Aima - Il Gioco Inizia Ora

di LittleCatnip
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Un'attesa notiza ***
Capitolo 3: *** Scuola ***
Capitolo 4: *** Preparativi ***
Capitolo 5: *** Halloween-Parte 1 ***
Capitolo 6: *** Halloween-Parte 2 ***
Capitolo 7: *** Coraggio ***
Capitolo 8: *** Pietà ***
Capitolo 9: *** Risveglio ***
Capitolo 10: *** Complicazioni ***
Capitolo 11: *** Buio ***
Capitolo 12: *** Scusa ***
Capitolo 13: *** Messaggi ***
Capitolo 14: *** Scacco ***
Capitolo 15: *** Abusi ***
Capitolo 16: *** Ferite ***
Capitolo 17: *** Brain Storming ***
Capitolo 18: *** Omega ***
Capitolo 19: *** Cyril ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo
 



Il giovane uomo arrivò sul tetto del palazzo e iniziò a scrutare la zona circostante. Una scuola, tanti ragazzi e zaini colorati e un sole che faceva capolino dai palazzi. Avrebbe trovato tutto molto pittoresco, se il suo animo non fosse stato così turbato. Continuava a scrutare l’orizzonte ansioso, i minuti gli parvero ore. E poi lo vide. In mezzo alla folla, con un giubbotto nero di pelle, occhiali da sole scuri e zaino azzurro cielo su una spalla. L’uomo era certo, doveva per forza trattarsi di lui. Ma non era solo: accanto a lui, una ragazza, i due ridevano e scherzavano. Rimase perplesso, doveva assolutamente scoprire che legame ci fosse tra i due. Forse avrebbe potuto guadagnarci qualcosa.
Seguì i giovani con lo sguardo e li guardò incamminarsi verso la loro scuola. Non sapevano di essere osservati e questo era un bene.
L’uomo sospirò malinconico. Solo pochi giorni e poi avrebbe agito. Avrebbe creato altri enigmi e avrebbe ucciso ancora. Solo che stavolta aveva scelto bene il suo sfidante. Fonti certe gli avevano rivelato che era in gamba e che non si sarebbe tirato indietro di fronte a una sfida. Un tipo sveglio, insomma.
Lo sfidante che aveva scelto poco prima invece, non era altri che un idiota e alcolista. Non si era neanche accorto che sua moglie mancava di casa da qualche giorno, non aveva neanche sporto denuncia. Così, una volta capito che era inutile sperare in un qualche interessamento, l’aveva uccisa a sangue freddo, e gettato la testa in un fosso. Al corpo invece, ci aveva pensato il suo complice. Non avrebbe voluto ucciderla subito, in fondo era pur sempre una persona; ma lui era un uomo che manteneva la parola data. Sempre.
Ma d’altro canto doveva farlo; gli enigmi, la droga, il sangue, erano parte integrante della sua vita. Si concesse un attimo per riflettere.
E se il ragazzo avesse vinto? C’era da considerare la possibilità. In fondo, anche spietato e sadico, si sarebbe attenuto alle condizioni poste al suo sfidante. Si sarebbe fatto prendere, o al massimo si sarebbe suicidato.
Il sole tingeva il cielo di arancione, mentre la città piano piano si svegliava. Era una questione di poco tempo.
Solo pochi giorni. E poi avrebbe agito.
 





Ciao a tutti, chicos!
Allora, sono LittleCatnip e questo è l’inizio della mia fan fiction :D spero che vi piaccia ;)
Se in questo capitolo non avete capito nulla, allora è un buon segno, perché scoprirete di cosa parla nei prossimi capitoli … se avete le idee chiare invece, siete dei possibili “sfidanti futuri” – anche questo lo capirete in seguito –
Bene, un bacione e vi aspetto intanti al prossimo capitolo ;)
L.C.

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Capitolo 2
*** Un'attesa notiza ***


Un’attesa notizia
 




Shawn scese dal treno e si avviò verso la fine del binario 7, al sottopassaggio. Unendosi  alla folla di studenti che come lui si recavano alla St. Hylson High School, non poté fare a meno di pensare a quanta gente potesse ospitare la stazione Cross’s Over, la più grande di tutta la contea.
Non si accorse di essere uscito dalla stazione, né che qualcuno lo stesse chiamando, finché quel qualcuno non lo trattenne per lo zaino, facendogli perdere l’equilibrio. Shawn rimase in piedi per miracolo e si girò: due occhi ambrati lo fissavano allegri e un sorriso gli sciolse il cuore.
“Sei sordo per caso? È da un sacco di tempo che ti cerco di chiamarti.” Disse Maggie.
“Scusami, hai ragione.”
Shawn la attirò verso di sé e la baciò. Lei ricambiò il bacio con dolcezza, mordicchiandogli il labbro; per tutta risposta cominciò a farle il solletico e Shawn e lei si allontanò di scatto, ridendo come una bambina. In quei momenti, Shawn capiva quanto fosse bella e pura. Si era innamorato di lei la prima che l’aveva vista e dopo 8 mesi di amicizia si erano messi insieme. Il giorno del 16esimo compleanno di lei.
A Shawn piaceva tutto di lei, anche i suoi difetti. Gli piacevano i lunghi ricci castani, soffici e profumati, i grandi occhi ambrati, gli occhi di una cerbiatta, le lentiggini, ballerine sul naso e sugli zigomi, le labbra piene e soffici, ciliegie scarlatte, mature e succose. Arrivava a un metro e ottanta in altezza e il suo fisico non passava mai inosservato, ovunque andasse, tutti si giravano a guardarla. C’era anche qualcos’altro che a Shawn piaceva, ma che non tutti potevano vedere: la sua spensieratezza, di una persona che dà sempre il massimo e che sorride sempre, in ogni momento, come se possa essere l’ultimo della sua vita.
Camminarono mano nella mano sulla 24esima che li avrebbe portati a scuola. Era una strada stretta e a senso unico, la più breve per arrivare alla stazione e anche la meno trafficata; passava qualche autobus e di tanto in tanto anche qualche macchina. Sulla parte sinistra non c’era il marciapiede, ma i ragazzi camminarono lo stesso sulla strada. La rete lasciava intravedere la stazione e i binari, sempre stracolmi di pendolari. Delle villette costeggiavano il lato destro e il sole sorto da poco tingeva il cielo di arancione, dando ai grattacieli metallici mille sfumature.
Parlarono del più e del meno, ridendo e scherzando e dopo una decina di minuti si ritrovarono davanti alla loro scuola. L’edificio austero e imponente svettava davanti a loro, in forte contrasto con la risate e le frivolezze degli studenti che chiacchieravano o ripassavano la lezione del giorno. Passarono anche davanti alla Vecchia Quercia, un albero secolare sotto il quale gli studenti si riposavano seduti sull’erba, riparati dalla sua ombra nelle calde giornate di maggio. Superarono la fontana, alta 3 metri, e anche l’angolo dei ‘Fumatori Incalliti’ dove persino i professori prestavano gli accendini ai ragazzi. Salutarono anche conoscenti e amici, soffermandosi di tanto in tanto a scambiare due parole, finché non si ritrovarono sotto il portico dell’ingresso principale.
Posarono gli zaini carichi di libri a terra e Maggie si sedette sul muretto. Shawn le mise le mani attorno ai fianchi e per un lungo istante si guardarono negli occhi, fino a quando lei non parlò.
“Shawn, per caso c’è qualcosa che ti preoccupa? Stamattina sei così pensieroso, anzi, del tutto assente.”
Shawn non poté fare a meno di darle ragione. “Sai, stamattina, mentre facevo colazione leggevo il giornale e ho scoperto una cosa che mi lascia alquanto perplesso.”
“Sarebbe a dire?”
“Sicuramente avrai sentito parlare del cadavere trovato senza testa nei bagni pubblici della 41esima est. Ebbene,gira voce che Aima si aggiri in città e che questo omicidio, insieme a un altro un po’ meno recente, possano essere opera sua.”
“Aima? E chi sarebbe? Un serial killer? Andiamo, Shawn, non vorrai mica lanciarti al suo inseguimento, spero.” Rispose Maggie con disappunto.
“Tu non lo conosci semplicemente perché non leggi i giornali …”
“Certo che li leggo! È solo che non mi considero un aspirante detective come qualcuno di mia conoscenza” ribatté.
Ancora una volta aveva colto nel segno. Shawn era un appassionato di libri gialli, thriller, horror e polizieschi e seguiva con molto interesse i casi che leggeva sui giornali o che ascoltava in televisione. Suo nonno, un famoso detective privato ormai in pensione, gli aveva insegnato tutti i trucchi del mestiere, tanto da definirlo ‘Il miglior detective di sempre. Dopo suo nonno, si intende’. E scoprire chi fosse Aima era uno dei sogni segreti che Shawn coltivava da quando era bambino. Un giorno si era persino presentato alla centrale di polizia, chiedendo di poter lavorare, ma fu cacciato malamente, perché era ancora troppo giovane. Ci aveva riprovato anche quest’anno, ma i risultati che ottenne, furono gli stessi. Avrebbe dovuto finire gli studi, e forse avrebbero potuto fare qualcosa per lui. E Shawn era più deciso che mai a finire la scuola e a diventare maggiorenne. In fondo avrebbe dovuto aspettare solo un anno.
 Era normale quindi, che fosse tanto preso da una notizia del genere, mentre gli altri ne erano terrorizzati.
“Aima è un pericoloso serial killer che qualche anno fa ha seminato il terrore non solo qui, a St. Hylton, ma anche in altre città del paese. Rapisce la gente e lascia istruzioni ai parenti o alla polizia e loro devono cercare di salvare le vittime, prima che lui le uccida. Nessuno fin’ora è riuscito a batterlo, è troppo astuto. Ha commesso ben 12 omicidi, uno a poca distanza dall’altro. Le forze dell’ordine stavano letteralmente impazzendo.” Spiegò Shawn.
“E come uccideva le sue vittime? E perché si pensa che sia tornato? Perché se è tornato, vuol dire che se ne era andato …” chiese Maggie, sempre più curiosa.
Shawn fece un lungo respiro e prese fiato prima di cominciare a parlare. Detestava doversi ripetere.
“Come ho detto prima, le rapiva e dopo qualche ora si metteva in contatto con la persona da sfidare e la poneva davanti un enigma. La soluzione era la chiave per aiutare i rapiti, ma purtroppo quasi nessuno riusciva a risolverli, o li risolveva troppo tardi. Ed era in quel momento che Aima ti mandava un filmato, dove  uccideva le sue vittime, chi con un coltello, chi mutilandole, chi bruciate mentre ancora respiravano ed erano coscienti. Quando la polizia riusciva a scoprire da dove provenisse il segnale, era troppo tardi.”
Fece una pausa. Maggie lo stava guardando, seria, senza alcun segno di emozione in volto.
“Il 14 giugno del 2004 mandò un video alla polizia, mostrando il suo vero volto. Fu visibile solo per pochi secondi, poi il video fu cancellato e di lui se ne persero le tracce. La polizia, persino i servizi segreti lo cercarono, setacciando palmo a palmo il paese, ma nessuno lo trovò e presto venne dimenticato, credendolo morto o nascosto in qualche altro paese. Fino ad oggi.”
“Quindi … tu credi che dietro agli omicidi ci possa essere dietro lui?” chiese Maggie con una punta di paura nella voce.
“Sì.” Rispose Shawn con fermezza.
“E come fai ad esserne sicuro? Insomma, tutti sono capaci di uccidere, o no?” domandò timidamente.
“Sono sicuro per un semplice motivo: in tutti i luoghi dove sono stati ritrovati i cadaveri delle vittime, è presente anche l’impronta di una mano scarlatta, fatta con il sangue delle vittime. La polizia ha trovato anche tracce di DNA differenti da quelli dei cadaveri, ma il nostro assassino non è registrato in nessun archivio e robe simili. È come se si trattasse di un fantasma.” Shawn fece un’altra pausa e riordinò in pensieri.
“ Credo anche che dovremmo essere molto cauti, specialmente adesso che lo sappiamo. Non sappiamo quali siano le sue vere intenzioni, né perché la sete di sangue in lui sia tornata. Sappiamo solo, che vuole uccidere, e che non passerà molto tempo, prima che colpisca ancora.” Prese ancora fiato. “ Per questo, ti pregherei di non andare in giro da sola, a meno che non sia di vitale importanza.”
Shawn si pentì subito di aver pronunciato quelle parole e desiderò di non avere mai detto una cosa del genere. Maggie non era una fifona, né tantomeno una codarda, anzi, era molto coraggiosa, ma era dolce e sensibile. E incapace di mentire. L’ impassibilità che aveva sfoggiato sul suo viso mentre Shawn raccontava quello che sapeva sul serial killer svanì e le sue vere emozioni tornarono a galla. Fissava Shawn con gli occhi sgranati e cercò di mascherare un brivido, che la percorse da capo a piedi. Shawn però la conosceva bene e la strinse forte a sé, rassicurandola. Le disse che le sarebbe sempre stato vicino e che non aveva nulla da temere.
“Ascolta Principessa” le disse. Le piaceva chiamarla così, in fondo lui era il suo Principe Azzurro, nonché primo fidanzato. “Non sto dicendo che non devi avere paura, ma semplicemente che devi stare con gli occhi ben aperti.” Le sussurrò all’orecchio.
“Lo so.” Rispose Maggie, sussurrando a sua volta, con il mento appoggiato sulla sua spalla e le braccia attorno al suo collo. “So benissimo che avere un ninja come ragazzo si sarebbe dimostrato utile prima o poi.
Shawn rise, sollevato. Aveva dimenticato che aveva raggiunto il grado più altro nella disciplina del ninjitsu e che poteva mettere a tappeto un avversario con pochissime mosse. Suo nonno aveva voluto che cominciasse a praticare la dura disciplina fin dalla tenera età e Shawn aveva raggiunto risultati sorprendenti.  
In quel momento la campanella suonò, richiamando l’attenzione degli altri studenti, che iniziarono a entrare di malavoglia. Shawn aiutò a far scendere Maggie dal muretto e le porse lo zaino, sorridendo. Lei ricambiò il sorriso, si mise lo zaino in spalla e aspettò Shawn per entrare. Lui le mise un braccio attorno alla vita e le diede un bacio sulla tempia, gustando il suo profumo di cocco e vaniglia. Salirono insieme le scale e arrivati al terzo piano si fermarono. Si scambiarono un ultimo sguardo carico di amore ed affetto e si diressero ognuno verso la propria classe.  
 
 



Salveeeee
Allora … qui incontriamo i nostri due protagonisti :3
Shawn e Maggie *-* ho passato tantissimo a immaginarli e a definire i loro caratteri e nel corso della storia ne vedranno delle belle XD
Comunque, fatemi sapete cosa ne pensate del capitolo e se avete qualche suggerimento o dubbio, non esitate a chiedere
Un bacio :*
L.C.

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Capitolo 3
*** Scuola ***


Scuola


Entrai in classe ancora scossa per il racconto di Shawn. Quella storia sul serial killer poteva essere benissimo la trama di un macabro racconto dell’orrore e io odiavo, anzi, detestavo con tutta me stessa gli horror e le storie su vampiri, fantasmi e compagnia bella. Come se non bastasse quel simpaticone del mio ragazzo, quando mi invitava a casa sua, trovava sempre un pretesto per guardarli ed io non potevo fare altro che sedermi vicino a lui sul divano e mangiare popcorn insieme a lui. Credo però che il signorino lo facesse apposta, solo per il gusto di prendermi in giro e per fare battute sceme perché, ogni volta che qualcuno veniva ucciso, o segregato o mutilato, mi stringevo a lui e non mi staccavo per tutta la sera. Nei casi peggiori – ad esempio quanto vedemmo l’esorcista – la notte avevo gli incubi e puntualmente arrivava la febbre. Questo faceva sentire Shawn un po’ in colpa, e tutte le volte prometteva che non avremmo più rivisto film del genere, ma, un po’ sfacciatamente, ne trovava uno nuovo. Smise solo dopo che non gli parlai più per una settimana.
‘Rallegrata’ da questi pensieri notai che in classe c’erano quasi tutti i miei compagni, chi seduto sul banco a ripassare, chi a mandare messaggi e chi chiacchierando. Salutai tutti un po’ frettolosamente, non facendo neanche caso se mi rispondessero o meno. Andai verso le finestre e le spalancai per far entrare un po’ di aria, senza badare a eventuali proteste. Dopo di che raggiunsi il mio banco abituale, ma notai che era già occupato da quel cretino di Michael New.
“Buongiorno Margherita, dormito bene? Sai, sei pallida come un lenzuolo.” Disse con finta preoccupazione sorridendo in modo angelico. Non lo sopportavo quando mi chiamava con il mio nome per esteso, e neanche quando faceva lo spavaldo. Decisi di fare finta di niente e di contrattaccare.
“Una pessima giornata anche a te, New. Potresti gentilmente spostarti da qualche altra parte? Quel banco sarebbe mio.” Gli dissi cordiale. Quel banco era favoloso, l’ultimo, seminascosto da una colonna, accanto al termosifone.
“Mi dispiace, però chi primo arriva meglio alloggia.” Rispose sorridendo.
“Beh, non mi sembra che tu sia arrivato primo l’ultima volta.” Commentai acida. La sua clique scoppiò a ridere ed io me ne andai trionfante, ripensando a qualche settimana prima. Lo avevo battuto nella gara di salto in lungo di ben dieci centimetri, arrivando quasi a tre metri e quaranta.
Comunque, ero rimasta lo stesso senza un banco. Mi guardai intorno e ne vidi uno vuoto, o quasi. Mi affrettai a raggiungerlo,penultimo banco sulla parte sinistra della classe, vicino alla mia migliore amica. Kathleen stava ripassando chimica, la testa china sul banco, con i lunghi capelli neri raccolti in una folta treccia. Non si accorse neanche della mia presenza, così decisi di aspettare. Dopo qualche secondo tirò su la testa di scatto e mi abbracciò, dandomi due baci sulle guance. “Non sapevo che fossi arrivata! Menomale, comunque, mi devi aiutare con chimica, non ci sto capendo niente!” mi disse tutta trafelata.
“Cos’è che non ti è chiaro?” le chiesi dolcemente. Chimica era la mia materia preferita ed ero ben lieta di aiutare Kathleen – che al contrario di me la detestava – a capirla.
“Questo problema, il numero 35 di pagina 87.”
Aprii lo zaino e tirai fuori il libro e il quaderno con la copertina rossa. Lo aprii alla pagina indicata e lessi il problema: “ Calcola la pressione di una mole di ossigeno, che alla temperatura di 160°C occupa un volume di 5 litri. Oh andiamo Kath, è più semplice di quanto pensi.”
“Illuminami allora!” rispose ridendo.
“Dunque, ti chiede di trovare la pressione …”
“E come si trova la pressione? Non riesco a trovare la formula sul libro, ho trovato solo l’equazione di stato dei gas perfetti …”
“Esatto!” esclamai “Devi solo applicare la formula inversa!” le spiegai.
Continuava a guardarmi con sguardo perso, così le diedi un piccolo aiuto.
“Allora tu sai che la pressione per il volume è uguale al numero di moli per la costante per la temperatura.” Scrissi il la formula [pV=nRT] su un foglio per gli appunti. “Quindi a cosa è uguale la pressione?”
“È uguale alle moli per la costante per la temperatura … il tutto diviso il volume!” Mi strappò la atita di mano e scrisse la formula inversa[(nRT)/V]. “Wow Maggie, sei un genio! Qual è il tuo segreto?” esclamò più contenta che mai.
“Il mio segreto? Tanto studio e costanza.” Le dissi di rimando, il che era vero. Non passava giorno in cui non dedicassi meno di quattro ore allo studio. Persino di domenica.
“Ricordati però che i gradi Celsius vanno convertiti in Kelvin e che se vuoi trovare la pressione in Atmosfere la costante vale 0,0821 (atmxL)/(molxK) e che se la vuoi trovare in bar vale 0,0831 (barxL)/(molxK).” Le ricordai. Kathleen digitò una serie di cifre sulla calcolatrice e scrisse tutto sul quaderno. Poi andò a controllare il risultato del libro. “Oddio mi viene! Mi è venuto l’esercizio!”
“Hai visto quanto è facile? Vedrai, d’ora in poi riuscirai a farli tutti!”
“Silenzio, per favore.” Pregò il prof. Converto, che era appena entrato in classe. Era un uomo sulla sessantina, con dei capelli bianchi sparpagliati qua e là. Il suo stile, avrebbe fatto accapponare la pelle ad ogni stilista e anche ad una persona normale. Indossava degli occhiali da vista e un maglione grigio a pois con un pantalone di un colore indefinibile bucato in più punti. A completare il tutto dei mocassini con dei motivi floreali. Semplicemente vomitevole. Per nostra fortuna, il suo carattere non era così disastroso come il suo aspetto, quindi tutto sommato era un tipo a posto.
“Dunque ragazzi, avete fatto gli esercizi?” chiese rivolto alla classe. In risposta ottenne un mormorio sommesso di ‘sì’ e lamenti.
“Bene. Qualcuno si offre volontario per l’interrogazione?”
Questa volta non ottenne nessuna risposta.
Gli occhi degli altri ragazzi si concentrarono su di me. C’era chi mi guardava con unaria di supplica, chi con rispetto, chi con rabbia e chi con dolcezza. Sospirai. Sarebbe toccato a me un’altra volta. Mi dava altamente sui nervi che gli altri non studiassero e che riuscissero miracolosamente a cavarsela e a non prendere un’insufficienza. Alzai la mano, ma il professore mi bloccò. “Mi dispiace Sheridan, ma ho già ben quattro voti e non siamo neanche a novembre.”
“Prof, oggi è il 30 ottobre sii gentile, per favore, la interroghi.” Supplicò qualcuno alla mia destra. Fabiano Giords, un nullafacente con la N maiuscola.
“Mi dispiace ragazzi, ma ormai ho deciso. Dovrò chiamare io.”
La tensione che si era creata all’interno della classe si poteva tagliare con il coltello. Era buffo vedere Michael e il suo gruppetto in preda al panico, tanto che non riuscii a trattenere una risatina. Nel frattempo, Converto stava scrutando il registro pensieroso. Dopo qualche secondo di silenzio di tomba, batté la mano sulla cattedra, facendo sobbalzare l’intera classe. “Nykon, vieni tu, per favore.”
Sentii Kathleen irrigidirsi a fianco a me. Esitò un attimo,come se non sapesse cosa fare, poi prese il quaderno e si avviò verso la lavagna. Le sussurrai piano un ‘buona fortuna, ce la puoi fare’ e lei fece un cenno con la mano per indicare che mi aveva sentito.
Consegnò il quaderno al professore e prese il gesso dalla scatoletta appesa sotto la lavagna.
Converto le fece molte domande di teoria e poi passò agli esercizi. L’esercizio che le chiese di risolvere era molto semplice, uguale a quello che le avevo mostrato prima. Infatti lo risolvette in meno di tre minuti e il professore ne rimase estasiato. “Complimenti Nykon! Vedo che hai studiato. C’è qualche imprecisione sulla teoria, ma sei andata bene lo stesso, rispetto alla verifica della settimana scorsa. Ti meriti un 8 e mezzo. Continua così.”
Kathleen tornò al posto e spruzzava felicità da tutti i pori. Gli altri ragazzi la fissavano a bocca aperta.
Sì, ero proprio contenta che ce l’avesse fatta.
Il professore cominciò a spiegare ed io mi preparai per prendere appunti, ma fui interrotta.
“Ti ho visto parlare con Shawn stamattina. Sembravi … strana.” Concluse Kathleen, ancora con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto.
“Non hai tutti i torti. Ecco, devi sapere che Shawn mi ha raccontato la storia di Aima …”
“Il serial killer spietato? Dicono che si aggiri di nuovo in città.” Rispose sovrappensiero e sottovoce, per non interrompere la lezione.
“Lo conosci?” le chiesi incredula. Possibile che tutti fossero elettrizzati o imparziali o ben informati tranne me?
“Oh, andiamo, tutti lo conoscono. Ha seminato il panico qualche anno fa, quando eravamo ancora troppo piccole per realizzare cosa stesse veramente succedendo. Ma torniamo a noi … cosa centra tutto questo con voi piccioncini?”
“Non lo so. Shawn era molto, come dire, estasiato e allo stesso tempo strano e apprensivo.” Di solito non mi risultava troppo difficile capire cosa stesse pensando veramente, ma l’atteggiamento che aveva mostrato quella mattina era particolarmente insolito. Un comportamento non-da-Shawn.
“Oh, andiamo, possibile che non ci arrivi?” mi chiese incredula. Io scossi la testa in risposta; non avevo idea di dove volesse andare a parare.
“Non hai pensato che forse si preoccupa per te?”
“E perché dovrebbe preoccuparsi per me? Non ne vedo motivo.”
“Maggie, sarai anche un genio in chimica, ma in questioni amorose sei un disastro totale.” Rispose scherzando. “Ha paura che Aima ti faccia una proposta di matrimonio prima che te la faccia lui.”Disse tutta tranquilla, trattenendo però a stento una risata.
“Che assurdità!” sbottai. “Non vedo alcun motivo per cui Aima possa prendere di mira me. Non sono mica l’unica ragazza della città. E poi smettila con questi discorsi, mi metti ansia e sono anche privi di logica.”
Kathleen rise e mi abbracciò. “Hahahah, va bene la smetto. E comunque non c’è da meravigliarsi che Shawn si faccia certi pensieri, dovresti vedere come incenerisce con lo sguardo gli altri ragazzi; ti sbavano tutti dietro come cagnolini.”
Il prof. Converto ci ammonì e noi concludemmo la conversazione. Adesso che mi ero confidata con Kathleen, non vedevo l’ora di passare un po’ di tempo con Shawn. Quando c’era lui mi sentivo tranquilla e al sicuro, tra le sue braccia forti e muscolose; aveva il potere di farmi tornare bambina; di essere me stessa. Sospirai e cercai di concentrarmi su chimica, ma constatai che il professore aveva già finito da un pezzo la spiegazione e che stava segnando i compiti sul registro. Pazienza. Quel pomeriggio avrei studiato più del solito.

Quando la campanella annunciò la ricreazione – dopo due ore interminabili di Dante, Purgatorio e compagnia bella – schizzai fuori dalla classe seguita a ruota da Kathleen, intenta ad annunciare a tutti il suo trionfo in chimica. Scesi i tre piani di scale, in mezzo alla folla di studenti che approfittavano del bel tempo per uscire, facendo una sosta alla macchinetta. Optai per un pacco di biscotti al cioccolato, i miei preferiti.
Improvvisamente qualcosa mi strinse il fianco, costringendomi a sobbalzare e a cacciare un urlo. Finii dritta tra le braccia di Shawn che mi strinsero in una morsa stritolatrice. “Questa me la paghi, Synets.” Gli dissi cercando di liberarmi. Ma più mi divincolavo e più lui stringeva, così alla fine mi arresi e mi lasciai mordere il lobo dell’orecchio; le sue labbra morbide, il suo respiro fresco sul lobo e sul collo, erano puro piacere. Mi lasciò andare e ci dirigemmo il cortile, sotto la Vecchia Quercia. “Ehi, aspetta, che fine ha fatto Kathleen?” chiesi guardandomi intorno.
“È laggiù, davanti alla fontana.” Rispose Shawn. Guardai nella direzione indicata da lui e sorrisi. Stava chiacchierando allegramente con Dimitri, il migliore amico di Shawn.
“Sono curiosa di scoprire chi avrà il coraggio di fare il primo passo.” Commentai. E poi diceva che io ero una frana in amore.
“Beh, a noi non c’è voluto molto, o sbaglio?” Sorrise malizioso. “Sto cercando di convincerlo a darsi una mossa, ma è testardo come un mulo. Come te.” Mi disse e io cercai di colpirlo con uno schiaffo, ma con scarso successo. Aveva degli ottimi riflessi. “
Si distese sull’erba e si mise le mani sotto la testa, il volto rivolto verso l’alto. Ancora una volta, mi ritrovai a contemplare la sua bellezza: i capelli biondo miele, il suo fisico muscoloso, la bocca perfetta. Quel giorno portava una maglietta grigia aderente che metteva in risalto gli addominali scolpiti. Sì, era proprio bello. Ed era mio.
“Oggi pomeriggio che fai?” mi chiese ancora con gli occhi chiusi.
“Devo fare i compiti e mi devo lavare i capelli.”
Aprì gli occhi e si mise di lato, appoggiato su un gomito. “Non credo di aver capito bene. Stai forse insinuando che lavare i tuoi capelli è più importante che uscire con me?”
“Eddai, non fare lo scemo presuntuoso, sai benissimo che mi ci vuole un sacco di tempo per lavarli.” Un’ora e mezza buona, forse anche di più. “Sono libera domani, se vuoi.”
I suoi occhi verdi si illuminarono. Erano di un verde sconvolgente, come le foglie del basilico appena lavato.
“Perfetto”. Disse compiaciuto. L’indomani avremmo festeggiato Halloween insieme, travestiti da Aladdin e Jasmine versione zombie. Sarebbero venuti anche Kath e Dimitri, anche loro con dei costumi a tema. Si sarebbero travestiti da ‘La bella e la bestia’. Semplicemente adorabili. Dopo averci dato appuntamento a casa di Kathleen, saremmo andati in centro e avremmo ballato e sfilato per le strade, come gli altri ragazzi della città. In quel momento pensai che quell’anno sarebbe stato tutto perfetto.


Aimè, quanto mi sbagliavo.




Angolo Autrice:
Salve ragazzi! Allora, questo è un capitolo intermedio tra il primo e quello che accadrà nei prossimi. Margherita è alle prese con chimica e in questo capitolo Aima viene messo un po' in secondo piano.
Ringrazio chi ha inserito la storia nelle seguite, ricordate etc.
RECENSITEEEEEEE!!!
L.C.

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Capitolo 4
*** Preparativi ***


Preparativi

 
Tornando a casa, Shawn si sentiva al settimo cielo. Era venerdì pomeriggio e la giornata era trascorsa in maniera insolitamente tranquilla rispetto agli standard degli anni passati; di solito gli studenti frequentavano le lezioni già travestiti e si mettevano a spaventare i ragazzi più piccoli o a lanciare stelle filanti e coriandoli in cortile. Quel giorno, invece, non si era vista neanche l’ombra di una maschera, o un solo accenno al giorno di Halloween, il che era molto strano. Shawn pensò che fosse dovuto alla festa che il sindaco aveva deciso di organizzare in centro, per la prima volta nella storia della città, gratis e accessibile a tutte le età. L’intera parte storica della città, che ricopriva un’area di quasi 6 chilometri quadrati, era stata transennata e fatta diventare zona pedonale; vi avrebbero avuto accesso solo le persone con dei travestimenti completi – quindi con costume e trucco – e i quattro archi trionfali, che con le mura di cinta vecchie duemila anni circondavano la zona, sarebbero stati i quattro ingressi per entrare.
A Shawn spettava un pomeriggio intenso di preparazione, insieme a Dimitri, mentre le ragazze si sarebbero fatte venire a prendere a casa di Kathleen, dove si sarebbero cambiate e sistemate.
Entrò nel grande cancello che circondava casa sua, una villa di campagna molto grande e con un vasto giardino e persino un frutteto. Si diresse proprio lì, si arrampicò su un melo e cominciò a leggere un libro che aveva nello zaino. “Stregato dalla notte” si intitolava e glielo aveva consigliato Maggie, definendolo avvincente e incredibilmente romantico. Poco tempo dopo però, lo richiuse e lo appoggiò su un ramo vicino, cominciando a pensare. Una volta arrivati in centro, avrebbero dovuto prima trovare parcheggio e la cosa non era molto semplice, tanto che Shawn prese in considerazione l’idea di prendere la metropolitana. Ma sicuramente sarebbe stata piena, così mise da parte quell’idea. Poi sarebbero andati all’ingresso che si trovava a nord, avrebbero fatto il giro guardando le bancarelle e i vari spettacoli e poi sarebbero usciti da sud, non prima di aver assistito allo spettacolo pirotecnico di mezzanotte.
Continuò a pensare e a ripercorrere mentalmente la serata imminente, finché la voce di Jeanne non lo portò alla realtà. La signora bassa e bionda, che aveva accudito lui e i suoi due fratelli fin dalla tenera età, lo informò che Dimitri era arrivato e che lo stava aspettando nell’atelier.
Shawn scese dall’albero ringraziando la sua governante, camminando a passo svelto, e si fermò davanti ad una costruzione circolare posta sul lato destro della casa. L’atelier di Elijah aveva la forma di un igloo, solo che era molto più appariscente rispetto ad un pezzo di ghiaccio. Nato con la passione per la moda e il design, Elijah era sempre alla ricerca di nuove idee e ispirazioni per arricchire il suo guardaroba e migliorare il suo look. Di fatto, per i suoi diciotto anni i suoi genitori gli avevano costruito quel laboratorio dietro casa, in modo tale che potesse studiare e divertirsi senza doversi spostare troppo. Ormai era già noto nel mondo della moda, e quando venne a conoscenza dell’intenzione di Shawn di andare alla festa di Halloween, si era offerto volontario per cucire i costumi e per truccare i ragazzi. Ormai passava più tempo lì che a  casa, a cucire, tagliare e tingere, e a Shawn non dispiaceva affatto  che qualcuno aiutasse lui e Dimitri a fare colpo sulle ragazze, le quali avevano già ritirato i loro costumi quella mattina. “Mai vedere il vestito prima delle nozze!” aveva detto Kathleen. “Sei stato molto gentile, Elijah, ma al trucco vorrei pensarci io, se non ti dispiace.” E se ne era andata di tutta fretta con Maggie alle calcagna, dando appuntamento a casa sua.
Non appena varcata la soglia, Elijah gli andò in contro, lo trascinò a quella che lui chiamava “la postazione di controllo” e lo fece sedere su una sedia girevole accanto a Dimitri.
“Bene miei cari, oggi vi renderò spaventosi e affascinanti allo stesso tempo. Chi vuole iniziare?” domandò.
Dimitri si fece avanti e Elijah lo trascinò verso i camerini. Cominciò a truccarlo, ricoprendo il suo viso di fondotinta bianco con una spugna. Poi, armato di matite, ombretti e sangue finto, creò degli effetti molto realistici sul suo volto; delle grandi occhiaie nere sotto gli occhi, una grossa ferita sulla guancia destra talmente ben disegnata, che sembrava spruzzare pus e sangue.
Lo stesso trattamento toccò a Shawn, sempre più eccitato per la festa imminente. Ormai mancavano poche ore e loro erano quasi pronti; tutti in città si stavano preparando al grande evento, assetati di divertimento e paura, come una festa di Halloween che si rispetti.
Dopo averli truccati e dopo aver fatto loro indossare i costumi, Elijah li posizionò davanti all’enorme specchio che si ergeva imponente davanti a loro. Shawn rimase meravigliato del lavoro di Elijah e anche Dimitri non sembrava essere da meno. Lui indossava dei pantaloni neri aderenti, ornati da una fascia rossa sulla vita – come quelli di un pirata – con degli stivali neri e una camicia azzurro cielo, che però era stata sporcata di sangue finto e strappata in più punti; i lunghi capelli castani legati con un nastro nero. Invece per suo fratello, Elijah aveva cucito una copia perfetta del vestito che Aladdin indossava nel celebre cartone animato, completo di turbante, finti diamanti e strappi. Sì, Elijah aveva fatto proprio un ottimo lavoro. Shawn lo ringraziò con due baci sulle guance e lo abbracciò; il fratello maggiore ricambiò l’abbraccio e lo mandò fuori un po’ bruscamente, chiudendogli la porta in faccia. A Shawn bastò un’occhiata all’orologio per rendersi conto del motivo di quel gesto così avventato; montò in macchina con Dimitri e sfrecciarono a tutta velocità verso casa Nykon.
Nonostante le condizioni di guida sfavorevoli, come il traffico, innumerevoli semafori rossi e vecchiette che impiegano dieci minuti buoni per attraversare la strada, riuscirono ad arrivare in perfetto orario, senza neanche un capello fuori posto. Dimitri parcheggiò nel piazzale del condominio e scese a suonare il campanello. Shawn sentì la voce squillante di Kathleen gridare un “arriviamo” e in pochi minuti l’enorme portone si aprì, mostrando le due ragazze in tutta la loro bellezza. Shawn perse un battito e Dimitri si lasciò sfuggire un fischio.
Maggie indossava lo stesso identico vestito di Jasmine, con l’elastico ai piedi, e la miriade di ciondoli che tintinnavano ad ogni suo movimento. Aveva la pancia scoperta, perfettamente piatta e i lunghi capelli neri raccolti in una morbida, ma folta treccia, abbellita con una piccola coroncina dorata. Anche il suo trucco era molto realistico e l’azzurro del vestito era ricoperto da sangue finto. Kathleen era conciata più o meno allo stesso modo, solo che il suo vestito era del colore del sole, con un’ampia gonna e le spalline scoperte.
“Allora? Siete pronte per partire?”chiese Dimitri.
“Certo che sì!” rispose Kathleen facendo l’occhiolino. La prese sottobraccio e montarono in macchina, aspettando Shawn e Maggie.
“E tu?”
“Io cosa?”
“Sei pronta, mia principessa?” sussurrò Shawn al suo orecchio, cingendole i fianchi.
“Sempre.” Rispose lei donandogli un grande sorriso.






Angolo autrice:
Scusate tanto per il ritardo, ma avevo una miriade di compiti e interrogazioni e non ho avuto molto tempo per scrivere. Il prossimo capitolo e' gia' pronto, mancano solo gli ultimi ritocchi e lo postero' entro domenica prossima. Questo capitolo e' un po' inutile, mma mi serve per agganciare la festa di Halloween alla trama della storia. E il vostro come e' stato? Il mio a dir poco spaventoso *W*
Al prossimo capitolo, RECENSITE PER FAVOREEEEE!
L.C.

