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di zainsmoon
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1° Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2° Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3° Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4° Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5° Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6°Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7° Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1° Capitolo ***



Mi alzai di malavoglia dal mio letto caldo e scesi sbuffando in cucina a fare colazione.
Ogni mattina era sempre la stessa storia, non sentivo la sveglia e finivo sempre per entrare in ritardo a scuola.
Quello stupido edificio con quegli stupidi individui. Ritornai al piano di sopra lavandomi i denti in tutta fretta, mi spazzolai i capelli corvini e mi vestii con un semplice paio di jeans e una felpa blu notte.
Mi piacevano i colori scuri, mi piaceva il buio. La notte, l’oscurità. Di fatti amavo il colore dei miei capelli, ma non quello dei miei occhi. Erano di un azzurro chiaro, quasi verdi. Tutti rimanevano a bocca aperta ogni volta che incrociavano il loro sguardo col mio, ma io li odiavo. Soliti occhi che ti lasciano senza parole. Una noia insomma.
Sbuffai nuovamente mentre  mi mettevo la cartella sulle spalle e salutavo con un cenno della mano mia madre e mio padre che stavano tranquillamente facendo colazione. M’incamminai verso una stradina secondaria, una specie di scorciatoia che avevo scoperto circa due anni fa. Sfilai dal taschino dei jeans il cellulare con le cuffiette e me le misi nelle orecchie, mettendo a massimo volume The A Team di Ed Sheeran. Quell’uomo era un poeta, riusciva a calmarmi con la sua voce dolce e le sue frasi piene di significato. Sentii il telefono vibrarmi nella mano sinistra.
Da: Abbie

"In ritardo? Sei sempre la solita. xx"

La mia migliore amica. Sorrisi mio malgrado e rimisi il telefono nella tasca dei jeans, senza risponderle. Sarei arrivata in classe di lì a pochi minuti.
Aprii la porta dell’aula e mi fiondai vicino ad Abbie, sorridendole.

“Hemmings, quando si deciderà ad arrivare in orario una volta tanto?” Mi chiese retorico il prof di trigonometria.

“Mi scusi.” Cantilenai per la quarantesima volta in quel mese.

Eravamo appena a ottobre e già non ne potevo più di quella scuola.
Mi girai di lato per prendere il quaderno degli appunti, quando vidi un ragazzo dagli occhi color caramello fissarmi. Liam Payne. Sogghignò divertito quando inarcai un sopracciglio, sorpresa. Volsi gli occhi da un’altra parta, sentendomi lievemente in imbarazzo. Liam Payne. Il solito ragazzo misterioso, affascinante, capo della squadra di basket, noto anche come il più adorato da tutte le ragazze della scuola. O dovrei dire, da tutte le galline della scuola. Sbuffai. Di nuovo. Non mi aveva mai guardato o rivolto la parola in nessuna occasione o per un motivo particolare, apparte per stuzzicarmi e rendermi ogni tanto la vita un inferno. Lo odiavo. Era uno stupido, ecco tutto. Un cazzone, ad essere precisi. Credeva di essere figo con quegli atteggiamenti da bullo, ma a me dava solo il voltastomaco. Dopo poco suonò la campanella di fine ora, e mentre ringraziavo tutti i santi mi diressi fuori dall’aula, nei corridoi. Ruotai la manovella e composi il mio codice, aprendo così il mio armadietto.  Presi i libri della lezione successiva, e vidi una mano dalle lunghe dita chiudermi l’anta. Mi girai lentamente, ritrovandomi nuovamente quelle pozze color caramello guardarmi. Con la differenza che ora erano a pochi centimetri dai miei, e si potevano notare alcune pagliuzze dorate che spuntavano ai lati delle pupille. Si poggiò con una spalla al mio armadietto, incrociando le braccia e sorridendo beffardo.

“Ciao, Elizabeth.” Sussurrò divertito.

“Che diavolo vuoi?” Di solito non ero sgarbata con le persone, ma con lui era un caso a parte.

Alzò le mani in segno di resa.

“Calma bambola.” Mi apostrofò ridacchiando.

Mi avvicinai al suo viso, guardandolo truce.

“Non chiamarmi bambola.” Ringhiai.

“Aggressiva la ragazza.” Disse sollevandomi il mento con due dita.

Assottigliai gli occhi, per poi allontanarmi da lui infastidita. Girai i tacchi e mi avviai verso Abbie, che mi guardava confusa. Prima di entrare nell’aula di filosofia però, sentii chiaramente Liam urlare.

“Bel culo Hemmings!”

Prima o poi gli avrei spaccato la faccia, poco ma sicuro.


-Ciao a tutti, aw.
Sono Valentina e ho scritto una fanfiction a tema Liam. Perchè è stato quello che mi ha colpito di più. 
Mi scuso se è molto corto, ma diciamo che questa è l'introduzione dei due personaggi principali, ossia Elizabeth e Liam. Lei tranquilla, un pò timida e con tanta personalità, lui strafottente e affascinante. 
Recensite e ditemi cosa ne pensate, un bacio. <3

 

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Capitolo 2
*** 2° Capitolo ***


“Liz.” Sussurrò la mia migliore amica vicino al mio banco per non farsi sentire da quella megera di filosofia.

“Mmh.” Mugulai in risposta. Sapevo cosa volesse sapere, ma non avevo voglia di ritornare a pensare a quell’idiota.

“Perché Liam ti ha..?” Ecco, appunto. Alzai una mano in aria e mi scrollai le spalle con fare disinteressato.

“Non ne ho idea, Ab.” Mormorai cercando di stare attenta alla lezione. Cosa alquanto ostica.

“Ma perché lo hai allontanato?” Continuò lei imperterrito. 
Giocai con la penna che avevo tra le dita e feci scattare il tasto per far elevare la punta della biro più volte, guardandola inespressiva.

“Non m’interessa, e non ci voglio aver nulla a che fare.” Risposi semplicemente, sorridendole subito dopo.

Decise di non chiedermi più nulla, e la lezioni continuarono, fino a finire definitivamente.
Mentre afferravo le chiavi di casa dalla mia cartella sentii un corpo avvicinarsi lateralmente al mio fianco. Alzai di poco lo sguardo e vidi due converse bianche fare capolino. Liam. Mi alzai e lo guardai, curiosa.

“Cosa c’è?” chiesi spiccia e fredda.

“Volevo solo chiederti se domani potevi venire a casa mia per darmi delle ripetizioni in storia dell’arte. So che tu sei molto brava.”
Sorrise maliziosamente, avvicinandosi e mettendomi una mano su una spalla. Mi scansai, sbalordita.

“Da quando in qua tutta questa confidenza, Payne? E poi tu credi che io venga a casa tua ad aiutarti? Non ci pensare. Studia da solo.” Mormorai infastidita.
Non mi aveva mai rivolto la parola e così, da un giorno all’altro, di punto in bianco, si permetteva di toccarmi e di chiedermi delle ripetizioni.

“Mi spiace Hemmings, ma devi  venire.” Disse marcando la parola ‘devi’. Lo guardai corrugando le sopracciglia.

“La Spielt dice che se non mi aiuti rimanda sia te che me.” Continuò, e vidi subito dopo un sorriso increspargli le labbra rosse e carnose.

Aprii la bocca per ribattere, ma non ne uscì alcun suono. Allargai le braccia, sconvolta.

“Ma non è giusto!” Riuscii solamente a dire. Che risposta banale. 
Lui scoppiò in una fragorosa risata.

“Vorrà dire che staremo un po’ più di tempo insieme, Hemmings.” Sussurrò accarezzandomi con il pollice una guancia.

Arrossii violentemente a quel contatto e mi scansai. Lo vidi ridacchiare, di nuovo.

“Allora ci vediamo domani a casa mia alle 16.00, via Jamseen Street 28. Ti aspetto, non fare tardi.”

E con queste parole se ne andò, facendomi l’occhiolino e ammiccando spudoratamente. Lo seguii con lo sguardo fin quando non oltrepassò il cancello della scuola.
Mi avvicinai ad Abbie, che si era fermata a chiacchierare con un paio di ragazze del nostro corso di chimica. L’afferrai senza tante cerimonie per un braccio e la trascinai fuori da scuola, verso casa mia.

“Ehi, ma che ti prende?” Farfugliò gesticolando.
“Vieni con me, ordiniamo una pizza dai cinesi e poi ti spiego tutto quanto in camera mia.” Risposi balbettando.
Non servirono altre parole, mi sorrise dolcemente e affrettò il passo. Meno male che avevo lei.
***
 
“E quindi mi stai dicendo che andrai a casa di Liam domani, per dargli ripetizioni?” Mi chiese di nuovo, mentre trangugiava l’ultimo boccone di pizza alla diavola.

“Si.” Risposi monosillabica, ero veramente infastidita da tutto ciò.
Come poteva la prof rimandare anche me se non avessi voluto aiutarlo? Non era assolutamente giusto, non poteva fare così.

“Secondo me a Liam non è che interessi molto storia dell’arte, piuttosto te direi.” Affermò guardandomi di sottecchi.
Per poco non mi soffocai con la pizza che avevo in bocca. Riuscii a mandarla giù con un colpo di lingua, iniziando a tossire subito dopo.

“Ma cosa diavolo stai blaterando?” Risposi, rossa in viso, un po’ per  la pizza e un po’ per quello che mi aveva detto.
Ridacchiò e mi accarezzò i capelli.

