tanto quanto lui che però non riusciva a capirla.
«Hai un pregio Jun o almeno per certi versi lo è: sei sempre sincero, senza peli sulla lingua; perchè non riesci ad esserlo anche con questa persona?»
«Che dovrei dirle? Che non lo so se mi piace, ma sto bene con lei e non voglio perdere la sua amicizia? Che non voglio avere legami sentimentali ora, ma che le sue attenzioni in questo senso preferirei non sparissero?» scosse il capo e si alzò dal tavolo sentendo che dallo studio molte voci annunciavano che il lavoro stava cominciando. «E' troppo egoista come affermazione ed è crudele chiederle di non cambiare e lasciarla in sospeso solo perchè io ancora non so cosa fare»
«Hai mai pensato che non deve essere solo uno a decidere cosa fare in un rapporto che coinvolge due persone?» gli fece notare Satoshi aggrottando le sopracciglia. «Stai facendo tutto da solo: ti precludi una possibile nuova partenza, le neghi la possibilità di conquistarti e nemmeno le chiedi un parere; se fossi in lei mi arrabbierei» concluse con una stretta di spalle. Anche l'amico si alzò dalla sua sedia, quindi insieme tornarono sul set.

Tomomi avrebbe voluto indossare qualcosa di più carino dato che avrebbe incontrato Jun: quale donna non desidera essere più bella davanti alla persona che le piace? Ma per lei non era possibile: non poteva andare in abito da sera all'ultimo giorno di seminario, nè indossare una gonna proprio quando aveva indossato pantaloni tutti i giorni! Lo aveva fatto per non essere sottovalutata: era donna ed era giovane ma sarebbe diventata ufficialmente primario nel giro di qualche mese, quindi doveva far capire ai presenti che non stavano parlando con una qualsiasi segretaria e che non dovevano prenderla sottogamba. Così aveva categoricamente evitato di indossare una gonna ed era andata ogni giorno con addosso un tailleur blu scuro composto da pantaloni e giacca a due bottoni, più delle scarpe dai tacchi alti. La sua naturale altezza l'aveva sempre aiutata in corsia, ma con delle scarpe alte era sicura di svettare su tutti o comunque di poter guardare negli occhi anche i più alti.
La mise era perfetta per quelle riunioni quindi, ma non per incontrare Jun: non era femminile quanto avrebbe voluto essere e poi non voleva sembrare più alta di lui!
Entrò nel pub con una decina di minuti d'anticipo, si fece accompagnare al tavolo e poi scappò al bagno portandosi dietro la borsa. Al secondo problema aveva trovato una soluzione: si era portata delle ballerine scure che stessero ben con il tailleur per sostituire i tacchi, ma si era rassegnata a non cambiarsi di vestito perchè non poteva portarsene uno in borsa e sperare che arrivasse a fine giornata senza pieghe.
Cambiate le scarpe tornò al tavolo e chiese un analcolico mentre aspettava. Nell'attesa si rilassò sull'alto sgabello del locale, riaccese il cellulare, controllò le mail e si guardò intorno incuriosita dato che, come le aveva detto Jun, quello era un posto molto frequentato dalla gente dello spettacolo che usciva dagli studi dopo il lavoro. Non guardava la televisione, ma era impossibile non vedere alcune pubblicità in giro per la città e dato che molti attori le facevano forse avrebbe riconosciuto qualcuno lì dentro.
Jun arrivò con ben dieci minuti di ritardo, proprio quando lei aveva finito il suo analcolico ed era indecisa se prenderne un altro o aspettare ancora un po'.
«Buonasera, scusa se arrivo solo ora» disse raggiungendo il tavolino alto al quale l'avevano fatta accomodare. «Buonasera» salutò il cameriere che gli si era rivolto con cortesia, riconoscendolo
«Ti hanno trattenuto al lavoro immagino» fece Tomomi con un sorriso tranquillo, osservandolo mente si toglieva la giacca e la appendeva alla sedia libera
«No, in realtà ho trattenuto io le persone sul set» spiegò Jun aggrottando le sopracciglia. «Ma non importa, sono arrivato» concluse scrollando le spalle. «E' molto che non ci vediamo, ti trovo bene. Stai ancora facendo la riabilitazione?»
«Ho finito pochi giorni fa. E' stato un Ottobre piuttosto pieno di cose da fare e non appena ne ho finita una mi è venuto in mente di chiamarti» spiegò. «Comunque ora mi sono ripresa del tutto» concluse alzando le braccia verso il soffitto e aprendole per mostrare che non aveva dolore a fare quei movimenti
«Ok, ok, ti credo» annuì Jun divertito, chiamando il cameriere. «Prendo il solito. Cosa prendi Nomura san?»
«Il numero 32 della lista» disse non ricordandosi il nome del drink.
Il cameriere finì di segnare le cose sul suo taccuino, prese il bicchiere vuoto di Tomomi e si allontanò.
Alla giovane dottoressa non era sfuggito lo strano comportamento di Jun al telefono qualche giorno prima. Un po' si era abituata a quel suo modo di fare incerto e non poteva certo biasimarlo dato ciò che aveva passato con la ex. Comunque il fatto che avesse accettato di vedersi per un aperitivo dopo il lavoro era un buon segno, ma non voleva fargli pesare troppo la scelta comportandosi in maniera strana, quindi era fermamente decisa a non atteggiarsi in maniera strana, come se sperasse in un significato romantico di quell'incontro.
«Matsumoto san» lo richiamò prendendo un respiro profondo
«Dimmi» fece lui finendo di svuotare il bicchiere d'acqua che avevano portato
«In realtà c'è un motivo ben preciso per cui ti ho chiesto di vederci. Cioè» fece per correggersi. «Chiaramente sono anche felice di vederti, ma c'è una cosa di cui vorrei parlare con te»
«Sentiamo» fece guardandola leggermente stupito
«Si tratta di Kōmō, cioè Erina» si corresse.
Jun la fissò senza parole e annuì appena con il capo quando furono portati i drink. «Che c'è?» domandò Tomomi aggrottando le sopracciglia
