Ti amo o ti odio?

di CarlottAlien
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo e Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Ritorno ***



Capitolo 1
*** Prologo e Capitolo 1 ***


 

 

 

PROLOGO

 

   “Padre, perché la mamma non è qui con noi?”

   “Vedi, figlia mia, non sempre abbiamo ciò che vogliamo. Nemmeno se questa fosse una cosa semplice, elementare, necessaria. Per ora ti basta sapere che tua madre era un grande leader, dotata di grande forza e determinazione. In battaglia le brillavano gli occhi. E ogni volta che ti guardo, piccola mia, vedo lei. Quando crescerai, capirai.”

Mi sorrise. Il sorriso di mio padre è talmente raro che quel ricordo è più prezioso dell’oro. Allora avevo solo otto anni e mia madre mi mancava. Tantissimo.

 

 

CAPITOLO 1

 

La luna era mangiata per metà quella sera mentre illuminava la vasta valle dell’Est, dominata dal clan dei Lupi Bruni di Akeshi. La notte era tranquilla, quasi tutti i demoni quella sera avevano deciso di stare al loro posto e non creare guai, così Hitomi decise di prendersi una piccola pausa dal suo giro di ronda. Con un agile balzo salì sulla quercia secolare che troneggiava sul lato Ovest della valle e si sedette su uno dei possenti rami, ringraziando lo spirito dell’albero per la sua ospitalità. Lei e la Quercia avevano un rapporto speciale, si rispettavano e si proteggevano a vicenda, vegliando insieme sulla valle dei Lupi.

Sebbene la serata sembrasse tranquilla, la giovane demone non si sentiva del tutto a proprio agio. Erano diverse notti, ormai, che orde demoniache invadevano il territorio del suo clan senza un apparente motivo, come se stessero scappando da qualcosa. Hitomi ne ignorava le cause e non le importava granché, visto che i demoni che attraversavano il confine erano piuttosto deboli e abbatterli non le costava molta fatica. Doveva solo tenerli d’occhio e impedire che facessero troppi danni nelle terre dei Lupi. Sbuffava infastidita da quel compito assurdo e privo di senso che le avevano affidato. Si chiedeva perché non la facessero scendere direttamente sul campo di battaglia quando c’erano dei VERI pericoli. Tuttavia, mentre riposava appoggiata al tronco della sua amata Quercia, teneva muscoli e nervi in tensione, pronta per attaccare. Era lì a tenere d’occhio il confine grazie ai suoi sensi particolarmente sviluppati. Infatti, nonostante la sua giovane età, era il demone del clan con le capacità sensoriali più potenti in assoluto, grazie anche al fatto che possedeva le orecchie e la coda di un vero lupo. Hitomi era la primogenita di Akeshi, il capoclan, e suo padre le aveva detto che aveva ereditato queste caratteristiche dalla madre, un daiyokai lupo. Ma ciò che rendeva Hitomi così speciale, così diversa da tutti gli altri Lupi Bruni, erano gli occhi. ‘Paragonabili alla luna, per il loro splendore, e al ghiaccio per la spietatezza che celavano’, le diceva sempre suo padre, tanto che tra i clan era conosciuta come Hitomi, la portatrice degli occhi della luna. Tutto questo metteva innervosiva la giovane lupa, perché tutti erano un po’ diffidenti e timorosi nei suoi confronti. Un Lupo Bruno con gli occhi grigi? Per di più figlia di una degli daiyokai più potenti mai esistiti? Un demone così poteva vuol dire solo due cose: grossi vantaggi o grossi problemi per tutto il clan. Hitomi soffriva di questo, ma non lo faceva mai trasparire e reagiva con freddezza e indifferenza a tutti i membri del suo stesso clan. Ma la cosa che le faceva più male era la mancanza di sua madre. Aveva ben pochi ricordi di lei e suo padre non le aveva mai rivelato il perché della sua scomparsa. Tutto questo fino ad un anno prima. Akeshi le raccontò che sua madre era stata uccisa in battaglia da un daiyokai cane che le teneva testa come nessun’altro era mai riuscito a fare. Ma il capoclan non le rivelò mai il nome del demone che uccise sua madre, perché sapeva che la figlia lo avrebbe cercato fino alla disperazione, mettendo a rischio la sua vita e trascurando il clan.

   ‘Lo troverò..quel maledetto, lo troverò!!’

Hitomi strinse i pugni e digrignò i denti per la rabbia che le ribolliva in corpo, quando ad un tratto il suo orecchio destro captò un rumore strano proveniente dal confine Ovest, vicino alle Alte Montagne degli Spiriti.

   ‘Una battaglia tra demoni..’ disse tra sé e sé cercando di interpretare la battaglia attraverso i rumori che riusciva a sentire. All’improvviso vi fu l’esplosione di una delle due aure demoniache in movimento, che letteralmente cancellò quella dell’avversario. Decise che era ora di controllare cosa diavolo stesse succedendo nel suo territorio. Si alzò in piedi sul ramo della Quercia brandendo Masakari, l’ascia da combattimento simbolo del suo clan,ereditata dal padre. La pelliccia che indossava, umida di rugiada, brillava alla luce della luna, che ormai splendeva alta nel cielo. Con un balzo scese dall’albero e scattò con agilità verso dove si era appena conclusa quella strana battaglia. I suoi selvaggi e lunghi capelli dorati ondeggiavano seguendo i suoi movimenti, mentre i piedi scalzi sembravano farla volare silenziosamente sopra il sottobosco. Quando con lo sguardo scorse le Montagne, un odore nauseabondo le invase le narici, costringendola per un attimo a chiudere gli occhi e a coprirsi il naso con il braccio nudo.

   ‘Ma che diavolo..?’ un bruttissimo presentimento si fece largo dentro la sua testa. Da dove proveniva quello strano odore? Era sicura, non lo aveva mai sentito da nessuna parte prima d’ora. Cos’era entrato nel suo territorio?

Digrignò i denti e sfoderò gli artigli, stringendo l’impugnatura di Masakari ancora più forte. Quella notte avrebbe portato solo guai, lo sentiva.

 

 

 

Ciao a tutti! ^^

È la mia prima FF su Sesshomaru, anche se in questo capitolo

Non compare ancora il nostro principe dei demoni XD

Spero di avervi incuriosito,

a presto ^^

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

 

 

 CAPITOLO 2

 

Arrivata ai piedi dei monti Urishima, conosciuti anche come Montagne degli Spiriti, il luogo era immerso in una strana quiete, come se tutto forse stato pietrificato. Il silenzio era opprimente. L’aura che emanavano quei monti rendeva quasi impossibile la vita lì intorno, perciò Hitomi uscì lentamente dall’ombra degli ultimi alberi della foresta, cercando qualche segno della battaglia.

  Non si sentiva per niente tranquilla, qualcosa la agitava e la situazione peggiorò quando un’altra folata di quello strano odore le arrivò alle narici. A fatica seguì quella puzza orrenda fino a scorgere una grossa macchia nera informe in mezzo ad alcuni arbusti distrutti. Si bloccò all’istante, mettendosi in posizione di guardia e stringendo l’impugnatura della sua ascia fino ad avere le nocche bianche. Si avvicinò con cautela a quella che ormai sembrava una carcassa. La sua puzza era al limite della sopportazione e Hitomi non aveva mai sentito un cadavere puzzare in quella maniera. Ciò la innervosiva e, quando arrivò vicina al corpo, il suo aspetto la inorridì ancora di più.

Era un demone davvero strano, non era come quelli che di solito giravano da quelle parti, e lei li conosceva bene tutti quanti. Aveva una vaga figura che ricordava quella umana, era privo di qualsiasi pelliccia o di piume, anche se grosse ali membranose si diramavano dalla sua schiena ossuta. Era armato di tre possenti artigli e alcune zanne spuntavano dalla sua bocca, aperta in un urlo terrificante. Ma ciò che rendeva quel demone inquietanti erano i due buchi vuoti che spiccavano sul suo volto contorto.

   ‘Non ha occhi…cosa è questa roba?’ pensò Hitomi, non riuscendo a staccare gli occhi dal demone. All’improvviso gli balenò in mente, come un lampo, un ricordo di quando era più piccola. Una storia che gli anziani del suo clan erano soliti raccontare ai giovani lupi che, tutti in cerchio attorno al fuoco, ascoltavano le loro leggende.

 

   “..non erano né demoni né esseri umani. Scendevano silenziosi come spiriti dalle montagne, con le bocche urlanti da cui non usciva alcun suono, con occhi che non erano occhi, ma soltanto buchi neri e vuoti come le loro anime.”

 

In quel momento una consapevolezza agghiacciante si fece strada nella mente di Hitomi che, d’istinto, indietreggiò di qualche passo dalla creatura.

   ‘Questo…questo è un Gaki. Che diavolo ci fa qui un demone dell’Oltretomba…?’

Si credeva che i Gaki fossero solamente delle leggende, demoni antichi come lo Spirito del Mondo di cui non si avevano mai avuto conferme della loro esistenza. Ma Hitomi sapeva che non era così, suo padre le raccontò della Grande Guerra che lui e sua madre dovettero affrontare contro i demoni dell’aldilà, torturatori di anime affamati degli spiriti dei vivi. Quella guerra fu sempre tenuta nascosta, era pericoloso parlare di ciò che sta oltre il confine, perciò solo i daiyokai ne erano a conoscenza. Tutto ciò la turbava, poteva essere un solo demone ad aver attraversato la soglia dell’Oltretomba oppure poteva essere l’inizio di qualcosa di molto più grande.

Alzò pensierosa lo sguardo verso le nubi scure che nascondevano perennemente le cime delle Montagne, ma un altro odore attirò la sua attenzione. Annusò l’aria che ora sapeva di erba fresca, di rugiada e le balenò in mente l’immagine della luna, ma sentiva anche l’odore forte e deciso del sangue e della morte. Si voltò di scatto, stringendo istintivamente la mano attorno all’impugnatura di Masakari, e scorse davanti a sé una figura imponente che si stagliava nella penombra della boscaglia. La stava fissando, sentiva il suo sguardo addosso anche se non riusciva a vederlo in volto. L’odore di quel demone l’aveva inebriata, ma si riscosse immediatamente, tornando alla realtà.

   “Tu chi diavolo saresti?” domandò Hitomi con aggressività. Non aveva mai visto quel demone nel suo territorio e la sua aura demoniaca la spaventava ancora di più. Poteva essere un daiyokai, ma non ne era sicura. O non voleva crederci. Sapeva che, contro di lui, non avrebbe avuto scampo.

Di risposta, il demone uscì dalla penombra, mostrandosi a Hitomi. Ora lei poteva vederlo chiaramente, in tutti i suoi due metri di altezza. Non sembrava uno dei soliti mostri che giravano da quelle parti, aveva il volto di un giovane, ma i suoi lineamenti erano affilati e taglienti, come anche il suo sguardo. Aveva un’aria mistica grazie al kimono bianco che indossava, pareva non essere il proprietario di quell’aura mostruosa e di quelle spade demoniache che portava strette alla cintola. Hitomi riuscì a scorgere delle striature sulle guance e una mezzaluna blu che spuntava sulla sua fronte, seminascosta da ciuffi di cappelli color della luna. La pelliccia bianca che portava sulla spalla destra fece capire a Hitomi che quello che aveva di fronte era un demone cane.

Lui continuava a fissarla intensamente, senza però far trasparire nessun tipo di emozione, tranne la pura indifferenza per tutto ciò che lo circondava. Tutt’ad un tratto le parlò e per Hitomi sembrò  come risvegliarsi da uno stato di trance, tale era l’effetto che aveva quel demone su di lei.

   “Penso tu abbia capito.” Le disse, indicando con un impercettibile movimento dello sguardo la carcassa del Gaki riverso a terra. “Per puro caso l’ho trovato sul mio cammino, cerca di aprire gli occhi. Hai la responsabilità di un branco.”

Detto questo si voltò e si diresse verso il cuore della foresta, sparendo dalla vista di Hitomi, ora parecchio innervosita dalle parole di quel tale. Come si permetteva di usare quel tono con lei? Oltretutto le dava anche consigli su come gestire un branco! No, di certo non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa in quel modo.

   “Ehi, tu! Come ti permetti di voltarmi le spalle!!” urlò Hitomi verso il demone che spariva pian piano nella foresta. Non si degnò neanche di voltarsi a risponderle, così lei corse nella sua direzione, intenzionata più che mai a non fargliela passare liscia. Appena mise piede nella foresta, l’oscurità opprimente che c’era l’avvolse e ci volle una frazione di secondo prima che i suoi occhi si abituassero al buio pesto del bosco.

Ma fu proprio dopo quell’istante di distrazione che Hitomi si ritrovò a terra, sovrastata dall’enorme massa del demone cane che le puntava una delle sue spade alla gola.

   ‘No...non può essere stato così veloce.’ Pensò Hitomi, che fissava sbigottita e sorpresa quel demone, che da vicino le sembrava ancora più grande e imponente. I suoi occhi dorati, freddi come il ghiaccio, erano puntati in quelli sbarrati di Hitomi.

    “Non fare questo gioco con me, ragazzina.” Le disse in un tono glaciale che incuteva ancora più timore di qualsiasi tono aggressivo. Detto ciò, rinfoderò la spada e sparì velocemente tanto quanto gli era servito per atterrare Hitomi. Con lui sparì ogni traccia dell’odore di erba che portava con sé, lasciando Hitomi da sola ancora stupita di ciò che era appena successo. Ma chi diavolo era quello li? Non sapeva se essere più innervosita dai toni che aveva usato o più intimorita dalla facilità con cui l’aveva atterrata. Avrebbe potuto ucciderla. Ma non l’aveva fatto. Anzi l’aveva avvertita riguardo ai timori che lei stessa aveva. Pensò al cadavere del Gaki. Cosa stava per succedere? Reagì in un baleno, alzandosi in piedi e scattando verso la sua Quercia. Si arrampicò agilmente fin sulla cima. Da lì vedeva ogni singolo angolo della valle che tanto amava. Ma non era quello il momento di ammirare il paesaggio. Si protese in avanti e ululò. Lanciò un ululato strano, diverso da tutti gli

altri, che solo un lupo poteva comprendere. Stava chiamando suo padre.

 

 

   Akeshi, come qualsiasi capoclan rispettabile, rimane sempre col suo branco, tranne in casi eccezionali di battaglie particolarmente violente. Anche quella notte era rimasto nei pressi della sua tana, seduto di fronte ad un piccolo fuoco sopra ad uno spuntone di roccia, a meditare. Nonostante avesse raggiunto ormai una certa età, la sua stazza rimaneva sempre imponente e metteva tutti in soggezione. Il suo corpo e il suo volto erano ricoperti da decine di cicatrici, segni indelebili delle sue battaglie, mentre i suoi lunghi capelli e la sua folta barba portavano i segni bianchi della vecchiaia. Nonostante avesse un’espressione molto dura e severa, i suoi occhi erano quelli di un demone saggio e che ha affrontato ogni tipo di difficoltà con coraggio.

Le fiamme si riflettevano sulle sue iridi scure, mentre il suo sguardo scrutava il fuoco e la sua mente vagava in profondi misteri, quando sentì in lontananza un ululato. Tese meglio le orecchie, e riconobbe immediatamente sua figlia che lo chiamava. Capiva dai toni dell’ululato che Hitomi si sentiva nervosa e tesa, evidentemente qualcosa di importante doveva essere successo.

   Correte, padre, non ci sono buone notizie.”

Akeshi si alzò in piedi e la sua ombra si allungò sulla parete di roccia alle sue spalle, facendolo sembrare ancora più imponente. Rispose all’ululato della figlia e scese verso la boscaglia, correndo agilmente verso il luogo dove si trovava Hitomi, cogliendo subito il motivo della sua agitazione. Sua figlia si trovava ai piedi dei monti Urishima.

 

 

   “Aspettami.”

Fu la risposta che ricevette immediatamente dal padre. Sapeva che lui le avrebbe dato qualche risposta. O almeno lo sperava.

Si era allontanata da quella carcassa nauseabonda, sedendosi su un tronco poco distante, senza però perderla di vista. Tendendo le orecchie, riusciva chiaramente a sentire i passi di suo padre che si avvicinava a lei. Pochi attimi dopo, la figura di Akeshi emerse dal sottobosco, individuandola immediatamente e lanciandole uno sguardo intenso. Hitomi pensò che suo padre avesse già capito la situazione, anche perché il fetore di quel cadavere non era difficile da percepire.

Tra i due non vi furono inutili parole, una serie di sguardi e si capirono immediatamente. Hitomi si alzò e condusse il padre vicino al corpo del Gaki. Akeshi sembrava indifferente mentre osservava i buchi neri e la bocca spalancata del cadavere.

   “Un Gaki…” esordì il capoclan dopo qualche secondo. “Com’è finito qui, ne sai qualcosa?” domandò alla figlia.

   “Dovrebbe provenire dalle montagne. L’ho trovato morto dopo una battaglia.”

   “Una battaglia?” disse il demone lupo, questa volta fissando sua figlia dall’alto.

   “Ho sentito due aure scontrarsi e quando sono arrivata qui l’ho trovato già morto. Mi è bastato seguire la sua puzza.”

   “Quindi non hai visto cosa è successo?”

   “No, ma ho incontrato il demone che ha ucciso questa roba.”

   “Chi sarebbe? Uno dei nostri?”

   “No, era un demone che non avevo mai visto da queste parti. Un demone cane.”

A quell’affermazione, Akeshi ammutolì, riflettendo su qualcosa che Hitomi non capiva. Solo dopo qualche minuto riprese a parlare.

    “Non l’hai seguito spero.”

Hitomi rimase stupita dalla freddezza con cui suo padre le aveva fatto quella domanda così strana.

