Il segreto dell'idromele

di Malvagiuo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il cavaliere che inseguiva la guerra ***
Capitolo 2: *** Quando la speranza muore ***



Capitolo 1
*** Il cavaliere che inseguiva la guerra ***


NOTE AUTORE
Ciao a tutti! Benvenuti nella mia storia, spero che possa piacervi. E' un racconto fantasy un po' particolare, vincitore del contest "L'antieroe" indetto da Athenyl e Rosheen. Come sempre, sarei lietissimo di leggere le vostre opinioni, sia positive che negative. Buona lettura.



 

IL SEGRETO DELL'IDROMELE






Mendrick sollevò la coperta e ricoprì il corpicino inerte disteso sul pagliericcio. Il piccolo era morto nel cuore della notte, ma la veglia si era protratta fino al sorgere del sole.
Il vecchio Aben sedeva in un angolo della stanza, immobile e silenzioso. Mendrick gli si avvicinò, porgendogli la fiaschetta di idromele che portava sempre con sé, nascosta sotto il saio.
«Ne hai bisogno, amico mio.»
«No, Mendrick, io...»
«Fidati di me, bevine almeno un sorso.»
Aben obbedì. Strappò il tappo dalla fiaschetta e trangugiò una lunga sorsata di idromele. Richiuse il contenitore e lo restituì al monaco, che si affrettò a celarlo sotto le vesti.
Dopo pochi istanti, la bevanda cominciò a fare effetto. Il vecchio Aben si ritrovò a pensare alla propria vita, tutta quanta trascorsa nel villaggio, coltivando un campo di rape al limitare della foresta e cacciando lepri e volpi. Si era sposato giovane e aveva avuto molti figli, ma nessuno di questi aveva superato la soglia del secondo anno di vita. Quello che ora giaceva morto dinanzi a loro  era il settimo, probabilmente l’ultimo che lui e Eby avrebbero avuto. Il vecchio sentì ogni speranza scivolare da sé, come una calda coperta che cade al suolo lasciando il corpo vulnerabile al gelo della notte.
«Era la nostra ultima occasione. Eby è vecchia, ormai. Pensavamo che ci sarebbe stato concesso di vederne crescere almeno uno, ma a quanto sembra...»
«I disegni del Grande Padre sono incomprensibili ai suoi figli, Aben, ma ciò non dimostra che Egli non sia saggio.»
Aben alzò lo sguardo su Mendrick. Il monaco vi intravide un miscuglio di emozioni che aveva già visto tante altre volte: uno strano fermento di rabbia, tristezza, rassegnazione e spossatezza.
«Non avrò mai un figlio. Non mi illudo più, Mendrick.»
Quasi aspettando quella frase, il monaco estrasse dalla bisaccia un fazzoletto e una boccetta di vetro blu. Aben sapeva cosa stesse per fare e in cuor proprio ringraziò il buon frate per la compassione. Mendrick intinse il fine fazzoletto di lino con il contenuto oleoso della boccetta, ripiegò il fazzoletto più volte fino a ridurlo un quadratino, e lo dispiegò nuovamente. A quel punto, applicò il lembo di tessuto unto di olio prima sulle guance di Aben, poi sulla fronte e infine sul collo.
«Ti darà sollievo.»
«Lo so. Ti ringrazio.»
Mendrick ripiegò il fazzoletto e lo ripose nella bisaccia.
«Vorrei applicare l’unguento anche su tua moglie. Ne avrà senz’altro bisogno. Dov’è?»
«Non ne ho idea, vecchio mio. Credo che non potesse restare in questa casa un momento di più.»
Mendrick recuperò le fiale e gli strumenti con i quali aveva finto di alleviare le sofferenze del figlioletto di Aben durante la notte. Si preparò ad andarsene, alla ricerca di Eby.

