L'Anello Serpente di Ysis Donahue (/viewuser.php?uid=41111)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Storia ha inizio ***
Capitolo 2: *** Draco, Hermione, Sumir ***
Capitolo 3: *** Draco, Hermione, Tallula ***
Capitolo 1 *** La Storia ha inizio ***
Persia,
220 a.C.
La figura rapida ed esile, non più alta di un ragazzino
umano di quattro o cinque anni, scivolava silenziosa ed anonima tra la
fiumana di gambe umane e zampe animali che ingombrava l’ampia
strada del mercato cittadino, stringendo saldamente un fagotto contro
il petto e mormorando ossessivamente una frase, l’indirizzo
che gli avevano indicato per la consegna.
Il fatto di essere stato scelto tra la moltitudine di creature magiche
che si riunivano ogni giorno per cercare lavoro lo rendeva speranzoso,
orgoglioso e più determinato che mai nel portare a termine
l’incarico alla perfezione. Sperava che il suo cliente,
vedendo quanto fosse stato veloce, efficiente ed economico, in futuro
si sarebbe ricordato ancora di lui e lo avrebbe indicato anche ai suoi
amici, aiutandolo a farsi una reputazione e a sopravvivere in quel
mondo che oramai sembrava essere di dominio assoluto degli Esseri
Umani.
Il giovane goblin lasciò finalmente la grossa strada
trafficata e si immerse nel complesso reticolo di viuzze che costituiva
la parte antica della città, quella dove ancora le Creature
Magiche potevano vivere dignitosamente, lontane dal controllo degli
usurpatori.
Finalmente raggiunse l’indirizzo indicato e, mentre si
concedeva qualche secondo per ricomporsi dopo la corsa, la lama nera e
ritorta del lungo pugnale lo raggiunse velocemente da sinistra,
trapassandogli dapprima le costole e subito dopo il cuore. Il giovane
morì quasi subito, senza neppure dare tempo allo stupore di
dipingersi sul suo viso, e l’assassino lo trascinò
velocemente all’ombra di un androne.
Per prima cosa recuperò il pacco che si era spedito quella
mattina, poi si dedicò al cadavere: lo sezionò
rapidamente, con movimenti secchi e precisi, recuperò le
parti che gli servivano e si allontanò a passi svelti,
lasciandosi dietro i resti.
Tentare di ristabilire il contatto con la sua energia magica era stata
sicuramente la prova più difficile che si fosse mai trovato
a sostenere in tutta la sua lunga e misera vita.
Aveva provato di tutto: digiuni, salassi, svariate combinazioni di
questi due elementi, infiniti cicli di preghiere, i miscugli
più improbabili di pozioni e cataplasmi; nulla,
però, aveva funzionato.
Ma non si era arreso, e aveva deciso di intraprendere
un’altra strada: aveva rubato tutti i trattati di Magia nera
che uomini o Creature Magiche avessero mai scritto, e li aveva letti
fino a consumare le pergamene.
Per anni ed anni officiò riti di evocazione e sacrifici in
numero sempre maggiore, non perdendo neppure per un istante, nonostante
l’assenza di risultati, la fede nella sua opera diabolica.
Provò, riprovò e provò ancora
finchè la sua bramosia, in una torrida notte estiva, non
venne pagata dalla Sua venuta.
La potenza del Suo contatto mentale fu tale che il vecchio essere si
trovò a perdere sangue da naso, orecchie e bocca, senza che,
in verità, gli importasse poi molto. La fredda voce
infernale stava incendiando la sua mente con promesse ed immagini del
trionfo che avrebbero conquistato assieme, e a lui null’altro
importava.
La meravigliosa sensazione di terrore ed inadeguatezza che provava,
l’enorme quantità di potere che percepiva in ogni
minimo frammento dell’aria bastavano a renderlo felice ed
appagato.
Tutto quello, presto, sarebbe stato suo.
E anche se deluso da quell’ulteriore, piccolo, intoppo nella
sua scalata verso il trionfo e la vendetta, era troppo felice ed
impaurito per poter obbiettare.
In fin dei conti, non si trattava che di rubare qualche altro oggetto,
sacrificare qualche altra vita e rimuovere uno stupido sigillo umano.
Nulla di complicato.
Ora, finalmente, il momento era davvero giunto, e lui era
più che pronto. Guidato, come sempre, dalla voce del demone,
la creatura accese due bracieri sconsacrati col sangue e li intrise
degli olii essenziali più preziosi.
Osservò per qualche secondo le fiamme levarsi verdi ed
innaturalmente alte, poi le nutrì di nuovo combustibile:
diede loro in pasto centinaia e centinaia di pergamene e volumi dagli
argomenti più disparati, e bruciò anche disegni,
abiti ricercati e oggetti di vanità.
Attese che venissero consumati fino alla fine e poi ne raccolse la
cenere rovente a mani nude.
La unì ai resti delle vittime sacrificali, salmodiando lodi
alla grandezza della sua Signora, la mescolò a lungo e, dopo
avervi sputato dentro tre volte, ne bevve un lungo sorso e se ne
intrise le braccia sin oltre al gomito.
Usò il resto di quel miserabile composto per tracciare sul
pavimento un grosso e complicatissimo simbolo, il sigillo della strega,
e il liquido sfrigolò e ribollì ad ogni tratto,
come imprimendosi a fuoco sulla dura terra battuta.
La creatura magica si gettò prono sopra di esso e subito
provò a divincolarsi ed arretrare, poiché il
dolore che il contatto con quel sigillo santo gli causava era troppo
atroce.
Ma la volontà del demone prigioniero lo spinse nuovamente a
terra, e lo costrinse a grattare furiosamente il suolo con le lunghe
dita adunche e la vecchia lingua.
Ad ogni millimetro di terra smossa le sue viscere si contorcevano ed un
acuto dolore lo scuoteva da capo a piedi, ma la voce del demone lo
sorreggeva e spronava a continuare, sempre più forte e ferma.
Dopo ore ed ore di supplizio, il simbolo venne quasi totalmente
cancellato, e la creatura ebbe finalmente il permesso di alzarsi.
Esausto e tremante sulle gambe, l’essere emise qualche breve
ed affannato rantolio nell’aria tesa ed irrespirabile della
stanza, e si diresse verso i bracieri mentre, alle sue spalle, il
demone cominciava a manifestarsi in una nebbia oscura.
Da dietro uno dei due altari, il vecchio trasse un sacchetto di
tessuto, lo stesso che l’ignaro ragazzo goblin aveva
trasportato quella mattina. Ritornò presso il sigillo
spezzato e fece rotolare parte del contenuto all’interno
dell’antico perimetro.
Centinaia e centinaia di rubini e diamanti catturarono le scintille dei
bracieri, e si accesero di mille lividi bagliori.
La polvere di platino, invece, venne gettata direttamente sul fuoco,
trasformandosi in pioggia incandescente che sibilava sommessamente
mentre si scioglieva, attendendo che il demone la riempisse e le desse
una forma.
Non ci volle molto.
La nebbia si condensò e brillò per qualche
istante, andando poi ad avvolgere e plasmare le preziose componenti di
quello che sarebbe stato il suo nuovo corpo.
La creatura magica cadde in ginocchio e picchiò il vecchio
capo a terra più e più volte, in preda
all’estasi mistica.
Finalmente, finalmente avrebbe potuto ergere il capo dinnanzi agli
umani e…
La punta della coda rovente del demone lo raggiunse e gli
perforò il petto, fermandosi a pochi millimetri dal suo
cuore pulsante.
Gli occhi del vecchio si spalancarono, feriti ed increduli.
“Tu mi avevi promesso…”
“E intendo mantenere la promessa. Sterminerò tutti
gli esseri umani, e lo farò da sola. Ma tu hai ancora due
importanti compiti da realizzare. Il primo è liberarmi
completamente da questo sigillo, come promesso.”
Il vecchio osservò bene lo sbiadito simbolo che ornava terra
e vide che un legaccio mistico legava ancora saldamente il demone.
“ E come pensi che potrei fare? Mi hai condannato a
morte.”
“Precisamente morendo.” Assentì il
demone, dando uno strattone alla coda e strappando il cuore
dell’essere.
“Il tuo cuore pieno di devozione tradita è la
chiave che cercavo da secoli e secoli.” Il demone si godette
appieno la sua prima mezz’ora di
libertà, la usò per distruggere e
devastare ogni cosa.
Poi passò alla seconda parte del piano.
“ Ora” Sibilò rivolta al cadavere
“passiamo al tuo secondo compito.”
La creatura avanzava lentamente, incespicando spesso, ma era davvero
molto anziana e nessuno vi fece caso.
Portava una cappa marrone con un cappuccio, e sotto una logora veste
scura che pendeva da tutti i lati. Sembrava innocua, ma le guardie
imperiali erano pagate per fare domande ed impedire ai popolani di
entrare scompostamente a palazzo, quindi lo fermarono in ogni caso.
Videro che l’età si era presa entrambi i suoi
occhi e quasi tutta la sua forza, quindi furono più gentili
e meno accurati del solito.
E comunque, quando il vecchio fece brillare davanti ai loro occhi un
meraviglioso anello a forma di serpente, essi dimenticarono ogni cosa.
Lo scortarono all’interno come se fosse il loro Signore,
lasciando incustodita la porta principale e sventrando con le lunghe
scimitarre chiunque si parasse loro innanzi.
Raggiunsero così indisturbati il meraviglioso giardino dove
il Maharaja stava celebrando un banchetto mangiando, bevendo e ridendo
di gusto.
Fu facile arrivargli vicino: la festa era stata organizzata per
celebrare l’ennesima vittoria del Grande Sovrano, quindi lui
era al centro della scena e tutti gli altri troppo occupati a
banchettare, ridere ed osservare le danzatrici ed i giochi di prestigio
per controllare che non venisse avvicinato da individui sospetti.
Ucciderlo a sangue freddo gli avrebbe dato grande soddisfazione, ma la
creatura magica voleva tutta l’attenzione per sé,
quindi si fermò prima alla spalle di un invitato qualsiasi e
lo colpì con una folgore.
Immediatamente l’atmosfera gioiosa scemò, e tutti
coloro che avevano una lama al fianco la impugnarono e si lanciarono
alla carica in massa.
Erano davvero una moltitudine, ma quelle che una volta erano due
semplici guardie della porta dopo l’incanto che gli
aveva lanciato la creatura combattevano con una ferocia diabolica,
dando prova di una forza prodigiosa e di un’assoluta mancanza
di umanità.
Il loro protetto, inoltre, quella povera creatura anziana e cieca, si
batteva, se possibile, con ancora più vigore, usando persino
magie ed incanti che non avrebbe dovuto conoscere.
Inoltre non c’era ferita, magica o di lama, che sembrasse in
grado di fermarla.
Il trio trucidò praticamente tutti gli invitati e, quando
non fu rimasto che il Maharaja, la creatura abbatté pure i
suoi commilitoni e diede inizio allo scontro finale.
Il sovrano sapeva di essere condannato, ma rimaneva comunque un
valoroso condottiero ed un uomo d’onore.
Impugnò la sua magnifica scimitarra e diede, in ogni caso,
battaglia.
Non fu uno scontro molto lungo e, ben presto, la Creatura rimase sola
con quelli che aveva prescelto come testimoni della sua ascesa.
Ignorando le loro lacrime sommesse, il vecchio pretese che lo
guardassero tutti, dopodiché prese ad indottrinarli.
Raccontò loro di come, centinaia e centinaia di anni prima,
fossero le Creature Magiche le sole ed uniche detentrici della Magia e
di come gli Esseri Umani avessero sottratto loro questa conoscenza con
l’inganno, rivoltandogliela contro.