«No, niente. Cosa succede con Erina san?» rispose scuotendo il capo
«Ecco sono un po' preoccupata. So che ormai stanno insieme» cominciò a spiegare evitando di pronunciare il nome di Sho. «Ho dovuto anche sorbirmela al telefono mentre mi raccontava dei momenti più belli passati insieme: una cosa disgustosa; però mi sembra che sia tutto Ottobre che non si sentano. Non è che il tuo amico si è approfittato di lei prima di scaricarla vero?» concluse con un sorrisino malizioso
«Sho kun? Non penso proprio» rispose lui lapidario. «E' una persona seria lui, non si comporterebbe mai così»
«Bene, te la sei presa. Significa che stai dicendo la verità» fece Tomomi stringendosi nelle spalle
«Non me la sono presa» esclamò Jun, confermando l'esatto contrario. «E comunque non eri tu quella che non voleva immischiarsi nelle storie altrui?»
«Te l'ho detto un giorno in cui mi ero immischiata eccome: ne dovresti dedurre che quando lo ritengo opportuno, lo faccio»
«Io proprio non ti capisco» sospirò il ragazzo abbassando lo sguardo sulla sua bevanda.
Sembrava essersela presa, ma non perchè lei avesse insinuato una cattiveria su Sho: che ci fosse rimasto male aspettandosi di fare discorsi totalmente diversi durante quell'aperitivo in due?
«Ascolta, mi è sembrato di capire che non si siano visti perchè Sakurai san aveva un importante lavoro da fare questo mese. Ed Erina si è impegnata tanto per aiutarvi a realizzare i concerti che non ha avuto nemmeno il tempo di cercare un biglietto» riprese a parlare Tomomi. «Non voglio chiederti tanto, solo se è possibile farle avere un solo posto alla prossima data. Lei sarà lì prima che voi arriviate no?»
«Le scorse volte lei e un collega rimanevano fino al giorno del concerto e poi tornavano a Tokyo. E' successo che partissero quando noi stavamo arrivando, quindi non ci si incontrava» riflettè Jun passando un dito sul bordo del bicchiere. «Ma non so se riesco a recuperare un biglietto per lei, non è così facile. E anche se facciamo così, l'essere nel pubblico non ci assicura che possano passare un po' di tempo insieme» le fece notare
«Voglio fare qualcosa per lei, ma comunque non voglio impicciarmi più di tanto. Se volessi essere certa li chiuderei in uno sgabuzzino, non pensi? No, io le dò una chance di rimanere un giorno in più nella città dove sarete, di farlo sapere a Sakurai san ed eventualmente incontrarsi: coglierla o meno sta a loro, se veramente si amano. Sono proprio strani quei due. O per lo meno lo è Erina» sbuffò Tomomi
«Sei una buona amica, vero?» domandò il giovane idol d'improvviso. Lei lo fissò, stranita da quell'osservazione improvvisa. «Tu ti preoccupi per lei. Vorresti fare di testa tua e importi dicendole qualcosa come: "stupida, chiamalo e vedetevi", però non sopporteresti che qualcuno lo facesse con te allora non lo fai nemmeno con gli altri»
«Beh, sì, più o meno» tentennò la donna. «Ma è perchè è un'amica e la rispetto. Se fosse una sconosciuta non mi interesserebbe credo, o comunque direi più una cosa come: "razza di imbecille, cosa stai combinando!?" e cose simili» spiegò ridacchiando
«Hai fatto così anche con me»
«Con te? In che senso?» chiese, sempre più spaesata. Non capiva dove volesse arrivare Jun con quel discorso.
«Forse avresti voluto dirmi: "dimenticati di quella, accidenti. Lei è morta tu ed io no!", ma non l'hai fatto» spiegò stringendosi nelle spalle. «Mi hai rispettato, hai avuto riguardo per i miei sentimenti e pazienza nei confronti dei miei atteggiamenti. Di questo ti sono molto grato» e chinò il capo
«Esageri» bofonchiò arrossendo leggermente. «Che altro avrei potuto fare? I sentimenti delle persone sono fragili, prenderli con la prepotenza non ci assicura di averli conquistati, ma ci mette in pericolo di spezzarli. Se ti avessi forzato a dimenticare la tua ex e a provare qualcosa per me, probabilmente saresti fuggito e non avresti più voluto vedermi» scosse il capo con un sospiro. «Non era la tattica giusta» concluse prendendo la cannuccia tra le labbra
«Avevi una tattica allora» la prese in giro
«Ma no, insomma» rispose subito confusa. «Non intendevo quello»
«Scherzavo» la rassicurò con un sorriso.
Rimasero di nuovo in silenzio. Tomomi aveva paura di dire qualcosa: Jun aveva abilmente sviato il discorso da Erina e Sho a loro due, o comunque aveva spontaneamente parlato di quello che lei provava per lui ed era un evento piuttosto raro. Se fosse intervenuta avrebbe spezzato quell'incantesimo che sembrava aver appena fatto girare il giovane idol verso di lei per accorgersi della sua presenza, di ciò che provava e del fatto che doveva dare a tutto quello un minimo di attenzione ormai.
Jun ordinò un paio di toast per riempirsi temporaneamente lo stomaco. «Tu non vuoi nulla?» le chiese alzando lo sguardo dal menù
«No, tranquillo. Ho il turno di notte quindi mangerò più tardi» rispose scuotendo il capo
«E' difficile il tuo lavoro, vero?»
«Abbastanza, ma mi piace. E' lo stesso per te o sbaglio?» disse respirando profondamente.
Sembrava che l'argomento più delicato fosse stato solo sfiorato, dopodiché Jun aveva deciso di evitarlo. Si era detta di non mettergli fretta e di non dargli l'idea di essere in attesa di un suo segnale per poter sperare in qualcosa di più tra loro, ma anche lui era ben crudele a cominciare un discorso serio per abbandonarlo il minuto successivo!
«E' vero, è la stessa cosa» annuì. «Ma lo sapevamo già: siamo due fortunati che fanno il lavoro che piace loro anche se poi sgobbiamo come pazzi. Penso che per Sho kun ed Erina san sia la stessa cosa: a lui piace la nostra attività e lei mette passione e carisma nella sua professione. Forse hanno trovato equilibrio nel loro rapporto anche senza vedersi assiduamente perchè sono comunque persone che si sentono personalmente realizzate»