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Capitolo 5
*** Halloween-Parte 1 ***


Halloween

 
 
Il viaggio in macchina fu incredibilmente breve, nonostante tutte le strade pullulassero di maghi, streghe, folletti, vampiri e fantasmi di tutti i generi e di tutte le età. In meno di un quarto d’ora, dopo aver percorso senza mai svoltare la 1° strada, arrivammo all’incrocio della 192esima, impossibile da non notare per via dell’enorme grattacielo argenteo, che stonava con i normali condomini sottostanti e con le antiche mura romane che circondavano il centro storico di St. Hylton. Qui era quasi impossibile proseguire in macchina, così Dimitri svoltò a sinistra ed entrò in un parcheggio  pagamento, poco distante dall’ingresso della zona nord. Per nostra fortuna, c’era un posto libero proprio a due passi dalla macchinetta dove avremmo dovuto pagare e Dimitri parcheggiò senza indugi, noncurante delle proteste dei passanti che si facevano da parte al suo passaggio, per evitare di non essere investiti.
“Hey, rallenta, non stai mica giocando alla wii. Sarà anche la notte di Halloween, però bisogna essere educati lo stesso.” Protestò Kathleen alla vista dei poveri passanti. Dimitri per tutta risposta accelerò fino all’ultimo e poi frenò di colpo, spengendo i motori. “Io faccio quel che mi pare, dolcezza.” Rispose ammiccando e trattenendo a stento una risata per l’espressione contrariata di Kathleen.
 Scese dalla macchina insieme a Shawn e io Kathleen aspettammo che ci aprissero la portiera come due vere principesse. Successe tutto secondo le nostre aspettative: i ragazzi aprirono lo sportello, fecero un inchino molto profondo e tendendoci la mano ci aiutarono a uscire, tutto in perfetta sincronia.
Il parcheggio era pieno di persone mascherate e presto si sarebbe riempito anche di multe. La gente aveva parcheggiato in doppia fila, sicuramente senza aver pagato il parcheggio e molte macchine sostavano in posti riservati ai disabili. Possibile che la gente perdesse il buonsenso solo per una festa di Halloween? Evidentemente sì, ne avevo avuto conferma anche dall’atteggiamento alquanto insolito di Dimitri. Che cercasse di fare colpo su Kathleen giocando la carta del ‘duro’? Per ora non si era rivelata una mossa vincente, anzi, Kathleen non aveva più mostrato segno di voler parlare con lui e mi dispiaceva; io e Shawn avevamo fatto il possibile per far sì che si mettessero insieme – era stato Dimitri a chiederci una mano – e lui buttava all’aria mesi e mesi di uscite a quattro e serate al cinema e in pizzeria. Decisi che lo avrei preso da parte e che gli avrei parlato per chiedere chiarimenti, era evidente che qualcosa non andava.
Uscimmo e percorremmo la strada per la quale era passato Dimitri ritrovandoci davanti al grattacielo. Era l’unico in città e si diceva che fosse così alto da poter vedere l’intero centro storico e che fosse ultramoderno e ultratecnologico. Non ci ero mai entrata, di solito in comune ci andava mio fratello solo per occuparsi di conti, tasse e altre cose noiose che mi annoiavano a morte portandomi al limite massimo della noia. Mi appuntai mentalmente di andarci prima o poi, con o senza di lui. Già, mio fratello.
Quanto mi mancava.
 Jonathan era partito per due settimane in Danimarca, a Copenhagen, per assistere a delle importanti riunioni di lavoro. All’inizio si era mostrato contrario a partire, perché non gli piaceva l’idea che rimanessi sola a casa per così tanto tempo. I nostri genitori erano morti misteriosamente in una notte d’estate, mentre io e mio fratello, ancora molto piccoli,stavamo dormendo nei nostri letti. La polizia scoprì che si trattò di un omicidio; i corpi presentavano infatti ferite inferte con arma da taglio in tutto il corpo, ma l’assassino era stato molto abile a non lasciare tracce. Il giudice decise di chiudere il caso in assenza di prove e si occupò di trovarci una sistemazione. Era per questo motivo che quando Shawn mi aveva informato sul ritorno di quel pazzo furioso, Aima, mi sentivo così inquieta e agitata. È stato un po’ come rivivere quei giorni, di cui non ho molti ricordi ‘fisici’ ma ‘emotivi’.
 Dopo l’archiviazione del caso, si prese cura di noi la zia Muriel, una vecchia bisbetica e saccente – e alquanto ricca – che non riuscivo a sopportare in nessun modo. Ho vissuto con lei nella sua villa di campagna, in una zona isolata e fuori mano, fino a quando mio fratello non ebbe completato gli studi e fu in grado di pagare l’affitto di un condominio e di prendersi cura di me, come aveva sempre fatto. Aveva studiato ingegneria e si era laureato con il massimo dei voti e ora era partito. Sarebbe ritornato il giorno del suo 26esimo compleanno, il 15 novembre e avremmo festeggiato insieme, come tutti gli anni.
Ritornai con i piedi per terra quando per sbaglio urtai un bambino, che cadde all’indietro sul marciapiede interamente ricoperto da coriandoli e stelle filanti. Subito lo aiutai a rialzarsi, cercando i suoi genitori, che nel frattempo ci avevano raggiunti. Era un bambino bellissimo, con la pelle rosea e morbida e i capelli biondo platino che gli ricadevano morbidi sulla fronte. I grandi occhioni grigi mi scrutavano con un interesse che solo i bambini a quell’età possiedono. “Oh santo cielo, Dennis! Menomale che stai bene!” disse la madre prendendolo in braccio e sistemandogli la benda da pirata e il cappello. Notai che anche lei e suo marito erano vestiti a tema come il loro figlioletto. “Grazie mille, signorina, non riuscivamo più a trovarlo! Coraggio Dennis, saluta.” Lo incoraggiò suo padre, un uomo basso sulla quarantina e dai tratti orientali. Il piccolo Dennis sorrise radioso e agitò goffamente la manina. Lo salutai allegramente con un cenno della mano e mi affrettai a raggiungere gli altri, che nel frattempo erano arrivati fino all’ingresso della zona nord, parecchi metri più in là.
“Sei qui, allora!” mi disse Shawn accusatorio.
“Che ho fatto di male?”
“Nulla, solo che gli stava prendendo un attacco d’ansia perché non ti vedeva più.” Rispose Dimitri diretto. Per la seconda volta non potei fare a meno di non tollerare il suo comportamento sfacciato e sfrontato. Che cosa diavolo gli era preso?! Decisi di lasciarlo perdere e mi voltai verso Shawn che, con mia grande sorpresa, nonostante il trucco, arrossì fino alle punte dei capelli. Shawn che arrossiva? Non mi era mai capitato prima d’allora. Di solito era molto bravo a nascondere i suoi veri pensieri e sentimenti, indossando una maschera salda ma allo stesso tempo fragile come il vetro; in quell’istante la maschera era caduta e si era rotta in mille pezzi, rivelando cosa provava veramente, e mi resi conto che le emozioni che leggevo sul suo volto erano molte, in forte contrasto con il suo carattere riservato. Non c’era forse una macchia di gelosia? O era preoccupazione? E cos’era quel luccichio che leggevo nei suoi occhi verde rosmarino? Malinconia? Ansia? Entrambe? Non ne ero sicura, ma era insolito, per un ragazzo che procedeva a piccoli passi e che sapeva controllare i suoi sentimenti grazie all’allenamento ninja. Mi alzai in punta di piedi (ero alta per essere una ragazza, ma lui lo era di più) e gli diedi un bacio sulla punta delle labbra, talmente leggero e fugace che non poteva venire classificato nemmeno come un bacio a stampo. “Tranquillo, finché ci sei tu non scappo mica.” Gli dissi e lui, ancora stordito e stralunato, ma anche carico di desiderio, mi sorrise e mi strinse a sé, cingendomi i fianchi.
Guardai la lunga fila di persone davanti a noi. Eravamo arrivati relativamente presto ed era un bene; passarono solo pochi minuti prima che toccasse a noi. Sotto l’enorme arco trionfale erano stati sistemati due tavoli da lavoro e dietro delle persone ‘normali’ – senza trucco e costume – che indossavano una maglietta arancione con scritto ‘Staff’. Ci fecero cenno di avvinarci e poi, uno dopo l’altro ci controllarono i costumi e gli zaini. Shawn fece un verso a metà tra un ringhio e un grugnito quando un ragazzo si fece avanti per controllare che non avessi armi o simili, tastando e toccando le mie gambe. Lo ‘sfortunato’ ebbe il buon senso di lasciare il suo posto alla sua collega, una ragazza piccola e minuta con viso da folletto. Quando ebbero finito, strinsi la mano di Shawn per dirgli che era tutto a posto e che queste scenate di gelosia erano del tutto inopportune. Lui mi guardò con sguardo mesto e contraccambiò la stretta; aveva ammesso che avevo ragione.
In quel mentre, sentii Dimitri protestare perché aveva portato nello zaino una bottiglia di vetro, probabilmente contenente della birra. Un uomo dall’aspetto massiccio fece cenno di no con la testa e gettò la bottiglia in un secchio di metallo accanto a lui, senza badare a eventuali proteste. Dimitri alzò gli occhi al cielo e passò oltre, senza neanche aspettare Kathleen, che si era fermata a chiedere informazioni ad un ragazzo poco più grande di lei. Sentii Shawn irrigidirsi accanto a me e intuii che Kathleen era partita al contro attacco; nei suoi occhi leggevo solo determinazione, in quelli di Dimitri rabbia e gelosia. Non mi piaceva per niente quella situazione, così approfittai di quell’attimo presi da parte Shawn. “Senti, non so cosa sia successo tra quei due, e non so neanche cosa stia succedendo a te, ma non mi va giù. Siamo venuti qui per divertirci.”
“Lo so, scusa, è che Dimitri oggi vorrebbe dichiararsi, ma ho paura che sia entrato nel panico e che faccia finta di essere sé stesso solo per non darlo a vedere; appena finisce ci parlo, ok?” Propose accarezzandomi i capelli. “Bene, io parlerò con Kathleen e cercherò di distrarla. Non vorrei trovarmi in mezzo ad una lite.” Ammisi.
“Allora siamo in due.” Rispose e cambiò subito argomento, Kathleen e Dimitri erano arrivati, ognuno sulle sue. Sospirai, Shawn aveva perfettamente ragione: in fondo erano i nostri migliori amici.
 
 
Angolo autrice:
Ciaooooo (: Alloooraa in questo capitolo vediamo i ragazzi alle prese con gli affari di cuore. All’inizio il capitolo riguardante la festa di Halloween era unico, ma poi, sia per una questione di tempo e di praticità, ho deciso di spezzarlo in due parti. È forse uno dei capitoli più importanti della storia, e voglio concentrarmi bene nel descrivere tutto nei minimi dettagli (rimediando al capitolo precedente che era un po’ ‘ristretto’.
Beh, che dire, spero vi sia piaciuto, chissà cosa accadrà nel prossimo (che posterò entro mercoledì)?
Fatemi sapere cosa ne pensate e recensiteeee ;D
L.C.

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Capitolo 6
*** Halloween-Parte 2 ***


Halloween- Inferno




Passammo il resto della serata a girare senza una meta ben precisa, nella speranza di trovare qualcosa di interessante da fare. All’inizio l’atmosfera tra noi era tesa, nessuno sapeva bene come comportarsi. Mi stupì il fatto che fu proprio Dimitri a salvare la situazione, attaccando conversazione con Kathleen e scusandosi per il suo comportamento inopportuno e sfacciato , classificandosi come ‘un perfetto idiota’. Dopo qualche secondo, tutto tornò come sempre e continuammo a parlare per tutta la sera. Nel centro le strade erano state abbellite da finti pipistrelli che penzolavano attaccati ai lampioni, da striscioni colorati sulle mura e da stelle filanti. Dal cielo sembravano piovere una miriade immensa di coriandoli, che come fiocchi di neve si andavano a posare ovunque, sulle strade, sui tetti delle bancarelle e sui passanti che li lanciavano. Si procedeva lentamente, andando a tempo con le altre persone, che spesso e volentieri si soffermavano ad ammirare le bancarelle, spesso comprando dei dolci e delle caramelle per i bambini.
Ormai era calata la notte le stelle brillavano nel cielo sgombro di nuvole. La festa era proprio ben riuscita, tutto organizzato molto bene: dai controlli agli ingressi, fino alla disposizione delle bancarelle e alla scelta degli artisti di strada, accorsi numerosi all’evento per dare spettacolo e per far divertire grandi e piccoli. C’erano dei giocolieri che lanciavano birilli, dei mangiafuoco che sembravano draghi e dei trampolieri che passavano un po’ a fatica in mezzo alla gente, lanciando dolci e caramelle ai bambini. E che dolci! Barrette di cioccolato al miele o all’arancia, canditi, meringhe, biscotti, caramelle alla frutta ed altro ancora. Le stesse cose si potevano trovare alle bancarelle, compreso lo zucchero filato e le cialde con lo zucchero a velo. Il tempo scorreva veloce, scandito dalla musica che regnava su tutta la zona e che proveniva dalla piazza; era una musica dai vaghi ritmi orientali, che ricordava un po’ quelle feste popolari che si vedono nei film e che fanno venire voglia di stare svegli tutta la notte a festeggiare senza fermarsi mai.  Dopo poco tempo però, le strade cominciarono a svuotarsi: stava arrivando la mezzanotte, e a mezzanotte sarebbe cominciato lo spettacolo pirotecnico, preceduto dal discorso del sindaco Abdon Wayrfer.
“Che ne dite se cominciamo ad andare anche noi? Non voglio assolutamente perdermi lo spettacolo!” Disse Kathleen, abbracciata a Dimitri. “Io sono d’accordo con lei” rispose quest’ultimo sorridendo e guardando Shawn carico di aspettative.
“Per me va bene; ormai abbiamo già visto tutto quello che c’era da vedere e ad essere sinceri mi sto annoiando un po’.” Ammise il mio ragazzo e tutti insieme ci incamminammo verso la piazza.
Arrivammo quando mancavano pochi minuti all’ora fatidica. La piazza ottagonale situata nel centro del centro storico era piena di gente quanto Venezia era piena di piccioni. Cercammo di farci largo tra la folla, chiedendo permesso e facendo attenzione a non schiacciare i bambini; dovevamo anche fare attenzione a non perderci di vista e a non perderci. Continuammo ad avanzare mano nella mano fino a quando la posizione fu abbastanza buona per goderci lo spettacolo. Shawn passò lo zaino contenente tutti i nostri telefoni e dolci a Dimitri, che se lo mise in spalla, stando attento nel caso che qualcuno cercasse di rubarglielo.
“Ti stai divertendo?” mi chiese Shawn dolcemente, stringendo le mie mani tra le sue.
“Sì, tantissimo. Non vedo l’ora che arrivino i fuochi, così andiamo a casa a dormire, sono un po’ stanca.” Ammisi.
“Mi stupisce che tuo fratello ti abbia dato il permesso di dormire da me.”
“L’ho notato anch’io”
Io e Jonathan avevamo discusso a lungo sulla mia sistemazione nel periodo riguardante i suoi viaggi. All’inizio lui aveva proposto zia Muriel, ma io ero fermamente decisa a non tornare mai più in quella casa buia e terrificante solo per sopportare quella vecchiaccia che pretendeva facessi la sua cameriera e dama di compagnia. Io avevo proposto di dormire a casa di Kathleen e mio fratello era d’accordo, ma mi ero dimenticata che l’appartamento della mia migliore amica non era tanto grande e che mancava una camera degli ospiti. Così l’unica soluzione fu Shawn; Jonathan accettò solo perché lo conosceva bene, ma impose lo stesso delle condizioni: non avremmo potuto dormire nella stessa stanza e non saremo potuti uscire tutte le sere. Condizioni molto ben accolte dalla sottoscritta: ancora non me la sentivo di dormire con lui e di abbandonare la mia virginità. Sapevo anche che Shawn l’aveva persa da un pezzo, ma a quanto pare non si preoccupava della mia situazione. L’avevo sentito una volta parlare con Jeanne, la governante della villa, riguardo a possibili situazioni future. Lui aveva detto che non si sarebbe mai permesso di ‘mettermi le mani addosso’ senza il mio consenso e che ero ancora troppo piccola per esperienze di quel genere.
“Ricordati che dobbiamo passare a casa di Kathleen a prendere la tua valigia.” Mi ricordò scrollandomi di dosso quei pensieri erotici.
“Ok, va bene, e tu ricordami di ricordartelo.” Risposi di rimando ridendo insieme agli altri.
Le nostre risate e le migliaia di voci della piazza, furono spente da un’altra voce proveniente dagli altoparlanti appesi sopra il palcoscenico allestito per il discorso del sindaco.
“Bene miei cari, silenzio per favore. Vi comunico che il nostro caro sindaco non è qui in questo momento e che io sono il suo sostituto temporaneo.”
Cercai di guardare il palco e constatai che non c’era nessuno davanti al microfono. Anche le altre persone fecero lo stesso, e presto dalla piazza si alzò un mormorio.
“Shh, ho detto silenzio!” Sbottò la voce misteriosa. Aveva un timbro profondo e una nota autoritaria che fece subito zittire tutti.
“Dunque stavo dicendo che il nostro caro sindaco non potrà essere qui per motivi personali e che sarò io a tenere il discorso prima che cominci lo spettacolo” ci fu un attimo di pausa, poi la voce proseguì. “Oggi è Halloween, ragazzi miei, e in ogni parte del mondo questa festa viene celebrata in maniera diversa, chi fa dolcetto o scherzetto, chi rimane a casa e chi va in vacanza da qualche parte. Ma oggi tutta St. Hylton, anzi, tutto il paese, vedrà un modo di festeggiare completamente nuovo. Forse qualcuno di voi ha indovinato, forse qualcuno no, ma sappiate che sarà divertente, come un gioco.” Concluse ridacchiando.
Avevo una strana sensazione in pancia, non sapevo spiegare il perché, ma con l’aumentare dei secondi il pensiero che stesse per succedere qualcosa di brutto cresceva; non era mai capitato che il sindaco mancasse ad una manifestazione importante, era sempre presente anche se stava male e aveva la polmonite, anche solo per pochi secondi, per dimostrare che c’era, che ci sarebbe sempre stato per i suoi cittadini. Shawn doveva pensare la stessa cosa, perché la sua postura si fece tesa e perché i era messo in posizione d’allerta, come nei suoi allenamenti, con le gambe leggermente divaricate, il busto piegato in avanti, i muscoli contratti e aveva attivato tutti i sensi. Dimitri e Kathleen erano perplessi e inquieti quanto me: che cosa stava succedendo?
“Mancano solo trenta secondi a mezzanotte!” Annunciò la voce. “Per molti di voi questa sarà l’ultima festa della loro vita.” Shawn mi guardò spaventato. “Per altri forse la peggiore.” Fece per avvicinarsi, ma altre persone si erano fatte avanti mettendosi in mezzo. Merda. “Sappiate solo che sarà un giorno indimenticabile e che verrà ricordato per sempre nella storia.” Tra la folla si creò movimento. Cazzo, da dove era spuntata tutta quella gente? Perché si era messa tra noi? “E che, per chi non l’avesse ancora capito, il gioco inizia ora.” E quando le campane suonarono, scandendo i dodici rintocchi della mezzanotte, si levò un urlo carico di terrore a pochi metri da me, facendomi gelare il sangue nelle vene.
 
 
I momenti successivi furono i più lunghi e terribili di tutta la mia breve vita. Non avevo neanche fatto in tempo a voltarmi, che un’altra persona urlò, e poi un’altra ancora. Subito la gente aveva cominciato a correre da tutte le parti ed io venni trascinata dalla parte opposta della piazza, lontano dal resto del gruppo. Urlai anche io, chiamandoli per nome, ma era inutile; li avevo persi e non li vedevo da nessuna parte, c’era troppa gente e troppa confusione. Decisi di seguire la massa e di trovare un’uscita da quell’inferno, ma inciampai e caddi in avanti, preparandomi a venire schiacciata da tutte quelle persone. Stranamente però, tutti mi evitarono e continuarono a correre senza curarsi di me. Poi scoprii la causa della mia caduta: il corpo di un bambino, interamente coperto di sangue e con la testa a penzoloni dal collo, la bocca semiaperta in un grido che non aveva finito di emettere. Urlai, inorridita e terrorizzata da quello spettacolo raccapricciante e continuai a correre, senza una direzione ben precisa.
 Intorno a me regnava il caos, la gente scappava e continuava a cadere come le foglie in autunno, una dopo l’altra, annegando in una pozza di sangue. Mi stavo facendo prendere dal panico, non riuscivo a restare calma e neanche a respirare. L’odore di fumo era pungente e copriva la piazza di una coltre nera. Un momento, fumo? Sì, era proprio fumo, e c’erano anche delle fiamme: tutte le bancarelle bruciavano e i coriandoli sulle strade con loro, seguiti dalle stelle filanti e dai festoni. Dovevo sbrigarmi se volevo uscirne viva, così strappai un lembo del costume e lo portai alla bocca, iniziando a correre come una forsennata verso destra. Mi fermai quando mi ritrovai davanti alla biblioteca comunale, in fiamme anche quella. Quello che era stato il mio rifugio per tanti anni era stato distrutto; crollavano dei pezzi di tetto e anche delle tegole, così mi scansai allontanandomi di qualche metro.
Mi ero spinta ancora più in dentro, verso l’origine dell’incendio e avevo anche perso l’orientamento. A causa del fumo non si vedeva niente, gli occhi mi bruciavano come se andassero a fuoco anche loro. Ormai chi era scappato era in salvo, ed ero sola in mezzo alle fiamme. Provai a chiamare aiuto, ma l’aria rovente ustionava i miei polmoni troncandomi il respiro. Tossii, una, due, tre, volte, vomitai tutto, anche l’anima e tutto quello che avevo, urlai, piansi annegando nelle mie stesse lacrime di disperazione. Pensai a Jonathan, a Kathleen, a Dimitri e a Shawn. Shawn. Shawn.
Vedevo il suo volto, che mi diceva di lottare, di non arrendermi, di scappare. Mi morsi la guancia finché non cominciò a sanguinare, e quel sapore salato e ferroso mi fece tornare in me. Le fiamme si erano fatte più alte e stavano avanzando verso di me, dovevo sbrigarmi. La mia corsa fu talmente veloce che mi sembrò di volare e volai, nonostante tutti i muscoli urlassero di dolore e mi implorassero di fermarmi. Non mi accorsi che ero ritornata in piazza sotto il palcoscenico; mi accorsi solo che non ero sola, che qualcuno mi aveva seguito e che le fiamme dominavano anche lì. Riconobbi il pirata, il padre di Dennis, con suo figlio in braccio che piangeva. Si avvicinò e mi disse qualcosa, ma non riuscivo a capirlo, non sentivo niente, solo i miei pensieri.
 All’improvviso, dal nulla comparse una figura alta e incappucciata, con addosso la maschera dell’esorcista. Non feci in tempo ad urlare che scagliò l’ascia contro la schiena dell’uomo, trapassandolo da parte a parte. Gli strappai Dennis dalle braccia e mi vomitò sangue in viso e sui vestiti, mentre si accasciava a terra. Ma l’assassino non si fermò. Tirò fuori dalla tasca un coltello e cominciò a pugnalarlo in ogni centimetro di pelle, sulla pancia, sul viso, negli occhi, e nelle gambe. Persi subito il conto dei colpi, e mi strinsi forte il bambino contro il mio petto, evitando che assistesse alla morte di suo padre ancora in corso. Quando ebbe finito la sua macabra opera, l’esorcista gli taglio una mano e ce la lanciò contro. Mi scansai urlando, gridando aiuto con tutto il fiato che avevo in corpo, ma non serviva a niente, nessuno mi sentiva. L’esorcista si avvicinò a passo lento verso di me, ad ogni suo passo brandendo l’ascia affilata impregnata di sangue.
“Stammi lontano! Aiuto!” gli urlai contro, ma lui continuava testardo, ormai lo avevo visto e non poteva lasciare superstiti. Smisi di indietreggiare quando mi ritrovai dietro un muro di fuoco, impossibile da attraversare, impossibile da domare. Strinsi ancora di più il piccolo tra le mie braccia, che aveva smesso di piangere, come se avesse capito la situazione e volesse aiutarmi. Mi guardava con i suoi grandi occhi grigi, scavando nella mia anima alla ricerca di un barlume di speranza, che però era morto nel momento in cui era morto suo padre. Non c’era più nulla da fare, sarei morta di sicuro, per il fumo, per le fiamme, per la paura o per un coltello conficcato al centro del petto. Ma Dennis no, lui non poteva morire, era così piccolo, doveva vivere e io dovevo salvarlo. Non sarei morta senza far nulla, avrei lottato per difenderlo, avrei graffito con le unghie e morso con di denti se sarebbe stato necessario.
 Nel frattempo il carnefice mi aveva raggiunto, c’era solo un metro a separarci e il fumo era talmente denso che si poteva tagliare con il coltello. L’uomo brandiva l’ascia come se fosse una frusta, cercando di colpirmi, spaventandomi a morte. La lama affilata minacciava sempre di più di colpirmi col passare dei secondi. Poi all’improvviso, l’ascia calò verso di me. All’ultimo però la sua traiettoria fu deviata, strappata dalla mano dell’uomo che iniziò a lottare contro qualcuno, qualcuno accorso per salvarmi. Riconobbi Dimitri che lo picchiava e che urlava contro quell’uomo, tirando calci e pugni in viso e sulle braccia. Poi un pugno lo colpì sullo stomaco e cadde in ginocchio davanti al suo avversario, che aveva estratto una pistola dal giacchetto. In quel momento il tempo si fermò. D’istinto, posai Dennis a terra e presi l’ascia che giaceva a pochi metri da me; poi, con tutta la forza che avevo in corpo, la scaraventai contro le gambe dell’assassino. Il colpo non fu preciso, ma servì comunque a qualcosa; l’uomo cadde come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili e cominciò ad urlare e ad agitarsi imprecando mentre si contorceva e mentre cercava di bloccare l’emorragia che a poco l’avrebbe ucciso. Mi affrettai a prendere la pistola e a recuperare Dennis, che non si era allontanato di un millimetro da dove lo avevo lasciato. Aiutai Dimitri ad alzarsi e ci fermammo un attimo a respirare e a prendere fiato.
“Stai bene?” Mi urlò, probabilmente credeva che non lo sentissi.
“Sì, dove sono gli altri?”
“Non ne ho la più pallida idea. Li ho persi di vista anche io poco fa e non riuscivo a trovarli, così sono ritornato qui. Ma ora basta parlare, dobbiamo andare se non vogliamo farci ammazzare.” Mi disse prendendo la mia mano. “E lui chi è?” chiese il mio migliore amico indicando Dennis ancora stretto al mio petto.
“Un’altra vittima innocente. Che ne facciamo di quello?” domandai a Dimitri, riferendomi all’esorcista. “Non possiamo fare più nulla per lui. Morirà tra pochi minuti.”
“Ma … ma …” Non potevamo lasciare quell’uomo così a morire. Un po’ mi dispiaceva, in fondo anche lui era un essere umano e nessuno meritava di morire per mano di un altro. sperai segretamente che qualcuno dei suoi complici lo trovasse e gli prestasse soccorso, o che almeno gli tenesse compagnia nei suoi ultimi istanti di vita.
“Maggie, non possiamo! Sta avendo quello che si merita. E se ti preoccupa il fatto che qualcuno possa accusare noi di aver ucciso lui, allora puoi stare tranquilla che non hai fatto niente di male; la tu era solo legittima difesa.”
Lo guardai un attimo negli occhi e capii che aveva ragione. Era inutile preoccuparsi, ci avrebbe pensato madre natura a lui.
“Ok allora. Andiamo” risposi e mano nella mano continuammo a correre per fuggire dalle fiamme. Quando per strada incontravamo qualcuno con un’arma Dimitri gli sparava alle gambe, impedendogli di camminare e di farci del male. Le case e i palazzi, così come i cassonetti e le macchine continuavano a bruciare illuminando le strade a giorno. Man mano che ci allontanavamo però, il fumo diminuiva e non dovemmo aspettare a lungo prima di poter respirare aria pulita e fresca. Era una bella sensazione, anche il fuoco nei miei polmoni smise di bruciare e Dennis pareva più rilassato. Camminavamo con più calma, sempre allerta in caso di pericolo imminente, ma non ce ne fu bisogno. Dopo minuti che mi sembrarono un’eternità riuscimmo ad intravedere l’ingresso della zona est, e a riconoscere un camion dei vigili del fuoco. Poi due persone ci corsero incontro, erano Shawn e Kathleen, anche loro sporchi di fumo, ma illesi. Eravamo salvi.
 
 
 
 
Angolo autrice:
Ta-daaaaan! Sono particolarmente fiera di questo capitolo, l’ho scritto tutto in un pomeriggio e penso che sia riuscito bene. Maggie è messa a dura prova dagli avvenimenti macabri della serata, ma alla fine è riuscita ad uscirne illesa – per fortuna – XD
Fatemi sapere cosa ne pensate e al prossimo capitolo!
Cercherò di postare entro domenica, al massimo martedì, quindi recensiteeee!
Kisses,
L.C.

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Capitolo 7
*** Coraggio ***


Coraggio






Il viaggio in macchina fu più lungo del previsto. Dopo aver accompagnato Kathleen e Dimitri nelle loro case, tornammo verso la nostra. I miei migliori amici erano molto provati e stanchi come noi e scesero dalla macchina senza troppe cerimonie e complimenti. Mormorarono solo un lieve e timido ‘ciao’, che sembrava il suono di una foglia trasportata dal vento. Dopodiché mi diressi verso casa, sfrecciando a tutta velocità, fregandomene di possibili autovelox e macchinette varie, pattuglie e vigili sulla ‘Via dei cipressi’, una strada provinciale che era costeggiata da cipressi e che collegava la città alla campagna. I miei avrebbero pagato la multa senza problemi, una volta venuti a conoscenza dell’accaduto di quella sera. Provai a scacciare quelle immagini dalla mia mente, concentrandomi sulla strada, ma con scarso successo. I ricordi riaffioravano, uno dopo l’altro, veloci, più veloci, il sangue e le fiamme occuparono conquistarono i miei pensieri, come una legione che si muove compatta per distruggere il nemico. Veloci, più veloci, i cadaveri caduti a terra e immersi nelle pozze di sangue attorno a loro, sguazzavano nella mia memoria. Veloci, più veloci, le ombre nere si muovevano sinuosamente tra la folla, invitandoli a cena con la morte. Veloce, più veloce, correva la macchina sulla strada.
“Cazzo!”
Inchiodai di colpo premendo con tutto il peso il piede sul freno, mentre il mio corpo veniva sbalzato in avanti e allo stesso tempo veniva trattenuto dalla cintura di scurezza come se fosse una molla, evitando di farmi andare a limonare con il volante. Quel maledetto cartello di stop era nascosto dai rami di un cipresso comparso all’improvviso, così come la Volvo nera sull’asfalto ed io, come un idiota, non avevo compreso il pericolo. Rimasi un attimo fermo a riprendere fiato e a smaltire gli eventi, poi mi voltai verso il sedile del passeggero; uno sguardo, una carezza, un cenno d’assenso e poi ripartimmo veloci, più veloci.
 
Erano le due e mezza del mattino e la luna piena brillava nel cielo sgombro di nuvole, mentre un venticello fresco faceva ondeggiare le chiome degli alberi, facendo cadere le prime foglie della stagione autunnale. Mi voltai appena sentii un rumore dietro di me, chiudendo la finestra e irrigidendo i muscoli; li rilassai quasi subito, quando mi accorsi che era stata Maggie a chiudere la porta del bagno, probabilmente cercando di non far rumore. Per tutto il tragitto fino a casa mia, non aveva fiatato, neanche quando avevo rischiato di ucciderci entrambi, rischiando di andare a schiantarci contro un’altra macchina e un maledettissimo cartello di stop nascosto da un maledettissimo cipresso, i cui rami non erano stati potati da un maledettissimo giardiniere. Intuendo la mia rabbia, Maggie si avvicinò senza far rumore e mi mise una mano sulla guancia. Era fredda e tremava tutta, nonostante il camino acceso e i termosifoni al massimo. La abbracciai, stringendola forte a me e lei ricambiò l’abbraccio, quasi affogandoci dentro, appoggiando il mento sulla mia spalla. Inspirai il profumo della sua pelle e dei suoi capelli, ma ne rimasi deluso; quella leggera fragranza di cocco e vaniglia che la caratterizzava e che io consideravo quasi divina, era stata coperta dall’odore dolciastro dello shampoo e del bagnoschiuma, entrambi alla fragola. Era un gusto che non le si addiceva, un gusto che non mi era familiare.
Una volta arrivati a casa, avevamo cercato Jeanne, ma era già andata a letto. Allora ero andato in biblioteca a prendere la cassetta del pronto soccorso e avevo disinfettato un taglio che Maggie aveva sulla tempia e una ferita superficiale sulla mia spalla. Poi le avevo chiesto di andare a farsi una doccia, indicandogli la camera degli ospiti, dicendogli che sarei arrivato poco dopo.
“Abbiamo dimenticato di prendere la borsa.” Disse d’un tratto, interrompendo il ghiaccio che si stava lentamente creando tra di noi. La sua voce era spenta, triste e in un qualche modo fredda, un cubetto di ghiaccio sulla pelle.
“La borsa!” esclamai sorpreso.
 Accidenti a me, con tutto quello che era successo mi ero proprio scordato di passare a casa di Maggie a prendere le sue cose per la notte e per i giorni successivi. Mi maledissi in silenzio, mentre scattavo su per le scale nella camera degli ospiti, seguito a ruota dalla mia ragazza che si sapeva muovere altrettanto velocemente senza far alcun rumore. Una volta arrivato, avevo aperto l’armadio a muro e avevo cominciato a rovistare alla ricerca di un pigiama. Non ero riuscito a trovare niente del genere, così avevo continuato a cercare e ogni tanto avevo tirato fuori qualcosa che potesse sembrare adatto al mio scopo, lanciando tutto sul letto matrimoniale dietro di me. Alla fine ero riuscito a rimediare una mia vecchia maglia arancione taglia XXL che ero solito indossare per gli allenamenti,un paio di vecchi pantaloncini di mia madre, uno spazzolino confezionato e una spazzola. Però mancava ancora qualcosa. Sbuffando, avevo continuato a rovistare nei cassetti, finché, con un ghigno di trionfo, avevo lanciato  a Maggie una busta di ‘Intimissimi’ con dentro della biancheria femminile nuova di zecca, ancora confezionata. Ringraziai Jeanne con la mente; le sue manie di perfetto ordine e prevenzione si erano rivelate utili. ‘Non si può mai sapere cosa può capitare! Meglio tenere qualcosa da parte nel caso dovessimo avere qualche visita inattesa!’ aveva detto qualche settimana prima, mentre usciva per andare in centro a fare la spesa. ‘Un giorno tu e i tuoi fratelli mi ringrazierete!’ Non aveva avuto poi tutti i torti.
Maggie mi aveva sorriso ed si era diretta verso il bagno a lavarsi e io ero stato ben felice di seguire il suo esempio. L’acqua calda della doccia scorreva sul mio corpo scolpito, portando con sé i ricordi di quella notte come un fiume porta i detriti verso valle. Giù, ancora più giù, piano piano mi avevamo abbandonato ed io ne ero stato ben felice;  sapevo che sarebbero tornati, non mi avrebbero mai lasciato completamente, ma avevo bisogno di un attimo di pace e tranquillità per riflettere e per trarre le conclusioni. Ero uscito dal bagno avvolto solo con un asciugamano, dirigendomi verso la mia camera alla ricerca di vestiti. Indossai una tuta nera dell’Hollister e una maglietta verde con le maniche a tre quarti. Il tempo di una veloce occhiata allo specchio, una sistemata ai capelli e dopo una mezzora, io e Maggie eravamo abbracciati di fronte alla finestra, stretti l’uno all’altra.
“Sei stanca?” le sussurrai vicino all’orecchio.
“Un po’.” Sussurrò lei di rimando, allentando un po’ la presa.
“Non credi che sia ora di andare a letto?”
“Forse.”
Ridacchiai per quella risposta e la sollevai, tenendola stretta al mio petto. Lei rise, mentre la poggiavo delicatamente sul letto immacolato, spengendo la luce con la mano libera e lasciando la stanza illuminata solo dalla bianca luce della luna. Senza alcun preavviso, mi diede un bacio e in quel momento tutto l’autocontrollo che avevo cercato di mantenere quella sera e la mia razionalità andarono a farsi benedire. Senza pensarci un istante ricambiai il bacio con altrettanta foga, sedendomi di fronte a lei sul letto, accarezzando i suoi capelli, il suo viso, qualunque cosa andasse a contatto con le mie mani. La spinsi contro di me finché non mi finì seduta sulle mie gambe, con le sue che avvolgevano i miei fianchi. Sentivo le sue mani toccarmi la schiena, accarezzare i miei capelli, il mio petto, per poi ricominciare il giro, tutto d’accapo. Scintille e lingue di fuoco bruciavano la mia pelle dove lei era passata, facendosi largo sotto la maglietta; i miei muscoli facevano le fusa sotto le sue dita, chiedendo ancora, ancora, e ancora, non erano mai sazi di quel contatto così piacevole a appagante. Iniziai anche io a fare il mio giro; stringevo i suoi fianchi morbidi e perfetti, tracciavo linee immaginarie sulla sua schiena, ripagandola della sua stessa moneta. La sentii gemere piano contro di me, dentro di me, le nostre labbra e le nostre lingue non avevano mai smesso per un solo istante di toccarsi, danzando una coreografia perfetta a tempo con il ritmo dei nostri cuori e delle nostre anime. Adesso avevamo imparato a conoscere la passione e non l’avremmo lasciata andare tanto facilmente. C’era sempre stata, in ogni momento, in ogni sguardo, in ogni bacio, solo che noi non eravamo ancora pronti a farla entrare, ad accoglierla come stiamo facendo adesso. E lei era ben felice e lieta di insegnarci ad amare veramente e di ardere nei nostri corpi che si cercavano l’un l’altro.
Fui io a interrompere quei momenti magnifici e unici, staccandomi leggermente quando la mia mano andò a toccare il gancetto del suo reggiseno. Il tempo si fermò, la ruota che muoveva il mondo aveva smesso di girare. Guardandola negli occhi aspettavo solo una conferma, un segno,  troppo eccitato e incapace di mantenere a freno il mio desiderio, e troppo egoista per andare a riprendere la ragione che mi aveva lasciato. Maggie mi guardò con i suoi grandi occhi ambrati e mi sorrise, mostrando i denti bianchi e perfetti che riflettevano la luce della luna. E zac, fu questione di un secondo; potevamo continuare il nostro amore.
Mentre le sfilavo il reggiseno lei mi toglieva la maglietta e tutti e due gli indumenti andarono a cadere sul pavimento. Baci, carezze, sussurri, ecco cosa accadde in quei momenti. Cominciai a farmi strada verso quel territorio sconosciuto che non avevo mai avuto il coraggio di esplorare e scoprii che era perfetto: i seni erano morbidi e della grandezza giusta, né troppo gonfi né troppo piccoli, i capezzoli piccoli e duri. Sentivo la pelle d’oca arrivare dopo il mio passaggio, ma non mi importava, avrei continuato, anche per sempre, non mi sentivo stanco, solo carico d’amore e di vita e di passione. Mai con nessuna ragazza avevo mai provato emozioni così belle e intense come le stavo provando con lei, nonostante non fosse esperta in queste cose.
Intanto il tempo passava e scorreva, scandito dal ritmo dei nostri baci, dei nostri cuori e delle nostre anime, che si fondevano insieme a creare l’armonia dell’universo, la nostra esistenza intera.
“Ti amo.” Le dissi interrompendo il silenzio della notte che ci aveva tenuto compagnia fino a quel momento. La guardai negli occhi e notai un luccichio, un brillare e un tremore che venivano da dentro di lei.
“Ehi, principessa che succede?” Chiesi mettendomi a sedere e facendo sedere lei con me. Ma non parlava, rimaneva solo a guardarmi, in uno stato a metà tra il fermo e il movimento. Era in corso una lotta interiore, la conoscevo fin troppo bene e l’abbracciai. Dopo pochi istanti sentii le prime lacrime scendere lungo il mio collo e la mia schiena e il suo corpo tremare contro il mio.
“Shh, va tutto bene, tranquilla, ci sono io adesso.” Non smetteva, perché continuava a piangere?
“Ehi Maggie coraggio, che hai? A me puoi dirlo, sai che ti puoi fidare, non avere paura.”
Cercava di trattenere le lacrime, ma con scarso successo. Continuai a consolarla finché non ebbe esaurito tutte le lacrime, staccandosi leggermente dalla mia stretta. Aveva gli occhi gonfi e arrossati, le iridi si erano fuse in oro liquido che sembrava mandare bagliori in tutta la stanza.
“Io … io …” prese fiato e fece un respiro profondo. “Tutte quelle persone … c’era sangue dappertutto e poi anche il fuoco e poi un’ombra mi aveva quasi uccisa e io mi stavo per arrendere, mi ero arresa, non vedevo più nulla, non sapevo cosa fare, avevano ucciso quell’uomo e io ero rimasta con il bambino in braccio e poi … poi …”
Non sapeva come continuare, ma non mi avvicinai, aveva bisogno di sfogarsi. Mi si stringeva il cuore a vederla così e mi sentivo arrabbiato e impotente, perché non potevo fare niente, cazzo, non potevo aiutarla e quello che provava, quello che sentiva lo provavo e lo sentivo anche io e faceva un male cane. Continuai a guardarla mentre si avvicinava alla finestra e cercava di calmarsi, respirando profondamente, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. La abbracciai da dietro osservando il suo viso riflesso sul vetro, dandole sicurezza e protezione.
“Shawn …”
“Dimmi amore.”
“È stato Aima, vero? A fare tutto questo.”
La domanda era arrivata come uno schiaffo in pieno viso. Non mi aspettavo che avesse compreso così velocemente la situazione, che potesse anche minimamente sospettare che ci fosse lui dietro a questa storia, che fosse colpa sua. Sospirai, era sempre stata una ragazza intelligente e attenta, lo avevo sempre saputo e adesso esigeva una risposta, voleva sapere ne aveva il diritto.
“Sì.” Il monosillabo venne quasi scaraventato via dalle mie labbra, come se non vedesse l’ora di andarsene.
“Ok.” Rispose impassibile. Poi continuò.
“Shawn io … ti invidio. Adesso hai detto quello che pensavi senza paura, senza preoccuparti del resto. Sei sempre stato così incurante del pericolo, così spavaldo, senza macchia e senza paura.
Quando hai detto di amarmi, poco fa, non ho risposto perché … perché non ti merito. Io non sono coraggiosa come te, ho avuto paura, non sono riuscita a fare niente ed ero sola, ho quasi rischiato di morire …” la sua voce si fece sempre più flebile fino a sparire.
Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Aveva frainteso tutto quanto, non aveva capito niente. La feci girare verso di me e le presi il mento tra le dita, in modo da costringerla a guardarmi negli occhi.
“Maggie, che cosa dici? Non è vero niente, non hai capito nulla. Non è vero che non ho paura di niente, stanotte ho avuto una paura fortissima. Il pensiero che potessi essere già stata uccisa mi stava uccidendo dentro, non sapevo dove fossi, non sapevo dove trovarti, non sapevo dove cercarti. Sapevo solo che avevo paura, paura di perdere te. E poi non è vero che non sei coraggiosa, anzi. Scommetto che non sai nemmeno cosa voglia dire.
Essere coraggiosi non vuol dire non avere paura, vuol dire affrontare la paura, vincendola e superando gli ostacoli. Ed è quello che hai fatto tu. Hai salvato qual bambino da quel pazzo furioso che ha ucciso suo padre; hai salvato Dimitri che stava per lasciarci mettendoti in mezzo e reagendo; hai salvato me uscendo viva da quell’inferno sana e salva. Sei una delle persone più coraggiose che io conosca. E non è vero che non  mi meriti, perché tu sei speciale e unica ed io ti amo. Ti amo alla follia,cazzo,  e  nessuno riuscirà a staccarmi da te. Quindi smettila di farti pensieri inutili, smettila di pensare al futuro e vivi il presente. Vivilo con me.”
Ora sapeva. Sapeva quello che valeva e quello che pensavo veramente. I suoi occhi brillavano ancora, ma con una luce diversa, con la luce del cuore.
“Oh Shawn … grazie!” Mi buttò le braccia al collo e si strinse forte a me con tutta la forza che aveva in corpo.
“Ripeto quello che ho detto prima: Ti amo.”
Lei mi guardò negli occhi per un istante che mi parve infinito e rispose “Ti amo anch’io.”
 