Raccontò di come gli Uomini avessero setacciato palmo a
palmo le città ed i villaggi, imponendo il sigillo sulle
creature in fasce e uccidendo quelle troppo grandi per dimenticare del
tutto, di come lui fosse misteriosamente scampato alla morte e di come
avesse deciso di vendicarsi.
“E ora sarò io a comandare! Riotterrò
il dominio e schiaccerò fino all’ultimo, maledetto
Umano! Ucciderò tutti gli uomini ed obbligherò
donne e bambine a demolire le vostre luride città e a
riedificare la mia splendida civiltà! Saro un re! Un capo
assoluto! Non vi sarà autorità al di fuori della
mia!”
Si udì un sibilo, e la sua testa cadde di netto, spiccata
dal disco lanciato da un giovane dignitario fortunosamente sfuggito al
massacro. Le palpebre e la bocca del vecchio si contrassero
spasmodicamente ancora per qualche secondo, poi rimasero paralizzate in
una smorfia di mortale stupore. Il piccolo corpo avvizzito cadde
all'indietro e cominciò a marcire e a decomporsi siccome, in
realtà, era già morto da più di un
mese. Il meraviglioso anello in foggia di rettile sentì il
dito del suo precendente signore raggrinzirsi e ratrappirsi dentro le
sue spire, e ne provò un'incontenibile gioia, che espresse
rilucendo debolmente. Sapeva che il cadavere del criminale che aveva
sterminato la famiglia Khan e tante altre persone sarebbe stato
perquisito, e lei non avrebbe permesso di non essere notata.
Sapeva che sarebbe stata raccolta e tramandata come un simbolo
di forza e un potente trofeo. Sarebbe diventata forte, e avrebbe
distrutto il mondo.
Buongiorno miei cari. Torno
dopo molto tempo con una storia alla quale lavoro da parecchio, anche
se per un lungo periodo l'ho abbandonata. Ma ultimamente ho ritrovato
molti degli appunti che avevo preso e me ne sono innamorata nuovamente,
così ho deciso di riprenderla in mano e sono
più che decisa a terminarla, anche se già so che
sarà una cosa molto lunga. (Anche se mai quanto "What If",
prometto!) Spero davvero che vi possa piacere! Vi mando un bacio, Ysis.
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Capitolo 2 *** Draco, Hermione, Sumir ***
Inghilterra,
2005
Volendo
esprimersi in maniera eufemistica, si poteva dire che Draco Malfoy,
quella sera, fosse tremendamente agitato.
Da quelle che oramai erano ore ed ore intere percorreva incessantemente
lo spazio non trascurabile del suo laboratorio di pozioni, cambiando e
cambiando ancora l’ordine dei tomi e delle pergamene e
spostando da uno scaffale all’altro le scorte degli
ingredienti. Era incredibilmente stanco e nulla lo avrebbe reso
più felice che salire alla sua camera da letto, tre piani
più sopra, e stendersi tra le lenzuola, a fianco della sua
compagna, ma non osava farlo.
In primo luogo perché il solo pensiero di sdraiarsi ed
attendere, anche solo per qualche istante, l’oblio gli era
insostenibile e secondariamente perché temeva che neppure la
più perfetta ed efficace delle sue pozioni soporifere
sarebbe stata abbastanza per fare tacere le voci delle sue ansie e
delle sue paure.
Sapeva quel che voleva ed era certo e determinato nella sua decisione,
ma ora che il momento era imminente tutte le ansie e le incertezze che
aveva combattuto e negato per tre anni di fidanzamento si ribellavano
violentemente, tormentandolo senza sosta.
La amava e sapeva di essere amato a sua volta, ma se non fosse bastato?
Se Hermione, portata a rivivere e ricostruire tutta la loro storia e,
soprattutto, il loro passato affatto idilliaco avesse infine deciso
che, no, erano davvero troppo diversi e che non era certa di riuscire a
portare avanti la relazione, che ne sarebbe stato di lui?
Malgrado i lunghi e duri anni di lavoro sulla sua
personalità e sul carattere, Draco in quel momento si
sentiva nuovamente perfettamente calato nei panni
dell’adolescente fondamentalmente pavido che era stato.
La paura del “non ordinario” ed il timore di un
rifiuto erano talmente intensi, che quasi desiderava che i suoi
genitori, o chi per loro, intervenissero in suo soccorso, come il deus
ex machina che erano stati per larga parte della sua vita, e
prendessero in mano la situazione, risolvendola a modo loro: uno
stabile matrimonio combinato con una rampolla purosangue, che
probabilmente non lo avrebbe mai conosciuto o apprezzato davvero ma che
sarebbe stata un’impeccabile co-protagonista
dell’intera messinscena, una vita lussuosa ed ostentata nel
grande maniero di famiglia ed infine dei figli, non più di
tre, da formare ed educare sin dal principio nel culto della famiglia e
del nome.
E che fine avrebbe fatto Hermione, la brillante, volitiva, testarda e
straordinaria Hermione Granger?
Beh, sarebbe dipeso da lei: ovviamente neppure l’influenza,
peraltro piuttosto decaduta, o il patrimonio della famiglia Malfoy
sarebbe riuscita a farla finire nel dimenticatoio, ma Draco sapeva bene
che, a seconda di come lei avesse deciso di giocare le sue carte, suo
padre e, soprattutto, sua madre avrebbero potuto favorire
incredibilmente o, in caso contrario, rendere quasi impossibile la vita
e la carriera futura di Hermione.
Era indubbio, però, che tutte le energie dei suoi sarebbero
state spese nell’impedire che loro due potessero in qualche
modo incontrarsi nuovamente.
Una vita senza Hermione. Una vita che, per quanto ricca, patinata e, in
apparenza, pienamente soddisfacente, non avrebbe mai più
potuto avere il sapore ed i colori di quella che si era faticosamente
costruito da solo, passo dopo passo, negli otto anni che erano
trascorsi dal termine della battaglia di Hogwarts.
No.
Quel sistema era, finalmente, sorpassato, i suoi stessi genitori erano
sorpassati e lui era la sola persona in diritto e col dovere di gestire
la sua vita.
Non c’era gonna o ala sotto la quale nascondersi,
né un valido motivo per farlo.
Il ragazzo sospirò, e rilassò la schiena: la
“crisi” era passata, almeno momentaneamente. Ma il
pensiero di quella sua natura da pusillanime, sempre in agguato e
pronta a farlo cedere alla minima difficoltà, lo faceva
impazzire dalla collera.
Senza quasi rendersene conto, il ragazzo afferrò
un’ampolla vuota e la scagliò contro il muro con
un urlo di rabbia, irritandosi poi ulteriormente per quel puerile
scatto di nervi.
“Signorino, state bene? Mi spiace disturbarvi, ma ho udito
rumore come di vetri infranti.”
La vocina esitante e sommessa giunse, assieme ad un leggero bussare, da
dietro la porta di quercia massiccia che dava sul corridoio.
Con un rapido colpo di bacchetta, Draco ricompose l’oggetto
in frammenti e poi si avvicinò alla porta.
“Va tutto bene, Falyse, ho semplicemente urtato il tavolo.
Piuttosto, come mai ancora in piedi a quest’ora
così tarda? Hermione ha forse bisogno di
qualcosa?”
“No, signorino, la signorina Hermione sembra dormire
tranquillamente. Ma in vista del suo grande giorno, domani, avevo
pensato che sarebbe stato molto carino prepararle dei biscotti
speciali, seguendo sia la sua ricetta che il suo metodo. Solo che, in
questo caso, la preparazione diventa un po’ più
lunga del solito.”
Nonostante le ansie e la stanchezza, Draco sorrise per quella piccola
mezza verità.
Quell’elfa domestica aveva iniziato a servire la sua famiglia
poco prima che lui nascesse e quindi, fin dall’inizio, era
stata lei ad occuparsi di lui e ad accudirlo.
In questo modo, tra i due si era creato un certo rapporto, anche se non
un vero e proprio legame affettivo, e Draco aveva imparato a conoscerla
bene: mai, neppure sotto tortura, Falyse avrebbe cucinato qualcosa
senza fare impiego della magia.
Più probabilmente, invece, l’elfa aveva percepito
la sua tensione e deciso di rimanere sveglia a sua volta, in caso di
necessità e per fornirgli muto conforto.
Questo esempio di riguardo lo intenerì. “Mi sembra
un’ottima idea, sono certo che verranno squisiti ed Hermione
li apprezzerà sicuramente moltissimo!”
“Volete che ve ne porti qualcuno, una volta
pronti?”
“Vedo che mi conosci sempre.” Rispose il ragazzo,
schiudendo la porta.
Dal basso del suo metro scarso di altezza, il visino verde
dell’elfa si illuminò di gioia.
“Avete sempre avuto un debole per i biscotti. Ma se non
ricordo male vi piacciono appena dorati: sarà il caso che
vada a controllare la cottura!”
Falyse si inchinò velocemente, un abitudine talmente antica
e ben radicata che neppure Hermione era riuscita ad estirpare
totalmente, e scomparve nel buio del corridoio.
Draco rientrò nel suo ufficio e chiuse la porta: si
guardò attorno, sconfortato dal disordine che aveva creato
durante le travagliate ore di veglia, e dopo una breve esitazione si
sedette alla poltrona dietro la scrivania, congiungendo le dita sotto
il mento ed osservando il cielo oscuro dalla finestra incantata: la
notte era ancora lunga, così come la sua veglia.
Qualche
ora dopo, Falyse si materializzava fuori dalla porta della camera da
letto padronale, barcollando quasi impercettibilmente sotto il peso del
gigantesco vassoio stracolmo che aveva preparato per la prima
colazione.
Da dietro la porta proveniva un borbottio incessante e regolare, segno
che la fidanzata del signorino era già in piedi e ripeteva
le arringhe per il processo.
Con qualche difficoltà, la domestica bussò.
“Buongiorno signorina Hermione, vi ho portato la colazione.
Posso entrare?”
L’uscio si schiuse immediatamente e la giovane strega apparve
nel vano della porta, vestita per metà.
“Insomma, Falyse, ti ho detto mille e mille volte di darmi
del tu!” La rimproverò bonariamente, togliendole
poi dalle braccia il pesante carico.
“Quante cose meravigliose hai preparato, non dovevi
disturbarti! Anche perché sono nervosa a tal punto che non
credo riuscirò a mandare giù un solo
boccone!”
Detto ciò posò il vassoio sul letto e fece per
afferrare di nuovo le pergamene, ma la manina dell’elfa
domestica la bloccò a metà del movimento.
“Signorina, non potete davvero essere più pronta
di così, sono mesi che studiate i casi e giorni interi che
perfezionate le vostre parti.
Il vostro debutto sarà straordinario, ma solo se non
sverrete prima dalla fame! Ieri sera non avete praticamente toccato
cibo, quindi sedete e mangiate almeno qualche biscotto, mentre io vi
preparo il tea.”
“E va bene.” Si arrese la strega,
sorridendo per il tono autoritario e assieme materno
dell’elfa.
Accantonò i foglietti con gli appunti e i discorsi
e sedette sul letto, avvicinandosi il piatto dei biscotti. Ne prese uno
e fece per mangiarlo, ma si bloccò.
“Ma questi biscotti… no, non può
essere!”
“Li ho preparati apposta per voi, signorina, seguendo la
ricetta che mi avete dato tempo fa. Spero che siano venuti bene, al
padrone sono piaciuti molto.”
“Io non so che dire, grazie!” La strega la guardava
con un grosso sorriso e gli occhi lucidi di gratitudine, e Falyse fu
lesta a distogliere lo sguardo, per evitare di mostrarsi commossa a sua
volta.