Il raccolto di Aben era stato fruttuoso. Un padre intriso della sofferenza che nasce dall’aver perduto sette figli! Quale materia prima migliore per l’idromele?
Mendrick aveva già la risposta.
Si incamminò lungo il sentiero fangoso che attraversava il villaggio fino alla strada. Le modeste capanne di legno, paglia e fango erano così deliziose. Dentro ci viveva l’umanità più derelitta che Mendrick avesse incontrato durante i suoi lunghi viaggi. Mai si era imbattuto in un terreno tanto fertile, da quando era stato costretto a vagare per il vasto mondo. Le cose non sarebbero mai cambiate, da quelle parti. Non l’avrebbe permesso.
Se conosceva Eby, l’avrebbe trovata a vagare sul ciglio della strada. Era un suo tipico comportamento, camminava per evitare di pensare. La sola presenza di Mendrick sarebbe bastata a costringerla a ripensare a tutto quanto. Il monaco pregustava la dolcezza dell’idromele che avrebbe ricavato dal suo dolore.
Come previsto, Eby era lì. Avanzava lentamente, a passi pesanti, verso est, dandogli le spalle. La sagoma della donna, smunta e spigolosa, con i capelli spettinati nonostante la crocchia, si stagliava contro il disco rosso del sole, quasi a formarle un’aureola intorno alla testa. Quando Mendrick la raggiunse, entro breve la sofferenza e la rassegnazione affluirono in superficie, in quantità di molto superiori a quelle del vecchio Aben. Mendrick stava quasi piangendo di gioia.
«Siete generoso a commuovervi per noi, padre.»
«Soffro per la perdita di tuo figlio come se fosse stato mio» mentì Mendrick, mentre ormai non frenava più le lacrime di eccitazione che gli sgorgavano dagli occhi. «Tutto quello che posso fare è offrirti questo vecchio rimedio che...»
In quel momento, un rumore di zoccoli interruppe le parole del monaco. Sulla strada fangosa a oriente, si stava avvicinando a grande velocità un uomo a cavallo, talmente veloce che il mantello del cavaliere svolazzava sospinto dalla corrente d’aria.
A meno di due iarde da Eby e Mendrick il cavaliere rallentò la propria corsa, fino ad arrestarsi del tutto a pochi passi da loro. Entrambi erano rimasti senza parole: nessuno dei due aveva mai visto un viaggiatore come quello.  In groppa a un magnifico sauro dal pelo ramato, indossava una corazza levigata che, nonostante gli spruzzi di fango, appariva lucente sotto i primi raggi del sole. Il lungo mantello rosso, agganciato alle spalle, ricadeva sul corpo dell’uomo fino a ricoprire il posteriore del cavallo. Una spada pendeva dal fianco sinistro, inguainata in una fodera di cuoio con una breve incisione in caratteri sconosciuti in prossimità dell’elsa. Il volto era celato da una sciarpa di lana grigia.
L’apparizione era stata talmente fulminea e imprevista che né Eby né Mendrick erano stati in grado di reagire in alcun modo. Ora si trovavano immobili, paralizzati dalla sorpresa e in silenzio di fronte al misterioso uomo a cavallo, che si apprestava a levarsi la sciarpa e mostrare il viso.
Il cavaliere si rivelò essere un ragazzo, con una faccia dal colorito roseo e vivace che confermava la sua giovane età. Gli occhi erano brillanti e di un azzurro cristallino, che ogni donna del villaggio non avrebbe fatto a meno di notare. Ogni particolare della sua espressione emanava calore e desiderio di vivere, sensazioni così estranee da quelle parti.
Mendrick cominciò a temerlo da quel momento.
«Vi saluto, brava gente» esordì. «Siete abitanti del villaggio di Forgruik?»
Lentamente, Mendrick e Eby annuirono.
«Bene, sono contento di non essermi perso strada facendo» sorrise, affabile. «Sono Galwaire di Gellin, e viaggio in direzione dell’accampamento del re a Boswald, per poterlo servire in battaglia. Confidavo di poter essere ospitato per il tempo necessario a raccogliere del cibo e un po’ acqua.»
Né Mendrick né Eby avevano mai sentito parlare di un re, né tanto meno dei posti che Galwaire aveva menzionato.
Eby fu la prima a spezzare l’incantesimo e a prendere parola.
«Non so chi siate, cavaliere, ma i vostri occhi esprimono sincerità. Dovete essere stremato dal viaggio. Venite al villaggio, vi offriremo ciò che abbiamo per ristorarvi.»
Mendrick non aveva mai sentito Eby, l’ignorante, sempliciotta, comunissima Eby esprimersi con tanta cortesia. Ma non era questo a irritare il monaco: Eby aveva appena offerto ospitalità a nome dell’intero villaggio, senza nemmeno consultarlo!
Il cavaliere smontò da cavallo e rivolse un inchino alla donna.
Soffocando la rabbia che gli ribolliva dentro, Mendrick sorrise compiaciuto e si rivolse al cavaliere.
«Come dice la cara Eby, dovete essere stanco. Troverete la pace presso di noi.»