«Forse è come dici tu e io mi preoccupo inutilmente. Ho capito, lasciamo stare questo stupido piano» ammise, quasi delusa
«Ma no, facciamolo» disse Jun, divertito. «L'hai proposto pensando di fare una buona azione per lei e le buone azioni non vanno mai sprecate. Cercherò il biglietto, ma è tutto quel che posso fare»
«Sul serio?» chiese illuminandosi in viso. «Sì, non dovrai fare altro! Solo quello, conto su di te» annuì con decisione
«Bene, in cambio però devi farmi un favore» annunciò il ragazzo alzando un dito in aria, con fare saputello
«Qualsiasi cosa» rispose Tomomi, di getto
«Devi perdonarmi» disse guardandola con aria leggermente dispiaciuta
«Di cosa?» domandò spalancando gli occhi.
Si sentiva totalmente disorientata. Non le sembrava che Jun avesse fatto niente di strano per cui lei dovesse scusarlo. Però non disse niente, la meccanica dei loro discorsi stava diventando quella: lasciar parlare l'altro e scoprire i suoi pensieri poco a poco, come scostando una tenda per sbirciare la forte luce del sole dietro di essa.
«Stavo prendendo delle decisioni. Pensavo a cosa dirti, a cosa fare e a come comportarmi. Insomma cercavo una linea d'azione nel nostro rapporto, ma qualcuno mi ha fatto notare che lo stavo facendo senza di te e che questo mio atteggiamento era molto ingiusto nei tuo confronti» spiegò con calma. «Mi è stato detto di decidere insieme e di essere sincero, quindi ti prego di scusare il mio egoismo di questi mesi e di ascoltarmi» fece chinando il busto in avanti sul tavolo e piegando la testa
«Sì, va bene» riuscì solo a rispondere Tomomi in un soffio
«Non so quando dimenticherò, anzi, a volte ho l'impressione di non voler dimenticare affatto. Ma può darsi che il fatto che io mi preoccupi per quello che c'è tra noi significhi che voglio dimenticare e andare avanti. Se sarà con te oppure no, io non lo so perchè non ti conosco ancora tanto bene e non ho idea se tu possa piacermi o meno. Però so che ora ci sei tu e sei la persona che mi ha sostenuto di più in questi mesi, quella che ha ascoltato ogni cosa e che mi ha dato le parole più significative per cominciare a curare i miei sentimenti» fece una pausa prendendo un profondo respiro. Distolse lo sguardo da lei e fissò altrove mente rifletteva, forse per trovare le parole giuste. «Ho pensato di scappare, perchè accettare di uscire con te mi sembra sbagliato se non sono sicuro di cosa voglio. Mi sento come se ti prendessi in giro o come se ti illudessi e questa cosa è sbagliata. Ma come ho detto prima, mi hanno fatto notare che l'errore stava a monte, nello scegliere da solo cosa fosse giusto per te e cosa no senza nemmeno interpellarti» annuì tra sè alla conclusione di quella frase, quasi che l'avesse ripetuta a memoria e fosse arrivato alla fine del suo discorso preparato in precedenza.
Tomomi ci pensò. Era tentata di dare una risposta egoista perchè tutti quei "se" non la facevano sentire sicura, ma era stata paziente fino a quel momento arrivando finalmente a quell'apertura da parte di Jun, non poteva sbagliare proprio allora.
«Ti ringrazio per la sincerità» disse come prima cosa. «Penso che nei tuoi pensieri tu stessi correndo troppo. So quello che provo, ma nemmeno io ti conosco bene e non so immaginare che tipo di rapporto potrebbe instaurarsi tra di noi, quindi è chiaro che quello che ti avrei chiesto non era niente di serio. Sai, la gente normale prima si frequenta un po' e solo dopo decide che fare» spiegò ridacchiando.
«Quindi vorresti che ci frequentassimo?» domandò Jun appoggiando il gomito al tavolo e fissandola concentrato
«Detta così suona strano» fece lei arricciando il labbro inferiore. «Però il succo è quello. Se vuoi dare un nome a quello che senti comincia ad esplorarlo, no?»
«Ho capito. Va bene» annuì allora il giovane idol mettendosi a mangiar eil primo toast
«Va bene?» chiese Tomomi incredula: era stato tutto troppo facile.
«Sì, va bene» confermò parlando a bocca piena. «Cercherò un biglietto del concerto del 13 Novembre e ti chiamerò per uscire uno di questi giorni» ripetè come segnandosi mentalmente le cose che doveva fare
«Allora ok» concluse lei fissando il suo drink, incredula.
Dopo tanti mesi di tira e molla con quel ragazzo, ora accettava di uscire insieme ogni tanto come se nulla fosse? Non le sembrava vero.
«Se è destino che succeda qualcosa allora succederà, giusto?» domandò Jun inghiottendo il boccone
«Giusto» annuì la donna. «Chissà, magari dopo un paio di uscite non ci sopportiamo più» ridacchiò finendo di bere
«O magari il contrario» propose lui. Ovviamente Tomomi aveva pensato prima al contrario a cui lui si riferiva, ma non aveva avuto il coraggio di mostrarsi così ottimista. «Ti immagini? Magari dopo tutti questi mesi di incertezza, bastano due uscite per capire di voler stare insieme senza alcun dubbio. A saperlo avrei accettato prima, evitandomi tanti dubbi in questi mesi» riflettè guardando il soffitto
«Forse» ammise lei stringendosi nelle spalle. «O forse no. Il problema è che non è mai facile capire qual è la persona a cui siamo destinati. Non è una cosa che si possa vedere» disse sollevando il mignolo
«Ah, parli della leggenda del filo, vero?» domandò Jun notando il suo gesto. «A volte ho pensato di essere legato a Shiori, ma più volte quest'anno ho poi sperato non fosse così: significherebbe non avere più speranza» disse con un velo di tristezza
«Non puoi saperlo» disse la donna appoggiandosi con la schiena alla sedia, per mettersi più comoda. «Il filo rosso è invisibile».