    “No…l’ho lasciato andare per la sua strada.” Mentì lei. Suo padre la fissò,con uno sguardo che non riuscì a decifrare, per un tempo che le sembrava interminabile.

    “Bene, meglio così.  Ora occupiamoci di questo tanfo.” Esordì ad un tratto.

    “Come?” chiese Hitomi, perplessa.

    “Non rischierò che qualcun altro trovi questa carcassa come hai fatto tu. Allontanati.” Detto ciò, Akeshi puntò il cadavere riverso a terra e lo incenerì, grazie alla sua potente aura. Hitomi non poteva crederci.

    “Padre, perché lo avete fatto? Dobbiamo assolutamente avvisare il clan e trovare da dov’è venuto quel mostro! Potrebbero arrivarne altri!” esordì incredula rivolta al padre.

    “Non ne arriverà nessun’altro, te lo assicuro. E ti garantisco anche che nessuno verrà a sapere di questo.”

Hitomi era sconvolta. Suo padre le nascondeva qualcosa, ne era sicura. Come poteva non capire la

gravità di quella situazione?

   “Ma come fai a non capire? Dobbiamo andare a fondo di questa cosa e avvisare anche i clan vicini! Credi sia normale che un demone dell’Oltretomba trapassi la soglia ed entri nel mondo dei vivi?” lo attaccò Hitomi.

    “Non ti rivolgere a me in quel modo, Hitomi!!” tuonò Akeshi, guardando autoritario sua figlia. “Comando io qui e tu sei tenuta ad ascoltarmi!”

La giovane lupa era sbigottita. D’un tratto, il suo stupore si trasformò in  rabbia verso ciò che le aveva appena detto suo padre. Come poteva essere così indifferente? Avrebbe voluto ribattere, urlare quanto non fosse giusto il fatto di nascondere ogni cosa al resto del branco, rischiando che succedesse qualcosa di brutto. Ma rimase zitta, strinse i pugni fino a piantarsi gli artigli nei palmi delle mani e digrignò i denti. Guardò suo padre inoltrarsi di nuovo nella foresta, sparendo nell’ombra e lasciando dietro di sé solo un segno nero, lì dove c’era stato il cadavere del demone. Frustrata e arrabbiata, ringhiò e cominciò a correre verso Ovest, tornando alla sua Quercia e non seguendo di proposito suo padre. Correva veloce, cercando una spiegazione a quello che aveva fatto suo padre. Ma non ne trovava.

Arrivò ansimando ai piedi dell’albero, si arrampicò e salì in fretta fin sulla cima. Rimase ad ammirare la valle in tutto il suo splendore. A Est riusciva a scorgere le prime luci dell’alba e il nuovo giorno che stava arrivando. Non poteva rischiare che tutto ciò a cui teneva di più potesse cadere in rovina solo perché suo padre le teneva nascosto chissà quale segreto. Gli avrebbe disubbidito. Avrebbe capito da sola cosa stava succedendo.

 

 

Ciao a tutti! ^^

Spero che questo capitolo non sia troppo lungo o noioso xD

Spero anche di rendere la storia interessante

e non banale!

 A presto col prossimo capitolo, grazie a chi legge ^^

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


 

CAPITOLO 3

 

  Il sole, mentre spuntava all’orizzonte, era un’enorme palla di fuoco che, con i suoi caldi raggi, inondava tutta la valle dei Lupi Bruni come un oceano di luce, infiltrandosi tra le folte chiome degli alberi e rendendo la foresta un luogo magico.

Mentre la luce si insinuava tra i rami, le foglie, le radici degli alberi, entrava nelle tane degli animali annunciando il nuovo giorno, facendo sparire progressivamente le ultime ombre della notte ormai passata, arrivò anche allo spiazzo dove troneggiava la Grande Quercia, dipingendola con i colori caldi del giorno e svegliandola dal suo sonno. Intorno a quel maestoso albero regnava un’insolita pace, una sorta di quiete mistica creata dalla sua potente aura benevola, che rendeva quel luogo quasi sacro.

Anche Hitomi si godeva il sole appena tiepido sul viso, mentre sedeva sopra alla Quercia completamente assorta nei suoi pensieri. Grazie a quel luogo e a quell’albero riusciva ad uscire per un po’ da ciò che la circondava, dandole la possibilità di scrutare dentro sé stessa e pensare con razionalità. Quella mattina, però, il conflitto interiore con cui aveva a che fare era parecchio duro da risolvere.

Quella notte non era tornata alla Tana con suo padre, era rimasta nella sua foresta cercando di sbollire la rabbia che l’assaliva ogni volta che ripensava alla conversazione tra lei e Akeshi.

 

   […]“Non ne arriverà nessun’altro, te lo assicuro. E ti garantisco anche che nessuno verrà a sapere di questo.”

 

Così le aveva detto suo padre, senza darle spiegazioni dopo aver distrutto il corpo del Gaki morto. Aveva corso per la foresta finché i piedi nudi non cominciavano a dolerle. Forse sarà stato il dolore fisico a farla tornare in sé, ma dopo aver corso per quasi tutta la vallata si fermò. La rabbia era scomparsa, lasciando posto ad un’idea ben chiara e precisa. Fu allora che tornò indietro, verso la sua Quercia, si sedette ed entrò come in trance, cercando di risolvere quel groviglio di pensieri che aveva nella testa.

Con l’arrivo del nuovo giorno arrivò anche per Hitomi la consapevolezza di ciò che doveva fare, di quello che era giusto per lei. Si alzò in piedi, fissando bene la direzione che avrebbe preso e che, forse, l’avrebbe allontanata dal suo stesso clan. Sapeva che suo padre la teneva costantemente sotto controllo, percependo i suoi movimenti grazie alla sua aura. L’aveva tenuta d’occhio tutta la notte, lei lo sapeva, sentiva perennemente gli occhi di suo padre addosso, ed era certa che la stesse osservando anche ora, dalla cima della sua tana con gli occhi della sua mente saggia. Appena si sarebbe mossa, pensava, suo padre avrebbe capito dove si dirigeva e probabilmente non l’avrebbe ostacolata, ma avrebbe mostrato verso di lei la più totale indifferenza, in quanto gli aveva palesemente disubbidito. Ma ad Hitomi non importava, sentiva dentro il suo animo che quello che stava per fare era giusto, e sarebbe andata avanti dimostrando a suo padre che ormai era adulta e sarebbe stata in grado di affrontare decisioni difficili, come un vero capoclan.

Scese dall’albero con un agile balzo e scattò verso il luogo da cui non distoglieva mai lo sguardo, sapendo che qualsiasi mossa avrebbe fatto ne sarebbe venuto a conoscenza da li a breve.

Correva come un predatore affamato con lo sguardo fisso su una preda sconosciuta, curioso di sapere il suo sapore. I suoi occhi di ghiaccio scrutavano la foresta che pian piano mutava intorno a lei. Non c’erano rumori, solo il fruscio leggero delle foglie che sfiorava col suo corpo, che si muoveva sinuoso nella foresta.

Ad un tratto la boscaglia cambiò di netto, segno che era arrivata dove voleva essere. Si fermò di colpo, aspettando e ascoltando. Nulla. Nessuno intorno a lei. L’unica presenza pesante che sentiva costantemente era quella di suo padre, che per ora osservava le sue mosse. Ma in cuor suo Hitomi sapeva che, quando avrebbe accennato il primo passo oltre quel sottile confine che era rimasto tra lei e Akeshi, non sarebbe più potuta tornare indietro, se non a testa bassa e con la coda tra le gambe. Ma questo non lo avrebbe mai fatto, soprattutto con suo padre. Alzò la testa, puntando il suo sguardo gelido sul cielo coperto dalle pesanti nubi grigie. Non si guardò indietro e non ebbe il minimo rimorso quando partì nuovamente di corsa, dirigendosi verso i sentieri che portavano nel cuore dei monti Urishima.

 

 

 

  La figura possente del capoclan dei Lupi troneggiava dall’alto della sua tana, le spalle solide come roccia, le mani incrociate dietro l’ampia schiena, mentre fissava le nubi scure che circondavano le Montagne degli Spiriti. Lo sguardo era glaciale, inchiodato verso quel luogo maledetto dove in quel momento si trovava sua figlia. Tutto di lui in quel momento faceva trasparire calma e sicurezza, come un essere saggio e controllato, tuttavia, dentro quel possente corpo, ardeva un fuoco che sembrava indomabile. Rabbia, disapprovazione, delusione, preoccupazione, risentimento. Tutto questo era collegato al gesto di palese disubbidienza che aveva appena compiuto Hitomi. Lei sapeva che lui la controllava e, nonostante ciò, si era presa gioco di lui, ignorando quello che lui le aveva ordinato.

Lui era il capoclan, maledizione!! Per un attimo, un secondo soltanto, Akeshi perse il controllo di sé, e questo gli bastò per disintegrare una parte della parete di roccia che stava al suo fianco.

    ‘Calmati ora, non vorrai perdere il controllo come un ragazzino.’

Il vecchio lupo inspirò profondamente, imponendo a sé stesso di calmarsi. Dopotutto, anche se la collera che lo assaliva era tanta, quella che si stava cacciando nei guai era pur sempre sua figlia.

    ‘Oh, Hitomi…perché stai facendo tutto questo? Cosa vuoi dimostrare?’

Akeshi tornò a fissare le montagne con uno strano gusto amaro che gli attanagliava la gola, seguendo l’aura di Hitomi che, pian piano, scompariva.

 

 

 

  Man mano che si avvicinava, la giovane lupa cominciava a sentire l’oppressione della potente aura demoniaca dei monti Urishima, tanto che dovette frenare la sua corsa per cercare di ragionare a mente lucida.

Fissava ora le nude pareti di roccia che ormai sembravano terribilmente vicine, pronte a schiacciarla come una mosca. In fondo lei cos’era in confronto a quelle entità così antiche e potenti?

L’aura delle montagne cominciava a offuscarle i pensieri e confonderle i sensi, ma cercò di sforzarsi e trovare un passaggio per addentrarsi nel cuore dei monti. Le pareti di  roccia sembravano impenetrabili, senza alcun foro di entrata, e talmente alte che sembravano infinite, come se arrivassero al cielo e lo penetrassero.

    ‘Maledizione…come riuscirò ad entrare?’

Le venne un terribile mal di testa e la vista le si offuscò per qualche secondo, ma concentrò al massimo la sua aura, affrontando apertamente le montagne e i loro spiriti e riacquistando un po’ della sua lucidità.

    ‘La leggenda…parlava di un sentiero…ma qui sentieri non sembrano essercene…!’

Hitomi si guardò intorno in cerca di qualche indizio, magari una traccia di un demone che aveva risalito la montagna, ma non trovò nulla. Doveva prendere una decisione, altrimenti sarebbe rimasta li a vita senza concludere nulla. Cercò, per quanto possibile, di concentrarsi e decise di seguire il suo istinto: avrebbe proseguito verso il confine Ovest, agli estremi del suo territorio, costeggiando la roccia cercando un sentiero.

I suoi sensi ricominciarono ad offuscarsi, il respiro divenne affannoso, perse per qualche attimo il senso dell’orientamento, tanto che dovette inginocchiarsi nella polvere cercando di riprendersi.

    ‘Ma…cosa mi sta succedendo…?’

Gli spiriti delle montagne sembravano non volerla nel loro luogo sacro, ma di certo lei non avrebbe lasciato perdere, sarebbe andata avanti lo stesso, con o senza il loro consenso. Doveva scoprire cosa stava succedendo. Lo voleva.

Si rialzò e cercò di riacquistare più lucidità possibile mentre si incamminava verso Ovest. La giovane lupa, però, non si era accorta della presenza che, nell’ombra, seguiva ogni suo movimento, aspettando il momento giusto per fare la sua mossa.

 

 

  Non appena cominciò a correre, quel senso di oppressione si alleviò abbastanza da permetterle di proseguire il suo viaggio. Il vento tra i capelli e tra la pelliccia le davano un senso di sollievo, anche se l’aria che circondava quei monti era pesante e soffocante.

Sebbene la roccia scorreva alla sua destra, Hitomi non notava alcun tipo di cambiamento. Anzi, sembrava sempre uguale, come se non si stesse muovendo di un solo centimetro da dove era partita, e questo la irritava all’inverosimile.

    ‘Bastardi, si stanno prendendo gioco di me!’

Aumentò l’andatura, sfrecciando tra le rocce e alzando un lieve polverone dietro di sé. Tuttavia, sebbene andava molto più veloce, le montagne sembravano non cambiare, rimanevano sempre identiche a prima, non uno spuntone di roccia in più o una crepa in meno. Hitomi si sentiva presa in giro da qui demoni insulsi e vigliacchi che non osavano neanche mostrarsi a lei, preferivano deriderla alla spalle. Sentiva la rabbia ribollirle dentro, cominciava a perdere il controllo, odiava non essere minimamente presa in considerazione. Si bloccò all’istante, stringendo i pugni e piantandosi gli artigli nei palmi delle mani, macchiando la sabbia del suo sangue. Digrignò i denti e urlò verso le nubi, compatte sopra la sua testa, tutta la sua frustrazione.

Fu proprio in quel momento che la lupa si accorse che qualcosa intorno a lei era cambiato. La luce era cambiata, sembrava entrata in un’altra dimensione. Il cielo non era più grigio per via delle nubi, ma si era tinto di un nero pece inquietante, senza fine. La foresta, invece, era sparita completamente, inghiottita anche lei da quel manto nero. Tutto era diventato un campanello d’allarme, qualcosa stava per succedere, ma la sola cosa che Hitomi notò era il sentiero che si apriva di fronte a lei, pronto per condurla nel cuore delle montagne. Nulla le suonava strano o fuori posto, davanti a lei vedeva solamente la sua metà, ciò che l’avrebbe portata ad una risposta.

    ‘Finalmente! Hanno deciso di farmi passare…’

La lupa scattò in avanti, imboccando quella via che sembrava condurla in un posto peggiore dell’inferno.

 

 

 

   Fino a quel momento era riuscito a percepire la sua aura, sebbene con qualche difficoltà. Ma ora l’aura di sua figlia era completamente sparita e, per quanto cercasse quasi disperatamente una sua traccia, non riusciva a trovarla. Scomparsa, inghiottita da quelle montagne maledette.

    ‘Hitomi, perché…’

Akeshi si passò una mano sul viso rugoso e segnato dal tempo e dalle battaglie, pensando alla fine che avrebbe potuto fare sua figlia se non fosse intervenuto. No, non poteva permettersi di perdere anche lei.

Balzò giù dalla sua tana, e cominciò a correre, cercando di salvare la figlia che rappresentava per lui passato e futuro.

 

 

 

   Mentre percorreva il sentiero che le si era aperto davanti agli occhi, Hitomi decise di camminare. Non sapeva bene il perché avesse smesso di correre, ma percepiva una strana presenza su di lei non appena cominciò a percorrere quella strada, perciò decise di andarci piano e tendere al massimo i suoi sensi. O almeno ci provava. L’aria era diversa da quella che circondava i monti, molto peggiore e più opprimente, tanto che la giovane lupa dovette socchiudere gli occhi a causa del terribile mal di testa che le era salito. Nonostante tutto continuava ad andare avanti senza mai voltarsi, anche perché una strana sensazione la colpiva quando tentava di guardarsi indietro, come se ci fosse un’entità che non le staccasse gli occhi di dosso.

     ‘Non mi farò di certo intimorire da questi quattro demoni che credono di spaventarmi! Tsk, cosa pensano di fare…’

Tuttavia, sentiva con chiarezza che la sua avanzata era sempre più faticosa, sia per il suo fisico, indebolito dalle strane esalazioni che la circondavano, sia per la sua mente, continuamente oppressa dall’aura delle Montagne degli Spiriti. Vedeva ben poco davanti a sé, la vista le si appannava di continuo ed ora…non poteva crederci, addirittura le allucinazioni! Le sembrò di vedere due spiriti che giocavano davanti a lei e che la deridevano. Si, non si sbagliava, la stavano davvero deridendo. Cercò di urlare la propria frustrazione, ma la bocca era come legata, era senza saliva e solo tentare di deglutire le provocava un bruciore alla gola insopportabile. Sudava, le girava la testa mentre cercava il più possibile di trattenere in sé un minimo di lucidità, ma in un istante le gambe le cedettero e fu costretta ad inginocchiarsi nella polvere. Ma quella era davvero polvere? Aveva una strana consistenza, si portò le mani davanti agli occhi e le parve di vedere del sangue.

    ‘Sangue…? Mio dio…dove sono?’

Alzò lo sguardo e si ritrovò in un posto completamente diverso da quello di prima. Tutto era iniettato di rosso, l’aria irrespirabile carica di esalazioni tossiche, urla di anime disperate le rimbombavano in testa. Era finita all’inferno?

L’odore acre e pungente di cadaveri in putrefazione era talmente forte e insopportabile che Hitomi vomitò. O credette di vomitare, ormai non era più sicura di trovarsi nella realtà oppure in qualche mondo distorto.

In preda alle allucinazioni vide avanzare verso di sé, in mezzo al fumo, una figura alta e slanciata, un essere incappucciato e coperto da un lungo manto nero che non lasciava trasparire nulla di sé. Solo quando fu a pochi passi da lei, Hitomi poté notare il respiro leggero che usciva da sotto il cappuccio.

     ‘Allora è vivo, non è uno spirito…’

La lupa lo fissava, cercando di memorizzare qualche particolare di quella strana creatura che, ad un tratto, le parlò.

     “Non osare mai più sfidare il Regno dei Morti. La presunzione è un peccato che può essere pagato a caro prezzo.”

L’ultima cosa che Hitomi vide con chiarezza fu il braccio scheletrico della creatura che usciva dal suo manto per cercare di toccarla, prima di svenire e cadere nel vuoto più nero e profondo.