Adorava letteralmente quella ragazza per la sua intelligenza,
la sua dolcezza e soprattutto l’effetto che aveva sul suo
signorino ed ogni giorno ringraziava il cielo che lui avesse trovato
una simile compagna con cui dividere la vita.
Sin dall’inizio aveva assistito alla vita del padrone e si
era quasi rassegnata a vederlo sprofondare nella bambagia
preconfezionata e letale in cui l’avevano da sempre avvolto i
suoi genitori, ma poi c’era stata la seconda venuta di
Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e il ragazzo si era come
risvegliato, trovando dentro di sé la forza e il coraggio di
dire finalmente “no”, con sua grande gioia.
Aveva temuto, però, che il cambiamento non fosse permanente
e che dopo il conflitto ed il delicato periodo della ricostruzione,
Draco potesse tornare ai vecchi sistemi.
Per come la vedeva lei, però, l’essersi innamorato
di Hermione aveva definitivamente accantonato quella
possibilità e anche se talvolta, come la notte appena
trascorsa, il suo padrone poteva avere dei momenti di debolezza, Falyse
era oramai certa che il ragazzino sciocco, bizzoso, viziato e
pusillanime che era stato non sarebbe mai più tornato.
“Forza, il tempo vola! Vi aiuto a sistemare i capelli mentre
finite di ripetere.” Esclamò l’elfa
domestica, riscuotendosi dai ricordi e concentrandosi sulla padroncina.
In breve Hermione fu vestita ed acconciata di tutto punto e finalmente
pronta per uscire.
“Credi che andrà tutto bene?”
Domandò ansiosamente la strega, dandosi un’ultima,
nervosa, occhiata nello specchio accanto al camino.
“Ma certo che si, padroncina, li incanterete tutti. Siete
assolutamente perfetta per questo lavoro e vi siete preparata molto
duramente, nulla potrà andare storto.”
“Spero sia così. L’udienza si
terrà alle undici, poi tornerò in ufficio, quindi
rientrerò alla solita ora.”
“Vi farò trovare la vasca pronta per un bel bagno
rilassante. Buona giornata, Signorina.”
“Buona giornata a te, Falyse, e grazie di tutto. Al Ministero
della Magia!” Esclamò poi, gettando una manciata
di metropolvere nel camino ed entrando nelle fiamme verdi, sparendo
subito dopo.
L’elfa domestica si voltò e tornò ai
suoi mestieri, non prima di aver sentito un leggero tonfo provenire
dalla porta che conduceva al seminterrato.
Sorrise: il suo padroncino poteva essere molto cambiato, ma nel
profondo qualcosa in lui sarebbe sempre stato riservato e serpentesco
come lo ricordava.
110
a.C. Turchia
Sumir
saltò il muretto e rimbalzò sulla tenda lacera
posta sopra la bottega di uno speziale. Tocco terra pochi istanti dopo
e spiccò una corsa indiavolata attraverso i vicoletti della
città.
Le guardie del Visir non lo avrebbero acchiappato.
Attese qualche minuto ancora poi, stringendo attraverso la tasca degli
ampi pantaloni il Mokassino che conteneva i gioielli appena rubati a
palazzo, si confuse con la folla di uomini e donne che percorrevano il
mercato mattutino. Si guardò attorno con attenzione e, dopo
una rapida ricerca e la certezza di non essere osservato da anima viva,
si diresse verso il modesto banchetto di Tegoo, orafo e gioielliere per
i più, eminente signore della criminalità
cittadina per i ladri come lui.
O ti rivolgevi a lui, o lasciavi la città.
“Un consiglio, maestro, la prego.”
Disse il giovane, utilizzando nonostante la certezza di non essere
osservato il solito codice segreto.
Il mercante, un pingue uomo sulla quarantina dai piccoli occhi gelidi,
vestito con una semplice tunica rosso sangue molto impolverata e un
turbante color crema tutto storto annuì e lo condusse con un
gesto fluido della mano verso un lato del banchetto, a prima vista non
diverso dagli altri.
Sumir sapeva bene, però, che quell’uomo
dall’aspetto innocuo e modesto padroneggiava spaventose arti
magiche e che quel lato della bancarella, nello specifico, aveva la
straordinaria capacità di celare qualsiasi cosa vi si
dicesse o venisse mostrata: molti, redditizi, scambi di tesori erano
avvenuti tra i due uomini in quel modo.
“Allora, mio giovane amico, cosa hai portato oggi al buon
Tegoo? Un vero bottino, confido, visto il tuo calibro come ladro.
Inoltre, i miei uccellini mi hanno riferito che raramente hanno visto
le guardie del palazzo tanto agitate e furiose.”
“Lo sarei anche io, se mi fossi fatto rubare da sotto il naso
i tesori preferiti del mio padrone.”
Concordò Sumir, vuotando il contenuto della bisaccia sul
morbido tessuto del banco.
“Capisco …” rispose il mercante,
osservando con occhi scintillanti di gioia i gioielli che il giovane
estraeva dal sacchetto di pelle e calcolando il profitto che ne avrebbe
tratto.
Quel ragazzo era una vera e propria miniera d’oro, senza
dubbio il ladro migliore di tutto il paese: astutissimo ed agile, non
c’era oggetto di cui non riuscisse ad appropriarsi e
guardiano al quale non riuscisse a fuggire.
E, cosa migliore, non aveva la benché minima traccia di
magia in sé, né quindi era in grado di
riconoscerla negli oggetti che talvolta rubava.
Certi suoi colpi avevano fruttato al mercante guadagni davvero
incalcolabili e gli avevano fatto stringere accordi e patti con
stregoni e creature magiche che, senza i tesori e gli amuleti
procuratigli da Sumir, non avrebbe mai neppure osato immaginare di
poter contattare.
Quel giorno, però, prima ancora di iniziare ad osservare e
valutare la merce, il mercante-stregone si sentì scuotere da
un brivido di autentico e puro terrore.
Un’aura devastante, letale e potentissima, sembrava
propagarsi a spire dalle profondità del contenitore del
ragazzo e l’uomo, che aveva ucciso a sangue freddo per
profitto più e più volte senza neppure battere
ciglio, temette per la prima volta per la sua vita e la sua anima
immortale.
Pregò di non dover vedere da cosa fosse prodotta, di non
ritrovarsi mai e poi mai tra le grazie o, peggio, disgrazie di
quell’essere, ma fu tutto vano.
Per ultima, trionfante nel suo corpo di platino e diamanti,
uscì Lei, e catturò sulle scaglie della sua pelle
indistruttibile la luce del sole, facendo risplendere
nell’aria decine e decine di piccoli arcobaleni.
I suoi occhi rossi dardeggiavano di intelligenza e Sumir si
pentì immediatamente di aver rubato senza prestare
attenzione a ciò che prendeva: sicuramente il mercante
avrebbe preteso quel gioiello di straordinaria bellezza, e a lui si
spezzava il cuore a lasciarlo, anche gli avesse fruttato il
più ricco dei compensi.
Anzi, a lasciarla.
Sapeva, sentiva, con incredibile certezza, che quell’anello
era femmina, per assurdo che fosse.
“Ebbene, maestro? Cosa ti sembra del mio bottino?”
Si sforzò di domandare in tono normale, mentre la sua mente
e i suoi occhi correvano irresistibilmente al gioiello.
Tegoo sorrise e passò la mano sopra le ricchezze
ammonticchiate sul banco, bene attento però a non
coinvolgere nel gesto quell’ultimo, terrificante anello a
forma di serpente.
“Eccezionale, davvero eccezionale! Credo che mi
troverò parecchio alleggerito, oggi, dopo il tuo passaggio.
Vediamo… per questa roba posso darti trecento lire turche.
Aggiungendo queste collane e i bracciali posso arrivare a mille.
Quanto agli anelli col sigillo della casata, posso comprarteli a
settanta lire l’uno, dato che non sono in ottime condizioni e
che ci dovrò lavorare parecchio su per riuscire a
venderli.”
Mentì disinvoltamente, sapendo che il suo acquirente avrebbe
speso non meno di otto volte tanto pur di poterli avere.
“Poi, vediamo cosa ci rimane… ah, si, la pietra
del turbante del Visir! Quella, all’incirca, potrà
fruttarti ...”
“Non accetterò meno di mille e cento lire, per
quella, maestro! É preziosissima.”
“E tanto nota e riconoscibile quanto bella, temo.
Dovrò tagliarla più e più volte per
avere qualche possibilità di venderla.”
Replicò il mercante con una smorfia contrariata, mentre
dentro di sé esultava per l’offerta ridicolmente
bassa per quel talismano quasi unico al mondo.
“Ma sono certo che ci riuscirete senza problemi. Mille e
cento lire, o non se ne fa nulla.”
“Oh, sia come vuoi, non posso certo rischiare che tu ti
rivolga a chissà qualche altro mercante o, peggio, disonesto
truffatore! Ecco i tuoi soldi, controllali pure, se
desideri.”
Il pesante sacchetto di lino sparì rapidamente nella
saccoccia di Mokassino.
“Non credo di averne bisogno, siete sempre stato molto
onesto. E in quanto a questo anello, maestro? Non lo volete?”
Sumir si diede dello stupido da solo: sicuramente era stata una
dimenticanza, ma ora non aveva più possibilità,
si era rovinato con la sua stessa linguaccia avventata.
Sicuramente Tegoo l’avrebbe pretesa per lui, e al maestro non
osava rubare, era una persona troppo influente e pericolosa.
Lo avrebbe trovato ovunque, per quanto astuto fosse stato il suo
nascondiglio, e lo avrebbe ucciso senza pietà.
Ma forse, Lei, valeva un tale prezzo…
“No, ragazzo, non voglio quell’anello.”
Il suo stupore fu tale che quasi urlò. “Cosa?
Perché?”
“Beh, intanto perché è eccessivamente
riconoscibile, dovrei smontarlo pezzo per pezzo e, una volta fatto, il
solo valore dei materiali di cui è fatto non mi
ripagherebbero lo sforzo. Inoltre…”
Esitò brevemente e studiò attentamente gli occhi
del giovane.
“Inoltre c’è qualcosa che non mi piace
affatto, in quel gioiello, qualcosa di profondamente malvagio. Non mi
va di averci nulla a che fare e, se posso darti un consiglio
disinteressato, sarebbe bene che te ne liberassi pure tu. Ci sono forze
e poteri, in questo grande mondo, che sarebbe meglio
ignorare.”
Sumir studiò a lungo il volto insolitamente teso ed
espressivo del mercante e lesse chiaramente la paura nei suoi occhi.
Ne fu profondamente turbato, tanto più che quella reazione
gli sembrava estrema ed esagerata in relazione ad un semplice monile.
Ma poteva tenerla, e questo era quello che contava.
“Lo farò, maestro, la ringrazio per le sue
parole.” Fece un breve inchino e si allontanò,
sparendo velocemente nel caos del mercato.
Tegoo, finalmente, rilasciò il fiato che non si era accorto
di avere trattenuto e rilassò tutto il corpo, scoprendo che
muscoli che credeva sepolti da anni nel cibo e
nell’inattività ora tremavano e guizzavano per la
tensione e la tremenda paura.
“No, non lo farai. Chi mai potrebbe? È un gioiello
meraviglioso, fatto apposta per sedurre l’animo degli umani e
ha scelto di servirsi di te. Spero solo di sbagliarmi, e che tu possa
resistergli.”
Scosse il capo rassegnato e si deterse il sudore dalla fronte con un
grosso fazzoletto.
Dall’altra parte del banco una donna attirò
debolmente la sua attenzione e lui le andò in contro,
sfoderando il suo miglior sorriso da venditore.