Gliel'ho fatta, questa fine mi sta facendo sudare seriamente. Fra le tremila cose da fare sto disperatamente cercando tempo e ispirazione per scrivere ç_ç aiuto!
Stavolta non sono molto triste XD Non perchè non tenga a questa coppia, anzi, ma perchè so che alla "saga" di Akai si aggiungerà una nuova ff che sarà l'ultima e che sarà proprio quella che tratterà di Jun e Tomomi, dando una degna conclusione alla loro storia. Conclusione che qui sembra sistemarsi solo in maniera temporanea. Quindi non devo salutare questa coppia e non sono triste... è solo un arrivederci. Sì, ci vediamo in Tanpopo.

Dato che il prossimo capitolo è l'ultimo (già, niente epilogo) faccio adesso il sondaggio del miglior personaggio femminile che era stato chiesto da una lettrice così che alla prossima pubblicazione avremo i risultati temponranei (perchè se altre leggeranno questa ff tra molto tempo potranno comunque dirci la loro). Quindi eccolo qui ↓


Pensavo di fare un sondaggio diverso dals olito. Invece di cheidervi di scegliere un solo personaggio, ho pensato di chiedervi di dare un voto ad ognuno. Poi atnto quello che è preferito si capisce facendo la media XD
Quindi, quando avete voglia, date un voto da 1 a 5 (dove 5 è il massimo ed il personaggio è proprio il vostro preferito e 1 significa che l'avete detestato a morte XD)

- Sheridan Erina
- Hanayaka Kokoro
- Nomura Tomomi
- Hang Ying
- Ahn Yun-seo

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Capitolo 51
*** 50. Suddently I see Why It means so much to Me ***


Alzò lo sguardo verso l’alto. Avrebbe voluto vederci le stelle, il cielo blu notte, invece incontrò il soffitto colorato dalle luci del concerto. Ohno poco prima aveva ricordato quanto facesse freddo fuori, quindi forse era meglio così.
Un gesto di Nino gli ricordò di doverlo seguire. Prese in mano l’asciugamano che teneva sulle spalle e fece una piroetta a tempo di musica. Nino rise, ma lui si sforzò di rimanere serio, come un ballerino preso dalla foga della danza.
«Bye bye!» salutavano Aiba chan e Jun
«Bye bye» fece loro eco Satoshi
«Sapporo!» disse lui nel microfono lanciando un’ultima occhiata allo stadio. «Arigapyon! Bye bye!» salutò allora, prima che le quinte si chiudessero su di loro, nascondendoli al pubblico.
Lo staff si riversò verso di loro: i complimenti si rincorrevano, i ringraziamenti sembravano non finire mai. Sho sorrise a tutti, accettò pacche sulle spalle e ne diede agli altri, ma ogni tanto lanciava uno sguardo di sorpresa e gioia ad uno dei membri, come se li vedesse in quel momento: eppure quei quattro idioti non avevano fatto altro che condividere con lui il palco per tutte le due o tre ore precedenti.
Quel 13 Novembre, era cominciato e finito il primo dei due concerti di Sapporo ed era una di quelle sere in cui non si poteva far a meno di pensare che il 2010 fosse stato un anno grandioso per il gruppo. E poteva solo migliorare, dato che c’era ancora un mese e mezzo carico di lavori grandiosi da portare a termine.
Man mano che i minuti passavano tutti sembravano sempre meno grintosi e più stanchi, con la tensione e l’adrenalina che scemavano. Cominciarono a spegnersi le luci, a chiudersi borsoni, i cavi venivano raccolti, i jack staccati. Quando il gruppo uscì dallo stadio, questo si era svuotato e nelle strade all’esterno non c’era più nessuno.
Qualcuno dello staff propose di andare a cercare un posto dove mangiare tutti insieme, vicino all’hotel. Molti si dissero entusiasti, altri invece erano troppo stanchi. Jun e Nino aderirono alla proposta, mentre Ohno e Aiba ebberp appena le forze di scuotere il capo. Sho si sarebbe messo a saltellare in giro come una scimmia tanta era ancora l’emozione e l’adrenalina che si sentiva in corpo. «Che ore sono?» domandò incerto
«Mezzanotte e mezza» rispose uno dei manager
«Come fa a sopportarti?» domandò Aiba con un risolino stanco mentre saliva sul pullman che li avrebbe portati in hotel. Ormai sapevano tutti che, finito un concerto, chiamava Erina e le parlava di quello che era successo finchè non aveva più fiato.
«Finalmente qualcuno che sa cosa dobbiamo patire» si aggiunse Nino dandogli una spallata scherzosa e prendendo posto in una delle prime file. Era ancora presto per essere un sabato sera, quindi Sho decise di chiamare Erina un poco più tardi, magari mentre gironzolava per le vie di Sapporo alla ricerca di un posto dove mangiare con il resto dello staff.
Al contrario di Osaka, a Sapporo avevano sempre pernottato in un hotel a pochi piani e non particolarmente lussuoso. Erano sempre stati lì in autunno, quindi era meglio un posto caldo e tranquillo, piuttosto che elegante e di classe. Lungo la strada dal Dome a lì aveva cominciato a nevicare, così tutti quanti andarono nelle loro stanze, chi per prepararsi al riposo, chi per cambiarsi solo le scarpe e uscire di nuovo. Sho ne approfittò per mettersi addosso del deodorante e cambiarsi rapidamente da capo a piedi, mutande comprese: durante i concerti gli sembrava di sudare con ogni poro del suo corpo, ma in quel momento non aveva tempo di farsi una doccia e mettersi degli indumenti puliti gli sembrò una buona alternativa se non voleva che la gente avesse orrore a stargli vicino.
Quando si ritrovò con gli altri era già l’una di notte, ma nessuno faceva caso all’orario. La maggior parte delle persone che lavoravano a quei concerti poteva svegliarsi a pranzo perché doveva lavorare di sera. E poi nello stadio era tutto già montato, quindi sarebbe bastato fare un po’ di prove nel pomeriggio per essere pronti a cominciare lo spettacolo dopo cena.
Sho si unì al nutrito gruppo che uscì nuovamente dall’hotel. «Già chiamata?» domandò Jun accostandosi a lui. A terra si era già posato almeno un centimetro di neve e quella che continuava a cadere era diventata più fitta, tanto da costringere tutti ad inclinare gli ombrelli se non volevano fiocchi di ghiaccio attaccati ai pantaloni.
«Non ancora» rispose scuotendo il capo, infilando le mani nelle tasche del giubbotto di pelle
«E cosa aspetti?» fece l’amico con gli occhi sgranati
«Come? Io pensavo di chiamare una volta trovato il locale» spiegò alzando lo sguardo su Jun, un po’ stranito da quel suo interesse. «Ordiniamo e faccio la chiamata mentre aspettiamo che arrivi da mangiare»
«Ma è l’una passata» si lamentò il ragazzo. «E nevica come se fossimo in Islanda. Chiamala ora» gli comandò con serietà
«Che ti prende?» chiese Sho con un sorriso divertito e incredulo. «Ti ha convinto Nino a dire una cosa del genere? Vuole sentire cosa ci diciamo, vero?» fece cercando l’altro con gli occhi
«Sono serio, non c’entra nulla Nino. Chiamala immediatamente» gli rispose l’amico.
Nino era una decina di metri più avanti, perso in un animata discussione con qualcuno dello staff; forse Jun non stava mentendo, ma perché insisteva tanto? «C’è qualcosa che mi sfugge?» chiese ancora Sho
«A parte il verbo “chiamare”, non ti sfugge nulla direi» gli rispose quello, scuotendo il capo. «Insomma, è sabato sera, ma magari Sheridan san è già tornata a casa. La vuoi sentire, no? Allora devi farlo prima che vada a dormire» cercò di spiegarsi, ma non era molto convincente. Era come se si stesse inventando quelle scuse sul momento.
«Va bene, la chiamo. Tanto sembra che abbiamo trovato dove andare» fece notare Sho quando raggiunsero i colleghi davanti all’entrata di un locale in una via tranquilla. «Dato che insisti molto, ordinerai tu per me e se quello che mi avrai preso non mi piacerà, te lo mangerai tutto tu» gli spiegò storcendo il naso
«Benissimo» accettò Jun e, senza aggiungere altro, entrò nel ristorante con gli altri.
Una volta solo, Sho chiamò il numero di Erina sperando che si svegliasse, nel caso in cui stesse già dormendo.
La prima volta che l’aveva chiamata dopo un concerto, l’aveva fatto perché aveva ancora adrenalina da scaricare, ma anche perché all’epoca aveva voluto fare qualcosa di particolare perché la ragazza intuisse che lui la pensava, che la riteneva una persona importante e speciale. Da allora era diventata un’usanza. L’aveva chiamata quasi sempre, anche se l’adrenalina non c’era più ed era stanco da morire. Una volta si era addormentato mentre parlava! Ed Erina, non solo aveva sempre risposto e ascoltato le sue spiegazioni confuse, ma non si era nemmeno arrabbiata quando lui era finito col russare al telefono.
In quelle settimane, Sho aveva potuto scoprire che lei era una fidanzata magnifica, anche più di quanto non avesse immaginato all’epoca dell’università. Sembrava avere una pazienza infinita, bastava che le cose le venissero dette ed era tranquilla: se lui doveva darle buca per un impegno improvviso, se si appisolava al telefono o se non si vedevano per molto. Non si era lamentata nemmeno una volta. Magari si era detta dispiaciuta, ma era stato chiaro fin da subito che non avrebbe mai fatto i capricci per avere la sua attenzione. Non avrebbe vissuto in sua attesa: era innamorata di lui e sarebbe stata elastica con orari, imprevisti dell’ultimo momento e assenze, ma non l’avrebbe rincorso. Se lei avrebbe sopportato quello strano rapporto, anche Sho avrebbe dovuto impegnarsi a tenerlo vivo. Cosa che teneva a fare in maniera particolare, soprattutto perchè Erina aveva un buon lavoro ed un’attiva vita sociale: conosceva tante persone da aver trovato sempre qualcuno che all’ultimo condividesse con lei quelle ore che aveva ritagliato per Sho che invece le aveva dato buca. Cosa gli assicurava che un giorno uno di questi tappabuchi non avrebbe infine preso il suo posto, vedendo Erina sempre sola?
No, Sho non l’avrebbe ceduta a nessuno. Non dopo tutti quegli anni e tutta la fatica fatta per arrivare a quel rapporto. E poi, dove avrebbe potuto trovare un’altra come lei?
Stava bene in sua compagnia, come con poche altre persone. Quando la incontrava, Erina sorrideva e chiacchierava come nulla fosse, come se lui non fosse quel Sakurai Sho, ma solo Sho kun, il vecchio compagno di università, un ragazzo qualsiasi. Il suo.