 

 

 

   Si muoveva. Impossibile, sulle montagne ricordava l’orrenda morsa che le aveva attanagliato le gambe, impedendole di muoversi. Un sobbalzo. Eccole, le gambe. Le sentiva a penzoloni. Era per caso sospesa?

Non ricordava più nulla dopo essere svenuta. L’unica immagine che le balenava in testa era quella creatura nera simile alla morte che cercava di toccarla per strapparle l’anima e gettarla in pasto ai demoni. Cercò di aprire gli occhi, ma la sua vista era ancora appannata. Un senso di nausea le attanagliava lo stomaco, tuttavia sentiva una bella sensazione sul suo viso. Era qualcosa di caldo. Subito le venne in mente il sangue che la circondava fino a poco tempo prima; ma no, questo non era sangue. Era morbido e…profumato. Si, le sue narici erano impregnate non più dell’odore marcio di cadaveri ma di un odore fresco di erba e foresta. Quell’odore le ricordava qualcosa, ma al momento le sfuggiva, non sapeva perché. La testa le faceva terribilmente male. Tentò ancora di aprire gli occhi. Li socchiuse appena e riuscì a scorgere un profilo affilato, glaciale e lunghi cappelli argenti, prima di svenire di nuovo ed abbandonarsi a quel profumo soave.

 

 

 

 

Ciao a tutti i lettori! ^^

Scusate se faccio così tanta fatica ad aggiornare la storia,

ma quest’anno ho la maturità

e sono davvero PIENA di studio e il tempo per scrivere rimane davvero poco >.<

comunque spero di aver scritto un capitolo decente e all’altezza delle vostre aspettative xD

non anticipo nulla, non mi piace rovinare la sorpresa a nessuno!

A presto! ^^

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


 

 

CAPITOLO 4

 

   Rosso. Ogni cosa intorno a lei era rossa come il sangue. Esseri mostruosi si contorcevano istericamente urlando come dannati, demoni ormai in preda alla follia diventati specchio della loro stessa disperazione. Si sentiva intrappolata in quel quadro infernale. Le mancavano le forze, si sentiva sempre più debole. Provò a muoversi per scappare da quella follia, ma si accorse che una melma scura le stava avvolgendo le gambe, come se una creatura enorme la stesse assorbendo all’interno del suo corpo. Era viscido. Caldo. Sangue.

Il terrore la invase in ogni parte del corpo. Cercava disperatamente di liberarsi, ma la melma la risucchiava sempre di più. Non riusciva più a chiudere gli occhi, costrettai a guardare lo spettacolo infernale di spiriti divorati dai demoni, urla atroci, castighi inflitti alle anime impure. Sentiva che era sull’orlo della pazzia, si sarebbe strappata i capelli se solo avesse avuto le mani libere da quella gelatina putrefatta. Spalancò la bocca in urlo silenzioso, lasciando che i demoni infernali le rapissero anche lo spirito.

 

Hitomi si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di sudore e il corpo tremante, nonostante non facesse per niente freddo.

   ‘Solo un sogno…era soltanto un brutto sogno…’

Aveva ancora il fiatone e il cuore le batteva all’impazzata, quasi stesse per uscirle dal petto.

   ‘Calmati Hitomi, maledizione.’

Si appoggiò con la schiena al tronco dell’albero che aveva alle spalle, fece un profondo respiro e solo allora si accorse che le sue mani erano strette attorno ad alcuni ciuffi d’erba. Mollò subito la presa e si guardò gli artigli sporchi di terra.

   ‘Cosa mi è successo…?’

Faceva fatica a pensare, i ricordi le si mostravano confusi ed offuscati come mai prima d’ora. Il mal di testa cominciò a martellarle sulle tempie, chiuse gli occhi e le massaggiò cercando un po’ di sollievo.

Riuscì a calmarsi abbastanza da accorgersi che non era sola, lì in mezzo alla foresta. Aprì gli occhi e davanti a lei, seduto ad una certa distanza, vide il demone con il quale aveva avuto una piacevole conversazione il giorno prima. Lui la stava fissando, notò, con uno sguardo gelido, tagliente e disprezzante, riusciva a capirlo anche da quella distanza, come se lei fosse l’essere che più odiava sulla terra. Ha aspettato che si svegliasse per ucciderla forse? Ma come mai allora era lì?

   “Che diavolo ci fai qui?” domandò scocciata, continuando a toccarsi le tempie ma non perdendo di vista il demone bianco. Lui, però, non mosse un muscolo, rimase seduto a ridosso di un tronco, con una gamba alzata dove appoggiava il braccio destro. Non le rispose nemmeno, chiudendo gli occhi.

   ‘Ma che…mi prende in giro??’ pensò Hitomi. “Ehi! Sto parlando con te!” urlò. Il comportamento

Di quell’individuo le dava veramente sui nervi.

   “Potresti ringraziarmi per aver salvato la tua vita invece di urlare, stupida ragazzina.” Rispose atono il demone cane, con una leggera punta di irritazione.

Hitomi rimase di stucco per un attimo, stupita da quello che le sue orecchie canine avevano appena sentito. Era davvero insopportabile!

   “E chi ti ha chiesto di farlo? Avresti potuto lasciarmi li a morire..”

   “L’avrei fatto…” la interruppe lui aprendo gli occhi e puntandoli dritti in quelli di Hitomi, a cui si raggelò il sangue nelle vene. “…solo che il tuo agire in modo stupido ha agitato gli spiriti delle montagne e non ho potuto agire tranquillamente. Eri solamente un intralcio nel mio cammino.” Sentiva che da un momento all’altro lui si sarebbe alzato e l’avrebbe sventrata. Anzi, probabilmente non l’avrebbe nemmeno visto mentre la uccideva, tanto era veloce. Non riuscì a sostenere quello sguardo troppo pesante anche per una testarda come lei, e si girò, fissando un punto indistinto della foresta.

   “Tsk…” disse soltanto. Digrignò i denti, frustrata da quella situazione. Non le era mai capitato di non riuscire a sostenere uno sguardo, nemmeno quello di suo padre la intimoriva, ma quel demone…aveva qualcosa che le metteva una tremenda paura e odiava ammetterlo, anche a sé stessa. Quell’essere emanava odio puro, non provava emozioni al di fuori dell’indifferenza e dell’ira distruttiva che poteva scatenare.

Si sentì percorrere da un brivido quando notò che si mosse, ma quando si voltò vide che se ne stava andando. Rimase stupita.

   “Dove stai andando??” gli disse alzandosi in piedi e barcollando appena. La testa le pulsava in modo insopportabile.

   “Sai cosa ti succederebbe se provassi a seguirmi.” Disse lui continuando a camminare imperterrito.

   “Aspetta solo un attimo…! Cosa vuoi che sia un attimo per un demone che può vivere in eterno…?”

Lui si bloccò, quasi fosse interessato a quello che Hitomi stava per dirgli o forse era semplicemente annoiato, chi può dirlo? Dopotutto, un misero minuto non era nulla di fronte all’eternità che aveva davanti.

   “Cosa vuoi?”

   “Volevo…ringraziarti, ecco.” Disse Hitomi, un po’ imbarazzata dalla situazione.

   “Solo questo? Dei miseri ringraziamenti? So di avere una lunga vita ma di certo non sprecherò del tempo ascoltando certe idiozie.” Rispose lui, riprendendo a camminare.

Per l’ennesima volta, Hitomi rimase senza parole. Che sfrontato! Dopo che lei lo aveva ringraziato per il suo gesto casuale!

   “Ehi, bastardo, sei stato tu a dirmi che avrei dovuto ringraziarti!!” sbraitò la giovane lupa verso l’altro, che nemmeno la badò.

   “Ascoltami, maledizione!!” Hitomi cominciò a camminare nella sua direzione, quando la sua voce la bloccò un’altra volta.

   “Ti ho detto di non seguirmi.” La gelò lui. Ma Hitomi non voleva lasciar perdere, non questa volta.

   “Tu sai qualcosa, non è vero?” cominciò, cercando di mantenere la calma. “Riguardo a quelle montagne…ti prego, dimmi quello che sai.”

   “Certo che sei proprio una ragazzina sfrontata e fastidiosa.” Le rispose gelido.

   “Ti…ti prego…! Aiutami…ne ho bisogno…” Hitomi era sincera. Fissava il terreno sotto i suoi piedi, mortificata per quello che aveva appena dovuto dire. La verità. Sapeva che avrebbe avuto bisogno di quel demone per scoprire qualcosa, da sola non poteva farcela.

Ma non aveva ricevuto risposta. Nulla. Continuava a fissarsi i piedi, le orecchie abbassate, ma strinse i pugni quasi facendosi del male.

   “Per favore, almeno…!” ma si bloccò quando, alzando gli occhi per affrontare il suo interlocutore, se lo ritrovò proprio di fronte a lei, ad uno schiaffo dal suo viso. La fissava dall’alto, la sua figura imponente sovrastava Hitomi che si ritrovò schiacciata sotto quegli occhi d’oro capaci di congelare l’anima più calda. Il suo cuore pulsava al massimo mentre lo fissava con gli occhi sbarrati, credeva che l’avrebbe uccisa quando vide qualcosa sul suo viso perfetto.

   ‘Quello per caso…è un piccolo sorriso…?’

Una piccola speranza si aprì nel cuore di Hitomi, che accennò un piccolo sorriso. La vicinanza al demone le fece percepire il suo odore talmente intensamente da farle quasi girare la testa. Quel profumo di erba, di foresta, la mandò per un attimo in estasi.

   “Mi aiuterai?” disse in un soffio.

   “Verrò io a cercarti.” Dettò questo sparì come una folata di vento, lasciandosi alle spalle solo il suo estasiante odore. Anche se, doveva ammetterlo, si sentiva un po’ sollevata ora che se ne fosse andato. Quel demone sapeva essere seducente quanto terribile.

Si appoggiò di nuovo al tronco che aveva dietro di sé, rilassandosi e sorridendo serena. Una speranza faceva breccia nel suo cuore.

   ‘Forse posso farcela…scoprirò la verità.’

Ma non fece a tempo a mettere in ordine i propri pensieri che l’ansia e la tensione si impadronirono nuovamente di lei. Si raddrizzò e strinse i pugni, i muscoli erano completamente in tensione mentre fissava un punto bene preciso alla sua sinistra. Poco dopo, dall’ombra degli alberi, uscì una figura imponente quasi quanto quella che fin poco prima si trovava lì con lei. Deglutì in modo impercettibile. Suo padre la puntava con uno sguardo carico di rabbia e sfida.

 

 

 

Una lieve venticello si levò nella foresta, scompigliando la chioma fluente della giovane lupa Hitomi, la quale non si scompose, non batté ciglio, tenendo lo sguardo dorato puntato in quello gelido e duro del padre.

Il capoclan dei Lupi Bruni fissava sua figlia non muovendo un solo muscolo, era immobile, statuario e impassibile, ma la rabbia e l’ira furente che crescevano in lui potevano essere facilmente notate dalle vene pulsanti sulle tempie e dalla mascella contratta.

I due continuavano a sostenere l’uno lo sguardo dell’altra, imponendo a loro stessi di non cedere di fronte a chi aveva torto. Era in corso una lotta psicologica durissima, soprattutto per Hitomi che odiava questo tipo di confronto con il padre. Lei si lasciava sempre trasportare dai sentimenti e spesso non riusciva a controllare le parole e le azioni, in preda alle sue emozioni. Ma ciò che più preoccupava la giovane youkai non era tanto il fatto di aver disubbidito agli ordini del padre, quanto il suo recente incontro con il glaciale demone cane. Si sa, lupi e cani sono in conflitto da millenni e Akeshi non era il tipo di capoclan dalla mente aperta. Detestava i demoni cane all’inverosimile, lo avevano umiliato e colpito nel profondo, uccidendo la sua compagna. Hitomi sperava che il vento, sempre più forte, avesse confuso le tracce di odore del suo nuovo “alleato” con gli innumerevoli odori della foresta, ma le sue speranze di dissolsero in un attimo quando notò il naso del padre arricciarsi.

   “Chi c’era qui con te, Hitomi?” la voce di Akeshi sembrava un tuono, sovrastava anche il frusciò intenso delle foglie, arrivando alle sensibili orecchie della youkai come lame. Era un tono che non ammetteva giri di parole.

   “Questi non sono affari vostri, padre.” Rispose dura Hitomi, non distogliendo lo sguardo.

Akeshi perse definitivamente quel poco di autocontrollo che gli rimaneva, cosa assai rara.

   “Rispondimi!!!” urlò l’anziano lupo, espandendo la propria aura e creando un vortice intorno a loro che costrinse Hitomi a proteggersi con le braccia nude. Proprio come arrivò, in un attimo il vortice creato da Akeshi si dileguò, ma la collera del demone no, quella rimase viva come una fiamma. Stava cercando di darsi un minimo di contegno, ma ciò che la figlia continuava a fargli, tutti i torti subiti, lo mandavano in bestia.

Puntò il suo sguardo rabbioso dritto sulla figlia e si avvicinò con un solo scatto, con una velocità strabiliante, al limite del concepibile, soprattutto per un demone anziano come suo padre. Lui aveva la capacità di stupire la figlia anche in situazioni del genere.

  “Tu NON sai a cosa stai andando incontro, NON LO SAI AFFATTO!!” il padre fissava ora la figlia dall’alto, troneggiando sulla sua esile figura. “Stai giocando con il fuoco Hitomi, e non vuoi ascoltarmi!!”

  “Io voglio soltanto capire, padre!! Perché non me ne date la possibilità? Mi state vietando qualsiasi cosa!!” sbottò la ragazza, in preda anche lei della foga e della rabbia.

  “Sei troppo giovane per affrontare certi problemi, dovresti concentrarti più sul tuo futuro e non su cose non alla tua altezza!!”

  “Ma questo E’ il mio futuro!! Voi mi state tappando le ali, e non solo in questo caso, non mi permettete neanche di cercare chi ha ucciso mia madre!! Voi avete gettato la spugna, io no e voi non mi date fiducia!!” le ultime parole dette da Hitomi furono la goccia che fece traboccare il vaso della pazienza di Akeshi. La giovane lupa nemmeno si accorse, non vide la mano del padre che gli sferrò uno schiaffo in pieno volto. La collera di Akeshi era talmente alta per le parole accusatorie ricevute dalla figlia che non si preoccupò di quanto forte avesse mosso il braccio, accorgendosi solo poi di averle rotto il labbro inferiore. Un rivolo di sangue rigò il mento di Hitomi, che guardava incredula il padre. Lui non le aveva mai fatto del male, infatti anche Akeshi era parecchio scosso per il suo gesto, ma la figlia gli aveva fatto raggiungere un limite mai superato da nessuno.

Nessuno dei due parlò, entrambi si guardavano sconcertati per l’accaduto. Il primo a spiccare parola fu Akeshi, che si girò dando le spalle alla figlia, e si incamminò verso il clan.

  “Prima o poi ti brucerai con il fuoco con cui giochi, Hitomi, e chissà se io sarò in grado di aiutarti in quel momento.” Detto ciò, sparì di fronte agli occhi ancora increduli della figlia.

Le ultime parole del padre ferirono molto la giovane youkai, che rimaneva immobile senza muovere un solo muscolo. Nemmeno la mente le dava qualche consiglio, qualche pensiero. Il nulla più totale. Quella discussione col padre aveva ferito entrambi, in modo forse irreparabile. Ad un tratto, Hitomi sentì le lacrime salire dentro di lei, come un fuoco che gli bruciava gli occhi, così decise di muoversi da quel posto maledetto e cominciò a correre

  ‘No, NON DEVO piangere, maledizione.’

Corse a perdifiato, non sapeva nemmeno verso dove, correva come se fosse l’unica cosa che la tenesse in vita, come se smettesse di muovere le sue gambe anche il suo cuore avesse smesso di battere. Solo poi si accorse di essere arrivata al fiume Ojima che segnava la metà della valle del suo clan. Cadde in ginocchio sui ciottoli con il fiato corto e lo sguardo perso verso i confini più remoti di quelle terre, che un giorno sarebbero appartenute a lei.

  ‘Sempre se mio padre mi vorrà ancora come figlia…’ pensò amaramente.

Guardò il proprio riflesso distorto sull’acqua corrente del fiume, non riconoscendosi più. L’incontro con il padre l’aveva scossa, non le era mai successa una cosa del genere. Era sempre stata in grado di affrontare situazioni scomode, soprattutto con il padre. Ma stavolta…

  ‘BASTA Hitomi, riprenditi!’ si disse. Ma non ne era convinta fin nel profondo, lo sentiva.

Ripulì il mento dal sangue e si alzò in piedi, ricominciando a correre verso il luogo in cui avrebbe trovato un po’ di pace.

 

 

 

 

  La Grande Quercia era sempre stata la più grande amica e confidente della giovane lupa. Certo, non potevano parlare, ma la connessione che c’era tra di loro, che Hitomi sentiva forte dentro di sé, l’aveva aiutata a superare qualsiasi ostacolo grazie alla serenità che quel vecchio albero riusciva a infonderle. Hitomi amava respirare l’aria, il profumo che c’erano in quel piccolo angolo di mondo; amava osservare come gli esseri viventi si sentissero veramente bene e liberi vicino alla Quercia; amava sentirsi parte di quel mondo, quell’albero era stato sempre il suo rifugio, aveva sempre preso le sue parti, l’aveva sempre consolata e calmata, nonostante Madre Natura gli avesse negato la parola.

La youkai era comodamente appoggiata al suo ramo preferito, quello che puntava verso il fiume Ojima, ormai colorato di rosso dalle luci del tramonto imminente. Aveva passato una giornata spossante, ne sentiva il vero peso solo ora che si era finalmente rilassata. Si sentiva stanca, sia fisicamente che mentalmente. La discussione con il padre l’aveva distrutta.