Il trio marciò lungo la strada fangosa fino alla casa di Eby. Conducendo il cavallo al passo dietro di sé, Galwaire vide per la prima volta Forgruik: una dozzina di casupole di paglia, ricoperte di fango e bagnate da un’umidità malsana e persistente. Vide molti uomini abbandonati nel fango. Quasi tutti erano vigili, smunti e dallo sguardo vacuo. Altri erano seduti nella stessa sporcizia, con la schiena appoggiata ai muri delle case. Nessuno parlava, il silenzio era rotto solo dallo scalpiccio dei loro piedi nel terreno molle. Molte donne lo guardarono, allo stesso modo in cui un bambino guarderebbe un animale gigantesco che lo sovrasti: lo fissavano senza capire cosa fosse, indecise se temerlo o esserne affascinate.

Al villaggio, la comparsa del cavaliere destò la curiosità prevista. Mendrick fu turbato dalle occhiate che gli venivano rivolte: erano attente, vive, sorprese. Il monaco capiva bene cos’era a destare tanta vitalità nella visione di quell’uomo. Galwaire rappresentava una novità assoluta, qualcosa di talmente diverso da loro da spingerli a domandarsi quante altre meraviglie esistessero al mondo. E se quell’accozzaglia di bifolchi avesse intuito che quel gradasso, per quanto straordinario, non era che una minima e insignificante parte del mondo che li circondava? E se questo li avesse spinti ad abbandonare Forgruik, per scoprire altro ancora? Mendrick sudò freddo al solo pensiero.
Rimuginando tra sé, non si accorse che Eby aveva offerto a Galwaire ospitalità sotto il proprio tetto per il pranzo. Mendrick bestemmiò contro se stesso per essersi distratto e, soprattutto, per non essersi fatto venire l’idea per primo. Ma ormai il danno era fatto.
L’invito fu esteso a Mendrick, naturalmente, il quale comprese di non potersi permettere più alcun errore. Accettò con umiltà, con la ferma intenzione di controllare Galwaire da vicino.
Mentre sua moglie era stata assente, Aben – come consueto – aveva provveduto a trasportare il corpo del figlio nella foresta che circondava il villaggio. Gli spiriti del bosco lo avrebbero condotto accanto ai fratelli e alle sorelle che l’avevano preceduto. Era appena tornato quando Eby riapparve seguita dal monaco e dal cavaliere.
Per fortuna, Aben non dimostrò nei confronti di Galwaire lo stesso stupore di cui erano stati preda gli altri abitanti del villaggio. Mendrick se ne compiacque: la sua presa sul vecchio contadino era forte e non sarebbe certo bastato un bellimbusto in armatura per infrangerla.
«Vi chiedo perdono per il disturbo, brav’uomo» disse Galwaire, abbassando rispettosamente il capo. «Vi sono grato per l’ospitalità. Non posso che dimostrare la mia gratitudine offrendovi la mia spada: se mai ne avrete bisogno, sarò ben lieto di accorrere in vostro aiuto per difendervi.»
Entrambi rimasero colpiti dalle parole del cavaliere: nessuno si era mai rivolto a loro con tanto rispetto. Nemmeno Mendrick, sembrarono pensare.