 
 
 
 
Il Mio Angolo:
Scusate il mio enooooormeeeee ritardo, prometto che la prossima volta aggiornerò più spesso, promesso! Bene, questo capitolo è un po’ fluff e per ora il mio preferito. Sono soddisfatta di quel che ne è uscito fuori, ma vi prego comunque di recensire e lasciare commenti, mi accontento anche di un “bella”, “carina”, “fa schifo” – ok forse l’ultimo no – ahah
Al prossimo capitolo che posterò domenica!
Kisses,
L.C.

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Capitolo 8
*** Pietà ***


Pietà

 


“Sei uno stupido! Un emerito imbecille!”
“Non è stata colpa mia … lei lo sa, quel ragazzo è comparso all’improvviso.”
“NON ACCETTO SCUSE!” volò un calcio. “Ti avevo detto di portarla da me!” Altro calcio. “Non di ucciderla!” Il sangue colava dalle ferite dell’uomo. “E di non azzardarti a tornare senza di lei!”
“No, basta … la prego … “
“Taci!
“No, mi ascolti! Ero solo come facevo a portarla via? E se non l’avessi trovata? E se mi avessero arrestato?”
“Ho detto che NON MI INTERESSA!” Uno schiaffo in viso. “Ti avevo avvertito, Russel. Ora ne pagherai le conseguenze.”
“No, signore, padrone, la prego no! Ho una famiglia da sfamare, la prego, mi lasci andare e giuro che farò tutto quello che vuole.”
“Morirà anche la tua famiglia! Moriranno tutti loro, così ti ricorderai il tuo sbaglio!”
L’altro cercò di colpirlo, ma venne fermato e legato ad una sedia.
“Questo è un affronto! Tu! Passatemi della benzina, la voglio ora!”
L’altro uomo passò una tanica.
“No, NO! Liberatemi, aiuto!”
“Qui non ti sente nessuno!” La benzina scorreva sul corpo del servitore. “È inutile che urli!”
“No,  no! La prego, la prego! Abbi pietà!”
“La pietà è per i deboli come te. “ estrasse l’accendino dalla tasca.
“Aima … ti prego …” L’altro esitò.
“Saresti dovuto morire stanotte. Ma possiamo rimediare … “ Lasciò cadere l’accendino sulla benzina e l’altro prese fuoco. Era uno spettacolo raccapricciante, ma a lui piaceva.
Ordinò ai suoi uomini di ripulire e di far sparire i resti. Lui avrebbe trovato quella ragazza, le serviva.
Era solo questione di tempo.
 
 
 
A.A.
Ciaooo (:
questo capitolo è un po’ macabro, lo so, ma mi serviva e l’ispirazione mi ha colto alla sprovvista ;) Avete capito chi sta parlando con chi? Recensite, mi raccomando, al prossimo capitolo (:
L.C.

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Capitolo 9
*** Risveglio ***


Risveglio
 
 
 
Aprii gli occhi molto lentamente. La stanza era ancora buia e qualcuno – forse Jeanne? – aveva tirato le pesanti tende di velluto blu scuro, lasciando entrare solo un flebile raggio di luce dentro il quale i granelli di polvere si muovevano in una danza celestiale. Rimasi a guardarli per un po’, cercando di indovinarne i movimenti, allungando ogni tanto la mano per cercare di afferrarli. Il tempo scorreva ed io rimanevo lì imbambolata, fissando il soffitto e ripensando alla notte appena trascorsa. I ricordi affiorarono chiari e limpidi dalla mia memoria, susseguendosi nella mia mente. Il trucco. Il parcheggio. La gelosia. La festa. L’urlo. Il sangue. La paura. Tutti i fatti accaduti quella sera erano stati orribili, spaventosi, terribili e inquietanti. Man mano che i ricordi di quella sera venivano, la mia schiena era percorsa da brividi di terrore e d’inquietudine, ma anche di piacere, legati alla passione che c’era stata tra me e Shawn.
Shawn.
Mi voltai leggermente sul fianco destro e lo trovai che dormiva beato accanto a me, la sua mano che stringeva ancora la mia. Il volto era sereno e rilassato, gli zigomi erano meno pronunciati e il raggio di luce creava delle ombre e dei chiaroscuri sulla sua pelle abbronzata. Ciocche di capelli dorati gli ricadevano dolcemente sulla fronte e sugli occhi, coprendo le sopracciglia ben curate. Continuai a far girare lo sguardo, che andò a posarsi delicato sulle sue labbra fini, aperte appena appena. D’istinto, allungai cautamente una mano e la andai a posare sulla sua guancia; mi aspettavo che aprisse subito gli occhi e che si alzasse con uno scatto felino, ma non accadde. Persino per un maestro di arti marziali, abituato a tenere sotto controllo anima e corpo, a non cedere alla fatica e a svegliarsi al minimo spostamento d’aria, non lasciarsi cullare tra le braccia di Morfeo dopo una lunga notte di angoscia era un’impresa ardua. Lo guardai ancora un altro po’, poi mi alzai cercando di non fare rumore. Il dolore martellante alla testa che era seguito dopo la strage e che mi aveva tenuto compagnia per tutta la notte era scomparso durante il sonno. Mi chinai a scoccargli un ultimo, leggero bacio sulla fronte prima di uscire dalla stanza chiudendo la porta.
 
La casa di Shawn era una delle più grandi e ben progettate che io avessi mai visto in tutta la mia vita. Un tempo appartenuta a suo nonno, Lord Lucas Montrose, Villa Kathy non solo era una delle più grandi, ma anche una delle ville più antiche ancora presenti in città. Vi si poteva accedere attraverso un enorme cancello di ferro automatico, che precedeva una stradina sterrata fiancheggiata da file ordinate di betulle talmente fitte che nascondevano il resto del giardino. Alla fine della stradina, ci si ritrovava davanti alla villa, un edificio barocco bianco a tre piani, con grandi finestre e porte dotate di un sistema di allarme ultra moderno. Sul lato sinistro della villa si trovava il portico, dove regolarmente erano date cene e feste importanti o dove ci si poteva rilassare bevendo un the o una camomilla. A destra invece, si trovano gli alberi da frutto, mentre sul retro della casa si trovava il parco: un insieme di alberi e piante che creavano riparo dal sole nelle calde giornate estive passate a leggere e a dormire sull’amaca.
C’era anche lo straordinario atelier di Elijah, impossibile da non notare a causa della sua strana e singolare forma circolare, che ricordava vagamente un igloo eschimese, solo molto più grande e pieno zeppo di stoffe, abiti, macchine per cucire e blocchi da disegno. Ero entrata solo una volta sola ed ero rimasta totalmente affascinata da quel luogo; avevo deciso che non ci sarei più entrata perché avevo paura di disturbare Elijah. Secondo quanto mi raccontava Shawn, suo fratello diventava particolarmente irascibile se si entrava senza permesso e Shawn ne approfittava per stuzzicarlo facendolo arrabbiare tutte le volte.
Ma se l’esterno della casa, che sembrava essere uscito da un dipinto di un qualche pittore d’epoca, era mozzafiato, l’interno lo era ancora di più. Appena varcata la soglia della villa, ci si ritrovava in un atrio luminoso che sembrava fatto di marmo e davanti a una scalinata; le scale salivano verso l’alto e si dividevano in due parti, a sinistra e a destra, andando a formare un corridoio. A sinistra si trovava il soggiorno, ancora da ristrutturare e in forte contrasto con la sala da pranzo molto ariosa, e la cucina ultramoderna. Se si andava a destra invece, si accedeva alla biblioteca ricca di volumi e opere originali, dotata di uno spazio per leggere con delle poltroncine e dei cuscini davanti a un ampio camino sempre acceso nei mesi invernali. La biblioteca era ricca di finestre alte fino al soffitto per far entrare la luce del sole, rendendola uno dei miei luoghi preferiti. Vi si poteva accedere anche dal piano superiore; in pratica, era come se la biblioteca fosse stata costruita e aggiunta dopo, facendo combaciare ogni singolo pezzetto d’intonaco.
Iniziai a scendere le scale, ma dopo qualche scalino scivolai all’indietro; riuscii a sorreggermi con il corrimano, ma per sbaglio feci cadere un quadro – dall’aria molto preziosa e antica – sul pavimento, scheggiando appena il vetro della cornice. Subito iniziai a sistemarlo, ma fui interrotta da una voce. “Lascia stare, tesoro. Lo rimetto a posto io.” Jeanne salì le scale e mi prese dolcemente il dipinto dalle mani. “Ho appena passato la cera e le scale sono molto scivolose, non potevi saperlo.” Appoggiò il quadro sul pavimento. “Comunque ben svegliata!” mi disse e mi scoccò due bacetti sulle guance. Feci per dire qualcosa, ma lei m’interruppe. “Comunque il the è quasi pronto, sarà maglio che mi sbrighi a sistemare!”
Un momento. The?!
“Jeanne … che ore sono?” chiesi timidamente, costatando che la mia voce assomigliava al gracchiare di una cornacchia.
La dolce governante guardò l’orologio al polso. “Sono le quattro e mezzo del pomeriggio.”
Oddio. Avevamo dormito tredici ore. “Ah, ok.” Mi limitai a rispondere. Poi ci ripensai. “Jeanne, hai saputo di quello che è successo alla festa?”
Lo sguardo della governante s’incupì. “Sì, in parte, sai come funziona al mercato, girano un sacco di voci e non so mai a chi dare ascolto … l’unica cosa di cui sono certa è che non è stata una bella festa per tutti.” Fece una pausa, sospirando. “Senti, perché non ti vai a cambiare e a darti una rinfrescata? Sono passata a casa di Kathleen a prendere le tue cose, le ho appoggiate in biblioteca”.
“Sei stata da loro?” chiesi incapace di contenere il mio stupore e la mia preoccupazione. “Stanno bene?”
“Sì, è tutto a posto, hanno detto che avrebbero chiamato sul tardi, verso sera.” La tata sospirò un’altra volta. “Conviene che vada a svegliare quell’altro mascalzoncello, prima che me ne dimentichi! Torno tra cinque minuti.” Con questa frase salì le scale e scomparve oltre il corridoio di sinistra, dove si trovava la camera nella quale avevamo dormito.
Mi diressi verso la biblioteca e trovai accanto al camino la mia borsa con i miei vestiti. Andai in bagno – la biblioteca era dotata anche di quello – e mi cambiai. Indossai un paio di jeans blu scuro, con un paio di anfibi rossi bordò e una camicia bianca a maniche lunghe con le arricciature intorno ai bottoni e un gilet dello stesso colore delle scarpe. Mi sistemai i capelli raccogliendone qualche ciocca dietro la testa con fermaglio e applicai un leggero strato di correttore sotto le occhiaie.
Uscii dal bagno e andai a sbattere contro Shawn, che stava entrando in quel momento in biblioteca.
“Hey.”
“Hey” rispose. Si era cambiato anche lui, adesso indossava dei jeans con una maglietta nera a maniche lunghe e le Timberland.
“Dormito bene?”
Sorrise sornione. “Benissimo. Tu?”
“Non mi posso lamentare. Comunque buongiorno.” Gli scoccai un bacio sulla guancia, inspirando il suo profumo, One Milion, ma lui mi trattenne alla vita con un braccio e mi baciò. “Buongiorno anche a te.”
“Ragazzi! È pronto, venite!” Ci informò Jeanne.
Ci avviammo verso la sala da pranzo, il cui tavolo era stato riccamente apparecchiato per noi: c’erano su numerosi vassoi molti tipi diversi di biscotti e pasticcini, delle brocche con il latte e il cioccolato e il barattolo dello zucchero. Sui posti a sedere, Jeanne aveva sistemato delle tovagliette rosso scuro con sopra dei piattini e delle tazze dello stesso servizio. Ci fece cenno di sederci e, una volta serviti, le raccontammo l’accaduto, ognuno aggiungendo dettagli e particolari alla storia dell’altro, cercando di far combaciare le nostre versioni dei fatti. Sul viso della governante francese si fece largo un’espressione di sgomento e terrore quando venne a sapere dell’omicidio del padre di Dennis.
“Cosa ne è stato di lui? Del bambino, intendo.”
“Dimitri l’ha affidato a un poliziotto, che si è incaricato di portarlo alla centrale. Sta bene, non ti devi preoccupare.” Mi passò una mano sul braccio.
“Allora è così che sono andate le cose.” Sospirò Jeanne. “Quell’Aima è un pazzo furioso. Non dovrebbero nemmeno esistere esseri come lui.”
Dopo che il the fu finito, aiutammo Jeanne a sparecchiare e a mettere in ordine la cucina, chiacchierando con lei del più e del meno per distrarci un po’ dalla notte di Halloween. Poco dopo comparvero Elijah e Sebastian, i due fratelli maggiori di Shawn, che corsero ad abbracciare il fratello e me.
“State bene ragazzi?” Chiese Sebastian.
“Sì, un po’ scossi, ma per il resto stiamo bene.” Risposi.
“Elijah, mi dispiace dovertelo dire così ma …” Shawn si staccò dall’abbraccio di suo fratello e si guardò le scarpe, evidentemente a disagio. “I tuoi costumi si sono rovinati. Li ho buttati io poco fa.”
Shawn si fece ancora più piccolo, ma Elijah gli sorrise dolcemente. “Ma ti pare che m’importi qualcosa di quegli stupidi costumi?! Nulla! Nessun costume del mondo è lontanamente paragonabile con voi due!” disse abbracciandoci stretti entrambi, lasciandoci senza fiato. Una piccola parte di me si chiese se l’avere tutti i muscoli perfetti e al proprio posto fosse una caratteristica della famiglia Synets o della famiglia Montrose.
Dopo che i due fratelli furono saliti nelle proprie camere, Shawn mi prese in disparte. Era teso, nervoso, intuivo che aveva qualcosa in mente dal modo in cui gli brillavano gli occhi.
“Senti, Maggie. Ho riflettuto parecchio stanotte e pensavo … di andare in città a dare un’occhiata per vedere cosa è rimasto. Te la senti?”
Me la sentivo? Dovevo provarci. “Sì per me va bene.” Dissi mentre mi allacciavo il giacchetto. “Andiamo.”




Holaaaaaa!
Non cruciatemi, la prossima volta aggiornero' piç' spesso, am ho avuto problemi a scuola - un mancato debito in latino, per fortuna- e ho avuto mooolto da fare con il basket. Questo capitolo non mi convince molto, soprattutto la parte finale, ma ultimamente non ho piu' idee T.T
recensite per favore ;)
Kisses,
L.C.

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Capitolo 10
*** Complicazioni ***


Complicazioni
 
 
Passeggiavano mano nella mano, avvolti nei loro caldi cappotti e nelle morbide sciarpe, lungo la strada che avevano percorso la sera precedente per andare alla festa. Shawn aveva parcheggiato la macchina dietro all’Est Park, approfittando della calma per fare un giro, osservare le paperelle che sguazzavano nel piccolo laghetto, gli scoiattoli che andavano in letargo, e si lasciava cullare con Maggie dal rumore delle foglie multicolori degli alberi scosse dal vento. Non parlavano, camminavano e basta, ognuno perso nei propri pensieri, ognuno intento a lottare contro le sue preoccupazioni e a trarre le conclusioni, come dopo una partita. Il parco era stranamente deserto, di solito pullulava di gente a tutte le ore del giorno; forse l’assenza dei cittadini, rintanati nelle loro case, era dovuta agli orrori della sera precedente; o forse, i più conservatori si erano circondati di amici e parenti, per celebrare i morti. Anche la maggior parte dei quartieri che i due ragazzi avevano visto erano deserti, con ancora le tracce dei festeggiamenti evidenti: le bottiglie rotte e i coriandoli e le stelle filanti ricoprivano i marciapiedi e le strade, che puzzavano di alcool, fumo e fiamme, e le zucche con ancora dentro le candele sulle soglie delle case. Più si avvicinavano verso il centro, e più l’odore sgradevole cresceva, mentre St. Hylton somigliava sempre di più ad una città fantasma e abbandonata.  
Shawn si diresse con passo sicuro verso la Quercia, l’albero secolare che si trovava al centro del parco. Un tempo si diceva che dentro ci abitassero gli spiriti e le ninfe più strane, ma Shawn aveva smesso di crederci quando si era cominciato a interessare di biologia e medicina, intenzionato a trovare una spiegazione logica per tutto. Fu così che un pomeriggio s’imbatté in un libro che narrava antiche leggende e riti del folklore, misteri e culti pagani ormai dimenticati da tutti, smorzando per sempre ogni suo minimo dubbio. Al pensiero che la biblioteca storica era stata completamente distrutta, al pensiero che tutti quei libri e che tutto quel sapere, accumulato nei secoli erano ormai perduti, la sua mente fu invasa da un’infinita malinconia.
Poi guardò Maggie con la coda nell’occhio, che si era seduta sul prato appoggiata con la schiena al suo petto, che guardava un gruppetto di anatroccoli che starnazzavano in lontananza. No, non doveva essere triste, lui aveva ancora lei, il suo bene più prezioso, l’unica rosa rossa nel roseto solitario, sbocciata solo per lui.
Shawn si rilassò un poco, mettendosi comodo con le gambe e chiudendo gli occhi, lasciandosi andare. Fu svegliato quasi subito, quando qualcosa di bagnato e freddo gli toccò una guancia. All’inizio pensò che fosse acqua, ma era troppo fredda, troppo delicata per esserlo. Guardò in alto e vide minuscoli cristalli scendere lentamente, volteggiando nell’aria e compiendo piroette, fino ad arrivare a terra, ai loro piedi. Era raro che nevicasse così presto, il lieto evento era in forte contrasto con il suo animo turbato e scosso. Nel giro di pochi minuti, il paesaggio si era ricoperto di un candido manto bianco, che copriva ogni cosa, donando al parco un’atmosfera magica.
Sentì Maggie ridacchiare e allungare il braccio per catturare un cristallo, ma lui la trattenne, mettendole un braccio attorno alla vita e stringendola forte a sé.  Lei si rilassò, appoggiò la testa contro la sua spalla e chiuse gli occhi, godendosi quel contatto beato. “Ti piace la neve?” chiese Shawn respirando il suo profumo.
“Mmhm.” Mugugnò la ragazza come risposta. Cominciò a baciarla sul collo, toccando la sua pelle calda con le labbra fredde, solleticandole la nuca e provocandole brividi in tutto il corpo. Si prese persino la libertà di lasciarle un succhiotto, appena sotto la mascella, in un punto difficile da nascondere. Lei se ne accorse e spalancò gli occhi irrigidendosi di colpo.
“E questa cos’ era?”
“Si chiama succhiotto, scema.” Rispose Shawn ridacchiando.
“Lo so, e poi non sono scema.” Protestò fingendosi offesa. “Spero per te che sparisca prima che arrivi mio fratello.”  Rise di gusto.
“Ah, scusa allora.”
 Shawn continuò a ridere, notando un particolare dolcissimo sul viso della sua fidanzata. Sempre tenendola stretta a lui, raddrizzò la schiena e poi si chinò a baciarle la punta del naso, mentre lei in contemporanea appoggiava la testa sulla sua spalla. Il ragazzo assaporò il freddo del fiocco di neve ormai sciolto nella sua bocca, un gusto fresco e del tutto nuovo, così diverso dal profumo tropicale della sua pelle.
“Si sta facendo buio.” Costatò Maggie dopo qualche minuto e molti baci più tardi. “Dovremmo andare se vogliamo arrivare puntuali a cena.”
“Hai ragione. In effetti non mi va di girare di notte” Shawn le tese una mano e la aiutò a rialzarsi, scrollandole la neve dai capelli, mentre lei tentava invano di coprire il succhiotto con la sciarpa.
Dopo una decina di minuti di cammino, arrivarono al centro storico, transennato e delimitato dal classico nastro giallo che era tipico delle scene del crimine. Due poliziotti in divisa controllavano l’accesso alla parte vecchia della città e Shawn non poté fare a meno di notare che i due uomini erano una coppia assai strana e molto male assortita. Il primo era alto, con le spalle larghe e un portamento fiero, ricordava un leone; l’altro, molto più basso, con gli occhiali e le orecchie a sventola era l’incarnazione vivente di un topolino. Ma a parte le loro stranezze, svolgevano bene il loro lavoro, scrutando attentamente ogni passante, con la mano pronta sulla pistola che tenevano appesa alla cintura.
“Credo che non andremo da nessuna parte.” Sospirò Maggie. “Non hanno l’aria di voler lasciar entrare qualcuno.”
“Tentar non nuoce.” Rispose Shawn e s’incamminò verso il posto di blocco. Non fece neanche cinque passi che si bloccò di colpo, il cuore che gli creava un groppo in gola non lo faceva respirare. Rimaneva fermo a fissare un volantino dall’aria malmessa, appeso frettolosamente al muro di mattoni con del nastro isolante, che svolazzava nel vento. Maggie lo raggiunse poco dopo e la sentì trattenere il fiato.
“Ma che cazz…?” L’indignazione nella voce di Maggie era più che evidente. “Shawn che significa?”
“Io … io non lo so. Non ne ho idea.” Shawn cercò di coordinare le idee. “Ci deve essere un malinteso, per forza.”
 Sul volantino era stampata una sua foto, la stessa che aveva sulla carta d’identità. Sopra la testa del ragazzo, a caratteri cubitali, troneggiava la scritta ‘RICERCATO’. 
Shawn lo osservò più da vicino. Sotto la sua foto c’era scritto : ‘Pericoloso assassino a piede libero, si ritiene responsabile e complice della strage avvenuta il 31-10-13 nel centro storico della città. Si raccomanda ai cittadini massima cautela. Ricompensa in contanti per chiunque aiuterà la polizia nelle indagini.’
No, non poteva essere vero. Shawn non aveva fatto niente, non aveva neanche lottato per difendersi. Dopo che la prima vittima fu uccisa, Shawn era stato portato via dalla folla impazzita con Kathleen, mentre Maggie era rimasta indietro e Dimitri non si era più visto. Aveva cercato di andarsene, di fare dietrofront per andare a cercarli, ma i vicoli stretti e la massa che premeva e spingeva per passare contro di loro, rendevano impossibile qualsiasi movimento. Erano sbucati subito alla porta Ovest, raggiunti tempo dopo da Maggie e Dimitri. Era impossibile che qualcuno avesse frainteso qualcosa di così grave da arrivare a questo. È vero che aveva le mani sporche di sangue, ma il sangue non era suo, era di Maggie, o meglio, dell’uomo che era morto mentre lei assisteva alla scena; lui l’aveva abbracciata e si era sporcato. L’unica spiegazione che Shawn poteva darsi al momento, era che qualcuno gli stesse giocando un brutto scherzo e che volesse rovinargli l’esistenza. C’era anche un’altra possibilità, molto più oscura e inquietante, ma Shawn non si prese la briga di analizzarla perché sapeva che sarebbe entrato nel panico.
“Shawn …” sussurrò Maggie scuotendolo leggermente per una spalla. “Ci hanno visto. Stanno venendo qui.”
A Shawn non serviva chiedere a chi si riferisse la ragazza per capire. Siamo nei guai fino al collo, maledizione.
Decise di fingere nonchalance e si mise davanti al volantino, nascondendolo con il corpo e sperando che i poliziotti fossero tanto stupidi quanto ridicoli. Ormai c’era solo qualche metro a separare lui e i due ufficiali, che, paradossalmente, sembravano trovarsi a proprio agio anche con un mucchio di neve tra i capelli.
“Buonasera ragazzi.” Disse il più grosso in tono formale. Era veramente alto, superava persino Shawn.
“Buonasera.” Risposero i due giovani incerti.
“Che cosa ci fate da soli a quest’ora? Non dovete rispettare un coprifuoco a casa?”
“No, i nostri genitori ci lasciano piena libertà di fare tutto ciò che vogliamo.” Rispose Shawn sulla difensiva.
“Ma davvero? Che… brave persone. Avete visto quello che è successo ieri sera?”
“Non direttamente, ci è stato raccontato da alcuni amici che erano presenti e hanno assistito a quell’orrore.” Raccontò Maggie.
“E dove eravate di preciso? Due ragazzi come voi dovrebbero festeggiare come si deve.”
“Eravamo a casa. Con le nostre famiglie. A vedere un film. Giusto, amore?” Disse Shawn con aria innocente baciando Maggie sulla tempia e mettendole un braccio intorno alle spalle.
Il poliziotto era spiazzato, ma si riprese subito e impassibile disse :”Potrei vedere un vostro documento per favore?”
Shawn si irrigidì. Stava succedendo l’esatto contrario di quello in cui aveva sperato. Ringraziò il cielo di avere il portafoglio con i documenti nello zaino di Dimitri.
“Non li abbiamo.” Disse Maggie con tono deciso.
“Beh, in questo caso …” Il poliziotto si mosse così rapidamente che Shawn fece fatica a reagire. Prima che potesse mettere le mani addosso a Maggie per portarla chissà dove, lui gli aveva sferrato un calcio laterale in pieno petto, scaraventandolo in mezzo alla strada. L’altro, che non aveva proferito parola, corse a dare manforte al suo collega e Shawn approfittò di quel momento per darsela a gambe, con Maggie che lo seguiva e i poliziotti alle calcagna. Correvano a perdifiato lungo le stradine e i vicoletti del centro ancora macchiati di sangue, evitando le travi di legno bruciate lungo le strade e facendo zig zag tra i resti delle bancarelle. “Fermateli! Fermate quei mocciosi!” gridavano invano i poliziotti, ma nessuno sembrò sentirli. Un ragazzo della loro età e che a Shawn sembrò di conoscere di vista li lasciò passare e si  mise in mezzo alla strada, contrastando gli ordini della polizia. Una parte di Shawn si chiese se ci sarebbero state delle conseguenze per quel ragazzo.
 L’aria gelida gli ghiacciava il volto e le mani, ma Shawn non si poteva fermare, non con quei poliziotti che minacciavano di suonargliene di tutti i colori e con i volantini che si agitavano minacciosi.
Durante la corsa, Maggie li strappava dai muri, buttandoli a caso sui marciapiedi o mettendoli nella tasca del giacchetto. Nel frattempo i poliziotti gli gridavano di fermarsi, di arrendersi, che se non avessero fatto come dicevano, avrebbero sparato a entrambi. I due ragazzi però non si lasciarono scoraggiare e creavano più distanza possibile tra loro e gli inseguitori, rovesciando cassonetti, cassette e sedie bruciate dietro di loro, rallentando la corsa degli agenti, determinati come non mai a non arrendersi.
“Shawn!” Maggie ansimava e batteva i denti per il freddo. “Non ce la faccio più!”
“Resisti! Manca poco!”
“Dove stiamo andando?” gridò di rimando.
“In posto sicuro. Attenta!”
Shawn si buttò contro, andando a finire con lei nel giardino di un asilo nido. Il poliziotto più piccolo aveva estratto la pistola e aveva sparato; se Shawn non fosse intervenuto in tempo, Maggie sarebbe stata colpita in pieno. I due si rialzarono e corsero altrettanto velocemente, svoltando a destra, a sinistra, di nuovo a destra per poi tornare indietro, in un dedalo di vicoli senza fine e mal illuminati, scivolosi a causa della neve fresca e del ghiaccio che si stava andando a formare.
Erano riusciti a seminare i poliziotti, ma non erano ancora del tutto tranquilli. Shawn afferrò Maggie per una mano e la condusse verso una piccola villetta ricoperta di edera che la ragazza non aveva mai visto.
Scavalcarono la rete e si precipitarono sul portone d’ingresso, salendo degli scalini di ferro. Shawn bussò forte e poco dopo comparve sulla soglia un signore sulla settantina, con il volto quasi interamente coperto da un cappuccio.
“Shawn.” Lo apostrofò l’uomo.
“Ho bisogno di aiuto. È urgente.” Rispose il ragazzo.
“Quanto urgente?” Era scettico.
Al posto di Shawn risposero le grida e le imprecazioni dei poliziotti che si facevano via via sempre più vicine.
“Entra allora. Ma spero per te e per la tua amica che tu abbia un valido motivo per essere qui.”
I due ragazzi entrarono bagnati fradici per la neve e l’uomo si richiuse la porta alle spalle, accendendo la luce e illuminando un piccolo corridoio.
“Sai dove andare.”
Shawn percorse tutto il corridoio, fino a quando non si fermò davanti a un tappeto persiano rosso porpora riccamente decorato. Lo sollevò appena e aprì una botola che si trovava sul pavimento, segnalando a Maggie di entrare e di fare silenzio. Lei lo seguì e lui richiuse la botola tendendo l’orecchio. Sbucarono in una piccola stanza, una sorta di rifugio anti uragano, con due letti, un tavolo, alcune sedie, un armadio e degli scaffali con cibo a lunga conservazione. Rimasero fermi sull’ultimo scalino in ascolto.
Sentirono dei passi allontanarsi da loro e la porta aprirsi.
“Ci scusi signore, non è che per caso ha visto due ragazzi, sui diciassette anni, entrambi alti, girare da queste parti?” aveva parlato quello basso.
“No, non li ho visti, ho dormito fino ad ora.” Replicò l’uomo scocciato.
“Allora non le dispiacerà se diamo un’occhiata in giro, no?”
Senza aspettare eventuali proteste i due poliziotti entrarono e iniziarono a setacciare la stanza. Dopo una ventina di minuti si arresero e se ne andarono, non senza prima porgere delle scuse al padrone di casa.
“Cosa volete che me ne faccia delle vostre scuse? Mi avete svegliato, avete rovinato il mio riposino pomeridiano, emeriti idioti babbuini che non siete altro! Sparite prima che vi denunci per disturbo della quiete pubblica!”Detto questo la porta si chiuse violentemente.
Shawn e Maggie uscirono dal loro nascondiglio seguirono l’uomo in soggiorno.
“Shawn, chi è quest’uomo?” chiese Maggie a bassa voce, in modo da non farsi sentire.
“Semplice.” Disse lui con finto entusiasmo. “È mio nonno.”
 
 


Heyyyyy! (:
Sono riuscita ad aggiornare prima del previsto, mi sento potente ^-^
Allora, che ve ne pare del capitolo? Mi è venuto abbastanza bene, chissà perchè shawn è così ostile nei confronti del nonno... Da cosa sono legati? E cosa succederà dopo?
Recensite per favore, al prossimo capitolo!

#ringrazio SognatriceAdOcchiAperti che recensisce sempre la mia storia, grazie <3

L.c.