  “Cosa devo fare?” domandò ad alta voce alzando lo sguardo verso la folta chioma primaverile dell’albero. I rami si mossero, quasi rispondendole, liberando nell’aria attorno a lei dolci profumi. Chiuse gli occhi, assaporando, con il suo fiuto delicato, tutte le sfumature che la brezza le donava. Fiori, corteccia, resina, erba…erba. Anche Lui profumava di erba fresca, quella appena germogliata in primavera. Un dolce profumo per un demone di ghiaccio.

Aprì istintivamente gli occhi, sorprendendosi di aver pensato subito a quel demone conosciuto da poco come se fosse la cosa più automatica che facesse. Che strano individuo…ne aveva conosciuti di demoni spietati, assassini di donne e bambini, divoratori di anime. Esseri orribili, di qualsiasi genere, ma un demone come Lui non lo aveva mai incontrato. Così misterioso, così inaccessibile…non riusciva a capire cosa lui volesse da lei, perché non l’avesse uccisa il giorno del loro primo incontro. Perché in fondo, lei sapeva fin troppo bene che Lui l’avrebbe potuta uccidere senza la minima indecisione…di colpo le balenò in mente ciò che le aveva detto suo padre appena l’aveva incontrata.

  …“Chi c’era qui con te, Hitomi?”…

Perché suo padre le aveva fatto quella domanda? Aveva sentito sicuramente l’odore del demone cane. Il suo sguardo, poi, non lo avrebbe di certo potuto dimenticare. C’era ira nei suoi occhi, rabbia nei suoi confronti, ma c’era anche qualcos’altro. Era Odio, ci avrebbe scommesso. E sapeva che suo padre, per quanto arrabbiato potesse essere, non l’avrebbe MAI odiata. Allora c’entrava per forza quel demone.

Doveva trovarlo. Anche se Lui le aveva detto di aspettare, lei non poteva starsene con le mani in mano. Non era di certo il tipo. Voleva capire la reazione di suo padre. E poi, a casa ora non poteva tornarci...

Si decise. Si alzò in piedi, affinando al massimo tutte le sue abilità sensoriali. Non sarebbe stato di certo un gioco da ragazzi trovarlo. Ma lei ci sarebbe riuscita.  

  ‘E poi…’ si disse ‘non so ancora il suo nome.’

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Prima di tutto…mi scuso ENORMEMENTE con tutte le persone che hanno cominciato a leggere la mia storia e che hanno temuto, date le circostanze, che non l’avrei mai conclusa. Sono tornata!

Ho avuto un sacco di problemi, sia di salute che di famiglia…in più quest’anno ho anche la maturità e la cosa mi stressa non poco. Ho cercato di ritagliare un po’ di tempo da dedicare a voi e alla storia, ma sono riuscita solo oggi a pubblicare il 4° capitolo (mannaggia, sono solo al quartooooooo).

Spero di riuscire ad aggiornare al più presto, anche per rispetto nei confronti di chi segue la mia storia. Vi assicuro, però, che non abbandonerò questa FF, ci tengo troppo… Mi scuso ancora con tutti!

Parlando un po’ del capitolo…non voglio essere troppo frettolosa nel raccontare, ma neanche troppo noiosa, e spero di non esserlo stata! Sesshomaru compare poco (ahimé), sembra quasi un personaggio secondario…ma vi assicuro che non lo è! Più avanti capirete ^^ non vedo l’ora di proseguire, anche perché muoio dalla voglia di raccontare la storia anche dal punto di vista del nostro Principe ^^

Scusate ancora e spero che continuiate a commentare e a seguirmi così numerosi, siete la mia gioia!

Un bacio, a presto! <3

Carlotta

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


 

 

CAPITOLO 5

 

Il sole si rifletteva sulle alte montagne che confinavano con le Terre dell’Ovest, facendo brillare i minerali delle pareti rocciose, diventate un’esplosione di colori intensi e caldi, come il cielo prossimo al tramonto.

Il signore di quelle terre sconfinate riposava dentro un anfratto sulle montagne scarlatte, nascosto da occhi indiscreti. Ammirava fiero le terre sotto di lui, le Sue terre, dove aveva combattuto infinite battaglie, da cui era sempre uscito fieramente vincitore. Tutti lo temevano, era conosciuto come Lord Sesshomaru, figlio del Grande Demone Cane, che gli lasciò in eredità il dominio su quelle terre. Qualsiasi demone lo conosceva. O meglio, non tutti. Perché quella piccola sfrontata della figlia di Akeshi non sapeva chi egli fosse. Ma dove diamine viveva?

  ‘Meglio così.’ pensò il daiyokai. Un piccolo, impercettibile sospiro uscì dalle labbra semi-dischiuse del glaciale demone cane, mentre con uno sguardo diverso da prima ritornava a fissare le Terre dell’Ovest. Queste cominciavano a cambiare tonalità, segno che la notte stava arrivando, pronta a coprire con il suo manto scuro ogni cosa. Pensare alla giovane lupa gli aveva fatto riaffiorare nella mente ciò che in quei tempi più lo infastidiva. O meglio dire, preoccupava. Si, perché anche un daiyokai della potenza e del calibro di Sesshomaru, a volte, si preoccupa. Specialmente quando sa che quello che dovrà ben presto affrontare sarà rischioso anche per un demone come lui.

 

 

 

  La notte era scesa furtiva come un ladro, ricoprendo ogni cosa con il suo pacato manto scuro e addormentando i colori della foresta e le creature che ci vivono durante il giorno. Tuttavia, la notte era anche l’inizio di un nuovo giorno per altri demoni e animali, che prendevano ora il sopravvento nelle vaste terre dominate dagli alberi secolari. Tutto cambiava aspetto e forma. La luna, ormai quasi piena, inondava la foresta con la sua luce mistica, rendendola quasi un posto fatato; cambiavano i suoni e i rumori che riecheggiavano nelle vaste lande, rendendo tutto diverso, come se la foresta della notte e quella del giorno fossero due universi distinti; anche l’odore stesso del bosco mutava, si addolciva, diventava meno intenso di quello che facevano percepire i raggi del sole quando scaldavano i tronchi, l’erba, le foglie.

Hitomi percepiva benissimo questa metamorfosi della foresta e ne rimaneva ogni volta estasiata. Amava la notte, amava la luce della luna, amava le ombre scure che si muovevano furtive dando sempre un senso di mistero a quei luoghi. Purtroppo, però, quella notte non l’avrebbe passata come al solito, divertendosi con le creature della foresta o sorvegliando confini. No, avrebbe fatto qualcosa di molto più importante ed eccitante quella notte.

La luna ormai prossima alla completezza dava carica alla giovane youkai, che aveva affinato al massimo delle proprie capacità d’udito, olfatto e vista alla ricerca del demone cane che, però, sembrava svanito nel nulla.

Correva in direzione verso la quale il demone dai capelli d’argento era scomparso l’ultima volta che l’aveva incontrato, verso le montagne. Ma di lui non aveva trovato ancora nessuna traccia, nemmeno una brevissima scia di odore. Nulla.

  ‘Dove diavolo si è nascosto quel dannato cane?’ pensava infastidita Hitomi. Era bravo a nascondersi, se non voleva essere trovato ci stava riuscendo bene. Ma la giovane lupa non sopportava chi si nascondeva, soprattutto se questo aveva deciso di aiutarla, in qualche modo.

Si fermò poco prima dell’inizio dei monti Urishima, era ancora nascosta nell’ombra degli ultimi alberi. Cominciava ad innervosirsi, ma era l’ultima cosa che voleva. Doveva restare calma e lucida. Quella era una prova.

Chiuse lentamente gli occhi dorati e sospirò, liberando la mente. In fondo, la sua specialità erano proprio i suoi sensi acutissimi. Rilassò la muscolatura e concentrò tutta la sua attenzione sul naso e sulle orecchie, che non smettevano di muoversi come radar. Sembrava una statua da quanto era ferma e composta nella sua posizione, assomigliava quasi ad una dea della foresta. La tremula luce della luna che filtrava tra le foglie le illuminava appena il volto lineare, dando alla sua pelle piuttosto colorata una parvenza cinerea, come fosse marmo. La pelliccia che indossava, umida di rugiada fresca della notte, risplendeva, impreziosendo la sua figura alta e snella, agile e scattante.

Rallentò il proprio battito cardiaco, che altrimenti le rimbombava nelle sensibili orecchie, ascoltando fruscii, sibili, movimenti provenienti anche da luoghi molto distanti da dove si trovava lei. Cercava di focalizzare nella sua mente immagini legate a quei suoni, ma nulla le ricordava il demone cane.

Allora concentrò le sue forze solamente sull’olfatto, gettò la testa indietro facendo muovere la sua folta chioma aurea e respirando una boccata d’aria a pieni polmoni. E sì, eccola lì; una piccola, impercettibile traccia di quell’odore così particolare e intenso da non poter essere dimenticato. Era Lui, ne era più che certa. Aprì gli occhi e scattò fulminea verso ovest, seguendo il confine delle montagne, ma sempre tenendosi a debita distanza. L’aveva trovata, una debole scia, molto vecchia, forse di alcuni giorni, lasciata dal demone di ghiaccio. La seguiva, veloce e silenziosa, quasi avesse paura di spaventarla e di perderla, facendosi sfuggire così l’unica possibilità che aveva di trovare quel dannato demone.

Non appena arrivò al confine tra le sue terre e quelle dell’Ovest di bloccò, percependo un picco di quell’odore. Si era intensificato, ora lo percepiva quasi come Lui fosse li con lei. Fissò le alte pareti delle montagne, scrutandole attentamente. Lui sapeva che lei era li. E si era lasciato trovare.

 

 

 

  Buio. Nient’altro che un buio opprimente, pesante, regnava in quella grotta. Si faticava a scorgere qualsiasi cosa. O quasi. Se ci si concentrava si poteva notare un piccolo particolare che risplendeva di una luce propria, fioca, che non illuminava nulla intorno a sé. Un volto. Mistico, scultoreo, misterioso. Si mosse appena, lasciando che alcuni ciuffi argentei venissero illuminati dal chiarore argenteo della luna. E, ad un tratto, un sorriso appena accennato apparve su quel volto di marmo, disumano nella sua perfezione.

  ‘Brava questa ragazzina.’

 

 

 

  Hitomi fissava l’imponente parete rocciosa illuminata dalla luce della luna, la quale la faceva risplendere quasi come fosse stata di diamante. Era uscita completamente allo scoperto, non si preoccupava più di nascondere la propria presenza: Lui sapeva perfettamente che lei si trovava ai piedi delle montagne. Probabilmente sapeva anche che Hitomi stava fissando la piccola apertura nascosta tra gli spuntoni di roccia. Certo che si era trovato un bel posticino dove nascondersi!

La parete di fronte a lei era davvero ripida, a tal punto da rendere difficile sia la salita ma, soprattutto, la visione di quella piccola grotta nascosta. Solo un occhio che conosceva quelle montagne poteva scorgere quell’anfratto.

Ora, però, tutta la difficoltà stava nell’arrivarci, lassù.

  ‘E’ davvero alto, quel bastardo salta come una cavalletta.’ Rimuginò la giovane lupa. Ma quella era la Sua notte, la luna le trasmetteva una carica e un’energia che le facevano ribollire nelle vene il sangue demoniaco. Sorrise, anzi, ghignò, divertita da quel continuo senso di sfida che aleggiava tra lei e quel misterioso demone.

Tese ogni singolo muscolo del corpo, fissando intensamente la piccola grotta, ora illuminata appena dal chiarore lunare. In un attimo tese le gambe muscolose e si lanciò verso l’alto, spostando appena qualche centimetro di terra sotto ai piedi nudi. Saltò con destrezza e leggiadria, tanto da non emettere nemmeno un piccolo suono, tranne quello labile dello spostamento d’aria. Fu rapidissima. Un momento prima era a terra e l’attimo dopo si trovava in piedi di fronte alla grotta.

Fissava ora quel buco nero che pareva senza fine, come se fosse la strada che conduceva direttamente nel ventre della montagna. L’ombra di Hitomi si perdeva in quel mare di pece nera, mentre la sua figura ancora tesa si ergeva di fronte all’ingresso. Dentro, il vuoto. O, almeno, sembrava. La giovane youkai sentiva che quella grotta non era vuota. Sebbene la montagna emanasse una forte aura demoniaca, Hitomi percepiva chiaramente l’aura del candido demone. Sentiva il suo sguardo puntato su di lei. Per un attimo, un istante soltanto, si sentii vulnerabile sotto lo sguardo penetrate che si sentiva addosso, anche se non riusciva a vedere gli occhi del suo proprietario.

  ‘E per fortuna…’ pensò tra sé e sé. Si perché sapeva, in cuor suo, che se avesse incrociato ora quegl’occhi ambrati, caldi e gelidi al tempo stesso, immortali come il loro possessore, sarebbe stata in balia di quel demone, degli eventi, dei suoi istinti resi più aggressivi dal potere della luna…STOP! No, assolutamente no, doveva riprendersi, non doveva cedere a quelle sue debolezze.

  ‘Maledizione, ma che mi prende? Da quando mi faccio influenzare in questa maniera dal primo che mi passa sotto il naso?’

Stizzita dai suoi stessi pensieri, si riscosse in un attimo, tornando in sé. Non voleva più aspettare.

  “Ehi!” ringhiò “So che sei lì dentro e presumo che tu sappia perché sono qui. Vieni fuori.”

Silenzio. Non un sibilo, né un rumore. D’un tratto, un fruscio, lieve, quasi impercettibile.

  ‘Si è alzato.’ Pensò Hitomi, perdendo per un attimo un battito.

  “Mi disturbi e pretendi di dettar legge? Sfacciata.”

Quella voce, così glaciale, indifferente, resa più profonda, cavernosa, dalla grotta, investì la youkai come un’onda anomala. Il suo odore la inebriava come una droga, la sua voce gli rimbombava nelle orecchie invadendole la mente e impossessandosi dei suoi pensieri. Cos’erano tutte quelle sensazioni? Sentiva il cuore accelerarle appena, il sangue che scorreva velocemente nel suo corpo, arrivandole alla testa e facendole perdere per un istante la missione, i segreti e il motivo per cui si trovava lì. I suoi istinti nascosti nella parte più profonda di lei si stavano risvegliando, e pretendevano di essere ascoltati.

  ‘La luna…dev’essere la luna. È più potente del solito…’ pensò, cercando di convincere sé stessa.

  “Hai perso la parola? Non ho tempo da perdere, io.” Detto questo il misterioso demone bianco si mostrò a Hitomi, avvicinandosi alla soglia della grotta e facendosi illuminare appena dalla luce della notte. La giovane lupa fece appello a tutto il suo odio verso quel tipo così arrogante e sfrontato, fissando un punto indistinto su quel volto così dannatamente perfetto.

  “Sai bene perché sono qui, non fare l’idiota! Devi aiutarmi.” Disse Hitomi, mostrando appena i denti.

  Devo? Io non devo fare un bel niente, ragazzina, non ho obblighi verso nessuno.” Rispose glaciale il demone cane, per nulla intimorito dalla lieve minaccia della lupa.

  “Allora non sei un demone di parola.”

  “Non ti ho mai dato la mia parola a proposito di nulla.”

  “Avevi detto che mi avresti cercata.” Ritentò Hitomi, stavolta cercando di sembrare più controllata.

  “L’ho fatto?” rispose il candido demone. Hitomi non ci vide più.

  “Vuoi aiutarmi si o no?? Perché nemmeno io ho tempo da perdere, se è per questo, specialmente con un tizio a caso che invece di avere delle risposte per me ha solo altre domande!” esplose dalla rabbia, fissandolo ora negli occhi. Lui, imperturbabile come sempre. Non una mossa, né un espressione sul viso. Nulla. Forse un lieve fastidio nel suo sguardo dopo quell’uscita così aggressiva di Hitomi.

  “Vedi di imparare a controllarti, ragazzina.” Disse, scomparendo nuovamente nell’ombra. Anche il suo odore e la sua aura andavano via via diminuendo. Se ne stava andando.

  ‘Eh no, maledizione! Non mi scappi.’ Pensò la giovane youkai, mentre si fiondava, anche lei, in quell’oblio nero.

 

 

  Nessun odore avevano quelle montagne. Nessun suono emettevano quelle rocce. Nessuna vita viveva tra quelle intricate gallerie. Che posto era mai quello?

Hitomi si accorse che il demone bastardo, come lo aveva chiamato nella sua mente, non se n’era andato, non aveva nemmeno tentato di fuggire. Si stava facendo seguire all’interno di quel labirinto di roccia. L’unico punto di riferimento che lei avesse era il Suo odore, che rimaneva immutato anche dentro a quella montagna apparentemente morta. Come diavolo faceva Lui ad orientarsi lì dentro, se nemmeno lei, con i suoi sensi raffinati, ci riusciva?

  “Sesshomaru.” Disse Lui ad un tratto, senza che Hitomi avesse proferito parola. Lei restò spaesata.

  “Che diavolo vuol dire?” rispose, forse un po’ troppo sprezzante.

  “E’ il mio nome.” disse soltanto, come se non gli importasse minimamente di come lei gli si rivolgesse.

  Sesshomaru…’ ripensò tra sé e sé la youkai. Non riusciva a capire cosa quel nome le ricordava. In qualche lato recondito della sua memoria doveva aver già sentito quel nome, lei ne era certa.

Si riscosse dai suoi pensieri quando andò a sbattere contro qualcosa di duro ed imponente. La schiena di Sesshomaru.

  “Stai attenta, maledizione.” Disse lui leggermente irritato.

Hitomi si accorse solo ora che l’aria, laggiù, era diventata calda all’inverosimile e pressoché irrespirabile. Odorava di zolfo, di sangue, di morte. Terribilmente familiare. Fu un attimo, un flash che la riportò a qualche giorno prima.