“Scusa Liz, stavo solo pensando ad alta voce.” Si giustificò con un sorriso sotto ai baffi che tradiva la sua innocenza.
Le lanciai un’occhiata minacciosa, per poi abbassarmi ad accarezzare le orecchie morbide di Buffy, il mio gattino di due anni e mezzo. Lui fece le fusa, strusciandosi lentamente sulle mie dita, soddisfatto di quel contatto.

“Dai Liz, non abbiamo nulla da studiare, che ne dici se ci guardiamo un film strappalacrime? Io scelgo il dvd e tu metti nel microonde i popcorn.” Mi chiese entusiasta.

I miei erano entrambi fuori per lavoro, lavoravano insieme. Erano avvocati. Avevo per quattro giorni casa libera, ma non ero una di quelle ragazze che in quelle occasioni preparavano feste monumentali o trasformavano la propria dimora in una discoteca squallida. Preferivo stare a guardare film con la mia migliore amica, mangiando schifezze e chiacchierando del più e del meno.

“Okay, ma non Titanic, ti prego. Lo avremo visto almeno trenta volte.” Acconsentii.

La vidi fare il broncio, mentre riponeva la videocassetta sul ripiano del mobile. Ridacchiai divertita, abbracciandola. Le volevo davvero un gran bene.
***

“Merda Liz!” Mi svegliai di soprassalto quando Abbie mi scosse freneticamente le spalle per farmi aprire gli occhi.

“Cosa..come?” Farfugliai confusa, mettendomi una mano sulla testa. Ieri sera avevamo drasticamente cambiato tipo di film, scegliendo The Ring, e ci eravamo addormentate alle tre perché ci eravamo entrambe cagate sotto dalla paura.

“Sono le 7:40, non abbiamo sentito la sveglia! Muoviti che dobbiamo andare!” Urlò istericamente, correndo verso il bagno a sciacquarsi la faccia.

Non si prospettava una giornata positiva, soprattutto per il fatto che dopo la scuola sarei dovuta andare a casa di Liam per le ripetizioni. Imprecai mentalmente, che razza di sfiga.


Buonasera a tutti ajiuhv.
Innanzitutto ringrazio le 39 visite e la prima recensione che ho ricevuto, davvero grazie mille. <3
In questo capitolo Liam non compare molto, diciamo che viene più approfondito il rapporto tra Elizabeth e Abbie.
Anche questo capitolo è molto corto, perdonatemi ancora.
Spero vi piaccia, recensite se vi va. c:
Baci, Valentina. xx
 

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Capitolo 3
*** 3° Capitolo ***


Entrammo di filato io e la migliore amica, riuscimmo a sederci in tempo, proprio quando la campana suonava l’inizio della prima ora. Sbuffammo contemporaneamente, erano appena le otto e già ero completamente esausta. Mi sistemai meglio sulla sedia e presi l’astuccio e il quaderno degli appunti. Prima ora, fisica. Una noia assurda. Mi misi una mano sotto al mento e con l’altra mi avvicinai la penna alla bocca, mordicchiando il cappuccio ogni tanto. Ero persa nei miei pensieri, quel giorno sarei dovuta andare da Liam. Alzai gli occhi al cielo a quel pensiero, mi veniva il nervoso solo ad immaginarmi io che dovevo aiutare quella testa bacata senza neanche trarne alcun vantaggio. Sussultai leggermente quando qualcosa di leggero mi colpì la testa. Abbassai lo sguardo e vidi una pallina di carta. La raccolsi e la aprii. Un biglietto, da Liam. Ma com’è che tutto ad un tratto si interessava a me a tal punto da mandarmi un bigliettino? Lo misi sul banco e feci finta di scrivere qualche appunto mentre leggevo il contenuto.

“Stai benissimo con quella maglietta, amore.”

Guardai in basso. Sbarrai gli occhi e arrossii violentemente quando vidi cosa diavolo mi ero messa. Per la fretta avevo preso la prima cosa che avevo trovato nell’armadio, che idiota. Avevo una maglietta bianca semi trasparente e sotto di essa un reggiseno blu notte, che si intravedeva chiaramente. Diedi una gomitata ad Abbie, che si risvegliò dal suo mondo fatato.

“Razza di deficiente, perché non mi hai detto niente?” Le sussurrai incazzata indicando con un dito ciò che mi ero messa.

“Che dovevo dirti scusa? Stai bene.” Alzò le spalle e fece il labbruccio, incurante.

Serrai la mascella per trattenermi dall’impulso di scaraventare tutto per aria e mi girai verso Liam, che mi guardava con un ghigno stampato in faccia. Mi girai di scatto, rossa in viso, quando subito dopo mi fece l’occhiolino. Merda merda merda.

***

“Allora a domani Liz, poi mi racconti tutto okay?” Mi chiese Abbie, dandomi un bacio sulla guancia.

Annuii e le sorrisi, salutandola poi con la mano per avviarmi al bar della scuola.
Pranzai con una mia compagna di corso di giurisprudenza, Sophie, era davvero simpatica. Decidemmo poi di studiare un po’ in biblioteca, data la verifica che sarebbe avvenuta a breve. Me la cavavo in quasi tutte le materie, solo in fisica ero una schiappa. Per il resto però andavo abbastanza bene, e ogni tanto i professori mi lodavano per i buoni voti che ricevevo ad ogni prova, sia scritta che orale. Alle medie ero sempre stata apostrofata come ‘la secchiona della classe’ ma mi andava bene così, insomma, lo studio mi serviva per il mio futuro, non ci tenevo a fare la bidella per il resto della mia vita. Guardai l’orologio e spalancai gli occhi, le quattro meno dieci.

“Scusa Sophie devo proprio andare, ho un impegno, ci vediamo domani.” Mi congedai, salutandola.
Mi sorrise e si alzò anche lei, prendendo i libri e mettendoli nella borsa.
 
 Corsi fuori dalla scuola, percorrendo a passo svelto il vialone che mi avrebbe portato verso Jamseen Street. Percorsi velocemente la stradina secondaria e mi guardai intorno: era un quartiere piuttosto benestante, le case erano in stile americano, con delle colonne portanti in cemento all’entrata. Percorsi il vialetto e aprii con un fianco la staccionata bianca che mi divideva dalla villa. Suonai il campanello e attesi. Dopo una manciata di secondi sentii dei passi avvicinarsi all'ingresso, e lo vidi spalancare la porta. Aveva una camicia a scacchi blu e bianca, un paio di jeans strappati e degli stivaletti marrone scuro. Era bellissimo.

“Dimmi se hai finito con la radiografia, però fai con calma, tranquilla.” Mi prese in giro con un ghigno.
Alzai immediatamente lo sguardo sul suo viso, sentendomi le guance improvvisamente più calde.

“Possiamo studiare in camera mia.” Mi sussurrò.
Indietreggai scettica. Non ero veramente sicura che lo studio fosse il suo vero intento in quella stanza.

“Tranquilla, non voglio stuprarti.” Confessò ridendo.
Se possibile diventai ancora più rossa, non ero da neanche un minuto in quella casa e già mi ero imbarazzata a livelli estremi.

“Saliamo?” Mi chiese poi, sorridendomi. Annuii leggermente e lo seguii su per le scale di legno.

***
 
“Liam, ma perché non capisci?” Strillai alzando le mani in alto. Ero ufficialmente esaurita.
Quel ragazzo secondo me lo faceva apposta, non poteva essere così ottuso.

“Scusami professoressa, ma storia dell’arte non è il mio forte!” Urlò lui di rimando, infastidito.

“Lo avevo notato.” Constatai alzandomi e prendendo a girare per la sua stanza, cercando di calmarmi.
Sentii due mani prendermi per le spalle. Mi girai, ritrovandomi il suo viso a pochi centimetri dal mio.

“Direi che per questa volta possiamo terminare qui, grazie dell’aiuto, sei stata davvero gentile a venire qui.” Liam che mi ringraziava per qualcosa? Segnatevelo sul calendario gente, è un momento storico questo.

“Okay.” Balbettai iniziando ad agitarmi, tutta quella vicinanza con lui mi rendeva inquieta.

Forse lo capì, perché lo vidi avvicinarsi maggiormente al mio corpo. Di riflesso indietreggiai, non so perché ma ero leggermente spaventata dal suo sguardo. Mi metteva in soggezione. Arrivai fino alla sua scrivania, e lui si affrettò a chiudermi il passaggio mettendo  entrambe le mani ai lati del mio corpo.

“Strada chiusa.” Sussurrò al mio orecchio.
 
Sussultai quando posò dolcemente le sue labbra sulla mia guancia. Mi dimenai cercando di togliermelo di dosso ma nulla. Anzi, se possibile, si avvicinò ancora di più, mettendosi del tutto su di me. Eravamo corpo contro corpo. Petto contro petto. Tutta quella situazione era imbarazzante.  Inutile dire che ero rossa come non si sa cosa, e improvvisamente iniziavo a sentire un gran caldo in quella stanza. Spostò le sue labbra più in basso, verso la mascella. Il mio respiro stava diventando man mano più pesante, non riuscivo proprio a scollarmelo di dosso. Tentai di aumentare la distanza tra di noi mettendogli entrambe le mani sul petto, cercando di spingerlo via. Stranamente si distaccò e mi guardò. Avevi degli occhi mozzafiato. Caldi, dolci, che esprimevano affettuosità e passione. E poi tutto accadde in un secondo: diminuì le distanze fra di noi con una velocità impressionante, e mi baciò. M’immobilizzai, esterrefatta. Non riuscivo a muovermi, sentivo solo le sue labbra sulle mie. Erano morbide. I miei occhi erano sbarrati dall’incredulità, mentre i suoi erano semichiusi, si voleva godere il momento. Mi sembrava tutto un’assurdità. Io, che venivo baciata da Liam Payne, il capitano della squadra di basket, seguito e adorato da tutti. Tranne che da me. Non so con quale forza ma riuscii a togliermi da lui, scansandolo con una spallata tutt’altro che delicata e guardandolo infuriata.