Eby servì una minestra di verdure piuttosto acquosa, ma che Galwaire parve gradire moltissimo. I problemi ebbero inizio quando il cavaliere venne a sapere da Aben della morte del suo ultimo figlio.
«Era il vostro primo figlio?»
Aben abbassò lo sguardo.
«Il settimo.»
«Dove sono gli altri?»
«Con gli spiriti della foresta.»
Il cavaliere abbassò a sua volta lo sguardo. Tuttavia, non era solo tristezza quella che Mendrick intravide nei suoi occhi. Scorse qualcos’altro, un bagliore che giudicò sinistro e che non gli piacque affatto.
«Sette figli morti... tutti giovani?»
«Alcuni appena nati, altri di poco più grandi.»
«Quanti per malattia o fatalità?»
«Nessuno. Tutti si sono spenti da un giorno all’altro, senza spiegazione.»
Il cavaliere fissò Aben ancora per un istante, poi distolse lo sguardo. Rimase silenzioso a lungo, scrutando il fondo della ciotola di minestra.
«Raccontateci qualcosa, cavaliere» chiese all’improvviso Eby. «È raro che un forestiero capiti da queste parti. Non sappiamo nulla del mondo.»
Mendrick comprese all’istante che la situazione si stava facendo critica. Tuttavia, non riuscì a escogitare alcuno stratagemma che gli permettesse di sviare l’attenzione di Eby dal cavaliere o di imporre un altro argomento. Così, Galwaire cominciò a raccontare. Parlò del regno da cui proveniva, della sua casa, della sua famiglia e del castello del suo signore. Descrisse i molti luoghi dov’era stato, le imprese che aveva compiuto e le genti che aveva incontrato. Non c’era modo di interromperlo: era come se quelle parole fossero magiche, il cui filo non poteva essere interrotto da parole che non fossero intrise di una magia altrettanto potente. Una magia di cui Mendrick non disponeva. Eby e Aben erano incantati, dimentichi della realtà che li circondava: avevano perduto sette figli, ma in quel momento era come se un raggio di luce fossero penetrato dirompente nella loro vita, aprendo uno squarcio su un mondo che non credevano potesse esistere. Anche se non potevano esserne consci, Galwaire aveva mostrato loro qualcosa che Mendrick si era augurato non vedessero mai.
Una via di fuga.

«Fratello, posso conferire con voi?»
Mendrick fu colto alla sprovvista. Si era allontanato dalla capanna non appena terminato il pranzo, spinto dal disperato bisogno di stare un momento da solo per pensare a come porre rimedio alla situazione.
«Ditemi pure, nobile Galwaire.»
«Chiamatemi Gal. Siamo fratelli in una missione tanto gravosa.»
Mendrick lo squadrò dal basso (il cavaliere era almeno due spanne più alto di lui). A che diamine si riferiva?
«Che cosa volete dire?»
«Da quanto tempo vivete qui, Mendrick?»
«Anni. Ho perso il conto, a esser sinceri.»
«Siete senz’altro un buon pastore, perciò ritengo che avrete notato il terribile stato in cui vivono queste anime.»
«Purtroppo sì. Vedete, la vita quaggiù è dura. I campi sono quasi sterili, e gli animali...»
«Non mi riferivo a questo» lo interruppe, brusco. «C’è qualcosa di terribile all’opera, in questo luogo.»
«La miseria è certo una cosa terribile.»
«Non parlo nemmeno di questo. Guardate bene questi uomini e queste donne: avete visto i loro occhi? Sono persone spente, senza vita. Sono... morte dentro, senza speranza. Sembrano gusci vuoti.»
«La nostra vita è dura, ve lo ripeto. Avete visitato pochi villaggi, suppongo.»
«Ne ho visti molti, venendo qui. La vita è dura anche altrove. Ma questo è il primo villaggio in cui ho percepito così nitidamente una simile angoscia.»
«Allora, la vita qui dev’essere più dura che altrove.»
Galwaire assunse un’espressione severa.
«Vi darei ragione, se non avessi parlato con il vecchio Aben» rispose, glaciale. «La famiglia di quell’uomo è maledetta. Sette figli morti senza spiegazione! Inoltre, ho notato un particolare inquietante, venendo a Forgruik: non ci sono bambini. Immagino che ce ne siano stati, ma che siano morti in età prematura. E magari senza motivo apparente.»
«In effetti, è proprio così. È la triste storia di questo paese: non abbiamo bambini perché muoiono prima di imparare a camminare» fu costretto ad ammettere Mendrick. «Ma dove volete arrivare?»
Il cavaliere si guardò intorno, per esser certo che non vi fossero orecchie indiscrete nei dintorni. Appariva teso, ma al tempo stesso deciso.
«Io penso che un demone infesti Forgruik.»