Alzò lo sguardo verso l’alto. Avrebbe voluto vederci le stelle e invece il cielo era coperto da una spessa coltre di nubi e fiocchi grossi come fogli di un blocco notes cadevano incessanti già da una trentina di minuti. Il suo ombrello era minuscolo, eppure Erina non poteva fare a meno di sorridere, anzi, avrebbe addirittura ridacchiato se non fosse sembrata una pazza anche a se stessa. La neve le piaceva un mondo!
Nonostante il freddo, era uscita dal ryokan dove alloggiava diretta verso il konbini più vicino. Un’ora prima aveva appoggiato la testa al cuscino, ma non era riuscita prendere sonno e Tomomi le aveva anche scritto una mail nonostante l’orario tardo.

Il: 2010/11/14 ore 00:47
Da: Tomo-rin-tan-ton♪
Com’è andato il concerto? Ti è piaciuto? Sakurai san ti ha visto?

Il: 2010/11/14 ore 00:50
A: Tomo-rin-tan-ton♪
Il concerto è andato bene♥ è stato divertentissimo e pensavo di essere tornata in camera distrutta, invece non riesco a prendere sonno. UFFA!!
Non penso che Sho kun mi abbia visto, sul palco hanno i fari puntati in faccia, non vedono quasi nulla del pubblico, a meno che non sappiamo di dover cercare qualcuno e lui non sapeva che ero lì.

Il: 2010/11/14 ore 00:52
Da: Tomo-rin-tan-ton♪
Scusa, non gli hai detto che sei lì? Ma che diavolo hai nel cervello?

Il: 2010/11/14 ore 00:57
A: Tomo-rin-tan-ton♪
Lui non è qui per vedere me o per divertirsi, deve lavorare. Prima dei concerti c’è un sacco da fare e dopo sono tutti stanchissimi. Non posso rompergli le scatole come una fidanzatina appiccicosa?

Il: 2010/11/14 ore 01:01
Da: Tomo-rin-tan-ton♪
Appiccicosa? Ma se non vi vedete da un mese!!
Fammi il favore di chiamarlo, piccola idiota, altrimenti giuro che ti pesto a sangue quando torni.