Lei, intanto, si era risvegliata ed ora si rivolgeva al giovane ladro
con una nenia cantilenante ed ipnotica, prendendo possesso del suo
corpo e soprattutto della sua mente, tanto astuta e vivace da averla
riscossa dal suo secolare torpore.
“Faremo grandi cose assieme, vedrai! Esaudirò ogni
tuo desiderio e capriccio e tu non avrai di che lamentarti nel
servirmi.”
Lo rassicurò, materializzandosi attorno al suo dito e
sollevando il capo scintillante per parlargli.
Sumir annuì debolmente, elettrizzato ed incredulo, oramai
totalmente dimentico del saggio consiglio del mercante.
“Si mia signora. Con quale nome devo rivolgermi a
voi?”
“Il mio nome è Esshielt.”
Inghilterra, 2005
Finalmente
era finita, ed era stato un vero successo!
Troppo elettrizzata per poter rimanere chiusa a mangiare in ufficio
come faceva solitamente, Hermione varcò la soglia del
Ministero della Magia e si tuffò nell’orda
familiare e caotica che percorreva Diagon Alley in quel meraviglioso
pomeriggio di primavera anticipata.
Vagò qua e là per un po’ e si diresse
infine verso il Ghirigoro, sua meta sin dal principio.
Curiosò per un po’ tra gli scaffali, in cerca di
letture di approfondimento e testi che la aiutassero a scrivere due
articoli che aveva promesso ad altrettanti giornali e quasi per caso,
nella sezione dei libri di seconda mano, si imbatté in un
libretto che, una volta aperto, si rivelò una raccolta di
pozioni che avevano davvero poco da invidiare a quelle contenute nel
“De Potentissimis Potionibus”, che per tanto tempo
aveva studiato durante il suo secondo anno ad Hogwarts.
Incuriosita, cercò il nome dell’autore sulla
copertina, sulla costa e persino in prima pagina, ma non
trovò niente, né nulla che le potesse essere
d’aiuto a capire di chi si trattasse.
Si diresse quindi alla cassa, per cercare di risolvere il mistero, e il
cassiere, un uomo di colore alto, dall’enorme sorriso e con
una gran massa di treccine che gli arrivavano a metà
schiena, l’apostrofò con un vivace e fin troppo
rumoroso.
“Che piacere vederla nel mio negozio signora Malfoy! Cosa
posso fare per lei, oggi?”
Hermione arrossì e gli lanciò
un’occhiataccia, sebbene non riuscisse a trattenere un
sorriso.
“ Smetterla di gridare potrebbe essere un inizio, Lee Jordan!
Non cambierai mai vero?” Domandò, sporgendosi poi
a baciarlo sulle guance con un gran sorriso.
L’ex compagno sorrise a sua volta e ricambiò il
saluto “ E perché mai dovrei? Senza di me questo
posto sarebbe un vero mortorio! Guarda che roba sono costretto a
vendere! “Lineamenti teorici di aritmanzia”,
“Teoria ed ipotesi dello studio delle fatture
mediche”, “Atti completi dei processi alle Creature
Magiche, anni 2002/2003”! Non si può sopravvivere
a questa roba senza un po’ di allegria qua e là! E
questo cos’è?”
Domandò, accantonando tutti gli altri pesanti
volumi per concentrarsi sul libriccino.
“Speravo potessi rispondermi tu, non sono riuscita a trovare
il titolo da nessuna parte.”
“Già, ora ricordo, è un libro che ho
archiviato io stesso: un nostro fornitore ce lo ha portato assieme a
circa sette casse di libri di pozionistica, che ha trovato per caso in
una casa abbandonata da anni.
É una raccolta di pozioni decisamente complicate, ma dagli
effetti curativi davvero straordinari.
Molto interessante, sebbene io dell’argomento abbia sempre
capito poco, come un certo pipistrello untuoso potrebbe certamente
testimoniare, se solo fosse ancora in questo mondo.
Lo fascio per il tuo fidanzato?”
Domandò, strizzandogli l’occhio con fare
cameratesco.
Hermione annuì: rimproveri in qualità di Prefetto
a parte, con Lee si era sempre trovata molto a suo agio, e gli era
grata per averla sempre trattata come una persona normale, anche dopo
che, oramai quasi quattro anni prima, si era ufficialmente fidanzata
con Draco, con tutto quello che ne era derivato, pettegolezzi,
maldicenze e teorie improbabili di strani complotti in primis.
Si era sforzata di non darvi molto peso, ben sapendo che quello che
aveva scoperto in Draco valeva bene qualche occhiataccia e commento
sgradevole, ma era stato confortante vedere che una faccia amica era
rimasta tale, anche in quell’occasione sicuramente un
po’ insolita.
Lee l’aveva sempre trattata gentilmente, accolta senza
commenti, battutine o domande indiscrete all’interno del
negozio e le aveva persino indicato l’entrata per un
magazzino dei dipendenti oramai quasi in disuso, dove la strega poteva
leggere per ore ed ore nella pace più completa.
In quel frangente, la nostalgia per Harry, Ron e la sua famiglia e
tutti gli amici e membri dell’Ordine superstiti si era fatta
bruciante.
Chi per seguire la propria carriera, chi per ritrovare se stesso, chi
per cercare di ricucire strappi e ferite ancora troppo fresche: si
erano tutti allontanati per qualche motivo, e ristabilire i contatti e
gli antichi legami, ora, sembrava un’impresa quasi
impossibile alla strega, che a malincuore aveva rinunciato.
“Ecco a te. Ti faccio recapitare tutto a casa, come al
solito?”
“Si, grazie, prendo con me solo quello.” Rispose
Hermione, riscuotendosi improvvisamente dai ricordi ed indicando il
pacchettino fasciato in carta rossa e dorata.
“Una scelta casuale, immagino.” Disse
all’amico, con aria di rimprovero, anche se non
riuscì ad impedirsi di sorridere.
“Certo, assolutamente casuale! Perché,
c’è forse qualcosa che non va?”
Replicò Lee, con un’aria fin troppo innocente,
sporgendosi oltre il bancone e baciandola nuovamente sulle guance.
“Passa una buona giornata, Hermione. Perché uno di
questi giorni non cerchiamo di organizzare una rimpatriata?
É passato davvero troppo tempo dall’ultima volta
che ci siamo trovati tutti assieme, e anche in quel caso
l’occasione non era delle più felici.”
“Ma certo, mi sembra un’idea favolosa! Mi farebbe
proprio piacere rivedere un po’ delle vecchie
facce!”
“Allora vedrò di organizzare qualcosa!”
Hermione sorrise ed uscì velocemente dal negozio, prima che
al compagno potesse venire in mente di chiederle di sentire
l’opinione di Harry, Ginny o Ron a riguardo. Una rapida
occhiata all’orologio la convinse a tornare rapidamente al
suo ufficio.
La pausa pranzo era appena terminata.
70
d.C. India
La
figura incappucciata si muoveva, silenziosissima ed invisibile,
attraverso i corridoi semideserti del sontuoso palazzo. La
Confraternita aveva prescelto lei tra tutti i discepoli, ritenendola la
sola in grado di portare a termine la missione, e non aveva la minima
intenzione di fallire.
La ricerca del manufatto era stata lunga e complessa, ma finalmente
riteneva di averlo localizzato.
Prima che sorgesse il sole, avrebbe rubato il gioiello maledetto e
l’avrebbe affidato ai Sapienti, affinché
sigillassero l’empio demone che lo animava da ormai troppo
tempo.
Quanto al suo possessore…. Beh, erano passati oramai sedici
lunghi anni, ma finalmente Nantima avrebbe potuto vendicare
l’orrenda strage della sua famiglia.
Al solo pensiero, un brivido di gioia le carezzò il cuore,
ma la giovane si impose di mantenere la calma: aveva sacrificato troppo
della sua vita per giungere sino a quel punto, e non avrebbe permesso
che il suo momento di trionfo le fosse rovinato da uno scatto emotivo.
Nantima trattenne il fiato ed aguzzò le orecchie,
nascondendosi in un’ampia macchia d’ombra:
nell’enorme spazio davanti a lei percepiva il respiro, le
risate, i sospiri ed i gemiti di non meno di trenta persone, di sesso
ed età differente.
Percepire il suono che le interessava non sarebbe stato affatto
semplice, ma non per questo si perse d’animo.
Pazientemente e con enorme determinazione, rimase in ascolto a lungo e
finalmente individuò la nota che cercava, metallica e
raspante come un sibilo. I suoi studi si erano rivelati corretti, e
presto la sua sete di vendetta si sarebbe placata.
Senza tradire la minima emozione, la giovane sganciò dalla
cintura un sacchettino intrecciato di fibra vegetale e, dopo essersi
tappata naso e bocca con un lembo del turbante che la proteggeva e
mascherava al contempo, lo aprì.
Al suo interno una polverina azzurra, lucente ed impalpabile, vorticava
e si arrotolava su se stessa, come mossa da un vento misterioso. Non
appena i lembi della sacca si schiusero, la rena si librò da
sola in aria e, intrufolandosi tra gli interstizi delle assi, sotto le
porte chiuse e tra le fibre dei ricchi tessuti appesi a mura
ed infissi, riempì tutte le stanze del palazzo, facendo
sprofondare in un profondo sonno incantato chiunque si trovasse al suo
interno, con la sola ovvia eccezione di Nantima.
La giovane assassina attese qualche istante, poi forzò la
porta serrata con un pugnale incantato e si fece largo nel livello
più interno dell’edificio.
Dapprima si imbatté in due guardiani armati,
dall’aspetto selvaggio e feroce e subito dopo in decine e
decine di ragazze bellissime e molto giovani, appena avvolte in sete
colorate, costose e striminzite.
Su un gigantesco letto a baldacchino, al centro della stanza, altre
giovani donne bellissime e, in mezzo a loro, un ragazzo riccamente
vestito.
All’apparenza non poteva avere più di
vent’anni, ed un’aria così mite e
spensierata che avrebbe convinto chiunque, ma Nantima sapeva che le
cose erano molto diverse: stando alle informazioni raccolte nel tempo,
l’uomo davanti a lei aveva molti più anni di
quelli normalmente concessi agli esseri umani e le mani grondanti del
sangue di migliaia di vite innocenti, incluse quelle dei suoi genitori.
Un uomo, Sumir, che di mestiere ufficiale faceva il mercante ma che era
anche e soprattutto un famigerato ladro, stregone, assassino e
trafficante di praticamente ogni cosa fosse proibita, tanto che, da
troppo tempo, rappresentava un pericolo persino per
un’organizzazione importante come la Confraternita.
Un nemico scomodo, difficile da affrontare, proprio perché
crudele, potente e in grado di manipolare la realtà.
Nantima sapeva di essere stata scelta proprio perché era
solo una recluta fra tante, perfettamente sacrificabile, e
perché il suo coinvolgimento personale le avrebbe impedito
di mollare il lavoro a metà, ma le andava bene comunque.
“Sai, è pericoloso rimanere imbambolati di fronte
ad un nemico, anche se stordito. Potrebbe riprendersi.”
Le parole raggiunsero la ragazza assieme al pugnale, ed ebbero sulla
sua mente il medesimo effetto della lama sulla sua pelle: dapprima
sembrarono sfiorarla appena, gelate, e poi la colpirono violentemente,
con un’ondata di calore e dolore.
Nantima alzò gli occhi verso il letto, ma il giovane
ovviamente non era più lì; la giovane
provò a voltarsi, ma prima che potesse riuscirvi la lama di
un coltellaccio apparve poco sopra la sua spalla destra e le percorse
la gola, incidendo appena lo strato più superficiale della
pelle.