“Devo andare, ciao.” Riuscii solamente a dire, mentre il mio sguardo bruciante di rabbia incendiava i suoi occhi, altrettanto brucianti, ma per tutt’altra cosa.

Afferrai il mio zaino e corsi al piano di sotto, salutando di filato la donna delle pulizie che era arrivata a casa qualche decina di minuti fa, e mi catapultai fuori da quella casa. Finalmente, aria fresca. Respirai a pieni polmoni e decisi di darmi una calmata ascoltando qualche canzone. Estrassi cellulare e cuffiette dallo zaino e  mi sparai a volume massimo They don’t care about us di Michael Jackson.
Arrivata a casa, aprii lentamente la porta e me la richiusi alle spalle, scendendo poi con la schiena su di essa, fino a sedermi sul pavimento. Mi misi le mani sulla faccia, coprendomela del tutto, e alzai le ginocchia verso il mio viso, poggiandomici sopra con i gomiti.
Ma che diavolo stava succedendo? Perché aveva fatto così? Perché mi aveva baciata? 


Ciao ancora awawww diufh.
okay basta lol
Ed ecco il terzo capitolo. Personalmente sono felicissima per Liz, Liam l'ha baciataaaa uhuhh idfhch HAHAH no okay la smetto. ewe
Come al solito, se vi piace o volete dirmi dei pareri, recensite.
Grazie per la lettura, baci, Valentina. x

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Capitolo 4
*** 4° Capitolo ***



“Cosa?” Strillò Abbie dall’altra parte della cornetta. L’avevo chiamata appena mi ero data una calmata e avevo smesso di prendere a pugni il cuscino che si trovava sul divano.

Allontanai il telefono di qualche centimetro, le sue urla mi stavano trapanando i timpani. Era da dieci minuti che andava avanti così.

“Si, hai capito bene Abbie. Mi ha baciata. Ba-cia-ta.” Sillabai lentamente, come se stessi parlando con un bambino di quattro anni. La sentii trattenere un urletto nervoso.

“Non so che dirti Liz. Solo che secondo me gli piaci.” Mi confessò tranquillamente, a voce inspiegabilmente più bassa.

“Non so che fare Ab. Secondo te?” Mi mordicchiai il labbro inferiore nervosamente.

“Ti è piaciuto?” Mi chiese di punto in bianco.

“Cosa...?” Chiesi incredula. Riusciva sempre a stupirmi.

“Il bacio. Ti è piaciuto si o no?” Chiarì, attendendo pazientemente una mia risposta.

“Non saprei…” Ammisi, ancora più nervosa. Sapevo solo che una scarica di adrenalina aveva scosso tutto il mio corpo, appena aveva posato le labbra sulle mie. E non riuscivo a capire se fosse stata una cosa positiva o negativa.

“Ho capito Liz, sei confusa. Fai così, riposati, magari fatti una doccia. Insomma stacca un attimo la spina da tutta questa situazione, non arrovellarti il cervello con le tue solite miriadi di ipotesi e rilassati, altrimenti è peggio.” Mi consigliò con voce dolce.

“Okay, grazie mille Ab. Ci vediamo a domani.” La salutai assecondando i suoi consigli. Schiacciai il tasto rosso del telefono e lo poggiai sul tavolo.

Respirai lentamente, chiudendo gli occhi. Possibile che un suo stupido bacio mi aveva procurato tutto questo? Ah già, forse perché era il mio primo bacio. E lo avevo dato proprio a lui. Decisi di andare a farmi una doccia, proprio come mi aveva detto Abbie. Salii le scale e aprii la porta del bagno, chiudendomi successivamente a chiave. Anche se ero da sola, preferivo comunque avere una specie di protezione e d’intimità, in quella stanza. Mi spogliai velocemente, rimanendo in intimo. Mi guardai allo specchio: avevo i capelli tutti spettinati, le labbra screpolate e secche a furia di morderle ogni due secondi a causa della tensione accumulata, e le unghie delle dita tutte mangiucchiate. E tutto questo per colpa di Liam. Inevitabilmente grugnii, ancora in collera con lui. Domani gli avrei assolutamente chiesto spiegazioni.
 
 Aprii il rubinetto della vasca e la riempii quasi fino all’orlo d’acqua. Ci versai dentro praticamente tutto il flacone di bagnoschiuma e mi immersi. Presi lo shampoo e me lo misi un po’ sulla mano, iniziando a massaggiare lentamente la cute, socchiudendo gli occhi. Dopo qualche minuto mi risciacquai, e presi un asciugamano per fasciarmi il corpo bagnato. Presi il phon e scossi i capelli con le mani, facendoli asciugare. I miei capelli al naturale erano mossi, ma a volte ci passavo la piastra per renderli più lisci. Decisi di lasciarli naturali, e passai un po’ di crema alla vaniglia su gambe e braccia. Me l’aveva regalata mia madre il Natale scorso e mi era piaciuta talmente tanto che la ricompravo sempre. Tornai al piano di sotto e presi il telefono, poggiandolo sul comodino di camera mia. Mi misi il pigiama e mi accocolai nel letto, sotto alle coperte di flanella. Nonostante fosse metà ottobre, faceva già freddo, qui a Wolverhampton. Accesi il computer e andai un po’ su Tumblr. Era il mio sito preferito, pubblicavo foto che mi piacevano e scrivevo tutto ciò che mi passava per la testa. Insomma, lì ero me stessa. Reboleggai qualche post e poi ascoltai un po’ di musica. Riuscii finalmente a rilassarmi del tutto, e sentii i miei occhi chiudersi lentamente.

***
 
*He's got a Rolling Stones tee, but he only knows one song. They think they're from the sixty's, but they were born in 1991*

La voce delicata di Nina Nesbitt mi risvegliò dolcemente. Presi il cellulare e mi stropicciai gli occhi, leggendo successivamente il nome che compariva a grandi lettere sul display. Mamma. Premetti sul verde e risposi con la voce ancora impastata dal sonno.

“Ciao mamma.” La salutai pigramente.

“Ciao tesoro. Hai cenato? I compiti?” Ecco che iniziava con la raffica di domande.

“Si, i compiti li ho fatti a scuola e tra poco ordino una pizza.” Dissi a bassa voce.

“Va bene, io e papà torniamo tra cinque giorni.” Mi confessò mia madre.

“Cosa?” Quasi urlai.

“Il processo sta diventando sempre più complicato tesoro, non riusciamo a far concludere il caso. Promettiamo di essere lì prima di Halloween.” Mi disse dolcemente mia madre.

“Va bene mamma, ora ti saluto. Buonanotte.” La salutai, sorridendo lievemente.

Riattaccai e sospirai. Con i miei avevo sempre avuto un buonissimo rapporto, non discutevamo quasi mai, ed ero felice di avere dei genitori come loro. Mi consigliavano in ogni mia decisione, mi sostenevano. Per questo mi scocciava il fatto che rimanessero di più fuori casa. Erano a Berlino, cercavano di difendere il loro imputato in tutti i modi. Erano bravi nel loro lavoro, ed erano famosi per questo.
Mi vibrò il cellulare. Sarà mia madre che mi diceva di non comprare troppe porcherie mentre erano fuori. Aspettai che mi si illuminasse il display con il suo nome, ma il numero risultava stranamente sconosciuto. Aprii l’icona dei messaggi e successivamente il contenuto.

“Piaciuto il pomeriggio? Liam. xx”

Spalancai la bocca, stupefatta. Come diavolo faceva ad avere il mio numero? Digitai in fretta una risposta, sbagliando anche varie volte a digitare per il
nervoso.

“Sei solo una testa di cazzo. Come hai il mio numero?”

Dopo pochi secondi sentii di nuovo il telefono vibrarmi.

“Ho delle mie conoscenze. xx”

M’innervosii ancora di più a quella risposta sfacciata. Scometto diecimila dollari che stesse sghignazzando davanti al suo telefono, sapendo di starmi facendo innervosire sempre di più.

“Ti odio.”

Gli risposi semplicemente. Non sapevo come descrivere il mio disprezzo per lui, così scrissi le prime due parole che mi vennero in mente.

“Da come ansimavi oggi pomeriggio facevi capire tutto il contrario. x”

Faceva pure il sarcasmo il signorino ora. Non gli risposi, troppo infuriata per farlo.
Chiamai invece la pizzeria vicino casa e ordinai una margherita con patatine. Dopo una decina di minuti suonò al campanello il fattorino, con un cartone in mano. Pagai e salutandolo rientrai in casa. Mi sistemai sul divano e accesi la televisione, iniziando letteralmente a divorare la mia amata cena. Feci zapping tra un canale e l’altro, e mi soffermai su un programma di cucina, il presentatore mi faceva sempre crepare dalle risate.
Sentii nuovamente il cellulare vibrare, e, sbuffando sonoramente, aprii il contenuto del messaggio.

“Dov’è che abiti?”

Inarcai le sopracciglia, sempre più sorpresa. La sfacciataggine di questo ragazzo non aveva limiti.