Erina però non era sicura che a mezzanotte Sho fosse già fuori dallo stadio, così aveva deciso di fare quattro passi nell’attesa, anche nella speranza che immergersi ancora nel gelo di Sapporo la stancasse del tutto. Solo una volta nell’ingresso, già vestita e pronta, aveva visto che fuori aveva cominciato a nevicare furiosamente. Ma ormai aveva voglia di prendere qualcosa al konbini, quindi aveva preso in prestito un ombrello dalla padrona del ryokan ed era uscita. Purtroppo quel suo riparo era vecchio e piccolo, non avrebbe retto molta neve, così, arrivata in vista della sua meta, aumentò il passo e decise che non sarebbe uscita da lì per un po’. Saltava il progetto di stancarsi con una passeggiata nel freddo, ma almeno avrebbe potuto parlare con Sho senza battere i denti!
Si inchinò verso la commessa, prese un caffè caldo e si mise a sfogliare una rivista, seduta sul tavolo lungo, addossato alla vetrina, ma riuscì a girare solo un paio di pagine prima che il cellulare le squillasse.
«Buona sera» salutò aprendo la comunicazione con un sorriso timido: alla fine l’aveva chiamata lui, come sempre, ma stava a lei fargli sapere che era lì.
«Ciao!» fece la voce stanca di Sho. «Tutto bene? Dormivi?»
«Tutto bene, non riuscivo a prendere sonno, quindi stai tranquillo» sorrise alzando gli occhi dalle pagine e fissando il paesaggio fuori. «Tu sei stanco?»
«Un sacco, ma sono felice». Lo diceva tutte le volte, era evidente che amasse il suo lavoro. «Sai di cosa abbiamo parlato oggi?» domandò
«Sì» gli spose annuendo
«Abbiamo… come?» fece per cominciare a raccontare, ma si bloccò quando realizzò qual era stata la risposta di Erina
«Ho detto “sì”: so di cosa avete parlato all’MC»
«E come? Aiba chan ha fatto la spia?» domandò incuriosito. Un lontano vociare e il rumore delle macchine le fece capire che Sho non doveva essere in hotel.
«Povero Aiba chan! No, è colpa di Tomomi» difese il suo ichiban abbassando la voce perché la commessa non la sentisse
«Nomura san? Era qui stasera e ti ha raccontato tutto? Non è che si è sentita con Jun? Sembrava impaziente che ti telefonassi» chiese stranito
«Vuoi vedere che Matsumoto san e Tomomi si sono coalizzati?» fece Erina pensierosa. «Non capivo come fosse possibile che lei avesse trovato un biglietto del concerto a prezzo stracciato e mi stesse regalando quello dell’aereo per Sapporo»
«Il biglietto!» esclamò Sho. «Matsujun aveva chiesto un biglietto in più da dare ad un suo amico. Che bugiardo! Eri tu? L’ha dato a te?»
«Indirettamente, sì. L’ha dato a Tomomi che ha finto di averlo comprato per regalarmelo» disse la ragazza cominciando a mettere insieme i pezzi. «Stasera ero lì, per quello so cosa avete detto» ammise
«Quindi non ti hanno raccontato cosa abbiamo detto, ma ci hai sentiti?» chiese Sho, sembrava incredulo
«Non te lo aspettavi vero? Stavo per chiamarti io stessa per dirtelo. Ti ho visto e sei stato grandioso. Anzi, siete stati grandiosi!»
«Sei a Sapporo?» domandò ancora il ragazzo. Nella sua voce non c’era alcun entusiasmo, era molto calmo.
«Sì. Fino a domani sera» rispose Erina stranita
«E cosa stiamo facendo al telefono?» chiese, indignato. «Vediamoci subito»
«Ma nevica»
«E tu pensi che mi interessi?» domandò ridacchiando.
«E non sei stanco?» insistette lei, preoccupata
«Ho tutto domani mattina per dormire. Hai altri dubbi o possiamo incontrarci?» fece divertito.
Era molto che lei e Sho non si vedevano. Ogni volta che lo incontrava, Erina era talmente contenta che dimenticava il tempo trascorso in sua assenza. Lui inoltre si impegnava per non farle sentire la distanza: poteva avere tutti gli impegni del mondo, ma non mancava mai di mandarle delle mail al mattino o alla sera, di chiamarla quando era libero e quando sapeva che non era ora d’ufficio per Erina. Così lei capiva che la pensava e percepiva il suo affetto anche da lontano. Non poteva essere diversamente se Sho aveva quelle piccole attenzioni nonostante tutto il lavoro da svolgere. Inoltre lei non aveva visto cambiare la sua vita molto radicalmente, quindi faceva volentieri qualche corsa da qualche parte quando la avvisava all’ultimo minuto di un suo momento libero.
Ci avevano messo molto, ma ora era libera di godersi la gentilezza e le dolci attenzioni di Sho, che con una naturalezza disarmante dimostrava di provare per lei lo stesso bruciante sentimento di anni prima.
Erina pagò il caffè, buttò la tazza nella spazzatura e uscì sotto la neve.

«Dove ti trovi?» chiese Sho staccandosi dal muro del locale. Poteva solo sperare che Jun, con tutte le macchinazioni fatte, avesse previsto che lui non sarebbe mai andato a cena, altrimenti avrebbe ordinato un piatto per nulla.
«Non conosco molto Sapporo, sono venuta in taxi dall’aeroporto a qui» si scusò Erina
«Allora cosa vedi?»
«Dunque, vedo un parco. Dalla mia parte c’è un edificio abbastanza alto di pachinko e… nevica» piagnucolò.
Effettivamente quella specie di tormenta non aiutava a guardare lontano. «Un parco? Mi sembra che ci sia un parco davanti al nostro hotel, magari quei due furboni hanno preso la tua stanza nella stessa zona. Vedi un hotel lì vicino? Con una scritta verticale in azzurro» spiegò cominciando a camminare rapidamente lungo il marciapiede. Non aveva l’ombrello quindi stava tutto ingobbito e con la testa bassa per evitare che la neve gli finisse negli occhi.
«Forse sì. Non ne sono sicura. Se c’è, dovrebbe essere dall’altra parte del parco»
«Vicino c’è un cartellone enorme di una pubblicità della Shiseido» ricordò sbucando nella via dell’hotel e guardando gli edifici vicini
«Ah sì, è lei!»
«Com’è che vedi la pubblicità e non la scritta?» ridacchiò Sho
«Vedo qualcosa di azzurro, ma non riesco a leggere se ci sia scritto “hotel”, mentre so benissimo come sono le ultime pubblicità della Shiseido che ci sono in giro: anche se quella non la leggo, mi ricordo l’immagine, da qui la intuisco» spiegò risentita
«Io non vedo la scritta del pachinko invece, ma se mi dici che siamo ai lati opposti, possiamo vederci nel parco» disse già attraversando la strada per avvicinarsi agli alberi spogli, carichi di neve
«Dici che siamo veramente così vicini?»
«Perché no?» scosse il capo, divertito. «Non sarebbe strano se quei due avessero pensato a tutto: l’ingresso al concerto, il biglietto del volo per te, Matsujun che poco fa insisteva per chiamarti»
«Tomomi mi ha minacciato via mail: se non ti avessi chiamato mi avrebbe picchiato una volta tornata a Tokyo. Era tutto calcolato!» realizzò Erina
«Quindi è praticamente sicuro. Siamo sui due lati opposti del parco» spiegò Sho cominciando a correre come poteva nella neve
«Ho dimenticato l’ombrello al konbini» disse la ragazza con un sospiro, però la sentiva respirare affannata, segno che si era messa a correre anche lei
«Io non ce l’ho proprio» rise il ragazzo avvistando la fontana al centro del parco, spenta e scura, appena illuminata dai lampioni, mezzo coperti di neve.
Vide arrivare Erina da dietro alcuni pini, con la sua stessa andatura rapida ma prudente, per evitare di cadere col sedere a terra. «C’è una fontana, tu la vedi?» gli chiese
«Non ancora, aspettami lì» le mentì guardandola che girava su se stessa per cercarlo.
Raccolse della neve tra le mani e rapidamente la schiacciò per farne una palla. Quando si raddrizzò, fece qualche passo silenzioso per avvicinarsi, poi prese accuratamente la mira e la lanciò.
«Presa!» esclamò nel cellulare quando la neve colpì Erina in mezzo alla schiena
«Ma che diavolo…» imprecò girando su se stessa e mettendosi una mano sulla schiena. «Malefico, questa me la paghi» borbottò prima di chiudere la comunicazione.
Sho la vide avvicinarsi alla fontana e raccogliere comodamente la neve sul bordo. Poi la giovane guardò nella direzione da dove era venuta la palla di neve e lo vide mentre cercava di svignarsela dall’altro lato della piazzetta. «Accidenti» boffonchiò aumentando il passo per correre dietro un albero, ma la mira di Erina era migliorata un pochino in quegli anni, oppure era stata molto fortunata, e riuscì a centrarlo sul fianco nonostante fosse in movimento.
«Preso! Ah, non ci provare!» urlò subito dopo Erina: Sho non si era fermato ma aveva raccolto subito una manciata di neve e l’aveva compressa senza fare una palla di neve perfetta per tirarla più rapidamente, ma lei aveva evitato il lancio spostandosi leggermente di lato.
«Sbaglio o sei diventata più brava con la neve, Erina san» l’apostrofò come faceva ancora ai tempi dell’università
«Oppure sei tu che sei peggiorato, Sakurai san» replicò lei allo stesso modo. «Vogliamo fare qualche altro lancio di prova? Tanto per vedere chi ha ragione»
«Fatti sotto!» esclamò guardando la sua figura vicina alla fontana attraverso la cortina di fiocchi che continuavano a cadere.