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Capitolo 11
*** Buio ***


Buio








Il modo in cui Shawn pronunciò la parola “nonno”, mi fece intendere che tra i due non corressero buoni rapporti, che ci fossero risentimento e rabbia nei confronti dell’altro. Il nonno di Shawn d’altro canto sembrava non curarsene più di tanto; era seduto comodamente su una sedia, con una gamba distesa sul tappeto e un braccio allungato dietro lo schienale. In questo modo, l’uomo appariva molto sicuro di sé, a differenza di suo nipote, che si guardava le punte delle scarpe ondeggiando leggermente avanti e indietro con il busto, come in uno stato di trance. Shawn non appariva mai insicuro, riusciva sempre a essere sfacciato e a mostrare nonchalance in ogni situazione – ad esempio durante il nostro incontro con i poliziotti – essendo persino irritante per chi non lo conosceva molto bene. All’inizio lo era stato persino per me, ma col tempo avevo imparato a conoscerlo meglio. Mi chiesi quanto autoritario e dispotico potesse essere quell’uomo per creare un simile effetto su Shawn. Evidentemente, era forte di carattere.
La saletta dove eravamo, era forse la parte più grande dell’intera casa. Appena entrati, troneggiava il tavolo di legno massiccio al centro poggiato sopra un tappeto quadrato rosso scuro, con quattro sedie di legno intorno; come unica decorazione, aveva un centrino finemente ricamato con dei motivi floreali. A sinistra invece, c’era il salotto, con un divano di un grigio indefinito. Il divano era di fronte a un vecchio televisore; per il resto, la stanza era tristemente vuota. Le finestre poste ad altezza d’uomo, lasciavano entrare poca luce, grigia anch’essa a causa della neve e del cielo coperto di nuvole.
Il nonno di Shawn aveva addosso ancora il cappotto con il cappuccio. Ci fece cenno di sederci di fronte a lui, ed io stavo per accettare l’offerta, ma Shawn mi trattenne per un polso. Lo guardai storto: mi facevano male i piedi ed ero stanca, non riuscivo a reggermi in piedi. Lui sospirò, prese due sedie e le sistemò lontano dal tavolo, come a marcare le distanze tra noi e suo nonno, il quale non doveva trovare per nulla educato il nostro atteggiamento.
“Allora. Cosa è successo?” Chiese suo nonno con voce profonda, abbandonando la postura disinvolta e appoggiando i gomiti sulle ginocchia.
Shawn esitò un attimo prima di rispondere. “Vorrei che me lo dicessi tu.”
Suo nonno rise. “E perché dovrei?”
Shawn si alzò così rapidamente dalla sedia, che sembrò muoversi in un videogioco. La sedia finì per terra, e mentre Shawn mi faceva alzare poco garbatamente dalla mia, suo nonno disse: “Guarda che non ti conviene andartene. Sai che sono l’unico che possa aiutarti.”
Shawn fece un respiro profondo e si risedette, con le guance chiazzate di rosso per la rabbia. “Allora perché continui a girarci intorno?”
“Perché voglio che mi dica quello che mi devi dire.” Fece una pausa. “E sai benissimo a cosa mi riferisco.”
Shawn si tormentò le mani ancora un po’ prima di rispondere. “Non ti porgerò le mie scuse”, iniziò cauto, “ma ti dirò cosa è successo ieri notte.”
“Allora sappi che anch’io non sarò così clemente nei tuoi confronti, nipote.” Lo apostrofò suo nonno fulminandolo con un’occhiata.
“Va bene.” Shawn si era arreso. Si risedette sulla sedia, senza mai lasciare la mia mano. “Credo che Aima sia tornato e che sia stato lui a organizzare la strage di ieri sera.” Shawn gli raccontò brevemente gli orrori di quella notte, mentre suo nonno ascoltava impassibile, senza chiedere spiegazioni o chiarimenti. Quando Shawn ebbe finito, seguì un lungo silenzio.
“E questo che cosa avrebbe a che fare con me? So quello che sai tu, né più, né meno.” Rispose acido.
“Ti sbagli” Lo contraddisse Shawn. “Tu sai molto di più.”
Non ci stavo capendo niente. Decisi di parlare e di dire la mia.
“Shawn, mi puoi spiegare cosa sta succedendo? Cosa c’entra tuo nonno in tutta questa storia?”
“Oh, davvero lui non ti ha mai detto niente? Credevo che conoscessi le buone maniere, ragazzo mio” rispose l’uomo al posto suo fingendosi addolorato e preoccupato per l’educazione del nipote.
Guardai Shawn. Evitava il mio sguardo, non mi era mai capitato. Gli accarezzai dolcemente una guancia. “Shawn, devi dirmelo, per favore. Non si tratta solo di te o di me, si tratta di tutte le persone di questa città, ognuna è una potenziale vittima. Non so te, ma non voglio che accada di nuovo qualcosa del genere.” Avevo gli occhi lucidi e lui allungò una mano verso la mia guancia, ma io lo respinsi dolcemente. “Non potrei sopportarlo.” Mi asciugai gli occhi con il dorso della mano. “Io sento che tutta questa faccenda nasconde qualcosa di grosso.” Non sapevo neanche io da dove venisse quella strana sensazione che mi stava divorando dentro. “Quindi dimmelo. Ti prego.”
“Non mi ricordo molto bene.”
Fu come se mi avesse dato uno schiaffo. Perché si comportava così? Perché mi stava facendo soffrire?
“Io proprio non ti capisco, Synets. Spiegami cosa sta succedendo una volta per tutte, o giuro su Jonathan che andrò io stessa da Aima a chiedere spiegazioni!”
Non ero mai stata così infuriata in vita mia.
“Chiedilo a LUI.” Replicò Shawn in tono accusatorio. Spostai la mia attenzione verso l’uomo seduto di fronte a me. Continuavo a guardarlo là, dove credevo ci fossero gli occhi, ma lui non reagiva, rimaneva immobile, fermo, congelato nel tempo, a ricambiare quello sguardo vuoto e cieco.
“Fa gliela  vedere nonno. Ormai c’è dentro anche lei.” Shawn ormai si era rassegnato.
Guardai Shawn con un misto di stupore e indignazione. Che cosa mi stava nascondendo di così importante?
“E va bene. Ti avverto, non sarà un bello spettacolo.” E mentre pronunciava queste parole, si calò giù il cappuccio, mostrando il suo viso.
All’inizio rimasi incapace di muovermi a contemplare quel che avevo davanti a me. Poi però la curiosità vinse e feci un passo verso il nonno di Shawn.
I capelli grigi erano stati tirati indietro con della gelatina, in modo che non ricadessero sull’ampia fronte e sugli occhi, che erano di un colore opaco, un celeste spento e triste, impolverato dalla malinconia. Per il resto, i tratti erano regolari: il naso era un po’ sproporzionato e le labbra erano fine, come quelle della madre di Shawn, Anastasia. Sua madre aveva ereditato i capelli corvini e gli occhi chiari, mentre le altre caratteristiche erano della nonna di Shawn, che però non conoscevo. Notai che nonostante l’età avanzata, il suo volto non era un susseguirsi di rughe e di ombre scure come mi ero immaginata, anzi, scoppiava di giovinezza e di voglia di fare. Ma mentre notavo questo particolare, mi resi conto con orrore che il mio sguardo si era poggiato sulla parte sinistra del viso, rifiutandosi e opponendosi con tutte le forze di prendere in considerazione la parte destra. Era invasa da una cicatrice profonda e rosso scuro, probabilmente lasciata da un’ustione molto intensa, che aveva cambiato quella parte del suo volto nel profondo. L’occhio era semiaperto, il sopracciglio quasi inesistente, la bocca bloccata in una smorfia contorta, che ricordava troppo bene un ghigno. Anche una piccola parte del labbro era bruciata, insieme a una parte del naso. Nell’insieme la cicatrice ricopriva quasi tutta l’altra metà del viso, partiva dal centro della fronte e seguiva la linea del naso, arrivava a toccare una parte delle labbra e scendeva giù sotto la mascella, arrivando sotto il collo del maglione.  La carne era talmente putrefatta che sembrava grattata con una grattugia e levigata con la carta vetrata.
Cercai di ricacciare indietro la bile che stava lentamente salendo nella mia gola. Mi risedetti sulla sedia con molta cautela, cercando di non far trapelare nulla di ciò che provavo.
“Fa abbastanza senso, non è vero?” Disse il nonno di Shawn con una punta di disprezzo nella voce.
“Ecco … io …” Non sapevo cosa dire. Mi voltai verso Shawn in cerca di aiuto, ma evidentemente non aveva alcuna intenzione di smettere di guardarsi le scarpe. Meglio così, pensò una parte di me che non credevo esistesse. La prossima volta ci penserà due volte prima di farmi arrabbiare.
“Sicuramente ti starai chiedendo come sia riuscito a procurarmi una ferita del genere.” Disse il nonno di Shawn con una punta di amarezza nella voce profonda.
Era evidente che quella cicatrice era il seguito di un’ustione, di terzo grado, come minimo. Ma era anche altrettanto evidente che non era quello che l’uomo voleva sentirsi dire; aveva fatto una domanda retorica.
“Che c’è? Hai paura di dire la tua, signorina?”
Mi ripresi dallo stato di trance in cui ero caduta. Riflettei un attimo su come avrei dovuto esprimermi in sua presenza, si vedeva lontano chilometri che avrebbe potuto essere un antico marchese, tali erano l’autorità che emanava e il rispetto che chiedeva.
“Signor Synets, io penso che …”
“Chiamami Vladimir.”
Ricominciai. “Vladimir, io ritengo credere che la sua cicatrice sia dovuta ad un’ustione molto intensa, ma credo anche che la causa non sia naturale come Lei mi vuole far credere.”
“È esatto. Ebbene, è successo che …”
Non scoprii mai cosa successe, perché in quel momento fui ricoperta da una cascata di vetri, fuoco, e polvere. Volai dall’altra parte della stanza, andando a sbattere contro la parete opposta, battendo la schiena. L’impatto contro il legno duro fu talmente violento da mozzarmi il fiato e da bloccarmi il respiro per alcuni secondi.
A terra, con la gola secca, i polmoni doloranti e il sangue che scendeva copioso sulle guance e sulle braccia, cercai di tirarmi a sedere, ma con scarso successo. La testa iniziò a girare e a farsi pesanti e fredda, e il mio campo visivo si andava facendo sempre più stretto e sempre più affollato da piccole macchie nere. Cercai di calmarmi, di mantenere la mente lucida, ma mi costava fatica. Così feci l’unica cosa sensata in quel momento.
Gridai.
“Shawn! Shawn aiuto!”
Rimasi in ascolto. Anche l’udito cominciava a lasciarmi, proprio come temevo. Maledizione, avevo bisogno di aiuto!
Sentii una voce provenire dalla mia destra, ma sembrava distante e lontana.
“Shawn! Vladimir! Ho una sincope, ho bisogno di aria! Non ci vedo più!”
Iniziai a piangere. Non avevo mai avuto una sincope, ma mio fratello Jonathan sì. Era successo tutto molto in fretta: era diventato bianco come un cencio, le labbra si coloravano di viola e aveva perso la vista e l’udito per dieci minuti buoni. Ero ancora piccola quando era successo, ma ero stata abbastanza sveglia da chiamare un’ambulanza e di tenergli le gambe alzate contro il muro, mentre lui si agitava a terra, terrorizzato. All’arrivo dei medici, la ‘crisi’ era già finita, e mi avevano spiegato che la causa di tutto era una mancanza di ossigeno al cervello e che era molto frequente nei giovani. Andava trattata mettendo il paziente sdraiato con le gambe in aria e dandogli del miele, i cui zuccheri andavano molto velocemente nel sangue.
Ora, a sette anni di distanza, la stessa cosa stava succedendo a me. E non sapevo come gestirla. Non sapevo neanche cosa fosse successo in quella casetta tanto piccola e tanto vecchia. Sembrava che fosse scoppiata una bomba.
Sentii due braccia forti prendermi e sollevarmi da terra. Sbattei le palpebre per mettere a fuoco, ma vedevo solo una grande macchia nera e profonda. Girai la testa di lato, per captare qualcosa che mi potesse dire cosa stava succedendo, ma niente, le mie orecchie erano sorde e i miei occhi erano ciechi. Il respiro si stava facendo faticoso, le braccia e le gambe erano solo dei tubi di gomma vuoti e inutili che stavano a penzoloni nel vuoto. Con un ultimo sforzo, provai a identificare il mio salvatore annusando il suo petto, poco prima di perdere completamente i sensi. Sapeva di sangue e di morte.







Angolo autrice
Ehi sono vivaaaaaa! Scusate la mia assenza, ma sono stata a letto con la mononucleosi :(
La sincope mi e' venuta veramente per ben due volte, cosi' ho pensato "Mmm, perche' non fargliene averee una simile a Maggie?" Et voila'! 
Spero che il capitolo vi soddisfi, cerchero' di aggiornare presto per recuperare

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Capitolo 12
*** Scusa ***


Scusa

 






Il dolore pulsante era insopportabile. Non avevo mai sofferto di mal di testa, mal di pancia, mal di schiena, o di simili, ma l’addestramento ninja mi aveva insegnato a sopportare il dolore, qualsiasi tipo, sia interno sia esterno, sia lieve sia grave. Ma adesso non ero in palestra con il maestro Chan. Non ero ad allenamento. Non ero l’allievo perfetto che mio padre sognava che diventassi. Ero solo io. Solo Shawn. Un ragazzo normale messo KO da una bomba.
Sì, l’esplosione doveva essere stata per forza causata da un ordigno con una modesta quantità di esplosivo. Aveva in pratica buttato giù la parete del salotto, i detriti c’erano volati addosso e ci avevano buttato dall’altra parte della stanza.  Era successo tutto così in fretta, che non avevo avuto il tempo di reagire, di avvertire mio nonno e Maggie del pericolo imminente. Mi sentivo un’idiota.
“Shawn! Shawn aiuto!”
Era la voce di Maggie.  La chiamai, ma la voce mi morì in gola. Tossii, una, due, tre volte e sputai polvere, saliva e qualcos’altro che non seppi identificare. Ero conciato male.
Intanto del sangue scendeva copioso dalla mia spalla sinistra. Notai che una scheggia di vetro lunga quanto la mia mano era andata a conficcarsi nella carne. La afferrai e con un unico, rapido e secco movimento la estrassi. Strinsi i denti cercando di ignorare il dolore lancinante e martellante e mi alzai con cautela. I miei muscoli non erano tanto d’accordo, ma ero io ad avere il comando. ‘Tu hai il controllo sul corpo. È la tua mente a fare tutto. Non il tuo corpo.’ Una delle tante perle di saggezza del maestro Chan.
 Lasciai vagare lo sguardo per la stanza; i mobili volati da tutte le parti, compresi quelli della cucina, vetri e pezzi d’intonaco e legno erano sparsi ovunque e dal giardino proveniva una densa coltre nera. I granelli di polvere danzavano lentamente intorno a me, dando alla stanza un’atmosfera spettrale e tetra.
E poi vidi lei. Sdraiata contro lo stipite della porta – ormai ridotta a brandelli – rannicchiata in posizione fetale e con lo sguardo perso e spaventato. Immersa in una pozza di sangue. In quel momento, il mio unico pensiero era assicurarmi che stesse bene. E non era così.
“Maggie, sto arrivando! Resisti!”
Non arrivai mai. Un’ombra nera apparve dal corridoio e si scaraventò contro di me, con tutto il suo peso. Finii a terra e sbattei violentemente la testa contro la gamba di una sedia.
 Iniziammo a lottare. Lo sconosciuto mi sovrastava, era pesante e forte e provava a schiacciarmi il diaframma per impedirmi di respirare. Avevo poco tempo e l’ossigeno faticava a circolare nel mio corpo. Decisi di reagire e di mettere in pratica i miei tredici anni di allenamenti.
Concentrai tutte le mie forze sul bacino e inarcai la schiena con un movimento tanto fluido da ricordare un gatto; l’uomo con la maschera bianca – che avevo notato in seguito – vacillò abbastanza da permettermi di passare al contrattacco. Ancora sdraiato sotto di lui, gli afferrai un polso con entrambe le mani e gli piegai il braccio dietro la schiena, alzandomi. In questo modo avrei fatto uscire la spalla dall’articolazione, e sarebbero stati dolori. 
Purtroppo però, l’uomo era allenato e non si lasciò impressionare da me. Riuscì a liberarsi dalla mia presa con una contromossa, mi afferrò il braccio e la spalla ferita e mi proiettò in avanti. In altre circostanze avrei adorato le proiezioni, ma in quel momento non ero io il proiettatore. Riuscii ad atterrare bene senza farmi male, come mi aveva insegnato il maestro Chan e gli sferrai un calcio sullo stinco. Lui vacillò e si accasciò per riprendere fiato, abbassando la guardia.
Perfetto.
 Mi lanciai su di lui con tutta la mia forza, ma all’ultimo si appiattì a terra, ed io andai a vuoto. Una volta disteso e tramortito sul pavimento, mi sentii sollevare di peso, giusto in tempo per prendere atto che stavo per essere succube di una presa di strangolamento, che conoscevo fin troppo bene. Era tanto semplice quanto letale: lo strangolatore cingeva con il braccio destro il collo dell’altro portando la mano sulla sua spalla sinistra, poi faceva la stessa cosa con l’altro braccio; se la gola dell’avversario si trovava al punto giusto, non aveva scampo. Bastava stringere, comprimere la testa del nemico verso di sé e in pochi secondi quello cadeva a terra morto stecchito.
Esisteva una contromossa per evitare il tutto, naturalmente. Ma il mio aggressore conosceva anche quella, e il mio collo era nella posizione perfetta. Sentii stringere e provai a liberarmi, scalciando e tentando di staccare le sue braccia dal mio collo, ma niente, non mollava. La stanza iniziava a perdere forma, la vista si faceva annebbiata e la testa girava spedita come una trottola. La testa. Ma certo.
Tentai un gesto estremo, non avevo nulla da perdere. Spinsi la testa all’indietro contro quella del mio avversario, avvertendo il crack del suo naso ormai rotto e lui, finalmente, lasciò la presa.
Caddi in ginocchio per riprendere fiato. La sensazione dell’aria che scorre nelle vene e arriva al cervello, era la sola cosa meravigliosa di quel momento. 
Avevo fatto male i calcoli, però.  Il tizio era svelto. Mi assestò un paio di calci nello stomaco, nei punti giusti. Sentivo il rumore delle costole che si incrinavano e gli organi che imploravano pietà.  Come se non bastasse, l’uomo mascherato mi prese per la maglietta e mi sollevò di peso. Lo guardai, dove credevo ci fossero gli occhi, con uno sguardo carico di odio e di rabbia, per aver attaccato il suo avversario mentre era a terra. Era a conoscenza delle tecniche ninja, non lo nego, ma era tanto dotato quanto codardo e bastardo. Come se avesse intuito i miei pensieri, mi colpì con uno schiaffo e mi lasciò cadere a terra.
 Iniziai a sputare sangue.
“Shawn! Vladimir! Ho una sincope, ho bisogno d’aria! Non ci vedo più!”
Rimasi paralizzato a terra. Avevo letto su una rivista a casa di Maggie cosa fosse un attacco sincopale.
Cazzo.
Tentai di alzarmi, ma lo sconosciuto mi assestò un altro calcio. I muscoli urlavano di dolore, le ossa gridavano pietà e la pelle era un’unica chiazza violacea.
Ed io rimasi lì. Impotente, mentre lui la prendeva tra le braccia e la portava via, lontano da me, lontano da qui.
“No! Fermo! Lasciala stare, figlio di puttana!” Le parole mi uscirono dalla bocca con il sangue.
Lo sconosciuto si girò. Maggie aveva perso completamente i sensi, ma l’espressione sul suo volto era tesa, come se si fosse resa conto di quel che stava succedendo, nonostante la sua temporanea incapacità di vedere e sentire.
“Ti farò avere mie notizie.” La voce era chiaramente modificata, doveva avere un qualche dispositivo sulla maschera che la modificava, rendendola profonda e amplificata.
“Tu prova solo a farle del male ed io … io …” continuai a sputare sangue, ci stavo affogando dentro.
“Tu prova a informare la polizia e non esiterò a farlo.” Replicò. Poi, così veloce com’era venuto, se ne andò. Con Maggie.
In quel momento, il mondo mi crollò addosso. Lei non c’era più. L’aveva portata via, per farle chissà cosa. Pensai a quanto fosse dolce e sensibile, a quanto fosse buona. Non avrebbe mai attaccato un’altra persona, non le avrebbe mai fatto del male, indipendentemente da chi si trovasse di fronte; era fatta così, non poteva cambiare. Neanche il mio persuaderla a fare un corso di autodifesa era servito a qualcosa. Probabilmente la avrebbe picchiata, derisa, umiliata, violentata.
Uccisa.
E io non avrei potuto difenderla.
 Iniziai a urlare. Urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, urlai tutta la mia rabbia, il mio dolore, tutto ciò che stavo provando e che mi stava uccidendo dentro. Urlai sputando tutto il sangue che avevo, che andava a macchiare le pareti della stanza e il pavimento. Urlai finché non fui sicuro di aver vomitato anche l’anima.
E inevitabilmente, mi saltarono in mente le parole che mi aveva detto maestro Chan molto tempo prima: ‘Tu sei un grande guerriero. Tu sei forte e credi di non avere punti deboli. Ma ti sbagli, tu ne hai qui’ mi aveva poggiato una mano sul cuore. ‘Se tu ami, tu sei debole. Non dimenticarlo.’
All’inizio non gli avevo creduto. Ma maestro Chan era quello che era, e mi stavo ricredendo. Perché doveva essere tutto così stramaledettamente complicato, maledizione?!
“Shawn … aiutami.”
Un sussurro mi riportò alla realtà. Dovevo alzarmi, ma mi sentivo lo stomaco in subbuglio, gli organi sparsi qua e là senza un nesso logico, l’intestino annodato su sé stesso, i reni schiacciati dallo stomaco e dal fegato. Feci un respiro profondo e concentrai il mio respiro su un punto poco al di sopra del mio ombelico, dove si trovava il mio chakra, il centro di energia. Dopo dieci respiri, mi alzai con molta cautela, ma subito crollai di nuovo a terra.
Riprovai.
Ci vollero altri quattro tentativi, prima che io riuscissi a mettermi a sedere e altri cinque prima che riuscissi a stare in piedi. Rimasi un attimo fermo sul posto per controllare l’equilibrio, che miracolosamente c’era ancora. Avanzai lentamente verso mio nonno, che era rimasto schiacciato dal frigorifero, mentre ondeggiavo a destra e sinistra e mi lamentavo come un morto vivente.
“Nonno …”
Era messo male. Non riuscivo più a riconoscere quale parte del suo volto fosse deturpata dalla cicatrice e quale fosse coperta di sangue. Provai a sollevare il frigorifero e a spostarlo dal suo corpo, ma lui mi bloccò.
“Shawn … non farlo.”
Lo guardai basito. “Nonno, ti devo aiutare, guarda come sei ridotto! Lascia che ti dia una mano.”
“No.” Rispose fermo e mi poggiò la sua mano sopra la mia. Mi accucciai vicino a lui in modo da poterlo sentire meglio.
“Ragazzo mio, tu non lo sai ma io … sono molto orgoglioso di te.”
Sentii qualcosa di caldo e umido scendermi lungo la guancia. Non poteva farmi questo!
“Tu diventerai un ottimo detective e se non ci riuscirai per qualche motivo, allora St. Hylton avrà guadagnato un ottimo chirurgo.” Fece una pausa, il respiro era faticoso, riusciva a malapena a respirare. Perché mi stava dicendo quelle cose solo adesso?
“Shawn, quello che ti voglio dire è che …  devi lottare. Devi sbattere dentro Aima e terminare questa faccenda per sempre.”
“Nonno … “ non riuscivo a parlare. Le lacrime scendevano copiose dal mio viso e andavano a cadere sul suo. “Non puoi morire, non puoi lasciarmi così! Io ho tante domande, e ho paura nonno, tanta paura. Ti prego, non mi lasciare!”
“Shawn, dovresti sapere meglio di tutti che la vita è questa. Io ormai ho fatto il mio dovere” tossì un’altra volta. “Ma adesso devi scappare. Vai a casa tua, prendi le tue cose e scappa, vai il più lontano possibile da qui!”
“Nonno, io non capisco, perché me ne devo andare? E dove, devo fare le cose da solo? Nonno non mi lasciare, ti prego …”
La mia calma glaciale era andata a farsi benedire già durante la lotta con Aima, ma la morte imminente di mio nonno era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E io non potevo farci niente, non potevo far nulla per aiutarlo.
“Tu non puoi farmi questo, sei crudele, SEI CRUDELE!” non riuscivo a calmarmi, le lacrime continuavano a scendere annebbiandomi la vista, esistevamo solo io, lui e il mio dolore, un dolore che mi stava consumando dentro.
“Shawn, nipote mio più caro, tu non sarai solo. Il tuo amico, quello che sta sempre con te, è sveglio, puoi coinvolgere anche lui, e anche i tuoi cari fratelli ti aiuteranno.” Si interruppe e io credetti che stesse per esalare il suo ultimo respiro. “Nella biblioteca … ci sono dei diari … lì troverai le risposte che cerchi …”
Ansimava, mi stringeva la mano e le pupille si agitavano freneticamente in tutte le direzioni. Gli strinsi la mano cercando di infondergli coraggio, ma io ero il primo a non averne.
“Scappa. La polizia sta per arrivare, ti stanno dando la caccia. E devi stare attento, molto attento Shawn. Aima è pericoloso, attaccherà quando meno te lo aspetti.” Mi guardò negli occhi. Erano di gran lunga gli occhi più spenti e tristi che io abbia mai visto in tutta la mia vita.
“E ora … e il momento di lasciare questo mondo …”  chiuse gli occhi ed esalò l’ultimo respiro. Vidi l’istante esatto in cui la vita abbandonò il suo corpo. Non me lo scordai mai.
“Nonno … nonno apri gli occhi ti prego … dai svegliati, sta per arrivare l’ambulanza, sento le sirene. Nonno apri gli occhi ti prego! Nonno, non puoi lasciarmi così, cazzo!”
Iniziai a urlare. Con un unico gesto, scaraventai via il frigorifero dal suo corpo, aiutato da una forza sconosciuta che non avevo. Iniziai a fargli il massaggio cardiaco, ma niente, non si riprendeva, non apriva gli occhi. No, non poteva essere vero, non poteva, non volevo crederci, era tutto così assurdo!
“Nonno, avevi ragione, avevi ragione su tutto! È colpa mia se sei morto, è colpa mia se Aima ha rapito Maggie, è solo colpa mia! Non ti ho dato ascolto, ho ignorato i tuoi consigli, e per tutto questo tempo ti ho portato rancore che non meritavi. Sono uno stronzo, un imbecille, nonno ti prego, ti prego … “ le parole mi morivano in gola, ma dovevo finire il discorso. Glielo dovevo.
“Nonno …  scusa.”
Glielo avevo detto. Ci ero riuscito. Appoggiai la mia fronte sul suo petto, mi aggrappai alla sua camicia, mi aggrappai a lui, e piansi, piansi fino a esaurire tutte le lacrime.
“Scusami.”
Sentii le sirene della polizia farsi più vicine. Se quello che aveva detto era vero – e non dubitavo che lo fosse – non avevo più molto tempo. Dovevo subito andare a casa mia, mettere in contatto Kathleen e Dimitri, e trovare un luogo sicuro dove nascondermi.
Dovevo trovare Maggie.
Salutai mio nonno con un gesto del capo e uscii da quella casa, da quelle mura, da quella morte. Aveva smesso di nevicare e aveva iniziato a piovere, con tuoni, lampi e fulmini. La pioggia mi bagnava e scorreva copiosa sul mio corpo, lavando via il sangue e rigenerando la pelle. Senza riprendere fiato e ignorando il dolore allo stomaco, alla spalla e alle gambe, scavalcai la rete del giardino e cominciai a correre, senza fermarmi mai.
 
 
 
 
 
 

Angolo Autrice:
Holaaaaaaaa! Ho aggiornato prima del previsto :3 era da tanto che sognavo e ripensavo a questa scena… all’inizio la morte del nonno di Shawn non era programmata, anzi, pensavo di farlo cadere in coma o cose simili e di continuare tutto in ospedale, ma sarebbe durata troppo, credo che alla fine sarebbe morto lo stesso lol.
Comunque …. Che cosa nasconderà mai Shawn? Perché si attribuisce la colpa di tutto? E soprattutto, che ne sarà di Maggie? E Dimitri e Kathleen che fine hanno fatto? E il sindaco?
Vi lascio con questi crudeli interrogativi e al prossimo capitolo!
Ringrazio ancora una volta SognatriceAocchiAperti per le sue bellissime recensioni!
Un bacio
L. C.
 

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Capitolo 13
*** Messaggi ***


Messaggi
 




Cara Jeanne,



mi dispiace lasciarti solo con questa lettera, ma è stata una decisione dell’ultimo minuto. È tutto così … complicato.
Maggie era molto sconvolta. Vedere la morte di un uomo senza poter fare nulla, è stato uno shock. Quando siamo arrivati al parco, ha iniziato a piangere e mi ha spiegato come si sentiva. Non I’ho mai vista tanto provata in vita mia.
Ha anche detto che voleva suicidarsi. Io naturalmente, le ho detto di no, mi ha fatto spaventare a morte. E poi come se nulla fosse se ne esce con una fuga romantica. Io le ho spiegato che era senza senso anche quello, ho provato a convincerla, ma lei non ha voluto sapere. Così l’ho accontentata.
Abbiamo fatto un giretto su internet e abbiamo trovato un’offerta conveniente per il ponte dei morti. Trecento euro in due con vitto e alloggio in un paesino vicino a Monaco, molto bello e ben organizzato. La quota comprende anche quattro ingressi per ciascuno alle terme, per una settimana rigenerante. Ho pensato che le farebbe bene, dato le sue condizioni critiche.  E, se devo essere proprio sincero, anche io ho bisogno di staccare un po’ la spina.
Adesso ti starai sicuramente chiedendo da dove ho ritirato i soldi; sappi che avevo qualcosa di mio da parte, e Maggie lo stesso. Abbiamo già parlato con Jonathan, gli ho spiegato la situazione e anche lui era d’accordo. Ha anche detto che non appena avrà terminato le riunioni di lavoro, ci raggiungerà subito e che saremo tornati a casa insieme. Non vedo l’ora che arrivi, Maggie ha bisogno di tutto l’affetto possibile; e per quanto io la possa amare, non sono ancora in grado di darle anche l’amore fraterno.
Jonathan l’ha presa bene, pensavo che avesse scatenato il finimondo, sai quanto sia geloso di sua sorella. Questa volta invece, ha mantenuto il sangue freddo e ci ha lasciato piena libertà di fare quello che credevamo fosse giusto per noi. Si è persino astenuto dal fare le solite raccomandazione, del tipo “non dormite insieme nello stesso letto” oppure “farsi il bagno insieme va bene, ma solo in piscina.” Sono rimasto di sasso.
E posa la cornetta del telefono, non serve che tu avverta i miei genitori. Li ho già chiamati io, e mi hanno dato il permesso, altrimenti non sarei potuto partire; mamma era entusiasta all’idea di un ‘viaggio romantico e rigenerante’, mentre papà mi ha raccomandato di comportarmi in modo responsabile; in fondo, a maggio sarò maggiorenne e inizio ad avere delle responsabilità.
E sì, ho preso tutti i documenti, i restanti risparmi, i numeri di telefono di emergenza, la macchina fotografica, gli asciugamani e compagnia bella.  Ho anche preso la valigia di nonno Lucas e anche un po’ di biscotti dalla dispensa per il viaggio. Il treno partirà tra un’ora e arriveremo a Monaco domani in tarda mattinata e ho già prenotato un taxi che ci scorterà nella pensione.
Come vedi penso a tutto.
Ah, un’ultima cosa: informa tu Elly e Seb della nostra partenza, digli che mi dispiace di non averglielo potuto dire di persona e che sono i fratelli migliori del mondo!
Detto questo, mi dileguo e ti lascio spolverare in pace. Non aspettarti chiamate da noi, abbiamo deciso di togliere la batteria ai telefoni per concederci maggiore riposo, quindi non ti spaventare.
Maggie ti saluta e dice che sei unica! Io invece dico che sei la tata più fantasticosa di sempre! Grazie per tutto quello che fai per me.
Ci sentiamo presto,

 
Shawn
 
 
 
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Shawn Synets:
Bro, ci vediamo alle quattro al binario dodici, ok?
Dimitri Ractive: Shawn ma hai visto che ore sono? Stavo dormendo, cazzo.
Shawn Synets:  E con ciò? Vuoi un applauso per aver dimenticato di attivare il silenzioso?
Dimitri Ractive: Mi sto trattenendo dal mandarti a quel paese.
Shawn Synets:  Da quando in qua sei così acido?
Dimitri Ractive: Io? Acido? Ma ti sei visto? Ultimamente sei così presuntuoso che non ti si può rivolgere neanche la parola!
Shawn Synets: La metti così eh? Lascia che ti sveli un segreto: Prova a trattenere il respiro per cinque minuti, così tutti si accorgeranno che l’aria che respiriamo è migliorata.
Dimitri Ractive: Lascia che te ne sveli uno anch’io:  tu sei cretino! Così cretino che ad una gara di chi è più cretino ti faresti rubare il primato e arriveresti secondo!
Shawn Synets: SEI COSì BRUTTO CHE QUANDO SEI NATO TUA MADRE HA SPEDITO BIGLIETTI DI SCUSE A TUTTI!
Dimitri Ractive: Di solito si dice “scusate le spalle” … tu devi dire “scusate la faccia”
Shawn Synets: Tua sorella è talmente grassa che il suo patronus è una torta!
Dimitri Ractive: Un’altra parola su mia sorella e ti ammazzo.
Shawn Synets: Viecce! O hai paura, signorina?
Dimitri Ractive: Sì che ho paura … di farti male!
Shawn Synets:   Ho un altro segreto per te: SEI SIMPATICO COME UN GATTO ATTACCATO AI COGLIONI!
Dimitri Ractive: Infame, questa l’hai presa da face book!
Shawn Synets: Forse.
Dimitri Ractive: E va bene, questa l’hai vinta tu. E per la cronaca, domani non vengo alla stazione, ho un appuntamento dal dermatologo u.u
Shawn Synets: Non domani, idiota! Stanotte! Subito, jetzt, inseguida, all’istante! In quale altra lingua te lo devo dire?!
Dimitri Ractive: Ma si può sapere che succede? Sono le due del mattino e tu vuoi che venga lì da te tra un’ora abbandonando il mio dolce lettino? Te lo scordi, Synets.
Shawn Synets: Eddai bro, per favoreeee!
Dimitri Ractive: Mi dispiace tesoro, te lo scordi. Devo essere in forma per il dermatologo, lo sai che se non dormo dieci ore a notte non sono in forma la mattina.
Shawn Synets: Omadonnasantissima, Dimitri! Hai rotto le palle con le tue lamentele da primadonna! È una questione di vita o di morte! Non ti chiederei mai una cosa simile se non fosse veramente importante! Credi forse che mi diverta a importunare la gente di notte?!
Dimitri Ractive: Forse. Saresti capace di fare più o meno un sacco di cose strambe. Credo di non avere altra scelta. Almeno mi puoi spiegare cosa sta succedendo prima che vada in escandescenze? A proposito, lo sai che il sindaco è stato trovato morto nel suo appartamento?
Shawn Synets: Davvero? Si sa come è morto?
Dimitri Ractive: Ancora no, ma girano voci che sia stato ritrovato in bagno con il laccio emostatico e una siringa conficcata nel braccio … la polizia suppone overdose.
Shawn Synets: O avvelenamento.
Dimitri Ractive: -.- Comunque mi dici che succede? Altrimenti non vengono! :p
Shawn Synets: Ti dispiace se te lo dico dopo? È lungo da spiegare. E poi fidati, non lo vuoi sapere.
Dimitri Ractive: Ma allora sei stronzo forte! Prima mi insulti, poi mi supplichi di venire e poi che fai? Non mi spieghi il motivo? Sai che ti dico Shawn? VAFFANCULO!
Shawn Synets: Senti, il VAFFANCULO lo dici a qualcun altro, non a me. E se proprio lo vuoi sapere, razza di scimmia beota, Maggie è stata rapita, e se lo dico a qualcuno, sta sicuro che entro domani mi ritroverò la sua testa appesa alla porta di casa! Lo dico a te perché sei il mio migliore amico, cazzo, e perché ho bisogno del tuo aiuto, perché scherzi a parte, tu sei intelligente e so che mi posso fidare di te!
Dimitri Ractive: Stai scherzando??? Cazzocazzocazzocazzo … E chi l’ha rapita? Quando è successo, dove, tu stai bene?
Shawn Synets: Sì, io sto bene. È una lunga storia, te la spiego dopo, il punto è che mio nonno è morto durante “l’agguato” e prima di morire mi ha detto che avremmo potuto trovare informazioni su Aima nei suoi diari.
Dimitri Ractive:  Davvero è stato Aima? O cazzo … condoglianze.
Shawn Synets: Grazie, ma non ti dispiacere, mi faccio pena da solo. Comunque non è tutto! Da quanto c’è scritto nei diari, mio nonno aveva una specie di conto in sospeso con Aima o una cosa del genere, ma quando sta per entrare nel dettaglio, il messaggio s’interrompe e seguono solo pagine bianche! Ho bisogno del tuo aiuto per venirne a capo, sto letteralmente impazzendo.
Dimitri Ractive: E ci credo, con tutto questo stress! Se fosse capitato a me, sarei entrato subito nel panico e a quest’ora mi troverei con una camicia di forza in un qualche ospedale psichiatrico. Comunque non era questo che volevi? Sfidare Aima a tu per tu?
Shawn Synets: Ti ho già detto che oggi ho il Vaffanculo facile?!
Dimitri Ractive: E va bene, non t’ incazzare, anche se ne avresti tutto il diritto! Solo una cosa: che pensi di fare? Andare a farci un giro in stazione non mi sembra l’idea più sensata … E se non puoi avvisare la polizia come facciamo? Insomma, prima o poi qualcuno si accorgerà che Maggie è sparita …
Shawn Synets: A quello ho già pensato io … ho avvertito Jeanne usando la scusa che saremmo partiti per una vacanza rigenerante e ho esplicitamente scritto di non chiamarci al cellulare. Neanche il fratello di Maggie e i miei genitori sospettano nulla. Non voglio mettere in mezzo loro, mi sarebbero solo d’impiccio. Dovresti inventarti anche tu qualcosa del genere.
Dimitri Ractive: E come faccio? Che cosa dirò a Kathleen? I miei non sono un problema, loro mi manderebbero sulla luna senza impicciarsi dei fatti miei, ma Kath è sveglia e non so se ci cascherà.
Shawn Synets: Dille di un qualche parente malato in punto di morte che abita in culonia, o di qualche cerimonia importante, sempre in culonia, o di un viaggio di istruzione …
Dimitri Ractive: Ci sono! Le dirò che sono partito con te! Tanto domani parte anche lei, va a Montecarlo la ragazza …
Shawn Synets: E come pensi di fare con Maggie? Ah, scusa, hai detto che parte … ok allora, prendi uno zaino con qualche vestito e i tuoi effetti personali e vieni qui, credo che non torneremo a casa molto presto.
Dimitri Ractive: Ok. Senti Bro, tu placati, ok? Andrà tutto bene, vedrai, stai shalla. Devi tenere duro e essere cazzuto fino alla fine! Fallo per lei!
Shawn Synets: Sicuro.
Dimitri Ractive: Dico sul serio.
Shawn Synets: Anche io.
Ei, ci sei ancora???
Dimitri Ractive: Sì, scusa, mi stavo preparando e ho anche lasciato un biglietto ai miei e a mia sorella. Sto uscendo ora da casa. Il tempo di prendere la metro e sono da te.
Shawn Synets: Ok, va bene, afferrato. Bro?
Dimitri Ractive: Sì?
Shawn Synets: Grazie.
 

 
 
 
Angolo Autrice:
Eiii pella centeeeeee!
Non so voi, ma tutte le volte che leggo gli insulti che si scambiano Shawn e Dimitri muoio dalle risate XD (stanno chattando su face book)
Allooora… in questo capitolo vediamo due tratti della personalità di Shawn: da un lato quello maturo, responsabile e razionale; dall’altro lo Shawn maturo che si “sfoga” con Dimitri, cambiando completamente modo di comportarsi.
Il sindaco è morto yeeeeeh! Ma sono cattiva u.u e vi lascio con altri interrogativi per la prossima volta :3
Il perché Shawn si crede colpo velo della morte del nonno lo scopriremo – anzi scoprirete, io lo so già lol – mooolto presto
Dunque: quali segreti nasconde il diario? Come reagirà Jeanne quando troverà la lettera? E Maggie come se la passa?
Un ultima cosa e mi dileguo, promesso
Pensavo di fare, oltre al pov Shawn, pov aima e pov Maggie, anche un paio di pov di Kathleen e Dimitri, che ne dite? :3
Fatemi sapere un bacioooooo :*
L.C.

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Capitolo 14
*** Scacco ***


Scacco



Avviso: il capitolo e' lungo ;)






Correva e lui rincorreva lei. Sentiva il suo respiro affannoso e irregolare, così come sentiva quello veloce del suo inseguitore. Quando sembrava che l’avesse raggiunta, lei rimontava, costringeva le gambe e i suoi muscoli a scattare in avanti e a riprendere terreno.  La ghiaia e i ciottoli del piccolo sentiero le ferivano i piedi nudi, mentre i rami spinosi dei rovi s’impigliavano nei suoi capelli. Aveva bisogno di sentirsi leggera, di poter volare invece di correre, ma la pioggia bagnava i suoi capelli rendendoli spessi e pesanti; le ricadevano sulla schiena e sulla fronte come una spessa tenda di velluto. Li scostò dalla fronte con un gesto spazientito, ma così facendo dimenticò di tenere sollevate le gonne dell’antiquato vestito di velluto blu scuro che indossava. Inciampò nel lembo del meraviglioso e al tempo stesso odiato abito e cadde in avanti nel fango. Provò ad alzarsi ma il vestito e la pioggia erano contro di lei, non le offrivano protezione. Si sentì afferrare per i capelli e trascinare lontano dai cespugli. Poi senza curarsi del dolore che le stava provocando, il suo inseguitore la lasciò andare e la ragazza cadde pesantemente su un mucchio di sassi spigolosi, che le torturavano la schiena e le toglievano il respiro. Lui si avvicinò senza esitare o aspettare e si sedette sopra il suo diaframma, schiacciandoglielo e impedendole di respirare. Non riusciva a distinguere il suo viso a capire chi fosse, vedeva solo la lama di un coltello che scintillava nella notte, catturando ogni singola particella di luce in quella foresta. Nello stordimento generale le sembrò di udire il verso di qualche animale a lei sconosciuto, che si faceva sempre più vicino.
Fu solo quando un lampo squarciò il cielo, e l’aggressore affondò la lama nel suo petto, che lei si accorse di chi fosse il suo aggressore. Il cuore della ragazza si fermò prima ancora di essere uccisa. Il suo assassino era Shawn.
 