“Ti frega?”

Risposi abbastanza rudemente al suo messaggio. Dopo qualche secondo s’illuminò nuovamente lo schermo.

“Se rivuoi la tua giacca mi devi dare il tuo indirizzo. x”

Oh merda. La giacca. Per la fretta me l’ero dimenticata a casa sua. Serrai la mascella, imprecando ad alta voce.

“Via Lash Street 14.”

Digitai velocemente, in attesa di una sua risposta.

“Sto arrivando. x”

Lessi il messaggio con un groppo alla gola. Possibile che mi stessi agitando così tanto?
Finii la mia pizza e spensi la televisione. Risistemai un po’ la sala e attesi impazientemente che arrivasse.
Sobbalzai quando sentii il campanello trillare. Corsi letteralmente alla porta, spalancandola.
 
Entrò e sorridendomi mi porse la giacca. L’afferrai senza tante cerimonie e la buttai sul divano. Incrociai le braccia, aspettando che se ne andasse.

“Che cosa vuoi ancora?” Chiesi istericamente. Dio se m’irritava quel ragazzo. In ogni cosa che faceva.

“Non mi ringrazi?” Mi chiese a sua volta con un sorrisetto furbo.

“No.” Non so con quale coraggio risposi così, in modo secco. E’ che mi aveva fatta esaurire, e mi aveva fatto venire mal di testa a forza di pensarlo tutto il giorno.

“No?” Mi domandò retorico.

Mi spinse al muro d’ingresso e mi baciò con foga il collo. Per la sorpresa m’irrigidii. Saltai quando sentii una sua mano accarezzarmi la spina dorsale e arrivare al mio sedere. Lo sentii stringere leggermente la presa su di esso. Ansimai più forte a quel contatto e sentii la sua bocca curvarsi in un sorriso. Spalancai gli occhi quando sentii le sue labbra leccare la parte sensibile di pelle che andava dall’attaccatura dell’orecchio alla base del collo. Succhiò avidamente, stringendo leggermente la pelle tra i denti.
Mi stava facendo un succhiotto. Sarebbe sicuramente rimasto un segno. Mi stava marchiando.

“Liam…” Mormorai in disappunto. Non volevo cedere, non con lui. Ma era impossibile. Ci sapeva fare, eccome se ci sapeva fare.

“Shh.” Sussurrò al mio orecchio, mordendomi successivamente il lobo.
Mise una mano sul mio fianco, accarezzandolo leggermente. Spostò le labbra sulla guancia, e baciò tutto il profilo della mascella. Posò poi lievemente le labbra sulle mie, in modo dolce, tranquillo. Istintivamente allacciai una mano sul suo collo, e con l’altra accarezzai i suoi capelli setosi. Fece le fusa come un gattino a quel contatto. Gli piacevano le mie carezze.
Diminuì del tutto le distanze fra di noi, schiacciandosi su di me. La sua altezza mi sovrastava, ero decisamente troppo bassa rispetto a lui. Accarezzò con la lingua il mio labbro inferiore, spingendolo con i denti verso di lui subito dopo. Voleva intensificare il bacio, ma io non ero d’accordo. Serrai ancora di più le labbra, intenzionata a non assecondarlo. Sobbalzai quando sfregò con un dito nel mio interno coscia. Dischiusi le labbra per la sorpresa e l’eccitazione e sentii la sua lingua far largo nella mia bocca. Dannazione, ci era riuscito. Aveva i suoi trucchetti, che infame.
Sbarrai gli occhi quando mosse sensualmente il bacino contro il mio, facendomi percepire la sua erezione nei jeans aderenti. Gemetti involontariamente, e sentii nuovamente il suo bacino muoversi contro il mio a quella mia reazione.
Sentirlo ansimare era decisamente troppo eccitante, lo avrei messo come suoneria se avessi potuto.
No, ma che diavolo mi stava venendo in mente? Stavo dando di matto.
Mi risvegliai dal mio mondo e con decisione lo spinsi via. Non dovevo cedere con lui. I suoi occhi erano più liquidi, pieni di desiderio. E miei altrettanto, ne ero sicura. Respiravamo entrambi in modo irregolare, vedevo il suo petto alzarsi ed abbassarsi velocemente.
Si avvicinò alla porta d’ingresso a abbassò la maniglia. D’istinto mi avvicinai anch’io, e vidi le sue labbra curvarsi in un sorriso.
Mi lasciò un bacio a fior di labbra e aprì la porta.

“Buonanotte Liz.” Mi salutò, per poi entrare nella sua BMW nera e mettere in moto.

Chiusi la porta alle mie spalle e sospirai.
Di male in peggio.


Eeeee buonasera genteeeee aw *stappa le bottiglie di champagne* sono ancora qui con voi uhuhu (?) no okay hahaha
beh, questo è il quarto capitolo, aww mi emoziono :')
no emh, apparte questo lol, ditemi se vi piace, recensite se volete, consigliatela alle vostre amiche o ai vostri amici, insomma fate girareeee uhuh AHAHAH no sto sclerando, è tardi e ho sonno cwc
Comunque sia, recensite sul serio se vi va, un bacio. 
Valentina. xx

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Capitolo 5
*** 5° Capitolo ***


La campanella suonò, segnando la fine delle prime tre ore. Uscii a passo svelto con Abbie dall’aula e, presi i cappotti dagli armadietti, ci dirigemmo fuori dall’edificio, nel cortile della scuola. Con un colpo di reni, mi eressi su un muretto di pietra non molto alto, e scartai la mia merenda. Addentai un morso del mio pezzo di torta che avevo preparato ieri sera io stessa e ne offrii un po’ alla mia migliore amica, che non se lo fece ripetere due volte. Quando Liam se n’era andato da casa mia, ieri sera, decisi di non rimanere con le mani in mano essendo fin troppo su di giri, e decisi così di preparare qualcosa. Era un mio piccolo vizio, quando ero agitata o in tensione cucinavo dei dolci.
La scena che si presentava davanti a me era più che esilarante: Abbie si era riempita completamente la bocca della mia merenda, a momenti si soffocava da sola. Strabuzzava gli occhi e tentava in tutti i modi di mandar giù il malloppo che, ci avrei giurato, stava diventando man mano appiccicaticcio a causa del cioccolato e quindi più difficile da ingoiare, ma fortunatamente, con un colpo di lingua riuscì a mandar tutto giù, iniziando a tossicchiare subito dopo. Ridacchiai coprendomi la bocca.
“Sei così stupida, non potevi mangiarla con calma, pezzo per pezzo?” A volte pensavo che la mia migliore amica fosse un maiale, più che una persona.

Si leccò le dita ancora sporche di cioccolato, e alzò le spalle in segno di indifferenza. Le porsi quello che rimaneva della mia merenda, ancora divertita da tutta quella situazione.

“Non ho più fame, mangiala tu.” Dichiarai. L’afferrò e ricominciò a mangiare, con più energia ed enfasi di prima, rischiando seriamente di strozzarsi. Sospirai sorridendo, non sarebbe mai cambiata sotto questo punto di vista.

“Liz devo andare un attimo dal prof di ginnastica per chiedergli una cosa, se suona prima che torni da te ci ritroviamo in classe, okay?” Mi informò dolcemente. Annuii con la testa e la vidi trotterellare fino alla porta dell’edificio, fino a scomparire del tutto.

Adiacente al muretto dove ero seduta, vi era un vicolo cieco dove si ritrovavano tutti i giocatori di football della scuola, per chiacchierare e fare gli stupidi, ma soprattutto per chiacchierare, di ragazze per essere precisi. Una volta mi dissero che ad ogni intervallo quel gruppetto faceva scommesse per accaparrarsi le studentesse più carine, e il mio cuore si fermò per un attimo. E se anche Liam avesse scommesso su di me? Questo spiegava tutto. Tutto quell’ improvviso interessamento nei miei confronti, tutti quei baci e quegli sguardi languidi che mi lanciava ogni volta che il mio occhio cadeva su di lui. Scossi la testa, visibilmente innervosita. Sapevo anche però che Liam poteva essere di tutto, tranne che un approfittatore. Era risaputo, nella nostra scuola. Certo, amava le ragazze e, come ogni ragazzo, non si preoccupava di stare con più di una, soprattutto se quelle che sceglieva erano delle sgualdrine da quattro soldi. Ma no, non era così meschino. Non fino a quel punto, comunque. Vidi il gruppetto di ragazzi pian piano sciogliersi e ognuno di essi di diresse nella sua aula con riluttanza. Tutti, tranne uno. Sospirai e abbassai lo sguardo quando incontrai nuovamente quelle due pozze color caramello e con un salto scesi dal muretto, notando con la coda dell’occhio che anche lui si stava muovendo, verso di me. Mi prese dolcemente per le spalle e mi fece girare verso di lui, alzandomi poi il mento con due dita. Le mie narici percepirono quasi subito quel caratteristico odore acre che tanto odiavo impregnarsi nell’aria gelida che ci circondava. Fumo. Di sigaretta. Mi scostai leggermente, guardandolo curiosa.

“Tu fumi?” Chiesi stupita. Non avevo mai sentito quell’odore sui suoi vestiti, di solito profumava sempre. Di menta.
Annuì, sfilando poi dalla sua giacca di pelle un accendino e un pacchetto di malboro da dieci.

“Vuoi provare?” Mi sfidò con un sorrisetto strafottente, facendo poi fumare una sigaretta.