Non aveva nevicato abbastanza perché la battaglia potesse andare avanti a lungo, tra l’altro erano entrambi stanchi: avevano alle spalle un concerto e un viaggio fino a Sapporo. Negli ultimi lanci però, si erano entrambi avvicinati l’uno all’altra e alla fine, tra le risate, Sho si era lanciato su di lei e le aveva bloccato i polsi prima che potesse stringere tra le mani un'altra palla di neve.
«Beccata. Giù l’arma» la rimbeccò con un sorrisetto
«Vinci sempre tu, uffa» fece lei offesa aprendo il palmo della mano e facendo cadere la manciata di fiocchi bianchi che aveva appena fatto in tempo a raccogliere.
Il loro respiro si colorava di bianco nell’aria gelida, avevano le guance e il naso arrossati per il freddo, ma gli occhi accesi di felicità ora si guardavano come se intorno a loro non vi fosse altro. Tra i ricci sciolti di Erina e le ciocche scompigliate di Sho erano rimasti attaccati dei fiocchi di neve.
«E’ ufficiale, io sono sempre il più bravo e tu hai avuto solo fortuna» scherzò il ragazzo lasciandole andare i polsi
«Vero? Continuerò sempre a perdere contro di te» scosse il capo e infilò le mani gelate nelle tasche. «Però anche stavolta ci siamo dimenticati i guanti: che coppia di furboni!»
«Già» annuì Sho guardandosi le mani arrossate per il freddo. «Io mi sono addirittura involuto: stavolta non ho nemmeno qualcosa per scaldarmi»
«Involuto?» chiese scoppiando a ridere. «Vieni qui». Erina tirò fuori le mani dalle tasche e prese quelle di Sho intrecciando tra loro le dita. Schiacciati tra le palme delle mani c’erano due kairo usa-e-getta che si stavano gradualmente scaldando. «Ci ho pensato io» ammise abbassando lo sguardo imbarazzata. «Li ho presi prima di uscire dal konbini e venire qui, ho pensato fosse carino portartene uno. In ricordo di quel giorno, dico» spiegò piano. I fiocchi di neve che cadevano dal cielo erano diminuiti gradualmente, quella nevicata furiosa sembrava essersi spenta in fretta dopo poco più di un'ora. «A ben pensarci, forse non ti va di ricordarlo».
La presa delle mani di Shō si fece più forte e tirò indietro le braccia per attirarla verso di lui. Erina assecondò quella spinta e non ci fu più nulla a separarli: sentì il contatto con il suo corpo e il frusciare delle giacche una contro l’altra. Quella scena le risultò immediatamente familiare.
«Dammi un bel ricordo di questo momento e allora anche pensare a quell'altro lontano giorno di neve diventerà più dolce» le sussurrò con un sorriso.
La rossa lo guardò negli occhi, sopraffatta dalla tenerezza di quella richiesta. Si alzò in punta di piedi e fece ciò che una volta lei non si sarebbe mai sognata di fare, ma che l'uomo davanti a lei, all'epoca un ragazzino, aveva sperato ardentemente. Quella volta andò come lui voleva ed Erina baciò delicatamente le labbra di Sho, calde in quella notte invernale. Fu il bacio più casto che si erano mai dati fino a quel momento, ma fu anche uno dei più dolci. Quel lieve contatto, una dolce pressione sulle labbra l’uno dell’altra, era il riscatto di tutti gli errori e i fraintendimenti passati.
La neve aveva cessato di cadere, al suo posto era rimasto solo un lieve vento pungente. Entrambi rabbrividirono ed allontanarono i visi. Sho appoggiò la fronte alla sua elo vide con gli occhi ancora chiusi, mentre stringeva le labbra tra loro in un sorriso divertito e forse leggermente amaro.
«Tutto bene?» chiese con un filo di voce, preoccupata
«Sì, tutto bene» annuì lui. «Pensavo che hai torto»
«Su cosa?» domandò divertita
«Sono io, Eri: sono io che continuerò a perdere contro di te» le spiegò piano. «Avrebbe dovuto andare a finire così tanti, tanti anni fa. Ma tu non l'hai voluto e non c'è stato nulla. Ora è accaduto e sento come se avessi raggiunto un traguardo a lungo inseguito, ma solo perchè stavolta l'hai voluto anche tu»
«Detta così sembro una dispotica che può decidere se puoi o non puoi fare qualcosa» sussurrò fingendo stupore in quel bisbigliare complice
«No, semplicemente contro di te non posso nulla» disse sciogliendo la presa che aveva con le sue mani, lasciandole i due kairo per poter appoggiare le proprie sulle guance della giovane, prenderle il viso e far sì che lo guardasse negli occhi. «Non avrei mai fatto niente che tu non volessi. Io ero innamorato pazzo di te» le spiegò. «E lo sono ancora»
«Tu usi i verbi al tempo passato con una nota di tristezza nella voce» gli fece notare Erina, mettendogli ora le mani sulle sue, come intenzionata a non interrompere quel contatto. «E con allegria parli del presente» aggiunse, poi sorrise incoraggiante. «Ma passato e presente sono sicuramente connessi tra loro da un filo rosso che non riusciamo a vedere. Per questo devi cominciare a guardare con un sorriso a ciò che è stato, perché se hai tra le mani questo presente radioso è anche grazie a tutto quello che c’è stato prima» spiegò lentamente prima di scostargli qualche ciocca dalla fronte, in un gesto affettuoso e familiare. «Se il passato fosse stato diverso, il presente non sarebbe così com’è oggi. Pensiamo a questa connessione e pian piano riusciremo a guardare con più serenità agli errori di una volta: un giorno sicuramente ne rideremo addirittura» lo incoraggiò
«Un filo rosso… che pensiero romantico» ridacchiò divertito. «Questa frase te l’eri preparata, dì la verità»
«Non mi ero preparata proprio niente» disse mettendo il broncio e dandogli una pacca energica sul braccio. «Vattene a letto piccolo ingrato, devi riposare. Hai visto che ore sono?» lo sgridò risentita.
Non avrebbe voluto lasciarlo andare, si erano appena rivisti, ma avevano già corso parecchi rischi per quella sera (anche se era improbabile vi fossero stati paparazzi in giro per il parco con la tormenta di neve che era appena finita), ed Erina era perfettamente consapevole che, anche se non lo dava a vedere, Sho doveva essere distrutto.
«Hai ragione, si è fatto tardi. Se passi dall’hotel domani quando ti mando una mail, puoi venire a salutare tutti quanti. Non insospettiremo nessuno se diciamo che ti hanno mandato dall’ufficio di Tokyo» propose il ragazzo mettendo le mani nelle tasche
«Va bene, allora aspetto il tuo segnale» annuì sorridendo. «Prendine uno e vai a riposarti, ok? Buonanotte» gli disse in fine lasciandogli uno dei kairo in tasca.
Fece per allontanarsi, anche se controvoglia. Non era corretto dire che avrebbe sempre perso Sho, perchè forse non c'erano nè vicitori, nè vinti in quel rapporto: nessuno dei due avrebbe mai fatto qualcosa per ferire l'altro, costringerlo o metterlo in una posizione scomoda. Era convinta che quello fosse possibile solo quando in un rapporto c'era rispetto, oltre che amore.
Riuscì a fare appena due passi, quando Sho la prese per il braccio fermandola. «Eri» disse per richiamarla. Prima che si potesse girare a guardarlo, lui si abbassò per sussurrarle nell’orecchio, alzando addirittura la mano per proteggere quel messaggio, come se ci fosse qualcuno lì con loro che avrebbe potuto sentire. Ascoltò le uniche due parole appena bisbigliate con le quali Sho le accarezzò le orecchie, poi girò lo sguardo: lui si era già girato per allontanarsi, come vergognandosi di ciò che aveva detto e non avendo il coraggio di vedere la sua reazione.
Erina arrossì e tirò su con il naso. «Anch’io!» esclamò alzando la voce perché lui la sentisse nonostante la distanza che aveva già messo tra loro. Lo vide girarsi, imbarazzato e timoroso di non aver capito bene ciò che lei aveva detto. «Anch’io» ripeté annuendo. Si sorrisero impacciati, quindi Sho la salutò agitando la mano ed entrambi tornarono al proprio alloggio.