“Credevi davvero che un uomo come me potesse farsi
imbrogliare da un trucco misero come quello della polvere soporifera?
Evidentemente tu e la tua Confraternita non siete altro che dei
novellini.”
“O forse sei tu ad essere troppo sicuro di te
stesso.” Nantima recuperò in un istante tutto il
proprio raziocinio e fece una finta in avanti, distraendo
l’avversario mentre con la mano libera trovava e scagliava
con precisione un pugnale avvelenato, mirando alla sua gola.
La lama affondò con precisione nella carne tenera e scura e
la giovane esultò interiormente, ma Sumir le
cancellò rapidamente il sorriso dalle labbra.
Senza tradire la benché minima emozione, il ladro si
sfilò il coltello dalla gola e lo contemplò con
distaccato interesse, ignorando persino il copioso rivolo di sangue che
fuoriusciva dalla ferita.
“E di cosa dovrei avere paura? Io sono
imbattibile!” Le rilanciò l’arma, ma
questa volta la giovane era pronta.
Parò il colpo e, con una smorfia di dolore,
sguainò la propria sciabola: con quella prima pugnalata
inaspettata, Sumir le aveva reso praticamente inutilizzabile il braccio
destro, ma Nantima non avrebbe permesso alla ferita di darle il
benché minimo svantaggio.
Con un grido si lanciò all’assalto, sperando di
cogliere il ladro di sorpresa ma lui evocò in un istante una
sciabola oscura e diede battaglia senza la minima esitazione.
Il duello tra i due continuò serrato per moltissimo tempo:
Nantima era una combattente più prudente e riflessiva, che
giocava molto in difesa e si muoveva parecchio, guizzando qua e
là per evitare di rendersi un facile bersaglio; Sumir, al
contrario, si limitava a caricare e ad attaccare con forza bruta, senza
neppure curarsi di schivare appieno gli assalti della giovane.
Quando le sue ferite diventavano troppe, o troppo gravi, si limitava a
sfiorarle con una mano ed esse svanivano all’istante,
sicuramente ad opera di un potente incantesimo, che però,
stranamente, lo stregone non aveva neppure bisogno di sillabare o
pronunciare a mezza voce.
Ciò, unito al fatto che le cure miracolose erano sempre
fatte con la mano destra, insospettirono Nantima a tal punto che la
ragazza decise di giocare il tutto per tutto sull’intuizione
che aveva avuto.
Giocò ancora a lungo con Sumir, celando le sue vere
intenzioni, e quando fu certa del fatto che le sue difese fossero
concentrate da tutt’altra parte, con uno sforzo estremo
passò la sciabola da una mano all’altra e con un
fendente preciso spiccò di netto la mano al suo avversario
e, per buona misura, gli tagliò la gola.
O, almeno, così sarebbe andata se quella mano non avesse
indossato Esshielt.
Con il suo potere, infatti, il demone fece si che la ferita non
sanguinasse e che la mano tranciata rimanesse in vita e librata a
mezz’aria, ma allo stesso tempo approfittò
dell’inaspettata situazione che si era venuta a creare per
prendere una decisione che rimandava da molto tempo.
Oramai aveva imparato tutti i trucchi e le astuzie di Sumir, fin nel
minimo dettaglio, e dalla maniera in cui il ladro si era affidato
totalmente a lei anche durante quell’ultimo, semplice,
scontro Esshielt aveva capito aveva oramai estirpato da lui anche la
minima scintilla di autonomia.
Non era minimamente interessata a fare la guardia ad
un’ospite che non potesse in qualche modo ripagare i suoi
servigi, quindi forse era il caso di abbandonare quel corpo e cercare
nuovi luoghi da scoprire e cose da apprendere.
Inoltre, da quello che poteva cogliere sondando la sua mente, quella
ragazza e il gruppo di cui faceva parte sembravano essere un
po’ troppo informati circa la sua natura e la sua esistenza:
anche se, per abitudine, durante lo scontro si era resa invisibile con
un incantesimo, il demone sapeva bene che se avesse dissolto
l’incanto la giovane l’avrebbe vista e riconosciuta
per ciò che realmente era, e ciò era un male.
Se sottovalutata, quella situazione rischiava di diventare
potenzialmente spinosa, per non dire decisamente problematica. Meglio
correre ai ripari sin da subito.
Presa così la sua decisione, Esshielt abbandonò
la mano del suo ospite dopo più di due secoli, portandolo
alla morte senza il minimo ripensamento.
Il demone si sentì precipitare e toccò terra
bruscamente, venendo poi sommersa da un fiume di sangue, che
ingerì avidamente prima di mostrarsi.
Ancora incredula per l’inaspettata efficacia del suo attacco
Nantima, dopo essersi accertata della morte del suo avversari
trapassandogli il cuore con la sciabola, bendò rapidamente
le ferite più gravi e si dedicò poi ad osservare,
non senza malcelato disgusto, la mano mozzata di Sumir e, soprattutto,
il meraviglioso gioiello che vi era improvvisamente comparso sopra.
L’anello si sentì sollevare e sfilare con cautela
dalla mano mozzata del suo, oramai precedente, padrone.
Percepì in maniera chiara e netta
l’odore della paura e del disgusto di Nantima, che trattenne
il fiato quando vide che la falange dove il serpente aveva trovato
rifugio per tanti anni era scarnificata e consumata. L’osso
era come bruciacchiato e venato e la scarsa pelle che a tratti lo
celava sembrava essere stata sciolta con un qualche acido e si
presentava di un’orribile colore giallo infetto.
Non desiderando prolungare neppure per un secondo il contatto con quel
mefitico artefatto, la giovane lasciò cadere Esshielt
all’interno della sua bisaccia incantata e si
concentrò sull’uscire da palazzo prima che
qualcuno potesse accorgersi che qualcosa non andava e decidesse di dare
l’allarme.
Una semplice bisaccia incantata, però, non era neppure
lontanamente in grado di impedire al demone di ottenere le informazioni
che desiderava e pianificare un piano che le permettesse di annientare
la Confraternita e di continuare ad esistere indisturbata, adescando di
volta in volta giovani dalla mente pronta o un’enorme energia
magica, in attesa di trovare la creatura speciale, quella che le
avrebbe finalmente consentito di realizzare il suo piano.
Liberarsi
della Confraternita degli Assassini fu semplicissimo, quasi un gioco da
ragazzi.
Tra quei tronfi, vanesi ed arroganti guerrieri e sapienti, non ce ne fu
neppure uno che si dimostrò in grado di resisterle o darle
battaglia e in poche ore la Confraternita venne totalmente cancellata
dal mondo e dalla storia.
Dopodiché, Esshielt si avvolse su se stessa e si
addormentò, attendendo che la sua aura chiamasse a
sé la prossima creatura che si sarebbe dimostrata degna di
ospitarla.
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Capitolo 3 *** Draco, Hermione, Tallula ***
Inghilterra,
2005
Hermione
apparve nel camino del Manor e scese sull’antico tappeto
della
famiglia Malfoy, bene attenta a non macchiarlo di cenere.
Con un
sospiro di sollievo scalciò via gli eleganti stivaletti che
era
stata costretta ad indossare durante il processo e calzò un
paio di
pantofole, poi posò la cartella da lavoro su un tavolinetto
basso.
Infine slegò la fibbia del leggero mantello primaverile e lo
ripose
nell’enorme armadio di mogano, accanto ad un indumento quasi
identico ma verde smeraldo, segno che Draco era già
rincasato o non
era uscito del tutto.
Felice di quella scoperta, la strega percorse
velocemente il lungo vestibolo dell’ingresso ed
entrò nello
splendido salone affrescato, andando alla ricerca del
fidanzato.
Attraversò quasi di corsa l’enorme sala, prestando
meno attenzione
del solito agli affreschi, le ampie vetrate, i sontuosi tappeti, i
mobili scuri e lucidi ed il gigantesco lampadario di cristallo a
braccia molteplici.
Giunta al centro della stanza, Hermione si fermò
per qualche istante, riflettendo sulla strada da imboccare, e infine
decise di varcare la grossa porta scorrevole che divideva il piano,
ignorando la scala in marmo bianco che si avvolgeva in una semi
elica, conducendo al livello inferiore della dimora. Accostò
i
battenti dietro di sé e trattenne a stento un brivido
poiché,
nonostante le torce di ferro battuto che portavano luce e calore, il
pavimento di serpentino verde scuro del corridoio ampio e spazioso
attirava terribilmente il freddo.
Ai lati del camminamento,
realizzate anche esse in pietra verde, file e file di mensole
contenenti parte della straordinaria biblioteca dei Malfoy salivano
quasi sino al soffitto, costringendo, come sempre, la strega a
fermarsi rapita a studiare i titoli dorati vergati sui dorsi dei
tomi.
Nonostante gli ormai quattro anni di fidanzamento e il suo
grande amore per la lettura, neppure lei era stata, ancora, in grado
di leggerli tutti, ma non per questo intendeva arrendersi.
Nella metà
inferiore del corridoio, invece, disposti con gusto su numerose
cassettiere di legno chiaro intarsiato, si trovavano oggetti
d’argento di quasi tutte le epoche storiche, appartenenti a
razze
magiche ed etnie differenti.
Un’altra porta scorrevole si trovava
alla fine del corridoio e si apriva su un salone diviso in due
ambienti da un’arcata in pietra lavorata. Il primo, solenne e
sobrio era dedicato ai banchetti più sfarzosi e mondani ed
ospitava
al suo interno, tra le altre cose, arazzi, armature, antichi stemmi
magici, servizi di cristallo elfico ed un antico clavicembalo
appartenuto, secondo le leggende, ad un crudele e sanguinario sovrano
dal fine animo artistico. L’altra stanza, invece, pur
rimanendo
altrettanto elegante aveva un’aria decisamente più
accogliente ed
informale, con i preziosi tappeti orientali, le ampie finestre dalle
tende morbide e vaporose, le poltrone ed i soffici cuscini.
Si
trattava infatti di una sala lettura e in questa stanza Draco ed
Hermione finivano invariabilmente per passare molto del loro tempo
libero, leggendo, studiando, scrivendo articoli o semplicemente
tenendosi compagnia.
E proprio su una delle poltrone, con la cravatta
allentata e la camicia leggermente slacciata, sedeva Draco Malfoy,
immerso nella lettura di un libro sugli antichi riti di Samahien che
Hermione stessa gli aveva regalato qualche anno addietro.
Sentendola
arrivare, il ragazzo sollevò gli occhi prima che lei potesse
salutarlo e il cuore della strega batté un po’
più rapido.
Gli
occhi grigi di Draco erano quelli di una persona mortalmente
preoccupata per qualcosa, e ciò la intimoriva istintivamente
sotto
molti aspetti. “Bentornata, hai passato una buona giornata?
Come è
andato il processo?”
La voce del suo ragazzo era suadente e
gentile, come sempre del resto, ma ciò non bastava a
tranquillizzare
Hermione, che si trovò costretta a deglutire energicamente
prima di
poter rispondere.
“Si, grazie, è andato tutto alla perfezione e i
miei interventi sono stati apprezzati. Credo di aver visto Blaise, al
Ministero, ma non ne sono sicura in questi giorni il viavai
è
tremendo! E tu? Hai...” esitò, cercando di
soppesare con cura le
parole, ben sapendo che, notoriamente, si lasciava influenzare dalle
proprie intuizioni ma che talvolta esse potevano essere sbagliate,
soprattutto nel caso di Draco, capace di sconvolgerle mente e
cuore.
“Un’aria piuttosto tesa.”
Si rassegnò infine a completare il
pensiero, scoccandogli un’occhiata penetrante.