Di solito non ero un tipo molto competitivo, anzi, tutto il contrario. Ero molto tranquilla, non mi immischiavo quasi mai nelle vicende degli altri, salvo in casi estremi, e non mi piacevano le sfide. Ma con lui diventavo praticamente un’altra persona. Lo guardai truce, togliendogli di mano la sigaretta e aspirando subito dopo. I miei polmoni imprecarono con fin troppa enfasi quando buttai giù del fumo che mi raschiò e bruciò la gola, fino ad arrivare nello stomaco. Sentii i miei occhi pizzicare e un odore nauseante mi percosse fino alle ossa. Iniziai a tossire violentemente, abbassandomi poi pian piano sul terreno, fino a toccare l’erba umida con le ginocchia. Sentii due braccia forti afferrarmi e la sua voce chiamarmi, per poi cadere nel buio più totale.
***
 
Socchiusi gli occhi, scrutando delle immagini informi e sfocate intorno a me. Mossi le dita lentamente, sentendo un tessuto morbido coprirmi fino al collo. Ma dove diavolo mi trovavo? Mi alzai col busto di scatto, toccandomi subito dopo la fronte con il palmo della mano, presa da un dolore alla testa violentissimo.

“Merda.” Imprecai confusa e dolorante. Mi guardai intorno, scoprendo solo adesso che Liam era seduto vicino a me, e mi osservava divertito.

“Cosa diavolo mi è successo? Abbie? Dov’è?” Gli chiesi forse fin troppo rudemente.

“Per la tua amica stai tranquilla, l’ha avvisata il preside. Per cosa ti è successo, beh , sei svenuta perché ti avevo fatto provare una sigaretta. Ma per fortuna ti sei svegliata.” Mi rispose tranquillo e notai, anche sollevato. Per poco la mia mascella non toccò il pavimento dallo stupore.

“Ma come è successo? Come ho fatto a svenire?” Domandai confusa.

“Probabilmente hai avuto anche un calo di zuccheri.” Continuò accarezzandomi poi la mano. Rabbrividii a quel contatto. Perché stavo reagendo così? Avrò avuto la febbre, sicuro. Mi scostai dal suo tocco come scottata e lo guardai inespressiva.

“Dove sono?” Chiesi nuovamente, non riuscendo a stare zitta ne ferma, poiché continuavo a far tamburellare le dita sul materasso dal nervoso.

“All’ospedale, dovrai fare un esame del sangue e passare la notte qui.” Mi informò. Lo guardai terrorizzata. Allora non erano solo dei semplici cali di zuccheri!

“Ma non ti preoccupare, sono solo dei controlli.” Si affrettò a rassicurarmi, gentilmente.

Annuii, tirando un sospiro di sollievo. Mi guardai intorno: la camera non era molto grande, vi erano due letti, uno occupato da me, e davanti alla mia branda vi era un televisore, posto su un comò di legno grigio. Nessuna finestra. Opprimente. Iniziai a sentire caldo, avevo ancora la giacca addosso. Mossi il braccio sinistro per togliermela, ma venni bloccata da Liam che mi guardò severamente.

“Cosa stai facendo?” Mi chiese serio.

“Uh emh...mi tolgo la giacca?” Chiesi retoricamente. Il suo sguardo mi faceva venire i brividi.

“I medici mi hanno ordinato che qualunque cosa tu volessi fare, io ti aiutavo. Lascia fare a me.”

E detto questo si mise davanti a me, sbottonandomi con una lentezza disarmante la giacca. Lo guardai con il respiro lievemente accelerato, con una mano gli accarezzai la base dei capelli. Mi guardò dolcemente. Me la sfilò del tutto, facendomi così rimanere con il mio maglione di lana. Mi baciò la fronte.

“Scusami. E’ stata tutta colpa mia, non avrei dovuto.” Mi confessò a bassa voce.
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. No gente, fermi tutti. Liam Payne si stava scusando? Con me? Non ci potevo credere. Richiusi la bocca, mandando giù il groppo di saliva che si era bloccato a metà gola, riprendendo così l’uso della parola.

“No, tranquillo. E’ stata colpa mia invece, non dovevo accettare. Mi spiace di averti messo nei casini.” Mi scusai. No, aspetta. Perché mi scusavo? Infondo aveva ragione, era stata tutta colpa sua se ero finita all’ospedale! E allora perché avevo detto tutto ciò? Imprecai mentalmente, stupida, stupida, stupida!
L’atmosfera in quella stanza si faceva alquanto imbarazzante. Lui aveva abbassato lo sguardo, e, cosa mai vista, aveva più colorito sulle guance, mentre io mi torturavo il labbro inferiore con i denti, con i nervi tesi al massimo.

“Scusa.” Parlammo all’unisono. Ci guardammo. Scossi la testa, sorridendo. Lo sentii ridacchiare.

“Forte.” Scherzò lui. L’atmosfera si era alleggerita. I miei nervi si distesero, e, visibilmente più tranquilla, mi sdraiai sulla brandina, guardandolo.

Guardava fuori dalla finestra la pioggia cadere a catinelle. Il ciuffo di capelli castano chiaro era puntato verso l’altro, gli occhi color caramello risplendevano alla fioca luce della abatjour posta sul comodino vicino al mio letto. I muscoli delle spalle e delle braccia erano messi in evidenza da una maglietta aderente e alquanto trasparente. E le labbra rosse e carnose erano semi aperte, colte dallo stupore di quel temporale così violento. Non si poteva dire che era un brutto ragazzo. Anzi, tutto il contrario. Era davvero bellissimo. Deglutii a vuoto. Certi pensieri in certe situazioni che mi andavo a fare! Come potevo pensare a lui mentre ero in un ospedale, in attesa che mi facessero le analisi del sangue?
Neanche a farlo apposta, entrò in stanza un uomo sulla quarantina di bell’aspetto, con un camice bianco a coprirgli fino alle caviglie.

“Lei è la signorina Hemmings?” Mi chiese sorridendomi cordialmente. Annuii subito, tornando ad avere l’ansia che mi attanagliava lo stomaco di poco prima.

“Venga, facciamo dei semplici controlli. Il suo amico rimane qui, le dispiace?” Domandò a Liam, che scosse la testa e mi sorrise, incoraggiandomi. Sospirai e seguii il dottore, il quale mi portò in un’altra stanza, più grande e più arieggiata.

***
 
Tornai nella mia stanza sorridente. Avevo sempre avuto una grande paura degli aghi, ma grazie a un’infermiera gentilissima non me n’ero neanche accorta delle punture che mi avevano fatto. Mi avevano incerottata verso la metà del braccio, sopra al gomito, dove avevano prelevato il sangue. Liam si alzò di scatto, ricambiandomi il sorriso subito dopo. Per la prima volta gli vidi un vero sorriso, non uno dei suoi soliti ghigni o ammiccamenti, un semplice sorriso. Che mi faceva venire la pelle d’oca.

“Hanno portato la cena.” Ridacchiò indicandomi il cibo che avrei dovuto mangiare. Pastina, prosciutto cotto con purèe di patate e mela cotta. Tirai fuori la lingua, schifata.

“Meglio di niente.” Sospirai alzando le spalle, avvilita.

Incominciai a mangiare, mentre chiacchieravo con Liam. Avevamo avuto una conversazione per la prima volta decente, forse la migliore di sempre fino a quel momento, senza battutine, ammiccamenti o insulti da parte di nessuno dei due.

“Tu non mangi?” gli domandai offrendogli un po’ di mela cotta. Infondo non era poi così male. Era calda e dolce.

“Non ho fame, ma grazie lo stesso.” Scosse la testa e mi sorrise.
Alzai le spalle e continuai a mangiare, finendo del tutto. Mi rintanai un po’ sotto alle coperte, chiudendo gli occhi subito dopo.

“Liam?” La mia voce risultava un po’ ovattata, dovuto al fatto che mi ero praticamente immersa nelle lenzuola.

“Mmh?”

“Dormi con me.” Arrossii inevitabilmente subito dopo. Per fortuna che non mi poteva vedere. Era una richiesta stupida e assolutamente spontanea, mi sentivo un’emerita idiota. Liam mi tolse le coperte dalla testa, guardandomi.

“Ogni tuo desiderio è un ordine.” Dichiarò sensualmente.

Arrossii ancora di più, ma perché non riuscivo a stare calma quando mi provocava in quel modo?
Lo vidi sfilarsi i jeans scoloriti e la maglia, rimanendo così a petto nudo e boxer. Deglutii a vuoto.

“N-non hai freddo?” Balbettai imbarazzata.

“C’è la coperta che mi copre, e anche il tuo corpo.” Continuò scrutandomi con quello sguardo bruciante.

Gli feci spazio nel letto già piccolo di suo, scostando le lenzuola di lana. Scivolò sul materasso e sotto alle coperte, posizionandosi poi su di un lato, guardandomi maliziosamente. Mi girai dall’altra parte, in imbarazzo totale. Sentii un braccio fare leva col materasso e tirarmi indietro, verso di lui. Mi scappò un urletto per la sorpresa.

“Perché ti allontani? Stai con me.” Mi sussurrò all’orecchio, accoccolandosi poi con il mento sulla mia spalla. Il suo respiro mi soffiava sul collo. Rabbrividii.

“Hai freddo?” Mi chiese ironicamente. Ridacchiò sentendomi sbuffare, divertita.
Mi baciò il collo e mise un braccio sulla mia pancia, accarezzandomi il ventre. Chiusi gli occhi, beata dalle sue coccole.