 




Mi svegliai di soprassalto, urlando e dimenandomi come se mi stessero uccidendo realmente. Mi sembrò di stare ancora sognando, perché nel dimenarmi, caddi all’indietro e sbattei la testa contro il pavimento. La botta era forte ed io rimasi un po’ stordita, chiedendomi come e da dove fossi caduta. Solo in quel momento però, mi resi conto che avevo gli occhi coperti da una benda stretta dietro la testa. E che i miei polsi erano legati strettamente a una sedia, il cui schienale aveva sbattuto contro il pavimento con un rumore sordo. Rimasi in ascolto e provai a captare qualche rumore che potesse darmi un indizio, un accenno al luogo dove mi trovavo, ma il silenzio era sovrano e assoluto. E come se non bastasse, non riuscivo a ricordare cosa fosse successo. Insomma sapevo chi ero, quanti avevo etc. etc. etc. ma la memoria era ancora piena di buchi. Ero circondata completamente dal nero, sia in senso metaforico sia letterale; nonostante i miei sforzi non riuscivo ad aprire gli occhi, tanto era stretta quella benda. Invece le gambe erano libere e “penzolavano” dalla sedia, e scoprii che riuscivo anche a muovere le labbra. Il mio primo impulso fu di urlare, ma riuscii a trattenermi rammentandomi dei film dell’orrore che mi costringeva a vedere Shawn. Tutte le vittime che urlavano facevano una brutta fine ed entravano nel panico – nel mio caso angosciavano gli spettatori ancora di più – e se volevo uscire da quella situazione, avrei dovuto mantenere la calma. E per la seconda volta ripensai a Shawn, alla sua impassibilità di fronte a tutto, alla sua calma glaciale lontana e rassicurante. Ma che fine aveva fatto Shawn?
Feci mente locale. Mi ricordavo che eravamo andati alla festa di Halloween. Che Dimitri aveva fatto una scenata di gelosia a Kathleen. Che durante lo spettacolo pirotecnico erano morte almeno una ventina di persone. Che io e Shawn avevamo passato la notte abbracciati a consolarci l’un l’altra. E poi il vuoto, con solo qualche barlume di ciò che in condizioni normali avrei dovuto ricordare perfettamente. Un sottoscala, un paio di occhi grigi, del sangue. La mia mente era confusa, frugare tra i ricordi era come cercare di vedere attraverso il fango.
Rinunciai del tutto ai miei tentativi. Dovevo assolutamente liberarmi e scappare, andare via da ovunque mi trovassi in quel momento e trovare Shawn prima che qualcuno trovasse me.
Iniziai  a lavorare con i nodi che mi legavano i polsi. Io e mio fratello eravamo andati molto spesso in barca insieme a uno dei tanti amanti di zia Muriel, un banchiere multimiliardario che comprava esclusivamente yacht ultralussuosi e caviale pregiato. Se non avessi saputo che aveva una relazione con nostra zia, mi sarebbe stato persino simpatico. Dovevo ammettere però che era molto bravo con i nodi, e ce ne aveva insegnato qualcuno. Poi aveva insistito che sapessimo come liberarci, perché essendo stato lui stesso un prigioniero di guerra,  aveva insistito perché imparassimo. Così nel giro di qualche settimana, Jonathan ed io eravamo capaci di liberarci anche con i polsi legati dietro la schiena e per festeggiare, il banchiere ci aveva portato una settimana insieme a nostra zia in crociera fino a Montecarlo.
Per mia sfortuna però, chi mi aveva legato a quella sedia era capace di fare i nodi tanto quanto quell’odioso banchiere. Le strette corde si portavano via la pelle dei polsi, e dopo minuti che mi sembrarono interminabili, riuscii a liberare la mano sinistra. Senza esitare, strappai con un gesto spazientito la benda dai miei occhi, ma fu un errore. Fui subito accecata da una forte luce proveniente da una sola lampadina che si trovava esattamente sopra la mia testa. Distolsi velocemente lo sguardo finché gli occhi si abituarono a quella luce accecante.
Mi trovavo in una stanza completamente dipinta di varie tonalità di grigio e bianco. Alla mia destra si trovava un letto di ferro con sopra solo un materasso e un cuscino. A fianco al letto si trovava un tavolo di metallo – anche quello grigio – con accanto ad una sedia – grigia anche quella – e poco distante una porta rossa.
Una porta!
Il mio impeto e la mia fretta nell’alzarmi furono tali, che caddi di nuovo a terra inciampando sulla sedia: mi ero dimenticata di liberare la mano destra. Ci misi di più a liberarla perché tremavo dall’eccitazione per aver scoperto una possibile via di fuga. Una volta risolto quel piccolo inconveniente mi precipitai verso la porta e la aprii.
Rimasi sorprendentemente delusa.
Dalla porta si accedeva a un piccolo bagno, munito persino di doccia e specchio. Quando mi ci specchiai, per poco persi un colpo: i capelli erano intrisi di sangue secco e sembrava che ci avesse fatto il nido un uccello; gli occhi erano gonfi e arrossati, le guance ricoperte di graffi e i vestiti completamente strappati. Istintivamente guardai in basso e non poté che sfuggirmi un’imprecazione: i miei fiammanti Dr. Martens bordeaux erano completamente rigati e inutilizzabili. Sempre imprecando provai a ripulirli dal sangue e dalla polvere, ma i graffi rimasero comunque.
Dopo numerose imprecazioni in aramaico antico – non sapevo parlarlo, ma non m’importava – uscii dal bagno e guardai la stanza da una prospettiva diversa. Mi era parso tutto molto grande, ma in realtà era una normalissima stanza dalle normalissime dimensioni. Era invece scoraggiante il fatto che non ci fossero finestre; una via di fuga in meno. Mi guardai ancora un po’ intorno sconsolata. Tastai persino le pareti, battendo senza un ordine logico in vari punti, aspettandomi di trovare un passaggio segreto, qualsiasi cosa potesse essermi di conforto. Ma niente. Rassegnata, mi sedetti appoggiando la testa alla porta. Le lacrime minacciavano di uscire, ma riuscii miracolosamente a ricacciarle indietro. Non potevo permettermi il lusso di perdere la calma. Non ora.
Un rumore acuto e stridulo mi distolse dai miei pensieri. Veloce come un fulmine mi appiattii contro l’angolo più nascosto della stanza.
Si aprì un’altra porta più piccola, che prima non avevo notato, dalla quale comparve un uomo. L’uomo in questione aveva dei lineamenti duri e spigolosi, un naso grande e i primi accenni di barba, ma era pelato e di carnagione olivastra. Non doveva avere più di quarant’anni.
L’uomo entrò definitivamente e solo allora mi accorsi della sua stazza, dei muscoli possenti delle braccia e delle gambe, e che probabilmente sfiorava i due metri in altezza. Era proprio grosso.
Ci guardammo negli occhi per pochi secondi, lui con atteggiamento di sfida, io con un’angoscia crescente. Che cosa voleva da me?
“Vedo che ti sei liberata dai miei nodi.” Disse solo lasciando vagare il suo sguardo nella stanza. Mi augurai che non lo facesse mai più. Era inquietante.
“Davvero niente male.”
Fece per avvicinarsi ed io indietreggiai, o almeno era quello che credetti di fare, dato che avevo le spalle al muro.
“Oh, andiamo, dolcezza, è inutile che fai la difficile. Io non voglio farti niente. Per ora.”
Il modo in cui lo disse non mi rassicurò per niente.
“Avvicinati.” Mi ordinò.
Scossi la testa, impaurita.
“Se non vieni tu, vengo io.”
Beh che fare? Feci un passo in avanti muovendomi molto lentamente, come se sotto di me ci fosse stata una mina che minacciava di farmi saltare in aria in ogni istante.
“Che cosa volete da me? Chi siete?”
Le mie domande riecheggiarono nella stanza. La tensione era talmente alta che si poteva tagliare con il coltello. Almeno per quanto mi riguardava.
L’uomo rise. “Non sono tenuto a darti spiegazioni; il Magister  è stato chiaro.” Rise di nuovo.
“E chi sarebbe il Magister, si può sapere?” replicai. Mi tremava la voce. Iniziai a contare mentalmente i respiri accelerati per regolarli, ma invano. Il mio cuore sembrava impazzito.
“Dipende da te. Potrebbe anche essere il tuo peggior incubo.”
Impallidii alle sue parole. Non prometteva niente di buono.
“Dove siamo?” Perché non rispondeva alle mie domande? Perché continuava a ignorarmi?
“Non sono tenuto a dirti neanche questo.” La sua voce era ferma e profonda.
Lui si mosse e appoggiò qualcosa sul tavolo. Si trattava di una stoffa luccicante che rifletteva sui muri grigi la luce della lampadina. Intravidi anche un paio di scarpe.
“Ecco a te. Il Magister vuole che tu li indossi e ti prepari per lui.”
Rimasi di sasso. Perché un pazzo sconosciuto voleva che mi preparassi solo per compiacerlo? E cosa voleva da me?
Feci di no con la testa. Non se ne parlava proprio, non mi sarei mai abbassata a tanto. Non gliela avrei data vinta tanto facilmente.
“Non li voglio i vestiti, il tuo Magister se li può anche tenere. Io da questa stanza non esco.”
Si mosse più velocemente di quanto mi aspettassi. In una frazione di secondo mi aveva già spinto contro il muro e portato la sua enorme mano alla mia gola, schiacciandomi contro il suo peso. Mi dimenai, ma non ci riuscivo, era troppo pesante e rideva. Allora iniziai a gridare di lasciarmi, ma appoggiò la mano libera sulle mie labbra. Immobile e incapace di parlare, sentii le sue parole con rabbia e paura.
“Ascolta dolcezza”, mi disse appoggiando le sue labbra al mio orecchio. “adesso tu farai quello che ti dico io, altrimenti le cose non si metteranno bene per te. Il Magister sa essere clemente con chi lo rispetta e per te ha in mente grandi progetti.” Riprese fiato, ma non allentò la presa e mentre parlava, fissavo intensamente la luce accecante della lampadina per impedire alle lacrime di bagnarmi il viso. Non volevo piangere davanti a lui. “Il Magister ha detto esplicitamente che avresti dovuto indossare gli abiti che lui ti ha comprato. E ha lasciato intendere anche che se ti fossi rifiutata, te li avrei dovuti far indossare io stesso con la forza.” Proseguì. “E dato che sei molto carina e che non mi va di rovinare il tuo ben faccino, ti consiglio di prendere i vestiti, di farti una doccia e di prepararti al meglio, nel bagno troverai tutto quello che ti serve. Hai un’ora.”
Detto questo uscì dalla stanza così come se ne era andato.
 Crollai a terra sulle ginocchia e fui scossa dai singhiozzi. Mi sfregai gli occhi con il dorso delle mani, ma erano sporche, e gli occhi bruciavano ancora di più. Così, irata con me stessa per la mia debolezza, presi la maglietta, le scarpe e la biancheria ed entrai nel piccolo bagno, chiudendo la porta a chiave. Senza fermarmi a riprendere fiato entrai in doccia ancora vestita e mi sedetti, mentre l’acqua scorreva sul mio corpo. Scoppiai in un pianto disperato, una volta presa la consapevolezza che non sarei mai riuscita a scappare e a tornare a casa. Mi tenevano in pugno, il Magister e l’uomo nerboruto, e sicuramente ce ne erano altri come loro. Ammesso che fossi riuscita a uscire da lì, dove sarei andata? E se fossi stata in cima a una montagna? O in mezzo a un bosco? O peggio ancora, in qualche bunker sotterraneo? Cosa avrei fatto poi? Mi avrebbero ucciso, fatto a pezzi e dato i miei resti ai maiali.
Non riuscii a trattenere un grido isterico e i singhiozzi si facevano sempre più forti mentre le lacrime sgorgavano copiose. Non riuscivo a respirare, l’acqua bollente mi ustionava e mi entrava in gola. Tossii, chiusi il rubinetto e mi fermai.  Non avevo mai pensato alla morte in generale, non mi ero mai posta il problema; fino a poco prima ero convinta che sarei vissuta a lungo, una vita lunga e felice e che sarei morta nel mio letto, ultraottantenne e circondata dai miei nipoti. Invece adesso la mia breve vita era appesa a un filo, e stava al Magister decidere di tagliarlo o no.
Ripensai a tutte le cose giuste e sbagliate che avevo fatto. A scuola ero la prima della classe, avevo una pagella invidiabile ed ero considerata da tutti i professori una studentessa modello. Avevo conosciuto Shawn e lo avevo amato – anzi lo amo – con tutta me stessa. Gli avevo dato tutto, così come lui aveva dato tutto a me. Con Kathleen e Dimitri invece, il rapporto era cresciuto giorno per giorno e col tempo si era trasformato in una splendida amicizia.
Di bugie non le dicevo, e se le dicevo venivo subito scoperta, perché i sensi di colpa imminenti e il rossore sulle guance mi tradivano sempre. Certo, una volta avevo detto a Jonathan che ero uscita con Kathleen, quando in realtà ero accoccolata a Shawn sull’amaca in giardino. E una volta avevo detto a Dimitri che la sua camicia a pois fosse bellissima, quando in realtà non lo pensavo. Tutte queste erano solo innocenti ‘bugie bianche, bugie che venivano dette solo per il bene di altri. Ma allora perché mi ritrovavo in una situazione del genere, in procinto di morire? Era forse la punizione per non aver vissuto secondo le volontà di mamma e papà?
Mamma. Papà. Quanto avrei voluto che fossero ancora vivi, per potermi cercare insieme a Shawn e alla polizia. Shawn si sarebbe presentato e sarebbe rimasto spesso a cena da noi. Mamma mi avrebbe dato la buonanotte e papà mi avrebbe rimboccato le coperte.
Ritornai con i piedi per terra. Loro erano morti e probabilmente di loro era rimasto solo qualche ossicino. Immaginai anche io la mia morte, il mio funerale, distesa in una bara bianca e Shawn piangeva insieme ai miei amici, che avrebbero lasciato a lui l’onore di gettare le prime manciate di terra.
Piansi ancora di più.
Non ricordo molto dei minuti che seguirono. Ricordo solo che a un certo punto, dopo aver pregato e recitato il rosario, capii che non era così che mi dovevo comportare, che dovevo essere forte e lottare per le cose che mi erano più care. E che lo avrei fatto, perché da qualche parte lontano da me c’era Shawn che mi aspettava con Kathleen, Dimitri e Jonathan. Loro avevano bisogno di me, ed io non li avrei abbandonati.
Spinta da una feroce determinazione, mi spogliai e iniziai a togliermi il sangue secco di dosso con una spugna, strofinando fino a scorticarmi la pelle. Poi trattai i capelli: ci vollero tre dosi di shampoo prima di eliminare il sangue e due di balsamo per renderli morbidi e setosi al tocco. Uscii dalla doccia e per poco non inciampai sulle mie scarpe. Il vapore, in assenza di finestre, era rimasto nella stanza e la visibilità era scarsa. Riuscii comunque a notare un mobiletto sotto il lavandino, dove trovai una spazzola, dei fermagli e degli elastici per capelli e un phon. Iniziai a spannare lo specchio e poi proseguii con lo spazzolarmi i capelli. Il Magister sarebbe dovuto rimanere senza fiato, non mi sarei fatta sottomettere da lui, un uomo che non aveva neanche il coraggio di guardarmi in faccia. Mi asciugai con un asciugamano e iniziai a vestirmi, quando sentii un bussare alla porta. “Ti avverto dolcezza, hai ancora cinque minuti di tempo prima che io o il Magister perdiamo la pazienza! Ti conviene darti una mossa se non vuoi subire le conseguenze.”
Accidenti, mi ero completamente dimenticata che avevo a disposizione un periodo ben preciso. Infilai la maglietta dopo averla osservata più attentamente: era un top con la spallina spesse e interamente ricoperto di pailette argentate e luccicanti. Doveva essere costato una fortuna e mi bastò leggere la marca per averne la conferma: Valentino. O mio Dio. Certo che questo Magister doveva essere schizzato forte. Spendere qualche migliaio di euro per vestire una ragazza che molto probabilmente avrebbe ucciso di lì a poco. Così com’era molto probabile che fosse molto ricco.
Le scarpe invece erano Miu Miu: consistevano in décolleté  tacco 12 nere con dei piccoli decori verdi menta sul tacco della scarpa. Mi calzavano a pennello, sembravano disegnate apposta per me. Come faceva il Magister a conoscere le mie taglie?
Ora mancava solo il pantalone. Cercai per la stanza, ma non lo trovai. Così accostai le labbra alla porta e chiesi: “Scusi, ma credo che si sia scordato di darmi i pantaloni.”Usare il sarcasmo mi aiutava a mascherare il terrore che provavo in quel momento.
L’uomo rise di gusto, facendo vibrare la porta. “Pantaloni? E a che ti servono scusa?”
“Si dia il caso che il capo che stia indossando sia una maglietta.”
Se possibile, rise ancora più forte. “Oh, ti sbagli dolcezza. Quello che indossi non è una maglietta, ma un vestito.”
“MACHECAZ …!” imprecai. Il vestito, come lo aveva definito lui, arrivava sì e no fino a metà coscia, lasciando il resto scoperto.
“Io non vado da nessuna parte con questo coso!” Protestai energicamente.
“Tu fai quello che dico io, e adesso esci o butto giù la porta, e stai sicura che sono perfettamente in grado di farlo.”
Non dubitai delle sue capacità e in men che non si dica spalancai la porta. L’uomo lanciò un lungo fischio e non la smetteva di far vagare il suo sguardo dal mio seno alle mie gambe e viceversa. Mi si rizzarono i peli sulla nuca.
“Wow, non sei davvero niente male. Non t’immagini cosa stia pensando in questo momento.”
Cercai di reprimere il senso di disgusto che si andava diffondendo. Immaginavo benissimo cosa pensasse, quel tizio pervertito. Si avvicinò ed io scattai indietro come una molla. “È tardissimo! Non dovevamo andare?”
Per fortuna il mio strampalato e alquanto banale tentativo di interrompere le sue fantasie sessuali andò a buon fine, tanto che disse: “Hai assolutamente ragione, dolcezza. Siamo maledettamente in ritardo per la cena.”
‘Cena?’ pensai. La situazione mi stava letteralmente sfuggendo di mano.
“Mettiti questa, fa freddo fuori di qui.”
Mi lanciò una giacca –Versace – che richiamava sia il vestito che le scarpe. Aveva le maniche a tre quarti e lo scollo particolare, ma era priva di bottoni, tranne che sulle maniche. In compenso però era strapiena di pailette verde brillante. In effetti non aveva tutti i torti. Mi sentivo meglio.
Poi l’uomo fece qualcosa d inaspettato. Con una velocità impressionante, mi aggirò, raccolse la benda dal pavimento e mi bendò. Protestai, ma per tutta risposta mi aveva già stretto il braccio talmente forte che non sentii più scorrerci il sangue.
“È solo una cosa temporanea, dolcezza. È solo per evitare che tu possa ricordare la strada e svignartela.”
Detto questo allentò la presa quel tanto che bastò a far circolare di nuovo il sangue. Camminavamo uno di fianco all’altro, accompagnati solo dal rumore dei miei tacchi sul pavimento. Non vedevo l’ora di arrivare, perché il mio accompagnatore aveva poggiato la mano sul mio fianco, cingendomi la schiena e attaccandomi a sé. Non ero mai stata felice di essere ‘toccata’,  a volte non sopportavo neanche gli abbracci di Shawn, ma col tempo ci avevo fatto l’abitudine. Un conto però era la stretta rassicurante e protettiva del mio ragazzo; tutt’altra cosa era la stretta assassina di quel maniaco sessista. Mi sentivo come se mi stesse accompagnando al patibolo, che in parte era quello che stava facendo. Continuavamo a svoltare a destra e a sinistra, in continuazione; una volta tornammo persino indietro e io iniziai a sospettare che lo facesse solo per confondermi le idee.
Passarono all’incirca tre minuti, prima che ci fermassimo di colpo.
“Ci siamo, dolcezza. Adesso conoscerai il Magister, e voglio che tu sia brava, altrimenti le conseguenze delle tue azioni saranno molto gravi.” Mi tirò indietro la testa afferrandomi per la benda. “Intesi?”
Annuii.
Finalmente, il maniaco mollò la presa ed io mi sentii subito più leggera. Il rumore di una porta che si apriva, un breve sussurro, e poi fui spinta in avanti con violenza. Riuscii miracolosamente a mantenere l’equilibrio, anche se dentro di me ero consapevole di sembrare una perfetta imitazione impacciata di Pippo.  Aspettai qualche secondo e poi mi tolsi la fastidiosa benda dagli occhi, rimandendo senza fiato.
Mi trovavo in una stanza che sembrava uscita da un dipinto medievale. Le pareti erano rivestite di carta da parati rosso scuro dai delicati motivi dorati. Il pavimento era ricoperto di strati e strati di tappeti, tranne una piccola parte, che era in penombra. L’illuminazione era scarsa e dava alla stanza un’atmosfera un po’ più intima. Alla mia sinistra si trovava un camino di pietra alto quanto una macchina, nel quale scoppiettava allegramente un fuoco. Di fronte c’erano due divani e dei cuscini disposti ordinatamente in cerchio. Di fronte a me troneggiavano degli scaffali altissimi e stracolmi di libri, mentre un tavolo di legno massiccio faceva la sua figura nella stanza. Seduto su una sedia e chino su qualcosa che non riuscivo a identificare, c’era una figura.
‘È il Magister.’ Pensai.
Come se avesse aspettato quella battuta, l’uomo misterioso si alzò e si diresse sotto il fascio di luce del lampadario, in modo che potessi vederlo meglio. Anche lui era molto alto, ma a differenza del pervertito era  snello. Certo, era pompato e aveva i muscoli, ma era più basso e più aggraziato nei movimenti. Indossava una camicia bianca infilata dentro dei pantaloni blu notte;  al posto della cinta, portava una fascia rosso fuoco. I capelli neri come l’inchiostro erano spettinati, invece di penalizzarlo però, lo rendevano ancora più affascinante. Notai anche che indossava una maschera bianca, riccamente decorata, che lasciava intravedere solo le labbra sottili.
Anche lui sembrò fissarmi a lungo. Rimanemmo immobili, entrambi al nostro posto a guardarci per quella che mi parve un’eternità. Un vecchio pendolo scandiva il passare dei secondi, ma a nessuno importava. Finché alla fine si avvicinò e si fermò solo quando rimanevano pochi centimetri a separarci. Alzai lo sguardo verso di lui, e fui travolta da due strabilianti occhi blu. Ma non erano celesti o grigi; i suoi occhi avevano il colore del mare in tempesta. Mozzavano il fiato.
“Dunque eccoci qua.” Disse rompendo il silenzio e allontanandosi da me. Si spostò vicino al tavolo e prese in mano un calice con dentro del vino rosso.
“Immagino che tu voglia sapere cosa possa volere da te.”
Annuii incerta.
“Bene. Forse però, sarebbe più opportuno se ti chiedessi chi sono.” Bevve un piccolo sorso senza smettere di guardarmi. “So che conosci già la risposta.”
Fu come ricevere uno schiaffo. Tutto quello che la mia mente aveva rifiutato di credere, tutto quello che non avevo osato immaginare, divenne improvvisamente reale. Sentii lo stomaco attorcigliarsi su sé stesso, i peli sulla nuca drizzarsi e le mani sudare freddo. I miei incubi peggiori si erano avverati. Chiusi un attimo gli occhi e mi diedi un pizzico sul braccio, in una parte molto sensibile. Strinsi i denti, imprecando mentalmente, e poi, una volta finito, aprii gli occhi. Ma purtroppo il Magister era ancora lì e mi guardava come un medico legale guarderebbe un cadavere.
Il Magister sorrise senza mostrare i denti. Aveva capito anche lui.
“Tu … tu sei Aima.” Sputai l’ultima parola con disprezzo e iniziai a tremare.
Aima sorrise e alzò il calice verso di me, come se stesse brindando con un fantasma.
Come un in film, rividi ciò che non riuscivo a ricordare. La casa di Vladimir, l’esplosione, il sangue, la sincope e poi Aima. Perché ero sicura che fossero state le sue braccia a prendermi e a portarmi via.
Mi arrabbiai con me stessa per non esserci arrivata prima. E mi arrabbiai con lui perché mi aveva ‘affrontato’ quando non potevo difendermi.
“Tu …” gli puntai il dito contro, minacciosa. “Sei stato tu a far esplodere tutto. Sei stato tu a portarmi via.” E sei stato tu a uccidere tutte quelle persone la notte di Halloween.
“Ci sei arrivata finalmente. Avevo smesso di sperarci.”
M’ infuriai ancora di più. Come si permetteva di prendersi gioco di me?
“Tu vuoi sfidare Shawn. Vuoi vedere se sarà alla tua altezza.” La mia non era una domanda, ma una semplice costatazione.
“Esatto. E lasciami dire che il tuo ragazzo dovrebbe fare meno l’arrogante. Mi ci sono voluti pochi secondi a metterlo KO.” Sorrise di nuovo, ma questa volta carico di malvagità. “E poi è toccato al vecchio.”
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Afferrai la prima cosa che mi capitò a tiro e gliela lanciai.
Un vaso rosso dall’aria preziosa e antica finì in frantumi sul pavimento, dove un attimo prima c’era Aima. “Dovresti migliorare la tua mira. Mi hai completamente lisciato.”
Gli scagliai addosso una sedia che si ruppe subito dopo l’impatto con la parete. Aima però aveva schivato il colpo un’altra volta. Accecata da una rabbia più grande di me, gli urlai tutti gli insulti e le imprecazioni che conoscevo. Quel verme schifoso aveva fatto del male a Shawn e suo nonno. Aveva ucciso il padre di Dennis. E aveva quasi ucciso me. L’odio che provavo in quel momento mi spingeva ad andare avanti: ribolliva nelle mie vene e trasportava col sangue l’adrenalina in tutto il corpo. Sentivo delle scariche elettriche attraversarmi fino alla punta dei capelli, e la stanza si tinse di rosso scuro. Tutto quello che vedevo erano sete di vendetta, odio e rabbia. Sete di vendetta perché mi aveva rapito e portato via. Odio perché aveva fatto del male alle persone che amavo, e anche a chi non conoscevo. E infine rabbia perché io non potevo fare niente per fermarlo, per fermare un pazzo, che in quel momento si stava prendendo gioco di me. Che per un ignobile, schifoso bisogno personale rapiva le persone e le lasciava morire davanti ai familiari.
Non sapevo se avrei vissuto abbastanza a lungo da poter fermare la sua furia omicida. Sapevo solo che dovevo provarci, in tutti i modi, sfogandomi se necessario. Come stavo facendo in quei momenti.
Continuai a lanciare i più svariati tipi di oggetti: dai vasi preziosi passavo ai cuscini e dai cuscini passavo alla legna disposta ordinatamente in una cassapanca. Poi fu la volta dei libri e dei candelabri, e infine toccò a dei pezzi di armature medievali. Passarono diversi minuti, io lanciavo imprecando e urlando la mia rabbia con tutta me stessa e lui schivava prendendosi gioco di me.
Alla fine, quando ebbi esaurito i soprammobili, mi lasciai cadere stremata sul pavimento. Nella stanza era regnato il silenzio, oltre al caos, e si sentivano solamente il mio respiro affannoso e affaticato e le ultime risa di Aima. Sentii una goccia di sudore scendermi lungo la schiena.
Venne verso di me con una lentezza estenuante. Si muoveva con passo felpato sui tappeti, senza produrre alcun suono. C’era solo una parola per descrivere i suoi movimenti: eleganza.
 Alla fine si appoggiò sui talloni portandosi alla mia altezza e con le dita fredde e sottili mi prese dolcemente il mento, costringendomi a guardarlo negli occhi. ‘È finita.’ Fu l’unica cosa che riuscii a pensare. ‘Adesso mi ammazza.
Mi concentrai sul suo sguardo, lo ancorai al suo per dimostrargli che non avevo paura e che non mi pentivo di quel che avevo fatto.
“Sei stata brava.”
Intuendo il mio smarrimento si affrettò a spiegare.
“Le altre persone quando capiscono chi sono si disperano, piangono, dicono frasi senza senso.” Disse pacato. “Tu invece hai avuto persino il coraggio di sfidarmi, nonostante fossi informata dei rischi che avresti corso.” Il suo sguardo si addolcì. “Per questo non ti ucciderò. È da tanto tempo che non viene più nessuno a tenermi compagnia e mi sento solo; inoltre ho anche promesso al tuo ragazzo che non ti avrei ucciso  a meno che non avrebbe fallito nell’impresa. Quindi puoi stare tranquilla. Almeno per ora.”
L’aria sembrò finalmente tornare a circolare nei miei polmoni. Finalmente qualcosa di positivo!
I miei film mentali sulla libertà finirono bruscamente quando una vocina nella mia testa mi ricordò in che razza di guaio mi ero andata a cacciare.
Tornai a guardare Aima, ma lui stava guardando oltre a me. “Oh Glauco, eccoti qui.” Mi voltai. Il maniaco sessista era entrato nella stanza senza produrre il minimo rumore. Aima si alzò ed io lo imitai.
“Potresti accompagnare Daisy nella sua stanza? E assicurati che abbia tutto il necessario per la notte.”
Arricciai il naso. “Daisy?!”
Aima mi guardò e rise divertito. “Ti chiami Margherita, giusto? Beh, so che tutti ti chiamano Maggie, ma Daisy  è più, come dire …” cercò per un istante le parole adatte. “… Elegante.” Concluse infine. Scossi la testa. Quello lì era tutto matto.
Fui scortata da Glauco e dalla sua immancabile morsa stritolatrice fino alla porta, ma mentre stavamo per uscire, Aima ci fermò.
“So che sarà difficile per te, ma non per questo potrò tollerare i tuoi prossimi comportamenti futuri. Ricordati che ti ho in scacco, Daisy. Sta a te decidere cosa fare.”
Pochi istanti prima che mi fosse messa la benda, riuscii a vedere su cosa fosse chinato Aima all’inizio e cosa fosse scampato alla mia furia vendicativa. Era una scacchiera.
 
 






Il mio angolo:
Ta-Daaaaaan! Questo capitolo è lunghissimo O.O ma oggi avevo ispirazione e l’ho scritto in sole tre ore :3. All’inizio sarebbero dovuti essere due capitoli ben distinti, ma per farmi perdonare la lunga attesa vi ho ricompensato così.
Dunque, in questo capitolo vediamo Maggie alle prese con un maniaco :o e con un serial killer non proprio killer al 100% . La nostra dolce protagonista si trasforma in una furia imprecando in aramaico e giocando a palla avvelenata con Aima XD
Comunque … sappiate che nel prossimo capitolo se la vedrà moooolto brutta, che cosa succedrà?
Adesso vi lascio libere di recensire, ci vediamo al prossimo capitolo!
Kisses,
L.C.

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Capitolo 15
*** Abusi ***


Abusi
 


Attenzione: Il capitolo è un po' rosso.
 
 
 