Fortunatamente lui
sorrise, affatto offeso, e si alzò, prendendole la
mano.
“A te non
sfugge nulla, vero? Si, effettivamente sono un po’ teso.
C’è una
cosa che desidero chiederti.”
La sua mano, grande e fredda come
sempre, la rassicurò le la predispose all’analisi
del problema.
“Certo, dimmi tutto.” Rispose in tono pratico ed
affettuoso,
facendo il gesto di dirigersi verso la sua poltrona.
“No, non è
questo il luogo.” Replicò Draco, stringendo
delicatamente la presa
sulle sue dita e trascinandola con garbo verso la porta in fondo alla
stanza, porta che conduceva alla maestosa Biblioteca stile
barocco.
Nonostante la curiosità e la punta d’ansia, come
sempre la mente
di Hermione rievocò la prima volta che era stata
lì e il brivido
che aveva provato nel vedere tutti quei libri meravigliosi in quella
stanza stupenda.
In quel momento si era davvero sentita come una
delle principesse preferite della sua infanzia, e fortunatamente la
sensazione non era mai passata del tutto.
Trepidante, posò una mano
sulla maniglia e Draco la coprì con la sua, aiutandola a
ruotarla.
Entrarono nel salone ed una volta tanto non furono i libri o gli
antichi mappamondi ad attirare lo sguardo della ragazza, ma
bensì il
grosso mazzo di grandi rose bianche, che trionfava in un vaso di
cristallo elfico su uno dei tavoli da studio.
Al centro di quella
nuvola candida, però, spiccava una piccola e perfetta
macchiolina
rossa e, avvicinandosi, la giovane poté notare che si
trattava di
una rosa rossa, una Scarlet Carson per essere precisi, identica in
tutto e per tutto a quella che aveva trovato sul cuscino accanto a
sé
una mattina di quattro anni prima, quando aveva capito di amare il
ragazzo che prima di allora si era sempre e solo imposta di
disprezzare.
E quello stesso ragazzo, ora, la stava guidando verso il
tavolo e i fiori, trattenendo sempre meno efficacemente il proprio
nervosismo.
Hermione sentiva il cuore rullarle nel petto e le
sembrava di non poter più respirare. Naturalmente un certo
sospetto
le era balenato in mente, ma non voleva neppure azzardarsi a
prenderlo in considerazione, tanto sarebbe stato deludente
sbagliarsi.
“Hermione, tesoro mio …”
Cominciò Draco Malfoy,
con voce non proprio rilassatissima e già in grave debito di
ossigeno.
Temendo di bloccarsi irreparabilmente, decise di cestinare
sul momento il discordo al quale aveva dedicato tutta la mattinata e
buona parte del pomeriggio e di affidarsi
all’ispirazione.
Si
avvicinò al vaso, prese la rosa rossa e la porse alla sua
ragazza,
trepidante d'attesa. Non appena Hermione strinse il gambo tra le
dita, i petali del fiore si schiusero totalmente e rivelarono al loro
interno, adagiato nella naturale fodera rossa formata dai petali
più
giovani e teneri, un anello meraviglioso, a forma di serpente, con il
corpo costellato di diamanti e due occhi di rubino che sembravano
scrutare il mondo circostante attenti e colmi di intelligenza.
“Vuoi
sposarmi?” Concluse il ragazzo, ostentando una sicurezza
maggiore
di quella che provava nonostante il lungo confronto con se stesso
combattuto la notte prima.
Lei era rimasta come paralizzata e a lui
sembrò che impiegasse un’eternità per
rispondergli, ma si impose
di non mostrare alcun tipo di tensione e di restare perfettamente
immobile.
Hermione, dal canto suo, ripeteva ossessivamente tra sé e
sé quelle parole, che tanto aveva desiderato sentire durante
quei
quattro anni, e quasi non credeva potessero essere finalmente state
pronunciate.
Sentì lacrime di sollievo e gioia premere per uscire
dagli occhi ed infine rigarle le guance e questo, per qualche
misterioso motivo, le restituì la voce e la
mobilità.
Corse ad
abbracciare Draco e lo strinse forte a sé.
“Si, Draco. Si, si, si,
si, si!” Odiava la sua lingua traditrice per essersi bloccata
su
un’affermazione tanto banale in un momento così
cruciale, ma non
riusciva a fare altrimenti: la felicità la aveva totalmente
annebbiato la mente, e non sarebbe riuscita a pronunciare qualcosa di
diverso neppure se ne fosse andato della sua stessa vita.
Draco, dal
canto suo, non sembrò minimamente infastidito da quella
ripetizione,
anzi.
Finalmente sciolse la tensione del proprio corpo e, con animo
decisamente più leggero, ricambiò la stretta di
quella che oramai
era ufficialmente la sua futura signora, cullandola poi leggermente
tra le braccia.
Lei rise sommessamente “Temevi forse un
rifiuto?”
“Si, e non sapevo che avrei fatto in quel caso.”
Ammise, non
senza difficoltà.
Hermione alzò il capo e cercò i suoi occhi.
“Sai
che ti amo, vero?”
“Me lo hai appena dimostrato. Ma a volte
l’amore non basta.”
“Non sarà il nostro caso. Lo
giuro.”
“Lo
giuro anche io.” Rispose lui in tono determinato, cercando la
bocca
della ragazza e baciandola.
Hermione ricambiò, senza riuscire a
smettere di piangere e sempre tra una leggera cortina di lacrime
osservò il suo futuro sposo togliere l’anello dal
cuore del fiore
ed infilarlo con enorme attenzione al suo dito.
Era bellissimo,
armonioso ed elegante nonostante la grandezza ed il peso e calzava al
suo dito come se fosse stato forgiato apposta per le sue mani.
Sorrise, rimirandolo incantata ed incredula.
Un
dito caldo e magro riempiva il vuoto tra le sue spire.
Un dito lungo,
dalla pelle morbida, un dito che apparteneva alla mano di una donna
estremamente potente ed intelligente.
Subito Esshielt si riscosse dal
suo lungo sonno ed ebbe un fremito di pura gioia.
Era lei, finalmente
l’aveva trovata!
L’ospite perfetta, la discepola ideale, colei
che le avrebbe permesso di dominare il mondo!
La felicità e la gioia
furono tali che, per qualche istante, il demone ne rimase quasi
stordito, ma ben presto recuperò il solito ferreo controllo:
sicuramente un’ospite tanto perfetta doveva essere
estremamente
sensibile e recettiva a qualsiasi cosa tentasse di inserirsi nella
sua mente, quindi era di importanza vitale evitare di commettere il
benché minimo errore.
Il gioiello si calmò, sondò con attenzione
l’aria che tirava tra la sua preda e la persona che era con
lei e,
appurato che la ragazza si trovava in un momento di grande
sconvolgimento emotivo, ne analizzò con delicatezza e metodo
i
pensieri più superficiali, integrando poi le nozioni grazie
alle
conoscenze del mago, la cui mente era si brillante, ma decisamente
più accessibile.
La giovane si chiamava Hermione Granger, un gran
bel nome, ed era appena stata chiesta in sposa dal ragazzo che amava.
Era molto famosa e rispettata in tutto il mondo magico per il
contributo che aveva dato ad una certa impresa e, nonostante la
giovane età, ricopriva già un ruolo abbastanza
importante nel
sistema che governava quel paese.
Esshielt era deliziata da ogni
nuova informazione che riusciva a carpire sulla giovane: potenza
enorme, intelligenza smisurata, una mente pronta ed ordinatissima,
incredibilmente facile da esaminare una volta penetrata, carisma,
figura sociale consolidata ed influente.
Lo spirito si addentrò
ancora di più nella mente e tra i ricordi dei giovani,
ripercorrendo
giorni e notti, tempeste e momenti di pace, dolori e gioie e cercando
un appiglio da sfruttare per ottenere il controllo sulla
strega.
La
vide bambina, vivace e dall’intelligenza pronta ed
irrequieta, e
poi giovane studentessa e donna, brillante nello studio ma con un
po’
di difficoltà a rapportarsi con i compagni, almeno
finché non aveva
trovato coloro che le sarebbero stati accanto per tutta la
vita.
La
osservò affrontare grandi pericoli, situazioni intricate e
gravi
lutti sempre con la mente fredda e pronta ad analizzare la situazione
e ne fu al contempo compiaciuta ed irritata: bramava da secoli e
secoli di trovare una tale unione di grandi potenzialità, ed
ora che
finalmente ci era riuscita quasi temeva di non riuscire ad avvolgere
quella creaturina tra le sue spire.
Decidendo di cambiare tattica, il
demone interruppe il legame con il futuro sposo e si immerse invece
nel flusso di pensieri che occupavano la mente della strega al
momento, per meglio conoscerla e capirla.
Non che fossero molti:
Hermione era talmente estasiata dalla proposta di matrimonio da non
riuscire a pensare a nient’altro, ma Esshielt
trovò comunque
qualcosa di interessante a cui appigliarsi.
A quanto pareva, la
storia d’amore era solo l’epilogo di un rapporto
decisamente più
lungo e travagliato: scostando appena i ricordi trovò
antipatia,
odio, disprezzo, pietà e molte altre emozioni contrastanti,
condite
da moltissime istantanee di momenti e situazioni, in parte
assolutamente stupende e in parte perfettamente orrende.
E, più
importante di ogni altra cosa, dal flusso di ricordi erano emerse due
figure chiave per raggiungere il cuore e la mente della sua preda, i
due più cari amici che, nonostante gli anni trascorsi e la
distanza
forzata, ancora occupavano uno spazio enorme dentro di lei.
Esshielt
sorrise e si rilassò: avrebbe preferito ottenere subito il
dominio
sulla mente di Hermione, ma a ben pensarci il fatto che ciò
non
fosse avvenuto immediatamente era tutt'altro che negativo.
Sarebbe
stato indice di debolezza da parte della sua ospite e, in ogni caso,
non era certo la prima volta che si trovava a dover attendere
pazientemente studiando un buon piano.
Ad ogni modo aveva trovato di
che analizzare e, una volta terminato di visionare tutti i ricordi,
avrebbe cominciato a lavorare ad una strategia.
10
Agosto 79 d.C. , Pompei, Italia
Il
pesante bastone si abbatté sulla schiena della ragazza
più e più
volte, senza la minima pausa. Per quanto vecchia e dolorante,
quell’orribile donna dimenticava tutti i suoi malanni quando
decideva che il momento era buono per picchiare le sue serve.
La
giovane provò in tutti i modi a serrare le labbra e a
rimanere in
silenzio, rendendo così il supplizio meno divertente per la
sua
aguzzina, ma l’ennesimo colpo fu troppo persino per la sua
schiena
allenata alle botte più feroci.
Un urlo le uscì dalle labbra
serrate, mentre da tergo e dalla verga di legno cadevano e
ruscellavano gocce di sangue grosse come sesterzi, che macchiavano il
pavimento in pietra della stanza.
A quella vista la donna, che altro
non aspettava se non una scusa qualsiasi per raddoppiare le percosse,
lanciò un urlo furioso e calcò con maggiore forza
il bastone.
Tallula, la giovane schiava etrusca vittima di quella terribile
punizione, morse le labbra fino a farle sanguinare e si impose di
rimanere in silenzio: oramai sapeva bene che piangere, singhiozzare,
gemere od implorare serviva solo a rendere la sua aguzzina ancora
più
crudele e spietata, mentre il silenzio, sebbene fosse spesso
impossibile da osservare, la stufava in fretta.