 

[…] Alzò lo sguardo e si ritrovò in un posto completamente diverso da quello di prima. Tutto era iniettato di rosso, l’aria irrespirabile carica di esalazioni tossiche, urla di anime disperate le rimbombavano in testa. Era finita all’inferno? […]

 

Sentiva l’ansia crescerle dentro, il sudore che le imperlava la pelle le sembrò come acqua gelida. Tremò, non sapeva nemmeno lei per cosa, tante erano le preoccupazioni, i pensieri e i disagi fisici che aveva in quel momento. Sesshomaru si mosse. E lei si affrettò a seguirlo, standogli un po’ più vicino, come se fosse l’unica sua ancora di salvezza. Stava tornando all’inferno?

 

  Camminarono ancora, Hitomi non seppe dire per quanto tempo. I suoi sensi, resi sensibili dalla luna, erano nel caos più totale, alche si sentiva spaesata, confusa. Sudava freddo, faticava a rimanere lucida.

  “Ce la fai?” le chiese ad un tratto Sesshomaru. Nessun accenno di preoccupazione, ne tantomeno di interesse. La considerava forse troppo debole per affrontare ciò che le avrebbe mostrato?

  “Ovvio.” Rispose Hitomi, atona.

Le parve di svoltare a sinistra e, subito dopo, fu luce. Le parve, anche, di vedere la fine di quell’interminabile galleria, ma sembrava di finire direttamente nella fauci di un demone. Vedeva solo fuoco, un rosso così intenso che le faceva percepire tutto il calore del cuore della montagna, facendole bruciare gli occhi. Li chiuse. Come faceva Sesshomaru a sopportare tutto questo? Era uno strazio vero e proprio per i suoi poveri sensi. Il suo candido accompagnatore avanzava imperterrito, facendo attenzione a non toccare le pareti, che sembrava essersi strette attorno agli indesiderati ospiti. Ora Hitomi riusciva a scorgere delle forme abbozzate attorno a lei. Vedeva la roccia sudare, pareva squagliarsi anch’essa a causa di quel calore disumano. Alzò lo sguardo e fissò Sesshomaru. La schiena imponente le copriva la visione di quella luce, sembrava imperturbabile, nulla poteva scalfirlo nella sua imponenza. Ma, quando un ciuffo argenteo si spostò, mostrando il collo del demone, Hitomi notò che anche lui stava sudando. Lo vide, d’un tratto, appoggiare la mano sinistra all’elsa di una delle spade che portava alla cintola. La youkai si irrigidì di colpo. Che diavolo succedeva adesso?

  “Stai in silenzio ora. Concentrati e rallenta il battito cardiaco. Non ci devono sentire.”

Chi non doveva sentirli? Per un attimo si lasciò invadere dall’agitazione. Si spostò di lato, voleva disperatamente vedere ciò che la schiena di Sesshomaru le nascondeva. Si accorse solo in quel momento che avevano davvero raggiunto la fine della galleria, trovandosi a strapiombo su una gola invasa da un fuoco che sembrava arrivare direttamente dai gironi infernali. Dalla voragine provenivano urla assordanti, voci di creature che non potevano appartenere al mondo dei vivi. Hitomi si sentiva stordita da questi rumori troppo intensi, ma qualcosa l’attirava inevitabilmente verso il limite estremo della galleria. Voleva poter guardare con i propri occhi chi o cosa emetteva quelle urla incessanti. In quel momento che si sentì tirare all’indietro e fu spinta addosso all’umida roccia. Quel poco di fiato che le rimaneva in corpo l’abbandonò, costringendola a boccheggiare mentre fissava Sesshomaru con occhi sgranati. L’aveva scagliata con forza contro la parete e ora la costringeva a rimanere immobile sotto il suo peso.

  “Zitta.” Disse perentorio.

Proprio mentre lei lottava per riavere un po’ d’aria lui le tappò la bocca con una mano artigliata, inchiodandola con lo sguardo. Un attimo, e tutto fu buio. Pareva che le fiamme che illuminavano la galleria e ardevano nella gola si fossero spente, soffocate. Sesshomaru la sovrastava con la sua imponente mole, Hitomi non riusciva a staccare gli occhi dai suoi, in preda alla confusione più totale. Poi, un rumore. Sordo, pacato.

  ‘Un battito d’ali..?’ pensò la lupa. Ma non sentiva la presenza di nessuno, né di un animale né tantomeno di un demone. Tentò di muoversi per guardare ciò che Sesshomaru le nascondeva, ma lui la teneva in una morsa, impedendole quasi di respirare. Sentì le gambe cederle. Fu un attimo. Per meno di un secondo Sesshomaru allentò la presa su di lei, e Hitomi riuscì appena a scostare la candida pelliccia del demone per osservare ciò che era comparso alla fine del tunnel.

Morte. Questo le parve di vedere. La morte. Il suo corpo si irrigidì nell’istante in cui vide quell’abominevole creatura che aveva visto soltanto qualche giorno prima. Ma era morta, questa invece era viva, se così si poteva dire.

Gli incavi vuoti neri come la pece del Gaki sembravano scrutare la galleria alla ricerca di qualcosa. Le mani erano artigliate alla roccia, così come i piedi, permettendo al demone dell’oltretomba di coprire l’apertura sulla gola. Le grandi ali membranose sbattevano con un ritmo pacato, quasi ipnotico, mentre il Gaki emetteva un suono gutturale sempre più intenso. Sembrava non riuscire a vederli, per fortuna. Forse Sesshomaru li aveva, in qualche modo, mimetizzati agli occhi dell’orrenda creatura. Ad un tratto, il Gaki urlò. Quel grido stridulo e malvagio inondò le gallerie dell’intera montagna, provocando un dolore inimmaginabile a Hitomi, che si portò inutilmente le mani alle orecchie. Si sentì male, la testa le girava vorticosamente, era stordita. Avrebbe voluto inginocchiarsi e vomitare, ma Sesshomaru la teneva saldamente in piedi. Cominciò a tremare, a causa degli spasmi dovuti al dolore. Poi, anche il panico l’assalì quando vide che il Gaki stava avvicinando la testa alla schiena di Sesshomaru. Avrebbe voluto urlare, ma il demone cane le tappò di nuovo la bocca. Un attimo dopo, il Gaki si gettò nel vuoto della gola, urlando ancora. E altre urla risposero in coro. Sesshomaru allentò la pressione su Hitomi, che stava lasciando cadere il proprio corpo inerme, ma subito la riprese, caricandosela sulle spalle.

  “Dobbiamo fuggire.” Disse solo Sesshomaru, poi scattò verso il buio della galleria.

 

 

 

  Hitomi non riusciva a parlare, tantomeno a correre o a muoversi. Era a malapena cosciente, sentiva la morbida pelliccia di Sesshomaru accarezzarle il volto.

  ‘Che bella sensazione…’ pensò intontita.

Non vedeva nulla, tutto era inghiottito dal buio. Niente più fiamme. Niente più aria intrisa di gas. Niente più urla. Cominciava a sentirsi meglio, ma il corpo non rispondeva ancora ai suoi comandi. Sesshomaru correva velocissimo, fuggiva da ciò che si erano lasciati dietro. Forse, quello che aveva mostrato ad Hitomi era troppo per lei.

Un’ultima svolta e finalmente vide la candida luce lunare illuminare l’uscita. Schizzò fuori dalla montagna e si gettò letteralmente nel vuoto, trattenendo con più forza Hitomi sulla schiena. Atterrò in mezzo agli alberi della foresta, ma non smise comunque di correre. Dovevano allontanarsi il più possibile da quelle montagne.

 

 

  Fiamme. Solo fiamme regnavano in quella gola angusta. Dozzine di Gaki volavano nell’aria carica di gas che odorava di morte e putrefazione. E altrettanti demoni nascevano, estratti dalle rocce. Non provenivano dall’Oltretomba vero e proprio, ma venivano letteralmente creati dai cadaveri di altri demoni, in cui venivano imprigionate anime corrotte e malvagie, che trasformavano, poi, i corpi nella loro forma di Gaki.

Tutto questo era vietato da qualsiasi legge morale, sia del mondo dei vivi sia dello stesso mondo dei morti. Non si poteva evocare le anime dannate dei morti e farli rivivere, imprigionandoli dentro altri corpi. Esse dovevano ricevere la loro punizione, secondo le leggi dell’Oltretomba, non ritornare in vita.

Ma tutto questo faceva parte del piano non di una mente folle, ne tantomeno corrotta. L’essere che guidava tutto ciò era pura malvagità, l’essenza del Male.

  “Si…signore…?”

Un piccolo demone, che somigliava molto di più ad un Goblin, si avvicinò in ginocchio davanti all’altare su cui poggiava il trono di colui che comandava. Egli era di spalle, mentre il suo servitore tremava sempre di più, cercando le parole giuste da dire.

  “Pare…che ci fossero degli intrusi, mio signore…”

La mano artigliata e scheletrica di quell’essere, artigliò il poggiolo del suo trono, frantumandole le estremità. Un suono gutturale carico d’ira spaventò ancor più il piccolo demone, che nascose la testa tra le esili braccia.

  “Trovateli.” Ringhiò il Male. “Ed uccideteli!!”

 

 

  Era da parecchio tempo, ormai, che Sesshomaru continuava la sua folle corsa. Cercava un luogo pressoché sicuro, lontano dagli esseri che ora abitavano dentro le montagne. Quello che aveva visto non gli piaceva per niente, il loro numero aumentava pericolosamente, e la preoccupazione di essere stati scoperti si stava insinuando come un tarlo nella sua testa.

  “Sesshomaru…per favore, fermati.” Sussurrò con filo di voce Hitomi, ancora aggrappata alla schiena del demone. Sesshomaru si spostò più all’interno della foresta, fuori dal percorso che stava seguendo, e si fermò. Hitomi scese dalla sua schiena e, barcollando sulle gambe che ancora non la sostenevano in pieno, si appoggiò ad un albero poco distante e vomitò quel poco che aveva nello stomaco. Tutta la tensione che aveva accumulato e il disagio fisico di prima sembrano averle dato pace, così si abbandonò con la schiena sul tronco dell’albero, sedendosi sull’erba fresca e umida della notte. Chiuse gli occhi e sospirò, sollevata di non essere più dentro quell’inferno.

  “Tutto bene?” le chiese Sesshomaru, seduto alla giusta distanza da lei.

  “Più o meno. Non è stata proprio una passeggiata…” rispose lei, ancora con un po’ di fiatone.

  “Penso che tu ti sia resa abbastanza conto in che genere di situazione ti stai cacciando. Sei davvero sicura di riuscire ad affrontare tutto questo?” la voce di Sesshomaru era tagliente. Nel suo tono non c’era un accusa di debolezza nei confronti di Hitomi, ne tantomeno di arroganza. Era soltanto la pura e semplice verità.

  “Sinceramente? Non lo so…” rispose sospirando la giovane youkai. “Ma anche se mollassi arrivata a questo punto cosa cambierebbe? Assolutamente niente…purtroppo quello che sta per succedere non è solo un problema tuo, o mio, ma sarà, purtroppo, un grosso problema per tutti quanti se non li fermiamo in tempo.”

Sesshomaru fissava Hitomi mentre lei perdeva il proprio sguardo nell’immensità della foresta. Poteva notare come sembrasse davvero provata, sia fisicamente che mentalmente, dopo quel breve incontro nelle montagne. Il daiyokai si chiedeva se davvero ce l’avrebbe fatta ad affrontare una battaglia di dimensioni spropositate come quella che prevedeva. D’un tratto, un guizzo fece brillare gli occhi di Hitomi, che ora si era voltata verso di lui inchiodandolo con uno sguardo carico di una determinazione che non credeva potesse avere.

  “Premesso questo…” disse la lupa. “…allenami, Sesshomaru.”

Il candido demone rimase per un attimo di stucco, senza però far trasparire nulla dalla sua maschera glaciale di indifferenza. Lui allenare qualcuno? In tutte le centinaia di anni in cui aveva vissuto non aveva mai allenato nessuno, tantomeno aveva pensato di farlo. Ma ora quella giovane e sfrontata youkai che aveva di fronte lo fissava con uno sguardo che pareva non ammettere una risposta negativa.

  “Tsk. Cosa credi, che io vada in giro ad allenare i primi mocciosi che mi capitano a tiro? Hai sbagliato in pieno ragazzina.” Rispose gelido.

  “Non te lo sto chiedendo, infatti.” Disse di rimando Hitomi. Ora Sesshomaru era davvero sorpreso dalla sfrontatezza della figlia di Akeshi.

  “Diciamo che la nostra è una specie di ‘alleanza’.” Continuò Hitomi. “Penso che di certo non rifiuteresti l’aiuto di qualcuno che possa coprirti le spalle in battaglia.”

  “Non ho mai avuto bisogno di nessuno, io.”

  “Ma questa non è una guerra che puoi combattere da solo, e lo sai benissimo anche tu. Potrei esserti davvero utile.”

  “E come fai a dirlo?” Sesshomaru si alzò in piedi, mostrandosi in tutto il suo imponente fascino misterioso. “Da quello che mi hai mostrato oggi non sei nemmeno in grado di sopportare la

presenza di un Gaki vivo. E tu mi saresti utile in battaglia?”

  “Ho le capacità per imparare ad essere più forte, lo sai anche tu.” Rispose perentoria Hitomi, alzandosi anche lei in piedi e avvicinandosi a Sesshomaru, senza però aria di sfida o arroganza.

  “Puoi allenarmi e farmi diventare in grado di sostenere questo tipo di battaglia. Se non lo farai tu, lo farò da sola. Devo pur sempre proteggere il mio clan, la mia non è una guerra personale.”

I due si fissavano con un’intensità tale da estraniarli dal resto del mondo, come se fossero in un universo tutto loro. Hitomi cercava di sostenere lo sguardo di Sesshomaru, sempre glaciale e indifferente, come se stesse guardando un qualsiasi insetto del bosco. Ma ormai la lupa aveva capito che la sua non era proprio solo arroganza. Lui era semplicemente così. E l’avrebbe fatta diventare incredibilmente forte.

  “Va bene.”

Dopo quello che sembrava un tempo interminabile, Sesshomaru acconsentì. E fu allora che il candido demone si sorprese ancora di più della giovane che aveva di fronte. Gli stava sorridendo. Pensò che mai nessuno, prima di allora, gli avesse sorriso in modo così sincero. Proprio com’era apparso, il sorriso di Hitomi sparì, lasciando spazio ad uno sguardo carico di determinazione.

  “Allora, quando cominciamo?”

Per un attimo, Sesshomaru tornò con la mente al passato. E pensò che quella giovane lupa somigliava terribilmente a sua madre.

 

 

 

 

 

 

 

 

Ciao a tutti!! ^^

Non smetterò mai di scusarmi per gli ENORMI e COLOSSALI ritardi che accompagnano questa storia >w<

Manca davvero poco alla maturità, così poi potrò aggiornare le mie storie regolarmente, abbiate un po’ di pazienza xD

Spero che il capitolo piaccia a tutti e ringrazio specialmente tutti coloro che hanno aggiunto questa storia tra le seguite /preferite *piange commossa* grazie davvero a tutti!!

Pian piano la storia sta prendendo forma, ci tengo molto a descrivere gli stati d’animo e i sentimenti dei personaggi, vorrei emozionare chi legge come mi emoziono io mentre scrivo!

Un bacio a tutti, a presto!! <3 <3 <3

 

CarlottAlien

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6

 

  “Capitano.”

  “Aggiornami, Eizo.”

A nessuno era permesso invadere lo spazio privato del capoclan. Per tutti vigeva questa regola inviolabile, in qualsiasi caso, tranne che per il luogotenente di Akeshi, Eizo, il quale era l’unico a cui era permesso entrare nello spazio privato del vecchio lupo. Eizo era il membro più anziano del branco insieme ad Akeshi e gli era sempre rimasto fedele, in qualsiasi circostanza. Per anni lo aveva affiancato in battaglia, era il suo più fidato servitore, ed era per questo che Akeshi gli aveva ordinato di ritrovare sua figlia. Da quando avevano avuto quella discussione parecchio accesa, Hitomi non era più tornata al clan. E, cosa ancor più peggiore, l’aveva scoperta a fare ciò che non doveva assolutamente fare.

  “Avete trovato mia figlia?” chiese il saggio lupo ad Eizo, mentre gli dava, come al solito, le spalle. L’imponenza del capoclan metteva in soggezione perfino il suo fidato luogotenente.

  “Si, capitano.”

  “Allora? Sputa il rospo, Eizo.” Intimò Akeshi, voltandosi e puntando i suoi severi occhi dorati su Eizo.

  “Le sue previsioni erano giuste, purtroppo.” Rispose Eizo, affrontando lo sguardo severo del suo capitano. “Sua figlia, la principessa Hitomi, è uscita dalle montagne quasi in fin di vita. Ed era in compagnia del figlio del Demone Cane Maggiore Inu no Taisho.”

Fu un attimo. L’ira accecò il capoclan dei Lupi Bruni. Scagliò un pugno sul terreno sotto i suoi piedi, facendo tremare la roccia intorno a lui ed Eizo.

  “Maledetto Sesshomaru.” Sibilò il vecchio lupo tra le zanne digrignate per la rabbia, gli occhi erano completamente bianchi e gli artigli quasi del tutto esposti.

  “Eizo…”

  “Si, capitano.”

  “Riportami immediatamente mia figlia!!!”

 

 

  “Ne sei sicura? Non credere che ci andrò leggero solo perché sei una ragazzina.”

  “Vuoi smetterla di trattarmi come una mocciosa? Ormai sono una donna adulta anche io.”