Il viaggio di ritorno fu più lungo rispetto all’andata. Come prima, il maniaco non parlava e il rumore dei miei tacchi risuonava lungo la via. Questa però, non mi aveva stretto a sé, ma si manteneva a distanza e mi teneva appena la mano, quasi con fare esitante; sembrava un’altra persona. Nonostante la presa insolitamente leggera, riuscivo a percepire il suo corpo tremare, anche se mi era sconosciuto il motivo.
“Ci sono le scale.” Mi avvertì. Scale? Non le avevamo percorse all’andata, avevamo solo camminato tranquillamente. Non prometteva nulla di buono. Salimmo anche quelle in silenzio ed io mi appoggiai un po’ insicura al corrimano, concentrandomi a non cadere per colpa dei tacchi spaventosamente alti. Continuammo a camminare a lungo e non potei fare a meno di chiedermi dove mi trovavo. Neanche la nostra scuola era tanto estesa da dover camminare così tanto.
  Avevo talmente tanti pensieri in testa, che non mi resi neanche conto che c’eravamo fermati. Riconobbi il cigolio stridulo che emettevano le porte e fui spinta dentro alla mia stanza. Mi tolsi la benda e mi guardai intorno, confusa. Quella non era per nulla la mia stanza.
Ci trovavamo in una grande stanza da letto, che era quasi spoglia, fatta eccezione per il letto a baldacchino e una vecchia scrivania di legno. Anche lì non c’erano finestre. Un lampadario elaborato pendeva dal soffitto, ma l’illuminazione era scarsa; sembrava che la stanza fosse illuminata solo da minuscole candele invisibili, che davano ai mobili dei toni caldi.
Feci vagare il mio sguardo ancora una volta e mi accorsi che non eravamo soli. Seduto sul letto, aspettava un ragazzo giovane che dimostrava circa vent’anni. Appena ci vide il ragazzo si alzò e non potei fare a meno di notare che anche lui era pompato ed esageratamente alto come il maniaco. Che avevano gli stessi occhi neri e le stesse labbra.
Prima che potessi fare qualunque cosa, mi ritrovai stretta tra le braccia del ragazzo, la mia schiena contro il suo petto. Sentivo il suo cuore che batteva con calma contro il mio, che invece provocava un terremoto nel mio petto.
“Lasciami!” Mi divincolai, ma ogni mio tentativo fu inutile: la sua presa era troppo salda ed io ero troppo debole per liberarmi.
“Shh, shh, shh.” Sussurrò lui, aumentando la stretta. Nel frattempo il maniaco aveva chiuso la porta e si era girato verso di noi. Sul suo viso si susseguivano giochi di luci e ombre creati dal lampadario.
“Oh, andiamo, dolcezza, non devi avere paura di noi.” Si avvicinò lentamente finché non fu a un passo da me. Riuscivo a sentire l’odore metallico del sangue.
“Che cosa volete da me? Perché sono qui? Dovevate portarmi nella mia stanza!”
“Cazzo, papà, non mi avevi detto che fosse così curiosa.” Rispose il ragazzo. Papà?!
“Scusa Nick, mi è passato di mente.” Ci aggirò e si sedette sulla scrivania, bevendo da una bottiglia che vi si trovava sopra. Nick mi fece voltare in modo che potessi guardare il maniaco negli occhi. Un brivido mi attraversò la schiena.
“Che c’è, hai paura? Stai tremando tutta, bambolina.”
“Lui … lui è tuo figlio?!” balbettai.
“Wow, è anche perspicace. Niente male davvero.” Rispose Nick al posto suo, mentre provava a darmi un bacio sulla guancia. Voltai il viso bruscamente nascondendolo in parte nel suo petto, in parte dietro i miei capelli. Suo padre rise.
“Smettetela! Lasciatemi andare!”
“È inutile che urli, dolcezza.” Disse il maniaco. “Ti spiego perché sei qui.”
“Esatto, così avrà un’idea di cosa siamo capaci.” Approvò suo figlio.
“Che significa? Non capisco.” La mia voce sembrava un unico lamento.
“Sono ben venti anni ormai che lavoro per il Magister. Ho iniziato quando ne avevo venti, quando la mia compagna era in procinto di partorire Nick. Io ero giovane, arrogante e disperato; non riuscivo a trovare lavoro e mi servivano i soldi per la mia famiglia. In quei tempi le persone di colore non erano ancora viste bene e sempre che non fossi un prodigio o un talento, nessuno ti degnava di uno sguardo. Io però non ero bello, né tantomeno capace di fare qualcosa fuori dagli schemi. Vagai a lungo in tutto il paese, alla ricerca di un incarico. Ero disposto a fare qualsiasi cosa per garantire un futuro roseo a mio figlio.
Giunsi a St. Hylton che lui aveva pochi mesi. Riuscii a trovare un piccolo appartamento in uno dei quartieri poveri e a pagare l’affitto con i risparmi di mia moglie. Per disgrazia però, morì in un incidente, mentre io assistevo alla scena impotente. Stava attraversando sulle strisce pedonali, con Nick sul passeggino, quando un’auto arrivò a folle velocità  li travolse entrambi. Accorsi immediatamente, ma per lei non c’era più nulla da fare. Nick invece, era stato spinto via verso il marciapiede opposto e il passeggino lo aveva  protetto dal forte impatto.
Senza lavoro, senza soldi e con un bambino piccolo a mio carico, dovevo fare qualcosa. Lavorai in nero in un ristorante per un periodo, ma tutti quel che guadagnavo serviva per lui, ed io non avevo niente per me, neanche per mangiare. Iniziai a diventare pazzo, letteralmente. Portavo sempre un coltello con me, avevo smesso di prendermi cura del bambino e mi ubriacavo a tutte le ore.
Finché un giorno, mentre stavo tornando a casa dopo l’ennesima uscita notturna, incontrai di nuovo la Mercedes rossa fiammante, l’auto che aveva ucciso il mio unico amore. La seguii confondendomi tra le ombre e alla fine vidi un uomo scendere dall’auto e avviarsi verso la sua casa. Fui colto da una rabbia cieca cui non seppi resistere. Lo uccisi lentamente, tagliandogli ogni singolo dito di entrambe le mani, strappandogli via la pelle, accecando i suoi occhi. E alla fine, dopo il colpo di grazia, continuai a pugnalarlo finché non fu completamente squartato.
Ero talmente concentrato nel mio intento, che non m’accorsi di essere solo. Qualcuno mi stava osservando e mi fece una proposta. Avrei lavorato per lui svolgendo degli incarichi semplici e veloci, sarei stato i suoi occhi e le sue orecchie nei quartieri poveri della città. Lo avrei accompagnato nel suo cammino, in cambio di denaro. Quel qualcuno era Aima.”
Non riuscii a trattenere un respiro soffocato. Adesso iniziavo lentamente a capire. Come un gatto che si muoveva fluidamente tra le ombre, così si muovevano le immagini di quegli avvenimenti nella mia mente. Nel frattempo, Nick aveva allentato un po’ la presa, rapito dalle parole del padre.
“Gli sarò sempre riconoscente per tutto quello che ha fatto per noi. Io rapivo qualche persona, uccidevo un banchiere sì e l’altro pure e ogni mese puntualmente mi ritrovavo con un bel mucchietto di soldi in mano. Semplice e pulito. Passavo quasi tutto il mio tempo con mio figlio e gli davo qualunque cosa desiderasse: un giocattolo, un telefono, una troia con cui passare la notte. E adesso anche lui sta seguendo le orme del padre, servendo il Magister com’è giusto che sia.”
Il maniaco lanciò uno sguardo compiaciuto al figlio, che rise divertito.
“Ora, come ho già detto prima, sono molto devoto verso il Magister.” Riprese a parlare. “E non sopporto che qualcuno gli manchi di rispetto.”
Mi si rizzarono i peli sulla nuca. Non appena mi mossi, la stretta tornò quella di prima, potente e inespugnabile.
“Che cosa volete farmi? Lasciatemi!”
“Sh …” disse Nick. “Non ti agitare, sarà divertente.”
Non gli diedi ascolto. Mi dimenai con tutte le mie forze, ma tutti i miei tentativi erano inutili. Sapevo cosa volevano fare con me e stavo entrando nel panico. Mi costrinsi a mantenere la mente lucida e riprovai a pensare alle tecniche che Shawn mi aveva mostrato centinaia di volte con scarso successo. Ero troppo scoordinata per imparare le arti marziali o anche semplici mosse di autodifesa. Maledissi mentalmente me stessa. Se ci fosse stato Shawn lì con me, li avrebbe già stesi da un pezzo, anzi, non avrebbe neanche permesso a Nick di stringermi così tanto a lui. Shawn però non c’era, ed io sarei dovuta uscirne in qualche modo da sola.
Sentii un tocco deciso sulla coscia e feci un salto dallo spavento. Nick aveva cominciato a fare la sua esplorazione.
“Non mi toccare!”
“Oh, guarda papà, tira fuori gli artigli, la ragazza.” Commentò Nick.
“Volete abusare di me?”
Non sapevo da dove fosse uscito il coraggio di dirlo. Forse lo avevo sempre avuto ed era spuntato fuori nel momento del bisogno, come se fosse la mia Spada di Grifondoro.
Per un istante nella stanza calò il silenzio più assoluto. Il maniaco aveva smesso di bere dalla bottiglia e l’aveva appoggiata sulla scrivania. Persino i muscoli delle braccia di Nick erano immobili.
Dopo di che scoppiarono a ridere.
“Beh, dolcezza, chiamalo come vuoi. Noi la chiamiamo festa, ma se tu lo vuoi chiamare abuso … fa pure.”
Iniziai a urlare di rabbia, dicendo loro di starmi lontana e di lasciarmi in pace. Nel frattempo il maniaco aveva tirato fuori qualcosa da un cassetto. Nick invece era concentrato a darmi dei baci sul collo e sulle spalle, spesso e volentieri lasciando scorrere la lingua. Inorridii a quel contatto così strano e disgustoso che non avevo mai provato in vita mia; un vuoto in pancia mi fece capire quanto fosse grande la paura che si stava impossessando di me.
Poi, senza alcun preavviso, Nick mi spinse in avanti verso il maniaco che mi prese al volo e che cominciò a eseguire lo stesso rituale del figlio. Credevo che stessi sul punto di piangere, ma le lacrime le avevo esaurite prima dell’incontro con Aima, e in parte fu un bene. Nessuno avrebbe dovuto vedermi piangere.
“Basta! Lasciatemi stare, maledetti bastardi!”
“È inutile che continui a urlare; questa stanza ha pareti speciali, nulla di tutto ciò che è detto qua dentro, si sente fuori.”
Non m’importava. Avrei lottato per la mia salvezza graffiando con le unghie e mordendo con i denti, se necessario.
Nel frattempo il maniaco strappava i lembi del vestito e della giacca, ridendo di gusto e continuando a torturarmi con i suoi baci disgustosi.
Dopo essere stata sbattuta un paio di volte da una parte all’altra della stanza, come se fossi una pallina da tennis, finii sull’enorme letto. Per un breve istante ebbi la sensazione che volessero smettere, che non avrebbero continuato, ma quel piccolo barlume di speranza si spense così velocemente com’era venuto. Senza preavviso, due labbra s’incollarono alle mie: Nick era sdraiato sopra di me e mi stava schiacciando con tutto il suo peso. I suoi non erano dei baci, ma delle pretese: spingeva la sua lingua in avanti e cercava di incontrare la mia, ma riuscii a serrare i denti e a rimanere immobile. Sentivo il sapore del sangue delle sue labbra fredde sul mio palato, ma non cedevo. Il ragazzo, spazientito, iniziò ad accarezzarmi la coscia, salendo sempre più su …
Urlò di dolore e si ritrasse da me come una molla, accasciandosi a terra e portandosi le mani alla bocca. Io mi affrettai a sputare saliva e sangue sul pavimento lucido.
“Maledetta troia!”
Mi colpì in pieno viso con uno schiaffo talmente potente che mi mandò a gambe all’aria e che mi spaccò il labbro. Atterrai per terra, davanti alla scrivania e continuai a sputare sangue e saliva. Portandomi una mano alla bocca, capii che mi aveva spaccato il labbro inferiore. Bastardo.
Mi alzai lentamente e gli sorrisi, per dimostrargli che non avevo paura di lui, anche se stavo morendo dentro. Appena avevo percepito che le sue dita ruvide si stavano inoltrando sotto il cortissimo vestito, avevo reagito d’istinto, mordendogli la lingua con tutta la forza che avevo. Schiaffo a parte, la mia era stata un’idea geniale.
Purtroppo però, mi ero completamente dimenticata della presenza del maniaco. Corse a dare manforte al figlio, mi caricò in spalla, mi lanciò sul letto, si sedette sopra di me e mi bloccò entrambi i polsi sopra la testa. Lo schiaffo ben assistito mi aveva stordito parecchio e dovetti fare appello a tutte le mie energie per far scomparire dal mio campo visivo quelle odiose macchie nere.
“Adesso ti faccio vedere io come godrai, oh sì. Ti pentirai di quello che hai fatto.” Nick era ardente di rabbia.
Estrasse dalla tasca del padre una bustina che conteneva una polvere bianca e un paio di pasticche. Ne estrasse una con calma e me la sventolò davanti al viso.
“La vedi questa? Sai che cos’è?”
Non mi mossi, anche se la mia risposta alla domanda era . Avevo sentito parlare centinaia di volte al telegiornale di ragazze violentate che non ricordavano nulla perché avevano assunto droga da stupro. Ed io sarei stata presto una di quelle.
Nick avvicinò la pasticca con fare minaccioso verso di me ed io scattai in avanti; gli morsi il dorso della mano e la pasticca gli volò di mano. Ricevetti un altro schiaffo, sempre sulla stessa guancia, e dopo varie imprecazioni i due si scambiarono uno sguardo complice.
“Bene. Se non vuoi mangiare la pasticca, vorrà dire che non entrerà più nulla lì dentro!”
Afferrò un lenzuolo e iniziò a strapparlo in tante strisce, mentre suo padre provava a baciarmi, ma rinunciando subito ricordandosi dell’esperienza del figlio. Saggia decisione.
Mentre il maniaco mi apriva la bocca a forza, Nick ci mise dentro un paio di strisce, stando attento che non soffocassi. Poi fermò il tutto con un’altra striscia legata stretta dietro la testa.
Lasciami andare!, provai a dire, ma dalla mia bocca uscì solo un mm, mm, mm!
I polsi invece erano fermi sulla spalliera del letto, anche loro tenuti fermi da più strisce, e così anche le caviglie. Il vuoto allo stomaco cresceva, così come cresceva la mia paura, mentre diminuivano le speranze di salvezza. Avevo sognato la mia prima volta con un ragazzo che mi amasse – in questo caso Shawn – in un posto appartato e con dei preservativi a portata di mano. Nick e il maniaco invece sembravano non avere nessuna voglia a prendere precauzioni, e inorridii ricordandomi di tutte le malattie a trasmissione sessuale che mi aveva elencato Jonathan. Erano sicuramente troppe.
Mentre il maniaco era alle prese con i suoi pantaloni, Nick si stava assicurando che le corde fossero ben strette. Con un gesto veloce si tolse la felpa e i pantaloni, rimanendo solo in boxer e  canottiera. Mi guardava dall’alto con un desiderio palese e sorrideva eccitato. Sentivo la sua erezione dura contro la mia coscia.
Poi si avvicinò e con un coltellino che tirò fuori dalla tasca dei pantaloni, strappò il vestito in più punti, senza però ferirmi. Lo rompeva in punti strategici, sul seno e sulla pancia, e dopo che la stoffa fu ridotta a brandelli, passava la sua mano nelle zone scoperte. Mm, mm, mm!
“Sai bambolina, mi piace quello che vedo.”
Mi baciò sulla mascella, sul collo, sulle scapole. Scendeva con una lentezza estenuante ed io mi dimenavo come una forsennata. La mia concentrazione però era impegnata in tutt’altra faccenda. Dovevo dare l’impressione di essere terrorizzata, così non avrebbe sospettato nulla, ma nel frattempo ero alle prese con i polsi. I nodi erano meno complicati di quelli che mi tenevano ancorata alla sedia e non sarebbe dovuto essere troppo complicato riuscire a liberarmi. Intanto Nick era già arrivato al seno: lo stringeva, lo stuzzicava e lo baciava, provocandomi brividi di angoscia e un’infinita sensazione di disgusto. Poi ricominciò il giro dalle caviglie, salendo sempre più su , e ancora su … mancava così poco per sciogliere qui nodi, maledizione!
“Fermo, Nick.” Disse il maniaco fermando la sua mano. “Lasciane un po’ anche a me.”
Si era spogliato anche lui, ma non del tutto per mia fortuna. Così come aveva fatto il figlio, il maniaco toccava ogni centimetro di pelle che gli capitasse a tiro, mentre con il coltello lasciava dei piccoli tagli sulle braccia e sulle gambe. Il dolore era diventato insostenibile e le forze venivano sempre meno.
“Falla piangere, voglio vedere se ne sei capace.”
Nick obbedì alle parole del padre e mi puntò il coltello sulla guancia, la lama fredda e sporca di sangue in netto contrasto con la mia pelle chiara e bollente.
“Vediamo quanto riesci a sopportare il dolore.”
Iniziò a fare pressione con il coltello ed io strinsi chiusi gli occhi cercando di pensare ad altro. La mia mente però, sembrava essere disconnessa dal mio corpo, che non mi rispondeva più, tante erano le energie che avevo consumato. Solo quando mi sembrò che il coltello stesse per passarmi da parte a parte, lasciai scivolare giù una lacrima, che scomparve nel mare di sangue.
“Ce l’ho fatta, papà! Vieni a vedere!”
Il maniaco si chinò a guardare, mentre tamponava il sangue con un lembo di lenzuolo. “Ora basta con il coltello, Nick. Nel caso dovesse riuscire a reggere questa notte, vorrei ritrovare il suo bel visino ancora intero, quando ce la scoperemo di nuovo.” Le sue parole crude e sprezzanti mi fecero accapponare la pelle. Quella tortura non sarebbe mai finita, né oggi, né domani, né mai. Non potevo fare nulla per evitarlo.
“E ora si fa sul serio.” Disse Nick mentre gettava via il coltello dall’altra parte della stanza. “Lo hai già fatto prima, eh troietta?”
Mi dimenai in risposta, accompagnata dai mugugni causati dal bavaglio. Le corde delle mani si erano allentate, mancava solo il momento buono per colpire.
“Immagino che tu abbia risposto di no.” Rise. “Però guarda il lato positivo: c’è sempre una prima volta.”
In quel momento era seduto sopra di me, ma sulle mie gambe, che cominciò ad accarezzare e a leccare. Mi muovevo talmente tanto che l’intero letto tremava.
“Sh, vedrai che ti piacerà e che un giorno mi ringrazierai.”
Le sue mani raggiunsero il mio sedere e lo massaggiarono. “Hai un culo da far paura.” Sussurrò Nick vicinissimo al mio orecchio. Le lunghe dita avevano afferrato l’elastico delle mutande.
Finalmente sentii di nuovo il controllo delle mie mani. Gli ricambiai il ceffone tirandogliene uno sull’orecchio. Shawn mi aveva insegnato che lì dentro si trovava l’organo che controllava l’equilibro; bastava un tocco leggero per provocare un po’ di fastidio; con uno schiaffo bene assestato invece, finivi temporaneamente KO.
Nick mi cadde addosso e il maniaco, accortosi della situazione, accorse ad aiutarlo. Lo sollevò via da me ed io approfittai della sua distrazione per liberarmi le caviglie e le labbra.
“E tu dove credi di andare?!”
Gli assestai un potente calcio nel basso ventre e lui si accasciò a terra dolorante. Mi alzai da quel letto e corsi verso la porta, ma il maniaco mi afferrò una caviglia ed io caddi in avanti. Sentii un sonoro crack e urlai di dolore; cadendo dovevo essermi  per forza rotta qualcosa. Il braccio sinistro, probabilmente.
Dato che il maniaco non si decideva a mollare la presa, sfruttai i tacchi alti e scalciando riuscii a centrarlo nell’occhio. Urlò anche lui e mi lasciò andare. Fui tentata di portare con me il coltello, ma giaceva sul pavimento dalla parte opposta del letto ed io non potevo permettermi il lusso di rischiare. Mi alzai, mi sfilai le scarpe e spalancai la porta.
Mi ritrovavo in un corridoio che ricordava quello di un ospedale, con i neutri toni di bianco e grigio sulle pareti. Sia a destra che a sinistra c’erano porte e il corridoio sembrava essere infinito. Decisi di andare a destra e corsi più velocemente che potevo. Il braccio urlava di dolore, ma cercai di ignorarlo. Dovevo resistere. I miei piedi nudi protestavano contro il freddo del pavimento.
Arrivai a un bivio. E ora? Da che parte dovevo andare? A destra o a sinistra?
Decisi che non aveva importanza; avevo sfidato la sorte da quando mi ero svegliata legata a quella sedia e potevo benissimo farlo di nuovo. Svoltai a sinistra, e ogni tanto provavo ad aprire qualche porta. Erano tutte uguali, rosso sangue e con la maniglia nera come l’inchiostro, ma erano anche tutte chiuse a chiave.
“Dolcezzaaaaaaaaaaa … dove seiiiiiiii? Tanto ti prendo, non puoi scappare!”
Imprecai e ricominciai a correre. Stavo costringendo le mie gambe a uno sforzo immane, ma non m’importava. Volevo solo uscire da lì senza perdere la mia verginità o la vita.
Percepivo dei passi dietro di me. Mi voltai e vidi il maniaco brandire il coltello ancora sporco di sangue. Mi appiattii a una parete semi nascosta e lanciai le mie scarpe dalla parte opposta.
I due arrivano in fretta. Si guardarono intorno, finché non videro quello che stavano cercando.
“Guarda, papà, Cenerentola ha perso la scarpetta.” La raccolse e la lasciò ricadere subito.
Per quei brevi istanti smisi di respirare. Credevo che il rumore del mio cuore che scalciava nel mio petto potesse tradirmi tanto quanto il respiro affannoso dopo la corsa.
“Non deve essere troppo lontana. Andiamo, ormai non ha più scampo.”
Non appena ebbero voltato l’angolo corsi nella direzione opposta. Non sapevo dove stavo andando, i corridoi erano tutti uguali e il mio senso dell’orientamento mi aveva completamente abbandonato.
Dopo il quinto bivio, mi fermai a riprendere fiato. Nel frattempo il maniaco e suo figlio sembravano essersi volatilizzati, ma invece di tranquillizzarmi, mi sentivo ancora più inquieta.
Corsi di nuovo, ma la mia fuga fu bloccata da qualcuno. Cacciai un urlo, caddi violentemente a terra e sollevai lo sguardo, ammaccata e dolorante. Piedi nudi, pantaloni morbidi bianchi di lino e vestaglia di seta blu notte aperta, petto nudo, maschera bianca. Aima.
Ci fissammo a lungo. Cosa sarebbe successo ora? Mi avrebbe ucciso, consegnato al maniaco? Mi avrebbe violentata lui stesso? Impossibile da prevedere cosa avesse intenzione di fare con me. I suoi occhi azzurri mi fissavano; forse si stava immaginando cosa potesse essermi successo, o forse lo sapeva già e voleva verificare il lavoro dei suoi due scagnozzi.
“Aspetta che ti trovi e poi lo vedi cosa succede! Forse te la sei cavata con quel rammollito di mio figlio, ma con me non hai scampo! Maledetta troia!”
Le imprecazioni del maniaco e le risate del figlio erano vicine. Maledettamente vicine.
Mi sentii afferrare e fui sbattuta violentemente dentro una stanza.
“Resta qui e non fiatare.” Poi la porta si chiuse.
 
 






Saaaalve!
Ok, questo capitolo fa davvero paura. Non so voi, ma mentre scrivevo mi smebrava di essere lì con Maggie a lottare per sopravvivere. Volevo che questo capitolo fosse ‘forte’ perché non mi sembrava giusto lasciare Maggie incolume ancora a lungo. Mi dispiace di averle rotto il braccio, ma così avrò un pretesto per farla stare buona e per concentrarmi su Shawn, che comparirà qualche capitolo più avanti.
Nei prossimi avremo sicuramente un pov Aima e forse un pov Dimitri.
Ora avrei bisogno di un consiglio. Il capitolo secondo voi è un po’ troppo rosso? Devo modificare le caratteristiche della storia o lasciarle così? Help me pleaaaase T.T
Beneeee, detto questo me ne vado e ci vediamo al prossimo capitolo!
Kisses,
L.C.

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Capitolo 16
*** Ferite ***


Ferite
 
 
 
 
 



Che cosa stava succedendo? Aima era forse impazzito?
Rimasi ad ascoltare in silenzio, anche se il braccio mi faceva molto male, e non solo quello, ogni singola cellula del mio corpo doleva per gli sforzi prolungati di quella notte. Anche sei in realtà non ero sicura se fosse notte o se fosse giorno, avevo perso la cognizione del tempo. Quanto tempo era passato da quando ero stata rapita? Un giorno? Tre? Qualche ora?
Esclusi l’ultima ipostesi, interrotta dal brontolio incisivo del mio stomaco. Erano passate troppe ore, ne ero più che certa.
Mi guardai intorno. Ero in una specie di ripostiglio delle scope, una stanzetta minuscola da sembrare un armadio. Dietro di me si trovavano scaffali con una vasta varietà di prodotti per l’igiene e alla mia destra invece c’erano le scope con dei secchi. La luce era spenta e non riuscivo a vedere quasi nulla; provai ad alzarmi e a cercare l’interruttore, tastando con le mani sulla parete, ma non trovai nulla. L’unica fonte di luce era quella del corridoio, che passava da sotto la porta. Riuscivo a malapena a vedere le mie mani, ma quella poca luce sarebbe stata più che sufficiente. Quello  che proprio non riuscivo a sopportare, era la totale assenza di luce. E gli spazi chiusi, naturalmente, tanto che ormai tutti credevano che fossi claustrofobica. Lo ero veramente? Non ero sicura neanche di questo. Quasi nulla nella mia vita era sicuro, da quando ero stata portata via.
Tesi le orecchie, ma nella stanza e fuori regnava il silenzio. Sentivo il mio respiro farsi all’inizio più pacato, ma in seguito sempre più accelerato. E se Aima fosse andato a cercare i suoi complici per portarli da me? Perché così finissero il lavoro, magari tutti e tre insieme? Se fosse stato così, il mio corpo non avrebbe retto quella notte.
Udii dei passi provenire da fuori il corridoio. Erano di due persone.
Sono fottuta.
“Dolcezzaaaaaa … dove seiii … dai, non nasconderti fatti trovare …”
La voce lamentosa e acuta del maniaco mi entrò nel cervello e ricominciai a tremare. Avevo degli spasmi talmente forti che facevo tremare gli scaffali cui mi ero poggiata, facendo cadere due flaconi; il primo finì dentro una cesta, da qualche parte dietro le scope, mentre l’altro mi cadde in testa. Imprecai silenziosamente, ma la botta mi aveva fatto riacquistare lucidità.
“Che cosa ci fate in giro a quest’ora di notte?”
La voce decisa di Aima interruppe il silenzio. Senza tenere a freno la mia curiosità, appoggiai il mio orecchio alla porta per sentire meglio, ma nel spostarmi urtai una scopa che cadde rumorosamente a terra. Rimasi immobile e trattenni il fiato il più a lungo possibile.
OhmioDio, ohmioDio,ohmioDio.
“Cos’è stato?” Chiese Nick, mettendo da parte il suo istinto sessista.
“Topi, probabilmente.”rispose Aima battendo un pugno sulla porta, che mi fracassò il timpano. Intuii che forse dovevo evitare di fare rumore. Anche se non ne capivo il senso, visto che sarebbe stata solo questione di tempo prima che lui mi riconsegnasse a quei due.
“Ripeto la domanda” riprese Aima visibilmente irritato, interrompendo i miei pensieri, “che cosa ci fate in giro a quest’ora?”
Passarono alcuni secondi prima che qualcuno rispondesse.
“Noi stiamo facendo la ronda, come sempre, signore.” La voce del maniaco tremava appena.
“Strano, non mi sembra che io vi abbia detto di controllare i corridoi, almeno non stanotte.” Aima era acido. “Vi avevo detto di pattugliare solo il corridoio della ragazza. Quindi, ripeto, per la terza volta, che cosa ci fate qui? E vi avverto, se non riceverò una risposta decente …”
“La ragazza è scappata.” Disse tutto d’un fiato Nick. Immaginai la faccia del maniaco sbiancare e quella imperturbabile di Aima appena sorpresa.
“Mm. Va bene. E dunque, sentiamo, come avrebbe fatto? Non mi sembra tanto veloce e furba, e poi in confronto a voi due, è un giunco.” Replicò Aima sarcastico. “Per caso dovete dirmi qualcosa?”
Altro silenzio interminabile.
“Ecco, padrone, noi la abbiamo accompagnata nella sua stanza, come ci avevate chiesto voi, e l’abbiamo bendata anche questa volta. Quando siamo arrivati, la abbiamo spinta dentro e abbiamo chiuso la porta a chiave, come ci avevate ordinato. La prima ora è andato tutto liscio, poi a un certo punto ha detto che si stava sentendo male. Così io e Nick abbiamo aperto la porta, ma la stanza era vuota, eppure io ero convinto di averla sentita gridare e …”
“Glauco, vai al sodo, non ho molta pazienza oggi.”
“Oh, sì, sì, certo padrone.” Farfugliò il maniaco. Era incredibile quanto potere Aima esercitasse su loro due, sembravano diventati degli agnellini.
“Dunque, come stavo dicendo, abbiamo perquisito la stanza, abbiamo controllato il bagno, e in quel momento abbiamo sentito la porta chiudersi. Probabilmente si era nascosta dietro la porta ed è scappata al momento giusto, tutto qui.”
Sentii un moto di rabbia ribollirmi dentro. Quella storia era tanto assurda quando insensata. Il vecchio trucco del nascondersi dietro alla porta era talmente banale e prevedibile! Io avrei pensato a qualcosa di originale, come maciullargli l’occhio con il tacco delle scarpe, per esempio.
“E adesso dove si troverebbe la ragazza?”
“Noi la stavamo appunto cercando, ecco.” Rispose Nick, che era rimasto zitto ad ascoltare le bugie del padre.
“Nick, che cosa hai fatto alla mano?”
Altro silenzio. Mi sembrava di poter vedere la carnagione olivastra di Nick farsi sempre più pallida, anche se non saprei spiegare il motivo. Avevo come l’impressione che Aima non approvasse certe feste quando c’erano delle ragazze nei paraggi.
“Io … sono caduto.” Rispose Nick tremando.
“Ma davvero? A me sembra piuttosto che ti abbia morso qualcuno” Ribatté Aima in modo beffardo. Anche se non lo vedevo, riuscivo a sentire, quasi a toccare, tutta l’autorità che emanava. Era impressionante.
“Ecco … la ragazza ha fatto un po’ di capricci.”
“Perché non voleva che la scopaste, non è vero?”
Mi cadde la mascella e rimasi a bocca aperta. Com’era possibile che fosse al corrente della situazione? Forse quando mi aveva visto, aveva intuito quello che avevano fatto i suoi scagnozzi, ma perché non lasciarglielo fare? Io in fondo non gli servivo a nulla, ero solo una garanzia, un premio nel caso Shawn avesse vinto. Nelle migliori delle ipotesi mi avrebbe ucciso, nella peggiore mi avrebbe ridato a quei due pervertiti o mi avrebbe venduto a qualche mercante di donne. Rabbrividii al solo pensiero.
“Noi … io …” Nick e il maniaco non sapevano cosa dire.
“Potete dirmi quello che è successo, non temete. Voglio solo aiutarvi a scoprire dove si possa essere cacciata. Il maniero è molto grande e le porte sono tutte chiuse e si aprono solo con le mie impronte, almeno quelle principali. Quindi è ancora qui tra noi.”
Perché Aima stava mentendo? Ero lì, a pochi metri da loro, ferita e spaventata, e lui mentiva. Perché?
“Noi … beh sa com’è signore, non lo facevamo da tanto tempo … qualche mese ormai e così … e poi era proprio bona, anche se un po’ ribelle …”
“Mm …” immaginai Aima che annuiva mentre elaborava le informazioni che il maniaco gli aveva appena fornito. “Dunque mi state dicendo che si è ribellata? E voi come l’avete ‘tranquillizzata’?”
“Ecco, noi abbiamo provato a darle delle pasticche, ma non ci siamo riusciti. Così l’abbiamo legata in modo che non potesse né muoversi né parlare e abbiamo cominciato …”
“Basta così.” Tuonò Aima. C’era qualcosa di diverso nella sua voce, qualcosa che non avrei saputo identificare. “So già tutto quel che mi serve.”
“In che senso, padrone?” Chiese Nick.
“Nel senso che avete ragione voi. Anch’io ci ho fatto un pensierino quando l’ho vista entrare in sala da pranzo con quel vestitino …  Quindi ora andremo a cercarla insieme e le faremo la festa, che ne dite?”
Maledetto stronzo bastardo figlio di puttana! Che senso aveva farmi nascondere nello stanzino se poi voleva violarmi anche lui?
Lacrime calde iniziarono a bagnarmi le guance, e le asciugai con il dorso della mano. Non poteva essere vero, non poteva succedere a me! Io che ero sempre stata una ragazza modello, bella, intelligente e tranquilla, non certo una ragazza come tante, ma neanche una rarità. Cosa potevo aver mai fatto di male per meritarmi questo? Che cosa?
Repressi l’impulso di mettermi a urlare; mi morsi il dorso della mano fino a quando non sentii l’ormai familiare sapore metallico e salato del sangue. Forse procurarsi altre ferite non era la cosa migliore da fare per tentare di scappare da tre pazzi assassini pervertiti, ma ogni nuovo dolore mi distraeva da quello precedente. Il momentaneo bruciore alla mano aveva placato temporaneamente il sanguinare del mio cuore.
“Bene, allora dovremo subito andare …” iniziò Nick, ma venne interrotto bruscamente da Aima.
“Fermo, Nick, fermo.” Il modo estremamente pacato in cui lo disse mi fece gelare quel poco sangue che mi era rimasto nelle vene.
“Questo che vi ho appena detto, era quello che vi avrei detto in un altro giorno” cominciò, ma fu interrotto a sua volta anche lui.
“In che senso? Padrone non capisco.” Anche la voce di Glauco era tesa.
“Nel senso che …” riprese Aima sbuffando “Io avevo dato istruzioni ben precise su come trattarla.”
Ci furono altri secondi interminabili di silenzio assoluto.
“Ma, mio signore …”
“TACI!” tuonò Aima facendo zittire subito il maniaco.
“Io vi avevo detto che non avreste dovuto toccarla nemmeno con un dito” riprese lui. “E che avreste dovuto starle vicino solo nel momento necessario. Lei non andava toccata per il semplice motivo che mi serve viva e illesa. È una garanzia per tutti noi.”
Ma che cosa andava farneticando?
“Ma mio signore, con tutto rispetto, però voi ci avete sempre fatto ehm, come dire, festeggiare con le altre donne che venivano qui …” Adesso la voce di Nick era carica di terrore.
“Io vi ho dato istruzioni precise, e quando le do, mi aspetto che vengano rispettate. Vi ricordate cosa vi avevo detto quando siete venuti a lavorare per me? Ve lo ricordate?” Aima stava quasi urlando, ma riuscì a controllarsi.
“Voi avevate detto …”
“Io vi avevo detto che avreste dovuto seguire i miei ordini e che avreste disubbidito ve l’avrei fatta pagare cara.”
“Ma signore, vi prego …” Il maniaco balbettava. “Lei … voi … i vasi … avrebbe potuto ferirvi … i cuscini …”
“Se non avessi voluto che mi attaccasse, fidatevi che non glielo avrei lasciato fare.” Disse Aima freddo interrompendo le frasi sconnesse del maniaco.
“Apprezzo che voi mi siate così devoti.” Riprese Aima. “Ma io sono un uomo di parola. E mantengo la mia parola data. Sempre.
“Padrone, vi supplico …”
Si sentì uno sparo. E poi un altro.
E poi il nulla.
 
 
 
Dopo aver badato a sbarazzarsi dei cadaveri, Aima ritornò al maniero. Era notte fonda, ma non gli dispiaceva; in fondo, la notte era la sua casa.
Sospirò. Aveva dovuto uccidere sul posto due dei suoi migliori tirapiedi, suoi fedeli seguaci, tanto da sacrificare loro stessi per l’incolumità del loro signore.
Come si poteva essere così stupidi? Amare talmente tanto una persona da sacrificare la propria vita per lei? Davvero ridicolo. Lui non avrebbe disubbidito mai agli ordini, era fatto così. Anche se doveva ammettere che non doveva essere semplice, anzi, che non era semplice non farsi qualche pensierino davanti a quella ragazza. Era perfetta sotto tutti gli aspetti, forse aveva il seno un po’ troppo piccolo rispetto a come se l’era immaginato lui. E il vestito che aveva comprato appositamente per lei le faceva vedere certe curve … e che fianchi! Se avesse voluto, non ci avrebbe messo un secondo a scoparsela. Ma al contrario dei suoi scagnozzi, lui sapeva controllarsi, sapeva quando una cosa si poteva fare e quando no, e lui non poteva. La ragazza gli serviva viva, possibilmente illesa, altrimenti il suo avversario avrebbe smesso di giocare con lui. E lui era così stanco di giocare da solo.
Sospirò di nuovo. Scese dalla macchina ed entrò nel lussureggiante maniero che aveva comprato qualche mese prima. Il girone della droga gli dava la possibilità di ampliare la sua lunga lista di contatti potenzialmente utili e di comprarsi tutto ciò che voleva, anche se lui non ne usufruiva mai. Non riusciva a capire il senso della droga. Quelle persone avevano perso completamente il cervello, lo vedeva dai loro sguardi estasiati e adoranti quando gli consegnava la merce. Ridicolo. Che senso aveva farsi del male da soli? Lui non lo avrebbe mai fatto: distruggere il suo corpo perfetto, allenato dalle antiche arti marziali di tutto l’oriente … no, non se ne parlava proprio. A lui piaceva il suo corpo, non lo avrebbe mai deturpato.
Percorse i corridoi che a poco a poco cominciavano a diventargli familiari; era trascorso parecchio tempo, prima che Aima e i suoi tirapiedi riuscissero ad ambientarsi in quel vecchio castello, talmente era grande. Aveva ‘lavorato’ tutto il giorno ed era stanco, ma il senso del dovere lo costrinse a rimanere sveglio. C’era ancora una persona di cui si doveva occupare.
Ritornò nel corridoio, dove aveva beccato i suoi complici. Gli era subito parso che ci fosse qualcosa di strano, qualcosa che non quadrava e la ragazza gli aveva dato la conferma quando gli era andata addosso. Aveva capito fin dall’inizio cosa fosse successo, ma ne voleva avere la conferma, voleva vedere gli sguardi terrorizzati dei suoi uomini fissarlo, mentre lui decideva la loro sorte.
L’aveva guardata, lui aveva guardato lei e poi aveva sentito le grida provenire da lontano. Senza pensarci un solo istante l’aveva nascosta nello stanzino, per proteggerla dagli aguzzini. In altre circostanze l’avrebbe presa e consegnata a loro, ma lei gli serviva illesa e non sapeva se quei due avessero con loro delle armi. Se si fosse arrivati ad uno scontro, la ragazza sarebbe potuta rimanere ferita. I due erano arrivati e la ragazza da dentro aveva fatto cadere qualcosa, e lui aveva dato quel colpo contro la porta per avvisarla che avrebbe dovuto tacere, in fondo lei sarebbe dovuta venirgli incontro. Gli scagnozzi allora gli avevano raccontato bugie, e altrettante bugie aveva raccontato lui a loro, solo per il gusto di vedere i loro sguardi persi e carichi di terrore quando avrebbe premuto il grilletto della sua pistola, che non lasciava mai.
Dopo di che, aveva ordinato ad Agatha di ripulire il sangue che aveva macchiato il pavimento, mentre lui si era sbarazzato dei corpi. Ne aveva estratto le pallottole dalla fronte di ciascuno e aveva rimosso tutte le tracce; li aveva portati nel fiume e gettati avvolti in lenzuoli. Un lavoro semplice e pulito, era impossibile che qualcuno avesse potuto risalire a lui.
Stava per aprire la porta, quando si fermò, con la mano sospesa a mezz’aria sopra la maniglia. Come avrebbe dovuto comportarsi con quella ragazza? Doveva stare attento a non danneggiarla non solo fisicamente, ma anche mentalmente. Aveva studiato anche la psiche umana, svelandone i segreti; in fondo per chi svolgeva un lavoro del genere, non avere qualche nozione di base sulla psicologia, era quasi come bestemmiare. Semplicemente inaccettabile.
Aprì piano la porta, lentamente. La ragazza era rannicchiata in posizione fetale in un angolo, addossata alle scope. Aima fece un passo avanti e sentì qualcosa di umido e caldo bagnargli i piedi nudi: il pavimento del ripostiglio era interamente ricoperto di sangue, così come la ragazza. Si era scordato di dire ad Agatha di pulire anche lì.
Ignorò la strana sensazione ai piedi e si accucciò all’altezza della ragazza, studiandola. Aveva gli occhi chiusi, le labbra semiaperte e respirava con affanno. A fianco a lei si trovava un secchio da cui proveniva un odore sgradevole. Aveva dato di stomaco, evidentemente era stato troppo per lei.
Merda, imprecò Aima. Non poteva permettersi il lusso di farla diventare pazza o esaurita. La chiamò.
“Daisy?”
La ragazza aprì gli occhi, spaventata.
“È tutto finito ora.” Le disse piano. “Vuoi venire con me in un’altra stanza?”
La ragazza scosse la testa e i ricci castani seguivano ogni suo movimento, nonostante fossero ricoperti di sangue secco.
“Sei sicura? Guarda che dove andiamo noi è bello: ci sono delle grandi finestre, del cibo, dei vestiti puliti …” Aima evitò di pronunciare parole come ‘letto’ per evitare di risvegliare i brutti ricordi vissuti.
La ragazza lo fissava senza reagire.
“O vuoi forse rimanere ricoperta di sangue?”
Lei non disse niente. Sembrava riflettere sulla sua proposta. Era un buon segno.
Dopo pochi secondi lei annuì. Aima le sorrise incoraggiante e la prese tra le braccia. La prima cosa che notò, era che nonostante l’altezza fosse leggera; la seconda che scottava. Anzi, era a dir poco bollente.
Avendo entrambe le braccia impegnate a sorreggerla, le appoggiò le labbra sulla fronte per sentire meglio: non si era sbagliato, sembrava che bruciasse.
Fece un respiro profondo e si’ncamminò attraverso i contorti corridoi del maniero. La ragazza non gli pesava, il suo corpo era allenato e aveva trasportato corpi più pesanti per distanze ben più lunghe. Dopo pochi minuti arrivarono davanti alla sua stanza, quella che ad Aima piaceva di più. Era molto grande, a occhio e croce avrà avuto le dimensioni di un campo da basket, e a lui piaceva così; aveva bisogno di spazio.
La distese delicatamente sul letto, e lei cominciò ad agitarsi. Non diceva frasi vere e proprie, solo parole sconnesse e apparentemente prive di senso.
“Ei, calmati, non ti farò del male. Tranquilla, ci sono io con te.” Le accarezzava dolcemente i capelli e le guance. Se voleva superare il trauma, avrebbe dovuto fidarsi di lui.
Lei si calmò e rimase a fissarlo con i suoi occhi dorati. C’era qualcosa in quello sguardo che attirava Aima come una calamita attirava il ferro; forse era la determinazione che vi leggeva dentro, o forse era solo il colore insolito.
Adesso cosa doveva fare? Si fermò a pensare per un minuto, grattandosi il mento.
Prese il cellulare che aveva lasciato in carica sul comodino e chiamò Agatha. Sentiva la voce della donna che rispondeva alle sue domande, poi chiuse la chiamata. Sarebbe arrivata di lì a poco.
Adesso però, arrivava il difficile. Avrebbe dovuto spogliarla, toglierle almeno i vestiti.
Si concentrò e poi quando fu pronto disse: “Adesso sta arrivando una persona che si prenderà cura di te. Ma se vuoi che venga devi toglierti il vestito. Io non ti guarderò, mi girerò dall’altra parte, ok?”
La ragazza continuava a fissarlo. Poi annuì e Aima si girò verso la porta, dandole le spalle. Era un uomo di parola.
Dopo qualche secondo sentì un lamento acuto e in meno di un istante era già da lei.
“Che succede?”
La ragazza abbassò lo sguardo e allungò il braccio. Lui lo prese dolcemente e lei gemette.
“Ti fa male?”
Lei annuì.
“Loro … è stata colpa loro?”
Lei annuì di nuovo.
Aima però, aveva notato anche un’altra cosa. Era interamente ricoperta di tagli, alcuni superficiali, altri più profondi; in particolare sulla guancia destra. Lui toccò la carne viva e lei si ritrasse, mentre dai suoi occhi scendeva una lacrima.
Mi sono spinto troppo oltre.
“Ascolta, Daisy, tu sei ancora troppo debole per provvedere a te stessa. Lascia che ti aiuti.”
Daisy lo guardava con i suoi grandi occhi occhioni che luccicavano. Scosse la testa, decisa.
Aima riprovò. “Guarda che se non ti lasci aiutare, non guarirai. Voglio solo aiutarti.”
Lei parve riflettere. Poi fece qualcosa d’inaspettato.
“Mi farai quello che mi hanno fatto loro?”
Aveva parlato. Aima non ci avrebbe mai sperato, di solito passavano settimane, mesi, se non anni, prima che le persone si riprendessero da un simile trauma. Era più forte di quel che pensava.
“No, non ti farò niente che tu non voglia.” Rispose avvicinandosi appena. Prese un lembo della giacca tra le dita. “Posso?”
Lei annuì. Aima gliela sfilò delicatamente e poi la fece alzare, nonostante le sue piccole proteste. “Lo so che non vuoi, ma ti prometto che quando sarai pulita potrai riposare tutto il tempo che vuoi, ok?”
La ragazza annuì di nuovo. Era tanto forte quanto fragile.
Prese dolcemente i lembi del vestito e glielo sfilò piano piano; lei rabbrividiva quando le dita lunghe e fredde di Aima toccavano la sua pelle bollente come il fuoco, sfiorando le cicatrici impresse con forza e ferocia dai suoi scagnozzi. Avrebbe dovuto sbrigarsi a curarle, altrimenti sarebbero rimasti i segni.
Una volta riuscito nell’impresa, gettò via il vestito e la contemplò in tutta la sua bellezza. Sangue a parte, era da mozzare il fiato. Il completo intimo verde mela le donava da morire.
Sentì un bussare dietro di sé e vide la porta aprirsi. Agatha entrò e lo guardava in attesa di ordini; la sua fedele cameriera era venuta a dargli una mano anche stavolta.
“Cosa devo fare, signore?”
“Voglio che la aiuti a lavarsi e a vestirsi per la notte. Quando hai finito, accompagnala lì.”
“Come desiderate.” Agatha fece in piccolo inchino e i corti capelli biondi le finirono davanti agli occhi.
Aima si rivolse a Daisy, accortosi solo in quel momento che lei gli si era aggrappata al braccio. Rimase un attimo perplesso a quel contatto così intimo che non aveva mai avuto. Le prese il mento tra le dita e la costrinse a guardarlo negli occhi. Doveva ammettere che era strano che una ragazza fosse alta quasi quanto lui, non ci era abituato.
“Ascolta, Daisy, questa ragazza adesso ti aiuterà a prepararti, ok?” Daisy annuì. “Nel caso avessi bisogno di qualunque cosa chiedi a lei.”
Daisy annuì di nuovo. Agatha le venne incontro e la prese per mano, accompagnandola nel bagno della camera. Aima era intelligente e conosceva i segreti della mente, ma non poteva fare nulla contro la solidarietà che una donna provava per l’altra. Daisy non si sarebbe mai fidata così ciecamente di lui.
Mentre sentiva l’acqua della doccia che scorreva, Aima ripulì il sangue dal pavimento e cambiò le lenzuola del letto sostituendole con quelle pulite. Si cambiò anche lui, e alla fine rimase solo con indosso dei pantaloni neri e il petto nudo.
Dopo circa tre quarti d’ora, che aveva passato a cercare farmaci in giro per il maniero, vide la porta del bagno aprirsi e uscire Agatha e Daisy. Quest’ultima aveva un aspetto decisamente migliore rispetto a poco prima. I lunghi capelli le ricadevano morbidi sulle spalle, mentre alcune ciocche erano raccolte indietro e tenute ferme da un nastro rosa. Rosa era anche la camicia da notte che indossava, semplice, di seta, a maniche corte e lunga fino al ginocchio. Alcuni tagli erano spariti, ma quello sulla guancia ancora persisteva.
“Hai fatto un ottimo lavoro Agatha. Puoi andare.”
La cameriera fece un altro piccolo inchino. “Grazie signore.” Rispose. “Miss Daisy.” Fece un cenno del capo verso la ragazza e ritornò nelle sue stanze.
Aima le andò incontro e l’aiutò a stendersi sul letto.
Aprì il barattolo contenente la crema cicatrizzante che aveva trovato poco prima e glielo spalmò dolcemente, con la punta dei polpastrelli sulle ferite. Quando arrivò al taglio che aveva sulla guancia, lei strinse i denti dal dolore, mentre lui la incoraggiava con parole rassicuranti, che pronunciava per la prima volta. Era strano e nuovo allo stesso tempo per lui prendersi cura di un’altra persona, di solito badava solo a sé stesso.
Le rimboccò le coperte dopo averle applicato una crema cicatrizzante sulle ferite e dopo averle esaminato il braccio. Per fortuna non era rotto, ma aveva rischiato grosso. Se solo avesse saputo cosa le avevano fatto quei bastardi, non sarebbe stato così clemente con loro. Li avrebbe uccisi lentamente, facendoli soffrire … li aveva graziati fin troppo regalandogli una pallottola in fronte.
C’era però ancora una cosa che doveva chiederle prima di andarsene.
“Ti hanno violata?”
Percepì il corpo di lei irrigidirsi di fianco al suo, ma la ragazza rispose quasi subito. “No.”
Buon segno.
“Aima?”
Lui la guardò. Aveva quasi gli occhi chiusi stava per addormentarsi.
“Sì?”
“Puoi rimanere un altro po’?
Aima si distese a fianco a lei, incastrando i loro sguardi.
“Ti senti male?”
“No, sto bene. È solo che il buio mi fa un po’ paura.”
 