Finalmente, dopo
quelle che sembravano ore ed ore, l’aguzzina si ricompose e
lasciò
cadere il bastone a terra, limitandosi ad attaccarla a male parole ed
ordinandole di ripulire la sua meravigliosa camera da letto dal
lurido sangue sporco che aveva spruzzato qua e là,
minacciando
tremende punizioni in caso, al suo ritorno, ne avesse trovato ancora
la minima traccia, o percepito il sentore nell’aria.
Non appena fu
sola, la ragazza si stese carponi per terra, cercando in qualche modo
di incanalare e sopportare il dolore.
Si contorse a lungo, tentando
di dominare gli spasmi, ma fu tutto inutile. Un lampo bianco le corse
dietro agli occhi e sulla punta delle dita e nella stanza si
udì
distintamente lo schiocco secco di un oggetto pesante caduto a
terra.
Immediatamente Tallula alzò il capo, terrorizzata da quello
che
avrebbe potuto vedere.
Sin da piccola aveva delle piccole
luminescenze nascoste in lei, forze che uscivano dal suo corpo a suo
comando e con le quali si divertiva e giocava.
Un giorno, però,
alcuni ragazzi del suo quartiere l’avevano sorpresa e,
spaventati,
l’avevano accerchiata e picchiata furiosamente con sassi e
bastoni.
La piccola etrusca, che era sola al mondo, era rimasta lì,
incapace
di difendersi e troppo terrorizzata per chiedere aiuto o provare a
scappare, fino a che il gruppo di ragazzini non si era stufato di
picchiarla e scalciarla.
Ricordava di essersi trascinata all’ombra
e di essere poi svenuta per molto, molto tempo.
Quando si era ripresa
era debolissima, tremendamente affamata ed assetata e, cosa peggiore
di tutte, totalmente incapace di richiamare a sé le luci,
che
sembravano svanite nel nulla.
Aveva pianto lacrime amare ed odiato
quei ragazzini, che le avevano tolto l’unica cosa bella del
mondo
di fatica e soprusi che la circondava, ed aveva giudicato di
vendicarsi.
Ma siccome era di animo buono e di natura gentile, quel
giuramento impetuoso venne ben presto dimenticato e nulla sarebbe
accaduto se, qualche tempo dopo, lo stesso gruppo di ragazzi non
l’avesse nuovamente circondata, col chiaro intento di
picchiarla
ancora.
In quel momento i ricordi dell’umiliazione e del dolore
uniti alla paura di una nuova rappresaglia presero il sopravvento,
sovvertendo in maniera incontrovertibile l’equilibrio dentro
di
lei.
Le luci si ripresentarono, più forti di prima e vennero in
suo
soccorso, uccidendo tutti i ragazzi.
Spaventata, Tallula provò
disperatamente a richiamarle e fermarle, ma esse erano diventate
indomabili, e tali sarebbero rimaste negli anni a venire, scatenate
improvvisamente da forti emozioni o perdite di conoscenza.
Per quel
motivo, ora, la ragazza si aggrappava al poco di forze che le
rimaneva con ferrea determinazione, ed intanto osservava attentamente
l’arredamento e la stanza attorno a sé, cercando
eventuali danni
ai quali riparare, oramai quasi rassegnata al peggio.
Invece, grazie
agli dei, la sola cosa fuori posto sembrava essere il grosso scrigno
portagioie della padrona, che era caduto dal tavolo per il trucco e
le acconciature sul quale era poggiato, spargendo il suo contenuto
tutto attorno.
Raccogliere tutti i monili e gli orpelli della vecchia
strega sarebbe stata una tortura per la sua povera schiena, ma
Tallula temeva di scoprire molto di peggio e almeno lo scrigno non
sembrava essere rotto, come giudicò dopo averlo raccolto da
terra ed
osservato attentamente per un lungo momento.
Muovendosi lentamente e
macchiando nuovamente il pavimento chiaro di goccioline rosse
fresche, la schiava si alzò cautamente, si
avvicinò al mobile e vi
posò sopra il portagioie intagliato, facendo attenzione a
sistemarlo
esattamente come faceva la padrona.
Poi, sospirando e cercando di
ignorare i dolori vari che la trafiggevano qua e là, la
schiava si
chinò e cercò di recuperare ori e gioielli il
più velocemente
possibile, ben sapendo che, se per disgrazia la matrona fosse
rientrata nelle sue stanze proprio in quel momento e l’avesse
trovata con le mani tra i suoi tesori, per lei sarebbe stata la
fine.
Quel mostro avrebbe avuto per legge tutto il diritto di toglierle la
vita, anche torturandola pubblicamente, e lei non aveva la minima
intenzione di sfidarla o darle il benché minimo appiglio,
quello che
pativa era già abbastanza!
Era destino di ogni schiavo essere
percosso e sfruttato fino a quasi morire di fatica, questo lo sapeva,
ma la sua signora abbatteva qualsiasi livello di crudeltà e
perversione.
Sceglieva accuratamente le sue schiave tra le giovani
orfane delle insulae, prediligendo appositamente le bambine
più
emarginate per ridurre al minimo il rischio il suo temperamento
sadico potesse essere in qualche modo scoperto.
E non molto tempo
prima, a causa di un misterioso incidente, l’ennesima
ragazzina era
scomparsa nel nulla.
La matrona si era lamentata lungamente di questo
fatto con le sue amiche, al foro, sostenendo che la ragazzina era una
sporca e lasciva perditempo, che aveva osato fuggire da una casa che
le forniva cibo e protezione quasi sicuramente per seguire qualche
lurido straccione par suo, che avrebbe probabilmente approfittato di
lei e l’avrebbe poi venduta alla prima bettola
malfamata.
Le ricche
signore, ovviamente, si erano mostrate doverosamente scandalizzate
alla notizia, e si erano unite alla matrona nel tessere invettive su
invettive grondanti veleno.
Ma a Tallula, che pur aveva una mente
estremamente semplice ed ulteriormente rallentata dallo sforzo
inconsapevole ma costante di trattenere le luci all’interno
del
proprio corpo, non era sfuggito il fatto che questa
“fuga” fosse
avvenuta proprio poche ore dopo che la ragazza era stata convocata
nelle stanze della signora per essere punita a causa di un errore
commesso durante un ricevimento la sera prima, né che le sue
urla
disperate si erano interrotte improvvisamente e che il lungo,
mortale, silenzio che le aveva seguite era stato punteggiato da
strani suoni attutiti, simili al rumore di sbuffi affaticati, o al
suono di un corpo arrotolato in qualcosa di grosso, come ad esempio
il prezioso tappeto che era poi risultato essere misteriosamente
sparito dalla camera da letto della signora.
La schiava si chiedeva
cosa avrebbero fatto le amiche della matrona se avessero scoperto
questa e molte altre cose, ma in cuor suo sapeva di conoscere
già la
risposta.
Nulla, non avrebbero fatto assolutamente nulla.
Il padrone
di uno schiavo ne decideva vita e morte, dal momento in cui lo
acquistava ne diventava la sorte.
Sospirando e patendo le pene
dell’inferno, Tallula raccolse tutti i gioielli e le pietre
che
riuscì ad individuare a colpo d’occhio, poi si
accucciò e terminò
il lavoro ispezionando sotto ogni mobile, tendaggio e in tutti gli
angoli.
Ben pochi oggetti erano riusciti a fuggire allo sguardo acuto
dei suoi dodici anni, ma uno tra essi la colpì in modo
particolare.
Si trattava di una piccola scatolina di legno bianco, leggerissimo e
compatto, che le dava una strana sensazione sotto le mani, come un
leggero formicolio.
La ragazzina lo strinse senza accorgersene per
quasi cinque minuti, sprofondata in una profonda trance che si
interruppe bruscamente quando le sue mani, muovendosi di propria
iniziativa, scivolarono sulla chiusura e tentarono di farla scattare,
ricorrendo, poi, ad una luce per liberarsi del meccanismo, che
sembrava intenzionato a rimanere ostinatamente chiuso.
Tallula
osservò con orrore crescente il lento sollevarsi del
coperchio,
desiderando con tutta se stessa potersi fermare, liberarsi dello
scrigno e scappare dalla stanza.
Qualcosa, nell’aria e nella parte
più recondita del suo cuore, le intimava di smetterla, di
non
guardare, di lasciare tutto esattamente com’era, ma oramai
era
troppo tardi.
Finalmente libero dal coperchio di legno, steso su un
panno morbido e certamente pregiato, troneggiava un anello
semplicemente terrorizzante. In foggia serpentesca, ricoperto da
settecento scaglie che scintillavano come pugnali, sembrava volerle
leggere dentro con quegli occhi rossi, simili in tutto e per tutto a
diaboliche gocce di sangue.
E dopo averla letta, ne era sicura, il
gioiello avrebbe spalancato le fauci e se la sarebbe mangiata.
Dimentica della padrona, delle sue tremende punizioni corporali,
delle minacce e di ogni altra cosa, la ragazzina sollevò
d’istinto
la mano destra e scagliò la scatola lontano, con tutta la
sua forza.
Fu allora che il serpente si animò, fermandosi a
mezz’aria assieme
alla scatola, ed alzò la piatta testa da rettile, sibilando
la
lingua biforcuta. Gli occhi rossi mandarono scintille e si mossero,
per davvero questa volta, cercando quelli castani e terrorizzati di
Tallula per provare a legare a sé quella potentissima
giovane
tramite l’ipnosi.
Per qualche istante il piano parve funzionare ,
ma poi l’ennesima luce sprigionò dal corpo della
schiava e
distrusse la scatola di legno che conteneva il gioiello, facendolo
così cadere e rompendo il contatto visivo.
Il terrore era tale che
Tallula dimenticò momentaneamente i propri dolori:
afferrò l’anello
da terra con un’espressione profondamente disgustata, lo
buttò
velocemente nel portagioie e si precipitò fuori dalla stanza
correndo, dimenticandosi del sangue e tutto il resto, sfregandosi
ossessivamente le mani, come a volerle ripulire da qualcosa di
disgustoso.
Il
sonno di Esshielt era stato turbato dopo soli nove anni, un tempo
incredibilmente breve.
Dopo lo sterminio della confraternita aveva
alimentato ogni genere di sciocca e romantica credenza sulle proprie
origini ed era passata tra poche mani, una più debole e
futile
dell’altra.
Persino la sua attuale proprietaria era una donna
assolutamente insignificante sia per intelligenza che per potenziale
magico, tanto da tenerla costantemente chiusa in uno scrignetto
incantato fatto di legno di sambuco.
Era, però, deliziosamente
crudele e cattiva e quindi l’anello aveva deciso di restare
per
qualche anno al suo fianco, godendosi l’intrattenimento delle
sue
torture brutali alle schiave finché non si fosse
stufata.
Allora
avrebbe ammazzato la vecchia e avrebbe ricominciato il suo viaggio,
cercando la mano di qualcuno che fosse di nuovo meritevole di
indossarla. Qualcosa di imprevisto, però era capitato quel
giorno:
il forziere incantato, che solo la donna poteva maneggiare
poiché
protetto da una potente maledizione, era stato colpito da un’
onda
di potere magico tanto concentrata ed efficace da riuscire a spezzare
facilmente il maleficio ed aprirlo.
Ciò aveva risvegliato
prontamente il demone , che era stato quindi attratto da un oceano di
energia praticamente illimitato.
Sentì tutto quel potere avvicinarsi
e il contatto con esso fu tanto intenso da spingerlo a sciogliere la
sua forma di gioiello, terrorizzando a tal punto la giovane che lo
deteneva che neppure l’ipnosi era riuscita a
calmarla.
Con un’altra
scarica di energia magica aveva spezzato il contatto ed era poi
scappata via dalla stanza, ma il demone era tutt’altro che
pessimista. Sapeva che sarebbe tornata, molto presto, ed allora
sarebbe stata sua.