“Buonanotte Liam.” Sussurrai già mezza addormentata.

“Buonanotte piccola.” Sentii la sua voce chiamarmi lievemente, senza capire totalmente le sue parole, cadendo poi in un sonno profondo.


Eeeee buonaseraaaa papapaaa lol
no okay ewe allora, premetto che mi devo scusare con tutte voi, perchè ho pubblicato il capitolo dopo quasi un mese lol ma ho avuto molti imepgni, scusatemi tanto :(
Anyway, questo capitolo a me piace un pò di più rispetto agli altri. I rapporti tra Elizabeth e Liam stanno cambiando, a quanto pare in meglio.
Inoltre Liam sta diventando sempre più dolce, anche se la sua indole da seduttore ancora rimane eheh ouo lol
se vi piace, come sempre, recensite e magari se volete consigliatela ad amici e amiche :)
Prometto che aggiornerò appena possibile <3
un bacio, Valentina. x

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Capitolo 6
*** 6°Capitolo ***


6° Capitolo

Socchiusi gli occhi, unimidendomi le labbra subito dopo, rese secche e dure a causa della mancanza di idratazione nella notte. Mi guardai intorno; niente era cambiato dal giorno prima, mi trovavo ancora in quella stanzetta piccola e senza finestre che in un certo senso mi infastidiva. Tastai poi con due dita ciò che realizzavo avere sotto di me. Un materiale morbido e caldo, che però non erano le lenzuola di flanella che mi avvolgevano la schiena. Pelle. Liam. Alzai lo sguardo, trovando il suo, luminoso come sempre. Dopo svariati secondi, decisi di aprire bocca, giusto per rompere quel silenzio opprimente che ci avvolgeva.
“Buongiorno.” Miagolai con la voce ancora impastata dal sonno.
 Mi sollevò dai fianchi, portandomi con il viso vicino al suo. Posò delicatamente le sue labbra sulle mie, come se avesse paura di rompermi da un momento all’altro. Mi accarezzò poi i capelli, con una dolcezza che mi fece sciogliere come neve al sole. Mi abbandonai completamente al suo tocco, beata delle sue carezze così delicate e minuziose.

“Buongiorno a te micia.” Mi apostrofò, facendomi tingere le guance di un rosa più carico e scuro rispetto al mio normale colorito di pelle.

Mi ancorai a lui, posando le mani sulle sue forti spalle, dischiudendo le labbra. Poggiai l’orecchio sul suo petto, sentendo poi quel caratteristico pulsare. Il battito era regolare e tranquillo. Accarezzai con un dito lo stomaco duro, disegnando le righe che contornavano le fasce muscolari, tese e toniche. Sentii il suo battito cardiaco accelerare di qualche ottava.

“Vuoi alzarti?” Gli chiesi, sussurrando appena. Non c’era bisogno di parlare ad alta voce, il silenzio ci circondava fino nelle anime.

“Se tu non vuoi, non mi alzo.” Mormorò a sua volta, sfiorandomi la guancia con un dito.

“Allora non alzarti.” Risposi baciandogli l’ombelico. Lo sentii sospirare.

Infondo gli ero in debito, mi aveva in un certo senso salvata. Che fosse un gran ruffiano ormai era risaputo, ma dopo tutto questo, sentivo che qualcosa tra di noi stesse cambiando, e volevo scoprire di più su di lui, volevo conoscere la sua storia.
Toccai l’elastico dei suoi boxer, sollevandolo appena, ancora sovrappensiero e senza rendermi realmente conto di ciò che stavo facendo.

“Liz.” Mi chiamò appena.

Sollevai lo sguardo, trovando due chiazze rosse a coprirgli le guance e il petto a muoversi velocemente verso l’alto e il basso.
Sgranai gli occhi, rilasciando all’istante la stoffa leggera, ancora scioccata per ciò che avevo fatto. Mi morsi l’interno della guancia, in imbarazzo. Mi sollevai col busto, raccattando il mio giubbotto e i suoi vestiti, lasciandoli cadere sul materasso subito dopo.

“Cambiati che andiamo via.” Annunciai girata di spalle, cercando di nascondere il mio evidente imbarazzo.

Lo sentii ridacchiare, mentre un fruscio di vestiti rimessi aleggiava nell’aria.

***
 
Liam aprì la porta della sua stanza, invitandomi ad entrare subito dopo. Era sabato, e mi aveva costretta a rimanere per un po’ a casa sua.
 Mi sedetti sul materasso morbido, respirando l’odore di pulito che abitava in quella stanza. Chiusi poi gli occhi, abbassando il busto verso i cuscini di cotone. Sentii un po’ di trambusto intorno a me, e mentalmente mi chiesi cosa stesse facendo. Dopo pochi minuti, sentii il rumore di un plettro scorrere sulle corde di una chitarra. Sentii poi un fruscio di carte sollevate e uno scorrere di biro su di esse.

I see what it's like, I see what it's like for day and night. Never together , ‘cause they see things in a different light, like us, did they ever try, like us?” 

Spalancai gli occhi, come scioccata. Aveva una voce angelica, un timbro mai sentito prima d’ora, che mi entrava non solo nelle orecchie, ma nel cuore, nell’anima, nelle ossa. Mi percuoteva le membra, come a svegliarmi, come a farmi rendere conto della realtà di questo mondo, che di bello non aveva nulla.
Lo guardai, con la bocca aperta per lo stupore. Mi guardò a sua volta, curioso.

“Oh mio Dio.” Riuscii solamente a dire, con le mani che mi tremavano.

Quelle parole poi, così tristi e vere al contempo. Si poteva amare una voce? Non sapevo se ci fosse una risposta, solo che ne avevo la certezza, perché la sua voce ormai mi era penetrata nella parte più profonda di me, fino a stremarmi. Era strano, anche perché erano solo poche parole, eppure era successo.
Posò delicatamente la chitarra in un angolo della stanza, avvicinandosi al letto dove ero poggiata.

“Di chi è questa canzone?” Chiesi boccheggiando.

Possibile che ero così scioccata da tutto ciò? Non me lo aspettavo che un ragazzo come lui conoscesse musica così buona, che tra l’altro non avevo mai avuto l’onore di ascoltare prima d’ora, e una voce così indescrivibile. Oddio, dovevo calmarmi.

“E’ mia, la sto scrivendo da tempo. E’ per una persona.” Mi confessò lui, evidentemente colpito da tutto quel mio improvviso interesse.

“E’…bellissima.” Lo guardai, sospirando. Tutta quella bellezza mi stravolgeva, non sembrava umano.

“Grazie.” Abbassò lo sguardo, sorridendo. Si morse un labbro, in evidente imbarazzo. Lo avevo intimidito?

Decisi di cambiare discorso, ancora visibilmente scossa.

“I tuoi genitori?” Non sapevo esattamente perché glielo avevo chiesto.

Volevo sapere di più su di lui, volevo conoscerlo a fondo, volevo scoprire i mostri e i fantasmi che abitavano nella sua anima, e provare a scacciarli via in qualche modo.
Fu come vederlo sprofondare nel materasso. Alzò lo sguardo, ora li vedevo più lucidi.

“Ehi, cosa è successo?” Domandai allarmata. Non volevo vederlo così. Oh, diamine.

Sollevò la felpa che si era messa precedentemente, mostrandomi un tatuaggio che non gli avevo mai visto prima d’ora. Lo sfiorai con le dita, come incantata. Quattro disegni geometrici, quattro frecce, rivolte verso l’alto. Andavano dal gomito all’avambraccio.

“Questi, sono i miei genitori. Karen e Geoff.” Mi disse indicando le prime due frecce, quelle più in basso.

“E queste, le mie due sorelle più grandi. Ruth e Nicole.” Sfiorò le altre due, guardandomi subito dopo.

“Sono morti, tutti e quattro, a causa di un incendio appiccato alla nostra vecchia casa che si trovava in montagna, nella periferia di Wolverhampton.”

Poggiai una mano sulla sua spalla, incoraggiandolo a continuare. Mi accarezzò la mano, come a ringraziarmi, sorridendo lievemente.
 

“ “Liam, andiamo a casa.” Mi chiamò mio padre dolcemente, che si trovava dietro di me.

Posai la canna da pesca sul terreno fangoso e afferrai il secchio pieno di trote appena pescate, sorridendogli con entusiasmo.


“Si papà.” Acconsentii prendendolo per mano, avviandoci poi verso casa.

Era primavera, ma già avevamo addosso delle misere canotte, ed era strano, qui, a Wolverhampton. Amavo il caldo, l’aria leggera che mi sferzava le guance. “Le carezze di madre natura”, le chiamava Ruth.
Entrai nella villa, abbracciando mia madre che stava preparando una gustosa frittata con uova e bacon per cena. Mi sorrise amabilmente, accarezzandomi i capelli.
Salii le scale, e dopo una doccia veloce, entrai in camera delle mie sorelle, per controllare cosa stessero facendo. Nicole era al computer, come al solito, mentre Ruth guardava fuori dalla finestra, giocando con un pupazzino a forma di orsetto a cui da piccola vi era molto affezionata.

“Quando è pronto vi chiamo.” Annunciai guardandole.

Nicole alzò il capo e annuì, dando segno di aver capito, mentre Ruth mi baciò una guancia, sorridendo.