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Capitolo 2
*** Quando la speranza muore ***


Per un istante, Mendrick fu assai indeciso su come reagire. Doveva mostrarsi allibito, o era meglio apparire sconvolti? Poteva permettersi di minimizzare le parole del cavaliere o addirittura ridicolizzarle? Quello che era certo era che l’unica emozione che non doveva lasciar trasparire era la sola che provasse davvero in quel momento: una paura che lo scuoteva fin nelle viscere. Alla fine, optò per l’incredulità mista a timore.
«Vi prendete gioco di me, spero! Non può esistere niente di così orrendo in un posto come questo! Porta sventura anche solo nominare un simile abominio.»
«Eppure, sono convinto di quello che dico.»
«Che prove avete?»
Il cavaliere sorrise.
«Per essere un monaco, vi affidate ben poco alla fede.»
Mendrick si morse la lingua, temendo di essersi tradito. Ma quando si avvide che il sorriso di Galwaire era volto a rassicurarlo, il suo cuore decelerò di qualche battito. Nonostante ciò, comprese di essere in grave pericolo.
«Se anche fosse vero, che cosa intendete fare al riguardo?»
Alla domanda, Galwaire si rattristò.
«Ora come ora, non posso fare nulla. Oggi stesso devo ripartire per raggiungere l’accampamento del re. I tempi di una guerra sono impossibili da prevedere: potrei non ripercorrere la via del ritorno per molti anni. C’è anche la possibilità che non torni affatto» sorrise mestamente. «Tutto quello che posso fare è mettervi in guardia: so quello che dico. Una presenza oscura si annida qui, da qualche parte. Trovatela e cancellerete il male che infesta la vostra terra.»
Mendrick stentava a credere alle proprie orecchie. Pareva proprio che il suo problema si stesse risolvendo da sé! Galwaire si era dimostrato perspicace a sufficienza da intuire la sua opera, ma le circostanze gli impedivano di fare alcunché per ostacolarlo. Il monaco dovette fare ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non spalancare la bocca in un ghigno famelico.
«Avete riferito a qualcun altro i vostri sospetti?»
«No, non preoccupatevi» disse Galwaire, con un tono di profonda comprensione. «So bene di non avere il diritto di allarmare questa gente, così come non spetta a me il compito di prendermene cura. Quel ruolo è stato affidato a voi, e so che siete un uomo in grado di svolgerlo al meglio. Lascerò che siate voi a occuparvi della faccenda, com’è giusto che sia.»
Di bene in meglio. Quel bellimbusto, per quanto perspicace, rimaneva uno sciocco che si lasciava abbindolare dalle apparenze.
 
Mendrick tornò a Forgruik, trattenendo a stento il senso di sollievo che lo pervadeva. Galwaire sarebbe scomparso dalla vita del villaggio quel giorno stesso, senza rendere necessario alcun intervento da parte sua.
La felicità di Mendrick subì un duro colpo non appena rimise piede nella capanna di Alben. Erano immobili, esattamente come li aveva lasciati. Ma negli occhi del vecchio e di sua moglie brillava una scintilla che non gli era mai capitato di vedere, prima di allora. Una fiamma era stata accesa nei cuori dei due, una pericolosa fiamma che Mendrick aveva fatto il possibile per mantenere agonizzante. Gli bastò uno sguardo per capire che il danno inflitto al suo sortilegio era troppo esteso per potervi rimediare facilmente. Era necessaria un’operazione ben architettata.
E per poterla compiere, Galwaire sarebbe dovuto rimanere a Forgruik.
 
Sul sentiero per l’abbazia, Mendrick abbandonò la strada per inoltrarsi nella foresta, non prima di essersi assicurato di non essere seguito. Procedette a lungo tra le fronde ripiegate verso il suolo e gli arbusti selvaggi. Raggiunse la grande pietra degli spiriti della foresta: un masso dall’estremità piatta, ricoperto di muschio come a formare un materasso, su cui era stato deposto il corpo dell’ultimo figlio di Aben. Mendrick lo afferrò e lo trascinò giù dalla pietra.
Il vecchio salice era a un miglio di distanza e il monaco si affrettò a raggiungerlo correndo. Al cospetto del maestoso albero, morto e rinsecchito da anni, strisciò nel fango al di sotto delle sue radici rialzate dal terreno,  spingendo il cadavere del bambino e intrufolandosi nel passaggio scavato nel suolo fangoso. Si lasciò scivolare nel condotto verticale, incurante delle radici e delle rocce viscide che lo circondavano, fino a ricadere nel sepolcro.
La sua casa era in pericolo. Non sarebbe sopravvissuto senza gli abitanti del villaggio, in particolare senza Aben ed Eby. Non era riuscito a impedire una contaminazione, ma ora doveva porvi rimedio. Non tutto era perduto, aveva solo bisogno di un po’ di fortuna e ogni cosa sarebbe tornata a posto.
Frugò a lungo nell’ampio spazio tra le pareti di roccia, finché non trovò quello che cercava. Si augurò che il piano funzionasse. Sarebbe stato molto amareggiato se fosse stato costretto ad abbandonare quel luogo. Trovarlo era stato una vera benedizione, dubitava che altrove si celasse un altro nascondiglio altrettanto comodo. Al buio individuò la vasca dell’idromele, percependo il profumo dolciastro e intenso del residuo secco. Ne avrebbe prodotto ancora, sì. Molto altro ancora. Per sempre.
Spogliò il bambino e lo gettò nella vasca vuota. Aggiunse il fazzoletto intriso del dolore di Aben. Immerse tutto nell’acqua e cominciò i preparativi per dissolverlo.
 