 
Hoooola chicos ;)
Finalmente in questo capitolo entriamo nella mente contorta di Aima, yeeeh! Al momento non posso svelarvi nulla, scopriremo chi è veramente solo alla fine, ma ho già programmato tutto e vi dico solo questo: nulla di ciò che fa è casuale :D sta a voi capire prima degli ultimi capitoli. Credo di essere riuscita a farvi capire la sua personalità e anche di aver reso bene lo shock post traumatico di Maggie. L’uccisione dei maniaci pervertiti mi è sembrata crudele e macabra ma giusta. Se avessero continuato a vagare per il maniero, Maggie non sarebbe stata tranquilla u.u
Nel prossimo capitolo – finalmente – rincontreremo Shawn e Dimitri e ne vedremo delle belle anche lì J
Detto questo ringrazio tutte le persone che leggono la mia storia, chi l’ha inserita tra le seguite e tra le preferite, chi recensisce e chi legge in silenzio ;)
Il capitolo lo posterò entro domenica, al massimo lunedì.
Ci si sente ;)
L.C.

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Capitolo 17
*** Brain Storming ***


Brain Storming
 
 
 




Shawn non vedeva l’ora che arrivasse Dimitri.  Erano le quattro e un quarto del mattino ed era distrutto per non aver chiuso occhio in tutto il giorno. Sì, aveva dormito fino alle quattro del pomeriggio, ma le seguenti dodici ore di emozioni intense lo avevano completamente sfinito. Se ne stava seduto su una panchina del binario dodici a tormentarsi nervosamente le mani, mentre tamburellava impaziente a terra con il piede, e a fissare il cielo. Quella notte era limpido, senza nuvole, e la luna illuminava i binari che sembravano risplendere di luce propria. In un altro momento avrebbe trovato tutto molto interessante, se non pittoresco, ma era troppo giù di morale per trovare qualcosa di bello in quell’ambiente. La sua ragazza era stata rapita dal serial killer più temuto del paese, suo nonno era morto nel tentativo di aiutarli e lui aveva dovuto abbandonare tutti quegli che gli stavano a cuore senza lasciare spiegazioni. Senza i suoi fratelli, i suoi amici e persino senza i conoscenti, Shawn si sentiva più solo che mai.
Udì dei passi poco distanti e si voltò: il suo migliore amico era arrivato in quel momento, interrompendo l’atmosfera tranquilla che aleggiava sulla stazione. Indossava dei jeans stretti, un giubbotto di pelle nero, scarpe da ginnastica e aveva le cuffie dell’Ipod nelle orecchie. Nella mano destra reggeva il suo skateboard e in spalla portava il borsone con il logo della squadra di pallanuoto di cui faceva parte.
Shawn gli corse incontro e in contemporanea Dimitri lasciò cadere il borsone a terra; i due ragazzi si abbracciarono stretti e Shawn sentiva le prime lacrime bagnargli il viso. Dimitri, avvertendo lo stato d’animo dell’altro, gli diede delle pacche rassicuranti sulla schiena, dicendogli che sarebbe andato tutto bene. Shawn continuò per qualche secondo, poi si calmò e si sedette sul marciapiede, lasciando penzolare le lunghe gambe sui binari. Dimitri lo imitò e per qualche minuto rimasero entrambi a fissare il vuoto.
“Non hai paura che qualcuno ci veda? Insomma, i treni viaggiano anche di notte.”
Shawn rispose subito “No, ho scelto questo binario perché questo è l’unico che non è stato dotato di telecamere di sorveglianza. Non so perché. Lo so e basta. Per quanto ne so il capostazione non si impiccia della gente che si aggira da queste parti, come se gli importasse qualcosa. E poi, anche se dovesse passare un treno, io mi ci butterei volentieri sotto. Sono un’idiota, maledizione!”
Il ragazzo, esasperato, si alzò velocemente e tirò un calcio alla panchina, imprecando. Sapeva che doveva restare calmo, ma in qualche modo, aveva anche bisogno di sfogarsi. In quel momento desiderò di trovarsi in palestra insieme al maestro Chan a provare nuove prese o a fare piegamenti. Tutto, tranne rimanere fermo senza far niente. Lo esasperava.
Si appoggiò alla ringhiera delle scale che portavano al sottopassaggio e fece dei respiri profondi, cercando di far circolare per bene l’ossigeno in corpo.
Sentì Dimitri alzarsi e venirgli incontro. Il ragazzo gli poggiò una mano sulla spalla e Shawn non poté fare a meno di notare che era le unghie di solito curatissime erano mangiucchiate e rovinate. Possibile che fosse così nervoso anche lui?
 “Ascolta, Bro, se mi spieghi tutto, forse riuscirò ad aiutarti. Ma se non mi dici realmente come stanno le cose, non ne usciremo più da questa storia. E non lo dico perché voglio fare la figura dell’amico del cuore dolce e tenero, ma perché lo vedo che stai male, anche se non lo vuoi dare a vedere. Ti capisco.”
Shawn rifletté un attimo e tirò fuori dalla borsa i diari di suo nonno. Glieli porse a Dimitri, che li prese con estrema cura, ammirandone il rivestimento pregiato. Iniziò a sfogliarli, ma Shawn lo interruppe.
“Non troverai nulla che ti possa interessare, là dentro.” Iniziò Shawn. “Devi chiedere a me quello che vuoi sapere.”
Dimitri richiuse il diario e un leggero venticello accarezzarò entrambi. I capelli biondo miele di Shawn si lasciarono cullare, mentre quelli di Dimitri rimanevano fermi, tenuti insieme da un nastro rosso.
“Io credo che tu mi debba raccontare cosa centra tuo nonno in tutta questa storia. Insomma, il perché ti ha lasciato i suoi diari d’adolescente …”
“Non sono dei semplici diari!” Lo rimproverò l’amico. “Sono più di quanto tu possa immaginare.”
Rimasero in silenzio. Poi, senza dire una parola, si risedettero sul marciapiede e aspettarono. In lontananza si udiva il rumore sordo di un’automobile.
“Tutto è cominciato venti anni fa. Mio nonno era il detective più noto del paese ed era sempre in giro a risolvere misteri e a rinchiudere criminali. All’epoca aveva sì e no quarant’anni e viveva felice nella sua casetta in centro, insieme a mia nonna. Un giorno arrivò un telegramma, dove gli comunicarono che un misterioso killer stava terrorizzando le città vicine. Mio nonno, non riuscendo a trattenersi, si lanciò all’inseguimento. Quel killer era Aima.
Non riuscì a scovarlo subito. Era astuto e aveva i giusti contatti, riusciva sempre a fargliela sotto il naso, ma mio nonno non si diede mai per vinto. Anzi, più il tempo passava, e più voleva che Aima continuasse a sfidarlo, a metterlo alla prova. Lui se la cavava egregiamente con gli enigmi proposti da quel pazzo, e riuscì a salvare un paio di persone dalla sua furia omicida. Alla fine però, era come se non l’avesse fatto, perché le vittime erano talmente scioccate, che non riuscivano più a fare niente, né a parlare, né a mangiare, si erano ridotti a dei vegetali. Persino i loro parenti decisero che era meglio lasciarli morire con una sostanza iniettata nel braccio, che con quelle sofferenze atroci.”
“Era così terribile? Li torturava?”
“Nei diari alcune scene che hanno descritto i superstiti sì. Io le ho lette, e mentre leggevo mi si rizzavano i peli sulla nuca. Dio solo sa da dove gli esca tanta ferocia a quel bastardo!” imprecò Shawn. Poi, riprese il racconto.
“L’inseguimento durò tredici anni e si estese in tutto il globo: in Cina, in Messico, in Germania, Aima sembrava sapersi adattare e muovere ovunque. Fino a quando, mio nonno lo mise con le spalle al muro. Era riuscito a incontralo dal vivo e avevano lottato, corpo a corpo, a lungo. Aima aveva con sé un coltello, ma mio nonno riuscì a prenderlo e a puntarglielo alla gola. Così, tra un coltello e il muro, il killer era in trappola. Aima non rivelò mai il perché di ciò che fece, ma disse che non voleva che la polizia lo catturasse, che non si sarebbe mai abbassato a tanto. Mio nonno scrive che gli ricordava la regina Cleopatra quando i Romani la catturarono. Aima estrasse dalla tasca una pasticca, che porse a mio nonno. Era una capsula di cianuro.
Anche se mio nonno desiderasse con tutto sé stesso che lui morisse, aveva degli ideali molto forti: non avrebbe mai lasciato che qualcuno si suicidasse se ci fosse stato lui nei paraggi. Provò a farlo ragionare, ma fu inutile: Aima era testardo e alla fine mio nonno lo lasciò fare, sperando che i rinforzi che aveva chiamato di nascosto si sbrigassero ad arrivare.
Aima si mise la capsula in bocca, e la spezzò. Sui diari c’è scritto che il suo corpo era contorto dagli spasmi e che i sintomi che presentava erano tutti inerenti al cianuro. Quando fu sicuro che fosse morto, gli tolse la maschera.”
“E com’era? Com’era fatto?” la curiosità di Dimitri interruppe bruscamente il racconto di Shawn.
“Lui non scrive molto al riguardo, anzi, non scrive praticamente nulla al riguardo. C’è scritto solo che era il genere di persona che lui si aspettasse di trovare sotto quella maschera.
I guai però, non erano ancora finiti; per strada si era creata una sparatoria tra i seguaci di Aima e la polizia e mio nonno corse subito a dare manforte. In molti gli chiesero che aspetto avesse il famoso killer, ma lui non lo fece mai sapere a nessuno. Lui da solo si occupò della sepoltura e nessuno tranne lui sa dove sia custodito il suo corpo. Girano voci che sia proprio qui, a St. Hylton.”
“Davvero molto toccante e interessante, ma, senza offesa, cosa centrerebbe con quello che sta succedendo adesso?”
Shawn ignorò il sarcasmo di Dimitri e riprese a parlare.
“Ti sei mai chiesto come mai mio nonno abbia il volto sfigurato?”
Quella domanda lasciò spiazzato l’amico, che per poco non cadde sui binari. Ci rifletté un po’ su. “A dire il vero sì, ma non sono mai riuscito a trovare una spiegazione e non avevo il coraggio di chiedertelo.” Concluse, infine.
“È successo poco prima che lui si togliesse la vita. Aima aveva appiccato il fuoco a una villetta in campagna, e il fuoco stava divampando velocemente. All’interno della villa, vivevano quattro persone, due bambini piccoli e i loro genitori. Mio nonno corse sul posto, ma i vigili del fuoco non avevano intenzione di andare a soccorrerli, perché avevano visto un uomo con una maschera bianca entrare da una finestra. Scioccato da tanta vigliaccheria, mio nonno si addentrò tra le fiamme e cercò quelle persone. Mancano alcune pagine, ma quando il racconto riprende, ho scoperto che i genitori erano morti a causa di ferite inferte loro con arma da taglio, non a causa delle fiamme o del fumo. Considerando che ai due non sarebbe importato se il loro corpo si sarebbe carbonizzato o meno, lui si precipitò a cercare i bambini. Trovò il più grande, il maschio, che dormiva ancora nel suo letto, che lentamente prendeva fuoco. Mio nonno lo prese e lo portò fuori, dopo di che si precipitò dentro a cercare l’altro. Trovò una bambina di appena tre anni rannicchiata in un angolo che cercava di scappare da Aima, che la minacciava con un coltello in mano. Mio nonno gli si lanciò contro, ma Aima era forte e riuscì a scappare spaccando il vetro di una finestra. Mio nonno riuscì  portare in salvo anche la bambina, che aveva subito un forte trauma. I medici dissero che non avrebbe ricordato più nulla, ma che avrebbe dovuto vivere in un ambiente più sereno possibile, e che non avrebbe mai dovuto separarsi dal fratello. Quella bambina era Maggie.”
Dimitri trattenne il fiato. Era troppo.
Shawn si chiese se avesse sbagliato a coinvolgere anche lui in quella storia. E se lo avesse giudicato male? se lo avrebbe odiato fino al resto dei suoi giorni? Shawn non riusciva a immaginare la sua vita senza Dimitri. Per lui era tanto importante quanto Maggie e Kathleen.
“Che cosa?! Mi stai dicendo che Aima ha ucciso i genitori di Maggie?!”
Shawn lo tirò per un braccio e lo costrinse a rimettersi seduto a fianco a lui. “Sh, o vuoi forse che lo sappia tutto il mondo?”
“Per la miseria, mi hai fatto prendere un colpo! Tu lo sapevi e non lo hai mai detto a noi? Non lo hai mai detto a lei.” Continuò Dimitri. “Perché lo hai fatto Shawn?”
  A Shawn era crollato il mondo addosso. Il suo migliore amico stava avendo le reazioni sbagliate. Sul suo volto era comparsa un’espressione furibonda, gli occhi erano accesi di rabbia.
“L’ho fatto per proteggerla.”
Quelle parole gli uscirono dalle labbra e finalmente si sentì un poco più leggero.
“Da cosa?”
“Da cosa, razza di idiota che non capisce un accidente. Da Aima, da chi altro?!”
“Ehi, ehi, non t’incazzare, Bro! Sto solo valutando se reputarti uno stronzo o no.”
Shawn si alzò in piedi, furente. “Non ti azzardare!”
Si guardarono in cagnesco. Poi Dimitri sospirò e lo incitò a continuare.
“Io l’ho scoperto solo stasera,quando ho letto i diari di mio nonno.
Quando in città si è sparsa la voce del ritorno di Aima, sono corso da mio nonno per chiedergli tutto ciò che sapeva sul suo conto. Mi raccontò tutto quello che è scritto nei diari, e fino a qui è filato tutto liscio. È stato quando gli ho chiesto il perché di tutto ciò. Insomma, se era riuscito misteriosamente a sopravvivere al cianuro, con tutto il mondo che gli dava la caccia, avrebbe fatto meglio a starsene in una qualche villa costosissima a Saint Tropez o a Sidney. Non gli conveniva uccidere di nuovo.
Ricordo ancora molto bene cosa mi rispose quando glielo chiesi. Disse solo ‘È qui per voi.’
All’inizio non avevo capito e lui aveva tentato di farmi arrivare alla soluzione dandomi degli indizi. Quando riuscii a mettere insieme i pezzi del puzzle e a ricomporre la notte dell’incendio, avevo capito che cosa fosse successo. Quando però chiesi conferma, lui non rispose. Più io gli parlavo, e più rimaneva in silenzio. Così mi sono arrabbiato. Gli ho detto le peggio cose. E alla fine me ne sono andato sbattendo la porta di casa, e dicendogli che lo odiavo con tutto me stesso e che mi auguravo che morisse.”
Fece una pausa per asciugarsi gli occhi che stavano diventando umidi. Anche Dimitri faticava a tenere a freno le lacrime.
“Quando alla notte di Halloween … l’altro ieri” si corresse Shawn, “ho visto cosa fosse successo, ho temuto il peggio. Credevo che Aima avesse trovato Maggie e l’avesse uccisa, o che avesse ucciso me. Quando però vi ho visti arrivare e vi ho visti al sicuro, le mie preoccupazioni sono svanite. Credevo che mio nonno si sbagliasse su tutto quanto, invece aveva ragione su tutto. Ieri ne ho avuto la conferma. Ha ucciso mio nonno, mi ha messo KO e ha rapito Maggie. La ciliegina sulla torta, sono stati quei diari: lì ho avuto la certezza che quella bambina era veramente Maggie e che avevo sbagliato a non fidarmi di mio nonno. Avevo sbagliato tutto quanto.”
Lacrime calde iniziarono a bagnargli il viso. Dimitri però non si mosse, rimase fermo ad aspettare che l’amico si calmasse.
“È colpa mia se mio nonno è morto. È tutta colpa mia.”
Shawn cadde in ginocchio e si prese la testa tra le mani, scosso dai singhiozzi. Dimitri rimase fermò dove si trovava, ma provò a consolarlo. “Shawn non devi dire così …”
“Ti sbagli!” Shawn si asciugò gli occhi con il dorso del braccio, bagnando la giacca. “L’ultimo aggiornamento del diario risale a pochi giorni prima della festa. Diceva che se gli avessi dato ascolto avrebbe spiegato tutto ai miei genitori, e che avrebbe nascosto Maggie e me in un posto sicuro, lontano da qui. Avrebbe chiamato un suo amico esperto di sicurezza nazionale, che ci avrebbe protetti, fino a quando lui non sarebbe riuscito a risolvere il mistero e a riacciuffare quel bastardo. E io non gli ho creduto. Non gli ho voluto credere.”
Dimitri non sapeva come consolarlo. Però c’era ancora qualcosa che non quadrava.
“Come ha fatto quel diario a finire in casa tua? Qualcuno deve pur avercelo portato.”
Il suo ragionamento non faceva una piega. Shawn non aveva mai visto suo nonno aggirarsi in casa sua da molto tempo, e da quando avevano litigato poche settimane prima, non lo aveva più rivisto.
Era una bella domanda.
“Non lo so, Bro. Non so più niente.”
La nota di tristezza amara che Shawn pronunciò con quelle parole, spezzò il cuore a tutti e due. Dimitri doveva essersi reso conto della gravità della situazione.
Sentirono la sirena di un treno,ma non si mossero. Rimasero in piedi sul marciapiede, oltre la linea gialla che segnava il limite di sicurezza, e aspettarono che il treno passasse. Gli sfrecciò accanto con una velocità impressionante, rischiando di portarli via, ma loro rimasero ben fermi sulle gambe. Quando il treno fu lontano, le di Shawn non c’erano più.
“Aima aveva progettato tutto. Probabilmente mi aveva spiato per tutto questo tempo, e ha fatto due più due. Tu cosa avresti fatto al suo posto? Avevi la possibilità di fargliela pagare al nipote dell’uomo che ti aveva costretto al suicidio e alla sua ragazza che non eri riuscito a uccidere anni prima. È stato molto intelligente, non lo nego.”
“Shawn, mi dispiace tanto che sia successo tutto questo.” Shawn credette che l’amico stesse per fare qualche battuta, ma quando lo guardò, nei suoi occhi riuscì a leggere solo sincero dolore. “Non scherzo. Insomma, vivere sapendo una cosa del genere … io non ce l’avrei fatta. Ti ammiro per tutto quello che fai.”
Una parte di Shawn pregustò quel momento: sapeva che il suo migliore amico non avrebbe mai più detto una cosa del genere, e che avrebbe negato di averlo fatto in futuro. Era una scena memorabile.
“Sappi solo che io non ti lascerò da solo. Sei il fratello che avrei sempre voluto, e sì …” Dimitri si morse le labbra e le sue guance si tinsero di rosso. “ti voglio bene.”
Shawn non riusciva a credere alle proprie orecchie. Le volte in cui Dimitri aveva dimostrato l’affetto che provava nei suoi confronti, erano quasi nulle.
In preda alla gioia, Shawn lo abbracciò forte e il suo amico ricambiò l’abbraccio. Quel contatto così intimo e così fraterno, durò poco, perché Dimitri si staccò quasi subito. “Non ti ci abituare, Synets. La mia versione da Orso-Abbraccia-Tutti è in edizione limitata.”
Scoppiarono a ridere entrambi, e tutta l’angoscia che Shawn aveva provato nelle ultime ora svanì. Non del tutto, ma si sentiva molto meglio e riusciva a pensare più lucidamente.
“Allora … sbaglio o c’era un mistero da risolvere?”
“Giusto!” si ricordò Shawn e prese uno dei diari. Lo sfogliò e, una volta trovata la pagina giusta, lo porse al suo amico.
“E questo sarebbe … aramaico?”
“È russo, ignorante.” Spiegò Shawn. “Per evitare problemi mio nonno ha deciso di scrivere nella sua madrelingua piuttosto che nella  nostra.”
“Ok, va bene. E dove sarebbe il mistero?”
Shawn si sporse verso di lui e indico con un dito la fine della pagina. “Proprio qui.”
Dimitri osservò la pagina per qualche secondo. “Il russo non si traduce da solo, scansafatiche.”
“Ops, colpa mia.” Shawn si mise a fianco a lui e tradusse ad alta voce. ‘Stando agli ultimi avvenimenti successi, non so proprio più come andare avanti. Mi sento stanco e non ho più voglia di lottare. Ma col tempo ho imparato che a volte è sufficiente un cambiamento di prospettiva per vedere la luce. Conosci ciò che sta davanti e ciò che è nascosto ti verrà rivelato: poiché  …’
“Che cazzo vuol dire?” si lasciò sfuggire Dimitri, ma Shawn aveva pensato la stessa identica cosa.
“ Non lo so. La frase finisce così e la pagina è stata strappata in basso, insieme al resto della frase.”
“Secondo te cosa manca?” Chiese l’amico tenendo ancora in mano il diario.
“Non lo so, potrebbe essere qualunque cosa. Un nome. Un indirizzo. Un concetto. Un motivo. Qualsiasi cosa.”
I due iniziarono a riflettere. Nessuno, però, riuscì a dare un significato a quelle parole.
“E ora che si fa?” chiese Dimitri. “Insomma, tuo nonno non ti ha dato i diari così tanto per. Deve esserci per forza sotto qualcosa, qualcosa che vuole che tu e soltanto tu possa scoprire. E solo tu puoi sapere cosa.”
L’amico non aveva tutti i torti. Shawn si sforzò di usare il cervello, e pensò. Qualcosa che voleva che solo lui trovasse. Si chiese se non si fosse dimenticato di un altro diario, a casa. Quello che aveva in mano però era l’ultimo e quindi la soluzione doveva essere per forza tra quelle righe.  Cos’era che suo nonno voleva comunicargli tramite quel diario? Sicuramente qualcosa che solo lui doveva conoscere, o  no? Shawn non sapeva più che cosa pensare.
“Shawn? Io vado sotto il lampione, che qui è buio pesto e non ci vedo un accidente.”
Shawn però lo aveva ascoltato a metà e gli vennero in mente le parole dell’ultima pagina, l’ultima prima di una lunga serie di pagine bianche. Quella frase parlava di luce e di nascosto. Luce e nascosto. Luce e nascosto.
Luce e nascosto.
“Dimitri, sei un genio!”
Shawn lo abbracciò, riuscendo quasi a stritolarlo. Dimitri, confuso, si liberò in fretta dalla sua presa. “Ehi si può sapere che ti prende? E comunque avevo detto prima che l’Orso-Abbraccia-Tutti era in pensione da un pezzo …”
“Smettila di blaterare cavolate a aiutami. Svelto!”
Shawn intanto aspettava impaziente come non mai sotto la luce del lampione.
“Mi spieghi il motivo di tanto entusiasmo? Ah no, aspetta, sei rimasto affascinato dal mio fascino, non sarebbe la prima volta.”
Shawn ignorò l’ultimo commento e proseguì. “Ho scoperto come completare la frase, ma per farlo ho bisogno di una forte luce.”
“Non c’è problema, abbiamo i telefoni.” Dimitri fece per prendere il telefono, ma Shawn lo fermò.
“No, ci serve una luce più forte. Devi aiutarmi a raggiungere  la lampadina del lampione, e ciò implica che dovrò salire sulle tue spalle.”
“Stai scherzando spero? Oh, andiamo, Bro, non puoi chiedermi questo. Il giacchetto è nuovo!”
Shawn sbuffò, fingendosi esasperato “Levati subito quel giacchetto o giuro che te lo faccio mangiare!”
Dimitri ubbidì sghignazzando. Poi s’ inginocchiò davanti al lampione e attese.
“Pronto?” chiese Shawn.
“Quando vuoi.”
Shawn si tenne all’asta del lampione mentre saliva sulle spalle del compagno. Quando fu ben saldo, Dimitri si alzò molto lentamente e Shawn accompagnava i suoi movimenti tenendosi al lampione. Una volta finito, arrivati a tre metri e ottanta in altezza, Shawn avvicinò la pagina alla luce. Subito gli saltarono all’occhio le numerose cancellature rimaste impresse sulla pagina; suo nonno doveva aver riflettuto a lungo su cosa scrivere e su come fare in modo che potesse arrivarci solo Shawn.
Quando la pagina riuscì a sfiorare la lampadina rovente del lampione, sulla pagina successiva apparve una scritta, molto lentamente, come se una mano invisibile stesse scrivendo in quello stesso istante.
“Allora? Come va lassù?”
Shawn sorrise e lesse cosa aveva trovato. “’ … non vi è nulla di nascosto che non venga un giorno rivelato.’ Dimitri ci siamo ci siamo! Ci siamo, ci siamo riusciti!”
Preso da così tanto entusiasmo, perse l’equilibrio e cadde, e Dimitri insieme a lui. Shawn riuscì ad attutire un po’ l’impatto, che fu comunque abbastanza doloroso, ma non gli importava. Aveva risolto il mistero.
“Ottimo lavoro, Bro.” I due ragazzi si diedero il cinque e si alzarono. Shawn prese il suo borsone, e Dimitri lo seguì fuori dalla stazione. I due, senza farsi notare troppo, sgattaiolarono nell’ombra fino al parcheggio, che era munito di faretti a segnalare i limiti della zona. Shawn ci accostò la pagina del diario e la scritta ricomparve.
“Wow!”esclamò Dimitri entusiasta. In realtà Shawn conosceva bene il trucco dell’inchiostro simpatico, da piccolo comunicava così con suo nonno durante cene o pranzi noiosi con i parenti. Ricacciò indietro la lacrima di malinconia e rivolse la sua attenzione a Dimitri.
“ Senti che altro dice: ‘E gli inferi ti diranno cosa fare.’ Sotto c’è un segno. L’ultima lettera dell’alfabeto greco. L’omega.” Shawn rifletté un attimo e poi, dopo aver dato una pacca affettuosa al suo amico, cominciò a correre. “ So dove dobbiamo andare!”
 








Angolo Autrice:
Ciaooo :) allora, eccomi qua con un capitolo fresco fresco! Che ne pensate? ^^
L'ho scritto tutto questo pomeriggio e mi piace ... finalmente è svelato il mistero delle colpe di shawn, ma cosa succederà ora? E dove staranno andando quei due così di corsa?
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che la storia vi stia appassionando. Ho già in mente parecchi colpi di scena come quelli presenti in questo capitolo e non ho paura di scriverli. Hahahah. Comunque vi devo chiedere ancora un piccolissimo favore ;)
Oltre a recensire, si intende XD
Vorrei che aveste in testa un'idea ben precisa dei personaggi, così ho pensato di farli scegliere a voi! Il personaggio che vi propongo è dimitri. Dovrete cercare foto su internet di qualcuno che gli assomigli, o che voi riteniate giusto per lui e dovete spiegarne il motivo. Potete mandarmi il link in un messaggio privato o in recensione, come volete. E nel prossimo capitolo vi darò la mia versione di questo ragazzo che amo *--*
Ci si vede al prossimo capitolo!

L.C.

 

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Capitolo 18
*** Omega ***


 
Omega
 
 
 