Scesi le scale e uscii nuovamente dalla casa maestosa, sedendomi sull’erba fresca del giardino. Osservai il sole tramontare, facendosi largo tra due montagne in lontananza.
Sentii la lavatrice al piano di sotto rullare borbottando, e il forno suonare.
Notai del fumo nel retro dell’abitazione e una puzza di bruciato far largo nelle mie narici. Mi alzai di scatto, sentendo delle urla ai lati delle orecchie penetrarmi nel cervello. D’un tratto la casa si rabbuiò, per poi illuminarsi completamente, immersa in lingue di fuoco che l’avvolgevano con prepotenza. Urlai, in preda al panico, con le mani nei capelli, gli occhi spalancati per il terrore. Sentii nuovamente degli strilli provenire dalla casa, e poi più nulla. Come impazzito, provai a rientrare nella dimora, ma una trave di ferro cadde a pochi metri da me, facendomi cadere all’indietro. Una pietra accuminata mi tagliò un lembo di pelle, al lato del sopracciglio sinistro, facendo fuoriuscire fiotti di sangue.
Corsi verso il retro della casa, entrando dai sotterranei. La puzza di bruciato mi stordii, ma resistendo, misi una mano davanti alla bocca e, camminando a carponi, riuscii ad arrivare nella sala da pranzo, dove trovai Ruth, una pozza di sangue a circondarle la gamba.

“Ruth! Ruth!” La chiamai scuotendole le spalle gracili. Mi sorrise lievemente, toccandomi una guancia.

“Salvati, vai via di qui. Ti prego.” Sussurrò lievemente con voce roca.

“No, io non vado da nessuna parte senza di te!” Risposi, e delle gocce salate mi segnarono le guance, cadendo copiose fino alle labbra.
“Ti voglio bene Liam.” Furono le ultime parole che mi disse, prima di chiudere gli occhi per sempre.

Urlai, scuotendola di nuovo, la chiamai centinaia di volte, ma non rispose.

Gattonai nuovamente fin fuori dall’abitazione, tossendo per il troppo fumo ingerito. Chiusi gli occhi, desiderando di morire. Non volevo più vivere, non senza la mia famiglia. Desiderai che una trave mi cadesse sopra, bruciandomi completamente. Un pezzo di legno infuocato volò fuori dalla finestra sul retro, frantumando i vetri in mille pezzi. I cocci volarono sulle mie braccia, tagliandomi subito dopo.

“Uccidetemi, vi prego.” Mormorai sentendo un liquido caldo cadere sui gomiti, scivolando fino sulle dite.

“Uccidetemi.” Ripetei ancora una volta, sentendomi improvvisamente più debole. Socchiusi gli occhi, prima di svenire.”
 
“Oh, Liam.” Senza rendercene conto, stavamo piangendo tutti e due.

Lui per i ricordi mostruosi appena riaffiorati nella sua mente, io per il suo passato. Lo abbracciai, stringendolo a me, cercando in un modo o nell’altro di consolarlo, sapendo però che non sarebbe bastato. Presi il suo viso fra le mani, guardandolo per un attimo negli occhi. Erano rossi, e pieni di rabbia e risentimento. Lo baciai, come non avevo mai fatto prima di allora. Lo baciai per calmarlo, lo baciai perché ne avevo il bisogno. Lo baciai perché volevo. Volevo sentire le sue labbra sulle mie, volevo accarezzarlo, volevo toccarlo.
Il nostro era un bacio sofferto, inaspettato, colmo di gratitudine silenziosa reciproca, colmo di affetto, di angoscia.
Colmo di noi. 


Buonasera people aaaaawww ahfuchs
(si sono sempre sclerata quando pubblico dei capitoli nuovi, comprendetemi) in ogni caso, come state? Tutto bene?
Natale si avvicina oh oh oh, e anche il compleanno di Lou.. *piange*
Ecco un nuovo capitolo di questa fanfiction, finalmente Liam ha parlato del suo passato, ha scoperto uno squarcio della storia della sua vita.
Se non lo avete magari capito, ho preso una frase del pezzo di Louis in You And I quando cantava Liam aw.
I rapporti tra Elizabeth e Liam comunque si stanno via via addolcendo, sono così teneri, non trovate anche voi? Vomito arcobaleni ajfivh.
No okay lol. Scusate se mi sono dilungata un pò, ma è da tanto che non scrivevo e questo capitolo l'ho ideato ieri sera e scritto in un'ora e un quarto perchè poi dovevo andare a dormire trolol.
Come sempre, se vi piace recensite. <3
Un bacio, Valentina. x

(Se volete seguirmi su twitter o chiedermi informazioni per questa storia questo è il mio account: https://twitter.com/zainsmoon hihi)

Zài jiān! (Significa "arrivederci" in cinese, dato che io studio cinese come terza lingua lolll)

Okay, addio :')
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** 7° Capitolo ***


Riaprii gli occhi e mi guardai intorno confusa. Ci eravamo addormentati piangendo. Mi girai a guardarlo, era girato lateralmente e abbracciava un cuscino, stringendolo con le dita. Le ciglia lunghe che sfioravano le guance, la bocca semiaperta e il petto che si alzava ed abbassava regolarmente. Sorrisi, sembrava un peluche. Gli sistemai una ciocca di capelli che gli era scivolata su un occhio, sospirando. Mi alzai, rifilandomi gli stivali di pelle e mi avvicinai alla finestra della sua stanza, scostando le tendine leggere di lato.
Avevamo parlato, dopo quel bacio. Avevamo parlato tanto. Ci eravamo confessati un sacco di cose. Quando erano morti i suoi genitori, i suoi nonni si erano presi cura di lui, fino a quando non è diventato maggiorenne. Di fatti lui è di due anni più grande di me, ma è stato bocciato due volte di seguito, una volta in prima superiore e la seconda volta in terza. Così si ritrovò a fare i miei stessi corsi. Ora viveva da solo, in una bella villa lussuosa nel centro di Wolverhampton. Aveva assunto una donna di colore di nome Amy che lo aiutava nelle pulizie di casa. Era molto dolce con lui, assumeva il ruolo di zia con lui.
I suoi genitori erano benestanti, perciò avevano lasciato ai loro figli un testamento nel quale ogni bene era stato spartito per i tre ragazzi. Dato che però l’unico sopravvissuto alla tragedia era Liam, tutti i beni erano rimasti a lui. Ma non gli importava la ricchezza. Lui rivoleva la sua famiglia, i suoi cari, più di qualsiasi altra cosa al mondo. Era molto legato a loro. Dopo la morte dei suoi cari, mi confessò che provò varie volte a farla finita, ma non aveva mai trovato il coraggio. Perciò era andato in terapia da una psicologa molto famosa che lo aveva aiutato a superare quei momenti di crisi e di angoscia.
Ma lui non si sentiva completo, aveva voglia di urlare al mondo la sua rabbia, il suo senso di vendetta, aveva voglia di spaccare tutto. Perciò alle superiori prese di mira i suoi coetanei o i novellini, e insieme al suo gruppo di amici li portavano nel vicolo del cortile della scuola e li pestavano. Così, senza motivo. Lui lo faceva per sfogarsi, i suoi amici per hobby. Una volta mi disse che mandarono all’ospedale un ragazzo. Naso e due costole rotte. Da allora decise di smettere, ma la sua indole violenta ogni tanto si mostra nella sua mente, vuole uscire, vuole sfogarsi. Lui non glielo permette però. Per questo ora frequenta boxe, almeno è sicuro che qui può tirare pugni a tutti senza paura di far loro male. O di mandarli all’ospedale.
Io per la maggior parte del tempo ascoltai, senza interromperlo, lasciandolo sfogare, lasciando che la sua tristezza pian piano scemasse. Raccontai della mia vita, delle cose che amavo, delle mie amicizie. Raccontai che non ero mai stata con un ragazzo, forse troppo strana o poco popolare, mentre lui aveva molta esperienza in quel campo.

“Non mi sorprendo.” Mi scappò, arrossendo subito dopo. Mi presi mentalmente a schiaffi, quand’è che avrei imparato a tenere la bocca chiusa? 1 a 0 per Liam.

“Mh, e come mai?” Mi sorrise malandrino, accarezzandomi il ginocchio.

Per tutta risposta mi scostai, facendolo ridere, sinceramente divertito. Almeno lo avevo fatto sorridere.
Avevamo parecchie cose in comune, come ad esempio adoravamo la pizza alla diavola, non sopportavamo i musical e i cabaret o quegli stupidi e insulsi polpettoni rosa che davano ogni domenica sera in prima visione. Condividevamo gli stessi gusti musicali. Green Day, Kiss, Ramones, Guns ‘n’ Roses.

“Non ti facevo così rock.” Mi punzecchiò, con il suo solito tono sensuale.

“Ci sono così tante cose che non sai di me.” Avevo avuto il coraggio di rispondere, lasciandolo di stucco. 1 a 1 per me. Sorrisi compiaciuta, guardandolo con superiorità. Ridacchiò divertito.
 
 Dopo di che, eravamo entrambi scivolati in un sonno profondo.
Guardai l’orologio a parete appeso sopra alla scrivania. Le 16:30. Non avevamo neanche pranzato. Mi avvicinai al suo viso, inginocchiandomi al bordo del letto. Sfiorai le sue labbra.

“Liam.” Lo chiamai, a bassa voce. Non si mosse di un millimetro.

Ehi, Liam. Svegliati.” Scossi piano le sue spalle solide e forti, guardandolo.