  “Ai miei occhi sei semplicemente una ragazzina. Ho più anni di quanti ne possa dimostrare.”

  “Infatti anche il tuo linguaggio è parecchio arretrato.”

  “Insolente.”

  “Allora, quando cominciamo con gli allenamenti?”

Hitomi si sentì invasa da una nuova energia quando finalmente Sesshomaru aveva accettato di allenarla. Faceva fatica a trattenersi, avrebbe voluto cominciare immediatamente, anche in quella piccola radura, ma vedeva che il glaciale demone cane manteneva sempre la sua solita calma indifferente agli eventi. E questo non faceva altro che spazientirla ancora di più.

  “Ehi, vuoi rispondermi?” domandò irritata Hitomi. Ma si accorse che Sesshomaru si era irrigidito, mentre fissava il cuore della foresta con lo stesso sguardo di un assassino. La youkai si scoprì quasi spaventata da quegli occhi così carichi di bramosia di uccidere. Un attimo dopo anche lei sentì qualcuno avvicinarsi a loro. E riconobbe immediatamente chi possedeva quell’aura così tremendamente familiare.

  “Eizo…” sussurrò. Cos’era venuto a fare in quel posto il luogotenente di suo padre…?

  “Andiamocene.” Disse Sesshomaru, d’un tratto.

  “Come…che dici? Non è un nemico, fa parte del mio clan!” rispose Hitomi, più preoccupata che felice dell’imminente arrivo di Eizo.

  “Appunto.” Le disse il daiyokai, posando il suo sguardo su di lei. Perché faceva così?

  “Devo almeno dirgli che va tutto bene! Mio padre l’avrà mandato per sapere come sto…”

  “Senti ragazzina, prendi la tua decisione. O vieni con me per diventare chi vuoi essere…” disse Sesshomaru, voltandole le spalle e incamminandosi verso Ovest. “…oppure rimani qui e ti fai riportare sana e salva da tuo padre.” Detto questo, sparì nell’immensità della foresta. La giovane si trovò davanti ad un bivio. Avrebbe voluto fare la cosa giusta. Ma sapeva fin troppo bene che, se si sarebbe trovata faccia a faccia con Eizo, lui non l’avrebbe lasciata parlare. L’avrebbe solamente portata da suo padre, e lei non avrebbe più rivisto Sesshomaru. No, non lo avrebbe permesso. Voleva diventare più forte. In fondo, lo faceva anche per il suo clan.

  ‘Scusami, padre…’ pensò, allontanandosi nella direzione dov’era sparito Sesshomaru.

  Pochi secondi dopo, dall’oscurità apparve una figura alta e snella che indossava un’armatura slanciata e adatta ai movimenti più scattanti e rapidi, la quale lasciava scoperta la muscolatura possente e tonica delle braccia e delle gambe. I classici occhi dorati dei Lupi Bruni non smettevano di esaminare la piccola radura, dove fino a poco prima c’erano Sesshomaru e Hitomi.

Eizo poteva chiaramente sentire ancora il loro odore aleggiare nell’aria. Individuò immediatamente la direzione che avevano preso per scappare. Scattò verso Ovest, seguendo la labile traccia che i due avevano lasciato. Non li avrebbe lasciati andare più lontano di così.

 

 

 

  Anche se aveva mascherato e confuso le loro tracce, Sesshomaru si accorse che il loro inseguitore gli era ancora alle calcagna.

  ‘Sono trascorsi molti anni, ma Eizo non si smentisce mai…Akeshi, hai sguinzagliato il tuo lupacchiotto migliore?’ pensò, sprezzante, il daiyokai. Aumentò l’andatura, costringendo Hitomi a cercare di stare al suo passo. Dovevano correre più velocemente, altrimenti Eizo li avrebbe presto raggiunti. Ma si accorse che la youkai non si era ancora del tutto ripresa e che faticava a stare al suo passo.

Ormai sentiva chiaramente l’odore di Eizo e credette, per un attimo, che lui potesse addirittura vederli.

  “Salta sulle mie spalle.” Disse, rivolgendosi a Hitomi.

  “Ce la faccio.” Rispose lei, nonostante sentisse le prime gocce di sudore rigarle il volto. Doveva ammettere, almeno a se stessa, che faticava a stare al passo di Sesshomaru. Non capiva, però, perché cercava di scappare da Eizo.

  “Ti ho detto di saltare sulle mie spalle.” Sesshomaru, questa volta, pareva quasi minaccioso nei confronti di Hitomi.

Con non poca riluttanza, Hitomi balzò sulle spalle del daiyokai che non parve neanche accorgersene, tanto che aumentò ancora la sua andatura, nonostante avesse Hitomi sulle spalle.

  ‘Formidabile…’ pensò lei. Ma anche lei sentiva la presenza quasi inquietante di Eizo alle loro spalle. Non sapeva perché, ma si sentiva come minacciata dal luogotenente, sebbene facesse parte del suo clan. E poi, come mai era così insistente? Tante, troppe volte Eizo era venuto a recuperarla da qualche parte per riportarla da suo padre, ma non era mai stato così insistente. Suo padre era davvero così arrabbiato?

All’improvviso, sentì l’aura di Sesshomaru aumentare in modo spaventoso. Cosa diavolo voleva fare?

Istintivamente, Hitomi si aggrappò alla candida pelliccia del demone. L’aura di Sesshomaru era impressionante e la lupa era convinta che quella non era che una piccola dimostrazione del suo vero potere. In un attimo i due furono avvolti da una sorta di nuvola, l’aura del daiyokai si era condensata attorno a loro.

  ‘Non posso crederci…’

Ad Hitomi, ora, non sembrava più di essere sulle spalle del gelido demone. Le sembrava estremamente grottesco, ma stava a cavallo di un enorme, candido cane demoniaco. Oltretutto, stavano volando, sospesi in quella nuvola di aura demoniaca. Si azzardò a guardare in basso, giù verso la nera foresta e, grazie alla sua vista sviluppata, vide Eizo fermo in piedi con l’espressione più dura e severa che lei gli avesse mai visto in volto, mentre li fissava volare via, lontano da lui.

L’aria fredda della notte le pizzicava piacevolmente il volto. Dopotutto, non era così male volare. Non le sembrava nemmeno reale, solo poche volte aveva immaginato di volare, ma solo per potersi avvicinare alla sua amata luna. Ed ora, eccola lì, ancora più grande di come lei la vedesse da laggiù nella foresta o dalla cima della sua Quercia. La luce argentea la invase come un’ondata di fresca energia, donandole una vitalità che non aveva mai assaporato. Era quello il vero potere che le offriva la sua luna?

Aprì le braccia verso l’astro quasi pienamente tondo, lasciandosi invadere dalla sua energia. La fissava, rapita e quasi ipnotizzata dalla sua magia, facendosi trasportare in un altro mondo. Forse lasciandosi trascinare oltre il limite. Di colpo sentì come un blackout nella sua mente, come se la luna le avesse cancellato ogni possibilità di pensiero.

Gettò la testa all’indietro e gli occhi argentei si illuminarono della stessa luce della luna. Il cuore cominciò a batterle velocemente, come se stesse correndo a perdifiato da ore e ore. Spalancò le fauci, le zanne ingrossate, e lanciò un ululato a quella luna che la stava trascinando via con lei.

Il corpo cominciò a pulsare, come in preda a fremiti incontrollabili. Ritornò dritta, vide, per così dire, la schiena vulnerabile di Sesshomaru e vi piantò gli artigli terribilmente lunghi, lacerando la dura pelle del demone. Sesshomaru ruggì e fissò Hitomi con i suoi rossi occhi demoniaci. Fu allora che si accorse della trasformazione in atto. Non aveva fatto caso all’aura di Hitomi aumentata a dismisura e ora la vedeva in preda ad una metamorfosi incontrollabile. In un attimo, capì tutto. Fissò anche lui la luna.

  ‘Dannazione, la luna. È una lupa, maledizione.’

Abbassò immediatamente la traiettoria di volo, nascondendosi tra le nuvole e impedendo a Hitomi di guardare ancora la luna. Com’era logico, la lupa reagì, azzannando il possente collo di Sesshomaru. Ruggì, non tanto dal dolore, ma dalla situazione in cui era. Quella ragazzina non era ancora in grado di controllare il proprio potere.

Scese in picchiata verso la foresta, vide gli alberi farsi sempre più grandi e avvicinarsi pericolosamente. Ormai erano a pochi metri dal suolo e, in un istante, Sesshomaru riprese la sua forma umanoide, balzando agilmente sull’erba e voltandosi verso Hitomi. Come si aspettava, la youkai era perfettamente in piedi davanti a lui, non aveva perso minimamente l’equilibrio dopo la rapida trasformazione di Sesshomaru. Gli occhi senza pupille e completamente argentei, la bocca spalancata e ansante, il suo corpo era ancora scosso da fremiti incontrollati. Il demone cane aveva scelto apposta un luogo all’ombra degli alberi, in modo da bloccare la trasformazione di Hitomi. La luna non filtrava tra le folte chiome verdi.

Non ebbe nemmeno il tempo di pensare al da farsi che Hitomi scattò verso di lui, artigli sguainati e zanne scoperte. Sesshomaru parò un colpo della youkai col braccio sinistro, bloccandole un polso, ma lei si avvitò su se stessa, sferrandogli un calcio inaspettato sulla coscia. Il daiyokai si inginocchiò e Hitomi affondò una mano artigliata diretta al petto di Sesshomaru, ma lui la schivò abilmente.

  ‘La luna le ha donato una forza e un’agilità davvero incredibili.’

Ma il candido demone non si lasciava intimidire, Hitomi non era un vero pericolo per lui. Anche se era molto forte e la sua aura era quasi al suo stesso livello, rimaneva solo una youkai fuori controllo che non sapeva del tutto cosa stava facendo. Lasciava fin troppi spazi aperti e Sesshomaru li avrebbe usati per atterrarla e bloccarla. Ma perse la concentrazione un attimo soltanto e si ritrovò Hitomi alle spalle, pronta ad affondare un altro colpo. Sesshomaru fu costretto ad estrarre Bakusaiga per parare il colpo inaspettato di Hitomi. Si ritrovò faccia a faccia con lei e notò che il suo corpo era al limite, non riusciva più a contenere l’enorme potere che aveva dentro. Doveva finirla in fretta, anche se questo voleva dire ferire Hitomi. Ruppe la guardia alla lupa, balzò agilmente indietro, allontanandosi qualche metro da lei, e ripose Bakusaiga nel fodero. Scattò in avanti con una velocità al limite dell’immaginabile, arrivando di fronte ad Hitomi che nemmeno se ne rese conto. Le sferrò un pugno allo stomaco ben assestato, che fece piegare in due la giovane youkai facendole mancare il respiro. Poi, un ultimo colpo, dritto alla nuca, che la fece schiantare al suolo. Forse ci aveva messo troppa forza, pensò. Tuttavia Hitomi, seppur dolorante, era ancora cosciente, e finché lo era la sua vera essenza avrebbe avuto la meglio su di lei. Per cui Sesshomaru si inginocchiò al suo fianco e le fece un piccolo taglio con uno dei suoi artigli, iniettandole una piccola quantità di veleno. In qualche secondo, Hitomi perse definitivamente conoscenza.

Sesshomaru la sollevò, osservandola priva di coscienza. Com’era possibile che non si rendesse conto della sua forza immensa?

Decise di portarla via, in un luogo sicuro, dove avrebbe potuto riprendersi. Cominciò a correre tra le fronde della foresta che cominciava ad illuminarsi delle prime luci del giorno. Il demone cane si sorprese nuovamente a pensare a quanto Hitomi fosse simile a sua madre. Ma non si sarebbe mai aspettato tutto questo, doveva riuscire a gestirla. Si concesse, per un attimo, di guardare ancora una volta la giovane youkai tra le sue braccia.

  ‘Allora è questo il tuo vero potere, ragazzina?’

 

 

 

  Il sole era ormai alto e regnava incontrastato sulla foresta. Era una giornata limpida, nessuna nuvola solcava il cielo, perciò i raggi del sole inondavano ogni cosa con la loro luce e il loro tepore. Una lieve brezza si era levata da poco, regalando sollievo dal calore del sole.

Hitomi dormiva ancora all’ombra leggera di un albero, trovandosi quasi a ridosso di una parete rocciosa che, scaldandosi, donava un piacevole tepore al corpo della youkai. La brezza fresca muoveva continuamente le foglie delle fronde, lasciando filtrare delle lame di luce che colpivano il volto di Hitomi. Mugugnò, un po’ irritata dalla luce fastidiosa, perciò si girò sul fianco opposto, dando le spalle alla piccola radura in cui si trovava. Il rumore delle foglie mosse dal vento, il canto soave degli uccelli primaverili, il dolce profumo dei fiori e dei nuovi germogli donavano finalmente un po’ di pace e sollievo ai sensi della lupa. Non si sarebbe alzata per almeno qualche ora, se non fosse stato per l’odore intenso che la brezza le aveva portato. Il suo odore, inconfondibile, inebriante, quasi afrodisiaco per lei. Si alzò di scatto, trovandosi con il volto rivolto verso la calda roccia. Dov’era finita?

Si voltò di scatto all’indietro e si rese conto di non essersi addormentata su qualche ramo della sua Quercia. Vedeva l’orizzonte e l’enorme distesa verde che si perdeva a vista d’occhio, trapassata soltanto dal fiume Ojima, che però si trovava in una posizione diversa da come lei era abituata a guardarlo dalla cima degli alberi. Non era più nelle terre del suo clan.

Per un attimo il suo cuore perse un battito, si trovava a ridosso delle montagne, in una piccola altura nascosta.

  ‘Sesshomaru…’ Hitomi, d’un tratto, si ricordò del candido demone e del suo odore che aveva appena percepito. E, infatti, eccolo lì, nascosto all’ombra di un albero dal lato esattamente opposto al suo. La sua aura era ridotta al minimo, faceva fatica a percepirla anche ad una distanza così ravvicinata. Aveva gli occhi chiusi, le mani incrociate al petto e le gambe piegate.

  ‘Non l’ho mai visto così rilassato…starà dormendo?’

Notò che Sesshomaru non indossava più la sua pesante armatura, ma era vestito solamente con il suo candido kimono. Tuttavia teneva ben salde le sue spade sotto un braccio, pronto a qualsiasi evenienza.

Sembrava veramente immerso in un sonno profondo, nemmeno i raggi che filtravano tra le fronde scosse dal vento lo infastidivano. Hitomi lo osservava, come rapita da quella figura quasi mistica che aveva di fronte. Non aveva mai avuto l’occasione di guardarlo bene, solo ora notava la mezzaluna blu seminascosta dalla frangetta. I lineamenti, solitamente induriti dalle sue espressioni severe, ora parevano più morbidi, donandogli un’espressione serena.

L’argentea chioma fluiva leggera insieme al vento, accarezzandogli il volto. Era magnifico, Hitomi non poteva negarlo a se stessa. Più lo guardava e più si sentiva inspiegabilmente attratta da lui. Eppure, aveva un caratteraccio, non si lasciava avvicinare da nessuno, ma nonostante ciò ora sembrava davvero un altro demone, più accessibile.

Quasi non accorgendosi, Hitomi si stava avvicinando a lui. Sesshomaru sembrava una calamita che l’attirava a sé e solo quando Hitomi poté sentire il respiro del demone cane, si accorse di essergli vicino, troppo vicino. Il suo volto avvampò dall’imbarazzo, sembrava una bambina curiosa che fissava qualcosa con gli occhi sgranati. Il cuore accelerò i battiti, cercò di allontanarsi da lui, ma Sesshomaru aveva già aperto gli occhi, trovandosi la youkai paurosamente vicina, col cuore a mille e profondamente imbarazzata. Per un paio di secondi, che ad Hitomi parvero secoli, i due si guardarono negli occhi, la lupa completamente assorta. Poi l’imbarazzo ebbe la meglio su di lei, che  si allontanò immediatamente, tornando dov’era prima e nascondendo parte del volto tra le ginocchia.

  “Sc…scusami.” Sussurrò, guardandolo di sottecchi. Lui la fissava, indifferente. “Un’ape ti ronzava intorno…” bofonchiò. Si sentiva davvero in imbarazzo, anche perché aveva trovato una scusa davvero stupida.

Sesshomaru fissava la giovane youkai, notando il suo palese rossore e percependo i battiti accelerati del suo cuore. Anche il suo odore era diventato più intenso, il demone cane lo percepiva addirittura piacevole.

Sorrise inspiegabilmente, non riusciva a capire nemmeno lui stesso il perché di quel suo sorriso. Trovava che fosse piacevole che quella youkai fosse attratta da lui? Oppure era solamente un sorriso di scherno?

Hitomi non prese affatto bene quel sorriso, probabilmente, pensò, lui la stava deridendo.

  “Che hai da sghignazzare? Mi trovi così divertente?” disse con tono acido e sprezzante. Sesshomaru non rispose, allontanando lo sguardo da lei e facendolo vagare verso l’orizzonte accesso.

Hitomi non ci vide più.

  ‘Come si permette...?? Quel dannato…!! Mi sta sfottendo come se fossi una ragazzina ingenua…’

La lupa si sentì ferita, non sapeva nemmeno lei perché se la stesse prendendo così  tanto. Vedere derisi i propri sentimenti non era facile neanche per lei. Si alzò di scatto, noncurante del rossore che ancora dominava il suo volto, nonostante, però, ora fosse provocato dalla rabbia. Guardò Sesshomaru, fissava ancora l’orizzonte, come se lei non esistesse più. Si, ammise a se stessa che si sentiva davvero ferita dal comportamento del demone. Non sapeva perché, ma lo era.

A passo svelto si diresse verso l’orlo dell’altopiano, convinta più che mai di piantare in asso quell’inutile demone. L’aveva solo cacciata nei guai e per di più non sapeva mantenere la parola data.