 
Ci fermammo solo quando arrivammo davanti al cancello del cimitero, ansimando per la lunga corsa senza soste che avevamo percorso dalla stazione fino a lì. Dopo aver intuito che il messaggio segreto di mio nonno si riferiva a quel luogo, Dimitri ed io c’eravamo precipitati seduta stante, ansiosi di scoprire il segreto nascosto in mezzo a qualche vecchia tomba. Certo, l’idea di entrare di nascosto in un cimitero nel bel mezzo della notte, con un serial killer in città e con una taglia sulla mia testa, non era certo rassicurante, ma una parte di me era ansiosa di svelare il mistero, un mistero di cui io stesso ero entrato a farne parte. Ancora non mi era chiaro il motivo per cui mio nonno ci avesse indirizzato nel vecchio cimitero di St. Hylton, ma ero certo che lo avrei scoperto a breve; nulla in quella storia sembrava essere casuale. Mi era sembrato che mio nonno sapesse in un qualche modo cosa sarebbe accaduto di lì a poco, dopo aver offerto riparo a me e Maggie. Scacciai veloce quei pensieri: dovevo rimanere concentrato, sapevo che non sarebbe stato facile.
“E ora … che facciamo?”
Dimitri si stava ancora riprendendo dalla corsa e respirava con affanno insieme a me, appoggiando le mani sulle ginocchia e lasciando la testa a penzoloni. Per arrivare prima, avevamo percorso diverse scorciatoie, che passavano tutte per il centro, rischiando di farci scoprire. La buona sorte però era dalla nostra parte, ed eravamo arrivati senza troppi problemi, muovendoci silenziosi sotto la spessa coltre di nuvole che oscurava la pallida luce della luna.
“Non lo so … dovremmo … cercare … qualcosa …”
Iniziai a camminare avanti e indietro davanti al cancello, meditando sul da farsi, fissando il cielo nero e privo di stelle. Che cosa avremmo dovuto cercare? Un altro diario? Una lapide? Un segno? O forse non dovevamo cercare proprio niente?
“Shawn … vieni a vedere.”
Mi avvicinai a Dimitri che era rimasto fermo davanti a una colonna che decorava il muro di cinta. All’inizio non vidi nulla, così Dimitri illuminò una piccola parte di fronte a me con la luce del telefono. Sulla colonna era stata scolpita una minuscola lettera Omega, talmente leggera che era quasi impossibile notarla.
Sorrisi soddisfatto. Eravamo sulla strada giusta.
“Credo che dovremmo entrare.”
“Lo credo anch’io. Forse ci siamo!” risposi di rimando. Mi guardai attorno per vedere se ci fossero delle telecamere di sorveglianza, e se c’erano, non riuscivo a vederle. Mi calai il cappuccio sulla testa per evitare di essere riconosciuto da qualcuno e Dimitri m’imitò velocemente.
“Scavalchiamo?”
“Vuoi bussare per caso?”
“Certo che sì.” Replicò il mio amico che provò ad aprire il pesante cancello di ferro, che ovviamente non si mosse neanche di un millimetro. Imprecò silenziosamente.
“Scavalchiamo.”
Lo fulminai con lo sguardo un po’ irritato e mi preparai a farlo salire, accucciandomi e incrociando le mani. Lui ci appoggiò il piede sopra e quando fu pronto, gli diedi una spinta verso l’alto. Avrei preferito esserci io al suo posto, ma lui era comunque più leggero di me e più abile nelle arrampicate.
Si aggrappò agli spuntoni e alle sbarre del cancello e cominciò ad avanzare verso sinistra. Con la luce della luna che illuminava appena la strada e con il suo cappotto aperto che penzolava da ogni parte, Dimitri sembrava la perfetta reincarnazione di un pipistrello che si aggrappava a una roccia della sua grotta, in cerca del suo nido. Solo che era più aggraziato.
Giunse dopo un tempo che mi parve interminabile alla colonna di sinistra. Sulla sua estremità si trovava la statua di un Gargoyle, che Dimitri scansò con un potente calcio. La statua andò a finire in frantumi sul marciapiede con un rumore sordo.
Sbuffai esasperato e lui occupò il posto della statua sdraiandosi a pancia sotto, tendendo entrambe le mani verso di me.
Mi allontanai un po’ a mi sistemai lo zaino sulle spalle, in modo che non scivolasse. Non sarebbe stata un’impresa facile, la colonna aveva una superficie liscia e priva di appigli, ma con la giusta rincorsa e forza sulle gambe sarei dovuto riuscire a salire. Mi concentrai, e dopo aver fatto un bel respiro, scattai in avanti con quanta più forza avevo nelle gambe, sforzando ogni singolo muscolo. Arrivato alla colonna sfruttai la testa del Gargoyle che si trovava lì vicino come trampolino di lancio, dopo di che ‘camminai’ verso Dimitri. Riuscii miracolosamente ad afferrargli entrambe le mani e lui fu abbastanza pronto da tirarmi su. Poco dopo saltammo, ma non ci eravamo accorti che sotto di noi si trovava un cespuglio di rovi. Ci finimmo in mezzo come dei sacchi di patate, mentre le mie caviglie urlavano di dolore. Il salto era di tre metri buoni e le spine dei rovi non contribuivano a darci sollievo. Imprecando silenziosamente, riuscimmo a farci strada e ad uscire da quella tortura.
“Tutta colpa tua, Synets! Ahia!”
Dimitri gemette quando iniziai a estrargli le spine, mentre lui le toglieva a me. In un certo senso, ricordavamo le scimmie che si spulciano a vicenda.
Quando avemmo finito il  nostro lavoro di pulizia, ci guardammo attorno. Una sottile coltre di nebbia copriva le lapidi che si stagliavano davanti a noi come scogli in mezzo al mare. Le lunghe ombre degli alberi creavano un effetto sinistro e le foglie secche scricchiolavano rumorosamente sotto i nostri piedi. La luna ormai era scomparsa, e al suo posto erano comparsi gli ululati dei cani randagi e delle civette che si aggiravano di notte da quelle parti. La temperatura intanto si era abbassata velocemente e iniziavo a battere i denti; ero certo che avrebbe nevicato un’altra volta di lì a poco.
“Vaffanculo! Ci mancava anche questa!”
Dimitri stava osservando le sue scarpe rosse che si erano sporcate di fango sulla punta, macchiandole.
Riuscii in qualche modo a trattenermi dal ridere. “Bro, andiamo, sono solo un paio di scarpe! Non è la fine del mondo!”
Le guance di Dimitri si accesero pericolosamente “Solo un paio di scarpe? Solo un paio di scarpe?! Si dia il caso che le mie Blazer siano nuove di zecca e le abbia pagate un sacco di soldi!”
Sospirai. Quando si comportava in quel modo, mi ricordava troppo Elijah. Con l’unica differenza che mio fratello si sarebbe arrabbiato anche per molto meno.
Udii un rumore secco alle mie spalle. Anche Dimitri lo avvertì e, dimenticando le sue scarpe, si girò con me.
“Cos’è stato?”
“Non lo so, ma non mi piace.” Conclusi. Rimanemmo in ascolto ancora un po’, poi decidemmo di avviarci nuovamente.
Camminavamo silenziosi facendo slalom tra le lapidi, aguzzando l’orecchio a ogni minimo rumore. Il cimitero era forse uno dei luoghi più grandi e sinistri della città. Costruito nel 1200, aveva ospitato una serie infinita di personaggi celebri nel corso della storia. Una volta superato il cancello, ci si ritrovava davanti a una lunga serie di tombe e mausolei, tutti diversi tra loro. Ce ne era uno a forma di pagoda, uno con l’aspetto di castello con tanto di torri e draghetto sputa fuoco, e un altro che assomigliava a un casinò. Mi domandai quale riccone volesse essere seppellito dentro una sala giochi.
Naturalmente tra le varie lapidi troneggiavano statue di tutte le forme e dimensioni, così come spiccavano gli attrezzi, come pale, zappe e rastrelli, che il custode si ostinava a lasciare d’appertutto. A essere sinceri il custode non curava affatto il cimitero, o meglio, prendeva in considerazione solo alcune aree. Le due collinette dove spiccavano il mausoleo a pagoda e a castello, erano prede dell’erba alta e dell’edera. Anche nella zona dove ci trovavamo noi, le erbacce non erano state tagliate e mi domandai dove fosse il custode. Probabilmente stava dormendo tranquillo nella sua capanna che si trovava nell’angolo più remoto di quel luogo spettrale, molto lontano da noi.    
Eravamo arrivati davanti ad una fontanella, quando lo sentii di nuovo. Quel rumore secco di qualcosa che cade, accompagnato da un rumore di passi quasi celato dalle foglie secche che si spezzano.
Dimitri ed io ci girammo lentamente. Semi nascosta da una parete muraria si trovava una figura incappucciata, con una lunga tunica che gli arrivava fino ai piedi e che gli conferiva un aspetto sinistro. Sembrava un monaco tibetano, anzi, un sacerdote pronto a sacrificare la sua vittima sull’altare; aveva le mani giunte in avanti, nascoste dalle ampie maniche nere che sembravano toccare terra e che svolazzavano mosse dal vento che aveva iniziato a soffiare. Il cappuccio gli copriva l’intero volto; sembrava che dentro quella tunica non ci fosse nessuno. Ci guardammo un solo istante, studiandoci a vicenda, mentre il silenzio veniva rotto dal verso di una civetta. Sentivo il mio cuore scoppiarmi dentro al petto e batter sempre più forte, mentre piccole goccioline di sudore scorrevano lentamente lungo la mia schiena. Il monaco misterioso estrasse qualcosa dalla tunica e lo lanciò verso di noi. L’oggetto misterioso rotolò fino ai nostri piedi e non riuscii a trattenere un’imprecazione.
L’oggetto in questione era un teschio.
Umano.
Cominciammo a correre.
Sfrecciavamo tra le tombe evitando i sassi e le radici degli alberi che spuntavano dal terreno, minacciando di farci cadere in ogni istante. Sentivo Dimitri respirare con affanno a fianco a me, ma non lo vedevo; i miei occhi si rifiutavano di prendere in considerazione qualsiasi cosa che non fosse una via di fuga, una salvezza, un pericolo, ignorando il resto. Ormai il silenzio era rotto regolarmente dai nostri respiri e da quelli del nostro inseguitore, che correva dietro di noi cercando di afferrarci. Non avevo il coraggio di voltarmi a guardare, perché sapevo che mi sarebbe stato fatale. Non avevo idea di dove stessimo andando, il mio unico pensiero era quello di allontanarmi il più possibile da quel monaco psicopatico che se l’era presa con noi. In fondo come biasimarlo? Più o meno tutti in città mi volevano morto.
Sentii un urlo dietro di me e mi voltai giusto in tempo per vedere Dimitri scomparire sottoterra. Nel frattempo, il monaco aveva smesso di correre e avanzava lentamente verso di noi, con passo lento.
Senza pensarci due volte mi precipitai verso il mio amico, che era caduto in una fossa aperta e molto profonda. Stava cercando di risalire, ma la terra era troppo friabile e lui scivolava.
Guardai di nuovo il monaco che aveva preso una pala.
Cazzo.
“Prendi la mia mano!” Urlai a Dimitri. Lui prese la rincorsa ed io riuscii ad afferrarlo, tirandolo fuori dalla fossa.
Il monaco nel frattempo si avvicinava ancora più minaccioso verso di noi. Dimitri afferrò una pietra e gliela lanciò. Il lancio era stato molto preciso, ma il monaco riuscì a evitarlo con un unico movimento fulmineo.
Mi alzai da terra e trascinai il mio amico con me, continuando a correre mentre il monaco ci scagliava addosso pietre, attrezzi, ossa. Poco dopo arrivammo davanti al muro della zona nord. Imprecai e tornammo indietro, svoltando a sinistra cercando riparo tra gli alberi. I lunghi rami mi graffiavano il viso, mi strappavano i vestiti, e il fango mi faceva sprofondare, impedendomi di muovermi velocemente, mentre i pipistrelli volavano da tutte le parti disturbati da tanto fracasso.
“Shawn! Fermati, se n’è andato! Fermo!”
Dimitri mi afferrò per un braccio frenando la mia folle corsa, costringendomi a fermarmi davanti ad una statua di un angelo che danzava sulle punte.
“Lui … dov’è?”
Mi guardai attorno. Il monaco era sparito nel nulla senza che noi ce ne accorgessimo.
“Secondo te che voleva?” chiese Dimitri ancora provato per la corsa.
“Di certo non voleva offrirci un caffè.” Risposi passandomi una mano tra i capelli, anche loro fradici di sudore.
“Quindi che facciamo? Torniamo domani?”
“Assolutamente no. Se torneremo con la luce del sole, qualcuno potrebbe vederci e ti ricordo che è domenica. Quindi se non vuoi avere a che fare con un paio di vecchiette bisbetiche, ti consiglio di seguirmi.”
“E dove andiamo?”
A quella domanda non avevo ancora trovato una risposta.
“Ei … guarda.”
Ci avvicinammo a un’imponente costruzione in pietra con la pianta circolare. Ai lati del grande portone erano appese delle fiaccole che ardevano illuminando appena e sotto le fiaccole si trovavano due scheletri scolpiti nella roccia. Sopra l’ingresso era appeso uno striscione scolpito nella roccia con scritto 'Ossarium’. Dopo la scritta, appena visibile, una piccola lettera omega. Anche Dimitri la notò.
“Non vorrai mica entrare là dentro, spero.” Disse solo.
“Invece è proprio quello che ho intenzione di fare. Secondo me ci siamo. Chissà, magari stringerò amicizia con qualche vecchia mummia. Tu poi fai come ti pare.” Detto questo appoggiai la mano sulla maniglia del portone, che appena la toccai, si aprì con un cigolio sinistro degno da film dell’orrore.
Dimitri sospirò. “Odio quando fai così, Bro.”
Entrammo nell’ossario lentamente, ponderando ogni passo per non fare rumore. Il buio era totale così come il silenzio e l’odore di polvere e decomposizione era semplicemente nauseante e opprimente. Avanzammo a tentoni cercando di trovare l’interruttore, e stavo per dire quanto fosse maleodorante quel posto, quando mi accorsi che qualcosa non andava.
Mi voltai appena in tempo per vedere un’ombra chiudere il portone e per sentire un Click! ,che indicava che qualcuno ci aveva chiusi dentro. Iniziai a battere i pugni contro il portone, urlando insieme a Dimitri, ma era tutto inutile. Eravamo stati chiusi dentro e non saremmo potuti più uscire. Maledetto monaco!
“Aprite! Ei! Ci sentite?! Fateci uscire!”
Non ottenemmo risposta.
Il mio respiro iniziò a farsi accelerato. Come avremmo fatto ad uscire di lì? Non mi era sembrato di vedere finestre, né altre uscite che non fossero il portone che era stato appena chiuso. Che cosa sarebbe successo?
“Shawn sai che ti dico? Vaffanculo!”
“Mi spieghi qual è il tuo cazzo di problema, Ractive?”
“Il mio problema? Il mio problema? Il mio problema è che siamo in un cimitero, sperduti nel bel mezzo del nulla, chiusi dentro un ossario insieme a qualche scheletro puzzolente, con un monaco fuori come un balcone che vuole ucciderci! Ecco qual è il mio problema!” e mi diede una spinta mandandomi a finire contro il portone.
“Non avresti dovuto farlo.”
Mi avventai su di lui scattando come una tigre e rotolammo a terra. Andai a sbattere contro qualcosa di duro e umidiccio, ma non ci feci tanto caso, tanto ero concentrato a montargli sopra la pancia. Stavo per sferragli un pugno, quando, all’improvviso, si accesero le luci.
La prima cosa che notai fu che la cosa umidiccia che avevo toccato, era uno scheletro disteso a terra a meno di qualche millimetro da me e Dimitri. I suoi occhi vuoti ci guardavano e il suo ghigno sembrava prendersi gioco di noi. Lanciando un urlo che fece alzare le nostre voci di qualche ottava, saltammo all’indietro e indietreggiammo fino ad arrivare alla parete, che, urtandola, traballò pericolosamente. In pochi secondi una pioggia di ossa cadde dagli scaffali dietro di noi, ricoprendoci, mentre noi urlavamo e cercavamo di alzarci sopprimendo il ribrezzo davanti a quel macabro spettacolo. Alla fine riuscimmo ad alzarci e ad arrivare di nuovo davanti al portone. Mi accorsi solo dopo che Dimitri ed io eravamo abbracciati stretti in maniera forse un po’ troppo intima.
Il mio amico si staccò velocemente da me. “O mio Dio, che schifo!” gridò ancora in preda all’isteria, passando le mani su ogni singola parte del corpo, come a togliere ossa che non c’erano, mentre sul suo viso compariva un’espressione di evidente disgusto, che in un altro momento avrei trovato molto buffa e comica.
“Ti odio, ti odio, ti odio!” Continuava a ripetermi mentre mi fulminava con lo sguardo. Ci guardammo in cagnesco per alcuni secondi, dopo di che sbottai a ridere.
“Che cazzo ti ridi, Shawn?”
“Avresti dovuto vedere la tua faccia … era impagabile!” Dissi a fatica mentre continuavo a contorcermi dalle risate, tenendomi la pancia.
“Anche la tua non era tanto male, sai? E per la cronaca, stavo quasi per rimetterci la pelle, babbuino beota che non sei altro! Ho rischiato l’infarto!”
Provò a mantenere un’espressione seria, ma poco dopo cominciò a ridere anche lui, dimenticando per un attimo il guaio in cui c’eravamo cacciati. Mi diede una pacca sulla spalla e mi sorrise. Forse era per questo che era il mio migliore amico: in pochi secondi riuscivamo a sincronizzarci e a viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda.
Una volta che l’attacco di ridarella fu passato, approfittai della mia momentanea calma interiore per guardarmi attorno. Il pavimento di pietra di quella struttura spettrale era ricoperto d’ossa sul lato destro, mentre il lato sinistro era immacolato e lasciava intravedere delle piccole decorazioni dipinte sopra. Ai lati si trovavano degli scaffali con una miriade di ripiani con scatolette, che probabilmente contenevano le ossa di qualche defunto. Al centro c’era un’unica lastra di pietra, che assomigliava a un tavolo, con sopra uno scheletro umano; la parete di fronte a noi invece, era tappezzata di attrezzi vari, come forbici, bisturi, pale, zappe … insomma, il kit del perfetto tombarolo. La luce proveniva da candele elettroniche che pendevano dal soffitto, ma non riuscii ad individuare l’interruttore.
“È inquietante.” Disse Dimitri.
“Parecchio.”
Silenzio.
“Sei sicuro che tuo nonno non ci volesse morti? O che ci volesse fare uno sconto sul servizio funebre?”
Lo fulminai con lo sguardo.
“Scusa.” Si guardò le scarpe. “È che ancora non ci credo! È tutto così …”
“Strano?”
“Stavo per dire macabro e agghiacciante, ma anche strano rende bene l’idea.” Concluse lui.
“Ricordati che tutti prima o poi dobbiamo morire.”
Stavolta fu lui a fulminarmi. “Sai Shawn, tu hai questa particolare dote di rallegrare le persone. A volte riesci a essere persino rassicurante.” Ridacchiai insieme a lui.
Mi avvicinai al tavolo per osservare lo scheletro che vi era sopra. Da vivo doveva essere stato una persona molto bassa.
Rabbrividii. E se fosse lo scheletro di un bambino?
Distolsi lo sguardo, quando la notai. Ai piedi dell’altare. La piccola lettera omega.
“Dimitri … forse ci siamo.”
“È quello che hai detto anche la volta prima, e guarda dove siamo finiti.” Replicò, ma io lo zittii con un gesto della mano. Lui sospirò e si inginocchiò a fianco a me. Alcune ciocche di capelli erano sfuggite al nastro che li teneva legati e gli ricadevano ribelle sulla fronte.
“Grandioso. Ora che si fa?”
“Non lo so.” Risposi toccando la lettera.
Appena la sfiorai si sentì un boato provenire dal pavimento e la terra cominciò a tremare. Dimitri e io arretrammo fino ad arrivare con le spalle al muro mentre uno spettacolo tanto stupefacente quanto inquietante si stagliava di fronte a noi. L’altare stava lentamente arretrando rivelando sotto di sé un’apertura che sembrava arrivare fino al centro della terra. Nel frattempo un forte odore di chiuso e una densa coltre di polvere fuoriusciva da quel piccolo varco che si era aperto. Il tutto durò solo una manciata di secondi.
Come al solito fu Dimitri a rompere il silenzio. “Ammirevole. E agghiacciante, oserei dire.”
“Piantala.” Sbuffai mentre mi avvicinavo a quel varco, curioso. Dimitri mi seguì e insieme provavamo a scrutare qualcosa attraverso quella densa coltre nera.
Mi sfilai lo zaino e ne estrassi una torcia che avevo preventivamente portato insieme a un po’ di cibo-spazzatura e al kit del boy-scout.
“E quella cos’è?!” Dimitri era stupito.
“Si chiama Torcia e serve a illuminare.”
“So che cos’è, idiota.” Rispose seccamente. “Perché l’hai tirata fuori solo adesso?!”
“Non posso mica pensare a tutto io.” Replicai facendo spallucce per stuzzicarlo.
“Questo allora conferma la mia teoria.”
Mi voltai a fissarlo. “Sarebbe?”
“Che sei un emerito idiota.” Concluse facendomi l’occhiolino. Lo ignorai e continuai a fissare il fondo di quel passaggio. Dove ci avrebbe portato? In una fossa comune? In una catacomba? In un mausoleo? Nel bel mezzo del nulla? Impossibile dirlo con certezza.
“Chi va per primo?” domandò Dimitri.
“Prima le signore.” Risposi con un profondo inchino.
“Grazie, lei sì che è un vero gentiluomo.” Disse Dimitri imitando una perfetta fanciulla. Poi si fece subito serio e arrivò al bordo. Appena mise un piede in avanti però, scivolò e sparì nel giro di pochi secondi.
“DIMITRI!” Urlai.
Mi sporsi verso il varco. Non si sentiva nulla.
Non me lo sarei mai perdonato se a Dimitri fosse successo qualcosa per colpa mia. Così, senza neanche pensarci, mi tuffai anch’io, dentro l’oscurità.








Angolo Autrice:
Hey! Scusate il mio enoooorme ritardo, ma ho rischiato di prendere il debito in matematica, e ho avuto parecchi contrattempi. Spero che i capitolo via piaccia e che qualcuno mi lasci una recensione ;)
Ci sentiamo!
L.C.

 
 
 

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Capitolo 19
*** Cyril ***


Cyril
 
 
 
 






Quella fu una delle scivolate più lunghe della mia vita.
O forse era solo una mia impressione causata dall’angoscia di vedere il mio migliore amico morto.
Non appena mi fui ‘tuffato’, iniziai subito a scivolare, prendendo velocità. Mi sembrava di essere tornato all’estate precedente, quando andavamo insieme a tutta la nostra comitiva all’acquapark a provare tutti gli scivoli e le attrazioni. Sfidavamo tutte le altezze possibili e immaginabili, per poi arrivare al Black Hole, lo scivolo più buio che io abbia mai percorso. Con l’unica differenza che non sapevo dove questo mi avrebbe portato, magari sarei finito in una specie di fossa comune insieme ad altri cadaveri puzzolenti. O forse mi sarei schiantato contro un muro. Chissà. Come se non bastasse, la superficie ruvida e piena di pietre e cocci, mi stava lacerando i pantaloni e il mio lato B. Provare a frenarmi con le mani non servì a nulla, anzi, in questo modo riuscii a provocarmi molte più ferite di quante non ne avessi già.
Stavo anche seriamente provando a non urlare, ma sembrava in qualche modo sbagliato: in fondo, avrei potuto benissimo trovarmi in un set degno di un film dell’orrore, il che è tutto dire. Un po’ per il dolore lancinante, un po’ per il terrore puro e l’adrenalina, non riuscivo a controllarmi e a tenere a freno le mie corde vocali, che minacciavano di spezzarsi per lo sforzo.
Ero talmente concentrato a formulare questi pensieri, che non mi accorsi di essere arrivato; me ne resi conto solo quando mi schiantai a terra contro una superficie fredda e umida. Gemetti di dolore e smisi urlare.
Rimasi semi svenuto ancora per un po’, per provare a capire dove mi trovassi, frenando l’impulso di andare a cercare Dimitri. Anche là sotto il silenzio era sovrano, non si sentiva nulla che potesse essere rilevante e utile al mio scopo. Quel luogo era molto freddo, forse più del cimitero, ma probabilmente questo deriva dal fatto che eravamo qualche metro sottoterra. Anche tra le palpebre passava poca luce, e capii che l’ambiente era scarsamente illuminato. Il pavimento dove ero disteso era irregolare e bagnato, sembrava roccia e odorava di sale e di chiuso. Arricciai il naso.
Improvvisamente, sentii una presenza correre a fianco a me. Rimasi immobile fingendomi morto, come fanno gli opossum, per poi cogliere alla sprovvista l’altra persona. Lo sconosciuto mi afferrò per il colletto della maglia e iniziò a prendermi a schiaffi in viso.
“Shawn! Shawn! Svegliati, dai, apri gli occhi! Shawn, rispondi! Dai, cazzo!”
Trasalii e contraccambiai con dei ceffoni a mia volta, suscitando profondo stupore nell’altro. Quando finalmente aprii gli occhi, mi ritrovai davanti Dimitri, con i capelli castani scompigliati e le mani macchiate di sangue, ancora aggrappate al mio collo. Vidi con chiarezza diverse emozioni farsi strada sul suo volto: stupore, incredulità, sollievo, gioia.
“Dimitri, come cazzo fai?”
“Cosa?”
“A essere ancora vivo? Ti ho creduto morto!”
“Anche io!”
Ci fissammo a lungo, poi scoppiammo a ridere. Che idioti.
“Che fine avevi fatto? Mi aspettavo di trovarti qui.” Avevo passato più o meno due minuti sdraiato ad auto-commiserarmi su quel pavimento e in quel momento capì di aver fatto la figura dell’idiota.
“Stavo dando un’occhiata in giro … non ti immagini neanche che figata!”
“Di cosa stai parlando?”
Invece di rispondere, mi prese per un braccio e mi alzò di peso, trascinandomi davanti ad una porta blu metallico semi aperta.
“Da dove viene quel sangue?” Chiesi guardando le sue mani.
“Suppongo che venga da dove viene il tuo. Non mi sento più il culo!”
“A chi lo dici! Ho dato una botta!” Istintivamente passai una mano sul mio fondoschiena e imprecai. “Oh cazzo!”
“Che è successo?” chiese Dimitri con voce tremante.
Per tutta risposta mi girai e aspettai. La reazione non tardò ad arrivare. Dimitri iniziò a ridere di gusto tenendosi la pancia e piegandosi sul pavimento.
“Oh mio Dio, Shawn sei proprio sexy!” e continuò a ridere.
“Guarda che anche tu sei nel mio stesso stato” bofonchiai incrociando le braccia.
Provai piacere a vedere l’espressione di Dimitri riempirsi di terrore e passare in rassegna la parte posteriore dei suoi pantaloni: erano strappati e sporchi di sangue e sudiciume, e si vedevano le mutande a righe rosse, nere e bianche. Mi concessi anche io di ridere di gusto e mi beccai uno sguardo truce.
“Molto. Divertente. Non bastavano le scarpe, ci mancavano anche i pantaloni! Vaffanculo!”
Sentendolo imprecare risi ancora di più. Era incredibile il modo in cui riuscisse a sollevarmi il morale in ogni situazione.
Dimitri però ritornò subito serio. “C’è ancora una cosa che dovresti vedere.”
Lo guardai con un’aria interrogativa, ma lui mi spinse in avanti costringendomi a entrare, ed io rimasi a bocca aperta.
Rispetto alla piccola stanza di qualche metro quadro dove ero atterrato in seguito alla scivolata, la stanza dove mi trovavo in quel momento era almeno cento volte più grande. Scavata nella roccia, aveva i soffitti altissimi sostenuti da colonne con enormi pilastri. Delle  nicchie erano state scavate e disposte a casaccio e delle enormi lampade pendevano dal soffitto illuminando tutto l’ambiente che odorava di acqua, sale e rocce. Quello che però mi colpì di più, fu la parte destra della grotta, allestita con ogni genere di macchinario: dai pesi al tatami, dall’arco con le frecce alle sbarre e agli anelli. Enormi armadi di legno erano stati allineati attorno alla scrivania più lunga che avessi mai viso su cui troneggiavano computer e tecnologie di ultima generazione. Da dove ci trovavamo noi, partivano delle scale che scendevano e finivano davanti a un tappeto riccamente decorato. Ai lati della scala, invece, erano stati posti dei piedistalli sui quali troneggiavano dei leoni che ruggivano.
“Ok, questo è decisamente figo.”
Dimitri fece un cenno d’assenso mordendosi il labbro inferiore e passandosi una mano tra i capelli.
“Che facciamo?”
“È ovvio. Esploriamo!” e detto questo mi lanciai a tutta velocità giù per le scale e corsi verso la scrivania, seguito a ruota da Dimitri. I computer erano spenti, ma erano anche nuovi di zecca e funzionanti.
Ci guardammo intorno, ma a parte noi due la sala sembrava essere deserta.
Iniziammo a frugare nei cassetti. Aprii il primo che mi capitò a tiro e ne tirai fuori un libro: Come non perdersi nella foresta amazzonica. Lo posai sulla scrivania e cercai ancora, ma l’unica cosa che trovai furono libri, molto simili al precedente: 1000 modi per addestrare una tigre. Come giocare a criquet con gli indigeni. Tutti i segreti dell’Alaska.
“Trovato niente?” chiese Dimitri.
“Solo libri dai nomi strambi. Tu?” Sperai che al mio amico fosse andata meglio.
“Dei documenti in quello che mi sembra … aramaico antico, forse.”
Lo guardai di sbieco. “Come fai a esserne certo?”
Dimitri fece spallucce. “Non lo sono infatti.”
Continuammo a cercare in silenzio.
Aprii l’ultimo cassetto, quello più vicino al pavimento, ma lo trovai vuoto. Iniziai a tastarlo con la mano, e le mie dita toccarono un piccolo rilievo, percepibile appena dai polpastrelli. Bingo.
“Dimitri, guarda qua.”
Estrassi dal cassetto una confezione di proiettili; sicuramente appartenevano a un’arma molto potente, data la loro dimensione.
Dimitri si avvicinò e iniziò a esaminarli rigirandoseli tra le dita.
“Se ci sono dei proiettili, vuol dire soltanto una cosa …” e si avviò deciso verso uno degli armadi di legno. Sembravano comuni mobili che si sarebbero potuti trovare in una qualsiasi casa, con uno specchio su un’anta e la maniglia di ottone. Dimitri la aprì ed emise un fischio: l’armadio era  diviso in ripiani sui quali troneggiavano in bella vista e ordinati per dimensione un’enorme quantità di pistole, fucili, e lanciafiamme. Senza pensarci il mio amico afferrò un fucile emettendo un grugnito e storcendo il naso.
Mi avvicinai a lui e, con le mani dietro la schiena, domandai con aria innocente: “Pesa forse?”
Gli occhi di Dimitri si ridussero a due fessure. “Affatto. Anzi, guarda che so fare.”
Caricò la forza nelle braccia e lanciò il fucile verso l’alto, con l’intento di riprenderlo al volo. Sfortunatamente però, l’arma gli cadde dalle mani e finì sul pavimento, iniziando a sparare proiettili verso il soffitto, colpendo alcune lampadine e facendo crollare pezzi di roccia e una pioggia di scintille. Riuscimmo a metterci al riparo tuffandoci sotto la scrivania qualche istante prima di essere colpiti da pallottole vaganti, e dopo qualche secondo l’arma impazzita ricadde sul pavimento con un tonfo sordo, fermandosi.
Ci scambiammo uno sguardo e con molta cautela iniziammo ad avvicinarci. Prendemmo l’arma insieme e la rimettemmo apposto, chiudendo l’armadio appoggiandoci la schiena e respirando con affanno.
“Tua madre ti ha detto che non bisogna giocare con le armi?”
“E tua madre ti ha detto di non impicciarti degli affari d’altri?”
“Molto divertente.”
“Sei un’idiota.” Mi beccai un cazzotto su una spalla e contraccambiai con una linguaccia. Con la coda dell’occhio colsi un movimento, un’ombra indistinta. Mi girai.
Inorridii quando il mio sguardo si andò a posare sull’entrata della caverna: il monaco era ricomparso e ci fissava dall’alto con quel suo aspetto sinistro e inquietante. Se ne stava ritto in piedi, con le mani nascoste dalle ampie maniche della tunica in grembo. In quel momento mi sentii piccolissimo e vulnerabile, perché il monaco, con la sua presenza, sembrava occupare tutta la stanza.
Non ci fu bisogno di parlare. Molto più velocemente di quanto avessi creduto possibile, riuscimmo a impugnare una pistola ciascuno e la puntammo contro l’incappucciato. Non avevo la minima idea di come si usasse una pistola, e non ero neanche sicuro che fosse carica, ma in fondo non doveva essere così difficile. Quello che mi preoccupava di più, era cosa avrei fatto dopo aver sparato.
Il monaco non sembrò far caso a noi e cominciò a scendere le scale con fare lento: sembrava che volasse rasoterra tanto era silenzioso il suo passo.
“Se si avvicina ancora lo ammazzo.” Dimitri stringeva la pistola davanti a sé con entrambe le mani, mentre una goccia di sudore scendeva lenta lungo la tempia.
“Vediamo cosa vuole da noi, forse eviteremo di fare qualcosa di cui potremmo pentirci.”
“Possibile che tu debba fare sempre il moralista?!”
“Posso sentirvi.”
Inorridimmo quando il monaco interruppe i nostri sussurri. La sua voce profonda e potente sembrava rimbombare come un gong  tra le pareti della caverna, lasciando che il mio corpo fosse percorso da brividi. Doveva aver avuto lo stesso effetto anche su Dimitri, perché aveva stretto ancora di più la pistola tra le mani, finché le ossa delle dita non furono nettamente visibili attraverso la pelle sottile.
“Visto che hai sentito allora, ti conviene restare lontano!”
Colpii Dimitri con il gomito, senza mai allentare la presa sulla mia arma, ma ormai il monaco lo aveva sentito. Iniziò a ridere e ancora una volta il suono echeggiò tra le pareti in maniera sinistra; nello stesso tempo altre gocce di sudore continuavano a scendere lungo la mia schiena e una piccola parte di me mi appuntò che avevo assolutamente bisogno di una doccia e di vestiti puliti.
“Vi credevo più intelligenti quando vi ho visto là sopra.” Disse il monaco indicando con una mano il soffitto; aveva la carnagione scura.
Io e Dimitri ci fissammo perplessi.
“Che vuoi dire?” Domandai cogliendo ogni minimo movimento intorno a me.
“Voglio dire che se foste veramente intelligenti, gettereste a terra quelle armi.” E fece un passo avanti.
Fu questione di una frazione di secondo. All’improvviso tutto sembrò rallentare: Dimitri che si avvicinava a me, il monaco che faceva un passo avanti, il mio dito sul grilletto. Il mio fu un gesto automatico: il mio indice schiacciò il grilletto e la pallottola volò attraverso la stanza, roteando centinaia di volte su sé stessa, mentre io trattenevo il respiro e sentivo il rumore dello sparo rimbombarmi nelle orecchie, amplificato dalle pareti di roccia della caverna.  Il proiettile però non aveva preso la traiettoria da me voluta, mancando il monaco e andandosi a conficcare nella parete opposta, lasciando un profondo buco appena visibile e una nuvola di polvere. Mi accorsi a malapena che Dimitri si era irrigidito accanto a me.
“Ti do un cinque. Il talento c’è, ma la mano non era ferma e tieni la pistola in modo sbagliato.”
In quel momento mi sembrò cadere la mascella. Non è possibile.
“Oh, oh ,oh, frena, frena.” Mi presi la testa tra le mani, scostandomi un ciuffo di capelli dagli occhi, incredulo.
“Stai seriamente votando il mio colpo? Avrei potuto ucciderti!”
“Ma non l’hai fatto.” La calma con cui lo disse mi fece ribollire il sangue nelle vene. Come si permetteva di valutare come sparavo quando ci aveva terrorizzati a morte fino a poco prima? Dimitri aveva ragione quando diceva che quel tipo era fuori come un balcone.
“Shawn, sta calmo.” Dimitri mi appoggiò la sua mano sul bicipite e lo strinse leggermente. Notai che aveva abbassato la pistola. Lui sembrò rendersene conto nel mio stesso istante, ma era troppo tardi. Il monaco ci era già addosso e entrambi fummo scaraventati con un colpo in pieno petto dall’altra parte della stanza. Atterrai su un fianco e rimasi senza fiato: quando ero stato colpito mi era sembrato che i miei polmoni fossero bucati, la mia cassa toracica chiusa, l’aria completamente assente. Per un attimo il campo visivo fu inondato di macchie nere, che se ne andarono velocemente così come erano venute.
Mi misi a sedere a fatica, appoggiandomi sui gomiti, ammaccato e dolorante. Un veloce sguardo e vidi Dimitri, anche lui seduto e con un’espressione sorpresa sul volto. Sapevo cosa volesse dire quello sguardo: Ma come diavolo ha fatto?
Nel frattempo il monaco si era avvicinato e aveva raccolto le pistole, osservandole come se volesse imprimerle nella memoria. Poi le appoggiò su un tavolo e si rivolse a noi.
“Non avete bisogno delle armi per difendervi. Come potete vedere avrei potuto uccidervi cento volte, e voi non avreste fatto in tempo a rendervene conto.”
Inspirai a fondo mentre sentivo un nuovo moto di paura muoversi nelle vene.
“Come hai fatto?” fu tutto quello che riuscii a dire.
“È stata l’antica arte del ninjitsu  a farlo, non io.” Rispose il monaco come se gli avessi chiesto l’orario.
“Non è possibile …” anche io conoscevo il ninjitsu ed ero arrivato ad un livello avanzato, ma non ero comunque riuscito a prevedere o a parare il colpo. Possibile che il colpo provenisse da quella disciplina? Mi sembrava impossibile, se fosse stato così lo avrei riconosciuto. C’era  qualcosa però che me lo aveva ricordato, forse la posizione delle gambe, o la mano aperta sul mio petto. Ma no, stava mentendo, era evidente, nessuna tecnica che avessi mai studiato, era paragonabile a quello. Mi era sembrato di sfracellarmi al suolo dopo una caduta di parecchi metri, che il mio respiro si fosse pietrificato, che i miei polmoni avessero smesso di funzionare. Non poteva essere …
“Capisco il tuo sgomento, Shawn. Ricordati però …”
“Come fai a conoscere il suo nome?” Dimitri si era alzato e aveva una strana luce negli occhi, che non avrei saputo identificare. Mi alzai a mia volta, notando solo in quel momento che ero stato sdraiato tutto il tempo, e mi misi al suo fianco.
“Credo che il tuo amico possa parlare da solo, Dimitri.
Il nostro silenzio parlò per noi. Quella faccenda stava decisamente prendendo una brutta piega.
“Ragazzi, andiamo, vi credevo più svegli. Chiudete quelle bocche, sembrate dei baccalà.”
Mi accorsi che ero rimasto a bocca aperta – per lo stupore o per il terrore, non sapevo dirlo – solo quando la richiusi.
“Ecco, va sicuramente meglio.” Il monaco si appoggiò con le mani alla scrivania, che ci separava. “Dunque, stavo dicendo, non credevo che foste così ritardati. Dovrò rimboccarmi le maniche con voi due.”
Dimitri scattò in avanti, trascinando anche me nel disperato tentativo di tenerlo per un braccio. Si liberò con uno strattone e puntò il dito contro il monaco.
“Ritardati? Ritardati?!  Hai giocato ad acchiapparella con noi nel cimitero lanciandoci teschi. Teschi. E ossa. Ci ha chiuso nell’ossario e per poco non ci restavamo secchi!”
Il monaco rise di gusto, portandosi una mano alla pancia, mentre Dimitri imprecava, ordinando di lasciarlo. L’aria era carica di tensione e tesa come una corda di violino.
“Senti, apprezzo il tuo modo diretto di dire le cose, ma se non fosse stato per me, non sareste mai arrivati qui.” E indicò la sala con un gesto ampio, come a volerla abbracciare.
“Tu ci hai mandato qui di proposito?” la nota di sconcerto nella mia voce era evidente. “Perché?”
“Ripeto quello che ho detto prima: non siete per niente svegli.” Il monaco si sedette sulla sedia e poggiò i piedi sulla scrivania. Indossava delle comuni scarpe da uomo.
“Se non vi fossi venuto incontro, a quest’ora vi ritrovereste alle prese con il custode del cimitero, che si aggirava dalle vostre parti. Facendo scappare voi, ho fatto scappare anche lui.” Si portò le mani dietro la testa, ma ancora il cappuccio non lasciava intravedere il volto. “In quanto alle ossa, erano vere, ma il regolamento del cimitero non vieta di usufruirne per scopi personali.”
Inorridii. “Le ossa erano vere? E ce lo dici così?”
“E come dovrei dirvelo? Con dei disegnini, forse?”
“Molto divertente” Dimitri sbuffò. La situazione ci stava letteralmente sfuggendo di mano. Il monaco sembrò ignorare il suo commento, perché continuò a parlare come se nulla fosse.
“Lo ammetto, anche se non avrei dovuto, mi sono divertito a terrorizzarvi come si deve. Avreste dovuto vedere i vostri sguardi impauriti e imploranti.”
“Brutto figlio di …” Questa volta riuscii a trattenere Dimitri prima che mi sfuggisse. Le vene pulsavano sul suo collo, la mascella era contratta. Immaginai di essere nelle stesse condizioni.
  “Poi siete arrivati davanti all’ossario. Ci avete messo un po’ ad entrare ma finalmente vi siete decisi. Ho aspettato che abbassaste la guardia e vi ho chiuso dentro. Solo in seguito mi sono ricordato di accendere la luce, e ho sentito le vostre urla. Sembravate in punto di morte.”
“Lo eravamo, con degli scheletri a pioverci addosso.” Questa volta fui io a commentare. In qualche modo, provare a sdrammatizzare rendeva più facile la concentrazione.
“Avreste dovuto affrontare la prova decisiva: non sapevo se eravate voi quelli giusti, ma a quanto pare lo siete. Peccato che siate così poco svegli.”
“Che intendi dire con ‘Siamo quelli giusti’? Potremmo essere anche sbagliati?”
 “Apprezzo le battute di spirito, ma questa faceva pena.” Il monaco si alzò e aggirò la scrivania. Poi iniziò a ridacchiare. “Siete così ingenui …”
“Ora basta!” Sbottai insieme a Dimitri. A forza di pensare e di mantenere la calma, avevo il cervello completamente fuso e i muscoli doloranti, per non parlare della gola secca e della lingua più ruvida e arsa della carta vetrata. “Dicci una volta per tutte cosa sta succedendo e cosa vuoi da noi!”
Il monaco continuò a ridere. “Io non voglio niente da voi. Semmai, siete voi a volere qualcosa da me.” Si grattò il mento con fare pensieroso.
“Adesso però voglio che riflettiate. Vi ho detto che eravate quelli giusti. Che vi ho condotto qui di mia spontanea volontà. Fate girare gli ingranaggi dei vostri neuroni, per favore.”
Riflettei. Noi eravamo quelli giusti. Ci aveva indirizzato lì. Non aveva avuto paura che lo uccidessimo e conosceva i nostri nomi.
All’improvviso fui invaso da una scossa che mi trapassò da parte a parte, mentre sentivo con chiarezza il rumore del mio cervello che elaborava le informazioni. Una corda invisibile e tesa si spezzò di colpo. Mi sembrò quasi di vedere una lampadina accesa fluttuare sopra di me.
“Ti ha mandato mio nonno.” Dissi solo. Il monaco rimase impassibile, ma non mi scoraggiai. Tutto quadrava, maledizione!
“Tu sapevi che mio nonno voleva che arrivassimo qui, non è vero? Per questo non ci hai ucciso quando ne avevi l’occasione …”
Anche la lampadina di Dimitri si accese. “Tu conoscevi noi, ma non il nostro aspetto. Ecco perché ci hai chiuso nell’ossario, volevi vedere se eravamo capaci di uscirne!” Dimitri si portò una mano alla fronte. “Era tutto calcolato!”
A quelle parole il monaco applaudì con un gesto teatrale. “Finalmente, ci siete arrivati! Non lo avrei mai creduto possibile, nutrivo dei forti dubbi sul vostro quoziente intellettivo.” Poi fece qualcosa d’inaspettato: si tolse il cappuccio.
Per un lungo istante trattenemmo il fiato. Poi lo guardai meglio e feci un salto in avanti.
“Io ti conosco!” gridai allungando una mano come a volerlo toccare. “Ti ho già visto da qualche parte!”
“Che stai dicendo, Shawn? Chi è quest’uomo?” Dimitri era ancora confuso, ma non m’importava,
“Io … c’era una foto …” frugai tra le immagini impresse nella mia memoria. Le passavo in rassegna cercando di trovare quella decisiva, mentre le altre mi scorrevano davanti come un fiume. Non passò molto tempo prima che la trovai, legata al suo ricordo.
 








13 anni prima
“Nonno! Nonno corri, vieni qui!”
Il bambino strillava con voce allegra, mentre il nonno gli andava incontro e allargava le braccia. Il bambino vi ci si tuffò dentro e fu sollevato in aria, mentre rideva e si divertiva, immaginando di volare. Si strinse forte al collo del nonno con una mano, mentre l’atra stringeva un orsacchiotto di peluche con un fiocco azzurro attorno al collo.
“Sono qui ragazzo mio.” Disse suo nonno e provò a posarlo a terra, ma il bambino si aggrappò ancora di più a lui, nascondendo il viso nella sua spalla. “Ti voglio tanto bene, nonno.”
“Anche io te ne voglio, angioletto mio.”
L’uomo sentì il bambino sporgersi per afferrare qualcosa dietro di lui. “Nonnino,chi è questo signore?”
L’uomo si era girato e aveva preso tra le mani una foto dentro una cornice decorata con dei ciottoli di varie forme. Nella foto sorridevano due uomini, uno con una cicatrice che gli sfigurava il volto, l’altro con la pelle scura, il naso grande, le labbra piene e la testa priva di capelli. Entrambi indossavano un’uniforme militare e dietro di loro il paesaggio era un’unica distesa di sabbia.
“Questo sono io.” Indicò l’uomo con la cicatrice.
“Lo so che sei tu, nonnino, non sono un pollo.” Replicò il bambino con un’espressione contrariata che suo nonno trovò molto buffa. “Voglio sapere chi è questo qui.”
Il nonno sorrise e sospirò allo stesso tempo. “Questo è un mio caro amico.”
“E adesso dov’è?” domandò il nipote guardando l’uomo con quei suoi strabilianti occhi verdi.
“Non lo so, ma lo conoscerai, un giorno.”
Il bambino batté le mani, lasciando cadere l’orsacchiotto a terra. Suo nonno lo raccolse e glielo porse. “Che bello! Diventeremo amici?”
Il nonno gli passò una mano tra i capelli biondi. “Diventerà uno dei tuoi amici più cari, Shawn.”
 








“Tu sei amico di mio nonno. Ho visto una tua foto in soggiorno, eravate nel deserto …”
L’uomo sorrise compiaciuto. Non era cambiato, sembrava ancora giovane e forte, anche se credevo che dovesse essere molto vecchio.
“Esatto, Shawn. Vedo che non sei così idiota come temevo.” Si avvicinò a entrambi e ci tese la mano. “Mi chiamo Cyril e sono qui per aiutarti a uccidere Aima.”

 
 




Angolo Autrice:
Ta-daaaaan! Ecco un capitolo nuovo di zecca :3
Ancora una volta sono in ritardo, lo so, ma si sono presentate delle complicazioni -.- questa settimana sarei dovuta partire in Grecia e spassarmela, ma la polmonite ha rovinato tutto –fuuuuck-
Come se non bastasse mi mancava l’ispirazione per scrivere il capitolo, mi sono bloccata alla descrizione della caverna e credo che sia una delle peggiori mai scritte – mi scuso in anticipo
Piaciuta la sorpresa finale? Muauhahahaha sono diabolica.
Detto questo vi lascio e ci sentiamo al rpossimo capitolo!
L.C.

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