Per tutta risposta grugnì, girandosi dall’altra parte. Sbuffai, infastidita. Mi alzai di scatto, se non si voleva svegliare con le buone, lo faceva con le cattive.
Scesi in cucina e aprii il frigo, prendendo una bottiglia d’acqua da un litro. Tornai al piano di sopra, svitando il tappino e ridendo sommessamente. Mi pregustai la scena, prima di capovolgere il contenitore di plastica e lasciando scivolare il liquido freddo su di lui.
Si alzò di scatto, togliendosi le coperte di dosso. Spruzzai l’acqua sulla sua faccia, ridendo a crepapelle.

“Ma che cazzo fai?!” Sbottò guardandomi, irato.

“Non ti svegliavi.” Riuscii ad articolare, tenendomi la pancia per le troppe risate. Avevo le lacrime agli occhi. La sua espressione inferocita e scioccata allo stesso tempo me la sarei ricordata per il resto dei miei giorni.

Si alzò di scatto dal letto, guardandomi truce. I capelli castani lucidi e morbidi alzati in un ciuffo, le goccioline luccicanti a risplendere sul petto tonico. Deglutii. Se possibile, era ancora più bello. Capii le sue intenzioni quando con un unico passo fluido si avvicinò a me. Mossi i piedi più velocemente, uscendo dalla sua stanza.

“Prova a prendermi.” Ridacchiai guardandolo. Scesi le scale correndo, andando in cucina.

Me lo trovai davanti, il tavolo che ci divideva. Ci guardammo un attimo negli occhi. I miei erano divertiti e maliziosi, i suoi improvvisamente più liquidi e scuri. Erano pieni di desiderio. Feci finta di andare a sinistra, mentre mi mossi a destra, percorrendo il corridoio ridendo nuovamente. Aprii una porta a caso, ritrovandomi in una stanzetta angusta e piena di cianfrusaglie. Un ripostiglio. Non feci in tempo a chiudere la porta che mi ritrovai schiacciata tra un materasso e lo scopettone per pulire i pavimenti, il petto duro e bagnato di Liam a scontrarsi con il mio. Respirammo entrambi vigorosamente, cercando di riprenderci.

“Strada chiusa.” Pronunciò incurvando le labbra in un sorriso sensuale. Lo aveva detto di nuovo.

Tremai sotto di lui, mordendomi il labbro. Lo vidi sgranare gli occhi. Mi fermò entrambi i polsi con una mano, portandoli sopra alla mia testa.

“Non farlo Liz. Ti prego.” Gemette frustrato. Lo guardai confusa, inumidendomi le labbra con le lingua.

“Che cosa?” chiesi curiosa, guardandolo dritto negli occhi.

“Quello che fai sempre. Ti mordi le labbra, e io non resisto.” Mi confessò, serrando la mascella.

Mi irrigidii, arrossendo vistosamente.

“Ma, cosa che amo di più, amo quando arrossisci. Non puoi capire cosa ti farei.” Abbassò la voce, rendendola a un sussurro roco e maledettamente eccitante.
Mi staccai da lui con non so quale forza, il respiro accelerato e il cuore a mille.

“Ho fame.” Mi uscii. Mi guardò stralunato, per poi scoppiare a ridere fragorosamente.
 
 “Cuciniamo qualcosa allora.” Mi disse sorridendo dolcemente.

Tirai un sospiro di sollievo. Aveva capito il mio disagio, il mio imbarazzo. Ero forse ancora troppo intimidita per fare qualcosa.
Mi prese la mano, riportandomi in cucina.

“Io opto per una pizza, sei d’accordo?”

“Okay.” Acconsentii entusiasta.

Prese la farina e le uova dalla credenza e si tolse la maglia, lasciandomi senza fiato.

“Cosa…stai facendo?” Gli chiesi boccheggiando. Capì al volo il mio imbarazzo, così prese la palla al balzo per pavoneggiarsi un po’.

Si girò completamente verso di me, indurendo i muscoli di proposito, mettendo in risalto la pelle abbronzata e vibrante di vita. Si asciugò il petto e i capelli umidi con un panno, non smettendo neanche per un secondo di interrompere il contatto visivo. Mi mancava la gocciolina di bava al lato della bocca e avrei completato il mio quadretto esilarante. Ridacchiò sommessamente.

“Vado a prendere una maglia nuova altrimenti mi ammalo.” Annunciò su di giri.

Annuii, prendendo poi a lavorare la pasta per la pizza, aggiungendo uova e acqua alla farina. Tornò dopo pochi minuti, e cominciò anche lui a lavorare la pasta.
Ad un tratto sentii un materiale freddo e bianco arrivarmi in faccia. Farina. Mi girai di scatto, guardandolo male.

“Cosa diavolo…” Non finii la frase che mi rovesciò un uovo in testa. L’albume colò sui miei capelli, sporcandomeli completamente.

Aprii la bocca per protestare, ma un altro uovo mi sporcò la maglia, al centro del petto.

“Vendetta!” Urlò lui, aprendo il frigo ed estraendo una bomboletta di panna e spruzzandomela in faccia e sui capelli.

“Cazzo Liam!” Urlai istericamente. Sentii una risata profonda risuonare nella stanza, prima che altra panna mi sporcò i jeans immacolati.

Decisi di agire, gli strappai la bomboletta dalle mani, sporcandogli il petto e la faccia, poi presi un uovo e glielo spaccai suoi capelli, che divennero appiccicosi e unti in meno di venti secondi.
Mi bloccò nuovamente, sporcandomi di farina le braccia. Ridemmo entrambi, poi ci guardammo negli occhi.
Smettemmo entrambi di colpo. Mi sollevò dai fianchi con le mani e mi posò sul bancone di marmo, circonda domi i fianchi con le dita. Allacciai le mani dietro al suo collo, poggiando immediatamente le labbra sulle sue.
Le nostre lingue iniziarono a toccarsi, circondate da saliva e sospiri. Gli accarezzai le spalle, chiudendo poi le gambe intorno ai suoi fianchi. Si staccò un attimo da me, giusto il tempo di leccare un grumo di panna dall’orecchio.

“Dovremo lavarci, non credi?” Mi chiese, la voce incredibilmente roca, gli occhi liquidi e scuri.
  
“Credo di sì.” Sussurrai a mia volta, mordendogli il labbro inferiore.

Grugnì esasperato, staccandosi da me e correndo mano nella mano al piano di sopra, trascinandomi per le scale.
Si tolse le scarpe e mi sfilò gli stivali e le calze. Cosa dicevo prima? Che forse non ero pronta? Al diavolo tutto. Il modo in cui mi baciava e si dedicava a me era irresistibile, avevo esaurito la pazienza.
Mi sfilai il maglione, rimanendo in reggiseno davanti a lui. I suoi occhi bruciarono come brace, lo sguardo ipnotico che mi inchiodava lì dov’ero, facendomi tremare per l’emozione.
Si avvicinò nuovamente a me, le sue mani feroci e curiose che mi accarezzavano il ventre e faceva cadere le spalline del reggiseno ai lati delle spalle.
Sembrava tutto perfetto, quando sentii il suo cellulare in camera suonare.

“Vaffanculo.” Imprecò ad alta voce, facendomi scoppiare a ridere. Si allontanò da me, ritornando nella sua stanza.

Andai in bagno e mi guardai allo specchio, ero ancora rossa in viso, i capelli sconvolti. Decisi di farmela da sola la doccia.

“Liam, ora mi lavo.” Urlai informandolo, prima di chiudere la porta.

Mi sfilai i jeans, le mutande e il reggiseno, e chiusi la tendina davanti a me, iniziando a lavarmi. Subito dopo mi risciacquai e mi rimisi l’intimo, realizzando solo dopo che non avevo alcun vestito pulito da indossare. Mi asciugai i capelli disordinati con un panno di cotone, legandoli successivamente con un elastico.
Aprii timidamente la porta della sua camera, trovandolo seduto sul letto a fare zapping dalla sua televisione tra un canale e l’altro, sbuffando annoiato.
Si girò verso di me, squadrandomi dal basso verso l’alto. Arrossii.

“Non ho…umh…niente da mettere.” Farfugliai imbarazzata.

Si alzò e aprì un cassetto del suo comò, porgendomi poi un maglione che sicuramente mi sarebbe arrivato sopra alle ginocchia per quanto sembrava grande. Lo indossai, la stoffa mi cadde morbidamente sul corpo, fasciandomi fin sotto alle cosce, come avevo pensato. Profumava di lui. Era bellissimo.

“Ti stanno bene i miei maglioni.” Mi accarezzò un fianco, baciandomi.

Lo abbracciai, saltando su di lui stile koala, chiudendo le ginocchia attorno al suo bacino.
Lo sentii ridacchiare. Mi portò sul letto, e poi si stacco, accarezzandomi i capelli ormai asciutti.

“Vado a darmi una pulita e poi ordino una pizza. Guarda un po’ di tv se vuoi.” Mi raccomandò, sfiorando il naso col mio teneramente. Annuii, nascondendomi sotto le coperte.

Previdi che questa serata sarebbe stata bellissima, con lui al mio fianco.


Sera gentaglia! Uhuh
Okay questo capitolo fa schifo, lo so, ma non ho avuto molta ispirazione, spero che mi possiate perdonare.
Le vacanze comunque sono iniziate lalala e io ho un sacco di compiti :-(
In ogni caso, spero comunque che questo capitolo vi piaccia, e come al solito, se volete, recensite.
Non mi dilungo molto, vado ad ascoltarmi un pò di musica ewwww.
Un bacio, Valentina. x

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