Era sera quando Galwaire salì in groppa a Grandivento, pronto al lungo viaggio verso Boswald.
Un nutrito gruppo di abitanti del villaggio si era sollevato dal proprio giaciglio di fango e si era raccolto intorno a lui, desideroso di osservarlo da vicino prima della partenza. Tramite Eby e Aben, le sue storie erano circolate di bocca in bocca a una velocità sorprendente, e in breve tutto il villaggio era venuto a conoscenza delle sue gesta.
Galwaire si augurò di poter tornare un giorno. Sentiva che quel posto aveva bisogno di lui, gli sguardi degli abitanti parevano supplicare il suo ritorno, anche se le loro bocche non osavano formulare quella richiesta.
Il tempo stringeva, doveva andarsene. Dopo un rapido cenno di saluto, voltò Grandivento e prese a cavalcare al piccolo trotto in direzione ovest.
Si era da poco lasciato alle spalle il villaggio quando la strada diventò accidentata, costringendolo a rallentare ulteriormente l’andatura. La strada serpeggiava tra due ali di foresta fitta e di un verde cupo. Alberi dai tronchi secchi e alti protendevano i loro rami verso quelli degli alberi dall’altro lato del sentiero, come a volersi ricongiungere dopo una separazione innaturale. Un denso strato di foglie ricopriva la via, coprendo pozzanghere e fanghiglia, celando eventuali pericoli alla vista. Galwaire si augurò di lasciarsi alle spalle quel tratto al più presto.
Mentre rimuginava sulla strada da percorrere, fu riportato bruscamente alla realtà da uno stridio metallico e da un nitrito straziante immediatamente successivo. Una furibonda impennata dell’animale per poco non lo disarcionò.
Non comprendendo il motivo di quell’improvvisa agitazione, Gal smontò agilmente per capire cosa fosse successo. Fu sufficiente un’occhiata alla zampa sinistra del destriero: Grandivento l’aveva poggiata su una trappola per volpi. Il morso della tagliola aveva lacerato in profondità la carne, lo zoccolo si stava già ricoprendo di sangue.
Galwaire afferrò le due mascelle della tagliola e aprì il morso, tagliandosi a sua volta. Grandivento estrasse immediatamente la zampa, ma al primo tentativo di appoggiare il peso su di essa incespicò e fu sul punto di cadere. Gal comprese che il cavallo sarebbe fuggito in preda al terrore se avesse potuto, ma la ferita glielo impediva. Continuò a nitrire, in preda al dolore.
Fin da quando aveva visto la zampa dell’animale incastrata nella trappola, Gal aveva ostinatamente respinto un pensiero inevitabile. Nell’ultima ora, quel pensiero aveva continuato ad assalirlo, come un esercito ostinato, e Gal ogni volta l’aveva allontanato, ma a ogni nuovo assalto era più difficile da ignorare.
Cominciò a piovere. Grandivento cominciò a sbuffare, sempre più spesso e più forte. Infine, si accasciò per terra e Galwaire non riuscì più a farlo rialzare. La zampa tremava. Gli occhi del destriero erano spalancati, lucidi, terrorizzati. All’ennesimo, infruttuoso tentativo di rimettere in sesto l’animale, Galwaire lasciò che quel pensiero, così insistentemente cacciato dalla propria testa, avesse il sopravvento.
Senza che ne fosse cosciente, la sua mano destra afferrò il pugnale allacciato alla cintola. La lama estratta produsse un bagliore che riverberò per meno di un istante, ma l’effetto fu quello di una notte rischiarata da un fulmine.
Galwaire svuotò la mente. Non sarebbe mai riuscito a farlo se un solo pensiero estraneo fosse rimasto a balenargli in testa. Strinse le dita intorno all’elsa del pugnale e lo sollevò. Le gocce di pioggia imperlarono la lucente superficie metallica, scorrendo fino alla punta e precipitando al suolo, come pioggia qualsiasi. Caddero venti gocce dalla punta della lama. La ventunesima non fece in tempo. Fu perduta, mescolata al sangue di Grandivento.
 