  “Dove credi di andare?” la voce di Sesshomaru la bloccò all’istante e si maledisse per questo. Da quando lui aveva questo potere su di lei?

  “Me ne vado.” Rispose secca.

  “Non volevi disperatamente farti allenare da me?” la parole di Sesshomaru sembravano aghi appuntiti che perforavano i suoi timpani.

  “Io non voglio assolutamente nulla da te!!” Hitomi esplose, tutte le emozioni contrastanti che le si erano accumulate dentro uscirono di getto, ma il glaciale demone non si scompose minimamente, rimanendo comodamente seduto.

  “Ti avevo chiesto di allenarmi e sei stato tu ad accettare!! Ma come pensavo non sei un demone che mantiene la parola data, a quest’ora mi starei già allenando per i fatti miei e sicuramente avrei fatto molto di più di quanto non ho fatto finora qui!!”

  “Senti, ragazzina, cerca di mantenere un minimo di controllo…”

  “Ne ho abbastanza…” sussurrò Hitomi digrignando i denti. Gli occhi le bruciavano, sentiva l’ira montarle dentro ogni secondo di più. Non voleva essere trattata in quel modo. Scattò in direzione di Sesshomaru ancora seduto, la mano chiusa a pugno, le nocche bianche per la stretta. In un secondo gli fu quasi addosso, i capelli argentei si mossero per l’avvicinamento di Hitomi, e fu solo in quel momento che Sesshomaru si girò per guardarla negli occhi. La youkai si sorprese, un attimo di distrazione e Sesshomaru le era sparito proprio sotto il naso. Non riuscì a fermare il proprio pugno, finendo per colpire il tronco dell’albero dove, fino a pochi istanti prima, riposava il demone cane. Alcune schegge si piantarono tra le nocche della mano di Hitomi, ma non era il dolore a causarle quell’espressione completamente attonita. Come aveva fatto Sesshomaru a spostarsi così velocemente? Non la stava nemmeno guardando.

  “Non sorprenderti.”

Sentì la presenza del demone alle sue spalle, si voltò di scattò non sapendo nemmeno cosa fare, era troppo sconvolta dalle capacità del daiyokai, ma non fece nemmeno in tempo a voltarsi completamente che lui l’aveva già inchiodata all’albero afferrandola per il collo. Sentiva che non stava mettendo troppa pressione nella presa, ma sentire i suoi artigli freddi puntati direttamente sulla propria gola, vedere quell’espressione così fredda, i morbidi lineamenti trasformati in puro marmo, le trasmetteva terrore. Sentiva davvero la paura invaderla dentro, prendendo il posto della rabbia. Non riusciva nemmeno a sostenere il suo sguardo, ma se lo sentiva addosso, carico di odio e di disprezzo. L’avrebbe uccisa?

  “Vedi di controllarti, stupida ragazzina immatura. Chi ti credi di essere per affrontarmi in questo modo? Potrei ucciderti, lo sai bene…” Sesshomaru strinse la presa sul collo di Hitomi, costringendola a guardarlo negli occhi. Ora la paura regnava dentro e fuori della youkai. Guardava Sesshomaru con occhi sgranati e impauriti, la bocca spalancata in cerca di aria.

  “…ma io non mi abbasso a queste piccolezze.” Disse infine il daiyokai, lasciando Hitomi boccheggiante in cerca di aria.

  “Preparati per cominciare l’allenamento.”

 

 

 

  Ma che diavolo era preso quel dannato? Aveva preso paura sul serio, doveva ammetterlo. Quegli occhi…

Basta! Ora doveva concentrarsi. Finalmente aveva ottenuto quello che voleva, anche se per poco non ci rimetteva la pelle.

Hitomi si massaggiava ancora il collo mentre Sesshomaru, dandole le spalle, indossava la sua armatura. La youkai si sentì stranamente agitata. Non lo era mai stata, le piaceva combattere, soprattutto con la sua Masakari, ma c’era qualcosa in quel demone che ogni volta la metteva in soggezione.

  ‘Cerchiamo di non farci ammazzare…’

D’un tratto, Sesshomaru si voltò, fissando Hitomi dall’alto della sua imponente stazza.

  “Combattimento corpo a corpo. Fammi vedere cosa sai fare.”

Detto ciò, il daiyokai scattò verso Hitomi, affondando una mano artigliata verso il cuore di Hitomi.

  ‘Maledetto…!’

Hitomi riuscì a schivare a malapena l’attacco di Sesshomaru, ma lui era riuscito a romperle la guardia, perciò continuò l’azione sferrando un calcio dritto sul fianco destro della lupa, atterrandola.

  “Pensi di fare sul serio o vuoi continuare a giocare, ragazzina? Non voglio perdere tempo. Concentrati.”

Sesshomaru ritornò all’attacco, ma la youkai si limitava a schivare i suoi movimenti con agilità senza contrattaccare. Studiava le mosse dell’avversario, ma il daiyokai non era come suo padre, che le ripeteva sempre le solite mosse cosicché fosse in grado di anticiparle. Anzi, cambiava continuamente attacco, mettendola sempre più in difficoltà.

  “Reagisci!” Le disse Sesshomaru, aumentando la velocità degli attacchi. Hitomi ora faticava ad evitare gli artigli avvelenati dell’avversario. Si abbassò, Sesshomaru caricò un calcio, ma Hitomi lo schivò per un soffio, cadendo sulle sue stesse ginocchia. In un attimo Sesshomaru le fu sopra, sferrandole un pugno che la scaraventò addosso ad un albero.

Hitomi era a terra, i primi lividi cominciavano a comparire sul suo corpo.

  “Tutto qui? E tu vorresti combattere?” Sesshomaru la stuzzicava, voleva che la lupa reagisse in qualche modo.

Hitomi si sollevò dal polverone e puntò gli occhi dritti in quelli di Sesshomaru. Finalmente il demone cane poté vedere la determinazione e la voglia di combattere che aspettava. La youkai partì nella sua direzione ma, quando gli fu praticamente di fronte, sparì, balzando agilmente e in modo quasi impercettibile dietro il daiyokai, che però reagì parando l’attacco di Hitomi.

  “Finalmente.” Disse il demone cane mentre la youkai si avvitò su se stessa, caricando un calcio che per un brevissimo attimo ruppe la guardia a Sesshomaru. Hitomi non si voleva lasciar scappare un’opportunità del genere, caricò un pugno con più aura possibile e attaccò Sesshomaru, che però si scansò all’ultimo. La lupa scaricò il suo attacco sul terreno, facendolo tremare e alzando una quantità enorme di polvere e pezzi di terra. Ora il daiyokai non riusciva a scorgere Hitomi, era molto brava a camuffare la propria presenza, tuttavia era estremamente prevedibile. Parò il calcio che Hitomi gli aveva sferrato cercando di colpirgli il fianco destro.

  “Non ci siamo.”

Sesshomaru continuava a  mettere in discussione le capacità di Hitomi, stimolandola a reagire. Ma questo non faceva che farla arrabbiare di più e questo incideva sul suo modo di combattere. Diventava scontata, prevedibile, a volte quasi goffa nei movimenti.

  “Dimostrami la tua agilità, ragazzina. Non puntare tutto sulla forza.” Hitomi lo fissava, cercando di capire dove volesse arrivare.

  “Non farti dominare dalle emozioni. Se non riesci a colpirmi, non innervosirti. Mantieni il controllo, sii fredda e attaccami.”

Continuarono ininterrottamente per chissà quanto tempo, Hitomi non si accorgeva nemmeno delle ore che trascorrevano. Ma il suo corpo si e dopo estenuanti ore di combattimento tra lei e Sesshomaru, il suo fisico cominciava a dare segni di cedimento. Era ricoperta di lividi dalla testa ai piedi, aveva il respiro affannoso e non riusciva nemmeno a mantenere la guardia coperta durante la posizione di riposo. Sesshomaru decise che era troppo per lei, lui non aveva nemmeno il kimono sporco di terra o sangue, mentre la youkai era sfinita.

  ‘Comprensibile.’ Pensò quasi con compassione.

Hitomi cercò di rimettersi in posizione d’attacco, stringendo denti e pugni.

  “Basta.” Disse perentorio Sesshomaru. Hitomi rimase a bocca aperta.

  “Per…perché?” rispose lei tra un sospiro e l’altro.

  “Sei arrivata al limite, continueremo domani.”

  “Sono ancora in piedi! Combatti Sesshomaru!”

  “Fermati!” urlò lui, bloccando lo scatto della youkai verso di lui. “Ti ho detto basta, riposati. Un buon combattente sa riconoscere i propri limiti.”

Hitomi abbassò istintivamente le orecchie, mortificata. Si sentiva una bambina al confronto con un combattente esperto come Sesshomaru.

  ‘Quanto devo ancora imparare…’

  “Non scoraggiarti.” Le disse, poi, Sesshomaru, mentre si avviava verso chissà dove all’interno della foresta. “Un buon combattente riconosce i propri limiti e impara a mascherarli a dovere. Tutti hanno un limite, compreso io.” Detto ciò sparì, lasciando Hitomi sola e ancora ansante. La youkai era esterrefatta da ciò che le aveva detto Sesshomaru. Le era parso quasi gentile nei suoi confronti. Di certo non le si sarebbe avvicinato e le avrebbe dato una pacca sulla spalla dicendole ‘brava’, ma era sempre meglio di niente.

Sorrise. Non era stata brillante, ma sentiva che sarebbe migliorata ogni giorno di più, diventando sempre più forte. E sarebbe riuscita a respingere il male che stava per abbattersi su di loro.

 

 

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!!!!!!!

Per prima cosa voglio scusarmi con tutti i lettori che stanno leggendo la mia storia per il mio infinito ritardo…chiedo perdono ç.ç *lacrime a volontà*

Ho finalmente concluso l’esame di maturità ed ora posso dedicarmi ad una delle cose che amo di più: scrivere!!

Delle scuse particolari le rivolgo a death_thekid99, Nihal_Lupa, Lalla BluEyes e kaori_kuran per non aver risposto alle vostre splendide recensioni…ho avuto un problema col pc e le ho potute leggere solo di recente…perdonooooo *le lacrime non smettono, annego*

Comunque sia sono davvero molto contenta che la mia piccola storia abbia ricevuto così tanti consensi, e che molte persone la stiano leggendo, vi ringrazio tutti immensamente!!! *profondi inchini*

Detto ciò, io non anticipo assolutamente nulla sul proseguimento della storia, anche perché la scrivo abbastanza di getto, seguendo le mie emozioni e quello che i personaggi mi trasmettono mentre scrivo…per cui aspettatevi di tutto e di più!!!

Prometto che mi impegnerò a postare regolarmente (spero) i vari capitoli, in modo che la storia sia più scorrevole…

Un grazie ancora a tutti quanti e a presto!!!

Mille baci,

CarlottAlien

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7

 

Il sole stava ormai scomparendo, immerso nell’orizzonte. Pochi raggi rosei rimasero a tingere il cielo con la loro luce, ma la notte avanzava prepotente, avvolgendo ogni cosa nell’oscurità. Le prime, timide stelle punteggiavano il cielo blu, mentre i rumori della sera cominciavano a farsi strada nella foresta. Il calore del sole era scomparso insieme a lui, cedendo il posto ad un lieve venticello umido, le cui leggere folate fecero rabbrividire Hitomi. Il sudore sul suo corpo ancora caldo cominciava a raffreddarsi, dandole una sensazione di gelo che mai aveva provato.

Si sentiva completamente svuotata, privata di tutte le sue forze. La stanchezza non le permetteva nemmeno di controllare i brividi di freddo che la scuotevano. Era spossata, ricoperta di lividi e tagli, e alcuni facevano davvero male. L’idea, ora, di trovarsi qualcosa da mettere sotto i denti non la stuzzicava per niente. Era troppo stanca e dolorante. Tuttavia si rese conto di essere in pessime condizioni, le sue vesti era luride e stracciate, macchie di sangue e grumi di fango le incrostavano la pelliccia. Doveva avere un aspetto orribile, pensò. Decise allora di cercare una fonte d’acqua per concedersi un bagno, almeno sarebbe stata una cosa semplice e si sarebbe rilassata un po’. Provò a muovere i primi passi, ma sentì le gambe cederle e dovette fare uno sforzo enorme per mantenere l’equilibrio e non cadere. Avrebbe voluto crollare sulle ginocchia, ma sapeva che se l’avesse fatto da lì non si sarebbe più alzata. Non ne avrebbe avuto la forza.

Facendo appello alle ultime gocce di energia che le rimanevano in corpo, provò a muovere i primi passi, cercando di mantenere quell’equilibrio precario. Concentrata com’era nel camminare, si accorse solo più tardi che non si trovava in pianura, bensì su un’altura.

   ‘Quel maledetto, non poteva trovare un posto più comodo?’ pensò seccata. Si sporse appena per guardare a che altezza fosse e quel piccolo sbilanciamento per poco non la fece cadere giù per il dirupo. Era così malconcia? Se era in queste condizioni dopo un solo allenamento, chissà se sarebbe riuscita a sopportare… No! Non doveva lasciarsi abbattere. Non ora, non dopo quello che aveva passato e che aveva visto. Tutto questo non lo stava facendo solamente per lei, bensì per il suo clan, per suo padre, per Sesshomaru…

Si ricosse velocemente dai suoi pensieri e cercò un modo per scendere da quella maledetta altura. Ma le alternative erano ben poche: o scalare o saltare. Stringendo i denti per lo sforzo compì un goffo balzo, che sembrava più un lasciarsi andare che un salto, infatti atterrò rovinosamente in mezzo ai cespugli qualche metro più in basso. Imprecò ad alta voce, e per un attimo si sentì in imbarazzo. Se Sesshomaru l’avesse vista in queste condizioni, così goffa e incapace…

   ‘E basta, Hitomi! Che t’importa di quello che pensa di te quell’arrogante di un cane??’ pensò sprezzante la youkai. Tuttavia, in cuor suo, sapeva benissimo che quello che pensava Sesshomaru le importava, eccome.

Scocciata da questi pensieri assurdi si rimise, a fatica, in piedi e, barcollando in quella foresta che non conosceva, cercava col suo fiuto una fonte d’acqua. Quasi istintivamente seguiva un percorso, come se le venisse naturale, ma lì, intorno a lei, nulla sembrava familiare. Gli alberi erano diversi, le loro voci erano diverse, come lo erano i rumori e i suoni della foresta. Sentiva di non essere a casa sua, tuttavia nella foresta si sentiva sicura, protetta da quel male che stava abbattersi sul suo mondo. Di colpo si rese conto a cosa stava andando incontro e, per un attimo, si lasciò prendere dallo sconforto. Si appoggiò affaticata ad un albero e, ansante, cercò di riprendere il controllo di sé. Ce l’avrebbe fatta? O sarebbe stato tutto inutile? Sarebbe riuscita ad ottenere potere a sufficienza per combattere l’oblio che li stava per inghiottire? Oppure non sarebbe neanche riuscita a proteggere le persone che amava di più?

La giovane youkai sentiva le lacrime salire prepotentemente. Erano lacrime di stanchezza, di dolore, di frustrazione, di risposte che non avrebbe ricevuto e di domande che non avrebbe voluto farsi. Involontariamente pensò a sua madre, a quanto era bella e a quanta sicurezza aveva e riusciva a dare a chi le stava attorno. E a quanto le mancava. Il suo dolce profumo ambrato, speziato, caldo, l’accompagnava tutti i giorni, ma sentiva che piano piano stava svanendo. Si stava allontanando dal suo passato, dalla Hitomi ancora bambina, dal ricordo di sua madre.

La lupa scoppiò in un pianto silenzioso, sommesso, quasi come non volesse farsi sentire nemmeno dalle creature vicino a lei, nemmeno dagli alberi che la circondavano. Cadde in ginocchio e si lasciò invadere dal dolore e sfogò tutta la sua frustrazione in quel pianto che racchiudeva tutta la sua sofferenza. Da quanto non piangeva?

 

 

Dopo un tempo che non seppe definire, Hitomi si riscosse, trovandosi a fissare atona la soffice erba sotto di lei. Si sentiva svuotata, priva di qualsiasi emozione. Non sapeva dire se si sentisse davvero bene. Di certo quello sfogo le aveva cancellato qualsiasi pensiero, sia negativo che positivo. Ora era libera e poteva ricominciare tutto daccapo, con una mente diversa.

Un leggero alito di vento la fece rabbrividire e le diede una scossa che la risvegliò definitivamente da quello stato di trance, portandole a portata di naso un olezzo non tanto gradevole. Si rese conto solo in quel momento di puzzare da far schifo. Sudore, sangue, terra…sentiva l’urgenza di trovare un po’ d’acqua.

Sempre con molta fatica si rialzò in piedi, appoggiandosi al tronco dell’albero di fianco a lei, e riprese il cammino che aveva interrotto. Durante quel tragitto dalla meta indefinita, trovò qualche rovo spinoso carico di bacche, more e quant’altro, e Hitomi decise di farseli bastare, per quella sera. Sgranocchiando ogni tanto qualche mora e zoppicando tra le radici nodose degli alberi, d’un tratto, come dal nulla, si aprì davanti a lei una piccola radura nella fitta foresta, dove un piccolo specchio d’acqua rifletteva la luce argentea e affascinante della luna calante. Era uno spettacolo mozzafiato, decine di lucciole sfavillavano come stelle ai margini della foresta invasa dalle ombre, attirate da quel ruscello che scorreva tranquillo e inesorabile come il tempo. Sarebbe stata un’immagine idilliaca per Hitomi, che si sarebbe fermata qualche attimo a fissare la sua amata natura. Ma i suoi occhi erano troppo stanchi anche per quella visione.