Sibilando di gioia, Esshielt si librò in aria e
rassettò telepaticamente la stanza, per evitare che la sua
creatura
potesse venir picchiata di nuovo.
Ricompose poi lo scrigno di sambuco
che l’aveva accolta e vi si adagiò di buon grado,
richiudendo con
cura il coperchio ma non riformulando la maledizione.
Era pronta.
Ora
doveva solo aspettare la sua nuova ospite.
12
Agosto 79 d.C. Pompei, Italia
Tallula
era nello stanzone dove tutti gli schiavi della casa dormivano e
vivevano e stava cucendo alla bell’e meglio le profonde
ferite
sulle gambe di una serva più giovane, frustata senza
pietà dalla
padrona.
Il compito la riempiva di rabbia, pietà e disgusto, ma
osservare la ragazzina punita, che stringeva con forza uno straccio
tra i denti per evitare che le urla ed i gemiti evocassero le ire
della padrona, le dava la forza d’animo necessaria a svolgere
quell’orrendo compito al meglio delle sue capacità.
Finalmente,
dopo circa mezz’ora, il supplizio terminò e, una
volta
assicuratasi che la padrona fosse fuori casa, l’etrusca diede
alla
compagna una grossa tazza di vino allungato, affinché
potesse
riuscire a riposare un po’ nonostante il dolore.
Già stanca per le
lunghe ore di lavoro, la giovane decise di approfittare a sua volta
del momento di requie e si stese anche lei sul suo lurido
pagliericcio.
Ma, per quanto fosse stanca ed affaticata, proprio non
riusciva a prendere sonno, sempre tormentata dal ricordo che, da
circa due giorni, le vorticava in testa in qualsiasi momento.
Si girò
e rigirò a lungo sul giaciglio ed infine decise di
affrontare la
situazione: non poteva andare avanti così.
Cautamente, badando di
non essere scorta da anima viva, sgattaiolò sino alla stanza
della
matrona, e si chiuse la porta alle spalle.
Il forziere era sempre lì,
appena socchiuso, e anche se non riusciva a vederlo, Tallula
percepiva chiaramente anche la presenza di quell’anello
malefico.
Si, malefico, non nutriva il minimo dubbio, in proposito.
Solo a
guardarlo, sono per averlo sfiorato per un istante con le dita,
Tallula si era sentita terrorizzata e ripugnata come mai nella
vita.
Si vedeva, si sentiva che era Male, che aveva lo scopo di uccidere e
ferire chiunque gli capitasse sotto tiro e lei voleva a tutti i costi
tenersene fuori, far finta che non esistesse e che non le
interessasse per niente.
Ma la realtà era che non ci riusciva, non
totalmente almeno.
Per quanto le costasse ammetterlo, c’era una
parte di lei che voleva l’anello,
che aveva provato
un’enorme scarica di felicità e desiderio quando
ne aveva sfiorato
le spire fredde e la pelle scintillante, che aveva gridato di dolore
quando si era allontanata scappando da esso e che non aveva smesso un
attimo di sognare piani per rubarlo.
E tacitare questa seconda lei
era molto più difficile di quanto Tallula avesse mai potuto
immaginare, soprattutto perché tutti i piani culminavano
invariabilmente con l’uccidere la matrona, cosa che la
schiava
etrusca temeva ed aborriva, certo, ma allo stesso tempo desiderava
anche, pur sapendo che non sarebbe mai riuscita a farlo con le sue
mani.
Ma forse avrebbe dovuto trovare il coraggio, per il bene del
mondo! In fondo la matrona lo meritava, eccome se lo meritava!
Una
morte lenta ,tra atroci dolori, gli stessi che lei aveva
inflitto (a
lei) a tutte le sue compagne, nulla di
più.
E che fosse
pubblica, poiché la fine di un tale mostro doveva
essere
simbolo, per tutti coloro che come lei trattavano (lei) gli
schiavi in maniera tanto ingiusta e bestiale, che il periodo dei loro
lunghi e crudeli soprusi era finalmente terminato.
Lei, innocente tra
tutti gli innocenti, sarebbe diventata la loro giustiziera e
paladina!
Esshielt
sorrise, soddisfatta: sapeva di avere fatto breccia nel cuore della
giovane ed ora la sua pazienza era stata ben ripagata.
Tallula aveva
desiderato rivederla, tanto da rischiare di venire brutalmente punita
pur di riuscirci, e questo appiglio era stato più che
sufficiente al
demone, che aveva fatto breccia nella mente della giovane ed ora la
stava riempendo di eroiche suggestioni e sogni di gloria.
Esshielt si
muoveva con molta cautela e cercando di essere neutrale al massimo,
in modo che la giovane credesse di essere autonoma nelle proprie
convinzioni.
Proprio per questo motivo, quindi, evitò di
materializzarsi al dito dell’ospite ed aspettò che
fosse lei
stessa a trovarla, innocentemente adagiata nella scatolina di
sambuco.
Al solo vederla, il cuore della fanciulla prese a battere
come impazzito ed un ultimo, disperato campanello d’allarme
le
risuonò debolmente nelle orecchie.
Ma fermare Esshielt, oramai, era
impossibile.
“Bentornata, principessa, è una vera gioia
rivederti.
Dopo la tua fuga, due giorni fa, sono stata tormentata dalla paura: e
se il mio orribile aspetto ti avesse turbato al punto da spingerti a
non volermi vedere mai più? Sarei potuta morire dal
dolore!”
Il
tono era dolce, benevolo, affettuoso come quello, supponeva, di una
vecchia e saggia nonna.
Tallula dimenticò immediatamente ogni timore
e, anzi, le parve quasi di sentire una brezza tiepida e piacevole,
che le consentì di vedere e di capire tutto ciò
che circondava
molto più chiaramente.
Veniva voglia di sedersi a terra ed
ascoltarla per tutto il tempo, tralasciando ogni altra cosa.
“Se
questo è il tuo desiderio, bambina, posso farlo
avverare.”
Assicurò Esshielt, levando il capo diamantato ed ondeggiando
lentamente sul posto, ipnotizzando la giovane anche per mezzo dei
movimenti e dei giochi di luce che le percorrevano la pelle.
“Non
desidero altro se non renderti felice, mia
principessa.”
Tallula
sorrise: quella voce era così calda ed affettuosa e le
parole tanto
dolci e comprensive da smuoverle qualcosa dentro. Un ultimo
campanello d’allarme, però, le risuonò
debolmente in un angolo
remoto della testa.
“Ma tu sei della padrona, perché mai dovresti
interessarti a una semplice schiava come me? É un
trucco?”
“No,
nessun trucco, bambina mia. In questo momento quell’orribile
donna
mi custodisce, è vero, ma io non sono sua. Se sono qui, in
questa
stanza e in questo momento, è solo perché lei mi
tiene
prigioniera.”
Tallula, ora nuovamente attenta, strabuzzò gli occhi
incredula. “Prigioniera? Come,
perché?”
“Devi sapere” Iniziò
il demone, lasciando la scatola ed avvolgendosi in spire morbide
attorno al polso della ragazza. “Che io sono uno spirito
antico e
molto, molto potente. Vengo da una terra lontana chiamata Persia e,
tra coloro che si occupano di magia, sono una preda molto ambita. La
tua padrona è una strega oscura, molto crudele ma poco
potente, ed
ha deciso di rapirmi per cercare di sfruttare i miei poteri magici
per compiere i suoi oscuri rituali. Ma io mi sono sempre rifiutata,
la mia magia è pura e serve per la cura e la crescita, non
per la
distruzione e la morte.
Purtroppo, però, questo non le è piaciuto
affatto e quindi mi ha sigillato in quella scatola per anni ed anni,
fino a quando non sei arrivata tu, e mi hai liberato.”
Esshielt
sollevò la testa e lambì la guancia della schiava
con una carezza
che quasi sciolse il cuore della bambina.
“Liberato? Ma come,
neppure sapevo che fossi prigioniera!”
“Ma mia cara bambina,
grazie ai tuoi grandi poteri magici! Ricordi cosa è successo
il
giorno in cui ci siamo incontrate per la prima volta?”
Domandò con
tono suadente, beandosi della facilità con cui stava
ingannando
quella bambina così potente.
“Certo che si, come potrei mai
dimenticarlo? La padrona mi stava punendo, anche se non ricordo per
quale motivo, e quando finalmente ha deciso che era abbastanza se ne
è andata lasciandomi agonizzante a terra. Stavo cercando in
tutti i
modi di non svenire quando...”
“Quando il tuo cuore puro e buono
ha percepito che qualcuno, vicino a te, aveva bisogno di
aiuto.”
Concluse Esshielt, fermando il viaggio a ritroso nei ricordi prima
che l'istintivo moto di atavico terrore che aveva provato la
ragazzina potesse stracciare la rete di malie che le stava tessendo
attorno con tanta cura.
“Tu sei una paladina predestinata, buona e
potente, faro di guida e speranza per tutti i deboli e gli oppressi
di questo tempo.”
Il demone chinò il capo stellato in un finto
atto di umiltà e reverenza e continuò il discorso
che preparava fin
dal primo incontro con la giovane schiava. “Proprio a causa
del tuo
grande potere, le forze oscure della magia hanno sempre e solo
cercato di isolarti e piegarti, togliendoti tutto quello che ti
spettava di diritto. Ciononostante, tu non ti sei mai spezzata,
piccola mia, e ora che finalmente ti ho trovata, se lo desideri puoi
intraprendere il cammino per diventare quello che sei da sempre
destinata ad essere.”
“E cioè?”
Quella domanda così
incredibilmente ingenua le giunse totalmente inaspettata, e per un
momento Esshielt tentennò; i suoi discorsi erano costruiti a
regola
d'arte basandosi sugli insegnamenti che le aveva trasmesso a suo
tempo Sumir: sapeva come accendere ira e desiderio,scatenare odio e
gelosia, ammaliare con prospettive di potere, denaro, lunga vita e
bellezza.
E pur non comprendendo quelle sciocche e complicate
emozioni, era oramai diventata una vera esperta nel suscitarle e
gestirle.
Ma nulla di questo interessava la ragazzina che aveva di
fronte, che era probabilmente troppo piccola e davvero troppo pura
per quel genere di cose. E del resto bastava anche solo guardarla
distrattamente, di sfuggita, per capire cosa volesse.
Persino lei era
riuscita a coglierlo, ma ciò non bastava a rendere la sua
missione
più agevole.
Tallula non voleva soldi, potere, bellezza o vendetta,
ma semplicemente essere amata.
Per un demone come lei, però, quel
semplice compito era quasi impossibile.
Di nuovo la serpe esitò, e
questa volta una sfumatura minima della sua preoccupazione dovette in
qualche modo trasparire da lei, perché avvertì
immediatamente la
bambina irrigidirsi e quasi allontanarsi da lei.
Parte del suo
strabiliante potenziale magico cominciava a raccogliersi, lento ma
inesorabile, al centro della gola e sulla punta delle dita e fu
proprio il corroborante crepitio di quell'energia e la
possibilità
di poterla sfruttare appieno per i suoi scopi a far uscire Esshielt
dal suo momento di smarrimento.
Doveva avere quell'enorme potere
tutto per sé, e ci sarebbe riuscita ad ogni costo.
Sorrise e si
avvolse languidamente ma con fermezza al braccio della ragazzina,
attirandola nuovamente a sé. Le posò la bella
testa nell'incavo
della sua spalla e le solleticò dolcemente l'orecchio con la
lingua
fresca ed asciutta, concentrando tutta sé stessa nello
sforzo della
recita. “Sarai la famiglia e la guida di ogni orfano,
spezzerai le
catene della schiavitù e verrai amata."
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