La gente del villaggio non si sarebbe mai aspettata di rivederlo così presto. Ancor meno, si sarebbe immaginata di vederlo tornare appiedato, con una sella in spalla e trascinando le redini lungo il selciato fangoso.
Mendrick preferì aspettare. Meglio non essere il primo uomo con cui il cavaliere avrebbe parlato. Il caso volle che fosse proprio Eby la prima persona con cui Galwaire venisse a contatto.
«Galwaire! Che cosa vi è successo?»
«Non osare chiamarmi per nome. Devo ricordarti che sono un cavaliere?»
Il gelo del tono sconcertò Eby. Quell’uomo era così diverso dal cavaliere cortese che aveva conosciuto poche ore prima. Ma forse, proprio perché quella conoscenza era stata così breve, era stata lei stessa a illudersi che la vera natura di Galwaire fosse quella di un uomo gentile. Un triste pensiero la colse all’improvviso: la gentilezza del cavaliere era stata solo un espediente per assicurarsi l’ospitalità e il cibo di cui aveva bisogno?
«Dov’è il vostro cavallo?»
Un lampo d’ira balenò negli occhi di Galwaire. Non proferì parola. Scaraventò la sella nel fango, lasciando scoperto l’oggetto che vi si nascondeva sotto.
«A chi appartiene questa?»
Eby osservò la tagliola per volpi che il cavaliere reggeva a mo’ di lanterna di fronte a sé. La riconobbe subito: era una trappola che suo marito aveva acquistato da un mercante anni prima, con la quale non era mai riuscito a catturare alcunché. L’aveva perduta da tempo, senza preoccuparsi troppo di ritrovarla. Eby non avrebbe potuto immaginare una circostanza peggiore in cui rivederla.
«Era di Aben...»
Galwaire la fulminò con lo sguardo.
«Tuo marito? Chiamalo.»
«È a casa. Vi faccio strada.»
«No. Non intendo rimettere piede in quella casa. Ho detto di chiamarlo. Ti consiglio di farlo.»
«Ma signore... piove a dirotto. Questo tempo non giova alla vostra salute, e tanto meno alla sua... abbiate cuore, io...»
Eby non poté concludere la frase. Galwaire l’afferrò per la collottola e strinse con vigore.
«Non voglio ripeterlo. Portamelo qui o lo trascinerò io stesso.»
La stretta si sciolse ed Eby corse verso la capanna, mescolando lacrime alla pioggia che le ricopriva le guance.
 
Aben avanzò a passi brevi nel fango sempre più melmoso del villaggio. Nonostante il diluvio, uomini e donne del villaggio erano fuori a osservare la scena. Galwaire non fece un passo nella sua direzione, aspettando pazientemente che giungesse al proprio cospetto.
«La riconosci?» domandò, sollevando la trappola di fronte al vecchio.
Aben annuì.
«Questa trappola ha azzoppato il mio cavallo. Forse sarà difficile da capire per un bifolco, ma a causa tua ho perso molto più di un fedele compagno. Grazie alla tua stupidità, ho perso il mio diritto alla battaglia. Questa guerra si combatterà senza di me, visto che non raggiungerò mai Boswald in tempo a piedi. Ti rendi conto che con un colpo solo mi hai fatto perdere il cavallo, la guerra e l’onore? Razza di idiota!»
Aben era pallido come un morto. Tremava come una foglia, investito dalla pioggia e dal vento. Cercava le parole per replicare, ma sapeva che ogni sua obiezione avrebbe fatto infuriare ancor di più Galwaire. Tuttavia, con voce flebile, accennò al proprio cavallo da soma, tentando di offrirlo come indennizzo.
«Un cavallo da guerra è un compagno per la vita. Credi che possa essere sostituito con un ronzino qualsiasi?»
Urlate le ultime parole in faccia a Aben, Gal levò con rabbia la mano che stringeva la tagliola e la sbatté con forza sulla faccia del contadino, che stramazzò a terra. Immerso nel fango, Aben subì una serie di calci allo stomaco, che gli fecero perdere i sensi. Eby era svenuta. Il resto degli abitanti del villaggio, atterriti, rimasero immobili. Quelli che potevano farlo si rintanarono in casa.
Galwaire avanzò, nel fango e nella pioggia, nella direzione da cui era arrivato quella mattina. Senza voltarsi, gridò un’ultima maledizione.
«E che il vostro demone vi porti alla dannazione!»
 