Si trascinò fino alla riva del ruscello e letteralmente si lasciò cadere a terra. Non ce la faceva più, il suo corpo le implorava un po’ di riposo. Inginocchiata sulla terra umida, si tolse la casacca, i pantaloncini di pelliccia e li lasciò affianco a lei, sopra un masso. Fece lo stello con i gambali e, solo allora, si accorse che tutta la sua divisa avrebbe avuto bisogno di una bella rammendata, ma lei non sapeva cucire e se la sarebbe tenuta così. Infondo non le importava granché.

Si immerse lentamente nel piccolo fiume, l’acqua gelida che scorreva le fece mancare per un attimo il fiato. L’acqua le arrivava alla cintola e le ferite le bruciavano da impazzire, ma pian piano il dolore diventava più pacato, i tagli si pulivano e il gonfiore delle botte si attenuava. Arrivò il sollievo. Si immerse completamente in un colpo solo, ritornando in superficie ansante a causa dell’acqua congelata. Nuvole di vapore si formavano attorno al suo copro caldo e nudo e alla sua bocca, mentre respirava cercando di sgrovigliare la massa di capelli dorati.

Si appoggiò sulla riva, ancora immersa nell’acqua corrente che scivolava sul suo corpo tonico, rilassando completamente i muscoli e lasciando che la corrente del fiume le ridonasse vigore. Buttò la testa indietro e chiuse gli occhi, godendosi quegli attimi che sapeva, fin troppo bene, avrebbe rivissuto chissà quando.

D’un tratto aprì gli occhi, puntando le sue iridi argentate verso un punto indefinito del cielo. Si ritrovò a pensare agli eventi che avevano riempito le sue ultime giornate; a quegli abomini che si nascondevano da vigliacchi nel cuore delle montagne sacre; a suo padre, che in quel momento la starà cercando in qualsiasi centimetro delle Terre dell’Est; e, stranamente, pensò anche a quello strano individuo che aveva incontrato per caso qualche giorno prima. Se non fosse stato per lui, ora sarebbe sicuramente in giro per la sua amata foresta ignara di quello che stava accadendo. Era forse un bene o un male? Chi può dirlo. Di certo lei non conosceva la risposta. E, sicuramente, non conosceva Sesshomaru, né tantomeno i suoi pensieri né le sue intenzioni. E chissà se li avrebbe mai conosciuti o compresi! Di certo ci avrebbe provato, pensò la lupa. Perché in fondo, nel suo animo, quel glaciale demone misterioso, indifferente al mondo e spietato con chiunque gli stia vicino, non sapeva come né perché, l’attirava istintivamente a sé, come faceva la sua amata luna che, dall’immensità del cielo, vegliava su di lei.

 

  Ormai era notte fonda, Hitomi non sapeva per quanto tempo era rimasta immersa nell'acqua a farsi coccolare dalla corrente dolce. Aveva lavato anche i suoi vestiti, strofinandoli sulle candide rocce levigate. Emerse, a malincuore, dal torrente, indossando i fradici indumenti. Raccolse Masakari, che aveva appoggiato ad un albero accanto a lei, e si avviò zoppicando all'altura da cui era venuta. La corrente del piccolo fiume era riuscita a donarle un po' di vigore e di sollievo dalle ferite, ma ciò non toglieva il fatto che continuavano a farle davvero male. Arrivò' allo spiazzo affamata e un po' innervosita dal dolore, tuttavia la giovane lupa non aspettava altro che godersi un po' di riposo. L'argentea luce della luna la illuminava mentre scalava la parete rocciosa, facendo brillare le piccole gocce d'acqua sulla pelliccia e sulla chioma dorata. Dopo una scalata che le parve interminabile, risalì sullo spiazzo dove qualche ora prima aveva combattuto contro Sesshomaru. Chissà , ora, dov'era...si sorprese ad annusare l'aria, in cerca del suo odore, ma le pareva lontanissimo, in un luogo inaccessibile. Voleva essere lasciato solo, in pace con se stesso, e lei non aveva la minima intenzione di disturbarlo. Con lo sguardo vagò per quella piccola, verde, altura, cercando un posticino dove poter riposare. Non ce la faceva davvero più, si sentiva stremata, prosciugata. Voleva solo dormire, dimenticare... D'un tratto notò un albero abbastanza robusto, vi si arrampicò e si sedette su un ramo piuttosto grosso che potesse reggerla. Appoggiò la testa sul tronco e si lasciò completamente andare, coccolata da leggere carezze di vento.

Era ormai sera tarda quando Eizo fece ritorno al Clan dei Lupi Bruni. L'intero accampamento era immerso nel sonno, tranne che per le consuete guardie che rimanevano costantemente all'erta, mantenendo accese le fiaccole che circondavano il cuore del clan. Eizo arrivò silenzioso come un'ombra, tanto che uno dei guardiani trasalì nel vederlo. 'Le nuove reclute non sono difficili da riconoscere..' pensò il capitano dei lupi.   

   "Signore." disse il giovane guardiano irrigidendosi e chinando il capo difronte al suo superiore.    

   "Riposo, ragazzo. Dov'e Akeshi?" rispose il capitano, puntando il suo gelido sguardo dorato sul giovane.   

   "E' rimasto sempre sulla rupe, signore." Eizo si diresse di gran passo dal capoclan, preparandosi a portare una grande delusione al vecchio lupo. Akeshi lo aspettava impaziente di avere notizie di sua figlia, purtroppo, però, sapeva già l'amara verità: non aveva percepito l'odore di Hitomi insieme al suo fidato compagno. Il capitano arrivò al cospetto del suo capo, lo trovò, come sempre, di spalle intento ad osservare la sua amata vallata, in cerca di qualsiasi inconveniente che potesse rovinare la pace che regnava in quelle terre.  

   "Signore..." il calvo condottiero si inginocchiò chinando il capo, salutando e mostrando rispetto e devozione al capoclan. 

   "Eizo..." cominciò quest'ultimo. "...sono convinto del fatto che tu abbia svolto il tuo compito al meglio. Purtroppo ciò non è bastato."

   "Sono desolato, signore." Eizo strinse istintivamente i pugni. Era un vero perfezionista, anche grazie a questo suo aspetto sono dovuti i grandi successi ottenuti da Akeshi nelle battaglie che lo hanno coinvolto, perciò il capitano odiava con tutto sé stesso non riuscire in qualsiasi compito affidatogli.

   "Non rimproverarti, mio fedele compagno. Purtroppo sappiamo fin troppo bene le capacità e le risorse di cui dispone quel mostro di Sesshomaru..." per un attimo, ancora una volta, Akeshi sentì la rabbia montare dentro di lui in modo quasi incontrollabile, solo avendo pronunciato il nome di quel vile. Inspirò profondamente e represse l'ira che in quel momento non avrebbe portato a nulla di buono. Solo in quel momento si accorse di essersi trafitto i palmi con i suoi stessi artigli.

'Dov'e' finito il tuo autocontrollo, Akeshi? Stai perdendo colpi, vecchio mio...' pensò amaramente. Si voltò verso Eizo, il quale sollevò il capo e incrociò lo sguardo severo del capoclan. 

   "Tuttavia..." il saggio lupo riprese a parlare, camminando in tondo irrequieto. "...con estremo rammarico devo mettere da parte, per ora, la questione di mia figlia. Abbiamo problemi estremamente più seri da risolvere...aggiornami, Eizo."

   "Signore, l'ultima ricognizione alle montagne non porta liete notizie. I monti sacri stanno diventando sempre più ostili, la forza maligna che vi ha preso dimora li sta inquinando fino al midollo. Da quanto siamo riusciti a scoprire, nel ventre della montagna sta prendendo forma un'armata spropositata di Goroth. Purtroppo durante la missione siamo stati individuati da alcuni Gaki che sorvegliavano la zona. Ho perso due dei miei e le montagne sono diventate una fortezza inespugnabile."
Eizo chinò nuovamente il capo. Perdere dei compagni è sempre doloroso, ancor più in una situazione drammatica come quella in cui si trovavano i Lupi Bruni. Akeshi non proferì parola, meditava sul resoconto appena ascoltato, che non presagiva nulla di buono. Quella che abitava le montagna era una forza oscura che, purtroppo, Akeshi conosceva fin troppo bene.

   "Goroth..." pensò ad alta voce il capoclan. "...solo un essere di pura malvagità è in grado di trasformare delle anime in demoni dell'oltretomba..." lo sguardo di Akeshi tornò a posarsi sul suo sottoposto, il cui volto serio e composto ebbe, per un attimo, un sussulto, in cui il saggio lupo vi lesse paura.  

   "Eizo...sai cosa fare. Prepara i nostri combattenti. Kundel è tornato."

  Il sole doveva ancora sorgere quando Sesshomaru tornò alla rupe. Trovò Hitomi già sveglia e pronta all'addestramento. Non che la cosa lo sorprese, nulla in quel placido mondo poteva sorprendere l'animo intriso di indifferenza del grande Signore dell'Ovest; tuttavia non si aspettava di certo di trovare la lupa in piedi e con lo stesso sguardo acceso del giorno prima, nonostante fosse stato particolarmente pesante per lei.

   "Bene. Possiamo cominciare." disse soltanto. Hitomi non batté ciglio di fronte alla freddezza con cui si era presentato il demone cane quella mattina, era immersa totalmente nell'addestramento. La Hitomi del primo giorno l'aveva lasciata nascosta nella foresta a piangersi addosso, quella che Sesshomaru aveva davanti era una Hitomi pronta alla sfida. I due demoni si attaccarono subito frontalmente, incrociando gli sguardi, concentrati sull'avversario. Entrambi pararono il colpo dell'altro, tuttavia Sesshomaru riuscì a respingere Hitomi con più violenza, allontanandola da lui di qualche metro.

'Anche oggi mi darà del filo da torcere, posso scommetterci...' pensò Hitomi. Quel giorno, però, a differenza del precedente, si era prefissata un obbiettivo: doveva assolutamente riuscire a toccarlo. Anche solamente con un dito, ma sarebbe riuscita a rompere le difese del suo avversario.

   "In guardia, Sesshomaru!" urlò prima di scagliarsi nuovamente contro il demone cane.

Combattevano assiduamente, nessuno dei due lasciava un attimo di tregua al proprio avversario. Hitomi attaccava con più precisione e freddezza, aveva cominciato a ragionare prima di scegliere che tecnica usare contro il suo avversario, tuttavia ciò non bastava: Sesshomaru non le risparmiava nulla, e ogni tre per due Hitomi si ritrovava con la faccia a terra e con un livido in più.

'E' diversa rispetto a ieri, più precisa...deve aver ascoltato quello che le ho detto...' pensò tra sé e sé il candido demone. '...ma ancora non basta.'

Tuttavia, nonostante le nuove e vecchie ferite che cominciavano a pulsare, Hitomi non si dava per vinta e stringeva i denti per rimanere lucida e concentrata. Qualche colpo ricevuto da Sesshomaru riusciva ad evitarlo e a contrattaccare, riuscendo a mantenere il controllo delle sue emozioni, tuttavia non era ancora riuscita nemmeno a sfiorarlo. Erano passate ore incessanti di allenamento, ma Sesshomaru rimaneva immacolato.

Gli intensi raggi del tramonto avevano cominciato a tingere il cielo e il paesaggio di colori caldi e avvolgenti, regalando, per un attimo, a Hitomi una vista che le mise serenità. Sesshomaru era di fronte a lei, anche la sua imponente stazza veniva irradiata dai caldi raggi del sole, in contrasto con lo sguardo gelido che posava su Hitomi. La giovane demone non voleva ancora gettare la spugna e cercò la forza per fare un ultimo tentativo. Si mise in posizione, e ciò provocò l'ilarità del demone cane.

   "Non ne hai ancora avuto abbastanza? Questa non è una gara tra chi ha più lividi." disse sprezzante. Hitomi non lo badò nemmeno, la sua concentrazione era al massimo, questa volta ce l'avrebbe fatta. Scattò verso il suo avversario, attaccandolo frontalmente. Si avvicinò e, mentre stava per colpirlo, si abbassò, schivando il suo contrattacco. Non vide alcuna traccia di sorpresa sul suo volto di ghiaccio, ma era convinta che lui non si aspettasse un attacco diverso dai soliti. Con uno scatto fulmineo si portò dietro a Sesshomaru, tese la mano, sentì per un attimo la sensazione dei suoi capelli tra le mani... ma non fece in tempo a toccarli che ricevette una gomitata direttamente sulla bocca dello stomaco. Calò il silenzio, tutto divenne immobile, tranne il corpo di Hitomi che si riversava, di nuovo, a terra.

   "Credi davvero che toccarmi sia così semplice?" disse Sesshomaru, con un tono leggermente irritato, non voltandosi neanche e dando le spalle alla lupa stesa a terra. Stava per andarsene, ma quando accennò il primo passo sentì qualcosa che lo tratteneva.

'Uh..?' si girò appena e vide la mano sporca di Hitomi tenergli un lembo dei suoi pantaloni svolazzanti. Il suo volto tradì la sorpresa di quel gesto e Hitomi, accorgendosene, sorrise, nonostante gli procurasse dolore, in segno di vittoria.

   "Non è stato, poi...così difficile..!" disse, prima di perdere definitivamente i sensi.

  Sesshomaru se ne andò subito. Lasciò Hitomi stesa sotto a qualche albero, svenuta, e tornò al suo "rifugio". Non che un grande demone come lui avesse bisogno della protezione di una grotta o della sicurezza di un tetto sopra alla testa; cercava solamente un luogo in cui poteva starsene tranquillo, senza che nessun essere che poteva respirare turbasse la sua quiete già precaria. Mille pensieri si susseguivano nella mente di un demone che aveva vissuto troppo da avere infinite domande che si accavallavano le une sulle altre, giorno dopo giorno, ma troppo poco per riuscire a darle delle risposte. In questo turbinio di pensieri che affollavano la mente di Sesshomaru, per un attimo prese spazio la figura di Hitomi, e lo sguardo del demone cadde istintivamente sul bordo dei pantaloni, vicino al piede destro. Era sporco di terra, Sesshomaru ne sentiva il profumo umido e muschiato, ma c'era anche una nota leggermente ferrosa: sangue, non di certo il suo, ma quello della giovane lupa che era riuscita a sporcargli le vesti. Doveva ammettere, almeno a sé stesso, che era rimasto piacevolmente sorpreso dalle gesta di quella lupa. Non avrebbe mai creduto che in soli due giorni sarebbe riuscita a toccarlo, figuriamoci ad ingannarlo! Eppure, anche se in modo un po' grossolano, era riuscita a farlo. Forse davvero quella ragazzina sarebbe riuscita a combinare qualcosa di buono.

ANGOLO AUTRICE

Ciao a tutti!

Mi scuserò sempre con tutti quelli che seguono questa storia per i miei incredibili ritardi, però, durante i momenti di creatività che spuntano ogni momento libero che ho, sono riuscita a mettere insieme il settimo capitolo, e l'ottavo (per fortuna) è gia in corso d'opera..
Spero che questa piccolo storiella non sia troppo noiosa, so che in questo ultimo capitolo manca un pò l'"azione", tuttavia, in tutte le storie, ci sono dei capitolo morti, e io li utilizzo per cercare di entrare dentro ai personaggi, nei loro cuori e nelle loro menti..è difficile e non tutti riescono (figuriamoci io!) però spero di riuscire a fare in modo che chiunque legga riesca ad immedesimarsi e a capire le sensazioni che provano i personaggi di questa storia, anche se è solo all'inizio..spero di non risultare noiosa anche nelle descrizioni, mi piace rievocare emozioni con le parole, mentre legge un lettore dovrebbe riuscire ad avere in testa un immagine nitida delle ambientazioni di una vicenda..
Detto questo, non manca molto alla vera e propria "action", già dal prossimo capitolo voglio introdurre scene più "intense" tra Sesshomaru e Hitomi, e a breve arriveranno colpi di scena inaspettati!
Un grazie gigantesco a tutti quelli che leggono questa semplice storia, e un abbraccio caloroso a tutti quelli che se l'appuntano e recensiscono.
Un bacio,
CarlottAlien

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Capitolo 8
*** Ritorno ***


Un caloroso saluto a tutti! Mi scuso veramente dal profondo del cuore, dopo tanto tempo che non entravo su EFP ho notato che ancora tante persone hanno cominciato a leggere questa mia Fanfiction, si sono appassionate e l'hanno seguita finchè io non l'ho bruscamente interrotta...mi scuso, appunto, con tutti voi che aspettate da tempo un mio segno di vita. Finalmente sono tornata, anche se non proprio con belle notizie...non ho intenzione di proseguire con questa storia, per lo meno non ora. Non mi vergogno nel dirvi che ho passato momenti difficili, sia personali che familiari, e tutto ciò non ha per nulla giovato alla mia creatività. Il mio amore per questa storia si è affievolito sempre più, tanto da impedirmi di scrivere. Non volevo aggiornare con capitoli scialbi e inutili, che avrebbero deluso sia me che i miei lettori, ma nemmeno sparire così è stato carino da parte mia. Mi scuso veramente tanto con voi, sono sinceramente dispiaciuta... Comunque assieme al mio ritorno porto anche buone novelle, da quasi un anno sto lavorando ad una nuova storia, sono in dirittura d'arrivo e ci tengo a completarla, così da poterla pubblicare in modo continuo e senza interruzioni! Non do indizi, né svelo particolari, solamente che il personaggio principale tornerà ad essere Sesshomaru, per la mia gioia e spero per quella di molti! Nemmeno questa storia la do per perduta, la mia vena creativa è tornata a pulsare ed ho già in mente nuovi progetti per Hitomi, che probabilmente porteranno decisive modifiche alla storia già in corso. Detto questo (e scusandomi ancora), vi do appuntamento a breve con una nuova avventura! Baci, Carlotta

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