Non c’era distanza, di spazio o di tempo, che li avrebbe divisi perché ormai erano sicuri che c’era un filo rosso che collegava il loro passato e il loro presente, il mignolo dell’una a quello dell’altra. E non si sarebbe mai spezzato.


Ho iniziato a scrivere questa ff il 10 Ottobre del 2010 e avrei voluto concluderla prima dei 3 anni, ma questo capitolo mi ha fatto proprio penare. L'ho pensato per mesi quest'estate, ma era una versione che mi faceva schifo tutte le volte e mi rigiravo sotto le coperte con l'angoscia di non riuscire a pensare a nulla di più decente. E mi rifiutavo di scriverla, piuttosto avrei lasciato ancora in sospeso la ff, ma non quella schifezza.
Alla fine, 5 giorni fa, ho avuto un'idea migliore e ho cominciato a scrivere, ma più andavo avanti più capivo che sì, andava meglio, ma ancora non mi piaceva. Non volevo che fosse quella la conclusione. Stavo per finire di scrivere questo maledetto capitolo ed ecco... improvvisamente l'illuminazione che aspettavo da mesi. La conclusione che volevo. Due sere e ho concluso. Temevo di aver fatto tutto troppo in fretta e che la narrazione ne avesse risentito, quindi ringrazio Erika che mi ha dedicato qualche minuto per controllare che non ci fossero problemi di questo tipo (il suo commento è stato "sei un genio"... ho dubbi sulla vericità di tale affermazione, a quantomeno posso prenderla come una risposta positiva a quel che ho combinato con questo capitolo conclusivo).
C'è ancora la revisione in corso e ho due capitoli speciali da fare che avevo promesso tempo fa, è vero, ma almeno la storia principale è conclusa. Cercherò di darmi una mossa con la revisione, promesso ^^

Bene, eccoci qui alla fine di tutto.
E' stata lunghiiiiiiisssima (ma io vi avevo avvertito) ed è stato molto molto divertente.
Non riesco a dire altro se non a ringraziare tutte le persone che hanno cominciato a seguire la storia nel 2010 e ogni volta hanno seguito ogni capitolo e mi hanno sempre detto la loro. (le vostre pene sono finite)
Ringrazio anche chi ha letto i primi tempi e poi si è dileguato: beh, non è da tutti avere la pazienza di seguire così a lungo una storia, ma comunque grazie per il sostegno iniziale.
Ringrazio chi si è aggiunto durante il cammino, si è letto un po' di capitoli in una botta e poi ha atteso e ancora oggi resiste! (anche le vostre pene sono finite)
Ringrazio quelle quattro disgraziate che insieme a me si faranno la copia cartacea rilegata di questa ff XD è un progetto folle, ma mi sto divertendo a realizzarlo.
Ringrazio chi mi ha fatto da beta-reader anche se ha fatto solo qualche capitolo e poi ha mollato il colpo, ma su tutte c'è da ringraziare Geena che non hai mollato.
E la smetto qui perchè avrei tremila cose da dire, ma poi mi commuovo e voi invece vorrete leggervi il benedetto capitolo che, se non la smetto di ringraziare, non posto più. Scusatemiiiiii!! I love you!

RISULTATI DEL SONDAGGIO SU PERSONAGGIO (fa rima)(aggiornati al16 ottobre 2013)
1- Tomomi (20 punti)
2- Erina (18 Punti)
3- Kokoro (16 Punti)
Ying (15 punti)
Yunseo (14.5 punti)

P.S. la fic principale è conclusa, porterò avanti la revisione e nel frattempo pubblicherò di seguito a questo capitolo i capitoli extra sia vecchi (li ho tolti da dove stavano prima) che nuovi.

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