«L’avete visto? Era un mostro!»
«Ha quasi ucciso il vecchio Aben!»
«Questo è il mondo là fuori!»
«E se ne arrivassero altri come lui?»
«I cavalieri devono essere tutti così: nobili quando hanno bisogno d’aiuto, ma bruti appena ne hanno l’occasione.»
Mendrick si godette ognuna di quelle esternazioni, che sembravano non avere mai fine. L’intero villaggio era rimasto sconvolto dalla reazione di Gal. A dire il vero, le cose erano andate persino meglio di quanto sperasse. L’opera che Galwaire aveva inconsapevolmente avviato a Forgruik era stata spazzata via da lui stesso, grazie a quell’accesso di furia.
Aben non sarebbe morto: gliel’avrebbe impedito a ogni costo. Il vecchio contadino non aveva certo un bell’aspetto, disteso nel letto della propria capanna. Aveva riportato brutte ferite, ma nessuna mortale. La ferita più profonda non era certo visibile per le persone comuni, ma Mendrick non aveva difficoltà a scorgerla. Era meravigliosa. Forse, la venuta di Galwaire era stata addirittura una benedizione. Niente può infrangere una speranza meglio della speranza stessa.
Chino a medicare le ferite di Aben, Mendrick si voltò a osservare Eby: gli occhi erano incavati, il colorito terreo, lo sguardo assente. Aveva pianto a lungo, ma le lacrime ora erano esaurite. Un celestiale vuoto riempiva i suoi occhi. Per la prima volta dopo tanto tempo, la cara Eby era diventata una preda più interessante di Aben.
«Mi addolora quello che è successo, figliola.»
Eby volse lentamente il capo verso di lui. Era come se fosse stata richiamata da una voce lontana, che non apparteneva al suo mondo.
«Abbiamo ancora voi, almeno. Vero, padre? Vero?»
Mendrick estrasse la fiaschetta di idromele e la porse a Eby.
«Bevi. Starai meglio.»
Eby obbedì, ormai priva di volontà.
Mendrick osservò ancora una volta la magnificenza della propria opera. Nutrire le persone con il loro stesso dolore era qualcosa di sublime. Se solo la povera Eby avesse avuto una vaga idea della ricetta di quell’idromele! Dopo che la donna ebbe trangugiato un’abbondante sorsata, Mendrick si affrettò a ricavare l’ingrediente essenziale del proprio capolavoro.
Dalla bisaccia fuoriuscirono un fazzoletto e una boccetta blu. Il contenuto oleoso della boccetta fu riversato in piccole dosi sul fazzoletto, che Mendrick non ebbe difficoltà ad applicare sul volto distrutto di Eby. Con un secondo fazzoletto, effettuò la stessa operazione anche su Aben. Aveva di nuovo ingredienti di prima qualità per produrre altro idromele.
Idromele!
Mendrick sghignazzò tra sé. In tutti quegli anni l’aveva somministrato così tante volte a tutti gli abitanti del villaggio spacciandolo per idromele, da convincersi lui stesso che lo fosse per davvero!
L’Elisir di Lunga Vita spacciato per idromele! Ah!
Sorrise apertamente. Eby ormai non lo considerava più, di nuovo persa nella sua spirale di agonia.
Presto, lei e il caro Aben avrebbero sfornato un altro figlioletto, che entro breve avrebbe goduto della compagnia degli ‘spiriti della foresta’ e di centinaia di bambini che l’avevano preceduto.
Galwaire aveva quasi rovinato quell’idillio. Quasi. Ma non si sopravvive per cinquecento anni senza un’innata capacità di far fronte a tutte le situazioni.
Mendrick si compiacque di se stesso.
Quello era il suo raccolto, e nessuno poteva depredare i frutti che gli appartenevano. 
 

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